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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 28 aprile 2017

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO e PIRAS. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da diciannove mesi il cittadino italiano, Cristian Provvisionato, è detenuto nella caserma di Nouakchott in Mauritania senza una precisa accusa;
   Provvisionato pare venga trattenuto «come figura di garanzia», poiché le autorità della Mauritania ritengono di essere state vittima di una truffa da un milione e mezzo di euro ad opera di un pool di società estere;
   Provvisionato viene contattato da Davide Castro, gestore dell'azienda milanese Vigilar Group, nell'agosto 2015 per lavorare ad un meeting di presentazione di prodotti relativi alla cybersecurity prodotti dalla azienda indiana Wolf Intelligence;
   il meeting non è mai avvenuto e la vicenda è tanto complessa quanto surreale. Nel 2015 la Mauritania aveva stipulato un contratto con un pool di società straniere, tra cui una di Milano, per la fornitura di 13 sistemi di spionaggio informatico. Sistemi che prevedevano la possibilità di inserire un trojan all'interno dei pc o degli smartphone. Pagata la fornitura, l'ultimo dei tredici sistemi, di matrice israeliana, considerato quello chiave per attivare tutti gli altri, non è stato mai consegnato;
   Provvisionato che non è un informatico, ma un contractor che si occupa di scorta non armata, venne affiancato a Leonida Reitano, giornalista specializzato nella ricerca di informazioni ricavabili da fonti pubbliche;
   Reitano e Provvisionato rimasero assieme per due giorni, finché il primo ripartì per l'Italia, mentre lui rimase in attesa del tecnico della Wolf Intelligence;
   Provvisionato fu arrestato il 1o settembre 2015 e durante i primi tre mesi, in cui non ha avuto modo di contattare i familiari che lo ritenevano disperso, ha perso trenta chili, anche perché diabetico e costretto mangiare solo riso e acqua;
   inizialmente l'accusa nei confronti di Provvisionato, interrogato da un giudice soltanto dopo 9 mesi dal fermo, era di truffa ai danni dello Stato, poi l'incriminazione è mutata in attentato alla sicurezza dello Stato. Oggi Provvisionato è trattenuto a causa di un «fermo di garanzia», in pratica è un ostaggio;
   dopo diciannove mesi, a quanto risulta agli interroganti il giudice mauritano ha deciso di prorogare le indagini, chiedendo alla Corte suprema una proroga di sei mesi. Provvisionato ha annunciato che dal 1o maggio inizierà lo sciopero della fame;
   ad opinione degli interroganti non è possibile che in tutti questi mesi non sia successo nulla, e che la famiglia di Cristian sia rimasta priva di risposte in un silenzio che logora tutti i suoi familiari –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda mettere in atto al fine di liberare e riportare in sicurezza in Italia Cristian Provvisionato, ingiustamente detenuto in Mauritania. (5-11244)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli effetti dell'inquinamento riconducibili all'attività della discarica di Torretta, ubicata nel comune di Legnago, tra le province di Verona e Rovigo, gestite da Legnago s.p.a., destano molta preoccupazione sia tra gli abitanti dell'area del basso veronese che tra quelli dell'alto polesine;
   da recenti fonti di stampa (vedasi «l'Arena» del 14 e 20 aprile 2017) si apprende di un sopralluogo, effettuato da funzionari dell'Arpav, accanto al sito gestito da Lese, partecipata del comune di Legnago e dalla Sit di Brendola (Vicenza), a distanza di poco tempo dalla chiusura, da parte del comune di Castelnovo Bariano (Rovigo), di un pozzo per l'acqua potabile sito in un centro sportivo rodigino, in cui è stata rilevata la presenza di valori al di fuori del limite consentito per legge di manganese, ammoniaca ed arsenico;
   sempre da fonti di stampa risulta che da analisi effettuate nel 2016 da Arpav sulle acque di altri siti a ridosso della discarica sarebbe emerso un aumento del percolato oltre le soglie stabilite dalla legge;
   la situazione sopra descritta, oltre a creare preoccupazione nelle popolazioni residenti, potrebbe avere effetti potenzialmente pericolosi per i comuni del basso veronese e dell'alto polesine –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere, anche promuovendo una verifica da parte comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, nell'ottica di tutelare in primis la salute dei cittadini residenti nei comuni del basso veronese e dell'alto polesine e di impedire, altresì, ogni forma di inquinamento sul territorio. (5-11245)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta il sito Repubblica.it presso la stazione dei carabinieri di Moena si troverebbero da circa due anni i resti di un alpino morto in combattimento durante la prima guerra mondiale;
   lo scheletro del soldato venne ritrovato nella primavera 2015, sotto la Cima di Costabella, tra la Marmolada e passo San Pellegrino, e segnalato alle autorità dalla persona che lo ritrovò;
   i resti mortali dell'alpino sarebbero stati successivamente consegnati ai carabinieri della zona che da allora li conserverebbero ancora in caserma non avendo nessuno provveduto a recuperarli per dare alle spoglie adeguata sepoltura –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato dal sito Repubblica.it e se risponda a verità quanto segnalato;
   per quale ragioni il Commissariato generale per le onoranze dei caduti in guerra non abbia provveduto, dopo oltre due anni, ad assumere iniziative per dare opportuna e degna sepoltura al caduto. (5-11241)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda personale del caporal maggiore Francesco Raiola rappresenta un caso tristemente esemplificativo degli effetti di errore giudiziario e di quella che si può considerare «malagiustizia»;
   in sintesi, il signor Francesco Raiola, in data 21 settembre 2011, veniva tratto in arresto, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il tribunale di Torre Annunziata, per poi essere condotto in isolamento nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, ove trascorreva la prima parte della sua ingiusta detenzione;
   in data 11 ottobre 2011, su espressa richiesta dello stesso procuratore della Repubblica che ne aveva chiesto la custodia in carcere, il signor Francesco Raiola viene trasferito presso la propria abitazione, con la sostituzione della misura cautelare in regime di arresti domiciliari, poi definitivamente revocati dal tribunale del riesame di Napoli, in data 17 febbraio 2012;
   l'11 novembre 2011, il Ministero della difesa emana graduatoria dove Francesco Raiola risulta vincitore di concorso, collocato al 153o posto su un totale di 592 posti disponibili;
   tuttavia, in data 21 novembre 2011, l'Esercito italiano, sebbene il procedimento penale versasse ancora nella fase delle indagini preliminari (e prima ancora che dallo stesso potessero emergere degli elementi concreti di accertamento del fatto) disponeva la sospensione della nomina di vincitore di concorso, per un sopraggiunto difetto delle qualità morali e di condotta, apoditticamente desunto dalla instaurazione del procedimento penale temporaneamente a suo carico;
   seguiva infine nel mese di gennaio del 2012, il provvedimento di congedo illimitato, sostenuto da quella che appare all'interrogante la medesima illogica motivazione;
   il 19 giugno 2012 il Tar del Lazio respingeva il ricorso per il reintegro in servizio presentato dal signor Raiola in data 30 maggio 2012;
   infine, il 30 aprile 2015 il gip del Tribunale di Nocera Inferiore ha pronunciato la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, seguita dalla sentenza emessa dalla corte d'appello di Salerno del 20 aprile 2016 che ha riconosciuto al Raiola il risarcimento del danno per ingiusta detenzione;
   le suddette sentenze consacrano – per altro, con un indiscusso effetto retroattivo – l'innocenza del caporale, ed evidenziano al tempo stesso una preoccupante e censurabile ipotesi di macroscopico errore giudiziario, che produce tuttora le sue odiose conseguenze;
   tutto ciò premesso, è necessario sottoporre nuovamente la vicenda all'attenzione del Ministero della difesa, soffermandosi in particolar modo sulla inverosimiglianza delle ragioni esposte in sede di svolgimento di una interrogazione parlamentare del 29 settembre 2016, dal Sottosegretario onorevole Rossi e poste a sostegno della ritenuta legittimità del provvedimento di congedo illimitato emesso dall'Esercito italiano, con decreto dirigenziale n. 10 del 5 gennaio 2012 mediante il quale l'istante veniva escluso dalla graduatoria di merito per «difetto di qualità morali e di condotta previste dall'articolo 35, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001»;
   il signor Francesco Raiola e la sua famiglia vivono tuttora in condizioni di estrema fragilità non solo dal punto di vista emotivo e psicologico ma anche dal punto di vista economico e morale;
   paiono emergere continue violazioni dei principi costituzionali –:
   quali iniziative di competenza urgenti e necessarie intenda adottare per porre fine a tale gravissima situazione di sostanziale malagiustizia e, pertanto, quali soluzioni intenda approntare per il totale reintegro del signor Francesco Raiola nell'Esercito italiano. (4-16434)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PESCO, ALBERTI, PAOLO BERNINI, TOFALO, D'AMBROSIO, DEL GROSSO, SPESSOTTO, D'UVA, LOREFICE, FICO, ZOLEZZI, CARINELLI, BENEDETTI, COLLETTI, DA VILLA, VALLASCAS, FERRARESI, GAGNARLI, BASILIO, MICILLO, RUOCCO, DADONE, MARZANA, SPADONI, NICOLA BIANCHI, COZZOLINO, CRIPPA, DELLA VALLE, CASO, SIMONE VALENTE, PETRAROLI, VIGNAROLI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SARTI e GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 settembre 2014, alcuni quotidiani pubblicano la notizia di una tragedia avvenuta al Ministero dell'economia e delle finanze. Come riporta nell'occhiello, Lorenzo D'Albergo («Ministero Economia, giovane dirigente si toglie la via in ufficio» – La Repubblica), «trovato impiccato con una cravatta al termosifone un giovane dirigente, le cui iniziali sono D.C., si toglie la vita. È accaduto negli uffici di via XX Settembre a Roma. Il cordoglio alla famiglia del ministro Padoan»;
   «Si è tolto la cravatta e poi ha stretto il nodo attorno a uno dei termosifoni del suo ufficio, lasciandosi lentamente soffocare. Così, pochi minuti dopo le 14,00 si è suicidato D.C. un giovane dirigente del ministero dell'Economia nel proprio ufficio all'interno della sede centrale di via XX settembre. Il responsabile del settore rimborsi statali aveva 38 anni e a trovare il suo corpo agonizzante è stato un suo collaboratore. Il collega, di ritorno dalla pausa pranzo, ha prima provato a bussare alla porta del funzionario. Poi, non ricevendo alcuna risposta neanche al telefono, ha infranto il vetro della porta per entrare nella stanza. Una volta lanciato l'allarme, sul posto sono arrivati i militari della guardia di finanza e i sanitari del 118 che, nonostante i disperati tentativi di rianimazione, non sono riusciti a salvare la vita al giovane dirigente e ne hanno dovuto constatare il decesso. A quel punto, a prendere possesso della stanza sono stati gli agenti della scientifica che non avrebbero trovato alcuna lettera che potesse spiegare quello che appare essere a tutti gli effetti un suicidio, come stabilirà l'autopsia già programmata nei prossimi giorni nell'istituto di medicina legale della Sapienza. Nel frattempo, continuano le indagini della polizia, che sta passando al setaccio l'automobile e la casa della vittima. Tutte le piste, al momento, sono valide: dalla delusione amorosa a problemi sul posto di lavoro, la polizia non esclude nessuna ipotesi. Il ministro Pier Carlo Padoan ha appreso la notizia a Milano, dove sono in corso i lavori preparatori al vertice Ecofin, e ha espresso alla famiglia la propria “vicinanza umana e il profondo dolore per la perdita di una giovane vita e di un valente dirigente dell'amministrazione pubblica”»;
   di quello «strano», misterioso suicidio di D.C., un uomo di 38 anni, avvenuto l'11 settembre 2014, non si è saputo più nulla, né le successive cronache, morbose ed ossessive in casi analoghi, hanno pubblicato alcunché, né si sono posti, o risulta abbiano posto domande sull'altezza ed ubicazione dei termosifoni degli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze. Una cappa di silenzio-assordante è stata calata su quella disgrazia, che ha tolto all'affetto dei suoi cari, un giovane dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze, le cui iniziali sono D.C. disgrazia che si chiede di appurare –:
   di quali elementi il Governo disponga in relazione ai fatti di cui in premessa e se non intenda chiarire quali fossero le funzioni, i compiti e le attività del dirigente in questione, se avesse rapporti e collegamenti con istituti di credito e, in caso affermativo, con quali, e se si sia occupato di affari o questioni legate al settore bancario, funestato anch'esso da suicidi maturati in circostanze particolari;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per chiarire dubbi ed interrogativi, onorando in tal modo la memoria di un dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze e le aspettative dei suoi familiari. (4-16428)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2015 ha avuto luogo l'omicidio della giovane Alessia Della Pia;
   per tale omicidio è accusato il suo compagno, il tunisino Mohammed Jella;
   l'autopsia sul corpo della donna ha evidenziato la particolare efferatezza del crimine;
   in questi giorni è al via il processo che però è reso più complesso dal fatto che il Jella risulta tuttora latitante;
   fonti recenti dichiarerebbero che l'imputato si trovi attualmente in Tunisia;
   i carabinieri del nucleo investigativo di Parma, tramite autorizzazione ricevuta dall'Interpol e dalla procura, hanno chiesto di poter supportare la polizia tunisina nelle indagini in corso mettendosi a disposizione in loco, ma le autorità tunisine avrebbero negato tale proposta di collaborazione senza addurre specifiche motivazioni al rigetto –:
   se il Governo sia a conoscenza di questi eventi e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché sia fatto tutto il possibile per favorire una fattiva cooperazione tra le autorità nazionali e quelle tunisine, anche alla luce dell'adesione di entrambi i Paesi all'Interpol.
(4-16433)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le scuole pubbliche di tutta Italia a partire dal prossimo anno scolastico verseranno in una grave situazione, infatti, saranno circa duemila le istituzioni che non avranno una dirigenza stabile e saranno affidate in reggenza;
   la legge n. 107 del 2015, purtroppo non ha risolto il contenzioso in corso tra docenti e amministrazione centrale, poiché è intervenuta con i commi che vanno dall'ottantasette al novanta dell'articolo 1, e ha, di fatto, sanato situazioni di contenzioso tra aspiranti dirigenti e Ministero risalenti ai passati concorsi del 2004 e del 2006 e altre riferite al concorso 2011 nelle regioni di Lombardia e Toscana, nelle quali il concorso era stato annullato dalla magistratura ordinaria, escludendo, situazioni analoghe legate a questo ultimo contenzioso;
   i circa ottocento docenti che hanno partecipato in regioni diverse al concorso per dirigenti scolastici indetto nell'anno 2011 hanno rilevato alcuni errori durante le varie fasi di espletamento della procedura di reclutamento;
   il «comitato nazionale ricorrenti concorso dirigenti scolastici 2011», ha segnalato ciò alla magistratura, al fine di tutelare i propri diritti, aprendo di fatto un contenzioso con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   emerge dalla situazione del contenzioso generato dal concorso – in base ai dati presenti sui siti degli uffici scolastici regionali – che le scuole affidate in reggenza, a causa della mancanza di dirigenti per l'anno scolastico in corso e ormai giunto alla fine, sono circa 1.420 e, se si considerano gli 832 ricorrenti del concorso 2011, l'anno scolastico 2017/18 vedrà le scuole pubbliche italiane con circa 2.000 reggenze che rischiano di non garantire la stessa qualità di offerta formativa che avrebbero le scuole con gli effettivi dirigenti scolastici;
   è necessario quindi intervenire in modo celere per garantire il buon funzionamento delle tante istituzioni che non hanno una dirigenza stabile e la possibilità di azzerare il contenzioso che si trascina ormai da ben sei anni, nell'ottica di chiudere la «stagione» dei ricorsi legata al concorso del 2011 e il contenzioso pendente generato dal decreto ministeriale n. 499 del 2015 in applicazione della stessa legge n. 107 del 2015;
   infine, va segnalato che, con gli interventi sopra descritti, si avrebbe la possibilità di indire il nuovo concorso per dirigenti scolastici senza strascichi legati alle precedenti selezioni, assicurando a un buon numero di scuole una dirigenza stabile e offrendo la possibilità ad altri docenti di partecipare alla nuova procedura per occupare le sedi che rimarranno disponibili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di dover individuare soluzioni – come già era stato fatto in passato con il contenzioso risalente agli anni precedenti – poiché il nuovo concorso potrebbe non risolvere in tempi rapidi la situazione delle reggenze, con il rischio di incorrere durante le varie fasi di reclutamento in ulteriori e nuovi contenziosi che bloccherebbero ulteriormente la situazione;
   se non ritenga che gli aspiranti dirigenti scolastici debbano frequentare un corso intensivo con prova finale da compiersi in poche settimane – così come definito dalla legge n. 107 del 2015 – a fine di garantire l'operatività con l'avvio dell'anno scolastico 2017/18, in modo da risolvere il problema delle sedi senza dirigenza. (4-16427)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI, PATRIZIA MAESTRI, NARDUOLO, ROTTA, COMINELLI e MANFREDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dallo scorso anno la TIM s.p.a., a fronte, secondo i vertici aziendali, di un andamento negativo della redditività e della produttività, ha intrapreso un processo di riorganizzazione aziendale, mediante la predisposizione di un piano straordinario di riduzione dei costi e di un nuovo modello di gestione;
   nell'ambito di questo processo, il 6 ottobre 2016, la società ha comunicato alle organizzazioni sindacali e ai lavoratori, la disdetta unilaterale degli accordi collettivi integrativi del 14 e 15 maggio 2008, con effetto dal 31 gennaio 2017;
   ne è conseguita, fin dai mesi di novembre e dicembre 2016, un'importante mobilitazione dei dipendenti della TIM s.p.a., culminata con lo sciopero nazionale del 13 dicembre 2016;
   in sostituzione degli accordi collettivi integrativi del 2008, la società ha emanato, unilateralmente, l'8 febbraio, un regolamento aziendale, a cui sono seguite nuove proteste da parte dei lavoratori e da ultimo un ulteriore sciopero di 8 ore, il 14 marzo 2017, con due manifestazioni nazionali a Roma e a Milano;
   i lavoratori lamentano la disdetta degli accordi del 2008 e la loro sostituzione con un regolamento aziendale che di fatto agisce in maniera restrittiva sulle condizioni lavorative del personale per quanto concerne in particolare gli orari di lavoro, le ferie collettive e la flessibilità;
   a distanza di diversi mesi, nonostante i vari incontri tra azienda e rappresentanze sindacali dei lavoratori avvenuti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le posizioni tra le parti appaiono ancora inconciliabili –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze e in aggiunta ai tentativi di conciliazione fino ad ora esperiti, per verificare la possibilità di addivenire ad una soluzione condivisa tra le parti che, pur nell'ottica del recupero della produttività e dell'efficienza in tutti i livelli dell'organizzazione aziendale da parte della TIM s.p.a., non penalizzi di fatto le condizioni di lavoro dei dipendenti, ma anzi possa ridare loro una prospettiva di certezza lavorativa, salvaguardandone i diritti e valorizzandone le professionalità. (5-11242)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   AOP Unolombardia capofila del raggruppamento temporaneo di impresa ha partecipato al programma «Frutta nelle Scuole», per la distribuzione di frutta in favore di alunni degli istituti scolastici gestiti o riconosciuti dalle autorità competenti per l'annualità 2012/2013;
   il raggruppamento temporaneo di impresa conseguiva l'aggiudicazione di tre degli otto lotti di distribuzione messi in gara per un importo complessivo di euro 12.526.315,00 e dava completa esecuzione alle prestazioni assunte;
   L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) sospendeva il pagamento con provvedimento del 20 settembre 2013, per un importo complessivo di euro 7.535.722,25 a seguito di una informativa circa l'esistenza di un'indagine penale di turbativa d'asta;
   AOP Unolombardia evidenzia immediatamente che l'indagine della procura di Roma (nella persona del dottor Fava) non riguardava alcun soggetto facente capo al RTI e alla sua mandataria (AOP Unolombardia);
   la stessa Agea chiedeva al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un parere circostanziato sulla gara e il Ministero costituiva una commissione d'inchiesta le cui indagini pervenivano alla conclusione circa l'insussistenza di elementi tali da far ipotizzare una indebita percezione di aiuto comunitario;
   Agea, inoltre, il 3 settembre 2013 indirizzava una richiesta al pubblico ministero dottor Fava per conoscere se v'erano indagati facenti capo ad AOP Unolombardia e relativo raggruppamento d'impresa;
   il pubblico ministero a sua volta, in data 2 ottobre 2013 confermava via fax sulla nota inviata alla procura da Agea che tra gli indagati non risultavano né le ditte in questione né i loro rappresentanti legali;
   ciò nonostante Agea riteneva cautelativamente di sospendere l'erogazione delle somme ancora dovute ad AOP Unolombardia;
   le successive indagini penali sono sfociate in due sentenze penali che non hanno visto l'imputazione di alcun rappresentante dell'AOP Unolombardia;
   il TAR Lazio ha emesso due sentenze, la prima sull'illegittimità dell'inerzia di Agea (n. 99/2016), la seconda (n. 9216/2016) di condanna di Agea ad ottemperare all'obbligo di provvedere, con nomina di un commissario ad acta (dottor Assenza) a che proceda al pagamento in sostituzione di Agea e di inviare alla Corte dei conti una relazione sui danni causati all'Erario (a causa della colposa inerzia);
   l'inadempienza del pagamento sta creando danni irreversibili ad AOP Unolombardia e al raggruppamento temporaneo di impresa che vedono impegnati al loro interno:
    a) n. 11.000 addetti alla produzione (tra imprenditori agricoli e lavoratori dipendenti); n. 2.039 dipendenti impiegati negli stabilimenti di conservazione, lavorazione e confezionamento;
    b) n. 364 dipendenti dell'AOP e dell'OO.PP. (organizzazione produttori);
   il ritardo accumulatosi rispetto alle scadenze entro le quali doveva essere corrisposto il corrispettivo per le prestazioni rese dall'AOP UNO Lombardia e dal raggruppamento temporaneo di impresa è suscettibile di generare un grave danno erariale a carico dello Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   per quali motivi dal 2013 Agea continua a persistere nella sospensione dei pagamenti nei confronti di AOP Unolombardia e del relativo raggruppamento temporaneo di impresa a giudizio dell'interrogante in violazione dei principi di buona fede e di correttezza cui deve essere improntata l'azione della pubblica amministrazione tenendo conto che le suddette società hanno interamente eseguito tutte le prestazioni su di esse incombenti e che su di esse non grava alcun addebito né amministrativo né giudiziario. (4-16432)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, TOFALO, MANTERO, GRILLO, NESCI, DI VITA e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 2 aprile 2015, n. 70, del Ministro della salute «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 127 del 4 giugno 2015), ai sensi dell'articolo 117, lett. m), della Costituzione, determina livelli essenziali delle prestazioni in ambito sanitario, vincolanti sia per le regioni sia per le Asl, in quanto finalizzati al conseguimento degli obiettivi di salute che sono il fine istituzionale di tutto il sistema sanitario nazionale, regionale, locale, a garanzia del fondamentale diritto alla salute costituzionalmente tutelato all'articolo 32; 
   il decreto ministeriale n.70 del 2015, all'articolo 1, comma 2, recita: «Le regioni provvedono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (p.I.) per mille abitanti»; al successivo comma 3 si precisa «Ai fini del calcolo della dotazione dei posti letti di cui al comma 2, in ciascuna regione si fa riferimento alla popolazione residente; sono considerati equivalenti ai posti letto ospedalieri e, conseguentemente, rientranti nelle relativa dotazione, per mille abitanti, i posti di residenzialità presso strutture sanitarie territoriali, comunque classificate e denominate, per i quali le regioni coprono un costo giornaliero a carico del Servizio sanitario regionale (cd. strutture sanitarie accreditate); con successivo provvedimento programmatico regionale saranno adottate disposizioni dirette ad assicurare, nell'ulteriore processo di riassetto delle reti ospedaliere, il raggiungimento di 3,7 posti letto per mille abitanti in ciascuna regione, fermo restando il rispetto di tale parametro, a livello nazionale»;
   il decreto n. 33 del 17 maggio 2016 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Campania ha approvato il piano regionale di programmazione della rete ospedaliera, redatto, secondo quanto affermato, ai sensi del decreto ministeriale n. 70 del 2015. La dotazione di posti letto pubblici e privati accreditati dal servizio sanitario regionale campano (flusso HSP 2015) è di 18.204 posti letto (pari a 3,26 posti letto x 1.000 abitanti su popolazione «pesata»), di cui 16.227 posti letto per gli acuti (pari a 2,91 posti letto x 1.000 abitanti su popolazione «pesata») e 1.977 posti letto per i posti acuti (pari a 0,35 posti letto x 1.000 abitanti su popolazione «pesata») –:
   se il Ministro intenda rendere noto il numero di posti letto per mille abitanti della provincia di Salerno, calcolati come previsto dai commi 2 e 3 dell'articolo 1 del decreto ministeriale 70 del 2015;
   se la dotazione dei posti letto prevista piano, regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016–2018 della regione Campania garantisca, in modo uniforme nella provincia di Salerno, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, equità di accesso, sicurezza e qualità, nell'ambito della cornice normativa vigente. (5-11243)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   grazie alle segnalazioni delle associazioni di categoria, alle denunce dei cittadini ed alle notizie di giornali e agenzie di stampa, si viene a sapere di vergognosi episodi di inciviltà che si verificano in alcune strutture ospedaliere siciliane;
   il fenomeno delle mancanza di barelle presso i presidi di pronto soccorso, per esempio, barelle che dovrebbero assicurare condizioni immediate di intervento nei confronti dei pazienti in stato di emergenza, è noto ed è stato più volte evidenziato;
   il sistema sanitario regionale, praticamente al collasso, ad avviso dell'interrogante «ostaggio» dell'attuale maggioranza politica siciliana, che pare interessata esclusivamente alla spartizione delle nomine «di peso», senza curarsi minimamente della salute dei cittadini che dovrebbe, invece, rappresentare l'esclusivo interesse delle politiche regionali in materia;
   a conferma della reiterata esistenza di tale situazione, certamente non episodica ma particolarmente frequente, il coordinamento provinciale FIALS 118 Catania ha recentemente segnalato l'ennesima problematica di «sbarellamento» presso l'ospedale Garibaldi centro di Catania;
   in particolare, il 26 marzo 2017, è toccato al presidio ospedaliero di Gravina di Catania, rimasto «ostaggio» del pronto soccorso del Garibaldi per più di 7 ore a causa di mancanza di barelle: un'ambulanza medicalizzata proveniente da Gravina di Catania è rimasta bloccata dalle 22:58 alle 06:00, nonostante i diversi solleciti provenienti dalla competente centrale operativa 118, ancora una volta a causa della mancanza di barelle;
   la situazione è ulteriormente aggravata dai gravi episodi, più volte descritti dalla stampa, di aggressione violenta agli operatori presso le strutture di ricovero, con gravi ripercussioni anche a danno dei degenti presenti, oltre che nei confronti del personale sanitario, costretto a lavorare in condizione di permanente timore per il rischio di diventare bersaglio di attacchi;
   per tale ragione, sussiste il dovere istituzionale di garantire un tempestivo intervento politico per garantire il ripristino di condizioni di funzionamento e di piena sicurezza delle strutture ospedaliere, rimuovendo la situazione di grave inciviltà che 5 cittadini sono costretti a subire, nel silenzio mortificante della politica, incapace di realizzare azioni concrete;
   le preoccupazioni delle associazioni di categoria sono condivise dall'interrogante il quale ritiene che un immediato intervento del governo regionale e di quello nazionale sia necessario, di concerto con le aziende sanitarie ed ospedaliere;
   occorre predisporre un piano concreto di incremento delle attrezzature di soccorso disponibili presso i presidi di emergenza, con la contestuale adozione di efficaci strumenti di vigilanza, prevenzione e repressione a garanzia della sicurezza degli operatori delle strutture di pronto soccorso in Sicilia –:
   se le criticità soprarichiamate dipendono dalle esigenze di razionalizzazione e dai vincoli posti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali e quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati al fine di risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-16430)


   DIENI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Motta san Giovanni (Reggio Calabria) si sta producendo una situazione che rappresenta un grave rischio per la salute dei cittadini e che, nonostante diverse segnalazioni di associazioni locali, non è stata sanata;
   come rilevava la dirigente responsabile del dipartimento di prevenzione U.O. di igiene e sanità pubblica di Melito Porto Salvo (RC) il 12 aprile 2013, a seguito di un sopralluogo ispettivo sanitario, infatti, in località Comunia «a circa 300 metri dal cimitero di Lazzaro insiste impianto di smaltimento della Ditta Ecoservice e poco più a monte una discarica Comunale dismessa e mai bonificata, con recinzione divelta in più punti; al momento del sopralluogo non si notava la presenza di animali, ma si percepiva un nauseabondo odore di compost»;
   a conclusione del documento, rivolto al sindaco del comune di Motta S.G., la stessa comunicava che «vista la grave situazione igienico sanitaria riscontrata e considerato che la sottoscritta ha già avviato nel territorio un'indagine epidemiologica ed è in attesa di dati, si invita la S.V., con estrema urgenza ad intraprendere tutti i provvedimenti necessari alla tutela della salute pubblica ed ambientale (Messa in sicurezza della discarica e bonifica – Ordinanza con divieto di coltivazione e pascolo)»;
   il 3 settembre 2014 il direttore dell'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, in una comunicazione controfirmata dalla stessa dirigente responsabile del dipartimento di prevenzione U.O. di igiene e sanità pubblica, riscontrava che «in assenza di dati epidemiologici, non si può affermare, in alcun modo, che sia stato riscontrato un aumento di patologie collegabili a criticità ambientali. Pertanto si concorda con il sig. Crea circa la necessità di poter disporre dei dati derivanti dal Registro Tumori»;
   a quanto emerge da ciò che viene denunciato dall'associazione Ancadic-onlus non si sarebbe provveduto alla bonifica del suddetto sito ove sarebbero stati smaltite oltre 100 mila tonnellate di rifiuti pericolosi trasportati dalla centrale elettrica di Brindisi in una cava di Lazzaro ed utilizzati anche per la produzione di laterizi delle aree circostanti l'impianto di compostaggio, inquinate dallo smaltimento di milioni di metri cubi di fanghi di depurazione;
   la preoccupante situazione ambientale nel territorio di Motta San Giovanni, enfatizzata dallo stato di abbandono in cui da anni versa il territorio e considerato il notevole decorso temporale senza che si riscontri nelle istituzioni locali competenti la volontà di adottare le cautele dovute a salvaguardia dell'ambiente, della salute e incolumità pubblica, viene resa insostenibile dall'impossibilità di accertare se essa abbia contribuito ad elevare la formazione di neoplasie;
   tale situazione è stata peraltro ribadita nell'audizione presso l'aula commissioni del consiglio regionale della Calabria del 3 dicembre 2013 avente per oggetto le problematiche relative all'istituzione del registro tumori, dato che non risulta pervenuto da parte dei medici di base alla richiedente azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria alcuno studio scientifico inerente e alla frequenza e alla distribuzione di malattie nella popolazione residente nel territorio del comune di Motta San Giovanni;
   la mancanza nella provincia di Reggio Calabria del registro, propedeutico all'avvio di mirate indagini sui fattori di pressioni ambientali, non può esimere tuttavia l'azienda sanitaria provinciale da ulteriore attività di sollecitazione e adozione dei relativi provvedimenti affinché gli inadempienti medici di base provvedano a tale gravissima mancanza;
   è importante sottolineare quanto sia importante l'effettuazione delle indagini epidemiologiche volte ad accertare il nesso di causalità tra la presenza di inquinamento nei siti, e l'eventuale aumento di patologie neoplastiche negli stessi territori –:
   di quali dati statistici dispongano sulle malattie oncologiche diffuse sul territorio della provincia di Reggio Calabria;
   quali iniziative di competenza siano state adottate, anche attraverso l'Istituto superiore di sanità, per verificare eventuali rischi per la salute connessi all'impianto di smaltimento della ditta Ecoservice e della discarica comunale dismessa nel comune di Motta san Giovanni (RC). (4-16431)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI e CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che anche la seconda asta predisposta per la vendita della società Cantarelli spa, in regime di amministrazione straordinaria da novembre 2015, è andata deserta. Il bando, che tutelava le maestranze e la territorialità dell'attività produttiva, non ha raccolto nessuna offerta di acquisto;
   in ballo ci sono 250 posti di lavoro, con circa 100 persone in cassa integrazione, e lo stabilimento dove si produce capospalla per uomo. Il personale è rappresentato prevalentemente da donne con elevate professionalità specifiche;
   lo stabilimento ha riaperto i battenti il 26 aprile 2017, tuttavia le risorse finanziarie per tenere in piedi l'attività sono in via di esaurimento;
   il commissario Leonardo Romagnoli, per quanto risulta agli interroganti, avrebbe intenzione di tornare a breve sul mercato con una nuova procedura di gara nella speranza di intercettare nuove offerte di acquisto;
   la vicenda continua a essere uno dei temi più caldi e importanti della vita economica di Arezzo e Provincia. Oggi, 27 aprile, è infatti previsto uno sciopero dei lavoratori una cui delegazione, assieme ai sindacati, sarà ricevuta dal prefetto di Arezzo;
   appare quanto mai urgente e prioritario, nelle more della pubblicazione del nuovo bando di gara, tutelare le famiglie dei circa 250 lavoratori, che ad oggi non conoscono quale destino li attende –:
   se i Ministri interrogati abbiano previsto ulteriori risorse per mantenere in vita l'attività produttiva dello stabilimento Cantarelli e stiano vigilando per assicurare la tutela dei lavoratori nelle more dell'emanazione del nuovo bando di gara. (4-16426)


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa Unieco, operante principalmente nel settore edilizio, delle costruzioni, immobiliare, ferroviario, ambiente e laterizi, ha risentito della crisi del settore degli ultimi 10 anni, durante i quali circa 66.000 imprese hanno dovuto chiedere i battenti;
   i revisori di Legacoop, già nel 2013, a crisi ampiamente in corso, scrivevano: «Occorre rendere l'azienda meno frammentata, più snella, reattiva alle nuove esigenze del mercato, più flessibile, pronta a reagire ai nuovi posizionamenti e proiettata al rispetto ferreo del piano di risanamento 2014/2016»;
   l'allerta aveva messo in moto per Unieco l'istanza di ammissione al concordato preventivo, primo passo verso la ristrutturazione dei debiti;
   il 29 marzo 2017, però, un'assemblea dei soci e dei lavoratori della cooperativa, al circolo Pigal di Reggio Emilia, annunciava la rinuncia ufficiale alla procedura di concordato preventivo con le banche, nonostante le dichiarazioni succedutesi fino a pochi mesi prima e rilasciate attraverso i comunicati ufficiali dal consiglio di amministrazione;
   la cooperativa edilizia, dopo 113 anni, è avviata verso la liquidazione coatta amministrativa, avendo accumulato più di 600 milioni di euro di debiti e avendo visto fallire i tentativi di ripianamento;
   la procedura di liquidazione, una volta autorizzata, si traduce nel licenziamento immediato di 170 dipendenti, cui si aggiungono altri 170 ex dipendenti, licenziati a febbraio 2017;
   il commissario liquidatore avrà il compito di limitare i danni, provando a spacchettare e vendere i pochi rami d'azienda in attivo, ricollocare quanti più lavoratori possibili e tentare di salvare il prestito sociale (le quote che i soci lavoratori ed ex lavoratori hanno investito in Unieco) che ammonta a circa 10 milioni di euro, risparmiati dai in decenni e che rischiano di sparire;
   si tratta di un tracollo iniziato molti anni fa, per una delle cooperative «rosse» edili più importanti d'Italia, dopo aver raggiunto l'apice a metà degli anni 2000 (quando Unieco poteva costruire e sostenere i costi per una sua palazzina da 12 milioni di euro a due passi dal casello autostradale di Reggio Emilia, con i suoi oltre 1000 dipendenti a pieno regime), con un fatturato che superava regolarmente i 500 milioni di euro fino all'arrivo della crisi del settore;
   ogni tentativo di ripresa si è rivelato inefficace (quando non deleterio). La relazione degli ispettori di Legacoop si è tradotta in una richiesta di liquidazione coatta, per cui si attende solamente il via libera dal Ministero dello sviluppo economico;
   si tratta per l'interrogante di un altro caso di incapacità amministrativa delle grandi cooperative «rosse» dell'edilizia (parallelo a quello della «sorella emiliana» Coopsette), che ha condotto questo colosso, pian piano, al tracollo;
   al dramma economico si unisce il dramma sociale, con migliaia di soci e lavoratori, fornitori delle cooperative, artigiani e piccole imprese che ora vedono svaniti i loro risparmi e le loro speranze di recuperare i crediti che vantano nei confronti di Unieco;
   il sistema di gestione delle cooperative, per anni sventolato come pilastro dell'economia di Reggio Emilia e dintorni è drammaticamente saltato;
   il territorio ed i lavoratori ne escono distrutti –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati circa le cause della crisi a giudizio dell'interrogante imputabili alle amministrazioni recenti e passate che hanno sconsideratamente portato al tracollo del colosso edilizio Unieco;
   di quali elementi dispongano circa la situazione della cooperativa, con particolare riguardo all’iter che ha visto il consiglio di amministrazione di Unieco muoversi prima nella direzione del concordato preventivo con le banche e poi rinunciarvi una volta che questo aveva ottenuto l'autorizzazione dal tribunale di Reggio Emilia, decisione che condurrà verosimilmente alla liquidazione coatta della cooperativa;
   se i Ministri interrogati intendano adottare il prima possibile iniziative, volte ad individuare soluzioni di ricollocamento e/o riassunzione delle centinaia di disoccupati che il sistema di gestione cooperativo ha creato. (4-16429)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMODDIO e BINI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – per sapere – premesso che:
   all'indomani degli ultimi eventi in cui, ancora una volta, si è registrata una cattiva qualità dell'aria nei comuni di Siracusa, Augusta, Priolo e Melilli, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) di Siracusa ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – in una nota che accompagna il rapporto annuale 2015 sulla qualità dell'aria – di aggiornare la normativa sugli inquinanti. In particolare, per alcuni composti di chiara origine industriale che non rientrando, ad oggi, nelle tabelle ministeriali, si rende di fatto impossibile valutarne l'impatto: gli idrocarburi non metallici, per esempio, non risultano inseriti nella disciplina di cui al decreto legislativo n. 155 del 2010;
   i dati forniti dalle centraline di rilevamento rappresentano la principale e la più attendibile fonte di informazione per la valutazione dell'inquinamento atmosferico in un'area ad alto rischio come quella del sito di interesse nazionale di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta;
   nel citato rapporto dell'Arpa Siracusa si dà evidenza degli inquinanti di chiara origine industriale per i quali la norma non prevede valori limite come gli idrocarburi non metanici e l'idrogeno solforato. Queste sostanze, per le quali non è possibile esprimere giudizi di qualità vista l'assenza di valori di riferimento, sono frequentemente presenti sul territorio e spesso in concentrazioni superiori a quelle riportate dalla letteratura scientifica. L'Arpa rileva che sia concentrazioni orarie nel comprensorio siracusano sia concentrazioni orarie di idrocarburi non metanici superiori a 200 mic/m3 sono solitamente causa di intensi disturbi olfattivi tra la popolazione. Si precisa che tali episodi si verificano in fasce orarie e in siti che escludono il traffico veicolare;
   tutto ciò è riportato nel rapporto qualità dell'aria: infatti, un incremento della percentuale di concentrazione orarie degli idrocarburi non metanici sul 70 per cento dei siti monitorati mette in evidenza la forte presenza di altri inquinanti, quali i composti solforati. Vengono, in particolare, riscontrate percentuali di superamento della soglia olfattiva e, specificamente: il metilmercaptano con il 63 per cento, il tiofene con il 42 per cento, il propilmercaptano con il 74 per cento e il disolfurodipropilene con il 52 per cento;
   la nota dell'Arpa evidenzia: «ad ulteriore supporto, vi sono i dati del 2016 fino al recente periodo di ottobre. Sono evidenti concentrazioni orarie ben superiori alla soglia dei 200 microgrammi per metro cubo che hanno procurato situazioni di malessere alla popolazione raggiungendo talvolta livelli orari di alcuni migliaia di microgrammi per metro cubo: questi dati allarmanti, ma annunciati, contribuiscono a fare del Sin di Priolo una delle zone maggiormente inquinate d'Italia»;
   all'inquinamento atmosferico va infatti sommato quello del suolo, con la presenza di metalli pesanti (arsenico, cromo, mercurio con concentrazioni anche di oltre 1.000 volte il valore limite, zinco, rame, e altro): idrocarburi, benzene, IPA, diossine, tutti con concentrazioni molto al di sopra dei valori limite. L'inquinamento nella falda è caratterizzato dalla presenza di metalli pesanti: mercurio con concentrazioni anche di oltre 50 volte il valore limite, cromo, piombo, antimonio, selenio, nitriti, zinco, e altro; alifatici clorurati cancerogeni, cloro e benzeni;
   i cittadini del Sin di Priolo attendono da quasi vent'anni interventi di bonifica e di riqualificazione ambientale e, da anni, è ormai accresciuta la sensibilità della cittadinanza sul tema dei rischi sanitari e soprattutto sull'incidenza dell'inquinamento sulla salute della popolazione residente;
   l'Arpa chiede al Ministero di porre in essere ulteriori strumenti normativi per agevolare l'azione di controllo e di prevenzione e di disporre, in ambito autorizzatorio, specifiche azioni sostitutive a quelle prescrizioni i cui tempi di adeguamento non sono compatibili con le esigenze del territorio. Solo a titolo di esempio, nell'attesa che tutti i camini siano dotati di sistema Sme, che si installino gli analizzatori in continuo di idrogeno solforato nei post combustori degli impianti Claus e che venga effettuata la copertura delle vasche degli impianti di trattamento delle acque di scarico, si potrebbero prescrivere delle azioni integrative a quelle già previste nell'attuale piano di monitoraggio e controllo quali, ad esempio, un accesso diretto ai dati di processo, da parte degli organi di controllo, tramite i sistemi di automazione già presenti negli impianti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della nota dell'Arpa Siracusa e del rapporto annuale sulla qualità dell'aria;
   se il Ministro intenda porre in essere ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, che possano agevolare l'azione di controllo dell'Arpa;
   se il Ministro, nell'attesa di una modifica delle norme di cui al decreto legislativo n. 155 del 2010 finalizzata ad integrare le sostanze inquinanti, non ritenga di costituire un tavolo tecnico interistituzionale con la presenza dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e di altri soggetti interessati.
(4-15274)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche ambientali relative alla qualità dell'aria delle aree poste all'interno del S.I.N. di Priolo Gargallo, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali e dagli altri enti interessati, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che, per quanto concerne il rapporto dell'Arpa Siracusa, ad oggi, questo Ministero non dispone di alcuna nota da parte della stessa, né del rapporto annuale 2015 sulla qualità dell'aria nel territorio di Siracusa. Anche l'Istituto superiore di sanità ha fatto presente di non disporre di informazioni specifiche rispetto al documento Arpa Siracusa sulla qualità dell'aria e sugli episodi di superamento della soglia olfattiva nell'area di Priolo.
  Ad ogni modo, per quanto concerne l'assenza nella normativa di settore di valori di riferimento per alcuni contaminanti di interesse igienico sanitario, si segnala che è possibile in questi casi fare riferimento ai valori individuati da agenzie internazionali quali in particolare l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), oppure ai valori di riferimento già presenti nelle normative di altri Paesi europei. In particolare, le
Air Quality Guidelines 2000 dell'OMS riportano valori guida per i disturbi olfattivi di un set di contaminanti; altri documenti tecnici elaborati da gruppi di lavoro OMS (IPCS, CONCISE) riportano valutazioni sugli aspetti odorigeni di alcune sostanze. Si segnala, in aggiunta, che molte regioni hanno elaborato linee guida regionali sullo specifico problema.
  Relativamente alla richiesta di aggiornamento della normativa nazionale in materia di qualità dell'aria, mediante l'introduzione di valori limite per alcuni inquinanti di origine industriale critici per la zona in questione, si fa presente che il decreto legislativo n. 155 del 2010 recepisce le disposizioni contenute nella normativa comunitaria. In particolare, la direttiva 2008/50/CE e la direttiva 2004/107/CE, disciplinano i valori e gli obiettivi di qualità dell'aria da raggiungere o da perseguire per gli inquinanti biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, particolato PM10, particolato PM2.5, ozono, arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene.
  In proposito, la Commissione europea può riesaminare le disposizioni introdotte con le direttive comunitarie per taluni inquinanti tenendo conto degli sviluppi in campo scientifico e sanitario, delle esperienze maturate e delle criticità emerse dall'applicazione della normativa da parte degli Stati membri, anche al fine di vagliare la possibilità di introdurre disposizioni per nuovi inquinanti.
  Al momento, si ritiene, pertanto, opportuno proseguire ad approfondire le conoscenze scientifiche ed applicative, al fine di valutare l'eventuale previsione nella normativa nazionale di nuovi obiettivi di qualità dell'aria per inquinanti.
  Ad ogni modo, si fa presente comunque che la vigente normativa di cui alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che le autorità competenti, e in particolare le regioni o le province autonome, possono introdurre, in termini generali attraverso le normative regionali e in relazione a ciascuno stabilimento attraverso atti autorizzativi, specifiche prescrizioni, anche più severe, concernenti i limiti di emissione o le modalità di esercizio degli impianti finalizzati a ridurre i fenomeni di inquinamento atmosferico, o prescrizioni circa l'installazione di apposite stazioni di misurazione della qualità dell'aria ambiente.
  Per quanto riguarda, invece, gli aspetti relativi alle bonifiche del suolo, si fa presente che le conferenze di servizi tenutesi fino ad oggi hanno approvato Progetti di bonifica per oltre il 13 per cento della superficie totale del S.I.N. ed è tuttora in corso l'istruttoria per un ulteriore 5 per cento, mentre per l'8 per cento il procedimento è stato ritenuto concluso. Si sottolinea, inoltre, che sono in stato avanzato di realizzazione i procedimenti di bonifica relativi alle aree dismesse destinate alla reindustrializzazione.
  Con particolare riferimento all'area portuale, si fa presente inoltre che l'accordo di programma siglato il 25 giugno 2015 ha inserito negli interventi finanziabili, il progetto di bonifica dei sedimenti della rada di Augusta nel rispetto della sentenza del TAR Catania, che prevede la rimozione dei soli sedimenti classificati come pericolosi. Le aree a mare, in particolare i tratti tra la rada di Augusta e il porto di Siracusa e tra il porto grande e il porto piccolo di Siracusa, sono state già caratterizzate.
  Riguardo ai progetti eseguiti nel S.I.N. di Priolo, si rileva, tra l'altro, che si sono conclusi i progetti di bonifica dell'area del Nuovo Impianto di trattamento delle acque di falda, inaugurato nel 2011, e della centrale termoelettrica di Augusta dell'ENEL. Inoltre, la società Syndial sta completando il progetto di bonifica dei terreni a sud del Vallone della Neve, per una superficie di circa 185 ettari, aree da destinarsi alla reindustrializzazione.
  Si segnala, altresì, che è stata approvata la legge n. 132 del 2016 relativa alla istituzione del sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'ISPRA. Le funzioni di indirizzo e di coordinamento tecnico dell'ISPRA sono principalmente volte a rendere omogenee le attività del sistema nazionale nonché a disciplinare i «livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali» (LEPTA).
  Da ultimo, si fa presente che è istituito dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 155 del 2010, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un coordinamento tra i rappresentanti di tale Ministero, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Unione delle province italiane (UPI) e dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e le agenzie e gli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (ISPRA, ISS, ENEA, CNR). Nel contesto di tale Coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria anche in relazione agli strumenti di pianificazione. Tale coordinamento assicura inoltre un esame congiunto e l'elaborazione di indirizzi e linee guida in relazione ad aspetti di comune interesse inerenti la normativa in materia di emissioni in atmosfera. Al riguardo si segnala che è stata avviata l'istruttoria per l'aggiornamento dell'allegato I alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 che fissa i valori di emissione per le sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti, anche non disciplinate dal decreto legislativo n. 155 del 2010.
  Alla luce delle informazioni esposte, si fa presente che questo Ministero continuerà in ogni caso a monitorare costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, ed a tenersi informato, proseguendo la sua attività di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulle questioni di propria competenza.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un preoccupante episodio di violenza è occorso il 2 maggio 2016, tra i corridoi dell'I.I.S. «Patrizi – Baldelli – Cavallotti» di Città di Castello (Perugia), in cui un litigio tra cinque minorenni, stranieri e italiani, si è trasformato in rissa, causando gravi lesioni a un docente, con prognosi di venti giorni, e a uno dei minori coinvolti, con prognosi di trenta giorni. Gli studenti implicati nella vicenda hanno ricevuto una sospensione di quindici giorni dalle attività scolastiche;
   secondo quanto dichiarato dal dirigente scolastico in una lettera aperta pubblicata sul sito internet della scuola, l'origine del litigio non è da imputare a motivi razziali. Sarebbe stato invece un diverbio dai toni offensivi a scatenare le reazioni incontrollate degli studenti, conseguentemente ciò ha determinato il coinvolgimento dei professori intervenuti nel tentativo di sedare il contrasto. Ciononostante, non è mancata occasione ai rappresentanti regionali di Lega Nord per imputare l'accaduto alla politica locale, ritenendo controproducenti gli sforzi di integrazione dei rifugiati politici operato sul territorio umbro;
   orbene, è innegabile che per le caratteristiche dell'accaduto ci si debba soffermare a riflettere sul ruolo che le istituzioni sono chiamate a rivestire per frenare, a diversi livelli, possibili derive, anche violente, ma si crede che i docenti non possano sottrarsi al loro compito di educatori, accogliendo anche i minorenni in affido alle comunità locali e offrendo loro i servizi necessario per la crescita e la formazione individuale, servizi cui ogni individuo ha diritto;
   si ritiene che la strumentalizzazione politica e l'inasprimento delle conflittualità esistenti non giovi alla risoluzione delle problematiche da cui traggono origine episodi come quello citato, viceversa, occorrerebbero ulteriori misure di sostegno alle scuole che, con dedizione e responsabilità, assolvono alla propria missione di ispirare la crescita dei giovani adulti e formare le nuove generazioni, indipendentemente dalla nazionalità o dal loro stato politico –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative che intende adottare per sostenere il dirigente scolastico e gli insegnanti nella scuola in questione e, in generale, nelle scuole chiamate ad assolvere simili responsabilità quotidianamente. (4-13137)

  Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, l'ufficio scolastico regionale per l'Umbria ha fornito gli elementi informativi che di seguito si riportano.
  Il giorno 2 maggio 2016 presso l'istituto «Patrizi-Baldelli-Cavallotti» sede «Cavallotti» di Città di Castello (Perugia), durante il rientro in classe dopo la ricreazione, nell'aula della 2C e nel corridoio adiacente due alunni, di cui uno di nazionalità egiziana, si sono accapigliati per un motivo futile (una «battuta» offensiva ed una parola «sgarbata» all'origine dell'episodio) e alla zuffa che ne è seguita sono stati coinvolti altri tre alunni di nazionalità egiziana e poi l'intera classe 2C.
  Un docente, presente al fatto e prontamente intervenuto, ha riportato la lussazione del pollice ed un alunno ha subito una contusione leggera al volto. Entrambi si sono recati al pronto soccorso per accertamenti e sono stati dimessi dopo poche ore con prognosi di alcuni giorni.
  La Dirigente scolastica ha immediatamente richiesto l'intervento dei Carabinieri, i quali hanno verbalizzato l'accaduto, ma il comandante della stazione non ha ravvisato il reato di rissa e quindi non è stata sporta denuncia in tal senso.
  La scuola ha attivato le procedure disciplinari previste dal regolamento di istituto e adottato ogni intervento atto a ripristinare un clima sereno all'interno della scuola, condizione questa realizzatasi piuttosto rapidamente.
  A quanto sopra esposto va aggiunto che:
   il ragazzo di nazionalità egiziana che ha provocato la rissa è stato allontanato dalla comunità di accoglienza cittadina ed è ritornato alla struttura del comune di Roma da cui era stato trasferito a Città di Castello;
   2 ragazzi non sono rientrati a scuola dopo la sospensione;
   1 ragazzo ha ripreso il percorso scolastico ed ha effettuato lo stage di alternanza, con ottimi risultati, presso il bar della scuola che, si ricorda, è un Istituto per i servizi alberghieri;
   il docente che ha riportato la lussazione del pollice, dopo un periodo di congedo per motivi di salme, è rientrato in servizio.

  La scuola, sulla base dell'esperienza vissuta che, seppure risolta, ha lasciato segni, ha avvinto un percorso di riflessione interna e sta elaborando un protocollo di accoglienza che prevede l'attivazione di specifiche strategie didattiche, l'adozione di interventi formativi mirati, una maggiore flessibilità organizzativa e di utilizzazione del personale docente per favorire la migliore integrazione scolastica e sociale degli alunni stranieri.
  Il Ministero sta compiendo ogni sforzo affinché la scuola non venga lasciata sola in questo suo compito educativo e siano reperite adeguate risorse umane e materiali che contribuiscano a raggiungere l'obiettivo di reale, includibile, integrazione scolastica ma soprattutto sociale.
  In via generale, è utile sottolineare che il Ministero mostra costantemente estrema sensibilità verso le tematiche dell'accoglienza e dell'integrazione degli alunni stranieri all'interno delle istituzioni scolastiche italiane.
  In particolare, nel 2006, sono state emanate le «Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri» con l'obiettivo di presentare un insieme di orientamento condivisi sul piano culturale ed educativo e di dare suggerimenti di carattere organizzativo e didattico al fine di favorire l'integrazione nonché il successo formativo degli alunni stranieri.
  In data 19 febbraio 2014 nuove Linee guida hanno aggiornato le precedenti, al fine di riconsiderare la realtà del mondo dei migranti, in una società profondamente cambiata, nell'ottica di una via interculturale all'integrazione, offrendo alle scuole strumenti metodologici appropriati per una reale inserimento e per attivare politiche di peer education.
  Sempre in quest'ottica, con il decreto ministeriale n. 718 del 5 settembre 2014 è stato costituito l'osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e l'educazione interculturale, al fine di dare nuovo impulso alle politiche scolastiche dell'integrazione interculturale. Esso si propone, come principali obiettivi: il monitoraggio dei processi di integrazione: la formulazione di proposte e la diffusione delle migliori pratiche a riguardo.
  Il citato osservatorio ha redatto il documento «Diversi da chi», diramato con nota del Capo dipartimento per l'istruzione n. 5535 del 9 settembre 2015, che contiene raccomandazioni e proposte operative per una corretta e più efficace organizzazione delle modalità di accoglienza e integrazione.
  Noi oggi in Italia, dalla scuola dell'infanzia alle scuole superiori di secondo grado, abbiamo circa 815 mila studenti di cittadinanza non italiana (9 per cento), principalmente provenienti da Romania, Albania e Marocco, il 52 per cento di loro e nato in Italia, mentre meno del 5 per cento, è di recente immigrazione. Sono poco più di 2800 le scuole (punti di erogazione/plessi) con almeno il 30 per cento di alunni stranieri, di cui 510 quelle che superano il 50 per cento.
  È chiaro che l'azione prioritaria deve essere rivolta all'introduzione e allo sviluppo delle competenze linguistiche. Chi arriva in Italia deve essere messo nelle condizioni di comunicare.
  Ne «La Buona Scuola» abbiamo inserito fra le priorità dell'offerta formativa proprio il perfezionamento dell'italiano come lingua seconda perché la lingua è un passaporto di integrazione e aiuta ad alimentare la buona favella, piuttosto che l’hate speech.
  Abbiamo istituito una nuova classe di concorso (la A023) ad hoc per la scuola secondaria di I e II grado, con 506 posti a bando per insegnanti che accompagnino i ragazzi in questo percorso di inserimento a scuola, la cornice ideale per diventare cittadini sostanziali.
  All'inizio dell'anno scolastico, abbiamo investito su questo 1 milione di euro anche per progetti di accoglienza e di sostegno linguistico e psicologico dedicati a minori stranieri non accompagnati. Un fenomeno nuovo e in crescita che coinvolge minori fra i 14 e i 17 anni, esposti a contesti sociali drammatici e al rischio dispersione.
  Il piano pluriennale di formazione per dirigenti e insegnanti di scuole ad alta incidenza di alunni stranieri va in questa direzione. È un piano ambizioso, da qui fino al 2020, con uno stanziamento di 4 milioni di euro e l'obiettivo di formare 1.000 dirigenti scolastici. 10.000 docenti e 2.000 unità di personale ATA.
  Tutto il personale della scuola con un approccio di squadra è coinvolto in questa missione. E noi vogliamo investire su questo capitale umano, sulla qualità delle persone.
  Pensiamo a corsi di specializzazione in italiano I.2 rivolti ad almeno 1200 docenti e a 30 master per la gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali, cui potranno accedere 1.000 dirigenti scolastici e 2.000 docenti.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   ASCANI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 e successive modificazioni e integrazioni attualmente disciplina lo svolgimento della prova concorsuale per l'accesso alla scuola di specializzazione in medicina e chirurgia. Purtroppo, nell'ultimo triennio in cui è stato sperimentato il concorso nazionale, sono state evidenziate numerose criticità che di seguito si elencano e che sono supportate da un'attenta elaborazione dei dati reperibili dalle fonti ministeriali. In primo luogo è stato evidenziato il mutamento del contenuto della prova di «parte comune», la quale è determinante per l'esito della prova medesima, poiché contribuisce per il 70 per cento al punteggio totale ottenibile (curriculum escluso). In particolare, è stata notata una progressiva riduzione della rappresentatività delle materie (che da un numero di 26 nel 2014 sono passate ad un numero di 16 nel 2016), con la conseguenza che non è stato possibile abbracciare in maniera completa, rappresentativa e proporzionale le tante materie che compongono quest'area. Inoltre, il progressivo trend di crescita di domande pre-cliniche nell'ambito della «parte comune» in commento, ha comportato un orientamento della selezione verso argomenti assai lontani dall'attività pratica clinica dello stesso medico aspirante specializzando. Guardando ad altri aspetti, si segnala poi come la mancanza di una bibliografia di riferimento aggravi, senza ragione, la fase di preparazione del candidato e ciò, molto banalmente, per il fatto che spesso la risposta esatta ad un determinato quesito varia al variare della bibliografia citata. Inoltre, si ritiene che l'organizzazione nelle strutture adibite allo svolgimento della prova non sia adeguato ai numeri dei concorsisti e che l'elevato numero delle sedi concorsuali (mediamente 12,2 sedi per ogni facoltà di medicina e chirurgia), reca in sé un'inevitabile sperequazione tra i diversi candidati ai quali, in quanto partecipanti ad un concorso nazionale, dovrebbe essere invece assicurata una maggiore omogeneità dei criteri di svolgimento della prova. A ciò si aggiunge l'eccessiva lunghezza dell'intervallo di tempo tra la data dello svolgimento della prova concorsuale, il suo rilascio e la pubblicazione delle graduatorie, che non permette al candidato di svolgere un'analisi critica e autonoma sulla prova svolta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità elencate e quali iniziative di competenza intenda assumere per porvi rimedio, anche per fare in modo che ci sia una maggiore rispondenza tra l'offerta dei posti a disposizione e le aspirazioni degli specializzandi. (4-14963)

  Risposta. — In merito alle criticità segnalate con l'interrogazione in esame riguardo alla procedura selettiva per l'accesso alle scuole di specializzazione di area sanitaria, si specifica quanto segue.
  Per quanto concerne l'asserito mutamento del contenuto della prova di parte comune, si ricorda che tutto il contenuto della prova d'esame, inclusa la parte comune, è per lo più influenzato e connesso ai lavori, non direttamente gestiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della Commissione nazionale di cui all'articolo 4 del decreto ministeriale n. 48 del 2015, che valida i quesiti da somministrare, e dei soggetti con comprovata competenza in materia ai quali il Ministero affida, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del medesimo decreto, la predisposizione dei quesiti. Come è noto, tali soggetti vengono individuati nel rispetto dei princìpi di imparzialità, trasparenza e riservatezza e sono tenuti al più rigoroso rispetto del segreto professionale e d'ufficio.
  Si precisa, inoltre, che per la prima parte della prova comune a tutte le tipologie di scuola, l'articolo 6, comma 2, dell'ultimo bando di concorso (decreto ministeriale 20 maggio 2016. n. 313, come modificato dal successivo decreto ministeriale 23 maggio 2016, n. 319) prescrive che «i 70 quesiti sono riferiti ad argomenti caratterizzanti il corso di laurea in medicina e chirurgia ed inerenti la formazione clinica del percorso di studi».
  È, quindi, di tutta evidenza che il riferimento effettuato dai bandi di concorso è da correlare sia al percorso caratterizzante l'intero corso di laurea in quanto tale, sia ad argomenti specificamente inerenti la formazione clinica dello stesso. Le 70 domande in argomento fanno parte, appunto, della prima parte della prova, quella comune a tutte le aree. La definizione di ambito «clinico» o «preclinico» di un quesito non discende assolutamente dall'eventuale individuazione del Ssd in cui in linea astratta esso si colloca tra Bio o Med, bensì discende dall'applicazione clinica che si effettua di un eventuale concetto scientifico «preclinico», quando lo si applica a fattispecie concrete.
  In sintesi, l'asserita mancata inerenza alla formazione clinica del percorso di studi di alcuni quesiti, se pur astrattamente riscontrabile in taluni casi, risulta legittima e conforme alle prescrizioni della lex specialis non determinando la mancata conformità a bando dei quesiti stessi, poiché appunto le domande della prima parte comune della prova non devono necessariamente inerire tutte alla formazione clinica del percorso di studi.
  Per quanto riguarda la bibliografia di riferimento, si evidenzia che il Ministero è tenuto, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento di cui al citato decreto ministeriale n. 48 del 2015, ad indicare nel bando di concorso soltanto i temi di studio sui quali sono predisposti i quesiti. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sempre ottemperato a detta prescrizione indicando i temi all'interno di ciascun bando. Tra l'altro, i tempi tecnici necessari ad organizzare la prova concorsuale consentono di avere a disposizione i quesiti definitivi da somministrare soltanto dopo l'emanazione del bando di concorso.
  In tema di organizzazione delle strutture adibite allo svolgimento della prova, si rappresenta che è intenzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca operare, in stretto contatto con gli atenei, per cercare di migliorare in concreto le modalità di espletamento del concorso nelle diverse sedi in cui gli aspiranti specializzandi svolgono le prove e in cui hanno riscontrato condizioni di tolleranza diverse, cercando altresì di rivedere, ove possibile, fin dall'emanazione del prossimo bando l'impianto complessivo delle procedure selettive per superare le criticità oggettive da loro rilevate.
  Venendo, infine, all'eccessiva lunghezza dell'intervallo di tempo tra la data di svolgimento della prova concorsuale, il suo rilascio e la pubblicazione delle graduatorie, si evidenzia che vi sono tempi tecnici necessari affinché il Cineca sia in grado di stilare 50 graduatorie nazionali riferite ad altrettante tipologie di scuola, che coinvolgono ogni anno circa 14 mila candidati che concorrono per più di 6.000 posti e che hanno optato per un massimo di sei sedi ciascuno, con un conseguente incastro di posizioni e di status conseguiti.
  Ciò nonostante, nell'ultima procedura concorsuale, riferita all'anno accademico 2015/2016, sono decorsi soltanto 20 giorni (di cui 14 lavorativi) tra la data di svolgimento dell'ultima prova (22 luglio 2016) e quella di pubblicazione delle graduatorie (11 agosto 2016).
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la discarica sita in località Maccarone Sant'Elia nel comune di Corato è stata attiva dal 1975 al 1982. Dalla relazione che risale all'ottobre 2011, a firma dell'ingegnere Giandolfo Di Bari, dal 2001 al 2012 dirigente del settore ecologia e ambiente al comune di Corato e riportata nell'inchiesta giornalistica pubblicata questo mese dai mensile coratino «Lo stradone», emerge un quadro a tinte fosche e allarmante. «La discarica – si legge nel documento – nel 1975 è stata allestita e coltivata seguendo i criteri espressi dalle normative dell'epoca. In particolare tali norme prevedevano il semplice deposito del rifiuto sul suolo a cielo aperto e la loro successiva ricopertura con materiale inerte. È possibile perciò ipotizzare che il contatto diretto dal corpo dei rifiuti con il fondo e le pareti della cava possa aver determinato l'innescarsi di fenomeni di diffusione del percolato all'interno dei primi strati del sottosuolo. (...) Sulla base del fatto che la discarica in questione non è dotata di nessuno dei presidi di antinquinamento previsti dalle vigenti normative, ne deriva che il Comune di Corato ha l'obbligo, in qualità di responsabile dell'inquinamento, di avviare le necessarie procedure (...) che consistono nella esecuzione delle indagini preliminari-caratterizzazione e nella esecuzione di messa in sicurezza permanente»;
   quella di contrada Maccarone-Sant'Elia è una discarica anomala sotto diversi punti di vista. Essa è situata ad appena 500 metri dalla prima zona abitata e si trova a pochi passi da insediamenti industriali, ma anche da civili abitazioni. Ha una estensione di 10.000 metri quadrati e, tuttora, non è delimitata da alcuna recinzione. Al passaggio non si direbbe nemmeno che l'area in questione sia una discarica dismessa da ben 34 anni. Ottantamila metri cubi di spazzatura di ogni tipo, accumulati in 7 anni di attività, riempiono quella enorme cava. Una cifra approssimativa giacché come recita la relazione dell'ingegnere Di Bari «non si hanno al momento dati attendibili se non che lo smaltimento dei rifiuti avveniva per deposito a cielo aperto senza alcun controllo e che il sito non è provvisto sul fondo di alcun sistema di impermeabilizzazione»;
   nonostante di questa discarica nessuno abbia mai parlato, la sua anomalia era ben nota agli uffici comunali e ai pubblici amministratori che si sono susseguiti almeno dal periodo che va dal 2011 al 2015. Per comprendere il grado di pericolosità della discarica è opportuno fare un passo indietro, al 4 aprile 1975 quando l'allora sindaco Quatela, su istanza del presidente dell'allora AMNU (azienda municipale nettezza urbana), nonostante il parere negativo dell'ufficiale sanitario, autorizzò l'azienda all'uso della cava come discarica. La cava rimase attiva sino al 28 gennaio 1982, ossia fino a quando raggiunse il massimo della capacità e al contempo fu definita dall'Ufficio Igiene e Sanità «pericolosa per la salute pubblica e dannosa per l'ambiente». La pericolosità della discarica di Maccarone, dunque, era già stata accertata 34 anni fa. Nulla di ciò che si sarebbe dovuto fare è stato fatto: nessuna impermeabilizzazione del fondo, nemmeno con argilla costipata e neanche con teli di polietilene; nessun sistema di captazione del biogas dopo la chiusura della discarica e nessuna sistemazione finale mediante copertura con materiale impermeabilizzante. Ovviamente nessun piano di recupero e sistemazione dell'area;
   se non esistesse il decreto legislativo n. 152 del 2006, ossia quel decreto in materia ambientale che prevede la bonifica dei siti contaminati, il nostro grado di conoscenza rispetto allo stato della ex discarica di Maccarone, sarebbe probabilmente molto basso. In anni recenti sono stati finanziati, per un importo di 300.000 euro il progetto di caratterizzazione della discarica (110.000 euro con fondi FESR) e il progetto di bonifica (190.000 euro). Il 24 luglio del 2012 si dava avvio alla installazione del cantiere, all'esecuzione delle perforazioni e ai prelievi dei campioni. Un mese di lavoro nel corso del quale ci sono stati anche sopralluoghi da parte dell'Arpa Puglia per concordare con l'azienda il numero di saggi da eseguire;
   il verdetto delle analisi è inquietante: «I valori riscontrati confermano che la presenza dei contaminanti è costituita soprattutto da metalli e idrocarburi pesanti. In particolare, nello strato più superficiale (da 0 a 1 metro rispetto al piano campagna) sono stati ritrovati superamenti per i limiti normativi del Berillio, Stagno, Cadmio, Tallio, Zinco e Idrocarburi pesanti» (ndr limiti riferiti ai siti ad uso privato e residenziale). L'unico superamento di Concentrazione Soglia di, Contaminazione per i siti ad uso commerciale e industriale si è riscontrato per il Cadmio. (...) Si evidenzia comunque una elevata concentrazione dello Zinco, che raggiunge valori vicini ai superamenti dei limiti di legge per siti ad uso industriale» (si legge a pag. 13 della relazione di sintesi di indagine di caratterizzazione). Da non trascurare un altro importante aspetto: dall'analisi della presenza di contaminazione del sito emerge che «la tipologia di contaminanti riscontrata fa supporre che il rifiuto stoccato nel sito non rappresenta propriamente un rifiuto solido urbano ma piuttosto un misto di raccolta indifferenziata». In altri termini: in quella discarica può esserci di tutto, forse anche rifiuti speciali o pericolosi. Il dato è chiaro: la discarica di contrada Maccarone è inquinata. E lo è ancora dopo 34 anni dalla sua dismissione. Ed è inquinata da metalli pesanti, ossia quelle sostanze definite, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, cancerogene. Inoltre, come previsto dal piano di caratterizzazione, furono anche prelevati campioni di acqua dai pozzi a monte e a valle della ex discarica, dalle cui analisi emerse «un superamento rispetto ai limiti normativi per quanto attiene il parametro zinco per il pozzo ubicato a monte idrogeologico rispetto all'aree, in esame e dei nitriti per i due pozzi ubicati a valle idrogeologico.» E ancora, nella relazione si legge: «non si può escludere che le caratteristiche chimiche della matrice acqua non siano state alterate dal fenomeno inquinamento imputabile al sito in esame»;
   quello che fu scritto dall'ufficio igiene nel 1982 trova conferma 30 anni dopo: «i risultati dell'applicazione dell'analisi di rischio hanno evidenziato la presenza di rischio per l'uomo dovuto a sostanze cancerogene a causa della presenza di Arsenico e Berillio per quel che concerne il percorso diretto contatto dermico del suolo superficiale». I tecnici, al termine della relazione di caratterizzazione, si spingevano, inoltre a suggerire interventi da svolgere nell'immediatezza: «almeno una recinzione che isolasse il sito contaminato per poi procedere all'intervento di bonifica o messa in sicurezza permanente del sito, magari attraverso la realizzazione di un «capping», una copertura superficiale con la finalità da un lato di ridurre le emissioni in atmosfera, dall'altro di limitare le infiltrazioni di acque meteoriche che possono dilavare i rifiuti, nonché consentire il contenimento della diffusione degli inquinanti impedendone il contatto con l'uomo e con i ricettori ambientali circostanti». Ancora oggi nulla di quanto suggerito dall'azienda che si è occupata delle analisi è stato fatto. Con l'agghiacciante certezza, da parte dei cittadini, di aver convissuto per oltre trent'anni con una immensa discarica contaminata da metalli pesanti. L'esigenza di mettere in sicurezza l'area, definita dalla regione Puglia ma anche dallo stesso comune di Corato come «sito inquinato», si è Palesata immediatamente dopo l'ufficializzazione delle analisi;
   la discarica in questione può essere definita come una silenziosa ma comunque attiva bomba ecologica e sanitaria in quanto si apprende, da oncologi interpellati da una testata giornalistica locale « Lostradone» (promotrice di un'inchiesta pubblicata sul numero di giugno 2016), che «sovraesposizione ai metalli pesanti può essere potenzialmente in grado di determinare anche il cancro. Tuttavia non è da trascurare la capacità di determinare anche altre malattie neurodegenerative, come ad esempio la SLA» –:
   se il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare intenda intervenire attraverso il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente per appurare quanto esposto in premessa circa la tossicità e pericolosità della discarica di Maccarone; se il Ministro della salute intenda avviare, per quanto di competenza un'indagine epidemiologica al fine di valutare se vi sia una correlazione tra l'inquinamento provocato dalla discarica e l'incidenza tumorale o le malattie neurodegenerative negli abitanti di Corato residenti nell'area interessata. (4-13634)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dagli enti e autorità territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  La discarica sita in località Maccarone – Sant'Elia nel comune, di Corato (Bari) è stata attiva dal 1975 al 1982, all'epoca realizzata in assenza di specifica normativa ambientale. Il comune di Corato ha avviato nel 2010 le procedure operative e amministrative
ex articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa alla discarica in questione con la presentazione del piano di caratterizzazione. Quest'ultimo è stato oggetto di valutazione nella conferenza di servizi istruttoria del 26 luglio 2011 e in quella decisoria del 29 agosto 2011. Tale piano di caratterizzazione è stato autorizzato con prescrizioni in data 8 settembre 2011 dal servizio (oggi sezione) ciclo dei rifiuti e bonifica della regione Puglia.
  In seguito all'esecuzione delle attività di caratterizzazione, mediante indagini indirette e dirette sui rifiuti e sulle matrici ambientali (suolo superficiale, suolo profondo e acque sotterranee), il comune di Corato ha trasmesso gli esiti della caratterizzazione e il documento di analisi di rischio sito specifico, da cui risulta che:
   in relazione alla matrice suolo, le indagini geognostiche hanno evidenziato potenziale contaminazione per il suolo superficiale (0 e 1 m da p.c.) per gli analiti Berillio, Stagno, Cadmio, Tallio, Zinco e idrocarburi pesanti, mentre per il suolo profondo, nello strato tra 2 e 8 m da p.c., superamenti dei limiti normativi per gli analiti Arsenico, Berillio, Vanadio e Idrocarburi pesanti;
   non è stata rinvenuta presenza di falda sospesa superficiale;
   le indagini sulle acque sotterranee, attraverso il campionamento da pozzi collocati a monte e a valle idrogeologico della ex discarica, hanno evidenziato superamenti per gli analiti Zinco, nel pozzo di monte idrogeologico, e Nitriti, nei pozzi di valle idrogeologica;
   l'analisi di rischio sito specifica è stata elaborata sulla base del modello concettuale sito specifico che ha considerato quali sorgenti secondarie di contaminazione il suolo superficiale, il suolo profondo e le acque sotterranee e come contaminanti indice, tutti gli analiti con superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione. L'elaborazione con metodo RBCA ha evidenziato l'accettabilità del rischio per i bersagli residente (adulto e bambino) e lavoratore per tutti i percorsi e gli analiti considerati, ad eccezione del rischio sanitario da Arsenico e Berillio per il percorso diretto contatto dermico, che risultato non accettabile.

  Il comune di Corato, in considerazione del quadro ambientale emerso a seguito delle indagini di caratterizzazione, ha prospettato che le concentrazioni di Berillio possono considerarsi come valori caratteristici dell'area e non correlabili al sito. Pertanto al fine di valutare detta ipotesi, gli enti competenti hanno richiesto l'esecuzione di ulteriori indagini nel suolo superficiale esterno al sito della ex discarica comunale al fine di indagare l'eventuale presenza di Berillio e Cadmio in concentrazioni superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione fissate dalla normativa per aree residenziali e/o verde pubblico/privato. Sulla base dei risultati di tali indagini integrative, che hanno evidenziato valori superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione dell'analita Berillio nella matrice suolo superficiale in punti a distanza tale da scongiurare interferenze con l'attività di discarica, gli enti competenti hanno concordato con l'ipotesi presentata dall'amministrazione comunale di non correlazione con il sito di tali superamenti e hanno chiesto al comune di attivarsi con la ASL al fine di individuare attività potenzialmente correlabili con la presenza di berillio nel suolo delle aree indagate.
  Il servizio ciclo dei rifiuti e bonifica della regione Puglia, a seguito dell'acquisizione dei pareri degli enti competenti in conferenza di servizi del 30 gennaio 2014, ha approvato gli esiti della caratterizzazione ambientale e l'analisi di rischio sito specifica con determinazione dirigenziale – regione Puglia n. 27 del 25 febbraio 2014, dichiarando il sito contaminato.
  Allo stato attuale la regione Puglia, per la successiva valutazione e approvazione in conferenza di servizi, è in attesa di ricevere da parte del comune di Corato il progetto di messa in sicurezza permanente della discarica, progetto per il quale il comune di Corato ha già inoltrato, il 10 febbraio 2015, una richiesta di finanziamento presso l'assessorato «Qualità dell'Ambiente Servizio Ciclo Rifiuti e Bonifica» della regione Puglia, per 1.000.000,00 euro per procedere alla messa in «Sicurezza Permanente» del sito in questione.
  Nelle more di reperire risorse finanziare per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza permanente, il comune di Corato ha informato questo Ministero che il giorno 26 settembre 2016 ha proceduto alla realizzazione della recinzione del sito in questione.
  Infine, sulla base di quanto pervenuto dal comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente – nucleo operativo ecologico di Bari, si rappresenta che da accertamenti esperiti nei giorni 21 e 22 settembre 2016 presso il servizio ambiente sia della regione Puglia che del comune di Corato (nonché sullo stesso sito, rilevato privo di recinzione), emergeva che effettivamente è stato recentemente finanziato il progetto di caratterizzazione con fondi FESR ed il progetto di bonifica della discarica, all'epoca realizzata in assenza di specifica normativa ambientale.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 21 (prot. 2414) del 23 febbraio 2009, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto per l'anno scolastico 2008/2009 un concorso per titoli per l'accesso ai ruoli provinciali, relativi ai profili professionali dell'area A e B del personale ATA statale degli istituti e delle scuole di istruzione primaria, secondaria, degli istituti d'arte, dei licei artistici, delle istituzioni educative e delle scuole speciali statali;
   in detta ordinanza, per il profilo professionale dell'Area B di infermiere della categoria «Ausiliari, tecnici e amministrativi (Ata)» è stato previsto, come requisito di accesso la «laurea in scienze infermieristiche o altro titolo ritenuto valido dalla vigente normativa per l'esercizio della professione di infermiere»;
   il dirigente titolare dell'Ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia, con decreto n. 2691 del 21 marzo 2016 ha indetto il «concorso per soli titoli per l'accesso ai ruoli provinciali e per l'aggiornamento delle graduatorie provinciali permanenti relativamente all'anno scolastico 2016/2017, per il profilo professionale di INFERMIERE (area B) nella provincia di UDINE», nel quale è prevista la «laurea in scienze infermieristiche o altro titolo ritenuto valido dalla vigente normativa per l'esercizio della professione di infermiere quale requisito per la partecipazione al concorso in perfetta aderenza all'ordinanza ministeriale n. 21/2009»;
   l'infermiere dell'Area B del personale Ata fornisce l'assistenza infermieristica negli educandati e/o convitti ai soggetti che hanno un'età compresa tra un anno e 18 anni e, nel caso di ripetenti, sino a 20 anni (per questi ultimi numero esiguo variabile ed incerto);
   il dirigente reggente dell'ufficio VI° – Ambito territoriale per la provincia di Udine, avrebbe escluso una concorrente dal concorso in possesso della laurea in infermieristica pediatrica, con l'apodittica motivazione che: «l'attività dell'infermiere pediatrico è circoscritta all'assistenza infermieristica nei confronti di soggetti di età inferiore a 18 anni, mentre l'infermiere può prestare la propria assistenza nei confronti di tutta la popolazione senza limiti di età»;
   la laurea in scienze infermieristiche comprende indistintamente i due profili di infermiere di cure generali e di infermiere pediatrico che in forza della classe L/SNT1 prevede attività formative di base comuni per i due profili;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 420 del 1974 «gli infermieri dei convitti e degli educandati provvedono semplicemente alla conservazione del materiale di pronto soccorso e dei medicinali di uso comune, praticano le terapie di carattere generale prescritte dal medico»;
   bisogna evidenziare però che, mentre l'infermiere di cure generali assiste i soggetti maggiorenni, è altrettanto vero che non può assistere i soggetti in età inferiore ai 18 anni, per cui il titolo di infermiere di cure generali non permetterebbe di assistere i soggetti che non abbiano raggiunto la maggiore età, dovendosi, in questo caso, possedere una laurea infermieristica più master in infermieristica pediatrica ovvero la laurea in infermieristica pediatrica (in base a quanto previsto dalla legge n. 43 del 2006);
   pertanto, risulterebbe irrazionale per l'interrogante l'interpretazione dell'amministrazione scolastica, secondo la quale, un laureato in infermieristica pediatrica non potrebbe assistere i convittori, pochi e variabili nel numero, di età superiore ai 18 anni, mentre un semplice infermiere di cure generali potrebbe assistere i convittori minori di 18 anni –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere allo scopo di porre fine a tale discriminante interpretazione ad evidente danno degli infermieri pediatrici, pesantemente danneggiati da letture della legge basate su motivazioni che appaiono all'interrogante del tutto prive di buon senso, oltre che a dir poco di dubbia legittimità. (4-14484)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si ricorda che i titoli di accesso ai profili del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola sono disciplinati dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola sottoscritto il 29 novembre 2007 e dall'ordinanza ministeriale n. 21 del 2009, Gli atti citati prevedono come titolo di accesso per il profilo di infermiere la laurea in scienze infermieristiche o titoli validi per l'esercizio della professione di infermiere.
  In riferimento a ciò, va precisato che il diploma di laurea in infermeria pediatrica prevede un percorso diverso dalla laurea in scienze infermieristiche, con albi professionali distinti ed un percorso formativo a se stante. Inoltre, le due figure dell'infermiere (precedentemente denominato infermiere professionale) e dell'infermiere pediatrico sono disciplinate da altrettanti decreti dell'allora Ministro della sanità, rispettivamente il n. 739 del 1994 e il n. 70 del 1997, emanati in applicazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992.
  Dal raffronto dei due decreti si evince come l'attività di infermiere pediatrico sia circoscritta all'assistenza infermieristica nei confronti dei soggetti di età inferiore a 18 anni, mentre l'infermiere può prestare la propria assistenza nei confronti di tutta la popolazione senza limiti di età.
  In tal senso si sono espressi, con diversi pareri, anche i collegi provinciali degli infermieri professionali, vigilatrici d'infanzia e assistenti sanitarie (IPASVI), presso le cui sedi sono gestiti i relativi albi professionali.
  La non equiparazione tra i due corsi di studio risulta anche dal confronto dei piani di studio dei rispettivi corsi di laurea, i quali non solo presentano materie differenti e tirocini differenziati a seconda dello specifico profilo considerato, ma hanno anche contenuto diverso pur se talvolta e identica la denominazione del corso stesso.
  Ciò posto, l'ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia ha comunicato che sono stati sostenuti due procedimenti contenziosi relativi alle graduatorie compilate dall'ambito territoriale di Udine (unica provincia sede di convitti presso cui viene assegnato il personale ATA del profilo «infermiere»).
  Per uno di essi il giudice del lavoro di Udine, pronunciandosi in sede di ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile con decreto del 30 novembre 2015 ha respinto il gravame condividendo la tesi dell'Amministrazione, per le seguenti motivazioni:
   il diploma universitario di infermiere pediatrico non può ritenersi, ai sensi dell'ordinanza ministeriale n. 21 del 2009. equipollente alla laurea in scienze infermieristiche;
   differenti sono gli albi professionali dei due profili;
   i convitti sono frequentati anche da studenti maggiorenni i quali resterebbero privi di assistenza qualora fosse in servizio un infermiere pediatrico.

  Il secondo ricorso è stato presentato, invece, al TAR del Friuli Venezia Giulia, il quale ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione con sentenza pubblicata in data 22 settembre 2016.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   rimane ancora vivo il ricordo del tragico incidente ferroviario avvenuto nel luglio 2016 nel territorio di Andria, in località Boccareto, ai confini con Corato;
   per il corretto recepimento della direttiva 2012/34/UE, che istituisce uno spazio unico ferroviario europeo, per esigenze di chiarezza del quadro normativo, appare indifferibile l'assunzione di iniziative per rivedere integralmente le disposizioni del decreto legislativo n. 188 del 2003, al fine di uniformarle a quanto previsto dalla direttiva, procedendo alla emanazione di un nuovo provvedimento che sostituisca ed abroghi le disposizioni del suddetto decreto legislativo;
   la direttiva andrà applicata a tutte le ferrovie interconnesse regionali, cioè a tutte quelle ferrovie che si connettono con la rete ferroviaria delle Ferrovie dello Stato;
   è estremamente importante la richiesta del passaggio, in materia di regolamentazione sulla sicurezza delle stesse, delle competenze dagli Ustif (Uffici speciali per il trasporto ad impianti fissi, facente capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) all'Ansf – Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria si obbligano tutti i gestori delle ferrovie interconnesse regionali, ad adottare il sistema di sicurezza SCMT, stesso sistema adottato su tutta la tratta nazionale italiana, come vuole la direttiva europea;
   tale passaggio è avvenuto dopo il disastro ferroviario del 12 luglio 2016, con l'obbligo per i gestori di portare il limite di velocità dei treni a 50 km/h, ove non esistano sistemi di sicurezza adeguati. Si ricorda che il 12 luglio 2016 nella strage in Puglia sono morte 23 persone, vi sono stati 50 feriti, per l'assenza di sistemi di sicurezza tali da correggere un errore umano;
   a tutt'oggi non è chiaro se la Ferrotramviaria Spa abbia i requisiti di sicurezza richiesti dall'Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria, e per l'interrogante andrebbe pertanto bloccato il traffico fino al termine dei lavori della messa in sicurezza del binario unico Corato-Barletta;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire, a norma dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 112 del 2015, che reca disposizioni in materia di validità della licenza, predisponendo verifiche e controlli, al fine di garantire appieno la sicurezza degli utenti che quotidianamente usano la linea ferroviaria Bari Barletta. (4-14907)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni assunte presso la direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi ed il trasporto pubblico locale e l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf).
  Va premesso che le funzioni ed i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono stati conferiti alle regioni in applicazione del disposto di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997, rimanendo esclusi i soli compiti riguardo la sicurezza ferroviaria.
  Riguardo questo ultimo aspetto, si evidenzia che dal 15 settembre 2016, con l'entrata in vigore del decreto per l’«individuazione delle reti ferroviarie rientranti nell'ambito di applicazione decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112 per le quali sono attribuite alle regioni le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione», firmato il 5 agosto 2016 da questo Ministero, sono state trasferite le competenze in materia di sicurezza ferroviaria all'Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie (Ansf), riguardo le ferrovie di cui all'elenco allegato al citato decreto, in cui è ricompresa anche la tratta richiamata dall'interrogante.
  L'Ansf informa, di aver disposto (nota n. 9956 del 2016 del 26 settembre 2016), che le aziende, rientranti nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 15 luglio 2015 n. 112, trasmettano il programma dei provvedimenti che devono attuare per soddisfare i requisiti e le misure adottate nell'immediato.
  A seguito di tale nota le reti ferroviarie hanno inviato le loro risposte ad Ansf che sta analizzando.
  L'Ansf precisa che le aziende possono attuare misure minime alternative a quelle dettate dalla stessa Ansf purché dimostrino che siano almeno altrettanto efficaci per la sicurezza della circolazione.
  La stessa Ansf è disponibile per qualsiasi chiarimento anche attraverso un tavolo di discussione che coinvolga tutti i soggetti interessati, tenendo altresì presente che la materia, in conformità al decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 «Attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51 /CE», è di propria esclusiva competenza e non può essere oggetto di concertazione.
  Infatti l'Ansf ha programmato con le aziende ferroviarie degli incontri bilaterali al fine di fornire nei tempi più rapidi possibili il supporto necessario alle aziende medesime per uniformarsi agli adempimenti tecnico-organizzativi e procedurali a cui le stesse sono obbligate dal contesto normativo delineata dal citato decreto legislativo n. 162 del 2007 e dalle correlate norme europee e nazionali e dagli atti emanati dalla stessa Ansf.
  Infine, relativamente ai passaggi a livello, l'Ansf è dell'avviso che la soluzione migliore sarebbe quella di sopprimerli, soluzione questa che, tuttavia, risulta essere onerosa e non sempre attuabile. Tenuto conto di ciò, tra i requisiti urgenti da rispettare, l'Ansf ha stabilito che i passaggi a livello devono essere muniti di dispositivi che, al passaggio del treno, inibiscano il transito lato strada (barriere, semi barriere, segnali luminosi e acustici e altro), mentre i passaggi a livello in consegna agli utenti devono essere attrezzati con dispositivi tecnologici di apertura a richiesta che garantiscano l'assenza di circolazione ferroviaria durante l'attraversamento dei passaggi a livello medesimi da parte degli utenti.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   BASILIO, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la riserva naturale Torbiere del Sebino costituisce una delle principali riserve naturali della regione Lombardia; e così definita in quanto ha avuto origine dall'attività di estrazione della torba ed è ubicata a sud della sponda del Lago d'Iseo, in provincia di Brescia;
   la riserva, dichiarata «zona umida di importanza internazionale» dalla Convenzione di Ramsar del 1971, presenta al suo interno varie specie protette di fauna e flora, oltre a reperti archeologici di valore ed è meta di itinerari turistici di tipo naturalistico;
   da notizie provenienti da organi di stampa nazionali, si evince che la riserva è da alcuni anni vittima di sversamento di rifiuti e sostanze nocive da parte degli imprenditori agricoli delle zone circostanti, che così facendo avrebbero reso il sito naturalistico una vera e propria «discarica», con gravi danni per l'ecosistema della riserva e per l'ambiente;
   in particolare, la sezione di Legambiente del basso Sebino ha denunciato nei giorni scorsi la presenza di una vistosa macchia bianca apparsa sulle acque del laghetto della riserva, probabilmente causata proprio dallo sversamento di rifiuti tossici;
   inoltre, secondo Legambiente, lo scarico abusivo dei rifiuti non subisce alcuna sanzione a causa dell'assenza di adeguati controlli da parte degli organi preposti, come l'Ente Torbiere, incaricato formalmente di valorizzare e tutelare il patrimonio naturale della riserva;
   tale situazione, che danneggia non solo la riserva ma anche i terreni preposti alla viticoltura ed alle altre produzioni della Franciacorta, rischia di compromettere un sito naturalistico di notevole livello per la provincia di Brescia e per la regione Lombardia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche promuovendo verifiche da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di intensificare i controlli antinquinamento della riserva naturale Torbiere del Sebino. (4-13031)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  La riserva naturale Torbiere del Sebino («Torbiere d'Iseo») è stata individuata con decreto ministeriale 11 giugno 1984 quale zona umida di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar e la designazione internazionale è del 5 dicembre 1984.
  Si fa presente, in via preliminare, che detta convenzione non prevede alcun esplicito divieto o stringente prescrizione da adottare nelle zone umide riconosciute ma, genericamente, raccomanda agli Stati aderenti di adottare la tutela degli habitat e delle specie presenti. Pertanto, non essendo previsti specifici divieti, né potendosi prevedere specifici obblighi relativamente alle attività presenti nell'area, sarà possibile, unicamente, sollecitare dette iniziative ai soggetti territorialmente interessati.
  L'area della riserva è interessata anche dalla presenza di un sito Natura 2000 che con decreto ministeriale 15 luglio 2016 è stato designato zona speciale di conservazione ZSC IT2070020 «Torbiere d'Iseo».
  Per detta ZSC sono in vigore le misure di conservazione di cui alla deliberazione della giunta regionale della Lombardia n. 4429 del 30 novembre 2015.
  Tra le misure già operative per il sito vi sono la «Tutela della qualità e della quantità delle acque di laghi e reticolo idrografico», la «Depurazione reflui di rifugi, malghe e nuclei abitati interni al SIC» la «Manutenzione, ripristino e creazione di aree umide», nonché diverse azioni di controllo e monitoraggio sugli habitat di interesse comunitario presenti.
  Si segnala, comunque, che, trattandosi di un'area protetta di competenza regionale, questo Ministero non esercita alcun potere di vigilanza diretta sulla stessa.
  Inoltre eventuali compromissioni della zona umida di importanza internazionale (Ramsar) e dei siti Natura 2000 ivi presente, potrebbero essere solo consequenziali allo svolgimento di attività in contrasto con il Testo unico dell'ambiente decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «La Pietà» di Sebastiano del Piombo, realizzata in collaborazione con Michelangelo e conservata presso il museo civico di Viterbo, è stata dichiarata in più occasioni intrasportabile, dai tecnici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in ragione della sua fragilità, del suo valore e del suo precario stato conservativo;
   nonostante tali reiterati pareri negativi, si apprende da un articolo del 19 dicembre 2016 della testata on-line «la fune» che: «La sovrintendenza aveva detto due volte no perché l'opera non era in condizioni di viaggiare, ma l'intervento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo cambia tutto. A comunicare il parere favorevole è l'onorevole Giuseppe Fioroni che spiega che oggi il Ministero della Cultura ha detto che La Pietà di Sebastiano Del Piombo potrà partire per Londra per essere esposta alla National Gallery»; quindi le perizie espresse dai funzionari della Sovrintendenza vengono invalidate;
   la decisione, oltre a sottoporre a seri rischi l'opera de La Pietà, comporta anche, secondo l'interrogante, un conseguente svilimento dei funzionari del suddetto Ministero specie agli occhi dell'opinione pubblica; coloro infatti che appaiono come pedanti esponenti del partito del «NO»; gufi o, nella migliore delle ipotesi, al pari di tecnici ostinati e cavillosi, sono in realtà professionisti che, ad avviso dell'interrogante, un Ministro, specie nel suo ruolo istituzionale, dovrebbe tutelare ed ascoltare –:
   se esistano studi di ricaduta economica e sociale per il territorio viterbese che il Ministero sta valutando nel prendere la decisione del trasporto;
   a quanto ammontino i costi del trasporto stesso e a carico di chi risultino tali spese;
   se vi siano relazioni tecniche che hanno annullato le precedenti disposizioni attuate dai funzionari della sovrintendenza e dell'Istituto centrale del restauro e, in tal caso, dove sia possibile consultarle;
   quando sia previsto il trasporto a Londra dell'opera La Pietà e quando il suo rientro presso il Museo civico di Viterbo;
   quali siano gli accorgimenti che sono stati previsti per il trasporto di questa delicata ed inestimabile opera dal punto di vista delle modalità con cui verrà trasportata;
   se siano previste polizze assicurative per coprire eventuali danni subiti durante le operazioni di trasporto e a quanto ammontino e a carico di chi saranno i costi delle suddette polizze. (4-15349)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riguardo al progetto di esposizione temporanea alla National Gallery di Londra de «La Pietà» di Sebastiano del Piombo, attualmente conservata presso il museo civico di Viterbo, chiede notizie in merito alle ricadute economiche e sociali che avrà tale evento per il territorio viterbese e agli accorgimenti previsti per evitare il verificarsi di danni all'opera d'arte, durante il trasporto.
  Il prestito del dipinto «La Pietà» di Sebastiano del Piombo, attualmente conservata nel museo civico di Viterbo, è stato richiesto dalla National Gallery di Londra per una mostra dedicata all'intenso scambio che avvenne tra due grandi artisti, Michelangelo e Sebastiano del Piombo, e sugli esiti che tale colloquio ebbe per lo sviluppo successivo della cultura figurativa europea. Il progetto della mostra, prevista tra il 15 marzo e il 25 giugno prossimi, ha previsto sin dall'inizio la stretta collaborazione della istituzione museale londinese con il comune di Viterbo per promuovere l'immagine e i tesori artistici della città, anche attraverso il prestito, in reciprocità, di un'opera della National Gallery al museo di Viterbo. I contatti intercorsi nella fase preparativa della mostra hanno visto, tra l'altro, anche il coinvolgimento del dirigente dell'allora soprintendenza competente per materia.
  In relazione a tale prestito, la direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio, considerata l'importanza dell'opera, la rilevanza scientifica della manifestazione e della sede espositiva, visti i contatti intercorsi in fase preparatoria tra i responsabili della National Gallery, il comune di Viterbo e la soprintendenza, e visto il rapporto di collaborazione instaurato, ha ritenuto opportuno acquisire il parere del comitato tecnico scientifico per le belle arti, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, articolo 6, comma 2, lettera e), tenuto conto sia del parere negativo espresso in data 15 novembre 2016 dalla soprintendenza, sia, al contempo, della relazione dettagliata redatta dall'Istituto superiore per la conservazione e il restauro (ISCR) nella quale venivano fornite precise indicazioni tese a garantire il trasferimento in sicurezza dell'opera, riducendo tutti i possibili fattori di rischio.
  Nell'ottica di esaminare approfonditamente la questione e di valutare con estrema scrupolosità tutti gli aspetti connessi al prestito, alla riunione del comitato del 19 dicembre 2016 sono stati invitati a partecipare il soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio per l'area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l'Etruria meridionale, il direttore dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, nonché il direttore della National Gallery, tutti accompagnati dai funzionari responsabili dei vari settori coinvolti.
  La soprintendenza, in quella sede, superando le proprie posizioni precedenti, ha illustrato un progetto di intervento su alcuni ambienti del museo civico, redatto dai propri tecnici, teso a garantire la movimentazione dell'opera secondo quanto indicato nella relazione dell'ISCR.
  Il comitato tecnico, pertanto, ascoltate le nuove valutazioni proposte dalla soprintendenza e quanto esposto dettagliatamente dai presenti, anche in merito alla ricaduta positiva per la valorizzazione del territorio derivante dal coinvolgimento del museo di Viterbo in una manifestazione culturale di tale prestigio, ha espresso all'unanimità parere favorevole al prestito.
  In tale valutazione positiva, si è anche tenuto conto dell'alta valenza scientifica della manifestazione espositiva prevista al museo londinese per la prossima primavera 2017; dell'importanza rivestita dall'opera nel contesto della mostra stessa; delle indicazioni fornite dalla soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l'area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l'Etruria meridionale circa i lavori da eseguire nel museo per garantire la movimentazione dell'opera nella maniera più idonea; dell'assenso della National Gallery a farsi carico di tutti gli oneri connessi a tali lavori, al trasferimento e alla corretta movimentazione ed esposizione dell'opera – aspetti valutati contestualmente dalla soprintendenza e dall'ISCR – nonché della disponibilità della National Gallery al prestito di un dipinto delle proprie collezioni al Museo di Viterbo, senza alcun onere per il museo laziale. Tale dipinto è stato, in seguito, individuato dai funzionari della soprintendenza, nell'opera del Mantegna raffigurante la Vergine con il Bambino tra i Santi.
  A carico degli organizzatori della mostra sono, inoltre, tutti i costi di trasporto e le polizze assicurative obbligatorie «da chiodo a chiodo».
  Per il trasferimento dell'opera l'ISCR, a seguito degli accordi presi nel corso della citata riunione congiunta, ha inoltre trasmesso un «Progetto di monitoraggio del trasporto», stilato sulla base di una ricerca specifica più generale, frutto della collaborazione tra il Ministero e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ha messo a punto sensori specifici per la registrazione di shock, vibrazioni e parametri microclimatici, nonché un protocollo di monitoraggio in continuo che permette il tracciamento, in tempo reale, delle condizioni di temperatura, umidità relativa, nonché delle sollecitazioni meccaniche, in tutte le fasi di movimentazione e trasporto dell'opera.
  Si tratta di un sistema innovativo Wi-Fi, frutto di una ricerca dell'ISCR, che innalzando il livello di controllo, contribuisce a ridurre i rischi legati allo spostamento delle opere in quanto consente un tempestivo intervento qualora le condizioni di trasporto non dovessero risultare idonee.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla situazione ambientale del lago di Bolsena l'interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05914 alla quale è stata data risposta il 9 ottobre 2015;
   l'Associazione lago di Bolsena ha collaborato nel 2009 al piano di gestione finanziato dall'Unione europea coordinato dall'università della Tuscia e approvato dalla provincia di Viterbo;
   secondo i monitoraggi dell'Associazione lago di Bolsena, lo stato ecologico del lago è degradato gravemente, in particolare a causa della concentrazione di fosforo, l'elemento nutriente principale del fitoplancton e quindi della catena alimentare lacustre, che è in continuo aumento. Nel dicembre 2016 al fondo del lago è stato registrato uno strato senza ossigeno di 9 metri, poi scomparso nel gennaio 2017 a causa del freddo e del vento di tramontana che fortunatamente ha rimescolato le acque, ma purtroppo tanti danni ha prodotto nell'Italia centrale;
   lo strato anossico è temporaneamente scomparso, ma è rimasta l'alta concentrazione di fosforo che in futuro causerà nuovi stati di anossia. Ciò significa che il lago è sulla strada di un drastico cambiamento ecologico che sarebbe difficilmente reversibile, con gravi conseguenze ambientali ed economiche;
   il fosforo giunge al lago dalle attività umane presenti nel bacino idrogeologico, quali l'agricoltura intensiva e le perdite di liquami urbani dal sistema fognario. L'eccesso di fosforo totale nel lago può causare assenza di ossigeno nello strato di acqua al fondo per cui le sostanze organiche che vi si depositano entrano in putrefazione;
   nella risposta alla precedente interrogazione si faceva notare che, in base ai risultati dei monitoraggi 2011-2013, Arpa Lazio ha definito «buono» lo stato di qualità delle acque di Bolsena, ma attualmente, nel 2017, la situazione si è aggravata, probabilmente anche a causa della mancata applicazione da parte della regione Lazio delle misure di tutela previste per il lago di Bolsena, in quanto zona speciale di conservazione (ZSC), ai sensi della direttiva 2000/60/CE recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   secondo la risposta del Governo pro tempore il recente Caso EU Pilot 6800/14/ENVI avviato dalla Commissione europea discenderebbe da una supposta inadeguatezza del sistema fognario;
   invece, ad avviso dell'interrogante, la procedura EU Pilot 6800/14/ENVI è stata avviata dalla Commissione europea non per la supposta inadeguatezza del sistema fognario, ma per il fatto ben più grave di non aver emesso, dopo due anni dalla scadenza prevista, adeguate misure di tutela del lago di Bolsena classificato come zona speciale di conservazione. Tali misure, secondo la direttiva 2000/60/CE recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, devono essere adeguate per conservare ed eventualmente ripristinare l'habitat del lago come era nell'anno 2007 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche di carattere normativo, al fine di tutelare lo stato ecologico del lago nel rispetto della direttiva 2000/60/CE, recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, anche per evitare l'imbarazzante riapertura di una procedura di infrazione ambientale contro lo Stato italiano (Caso EU Pilot 6800/214/ENVI). (4-15655)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Il lago di Bolsena ed i relativi problemi di inquinamento, discendenti da una supposta inadeguatezza del sistema fognario depurativo a servizio degli agglomerati urbani che circondano il lago, sono stati oggetto del Caso EU Pilot 6800/14/ENVI avviato dalla Commissione europea.
  I comuni che circondano il lago di Bolsena – Bolsena, Montefiascone, Marta, Capodimonte, Gradoli, Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo – costituiscono l'agglomerato denominato Marta Cobalb con carico generato pari a 35.000 abitanti equivalenti.
  L'agglomerato in argomento è interamente servito da rete fognaria che convoglia i reflui al depuratore gestito dalla CO.BA.L.B. s.p.a. ubicato nel comune di Marta. L'impianto ha una capacità organica di progetto pari a 48.500 a.e. ed effettua il trattamento secondario e la clorazione dei reflui.
  Lo scarico avviene in area normale al di fuori del bacino drenante l'area sensibile del lago di Bolsena, designata, ai sensi della direttiva 91/271/CEE, con D.G.R. n. 317 del 2003.
  La rete e l'impianto di depurazione risalgono agli anni ’70 e fino al 2009 gli investimenti necessari al suo corretto funzionamento sono stati garantiti con cadenza annuale con le leggi regionali 21 e 22 del 1994. Negli ultimi anni, causa la sospensione dei citati finanziamenti, sono stati comunque garantiti gli interventi di manutenzione ordinaria.
  Negli anni 2011 e 2012 l'azienda CO.BA.L.B. s.p.a. ha ottenuto 2 lotti di finanziamento destinati ad interventi di manutenzione straordinaria con sostituzione di alcune elettropompe ed adeguamento dei quadri elettrici e gruppi elettrogeni; gli interventi sono stati eseguiti e completati nel corso del 2012 e 2013.
  La regione Lazio ha previsto un intervento, di importo pari a circa euro 2.000.000, per «l'adeguamento della rete fognaria e del depuratore COBALB a servizio dei Comuni del lago di Bolsena».
  In particolare l'intervento prevede:
   Adeguamento delle stazioni di sollevamento del collettore circumlacuale (no20) e adeguamento delle stazioni di sollevamento definite «Marta 1», «Marta 2», «Le Fontane», «Strada Felceti», «Bolsena 2», «San Lorenzo Stadio», «San Lorenzo la Frana», «San Lorenzo Lago», «Villaggio Felceti», per un totale di 29 stazioni. Nello specifico ogni intervento di adeguamento prevede tra le altre cose, la sostituzione delle elettropompe, la fornitura di regolatori di livello e lo svuotamento completo del pozzetto di sollevamento con nolo autospurgo, trasporto ed oneri di conferimento di liquame e fango.

  Interventi sull'impianto di depurazione: miglioramento delle fasi di grigliatura con installazione di griglia automatica; dissabbiatura, con sostituzione del separatore sabbie; denitrificazione, con sostituzione del miscelatore sommerso; nidificazione/ossidazione, col completo rinnovo del sistema di alimentazione e diffusione aria nelle vasche esistenti; stabilizzazione aerobica fango, con rinnovo del sistema di aerazione; disidratazione fanghi con sostituzione dell'apparecchiatura esistente ed installazione di estrattore centrifugo; le elettropompe ricircolo liquami e fanghi attualmente presenti saranno sostituite, così come le elettropompe di sollevamento fanghi di supero, dreni e schiume; è previsto il completo rinnovo delle apparecchiature idrauliche e di quelle per analisi e misura parametri; sarà completamente rifatto il quadro elettrico.
  Sull'andamento dei lavori la regione Lazio, con note di marzo 2016 e gennaio 2017, ha comunicato che:
   con determinazione n. G12958 del 28 ottobre 2015 è stato approvato il progetto esecutivo dell'intervento e lo schema di bando per l'affidamento dei lavori;
   in data 30 dicembre 2015 il bando di gara è stato pubblicato sulla G.U.R.I. n.153;
   i lavori della commissione di gara per l'affidamento dell'appalto inerente l'intervento si sono conclusi;
   con verbale Rep. n. 6985 del 14 dicembre 2016 è stata dichiarata l'aggiudicazione provvisoria (articolo 11 del decreto legislativo n. 163 del 2006);
   sono in corso le necessarie verifiche di legge propedeutiche alla determinazione di aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto.

  Per quanto riguarda lo stato ambientale del lago ai sensi della direttiva 2000/60/CE, in base alle informazioni estrapolate dell'ultimo aggiornamento del piano di gestione del distretto idrografico dell'appennino centrale, si ribadisce che il lago di Bolsena, rientrante nel bacino del fiume Marta, risulta in stato ecologico buono e stato chimico buono ed è sottoposto ad un monitoraggio di tipo operativo, prevedendo di conseguenza delle misure di tutela finalizzate al mantenimento di detto status.
  Sull'argomento, preme sottolineare che l'unico campionamento ufficiale di riferimento per la valutazione dello stato ambientale del lago ai sensi della direttiva 2000/60/CE rimane quello effettuato dalle ARPA nei punti di monitoraggio ufficialmente riconosciuti come rappresentativi.
  Cionondimeno, sarà cura di questo dicastero far presente alla regione Lazio e all'Autorità di bacino distrettuale quanto riportato nell'interrogazione in esame, con particolare riferimento alla presunta presenza di fosforo in concentrazioni critiche, chiedendo altresì le opportune verifiche del caso.
  Si rappresenta, infine, che le ZSC sono aree istituite ai sensi della direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat). In particolare, lo specchio lacustre del lago di Bolsena è stato designato quale zona speciale di conservazione (ZSC) IT6010007 «Lago di Bolsena», con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 dicembre 2016 recante «Designazione di una zona speciale di conservazione (ZSC) della regione biogeografica alpina, di una ZSC della regione biogeografica continentale e di 140 ZSC della regione biogeografica mediterranea insistenti nel territorio della regione Lazio, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale 27 dicembre 2016, n. 301)».
  L'emanazione di detto decreto è stata consequenziale all'approvazione da parte della regione Lazio delle misure di conservazione individuate ai sensi dell'articolo 6 della direttiva Habitat, mediante deliberazione di Giunta regionale del 14 aprile 2016, n. 162, recante «Adozione delle Misure di Conservazione finalizzate alla designazione delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (Habitat) e del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni – codice IT60100 (Viterbo)».
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI, BUSTO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fao ha come obiettivo, entro il 2025, l'eradicazione della fame dal pianeta, assicurando il giusto accesso alle risorse alimentari per i 9.2 miliardi abitanti previsti nel 2050;
   mentre si discute ancora sulle modalità di una equa redistribuzione delle risorse alimentari, i dati parlano drammaticamente e con chiarezza: sulla terra ci sono circa 6.5 miliardi di persone, ma secondo la Fao solo il 20 per cento può nutrirsi in modo adeguato;
   la strategia vincente, che è l'unica soluzione per sconfiggere la fame nel mondo, è salvare la biodiversità del pianeta è stata proposta da scienziati internazionali come Jeremy Rifkin e Vandana Shiva: una rivoluzione vegetariana per salvare il pianeta;
   solo il 20 per cento della popolazione mondiale ha infatti regolare accesso alle risorse alimentari, mentre il 26 per cento della superficie terrestre è letteralmente invaso dagli allevamenti, ai quali è imputabile l'emissione del 18 per cento dei gas serra, la distruzione di milioni di ettari di foreste e la perdita di biodiversità, nonché la produzione annua di 1.050 miliardi di tonnellate di deiezioni;
   i dati Onu al riguardo sono impressionanti: 900 milioni di persone soffrono la fame, mentre 2 miliardi sono da considerare malnutrite;
   questa situazione sembra destinata ad aggravarsi nei prossimi anni quando la popolazione mondiale della erra passerà da 7 a 9 miliardi di persone, con un aumento netto di 2 miliardi che renderà ancora più drammatica la carenza di cibo e che, verosimilmente, acuirà le tensioni internazionali per la conquista dei territori per ottenere le materie prime alimentari;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato, in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   ad oggi, il 26 per cento della terra è «invaso» dagli allevamenti animali che ogni anno producono oltre 1500 miliardi di tonnellate di deiezioni che sono la causa dell'emissione del 18 per cento dei gas serra, mentre l'uso dei veicoli ne produce il 14 per cento (Fao). Ciò determina una serie di danni inimmaginabili: il taglio delle foreste distrugge la biodiversità, toglie ossigeno, favorisce i fenomeni di desertificazione, aumenta l'emissione di gas prodotti dagli animali allevati in modo intensivo e ne sacrifica la vita a vantaggio di pochi, con un prezzo pagato invece da molti uomini, animali e natura tutta;
   occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne e, in media, secondo i dati Fao occorrono da 1.000 a 2.000 litri d'acqua per produrre un chilo di grano e da 13.000 a 15.000 litri per ottenere la sessa quantità di carne da bovini alimentati con cereali;
   dal rapporto della Fao (Steinfeld et altri 2006, «Rome, Fao. Livestock's long shadow – environmental issues and options») risulta che ben il 70 per cento delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio;
   il rapporto evidenzia inoltre che:
    a) il 26 per cento delle terre libere da ghiacci sulla terra è occupato da pascoli, e che, globalmente:
    b) il 33 per cento dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio;
    c) un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali;
    d) il 20 per cento dei pascoli sono degradati e sterili per via dell'eccessivo sfruttamento.
    e) gli effetti sul clima dei GHG prodotti dagli allevamenti intensivi provengono da:
     34 per cento deforestazione;
     30,4 per cento letame;
     25,3 per cento fermentazione intestinale dei ruminanti;
     6,2 per cento uso di fertilizzanti;
     4,1 per cento altro.
   numerosi ulteriori studi scientifici dimostrano le correlazioni evidenti tra il consumo di proteine animali e i cambiamenti climatici. In particolare, nel «Livestock – Climate Change's Forgotten Sector Global Public Opinion on Meat and Dairy Consumption», a cura di Rob Bailey, Antony Froggatt e Laura Wellesley – Energy, Environment and Resources del dicembre 2014 – in modo lapidario è sentenziato che «il consumo di carni, latte e derivati è una delle principali cause del cambiamento climatico»;
   lo studio sopracitato e altre numerose pubblicazioni evidenziano che la riduzione, se non l'abolizione dell'uso di proteine di origine animale, consentirebbero l'abbattimento del consumo di suolo, l'impatto sulla biodiversità, il consumo di acqua; foraggi e proteine che, anziché alimentare gli animali, potrebbero essere destinate in modo più logico e razionale ad una redistribuzione equa delle risorse del territorio;
   «l'allevamento e la produzione animale è la più grande fonte mondiale di metano e protossido di azoto» (fonteChatham House 2014);
   «l'allevamento e la produzione animale sono causa di produzione di CO2 e di deforestazione. Le foreste sono abbattute per lasciar spazio alle coltivazioni per foraggi destinati agli animali e per gli allevamenti. Le foreste sono devastate dall'impatto causato dal bestiame»; (fonte: Chatham House 2014);
   l'acqua impiegata nella produzione di foraggi, farine e per abbeverare gli animali rappresenta fino all'87 per cento del consumo mondiale e la produzione di mangimi per animali assorbe il 70 per cento dei consumi di combustibili (fonte: Factory farming and the Enviroment», a cura della organizzazione Compassion in world farming trust). Per produrre un chilo di carne occorrono più di 16 chili di foraggio e, secondo dati Fao, sono necessari circa 15 mila litri di acqua e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano;
   «sistemi di produzione alimentari, e in particolare la produzione zootecnica, sono importanti fattori di cambiamenti climatici e ambientali. Qui confrontiamo i contributi del settore zootecnico mondiale nel 2000 con il contributo stimato del settore nel 2050 a tre importanti problemi ambientali: cambiamenti climatici, reattiva mobilitazione di azoto, e di produzione di biomassa vegetale in scala planetaria. Poiché la sostenibilità ambientale richiede infine che le attività umane nel loro complesso rispettino soglie critiche in ciascuno di questi ambiti, si quantificano la misura in cui l'allevamento attuale e futuro contribuisce a stime pubblicate di soglie di sostenibilità a livelli di produzione previsti e sotto diversi scenari alternativi destinati a illustrare la potenziale gamma di impatti associati con la scelta dietetica. Suggeriamo che, entro il 2050, il settore zootecnico da solo può occupare la maggior parte di questa, o significativamente oltrepassare le stime recentemente pubblicate di «spazio operativo sicuro» dell'umanità in ognuno di questi ambiti. Alla luce della portata degli impatti stimati rispetto a queste condizioni di sostenibilità, suggeriamo che frenare la crescita di questo settore dovrebbe essere la priorità nella governance ambientale». (fonte: http://www.pnas.org/content/107/43/18371 Forecasting potential global environmental costs of livestock production 2000-2050, Nathan Pelletier1 e Peter Tyedmers);
   secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (fonte – http://www.nature.com/nature/journal/v478/n7369/full/nature10452.html «Solutions for a cultivated planet», Jonathan A. Foley, Navin Ramankutty, Kate A. Brauman, Emily S. Cassidy e altri) «l'aumento della popolazione e il consumo stanno ponendo le richieste senza precedenti in materia di agricoltura e risorse naturali. Oggi, circa un miliardo di persone sono cronicamente malnutriti mentre i nostri sistemi agricoli sono contemporaneamente degradanti per la terra, l'acqua, la biodiversità e il clima su scala globale. Per soddisfare le future esigenze di sicurezza alimentare e di sostenibilità a livello mondiale, la produzione alimentare deve crescere notevolmente, mentre, allo stesso tempo, l'impatto ambientale dell'agricoltura deve ridursi drasticamente. Qui analizziamo le soluzioni a questo dilemma, dimostrando che enormi progressi potrebbero essere fatti per arrestare l'espansione agricola, chiudendo «buchi» di rendimento sulle terre insoddisfacenti, aumentando l'efficienza, modificando le diete e riducendo gli sprechi. Insieme, queste strategie potrebbero raddoppiare la produzione alimentare, riducendo notevolmente l'impatto ambientale dell'agricoltura.»;
   «il riscaldamento antropogenico è causato principalmente dalle emissioni di gas serra (GHG), come l'anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, con l'agricoltura quale principale produttore per gli ultimi 2 gas. Altre parti del sistema alimentare contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica che provengono dall'uso di combustibili fossili nel settore dei trasporti, lavorazione, vendita al dettaglio, la conservazione e la preparazione. I prodotti alimentari differiscono sostanzialmente quando le emissioni di gas serra sono calcolate dal campo alla tavola. Un recente studio di 20 articoli venduti in Svezia ha mostrato un arco di 0,4 a 30 kg di CO2 equivalenti/kg di prodotto alimentare. Per alimenti ricchi di proteine, come i legumi, carne, pesce, formaggio e uova, la differenza è un fattore di 30, con le emissioni più basse per chilogrammo per i legumi, pollame e le uova e il più alto per le carni bovine, formaggio e carne di maiale. Le emissioni di grandi dimensioni per i ruminanti sono spiegati principalmente dalle emissioni di metano da fermentazione enterica. Per frutta e verdura, le emissioni sono di solito ≤2.5 kg CO2 equivalenti / kg di prodotto, anche se vi è un alto grado di lavorazione e trasporto sostanziale. Prodotti trasportati in aereo sono un'eccezione, perché le emissioni possono essere elevate come per certe carni. Emissioni da alimenti ricchi di carboidrati, come le patate, pasta e il grano, sono <1,1 kg / kg alimento commestibile. Suggeriamo che i cambiamenti della dieta siano per alimenti di origine vegetale, carni di animali con poca fermentazione enterica, e per gli alimenti trasformati con un basso consumo energetico i quali offrono un territorio esplorato interessante e per mitigare il cambiamento climatico». (fonte: «I potenziali contributi di modelli di consumo alimentare ai cambiamenti climatici», http://ajcn.nutrition.org/content/89/5/1704S.short);
   le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici tendono a concentrarsi sul settore energetico, mentre il settore zootecnico riceve sorprendentemente poca attenzione, nonostante il fatto che esso rappresenta il 18 per cento delle emissioni di gas serra e per l'80 per cento del consumo totale di terreno di origine antropica. Dal punto di vista dietetico, nuove conoscenze degli effetti negativi sulla salute di carni bovine e suine hanno portato a una revisione delle raccomandazioni sul consumo di carne. Qui abbiamo esplorato il potenziale impatto dei cambiamenti della dieta sul raggiungimento di ambiziosi livelli di stabilizzazione del clima. Utilizzando un modello di valutazione integrata, abbiamo verificato che una modifica globale si ottiene con una dieta con minori consumi di carne o con un radicale cambiamento verso le diete con solo proteine di origine vegetale, ciò può avere un incredibile effetto anche sul consumo del suolo. Fino a 2.700 Mha di pascolo e 100 Mha delle terre coltivate potrebbero essere abbandonati, con un conseguente grande assorbimento di carbonio da rinnovabili vegetazione. Inoltre, il metano e l'emissione di protossido di azoto sarebbero ridotti sostanzialmente. Una transizione globale verso una dieta a basso contenuto di carne, come raccomandato per motivi di salute, ridurrebbe i costi di mitigazione per ottenere un 450 ppm CO2-eq. obiettivo di stabilizzazione di circa il 50 per cento nel 2050 rispetto al caso di riferimento. Cambiamenti nella dieta potrebbero pertanto creare non solo notevoli vantaggi per la salute umana e per il consumo di territorio, ma potrebbero anche svolgere un ruolo importante nelle future politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. «(fonte: http:filink.springer.com/article/10.1007/s10584-008-9534-6  Climate bene fits of changing diet Elke Stehfest», Lex Bouwman, Detlef P. van Vuuren, Michel G. J. den Elzen, Bas Eickhout, Pavel Kabat);
   è davvero paradossale che, per mantenere gli allevamenti, si sperperi una grandissima quantità di risorse: occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne. Inoltre, stando a quanto riferito dalla Fao, occorrono circa 15 mila litri di acqua per produrre un chilo di carne e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano. In altri termini, se le risorse necessarie alla produzione di carne fossero investite per l'agricoltura, probabilmente la fame sarebbe solo un ricordo;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   sostituire 1 chilogrammo di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 watt con una a basso consumare ne fa risparmiare 26. Sostituire 1 chilogrammo di carne suina, bovina e di merluzzo al mese, invece (sempre per un anno), ne fa risparmiare rispettivamente 96, 344,4 e 86, 4 e mangiare solo ed esclusivamente cibo locale (anche vegetale), 367. Quindi un piatto ricco di proteine vegetali diminuisce l'emissione di GHG da circa 10 a 30 volte rispetto ad uno di proteine animali;
   un allevamento bovino con 2500 mucche da latte produce, la stessa quantità di rifiuti di una città di 411,000 persone (fonte «Risk assessment and evaluation for concentrated animai feeding operation Us Enviromental Protection agency». Office of research and development 2004);
   secondo lo studio condotto da Chatham House (https://www.chathamhouse.org/publication/changing-climate-changing-diets;
   https://www.chathamhouse.org/expert/ comment/it-s-time-put-meat-cli-matenegotiating-table;
   uneplive.unep.org/media/docs/theme/13/EGR–2015–ES–English–Embargoed.pdf);
   la produzione di manzo e latticini rappresenta la maggior parte delle emissioni tra tutti i prodotti animali, ed è responsabile del 65 per cento dei gas serra totali emessi;
   stime suggeriscono che, per una unità di proteine, le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne bovina sono circa 150 volte di più di quelle dei prodotti di soia e che i prodotti a base di carne di maiale e pollo causano meno emissioni tra tutti i prodotti carnei, ma ciò non significa che le loro emissioni siano esenti dagli effetti che causano all'ambiente;
   lo stesso studio evidenzia come i negoziati, nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), abbiano trascurato del tutto l'impatto causato dagli allevamenti di bestiame;
   mentre è stata data rilevanza alla problematica dalla Global Alliance for Climate-Smart Agriculture – che comprende 16 Paesi e 37 organizzazioni – e l'importante tematica è stata lanciata in occasione del vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York: tra gli obiettivi prefissati la riduzione e/o eliminazione di emissioni agricole, anche se non è stata ancora stabilita quale misura per l'allevamento di bestiame;
   nella sua ultima revisione della letteratura scientifica in materia di mitigazione nel settore agricolo, il panel internazionale sul cambiamento climatico (IPCC) ha rilevato che il vantaggio nella riduzione delle emissioni rideterminerebbe soprattutto con la riduzione dei consumi di carne;
   uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change stima 5,6 Gt di CO2 e di riduzione delle emissioni annue fino al 2050 derivanti dalla riduzione del consumo di carne e latticini a livelli coerenti con le raccomandazioni nutrizionali, rispetto al 4GT di CO2 e ogni anno da «intensificazione sostenibile» di tutto il settore agricolo (dove i rendimenti globali convergono su livelli massimi);
   fondamentalmente il cambiamento di dieta è essenziale per non far aumentare ulteriormente il surriscaldamento globale. Due recenti studi hanno concluso che, anche con uno sforzo ambizioso di mitigazione nel settore agricolo, i cambiamenti radicali nel consumo di carne e latticini sono d'obbligo; è, questa, una strategia di mitigazione molto conveniente, non solo nel settore agricolo, ma in senso più ampio. Inoltre la riduzione dei consumi di carne e latticini aumenterebbe la quota del bilancio del carbonio a disposizione per altri settori. Ciò, a sua volta, consentirebbe costi di mitigazione più bassi per l'uso di energia. I potenziali risparmi sono quindi notevoli ed evidenti;
   il consumo delle risorse del pianeta e l'inquinamento causato dagli allevamenti e i dati fondamentali che ne derivano e che sono stati rilevati in modo scientifico, dovrebbero suggerire una serie di riflessioni per le quali sarebbe necessario contribuire ad una rivoluzione dei consumi e a garantire per questo la sopravvivenza del pianeta –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle numerose evidenze scientifiche, non ritengano fondamentale e necessario ridurre ed abbattere la produzione dei gas serra derivanti dagli allevamenti e dalla trasformazione dei prodotti di origine animale e in che modo intendano adoperarsi al riguardo;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario promuovere la corretta informazione, sulla base delle sopracitate evidenze scientifiche e non solo, circa la necessità di seguire un regime alimentare più salutare per l'organismo ed anche meno impattante sull'ambiente, anche tramite l'informazione scolastica e universitaria, e assumere iniziative per prevedere in ogni ambito sociale la proposizione di menu sostitutivi con proteine vegetali anziché animali;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno fornire una corretta informazione per uno stile di vita che coniughi una alimentazione più salutare alla tutela del pianeta, promovendo stili di vita sostenibili e che contribuirebbero in maniera immediata ed efficace alla riduzione delle emissioni, causa dei cambiamenti climatici. (4-12482)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra, l'Italia è impegnata a rispettare gli obiettivi di riduzione stabiliti nell'ambito del meccanismo di monitoraggio delle emissioni di gas serra dell'Unione europea (Regulation (EU) No 525/2013 of the European Parliament and of the Council of 21 May 2013 on a mechanism for monitoring and reporting greenhouse gas emissions and for reporting other information at national and Union level relevant to climate change and repealing Decision No 280/2004/EC). Tali obiettivi stabiliscono la riduzione comunitaria (quindi complessivamente di tutti i Paesi membri) del 20 per cento delle emissioni di gas serra al 2020 e del 40 per cento al 2030 rispetto a livelli di emissione del 1990. In particolare, considerando le sole emissioni derivanti dai settori non EU-ETS (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS), che sono trasporti, residenziale, rifiuti e agricoltura (settori ESD – Effort Sharing Decision), gli obiettivi di riduzione per l'Italia sono -13 per cento al 2020 e -33 per cento al 2030 rispetto ai livelli del 2005.
  Nell'ambito delle politiche e misure di riduzione delle emissioni di gas serra del settore agricoltura, l'Italia ha previsto la razionalizzazione dell'uso dei fertilizzanti azotati e il recupero energetico del biogas dallo stoccaggio dei reflui zootecnici nei digestori anaerobici.
  La riduzione della quantità distribuita in agricoltura di fertilizzanti azotati sintetici ha comportato un conseguente calo dell'azoto complessivo in essi contenuto del 32 per cento nel 2015 rispetto alle quantità distribuite nel 1990.
  L'energia prodotta dai reflui zootecnici è aumentata notevolmente a partire dal 2009 grazie a diversi provvedimenti normativi e atti amministrativi (CIP 6 del 29 aprile 1992, decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999 e successive modifiche, decreto ministeriale 18 dicembre 2008 del Ministero dello sviluppo economico, incentivi previsti nei piani di sviluppo rurali delle regioni). Nel 2015 la riduzione delle emissioni di metano da stoccaggio delle deiezioni è stata stimata pari a circa il 16 per cento grazie al recupero del biogas delle deiezioni avviate ai digestori anaerobici.
  Altri sforzi vengono intrapresi nel settore dell'agricoltura per promuovere le buone pratiche di gestione agricola, quale il rispetto dei limiti di applicazione dei fertilizzanti e delle regole di spandimento degli effluenti, i metodi di stoccaggio degli effluenti, i limiti di densità del bestiame e le esigenze di rotazione delle colture, e inoltre la produzione integrata di prodotti agricoli e l'agricoltura biologica.
  Nell'ambito della revisione della direttiva National Emission Ceilings (NEC), l'Italia inoltre dovrà ridurre le proprie emissioni di ammoniaca del 16 per cento, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2030. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha elaborato nel 2016 le linee guida per la riduzione delle emissioni in atmosfera provenienti dalle attività agricole e zootecniche, nelle quali elenca una serie di interventi da attuare per la riduzione delle emissioni. Alcuni di questi sono: riduzione del tenore di proteina grezza nella dieta e conseguente riduzione dell'escrezione di azoto; modalità di somministrazione degli alimenti; ricoveri degli allevamenti (rimozione frequente delle deiezioni, climatizzazione degli ambienti ed isolamento dei tetti); copertura degli stoccaggi degli effluenti; spandimento degli effluenti (incorporazione rapida, interramento dei liquami tramite iniettori).
  Le misure di abbattimento nello spandimento dei fertilizzanti sono quelle maggiormente diffuse dato il migliore rapporto costi/benefici. Al contrario, le tecniche di abbattimento dei ricoveri sono spesso costose e tendono ad essere meno efficaci.
  Vi sono infine delle normative che stabiliscono specifici obblighi in termini di prevenzione e riduzione delle emissioni di inquinanti in atmosfera per le aziende zootecniche, in base alla consistenza degli allevamenti (bovini, suini, avicoli), quali la direttiva IPPC (recepita con il decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59), il decreto legislativo n. 46 del 4 marzo 2014, il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, il decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 13 marzo 2013.
  In aggiunta a quanto sinora espresso, si segnala inoltre che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare collabora attivamente con la FAO al fine di identificare strategie politiche e tecniche scientifiche che permettano di affrontare le problematiche legate ai cambiamenti climatici in agricoltura. In particolare, l'impegno del Ministero dell'ambiente è quello di supportare attività di ricerca e conoscenza su come sviluppare la sicurezza alimentare in un contesto di agricoltura sostenibile, attività di adattamento ai cambiamenti climatici e come unitamente mitigare le emissioni di gas serra.
  L'Italia è parte attiva nelle principali iniziative multilaterali volte ad accrescere il contributo del settore alla mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici, ed è uno dei Paesi membri della GACSA (Global Alliance on Climate Smart Agriculture), iniziativa tesa all'orientamento del settore primario verso pratiche di sviluppo volte a garantire la sicurezza alimentare in un contesto di cambiamento climatico. Nel quadro della promozione dell'approccio della Climate Smart Agricolture, promosso dalla FAO nel 2010, proprio il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta supportando in alcuni Paesi in via di sviluppo ritenuti di importanza strategica anche ai fini della cooperazione bilaterale, studi di fattibilità per la possibile realizzazione di progetti di sviluppo nei settori dell'agricoltura sostenibile e della zootecnia.
  L'Italia, inoltre, attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è membro della LEAP (Livestock Environmental Assessment and Performance Partnership), partenariato internazionale il cui segretariato è istituito presso la FAO che si propone di sviluppare metodologie condivise a livello internazionale per la definizione e la misurazione della performance ambientale delle emissioni di gas serra nelle filiere zootecniche proprio al fine della riduzione di dette emissioni.
  In relazione alla promozione di stili di vita sostenibili contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente è impegnato nella promozione di un'economia a basso contenuto di carbonio attraverso molteplici politiche e misure.
  Il programma per la valutazione dell'impronta ambientale, ad esempio, sostiene le scelte volontarie delle aziende verso la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Questo approccio risulta utile sia per indirizzare le aziende verso una produzione di beni e servizi ad alte prestazioni ambientali e sia i consumatori verso prodotti e stili di vita sostenibili.
  Il programma nazionale sull'impronta ambientale è nato come progetto pilota del Ministero nel 2012 per sperimentare su vasta scala le metodologie di misurazione delle prestazioni ambientali legate alle attività produttive. L'iniziativa oggi si consolida, in linea con la sperimentazione a livello europeo, come buona pratica di collaborazione pubblico-privato. Il progetto coinvolge più di 200 aziende e punta a sostenere e valorizzare l'attuazione di tecnologie a basse emissioni e le migliori pratiche nei processi di produzione e nell'intero ciclo di vita dei prodotti e servizi.
  L'obiettivo dell'Unione europea di diminuzione delle emissioni dell'80-95 per cento entro il 2050, richiederà un sistema di produzione e consumo a basse emissioni di CO2 e uno stimolo della domanda di prodotti o servizi a basso impatto ambientale.
  A tal fine l'Europa ha sviluppato una politica integrata di prodotto (COM (2003)302) che, partendo dall'analisi di ciclo di vita di prodotto in base alla metodologia LCA (Life Cycle Assessment), punta a migliorare le informazioni sulle prestazioni ambientali di un prodotto e di un'organizzazione.
  Un'altra urgente necessità, verso uno stile di vita sostenibile, richiede un intervento sullo spreco alimentare.
  In Italia tra settore primario, trasformazione, distribuzione, ristorazione e consumo gettiamo via 5,1 milioni di tonnellate di cibo. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha lavorato con grande determinazione su questo tema, in stretto raccordo con gli altri Ministeri, con tutte le istituzioni competenti e con il mondo delle realtà sociali impegnate su questo tema. Combattere lo spreco alimentare è importante anche per contenere l'impatto sulla biodiversità che la produzione massiva di alimenti a livello globale. In risposta a questa assoluta necessità è stata approvata la legge contro lo spreco alimentare legge 19 agosto 2016, n. 166 «Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi» le cui disposizioni sono in vigore dal 14 settembre 2016.
  In ultimo, in tema di promozione della lotta agli sprechi alimentari, il Ministero dell'ambiente, insieme al Ministero delle politiche agricole e alla FAO, ha promosso a latere della CoP 22 di Marrakech nel padiglione Italia un side event «Climate Smart Agricolture e sprechi alimentari». Nel corso dei lavori si è discusso delle attuali policies per limitare gli sprechi alimentari a partire dal contributo della nuova legge nazionale italiana, (legge n. 166 del 19 agosto 2016). È stato ricordato, infatti, come, secondo i dati forniti dalla FAO, ad oggi circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale viene perso o sprecato: un quantitativo che genera l'8 per cento delle emissioni di gas effetto serra ogni anno. È dunque possibile intraprendere un percorso che riduce i gas serra prodotti nel settore agricolo e, simultaneamente, limitando la deforestazione.
  Inoltre, secondo quanto riferito dal Ministero della salute, si rappresenta quanto segue.
  Tutte le specie animali producono gas serra indipendentemente dal tipo di stabulazione, soprattutto in relazione a regimi alimentari ricchi di proteine fermentescibili che contribuiscono a fenomeni di fermentazione con possibile meteorismo e coliche intestinali.
  Va sottolineato, inoltre, come siano gli animali al pascolo, più di quelli allevati in stabulazione, a produrre grandi quantità di gas serra a seguito dell'elevato consumo di essenze vegetali ricche di leguminose.
  Il Ministero della salute, pertanto, pur rispettando la scelta da parte di coloro che intendono seguire una dieta vegetariana/vegana, non può che sostenere, nell'ambito della promozione della corretta alimentazione, una dieta varia ed equilibrata a discapito di quelle che prevedono esclusivamente alimenti di origine vegetale o animale. L'alimentazione umana deve, infatti, tenere conto di un apporto equilibrato di nutrienti, che devono comprendere in giusta proporzione gli alimenti di origine animale e quelli di origine vegetale; le diete vegetariane e, in particolare quelle vegane, possono sviluppare una carenza di talune vitamine (in particolare la B12) che deve essere attentamente considerata e monitorata al fine di rendere una dieta quanto più equilibrata possibile.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero mantiene alto lo stato di attenzione su tali tematiche riconoscendo loro l'importanza che meritano.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BERRETTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il termine di inquinamento si intende una modificazione delle caratteristiche naturali di un ecosistema, causata in genere da attività umane, che provoca effetti dannosi sugli organismi, sulla salute dell'uomo o sulle risorse naturali in senso lato;
   l'O.N.U definisce ufficialmente l'inquinamento marino come «introduzione diretta o indiretta da parte dell'uomo nell'ambiente marino di sostanze o di energie capaci di produrre effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque»;
   è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale 28 maggio 2015, n. 122 la legge 22 maggio 2015, n. 68, in materia di riforma dei reati ambientali con l'obiettivo di garantire un netto salto di qualità nella protezione della salute e dei beni naturali;
   il provvedimento suddetto introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai «delitti contro l'ambiente» (Libro II, Titolo VI-bis, articoli 452-bis-452-terdecies);
   il segretario provinciale di Catania del sindacato di polizia Coisp ha denunciato pubblicamente la situazione creatasi al porto di Catania, causata dalla mancata e/o non tempestiva raccolta di ingenti quantitativi di rifiuti organici e non, accumulatisi nell'area portuale dopo i frequenti sbarchi dei migranti;
   il segretario provinciale del Coisp ha evidenziato che, nonostante i solleciti da parte dei poliziotti, il servizio di igiene ambientale non provvede tempestivamente alla raccolta dei suddetti cumuli di rifiuti, che, a causa delle intemperie e delle frequenti raffiche di vento che caratterizzano detta area, vengono trascinati in mare e, dunque, causano inquinamento ambientale;
   è evidente quanto il riversarsi in mare di rifiuti organici e non comporti «effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque»;
   il segretario del Coisp ha chiesto l'intervento immediato della Guardia costiera e dell'autorità portuale di Catania, per porre fine alle cause di inquinamento ambientale sopra descritte;
   l'autorità portuale di Catania, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, è un ente di diritto pubblico istituito dalla legge n. 84 del 1994 con i compiti di indirizzo, programmazione, promozione e controllo delle operazioni portuali, nonché preposto alla manutenzione delle parti comuni portuali e le attività dirette alla fornitura di servizi di interesse generale;
   il Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, svolge compiti relativi agli usi civili del mare ed ha competenze in materia di salvaguardia della vita umana in mare, di sicurezza della navigazione e del trasporto marittimo, oltreché di tutela dell'ambiente marino, dei suoi ecosistemi e di vigilanza dell'intera filiera della pesca marittima, dalla tutela delle risorse a quella del consumatore finale;
   è evidente quanto la mancata e/o non tempestiva raccolta di ingenti quantitativi di rifiuti organici e non presso il porto di Catania ed il riversarsi in mare degli stessi causi «effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, verificare quanto sopra descritto e vigilare, per quanto di competenza, affinché si possa prevenire e contrastare il fenomeno in questione che genera danni all'ambiente all'interno dell'area portuale di Catania. (4-14480)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la legge istitutiva delle autorità portuali (legge n. 84 del 1994, aggiornata con la legge n. 190 del 2014) ed il relativo decreto attuativo (decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione del 14 novembre 1994) attribuiscono a queste ultime l'attività di pulizia, raccolta e smaltimento in discarica dei rifiuti prodotti negli spazi a loro concessi.
  Più precisamente all'articolo 6, comma 4, lettera c), la legge n. 84 del 1994 attribuisce il potere concessorio all'autorità portuale per l'esercizio dei servizi portuali di interesse generale. Il decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione del 14 novembre 1994 dispone, poi, all'articolo 1 che tra «i servizi di interesse generale nei porti, di cui all'articolo 6, comma 4, lettera c), della legge 28 gennaio 1994, n. 84, da fornire a titolo oneroso all'utenza portuale» vanno compresi i «Servizi di pulizia e raccolta rifiuti» i quali comprendono le seguenti attività: «Pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica relativa agli spazi, ai locali e alle infrastrutture comuni e presso i soggetti terzi (concessionari, utenti, imprese portuali, navi). Derattizzazione, disinfestazione e simili. Gestione della rete fognaria. Pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali».
  Sull'argomento, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti fa presente che il porto di Catania si è sempre distinto positivamente per la pulizia e la gestione dei rifiuti. In data 25 settembre 2008, nell'ambito di un ricorso per inadempimento sottoposto ai sensi dell'articolo 226 CE innanzi alla Commissione delle Comunità europea (causa c-368/07), la VII sezione della suddetta Corte condannava lo Stato Italiano per inadempimento, avendo constatato l'omessa elaborazione e/o applicazione dei piani di raccolta e gestione dei rifiuti in ambito portuale di 19 porti italiani.
  Tra i suddetti porti non risultava invece il porto di Catania, che pure era stato ispezionato ed era risultato pienamente rispondente ai dettami di legge, avendo elaborato il piano di raccolta nei termini previsti dal decreto legislativo n. 182 del 2003 ed avendo individuato il soggetto gestore ex decreto ministeriale n. 1411 del 1994.
  L'autorità portuale di Catania, secondo la normativa vigente, ha provveduto ad elaborare il regolamento denominato «Piano di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui di carico», inviato in data 7 agosto 2004, quindi entro i termini, al commissario straordinario delegato per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque nella regione siciliana per la correlata approvazione, intervenuta con il provvedimento commissariale n. 1307 del 30 dicembre 2005.
  Nelle more di ricevere l'approvazione da parte del predetto commissario straordinario e al fine di velocizzarne l'attuazione, il comitato portuale dell'Autorità procedeva già, con delibera n. 17 del 1o settembre 2005, all'approvazione ed esecuzione del piano di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico e contestuale capitolato speciale di gara per il successivo conferimento del servizio, riservandosi eventuali modifiche e/o integrazioni alla delibera in esito al provvedimento commissariale.
  La preventiva approvazione della delibera n. 17 del 2005 da parte del Comitato ha infatti consentito di procedere speditamente con i successivi passaggi per l'affidamento del servizio non appena pervenuta l'approvazione dell'approvazione del commissario regionale.
  Con il provvedimento n. 52 del 19 dicembre 2008, il presidente dell'autorità portuale autorizzava l'indizione della gara di appalto per l'affidamento in concessione del servizio di interesse generale in argomento nonché per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e trattamento rifiuti e acque di sentina in ambito portuale. A fine concessione ovvero ammortizzati i costi di realizzazione, l'impianto sarebbe stato acquisito tra le pertinenze demaniali. In merito si precisa che l'elaborato progettuale concernente la localizzazione e la tipologia dell'impianto è stato oggetto di apposito iter istruttorio valutato favorevolmente dal comitato portuale nel corso della seduta del 30 giugno 2009. Detto impianto è oggi una funzionante realtà portuale ed è stato oggetto di plauso in occasione della visita di funzionari della corte dei conti dell'Unione europea svoltasi nel febbraio 2016.
  In ordine alla disciplina del servizio di pulizia del sedime e dello specchio acqueo portuali, rientrando tali attività nell'ambito dei servizi di interesse generale, l'Autorità Portuale di Catania ha sempre provveduto a conferire gli stessi mediante appalto pubblico, a valenza biennale o triennale.
  Allo stato la nuova procedura di gara, già definita e aggiudicata, è in fase di stand still, nelle more che si consumi il termine di legge per procedere alla consequenziale redazione e sottoscrizione del contratto. Medio tempore il servizio è garantito dall'appaltatore uscente, tenuto conto che l'essenzialità dello stesso non consente soluzioni di continuità e che la disciplina contrattuale ne prevede l'obbligo.
  L'autorità portuale di Catania segnala inoltre che non ha mai ricevuto segnalazioni di disservizi in ordine alla puntuale raccolta dei rifiuti e in ordine all'espletamento delle attività di tutela e salvaguardia del sedime portuale e del correlato specchio acqueo, né risulta agli atti dell'autorità la richiesta di intervento che sarebbe stata formulata dal COISP.
  Peraltro, eventuali disservizi sarebbero stati immediatamente rappresentati all'Autorità Portuale dai vari soggetti istituzionali presenti in porto per le operazioni di accoglienza migranti. In tali operazioni interviene infatti personale di polizia marittima, della capitaneria di porto, della questura di Catania, della prefettura di Catania, della sanità marittima e Asp, della C.r.i. nonché della protezione civile del comune di Catania.
  Sempre l'autorità portuale fa presente comunque che è garantita la pulizia tempestiva dei punti di ormeggio dove avvengono le operazioni di accoglienza migranti.
  Gli interventi effettuati vengono dichiarati nell'apposita e dettagliata reportistica prodotta dal predetto appaltatore, completa di fotografie e indicazioni circa tempi di intervento, materiale impiegato per la bonifica, tipologia di conferimento e altro. La reportistica è altresì trasmessa alla prefettura di Catania.
  Per completezza di informazioni, si riferisce in ultimo che il servizio di prevenzione degli inquinamenti e di pronto intervento per la bonifica degli specchi acquei nel porto e nella rada di Catania è oggetto della concessione n. 1 in data 24 agosto 2007 della Capitaneria di porto di Catania ed è esercitato dalla società «La Portuale II» nel rispetto della correlata ordinanza n. 74 del 28 agosto 2008.
  Il comando generale del corpo delle capitanerie di porto ha fatto presente che non sono state rilevate circostanze di fatto atte a dimostrare gli asseriti «effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque» per causa degli sbarchi di migranti nel porto di Catania. La tutela dell'ambiente portuale può dirsi, infatti, costantemente monitorata dalla presenza in banchina, per tutta la durata delle operazioni di accoglienza, di personale militare dipendente dalla locale Autorità marittima che, oltre a coadiuvare gli organi di polizia preposti, garantisce anche l'espletamento dei servizi d'istituto propri dell'Autorità marittima, tra i quali è appunto la vigilanza ambientale. Inoltre, non risulta agli atti della capitaneria di porto di Catania alcuna segnalazione relativa ad eventuali problematiche afferenti il servizio di raccolta dei rifiuti e di pulizia delle aree interessate dalle anzidette operazioni, né constano al predetto ufficio marittimo episodi di inquinamento in mare in dipendenza od in relazione alle prefate operazioni.
  Ciò premesso, il comando generale, per il tramite delle sue capillari articolazioni territoriali, continuerà a garantire la piena tutela del mare e dell'ambiente marino e costiero.
  Della questione sono interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BOSCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sembra ormai lontana la definitiva apertura del raddoppio della tanto agognata SS 640 Agrigento-Caltanissetta: per motivi di lavoro chi viaggia quotidianamente alterna sentimenti di rassegnazione e indignazione nel vedere nascere e mutare continuamente deviazioni lungo il tragitto;
   il ponte Petrusa resta ad oggi chiuso (chiusura disposta dall'Anas per un tempo indefinito), creando così enormi disagi per studenti e pendolari provenienti dai paesi prossimi ad Agrigento, in particolar modo per gli automobilisti che viaggiano da Favara in direzione Agrigento, e viceversa;
   il ponte è stato chiuso per una verifica strutturale di cui si attendono i risultati, ma che ad oggi ancora non sono stati comunicati;
   i percorsi alternativi ai quali gli automobilisti sono costretti a causa della chiusura del ponte di Petrusa, sono del tutto inadeguati a sostenere il flusso di veicoli che ogni giorno si dirigono ad Agrigento, in quanto si tratta di percorsi già di per sé dissestati;
   i disagi maggiori causati dalla chiusura del ponte di Petrusa riguardano quanti hanno necessità di raggiungere il quartiere Fontanelle di Agrigento (sede dell'ospedale San Giovanni di Dio), nonché il penitenziario di Petrusa;
   nonostante l'Anas ne avesse comunicato la fine dei lavori entro il mese di dicembre 2016, il primo lotto è ancora sottoposto a lavori che dovrebbero essere completati entro la prossima primavera: lavori che, lo si ricorda, hanno comportato una spesa di 500 milioni di euro;
   il secondo lotto, dal bivio Serradifalco San Cataldo all'imbocco della A 19, è chiaramente più complesso, anche a causa delle gallerie che hanno allungato la durata dei lavori. La previsione di apertura, se non ci saranno imprevisti, è fissata per gennaio 2018. Bisognerà aspettare circa un anno ancora per potere viaggiare spediti sulle due corsie. In questo lotto sono presenti diverse deviazioni: un paio tra Delia e San Cataldo, abbastanza scorrevoli, mentre dopo Caltanissetta la viabilità è compromessa da deviazioni che rallentano di molto il percorso;
   l'Anas precisa che le deviazioni vengono previste in base al bisogno dell'impresa con due obiettivi, accelerare i lavori e cercare di agevolare gli automobilisti nel viaggio, ma purtroppo i disagi non mancano, soprattutto in condizioni meteo non favorevoli, tra neve e lavine di fango che purtroppo rendono viscido e pericoloso l'asfalto;
   per questo lotto il costo si aggira sui 990 milioni di euro e ad influire su di esso è anche la realizzazione delle gallerie Papazzo, Sanfilippo e Caltanissetta;
   anche se inizialmente nel progetto del raddoppio non era stata prevista, la progettazione del raddoppio della strada statale 640 ha posto il problema dell'attraversamento del centro abitato di Caltanissetta, caratterizzata da aree residenziali e commerciali, a est della collina Sant'Elia, sede di recente espansione urbana;
   questo ne ha chiaramente aumentato i tempi di realizzazione, che ad oggi è prevista per gennaio 2018 –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di acquisire nella maniera più rapida possibile i dati relativi alla verifica strutturale del ponte di Petrusa da parte di Anas;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di velocizzare la conclusione dei lavori della strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, tenuto conto degli enormi disagi che la sua mancata completa apertura ad oggi sta creando alla popolazione, costretta ogni giorno ad estenuanti rallentamenti e deviazioni per raggiungere i luoghi di lavoro e di studio.
(4-15388)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente il ripristino della viabilità sul viadotto Petrusa che insiste sulla strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, si comunica quanto pervenuto da ANAS S.p.a.
  La situazione di degrado del viadotto rende necessaria la demolizione e la successiva ricostruzione dell'infrastruttura.
  ANAS riferisce che l'11 marzo 2017 sono iniziati i lavori di demolizione del viadotto Petrusa ricadente sulla strada statale 122 «Agrigentina».
  Per quanto concerne, invece, la fase ricostruttiva, ANAS riferisce che sono in fase di avvio le attività propedeutiche alla realizzazione del nuovo manufatto che potrà essere realizzato non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse finanziarie.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista rilasciata a inizio del mese di marzo 2014 all'inglese «BBC Radio 4» ripresa anche dai media italiani il direttore esecutivo dell'Associazione europea degli zoo e acquari (Eaza) Lesley Dickier ha diffuso i loro dati ufficiali secondo i quali ogni anno negli zoo europei vengono uccisi fra i tremila e i cinquemila animali;
   il numero preciso non è certo, «perché in molti casi nei registri delle morti non viene indicata la motivazione della soppressione» ed è ragionevole pensare che non tutte queste uccisioni vengano effettuate poiché l'animale è gravemente malato e non recuperabile;
   in Italia sono membri dell'Associazione europea degli zoo e acquari (Eaza) Zoomarine (Torvajanica-Roma), Bioparco Zoom Torino, Bioparco Roma, Zoo di Pistoia, Acquario di Napoli, Zoo Punta Verde (Lignano Sabbiadoro-Udine), Acquario di Genova, Zoo di Falconara (Ancona), Zoo Natura Viva di Bussolengo (Verona), parco faunistico La Torbiera (Agrate Conturbia-Novara);
   in Italia la soppressione di un animale in uno zoo, non certificata per gravi e irrimediabili dati medico-veterinari, è sanzionata dall'articolo 544-bis del codice penale con le caratteristiche indicate anche da sentenze della Corte di cassazione che hanno ben definito la definizione di «non necessità», quali la recente pronuncia n. 39053/2013 e la precedente n. 15061/2007 –:
   quale sia il numero degli animali soppressi negli zoo italiani negli ultimi cinque anni;
   quali siano l'età, la specie di appartenenza dei suddetti animali, le condizioni cliniche e le motivazioni alla base della soppressione dei suddetti animali;
   quali altre urgenti iniziative intenda intraprendere per poter esercitare le funzioni di controllo di cui al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73. (4-03945)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla soppressione di animali negli zoo italiani, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 73 del 21 marzo 2005, recante attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, contiene disposizioni puntuali in merito alla salute degli animali presenti nelle strutture.
  Il rispetto delle prescrizioni relative allo stato di salute degli esemplari è verificato nel corso delle ispezioni annuali effettuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e rappresenta una condizione necessaria al mantenimento della licenza di giardino zoologico. Inoltre, le strutture che presentano l'istanza di licenza devono obbligatoriamente dimostrare di essere dotate del personale e delle risorse adeguate a garantire il mantenimento degli esemplari secondo i parametri fissati dal decreto; in caso contrario, la licenza non viene concessa.
  In particolare, il decreto stabilisce che il giardino zoologico debba garantire un'adeguata assistenza veterinaria 24 ore su 24 nell'arco dell'intera settimana e che le condizioni di salute degli animali siano controllate giornalmente. Inoltre, qualsiasi animale risulti in condizioni di stress, malato o ferito deve ricevere immediate cure ed attenzione da parte del medico veterinario.
  In ogni struttura, deve essere previsto un programma di cure veterinarie, che va messo in pratica sotto la supervisione di un esperto medico veterinario. Gli esemplari sono soggetti ad esami di routine e ad interventi di medicina preventiva, come, ad esempio, le vaccinazioni.
  In caso di decesso di un esemplare, le cause della morte, ove possibile, devono essere sempre individuate. Ciò è praticabile, nella maggioranza dei casi, tramite un esame autoptico eseguito da un medico veterinario esperto o da un patologo, dotato di notevole esperienza e specifica formazione.
  Ognuna delle predette operazioni viene svolta da un medico veterinario. Pertanto, non vi è una previsione o un generale esercizio della pratica di eutanasia e di contro esiste un registro in ogni struttura che riporta per ogni esemplare l'entrata nella struttura, le cure, le patologie, gli eventuali trattamenti sanitari, nonché le cause del decesso.
  Durante le visite ispettive effettuate dalla commissione incaricata ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 73 del 2005 questi registri vengono ispezionati e non sono stati rilevati episodi di decessi non motivati e comprovati dalla documentazione necessaria.
  Il predetto quadro normativo, pertanto, garantisce che gli animali siano tenuti in condizioni adeguate, determinate in base alle caratteristiche etologiche di ogni singola specie; ne consegue, che i naturali decessi degli esemplari sono oggetto di sorveglianza da parte dei medici veterinari che operano presso le strutture.
  Da ultimo, si evidenzia, che con riferimento all'elenco delle strutture autorizzate ai sensi del citato decreto legislativo n. 73 del 2005 presentato dall'interrogante, l'Acquario di Napoli «Anton Dhorn» non è struttura autorizzata ed è in corso l’iter di chiusura ai sensi dell'articolo 5 del suddetto decreto.
  Qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio mantenendo alto il livello di attenzione sulle questioni in argomento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUNETTA e CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che nel sussidiario per il V anno delle scuola primaria «Imparo facile» edizione Cetem, nella sezione dedicata alla descrizione dell'organizzazione politica dello Stato, nel far riferimento alla composizione del Senato, sia riportato che i componenti della seconda Camera sono scelti dalle diverse regioni in cui è suddiviso il territorio italiano come se il referendum sulla riforma costituzionale si fosse già svolto e i cittadini avessero già espresso la loro opinione a favore della suddetta riforma;
   secondo gli operatori dell'editoria scolastica questa scelta sarebbe stata obbligata, in quanto i libri adottati non possono essere rivisti nel corso dell'anno scolastico;
   la giustificazione però non sembra fondata e la vicenda appare ancora più grave se si considera il fatto che per tutti gli ordini e gradi di scuola le adozioni devono essere deliberate dal collegio dei docenti nella seconda decade del mese di maggio e, per quanto riguarda le adozioni relative all'anno scolastico 2016-2017 in particolare, sono state comunicate entro il 9 giugno 2016 come previsto dalla nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – n. 3503 del 30 marzo 2016;
   questo caso non è isolato in quanto già nel mese di maggio 2016 la casa editrice Simone editori aveva pubblicato una guida per gli studenti dal titolo La Nuova Costituzione spiegata ai ragazzi che, come esplicitato nel titolo presentava come già approvata la riforma costituzionale; in merito a questo episodio la casa editrice si era impegnata a ritirare dal commercio il volume che era presentato come «Testo che favorisce un primo approccio con la rivoluzione che l'anno prossimo investirà il nostro ordinamento costituzionale», ma la pubblicazione è ancora oggi proposta con una lieve aggiunta nella presentazione nella quale è stato inserito l'avverbio «probabilmente» che comunque rappresenta ad avviso degli interroganti una distorsione della realtà istituzionale del Paese e una forzatura alle dinamiche democratiche che dovrebbero sottendere alla campagna referendaria;
   la legge n. 719 del 1964 prevede che i libri di testo siano forniti gratuitamente a tutti gli alunni delle scuole primarie –:
   quali iniziative intenda assumere la Ministra interrogata per verificare le notizie apparse sulla stampa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, per assicurare la correttezza e l'obbiettività dei testi e del materiale didattico in uso alle scuole e, più in generale, dell'informazione che viene fornita agli studenti. (4-14607)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si sottolinea, in premessa, che l'adozione dei libri di testo rappresenta una delle fondamentali espressioni della libertà di insegnamento e dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Tale adempimento, che rientra tra i compiti attribuiti al collegio dei docenti, sentiti i consigli di classe, coinvolge l'intero corpo docente di ciascuna istituzione scolastica e garantisce una puntuale verifica dei testi e un attento esame di quelli in uso e delle nuove proposte editoriali.
  In particolare, la scelta dei testi avviene, di norma, attraverso una fase preliminare, nel corso della quale si procede a una verifica sia dei testi in uso che di quelli proposti all'attenzione delle scuole da parte degli operatori accreditati dalle case editrici o dalle associazioni di categoria, eventualmente anche nell'ambito di comitati misti docenti, genitori e studenti, in modo tale da valutare compiutamente le nuove proposte editoriali. Effettuata tale valutazione, i docenti interessati per materia, nell'esercizio della responsabilità connessa alla libertà di insegnamento, formulano le proposte di adozione che sono sottoposte, prima dell'esame da parte del collegio dei docenti, ai consigli di classe di cui fanno parte anche i rappresentanti dei genitori.
  Spetta poi ai docenti, nell'espletamento delle proprie funzioni, operare le opportune mediazioni tra i contenuti delle singole discipline di studio e le informazioni presenti nei testi scolastici. I docenti, infatti, possono presentare i contenuti dei libri utilizzando all'occorrenza anche la forma critica e dialettica prendendo, se e quando ritenuto opportuno, le distanze da taluni passaggi dei testi in adozione.
  Peraltro, la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (finanziaria 1999), nel disciplinare, all'articolo 27, la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola secondaria di primo grado, ha abrogato la norma che, limitatamente alla scuola elementare, consentiva al Ministro della pubblica istruzione di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di adozione dei libri di testo nei quali il contenuto o l'esposizione della materia non corrispondessero alle prescrizioni didattiche o alle esigenze educative. La ratio di tale disposizione non può rinvenirsi se non nell'intenzione del legislatore di non interferire in alcun modo nelle opzioni culturali differenziate e nei diversi punti di vista degli autori.
  In ogni caso. l'A.I.E. – Associazione italiana editori – ha definito un proprio codice di autoregolamentazione per assicurare che tutti gli editori associati possano operare in un regime di libero mercato e soprattutto per difendere l'autonomia professionale dei docenti, necessaria alla libertà e alla qualità dell'insegnamento.
  Con specifico riguardo alla segnalazione in argomento, si rappresenta che è prevista a carico degli editori la possibilità di aggiornamento dei testi scolastici, ancorché in uso, in caso di obiettive necessità determinate da sostanziali innovazioni scientifiche o didattiche mediante aggiunta, eliminazione, sostituzione o riedizione di singole parti o sezioni.
  Tutto ciò posto, si rappresenta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso la competente direzione generale, ha preso gli opportuni contatti con l'A.I.E. per richiamare l'attenzione di tutta l'editoria scolastica al pieno rispetto del codice di autoregolamentazione affinché promuova specifiche iniziative volte a garantire il rispetto della veridicità storica nei testi scolastici.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI e SCAGLIUSI. Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. Per sapere – premesso che:
   le indagini e la documentazione prodotta da organizzazioni internazionali come Pax e Recommon quali «Il lato oscuro del carbone», «Profondo nero», «La via del Carbone» riportano come, in Colombia, alcune multinazionali, tra cui Drummond e Prodeco/Glencore abbiano privatizzato le miniere colombiane e nel periodo tra il 1996-2006 i paramilitari abbiano ucciso 3.100 persone e sfollato 55.000 nella regione del Cesar;
   diverse fonti, tra cui un articolo de l'Espresso del 5 maggio 2016 e de Il Manifesto dell'8 maggio 2016 riportano come alcune confessioni di ex capi militari e collaboratori abbiano individuato nei finanziatori e mandanti delle uccisioni le stesse multinazionali che controllano il mercato del carbone nonché evidenziano le ipotesi di illiceità del commercio del carbone tra paradisi fiscali, offshore e società anonime;
   diverse organizzazioni non governative europee, attive nella zona, denunciano il persistere del fenomeno di violenza nella regione della miniera di carbone di Cesar (Colombia) e l'assenza di collaborazione delle compagnie minerarie attive tanto che PAX (in Italia insieme a Recommon) ha scritto una lettera a ENEL, di cui il Ministero delle economie e delle finanze è il maggior azionista, e alle altre imprese del settore energetico europeo per richiedere la sospensione delle relazioni commerciali con Drummond e Prodeco/Glencore finché non si prendano misure sulla violenza perpetuata nel Cesar, come già fatto dall'azienda energetica danese DONG che ha annunciato la sospensione delle trattative con Prodeco/Glencore;
   il 26 maggio 2016, così come emerge da fonti stampa, durante l'AGM dell'Enel l'amministratore delegato dell'Enel Francesco Starace ha espresso l'intento dell'azienda di condurre un'indagine tesa a verificare le violazioni segnalate in Colombia ed eventualmente sottrarsi dalle relazioni commerciali, così come già fatto dall'azienda DONG;
   l'Italia è tra gli importatori del carbone dalla Colombia, in particolare dalla regione del Cesar almeno dal 2005, tramite ENEL –:
   se non sia opportuno che il Governo adotti ogni utile iniziativa, per quanto di competenza, al fine di:
    a) verificare gli eventuali sviluppi dell'indagine annunciata dall'amministratore delegato dell'Enel, con attenzione alla comprovata imparzialità della stessa;
    b) sollecitare la sospensione degli accordi con le compagnie accusate di violenza, affinché si prendano misure contro la violenza perpetuata nel Cesar e si possa pervenire da parte dell'impresa Drummont, ove i fatti fossero confermati, alla messa in atto di un piano d'azione volto alla compensazione delle vittime;
    c) verificare le supposte illiceità finanziarie in merito al commercio del carbone tra Colombia ed Italia. (4-13233)

  Risposta. — La Colombia è stata teatro. per quasi 50 anni, di un durissimo conflitto armato interno che ha visto contrapposte forze armate, formazioni paramilitari ed eserciti guerriglieri (Farc-Eln). Tale periodo è stato caratterizzato da violazioni dei diritti umani su entrambi i fronti, con il prezzo più alto pagato dalla popolazione civile (5,5 milioni di sfollati interni, 800.000 omicidi, 35.000 sequestrati). La guerra civile ha reso possibile lo sviluppo ramificato di organizzazioni criminali legate al narcotraffico che hanno spesso alimentato lo stesso conflitto armato interno.
  Il Presidente colombiano Santos ha fatto della finalizzazione dell'accordo di pace con le Farc uno degli obiettivi politici principali del suo secondo mandato. L'accordo in parola (firmato il 26 settembre 2016 a Cartagena, modificato e nuovamente firmato dopo il sorprendente No al
referendum del 2 ottobre 2016) è entrato in vigore dopo la ratifica parlamentare ad inizio dicembre; è attuato sotto il monitoraggio delle Nazioni Unite con l'auspicio che si stabiliscano le premesse per un periodo di riconciliazione e ricostruzione post conflitto. In tale prospettiva lasciano ben sperare i negoziati del Governo con il secondo gruppo guerrigliero, l'Eln «Esercito di Liberazione Nazionale», avviati a Quito il 7 febbraio 2017.
  In un quadro in cui il conflitto interno, l'insorgenza armata, il paramilitarismo e il narcotraffico hanno causato drammi e violenze in tutto il Paese, in un contesto in cui il Governo principale non riusciva a garantire il controllo effettivo del territorio in tutte le aree della Colombia, il settore minerario non è risultato immune da episodi anche gravi di violenze, sfollamenti illegittimi e pratiche intimidatorie, che si spera possano essere compiutamente superate nella fase di normalizzazione in atto.
  L'industria mineraria, e in particolare l'estrazione del carbone, rappresenta una delle più importanti industrie della Colombia, tra le prime voci di esportazione e fonte di entrate per lo Stato, generatrici di sviluppo e di impiego per la popolazione. La Colombia è il quarto esportatore mondiale di carbone per produzione elettrica, larga parte del quale è destinato al mercato europeo.
  Il Governo colombiano, nel contesto del complessivo sforzo di pacificazione del Paese e recupero del controllo effettivo del territorio, ha posto in essere misure volte ad incoraggiare lo sviluppo legale e regolamentato di tale importante settore produttivo, con attenzione ovviamente agli impatti ambientali e sociali. Tuttavia, anche a causa della perdurante situazione di conflittualità interna, il settore continua a patire il fenomeno delle miniere sfruttate illegalmente, che costituisce una delle fonti di arricchimento delle organizzazioni eversive e criminali, nonché è stato la principale fonte di ricavi delle Farc assieme al narcotraffico.
  Il Governo italiano segue con attenzione l'evoluzione del settore minerario e il comportamento delle compagnie minerarie in esso operanti, in raccordo con le istanze europee che hanno instaurato un dialogo politico con la Colombia incentrato anche sui diritti umani.
  In termini generali, il Governo italiano prende atto del forte impegno di pacificazione del Governo colombiano e lo sostiene attivamente, finanziando, tra l'altro, con 3 milioni di euro il
Trust Fund europeo per la ricostruzione post-conflitto e confida che tale processo di pace possa comprendere anche l'accertamento efficace di eventuali violazioni perpetrate negli anni passati. Il Governo italiano continuerà ad incoraggiare sia bilateralmente, che in seno all'Unione europea, il rafforzamento di standard di legalità e trasparenza che coinvolgano il settore dell'estrazione mineraria.
  Per quanto concerne le imprese che operano legalmente in tale delicato settore, si sono registrati confronti sindacali anche molto tesi che hanno attirato l'attenzione di media e Ong. In alcuni casi sono in atto indagini della magistratura, per supposti danni ambientali e per supposte dirette o indirette connessioni con il fenomeno dello sfollamento e del paramilitarismo.
  Le imprese oggetto di questa interrogazione – Drummond e Prodeco/Glencore – sono le due principali multinazionali che operano in Colombia nel settore del carbone. Secondo quanto verificato dalla nostra ambasciata e confermato da indagini effettuate da Ong italiane di settore, non risultano sentenze giudiziali in merito a responsabilità dirette della dirigenza delle due società per violenza, sfollamento o connessione con il paramilitarismo nella regione del Cesar.
  Il gruppo Enel, in linea con l'operato delle principali
utilities europee, importa carbone dalla Colombia per alcuni dei propri impianti, utilizzando come fornitori anche le aziende Drummond e Glencore (Prodeco).
  Tutti i fornitori di carbone dell'Enel – assicurano i vertici del gruppo – rispettano requisiti tecnico-commerciali allineati ai migliori standard di mercato. Per ogni controparte viene effettuato un controllo di non appartenenza a specifiche «
Black list» stilate in ambito Onu, Unione europea e Ofac, che identificano organizzazioni soggette a sanzioni e ciascun contratto viene concluso nel rispetto delle leggi e normative applicabili. Enel dispone inoltre di una policy interna che stabilisce che i contratti di fornitura prevedano specifiche clausole che impegnano i fornitori a rispettare i principi del codice etico di Enel, pena la risoluzione del contratto.
  A seguito della pubblicazione dei rapporti Somo e Pax del 2014, Enel ha avviato degli approfondimenti per verificare – sia negli Stati Uniti che in Colombia – lo stato complessivo delle indagini e dei processi sui fatti contestati. È risultato che le vicende giudiziarie che hanno visto coinvolta la Drummond in Usa hanno finora dato luogo a giudizi favorevoli a Drummond stessa, mentre in Colombia risulterebbero ancora in corso delle indagini. Inoltre, l'avvocato che ha promosso diversi casi contro Drummond sarebbe stato, nel 2015, giudicato colpevole di false dichiarazioni e pagamenti non dichiarati verso testimoni. Sulla base di quanto precede, Enel non ha finora ritenuto che vi fossero le condizioni per avviare specifiche azioni nei confronti dei fornitori interessati.
  Per quanto concerne invece la rispondenza delle attività minerarie a standard di sostenibilità, nel 2012, è stata costituita dalle principali compagnie energetiche europee «Bettercoal», un'associazione
no profit per promuovere la diffusione di più elevati standard di sostenibilità all'interno dell'industria estrattiva del carbone, al fine di renderla sempre più rispettosa dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Bettercoal ha effettuato nel 2014 un audit sulle miniere Drummond dal quale non sono emerse criticità di rilievo.
  Ciononostante, Enel informa di aver effettuato nel luglio 2014 una visita sul campo, dopo una serie di incontri preparatori svoltisi in Italia e in Colombia. La delegazione, composta da esperti di gestione mineraria, sostenibilità, ambiente e relazioni con le comunità, ha analizzato procedure e istruzioni operative su ambiente, salute e sicurezza sul lavoro, relazioni sindacali e gestione delle risorse umane e ha incontrato, oltre ai rappresentanti di Drummond, numerosi
stakeholder locali, rappresentanti della comunità, della Pax e rappresentanti delle diverse organizzazioni sindacali. Tutti gli interlocutori avrebbero espresso grande apprezzamento per la visita di Enel e per la volontà dalla stessa dimostrata di dare un contributo positivo allo sviluppo e al miglioramento delle attività minerarie nella regione. La visita ha evidenziato una solida gestione operativa degli impianti, un'attenta gestione della salute, della sicurezza sul lavoro e del sistema ambientale. Sono stati illustrati inoltre i numerosi progetti sociali sviluppati da Drummond nell'area.
  Tra gli aspetti critici riscontrati spiccano: il degrado sociale di alcune realtà urbane limitrofe agli impianti, legato alla presenza di un alto numero di lavoratori non originari della zona; contenziosi ambientali legati in particolare alla dispersione delle emissioni e alcune criticità nelle relazioni sindacali.
  Non sarebbe emersa una conflittualità legata alla presenza dell'industria carbonifera in sé: sarebbe stato espresso da tutti gli interlocutori l'auspicio che Enel non interrompa i rapporti contrattuali con Drummond (anche per le ricadute che ciò avrebbe sulle comunità locali), ma possa proseguire, al contrario, il dialogo per portare alla luce gli elementi critici e stimolare ulteriori progressi nelle relazioni con la comunità.
  Rispetto alle vicende del passato, legate alla presenza di organizzazioni paramilitari, Drummond ha ribadito la sua estraneità ai fatti e si è dichiarata aperta e disponibile a continuare il dialogo con il Governo colombiano per l'attuazione dell'accordo di pace.
  Alla luce di quanto sopra, Enel ha fatto sapere che intende proseguire il suo impegno attivo, nel fare in modo che Drummond adotti misure addizionali rispetto alle criticità emerse e prosegua così nel percorso di miglioramento intrapreso. In questo senso, è stata già inviata una lettera a Pax per condividere i principali risultati emersi e invitare i rappresentanti dell'organizzazione ad un incontro di approfondimento.
  Al contempo, è iniziata la ricerca di fonti di fornitura alternative, da applicare nel caso in cui emerga nei prossimi mesi un deterioramento della situazione o una mancanza di progressi nelle aree oggetto di attenzione.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   CARIELLO, L'ABBATE, SCAGLIUSI, D'AMBROSIO, BRESCIA e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso l'ufficio ecologia della Regione Puglia è in corso la valutazione di impatto ambientale per il progetto di realizzazione della condotta sottomarina di scarico dei reflui dei comuni di Bisceglie, Corato, Moffetta, Ruvo e Terlizzi in località Torre Calderina, oasi protetta di migrazione avifaunistica, con sbocco sottomarino nell'area del sito SIC Parco nazionale della Posidonia oceanica San Vito di Barletta redatto dalla direzione industriale, progettazioni e costruzioni di Acquedotto Pugliese spa;
   i quattro impianti di depurazione coinvolti e serviti dalla realizzazione a progetto di canalizzazione sottomarina succitata sono stati nel tempo recente tutti coinvolti da indagini e sequestri su disposizioni della magistratura locale – procura della Repubblica di Trani – e specificatamente: l'impianto che serve la città di Bisceglie sequestrato nel settembre 2013, per la presenza nelle acque emerse del pericoloso batterio Escherichia Coli VTEC 026 principio causale dell'infezione della sindrome emolitica udremica; l'impianto che serve la città di Corato sequestrato nell'ottobre 2013, per inosservanza della normativa sugli scarichi e superamento dei limiti tabellari (secondo Tab. 4 Allegato 5 parte terza del decreto legislativo 152 del 2006 da dati ARPA Puglia e analisi da prelievi effettuati da parte delle guardie per l'ambiente locali e acquisiti nel procedimento), sequestro effettuato dal nucleo di polizia giudiziaria della capitaneria di porto guardia costiera di Bari; l'impianto che serve la città di Molfetta sequestrato nel maggio 2012 e nel luglio 2013, per inosservanza della normativa sugli scarichi (Tab. 1 Allegato 5 parte terza del decreto legislativo 152 del 2006), sequestro effettuato dalla capitaneria di Porto di Bari e Guardia di finanza di Barletta; rimpianto consortile che serve le città di Ruvo e Terlizzi sequestrato nell'ottobre 2011 e nel settembre 2012, per scarico nella falda freatica di acque non depurate accertato dal Corpo forestale dello Stato comando stazione Ruvo di Puglia;
   nel marzo 2010 sono stati ultimati i lavori a completamento dell'impianto di affinamento e riutilizzo in agricoltura delle acque reflue per gli impianti di Molfetta e Ruvo-Terlizzi. L'impianto non è mai entrato in esercizio e dunque risulta abbandonato da quattro anni anche a causa dell'inosservanza dei parametri stabiliti dalla normativa vigente decreto legislativo 152 del 2006 sui limiti dello scarico da parte degli impianti depuratori di Molfetta e Ruvo-Terlizzi»;
   la legge di stabilità 2014 «Legge 27 dicembre 2013, n. 147», al comma 116 dell'articolo 1 ha previsto l'inserimento dell'area marina delle Grotte di Ripalta-Torre Calderina nonché di quella di Capo Milazzo nell'ambito delle aree in cui possono essere istituiti parchi marini o riserve marine indicate dall'articolo 36, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, (legge quadro sulle aree protette), ovvero inserimento tra le aree marine di reperimento, autorizzando una spesa di 500,000 euro per l'anno 2014 e di 1 milione di euro per il 2015;
   la citata legge 6 dicembre 1991, n. 394, al comma 2 dell'articolo 6, recante «Misure di salvaguardia» recita che dalla pubblicazione del programma fino all'istituzione delle singole aree protette operano direttamente le misure di salvaguardia di cui al comma 3 «Sono vietati (fuori dei centri edificati di cui all'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati), l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta»;
   ciononostante, la provincia di Bari, con delibera del consiglio provinciale n. 16 del 20 settembre 2013, ha approvato la riduzione dell'area protetta dell'oasi avifaunistica di Torre Calderina dichiarando edificabile una superficie su cui oltre ai divieti citati si devono aggiungere i divieti di inedificabilità, perché trattasi di aree sottoposte ad ulteriore vincolo paesaggistico in quanto appartenenti alle fasce di rispetto di Lama Marcinase (già Marcianise) posta, dai regi decreti del 1902 e del 1904 negli elenchi delle acque pubbliche italiane e di superfici dichiarate aree a forte rischio idrogeologico dal PAI (parere di assetto idrogeologico redatto dalla AdB (autorità di bacino) della legione Puglia del 2005) e dal PAI di cui alla delibera AdB n. 11 del 20 aprile 2009;
   la condotta dei reflui dei citati comuni viene realizzata oltre che nell'area della oasi protetta avifaunistica di Torre Calderina anche nel sito SIC (sito di interesse comunitario) denominato parco nazionale della Posidonia oceanica San Vito di Barletta –:
   se non ritenga urgente e doveroso verificare la compatibilità dell'opera prevista da parte di Acquedotto Pugliese spa, della condotta sottomarina per lo scarico dei reflui delle città di Bisceglie, Corato, Molfetta, Ruvo, Terlizzi (per un totale di 60536 mc/d di reflui) e relativo impianto di pompaggio da 1000 metri quadrati e torrino piezometrico di 6,5 metri quadrati di altezza, con il sito SIC del parco nazionale della posidonia oceanica San Vito di Barletta, nonché con l'istituenda area marina protetta Grotte di Ripalta – Torre Calderina, ai sensi del novellato articolo 36, comma 1, lettera ee-quinquies, della legge 6 dicembre 1991, n. 394;
   se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza ai fini della tutela delle superfici dichiarate acque pubbliche considerando che è stata approvata una riduzione dell'area protetta di cui alla delibera già citata, in corrispondenza del Lama Marcinase (già Marcianise) che risulta inserito nell'elenco delle acque pubbliche. (4-04706)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalle apposite direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Con l'accordo di programma quadro (APQ) denominato «Depurazione», sottoscritto nel mese di aprile 2013, sono stati programmati n. 60 Interventi di adeguamento/potenziamento di impianti di depurazione e di alcuni recapiti finali, così come previsti nel piano di tutela delle acque (PTA) della regione Puglia, per un importo complessivo di 265,14 milioni di euro, di cui 260,86 milioni di euro a valere sul fondo di sviluppo e coesione (FSC) 2007/2013 ed i restanti 4,28 milioni di euro a carico dei proventi tariffari del Servizio Idrico Integrato.
  L'accordo ha per oggetto, sostanzialmente, la realizzazione degli interventi finanziati con le deliberazioni Cipe 62/2011, 60/2012, 79/2012 e 87/2012.
  Tra gli interventi menzionati, vi sono i progetti relativi ai seguenti impianti di depurazione:
   potenziamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Bisceglie;
   potenziamento e adeguamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato Ruvo di Puglia-Terlizzi;
   potenziamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Corato;
   realizzazione della condotta sottomarina di scarico dei reflui depurati dei comuni di Bisceglie, Corato, Molfetta, Ruvo di Puglia e Terlizzi in località Torre Calderina (Molfetta).

  Le acque in uscita dall'impianto di depurazione di Molfetta sono attualmente immesse nel Mare Adriatico, in agro di Molfetta, località Torre Calderina, con scarico in battigia.
  Con determinazione dirigenziale n. 36 del 6 marzo 2014, la regione Puglia ha autorizzato l'acquedotto Pugliese (AQP) s.p.a., ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 22 della legge regionale n. 18 del 2012, all'esercizio dello scarico provvisorio in mare, località Torre Calderina, delle acque reflue rivenienti dall'impianto di trattamento a servizio dell'agglomerato di Molfetta, nelle more della realizzazione della condotta sottomarina, stabilendo espressamente l'assunzione della gestione dell'impianto di depurazione da parte dell'Aqp s.p.a. e l'avvio dei lavori di rifunzionalizzazione ed adeguamento dell'impianto.
  Pertanto, rilevato che l'intervento in oggetto persegue il raggiungimento dell'obiettivo principale, quale il miglioramento del trattamento di depurazione aumentando l'efficienza, sia attraverso tecnologie più moderne, sia attraverso il potenziamento di quelle esistenti, garantendo il rispetto dei limiti di legge con effetti positivi sulle diverse componenti ambientali, anche in considerazione della prossima realizzazione della condotta sottomarina, la provincia di Bari, con determinazione dirigenziale n. 3147 del 23 aprile 2014, a conclusione dell’iter istruttorio svolto, ha deciso di escludere dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il progetto di rifunzionalizzazione ed adeguamento dell'impianto di depurazione dell'agglomerato di Molfetta, ubicato in località «Lago Tammone», fatto salvo l'adempimento delle seguenti prescrizioni:
   entro il termine di ultimazione dei lavori, l'Aqp dovrà trasmettere alla provincia un dettagliato piano di monitoraggio comprensivo anche di elaborati grafici in cui siano riportati chiaramente i punti di installazione degli autocampionatori rispetto alle stazioni di trattamento, la tipologia e frequenza dei rilievi e la rete per il controllo delle emissioni in atmosfera;
   i certificati di analisi dovranno essere resi pubblici sulla rete e trasmessi mensilmente alla provincia per una verifica del rispetto dei limiti tabellari;
   tenuto conto della prossimità dell'impianto all'abitato di Molfetta e che attualmente lo scarico avviene in battigia, si ritiene necessario predisporre un adeguato sistema di monitoraggio sia della qualità del refluo scaricato in mare che dello stato di salute del prospiciente SIC mare «Posidonieto San Vito-Barletta IT 9120009».

  Per i predetti lavori di rifunzionalizzazione, consegnati il 23 marzo 2015, secondo l'ultimo cronoprogramma aggiornato trasmesso da Aqp S.p.a., è stato previsto il termine entro il mese di febbraio 2017.
  Quanto all'impianto di depurazione di Corato, a seguito dei sopralluoghi ed approfondimenti specificatamente condotti e finalizzati a verificare la rispondenza funzionale all'attualità del complesso impiantistico, sono state riscontrate situazioni di criticità sostanziale, per quanto concerne il funzionamento della rete fognaria e l'aumento del carico organico-idraulico.
  Ciò ha determinato una vera e propria insufficienza dimensionale dell'impianto. Stante la situazione sopra riscontrata, al fine di conseguire un potenziamento/adeguamento impiantistico conforme al Pta, sono stati progettati da Aqp s.p.a. alcuni interventi necessari al potenziamento delle fasi del pretrattamento, dell'equalizzazione, della sedimentazione primaria, dell'intero comparto biologico (reattore anossico, aerobico, sedimentazione secondaria, ricircoli etc.) ed infine della linea fanghi, per un importo complessivo di circa 6.000.000,00 euro, a valere, come si è detto, su fondi finanziati con deliberazione Cipe n. 62/2011 nell'ambito dell'Apq «Depurazione».
  Con determinazione dirigenziale n. 77 del 7 marzo 2014, il servizio ecologia della regione Puglia, sulla scorta dell'istruttoria amministrativa espletata dall'ufficio e dell'istruttoria tecnica svolta dal comitato regionale per la VIA, ha escluso dalla procedura di valutazione di impatto ambientale per l'intervento il «Progetto di potenziamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Corato (BA)».
  Per i predetti lavori di potenziamento, consegnati il 3 dicembre 2015, secondo l'ultimo cronoprogramma aggiornato trasmesso da Aqp s.p.a., è stato previsto il termine entro il mese di febbraio 2017.
  Tra gli interventi nell'ambito dell'Apq «Depurazione» precedentemente indicati, ricade anche quello relativo al potenziamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Ruvo di Puglia/Terlizzi.
  Per l'intervento di «Potenziamento/adeguamento del depuratore esistente di Ruvo di Puglia (BA)», pari a complessivi 4.700.000,00 euro, la copertura finanziaria è stata garantita tramite Deliberazione Cipe n. 62 del 2011.
  La regione Puglia evidenzia che le scelte progettuali adottate scaturiscono dall'analisi del processo di trattamento esistente, della tipologia dei reflui veicolati in fogna e delle peculiarità del depuratore in esame, oltre che dal contesto normativo e pianificatorio nazionale e regionale (previsioni di PTA).
  L'obiettivo è consentire il trattamento del carico generato pari a 70.965 AE., con effluente compatibile con la tabella 4 di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, essendo il recapito finale la Lama dell'Aglio. In futuro, dovendo avere come recapito il mare Adriatico, a mezzo condotta sottomarina, il refluo potrà conformarsi ai limiti della tabella 1 di cui al predetto decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Con determinazione dirigenziale n. 141 del 24 aprile 2014, il servizio ecologia della regione Puglia, sulla scorta dell'istruttoria amministrativa espletata dall'ufficio e dell'istruttoria tecnica svolta dal comitato regionale per la VIA, ha escluso dalla procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento in questione.
  I predetti lavori di potenziamento, consegnati il 16 ottobre 2015, secondo l'ultimo cronoprogramma aggiornato trasmesso da Aqp s.p.a., si sono conclusi nel mese di novembre 2016.
  L'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Bisceglie, invece, è ubicato in via Lama di Macina, nelle immediate vicinanze del centro urbano della Città di Bisceglie.
  L'obiettivo è potenziare l'impianto di depurazione da 67.579 AE a 85.714 AE, così come prescrive il piano di tutela delle acque.
  A tale scopo è stato progettato un intervento di potenziamento dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Bisceglie, finanziato con fondi di cui alla deliberazione Cipe n. 62/2011, per un importo complessivo di euro 3.000.000,00.
  La predetta progettazione ha tenuto conto delle prescrizioni e delle osservazioni dei vari Enti interessati nell'ambito del procedimento VIA che si è concluso con determinazione del servizio ecologia della regione Puglia n. 195 del 2 luglio 2014, che dispone l'esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale.
  Per i predetti lavori di potenziamento consegnati il 15 dicembre 2015, secondo l'ultimo cronoprogramma aggiornato trasmesso da Aqp s.p.a., è stato previsto il termine entro il mese di gennaio 2017.
  Per quanto concerne gli impianti di affinamento di Molfetta e Ruvo/Terlizzi, la regione Puglia, di concerto con l'autorità idrica pugliese (AIP), in ottemperanza alle prescrizioni contenute nel Pta, ha incaricato l'Aqp s.p.a. affinché sviluppasse il progetto di «Realizzazione della condotta sottomarina di scarico dei reflui depurati dei comuni di Bisceglie, Molfetta, Ruvo di Puglia e Terlizzi, in località Torre Calderina (Molfetta)».
  L'intervento in parola è stato finanziato, come già detto, nell'ambito dell'Apq «Depurazione» sottoscritto nel 2013, a valere sulle risorse FSC 2007/2013 di cui alla delibera Cipe n. 61/2011, per l'importo del progetto preliminare pari ad euro 6.000.000,00 in favore del soggetto gestore del servizio idrico integrato, acquedotto pugliese s.p.a.
  La condotta sottomarina consentirà di completare l'adeguamento degli scarichi degli impianti depurativi a servizio dei citati abitati, il cui recapito sarà costituito, come previsto dal Pta, dal mare Adriatico, previo allontanamento dalla costa mediante realizzazione di idonea condotta sottomarina.
  Attualmente, sussistono tre tratti di costa interdetti alla balneazione: due ai sensi dell'articolo 12 comma b) del R.R. 5/89, per gli scarichi in battigia degli impianti di Molfetta e Bisceglie ed uno imposto dal comune di Bisceglie sul tratto di costa interessato dallo sbocco a mare del canale dove scarica il depuratore di Corato. Complessivamente trattasi di almeno 3.000 metri su un totale di circa 7,5 chilometri di costa tra Molfetta e Bisceglie.
  Gli scarichi nei canali dei depuratori di Corato e Ruvo/Terlizzi impongono attualmente anche il divieto di emungimento di acqua nel raggio di 500 metri per uso non potabile e di 1.000 metri per uso potabile.
  Lo schema futuro, generando vantaggi ambientali e sociali, permetterebbe la riapertura alla balneazione, e quindi all'uso, di almeno 3 chilometri di costa, nonché la riqualificazione generale dell'intero tratto di costa tra Molfetta e Bisceglie, con conseguente eliminazione del divieto di emungimento nella fascia di rispetto dal punto di scarico dei depuratori di Corato e Ruvo/Terlizzi nei rispettivi canali.
  A comforto di quanto detto, la regione segnala che, con nota prot. n. 674 del 4 marzo 2015 della sezione attuazione del programma della regione Puglia, è stato trasmesso il parere positivo n. 334 del 2 marzo 2015 rilasciato dal Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici (NVVIP) della regione Puglia, riguardante l'analisi costi-benefici per l'intervento in parola, ai sensi della legge regionale n. 4 del 2007.
  Il nucleo ha stabilito che la realizzazione dell'intervento comporta una riduzione stimata dei costi sociali per i 311.398 AE di circa 7,8 milioni di euro ad anno.
  Nell'ambito della procedura di VIA cui l'intervento è stato sottoposto in fase di progettazione preliminare, è stato inoltre necessario, a seguito di specifiche prescrizioni tecniche e ambientali del comitato VIA della regione Puglia per il rilascio del relativo parere, apportare delle modifiche al progetto preliminare rappresentate da un incremento dell'importo progettuale pari a euro 7.000.000,00. Pertanto, l'importo totale di progetto rivisitato a marzo 2014 è risultato pari a euro 13.000.000,00.
  Con delibera della giunta regionale n. 1651 del 26 ottobre 2016, nell'ambito dell'attività di rimodulazione complessiva dell'Apq innanzi indicato ed approvato dalle amministrazioni competenti, la regione Puglia ha garantito l'intera copertura finanziaria pari a euro 13.000.000,00 a valere sulle risorse di cui alla Delibera Cipe n. 62/2011 – FSC 200712013 per l'intervento in parola.
  Inoltre, nella progettazione definitiva sono state adottate misure volte a valorizzare la qualità ambientale di quest'area e a minimizzare l'impatto delle opere di nuova realizzazione, in accordo con le indicazioni espresse dal comitato VIA della regione Puglia nella seduta del 29 luglio 2013.
  In relazione alla compatibilità ambientale dell'opera, con determinazione del dirigente – sezione autorizzazioni ambientali del 18 novembre 2016, n. 192, recante «decreto legislativo n. 152/06 e successive modificazioni e integrazioni, legge regionale n. 11/01 e successive modificazioni e integrazioni – valutazione di impatto ambientale, valutazione di incidenza e autorizzazione paesaggistica – realizzazione condotta sottomarina scarico dei reflui depurati dei comuni di Bisceglie, Corato, Molfetta, Ruvo e Terlizzi in località “Torre Calderino” in agro di Molfetta – proponente acquedotto pugliese s.p.a. Via Cognetti, 36 – Bari», la competente regione Puglia ha provveduto a rilasciare parere di compatibilità ambientale del progetto, con annessa valutazione di incidenza.
  Nello specifico il parere tecnico sul progetto è stato reso dal Comitato Via e Vinca della regione Puglia nella seduta del 12 aprile 2016 ed acquisito al protocollo del servizio ecologia regionale n. AOO_089_6417 del 25 maggio 2016.
  Pertanto risulta che, nell'ambito della propria discrezionalità tecnica, l'Autorità regionale abbia proceduto alla valutazione delle interferenze correlate alla realizzazione dell'opera sul sito Natura 2000 SIC IT9120009 «Posidonieto San Vito-Barletta», in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE «Habitat» e dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni.
  Per quanto concerne, invece, la compatibilità ambientale della condotta sottomarina con l'area marina di reperimento «Grotte di Ripalta-Torre Calderina», si evidenzia che, alla luce dell'istruttoria tecnica condotta dall'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), la realizzazione di detto intervento è valutata come positiva alla ripresa ecologica ed al miglioramento degli habitat marini presenti nell'area.
  Si segnala, inoltre, che in data 11 agosto 2014, l'Aqp s.p.a. ha pubblicato il bando (G.U.R.l. n. 91 dell'11 agosto 2014) «per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori di realizzazione della condotta sottomarina di scarico dei reflui depurati dei comuni di Bisceglie, Corato, Ruvo, Terlizzi e Molfetta in località Torre Calderina (Molfetta)».
  Il valore stimato dell'appalto posto a base d'asta è di euro 12.196.133,64.
  Con il provvedimento n. 124629 del 22 dicembre 2014 Aqp s.p.a. ha disposto l'aggiudicazione dell'appalto in favore della ATI «IGECO S.p.a. – COGIT».
  Attualmente sono in corso da parte di Apq s.p.a. le attività propedeutiche per il concreto avvio dei lavori secondo il seguente cronoprogramma:
   1. 15 gennaio 2017 Approvazione progetto definitivo;
   2. 31 marzo 2017 Approvazione progetto esecutivo;
   3. 1°aprile 2017 Consegna dei lavori;
   4. 1°aprile 2018 Ultimazione dei lavori;
   5. 2 ottobre 2018 Collaudo tecnico amministrativo e avvio all'esercizio.

  Con riferimento a tale cronoprogramma, nella nota prot. AOO_075/000 del 10 febbraio 2017, la regione Puglia ha specificato che l'aggiudicazione della progettazione esecutiva e dei lavori da parte di Aqp s.p.a., intervenuta nel dicembre 2014 (ai sensi dell'articolo 53, comma 2, lettera c) del decreto legislativo n. 163 del 2006, in vigore al momento della gara, ed oggi abrogato dal decreto legislativo n. 50 del 2016), è riferita all'appalto integrato complesso, con lo svolgimento della gara effettuata sulla base di un progetto preliminare, nonché di un capitolato prestazionale corredato dall'indicazione delle prescrizioni, delle condizioni e dei requisiti tecnici inderogabili, con l'offerta avente ad oggetto il progetto definitivo ed il prezzo.
  L'approvazione del progetto definitivo da parte della stazione appaltante interviene solo successivamente alle procedure di Via-Vinca, attivate proprio sul progetto definitivo acquisito in esito alla procedura di gara espletata, dove si tiene conto delle prescrizioni intervenute in sede di detta procedura di compatibilità ambientale.
  Nel caso specifico, così come già evidenziato, la procedura Via-Vinca, attivata nel 2015 da Aqp s.p.a. presso la competente struttura della regione Puglia, si è conclusa con D.D. n. 192 del 18 novembre 2016, e da qui la programmata approvazione del progetto definitivo nel gennaio 2017 e del progetto esecutivo nel marzo 2017.
  Allo stato, sono in fase di ultimazione le verifiche da parte di Aqp s.p.a. sul progetto definitivo adeguato alle prescrizioni Via, preventive alla richiesta di approvazione del progetto stesso da parte dell'ente di governo d'ambito del servizio idrico integrato.
  Qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'opinione diffusa e condivisa degli esperti dell'aviazione civile italiana e siciliana, il piano regionale trasporti della Sicilia, e in particolare la parte relativa al trasporto aereo-aeroporti, dovrebbe essere adeguato agli sviluppi ed alle prospettive di crescita del settore;
   con i finanziamenti provenienti dal PON Sicilia trasporti APQ 2000 2006 e con i fondi per le «aree depresse», pari a circa 350 milioni di euro, si sono realizzate opere rilevanti per gli scali aeroportuali di Catania (nuova aerostazione, nuove vie di rullaggio per la circolazione a terra degli aeromobili più idonea, ammodernamento tecnologico e infrastrutturale della Torre di controllo e altro), di Palermo (opere land side ed airside), di Trapani, Lampedusa e Pantelleria, oltre a consistenti iniziative per la trasformazione in scalo civile dell'aeroporto di Comiso;
   l'aeroporto di Catania serve oltre 7 milioni di passeggeri con una sola pista lunga 2.400 metri;
   con una pista di più di 3 chilometri e con una maggiore resistenza dell'attuale, potrebbero operare velivoli molto più capienti e pesanti, come ad esempio l'Airbus-380;
   da una nota tecnica emerge che per operare con velivoli pesanti del tipo A-380 è necessaria una pista di almeno 3.270 metri, lunghezza minima per poter operare con un carico pari ai 2/3 di quello massimo;
   è noto che l'ultima ipotesi progettuale preveda lo spostamento del nodo ferroviario della Bicocca per consentire una pista idonea a decolli e atterraggi di velivoli pesanti e a pieno carico;
   altre ipotesi con piste al di sotto di 3 mila metri e che risalgono a progetti di decenni addietro, non sarebbero più idonee viste le esigenze aeronautiche che si prevedono nei prossimi 15 anni;
   è noto che i movimenti aerei possono diminuire in uno scalo, con velivoli con una capienza di passeggeri più elevata per ogni volo e che questi determinano una serie di vantaggi sia operativi che economici;
   la progettazione, il finanziamento e la realizzazione di una tale opera infrastrutturale è, ormai, indifferibile se non si vuole perdere il primato aeronautico attuale dello scalo di Catania;
   i tempi per la costruzione di una pista con caratteristiche idonee alle attuali e future esigenze dell'aeroporto di Catania sono pari ad almeno 3 anni e tenendo conto che nel prossimo decennio il numero dei passeggeri che si muoverà da e per Catania potrebbe superare i 12 milioni, occorre intervenire per procedere a un adeguamento dello scalo catanese anche sull'ampliamento dell'area parcheggi degli aeromobili, sull'adeguamento della vecchia aerostazione, su tutte le altre infrastrutture viarie adeguate da e per lo scalo –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il ministro interrogato affinché possa essere risolta la problematica esposta in premessa. (4-15273)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni comunicate dalla direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo di questo Ministero e dall'ente nazionale per l'aviazione civile.
  Va premesso che le scelte riguardanti le tipologie di velivoli operanti su determinate rotte riguardanti esclusivamente le scelte operative e commerciali delle compagnie aeree le quali, una volta stabilita l'operatività su una determinata rotta, impiegano i propri velivoli in base, a titolo esemplificativo, al bacino di utenza, alla convenienza economica della tratta, all'operatività della macchina ed alla domanda di traffico.
  In merito poi all'ammodernamento dello scalo di Catania Fontanarossa, si fa presente che con il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 201, è stato approvato il regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale. Il regolamento si basa sul Piano nazionale aeroporti, attualmente in procedura di Vas presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Il piano, prevede l'inserimento dello scalo di Catania Fontanarossa all'interno del Bacino di traffico Sicilia orientale come aeroporto «strategico», mentre riconosce a Comiso il ruolo di scalo di interesse nazionale.
  ENAC riferisce che gli aeroporti della Sicilia orientale hanno registrato nel 2016 un traffico passeggeri pari a 8,4 milioni, concentrati prevalentemente sullo scalo di Catania (7,9 milioni con un incremento dell'11 per cento rispetto al 2015).
  Inoltre, lo stesso Ente ritiene che le prospettive di sviluppo di lungo periodo portano a ritenere che il bacino di traffico della Sicilia orientale potrebbe generare una domanda di circa 14 milioni di passeggeri l'anno all'orizzonte temporale del 2030.
  La società di gestione Sac s.p.a. ha presentato ad Enac la programmazione per il prossimo quadriennio e per il più ampio scenario di sviluppo al 2030.
  L'intervento principale che caratterizza il piano di sviluppo di lungo periodo, permettendo di intercettare e soddisfare la potenziale domanda di traffico descritta dalla pianificazione strategica nazionale, è proprio la realizzazione della nuova pista di volo progettata per i movimenti di aeromobili di codice «E» ICAO ovvero capaci di servire destinazioni di lungo raggio, con una lunghezza totale pari a 3.200 metri.
  Il presupposto essenziale per la realizzazione della nuova pista di volo è la modifica del tracciato ferroviario sul margine ovest del sedime aeroportuale, con l'interramento dei binari e con lo spostamento dello scalo ferroviario «Bicocca».
  Su tale iniziativa, la commissione europea con decisione C (2011) 4361 del 15 giugno 2011 ha riconosciuto un co-finanziamento a valere sul programma Trans-European Transport Network per «il progetto di un hub intermodale per l'aeroporto internazionale Catania Fontanarossa» che ha consentito la realizzazione del Progetto preliminare dell'intervento.
  Il Cipe nella seduta del 1o dicembre 2016 ha approvato un finanziamento di 235,00 di euro per la realizzazione dell'intervento l'interramento di parte del tracciato ferroviario e lo spostamento dello scalo ferroviario «Bicocca», mentre è già in corso la progettazione esecutiva e realizzazione della nuova fermata «stazione aeroporto» sulla rete RFI fra Catania Acquicella e Catania Bicocca, dedicata ad accogliere sia treni di media percorrenza delle direttrici Messina-Catania-Palermo e Messina-Catania-Siracusa, sia dei treni regionali Catania-Siracusa. L'entrata in esercizio della nuova fermata «Aeroporto», con un collegamento tramite bus-navetta al terminal passeggeri, è prevista entro il 2019.
  L'attuazione di tali progetti favorirà non solo la connessione con l'area metropolitana di Catania ma anche con altre città della catchment area dello scalo, migliorando sensibilmente l'accessibilità dell'aeroporto che ha ormai ampiamente consolidato un ruolo fondamentale nel garantire la mobilità dei cittadini della regione.
  Oltre alla realizzazione della nuova pista, il piano al 2030 presentato da Sac attualmente in istruttoria presso l'Enac, prevede una serie di interventi di adeguamento e di nuova costruzione all'interno del sistema dei terminal passeggeri, in modo da supportare la graduale crescita del traffico passeggeri in tutte le fasi di sviluppo previste: ne sono un esempio la ristrutturazione del terminal «Morandi», il collegamento di questo con la nuova aerostazione oggi in funzione e la realizzazione di un nuovo terminal gemello di quest'ultimo.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Abruzzo l'Anas gestisce 984 chilometri di rete stradale, per buona parte in territorio montano, soggetto a slavine, smottamenti, frane, eventi tellurici e, nel periodo invernale, abbondanti nevicate;
   in occasione degli ultimi eventi emergenziali di gennaio 2017, l'Anas è potuta intervenire a sostegno ed ausilio dei comuni, delle provincie e della protezione civile locale, tramite la struttura tecnica di missione, operando per il coordinamento degli interventi di messa in sicurezza della rete stradale e di ripristino della viabilità, con tempistiche e finalità coerenti con la gestione emergenziale, come riferito dallo stesso Ministro interrogato nel corso della informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione di emergenza nel centro Italia resa alla Camera dei deputati il 31 gennaio 2017 (seduta n. 733);
   in particolare, si rileva inoltre quanto dichiarato, in occasione della citata seduta, da un deputato circa il fatto che l'Anas regionale abbia aperto bene le proprie strade, abbia anche dato una grossa mano alle strade provinciali, circa 500 chilometri di strade provinciali sono state aperte dalle turbine Anas, così come circa il fatto che la società Strada dei parchi abbia tenuto quasi sempre aperta la A24 e la A25;
   il tempestivo intervento dell'Anas è stato possibile attraverso l'immediata risposta della struttura tecnica di missione, avente sede a L'Aquila;
   a seguito, dell'approvazione da parte del consiglio di amministrazione della società del piano industriale Anas 2016-2020, che ha previsto l'inserimento della regione Abruzzo nella cosiddetta «Zona Adriatica», macro area comprendente Abruzzo, Molise e Puglia, la sede del coordinamento territoriale dell'Anas di tale zona è stata spostata a Bari, unitamente alla struttura tecnica di missione;
   alla nuova sede di Bari è stata delegata l'approvazione di qualsiasi intervento, anche riguardante la somma urgenza e le situazioni emergenziali, di importo superiore ad euro 20.000,00;
   la regione Abruzzo e la sua rete stradale sono caratterizzate da territori profondamente diversi per peculiarità e criticità, come purtroppo ci hanno dimostrato gli ultimi drammatici avvenimenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, quali iniziative intenda adottare, alla luce della riorganizzazione dell'Anas, per garantire un intervento efficace e tempestivo dell'Anas nel territorio abruzzese, soprattutto nell'ipotesi di particolari situazioni di emergenza, come quella in essere, che potrebbero potenzialmente ritardare e/o limitare l'operato di Anas s.p.a per gli interventi di messa in sicurezza e ripristino della viabilità, anche su strade non di propria competenza, che si dovessero ritenere necessari. (4-15939)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla società ANAS, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La struttura organizzativa di ANAS e stata oggetto di una profonda revisione, fin dall'estate del 2015, finalizzata al raggiungimento dei tre obiettivi individuati dal piano industriale, ovvero: razionalizzazione delle attività, miglioramento del servizio offerto e, nel medio termine, raggiungimento dell'autonomia finanziaria.
  In tale ottica dal 9 gennaio 2017, e stato adottato un modello che prevede la suddivisione del territorio in otto strutture denominate coordinamenti territoriali, mediante l'accorpamento di più regioni in apposite macrostrutture: in tale configurazione la regione Abruzzo è confluita, unitamente al Molise e alla Puglia nel coordinamento territoriale adriatica, con sede a Bari.
  Il nuovo modello prevede, in sostanza, l'accentramento delle funzioni amministrative, (per esempio: esperimento degli appalti, controllo di gestione, service e patrimonio) che, tuttavia, mantengono i relativi presidi sul territorio. Anche le funzioni progettuali inerenti alle nuove costruzioni prevedono un centro direzionale presso la sede del coordinamento.
  ANAS precisa, a riguardo, che rimane radicato nell'ambito locale il proprio principale compito istituzionale, ovvero la gestione e la manutenzione – ricorrente e programmata – della rete stradale in concessione, con tutti gli altri enti coinvolti.
  ANAS assicura che la mission fondamentale e stata mantenuta in completa aderenza alle esigenze regionali garantendo la manutenzione e la tutela del patrimonio, la sicurezza della circolazione stradale, la continua sorveglianza della rete ed il tempestivo intervento nei casi di emergenza.
  In termini economici ciò si traduce in investimenti per mantenimento, ammodernamento e ricostruzione.
  I coordinamenti territoriali sono a loro volta articolati in aree compartimentali finalizzate ad assicurare l'efficace presidio sul territorio di riferimento in tale ottica il tutore locale di tale mission resta il responsabile area compartimentale (già capo compartimento), massimo dirigente periferico e responsabile di tutti i dipendenti delle sedi regionali nonché interfaccia diretta delle istanze regionali. Il responsabile dell'area compartimentale Abruzzo mantiene la sua collocazione operativa a l'Aquila, unitamente a tutto il personale, in particolare afferente all'area esercizio.
  Con particolare riguardo al territorio abruzzese, secondo ANAS, il nuovo riassetto aziendale – oltre a garantire che la propria presenza capillare sia stabilmente ancorata al territorio – consente di assicurare un legame ancor più diretto tra periferia e territorio: il responsabile del coordinamento territoriale adriatica ha infatti una dipendenza diretta dal vertice aziendale di ANAS.
  La stessa società stradale riferisce, altresì, che le criticità territoriali dell'Abruzzo, come quelli di Puglia e Molise, sono trattate in maniera paritaria e valutate secondo armonici criteri di priorità, indipendentemente dall'estensione delle rispettive reti stradali.
  L'accorpamento delle tre regioni in un unico coordinamento consente, quindi, che anche il singolo problema locale sia rappresentato con maggiore impulso ai tavoli centrali, mediante un interlocuzione omogenea ed articolata a livello sia regionale sia macroregionale.
  ANAS evidenzia che l'efficacia del nuovo riassetto è stata immediatamente testata durante l'emergenza neve del gennaio scorso, occasione nella quale, grazie al potenziamento della sinergia fra centro e periferia, le strutture aziendali dell'area compartimentale Abruzzo, con sede a L'Aquila, hanno operato garantendo il costante mantenimento in esercizio, non solo delle arterie abruzzesi di competenza di ANAS, ma anche della viabilità locale, ripristinando la percorribilità di oltre 500 chilometri di strade comunali e provinciali.
  ANAS segnala clic la sede a L'Aquila e pienamente operativa e risulta già impegnata nell'attuazione dei programmi di ripristino della viabilità nei territori dell'Abruzzo (oltre 1000 chilometri quadrati) coinvolti dagli eventi sismici del 2016, ai sensi dell'articolo 4 dell'ordinanza capo dipartimento della protezione civile n. 408 del 15 novembre 2016 recante «Ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eccezionali eventi sismici che hanno colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo a partire dal giorno 24 agosto 2016»;
  Altresì, la medesima società stradale conferma che le perplessità espresse dall'interrogante relative allo spostamento a Bari della struttura tecnica di missione di ANAS, sono da ritenersi fugate dalla mission affidata al responsabile di area compartimentale (ordine di servizio n. 34 del 4 ottobre 2016) e dai poteri allo stesso attribuiti. Infatti, quest'ultimo dovendo «assicurare, per l'area geografica di competenza, la manutenzione ordinaria e straordinaria, della rete stradale in concessione e la tutela del patrimonio, garantendo la sicurezza della circolazione stradale, la continua sorveglianza della rete e il tempestivo intervento nei casi di emergenza, nel rispetto delle procedure aziendali ed in accordo con la direzione operation e coordinamento territoriale», garantisce un costante presidio sul territorio di riferimento, potendo assumere decisioni in merito a tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria relativi alla rete stradale di competenza.
  Da ultimo, ANAS specifica clic l'eventuale necessità di ricorrere all'istituto dei lavori di somma urgenza continua ad essere, oggi come ieri, pienamente soddisfatta dal coordinatore territoriale che, anche attraverso le moderne tecnologie di cui la stessa società è dotata, può, in ogni momento e da qualsiasi luogo, monitorare ed autorizzare gli interventi necessari.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   COSTANTINO, FRATOIANNI e PLACIDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, a seguito dei rilievi mossi dalla Corte dei conti, che avrebbe rilevato carenze nel progetto di realizzazione del 3° megalotto della strada statale 106 tra Sibari e Roseto Capo Spulico – compreso fra l'innesto con la strada statale 534 (chilometro 365+150) fino a Roseto Capo Spulico (chilometro 400) – ha ritirato la delibera Cipe che assegnava le risorse necessarie all'avvio dei cantieri;
   l'opera è inserita nel 1° programma «infrastrutture strategiche» delibera Cipe n. 121 del 2001 legge obiettivo n. 443 del 2001;
   l'inserimento dell'infrastruttura nell'intesa generale quadro – «accordo di programma per il sistema delle infrastrutture di trasporto nella Regione Calabria» risale al maggio 2002 e la si indica come autostrada Jonica E90 Lecce-Taranto-Sibari-Reggio Calabria, intervento inserito a sua volta nel piano decennale ANAS 2003-2012 e di investimento ANAS 2007-2011;
   l'aggiudicazione provvisoria risale al dicembre 2010, aggiudicatarie sono le imprese ASTALDI-IMPREGILO per 791 milioni, il tutto rimane impantanato a causa di una clausola della delibera Cipe 103 del 2007 dove gli stanziamenti a favore vengono subordinati all'assegnazione di tutte le altre coperture (primi 154 milioni di euro legge obiettivo), il costo complessivo totale è di 1.234 milioni di euro, sono del 2008 ulteriori 535 milioni di euro dalla legge obiettivo, la restante somma di euro 536 dai fondi FAS non sono mai arrivati a destinazione, bloccando l'aggiudicazione della gara;
   l'appalto viene definitivamente aggiudicato agli inizi del 2012 grazie alla delibera Cipe del dicembre 2011 che eliminava la clausola sulle coperture, il 60 per cento ad Astaldi ed il restante 40 per cento ad Impregilo. La copertura però non è totale ma di 964,4 milioni di euro su un totale complessivo del costo di 1.165 di euro;
   la gara, di tipo «general contractor», prevedeva il progetto su bando preliminare, e per come previsto le imprese avrebbero dovuto completare la progettazione prima dell'avvio dei lavori, durata prevista: 7 anni ed 8 mesi, elaborazione progetto: 15 mesi, fase di costruzione: 6 anni e 5 mesi. L'opera doveva essere consegnata entro la fine del 2019;
   ANAS riceve il progetto dal contraente generale nel giugno 2013, le verifiche si concludono nel novembre 2013 ed il progetto viene approvato, ma l'approvazione definitiva del progetto al Cipe avverrà solo nell'agosto 2016 per una parte del finanziamento (pari a soli 276 milioni di euro), dichiarando nel comunicato a seguito della deliberazione di approvare la restante somma di euro 842 milioni in tempi brevi, ma non è mai successa;
   la restante parte della lunghissima e travagliata storia del 3° macrolotto è dei giorni scorsi, quando la Corte dei conti ha sollevato rilievi che hanno di fatto indotto il Ministero interrogato a ritirare la delibera;
   questa infrastruttura, strategica ed indispensabile se partita nei tempi indicati avrebbe dato fiato alla perdurante e grave crisi economica della Calabria ed in particolare alla provincia di Cosenza e alla Cassa edile cosentina, permettendo un incremento degli occupati, sia nel settore edile diretto, che nell'indotto;
   tale situazione ha di fatto innestato una pericolosa spirale di sfiducia verso le istituzioni, sempre più lontane dalla realtà vissuta dai lavoratori e dalle loro famiglie, costrette ad accettare condizioni di lavoro modeste o per niente dignitose oppure a lasciare la Calabria –:
   come intenda il Ministro interrogato motivare il ritiro del progetto del 3° megalotto e come intenda procedere per garantire i posti di lavoro che, se il cantiere fosse partito nei tempi previsti, si sarebbero aggirati intorno a oltre 3.000 addetti fra dipendenti diretti ed indotto. (4-15879)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito alle ragioni che hanno rallentato l'implementazione del progetto dei lavori di costruzione del 3o megalotto della strada statale (SS) 106 Jonica dall'innesto con la strada statale 534 (chilometro 365+150) a Roseto Capo Spulico (chilometro 400+000), Anas riferisce che la durata temporale di due mesi tra l'approvazione del progetto definitivo da parte della stessa società (27 novembre 2013) e l'invio degli elaborati (inizio febbraio 2014) a tutti i soggetti interessati all'opera, che sono oltre 30, è motivata dal tempo necessario per la predisposizione delle copie dei documenti progettuali, per il versamento degli oneri istruttori e la pubblicazione degli avvisi al pubblico sui quotidiani a tiratura nazionale.
  Inoltre, Anas segnala di aver presentato in data 10 febbraio 2014, ai sensi degli articoli 165, 166, 167, 183 e 185 del decreto legislativo n. 163/2006, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) e alla regione Calabria, la richiesta di compatibilità ambientale del progetto definitivo per la parte in variante (articoli 167, comma 5, e 183 dello stesso decreto) attivando, contestualmente, il procedimento per l'approvazione del progetto, con l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità sulle aree interessate dai lavori.
  Nell'ambito della verifica di ottemperanza del progetto alle prescrizioni contenute nella delibera Cipe del 2007 n. 103 – che prevedeva uno stanziamento di 154 milioni di euro sui fondi della legge n. 443/2001 e subordinava l'intervento al reperimento della totale copertura finanziaria dell'opera – e nel corso della conferenza di servizi convocata presso questo Ministero, ai sensi dell'articolo 166 sempre del medesimo decreto legislativo, emergeva la necessità da parte del proponente di fornire ulteriori chiarimenti nonché la documentazione di approfondimento sul progetto definitivo e sullo Studio di impatto ambientale, atti trasmessi alle amministrazioni competenti con nota del 6 febbraio 2014 e successiva pubblicazione dell'avviso sui principali quotidiani il 10 febbraio.
  È utile, altresì, far presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Commissione VIA, presso il quale era stata attivata il 14 febbraio 2014 la procedura, richiedeva ad Anas, il 15 aprile 2014, la documentazione integrativa del progetto sotto il profilo ambientale. Il proponente provvedeva, quindi, a trasmettere a tutte le amministrazioni interessate le integrazioni richieste dandone avviso sui quotidiani a tiratura nazionale in data 21 maggio 2014.
  Successivamente, nell'ambito degli incontri svolti presso i Dicasteri competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali e paesaggistiche oltre che nel corso della Conferenza di servizi, emergeva la necessità di fornire ulteriori documenti che venivano depositati nei mesi di luglio e agosto 2014 presso le autorità ambientali competenti.
  Anche per tale documentazione Anas ha effettuato la comunicazione agli enti interessati mediante avviso pubblicato sui quotidiani in data 9 agosto 2014.
  Tutto ciò premesso, appare evidente che l’iter autorizzativo sia risultato particolarmente complesso in ragione della rinnovata valutazione d'impatto ambientale condotta dai Ministeri competenti (Mattm e Mibact) per la parte in variante del progetto definitivo rispetto a quella dell'elaborato preliminare, anche in considerazione delle numerose osservazioni presentate dai cittadini e dalle associazioni interessate all'intervento.
  Le determinazioni conclusive del procedimento VIA e della conferenza di servizi hanno comportato un consistente aumento dei costi dell'intervento, che sono risultati superiori al limite di spesa indicato nella delibera Cipe di approvazione del progetto preliminare.
  Ai fini del perfezionamento dell'istruttoria presso questa amministrazione per l'elaborazione della proposta di approvazione al Cipe è stato, quindi, acquisito il parere n. 40 del 15 luglio 2016 del consiglio superiore dei lavori pubblici (massimo organo tecnico consultivo dello Stato incardinato presso questo Ministero) ai sensi del nuovo codice appalti; in tale parere venivano formulate delle osservazioni, in particolare sul secondo tratto del megalotto 3, mirate a una revisione dell'elaborato progettuale sulla base dei pareri espressi dalle numerose amministrazioni coinvolte nel procedimento, non sempre tra loro congruenti, e alle disponibilità finanziarie destinate all'intervento.
  Il 10 agosto 2016 questo Dicastero ha sottoposto, quindi, all'approvazione del Cipe la sola prima tratta, il cui progetto definitivo – pur recependo le prescrizioni impartite dallo stesso Cipe e quelle del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è rimasto sostanzialmente inalterato rispetto al preliminare approvato nel 2007; contestualmente è stato chiesto al CIPE il rinvio a nuova istruttoria per il progetto della tratta 2, da eseguirsi nel rispetto delle prescrizioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
  Tuttavia, la corte dei conti ha mosso rilievo in ordine alla delibera Cipe del 2016, n. 41, di approvazione della sola prima tratta; lo stesso Cipe, d'intesa con questo Ministero, ha ritirato la citata delibera al fine di effettuare i necessari approfondimenti.
  Nel merito sono stati chiesti chiarimenti al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
  Di conseguenza, solo a seguito della disamina dell'esito di detti chiarimenti, si potrà valutare l’iter procedurale più idoneo da adottare nella ferma convinzione da parte di questo Ministero che l'opera debba essere realizzata, come si è avuto modo di assicurare anche nel corso di un recente incontro con i sindaci dei comuni interessati.
  Con l'approvazione del Cipe si concluderà l’iter procedurale autorizzativo tale da consentire ad Anas lo sviluppo del progetto esecutivo e l'avvio dei lavori.
  Infine, si riporta la situazione delle risorse finanziarie ad oggi destinate al 3o megalotto della strada statale 106 Jonica per i lavori di costruzione dall'innesto con la strada statale 534 (chilometro 365+150) a Roseto Capo Spulico (chilometro 400+000): l'intervento in fase di progettazione è finanziato per 969,4 milioni di euro, mentre il completamento è inserito nella proposta di Contratto di programma 2016-2020 ed è finanziato per 150 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo unico Anas.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Bari Vecchia, nell'area demaniale compresa fra il porto e largo Ruggero il Normanno, a pochi metri dal Castello, dai complessi conventuali di Santa Chiara e di San Francesco, nel luogo dell'antico porto bizantino-normanno detto «la banchina», sono in corso lavori per realizzare l’«Ampliamento della sede degli uffici OO.MM. del Provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata»;
   l'edificio, alto almeno 12 metri, sembra compromettere l'inestimabile valore architettonico del Castello e della cortina edilizia di Bari Vecchia, oscurando definitivamente la vista sul mare, in una zona in cui sono presenti già molti altri edifici;
   tale opera ha ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, nonostante i vincoli paesaggistici a cui pare sia sottoposta l'intera area dal 1930;
   il Comitato «Parco del Castello» di Bari ha più volte sollecitato gli enti preposti di attuare quanto previsto dal Piano particolareggiato di Bari Vecchia, votato all'unanimità dal consiglio comunale di Bari e approvato con delibera di giunta regionale n. 286 del 9 luglio 2002, proponendo il blocco dei lavori di ampliamento della sede degli uffici OO.MM. del provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata e la realizzazione del Parco del Castello;
   al momento pare sia stato avviato solo un protocollo d'intesa tra l'amministrazione di Bari e il Comitato Parco del Castello di Bari riguardante la sola realizzazione condivisa e partecipata del Parco. Restano comunque le preoccupazioni per il proseguo dei lavori della palazzina, nonostante l'azione amministrativa al TAR e la richiesta di proroga di sei mesi per il compimento delle indagini preliminari a carico dei funzionari della Soprintendenza di Bari –:
   se ci siano margini di intervento affinché si possa favorire una maggiore collaborazione tra le istituzioni preposte, tenendo conto anche delle proposte avanzate dalle singole associazioni locali da anni interessate alla tutela e valorizzazione dei beni comuni. (4-10039)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sui lavori di manutenzione straordinaria e ampliamento dell'edificio sede degli uffici del provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata, si comunica quanto segue.
  Il progetto per la nuova sede della sede coordinata di Bari del provveditorato interregionale per le opere pubbliche (OO.PP.) per la Puglia e la Basilicata scaturisce dal nuovo assetto organizzativo degli uffici periferici di questo Ministero che ha accorpato in ambito regionale gli uffici delle opere marittime (OO.MM.) con quelli del provveditorato.
  Attualmente, tali uffici sono dislocati in tre diversi immobili:
   gli uffici del provveditorato per le OO.PP. hanno sede in via Dalmazia 70b, Bari (uffici al 3o piano e a 1o piano, posti auto ed archivi a piano terra);
   l'ex ufficio del genio civile per le OO.MM. ha sede in corso Antonio De Tullio n. 1, Bari;
   gli uffici distaccati del provveditorato sono allocati a Foggia in via Rotundi, n. 1.

  A seguito dell'assegnazione, da parte dell'agenzia del demanio, alla presidenza della regione Puglia della porzione di immobile di via Dalmazia, attualmente occupate dagli uffici del provveditorato, si è reso necessario ricercare una nuova sede del Provveditorato al fine di razionalizzare ed ottimizzare le risorse umane e strumentali, in uno al contenimento dei costi di gestione derivanti dall'attuale assetto.
  A tale scopo, è stato individuato nell'area demaniale sita in Bari al Corso Antonio De Tullio, sede attuale dell'ex ufficio del genio civile per le OO.MM., la localizzazione della nuova sede. Il citato provveditorato riferisce di aver così provveduto a redigere il progetto preliminare, a cura di personale interno, che prevedeva la ristrutturazione del manufatto esistente sull'area e l'ampliamento dello stesso su una superficie libera adiacente, già sede di un campo da tennis ormai in disuso.
  Il 30 giugno 2010 si è svolta la conferenza dei servizi nell'ambito della quale, all'unanimità delle Amministrazioni coinvolte, è stato deciso di procedere al perfezionamento della intesa Stato regione. A conclusione della procedura di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 383 del 1994, il successivo 21 settembre 2010, è stato emanato il decreto provveditoriale n. 617 di accertamento della conformità urbanistica, notificato a tutte le Amministrazioni coinvolte, incluso il comune di Bari.
  In seguito, si è provveduto a redigere i successivi livelli di progettazione con l'acquisizione dei prescritti pareri del comitato tecnico amministrativo presso il provveditorato.
  Espletate le procedure di gara, nel dicembre 2012, i lavori sono stati provvisoriamente aggiudicati all'impresa GEOSCAR con sede in Martina Franca, per la complessiva somma di euro 3.345,722,40, di cui euro 3.206.415,00 per lavori a corpo e a misura, al netto del ribasso del 28,286 per cento, ed euro 139.307,40 per oneri della sicurezza non assoggettati a ribasso.
  I lavori sono suddivisi in tre lotti, il primo è relativo agli interventi di manutenzione straordinaria sull'immobile esistente, già sede dell'ufficio per le opere marittime, mentre il secondo e terzo lotto riguardano la realizzazione della nuova palazzina in ampliamento.
  Con nota del 17 luglio 2014, indirizzata al direttore per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e per conoscenza al provveditorato, l'assessore all'urbanistica del comune di Bari comunicava che a seguito del dibattito molto ampio sollevato in città per la realizzazione della nuova sede del provveditorato, si provvedeva a rivedere i pareri resi in sede di conferenza dei servizi del 30 giugno 2010 rilevando che la soprintendenza competente non aveva valutato in modo esplicito la compatibilità dell'intervento di ampliamento con il vincolo ex lege n. 688 del 1912 di zona di rispetto intorno al castello con allegata planimetria che, a parere dello stesso assessore sembrava risultare preclusivo dell'intervento in corso. Nella stessa nota l'assessore evidenziava come l'amministrazione ritenesse di valutare attentamente la possibilità di ripensare alle decisioni prese al riguardo della costruzione della nuova sede del Provveditorato in quanto localizzata in area di cruciale importanza ai fini dell'orientamento dello sviluppo urbano nella direzione della sostenibilità. Contemporaneamente, a seguito di un esposto denuncia in relazione alla costruenda opera nell'agosto 2014 veniva acquisita, da parte di agenti di polizia giudiziaria, la relativa documentazione presso il provveditorato nell'ambito di indagini di cui all'attualità non si conosce l'esito.
  Sempre nell'agosto 2014, la soprintendenza nel ritenere le opere in progetto... compatibili con gli obiettivi di tutela previsti dal decreto di vincolo in quanto non inducono rilevanti modifiche alle condizioni di godibilità del Castello e quindi non arrecano pregiudizio alle stesse ha espresso parere favorevole per gli aspetti di competenza a condizione che la siepe posta lungo la recinzione a sud-est prevista con oleandri sia realizzata con piante di pitosforo in analogia alle siepi già presenti nel giardino.
  A seguito di ricorso amministrativo da parte di alcuni cittadini, il TAR Puglia nel respingere l'istanza cautelare ha evidenziato, tra l'altro, da un lato che l'edificio costruendo rappresenta il completamento – con uguale altezza – di altra struttura omologa, sicché la sua edificazione non altera significativamente la preesistente situazione sotto il profilo degli interventi antropomorfi e la conseguente, visibilità del castello dall'area vincolata; dall'altro che la costruzione ha, ormai, raggiunto la edificazione avanzata tranne l'ultimo piano, sicché la sospensione dei lavori non determinerebbe, nella sostanza, alcun recupero di visuale; infine, che si è in presenza di opera pubblica con impegno di ingenti risorse pubbliche, la cui realizzazione, nella comparazione degli interessi, non ammette ritardi.
  Successivamente, il 26 novembre 2014, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso in appello per la riforma dell'ordinanza del TAR Puglia con cui era stata respinta l'istanza cautelare di accertamento di abusività delle opere.
  Il 5 febbraio 2015, la direzione generale per la condizione abitativa di questo Ministero, esaminata la richiesta della regione Puglia e del comune di Bari di avvio delle procedure ex articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, non ha ravvisato l'applicabilità della citata disposizione alla fattispecie in questione.
  Con sentenza n. 1158 del 29 luglio 2015, il TAR Puglia – sezione terza si è definitivamente pronunciato sul ricorso proposto dichiarandolo in parte respinto e in parte irricevibile.
  In proposito, il provveditorato, nel precisare di essersi sempre attenuto alla normativa vigente, evidenzia che l'avvio della costruzione dell'immobile è avvenuto previa concertazione e autorizzazione di tutti gli uffici interessati e competenti (fra cui soprintendenza, regione Puglia comune di Bari): inoltre, come acclarato dal TAR Puglia e dal Consiglio di Stato, la realizzazione delle opere avviene sulla base di un legittimo titolo abilitativo (DP 617/2010) che ha al momento superato il vaglio della magistratura amministrativa.
  Avverso alla citata sentenza del TAR 1158/2015, favorevole per questa Amministrazione, è stato proposto dai ricorrenti ricorso al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 105/2017 ha disposto, a parziale accoglimento del ricorso, una consulenza tecnica di ufficio. Il provveditorato ha quindi nominato consulente tecnico di parte e le relative operazioni hanno avuto inizio il 9 marzo 2017.
  La vicenda è inoltre ancora all'attenzione della magistratura penale, a seguito di esposto denuncia da parte del medesimo comitato di cittadini.
  Al riguardo si comunica che il pubblico ministero, non ravvisando notizia di reato a seguito dell'espletamento delle attività d'indagine, ha chiesto l'archiviazione al giudice per le indagini preliminari competente alla quale si è opposto il legale dei denuncianti. Nel mese di dicembre 2016 si è tenuta pubblica udienza innanzi al giudice per le indagini preliminari che si è riservato la decisione.
  I lavori, di realizzazione dell'ampliamento di cui ai lotti II e III, nonché del lotto I di manutenzione straordinaria sull'immobile esistente, sono terminati, come risulta dai relativi certificati di ultimazione, rispettivamente in data del 13 ottobre 2016 e 3 febbraio 2017.
  Sono stati rilasciati il certificato di collaudo statico e le dichiarazioni di conformità impiantistica, mentre è tuttora in corso l'attività di collaudo tecnico-amministrativo.
  Con verbale di dismissione in data 29 novembre 2016 stipulato tra l'Agenzia del demanio e il provveditorato per le opere pubbliche di Bari è stata definita la dismissione e riconsegna all'agenzia del demanio – D.R. Puglia e Basilicata della porzione dell'immobile Palazzo opere pubbliche, sede del provveditorato.
  La commissione di collaudo, verificate le condizioni previste dell'articolo 230 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, ha redatto in data 23 febbraio 2017, unitamente al responsabile del procedimento e al direttore dei lavori, il verbale di accertamento, ai fini della consegna anticipata del fabbricato in ampliamento della nuova sede del provveditorato in oggetto.
  La consegna anticipata è intervenuta con verbale redatto in data 3 marzo 2017 in contraddittorio con il responsabile del procedimento, il direttore dei lavori, l'impresa e il rappresentante della Sezione demanio e ambiente della capitaneria di porto di Bari per il – demanio marittimo.
  Da ultimo si informa che dal 15 marzo 2017 il provveditorato per le opere pubbliche – sede coordinata di Bari, ha completato il trasferimento nella nuova sede, lasciando i locali precedentemente occupati in via Dalmazia 70/B (sede storica) alla regione Puglia che ne aveva fatto impellente ed urgente richiesta.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Trani è recentemente intervenuta relativamente alla gestione dell'impianto di combustione dei rifiuti della Cementeria Buzzi Unicem di Barletta (BT);
   la stessa procura ha ipotizzato che per il tramite di tale attività di combustione, a servizio dell'impianto di produzione di cemento, calcestruzzo e aggregati naturali, si sarebbe consentito la diffusione di sostanze inquinanti superiori ai limiti di legge, esponendo la popolazione della città a rischi per la salute, trattandosi di impianto ubicato a 200 metri da insediamenti residenziali –:
   se sono stati avviati o si intendano avviare o sia stato richiesto di avviare, per quanto di propria competenza, sulla base degli articoli 305, 306, 308 e 309 del decreto legislativo 152 del 2006: procedimenti in materia di danno ambientale inerenti alla problematica evidenziata.
(4-11871)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'impianto di combustione dei rifiuti della cementeria Buzzi Unicem di Barletta, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In data 4 gennaio 2017, questo Ministero ha ricevuto la nota dell'avvocatura distrettuale dello Stato con cui sono stati trasmessi la copia dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (udienza fissata per il giorno 27 gennaio 2017) e del decreto di citazione a giudizio relativi al procedimento penale n. 2831/12 R.G.N.R..
  Il procedimento predetto riguarda la gestione illecita di fatto di un impianto di incenerimento di rifiuti della cementeria in questione.
  Agli imputati, nella loro qualità di rappresentanti legali pro tempore della società suindicata, sono contestati i reati, a titolo di colpa (ex articolo 452-quinquies), di disastro ambientale e di inquinamento ambientale, per aver cagionato emissioni inquinanti rivenienti dalla combustione di rifiuti speciali (conferiti all'impianto dalle società Dalena Ecologia S.r.l., Trasmar di Bruno Ruggiero Rosario & C. S.a.s. e CORGOM S.r.l.) superiori ai limiti di legge previsti nell'ambito della tipologia di detti rifiuti.
  In concorso con i predetti imputati, sono stati rinviati a giudizio anche pubblici ufficiali dipendenti della provincia Barletta-Andria-Trani (membri del comitato tecnico provinciale) e della regione Puglia (servizio rischio industriale ed AIA).
  Ad alcuni dipendenti dell'Arpa Puglia sono stati infine contestati reati di falso (articolo 479 c.p.).
  Dalla lettura dei capi di imputazione risulta che, per effetto dell'attività di incenerimento di rifiuti su indicata (e fatta risultare apparentemente come incremento di una attività autorizzata di combustione di rifiuti a servizio della cementeria), sia stata consentita la diffusione aereo-dispersa di sostanze inquinanti oltre i limiti di legge, in quanto prossima (a circa 200 metri, di distanza dagli insediamenti residenziali) ai centri urbani, esponendo in tal modo la popolazione al rischio di inalazione di fattori inquinanti dannosi alla salute.
  Con specifico riferimento alle iniziative per il risarcimento del danno ambientale in ordine ai fatti di causa, si segnala che questo Ministero ha avviato l'istruttoria finalizzata alla richiesta di autorizzazione alla costituzione di parte civile.
  A tale fine, con nota del 10 gennaio 2017, è stato richiesto ad ISPRA la relazione di valutazione e quantificazione del danno ambientale riferita ai fatti, di causa.
  Con successiva nota del 12 gennaio 2017 è stata, altresì, formulata la richiesta di autorizzazione alla costituzione di parte civile alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero proseguirà le attività di monitoraggio del procedimento in corso, anche in vista dell'imminente udienza preliminare.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ex compagnia di bandiera Alitalia avrebbe dichiarato il 31 ottobre 2016, come riportato da articoli di stampa, la volontà di non volare più dall'aeroporto di Reggio Calabria «Tito Minniti» per le gravi perdite economiche che si sarebbero accumulate nel corso del tempo, nonostante i voli da e per Roma e per Milano risulterebbero spesso utilizzati da molti passeggeri o sarebbero anche pieni;
   se la notizia fosse confermata, Reggio Calabria, il cui scalo di interesse nazionale è già costretto ad affrontare l'esercizio provvisorio a causa della crisi irreversibile della società di gestione Sogas (per la quale il tribunale di Reggio Calabria risulta avere dichiarato il fallimento), risulterebbe tagliata fuori dal resto d'Italia e d'Europa;
   il fallimento di Sogas, la concomitante chiusura dell'aeroporto di Crotone dal 1° novembre 2016 e ora la decisione di Alitalia priverebbero la regione Calabria, e cioè circa 2 milioni di persone, e tutti i turisti interessati a raggiungere quella regione di collegamenti aerei unicamente possibili attualmente solo dall'aeroporto internazionale di Lamezia Terme;
   le ripercussioni negative si realizzerebbero anche presso gli scali italiani verso/da i quali esistevano relazioni trasportistiche –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della gravissima situazione di cui sopra;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, nell'immediato, per risolvere la situazione ed evitare che Alitalia abbandoni i voli da e per Reggio Calabria da considerarsi assolutamente strategica e prioritaria non solo per la Calabria ma anche per la vicina Sicilia e l'intero Mezzogiorno, con importanti possibili ripercussioni sul nord Italia dal punto di vista sia turistico, che lavorativo;
   se non ritenga utile, assumere iniziative per favorire la presenza di altre compagnie aeree italiane e straniere che operino già in Italia per far sì che gli slot attualmente appannaggio di Alitalia possano essere posti sul mercato, con particolare riferimento alle compagnie low cost, per ampliare i collegamenti diretti tra Reggio Calabra e il nord Italia a partire dagli aeroporti di Verona e Bergamo, entrambi snodi centrali per il traffico aereo del nord-est e del nord-ovest del Paese. (4-14705)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 15 e il 28 marzo 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in Aula alla Camera e in IX Commissione trasporti, in ordine alla cancellazione dei voli da e per Reggio Calabria da parte di Alitalia, da più di un anno sono in corso riunioni sulla mobilità nell'area dello Stretto tra questo Ministero, Enac, Enav, il presidente della regione Calabria e gli enti comunali interessati per cercare di mantenere Alitalia al tavolo ed evitare di interrompere il servizio.
  Tali iniziative hanno permesso di formalizzare, lo scorso 24 marzo, un apposito documento dichiarativo di impegno, nel quale è delineato il pacchetto di interventi per il rilancio dell'aeroporto e, in particolare, misure per promuovere le rotte domestiche esistenti.
  Grazie a tale impegno, Alitalia ha ripreso a partire dal 30 marzo 2017 i decolli per e da Roma e Milano per Reggio Calabria con cadenza giornaliera, inizialmente uno per rotta.
   Con specifico riferimento alle difficoltà gestionali, si fa presente che, a seguito del fallimento della precedente società di gestione dell'aeroporto la regione Calabria ha provveduto a bandire apposita gara per la gestione dell'aeroporto di Reggio Calabria e quello di Crotone al fine di creare un sistema più solido e più capace di trattare con le compagnie aeroportuali attirando nuovo traffico.
  Tale procedura, anche a causa di un ricorso da parte degli enti locali, si è prolungata e solamente il 3 marzo 2017, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme.
  Ciò consentirà di creare una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del 14 maggio 1996 ha imposto una rapida sostituzione delle condotte in amianto e il controllo della presenza di fibre nell'acqua potabile interessata da tubazioni in amianto;
   un recente rapporto dello IARC (International Agency for Research on Cancer) sull'amianto tra le varie prove ed esperimenti precisa: l'ingestione di amianto è considerata «esposizione primaria» al pari dell'inalazione. Il rapporto dello IARC conclude che «esistono prove sufficienti per la cancerogenicità di tutte le forme di amianto per l'uomo. Provoca il mesotelioma, il cancro del polmone, della laringe, e dell'ovaio. Inoltre sono state osservate associazioni positive tra l'esposizione a tutte le forme di amianto e cancro della faringe, stomaco, colon-retto. Tutte le forme di amianto sono cancerogene per l'uomo»;
   la risoluzione del Parlamento europeo del 30 gennaio 2013 sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente, sottolinea che diversi tipi di tumori causati non soltanto dall'inalazione di fibre trasportate nell'aria, ma anche dall'ingestione di acqua contenente tali fibre, proveniente da tubature in amianto, sono stati riconosciuti come un rischio per la salute e possono insorgere dopo decenni, e in alcuni casi addirittura dopo oltre quarant'anni;
   l'uso delle condutture in cemento-amianto per l'adduzione delle acque potabili è estremamente diffuso sul territorio italiano e rappresenta una sorgente non trascurabile di amianto. La vita media dei manufatti a base di cemento amianto è mediamente di 30/40 anni e le tubazioni di distribuzione delle acque potabili risalgono agli anni ’50-60 per cui sono in opera da almeno 50 anni ed è evidente che definire la rete acquedottistica italiana in buono stato di conservazione è forse un eufemismo. Inoltre, le tubazioni interrate subiscono fenomeni degradativi dovuti alla presenza di terreni solfatici, fessurazioni dovute ai movimenti del terreno, al gelo e disgelo, ai movimenti ondulatori per scosse telluriche;
   sulla stampa sempre più spesso appaiono articoli che descrivono la pericolosità della situazione in varie regioni e il mancato intervento da parte dei gestori, come nel caso della Toscana in cui «dei 500 milioni di euro che l'azienda incassa dalle nostre bollette per effettuare investimenti niente viene destinato ad un eventuale piano di sostituzione, mentre circa il 20 per cento del totale (quasi 100 milioni di euro) viene destinato alla macchina aziendale» (http://www.panorama.it) –:
   quale sia la reale stima del numero di chilometri di tubazioni in cemento amianto della rete acquedottistica sul territorio italiano e se vi sia un programma di bonifica da parte del Governo, di comune accordo con i gestori, i quali avrebbero il compito di avviare investimenti finalizzati alla rimozione e alla sostituzione parziale o completa di infrastrutture idriche contenenti amianto, anche al fine di ottemperare a quanto previsto dalla risoluzione del Parlamento europeo;
   se intendano farsi promotori, per quanto di competenza, di iniziative volte a istituire controlli su campioni d'acqua per verificare se e in che misura vi siano fibre in amianto. (4-14845)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto ministeriale n. 101 del 18 marzo 2003 regolamenta la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n. 93.
  In particolare, l'articolo 1 di tale decreto ha affidato alle regioni e alle province autonome il compito di procedere all'effettuazione della mappatura e di comunicarne i risultati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno di ogni anno.
  Le modalità di esecuzione della mappatura sono state concordate e definite a livello nazionale con le stesse regioni e province autonome che hanno creato un apposito gruppo interregionale sanità ed ambiente. Ai fini della mappatura è stata altresì predisposta dall'Inail, su apposita convenzione con questo Ministero, una banca dati amianto, in cui rientrano circa 34.000 siti interessati dalla presenza di amianto in 19 regioni.
  Allo scopo di garantire la congruenza dei dati censiti con le informazioni ad oggi disponibili, derivanti da rilevazioni aereo fotogrammetriche effettuate per l'identificazione delle coperture in amianto in alcune regioni, questo Ministero sta verificando e aggiornando i dati contenuti nella banca dati amianto. All'esito della verifica dei dati, sarà possibile identificare i siti a maggiore rischio e assicurare una programmazione dei necessari interventi.
  Tale mappatura prevede anche il censimento dei materiali contenenti amianto riconducibili alla tipologia «sistema di adduzione e accumulo acqua».
  Pertanto, sulla base dei dati ad oggi trasmessi dalle regioni e dalle province autonome risultano censiti n. 21 siti riconducibili alla sopra citata tipologia «Sistema di adduzione e accumulo acqua». I predetti siti, allo stato, sono così distribuiti: Valle d'Aosta n. 4, Bolzano n. 1, Toscana n. 4, Abruzzo n. 5, Campania n. 5, Friuli Venezia Giulia n. 2.
  Relativamente alle iniziative di finanziamento che questo Ministero ha di recente attivato in merito alla rimozione dell'amianto, si evidenzia che:
   con decreto ministeriale del 21 settembre 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2016) è stato istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica su edifici e strutture pubbliche;
   con decreto ministeriale del 15 giugno 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2016) è stato istituito un «Credito d'imposta amianto per imprese» che prevede la concessione, a favore delle imprese, di un credito d'imposta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute per interventi di bonifica dall'amianto su beni e strutture produttive, effettuati e conclusi nel 2016. Il finanziamento complessivo è pari a 17 milioni di euro, e l'agevolazione non spetta per investimenti di importo unitario inferiore a 20 mila euro. Le agevolazioni sono concesse nei limiti e nelle condizioni del regolamento europeo che prevede che il finanziamento pubblico alle imprese uniche non possa superare, nel triennio, 100 mila euro per le imprese di trasporto merci per conto terzi, e 200 mila euro per le altre.

  Da ultimo, si segnala che in data 29 novembre 2016 è stato presentato al Senato un disegno di legge per riordinare ed aggiornare la normativa in materia di amianto in un Testo unico, facendo un passo avanti nella semplificazione di una disciplina che, al momento, risulta troppo frammentaria e di difficile consultazione.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, recante «Attuazione delle direttive n. 75/439/CEE e n. 87/101/CEE relative alla eliminazione degli oli usati», ha istituito il Consorzio obbligatorio degli oli usati;
   l'articolo 236, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ha stabilito che al Consorzio degli oli minerali usati partecipano in forma paritetica tutte le imprese che producono, importano o mettono in commercio oli base vergini, le imprese che producono oli base mediante un processo di rigenerazione, le imprese che effettuano il recupero e la raccolta degli oli usati, nonché le imprese che effettuano la sostituzione e la vendita degli oli lubrificanti;
   il consiglio d'amministrazione del consorzio ha definito uno statuto il 14 dicembre 2009, senza che questo strumento sia stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, così come previsto dalla legge;
   a far data 1° giugno 2014 il consorzio ha adottato un nuovo modello organizzativo, deliberando che le cessioni di partite di oli usati raccolti dalle imprese siano ceduti direttamente alla rigenerazione italiana;
   il contributo ambientale obbligatorio, pur non avendo carattere tributario, costituisce oggetto di un'obbligazione ex lege, entrando a far parte integrante del prezzo di vendita dell'olio lubrificante con costi scaricati sul consumatore finale;
   l'articolo 236, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che il consorzio determina annualmente il contributo ambientale per chilogrammo dell'olio lubrificante che sarà messo a consumo nell'anno successivo e che questo, dal 1° dicembre 2016, è stato aumentato a 150 euro tonnellata;
   risulta, tuttavia, preoccupante la dinamica che si sta verificando per quel che riguarda l'andamento del corrispettivo riconosciuto alla rigenerazione;
   l'andamento cedente delle quotazioni internazionali dell'olio base ha prodotto l'innalzamento del corrispettivo da riconoscere agli impianti di rigenerazione dell'olio usato contestualmente ad una contrazione dei consumi di lubrificanti e della raccolta di olio usato a causa dello stato dell'economia italiana;
   una sostanziale quantità di oli usati destinati alla rigenerazione del nord Italia risulta provenire da imprese di raccolta di alcuni Stati membri confinanti;
   tale situazione risulta gravosa per gli equilibri del consorzio, non potendo distinguere le rese di oli lubrificanti rigenerati, prodotti con le partite di oli usati ceduti dalle imprese di raccolta italiane da quelle cedute da imprese di altri Stati membri;
   l'attuale governance del consorzio risulta immutata oltre 30 anni;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per una revisione della governance del consorzio, a partire dallo schema di statuto tipo adottato con decreto del 7 dicembre 2016, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, al fine di tutelare tutti i soggetti attori della filiera del recupero dell'olio usato, con specifico riferimento ai consumatori e alle imprese che effettuano la raccolta degli oli usati, così come di vigilare sul consorzio, anche attraverso gli strumenti di conoscibilità e valutazione di cui al comma 10 del citato articolo 236;
   se il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza affinché il consorzio effettui unicamente gli adeguamenti dello statuto con l'opportuna presenza e condivisione delle due categorie di imprese, di cui alle lettere c) e d) del comma 4 dello schema di statuto, convocate ad una partecipazione paritetica tra produttori, rigeneratori, raccoglitori e consumatori;
   se il Governo non intenda convocare un tavolo tecnico presso la sede istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che incoraggi e promuova un'intesa costruttiva tra le quattro citate categorie di imprese, avvalendosi del supporto delle associazioni di categoria interessate;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per affidare a parte terza gli opportuni rilievi e verifiche, in riferimento al comma 12, lettera l-ter dell'articolo 236, riguardante la correttezza di erogazione del corrispettivo alla rigenerazione, con decorrenza dall'anno 2009. (4-15314)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Il consorzio obbligatorio degli oli usati (di seguito COOU), già previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 691 del 1982, è operativo dal 1984 ed oggi è disciplinato dall'articolo 236 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Il consorzio, che non ha scopo di lucro e svolge funzioni di interesse pubblico, assicura su tutto il territorio nazionale la raccolta degli oli minerali lubrificanti usati, che vengono destinati in via prioritaria all'industria della rigenerazione.
  L'articolo 236, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 configura due distinti poteri che consentono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di incidere sulla governance del consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. In sintesi essi consistono, ex ante, nella predisposizione, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, di uno schema tipo di statuto, essenzialmente rivolto a determinare le linee guida entro le quali deve esercitarsi l'autonomia organizzativa intestata al consorzio in qualità di soggetto giuridico di diritto privato; ex post, nell'approvazione, sempre di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, dello statuto adottato dal consorzio, al fine di controllarne la rispondenza alla legge e al predetto schema tipo.
  Lo statuto, così adeguato, è sottoposto all'approvazione dei Ministeri concertanti, i quali – a fronte di eventuali difformità rispetto alle disposizioni contenute nel suddetto schema tipo — formulano osservazioni che, se non recepite, sono disposte d'ufficio.
  Ciò premesso, la fase ex ante si è esaurita con l'approvazione dello schema di statuto tipo, di cui al sopra richiamato articolo 236, mediante decreto del Ministero dell'ambiente del 7 dicembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 24 dicembre 2016. L'atto costituisce l'esito di una istruttoria ampia e articolata e risulta pienamente conforme al dettato legislativo, a partire dalla necessità di garantire alle categorie di imprese specificamente elencate dall'articolo 236, comma 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006 una partecipazione paritetica alla compagine consortile.
  Quanto alla fase ex post, ad oggi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è in attesa di ricevere lo statuto del COUU, adeguato alle disposizioni di cui allo schema predisposto.
  Con particolare riferimento alla governance del consorzio, si fa presente che il Ministero, nei limiti consentiti dalla normativa in materia, ha già apprestato misure atte ad assicurare la presenza negli organi consortili di tutte le categorie di imprese obbligatorie.
  Innanzitutto, in sede di predisposizione dello schema di statuto tipo — con precipuo riferimento agli organi del consorzio ed, in particolare, al consiglio di amministrazione — è previsto che il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei raccoglitori e dei riciclatori sia uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori, come espressamente disposto dal richiamato articolo 236, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Inoltre, in fase di esame dello statuto adottato dal consorzio, potrà essere accertato che tutte le categorie della filiera abbiano idonea rappresentanza negli organi consortili.
  Per quanto attiene alla partecipazione delle categorie di imprese di cui alle lettere c) e d) del comma 4, del citato articolo 236 alla fase di adeguamento, sì rileva come la norma non abbia attribuito all'amministrazione ministeriale l'onere di prevedere specifiche regole procedurali, ma unicamente di verificare che le disposizioni dello statuto del consorzio rispettino le disposizioni normative, ivi comprese quelle poste a tutela della partecipazione in forma paritetica di tutti gli operatori del settore.
  Si rappresenta, altresì, che la normativa di settore ha chiarito in maniera espressa i compiti assegnati a questa amministrazione in materia di vigilanza e controllo, che si sono esplicati, in questa fase, nella predisposizione dello schema di statuto tipo, nel quale sono stati delineati gli elementi essenziali della struttura organizzativa del consorzio, nel rispetto, al contempo, della sua autonomia privatistica.
  Successivamente, poi, all'approvazione dello statuto adeguato, l'amministrazione, anche attraverso la sua partecipazione nel collegio sindacale, potrà esplicare ulteriori funzioni di vigilanza e controllo sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dal Consorzio e sul suo concreto funzionamento.
  Infine, in riferimento alla verifica sulla correttezza delle modalità di erogazione del corrispettivo alla rigenerazione – nel rilevare l'assenza di una specifica previsione normativa — si fa presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procederà, nell'espletamento dei compiti normativamente assegnati, agli opportuni accertamenti del caso, anche nell'ambito delle attività di controllo sull'operato del consorzio.
  Alla luce delle informazioni esposte, il ministero, per quanto di competenza, continuerà nella sua attività di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale tematica.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del PON sicurezza per lo sviluppo 2007-2013 regioni obiettivo convergenza, è stato promesso dal Ministero dell'interno e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il progetto Miapi (monitoraggio e individuazione delle aree potenzialmente inquinate) allo scopo di contrastare le ecomafie e i fenomeni di illegalità ambientale;
   attualmente sul sito dell'Agenzia di protezione ambiente della Campania sono state pubblicate solo le mappe dei comuni sondati con il telerilevamento, senza i relativi dati e relazioni. Si individuano soli le località interessate e le situazioni di pericolo (siti molto inquinanti) sono evidenziate con il colore rosso (magnetometrico) e gialle-arancione (radiometrico). Dall'Infomiapi si apprende che «le altre informazioni sono secretate fino alla definitiva esecuzione delle indagini di tipo diretto»;
   l'attività di telerilevamento dei parametri geofisici (magnetometrici, radiometrici e termici) ha individuato nei comuni di Cicciano e Roccarainola, in provincia di Napoli, numerose aree inquinate precedentemente non note e siti potenzialmente contaminati;
   le mappe Miapi hanno riscontrato inquietanti variazioni magnetiche e radiometriche in località «Vasca di Fellino» nel comune di Cicciano e nelle località «Difesa di Polvica», «Santa Maria del pianto» e «Boscariello» nel comune di Roccarainola, lasciando ipotizzare la presenza nel suolo o nel sottosuolo, nelle acque superficiali o in quelle sotterranee, di sostanze contaminanti in altissime concentrazioni, tali da determinare un pericolo per la salute pubblica, per l'ambiente naturale e quello costruito –:
   se intendano assumere iniziative per rendere pubbliche per intero le informazioni acquisite dal telerilevamento Miapi, desecretando le istruttorie e gli atti prodotti;
   se non ritengano opportuno chiarire, per quanto di competenza, le iniziative adottate per i siti di Cicciano e Roccarainola (Napoli) in cui sono state accertate eccezionali anomalie magnetiche e radiometriche;
   se nelle aree inquinate di Cicciano e Roccarainola, localizzate dalla piattaforma aerea, siano state effettuate attività di indagini geofisiche a terra quali sondaggi, scavi, prelievi, campioni, misure e analisi di laboratorio, o sia stata verificata la presenza di inquinanti nel sottosuolo e/o nelle acque sotterranee e superficiali in corrispondenza dei siti individuati;
   se le preoccupanti situazioni evidenziate nei dossier Miapi delle aree individuate in località «Vasca di Fellino» (Cicciano), «Difesa di Polvica», «Santa Maria del pianto» e «Boscariello» (Roccarainola), siano state oggetto di ulteriori accertamenti da parte del gruppo carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-15615)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il programma operativo nazionale (P.O.N.) «Sicurezza per lo sviluppo – Obiettivo Convergenza 2007-2013» si propone come obiettivo il miglioramento delle condizioni di sicurezza del territorio, della giustizia e della legalità per i cittadini e le imprese laddove i fenomeni criminali limitano enormemente lo sviluppo economico. Il P.O.N. Sicurezza, il cui titolare è il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ha una dotazione finanziaria di 1.158 milioni di euro di cui il 50 per cento cofinanziato dall'Unione europea, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale e il restante 50 per cento finanziato dallo Stato italiano.
  Il progetto MIAPI, nato dalla collaborazione tra il comando Carabinieri per la tutela ambientale e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato finanziato con 10.556.570,00 di euro ed è rivolto alle regioni obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), obiettivo del progetto è fornire agli enti investigativi, preposti alla prevenzione dei crimini ambientali delle regioni obiettivo convergenza, nuove informazioni territoriali necessarie a contrastare in modo più efficace i reati ambientali ed a pianificare interventi di bonifica del territorio potenzialmente inquinato. Parallelamente, sono state coinvolte le ARPA regionali e provinciali impegnate nelle verifiche a terra e nel censimento dei siti inquinati (discariche abusive o comunque non messe in sicurezza).
  Il progetto si articola fondamentalmente in tre fasi. Nella prima fase, attraverso un'analisi multicriteria su dati storici, sono state individuate le aree che statisticamente potrebbero essere oggetto di crimini ambientali e quindi da analizzare. Il passo successivo prevede le attività di volo aereo (elicottero ed aereo) multi sensore (spettrometro gamma, magnetometro, termico, fotogrammetrico) su un totale di circa 12.000 chilometri quadrati (65.000 chilometri lineari di rilievo) ripartiti sulle quattro regioni. I dati rilevati, che hanno richiesto oltre 1.500 ore di volo, vengono quindi analizzati individuando eventuali anomalie di alcuni parametri fisici e geofisici mirando alla localizzazione di aree potenzialmente inquinate su cui focalizzare poi le tradizionali analisi a terra. Le anomalie possono essere nella radioattività, magnetiche o termiche. I dati acquisiti vengono anche confrontati con serie fotogrammetriche storiche e contestualizzati al fine di limitare al massimo errori di interpretazione. La seconda fase del progetto prevede la verifica, tramite indagini in campo con strumenti geofisici, dell'effettiva presenza di inquinanti in corrispondenza dei siti individuati e, in tal caso, si procede alla precisa localizzazione e perimetrazione dell'area anomala. La specifica attività, sviluppata sulle 4 regioni, prevede svariate centinaia di chilometri di rilievo. La terza e ultima fase del progetto prevede la creazione e gestione di un archivio informatizzato centralizzato, condiviso e aggiornabile, delle informazioni relative ai siti potenzialmente inquinati. L'archivio, gestito dal Ministero dell'ambiente, è messo a disposizione sia delle ARPA regionali che del comando Carabinieri tutela ambiente.
  Il notevole interesse suscitato dal progetto sia per l'innovativa tecnica di indagine sia per la sua speditiva applicazione ha comportato la richiesta di ulteriori fondi per investigare aree inizialmente escluse per la mancanza di capienza economica.
  A luglio 2014 il Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza ha approvato «per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza e legalità a carattere sovraregionale nelle 4 regioni obiettivo convergenza» il progetto di estensione del progetto MIAPI originario; ad ottobre 2014 è stato firmato il contratto con il R.T.I che prevede ulteriori 8.000 chilometri quadrati di rilievi da piattaforma aerea e altri 1.700 chilometri circa di rilievi a terra.
  Nell'ambito del progetto MIAPI, nel comune di Roccarainola sono state individuate due anomalie: la 15TFA07001 e la 15B2A02022.
  Per quanto riguarda l'anomalia 15B2A02022 è stato eseguito un sopralluogo in data 30 ottobre 2014 a valle del quale si è deciso di non eseguire il rilievo a causa di un'importante depressione topografica che rendeva pericolosa l'operazione.
  Per quanto riguarda l'anomalia 15TFA07001 è stato eseguito un rilievo in data 6 maggio 2015. L'analisi dei dati raccolti in campo consigliava un ulteriore approfondimento di indagine: i dati raccolti e la relazione sono in possesso della polizia giudiziaria.
  Sul territorio di Cicciano i valori dei parametri rilevati non hanno portato ad individuare alcuna «anomalia».
  Tutti i dati acquisiti ed elaborati nell'ambito del progetto MIAPI (schede, relazioni, dati acquisiti da rilievi aerei e dati acquisiti in campo) sono stati trasmessi al comando Carabinieri per la tutela dell'Ambiente. Le stesse informazioni sono state inviate ad ARPA Campania, ARPA Calabria e ARPA Sicilia, ad eccezione di alcune relazioni che per disposizione degli organi giudiziari non sono state trasmesse a questi enti.
  L'analisi dei dati geofisici rilevati da piattaforma aerea o in campo non può consistere in una semplice analisi visiva dei colori riportati nelle mappe, che peraltro sono una pura vestizione del dato, ma deve essere eseguita da personale specializzato; infatti, una particolare classe di valori rilevati con telerilevamento e rappresentato nella cartografia tematica in possesso delle ARPA non significa automaticamente che vi sia una anomalia.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e mantenere alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FABRIZIO DI STEFANO e VELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'insieme del bacino del lago di Campotosto occupa circa 1400 ettari ed è, da decenni, sia fonte di irrigazione per i terreni circostanti, sia fonte di produzione energetica utilizzata da Enel;
   dopo il terremoto che ha distrutto L'Aquila, l'intero bacino idrografico è stato oggetto di intense verifiche di tenuta, con centinaia di nuovi punti di controllo lungo tutto il perimetro;
   il 23 gennaio 2017, Enel ha dichiarato che «pur non essendoci motivazioni tecniche e nessuna criticità sulle opere idrauliche afferenti il bacino di Campotosto, procederemo alla ulteriore riduzione dell'invaso utilizzando la capacità di derivazione degli impianti e gli organi di scarico della diga di Rio Fucino (27,5mc/sec)»;
   si tratta un'azione a giudizio degli interroganti sconsiderata e messa in atto solo per frenare l'allarmismo immotivato (viste le perizie tecniche sulla tenuta della struttura) che, in pratica, comporta il sacrificio di 1.200.000 metri cubi di acqua al giorno;
   il 31 gennaio 2017 il Consorzio di bonifica ha scritto alla prefettura, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alla regione Abruzzo, all'autorità di Bacino e alla Ruzzo Rieti S.P.A., evidenziando le disastrose conseguenze di tale azione;
   il Governo interrogato, da un lato, si è prodigato per rassicurare la popolazione a valle sull'assenza del «rischio Vajont», dall'altro, ha commissionato uno studio ad Enel per verificare la resistenza della diga fino ad un terremoto di magnitudo 7° (ad oggi è certificata la resistenza ad una magnitudo 6,4°);
   la diga di Rio Fucino però è stata, nel frattempo, letteralmente svuotata e, ulteriore aggravante, si sono persi anche circa 60 milioni di metri cubi sotto forma nevosa;
   le conseguenze della carenza idrica per l'economia locale legata al settore primario saranno disastrose: oltre 3000 aziende interessate (direttamente o indirettamente), 75 milioni di fatturato a rischio e 4.500 dipendenti coinvolti. Il danno si estenderà anche alla distribuzione dell'acqua negli alberghi, nella zona costiera e nei comuni turistici;
   non è stato previsto nessun piano B per ammortizzare questa drammatica situazione: tutta la rete di canali di irrigazione alternativa a quella del bacino del Rio Fucino è oramai inutilizzabile, causa abbandono ed assenza di manutenzione nel tempo –:
   quali immediate ed urge ti iniziative si intendano mettere in campo in relazione alle problematiche evidenziate in premessa relative al bacino idrografico di Campotosto, al fine di ripristinare un contesto che possa soddisfare le esigenze della produzione o prevedere una forma di ristoro alternativa che impedisca il fallimento dell'intero settore primario.
(4-16216)

  Risposta. — In risposta all'atto di sindacato ispettivo in esame, si riferisce quanto segue.
  Le grandi dighe interessate dagli eventi del 18 gennaio scorso sono 21 e ricadono nell'insieme delle 40 opere di sbarramento già coinvolte nella sequenza sismica del 24 agosto 2016; tutte le 21 dighe sono state oggetto di asseverazione straordinaria della sicurezza da parte dei concessionari e sono state oggetto di ispezione tecnica straordinaria da parte dei funzionari ingegneri della direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Non sono stati osservati effetti del terremoto sulle strutture di sbarramento, sulle opere accessorie e sulle sponde tali da richiedere l'adozione di provvedimenti di urgenza; inoltre non sono stati rilevati danni agli sbarramenti aventi rilievo per le funzioni di ritenuta; le opere di scarico sono risultate funzionanti; non sono stati osservati problemi di stabilità delle sponde significativi per l'esercizio in sicurezza degli invasi.
  Il serbatoio di Campotosto è in fase di svaso su disposizione dello stesso concessionario, lo svaso sta avvenendo mediante la derivazione e non si è proceduto all'apertura dello scarico di fondo. La riduzione del livello di invaso è stato di circa 19 milioni di metri cubi, da quota 1306,98 a 1304,40 metri sul livello del mare; le acque scaricate sono oggetto di prelievi irrigui e potabili a valle dello scarico della centrale, quindi nessun danno è stato ad oggi prodotto alle utenze.
  La citata direzione generale non ha ritenuto necessario adottare, fin dall'evento di agosto 2016, alcun provvedimento di riduzione della quota di esercizio del serbatoio in quanto le conclusioni dell'attività di vigilanza svolta non hanno fatto emergere ad accertamenti completati, alcun elemento di criticità di tale significatività da richiedere la riduzione della quota autorizzata.
  In merito, poi, alle iniziative di competenza intraprese dalla direzione generale per le dighe si precisa che:
   i nuovi documenti di protezione civile delle tre dighe di Campotosto sono stati trasmessi alle prefetture;
   è stata avviata una specifica attività di studio e ricerca con l'università di Roma e con l'INGV (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) per aggiornare la ricostruzione del sistema di discontinuità tettoniche presenti nel serbatoio;
   è stato chiesto al concessionario l'aggiornamento delle verifiche di sicurezza sismica considerando eventi di magnitudo pari a 7; il concessionario ha inviato gli aggiornamenti richiesti il 1o marzo scorso, sui quali verrà svolta la prevista attività istruttoria di legge;
   è stato chiesto al concessionario l'aggiornamento degli studi in merito alla faglia dei monti della Laga rispetto a quanto già ricostruito dopo gli eventi del 2009;
   è stato chiesto al dipartimento della protezione civile nazionale di esaminare gli studi già redatti (2010) in merito alla faglia dei monti della Laga.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Alitalia, ex compagnia di bandiera, versa in una situazione di crisi conclamata che fa temere per il suo futuro della compagnia;
   mentre in alcune realtà aeroportuali l'abbandono di Alitalia può rappresentare un danno contenibile, vista la presenza di altri vettori, nell'aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria l'abbandono dello scalo porterebbe alla sostanziale chiusura dello stesso anche in considerazione della situazione complicata in cui lo stesso versa;
   i voli di Alitalia rappresentano infatti circa il 90 per cento di quelli che interessano il Tito Minniti;
   la situazione dell'aeroporto reggino è stato più volte posta all'attenzione del ministro interrogato, attraverso svariati atti della scrivente, tra cui i più recenti sono l'interpellanza 2-01622 e l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-02596;
   a seguito di un incontro tra le organizzazioni sindacali ed Alitalia, avvenuto il 7 marzo 2017, si è avuta tuttavia la conferma che la situazione rischia di precipitare rapidamente;
   l'azienda nel confermare lo stato di crisi in cui versa, ha comunicato che a far data dal prossimo 27 marzo interromperà le attività di volo;
   per quanto riguarda il personale presente, per le attività di terra, l'azienda si è riservata di presentare tutte le misure da adottare a seguito della presentazione del Piallo industriale;
   si reitera quindi, visti i possibili danni dovuti al fatto di lasciare una città metropolitana come Reggio Calabria sprovvista di collegamenti aerei, la richiesta urgente al Ministro interrogato di un intervento per impedire che Alitalia abbandoni lo scalo reggino e che vengano attivate, in deroga ai principi in materia di aiuti di Stato, le misure previste all'articolo 16 del Regolamento CE n. 1008/2008, in materia di continuità territoriale –:
   con che misure di propria competenza il Governo intenda impegnarsi per garantire l'operatività e un'offerta adeguata nell'aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria e se intenda attivare le misure previste all'articolo 16 del Regolamento CE n. 1008/2008, in materia di continuità territoriale. (4-15856)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 15 e il 28 marzo scorso, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata alla Camera e in IX Commissione Trasporti, in ordine alla cancellazione dei voli da e per Reggio Calabria da parte di Alitalia, da più di un anno sono in corso riunioni sulla mobilità nell'area dello Stretto tra questo Ministero. Enac, Enav, il presidente della regione Calabria e gli enti comunali interessati per cercare di mantenere Alitalia al tavolo ed evitare di interrompere il servizio.
  Tali iniziative hanno permesso di formalizzare, lo scorso 24 marzo, un apposito documento dichiarativo di impegno, nel quale è delineato il pacchetto di interventi per il rilancio dell'aeroporto e, in particolare, misure per promuovere le rotte domestiche esistenti.
  Grazie a tale impegno, Alitalia ha ripreso a partire dal 30 marzo 2017 i decolli per e da Roma e Milano per Reggio Calabria con cadenza giornaliera, inizialmente uno per rotta.
  Con specifico riferimento alle difficoltà gestionali, si fa presente che, a seguito del fallimento della precedente società di gestione dell'aeroporto, la regione Calabria ha provveduto a bandire apposita gara per la gestione dell'aeroporto di Reggio Calabria e quello di Crotone al fine di creare un sistema più solido e più capace di trattare con le compagnie aeroportuali attirando nuovo traffico.
  Tale procedura, anche a causa di un ricorso da parte degli enti locali, si è prolungata e solamente il 3 marzo 2017, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme.
  Ciò consentirà di creare una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Villa Pellegrini Marioni Pullè è una villa situata a Chievo (frazione di Verona);
   neopalladiana, la veste attuale della villa è dell'architetto Ignazio Pellegrini (XVIII secolo);
   l'entità e le caratteristiche del complesso immobiliare compreso fra le pertinenze di Villa Pullè, ora di proprietà dell'Inps (quindi dello Stato), come risulta da una perizia dell'INPS del 18 gennaio 1988, sono così identificate: Villa Pullè metri quadrati 2.713; fabbricato ex sanatoria metri quadrati 2.384; orto botanico e parco metri quadrati 47.557; azienda agricola 1: fabbricato metri quadrati 562; terreni metri quadrati 23.301; azienda agricola 1: fabbricato metri quadrati 607; terreni metri quadrati 38.574;
   l'immobile, sottoposto a tutela vincolistica ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse storico-artistico, si trova da oltre mezzo secolo in un pietoso, colpevole e inaccettabile stato di incuria e totale abbandono. Durante questo periodo la villa e le opere d'arte in essa contenute sono state oggetto di saccheggi e danneggiamenti insanabili;
   il compendio di Villa Pullè (di cui fa parte anche l'ex sanatorio, oggi Istituto Alberghiero Berti) fu ceduto il 1° aprile 1919 dai Miniscalchi-Erizzo al Consiglio ospitaliero di Verona per la cura della tubercolosi (TBC) e cessò la sua funzione quando la gestione delle cure fu trasferita all'INPS. Da allora è iniziata un'assurda disputa fra il comune di Verona e l'Istituto nazionale di previdenza sociale perché ciascuno riteneva d'essere proprietario dell'immobile e delle sue pertinenze;
   Villa Pullè rimane comunque patrimonio culturale della cittadinanza e non può essere considerato dall'INPS come patrimonio da dismettere, nell'intento di colmare il disastroso stato finanziario delle casse dell'ente;
   sono molteplici gli aspetti che rendono la villa e il suo parco strategici: l'area verde della villa può consentire il passaggio di una pista ciclabile gradevole e sicura che connetterebbe quella esistente, presente sulla riva del Camuzzoni, e quella che prosegue verso Bussolengo evitando un tratto molto pericoloso su via Berardi, proprio dalla piazza del Chievo sino alla doppia curva posta dopo via del Pinedo; la zona di verde intorno alla villa rappresenterebbe un'ottima occasione per ripristinare il rapporto tra aree cementificate e verde di cui la città è carente, dato il debito di area verde che la città deve riscuotere come contropartita ai 5 milioni di metri cubi di cemento previsti dal piano degli interventi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   quali iniziative, di competenza il Governo, intenda assumere per scongiurare il pericolo della privatizzazione e restituire alla Villa e alle sue pertinenze una funzione di pubblica utilità. (4-14045)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alla Villa Pullè, situata nella frazione Chievo del comune di Verona, chiede quali iniziative si intenda assumere per la tutela del compendio e per restituirlo alla pubblica fruizione.
  La Villa Pullè, già Fattori Pellegrini Merchenti, sorse, nelle sua prima edizione, alla metà del XVII secolo su un terreno digradante verso l'Adige allora di proprietà di Antonio Fattori, in località Chievo Verona. Nel 1681 il figlio Giacomo fece costruire un grandioso palazzo circondato da parco. Agli inizi del secolo seguente i Marioni, successivi proprietari della villa e amanti dei ludi scenici, fecero edificare un teatro di campagna in analogia a quello da loro posseduto in città, che ebbe enorme fortuna.
  Nella seconda metà del secolo XVIII la contessa Pellegrini incaricò Ignazio Pellegrini, suo parente, di ristrutturare la villa per renderla più adatta alle sue nobili funzioni di rappresentanza.
  Fu Elvira Ponti Miniscalchi, ultima proprietaria, che alienò nel 1917 il complesso agli istituti ospitalieri di Verona con la condizione di perpetua destinazione a tisicomio provinciale. La villa fu dal 1927 trasformata nel reparto maschile tubercolitici. Nel 1932 l'amministrazione ospitaliera stese un accordo con la cassa nazionale delle assicurazioni sociali (poi Istituto nazionale della previdenza sociale – Inps). Dopo un'annosa controversia per la rivendicazione della proprietà tra l'Unità sanitaria locale n. 20, il comune di Verona e l'istituto di previdenza, nel 1988, con sentenza del tribunale di Verona, venne riconosciuto, quale legittimo proprietario del complesso, l'istituto suddetto, fatta eccezione per una porzione di parco.
  La villa si compone di un corpo centrale rialzato nella parte mediana scandita sui due registri da una serie di lesene con cinque duplici file di finestre e prolungamento sui due lati con corpi di edificio di minore altezza e dépendance con cappella. La facciata della villa è rivolta verso l'abitato del Chievo e presenta a pianoterra un portico scandito da cinque archi a tutto sesto, sormontato da una terrazza balaustrata su cui si aprono cinque porte finestre trabeate. La parte centrale è coronata da un timpano triangolare ove troneggia uno stemma, mentre gli acroteri erano sottolineati da statue, poi rimosse e ricoverate presso la sede dell'Inps a Verona.
  Nella facciata posteriore lo schema formale è variato dalla sostituzione del porticato con una parete continua, scandita da lesene doriche nei cui intervalli si aprono, nei due piani fuori terra, finestre rettangolari. L'interno della villa, i cui vani sono organizzati intorno ad un ampio vestibolo, è caratterizzato da una articolata decorazione pittorica al piano terra: «Le Storie di Ercole», attribuite ad Angelo Da Campo (Verona 1735-1826) per la parte figurativa, mentre Filippo Maccari (Bologna 1725-Verona 1800) sarebbe l'autore dell'apparato prospettico. Gli affreschi sono stati quasi integralmente rifatti all'epoca della seconda guerra mondiale sulla base di vecchie fotografie. Nella sala di sinistra è conservata una pregevole decorazione ad affresco di Marco Marcola, che raffigura scene di rappresentazioni teatrali e musicali, sul soffitto è raffigurata una scena del mito di Apollo, Pan e Marsia. Mentre scene di vita nella villa decorano le pareti. In un'altra sala sono illustrati gli stemmi araldici delle famiglie che si sono imparentate nel corso dei secoli con i conti Pullè, divenuti proprietari, della villa del Chievo nella seconda metà del XIX secolo. La grande tela, collocata entro una cornice modanata di legno alla sommità dello scalone di rappresentanza, non è più presente in sito.
  Il parco, di cui solo una porzione è di proprietà dell'INPS, era corredato di un giardino all'italiana sul lato nord. Esso conserva ancora essenze arboree pregiate come cipressi, cedri del Libano, cedri deodara, abeti rossi, lecci, magnolie, tassi e bossi. Ornavano i percorsi del parco delle statue in tufo che rappresentavano le allegorie delle quattro stagioni o personaggi mitologici. Oggi rimangono solo i piedistalli. Alcune statue sono state depositate per ragioni di sicurezza nel chiostro della Soprintendenza Belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza e presso la sede dell'INPS di Verona; altre sono state concesse in comodato gratuito alla Banca d'Italia, sede di Verona (autorizzazione della SBAP di Verona, protocollo n. 2601 del 27 febbraio 2002 e autorizzazione della SBSAP di Verona, protocollo n. 775 del 28 febbraio 2002).
  Il complesso monumentale di Villa Pullè è sottoposto alle disposizioni di tutela prescritte dall'articolo 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni e delle attività culturali, di seguito Codice) in forza dei decreti ministeriali del 23 febbraio 1998 e del 25 maggio 2015. Una parte dell'area del parco della Villa Pullè ricade nelle disposizioni di tutela di cui all'articolo 142, comma 1, lettera c) del Codice.
  La Soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza ha seguito, negli anni, lo stato conservativo del complesso di Villa Pullè di proprietà dell'INPS sia per quanto riguarda la villa che le pertinenze e una porzione di parco.
  Nel corso degli ultimi anni la soprintendenza ha autorizzato diversi interventi di messa in sicurezza delle strutture e degli affreschi ivi presenti. A tal fine si riporta una sintetica cronologia degli atti emanati per il recupero e la salvaguardia della villa.
  In data 25 novembre 2008, con nota prot. 664/E, la soprintendenza, nel rammentare gli obblighi derivanti dall'articolo 30 del codice, ha invitato l'ente proprietario a predisporre un progetto di interventi urgenti, riservandosi l'eventuale attivazione delle procedure di cui agli articolo 32 e 33 del codice.
  In data 30 marzo 2009, il tecnico incaricato dall'IGEI-INPS, proprietaria dell'immobile, di redigere un piano di intervento per in messa in sicurezza delle Villa Pullè e servizio annesso, ha richiesto alla Soprintendenza quali fossero le priorità inderogabili e necessarie da eseguite con urgenza atte a garantire la sicurezza e conservazione del bene. In data 9 aprile 2009, con nota protocollo 0007547, la Soprintendenza ha indicato all'ente proprietario le opere più urgenti da eseguire.
  In data 10 agosto 2010, il tecnico incaricato dall'IGEI-INPS ha trasmesso il progetto di messa in sicurezza del complesso monumentale di Villa Pullè. La soprintendenza ha autorizzato, con prescrizioni, gli interventi proposti; con protocollo n. 29425 del 9 novembre 2010.
  In data 24 febbraio 2012, la soprintendenza ha autorizzato, con nota protocollo n. 004983, il progetto di fissaggio degli apparati decorativi presenti nella villa.
  In data 16 agosto 2012, la soprintendenza ha autorizzato, con nota protocollo n. 0023294, un progetto di messa in sicurezza e restauro degli apparati decorativi a seguito di richiesta avanzata della proprietà e con note protocollo 0023295 del 16 agosto 2016 ha autorizzato gli interventi urgenti da realizzare in seguito a incendio provocato da ignoti.
  In data 22 gennaio 2013 la soprintendenza ha autorizzato, con nota protocollo n. 0001838, le opere di variante al progetto di messa in sicurezza a seguito di incendio provocato da ignoti.
  In data 4 marzo 2013, su richiesta avanzata dalla IGEI s.p.a INPS Gestione Immobiliare, la Soprintendenza ha autorizzato, a condizioni, con nota protocollo n. 0005851, un progetto per la rimozione di graffiti che imbrattavano alcune pareti interne ed esterne della villa.
  In data 30 ottobre 2013, con nota protocollo n. 0030296, la soprintendenza ha autorizzato un progetto per il posizionamento di capichiave per tiranti metallici nell'ambito di un progetto di consolidamento e restauro del complesso monumentale.
  In data 9 aprile 2014, la soprintendenza ha autorizzato, con prescrizioni, con nota protocollo n. 0009183, una variante al progetto di consolidamento e restauro conservativo del complesso monumentale autorizzato con nota protocollo n. 0029425 del 9 novembre 2010.
  In data 18 luglio 2014 la soprintendenza ha autorizzato, con nota protocollo n. 0018999, il progetto di consolidamento e restauro conservativo della pertinenza detta «Teatro».
  In data 31 ottobre 2014, la Soprintendenza ha autorizzato, con nota protocollo n. 0028512, un progetto di consolidamento e restauro conservativo del soffitto del salone delle armature.
  L'ex direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, con nota n. 19527 del 20 novembre 2014 ha informato la soprintendenza che la villa rientra nell'elenco degli immobili da conferire al fondo immobiliare INVIMIT Sgr spa. Con successiva nota n. 20060 del 1°dicembre 2014, l'ex Direzione regionale ha sollecitato l'avvio d'ufficio della verifica dell'interesse culturale, segnalando l'urgenza per il completamento del procedimento di autorizzazione all'alienazione. Tale procedimento di verifica si è concluso con l'emanazione della dichiarazione di interesse culturale, con il provvedimento del 25 maggio 2015, sopra richiamato.
  Recentemente il comune di Verona e l'INPS hanno comunicato di avere in corso la stipula di un accordo d'intesa istituzionale finalizzato al recupero, alla valorizzazione e al riuso funzionale del complesso monumentale di Villa Pullè. Dalla bozza di accordo emerge che l'INPS intende procedere alla valorizzazione della villa anche mediante immissione sul mercato, mentre tra l'INPS e l'amministrazione comunale di Verona è previsto un accordo per la permuta di due porzioni del parco. A tale riguardo si precisa che l'amministrazione comunale, con nota n. 0296417 del 12 ottobre 2016, acquisita al protocollo n. 24614 del 17 ottobre 2016, e l'INPS, con nota pervenuta in data 31 ottobre 2016 e acquisita al protocollo n. 26331 del 2 novembre 2016, hanno formalizzato la richiesta di autorizzazione alla permuta di due porzioni di parco (foglio 184, particella 45 parte e 71 parte), sulla quale la soprintendenza – con nota n. 24140 dell'11 ottobre 2016 e nota n. 27739 del 18 novembre 2016 – ha chiesto integrazioni in riferimento a quanto previsto dall'articolo 55 del Codice, in particolare per i tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione, per quanto riguarda la porzione di parco comunale e l'indicazione della destinazione d'uso in atto, in merito al programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene e le modalità di fruizione pubblica del medesimo, anche in rapporto con la situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso, per quanto riguarda la porzione di parco di proprietà dell'INPS.
  Con nota n. 26917 del 2 ottobre 2016, pervenuta in data 17 ottobre 2016, protocollo n. 24614, il comune di Verona ha dichiarato che non sono all'attualità definibili con precisione i tempi per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione, dipendendo gli stessi dalla presentazione da parte dell'INPS (soggetto acquirente) dei progetti definitivi di valorizzazione. La soprintendenza si riserva di valutare la permuta nella sua totalità non appena l'INPS integrerà la documentazione richiesta.
  Infine, per quanto riguarda un'eventuale alienazione della villa a privati, si comunica che a tutt'oggi non è pervenuta in merito alcuna richiesta di autorizzazione ai sensi dell'articolo 56 del codice, la quale, comunque, sarà oggetto di valutazione da parte della competente soprintendenza ai fini di accertarne la compatibilità con il carattere storico-artistico dell'immobile, anche in merito alla fruizione pubblica. La soprintendenza vigilerà anche su qualsiasi richiesta di interventi di carattere edilizio, manutentivo e/o modificativo dello stato attuale dei luoghi, ai fini dell'autorizzazione preventiva prescritta dall'articolo 21 del Codice.
  L'amministrazione, tramite la direzione competente e gli uffici territoriali, vigilerà con la massima attenzione la vicenda al fine di assicurare il rispetto delle tutele che il codice appresta per garantire la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Guardia di finanza di Verona ha sequestrato, nei giorni scorsi, in Strada dell'Alpo – località Marangonina (Verona) – un'intera area di 3 ettari adibita a discarica abusiva, in uno stato di totale abbandono;
   i finanzieri hanno valutato fin da subito la potenziale minaccia per l'ambiente circostante: sull'area erano stati, infatti, ammassati rifiuti di ogni genere, molti dei quali di natura pericolosa (materiali edili, veicoli fuori uso, macchine e materiale ferroso); i finanzieri hanno sottoposto a sequestro l'intero fondo, adibito a deposito di una società a responsabilità limitata, segnalando alla locale procura della Repubblica il proprietario del terreno, per la violazione della normativa ambientale;
   per consentire lo smaltimento dei rifiuti e mettere in sicurezza l'intera zona, il responsabile e rappresentante legale della impresa edilizia, con procedura di liquidazione volontaria in concordato preventivo già aperta al tribunale di Verona – è stato segnalato al comune di Verona, al dipartimento di Verona dell'Arpav Veneto nonché alla locale prefettura e provincia per provvedimenti di rispettiva competenza –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga necessario adottare le iniziative di competenza volte a verificare anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento a garanzia della salute della popolazione locale nonché della salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria. (4-15507)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La prefettura di Verona, con nota del 24 marzo 2017, ha comunicato che il comando provinciale Guardia di finanza di Verona, Ufficio Operazioni, interpellato dalla stessa prefettura in merito, ha rappresentato che, in data 19 gennaio 2017, a seguito di servizi di controllo del territorio finalizzati alla repressione dei reati ambientali, i «Baschi Verdi» del gruppo di Verona procedevano al sequestro preventivo di un'area sita in strada dell'Alpo, nel comune di Verona, riconducibile ad una società a responsabilità limitata, in liquidazione volontaria in concordato preventivo instaurato presso il tribunale di Verona.
  Sulla superficie di circa 30.000 metri quadri, insistevano cumuli di rifiuti misti provenienti da attività di demolizioni e costruzioni, veicoli fuori uso di vario genere, comprese «macchine mobili non stradali», plastica, container e materiale ferroso.
  Il rappresentante legale della società, operante nel settore edile, è stato denunciato per la realizzazione di una discarica abusiva, nell'ambito del procedimento penale n. 873/2017 R.G.N.R. – Mod. 21, istituito presso la procura della Repubblica di Verona.
  Previo nulla osta dell'autorità giudiziaria, concesso in data 24 gennaio 2017, sono stati notiziati, per gli adempimenti di competenza, il comune, la provincia di Verona ed il dipartimento di Verona dell'ARPA Veneto.
  Il comando provinciale della Guardia di finanza, in data 17 febbraio 2017, ha chiesto un parere tecnico all'agenzia regionale per la prevenzione e la protezione ambientale (ARPAV) di Verona, per l'asseverazione delle prescrizioni a norma dell'articolo 318-bis e ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (recentemente modificato dalla legge n. 68 del 2015, recante «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente»).
  A tale riguardo, la suddetta ARPAV di Verona, con nota del 20 marzo 2017 inviata a questo Ministero, ha reso noto che, con nota del 23 febbraio 2017, è stata inoltrata alla Guardia di finanza l'asseverazione tecnica richiesta che, tra le altre prescrizioni, prevede un programma di smaltimento da presentare al comune di Verona per i seguiti di competenza entro il termine di 30 giorni, da inviare per lo svolgimento dei compiti istituzionali alla provincia di Verona, alla direzione provinciale ARPAV di Verona e al comando della Guardia di finanza gruppo di Verona.
  Tale programma dovrà contenere:
   natura e quantità dei rifiuti;
   documentazione fotografica di tutte le fasi di smaltimento e cartografia del sito;
   impianti autorizzati ove saranno recuperati e/o smaltiti i rifiuti;
   tempi di attuazione del programma di smaltimento.

  La ditta, inoltre, dovrà indicare tempi e modalità di successive indagini, se necessarie, del suolo, sottosuolo e delle acque sotterranee, al fine di acquisire elementi conoscitivi per predisporre un eventuale progetto di bonifica. Allo stato il procedimento è ancora in itinere.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FEDI e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   gli Istituti Italiani di cultura (IIC) nel mondo dovrebbero essere un luogo di incontro e di dialogo per intellettuali e artisti, per gli italiani all'estero e per chiunque voglia coltivare un rapporto con il nostro Paese;
   dovrebbero promuovere all'estero l'immagine dell'Italia e la sua cultura, classica ma anche e soprattutto contemporanea;
   l'80 per cento del lavoro svolto dagli Istituti Italiani di cultura, allo stato attuale, è di natura amministrativo-contabile;
   negli ultimi anni, alle già prevalenti incombenze di natura amministrativo-contabile, si sono sommati anche altri obblighi di carattere fiscale;
   alle competenze in materia amministrativa e fiscale verso l'Italia si aggiungono, per la specifica presenza degli Istituti Italiani di cultura sul territorio all'estero, le competenze delle normative locali;
   la carenza strutturale di personale in tutte le sedi rende ancora più pressante l'esigenza di un alleggerimento dei carichi contabili amministrativi ed un generale orientamento dell'attività verso programmi e progetti culturali;
   le indicazioni operative del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in relazione alla predetta attività amministrativa, non sono chiare e la libera e diversa interpretazione tra le sedi causa risposte diverse che creano confusione e disfunzioni;
   il processo di «dematerializzazione» risulta inapplicabile e comporta costi più elevati e tempi enormemente più lunghi rispetto al passato –:
   se non si ritenga di assumere iniziative per:
    a) affidare gli obblighi fiscali nel loro insieme (ritenuta d'acconto, Irap, dichiarazione di ritenuta d'acconto per l'ospite) ad un fiscalista italiano quale unico consulente competente a livello di Paese;
    b) eliminare il Codice identificativo di gara (Cig), reintroducendo per tutte le richieste e le accettazioni di offerta, nonché per i decreti autorizzativi, il timbro «visto si liquida»;
    c) innalzare a 1.000,00 euro in deroga per tutti gli Istituti Italiani di cultura, la soglia applicativa di «0» euro, di cui al messaggio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 235654 del 30 novembre 2016 avente ad oggetto «Codice dei contratti. Linee guida ANAC sulle procedure di affidamento per importi inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria»;
    d) predisporre appositi corsi di formazione, non in modalità «FAD», ossia corsi specifici presso il Ministero o le rappresentanze diplomatiche italiane in loco, come peraltro già sperimentato per i corsi di «aggiornamento in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro», per il personale amministrativo-contabile degli Istituti Italiani di cultura;
    e) aumentare il contingente del personale amministrativo a contratto presso tutte le sedi degli Istituti Italiani di cultura per fare fronte alle incombenze amministrative e contabili. (4-15693)

  Risposta. — Nel condividere le osservazioni dell'interrogante sulle incombenze amministrativo-contabili a carico del personale degli Istituti italiani di cultura (Iic), si fa presente, a titolo di premessa, che si tratta di adempimenti previsti dalla legge ai quali devono conformarsi sia gli uffici centrali che quelli esteri del Maeci.
  In relazione agli adempimenti di carattere fiscale e previdenziale cui gli Iic sono soggetti, alla luce della loro autonomia di bilancio, questi sono già dotati degli strumenti, qualora ricorrano i termini di legge, per rivolgersi a entità esterne sia locali che italiane. Non appare invece possibile un affidamento a livello centrale per due ragioni: innanzitutto, i possibili contrasti fra la normativa locale di alcuni Paesi e quella italiana; in secondo luogo, l'assenza di uno specifico capitolo di bilancio cui imputare la spesa, fra quelli gestiti dalla competente Direzione generale per la promozione del sistema paese di questo ministero.
  Il codice identificativo di gara (Cig) è stato istituito dall'articolo 3 della legge 136 del 2010 per permettere la tracciabilità dei pagamenti della pubblica amministrazione con fini di contrasto alla corruzione. Di conseguenza, il suo superamento può avvenire esclusivamente previa entrata in vigore di norma di pari rango oppure con apposita disciplina speciale.
  Quanto alle linee guida dell'Autorità nazionale anticorruzione n. 4, non è citata alcuna soglia «applicativa» di 0 euro in deroga per gli Iic alla cifra di euro 1.000,00.
  Va inoltre sottolineato che tali linee guida si applicano nelle more dell'emanazione di apposite direttive per i contratti da svolgersi all'estero, previste dall'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Nel quadro di tali direttive, in corso di finalizzazione insieme all'Anac, sono previste importanti semplificazioni degli adempimenti a carico degli uffici all'estero, a beneficio quindi anche degli Iic.
  Lo svolgimento di corsi di «formazione a distanza» (Fad) appare al momento la formula che meglio contempera le esigenze formative con quelle di contenimento del bilancio pubblico. Inoltre, la modalità Fad consente al personale degli Iic di formarsi restando presso le sedi di appartenenza, limitando le ripercussioni sull'attività d'ufficio. I corsi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a differenza di quelli destinati al personale amministrativo-contabile degli Iic, costituiscono tassativo obbligo di legge, in ragione della necessità di mantenere completo e aggiornato l'organigramma delle figure previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008.
  Quanto al contingente del personale amministrativo a contratto dell'intera rete diplomatico-consolare e degli Iic, esso è fissato per legge, da ultimo il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.
  Gli Iic, nel corso degli ultimi due esercizi finanziari sono stati autorizzati ad assumere 68 unità per un totale ad oggi di 326 impiegati in servizio: di queste autorizzazioni 35 sono state destinate al potenziamento dell'organico. Per quanto riguarda il personale di ruolo (Area per la promozione culturale, Apc), nel piano delle assunzioni 2017-2019 il Maeci ha richiesto un apposito concorso per 44 unità di funzionari Apc. Il concorso potrebbe essere bandito già nel corrente anno. Inoltre, a valere sul fondo assunzionale per le pubbliche amministrazioni istituito dalla legge n. 232 del 2016, la Farnesina ha richiesto apposite risorse da destinare all'assunzione di ulteriori unità di funzionari Apc del predetto concorso.
  Se il Maeci figurerà tra le amministrazioni pubbliche destinatarie di tale finanziamento, al più tardi entro la fine del 2018 le procedure saranno concluse e il ruolo dei funzionari dell'area Apc risulterà notevolmente potenziato.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   FIANO, FERRO, PIAZZONI, CARELLA e MINNUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Anzio è stata rilevata la presenza di diverse organizzazioni criminali. Nelle relazioni della direzione nazionale antimafia si legge che nell'area compresa tra Cisterna di Latina, Anzio e Nettuno risulta operativo il clan Schiavone-Noviello (2011-2012) e che, in tale realtà territoriale, è stata giudizialmente affermata la presenza della cosca ’ndranghetista dei Gallace di Guardavalle (inchiesta Appia). Il 22 ottobre 2013 è stata emessa la sentenza a carico di esponenti di tale sodalizio la cui rilevanza era già stata confermata dalle pronunce giudiziarie dei tribunali di Reggio Calabria e Milano (2013);
   numerosi amministratori comunali di Anzio sono stati oggetto di atti intimidatori: il 5 marzo 2012 vengono esplosi numerosi colpi di pistola all'indirizzo della villa dell'assessore Patrizio Placidi; il 14 febbraio 2015 stesso copione contro l'abitazione dell'assessore Alberto Alessandroni; il 5 agosto 2016 viene incendiata l'auto del vicesindaco Giorgio Zucchini e il 15 ottobre 2016 viene nuovamente data alle fiamme la macchina del vicesindaco;
   il 14 marzo 2016, è stato richiesto il rinvio a giudizio dell'assessore Patrizio Placidi, per abuso d'ufficio per l'affidamento di diversi servizi a cooperative sociali. L'indagine vede coinvolti anche il dirigente dell'ufficio ambiente Dell'Accio Walter, Parziale Ernesto, che amministrava la cooperativa Giva, il consigliere comunale Salsedo Valentina (rappresentante legale della cooperativa Giva fino alla sua elezione nel 2013 a consigliere comunale e moglie di Parziale Ernesto), il presidente della cooperativa Quadrifoglio, Pietro Leoni, candidato alle ultime elezioni amministrative del 2013 nella Lista Enea, capeggiata dallo stesso Placidi; nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Dell'Accio si legge che lo stesso avrebbe adottato diversi atti amministrativi al fine di far conseguire vantaggi anche ai «soci elettori di Placidi»;
   la cooperativa Giva risulta citata anche nell'indagine «mala suerte»; tale inchiesta, nell'ambito della quale sarebbero emersi collegamenti tra alcuni indagati e la camorra, ha portato all'arresto di 14 persone per traffico internazionale di sostanze stupefacenti ed estorsione, tra i quali Roberto Madonna e Angelo Pellecchia; nell'indagine si evidenzia che la cooperativa Supercar, gestore del servizio di parcheggio delle vetture dei turisti diretti a Ponza, pagava, tramite Augusto De Bernardinis, amministratore della cooperativa Rainbow, il pizzo a Pellecchia Angelo; si rileva inoltre dall'indagine che la cooperativa ex Giva, poi divenuta «I Neroniani», operava dal 2012 all'interno del porto di Anzio; emerge ancora dall'indagine che la Supercar, trovandosi in difficoltà con il Pellecchia, che operava a nome della cooperativa «neroniana», si è vista costretta a pagare anche Roberto Madonna affinché questi intervenisse presso il Pellecchia, in quanto legato allo stesso da buoni rapporti. Dagli atti emergono numerose intercettazioni telefoniche in cui Madonna Roberto minaccia di «gambizzare» il De Bernardinis e di mettere una bomba sotto la vettura dell'amministratore della Supercar. Nella stessa indagine figura anche il vicesindaco Giorgio Zucchini che, sebbene non indagato, è indicato come mediatore tra la ex Giva, poi divenuta «I Neroniani» e la Supercar che portò alle successive richieste estorsive;
   Madonna Roberto è fratello di Madonna Raffaele, quest'ultimo risulta impiegato nella cooperativa sociale Bic (ex cooperativa neroniana), destinataria di diversi lavori per il comune di Anzio, come confermato dalle intercettazioni telefoniche allegate all'indagine «mala suerte»;
   il 18 ottobre 2014, Augusto De Bernardinis, è stato condannato per corruzione assieme al dirigente dell'ufficio servizi sociali del comune, Santaniello Angela, e dell'assessore ai servizi sociali, Colarieti Italo, nell'ambito dell'indagine riguardante il servizio di assistenza bus, di gestione parcheggi e della Casa di riposo francescana;
   l'assessore Patrizio Placidi risulta indagato nell'ambito dell'indagine «caro estinto» assieme a Luca Gramazio, all'epoca dei fatti consigliere alla regione Lazio per Forza Italia e ad esponenti della famiglia Taffo (pompe funebri) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa i fatti indicati in premessa;
   se non si ritenga opportuno valutare le eventuali iniziative fin qui intraprese dal prefetto di Roma e se non si ritenga di assumere iniziative ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e, in particolare, promuovere l'insediamento di una commissione di accesso di cui all'articolo 143 presso il comune di Anzio. (4-14785)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione in esame, le indagini condotte dalle Forze dell'ordine nel basso Lazio – prevalentemente nell'area pontina Ardea-Pomezia e in quella del litorale romano Anzio-Nettuno – hanno permesso di far luce su fatti di particolare rilevanza da interpretare come preoccupanti segnali di un’escalation della criminalità organizzata in quei territori.
  Al riguardo, occorre premettere che questo innalzamento del livello di criminalità (e del suo indice di penetrazione) affonda le sue radici nel processo di insediamento di alcuni personaggi mafiosi (soprattutto di origine campana) arrivati nel basso Lazio diversi anni fa in condizione di clandestinità e grazie al supporto di idonei dispositivi criminali.
  In tale contesto di radicamento sul territorio di interessi criminali, cui vanno inseriti anche alcuni atti intimidatori in danno di esponenti della politica locale, tra cui gli episodi riferiti dall'interrogante, cioè l'attentato nei confronti di Patrizio Placidi, all'epoca vicesindaco e assessore all'ambiente del comune di Anzio, e quello in danno di Alberto Alessandroni, assessore ai lavori pubblici dello stesso comune.
  Le indagini relative alle due vicende delittuose, a cura della Compagnia dei carabinieri di Anzio, non hanno ancora portato all'individuazione dei responsabili, né hanno potuto stabilire nessi tra quanto accaduto e l'attività politica della vittima.
  Per completezza d'informazione, si informa che il 4 agosto 2016 è stata data alle fiamme l'auto di Giorgio Zucchini, vicesindaco e assessore al bilancio e al patrimonio del comune di Anzio. Sul luogo dell'accaduto, i carabinieri hanno rinvenuto e sottoposto a sequestro una bottiglia parzialmente combusta, già contenente liquido infiammabile.
  In un quadro più generale, riferito all'alta incidenza del fenomeno mafioso nei territori del basso Lazio, si rappresenta che le forze dell'ordine sono fortemente impegnate nello smantellamento delle associazioni criminali, che sono attive soprattutto nel traffico di stupefacenti.
  Occorre, infatti, tener presente che il litorale romano, unitamente a quello pontino, costituisce un'area di notevole interesse per i sodalizi criminali fin dagli anni ’50, quando l'esponente di spicco della criminalità organizzata, Francesco Paolo Coppola trasferì il centro dei suoi affari criminali nella zona di Tor San Lorenzo, nei pressi di Anzio.
  Le indagini più recenti hanno messo in evidenza la presenza di due importanti consorterie criminali nel territorio di Anzio, facenti capo alla famiglia ’ndranghetista dei Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, e a quella camorrista dei casalesi Schiavone-Noviello.
  In merito alla prima di queste «famiglie», diverse operazioni hanno permesso di accertare al suo interno la presenza di una struttura organizzata come ’ndrina, distaccata nel territorio laziale soprattutto nei comuni di Anzio e Nettuno. Il clan è dedito prevalentemente al traffico di cocaina e le sue articolazioni arrivano fino in Lombardia e Germania. I «Gallace» si sono trasferiti nel Lazio all'inizio degli anni ’80 e a questo periodo risalgono i primi procedimenti di arresto nei confronti dei loro affiliati (in particolare, per detenzione di armi da fuoco clandestine).
  Nel corso degli anni successivi, i Gallace sono risultati coinvolti in molte altre indagini (tra le più importanti, quelle denominate «Appia», «Mithos», «Venusia» e «Caracas»), tutte sfociate in numerosi arresti. Dalle inchieste di polizia sono inoltre emersi legami tra i Gallace e la famiglia malavitosa romana dei Romagnoli (attiva a sud della Capitale, in particolare nei quartieri Casilino, Torre Maura e San Basilio), con la quale risultano federati.
  Oltre ai numerosi arresti, frutto delle risultanze investigative è il sequestro preventivo, emesso dalla direzione distrettuale antimafia, di diversi beni immobili riconducibili alla cosca Gallace-Romagnoli, per un valore approssimativo di circa 2 milioni di euro.
  Anche i casalesi risultano attivi nel territorio in questione, dove sono arrivati alla fine degli anni ’90. Il loro capo è Pasquale Noviello, imparentato con la famiglia degli Schiavone e, attualmente, in regime di detenzione, poiché raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare scaturita da un'indagine della direzione distrettuale antimafia di Roma (dovendo rispondere del delitto di cui all'articolo 416-bis).
  C’è da osservare che, nel giro di pochi anni, i casalesi e, più in generale, i clan di camorra insediatisi in quel territorio hanno rivolto i propri interessi in direzione della capitale, stipulando una serie di accordi volti a disciplinare la reciproca coesistenza e a realizzare affari comuni. È con l'operazione «Sfinge» del 2012 che le autorità giudiziarie attestano per la prima volta la presenza di un'associazione camorristica nell'area del litorale romano.
  In quell'occasione, il tribunale di Latina ha riconosciuto il clan Noviello-Schiavone come un'autonoma associazione di tipo camorristico, costola e alleata del «clan dei casalesi», capeggiata da Maria Rosaria Schiavone (nipote di Francesco Schiavone, detto Sandokan) e dal marito Pasquale Noviello. L'organizzazione opera con metodi violenti, riproponendo nei comuni di Anzio e Nettuno, oltreché in quelli di Aprilia e Latina, il modello criminale già attuato nel casertano.
  Nell'area di Anzio è stato individuato anche l'insediamento di alcuni soggetti riconducibili ai clan camorristici napoletani Cozzolino, Contini, Abate, Veneruso e Anastasio. Come detto, con il tempo, le formazioni mafiose presenti nel basso Lazio hanno creato tra loro relazioni stabili, frutto di oculate strategie criminali, che hanno permesso loro di gestire non solo i traffici degli stupefacenti e delle estorsioni, ma anche attività apparentemente legali quali la grande distribuzione o la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli.
  In tale contesto si inserisce la tematica degli eventuali condizionamenti criminali dell'attività amministrativa del comune di Anzio. Al riguardo, va osservato che, negli ultimi anni, la prefettura di Roma ha ricevuto numerosi esposti, regolarmente trasmessi agli organi di polizia per gli accertamenti del caso, con cui cittadini, comitati, associazioni o esponenti politici hanno evidenziato criticità riguardanti – di volta in volta – il degrado ambientale, lo smaltimento dei rifiuti, la speculazione edilizia, irregolarità relative al funzionamento dell'ente locale, la presenza della criminalità.
  Nell'estate del 2016, in relazione ad alcune segnalazioni pervenute dal «Comitato antimafia Antonino Caponnetto» e dal «Comitato Lido delle Sirene di Anzio» concernenti l'insistenza sul territorio di interessi ed esponenti di sodalizi criminali, la prefettura ha avviato un'ulteriore ricognizione per verificare eventuali condizionamenti della criminalità organizzata sull'ente locale.
  Dall'analisi condotta dalle forze di polizia e alla luce di diversi procedimenti penali ancora pendenti innanzi all'autorità giudiziaria a carico di amministratori e funzionari comunali (per la maggior parte inerenti all'affidamento di lavori e servizi in violazione della normativa di settore), sono emerse alcune criticità in ordine all'aggiudicazione di due appalti: quello relativo ai «servizi di igiene urbana e servizi accessori per la raccolta differenziata dei rifiuti (cosiddetta raccolta dei rifiuti solidi urbani)» e quello relativo alla «manutenzione straordinaria del plesso scolastico Villa Claudia (viale Terreno)»; detti appalti sono stati affidati a due società destinatarie di provvedimenti interdittivi antimafia emessi, rispettivamente, dalle prefetture di Bari e Roma.
  Occorre però precisare che in nessuno dei due casi menzionati possono essere mossi dei rilievi all'operato dell'amministrazione locale. Per la prima società, infatti, atteso che il provvedimento ostativo si fondava su criticità emerse in relazione solo ad alcune sedi operative in Calabria e Puglia, la prefettura di Bari, con comunicazione a parte, ha dato indicazione alle stazioni appaltanti di non assumere al momento iniziative dirette all'interruzione del rapporto con l'impresa; per la seconda ditta, invece, l'interdittiva è stata adottata in data successiva al termine dei lavori.
  D'altra parte, è stato rilevato che, nel maggio 2016, il commissariato di pubblica sicurezza di Anzio-Nettuno, nell'ambito dell'attività di indagine denominata «Mala Suerte» e in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura della Repubblica di Velletri, ha tratto in arresto 14 persone, per lo più pregiudicati locali, per reati in materia di stupefacenti. Due degli arresti hanno riguardato persone indagate per estorsione in danno dell'impresa che, da anni gestisce ad Anzio il servizio di parcheggio delle autovetture dei turisti diretti a Ponza.
  In tale ambito, è stato rilevato come uno dei passaggi dell'ordinanza di custodia cautelare riporti una dichiarazione della titolare della impresa che gestisce il citato parcheggio, relativa al ruolo che sarebbe stato giocato nella vicenda dal vicesindaco di Anzio Giorgio Zucchini. Al riguardo, va osservato comunque che, secondo quanto risulta agli atti istruttori, l'indagine non ha coinvolto direttamente esponenti politici o amministratori locali.
  Tanto riferito sulla rilevante presenza della criminalità organizzata lungo l'area sud del litorale della provincia – non solo nel comune di Anzio –, la prefettura capitolina ha rappresentato, tuttavia, che le forze di polizia sono concordi nel ritenere, anche in forza di indagini condotte sotto la direzione di diverse procure, che non emergono riscontri oggettivi idonei ad avvalorare l'ipotesi di infiltrazioni della criminalità organizzata medesima nella gestione del comune di Anzio.
  Pertanto, pur riconoscendo la gravità di alcuni dei fatti verificatisi nel tempo, la prefettura medesima ritiene di non disporre, allo stato attuale, di elementi concreti e univocamente orientati al condizionamento dell'amministrazione comunale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione toscana ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno sottoscritto, in data 3 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio regionale, elencati nell'allegato I, tra cui rientra il progetto di completamento delle opere di difesa a mare dell'abitato, in zona Pratoranieri nel comune di Follonica;
   l'intervento di Follonica, consistente in un ripascimento del tratto di litorale a nord del fosso di Cervia, è stato approvato dalla giunta provinciale di Grosseto (in qualità di ente in avvalimento del commissario straordinario delegato) con delibera n. 42 del 14 maggio 2014 ed è oggi in corso di realizzazione ad opera dell'impresa Sales spa con sede in Roma, aggiudicatrice dell'appalto;
   con un'interrogazione a risposta scritta del 21 luglio 2016, alcuni consiglieri comunali di Follonica hanno ravvisato che il materiale distribuito sull'arenile non sembra rispettare il requisito morfologico di arrotondamento previsto dal progetto; inoltre, da una loro valutazione preliminare, è risultato che il ghiaietto utilizzato ha una preponderante composizione calcarea, in contrasto con la componente tipicamente quarzosa delle sabbie del litorale. Tale composizione, oltre ad assumere una tonalità cromatica che disattende parzialmente il requisito di policromia previsto dal progetto, potrebbe con l'azione meccanica di sfregamento del clasti, causare un intorbidamento continuo dell'acqua che assumerebbe così un aspetto lattiginoso;
   l'amministrazione comunale, in seguito, ha chiesto lumi sulle considerazioni dei consiglieri venendo rassicurata dall'ufficio regionale – direzione difesa del suolo e protezione civile, sulla rispondenza ai requisiti progettuali del capitolato speciale d'appalto, in termini di provenienza del materiale utilizzato, arrotondamento e distribuzione granulometrica, presenza di sostanze contaminanti e colorazione, sottolineando, comunque, che è previsto il completamento del ripascimento con altri diecimila metri cubi di ghiaia con un maggior grado di arrotondamento;
   i consiglieri comunali, tuttavia, continuano a ritenere che l'impresa abbia disatteso il rispetto dei requisiti del materiale stabilito dagli elaborati di progetto, in quanto lo stesso è sì proveniente da cava terrestre ma non «impostata su sistemi di paleoalveo»; gli stessi sollevano perplessità sul numero di campioni usati per la determinazione delle caratteristiche litologiche, del grado di arrotondamento e delle coordinate colore, soltanto 2 campioni su 11 prelevati; ritengono altresì discutibile la «convenzione di ricerca» tra la società Sales spa ed il dipartimento di scienze della terra dell'università di Pisa che ha redatto il report sulla caratterizzazione del materiale utilizzato nel progetto di Follonica ed estratto dalla cava di Monte Valerio di proprietà della Seles spa;
   il capitolato speciale d'appalto, tra l'altro, come del resto le relazioni allegate, non prevede materiale diverso in base allo stato di avanzamento dei lavori, come invece viene addotto nella risposta dalla regione al comune;
   l'accordo tra regione Toscana e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – che compartecipa per circa il 60 per cento ai costi di tutti i progetti previsti in Toscana per la difesa idrogeologica – prevede, all'articolo 9, che venga effettuato un monitoraggio con il supporto tecnico operativo dell'Ispra, in particolare sullo stato di attuazione degli interventi –:
   quale sia l'esito del monitoraggio effettuato con il supporto dell'Ispra, in particolare in merito al rispetto delle prescrizioni riportate nel capitolato speciale d'appalto, comprese quelle di dettaglio, come le verifiche sull'intorbidamento dell'acqua e sulle riprese aeree e subacquee in alta definizione, al fine di accertare il rispetto di quanto stabilito nell'accordo di programma sottoscritto con la regione Toscana in data 3 novembre 2010. (4-15475)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al materiale usato per il ripascimento del litorale di Pratoranieri (comune di Follonica), sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'intervento a cui fa riferimento l'interrogazione fa parte del complesso di interventi contro il dissesto idrogeologico previsti e finanziati dall'accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e la regione Toscana del 3 novembre 2010.
  Per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi, ai sensi dell'articolo 5 del citato accordo, l'attuazione degli interventi stessi è affidata a un commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009 e successive modificazioni e integrazioni.
  A partire dal 25 giugno 2014, come previsto dall'articolo 19 del decreto-legge n. 91 del 2009, le competenze e le funzioni del commissario straordinario delegato sono state trasferite al presidente della regione Toscana.
  Per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, il presidente della regione nel ruolo di commissario straordinario delegato può avvalersi, oltre che delle strutture e degli uffici regionali, degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni, dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche, della società Anas Spa, dei consorzi di bonifica, delle autorità di distretto e delle società a totale capitale pubblico o delle società dalle stesse controllate, pur conservando la titolarità e l'esercizio della propria funzione. La competenza dell'attuazione degli interventi ricade quindi sul commissario straordinario delegato appositamente nominato e dotato di poteri speciali e di deroga, che gli sono attribuiti per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dal citato accordo di programma.
  Competono al Ministero dell'ambiente il coordinamento e verifica delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione degli interventi. Allo scopo di assicurare la piena rispondenza delle opere realizzate alle finalità di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico, la competente direzione generale del Ministero di concerto con la competente direzione della regione Toscana provvede al monitoraggio degli interventi tramite il sistema informativo ReNDiS col supporto tecnico e operativo dell'Ispra. Il monitoraggio riguarda gli adempimenti tecnico-amministrativi posti in essere per la realizzazione degli interventi, elencati nell'articolo 9 dell'accordo di programma, oltre ulteriori informazioni di natura amministrativa e contabile che si sono aggiunte durante l'attuazione dell'accordo stesso.
  L'esecuzione degli interventi non segue regole diverse da quelle dettate dalle norme sui lavori pubblici, che attribuiscono la responsabilità del rispetto del progetto, del capitolato e del contratto d'appalto al responsabile del procedimento, al direttore dei lavori e al collaudatore, nel caso in discussione in corso d'opera.
  Relativamente al progetto di ripascimento del tratto nord dell'arenile del golfo di Follonica, l'azione del commissario si espleta attraverso l'ufficio del genio civile di Grosseto e Siena e il supporto tecnico della struttura regionale, a cui appartengono il responsabile del procedimento, il direttore dei lavori e il collaudatore. I lavori sono in corso e si stima che siano compiuti per circa il 60 per cento. È in via di perfezionamento una variante in corso d'opera per far fronte all'esigenza, emersa durante i lavori, di ristrutturare e rafforzare il sistema di scogliere già presenti nella parte centrale del golfo per non creare soluzioni di continuità tra l'intervento in corso e il precedente realizzato nella zona meridionale della spiaggia.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività con il massimo grado di attenzione e sollecitare i competenti enti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Reggio Calabria o Aeroporto dello Stretto «Tito Minniti», è il secondo aeroporto calabrese per numero di passeggeri, gestito dalla società SoGas s.p.a. – Società di gestione dell'aeroporto dello stretto, con un traffico passeggeri attestatosi nella misura di n. 243.998 unità nel 2014;
   lo scalo rappresenta evidentemente un'infrastruttura essenziale per l'economia del territorio, determinando una delle principali e più agevoli vie di collegamento, per i territori ricadenti nelle tre province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Messina, con le principali aree del centro e settentrione d'Italia, assicurando così da un lato, per il traffico passeggeri «in uscita», la garanzia di un'agevole possibilità di mobilità sul territorio nazionale ai cittadini residenti nelle tre province, dall'altro, per il traffico passeggeri «in entrata», un valido supporto allo sviluppo economico del territorio, in specie per le sue ricadute sul settore turistico, essenziale per l'economia di queste zone;
   l'importanza dello scalo diviene ancora più evidente soprattutto se si considerano le circostanze generali della viabilità territoriale dell'area considerata e dei territori limitrofi, che si trovano in condizioni di sostanziale isolamento proprio per il deficit infrastrutturale e per il mancato completamento delle vie di comunicazione infraterritoriale. Una condizione di isolamento parzialmente attenuata proprio grazie ai volumi di traffico, dei servizi di trasporto e dei collegamenti resi disponibili dalle attività ed operazioni connesse all'Aeroporto dello Stretto;
   da diversi anni lo scalo è al centro di strategie intese al rilancio dello stesso, anche nell'ottica della sua integrazione ed adattamento alle evoluzioni del contesto strutturale ed infrastrutturale legato alla nuova configurazione amministrativa della città metropolitana di Reggio Calabria, ed alle connesse previsioni di sviluppo, snellimento amministrativo ed incremento dei livelli di efficienza;
   tuttavia, da diversi mesi gli operatori di settore nonché le organizzazioni sindacali e rappresentative delle categorie professionali e comparti produttivi interessati dall'attività dello scalo, manifestano le loro preoccupazioni in ordine allo scarso rapporto di adeguamento tra le previsioni di ammodernamento e rilancio dell'aeroporto ed i livelli reali dei volumi di traffico ed investimento correlati alle attività dello scalo, ed allo stesso tempo pongono all'attenzione il rischio dell'assenza di garanzie e di aspettative positive in ordine alla concessione trentennale da parte di ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile) che, secondo notizie riportate a mezzo stampa, avrebbe recentemente deciso di non deliberare l'istanza di concessione avanzata dalla SoGaS, in palese contrasto rispetto alle rassicurazioni fornite nel mese di ottobre 2014, allorquando, secondo una nota riportata dalla Società, i vertici dell'Ente avrebbero dato disposizioni agli uffici competenti per l'avvio di forme di cooperazione ed affiancamento proprio per il raggiungimento degli obiettivi di rilancio dell'aeroporto;
   uno dei principali timori, con riferimento agli effetti che con grande probabilità verrebbero a determinarsi in caso di mancato rinnovo della concessione da parte di ENAC e del persistere dei profili di criticità illustrati, sarebbe legato all'emergere del concreto rischio di un drastico ridimensionamento, se non addirittura di cessazione delle attività, del complesso strutturale aeroportuale;
   la questione suscita forte preoccupazione non solo per gli operatori economici ed il personale interessato, ma per tutta la cittadinanza residente, domiciliata o abitualmente dimorante sul territorio, sia per i profili legati alla garanzia di un livello sufficientemente accettabile di mobilità sul territorio nazionale, sia per le ricadute che il persistere delle criticità ed il concretizzarsi dei rischi emersi avrebbero sull'intera economia del territorio, in specie nel settore turistico, nonché per il processo di ristrutturazione dell'organizzazione amministrativa in atto e connesso alle nuove prospettive di sviluppo legate alla istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche che investono le vicende gestionali e le prospettive di sopravvivenza e sviluppo dell'Aeroporto dello Stretto «Tito Minniti» di Reggio Calabria;
   in quale misura e con quali modalità il Ministro ritenga di poter intervenire, nell'esercizio del proprio potere di indirizzo, vigilanza e controllo sull'ENAC e nell'ambito della propria valutazione dei piani di investimento nel settore aeroportuale, per promuovere un effettivo rilancio di questa strategica infrastruttura aeroportuale, indispensabile per il sostegno dell'economia del territorio interessato e perno di ogni prospettiva di crescita e sviluppo economico. (4-07759)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 15 e il 28 marzo 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in Aula Camera e in IX Commissione trasporti, in ordine alla cancellazione dei voli da e per Reggio Calabria da parte di Alitalia, da più di un anno sono in corso riunioni sulla mobilità nell'area dello Stretto tra questo Ministero, ENAC, ENAV, il presidente della regione Calabria e gli enti comunali interessati per cercare di mantenere Alitalia al tavolo ed evitare di interrompere il servizio.
  Tali iniziative hanno permesso di formalizzare, il 24 marzo 2017, un apposito documento dichiarativo di impegno, nel quale è delineato il pacchetto di intervento per il rilancio dell'aeroporto e, in particolare, misure per promuovere le rotte domestiche esistenti.
  Grazie a tale impegno, Alitalia ha ripreso a partire dal 30 marzo 2017 i decolli per e da Roma e Milano per Reggio Calabria con cadenza giornaliera, inizialmente uno per rotta.
  Con specifico riferimento alle difficoltà gestionali, si fa presente che, a seguito del fallimento della precedente società di gestione dell'aeroporto, la regione Calabria ha provveduto a bandire apposita gara per la gestione dell'aeroporto di Reggio Calabria e quello di Crotone al fine di creare un sistema più solido e più capace di trattare con le compagnie aeroportuali attirando nuovo traffico.
  Tale procedura, anche a causa di un ricorso da parte degli enti locali, si è prolungata e solamente il 3 marzo 2017, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme.
  Ciò consentirà di creare una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GELMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione in apertura dell'anno giudiziario 2017, il presidente del Tar della Lombardia, dottor Angelo De Zotti, ha sottolineato come nel 2016 siano stati depositati 3.097 ricorsi, contro i 3.023 del 2015 (74 in più). I giudici amministrativi si sono espressi su 2.777 ricorsi, contro i 2.880 dell'anno precedente, con un saldo negativo di 103 ricorsi. Tale decremento accentua, anche se leggermente, una discesa costante registrata negli ultimi anni;
   più nel dettaglio: sono 658 i ricorsi depositati nel 2016 al Tar di Milano da cittadini stranieri, il 4,11 per cento rispetto all'incidenza sul 2015; in crescita sono anche i ricorsi depositati dalle autorità, passati da 110 a 187 (+ 2,40 per cento) e quelli in materia di pubblico impiego (+ 0,11 per cento); diminuiscono i ricorsi in materia di edilizia e urbanistica, passati dai 573 del 2015 ai 435 del 2015, come pure i ricorsi depositati per appalti, scesi dai 335 del 2015 ai 284 del 2016, e quelli per richieste di accesso agli atti, diminuiti dell'1,46 per cento;
   dalla relazione del presidente del Tar della Lombardia emerge come tra le difficoltà che hanno caratterizzato il 2016 ancora una volta vanno evidenziate le numerose carenze di organico e l'attività svolta dai magistrati amministrativi in supporto di altri tribunali, mentre il Tar non ha mai fruito di missioni in entrata;
   secondo le stime dei giudici amministrativi se non ci fossero state queste attività di «pronto soccorso» e i vuoti d'organico, si sarebbero potuti risolvere almeno ulteriori 300 ricorsi;
   ulteriori difficoltà sono emerse con l'avvio del PAT (processo amministrativo telematico) che, sperimentato nel corso del 2016, è partito dal 1° gennaio dell'anno corrente nonché a causa della scarsità di risorse per ogni attività, a cominciare dalle spese per la sede;
   recenti studi condotti dal Ministero della giustizia evidenziano come i grandi tribunali lombardi si caratterizzino per un elevato tasso di efficienza. Tali risultati rendono ancor più competitiva ed attrattiva la regione, perché la qualità e l'efficienza della giustizia, anche amministrativa, sono di fondamentale importanza per la crescita del Paese, non da ultimo per rendere attrattivo il territorio per gli investitori esteri;
   le carenze riscontrate si rendono ancora più evidenti, considerando la mole della legislazione nel nostro Paese, la complessità delle norme, l'inefficienza dell'amministrazione e l'eliminazione dei controlli di legittimità  –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di provvedere al più presto a risolvere il problema della razionalizzazione e della decongestione di uno fra i più grandi tribunali amministrativi del Paese, supportando adeguatamente le esigenze della giustizia amministrativa che si è dimostrata capace di sviluppare forme di adattamento alle situazioni operative quasi «emergenziali» presentatesi. (4-15679)

  Risposta. — Per quanto riguarda l'interrogazione a risposta scritta concernente le iniziative per risolvere le carenze di organico e funzionali in cui versa il Tar della Lombardia si rileva, per quanto di competenza, quanto segue.
  Le carenze di organico a cui si fa riferimento nella presente interrogazione sono da addebitarsi – stando alle dovute precisazioni formulate sul punto dal segretario generale della giustizia amministrativa – ai numerosi pensionamenti intervenuti nel corso degli anni 2015 e 2016. Si precisa che detta situazione non riguarda il solo Tar della Lombardia, come sostenuto dall'interrogante, ma trattasi di una vicenda che caratterizza anche altri tribunali amministrativi regionali.
  A tale proposito, merita precisare che le procedure concorsuali avviate per l'inserimento in organico di quarantacinque unità di personale con la qualifica di referendario di tribunale amministrativo regionale si concluderanno in tempi rapidi.
  Infine, anche al fine di rassicurare l'interrogante, ricordiamo che è già stato deliberato dal consiglio di residenza un nuovo concorso. L'immissione in ruolo di tali nuove unità di personale comporterà, come ovvio, un miglioramento del servizio giustizia offerto ai cittadini sia dal Tar Lombardia che dagli altri tribunali amministrativi regionali.
La Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriMaria Elena Boschi.


  GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa, con tanto di foto originali, e diffusamente sui social network si apprende che in una scuola di Palermo è stato adottato per la V classe delle elementari è, primaria di secondo grado è, il libro di testo «storia e geografia del mondo a colori è, sussidiario delle discipline» pubblicato dalla casa editrice «Il Capitello-Elementari»;
   il volume nel trattare l'argomento della composizione dello Stato italiano cita testualmente: «Il potere legislativo spetta al Parlamento eletto dai cittadini, che propone, discute e approva le leggi. Il Parlamento è composto da due assemblee: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Poiché attualmente le due Camere hanno compiti pressoché uguali, è in corso una radicale riforma del Senato che affiderà a una sola Camera il potere di approvare le leggi». Così si legge nel testo edito da «Il Capitello-elementari» che dà, inoltre, per assodato che i componenti del Senato della Repubblica sono «indicati dalle Regioni in cui è suddiviso il territorio italiano»;
   come si deduce dalla lettura dell'estratto summenzionato si ha che prima dello svolgimento del referendum costituzionale, il cui esito appare del tutto non prevedibile e che è stato stabilito solo per il 4 dicembre 2016, un libro adottato in scuole della Repubblica indichi inopinatamente la natura del futuro Parlamento, addirittura precisando che «è in corso una radicale riforma del Senato» e che i senatori sono «indicati dalle Regioni in cui è suddiviso il territorio italiano», esattamente come sostiene la legge di riforma della Carta fondamentale promossa dal Governo Renzi e proposta dallo schieramento a sostegno del «SI»;
   inoltre, l'articolo 156 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (testo unico istruzione), stabilisce che «gli alunni delle scuole elementari, statali o abilitati a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, i libri di testo sono forniti gratuitamente dai Comuni, secondo modalità stabilite dalla legge regionale»; ancor più grave è quindi, ad avviso dell'interrogante, un contenuto non corretto a spese della fiscalità pubblica –:
   se risulti se e in quali scuole italiane il testo succitato in premessa sia stato adottato;
   se in altre scuole italiane, di ogni ordine e grado, vi siano in adozione testi similari che riportano quello che l'interrogante giudica un incontestabile arbitrio educativo, lesivo della correttezza dei programmi ministeriali, ponendosi di fatto come un improprio strumento di propaganda politico-elettoralistica, filo-governativo;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per salvaguardare la correttezza e l'obiettività del materiale di studio in uso e dell'informazione fornita agli studenti.
(4-14655)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si sottolinea, in premessa, che l'adozione dei libri di testo rappresenta una delle fondamentali espressioni della libertà di insegnamento e dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Tale adempimento, che rientra tra i compiti attribuiti al collegio dei docenti, sentiti i consigli di classe, coinvolge l'intero corpo docente di ciascuna istituzione scolastica e garantisce una puntuale verifica dei testi e un attento esame di quelli in uso e delle nuove proposte editoriali.
  In particolare, la scelta dei testi avviene, di norma, attraverso una fase preliminare, nel corso della quale si procede a una verifica sia dei testi in uso che di quelli proposti all'attenzione delle scuole da parte degli operatori accreditati dalle case editrici o dalle associazioni di categoria, eventualmente anche nell'ambito di comitati misti docenti, genitori e studenti, in modo tale da valutare compiutamente le nuove proposte editoriali. Effettuata tale valutazione, i docenti interessati per materia, nell'esercizio della responsabilità connessa alla libertà di insegnamento, formulano le proposte di adozione che sono sottoposte, prima dell'esame da parte del collegio dei docenti, ai consigli di classe di cui fanno parte anche i rappresentanti dei genitori.
  Spetta poi ai docenti, nell'espletamento delle proprie funzioni, operare le opportune mediazioni tra i contenuti delle singole discipline di studio e le informazioni presenti nei testi scolastici. I docenti, infatti, possono presentare i contenuti dei libri utilizzando all'occorrenza anche la forma critica e dialettica prendendo, se e quando ritenuto opportuno, le distanze da taluni passaggi dei testi in adozione.
  Peraltro, la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (finanziaria 1999), nel disciplinare, all'articolo 27, la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola secondaria di primo grado, ha abrogato la norma che, limitatamente alla scuola elementare, consentiva al Ministro della pubblica istruzione di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di adozione dei libri di testo nei quali il contenuto o l'esposizione della materia non corrispondessero alle prescrizioni didattiche o alle esigenze educative. La ratio di tale disposizione non può rinvenirsi se non nell'intenzione del legislatore di non interferire in alcun modo nelle opzioni culturali differenziate e nei diversi punti di vista degli autori.
  In ogni caso, l'A.I.E. – Associazione italiana editori – ha definito un proprio codice di autoregolamentazione per assicurare che tutti gli editori associati possano operare in un regime di libero mercato e soprattutto per difendere l'autonomia professionale dei docenti, necessaria alla libertà e alla qualità dell'insegnamento.
  Con specifico riguardo alla segnalazione in argomento, si rappresenta che è prevista a carico degli editori la possibilità di aggiornamento dei testi scolastici, ancorché in uso, in caso di obiettive necessità determinate da sostanziali innovazioni scientifiche o didattiche mediante aggiunta, eliminazione, sostituzione o riedizione di singole parti o sezioni.
  Tutto ciò posto, si rappresenta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso la competente direzione generale, ha preso gli opportuni contatti con l'Associazione italiana editori per richiamare l'attenzione di tutta l'editoria scolastica al pieno rispetto del codice di autoregolamentazione affinché promuova specifiche iniziative volte a garantire il rispetto della veridicità storica nei testi scolastici.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Umbria è dotata di un servizio ferroviario regionale (ex FCU), ove l'infrastruttura ferroviaria attraversa il territorio regionale e rappresenta un patrimonio per la collettività umbra oltre che un servizio fondamentale, come sancisce anche il piano regionale dei trasporti;
   l'infrastruttura ferroviaria necessita di adeguata manutenzione straordinaria senza la quale si mette in discussione il servizio ferroviario stesso;
   a seguito di sopralluoghi l'USTIF ha deciso la chiusura temporanea della tratta Umbertide-Città di Castello del servizio ferroviario regionale (ex Ferrovia Centrale Umbra) a causa del mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza della infrastruttura ferroviaria;
   dovranno essere individuate le responsabilità della mancata corretta manutenzione della linea ferroviaria, ma resta prioritario garantire appieno l'utilizzo del servizio;
   per mettere in sicurezza la tratta occorre un investimento urgente atto a garantire il ripristino degli standard di sicurezza, sia per gli utenti che per i lavoratori;
   la regione Umbria, Rete ferroviaria italiana e lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in più occasioni hanno affrontato il tema dell'interscambiabilità del servizio utilizzando sia la rete regionale che nazionale, e l'infrastruttura ex FCU rappresenta una direttrice fondamentale per la regione che la attraversa longitudinalmente consentendo l'aggancio alle rete di RFI –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in atto, per quanto di competenza, al fine di garantire con risorse adeguate e in raccordo con la regione Umbria il ripristino nel più breve tempo possibile della tratta del sistema ferroviario regionale dell'Umbria Umbertide-Città di Castello;
   se il Ministro intenda impegnarsi, per quanto di competenza, nel favorire una stretta correlazione tra Rete ferroviaria regionale dell'Umbria e Rete ferroviaria italiana in modo da garantire una interscambiabilità del servizio, utilizzando al meglio l'infrastruttura, migliorandone le condizioni e rendendola efficiente per gli utenti ma anche utile alla mobilità nazionale e regionale. (4-10295)


   GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giungono notizie sia dalla stampa locale che da pendolari, lavoratori, studenti a proposito della grave situazione di degrado della infrastruttura dei trasporti ferroviari gestiti da Ferrovia centrale umbra, direttrice fondamentale dell'Umbria;
   le infrastrutture necessitano di una continua manutenzione anche se c’è scarsità di fondi per procedere agli interventi che sarebbero necessari;
   risulta la presenza di numerose criticità, rallentamenti, interruzioni, nella tratta ferroviaria del suddetto territorio che modificano ed allungano significativamente i tempi di percorrenza –:
   occorrerebbe sapere se l'azienda abbia predisposto o affidato l'incarico per realizzare un progetto tale da mettere a gara i lavori per la riapertura della tratta Umbertide-Città di Castello, chiusa da settembre 2015 e come l'azienda intende reperire le risorse necessarie a realizzare i lavori di cui sopra e tutti gli altri necessari a mantenere in esercizio la ferrovia Umbertide-Sansepolcro, individuando le cause e le responsabilità di tale situazione che non consentono continuità nell'esercizio ferroviario;
   parimenti sarebbe opportuno conoscere quali siano le iniziative messe in atto al fine del mantenimento dell'esercizio ferroviario sulla Ferrovia centrale umbra e al perseguimento degli obiettivi indicati nel piano regionale trasporti ed entro quali scadenze;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alle criticità illustrate in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la piena funzionalità del servizio di trasporto ferroviario nella regione Umbria, con particolare riguardo alle tratte sopra indicate;
   a che punto sia il progetto di interconnessione tra l'infrastruttura ferroviaria gestita da Ferrovia centrale umbra e quella gestita da RFI, elemento fondamentale per la salvaguardia dell'infrastruttura ferroviaria umbra e per la connessione della stessa con la rete nazionale. (4-13295)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale di questo Ministero e dalla società Ferrovie dello Stato.
  Come già riferito il 28 marzo 2017 nel corso dello svolgimento della seduta di interrogazioni presso la IX Commissione trasporti, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 2015 e del decreto ministeriale 5 agosto 2016, tutte le ferrovie regionali ex concesse, interconnesse e ricomprese nell'allegato al citato decreto ministeriale, e tra queste anche la Ferrovia centrale umbra, sono passate definitivamente sotto il controllo dell'agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF); è quindi fatto obbligo ai gestori dell'infrastruttura definire un programma degli interventi di adeguamento agli standard nazionali, in assenza dei quali l'esercizio viene svolto con azioni mitigative a volte impattanti sulla qualità del servizio.
  In tale mutato contesto normativo, ove l'ANSF è subentrata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e all'USTIF per i controlli sulla sicurezza dell'esercizio ferroviario, la regione Umbria, con la collaborazione di Rete ferroviaria italiana, ha proceduto ad una prima analisi dello stato tecnico/manutentivo dell'intera tratta ricadente sotto la responsabilità del gestore dell'infrastruttura Umbria TPL e mobilità, al fine di valutare tutti gli interventi necessari per adeguare la stessa rete ferroviaria agli
standard RFI. Tale pianificazione è stata definita in coerenza con gli obiettivi di cui al predetto decreto legislativo e con le risorse finanziarie disponibili rispetto a quelle necessarie per adeguare l'intera rete agli standard nazionali,
  Alta è l'attenzione sulle condizioni della rete, sulle attività manutentive da eseguire che interessano la restante rete in esercizio, la quale ha un'estensione di 153 chilometri di linea e dovrà essere adeguata anche agli
standard nazionali, così come previsto dal predetti provvedimenti normativi, nonché dal regolamenti europei che interessano le reti interconnesse come Ferrovia centrale umbra lo è nel panorama nazionale.
  La regione Umbria è da tempo attiva nei contatti con RFI per trasferire alla stessa la concessione della rete ovvero, nei tempi tecnici necessari, affidarle direttamente, così come definito negli ultimi recenti incontri, le attività tecniche di supporto alla realizzazione degli interventi che il piano richiesto da ANSF prevede per l'adeguamento agli
standard nazionali tipici proprio nelle reti gestite da RFI. Tale impegno è stato confermato e definito anche a seguito degli ultimi incontri.
  Gli interventi troveranno copertura con le risorse di cui ai fondi FSC e in particolare nei 51 milioni già autorizzati, possono essere così sommariamente riassunti:
   attrezzaggio della rete con il sistema di terra e relativo adeguamento del segnalamento;
   sistemazione e adeguamento di alcuni tratti di rete, e in particolare della tratta Umbertide – Città di Castello, oggi chiusa al servizio ferroviario;
   sistemazione dei passaggi a livello e delle opere d'arte.

  Le risorse necessarie per estendere le attività di adeguamento su tutta la rete della Regione hanno una stima dei costi pari a 150 milioni di euro.
  Si comunica, altresì, che con provvedimenti del 5 settembre 2015 e 20 febbraio 2017 il direttore dell'esercizio ha sostituito con autobus il servizio ferroviario rispettivamente sulla tratta Umbertide - Città di Castello e Perugia Fonte San Giovanni-Perugia S. Anna.
  Questa ultima tratta è oggetto di lavori di ammodernamento, adeguamento e sistemazione della rete, che peraltro verrà elettrificata completando la linea nella sua interezza, e a seguito di gara ad evidenza pubblica sono stati aggiudicati all'ATI CSI-IMAF, per un importo di 13,5 milioni di euro circa, che trovano copertura nelle risorse di cui alla legge n. 211 del 1992.
  Dal punto di vista trasportistico, la tratta riveste un'importanza strategica in quanto unisce il centro storico di Perugia con il nodo ferroviario di Perugia Ponte San Giovanni, ove convergono sia i servizi svolti da Trenitalia sulla direttrice ovest-est Terontola Foligno che quelli regionali da Sansepolcro a Terni (nord-sud), con caratteristiche tecniche che la rendono unica in quanto ha una pendenza del 60 per mille.
  Ferrovie dello Stato informa che i lavori previsti consisteranno nella sistemazione della sede per tutta la sua estensione, compresa l'elettrificazione, nella messa in sicurezza del tracciato in alcuni versanti oggi interessati da dissesti idrogeologici, nel rinnovo degli impianti, degli enti di piazzale delle stazioni di Perugia S. Anna e Piscille e in attività di sistemazione e di consolidamento della galleria Pallotta. In corrispondenza della stazione di Piscille, adiacente all'istituto scolastico ITIS, verrà realizzato anche un sottopasso pedonale assieme al nuovo piano del ferro.
  La predetta società evidenzia, inoltre, che si tratta di lavori importanti e significativi che, come prevede la normativa vigente, sono stati preceduti dalla bonifica degli ordigni bellici per la quale attività è stata richiesta alle competenti autorità militari l'autorizzazione a procedere.
  Infine, si rappresenta che con le risorse disponibili nei fondi FSC assentiti alla regione Umbria verrà finanziato l'intervento di adeguamento, sistemazione e rinnovo della sede della tratta Umbertide – Città di Castello, per il quale dovrà essere appaltata sia la progettazione che la realizzazione.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione presentata dal primo firmatario del presente atto n. 4-14691, che non ha ancora ricevuto risposta, è stata messa in evidenza la situazione precaria della manutenzione straordinaria dei cavalcavia sulla strada statale 36 e sono state chieste al Ministro risposte puntuali sul tragico incidente del crollo del ponte di Annone al chilometro 41 e 900, che il 28 ottobre 2016 ha provocato la morte di una persona e cinque feriti, e chiarimenti sulle relative responsabilità e sulle risorse a disposizione dell'Anas e delle amministrazioni provinciali per la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale;
   a più di 3 mesi di distanza dal crollo del ponte di Annone la situazione risulta ancora in stallo, mentre, per precauzione, l'Anas ha chiuso con transenne il ponte vicino a Isella nella frazione di Civate (Lc), dichiarato a rischio di crollo e aperto solo ai pedoni;
   una serie di altri cavalcavia sono sottoposti a limitazioni al traffico pesante e questa situazione, insieme al blocco dei due importanti cavalcavia, sta generando una paralisi del traffico veicolare della Brianza Lecchese e Comasca sia in direzione del capoluogo regionale che in direzione della Svizzera; anche la vicina provinciale Lecco-Como sta risentendo pesantemente del dirottamento parziale dei mezzi sulle arterie minori;
   le categorie particolarmente colpite dalla chiusura delle infrastrutture stradali e dalle limitazioni del traffico sono quelle degli autotrasportatori e delle imprese; infatti, nei comuni limitrofi si trovano diverse realtà produttive che necessitano del trasporto di merci ingombranti e che attualmente versano in condizioni di grave disagio;
   è stata data notizia di un incontro, il 14 febbraio 2017, tra i rappresentati del Governo e i sindaci di Annone Brianza, Suello, Civate e Cesana Brianza per discutere sui finanziamenti che il Governo intende mettere a disposizione per la ricostruzione del ponte di Annone e per la manutenzione degli altri cavalcavia della strada statale 36, primo tra i tanti quello d'Isella –:
   se il Ministro interrogato intenda elaborare e attuare, nel più breve tempo possibile, un piano di messa in sicurezza dei ponti e dei cavalcavia della strada statale 36;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per individuare nell'immediato percorsi alternativi fruibili in completa sicurezza per i trasporti pesanti, fino alla restituzione della rete viaria, e quali siano i tempi previsti per la ricostruzione dei due cavalcavia di Annone e di Isella sulla strada statale 36. (4-15504)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente le verifiche delle criticità strutturali dei cavalcavia presenti sulla strada statale 36, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade per la vigilanza e la sicurezza delle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società ANAS.
  Per quanto concerne il cavalcavia di Annone, si informa che il 14 febbraio 2017 si è svolto presso questo Ministero un incontro net corso del quale, è stata prospettata, in attesa del completamento delle indagini da parte dell'autorità giudiziaria, un'ipotesi di intervento immediato da attuarsi mediante la sottoscrizione di una convenzione tra ANAS e la provincia di Lecco per la progettazione e la realizzazione del citato cavalcavia da parte dell'ANAS.
  Inoltre è stata valutata la possibilità che una quota delle risorse necessarie alla ricostruzione del ponte venga anticipata a valere sul contratto di programma ANAS 2016/2020 – Capitolo emergenze – previa verifica di un co-finanziamento dell'opera da parte della regione Lombardia.
  Per quanto concerne, invece, il cavalcavia sito in località Isella nel comune di Civate si è convenuto di procedere alla riapertura dell'infrastruttura esclusivamente al traffico leggero, in attesa del completamento delle indagini strutturali. Alla conclusione delle citate verifiche verranno valutate le eventuali azioni conseguenti.
  Infine, in tema di trasporti eccezionali e relativi percorsi alternativi fruibili, si fa presente che è in fase di predisposizione una direttiva ministeriale a legislazione vigente finalizzata a coordinare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria Palermo-Messina-Catania per diversi tratti è a binario unico;
   è necessaria una visione integrata della problematica dei trasporti nell'isola, anche al fine di rendere l'isola competitiva in ambito euro-mediterraneo;
   l'interrogante ha precedentemente presentato altri atti di sindacato ispettivo in merito alle problematiche infrastrutturali, evidenziando la necessità di interventi complessivi per uno sviluppo efficace ed efficiente, coerente anche con la vocazione turistico-culturale della Sicilia e tale da supportare le attività economiche dell'isola;
   alla data odierna tra i principali problemi legati alla tratta ferroviaria Palermo-Messina vi è quello dei ritardi in partenza ed in arrivo, principalmente a causa della mancanza del doppio binario;
   i tempi di percorrenza dei treni in tale tratta risultano superiori rispetto alla media italiana ed europea;
   il raddoppio ferroviario tra Patti e Castelbuono contribuirebbe notevolmente a risolvere gli annosi problemi legati ai ritardi nel transito di molti treni lungo la tratta Palermo-Messina –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per completare il doppio binario nella tratta Patti-Castelbuono e ridurre, nelle more del suddetto completamento, i disagi per i viaggiatori. (4-14634)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo al raddoppio della tratta Patti-Castelbuono, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni assunte presso la direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e la società ferrovie dello Stato.
  Occorre premettere che nel regolamento dell'Unione europea sono individuati nove corridoi transeuropei quale riferimento per lo sviluppo infrastrutturale delle reti di trasporto, di cui quattro interessano il territorio italiano e precisamente:
   Baltico – Adriatico;
   Mediterraneo;
   Scandinavia – Mediterraneo;
   Reno – Alpi.

  In particolare, il Core Corridor Scandinavia-Mediterraneo comprende la linea ferroviaria Palermo – Catania – Messina.
  Il potenziamento dell'itinerario Messina – Catania – Palermo rappresenta il programma di investimento più importante nella regione Sicilia e mira a garantire un servizio più veloce tra le tre città siciliane, l'intervento è previsto dal contratto di programma tra lo Stato e RF1 – parte investimenti – ed ha un costo pari a 8.316 milioni di euro; lo stesso contratto di programma prevede finanziamenti per euro 1.675 milioni. A tali risorse si sommano euro 350 milioni destinati a tale opera dal Fondo di sviluppo e coesione (risorse complessivamente disponibili euro 2.025 milioni).
  Detto programma prevede:
   il completamento del raddoppio tra Messina e Catania nella tratta da Giampilieri e Fiumefreddo, per un investimento di 2,3 miliardi, già finanziato per un prima fase funzionale relativa alla tratta Letojanni-Fiumefreddo per circa 0,8 miliardi;
   il potenziamento della linea Catania-Palermo con l'obiettivo di ridurre a 2 ore i relativi collegamenti, per un investimento di circa 6 miliardi, già finanziato per circa 1,1 miliardi nell'ambito dei quali è previsto il raddoppio della tratta Bicocca-Catenanuova di avvicinamento al nodo di Catania.

  Per la linea Palermo-Messina, che si sviluppa per 223 chilometri, di cui fa parte la tratta Patti – Castelbuono, ferrovie dello Stato informa che la situazione infrastrutturale attuale e programmatica è la seguente:
   Palermo – Fiumetorto (chilometri 43 circa) è a doppio binario in esercizio;
   Fiumetorto – Castelbuono (chilometri 32 circa) è a singolo binario, ma è in corso l'investimento per il raddoppio avente un valore di oltre 0,9 miliardi; il 24 gennaio 2016 sono stati attivati i primi 9 chilometri di raddoppio fra Fiumetorto e Campofelice;
   Castelbuono – Patti (chilometri 87 circa) è a singolo binario; è stato sviluppato lo studio di fattibilità del raddoppio avente costo pari a circa 4 miliardi;
   Patti – Messina (chilometri 61 circa) è a doppio binario attivato per fasi dal 2002 al 2009.

  Per il potenziamento della linea Palermo-Messina, è stata assegnata priorità ai raddoppi delle tratte terminali che sono di adduzione ai nodi di Palermo e Messina, in cui è maggiore l'offerta di trasporto ferroviario.
  Ferrovie dello Stato riferisce che nell'ultimo periodo sono state registrate criticità per quanto attiene alla puntualità, attribuibili sia a cause infrastrutturali che al materiale rotabile; i relativi indicatori non sono risultati in linea con gli obiettivi aziendali, pertanto, ha avviato le azioni necessarie per il recupero di tali anormalità di circolazione.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Anzio, in provincia di Roma, si registra la presenza di noti gruppi criminali, come testimoniato dal processo «Appia», conclusosi innanzi al tribunale di Velletri con condanne per associazione a delinquere di tipo mafioso;
   in particolare, secondo le relazioni della direzione nazionale antimafia 2012, 2013 e 2014, in tale territorio, opera il clan `ndrangherista Gallace. Figura importante di questo clan risultava essere Nicola Perronace, fratello di Pasquale Perronace, attuale consigliere comunale di maggioranza ad Anzio;
   nel comune risulta attivo anche il clan dei Casalesi, come attestano le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma, nonché numerose sentenze, anche passate in giudicato, emesse dall'autorità giudiziaria a carico di Pasquale Noviello ed altri, per reati che vanno dall'associazione a delinquere di stampo camorristico al tentato omicidio;
   il 5 marzo 2012, alle ore 15 circa, ignoti esplodevano numerosi colpi di pistola all'indirizzo della villa dell'assessore Patrizio Placidi;
   la notte del 14 febbraio 2015, venivano sparati numerosi colpi di arma da fuoco contro l'abitazione dell'assessore ai lavori pubblici di Anzio, Alberto Alessandroni;
   risulterebbe essere stato richiesto il rinvio a giudizio secondo quanto risulta agli interroganti, per vari reati, nei confronti di amministratori e consiglieri comunali di Anzio, in particolare nei confronti dell'assessore per l'ambiente Patrizio Placidi, del consigliere comunale Valentina Salsedo, di suo marito Ernesto Parziale, nonché del dottor Walter Dell'Accio, dirigente dell'ufficio ambiente;
   nell'ambito del procedimento penale denominato «Mala Suerte», nel maggio 2016, venivano tratti in arresto diversi pregiudicati di Anzio, tra i quali spiccano Roberto Madonna e Angelo Pellecchia, arrestati per estorsione aggravata, giusta ordinanza di custodia emessa dal giudice per le indagini preliminari di Velletri Zsusa Mendola;
   nell'ambito del procedimento, sarebbe emerso che la cooperativa Supercar, che gestisce ad Anzio i parcheggi per la sosta delle vetture dei turisti diretti a Ponza, avrebbe versato somme agli indagati Madonna e Pellecchia;
   in particolare, riferirebbe alla polizia l'amministratrice della ditta citata: «nel 2012, però, al porto iniziò ad operare un'altra cooperativa denominata I Neroniani il cui rappresentante era Ernesto Speziale, titolare della pizzeria Antico grottino di Anzio. A nome della cooperativa operavano certi personaggi di origine campana tra cui tale Angelo Pellecchia, che attualmente gestisce un bar in via Roma di Anzio e tale Letizia Raffaele, di circa 50 anni, che per sentito dire, faceva parte della camorra e che Pellecchia Angelo chiamava Schiavone. Per questo motivo mi rivolsi dapprima al Comando dei vigili urbani e poi all'Ufficio commercio del Comune per avere chiarimenti, ricevendo assicurazioni di un fattivo interessamento. Non avendo avuto riscontro, decisi di rivolgermi ad un personaggio politico di Anzio, [...] il quale mi lasciò intendere di lasciar perdere, vista la reputazione dei personaggi ed in virtù del fatto che la cooperativa era sponsorizzata da Giorgio Zucchini (...) Evidentemente Giorgio Zucchini venuto a conoscenza delle mie lamentele, nell'inverno del 2013, mi chiese di avere un incontro con lui e con Parziale Ernesto per chiarire la situazione. Entrambi si presentarono nel mio ufficio [...] mio malgrado fui costretta ad accettare la collaborazione della cooperativa che avrebbe avuto il 30 per cento del ricavato;
   nell'ambito delle attività d'indagine, sarebbero emerse numerose intercettazioni telefoniche in cui il cennato Madonna avrebbe minacciato gravemente De Bernardinis e di mettere una bomba sotto la vettura dell'amministratore della Supercar;
   i legami sopra descritti tra esponenti della malavita organizzata e membri dell'amministrazione comunale di Anzio rendono opportuno l'intervento del Governo quantomeno ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico sugli enti locali;
   come noto, in base ai suddetti articoli, in presenza di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico si può procedere allo scioglimento del consiglio comunale oppure alla rimozione del sindaco o dei singoli componenti del consiglio o della giunta;
   a parere dell'interrogante i fatti sopra riportati impongono al Governo di verificare l'opportunità di adottare i provvedimenti in questione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non ritenga di assumere le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-14032)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione in esame, le indagini condotte dalle forze dell'ordine nel basso Lazio – prevalentemente nell'area pontina Ardea-Pomezia e in quella del litorale romano Anzio-Nettuno – hanno permesso di far luce su fatti di particolare rilevanza da interpretare come preoccupanti segnali di un escalation della criminalità organizzata in quei territori.
  Al riguardo, occorre premettere che questo innalzamento del livello di criminalità (e del suo indice di penetrazione) affonda le sue radici nel processo di insediamento di alcuni personaggi mafiosi (soprattutto di origine campana) arrivati nel basso Lazio diversi anni fa in condizione di clandestinità e grazie al supporto di idonei dispositivi criminali.
  In tale contesto di radicamento sul territorio di interessi criminali che vanno inseriti anche alcuni atti intimidatori in danno di esponenti della politica locale, tra cui gli episodi riferiti dall'interrogante, cioè l'attentato nei confronti di Patrizio Placidi, all'epoca vicesindaco e assessore all'ambiente del comune di Anzio, e quello in danno di Alberto Alessandroni, assessore ai lavori pubblici dello stesso comune.
  Le indagini relative alle due vicende delittuose, a cura della compagnia dei carabinieri di Anzio, non hanno ancora portato all'individuazione dei responsabili né hanno potuto stabilire nessi tra quanto accaduto e l'attività politica della vittima.
  Per completezza d'informazione, si informa che il 4 agosto 2016 è stata data alle fiamme l'auto di Giorgio Zucchini, vicesindaco e assessore al bilancio e al patrimonio del comune di Anzio. Sul luogo dell'accaduto, i carabinieri hanno rinvenuto e sottoposto a sequestro una bottiglia parzialmente combusta, già contenente liquido infiammabile.
  In un quadro più generale riferito all'alta incidenza del fenomeno mafioso nei territori del basso Lazio, si rappresenta che le Forze dell'ordine sono fortemente impegnate nello smantellamento delle associazioni criminali, che sono attive soprattutto nel traffico di stupefacenti.
  Occorre, infatti, tener presente che il litorale romano, unitamente a quello pontino, costituisce un'area di notevole interesse per i sodalizi criminali fin dagli anni ’50, quando l'esponente di spicco della criminalità organizzata Francesco Paolo Coppola trasferì il centro dei suoi affari criminali nella zona di Tor San Lorenzo, nei pressi di Anzio.
  Le indagini più recenti hanno messo in evidenza la presenza di due importanti consorterie criminali nel territorio di Anzio, facenti capo alla famiglia ’ndranghetista dei Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, e a quella camorrista dei casalesi Schiavone-Noviello.
  In merito alla prima di queste «famiglie», diverse operazioni hanno permesso di accertare al suo interno la presenza di una struttura organizzata come ’ndrina, distaccata nel territorio laziale soprattutto nei comuni di Anzio e Nettuno. Il clan è dedito prevalentemente al traffico di cocaina e le sue articolazioni arrivano fino in Lombardia e Germania. I «Gallace» si sono trasferiti nel Lazio all'inizio degli anni ’80 e a questo periodo risalgono i primi procedimenti di arresto nei confronti dei loro affiliati (in particolare, per detenzione di armi da fuoco clandestine).
  Nel corso degli anni successivi, i Gallace sono risultati coinvolti in molte altre indagini (tra le più importanti, quelle denominate «Appia», «Mithos», «Venusia» e «Caracas»), tutte sfociate in numerosi arresti. Dalle inchieste di polizia sono inoltre emersi legami tra i Gallace e la famiglia malavitosa romana dei Romagnoli (attiva a sud della Capitale, in particolare nei quartieri Casilino, Torre Maura e San Basilio), con la quale risultano federati.
  Oltre ai numerosi arresti, frutto delle risultanze investigative è il sequestro preventivo, emesso dalla direzione distrettuale antimafia, di diversi beni immobili riconducibili alla cosca Gallace-Romagnoli, per un valore approssimativo di circa 2 milioni di euro.
  Anche i casalesi risultano attivi nel territorio in questione, dove sono arrivati alla fine degli anni ’90. Il loro capo è Pasquale Noviello, imparentato con la famiglia degli Schiavone e attualmente in regime di detenzione, poiché raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare scaturita da un'indagine della direzione distrettuale antimafia di Roma (dovendo rispondere del delitto di cui all'articolo 416-bis).
  C’è da osservare che, nel giro di pochi anni, i casalesi e, più in generale, i clan di camorra insediatisi in quel territorio hanno rivolto i propri interessi in direzione della Capitale, stipulando una serie di accordi volti a disciplinare la reciproca coesistenza e a realizzare affari comuni. È con l'operazione «Sfinge» del 2012 che le autorità giudiziarie attestano per la prima volta la presenza di un'associazione camorristica nell'area del litorale romano.
  In quell'occasione, il tribunale di Latina ha riconosciuto il clan Noviello-Schiavone come un'autonoma associazione di tipo camorristico, costola e alleata del «clan dei casales», capeggiata da Maria Rosaria Schiavone (nipote di Francesco Schiavone, detto Sandokan) e dal marito Pasquale Noviello. L'organizzazione opera con metodi violenti, riproponendo nei comuni di Anzio e Nettuno, oltreché in quelli di Aprilia e Latina, il modello criminale già attuato nel casertano.
  Nell'area di Anzio è stato individuato anche l'insediamento di alcuni soggetti riconducibili ai clan camorristici napoletani Cozzolino, Contini, Abate, Veneruso e Anastasio. Come detto, con il tempo, le formazioni mafiose presenti nel basso Lazio hanno creato tra loro relazioni stabili, frutto di oculate strategie criminali, che hanno permesso loro di gestire non solo i traffici degli stupefacenti e delle estorsioni, ma anche attività apparentemente legali quali la grande distribuzione o la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli.
  In tale contesto si inserisce la tematica degli eventuali condizionamenti criminali dell'attività amministrativa del comune di Anzio. Al riguardo, va osservato che, negli ultimi anni, la prefettura di Roma ha ricevuto numerosi esposti, regolarmente trasmessi agli organi di polizia per gli accertamenti del caso, con cui cittadini, comitati, associazioni o esponenti politici hanno evidenziato criticità riguardanti – di volta in volta – il degrado ambientale, lo smaltimento dei rifiuti, la speculazione edilizia, irregolarità relative al funzionamento dell'ente locale, la presenza della criminalità.
  Nell'estate del 2016, in relazione ad alcune segnalazioni pervenute dal «Comitato antimafia Antonino Caponnetto» e dal «Comitato Lido delle Sirene di Anzio» concernenti l'insistenza sul territorio di interessi ed esponenti di sodalizi criminali, la prefettura ha avviato un'ulteriore ricognizione per verificare eventuali condizionamenti della criminalità organizzata sull'ente locale.
  Dall'analisi condotta dalle Forze di polizia e alla luce di diversi procedimenti penali ancora pendenti innanzi all'autorità giudiziaria a carico di amministratori e funzionari comunali (per la maggior parte inerenti all'affidamento di lavori e servizi in violazione della normativa di settore), sono emerse alcune criticità in ordine all'aggiudicazione di due appalti: quello relativo ai «servizi di igiene urbana e servizi accessori per la raccolta differenziata dei rifiuti cosiddetta raccolta dei rifiuti solidi urbani)» e quello relativo alla «manutenzione straordinaria del plesso scolastico Villa Claudia (viale Terreno)»; detti appalti sono stati affidati a due società destinatarie di provvedimenti interdittivi antimafia emessi, rispettivamente, dalle prefetture di Bari e Roma.
  Occorre però precisare che in nessuno dei due casi menzionati possono essere mossi dei rilievi all'operato dell'amministrazione locale. Per la prima società, infatti, atteso che il provvedimento ostativo si fondava su criticità emerse in relazione solo ad alcune sedi operative in Calabria e Puglia, la Prefettura di Bari, con comunicazione a parte, ha dato indicazione alle stazioni appaltanti di non assumere al momento iniziative dirette all'interruzione del rapporto con l'impresa; per la seconda ditta, invece, l'interdittiva è stata adottata in data successiva al termine dei lavori.
  D'altra parte, è stato rilevato che nel maggio 2016 il commissariato di pubblica sicurezza di Anzio-Nettuno, nell'ambito dell'attività di indagine denominata «Mala Suerte» e in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura della Repubblica di Velletri, ha tratto in arresto 14 persone, per lo più pregiudicati locali, per reati in materia di stupefacenti. Due degli arresti hanno riguardato persone indagate per estorsione in danno dell'impresa che da anni gestisce ad Anzio il servizio di parcheggio delle autovetture dei turisti diretti a Ponza.
  In tale ambito, è stato rilevato come uno dei passaggi dell'ordinanza di custodia cautelare riporti una dichiarazione della titolare della impresa che gestisce il citato parcheggio, relativa al ruolo che sarebbe stato giocato nella vicenda dal vicesindaco di Anzio Giorgio Zucchini. Al riguardo, va osservato comunque che, secondo quanto risulta agli atti istruttori, l'indagine non ha coinvolto direttamente esponenti politici o amministratori locali.
  Tanto riferito sulla rilevante presenza della criminalità organizzata lungo l'area sud del litorale della provincia – non solo nel Comune di Anzio –, la Prefettura capitolina ha rappresentato, tuttavia, che le Forze di polizia sono concordi nel ritenere, anche in forza di indagini condotte sotto la direzione di diverse Procure, che non emergono riscontri oggettivi idonei ad avvalorare l'ipotesi di infiltrazioni della criminalità organizzata medesima nella gestione del comune di Anzio.
  Pertanto, pur riconoscendo la gravità di alcuni dei fatti verificatisi nel tempo, la Prefettura medesima ritiene di non disporre, allo stato attuale, di elementi concreti e univocamente orientati al condizionamento dell'amministrazione comunale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LABRIOLA, MOTTOLA, ANDREA MAESTRI, TURCO, PASTORELLI e BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la zona demaniale del porto di Cervia fu data in concessione alla Marina di Cervia Spa nell'aprile del 1973 per 50 anni dal Ministero della marina mercantile con l'atto n. 724 del 28 aprile 1973 e successivo atto formale di concessione n. 10773 del 7 maggio 1986;
   il decreto legislativo n. 118 del 1998 ha conferito funzioni e compiti amministrativi alle regioni e ai comuni in fatto di demanio marittimo; infatti, diverse regioni, con diverse leggi regionali, hanno conferito ai propri comuni costieri l'esercizio di tutte le funzioni amministrative relative al demanio marittimo, intendendosi per beni demaniali quelli elencati nell'articolo 822 del c.c. e nell'articolo 28 del codice della navigazione e, cioè, il lido del mare, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa e salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo;
   in virtù dell'articolo 47 del codice della navigazione il comune di Cervia con proprio atto n. 52528 del 3 dicembre 2012 ha avviato un procedimento amministrativo di decadenza della concessione demaniale marittima del porto turistico di Cervia, procedimento archiviato con successivo atto n. 50903 del 17 settembre 2015, per poi avviare un nuovo procedimento di decadenza con delibera n. 219 del 17 novembre 2015;
   la legge del 28 dicembre 2015, n. 208, nel disciplinare la materia, ex articolo 1, comma 484, fino al riordino della disciplina demaniale ha sospeso le procedure amministrative per la «sospensione, revoca e decadenza», avviate rispetto alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, e per le concessioni demaniali rispetto alle quali sussistano contenziosi sull'applicazione dei criteri di calcolo dei canoni (come nel caso della Marina di Cervia);
   inoltre in data 27 gennaio 2017 il Governo pro tempore ha approvato un disegno di legge recante «Delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime lacuali e fluviali ad uso turistico e ricreativo» nel quale si ribadisce che tutti i procedimenti di decadenza sono sospesi – si veda il richiamo alla legge del 7 agosto n. 160 del 2016 e alla legge del 28 dicembre 2015, n. 208, comma 484 – fino al complessivo riordino della materia demaniale;
   successivamente in data 8 novembre 2016 il comune di Cervia con le determine dirigenziali n. 1446 e n. 1448 ha dichiarato la decadenza dalle concessioni demaniali marittime tutte ex articolo 47 codice della navigazione, sull'assunto del mancato adempimento degli oneri concessori. A seguito dell'impugnazione di tali determine da parte di Marina di Cervia spa, il Tar del Lazio le ha sospese con sentenza del 13 dicembre 2016 (n. 07921/2016 Reg. Prov. Cau – n. 04198/2016 Reg. Ric.) rinviando la trattazione all'udienza collegiale del giorno 9 gennaio 2017;
   l'11 febbraio 2017 il comune di Cervia avrebbe rilasciato affido/concessione alla Servimar –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga di assumere iniziative volte a chiarire la corretta interpretazione e applicazione della normativa in merito alla sospensione dei procedimenti amministrativi di sospensione, revoca o decadenza delle concessioni demaniali per evitare discordanze nell'applicazione dei princìpi normativi in materia. (4-16151)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame sì comunica quanto pervenuto dalla direzione generale per la vigilanza sulle Autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne di questo Ministero e dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Con l'interrogazione in esame si chiede al Governo l'assunzione di iniziative al fine di chiarire la corretta interpretazione ed applicazione della normativa in materia di sospensione, revoca e decadenza delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative.
  In particolare, viene rappresentata la problematica inerente alla concessione demaniale marittima del porto turistico del comune di Cervia alla società Marina di Cervia e alla decadenza della stessa.
  Al riguardo, l'agenzia del demanio segnala quanto segue.
  L'attività gestoria dei beni demaniali marittimi, che ricomprende sia le attività turistico-ricreative, sia la cantieristica, la pesca, i porti e/o approdi turistici, a seguito del conferimento di funzioni operato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, dalla riforma del Titolo V della Costituzione, dagli articoli 104 e 105 del decreto legislativo n. 112 del 1998, è stata attribuita alle regioni, le quali hanno ampiamente legiferato in materia, attribuendo in via sussidiaria ai comuni le competenze loro conferite, in particolare in materia di rilascio, revoca e rinnovo delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-riereative, mantenendo funzioni di coordinamento, pianificazione e indirizzo.
  Poiché gli introiti derivanti dalla gestione dei beni del demanio marittimo affluiscono allo Stato, quest'ultimo vigila, tramite l'agenzia del demanio, sulla riscossione degli stessi, ai sensi della disciplina di cui al decreto-legge n. 400 del 1993 e relativa legge di conversione.
  Con riferimento alla specifica questione, inerente al contenzioso attualmente pendente, relativo alla decadenza della concessione demaniale marittima del porto di Cervia, l'agenzia del demanio evidenzia che, in ossequio al quadro normativo sopra riportato, il comune ha provveduto ad adottare legittimamente i provvedimenti di decadenza, nell'esercizio dei propri poteri e funzioni gestori e dei beni del demanio marittimo.
  Per il resto, trattandosi di questione che attiene ai rapporti tra il comune e la società concessionaria, la medesima agenzia riferisce di non poter fornire alcun elemento informativo di merito.
  Infine, l'agenzia rileva che, nell'ambito dell'esercizio della funzione generale di vigilanza sulle riscossioni dei canoni derivanti dall'utilizzo dei beni del demanio marittimo, si è avuto modo di verificare nel caso di specie anomalie circa il corretto versamento delle somme richieste dall'ente locale: di tale circostanza l'ente è stato prontamente informato dalla medesima agenzia.
  Inoltre, la direzione generale di questo Ministero ha comunicato che il comune di Cervia, con determina n. 297 del 10 marzo 2016, ha dichiarato la decadenza della concessione demaniale del porto turistico di Cervia per gravi inadempimenti e ripetute violazioni di norme e disposizioni contenute nell'urto di concessione. Avverso tale provvedimento la società marina di Cervia ha presentato ricorso presso il T.A.R. Lazio che, con decreto n. 7921 del 2016, ne ha poi sospeso l'efficacia; il giudizio di impugnazione è tuttora pendente.
  Successivamente, anche a seguito di verifiche dell'agenzia del demanio relative ut l'entità dei canoni versati dalla società Manna di Cervia, con determina del responsabile dell'unità progetti speciali n. 1446 dell'8 novembre 2016 è stata dichiarata la decadenza,
ex articolo 47 lettera d), della concessione demaniale marittima del parcheggio accessorio al porto turistico di Cervia e, con determina dello steso responsabile n. 1448, sempre dell'8 novembre 2016, è stata dichiarata la decadenza della concessione demaniale marittima del porto di Cervia per omesso pagamento del canone demaniale per un numero di rate superiore a quello fissato dalla concessione demaniale marittima.
  Avverso tali provvedimenti la Marina di Cervia ha inizialmente presentato ricorso al T.A.R, Lazio, con motivazioni aggiuntive rispetto al ricorso già presentato; l'adito T.A.R. con ordinanza n. 344/2017, ha dichiarato l'insussistenza della propria competenza territoriale a conoscere l'impugnativa proposta con i motivi aggiunti riconoscendo quale T.A.R. competente quello dell'Emilia Romagna. Tale tribunale amministrativo, rivestito del ricorso, con ordinanza n. 34/2017 ha respinto la domanda di sospensione della dichiarazione di decadenza.
  Si segnala, da ultimo, che sul tema delle concessioni demaniali è stato incardinato, presso le Commissioni riunite VI Finanze e X Attività produttive della Camera, l'AC. 4302 «Delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo».
  In tale stato di cose, ogni valutazione è rimessa all'udita autorità giudiziaria in ordine ai ricorsi pendenti e al Parlamento per il riordino della materia.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Eni, acronimo di Ente nazionale idrocarburi, è un'azienda multinazionale creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953, presente in circa 90 Paesi con più di 78.000 dipendenti nel 2013, attiva nei settori del petrolio, del gas naturale, della petrolchimica, della produzione di energia elettrica, dell'ingegneria e costruzioni. È il sesto gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari, dietro a Exxon Mobil, Shell, BP, Total e Chevron;
   il 1° dicembre 2016, alla raffineria Eni di Sannazzaro de Burgundi (Pavia), un rogo è divampato intorno alle 15,40 nel polo industriale del paese della Bassa Lomellina. Le fiamme si sono levate con violenza in una zona denominata Cantiere est 2, una parte dell'impianto di recente realizzazione. Secondo quanto riferito da testimoni, si è generata una «palla di fuoco» alta decine di metri, causando danni ingentissimi;
   sembra che l'incidente sia stato causato dallo scoppio di una pompa che porta il carburante in una torre di raffinazione della parte est della raffineria;
   da quanto si apprende, ci sarebbero due addetti intossicati, un paio di malori in paese per il panico e tre persone portate all'ospedale di Vigevano con bruciori agli occhi e alla gola;
   l'incendio ha tenuto in apprensione anche tutta la Bassa Valle Scrivia, in provincia di Alessandria, dove i sindaci per precauzione hanno invitato la popolazione a restare in ambienti chiusi e a uscire solo in caso di necessità;
   ci sono volute ben quattro ore per spegnere l'incendio scoppiato, per cause da accertare, all'interno dell'impianto di desolforizzazione. Soltanto alle 20 il rogo si è placato;
   inoltre, ci fu un precedente solo 5 mesi fa, sempre a Sannazzaro, quando un operaio di 30 anni rimase ustionato in seguito a esplosione nell'Isola 6, parte vecchia dell'impianto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intendano intervenire, per quanto di competenza, per evitare nuovi incidenti alla raffineria, per capire le cause dell'incidente, se l'azienda abbia tempestivamente avvertito le autorità competenti o se vi siano stati in questa operazione ritardi e se si intendano acquisire da ENI informazioni circa i danni che ne sono derivati o possono derivare alla salute della popolazione e dell'ambiente. (4-14940)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il sito Eni di Sannazzaro de’ Burgondi è classificato come «stabilimento di soglia superiore» secondo la disciplina relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti di cui al decreto legislativo n. 105 del 2015. Secondo tale disposizione normativa, il controllo degli stabilimenti di «soglia superiore» è di competenza del Ministero dell'interno che, attraverso l'istituzione dei Comitati tecnici regionali (Ctr), svolge le funzioni previste dall'articolo 6 del citato decreto legislativo n. 105 del 2015.
  Sulla base di quanto riferito da Arpa Lombardia, si rappresenta che l'ultima verifica ispettiva presso la raffineria Eni si è conclusa con trasmissione del rapporto ispettivo in data 25 febbraio 2011. Il Ctr aveva già inserito lo stabilimento tra quelli da sottoporre a verifica nel 2017. Durante la seduta del Ctr del 21 dicembre 2016, avente all'ordine del giorno l'incidente avvenuto allo stabilimento Eni di Sannazzaro de’ Burgondi (PV) il giorno 1o dicembre 2016, è stato stabilito, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 105 del 2015 (Accadimento di incidente rilevante), di istituire un gruppo di lavoro con il mandato di raccogliere, mediante ispezioni, indagini o altri mezzi appropriati, le informazioni necessarie per effettuare una analisi completa degli aspetti tecnici, organizzativi e gestionali dell'incidente. Di tale gruppo faranno parte un funzionario dei vigili del fuoco, un funzionario dell'Inail ed un funzionario di Arpa Lombardia. Il gruppo ispettivo nominato effettuerà il sopralluogo ispettivo a partire dal giorno 25 gennaio 2017.
  Si segnala, tra l'altro, che l'impianto è in possesso dell'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal Ministero dell'ambiente il 26 novembre 2009, aggiornata il 31 dicembre 2010 con provvedimenti di Via-Aia per il nuovo impianto E.S.T. e nuovamente il 30 dicembre 2015.
  Al riguardo, per completezza di informazione, sempre secondo quanto riferito da Arpa Lombardia, si evidenzia che la verifica ispettiva ordinaria, prevista dalla pianificazione regionale proprio per l'anno 2016, è stata avviata nella settimana precedente all'evento incidentale (due giornate di verifica), è proseguita con una ulteriore giornata successivamente all'incendio e si concluderà presumibilmente nei primi mesi dell'anno, per consentire una valutazione degli elementi a riscontro della gestione dell'evento incidentale occorso. La precedente verifica ispettiva Aia era stata effettuata nell'ottobre 2014, in esito alla quale non erano state rilevate inottemperanze rispetto all'autorizzazione.
  Il Ministero dell'ambiente, venuto a conoscenza dell'evento verificatosi il 1o dicembre 2016 presso lo stabilimento Eni di Sannazzaro de’ Burgondi, ha immediatamente provveduto ad inoltrare alle competenti autorità locali (prefettura ufficio territoriale del Governo di Pavia; Comando provinciale dei vigili del fuoco di Pavia; Ctr presso la Direzione regionale dei vigili del fuoco della Lombardia; Arpa Lombardia) una richiesta di informazioni in merito alle circostanze dell'evento, al fine di chiarire la dinamica incidentale, valutarne le conseguenza e verificare, in particolare, l'eventuale coinvolgimento di sostanze pericolose, ai sensi del decreto legislativo n. 105 del 2015.
  Con riferimento all'evento, si fa presente che il gestore ha tempestivamente segnalato l'accaduto e le misure poste in essere, in ottemperanza a quanto previsto dal sopra citato provvedimento di Via-Aia del 31 dicembre 2010.
  Inoltre, facendo seguito alle richieste del Ministero, dalle informazioni fornite dal gestore dell'impianto in data 21 dicembre 2016, risulta che l'evento ha interessato una zona circoscritta e di limitate dimensioni rispetto all'intero stabilimento, è stato attivato immediatamente il piano di emergenza interno e le autorità competenti sono state tempestivamente informate circa le operazioni di emergenza avviate e le successive attività di ripristino, prevenzione e messa in sicurezza presso l'area interessata.
  In particolare, l'impianto E.S.T. è stato cautelativamente fermato e fisicamente isolato dalle altre unità di raffineria che sono rimaste attive. Dai primi riscontri l'evento non sembrerebbe di natura dolosa.
  A seguito di quanto accaduto, il gestore nella medesima nota del 21 dicembre 2016 ha sottolineato che gli enti di controllo hanno prontamente attivato il monitoraggio della qualità dell'aria che è proseguito anche nei giorni successivi all'evento. Dai dati rilevati lungo la direzione del vento non è stato evidenziato alcun significativo incremento della concentrazione degli inquinanti misurati. Il giorno 5 dicembre Arpa Lombardia, non avendo riscontrato fino a tale data valori anomali significativi dovuti dall'incendio, con riferimento alla qualità dell'aria, ha dichiarato l'evento emergenziale concluso.
  L'Arpa Lombardia segnala che l'incendio si è originato tra le 15:30 e le 16:00 del giorno 1o dicembre ed è stato ridotto e posto sotto controllo a partire dalle ore 19 della stessa giornata. Le cause dell'incidente dal quale ha avuto origine l'incendio sono in fase di investigazione.
  In particolare, per quanto riguarda lo svolgimento delle attività, sono stati attivati e coinvolti i gruppi specifici di supporto (il gruppo specialistico contaminazione atmosferica, il gruppo rischio industriale e il gruppo meteo) e sono inoltre state attivate le funzioni specialistiche del settore laboratori e della radioprotezione, per l'esecuzione delle analisi da svolgere sui campioni prelevati a partire dalla sera del giorno 1o dicembre, oltre che quelle del settore monitoraggi ambientali, per le valutazioni inerenti la qualità dell'aria.
  Il 2 dicembre, dopo una serie di campionamenti, l'ARPA ha richiesto all'azienda gli interventi di ripristino dei luoghi e l'avvio di quanto previsto dall'articolo 242, Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativamente alle aree limitrofe alla torre EST – struttura 1 interessate dagli sversamenti di idrocarburi sul suolo.
  Nella mattinata del successivo 3 dicembre ha, inoltre, provveduto a campionare frammenti grossolani di materiale generatisi durante la prima fase dell'incendio presso il parco Allevi, nel territorio comunale di Sannazzaro de’ Burgondi. Il materiale raccolto è stato sottoposto ad analisi presso i laboratori di ARPA. Le analisi hanno evidenziato la presenza di diossine e di concentrazioni elevate di ossidi metallici, in particolare di zinco nella forma di ossido, quest'ultimo in concentrazioni tali da rendere il materiale raccolto classificabile come rifiuto pericoloso. L'Agenzia ritiene che la ricaduta di questo materiale grossolano contente composti stabili, recuperato nei giorni immediatamente successivi all'incendio, non possa aver cagionato impatti significativi sulla matrice suolo.
  Inoltre, la predetta Agenzia evidenzia che i dati registrati dalle centraline della rete della qualità dell'aria hanno mostrato in tutti i momenti del periodo di osservazione, relativo alla fase acuta dell'incidente e ai giorni immediatamente successivi, valori in linea con quelli del periodo e con quelli rilevati nelle altre aree del territorio simili per diffusione degli inquinanti convenzionali, in alcun modo influenzati dall'evento incidentale occorso presso la raffineria.
  Per quanto riguarda invece i campionatori ad alto volume installati presso i comuni di Dorno e Pieve Albignola, l'Arpa fa presente che il campionamento è iniziato nella serata del 1o dicembre e la prima coppia di campioni è stata raccolta dopo circa 12 ore, ovvero la mattina del giorno 2 dicembre. Nonostante l'incendio risultasse domato già nella mattina del giorno 2 dicembre, si è ritenuto opportuno proseguire con il campionamento anche nei giorni successivi, fino alla mattina di lunedì 5 dicembre, raccogliendo campioni giornalieri durati circa 24 ore. Questi campionati, oltre al filtro per la raccolta del particolato, sono dotati di Puf (Poliurethan foam) dopo il filtro, così che è possibile assorbire sul Puf le classi dei composti organici di interesse anche in fase gassosa.
  Sempre secondo quanto riferito dalla predetta Agenzia, presso l'area EST della raffineria erano presenti sorgenti radioattive utilizzate come misuratori di livello. Di queste alcune erano collocate nella zona direttamente interessata dall'incendio e dai crolli; queste aree non sono al momento raggiungibili e non è stato quindi possibile valutarne le condizioni di conservazione. Misure di radioattività sono state eseguite nell'immediato dal nucleo Nbcr dei vigili del fuoco senza rilevare alcuna anomalia. Il laboratorio del Centro regionale di radioprotezione di Arpa ha sottoposto a spettrometria gamma ad alta risoluzione il materiale raccolto dai campionatori ad alto volume collocati rispettivamente a Pieve Albignola e Dorno, senza rilevare tracce di radioattività ascrivibile alla tipologia di sorgenti utilizzate presso la raffineria.
  Arpa segnala altresì che le ulteriori valutazioni delle analisi eseguite su questi campioni sono state inoltrate alla procura di Pavia, che ha avviato un'indagine, posto sotto sequestro la parte di impianto interessata dall'incendio, e si è in attesa del completamento degli accertamenti peritali richiesti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il Paese europeo con la più alta mortalità per eventi geologici e naturali, soprattutto terremoti, alluvioni e frane: questi ultimi spesso, purtroppo, provocati dall'incuria e dall'azione diretta dell'uomo sull'ambiente;
   in un Paese geologicamente soggetto a fenomeni disastrosi, la cartografia geologica del territorio non è stata ancora completata. Da anni il progetto Carg (Cartografia geologica), un progetto iniziato nel 1988 il cui obiettivo era la stesura di carte geologiche al dettaglio di tutto il territorio nazionale, è fermo perché non più finanziato;
   il progetto Carg prevedeva la realizzazione di 652 fogli geologici e geotematici alla scala 1:50.000, per la copertura dell'intero territorio nazionale. Ad oggi sono stati realizzati solo 255 fogli, pari a circa il 40 per cento dell'intera copertura cartografica;
   il progetto prevede la realizzazione di una banca dati dalla quale poter ricavare carte geologiche e geotematiche di maggiore dettaglio per l'utilizzo del dato cartografato in molteplici applicazioni, così da rendere disponibili gli strumenti conoscitivi, quali i dati geologici, indispensabili per intervenire con decisioni importanti per prevenire danni gravi, per proteggere i cittadini e il territorio stesso, per pianificare meglio future strutture e salvaguardare quelle vecchie;
   in un territorio come quello italiano, con una storia ed eccellenze uniche al mondo, è una mancanza incomprensibile e intollerabile, se si pensa che altri Paesi europei, meno a rischio dell'Italia, lo hanno realizzato, come ad esempio la Spagna, che non solo ha mappato al dettaglio la geologia del suo territorio, ma continua periodicamente a pubblicarne gli aggiornamenti –:
   se il Governo intenda fornire elementi sullo stato attuale del progetto Cargo e se non ritenga urgente e non più rinviabile il definitivo completamento della cartografia geologica del territorio italiano.
   (4-15360)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  La valutazione e la prevenzione dei rischi connessi ai fenomeni naturali è uno degli obiettivi principali perseguito negli ultimi anni dalla comunità scientifica e da coloro che, a vario titolo, si occupano della gestione dell'ambiente e del territorio.
  Nell'affrontare il tema della mitigazione dei rischi naturali si ritiene indispensabile una visione globale del problema, che deve prevedere il sinergico coinvolgimento di conoscenze e competenze multidisciplinari e che non può prescindere da un corretto approccio culturale. Non ha senso, infatti, scomporre e disarticolare in ambiti separati, o comunque poco correlati, i diversi aspetti legati al problema nella sua interezza: la conoscenza di base dell'ambiente e del territorio (elementi fisici e geologici), le attività di previsione dei fenomeni (individuazione e quantificazione dei precursori di evento), la caratterizzazione dei processi di modellamento naturale del territorio, le azioni e le misure di prevenzione (pianificazione territoriale, strategie e tipologie degli interventi, predisposizione dei piani di emergenza) e le attività da svolgersi in fase di emergenza (realizzazione dei piani di emergenza, predisposizione degli interventi strutturali e non strutturali). La sfida globale che si sta affrontando consiste nel meglio anticipare, quindi gestire e ridurre, i rischi connessi ai fenomeni naturali considerando i pericoli potenziali entro i propri piani di sviluppo e le politiche ambientali.
  L'analisi storica sugli effetti conseguenti il cosiddetto rischio idrogeologico pone in evidenza come l'entità dei danni in Italia sia in costante aumento, con notevole incremento a partire dal secondo dopoguerra. Ciò trova spiegazione, da una parte, nella maggiore disponibilità di fonti di informazione e di sensibilizzazione al problema, dall'altra, nel consistente ampliamento delle aree urbanizzate a scapito di aree di pertinenza dei processi di modellamento naturale del territorio. I danni derivanti dal dissesto idrogeologico (movimenti franosi, attività fluvio-torrentizia, erosione dei litorali) si rivelano quindi molto spesso associati a scelte territoriali ed ambientali non compatibili e, in prospettiva, rischiano di crescere fortemente, provocando una continua e ripetuta distruzione di ricchezza, solo in parte rinnovabile, a fronte di costi e sforzi superiori a quelli che sarebbero necessari per intraprendere la strada della prevenzione e del riassetto.
  A fronte delle gravi ripercussioni attinenti il non corretto utilizzo dell'ambiente e del territorio è diventato di grande attualità, negli ultimi anni, a causa della sempre più frequente ricorrenza di fenomeni di un certo rilievo come siccità, ondate di calore, alluvioni o periodi prolungati di freddo intenso, anche il problema dei cambiamenti climatici, i quali alterano il paesaggio naturale modificando l'intensità, la dimensione e la frequenza dei fenomeni associati ai rischi naturali e possono vanificare, in breve tempo, la disponibilità di risorse naturali fondamentali quali ad esempio le risorse idriche.
  Notevole è la ricerca sviluppata nel campo del rischio sismico, dove sempre più emerge l'esigenza degli studi di microzonazione sismica che, tenendo conto delle caratteristiche litologiche, geomorfologiche e strutturali locali, permette una corretta ed efficiente valutazione degli effetti dei terremoti sugli insediamenti urbani e le infrastrutture, con conseguente corretta pianificazione urbanistica.
  Ugualmente importante è la salvaguardia dell'ambiente dai pericoli di inquinamento delle falde idriche, dei corsi d'acqua, dei laghi e dei mari, legati agli scarichi industriali e urbani, e al corretto sfruttamento delle risorse naturali, prima tra tutte quella idrica. Le ricorrenti crisi energetiche evidenziano come sia ormai ineludibile l'utilizzo di fonti di energia alternative ai combustibili fossili, a cominciare dall'energia geotermica di cui il nostro paese è ricco.
  Più che mai attuale è poi l'individuazione di siti idonei ad ospitare discariche e allo stoccaggio delle scorie radioattive.
  I disastri provocati da fenomeni naturali costituiscono un ostacolo enorme alla crescita responsabile di una società civile ed allo sviluppo compatibile. Non si può certo affermare che in passato le calamità non siano esistite, ma le possibilità di un loro verificarsi sono oggi senza ombra di dubbio aumentate e coinvolgono spazi sempre più ampi dell'ambiente in cui viviamo. La previsione, intesa come attività di conoscenza dei fenomeni naturali e il tentativo di prevedere in termini quantitativi le possibilità/probabilità di accadimento, unita alla funzione di diffusione delle conoscenze, si inquadra nel contesto delle attività volte alla mitigazione degli effetti conseguenti una calamità naturale.
  La previsione si configura pertanto come una attività essenzialmente conoscitiva, orientata «allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio vulnerabili». Le misure di prevenzione comprendono invece «attività atte a evitare o ridurre al minimo le possibilità che si verifichino danni anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione».
  La conoscenza del territorio nella sua globalità, sia in termini degli aspetti fisico- ambientali del contesto geologico e geomorfologico, sia in termini della compatibilità tra questi e le potenziali trasformazioni di utilizzo del suolo, rappresenta quindi uno strumento indispensabile per la gestione del delicato equilibrio ambientale. La fase conoscitiva che prelude alla previsione comporta un notevole impegno poiché si basa su attività ed azioni sistematiche protratte nel tempo; presuppone dettagliati studi di rilevamento, valutazione, elaborazione ed analisi di numerose informazioni indispensabili per l'organica strutturazione di un patrimonio conoscitivo di supporto ad ogni iniziativa, intervento e azione mirata alla salvaguardia ambientale e ad assicurare la pubblica incolumità nella lotta contro gli effetti delle calamità naturali. D'altra parte, la conoscenza fisica e geologica del territorio, nelle sue espressioni superficiali e sotterranee, è una condizione essenziale per la sopravvivenza dell'uomo, dei suoi insediamenti, delle sue attività e delle altre forme di vita organizzate negli ecosistemi. Essa rappresenta, per un paese industrializzato e densamente abitato come l'Italia, un requisito indispensabile per qualsiasi forma di programmazione territoriale. Non è pensabile prevenire o mitigare i rischi naturali, da un lato, ed utilizzare, in modo efficiente e responsabile le risorse, dall'altro, prescindendo da tali conoscenze. È sempre più evidente che tali risorse come l'acqua, le materie prime, i combustibili e la terra stessa, sono limitate e sempre più preziose: il loro uso non può e non potrà non essere regimentato. La stessa costruzione di infrastrutture, di cui il nostro paese ha sempre più bisogno, non può prescindere dalla conoscenza del territorio, al fine di un corretto sviluppo sostenibile.
  Per poter gestire in modo congruente e costruttivo i vincoli di natura fisica, geologica e ambientale del territorio è necessario disporre di una strutturazione logica delle informazioni in modo da consentire la facile reperibilità, confrontabilità ed aggiornamento di ogni singolo dato. I Sistemi informativi geografici rappresentano oggi uno dei principali strumenti di gestione, elaborazione ed analisi delle conoscenze in campo ambientale, grazie alla loro specifica capacità di rappresentare e modellare nello spazio fenomeni naturali complessi. L'impiego delle tecnologie Gis nel campo della prevenzione dei rischi naturali è da molti anni una concreta realtà.
  La carta geologica, quale strumento di base per la conoscenza fisica del territorio, costituisce il presupposto fondamentale per qualsiasi intervento finalizzato sia alla difesa del suolo ed alla pianificazione territoriale, sia alla progettazione di opere ed infrastrutture.
  Le attività di rilevamento e gli studi di dettaglio (stratigrafici, strutturali, petrografici, e altro) per la realizzazione di una carta geologica, permettono di raccogliere una mole di dati, che vengono poi rappresentati in carta attraverso l'utilizzo di appositi colori, graficismi e simboli. Insieme alla legenda, agli schemi a corredo e, nel caso della cartografia ufficiale, alle note illustrative, una carta geologica offre un quadro generale della geologia dell'area, fornendo informazioni relative alla litologia (composizione, tessitura, struttura), al contenuto fossilifero e mineralogico, all'età e alla genesi e messa in posto delle rocce, ai rapporti geometrici (stratigrafici e tettonici) dei corpi rocciosi, all'evoluzione dinamica indotta, nel tempo e nello spazio, dagli agenti endogeni ed esogeni e dall'attività antropica, alla struttura del sottosuolo.
  Dall'approfondimento di alcune tematiche, quali ad esempio, la geomorfologia, l'idrogeologia, la stabilità dei versanti, è possibile ottenere poi carte tematiche quali le carte geomorfologiche, idrogeologiche, di pericolosità geologica, geofisiche, eccetera, che forniscono ulteriori informazioni, basilari per la conoscenza delle condizioni generali di rischio e di vulnerabilità del territorio.
  La presenza di una cartografia geologica ufficiale di qualità rappresenta la misura del grado di avanzamento della ricerca geologica, ma soprattutto il grado di civiltà e di senso di responsabilità del Paese che la promuove, la produce e che ne fa uso.
  Per quel che riguarda la cartografia geologica ufficiale, possiamo dire che allo stato attuale il territorio nazionale è interamente (a parte il foglio «Tempio Pausania» mai realizzato) coperto dalla cartografia alla scala 1:100.000, con rilevamenti iniziati nel 1877 e completati alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso. Si tratta di carte (276 fogli su 277) che, pur mantenendo un valore storico-scientifico, sono caratterizzate da una forte disomogeneità e non tengono conto, soprattutto le più vetuste, dell'evoluzione delle conoscenze in campo geologico. A queste si aggiungono carte alla scala 1:250.000 e carte di sintesi alla scala 1:1.000.000 e 1:1.250.000 realizzate in varie epoche – anche recentemente – dal servizio geologico d'Italia.
  A partire dalla seconda metà gli anni ’70, è iniziata la realizzazione di cartografia geologica alla scala 1:50.000, ritenuta più idonea a compendiare la necessità di sintesi regionale ed un maggior dettaglio, attraverso la redazione di alcuni fogli sperimentali, geologici e geotematici, realizzati direttamente o attraverso collaborazioni dal servizio geologico d'Italia, in quanto organo cartografico dello Stato (legge n. 68 del 1960).
  Nel 1988, nell'ambito del Programma annuale di interventi urgenti di salvaguardia ambientale (legge n. 67 del 1988), viene inserito il progetto di realizzazione della Nuova carta geologica alla scala 1:50.000.
  Con la legge n. 183 del 18 maggio 1989 («Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo»), il servizio geologico d'Italia, allora collocato nel Dipartimento per i Servizi tecnici nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in conformità con i propri compiti istituzionali, è chiamato a realizzare un Sistema informativo unico geologico, attraverso l'acquisizione, la conservazione, l'aggiornamento e l'elaborazione di tutti i dati geologici e geotematici, con un dettaglio corrispondente alla scala 1:25.000, disponibili per il territorio nazionale e derivanti dalle campagne di rilevamento, dalle analisi di laboratorio, da prospezioni e ricerche, effettuati per la realizzazione della Carta geologica nazionale alla scala 1:50.000.
  Con la legge n. 305 del 28 agosto 1989 il progetto di realizzazione della nuova carta geologica alla scala 1:50.000, denominato «Progetto Carg», viene inquadrato nella Programmazione triennale per la tutela dell'ambiente, diventando un progetto unitario realizzabile a scala nazionale. La realizzazione della cartografia geologica ha previsto la collaborazione tra servizio geologico d'Italia, regioni, province autonome, università e Consiglio nazionale delle ricerche.
  Il Servizio geologico d'Italia (ora Dipartimento per il servizio geologico d'Italia dell'Ispra, in ottemperanza a quanto stabilito dalla legge n. 183 del 1989, assume quindi, come detto, un ruolo primario nell'acquisizione e divulgazione dei dati geologici per consentirne la fruibilità da parte delle amministrazioni pubbliche attraverso il coordinamento delle attività per la realizzazione della Carta geologica alla scala 1:50.000.
  Il progetto di cartografia geologica, volto alla conoscenza fisica e geologica nelle sue espressioni superficiali e sotterranee, si prefigge quindi di portare un notevole contributo alle azioni per la salvaguardia dell'ambiente e la prevenzione dei rischi naturali. Contributo che oltre ad aumentare il patrimonio conoscitivo essenziale per avviare azioni mirate di tutela dell'ambiente e del territorio, si connota nelle scelte tecnologiche attuate al fine di governare il complesso passaggio dalla cartografia tradizionale a quella informatizzata, con le relative banche dati digitali, nella definizione di standard operativi e nelle modalità di rapporto e raccordo tra la struttura centrale (Ispra) e le realtà decentrate (regioni, province autonome).
  I prodotti che derivano dal progetto Carg consistono in rilevamenti di dettaglio alla scala 1:10.000, nell'informatizzazione dei dati che confluiscono nella banca dati geologici nazionale alla scala 1:25.000 e nell'allestimento alla stampa e stampa, con relative note illustrative, del foglio alla scala 1:50.000.
  Come detto sopra, tali prodotti costituiscono per i tecnici, amministratori e politici delle autorità nazionali e locali strumenti fondamentali per la programmazione e pianificazione dell'uso del territorio nonché per la tutela e difesa dello stesso (ad esempio, per la predisposizione di piani di bacino, piani di previsione e prevenzione dei rischi naturali, piani territoriali paesistici regionali, eccetera).
  È da sottolineare che i fogli Carg sono realizzati attraverso l'applicazione di normative tecniche nazionali, appositamente redatte dal servizio geologico con la collaborazione di esperti. Esse costituiscono le Linee guida di riferimento per il rilevamento, la rappresentazione cartografica e l'informatizzazione sia dei fogli geologici sia di quelli geotematici.
  Le risorse statali assegnate al Progetto, pari a un totale di euro 81.260.275, rese disponibili da varie leggi di finanziamento, insieme agli impegni finanziari a carico delle regioni e province autonome, hanno consentito di iniziare la realizzazione ed informatizzazione di: 255 fogli geologici (pari a circa il 40 per cento dei 652 fogli geologici che ricoprono l'intero territorio nazionale), 14 carte tematiche, 7 fogli di geologia marina alla scala 1:250.000, 1 carta morfobatimetrica del bacino del Tirreno, varie carte prototipali e una serie di attività strumentali al progetto. Per buona parte dei fogli costieri, è stato realizzato anche il rilevamento dei dati delle parti a mare.
  Per lo svolgimento del Progetto, le risorse finanziarie statali sono state assegnate principalmente alle regioni e alle province autonome ma anche alle università e al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Il Progetto Carg ha interessato circa 60 strutture tra enti territoriali (regioni e province autonome), istituti del Cnr, dipartimenti ed istituti universitari e sono stati impiegati almeno 1300 operatori.
  L'andamento delle risorse non è stato costante e dal 1999 non sono state più emanate norme che prevedano nuove risorse per il proseguimento del Progetto. Le ultime risorse finanziarie, peraltro esigue, risalgono al 2004.
  Dei 255 fogli geologici avviati nell'ambito del progetto Carg: 157 sono stati stampati, 58 sono pronti per la stampa ma mancano le risorse economiche necessarie, 33 sono in allestimento per la stampa, 6 hanno concluso il rilevamento e solo 1 è ancora in corso di rilevamento. 248 fogli geologici sono consultabili sul sito web dell'Ispra e resi disponibili agli utenti.
  Si fa presente inoltre che il servizio geologico d'Italia ha realizzato in proprio fogli geologici sperimentali «ante» Carg e sta tuttora realizzando fogli geologici attraverso l'utilizzo delle normative Carg, per un numero totale di 22 Fogli geologici. Complessivamente la percentuale di fogli geologici realizzati, in corso di realizzazione (277) raggiunge circa il 43 per cento del totale dei fogli che costituiscono la copertura del territorio nazionale.
  Si sottolinea che le aree delle regioni Umbria, Marche e Lazio colpite dai recenti terremoti iniziati il 24 agosto 2016 non sono coperte da cartografia geologica Carg (inizia quest'anno il foglio «Norcia» con fondi regionali), così come l'area nella quale si è verificata la tragedia dell'hotel Rigopiano. Rientra invece in un foglio geologico Carg l'area di Campotosto, in Abruzzo.
  La disponibilità, attraverso il sito dedicato e il portale del dipartimento per il servizio geologico d'Italia, di prodotti cartografici aggiornati e di banche dati anche se limitata ad alcune aree del territorio, hanno aumentato la richiesta di consultazione da parte degli operatori per l'analisi, la programmazione e gli interventi sul territorio a scala nazionale e locale. Numerose richieste di fogli e di dati sono arrivate a Ispra da parte di enti che si occupano di servizi e di infrastrutture e che utilizzano i dati geologici per i loro scopi applicativi. I numerosi dati in essi contenuti rappresentano una miniera di informazioni relative al nostro territorio e rappresentano sicuramente un importante punto di partenza per svariate applicazioni; non ultima la redazione di cartografia derivata e/o tematica che può essere effettuata con costi decisamente bassi o addirittura nulli.
  I fogli Carg e i relativi dati, immagazzinati nella banca dati dedicata, vengono consultati e utilizzati di frequente anche all'interno di Ispra per lo svolgimento delle numerose attività istituzionali, tra cui:
   attività istruttorie per lo svolgimento del monitoraggio tecnico-attuativo sui programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico di cui al decreto-legge n. 180 del 1998;
   attività istruttorie per le valutazioni Via-Vas richieste all'Ispra dal Ministero dell'ambiente;
   per la microzonazione sismica;
   per la produzione di carte di sintesi.

  I dati relativi alle aree marine sono stati utilizzati per il Progetto internazionale Marine strategy.
  Con il progetto Carg è stato inoltre dato un forte impulso alla ricerca scientifica nel campo delle scienze geologiche, in quanto i risultati sono stati utilizzati per sviluppare studi e analisi di dettaglio, a tutto vantaggio della crescita complessiva della conoscenza scientifica e delle tematiche geoapplicative volte a razionalizzare l'uso del territorio e delle sue risorse.
  Si evidenzia infine che i finanziamenti Carg hanno contributo alla formazione e alla occupazione giovanile in campo geologico, informatico e dell'analisi tecnico-scientifica di laboratorio (c.a. 500-600 persone per anno, prevalentemente laureate).
  Questa «prima parte» del Progetto Carg, che riguarda solo 255 fogli su 652, sta per concludersi; la mancanza di continuità nell'erogazione delle risorse, fino alla loro totale interruzione, hanno impedito il raggiungimento dell'obiettivo iniziale del Progetto che era quello di realizzare l'intera copertura del territorio nazionale.
  Finanziare la prosecuzione di un progetto strategico su scala nazionale come il Progetto Carg, rappresenterebbe per lo Stato un investimento in prevenzione e pianificazione a fronte di un impegno economico assolutamente irrisorio rispetto ai benefici ottenibili. Negli strumenti di pianificazione territoriale, la componente geologica, idrogeologica, vulcanica e sismica è un supporto imprescindibile per la corretta progettazione degli interventi urbanistici, la riduzione dell'esposizione delle aree urbanizzate rispetto a frane, alluvioni, eruzioni e terremoti e la valorizzazione delle risorse naturali. A tale scopo la conoscenza geologica di base risulta essere fondamentale e la cartografia geologica rappresenta la raccolta più completa di informazioni geologiche del territorio.
  Si rende pertanto necessaria la predisposizione di una oculata e lungimirante programmazione di attività utili per rispondere alle esigenze inerenti la realizzazione di cartografia geologica, geotematica e delle relative banche dati, attraverso l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie per la loro realizzazione.
  La necessità che il Progetto continui è stata più volte messa in evidenza negli ultimi anni dall'intera comunità scientifica (Accademia dei Lincei, Federazione italiana scienze della terra), dal Consiglio nazionale dei geologi, dalle regioni e dalla stessa Ispra con appelli alle forze politiche e al Capo dello Stato, a dimostrazione dell'importanza strategica del progetto Carg per il nostro Paese.
  Si rappresenta che il costo medio di un foglio geologico (circa 650 kmq), concordato con le regioni e province autonome di Trento e Bolzano in relazione alla legge di finanziamento n. 226 del 1999, è pari a euro 550.000,00.
  Il costo può considerevolmente essere ridotto utilizzando le cartografie, gli studi e i dati già esistenti realizzate da enti locali, università ed enti di ricerca, omogeneizzandoli alle normative Carg. Le risorse statali potrebbero essere accompagnate, come accaduto in passato, da risorse messe a disposizione da regioni e province autonome.
  In Europa la realizzazione di una carta geologica nazionale è stata sempre considerata di particolare importanza e attualmente la maggior parte dei Paesi europei ha realizzato la propria carta geologica.
  Si segnala, infine, che, in data 7 marzo 2017, il Senato della Repubblica ha approvato la mozione 1-00707 con la quale, in particolare, si valuterà l'opportunità di stanziare, nel primo provvedimento utile, le risorse necessarie sia per avviare il completamento di una cartografia geologica moderna, con una scala adeguata, che consenta la copertura dell'intero territorio nazionale, incluse le acque territoriali, sia per la redazione di carte di microzonazione sismica che coprano le aree a più elevata pericolosità sismica.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia il 17 novembre 2011, in merito alla causa C-496/09, poiché non ha adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza 1° aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia, relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione, che sono stati dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune; la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tale decisione e dell'articolo 228, n. 1, del trattato CE;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia il 2 dicembre 2014, in merito alla causa C-196/13, per 200 discariche non bonificate, prevedendo come sanzione una multa forfettaria di 40 milioni di euro ed una multa semestrale proporzionale alle discariche ancora non bonificate;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia il 16 luglio 2015 nella causa C653/13 per non aver adottato tutte le misure necessarie all'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) sull'emergenza rifiuti in Campania; la Corte ha quindi condannato il nostro Paese ad una multa giornaliera di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza e una multa forfettaria di 20 milioni di euro;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia in data 17 settembre 2015 nella causa C-367/14, perché ha ritenuto che le riduzioni e/o sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, quindi, il nostro Paese a seguito della sentenza ha versato una somma forfettaria di 30 milioni di euro e dovrà versare una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo, per aver ritardato nel recupero di aiuti incompatibili con il mercato comune –:
   quale sia l'importo complessivo delle sanzioni pecuniarie che l'Italia ha dovuto versare in ragione delle condanne irrogate dalla Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. (4-15534)

  Risposta. — L'interrogante chiede di conoscere l'ammontare totale e quello di ciascuna delle sentenze citate nell'interrogazione, delle sanzioni comminate all'Italia per violazione del diritto dell'Unione europea.
  Con riferimento a quanto richiesto si riafferma che le somme ingiunte dalla Commissione in esecuzione delle sentenze in questione sono così riassumibili:
   Sentenza «Discariche abusive» (Causa C-196/13) MEuro 141;
   Sentenza «Rifiuti in Campania» (Causa C-653/13) MEuro 86,12;
   Sentenza «Venezia e Chioggia» (Causa C-367/14) MEuro 42;
   Sentenza «Contratti Formazione Lavoro» (Causa C-496/09) MEuro 60,1;
   Totale sanzioni ingiunte: MEuro 329,22.

  La corretta comprensione delle cifre sopra riportate non può prescindere da un minimo inquadramento del contesto giuridico e fattuale europeo e nazionale.
  La lotta per la riduzione delle infrazioni al diritto UE (ridotte allo storico numero minimo di 70 al 31 dicembre 2016 dalle 119 del febbraio 2014) condotta anche grazie all'organizzazione di un'apposita struttura di missione presso il Dipartimento delle politiche europee, risulta essere un obiettivo primario, innanzitutto, una puntuale, scrupolosa e costante verifica di conformità dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione (e ciò in particolare nell'ambito del dialogo con le autorità dell'Unione europee garantito dal sistema EU Pilot e dalla fase precontenziosa del procedimento ex articolo 258 TFUE), ma altresì un'attenzione continua alla puntuale esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia, laddove esse constatino l'inadempimento (e quindi rese ex articolo 258 TFUE,) ovvero comminino sanzioni pecuniarie (e quindi rese ex articolo 260 TFUE), specie allorché la sanzione, inflitta secondo la modalità della penalità di mora, sia in funzione del tempo durante il quale perdura la situazione di non conformità.
  Sotto quest'ultimo profilo, si rappresenta che le sentenze rese dalla Corte di Giustizia ai sensi dell'articolo 260 TFUE derivano da procedure di infrazione aperte numerosi anni fa (alcune da più di 10 anni) e alle quali, per lungo tempo e a vari livelli di governo, non è stata prestata la necessaria attenzione.
  Ulteriormente, non può non essere ricordato che le procedure da cui derivano le sentenze in oggetto riguardano problematiche la cui risoluzione presenta aspetti di maggiore criticità rispetto alle procedure avviate in altri settori.
  In particolare, le sentenze «ambientali» derivano da violazioni il cui rimedio necessita di importanti interventi strutturali attinenti a competenze dirette delle regioni ed enti locali, che non sempre dispongono delle necessarie competenze gestionali e, soprattutto, di adeguate risorse finanziarie (si pensi alla bonifica delle discariche abusive e alla realizzazione della capacità impiantistica necessaria a garantire l'autosufficienza regionale nella gestione dei rifiuti urbani).
  In ogni caso, laddove non è stato possibile evitare le sentenze, si è cercato di ridurre, per quanto possibile, la tempistica per l'attuazione delle stesse, così da contenere l'entità della penalità di mora inflitta dalla Corte di giustizia.
  Nel caso della sentenza «discariche abusive», grazie ad un'intensa attività di supporto tecnico alle amministrazioni interessate svolta con il Ministero dell'ambiente, è stato possibile regolarizzare circa il 32 per cento dei siti. Tuttavia laddove si è registrato un forte ritardo nell'esecuzione delle opere, non si è esitato a fare un più ampio ricorso all'esercizio del potere sostitutivo previsto dalla legge n. 234 del 2012, in forza del quale il 29 dicembre 2016 è stato nominato un commissario straordinario unico cui sono stati attribuiti poteri speciali per subentrare nei procedimenti in corso ed accelerare le attività necessarie per la regolarizzazione dei siti.
  Sempre con riferimento al caso «discariche abusive» è stata avviata la procedura per l'esercizio del potere di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti locali inadempienti, ritenendo che tale diritto possa essere efficacemente utilizzato non solo al fine di un ristoro degli oneri finanziari derivanti, ma anche per esercitare una pressione indiretta sugli enti locali interessati.
  Si segnala, altresì, che la Commissione europea non ha ancora notificato l'ingiunzione di pagamento relativa alla quarta penalità, che, tuttavia, è attesa a breve.
  Con riferimento alla sentenza «Rifiuti in Campania» (del 2015) che constata il mancato adempimento alla non conformità accertata fin dal 2010, sotto l'impulso del Governo Renzi è già stato attivato un tavolo di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio al quale partecipano Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Dipartimento delle politiche europee, e regione, al fine di agevolare, nel rispetto delle competenze di ciascuna istituzione coinvolta, una soluzione condivisa capace di ridurre il tempo di attuazione della sentenza. Numerose iniziative sono state attuate e la regione ha recentemente adottato, all'esito della complessa procedura amministrativa richiesta, un nuovo Piano di gestione dei rifiuti urbani che dovrà costituire il nuovo punto di riferimento per la valutazione della Commissione dei fabbisogni di smaltimento dei rifiuti nel rispetto della normativa europea.
  Con riferimento alle sentenze di condanna per il mancato recupero di aiuti di Stato (illegittimamente concessi negli anni passati), una ragione di ritardo nella completa esecuzione delle sentenze deriva dal fatto che le imprese beneficiarie dell'aiuto riconosciuto incompatibile si oppongono all'attività di riscossione coattiva, attivando i rimedi giudiziari che l'ordinamento loro consente in attuazione dell'ineludibile garanzia costituzionale del diritto di cui all'articolo 24 della Costituzione, sì che la concreta tempistica del recupero inevitabilmente «sconta» i ritardi provocati dall'intervento giudiziario, spesso nella forma di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento di recupero in ragione del grave pregiudizio che la riscossione causa all'imprenditore, ancor più in un contesto di crisi economica generalizzata.
  Con riferimento alla sentenza per il mancato recupero di aiuti concessi per interventi a favore dell'occupazione (cosiddetta sentenza «Contratti formazione lavoro»), il recupero è in corso e la diminuzione della penalità semestrale testimonia che l'Italia sta compiendo dei progressi nel recupero degli aiuti. Il Ministero del lavoro e l'INPS hanno, infatti, da tempo attivato tutte le procedure di recupero coattivo. Se oggi ancora paghiamo sanzioni, ciò è dovuto, appunto, al fatto che risultano ancora pendenti numerosi contenziosi i cui tempi sono incomprimibili. Va tenuto presente, che in questo caso, il Governo si è posto il tema di salvaguardare nei limiti del possibile l'interesse alla «sopravvivenza» delle imprese tenute a restituire l'aiuto maggiorato da interessi calcolati secondo il modello dell'interesse esposto, come preteso dalla Commissione. Per questo il Governo ha impugnato avanti al tribunale dell'Unione europea la seconda ingiunzione di pagamento e ha ottenuto, con sentenza T-122/14 del 9 giugno 2016 il riconoscimento dell'illegittimità dell'applicazione degli interessi composti per il periodo anteriore all'entrata in vigore del regolamento n. 794/2004, ciò ha comportato il ricalcolo delle somme da recuperare, e con questo obiettivo sono in corso continui contatti tra la Commissione e le amministrazioni interessate.
  La stessa preoccupazione di salvaguardia delle imprese che devono restituire l'aiuto, ha mosso le autorità italiane a richiedere l'applicazione dell'interesse semplice anche al caso della sentenza per il mancato recupero di aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia (cosiddetta sentenza «Venezia e Chioggia»). Quest'ultimo obiettivo può dirsi, oggi, pienamente raggiunto dal momento che la Commissione ha, sul punto, in applicazione analogica di quanto deciso dal tribunale dell'Unione europea nel caso «Contratti di Formazione Lavoro», accettato l'innovazione normativa di cui alla legge del 23 novembre 2016, n. 226. I ritardi per il completamento del recupero sono, a questo punto, solo dipendenti dalla necessità di definizione dei rimedi giudiziali attivati dagli imprenditori.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriSandro Gozi.


   MELILLA, SCOTTO, FRATOIANNI, ZARATTI, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, KRONBICHLER e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in provincia dell'Aquila nel pieno del cratere sismico vi è il lago artificiale di Campotosto, il più grande d'Europa, vasto ben 1400 ettari con tre dighe per la produzione di energia idroelettrica;
   il presidente della Commissione grandi rischi Sergio Bertolucci ha parlato di un possibile «effetto Vajont» per un altro grave terremoto di 7 gradi di magnitudine;
   tutta la popolazione locale abruzzese delle province di L'Aquila e Teramo è preoccupata anche in considerazione dei vari terremoti che ha subito negli ultimi anni e per il disagio che oggi vive per il prolungato maltempo con la più grande nevicata degli ultimi 60 anni –:
   cosa si intenda fare per chiarire l'effettivo rischio per la popolazione;
   quali iniziative siano state assunte o si intendano assumere per la sicurezza del lago di Campotosto;
   quali iniziative abbia già assunto l'Enel per la messa in sicurezza del lago e delle dighe. (4-15332)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche di questo Ministero, in adempimento a quanto disposto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2014, si è attivata nello svolgimento delle proprie funzioni tecniche riferendo costantemente al sistema di protezione civile e quindi assicurando l'applicazione delle procedure di vigilanza stabilite dalla normativa e dalle disposizioni correlate ed in particolare nell'ambito delle funzioni tecniche di valutazione dei rischi indotti.
  Il concessionario Enel ha attivato e completato, compatibilmente con la neve al suolo presente, i controlli straordinari in caso di eventi sismici stabiliti dalla circolare SDI/3536, del 1o luglio 2002, ed ha trasmesso le asseverazioni straordinarie previste dalla predetta circolare.
  La medesima direzione generale ha completato l'esame delle asseverazioni straordinarie trasmesse dal concessionario delle tre dighe del lago di Campotosto ed ha svolto l'attività di vigilanza post sisma su tutte e tre le dighe stesse che realizzano il serbatoio. È tuttora in corso l'attività ispettiva lungo le sponde del serbatoio.
Le conclusioni dell'attività di vigilanza svolta dagli uffici ministeriali non hanno fatto emergere, allo stato degli accertamenti completati, alcun elemento di criticità di tale significatività da richiedere la riduzione della quota autorizzata. La manovra di riduzione della quota del serbatoio attuata dal concessionario è stata limitata tra quota 1306,98 metri sul livello del mare, alla quota 1304,29 metri sul livello del mare ed è avvenuta mediante il solo utilizzo della derivazione ad oggi quindi il serbatoio invasa circa 70X106 metri cubi a fronte di una capacità massima di regolazione di 218X106 metri cubi (quota di massima regolazione 1317,60 metri sul livello del mare).
  Il concessionario Enel produzione ha aggiornato le verifiche di sicurezza sismica già agli atti della citata direzione generale considerando un massimo terremoto credibile caratterizzato da magnitudo Mw pari, a 7; le analisi svolte confermano che non sussistono condizioni di potenziale criticità per le tre dighe.
  Il concessionario deve inoltre aggiornare lo studio sismotettomoo e riverificare la ricostruzione del sistema di discontinuità tettoniche nell'intorno del lago di Campotosto, adottando le tecnologie oggi disponibili. Tale attività di aggiornamento costituisce una possibile integrazione, rispetto a quanto già eseguito nel 2010 dopo gli eventi sismici dell'Aquila.
  Si precisa, inoltre, che al fine di disporre controlli di più ampia scala relativamente a fenomeni deformativi superficiali dei versanti prossimi all'imposta della diga di Rio Fucino e dell'intero serbatoio specifiche attività di studio e ricerca sono in corso; in particolare, è stata avviata una specifica attività di studio e ricerca con l'università di Roma e con l'INGV, (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) per aggiornare la ricostruzione del sistema di discontinuità tettoniche presenti nel serbatoio.
  Nel contempo, si è ultimato, per quanto di competenza di questa Amministrazione, l'aggiornamento dei documenti di protezione civile delle tre dighe afferenti al l'impianto di Campotosto; gli stessi sono stati trasmessi alle prefetture competenti ed alle autorità regionali sul cui territorio insistono i tre sbarramenti.
  Da ultimo, la citata direzione generale riferisce di aver chiesto al concessionario l'aggiornamento degli studi in merito alla faglia dei «monti della Laga» rispetto a quanto già ricostruito dopo gli eventi del 2009, nonché di aver chiesto al dipartimento della protezione civile nazionale di esaminare gli studi già redatti (2010) in merito alla taglia dei «monti della Laga».

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'ormai noto termine «terra dei fuochi» si intende quella vasta area che comprende un territorio di oltre 1000 chilometri quadrati all'interno del quale sono situati oltre 50 comuni facenti parte della provincia di Napoli e Caserta. All'interno di tale area vivono oltre 2 milioni e mezzo di persone. Tale area è tristemente nota a causa del fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti, spesso speciali, attraverso l'incendio degli stessi;
  con il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, entrato in vigore il 10 dicembre 2013, e che è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 8 febbraio 2014, n. 32, il Governo ha cercato di arginare il preoccupante fenomeno –:
   di quali dati sia in possesso il Governo in ordine ai risultati ottenuti, sia in termini di tutela dell'ambiente sia in termini di tutela della salute degli abitanti delle zone interessate, a seguito dell'emanazione del decreto-legge di cui in premessa. (4-15694)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si sottolinea che le problematiche ambientali connesse alla cosiddetta Terra dei fuochi rappresentano una priorità per questo Ministero. Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale richiedono un lavoro di raccordo complesso, nel quadro delle attività promosse dal patto per la Terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Tra le numerose misure adottate si evidenziano, in particolare, il potenziamento dei controlli delle forze dell'ordine (138 fermi di persone sospette; sono stati censiti e segnalati 1809 siti, di abbandono di rifiuti; sono stati effettuati interventi su 356 luoghi di incendio in atto; 756 controlli sui rivenditori di pneumatici, 477 su opifici tessili, 459 in agricoltura, 1660 su cantieri edili; hanno inoltre elevato 4020 contravvenzioni per violazioni amministrative e 1329 denunce per violazioni ambientali; hanno eseguito 108 arresti, di cui 75 per il reato di incendio di rifiuti, 564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti, 340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto; hanno infine comminato quasi 500.000 euro di sanzioni amministrative).
  Sul versante roghi, l'anno 2016 ha confermato la tendenza in costante diminuzione degli incendi dolosi di rifiuti nelle aree delle province di Napoli e di Caserta. Con esclusivo riferimento ai comuni della cosiddetta Terra dei fuochi, si registrano punte di oltre il 70 per cento in meno rispetto allo scorso anno. Tale risultato è stato possibile anche grazie al controllo ad ampio raggio da parte delle forze dell'ordine, delle polizie locali e degli ispettorati del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, mirate sulle aziende che trattano le categorie merceologiche connesse agli abbandoni e ai roghi sulle aree nelle quali sono insediate.
  Si segnala, inoltre, che il protocollo Ministero ambiente-incaricato del Governo-Ecopneus ha consentito ai comuni aderenti di rimuovere gratuitamente oltre 16.000 Tonnellate di gomme abbandonate su strade e aree pubbliche.
  L'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente che presiede il Comitato interministeriale istituito con decreto-legge n. 136 del 2013 (convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6) con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio 2016 all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della cosiddetta Terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole, con quello delle iniziative di
screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti.
  Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro.
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal predetto decreto-legge n. 136 del 2013, il Ministero dell'ambiente ha intrapreso un'approfondita istruttoria, previa consultazione degli istituti di ricerca interessati, al fine di elaborare lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica condiviso con gli altri Ministeri concertanti.
  Si fa presente, infine, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per l'effettuazione di interventi di carattere economico, sociale ed ambientale nei territori della Campania noti come «Terra dei fuochi».
  Nel novembre 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto la bozza di decreto nel quale sono stati individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le rimanenti risorse patì a 297 milioni di euro, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze per condivisione e per le valutazioni di competenza ai fini della successiva firma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Infine, si segnala che, sulla questione, sono interessate altre Amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero si era impegnato a dare indicazione agli uffici scolastici regionali affinché venisse agevolato l'accoglimento in via eccezionale delle domande cosiddette tardive di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time. Ciò al fine di agevolare la possibilità di ottenere l'assegnazione provvisoria, anche per «minor orario», dei docenti che ne avessero fatto richiesta nella stessa provincia di Ragusa. Infatti, molti docenti ragusani sono stati assegnati a presidi scolastici lontani dalla propria famiglia e dalle proprie abitazioni. Ciò si ripercuote negativamente, soprattutto in un momento di crisi economica, sulla situazione degli stessi docenti;
   l'ufficio scolastico provinciale di Ragusa non ha tenuto conto delle richieste di part-time tardivo, a quanto consta all'interrogante, adducendo la motivazione di non aver ricevuto in merito alcuna disposizione scritta, ma solo verbale, da parte dell'ufficio scolastico regionale della Sicilia. Ciò ha compromesso la possibilità per molti docenti ragusani di svolgere il proprio lavoro nella stessa provincia chiedendo il part-time;
   è inoltre da evidenziare che altri uffici provinciali della stessa regione siciliana hanno, al contrario, proceduto all'accoglimento delle relative richieste di part-time tardivo, consentendo a molti docenti di ottenere quanto richiesto;
   è poi da rilevare la scarsità dei posti disponibili per i docenti della provincia di Ragusa, ancor più penalizzata visto che le assegnazioni provvisorie sono appena 74, fronte delle altre province, dove i posti sono più consistenti: Agrigento 300; Caltanissetta 350; Catania 1.159; Enna 94; Messina 264; Palermo 1.927; Siracusa 300; Trapani 338, per cui l'ufficio scolastico provinciale, secondo interrogante, non ha individuato in modo congruo la disponibilità degli stessi –:
   se non sia necessario ed urgente intervenire per sanare tale ingiustificata situazione in cui si trovano i docenti della provincia di Ragusa che vogliono richiedere il part-time, tenendo conto che tra l'altro, potrebbe essere effettuato tramite una richiesta integrativa che permetta agli stessi docenti di chiedere il part-time tardivo;
   se non sia opportuno chiarire le motivazioni che hanno determinato tale situazione per i docenti della provincia di Ragusa e l'operato dell'ufficio scolastico della provincia di Ragusa;
   quali siano le cause che hanno generato la situazione relativa alla disponibilità dei posti di docente definite dall'ufficio scolastico provinciale di Ragusa come detto in premessa. (4-14524)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sulle richieste tardive di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo normale a tempo parziale presentate all'ufficio territoriale della provincia di Ragusa da docenti che aspiravano ad ottenere l'assegnazione provvisoria in scuole della stessa provincia.
  Si forniscono, al riguardo, le informazioni rese dall'ufficio scolastico regionale per la Sicilia con nota del 7 novembre 2016.
  Il sopra citato ambito territoriale, in linea con la normativa vigente, ha accolto le istanze dei docenti in regime di part-time, purché già titolari di tale tipologia di contratto, anche tardivo, stipulato con i dirigenti scolastici delle scuole di titolarità, competenti alla trasformazione del rapporto di lavoro.
  Le assegnazioni provvisorie disposte in provincia di Ragusa per l'anno scolastico 2016/2017 sui posti disponibili in organico di fatto, sono risultate le seguenti:
   20 per la scuola dell'infanzia, a fronte di 137 domande;
   51 per la scuola primaria, a fronte di 237 domande:
   96 complessivamente per la scuola secondaria (di cui 31 per la secondaria di I grado e 65 per la secondaria di II grado), a fronte di 780 domande pervenute.

  Relativamente al settore della scuola secondaria, l'ufficio ha precisato che molte richieste erano riferite ad insegnamenti che non hanno trovato corrispondenza con i posti disponibili in provincia.
  Sempre per le scuole secondarie, all'inizio delle operazioni di assegnazione provvisoria erano, inoltre, disponibili in provincia circa 70 posti, di cui più di 1/3 per insegnamenti specifici nelle scuole ad indirizzo musicale o del settore professionale e tecnico, posti rimasti liberi per assenza di aspiranti nella fase dei trasferimenti definitivi e anche in quella delle nuove immissioni in ruolo da graduatorie ad esaurimento e concorsuali.
  Parte dei suddetti posti sono stati preliminarmente utilizzati per impegnare i 36 docenti in esubero a livello provinciale e poi, unitamente ai posti lasciati liberi da docenti che ottenevano la sede in altra provincia, sono stati attribuiti ai docenti provenienti da altra provincia che, avendone titolo, hanno chiesto l'assegnazione nelle scuole di Ragusa.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   mancano pochi giorni all'avvio, in tutta Italia, del carnevale 2017 e ancora non si conosce l'entità dei contributi che gli organizzatori di manifestazioni carnevalesche riceveranno dallo Stato per l'edizione 2016;
   la denuncia arriva dall'Associazione Carnevalia, che raggruppa i maggiori Carnevali italiani: Venezia, Viareggio, Fano, Putignano, Cento, Santhià, Ivrea, Treviso, Borgosesia, Acireale, Sciacca, Manfredonia, Foiano della Chiana, San Giovanni Valdarno, Gambettola, Avola, Cantù, Castelnuovo di Sotto;
   dopo oltre 12 mesi dalla scadenza dei termini per la presentazione delle domande (7 dicembre 2015), il dipartimento del turismo ha reso noto solo l'elenco dei Carnevali ammessi al finanziamento nell'ambito del bando del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la concessione dei contribuiti per la promozione dei carnevali storici, ma ad oggi non si conosce l'entità dei contributi che saranno destinati a ciascun organizzatore tra quelli ammessi al bando;
   il carnevale è un settore dell'industria culturale e turistica italiana che contribuisce in maniera significativa all'economia del nostro Paese sia in termini di fatturato che in termini occupazionali, un elemento di grande attrazione turistica, tra l'altro in un periodo di bassa stagione;
   gli organizzatori dei carnevali italiani sono costretti a fare, ogni anno, notevoli sforzi per avviare la programmazione delle manifestazioni, non avendo alcuna certezza sui possibili contributi a sostegno –:
   quali siano le motivazioni per le quali ad oggi, dopo un anno, non si conosce ancora l'entità dei contributi per il carnevale 2016, che saranno destinati a ciascun organizzatore tra quelli ammessi al bando emanato nel 2015;
   se siano previsti finanziamenti anche per il 2017, in quanto il progetto è da ritenersi di lungo termine come era stato annunciato, oppure se il finanziamento sia da considerarsi una tantum;
   se il Ministro intenda per il prossimo bando prevedere criteri tali da includere un numero maggiore di carnevali tra i beneficiari del contributo del bando ministeriale, specie quelli di significativa tradizione;
   se il Governo intenda assumere iniziative per riconoscere le specificità di questa attività e disciplinare questo settore con misure ed azioni stabili e consolidate che permettano allo stesso di integrarsi a pieno titolo nelle iniziative che fanno grande il settore turistico e culturale del nostro Paese. (4-15117)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame nella quale l'interrogante, con riferimento al bando riguardante contributi per le manifestazioni carnevalesche storiche, chiede: quali siano le motivazioni per le quali, ad oggi, dopo un anno, non si conosce ancora l'entità dei contributi per il carnevale 2016, da destinare a ciascun organizzatore tra quelli ammessi al bando emanato nel 2015; se siano previsti finanziamenti anche per il 2017 oppure se il finanziamento sia da considerarsi una tantum.
   Se si intenda per il prossimo bando prevedere criteri tali da includere un numero maggiore di carnevali tra i beneficiari del contributo del bando ministeriale, specie quelli di significativa tradizione; se si intenda assumere iniziative per riconoscere le specificità di questa attività e disciplinare questo settore con misure e azioni stabili e consolidate.
  I criteri e le modalità per la concessione dei contributi ai carnevali storici sono stati definiti con decreto direttoriale del 30 luglio 2015. Con bando dell'8 ottobre 2015 sono state fornite le modalità operative per la presentazione delle domande.
  Il necessario impegno di spesa per euro 1.000.000,00 è stato disposto con decreto direttoriale del 24 dicembre 2015.
  Con decreto direttoriale del 1o febbraio 2016 è stata, invece, istituita la commissione per l'esame e la valutazione delle istanze di contributo presentate dagli enti.
  L'attività di controllo sulla legittimità delle istanze è stata condotta dalla direzione generale turismo, che, agli inizi del mese di marzo, aveva individuato un primo elenco di istanze ammissibili, e si è protratta sino a fine giugno per presenza di criticità importanti nella maggioranza delle domande presentate (termine di presentazione, indirizzo di destinazione, completezza documentale, tipo di firma apposta, natura giuridica dell'ente, imposta di bollo); sempre a fine giugno, e con posta certificata, il responsabile unico del procedimento ha comunicato, in via preventiva, i motivi ostativi all'accoglimento delle istanze che non soddisfacevano i requisiti di accesso previsti nel bando.
  Le osservazioni presentate dagli interessati sono state acquisite entro la prima metà di luglio. Valutate le osservazioni, a fine settembre, il responsabile unico del procedimento ha informato il presidente della commissione di valutazione circa la totalità delle manifestazioni carnevalesche da ritenersi ammissibili per l'anno 2016.
  Quanto ad altri organismi non ammissibili, si è potuto rilevare che, per la maggior parte degli enti, risultava decorso infruttuosamente il termine fissato per la presentazione di osservazioni scritte, mentre per due enti non potevano essere accolte le osservazioni pervenute, a causa della genericità delle motivazioni addotte e per la limitata documentazione giustificativa prodotta.
  Con relazione del 10 novembre 2016, il responsabile unico del procedimento ha comunicato al dirigente incaricato le risultanze conclusive e definitive dell'istruttoria effettuata e suggerito i provvedimenti finali da adottare.
  Con distinti decreti direttoriali del 7 dicembre 2016 è stata dichiarata l'ammissione delle manifestazioni soddisfacenti i requisiti di accesso previsti dal bando e l'inammissibilità delle manifestazioni non in possesso dei requisiti indicati. I decreti sono stati pubblicati sul sito
web del Ministero. Con decreto direttoriale del 9 dicembre 2016, a causa delle dimissioni del presidente, la commissione è stata ricomposta.
  Successivamente, la commissione ha provveduto ad attribuire i punteggi alle singole manifestazioni. La graduatoria delle manifestazioni con relativo punteggio è stata pubblicata con decreto del 3 febbraio 2017, a firma del direttore generale del turismo, sul sito
web dell'Amministrazione.
  La commissione ha, infine, provveduto a calcolare l'importo attribuito a ciascuna manifestazione ammessa al contributo, dandone comunicazione alla direzione generale che ha provveduto a darne pubblicità sul sito
web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con avviso del 20 febbraio 2017.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto direttoriale del 30 luglio 2015, le modalità di realizzazione di ciascun progetto e di erogazione del contributo assegnate, saranno disciplinate da un'apposita convenzione tra il soggetto ammesso e la direzione generale turismo.
  Il tema dei carnevali, sollevato dall'interrogante, costituisce una priorità anche per il Ministero. Sono allo studio le possibili iniziative per individuare risorse per dare continuità all'attività di promozione avviata, nella piena consapevolezza della rilevanza culturale delle manifestazioni in questione e delle importanti ricadute in termini di flussi turistici, anche internazionali, che ne derivano.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   MOSCATT. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo Licata, ancora alle prese con la conta degli ingenti danni provocati dal violento nubifragio di sabato 26 novembre 2016, stessa sorte stanno avendo i comuni di Ribera, Sciacca, Cianciana e Bivona a seguito del violento maltempo che ha colpito la provincia di Agrigento;
   le notizie destano sempre più preoccupazione ed in alcune città i collegamenti risultano interrotti; tra Ribera e Menfi il fiume Verdura rischia di esondare e le arterie stradali sono allagate, dalla strada statale 115 a quelle interne tra Ribera, Bivona e Caltabellotta. Anche a Santa Margherita Belice la circolazione ferroviaria è stata sospesa sulla linea Palermo- Agrigento, tra le stazioni di Roccapalumba e Agrigento –:
   quali iniziative urgenti di competenza in accordo con la regione siciliana, il Governo intenda adottare per fronteggiare un'emergenza che rischia di diventare ingovernabile. (4-14897)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla società ANAS e dal gruppo ferrovie dello Stato.
  Il violento nubifragio che si è abbattuto tra la notte del 24 e la giornata del 25 novembre 2016 nel territorio dei comuni di Sciacca e Ribera ha provocato il riversamento di ingente quantità di materiale detritico sulla statale 115 «Sud occidentale sicula» tra il centro abitato di Sciacca e lo svincolo per Ribera e sulla strada statale 386 «di Ribera».
  Le violente piogge hanno provocato anche l'esondazione del fiume Verdura che è straripato più a monte rispetto alla statale 115 allagando gli agrumeti della zona e invadendo, a valle, la citata statale che è stata interdetta al traffico per motivi di sicurezza.
  ANAS riferisce che dopo aver rimosso i detriti presenti e ripulito il manto stradale, nella serata del 25 novembre, ha provveduto a riaprire al transito la statale 115; analogo intervento di sgombero è stato effettuato anche sulla strada statale 386. Inoltre, per evitare il ripetersi dei disagi sopradescritti, ha programmato ulteriori interventi di manutenzione ordinaria sulle pertinenze stradali delle citate infrastrutture.
  In merito alla sospensione della circolazione ferroviaria la società ferrovie dello Stato ha comunicato che RFl ha provveduto al ripristino e alla regolarizzazione della circolazione alle ore 13,30 del 26 novembre 2016.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MUCCI, BARBANTI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Emilia Romagna, la piovosità dell'anno 2015 è stata inferiore dell'11 per cento rispetto alla media degli ultimi dieci anni, con appena 730,2 millimetri rilevati dalle strumentazioni del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   nei mesi di novembre 2015 e dicembre 2015, lo scarto climatico delle piovosità è stato pari rispettivamente a –72,8 per cento e –85,1 per cento, e medesimo andamento si è riscontrato nelle prime due decadi del mese di gennaio 2016: rispettivamente –51,8 per cento e –73,8 per cento;
   analoghe sofferenze idriche sono state rilevate dall'Aipo, Agenzia interregionale per il Po, con le portate del corso d'acqua e relativi affluenti fiaccate da scarsa piovosità e contenute precipitazioni nevose sull'arco alpino, tanto da rilevare per il Po un andamento di inferiorità rispetto allo zero idrometrico, statisticamente inferiore rispetto agli anni passati;
   la diga di Ridracoli, gestita dalla società Romagna Acque, principale bacino di approvvigionamento idrico per tutti i comuni della Romagna, al primo febbraio 2016 era caratterizzata dalla presenza di 20 milioni e 802 mila metri cubici di acqua, pari al 62 per cento della capacità totale, un dato inferiore di 4 milioni e 800 mila metri cubici rispetto alla media storica per il periodo di riferimento e inferiore di 7 milioni e 500 mila metri cubici rispetto al 1° febbraio 2015;
   la diga di Ridracoli, nell'ultimo decennio, solo negli anni 2012 e 2007 aveva registrato un così basso livello di riempimento dell'invaso al 1° febbraio;
   la diga di Ridracoli, per garantire copertura piena del servizio idrico deve raggiungere, entro maggio, il suo livello di tracimazione (33 milioni di metri cubici) e per tale obiettivo, dopo un autunno e un inverno di scarse precipitazioni, può solo confidare in una primavera dagli elevati volumi di precipitazione;
   in Romagna il 2015 è stato il secondo anno più caldo, dopo il 2014, dal 1900, con un'anomalia positiva di +1,4 C° rispetto al valore climatologico del periodo 1971-2000 –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'attuale quadro idro-climatico dell'Emilia Romagna;
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, con una specifica analisi degli andamenti climatici dell'ultimo decennio, con già in tre annate caratterizzate da rischio siccità;
   se le anomalie riscontrate siano al vaglio del Governo per la predisposizione di un piano di intervento in caso di emergenza siccità nella prossima stagione estiva;
   quale percorso il Governo intenda attuare per contenere i consumi idrici e garantire la distribuzione, nel caso il quadro climatico non dovesse sopperire alla necessità di acqua;
   se esistano specifici protocolli e fondi economici per arginare le sofferenze del comparto agricolo, in un territorio già vessato da annate di caldo record e ora sotto il rischio di un ridimensionato apporto idrico per l'estate ventura. (4-11941)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Al fine di perseguire efficacemente l'obiettivo della creazione di un sistema di
governance in grado di assicurare la gestione ottimale della risorsa idrica e di affrontare le crisi da scarsità all'insegna della cooperazione, del dialogo tra le parti e dell'attenzione alle specificità territoriali, il Ministero dell'ambiente, il 13 luglio 2016, ha istituito, a livello di ogni distretto italiano e con appositi protocolli d'intesa, gli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, dando avvio, su tutto il territorio nazionale, ad una nuova modalità di gestione sostenibile dell'acqua, basata sulla condivisione delle informazioni, sulla concertazione con gli attori territoriali e sulla programmazione strategica.
  Gli osservatori rispondono all'esigenza che le decisioni assunte dalle amministrazioni pubbliche preposte al governo dell'acqua si basino su di un patrimonio di dati il più possibile esteso, affidabile e condiviso, che consenta una razionale programmazione, garantendo, soprattutto in condizioni di significativa severità idrologica, il miglior equilibrio possibile tra la disponibilità di risorse reperibili ed i fabbisogni per i diversi usi, in un contesto di sostenibilità ambientale, economica e sociale e nel pieno rispetto delle finalità di raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Ciò anche al fine di adempiere a quanto previsto dalla direttiva 2000/60/CE, la quale chiede di «agevolare un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili.
  Gli osservatori sono strutture snelle, prettamente operative, partecipate da tutti i principali attori distrettuali, pubblici e privati; al loro interno sono effettuate le analisi sui
trend climatici in atto, la raccolta, l'aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all'uso della risorsa idrica dei distretti (compreso il riuso delle acque reflue, le importazioni e le esportazioni di risorsa ed i volumi eventualmente derivanti dalla desalinizzazione), e vengono formulate proposte tecniche per la regolamentazione dei prelievi e degli usi e per il contenimento dei consumi idrici, in funzione degli obiettivi fissati dai piani di gestione dei distretti idrografici ed in coerenza con gli indirizzi forniti della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
  Gli osservatori operano anche da cabina di regia per la previsione e gestione degli eventi di carenza idrica e siccità, garantendo un adeguato flusso di informazioni, necessarie per la valutazione dei livelli della criticità, della sua evoluzione, dei prelievi in atto, e per la definizione delle azioni più adeguate per la gestione proattiva degli eventi da scarsità.
  Le attività degli osservatori sono ovviamente orientate a seconda dei vari scenari gestionali e di severità idrologica, secondo un criterio di proporzionalità ed efficienza. Nelle situazioni normali, in cui i valori degli indicatori (portate/livelli/volumi/accumuli) sono tali da prevedere la capacità di soddisfare le esigenze idriche del sistema naturale ed antropico, gli osservatori individuano ed implementano le reti di monitoraggio e gli strumenti necessari al monitoraggio dei volumi prelevati dai diversi soggetti, predispongono gli indicatori e i parametri di riferimento (idrologici, idraulici, agronomici, ambientali, di siccità e relativo impatto economico) rappresentativi della situazione di disponibilità idrica e di soddisfacimento dei fabbisogni del distretto, per la costruzione di una serie storica di riferimento che consenta l'inquadramento e la classificazione degli stati di carenza idrica e siccità, e definiscono il modello proattivo di gestione delle crisi idriche.
  In caso di «scenario di severità idrica bassa» o di «scenario di severità idrica media», gli osservatori assumono invece il ruolo di cabine di regia, provvedendo alla valutazione delle misure più appropriate per la mitigazione degli impatti della carenza idrica e della siccità, sulla base degli elementi conoscitivi disponibili e proponendo l'attuazione delle stesse misure.
  Infine, in caso di «scenario di severità idrica alta», allorquando, malgrado siano già state prese tutte le misure preventive, è presente uno stato critico non ragionevolmente prevedibile, nel quale la risorsa idrica non risulta sufficiente ad evitare danni al sistema, anche irreversibili, gli osservatori forniscono il supporto informativo/operativo al fine di contribuire alla definizione delle decisioni per la gestione dell'eventuale emergenza da parte degli organi della Protezione civile nazionale e delle altre autorità competenti coinvolte.
  Gli osservatori sono già pienamente operativi nei vari distretti italiani. Nella specifica situazione della pianura padana l'osservatorio distrettuale per gli usi idrici dell'Autorità di bacino del fiume Po ha il compito di analizzare lo stato di fatto climatico e meteorologico, di monitorare l'impiego delle risorse, di predisporre gli scenari di utilizzo e di sviluppare il modello proattivo di gestione della scarsità idrica, che potrà prevedere eventuali misure di contenimento dei consumi, nonché deroghe alle ordinarie modalità di gestione degli invasi sub alpini, a sostegno delle attività agricole.
  Gli sforzi compiuti sono ovviamente legali agli impegni assunti a livello internazionale per limitare il riscaldamento globale e garantire lo sviluppo sostenibile di tutto il pianeta.
  Il nostro è tra i Paesi più virtuosi in termini di riduzione delle emissioni: grazie alle politiche e alle misure messe in atto per il periodo 2013-2020, l'Italia si colloca tra i Paesi con emissioni pro-capite più basse in Europa, tra i Paesi più efficienti a livello globale, e tra i Paesi con una maggiore percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa.
  L'accordo di Parigi del dicembre 2015 sui cambiamenti climatici ha costituito un decisivo passo avanti nel percorso della lotta al surriscaldamento globale.
  Il nostro Paese, sin dalla conferenza di Lima del 2014 dove l'Italia ha guidato la delegazione europea, e poi a Parigi nel dicembre 2015, ha dato un contributo convinto ed efficace per il raggiungimento di un accordo che si aspettava da anni e che serve a tutelare il pianeta e l'umanità che lo abita.
  Sono diversi gli elementi nuovi e rilevanti che sono stati affrontati e regolati con questo nuovo accordo. Tra i più importanti occorre sottolineare la fissazione dell'obiettivo di lungo termine di contenere il riscaldamento entro 2o C rispetto ai livelli pre-industriali, con l'impegno ad operare attivamente per un ulteriore abbassamento della soglia a 1,5o C.
  Il raggiungimento di questo obiettivo non potrà prescindere da una continua verifica delle azioni messe in campo e dai risultati raggiunti dai governi. A tale scopo si è lavorato intensamente perché si stabilisse un unico sistema che assicurasse la trasparenza del nuovo regime e richiedesse a ciascun paese di riportare i rispettivi progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone regolarmente con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell'obiettivo di rimanere al di sotto dei 2o C.
  L'Unione europea, e l'Italia in seno ad essa, sono in una posizione speciale in qualità di pionieri della lotta ai cambiamenti climatici e possiedono tutti gli strumenti e la necessaria ambizione per guidare tale sforzo anche nel prossimo futuro.
  A tale proposito, il contributo nazionale portato dentro l'accordo di Parigi è stato quello sottoscritto dai Paesi europei in occasione del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, sotto la presidenza italiana, l’
Intended nationally determined contribution (contributo previsto stabilito a livello nazionale) per i successivi negoziati sul clima, con l'impegno da parte dei Paesi europei a ridurre le proprie emissioni di C02 entro il 2030 di almeno il 40 per cento; al tempo stesso, in quella sede sono stati imposti target sia sul raggiungimento del livello di consumo di energie rinnovabili sia sul miglioramento dell'efficienza energetica, pari in entrambi i casi a valori obiettivo del 27 per cento.
  Alla luce del cruciale ruolo svolto dal nostro Paese in seno all'Unione europea nell'ambito del più complessivo negoziato globale, è risultato particolarmente importante che l’
iter di ratifica dell'accordo di Parigi collegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015, si sia concluso in tempi brevissimi, con la legge 4 novembre 2016 n. 204, ovvero prima dell'inizio della 22a Conferenza delle parti della convenzione quadro dell'ONU sulla lotta ai cambiamenti climatici (UNFCCC), tenutasi a Marrakech dal 7 al 18 novembre 2016.
  Delle questioni sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti, sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola è incominciata ormai da più di un mese, eppure in diversi istituti scolastici italiani gli insegnanti di sostegno non sono ancora presenti;
   questo è quello che succede all'istituto tecnico commerciale Salvemini di Casalecchio, dove mancano ancora una quarantina di docenti, scuola all'avanguardia nell'integrazione degli studenti disabili, che sono 60 su 1.500, tra cui 47 ragazzi con situazioni di gravità, una trentina dei quali hanno bisogno di assistenza «uno a uno». Il preside, per tentare di gestire la situazione, ha chiesto alle famiglie di concordare giorni ed orari nei quali i ragazzi disabili, volendo, possano stare a casa;
   il problema riguarda il fatto che dei 18 docenti specializzati chiamati da altre regioni che sono stati assegnati come docenti di ruolo in tale scuola, in 17 si sono presentati il 1° settembre 2016 per firmare il contratto triennale, assentandosi però, quasi immediatamente dal lavoro (per lo più in malattia o per assistere familiari) e ottenendo poi una assegnazione temporanea vicino a casa;
   sembra che, a giorni, l'ufficio scolastico territoriale procederà a indicare i nuovi nominativi in modo che il preside possa procedere alle nomine, ma sempre attingendo dalle graduatorie. «Ma saranno non specializzati, sono docenti che si prestano ad attività di sostegno. Se la disabilità è lieve, potrà anche andare bene, ma se è grave, dovranno avere una grande disponibilità, perché servono competenze per fare questo lavoro», così spiega il preside;
   in tutto ciò, a farne le spese sono le famiglie: gli alunni si trovano docenti non specializzati precari sino «ad avente diritto» e i genitori non hanno più la sicurezza di poter affidare i proprio figli a personale competente che possa garantire un principio di continuità didattica. Che però è, ad oggi, inapplicabile, visto che decine di migliaia di docenti si alternano e cambiano di settimana in settimana;
   il diritto all'insegnante di sostegno non può essere considerato e trattato come qualcosa di accessorio, non riconoscendo così la sua indispensabilità per gli studenti disabili o con deficit di apprendimento, pur essendo esso intrinseco al diritto all'istruzione;
   tra l'altro, gli insegnanti di sostegno sono un vero e proprio ponte tra il resto della classe e l'alunno con disabilità, poiché il loro lavoro si basa proprio sulle attività per favorire l'integrazione del ragazzo disabile con gli altri compagni dai quali il ragazzo non deve mai sentirsi diverso o rispetto ad essi svantaggiato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di superare in tempi rapidi le problematiche inerenti alla nomina, su tutto il territorio nazionale, degli insegnanti di sostegno, al fine di garantire quella continuità didattica presupposto necessario per una corretta istruzione. (4-14547)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si forniscono le informazioni rese dall'ufficio scolastico regionale per l'Emilia Romagna in merito alla situazione degli insegnanti degli sostegno dell'Istituto tecnico commerciale «Salvemini» di Casalecchio di Reno.
  In via generale, il sopra citato ufficio ha assicurato che nelle scuole secondarie di I e di II grado, comprese nell'ambito territoriale di Bologna, la continuità didattica dei docenti di sostegno è stata garantita fin dall'inizio delle lezioni per una percentuale mollo alta, tanto che in numerosi istituti i docenti di sostegno erano in servizio già dal 15 settembre 2016.
  Per quanto riguarda, nello specifico, l'istituto «Salvemini», è stato precisato che lo stesso è frequentato da 60 alunni con disabilità: di questi 29 (tra cui 13 in condizione di gravità) sono risultati destinatari di ore di sostegno in deroga per un totale di ulteriori 9 posti e 9 ore. Per le situazioni di gravità che, oltre al sostegno, necessitano di assistenza nel rapporto uno a uno, risulta che il comune di Casalecchio di Reno mette a disposizione 400 ore settimanali di personale educativo e assistenziale.
  È stato anche evidenziato che, nel corso delle prime due settimane di lezione, quattro studenti disabili sono rimasti a casa per non più di 5 giorni, mentre in altre situazioni per qualche ora in una o due giornate.
  Ciò posto, anche per la Scuola in discorso le operazioni di nomina, comprese quelle per la sostituzione del personale che ha ottenuto l'assegnazione provvisoria in altra provincia o regione, sono state completate e dal 10 ottobre tutti i docenti di sostegno sono in servizio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   MUCCI, MONCHIERO e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   tra le misure del pacchetto famiglia a sostegno della natalità contenute nella legge di bilancio 2017 è prevista, all'articolo 1, commi 356 e 357, la proroga per il 2017 e 2018 della facoltà riconosciuta alla madre lavoratrice, anche autonoma, di richiedere un contributo di 600 euro mensili per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (cosiddetti voucher baby-sitting o asili nido), da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo di maternità, per un massimo di sei mesi, in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale;
   tale misura, introdotta dall'articolo 4, comma 24, lettera b) della cosiddetta «legge Fornero» la legge n. 92 del 2012 come sperimentazione per il triennio 2013-2015, è stata poi prorogata di un anno dalla legge di stabilità 2016 e per ulteriori due da quella per il 2011 fino a tutto il 2018;
   il contributo di 600 euro mensili è erogato dall'Inps, su presentazione della domanda, alle neomamme che decidono di tornare prima al lavoro rinunciando in parte o del tutto al congedo parentale;
   nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, il contributo è versato dall'Inps direttamente alla struttura prescelta, fino a concorrenza del predetto importo massimo di 600 euro mensili (dietro esibizione da parte della struttura della richiesta di pagamento corredata della documentazione attestante l'effettiva fruizione del servizio). Nel caso in cui si scelga il servizio di baby-sitting il beneficio viene erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro da ritirare in versione telematica sulla piattaforma dell'Inps, che poi si occupa anche di girarli al collaboratore;
   con l'entrata in vigore del decreto-legge che abolisce i voucher lavoro, i buoni baby sitter non potranno più essere emessi dall'Inps, mentre quelli già ricevuti dalle neomamme dovranno essere utilizzati fino ad esaurimento entro il 31 dicembre prossimo, salvo deroghe;
   tuttavia, secondo indicazioni fornite dall'Inps si potrebbero verificare tre situazioni: 1) chi ha già fatto domanda ed ha già ricevuto i voucher deve utilizzarli entro la fine del 2017, salvo la possibilità di restituire, sempre entro il 31 dicembre, quelli che si prevede di non utilizzare; 2) per chi ha presentato domanda entro il 17 marzo e la stessa sia stata accettata entro o dopo tale data, è possibile appropriarsi dei voucher anche se sono stati aboliti, purché si utilizzino entro il 31 dicembre, in alternativa si può rinunciare o passare al contributo per l'asilo nido; 3) chi ha presentato la domanda dopo il 17 marzo può scegliere solo se utilizzare il contributo per l'asilo nido o cancellare la domanda non elaborata dall'Inps;
   l'istituto sottolinea comunque che i buoni ritirati e non usati entro il 2017 saranno considerati utilizzati e non potranno essere restituiti successivamente –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno adottare iniziative volte a prevedere una deroga all'erogazione del bonus baby sitter, oppure una diversa modalità di erogazione di questo importante contributo, previsto dalla legge di stabilità fino a tutto il 2018, che consente alle neomamme di poter anticipare il rientro al lavoro rinunciando in parte o del tutto al congedo parentale. (4-16075)

  Risposta. — L'interrogante, con l'atto parlamentare in esame, richiama l'attenzione sulla problematica relativa alla modalità di pagamento del contributo per l'acquisto dei servizi di baby-sitting (cosiddetto voucher baby-sitting), a seguito dell'avvenuta abrogazione dei voucher per il lavoro accessorio ad opera del decreto-legge n. 25 del 2017.
  Al riguardo, è opportuno precisare, in via preliminare, che il voucher baby-sitting costituisce una misura introdotta dalla legge n. 92 del 2012 (cosiddetto legge Fornero) al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia, nonché per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
  La misura, introdotta in via sperimentale per gli anni 2013-2015, è stata successivamente prorogata di un anno dalla legge di stabilità 2016 e fino a tutto il 2018 dalla legge di bilancio 2017; inoltre, ne è stato esteso l'ambito di applicazione alle lavoratrici autonome o imprenditrici, ai sensi degli articoli 1, comma 282, della legge n. 208 del 2015 e 1, comma 356, della legge n. 232 del 2016.
  Tale beneficio costituisce ad oggi uno degli strumenti fondamentali per il sostegno alla natalità, obiettivo che occupa un posto di particolare rilievo nell'Agenda del Governo.
  Nello specifico, l'articolo 4, comma 24, lettera b) della legge n. 92 del 2012 prevede che la madre lavoratrice, ai termine dei periodo di congedo di maternità e per gli undici mesi successivi, possa richiedere, in alternativa al congedo parentale, la corresponsione di voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati.
  Per quanto riguarda i criteri di accesso e le modalità di utilizzo della misura, l'articolo 4, comma 25, lettera a), della legge n. 92 dei 2012 rimanda ad un successivo decreto di natura non regolamentare, adottato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. In attuazione della predetta disposizione, sono stati adottati i decreti ministeriali del 22 dicembre 2012 e del 28 ottobre 2014 che fanno riferimento al «sistema dei buoni lavoro» di cui all'articolo 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003, ai fini dell'erogazione del contributo per il servizio di baby-sitting.
  Ciò posto, occorre precisare che l'articolo 1 del decreto-legge n. 25 del 2017, nel disporre l'abrogazione della disciplina del lavoro accessorio, e con esso dei buoni lavoro, ha altresì previsto l'ultrattività, in via transitoria, delle disposizioni abrogate al fine di consentire l'utilizzazione fino al 31 dicembre 2017 dei voucher già richiesti alla data della sua entrata in vigore (17 marzo 2017). Pertanto, fino ai 31 dicembre 2017, i buoni lavoro potranno essere utilizzati, fermo restando che dal 17 marzo 2017 non è più possibile chiederne l'emissione.
  Con specifico riferimento all'istituto del voucher baby-sitting, nel quale l'emissione dei buoni lavoro da parte dell'INPS costituisce solo una modalità attraverso la quale viene garantita alle madri che ne fanno richiesta l'erogazione del contributo per i servizi di baby-sitting, l'INPS, con l'avallo di Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha reso noto di aver apportato le necessarie modifiche alla procedura in modo da poter continuare l'erogazione del beneficio, attraverso lo strumento dei buoni lavoro, fino al 31 dicembre 2017.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal Corriere di Novara, rete ferrovia italiana, la società che gestisce la circolazione dei treni Frecciabianca delle Ferrovie dello Stato italiane, ha deciso di spostare la linea storica dell'alta velocità Torino-Milano, a partire dal mese di settembre 2016;
   il cambiamento di percorrenza che riguarda non soltanto Novara, ma anche città importanti, come Vercelli, rischia di determinare gravissime ripercussioni sui numerosi pendolari, studenti e lavoratori, che quotidianamente fruiscono di tale servizio di mobilità, i cui effetti negativi si esplicano anche in termini economici e commerciali;
   il provvedimento di Trenitalia, a giudizio dell'interrogante, ove confermato, elimina la possibilità di collegare direttamente le città capoluogo, quali Novara e Vercelli, alle grandi reti di trasporto nazionale, accrescendo le difficoltà logistiche negli spostamenti, come ad esempio nelle grandi città del Nord-est, considerato che obbliga i viaggiatori a cambiare convoglio obbligatoriamente a Milano;
   l'interrogante evidenzia, inoltre, come la decisione di indirizzare i passeggeri sui treni interregionali, i cui servizi in termini di efficienza e comodità risultano scarsi e inadeguati considerato che si viaggia quasi sempre in piedi e le carrozze risultano spesso sporche, rischi di aumentare le difficoltà nei confronti dei tantissimi utenti piemontesi costretti ad indirizzarsi verso altri mezzi di trasporto per raggiungere le mete stabilite –:
   se corrisponda al vero la notizia esposta in premessa e pubblicata dal quotidiano Corriere di Novara, secondo la quale, a partire dal mese di settembre 2016 Trenitalia sposterà i treni ad alta velocità Frecciabianca dalla linea Torino-Milano, sopprimendo le soste nelle stazioni di Novara e Vercelli, che rappresentano luoghi di sosta e di transito fondamentali per centinaia di migliaia di viaggiatori;
   in caso affermativo, quali siano i suoi orientamenti circa tale decisione da parte di Ferrovie dello Stato italiane, ad avviso dell'interrogante sbagliata e inaccettabile, considerato che tale provvedimento esclude di fatto le suddette città, le cui comunità locali rappresentano, in termini economici e commerciali, un valore aggiunto per la ricchezza regionale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nei confronti di Ferrovie dello Stato italiane, al fine di riconsiderare tale scelta i cui effetti negativi, come evidenziato in premessa, rischiano di ripercuotersi pesantemente sulla situazione socioeconomica piemontese. (4-13920)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, occorre premettere che i servizi ferroviari delle «Frecce» (Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca) sono effettuati in regime di mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico. La programmazione di tali servizi si basa esclusivamente su valutazioni di carattere commerciale finalizzate a garantirne la sostenibilità economica.
  Tuttavia, al fine di fornire una risposta sono state chieste informazioni alla Società Ferrovie dello Stato che ha rappresentato quanto segue.
  Sulla trasversale padana (Torino-Milano-Venezia) Trenitalia, da gennaio 2016, ha avviato un piano di rimodulazione dei servizi a mercato che ha previsto la progressiva sostituzione dei treni Frecciabianca con treni Frecciarossa che utilizzano la linea Alta velocità (AV). Ciò consente un incremento della qualità dell'offerta sia sotto l'aspetto del confort di viaggio che sotto quello dei tempi di percorrenza infatti:
   i servizi Frecciarossa sono effettuati con convogli ETR 500:
   l'instradamento sulla linea Alta velocità tra Torino e Milano comporta una riduzione di oltre 40 minuti dei tempi di viaggio e, da dicembre 2016, con l'apertura all'esercizio della tratta Alta velocità tra Treviglio e Brescia, si è ottenuta un'ulteriore riduzione di 10 minuti.

  Ferrovie dello Stato sottolinea che l'instradamento sulla linea ad Alta velocità non consente di poter continuare a servire con i treni Frecciarossa le stazioni di Vercelli e Novara, in quanto le stesse sono allocate sulla linea storica.
  Tuttavia, al fine di consentire soluzioni alternative da parte delle legioni sono stati mantenuti da Trenitalia temporaneamente 4 coppie di Frecciabianca e dal 5 marzo 2017 due di queste coppie sono state trasformate in Frecciarossa, il programma verrà completato il prossimo 2 aprile con la trasformazione delle ultime due coppie.
  Concludendo. Trenitalia fa sapere che sulla tratta Torino-Milano della linea storica, già con l'orario del 2016, erano (e sono ancora) programmati 41 collegamenti regionali al giorno, a cui si sono aggiunti, a partire dal 30 gennaio, per iniziativa della regione Piemonte, quattro nuovi treni con tempi di percorrenza sostanzialmente paragonabili a quelli dei treni Frecciabianca e con fermata anche a Vercelli e Novara.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Tecnis, società catanese leader nel settore delle costruzioni, aggiudicataria, tra gli altri, dell'appalto per la realizzazione dell'anello ferroviario nella città di Palermo, per un valore di 154 milioni di euro, di cui Rete ferroviaria italiana è stazione appaltante, è soggetta ad amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose dall'11 febbraio 2016;
   il completamento dei lavori nei cantieri palermitani parrebbe essere attualmente oggetto di valutazione da parte di Rete ferroviaria italiana che ha avviato le procedure per verificare eventuali inadempienze contrattuali che potrebbero consentire la risoluzione del contratto con Tecnis;
   come riportato da numerosi articoli di stampa (La Repubblica del 5 aprile 2016 e Giornale di Sicilia del 18 aprile 2016) l'amministrazione comunale, beneficiaria dei lavori, ha rilevato come i cantieri siano sostanzialmente inattivi, a causa di una crisi di liquidità dell'azienda che ha impedito tanto la continuità nell'approvvigionamento della materia prima, quanto la regolare erogazione delle retribuzioni;
   la realizzazione del passante ferroviario rappresenta per la città di Palermo un'infrastruttura necessaria per un sistema di mobilità pubblica sostenibile e moderno, oltre a rappresentare un'opportunità occupazionale e di sviluppo futuro. L'opera, quindi, rappresenta un investimento strategico per la città, il cui destino, per tanto, non può essere legato all'incerto futuro della Tecnis;
   l'attuale condizione dei cantieri appare intollerabile per l'intera città di Palermo a causa dei disagi arrecati tanto alla mobilità urbana, quanto a residenti e commercianti, centinaia dei quali, a causa dell'allontanamento del termine di fine-lavori, rischiano di dover definitivamente cessare la propria attività –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato dei cantieri Tecnis a Palermo;
   se Rete ferroviaria italiana sia pronta ad impegnarsi a riconfermare l'investimento strategico per il completamento dell'anello ferroviario nella città di Palermo, anche in caso di risoluzione del contratto con Tecnis;
   se e quali iniziative intenda attuare per il superamento dell'attuale fase di stallo e per garantire il rispetto dei tempi di realizzazione previsti. (4-12965)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  I lavori per la chiusura dell'anello ferroviario di Palermo non risultano compresi nel contratto di programma tra lo Stato e Rete ferroviaria italiana (Rfi), in quanto nel 2002 è stato firmato un protocollo d'intesa tra comune e Rfi per una 1a fase dell'investimento complessivo che prevede la chiusura dell'anello ferroviario. L'opera ha finanziamenti relativi ai sistemi di trasporto urbani e metropolitani (legge 211 del 1992 e Por), e si è così configurato il ruolo diretto del comune come «Committente» e quello di Rfi come «Soggetto tecnico attutatore».
  Il contratto di programma – parte investimenti riporta, invece, un intervento in corso nell'area metropolitana di Palermo (tratta Palermo Centrale Brancaccio-Notarbartolo-La Malfa-Carini), nelle adiacenze dell'anello, dal costo di 1.152 milioni completamente finanziati, con contabilizzazioni pari a circa 840 milioni ed ultimazione prevista a fine 2018.
  Quanto alla chiusura dell'anello ferroviario sotterraneo Rfi riferisce che il progetto prevede l'attivazione di una linea circolare quasi tutta in sotterranea, tranne per un breve tratto in trincea, che consentirà lo spostamento dei passeggeri in un'area urbana in cui vi è una forte presenza di servizi pubblici e commerciali.
  Lo sviluppo totale della linea è di 6 chilometri e mezzo, poco più della metà, dalla stazione di Palermo Notarbartolo alla fermata Giachery, è già esistente, di proprietà di Rfi con esercizio di Trenitalia fin dal maggio 1990).
  Dall'analisi particolareggiata della situazione dell'appalto, svolta da Rfi per il tramite di Italferr e comunicata al committente comune di Palermo, risulta che, allo stato, della sottoproduzione complessiva che si registra nell'andamento dei lavori rispetto all'attuale programma contrattualizzato, solo una parte inferiore al 20 per cento può ricondursi a ritardi dell'appaltatore, mentre la restante parte, preponderante, risulta dovuta alla mancata consegna delle aree comunali, demaniali e dell'autorità portuale.
  Le aree demaniali marittime sono state finora solo parzialmente consegnate all'appaltatore. Solo di recente si è superata la problematica legata al pagamento dei canoni demaniali a favore dell'autorità portuale salvo ripetizione delle stesse qualora non dovute così come sostenuto.
  Analogamente, si sta procedendo alla acquisizione di due fabbricati demaniali in uso all'autorità portuale e alla capitaneria di porto.
  Il comune sta procedendo alla consegna delle aree di propria proprietà nella progressione e tempistiche concordate tra comune, Rfi e l'appaltatore nel corso di un tavolo tecnico conclusosi in data 21 luglio 2016 ed oggetto di un verbale sottoscritto in prefettura il 2 settembre 2016.
  Allo stato attuale i lavori procedono nel rispetto delle condizioni stabilite nel suddetto verbale e si registra un cospicuo incremento della produzione di cantiere.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a quanto ci risulta, al chilometro 60+00 della strada statale n. 4, Salaria, si verificano sinistri automobilistici con cadenza quasi quotidiana;
   la causa di tali incidenti risiederebbe nella particolare conformazione ad «S» di quel tratto, nonché nell'evidente stato di incuria del medesimo;
   la stessa procura della Repubblica, competente per quel tratto di strada, sta valutando iniziative volte a verificare il reale stato di manutenzione di quel tratto stradale, al fine di accertare eventuali responsabilità;
   l'attuale situazione rischia di precipitare a fronte del possibile peggioramento delle condizioni atmosferiche legate alla stagione e alle particolari condizioni climatiche di quella zona;
   a fronte di tutto ciò non è dato vedere all'orizzonte iniziative che possano risolvere in modo definitivo tale problema;
   a fare le spese di tale inerzia sono i cittadini e, in particolare, coloro che si muovono lungo tale strada statale per lavoro, essendo quest'ultima l'unico collegamento, sebbene per niente valorizzato, tra la provincia di Rieti e l'area metropolitana di Roma –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, eventualmente di concerto con gli enti locali, al fine di eliminare, o comunque limitare, la pericolosità del tratto della strada statale n. 4 di cui alla premessa;
   se il Ministro, di concerto con gli enti locali, non ritenga opportuno controllare le condotte dei rispettivi uffici competenti sinora adottate ed i fatti riportati in premessa, al fine di verificare eventuali responsabilità amministrative. (4-03211)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 9 marzo 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in Commissione alla Camera, al fine di migliorare la sicurezza del tratto stradale segnalato dall'interrogante, ANAS ha previsto l'adeguamento della piattaforma stradale e messa in sicurezza dal chilometro 56+000 al chilometro 64+000, con progetto preliminare approvato per un importo di 69,17 milioni di euro, intervento inserito nello schema di piano pluriennale degli investimenti 2016-2020 e previsione di appaltabilità, per il 2020. Attualmente il finanziamento disponibile è pari a 60,24 milioni di euro, di cui 60 milioni a carico di fondi della Regione Lazio e 240.000 euro per la progettazione a valere sui fondi del contratto di programma ANAS 2014.
  Il progetto riguarda lo stralcio funzionale individuato nell'ambito dello studio per il potenziamento della strada statale 4 Salaria dallo svincolo di Passo Corese (strada statale 4 dir) a Rieti (Colle Giardino), comprendente la messa in sicurezza dal chilometro 56+000 al chilometro 64+000 e l'adeguamento della piattaforma esistente.
  L'intervento, che si sviluppa per 8 chilometri dalla rotatoria Fonte Buida alla rotatoria finale sullo Svincolo di Turano, prevede l'adeguamento della piattaforma della esistente ad una assimilabile alla categoria stradale B (strada extraurbana principale) di larghezza tuttavia ridotta con adozione di corsie supplementari per veicoli lenti, sia in discesa sia in salita. La sezione stradale, larga complessivamente 20,30 metri risulta a doppia carreggiata separata da una barriera spartitraffico, con due corsie per senso di marcia.
  L'intervento prevede anche la messa in sicurezza delle intersezioni stradali e la loro razionalizzazione, completate con impianti di illuminazione; è prevista, inoltre, la realizzazione di un sistema per il controllo della velocità.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2016, a Trieste, è stato siglato il «Protocollo di intesa per la valorizzazione delle aree già facenti parte del compendio del Porto Vecchio di Trieste» tra il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e il commissario dell'autorità portuale di Trieste Zeno d'Agostino;
   nella medesima giornata, l'articolo de Il Piccolo illustra come il patto «sblocca 50 milioni di investimenti per l'infrastrutturazione dell'antico scalo» e che «le parti firmatarie s'impegnano in particolare a realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area del Porto vecchio nel tessuto cittadino e a elaborare il Piano strategico di valorizzazione predisponendo gli strumenti urbanistici necessari (...)»;
   l'articolo 3 del Protocollo prevede una serie di azioni, concordate tra le parti firmatarie, volte a definire dei percorsi condivisi per coordinare, interconnettere, fluidificare ed accelerare gli iter burocratici indispensabili dal punto di vista catastale, tavolare, fiscale, vincolistico, urbanistico, infrastrutturale e finanziario per il recupero ed il riutilizzo dei quasi 60 ettari del compendio del Porto Vecchio di Trieste;
   l'articolo 4, nello specifico, al comma 1, riporta che: «le Parti si impegnano ad attuare in tempi certi le azioni previste, in quanto priorità indifferibile ed elemento essenziale della stipula del presente Protocollo»; il comma 2 stabilisce che: «l'inerzia, l'omissione, il ritardo ingiustificato e l'attività ostativa all'esecuzione di quanto necessario, agli effetti del presente Atto costituiscono fattispecie di inosservanza degli impegni assunti»; il comma 3 recita come: «il Tavolo dei sottoscrittori di cui all'articolo 5, ove riscontri una delle possibili cause di inosservanza di cui al comma 2, invita il soggetto al quale la fattispecie sia imputabile a rimuoverla entro un termine prefissato. (...)»;
   in particolare, l'articolo 5, comma 1, definisce che: «per l'attuazione del presente Atto è istituito, entro 30 giorni dalla stipulazione, il Tavolo dei Sottoscrittori composto da un rappresentante di ciascuna Parte, coordinato dal rappresentante della Regione»; mentre l'articolo 2 prevede che: «le Parti si impegnano ad attuare le azioni di propria competenza dirette a dare piena attuazione agli obiettivi fissati dall'articolo 1, commi 618 e 619, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — legge di stabilità 2015)»; l'articolo 2, al comma 2, riporta inoltre come: «il Tavolo è sempre convocato a richiesta della Presidenza del Consiglio dei ministri o di almeno una delle altre Parti e ha il compito di assicurare la corretta ed efficace attuazione del presente Atto, monitorare lo stato di attuazione del medesimo, proporre alle Parti l'attivazione, in coerenza con il principio di leale collaborazione, dei poteri sostitutivi e definire eventuali ulteriori linee di intervento.»;
   all'interrogante non risulta che, ad oggi, il Tavolo dei Sottoscrittori di cui in premessa sia stato ancora istituito –:
   come intenda giustificare il Governo il mancato rispetto del termine previsto dal Protocollo d'Intesa per l'istituzione del suddetto tavolo e se intenda indicare chiaramente le tempistiche per la sua istituzione. (4-13736)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione presentata dagli interroganti, preme evidenziare che il tavolo dei sottoscrittori previsto dal protocollo d'intesa tra Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, regione autonoma Friuli Venezia Giulia, comune di Trieste e autorità portuale, per la valorizzazione delle aree già facenti parte del compendio del porto vecchio di Trieste, si è costituito in data 28 settembre 2016 ed è stato convocato nella medesima giornata.
  All'incontro hanno partecipato il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, il segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Commissario dell'autorità portuale di Trieste, e il sindaco di Trieste.
  In quell'occasione sono state tra l'altro rappresentate da parte del segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo culturali le procedure e gli indirizzi riguardanti l'attuazione del programma di investimenti alla luce del finanziamento disposto dal Governo.
  Al fine di dare concreta attuazione al protocollo le parti hanno provveduto ad assegnare specifici compiti ai singoli organi istituzionali, coinvolti a definire i compiti e le attività da svolgere sulla base di schede corredate da studi di fattibilità, si tratta in particolare di interventi di viabilità, riqualificazione delle banchine, realizzazione del museo del mare, ICGEB, restauro della gru Ursus, Locanda n. 80.
  Infine è stato dato mandato ai sottoscrittori di predisporre sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, una bozza di accordo operativo che preveda l'attuazione dell'intervento 11 di Porto vecchio.
  Per tale, in questi mesi si sono svolti una serie di incontri operativi che daranno luogo a breve ad un nuovo incontro del tavolo dei sottoscrittori per approvare il testo dell'accordo operativo.
La Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriMaria Elena Boschi.


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Abruzzo, l'Anas gestisce quasi mille chilometri di rete stradale, per buona parte in territorio montano soggetto a slavine, smottamenti, frane, eventi tellurici e, nel periodo invernale, frequentemente interessato da abbondanti nevicate;
   in occasione degli ultimi eventi emergenziali verificatisi nel gennaio 2017 l'ANAS è potuta intervenire a sostegno ed ausilio dei comuni, delle province e della Protezione civile tramite la Struttura tecnica di missione, operando per il coordinamento degli interventi di messa in sicurezza della rete stradale e di ripristino della viabilità, con tempistiche e finalità coerenti con la gestione emergenziale;
   nel corso dell'informativa urgente sugli sviluppi della situazione di emergenza nel centro Italia resa dal Ministro interrogato in data 31 gennaio 2017 alla Camera dei deputati, lo stesso ha dichiarato come «l'Anas regionale abbia aperto bene le proprie strade» e ribadito «circa cinquecento chilometri di strade provinciali sono state aperte dalle turbine Anas»;
   ciò è stato possibile attraverso l'immediata risposta della Struttura tecnica di missione, avente sede a L'Aquila;
   il Piano industriale ANAS 2016-2020, approvato dal consiglio di amministrazione della società, prevede l'inserimento della regione Abruzzo nella cosiddetta «Zona Adriatica», macro area comprendente Abruzzo, Molise e Puglia;
   desta perplessità la recente decisione di affidare la sede del coordinamento territoriale ANAS della zona adriatica, come sopra descritta, a Bari, spostando in questa città anche la struttura tecnica di missione e delegando a questa sede l'approvazione di qualsiasi intervento, anche riguardante la somma urgenza e le situazioni di emergenza, di importo superiore a ventimila euro, nonostante la regione Abruzzo e la sua rete stradale siano caratterizzate da territori profondamente diversi per peculiarità e criticità, come purtroppo ci hanno dimostrato gli ultimi drammatici avvenimenti –:
   se e in che modo il Governo intenda agire al fine di salvaguardare le popolazioni abruzzesi, evitando di incorrere in pericolose perdite di tempo imputabili a rimpalli di competenze ed attese che, in particolari situazioni di emergenza, potrebbero ritardare e/o limitare l'operato di ANAS s.p.a a supporto e/o coordinamento degli eventuali interventi di messa in sicurezza e ripristino della viabilità, anche su strade non di propria competenza, che si dovessero ritenere necessarie. (4-15765)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla società ANAS, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La struttura organizzativa di ANAS è stata oggetto di una profonda revisione, fin dall'estate del 2015, finalizzata al raggiungimento dei tre obiettivi individuati dal piano industriale, ovvero: razionalizzazione delle attività, miglioramento del servizio offerto e, nel medio termine, raggiungimento dell'autonomia finanziaria.
  In tale ottica, dal 9 gennaio 2017, è stato adottato un modello che prevede la suddivisione del territorio in otto strutture denominate coordinamenti territoriali, mediante l'accorpamento di più regioni in apposite macrostrutture: in tale configurazione la regione Abruzzo è confluita, unitamente al Molise e alla Puglia nel coordinamento territoriale Adriatica, con sede a Bari.
  Il nuovo modello prevede, in sostanza, l'accentramento delle funzioni amministrative, (per esempio: esperimento degli appalti, controllo di gestione, service patrimonio) che, tuttavia, mantengono i relativi presidi sul territorio. Anche le funzioni progettuali inerenti alle nuove costruzioni prevedono un centro direzionale presso la sede del coordinamento.
  ANAS precisa, a riguardo, che rimane radicato nell'ambito locale il proprio principale compito istituzionale, ovvero la gestione e la manutenzione – ricorrente e programmata – della rete stradale in concessione, con tutti gli altri enti coinvolti.
  ANAS assicura che la mission fondamentale è stata mantenuta in completa aderenza alle esigenze regionali garantendo la manutenzione e la tutela del patrimonio, la sicurezza della circolazione stradale, la continua sorveglianza della rete ed il tempestivi) intervento nei casi di emergenza.
  In termini economici ciò si traduce in investimenti per mantenimento, ammodernamento e ricostruzione.
  I coordinamenti territoriali sono a loro volta articolati in aree compartimentali finalizzate ad assicurare l'efficace presidio sul territorio di riferimento; in tale ottica il tutore locale di tale mission resta il responsabile area compartimentale (già capo compartimento), massimo dirigente periferico e responsabile di tutti i dipendenti delle sedi regionali nonché interfaccia diretta delle istanze regionali. Il responsabile dell'area compartimentale Abruzzo mantiene la sua collocazione operativa a L'Aquila, unitamente a tutto il personale, in particolare afferente all'area esercizio.
  Con particolare riguardo al territorio abruzzese, secondo ANAS, il nuovo riassetto aziendale – oltre a garantire che la propria presenza capillare sia stabilmente ancorata al territorio – consente di assicurare un legame ancor più diretto tra periferia e territorio: il responsabile del coordinamento territoriale Adriatica ha infatti una dipendenza diretta dal vertice aziendale di ANAS.
  La stessa società stradale riferisce, altresì, che le criticità territoriali dell'Abruzzo, come quelli di Puglia e Molise, sono trattate in maniera paritaria e valutate secondo armonici criteri di priorità, indipendentemente dall'estensione delle rispettive reti stradali.
  L'accorpamento delle tre regioni in un unico coordinamento consente, quindi, che anche il singolo problema locale sia rappresentato con maggiore impulso ai tavoli centrali, mediante un'interlocuzione omogenea ed articolata a livello sia regionale sia macroregionale.
  ANAS evidenzia che l'efficacia del nuovo riassetto è stata immediatamente testata durante l'emergenza neve del gennaio 2017, occasione nella quale, grazie al potenziamento della sinergia tra centro e periferia, le strutture aziendali dell'area compartimentale Abruzzo, con sede a L'Aquila, hanno operato garantendo il costante mantenimento in esercizio, non solo delle arterie abruzzesi di competenza di ANAS, ma anche della viabilità locale, ripristinando la percorribilità di oltre 500 chilometri di strade comunali e provinciali.
  ANAS segnala che la sede a L'Aquila è pienamente operativa e risulta già impegnata nell'attuazione dei programmi di ripristino della viabilità nei territori dell'Abruzzo (oltre 1000 chilometri quadrati) coinvolti dagli eventi sismici del 2016, ai sensi dell'articolo 4 dell'ordinanza capo dipartimento della Protezione civile n. 408 del 15 novembre 2016 recante «Ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eccezionali eventi sismici che hanno colpito il territorio delle regioni Lazio. Marche, Umbria e Abruzzo a partire dal giorno 24 agosto 2016».
  Altresì, la medesima società stradale conferma che le perplessità espresse dall'interrogante relative allo spostamento a Bari della struttura tecnica di missione di ANAS, sono da ritenersi fugate dalla mission affidata al responsabile di area compartimentale (ordine di servizio n. 34 del 4 ottobre 2016) e dai poteri allo stesso attribuiti. Infatti, quest'ultimo dovendo «assicurare, per l'area geografica di competenza, la manutenzione ordinaria e straordinaria, della rete stradale in concessione e la tutela del patrimonio, garantendo la sicurezza della circolazione stradale, la continua sorveglianza della rete e il tempestivo intervento nei casi di emergenza, nel rispetto delle procedure aziendali ed in accordo con la direzione operation e coordinamento territoriale», garantisce un costante presidio sul territorio di riferimento, potendo assumere decisioni in merito a tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria relativi alla rete stradale di competenza.
  Da ultimo. ANAS specifica che l'eventuale necessità di ricorrere all'istituto dei lavori di somma urgenza continua ad essere, oggi come ieri, pienamente soddisfatta dal coordinatore territoriale che, anche attraverso le moderne tecnologie di cui la stessa società è dotata, può, in ogni momento e da qualsiasi luogo, monitorare ed autorizzare gli interventi necessari.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   RIZZO e GRILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tangenziale A18-DIR, diramazione di Catania, è il naturale collegamento tra l'autostrada A18 Catania-Messina e la tangenziale di Catania, si sviluppa per circa 3,7 chilometri tra i paesi etnei ed è gestita da ANAS;
   diversi fatti di cronaca, non ultimo un incidente stradale avvenuto domenica 10 gennaio 2016, hanno riportato alla ribalta la situazione, a dir poco catastrofica, della mancata illuminazione stradale di tale tratto stradale, non tanto per la mancanza dell'impianto di palificazione, ma per il fatto che diversi furti abbiano smembrato la rete elettrica realizzata in cavi di rame;
   al riguardo si legge sul giornale La Sicilia del 17 marzo 2015, che fino al mese di novembre 2013, l'illuminazione di questo tratto autostradale era perfettamente funzionante, ma che, alla luce di due furti di cavi in rame avvenuti il 13 e 20 dicembre, la stessa è rimasta desolatamente al buio. L'articolo riferisce di 500 pali illuminanti spenti dallo svincolo di San Gregorio fino all'innesto dell'autostrada Catania-Siracusa;
   sempre sul giornale La Sicilia del 13 gennaio 2016 si denuncia l'immobilismo dei vertici dell'ANAS ma anche del sindaco di Catania, del commissario dell'area metropolitana etnea e della prefettura di fronte alla totale mancanza di sicurezza per tutti quegli automobilisti che di notte attraversano quel breve tratto di autostrada che mette a rischio l'incolumità degli stessi –:
   quali siano i programmi di intervento previsti da ANAS per rimediare alla grave situazione in cui versa l'impianto di illuminazione della tangenziale A18-DIR, diramazione di Catania. (4-11677)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dalla società ANAS, interessata al riguardo.
  Gli impianti (pali e torri faro) di illuminazione pubblica a servizio degli svincoli di pertinenza dell'A/18 dir, compresi tra il chilometro 0+000 ed il chilometro 3+700, e della tangenziale di Catania RA-15, compresi tra il chilometro 0+000 ed il chilometro 25+000, hanno subito ingenti danni a causa del furto di alcuni cavi di alimentazione in rame che hanno riguardato anche i trasformatori di tensione M/B posti nelle vicine cabine elettriche. ANAS rappresenta che nell'immediato ha adottato tutte le misure precauzionali utili alla presegnalazione all'utenza dei disagi.
  Il finanziamento per i lavori di ripristino dei suddetti impianti, il cui impegno economico ammonta a circa 2 milioni di euro» è stato inserito nel contratto di Programma ANAS 2015.
  L'aggiudicazione del relativo appalto, tramite accordo quadro, è prevista entro la fine del mese di giugno 2017.
  La suddetta società, segnala infine, che nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili per le attività di manutenzione ordinaria per Vanno 2015, ha eseguito lavori di sistemazione delle torri faro a servizio degli svincoli San Gregorio e Misterbianco, che risultano, infatti, funzionanti dal mese di dicembre 2015.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   RONDINI, GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in attesa del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre, c’è già chi si porta avanti e anticipa le scelte degli italiani;
   notizie di stampa riportano il caso di un sussidiario per la quinta elementare della Cetem, «Imparo facile», che, alle nuove generazioni racconta un'altra storia rispetto a quella – attualmente – reale;
   descrivendo il ruolo del Senato, a pagina 85, si legge: «I suoi componenti sono indicati dalle diverse Regioni in cui è suddiviso territorio italiano»;
   appare incomprensibile come in quella pagina, la vittoria del «Sì» al referendum costituzionale del 4 dicembre, con la conseguente modifica dell'ordinamento politico, sia data per scontata –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire la correttezza e la completezza dei testi scolastici e del materiale di studio e, in senso più ampio, dell'informazione fornire agli studenti, posto che inesattezze tecnicamente e giuridicamente macroscopiche rischiano di determinare, come nel caso di specie, confusione nei giovani alunni. (4-14638)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si sottolinea, in premessa, che l'adozione dei libri di testo rappresenta una delle fondamentali espressioni della libertà di insegnamento e dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Tale adempimento, che rientra tra i compili attribuiti al collegio dei docenti, sentiti i consigli di classe, coinvolge l'intero corpo docente di ciascuna istituzione scolastica e garantisce una puntuale verifica dei testi e un'attenta esame di quelli in uso e delle nuove proposte editoriali.
  In particolare, la scelta dei testi avviene, di norma, attraverso una fase preliminare, nel corso della quale si procede a una verifica sia dei testi in uso che di quelli proposti all'attenzione delle scuole da parte degli operatori accreditati dalle case editrici o dalle associazioni di categoria, eventualmente anche nell'ambito di comitati misti docenti, genitori e studenti, in modo tale da valutare compiutamente le nuove proposte editoriali. Effettuata tale valutazione, i docenti interessati per materia, nell'esercizio della responsabilità connessa alla libertà di insegnamento, formulano le proposte di adozione che sono sottoposte, prima dell'esame da parte del collegio dei docenti, ai consigli di classe di cui fanno parte anche i rappresentanti dei genitori.
  Spetta poi ai docenti, nell'espletamento delle proprie funzioni, operare le opportune mediazioni tra i contenuti delle singole discipline di studio e le informazioni presenti nei testi scolastici. I docenti, infatti, possono presentare i contenuti dei libri utilizzando all'occorrenza anche la forma critica e dialettica prendendo, se e quando ritenuto opportuno, le distanze da taluni passaggi dei testi in adozione.
  Peraltro, la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (finanziaria 1999), nel disciplinare, all'articolo 27, la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola secondaria di primo grado, ha abrogato la norma che, limitatamente alla scuola elementare, consentiva al Ministro della pubblica istruzione di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di adozione dei libri di testo nei quali il contenuto o l'esposizione della materia non corrispondessero alle proscrizioni didattiche o alle esigenze educative. La ratio di tale disposizione non può rinvenirsi se non nell'intenzione del legislatore di non interferire in alcun modo nelle opzioni culturali differenziate e nei diversi punti di vista degli autori.
  In ogni caso, l'A.I.E. – Associazione italiana editori – ha definito un proprio codice di autoregolamentazione per assicurare che tutti gli editori associati possano operare in un regime di libero mercato e soprattutto per difendere l'autonomia professionale dei docenti, necessaria alla libertà e alla qualità dell'insegnamento.
  Con specifico riguardo alla segnalazione in argomento, si rappresenta che è prevista a carico degli editori la possibilità di aggiornamento dei testi scolastici, ancorché in uso, in caso di obiettive necessità determinate da sostanziali innovazioni scientifiche o didattiche mediante aggiunta, eliminazione, sostituzione o riedizione di singole parli o sezioni.
  Tutto ciò posto, si rappresenta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso la competente direzione generale, ha preso gli opportuni contatti con l'A.I.E. per richiamare l'attenzione di tutta l'editoria scolastica al pieno rispetto del codice di autoregolamentazione affinché promuova specifiche iniziative volte a garantire il rispetto della veridicità storica nei testi scolastici.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura dell'Aeroporto dello Stretto va via via concretizzandosi a seguito dell'annunciato «addio» di Alitalia già dal prossimo 27 marzo;
   il «Tito Minniti» con l'abbandono di Alitalia rischia il definitivo crollo nel giro di 2-3 mesi, atteso che, così come già stabilito, dal 27 marzo fino a metà giugno – periodo in cui scadrà il mandato di Blu-Express – rimarranno soltanto 4 voli settimanali di BluExpress per Roma e per Milano;
   la gravità di tale risultato ritrova la sua vera essenza in una cattiva gestione e in un disastro tutto politico, che ha portato al declino della compagnia aerea. Non a caso i numeri dei passeggeri dell'Aeroporto dello Stretto sono crollati negli ultimi anni in modo esponenziale. Nel 2015 si è scesi per la prima volta dopo un decennio sotto il muro dei 500.000 passeggeri annui, e nel 2016 lo scalo ha chiuso con appena 485 mila passeggeri, il dato peggiore dal lontanissimo 2003;
   la stridente contraddizione tra la gestione politica dell'aeroporto e il trionfalismo adottato in occasione del nuovo piano regionale dei trasporti rappresentano la causa principale del declino;
   infatti il dramma del «Tito Minniti» oggi è rappresentato non solo dal rischio di chiusura per le scelte di Alitalia, ma anche, secondo l'interrogante, dalle scelte insensate di una gestione societaria che ha portato al fallimento della Sogas, con conseguente rischio di soppressione di quasi 200 posti di lavoro;
   la chiusura dell'aeroporto certifica, dunque, il fallimento della politica locale e di una sua totale assenza a colloquiare su concrete proposte per lo sviluppo di un'infrastruttura che, lontano da un epilogo ormai prossimo, poteva essere efficiente, funzionale e competitiva. Anche l'amministratore delegato di Alitalia Cramer Ball, rammaricato in merito a questa vicenda, ha espresso la difficoltà della compagnia aerea di dialogare con le autorità del territorio, in considerazione del fatto che, nonostante i ripetuti tentativi, gli appelli di Alitalia sono rimasti inascoltati e nessuna risposta concreta è arrivata dalle competenti autorità locali;
   l'indifferenza della classe politica ha condotto ad aggravare ancor di più il sistema di mobilità nel suo complesso, soprattutto per una regione come la Calabria ed una città come Reggio, penalizzata negli anni da politiche nazionali sbagliate che hanno deteriorato lo sviluppo, dal trasporto ferroviario a quello portuale fino al sistema aereoportuale;
   per una regione come la Calabria l'aeroporto dovrebbe rappresentare, invece, un punto fermo, centrale e strategico per lo sviluppo, la valorizzazione dell'intero territorio. Lo scalo è di fondamentale importanza per l'economia, per i flussi turistici e per la crescita del meridione, con la triste conseguenza che la sua chiusura definitiva andrebbe ad arrecare danni irreversibili al tessuto sociale ed economico di tutto il territorio reggino e non solo –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intende adottare affinché considerata l'estrema urgenza e necessità, venga istituito un tavolo tecnico volto a consentire, alla presenza delle rappresentanze locali e statali quali l'amministratore delegato di Alitalia, il Presidente della regione Calabria, il sindaco di Reggio Calabria, i sindacati, Unindustria e Sacal spa, che siano trovate le soluzioni più adeguate e le risorse economiche atte a garantire la continuazione dei voli da e per Reggio, limitando, al contempo, gli inevitabili effetti dannosi su tutto il Meridione. (4-15964)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 15 e il 28 marzo 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in Aula alla Camera e in IX Commissione trasporti, in ordine alla cancellazione dei voli da e per Reggio Calabria da parte di Alitalia, da più di un anno sono in corso riunioni sulla mobilità nell'area dello Stretto tra questo Ministero, ENAC, ENAV, il presidente della regione Calabria e gli enti comunali interessati per cercare di mantenere Alitalia al tavolo ed evitare di interrompere il servizio.
  Tali iniziative hanno permesso di formalizzare, il 24 marzo 2017, un apposito documento dichiarativo di impegno, nel quale è delineato il pacchetto di interventi per il rilancio dell'aeroporto e, in particolare, misure per promuovere le rotte domestiche esistenti.
  Grazie a tale impegno, Alitalia ha ripreso a partire dal 30 marzo 2017 i decolli per e da Roma e Milano per Reggio Calabria con cadenza giornaliera, inizialmente uno per rotta.
  Con specifico riferimento alle difficoltà gestionali, si fa presente che, a seguito del fallimento della precedente società di gestione dell'aeroporto, la regione Calabria ha provveduto a bandire apposita gara per la gestione dell'aeroporto di Reggio Calabria e quello di Crotone al fine di creare un sistema più solido e più capace di trattare con le compagnie aeroportuali attirando nuovo traffico.
  Tale procedura, anche a causa di un ricorso da parte degli enti locali, si è prolungata e solamente il 3 marzo 2017, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme.
  Ciò consentirà di creare una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   SCOTTO, FRATOIANNI, DANIELE FARINA, PAGLIA, PANNARALE, COSTANTINO, MARCON e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano in tutta Italia iniziative di controllo della presenza di sostanze stupefacenti nelle scuole, attuate attraverso blitz delle forze dell'ordine nelle aule durante l'orario scolastico, in alcuni casi con la presenza di cani antidroga;
   in particolare, l'attività repressiva è rivolta ai cannabinoidi, che rappresentano la sostanza più diffusa, e sui quali è avviata ad ogni livello una riflessione sull'opportunità di forme di depenalizzazione o legalizzazione;
   la scuola dovrebbe essere il luogo dedicato alla crescita e alla formazione delle giovani generazioni, che passa anche per la capacità di approcciare criticamente situazioni complesse;
   l'approccio con tematiche problematiche dovrebbe comunque sempre essere affidato agli insegnanti e alla comunità scolastica, non certo demandato ad interventi esterni, tanto meno delle forze dell'ordine;
   a Roma, il 22 marzo 2016 nel corso di un'operazione dei carabinieri – avvenuta nel cortile della scuola durante la ricreazione – un giovane studente del liceo Virgilio è stato arrestato ed altri segnalati alla procura della Repubblica perché trovati con sostanze stupefacenti cannabinoidi;
   sia da parte degli studenti che da parte di alcuni genitori è stato fatto notare che non si dovrebbe assistere a momenti plateali di criminalizzazione di studenti, anche se coinvolti in comportamenti non idonei e attualmente penalmente perseguibili;
   dagli organi di informazione si desume peraltro che il comportamento della dirigente scolastica non sia stato all'altezza della situazione, rifiutando ogni tipo di confronto;
   già nei mesi scorsi, il liceo Virgilio è balzato agli onori della cronaca giornalistica per alcune settimane di occupazione studentesca, con situazioni di tensione venutesi a creare e risolte solo grazie all'azione di mediazione del sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Faraone che ha aperto un tavolo di confronto con gli studenti;
   dagli organi di informazione emerge anche la denuncia di alcuni genitori del medesimo liceo in merito alle iniziative antidroga curate dal liceo Virgilio rivolte a tutte le classi dell'istituto e promosse, come si evince dalle circolari della dirigente scolastica, dalla Fondazione «Per un mondo libero dalla droga» (sito web: drugfreeworld.org). Fondazione che fa direttamente riferimento alla discussa Chiesa, o meglio setta religiosa, Scientology. Senza alcun riferimento a progetti simili di altre istituzioni scientifiche italiane di comprovata serietà ed autorevolezza, o della regione Lazio o di altri istituzioni –:
   se il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia deciso e in quali forme di avvalersi nelle iniziative antidroga nelle scuole pubbliche italiane, della collaborazione con le strutture dell'organizzazione Scientology;
   se le iniziative antidroga del liceo Virgilio di Roma, in collaborazione con l'organizzazione Scientology, siano state autorizzate dal Ministero e, in caso contrario, quali immediate iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere nei confronti dei responsabili dell'iniziativa;
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per riportare un clima di serenità e tranquillità tra gli studenti, il corpo docente e i genitori all'interno del liceo Virgilio ciclicamente scosso da tensioni che avrebbero potuto essere facilmente superate, ad avviso degli interroganti, se la dirigenza scolastica avesse avuto in questi mesi un atteggiamento diverso da quello avuto;
   se non si ritenga, a livello nazionale, di dover assumere iniziative per interrompere la pratica dei controlli antidroga condotti negli edifici scolastici durante le ore di lezione, tanto più se condotti con modalità aggressive;
   se non si ritenga che si debbano prevedere ed intensificare, nell'ambito dell'attività formativa, momenti legati alla crescita della consapevolezza relativa all'utilizzo di tutte le sostanze, a partire dai pericoli connessi all'uso e all'abuso delle droghe, con la collaborazione di esperti qualificati ed autorevoli, in collegamento con le istituzioni locali e i centri di ricerca sanitaria e psicologica pubblica. (4-12661)

  Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, il Ministero dell'interno ha fornito gli elementi informativi che di seguito si riportano.
  Nel corso del pomeriggio del 26 novembre 2015, circa 50 studenti del liceo classico Virgilio di Roma, sito in via Giulia (di seguito liceo), si sono introdotti all'interno del plesso scolastico da una porta laterale ed hanno dato inizio ad un'occupazione per protestare contro la riforma della scuola.
  Nel corso del medesimo pomeriggio il dirigente scolastico del Liceo ha formalizzato, presso il commissariato di pubblica sicurezza di zona, una denuncia/querela in merito all'occupazione dello stabile, che il 27 novembre 2015 è stata trasmessa all'autorità giudiziaria unitamente ad informativa di notizia di reato ai sensi degli articoli 633, comma 2 e 639-bis (invasione arbitraria di terreni o edifici perseguibile d'ufficio) e 340 (interruzione di pubblico servizio) del codice penale, con riserva di effettuare i dovuti approfondimenti volti all'identificazione degli autori dell'occupazione.
  Fin da subito il personale del commissariato ha monitorato la situazione con l'ausilio degli operatori e degli equipaggi che hanno effettuato frequenti passaggi sul posto nonché preso contatti diretti con gli studenti all'interno del liceo, dove veniva rilevato essere presenti anche alcuni genitori che si dichiaravano favorevoli alla protesta.
  Lo stesso personale verificava, nei diversi sopralluoghi all'interno delle aule e degli spazi occupati, che non erano stati prodotti danneggiamenti o imbrattamenti né che si facesse uso di sostanze stupefacenti, motivo per il quale vengono effettuati da tempo mirati servizi di prevenzione e controllo nelle adiacenze del liceo negli orari di ingresso, ricreazione ed uscita degli studenti.
  Nel corso di tali attività di sopralluogo, verifica e controllo, si aveva modo di individuare ed identificare i soggetti che si facevano portavoce della protesta e tale approfondimento di natura investigativa consentiva di segnalare quattro soggetti maggiorenni alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma e tre soggetti minorenni alla procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni, tutti ritenuti responsabili di aver dato inizio e continuo sfogo all'occupazione.
  Durante i giorni dell'occupazione, il personale della DIGOS ha mantenuto costanti e regolari contatti col dirigente scolastico e con gli studenti presenti all'interno apprendendo che, allo scopo di porre fine alla protesta ed all'occupazione della struttura scolastica, era stato organizzato un incontro presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra il predetto dirigente scolastico, i rappresentanti di studenti e genitori, il direttore dell'ufficio scolastico regionale per il Lazio ed il Sottosegretario all'Istruzione.
  L'incontro, avvenuto il 9 dicembre 2015, ha segnato una distensione dei rapporti tra gli studenti e la dirigenza scolastica ed ha condotto gradualmente alla fine dell'occupazione della scuola, avvenuta l'indomani e resa definitiva al termine della manifestazione del giorno 11 dicembre 2015, allorché circa 200 studenti hanno lasciato definitivamente il Liceo, recandosi in corteo presso la sede centrale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dove, al termine di un'assemblea nella vicina piazza San Cosimato, hanno posto fine alle proteste.
  Nello stesso giorno la struttura è quindi stata finalmente ed ufficialmente riconsegnata al dirigente scolastico al termine di un sopralluogo che ha evidenziato alcuni danni agli infissi.
  In data 22 marzo 2016 i militari della stazione dell'Arma dei carabinieri «Piazza Farnese» hanno proceduto all'arresto di uno studente maggiorenne colto nella flagranza del reato di spaccio di stupefacenti all'interno del Liceo e al deferimento in stato di libertà di alcuni altri giovani.
  Tale episodio ha dato luogo ad estemporanee manifestazioni di dissenso; in particolare, nella mattinata del 23 marzo, giorno successivo all'arresto, circa 40 studenti si sono radunati dinnanzi all'ingresso del Liceo con la manifesta intenzione di dare vita ad un corteo di protesta lungo le vie del centro cittadino, senza però riuscirvi in conseguenza della predisposizione di mirati servizi a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
  Nella circostanza, gli studenti esponevano uno striscione recante la scritta «fuori le guardie dalle scuole», accendevano alcuni fumogeni e scandivano slogan di offesa alle Forze dell'ordine.
  Al termine dell'iniziativa, un gruppo più ristretto di manifestanti si è recato nei pressi del tribunale di Roma per esprimere la propria solidarietà allo studente arrestato, in concomitanza dell'udienza con la quale è stato convalidato l'arresto del giovane da parte dell'autorità giudiziaria.
  In riferimento alle segnalazioni di spaccio di sostanze stupefacenti, si precisa che il personale del commissariato di zona, anche in collaborazione con la locale squadra mobile, effettua costanti e decise attività di contrasto e di controllo del fenomeno nei pressi del liceo, così come nei pressi di altre istituzioni scolastiche presenti sul territorio.
  Sono stati inoltre effettuati, alla ripresa dell'anno scolastico, specifici servizi di prevenzione dello spaccio di sostanze stupefacenti, anche mediante l'impiego del reparto cinofilo della polizia di Stato con specializzazione antidroga.
  Si segnala anche che, fino al mese di giugno 2016, il personale della polizia di Stato ha regolarmente partecipato agli incontri formativi finalizzati a sensibilizzare gli studenti ai temi della legalità, calendarizzati e previsti all'interno del liceo.
  Da oltre un anno, inoltre, nel solco di una consolidata tradizione che vede costantemente impegnati operatori di polizia nel ruolo di docenti nell'ambito di iniziative di prevenzione a favore delle scuole, la direzione centrale per i servizi antidroga del Ministero dell'interno ha ripreso ad occuparsi di prevenzione dell'uso delle droghe nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (al momento limitatamente alla città di Roma e ai comuni del suo circondario). Obiettivo primario è quello di offrire ai ragazzi e ai loro insegnanti un'informazione corretta sulla pericolosità delle sostanze stupefacenti e sulle conseguenze, anche di carattere legale, riconducibili al loro utilizzo.
  In particolare, il fine è quello di sollecitare i partecipanti affinché, in tema di droghe, sviluppino una propria capacità critica e una maggiore consapevolezza, ponendo un'attenzione specifica verso quei fenomeni emergenti come la commercializzazione delle droghe su internet e la diffusione di nuove sostanze psicoattive di origine sintetica.
  L'iniziativa è strutturata in incontri informativi tenuti – presso le istituzioni scolastiche che ne fanno richiesta – da personale della suddetta direzione centrale che, nel tempo, ha maturato specifiche competenze nel settore dell'insegnamento e nella gestione dell'aula composta da giovani e giovanissimi. Gli incontri, normalmente preceduti da un'esibizione delle unità cinofile della Guardia di finanza, in cui si simula, a vantaggio dei ragazzi, un'attività di ricerca delle sostanze stupefacenti, si articolano in due distinti momenti di approfondimento delle tematiche sulla droga con modalità di approccio molto diverse fra loro.
  Il primo è dedicato all'illustrazione dei rischi per la salute e alle conseguenze legali e sociali connesse al consumo delle droghe, attraverso la fruizione di materiali video-fotografici opportunamente commentati con una terminologia adeguata all'età e alla composizione della platea.
  Il secondo affronta, invece, le tematiche del disagio giovanile e delle motivazioni psicologiche che possono indurre all'uso delle droghe attraverso il coinvolgimento diretto dei ragazzi che partecipano, in gruppi ristretti, alla discussione con modalità interattive e sperimentate tecniche di counseling, cercando di far emergere le motivazioni più profonde che portano i ragazzi verso il consumo di sostanze stupefacenti.
  Infine, si evidenzia che il modello, in prospettiva, sarà messo a disposizione degli enti periferici interessati ad adottarlo e a replicarlo nelle rispettive circoscrizioni di servizio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   SEGONI, BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto militare di Amendola si estende per circa 2.000 ettari. Il territorio compreso nel perimetro dell'area militare ha sempre avuto una grande valenza naturalistica, in quanto principalmente costituito da terreni saldi caratterizzati per la presenza di estese formazioni di habitat prioritario ascrivibili ai seguenti habitat: «Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea – cod. habitat 6220» e «Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) – cod. habitat 6210». Tra le specie vegetali più rappresentative, oltre alle molteplici specie di orchidee, si segnala la Stipa austroitalica. L'area ospita inoltre moltissime specie di uccelli legate agli ambienti steppici tra le quali spicca l'ultima popolazione italiana di gallina prataiola (Tetraxtetrax). Per le ragioni sopra descritte il territorio di pertinenza dell'aeroporto è stato inserto all'interno della ZPS/SIC «Valloni e steppe pedegarganici» e successivamente ricompreso nella ZPS «Promontorio del Gargano»;
   la ZPS/SIC «Valloni e steppe pedegarganiche» rappresenta una delle ultime aree significative di habitat sub steppico dell'Italia peninsulare ed ospita importanti habitat e specie gravemente minacciati a livello nazionale ed europeo. Pur essendo formalmente tutelata come ZPS/SIC dal mese di dicembre 1998 (data proposta pSIC 06/1995 recepita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto ministeriale del 3 aprile 2000 Gazzetta Ufficiale del 22 aprile 2000), l'area è stata soggetta a ripetute e massicce aggressioni che hanno portato, nell'arco degli ultimi 10 anni, ad un forte degrado e ad una costante perdita di biodiversità. È viceversa mancata completamente una gestione attiva rivolta alla conservazione del sito. La più massiccia aggressione all'ambiente steppico è avvenuta nel 1999 per la realizzazione del contratto d'area di Manfredonia, un progetto di «sviluppo» che, ad avviso degli interroganti, scavalcando tutte le procedure di valutazione degli impatti e di corretta pianificazione, ha avviato l'urbanizzazione e la conseguente totale distruzione di alcune delle aree meglio conservate della ZPS. Dopo ripetuti tentativi di dialogo non raccolti dagli enti, la LIPU ha sporto formale denuncia alla Commissione europea per violazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (pratica 2001/4156 SG (2001) A/2150). Tale denuncia ha portato nel 2001 all'avvio di una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano e quindi all'invio di un parere motivato in cui si contestava la violazione della direttiva. Tale procedura d'infrazione è stata recentemente archiviata in quanto il Governo italiano si era impegnato a tutelare il sito. Tali promesse non sono state mantenute e non a caso recentemente si è riproposto il rischio che nel comune di Manfredonia venga realizzato un enorme impianto di stoccaggio del GPL in piena ZPS. L'ambiente è stato compromesso anche dalla messa a cultura delle aree caratterizzate da habitat prioritario e dall'ampliamento dell'aeroporto con conseguente realizzazione di numerosi edifici e altri manufatti;
   tutti questi interventi vengono eseguiti all'interno della ZPS/SIC secondo gli interroganti in contrasto con la direttiva «Habitat» 92/43 e le relativa norme di recepimento dello Stato italiano (decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997) oltre che con la direttiva «Uccelli» 79/409 e senza tener conto delle normative di riferimento sulle procedure di valutazione di impatto ambientale previste dalla regione Puglia e dallo Stato italiano;
   nell'area viene permesso l'accesso a cercatori di funghi e agricoltori, cacciatori, ma a quanto consta agli interroganti sistematicamente viene negato l'accesso ai ricercatori che svolgono indagini sull'avifauna d'interesse comunitario;
   l'area rappresenta l'ultima stazione di nidificazione conosciuta dell'ultima popolazione peninsulare di gallina prataiola (Tetrax tetrax);
   Pro Natura e il WWF hanno espresso l'intenzione di richiedere la riapertura di una procedura d'infrazione comunitaria ai sensi dell'articolo 4, n. 4, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e ai sensi dell'articolo 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche –:
   se i fatti esposti in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative di competenza necessarie, urgenti e concrete il Governo intenda assumere al fine di garantire la conservazione dell'habitat naturale e di ridurre e compensare i danni ambientali già determinati nel sito, anche alla luce dell'esigenza di evitare ulteriori procedure di infrazione. (4-09969)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si segnala che, per quanto riguarda il «Contratto d'area di Manfredonia», a seguito delle censure mosse dalla Commissione europea con la procedura d'infrazione 2001/4156, la regione Puglia e il comune di Manfredonia hanno individuato, come misura di compensazione, un'area a sud del Lago Salso, costituita da circa 500 ettari di proprietà comunale, di cui 200 ettari di zona umida e 300 ettari di seminativi, da destinare alla rinaturalizzazione e a forme di conduzione dei fondi coerenti con le finalità della direttiva Habitat. Il 21 giugno 2012, come riportato anche dagli interroganti, in seguito all'avvenuta compensazione, il collegio dei commissari europei ha archiviato la procedura d'infrazione 2001/4156.
  Inoltre, è stata prevista una spesa complessiva di circa euro 500.000,00 a carico del bilancio regionale, nell'ambito del Programma regionale per la tutela dell'ambiente, così come ridefinito ed approvato con delibera della giunta regionale n. 801 del 6 giugno 2006.
  Tra i principali obiettivi di tale accordo vi erano:
   la stesura, l'approvazione e l'attuazione di un «Piano di Gestione» delle aree dei siti Rete natura 2000 presenti nel territorio del comune di Manfredonia, al fine di assicurare la coerenza globale degli obiettivi di conservazione della direttiva 92/43;
   l'attuazione di misure di compensazione attraverso l'individuazione e messa a disposizione da parte del comune di Manfredonia di un'area a sud del Lago Salso.

  Con deliberazione del comune di Manfredonia del 31 gennaio 2007, è stata individuata la zona vincolata precedentemente detta.
  Per quanto riguarda il piano di gestione di cui sopra, questo è stato definitivamente approvato il 10 febbraio del 2010 con delibera della giunta regionale n. 346 «Contratto d'area di Manfredonia – procedura d'infrazione n. 2001/4156 – Approvazione definitiva del piano di gestione del Sic Valloni e Steppe pedegarganiche, della Zps Promontorio del Gargano già Zps Valloni e Steppe pedegarganiche relativamente al territorio del comune di Manfredonia».
  Poiché tale piano di gestione riguarda la sola parte del Sic ricadente nel territorio del comune di Manfredonia, si è reso necessario estendere l'ambito di applicazione del regolamento 10 maggio 2016, n. 6, «Regolamento recante misure di conservazione ai sensi delle direttive comunitarie 2009/147 e 92/43 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 per siti di importanza comunitaria», anche ai territori dei comuni di San Giovanni Rotondo, Monte Sant'Angelo, San Marco in Lamis e Rignano Garganico, sprovvisti di piano di gestione pur se interni al Sic.
  A tal fine la regione Puglia ha riferito che «con delibera della giunta regionale 2179 del 28 dicembre 2016, la giunta regionale ha adottato la proposta di modifica del regolamento regionale 6 del 2016 recante le misure di conservazione dei Sic pugliesi che vede appunto l'estensione dell'applicazione delle misure di conservazione anche al Sic “Valloni e Steppe Pedegarganiche” per la parte dei comuni di Monte S. Angelo, S. Giovanni Rotondo, S. Marco in Lamis, Rignano Garganico ancora sprovvisti di Piano di Gestione» dei siti Natura 2000.
  Per quanto concerne il deposito costiero di Gpl nel comune di Manfredonia, località Santo Spiriticchio, la regione riferisce che «L'impianto di stoccaggio di Gpl è stato oggetto di procedura di Via nazionale ed oggetto di una lunga controversia legale». La procedura di Via è stata conclusa con decreto del Ministero dell'ambiente di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il 22 dicembre 2015.
  La regione comunica, altresì, che ulteriori approfondimenti sono stati condotti «alla luce della direttiva Seveso III, decreto legislativo 26 giugno 2015 n. 105, in attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose».
  Riguardo all'aeroporto militare di Amendola, l'autorità regionale riferisce che «in data 19 giugno 2014 è stato firmato un protocollo di intesa tra il Ministero della difesa e la regione Puglia, per il coordinamento comune delle attività militari presenti nel territorio regionale, in cui le parti si sono impegnate ad attivare un tavolo tecnico che concluda lo studio di incidenza di Vinca delle attività esercitative nei poligoni ricadenti in aree protette presenti sul territorio regionale».
  In merito alla questione relativa al fatto che tutti gli interventi all'interno del Sic IT9110008 «Valloni e Steppe Pedegarganiche» vengono effettuati in contrasto con le direttive 92/43/CEE « Habitat» ed ex 79/409/CEE «Uccelli», portando ad un presunto degrado della zona, la regione ha comunicato che «l'area in questione, essendo ricompresa nella Zps “Promontorio del Gargano”, rientra nell'ambito di applicazione del regolamento regionale 22 dicembre 2008, n. 28 “Modifiche ed integrazioni al regolamento regionale 18 luglio 2008, n. 15, in recepimento dei ‘Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS) introdotti con decreto ministeriale 17 ottobre 2007’ che detta le ‘Misure di Conservazione per le Zone di Protezione Speciale (ZPS) pugliesi’”».
  La regione riporta infine che l'area in questione è stata oggetto di due progetti Life, il Life+ Natura e biodiversità 09 NAT/IT/000150 «Interventi di conservazione degli habitat delle zone umide costiere nel SIC Zone umide della Capitanata» e il Life+ 2012/NAT/001052 « Life Tetrax – conservation of the Last Italian population of Tetrax tetrax», la cui attuazione ha permesso «di garantire un adeguato stato di conservazione delle specie e degli habitat d'interesse comunitario» presenti nella zone attenzionate.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare la situazione, tenendo alta l'attenzione sulle questioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Gargano è una delle aree a maggiore biodiversità d'Italia con oltre 2500 Taxa vegetali, e in particolare 88 specie di orchidee e oltre 378 specie di vertebrati;
   il consumo di suolo, operato anche dalle tante opere edilizie abusive, rappresenta uno dei principali problemi che compromettono l'ambiente naturale di tale area e la conservazione della biodiversità;
   l'Ente parco nazionale del Gargano è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 con lo scopo di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale dell'omonimo promontorio;
   con il medesimo decreto sono state emanate le misure di salvaguardia, introdotte ai sensi dell'articolo 8, comma 5, della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991 ad integrazione di quelle di cui all'articolo 6, vigenti nel territorio del parco fino all'approvazione del piano del parco di cui all'articolo 12 della medesima legge;
   ad oggi, nonostante siano trascorsi ventun'anni dall'istituzione dell'area protetta, non risultano ancora vigenti il piano ed il regolamento del parco;
   secondo dichiarazioni rese dall'ente parco, quest'ultimo non disporrebbe ancora «dei poteri interdittivi e sanzionatori previsti dall'articolo 29 della legge quadro sui parchi »;
   l'articolo 6 comma 6 della legge quadro dispone che l'inosservanza delle misure di salvaguardia comporta la riduzione in pristino dei luoghi e la eventuale ricostituzione delle specie vegetali ed animali danneggiate a spese dell'inadempiente, ponendo in capo all'autorità di gestione dell'area protetta la potestà di ingiungere al trasgressore l'ordine di riduzione in pristino e, ove questi non provveda entro il termine assegnato, di disporre l'esecuzione in danno degli inadempimenti;
   dal 2014 la procura della Repubblica di Foggia ha avviato un programma di abbattimenti di opere abusive all'interno del parco a seguito di vecchie ordinanze di demolizione divenute irrevocabili, utilizzando un fondo di 500 mila euro messo a disposizione dall'Ente parco che giaceva inutilizzato da oltre un decennio nelle casse dell'Ente e che le associazioni ambientaliste da anni chiedevano di impiegare;
   l'intervento della procura della Repubblica, come ha avuto modo di dichiarare il procuratore capo Leonardo de Castris, è scaturito dalla constatazione di una perdurante inerzia delle amministrazioni locali nella lotta all'abusivismo sul Gargano;
   l'avvocato Stefano Pecorella è dal maggio 2010 alla guida dell'Ente parco nazionale del Gargano, dapprima in qualità di commissario straordinario e quindi in qualità di presidente, mentre dal 2010 al 2015 ha contemporaneamente ricoperto la carica di consigliere comunale di Manfredonia, comune che rientra nel perimetro del parco, a seguito della sua candidatura alla carica di sindaco;
   come evidenziato anche dall'ultima relazione della Corte dei Conti sulla gestione dell'ente, approvata nell'adunanza del 28 aprile 2015, il piano del parco è stato deliberato dalla comunità del parco (atto n. 2/2010) e dal commissario straordinario (atto n. 22/2010) e quindi trasmesso alla regione Puglia dove risulta ancora in essere l’iter procedurale, mentre il regolamento del parco di cui all'articolo 11 della legge n. 394 del 1991 è ancora in via di definizione;
   dal sito istituzionale dell'Ente parco si apprende che il 15 ottobre 2015, ad oltre cinque anni dal suo insediamento alla guida dell'Ente, il presidente Pecorella ha siglato con il «CREA» (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) un accordo per l'accompagnamento e supporto all'Ente parco nella definizione della valutazione ambientale strategica e del rapporto ambientale, elementi indispensabili per fare in modo che il piano del parco venga definitivamente approvato dalla regione Puglia, evidenziando pertanto, a giudizio degli interroganti, la carenza della documentazione già trasmessa a suo tempo alla regione;
   secondo l'ultimo rapporto Ecomafia 2015 di Legambiente, la Puglia è al primo posto nella classifica generale dell'illegalità ambientale con 4.499 infrazioni accertate e resta sul podio per il ciclo illegale del cemento e per i reati contro la fauna; tra le province, quella di Foggia, entro cui ricade il parco del Gargano, si classifica al sesto posto nazionale con 802 infrazioni e pertanto la lotta all'abusivismo dovrebbe essere una priorità assoluta per un ente nato con lo scopo primario di tutelare il suo territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati, in relazione ad una situazione che registra la presunta perdurante carenza, in capo all'Ente parco nazionale del Gargano, dei poteri interdittivi e sanzionatori di cui all'articolo 29 della legge quadro sulle aree protette;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché si giunga all'approvazione degli strumenti di pianificazione dell'area protetta, anche esercitando i poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 394 del 1991, stante quella che gli interroganti giudicano un evidente inefficienza dell'attività dell'Ente parco nazionale del Gargano;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché sia garantita e ripristinata la legalità nell'area in questione e venga efficacemente contrastato il fenomeno dell'abusivismo edilizio nel parco nazionale del Gargano.
(4-13801)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dall'Ente parco del Gargano, si rappresenta quanto segue.
  Il procedimento per il piano del parco è stato riattivato nel 2010 dal presidente, Avvocato Stefano Pecorella, che lo trasmetteva alla regione Puglia e riavviava il confronto con la comunità del parco, che in passato si era espressa negativamente, pervenendo nel 2012 ad un voto favorevole sul piano in questione. Nello stesso anno veniva valutata la necessità di attivazione della procedura di Vas, che portava alla stipula di protocolli (con il Crea in particolare) per la predisposizione del rapporto ambientale nella Vas, approvato con delibera di consiglio direttivo n. 18 del 29 novembre 2016 e trasmesso alla regione per il seguito della procedura.
  Il Piano pluriennale economico e sociale è stato approvato all'unanimità dalla comunità del parco nazionale del Gargano, sotto la presidenza attuale, con delibera del 5 ottobre 2010, ed immediatamente trasmesso alla regione Puglia. La stessa, nonostante più volte formalmente sollecitata, ad oggi non ha ancora approvato il suddetto piano.
  L'Ente parco ha inoltre predisposto la bozza del regolamento del parco, aggiornandolo anche nelle parti per le norme sopravvenute. L'atto sarà approvato dal consiglio direttivo, a seguito del parere della comunità del parco, subito dopo l'approvazione del piano del parco, a cui è subordinato per norma di legge.
  L'Ente parco ha redatto e condiviso il regolamento della riserva naturale marina con l'amministrazione comunale, con la cittadinanza delle isole Tremiti, con gli operatori economici, turistici e con la capitaneria di porto di Termoli, in esecuzione del decreto interministeriale di istituzione della riserva nel 1989.
  La bozza di regolamento della riserva marina è stata approvata con delibera dal consiglio direttivo del 29 novembre 2016 e trasmesso al Ministero dell'ambiente per la sua approvazione definitiva. Ad ogni buon conto, già nel febbraio 2011 l'allora commissario straordinario Pecorella, a seguito di consultazioni con i portatori di interesse locali, aveva approvato e trasmesso al Ministero un disciplinare provvisorio. I suddetti atti disciplinari rappresentano gli unici approvati a partire dall'istituzione dell'area marina protetta avvenuta nel 1989.
  Relativamente al contrasto dell'attività abusiva è presente negli atti dell'Ente parco l'impegno finanziario assunto al riguardo, in particolare per quelli edilizi in merito ai quali nel giugno 2014 veniva stipulato un protocollo d'intesa con la procura della Repubblica presso il tribunale di Foggia, mettendo a disposizione il fondo di 500.000,00 euro disponibile nel bilancio del parco per la demolizione degli abusi.
  Risultano completati n. 10 interventi di abbattimento che hanno interessato complessivamente n. 40 manufatti abusivi sui quali gravava sentenza di condanna definitiva passata in giudicato e decreto, non opposto o definitivo, di demolizione.
  Il parco chiedeva, nel mese di marzo 2016, una ricognizione degli abusi ancora esistenti sul parco oggetto di sentenze definitive di condanna e, a seguito di ciò, trasmetteva, con nota del 29 marzo 2016, al Ministero dell'ambiente il piano degli abbattimenti 2016, richiedendo a tal fine un fondo straordinario. Nel giugno 2016 il Ministero ha erogato un importo pari a 65.739,00 euro.
  Infine, con l'adozione del piano triennale delle opere pubbliche 2017-2019, approvato con delibera del consiglio direttivo del 29 novembre 2016, è stato previsto un ulteriore stanziamento di 250.000,00 euro nel bilancio dell'Ente parco per proseguire gli abbattimenti dei manufatti abusivi segnalati dalla procura.
  Attualmente, la procura e l'Ente parco stanno attivando le procedure per effettuare ulteriori abbattimenti.
  Si fa presente altresì che il presidente, in merito al recupero delle somme spese per gli abbattimenti, ha formalmente dato mandato agli uffici di procedere alla stesura del regolamento che consenta di incamerare somme a titolo di sanzione per il mancato ripristino delle aree oggetto di variazioni edilizie ed ambientali, oltre che l'azione di rivalsa nei confronti dei responsabili degli abusi per i costi di demolizione anticipati dal parco.
  Tra le altre cose, il parco si è reso protagonista insieme al consorzio di bonifica della capitanata dello sgombero di occupatori abusivi di una zona 2 del parco, denominata «Riservetta», in agro di Manfredonia, su cui insiste un progetto europeo Life.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente continuerà a tenersi informato e a svolgere le proprie attività tenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SGAMBATO, D'OTTAVIO, DALLAI, MANZI e CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2016 con circolare n. 193 firmata dalla preside del liceo statale Nicolò Jommelli di Aversa, presso l'Aula Magna dell'istituto è stata celebrata la cerimonia di benedizione delle penne, un momento di preghiera per tutte le quinte classi in vista della preparazione all'esame di Stato;
   il tratto distintivo della scuola pubblica italiana è che essa è laica e plurale: è una scuola di tutti e per tutti, senza distinzione di razza, di sesso, di genere, di religione;
   questa sua natura deriva direttamente dal dettato costituzionale e, pertanto, la sua organizzazione didattica ed il suo contenuto pedagogico si devono richiamare a questo principio –:
   se il Ministro interrogato non consideri l'iniziativa dell'istituto statale Nicolò Jommelli di Aversa in contrasto con l'indirizzo educativo e, in tal caso, se non intenda farsi promotore di iniziative volte a tutelare il principio di educazione laica in tutte le scuole. (4-13391)

  Risposta. — Sull'episodio della cerimonia della cosiddetta «benedizione delle penne» svoltasi il 30 maggio 2016 presso l'aula magna del liceo «N. Jommelli» di Aversa, l'ufficio scolastico regionale per la Campania ha svolto opportuni accertamenti anche a seguito di ulteriori segnalazioni, pervenute allo stesso ufficio, di altre scuole secondarie di II grado partecipanti all'evento.
  Dalla verifica è risultato che la dirigente scolastica del citato liceo ha chiarito come l'iniziativa in questione sia stata sollecitata ed organizzata, per l'esattezza in data 27 maggio 2016, dai rappresentanti delle 15 classi quinte, i quali hanno chiesto di utilizzare l'aula magna per «organizzare una cerimonia di addio alla scuola dopo un quinquennio trascorso insieme», senza che a tale iniziativa si opponessero docenti o genitori o alunni.
  Alla cerimonia in argomento ha partecipato anche la dirigente scolastica per portare il proprio saluto e l'augurio di un brillante esame di Stato. La stessa dirigente ha assicurato che, nello svolgimento degli eventi, non si è riscontrata alcuna lesione della connotazione laica della scuola «come d'altra parte l'istituto testimonia ogni giorno».
  L'ufficio regionale ha anche rappresentato, per completezza, che analoghe iniziative intraprese da altri istituti scolastici sono rientrate nelle attività previste dal protocollo d'intesa tra le medesime istituzioni scolastiche e l'ufficio scuola della diocesi di appartenenza per la «promozione di momenti di incontro e di condivisione, di dialogo attento e sereno sulla realtà scolastica e la sua relazione con la vita della società».
  Dalle informazioni acquisite si può ritenere che simili avvenimenti rientrano in consolidate tradizioni locali o in progetti formativi di più ampio respiro ma che, in ogni caso, ritrovano il consenso della comunità partecipante.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   TARICCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il liceo Virgilio di Roma a fine novembre 2015 è stato oggetto per due settimane di una occupazione da parte di un centinaio di studenti che ha impedito di fatto ad altri oltre 1.300 ragazzi di poter partecipare alle regolari lezioni;
   il dirigente dell'Istituto ha manifestato da subito forte contrarietà al presidio e alcuni genitori avevano, infatti, espresso la volontà di richiedere l'intervento delle forze dell'ordine per sbloccare lo stallo del liceo e ricreare le condizioni per un sereno svolgimento delle lezioni come auspicato dalla maggioranza degli studenti; al fine di tutelare i diritti della maggioranza degli allievi all'insegnamento e per sbloccare la situazione creatasi che rischiava di degenerare, è stato richiesto l'intervento della pubblica sicurezza, sembrerebbe soprattutto per il rischio d'una possibile circolazione di stupefacenti;
   la situazione stava talmente degenerando che è stato necessario l'intervento Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Davide Faraone che ha subito convocato un incontro presso il Ministero al quale hanno partecipato i leader dell'occupazione, alcuni genitori e insegnanti del consiglio di istituto nonché il direttore dell'ufficio scolastico regionale, Gildo De Angelis;
   successivamente a tale incontro, la situazione si è sbloccata il 10 dicembre e le lezioni sono riprese regolarmente il 14 dicembre a seguito di lavori di igienizzazione e di risistemazione dei locali, e risulterebbe con riscontro di danni e sottrazioni di beni;
   a seguito di una serie di segnalazioni relative alla circolazione di droga, riscontrate da genitori, alunni e personale scolastico — il 22 marzo 2016 con l'intervento dei carabinieri nel cortile della scuola uno studente maggiorenne del liceo Virgilio è stato arrestato in flagranza di reato ed altri segnalati alla procura della Repubblica;
   a seguito dell'arresto, una minoranza di studenti supportati da genitori e soggetti esterni alla scuola, avrebbero animato azioni di protesta nei confronti del dirigente scolastico e delle forze dell'ordine, contestando le modalità di intervento delle forze dell'ordine e arrivando a porre in essere un corteo non autorizzato di fronte alla scuola che ha richiesto l'intervento della polizia di Stato;
   il problema della circolazione della droga al liceo Virgilio, come purtroppo in tantissimi istituti, è spesso oggetto di denuncia –:
   se il Governo non intenda mettere in atto iniziative affinché lo spaccio di droga nelle scuole sia contrastato efficacemente e come, altresì, intenda tutelare i dirigenti ed il personale scolastico impegnati ad assolvere ai propri doveri e alle proprie responsabilità, come nel caso del liceo Virgilio di Roma. (4-13075)

  Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, si illustrano di seguito gli elementi acquisiti al riguardo anche dal Ministero dell'interno.
  Nel corso del pomeriggio del 26 novembre 2015, circa 50 studenti del liceo classico Virgilio di Roma, sito in via Giulia, si sono introdotti all'interno del plesso scolastico da una porta laterale ed hanno dato inizio ad un'occupazione per protestare contro la riforma della scuola.
  Nel corso del medesimo pomeriggio il dirigente scolastico del liceo ha formalizzato, presso il commissariato di pubblica sicurezza di zona, una denuncia/querela in merito all'occupazione dello stabile, che il 27 novembre 2015 è stata trasmessa all'autorità giudiziaria unitamente ad informativa di notizia di reato ai sensi degli articoli 633, comma 2, codice penale e 639-bis codice penale (invasione arbitraria di terreni o edifici perseguibile d'ufficio) e 340 codice penale (interruzione di pubblico servizio), con riserva di effettuare i dovuti approfondimenti volti all'identificazione degli autori dell'occupazione.
  Fin da subito personale del commissariato ha monitorato la situazione con operatori ed equipaggi che hanno effettuato frequenti passaggi sul posto, nonché preso contatti diretti con gli studenti all'interno.
  Lo stesso personale verificava, nei diversi sopralluoghi all'interno delle aule e degli spazi occupati, che non erano stati prodotti danneggiamenti o imbrattamenti, né che si facesse uso di sostanze stupefacenti, motivo per il quale vengono effettuati da tempo mirati servizi di prevenzione e controllo nelle adiacenze del liceo negli orari di ingresso, ricreazione ed uscita degli studenti.
  Nel corso di tali attività di sopralluogo, verifica e controllo, si aveva modo di individuare ed identificare i soggetti che si facevano portavoce della protesta e tale approfondimento di natura investigativa consentiva di segnalare alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma quattro soggetti maggiorenni e alla procura della Repubblica presso il tribunale dei Minorenni tre soggetti minorenni, tutti ritenuti responsabili di aver dato inizio e continuo sfogo all'occupazione.
  Durante i giorni dell'occupazione, personale della DIGOS manteneva costanti e regolari contatti col dirigente scolastico e con gli studenti presenti all'interno apprendendo che, allo scopo di porre fine alla protesta ed all'occupazione della struttura scolastica, era stato organizzato un incontro presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra il predetto dirigente scolastico, i rappresentanti di studenti e genitori, il direttore dell'ufficio scolastico regionale competente ed il Sottosegretario del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  L'incontro, avvenuto il 9 dicembre 2015, ha segnato una distensione dei rapporti tra studenti e la dirigenza scolastica e ha condotto gradualmente alla fine dell'occupazione della scuola, avvenuta l'indomani e resa definitiva al termine della manifestazione del giorno 11 dicembre 2015, allorché circa 200 studenti hanno lasciato definitivamente il liceo Virgilio, recandosi in corteo presso la sede centrale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dove, al termine di un'assemblea in piazza San Cosimato, hanno posto fine alle proteste.
  Nello stesso giorno la struttura è quindi stata formalmente ed ufficialmente riconsegnata al dirigente scolastico al termine di un sopralluogo che ha evidenziato alcuni danni agli infissi.
  Il 22 marzo 2016 i militari della stazione dell'Arma dei carabinieri «Piazza Farnese» hanno proceduto all'arresto di uno studente maggiorenne colto nella flagranza del reato di spaccio di stupefacenti all'interno della scuola e al deferimento in stato di libertà di alcuni altri giovani.
  Tale episodio ha dato luogo ad estemporanee manifestazioni di dissenso: in particolare, nella mattinata del 23 marzo 2016, giorno successivo all'arresto, circa 40 studenti si sono radunati dinnanzi all'ingresso del liceo Virgilio, con la manifesta intenzione di dare vita ad un corteo di protesta lungo le vie del centro cittadino, senza però riuscirvi a seguito della predisposizione di mirati servizi a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Nella circostanza gli studenti esponevano uno striscione recante la scritta «fuori le guardie dalle scuole», accendevano alcuni fumogeni e scandivano slogan di offesa alle Forze dell'ordine.
  Al termine dell'iniziativa, un gruppo più ristretto di manifestanti si è recato nei pressi dei tribunale di Roma, per esprimere la propria solidarietà allo studente arrestato, in concomitanza dell'udienza con la quale è stato convalidato l'arresto del giovane da parte dell'autorità giudiziaria.
  In riferimento alle segnalazioni di spaccio di sostanze stupefacenti, si precisa che personale del commissariato di zona, anche in collaborazione con la locale squadra mobile, effettua costanti e decise attività di contrasto e di controllo del fenomeno nei pressi della scuola, così come nei pressi di altre istituzioni scolastiche presenti sul territorio.
  Sono inoltre programmati, alla ripresa dell'anno scolastico, specifici servizi di prevenzione dello spaccio di sostanze stupefacenti, anche mediante l'impiego del reparto cinofilo della polizia di Stato con specializzazione antidroga.
  Si segnala anche che, fino al mese di giugno scorso, il personale della polizia di Stato ha regolarmente partecipato agli incontri formativi, finalizzati a sensibilizzare gli studenti ai temi della legalità, calendarizzati e previsti all'interno del liceo Virgilio.
  Da oltre un anno, inoltre, nel solco di una consolidata tradizione che vede costantemente impegnati operatori di polizia nel ruolo di docenti nell'ambito di iniziative di prevenzione a favore delle scuole, la direzione centrale per i servizi antidroga del Ministero dell'interno ha ripreso ad occuparsi di prevenzione dell'uso delle droghe nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (al momento limitatamente alla città di Roma e ai comuni del suo circondario).   Obiettivo primario è quello di offrire ai ragazzi e ai loro insegnanti un'informazione corretta sulla pericolosità delle sostanze stupefacenti e sulle conseguenze, anche di carattere legale, riconducibili al loro utilizzo.
  In particolare, si punta a sollecitare i partecipanti affinché, in tema di droghe, sviluppino una propria capacità critica e una maggiore consapevolezza, ponendo un'attenzione specifica verso quei fenomeni emergenti come la commercializzazione delle droghe su Internet e la diffusione di nuove sostanze psicoattive di origine sintetica.
  L'iniziativa è strutturata in incontri informativi tenuti – presso gli istituti scolastici che ne fanno richiesta – da personale di tale direzione centrale che, nel tempo, ha maturato specifiche competenze nel settore dell'insegnamento e nella gestione dell'aula composta da giovani e giovanissimi. Gli incontri, normalmente preceduti da un'esibizione delle unità cinofile della Guardia di finanza, in cui si simula, a vantaggio dei ragazzi, un'attività di ricerca delle sostanze stupefacenti, si articolano in due distinti momenti di approfondimento delle tematiche sulla droga con modalità di approccio molto diverse fra loro.
  Il primo è dedicato all'illustrazione dei rischi per la salute e alle conseguenze legali e sociali connesse al consumo delle droghe, attraverso la fruizione di materiali video-fotografici opportunamente commentati con una terminologia adeguata all'età e alla composizione della platea.
  Il secondo affronta, invece, le tematiche del disagio giovanile e delle motivazioni psicologiche che possono indurre all'uso delle droghe attraverso il coinvolgimento diretto dei ragazzi che partecipano, in gruppi ristretti, alla discussione con modalità interattive e sperimentale tecniche di counseling, cercando di far emergere le motivazioni più profonde che portano i ragazzi verso il consumo di sostanze stupefacenti.
  Il modello, in prospettiva, sarà messo a disposizione degli enti periferici interessati ad adottarlo e a replicarlo nelle rispettive circoscrizioni di servizio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia con delibera di giunta regionale del 30 dicembre 2009 n. 8/10966 programmava la ricerca e la sperimentazione in materia di «cattura e confinamento di anidride carbonica», al fine di individuare un impianto pilota di confinamento geologico di CO2;
   il 22 febbraio 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha sottoscritto con la regione Lombardia un protocollo d'intesa finalizzato allo stoccaggio di CO2 prodotto nel territorio regionale;
   tra il 2007 e il 2012 nell'ambito del programma europeo «spazio alpino» veniva individuato un progetto denominato «Geomol». Il progetto «Geomol» veniva avviato nel settembre 2012, con l'individuazione di un'area pilota nel febbraio 2012 comprendente un'ampia area della provincia di Brescia, di quella di Mantova e di parte del modenese e delle zone del comune di Mirandola;
   obiettivo del progetto Geomol era lo studio del sottosuolo al fine di individuare strutture idonee per stoccaggi CO2, gas, geotermico, estrazioni di idrocarburi;
   nel febbraio 2014 la regione Lombardia, in collaborazione con l'istituto di ricerca della regione Lombardia Éupolis e della società RSE spa – Ricerca sul sistema energetico, elaborava il rapporto finale del progetto pilota di stoccaggio geologico della CO2. Il progetto riguarda lo stoccaggio in acquifero profondo nei conglomerati di Sergnano, su un'estensione territoriale di circa 1500 chilometri quadrati e comprendenti 5 province lombarde (Milano, Lodi, Cremona, Bergamo, Brescia);
   il progetto ipotizza punti di iniezione sottosuolo in diverse zone del cremonese e bergamasco: in particolare, nelle zone dei comuni di Soncino, Pandino e Caravaggio, sul presupposto di una natura geologica del sottosuolo favorevole a questo tipo di interventi. Il progetto ipotizza tecniche di stoccaggio di CO2 combinate ad altre attività minerarie quali stoccaggio CO2 e metano, utilizzando la CO2 come « cushion gas», e la CO2 EOR, quindi l'iniezione di CO2 per favorire l'estrazione del fondo dei giacimenti di gas e condensati (attività ritenuta finora non economica). L'impianto pilota prevede di iniettare CO2 emessa dai principali soggetti industriali lombardi responsabili di emissioni;
   questo intervento sembra tuttavia non considerare i rischi ambientali e in particolare il rischio sismico che in questo territorio è di elevata gravità. Soltanto nel territorio di Soncino infatti si incontrano almeno tre sorgenti sismogeniche composite e una sorgente sismogenetica attiva quale la faglia sismica ITIS 104, causa del terremoto del 1802 di Soncino, di magnitudo 5,9. Dal progetto risulta che proprio la zona di Soncino sia una di quelle zone più idonee per l'iniezione di CO2 in acquifero;
   è tuttavia evidente che con iniezioni di CO2 della portata indicata il rischio può aumentare considerevolmente. A questo deve aggiungersi lo sviluppo di altri progetti relativi a operazioni nel sottosuolo come quelli nel territorio di Caravaggio, dove la società Geothermal starebbe realizzando un impianto geotermico ad alta entalpìa, in combinazione a possibili estrazioni di idrocarburi e nel permesso di ricerca minerario «calcio», mentre è in fase di valutazione di impatto ambientale la perforazione del pozzo Fontanella 1 proprio nei pressi di Soncino. È evidente che la concentrazione di operazioni di vasta scala e di rilevantissima entità in un territorio così a rischio andrebbe valutata complessivamente e con speciale riguardo, attese le particolari circostanze in cui interventi sui quali non c’è sicurezza si svolgono –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa, delle attività avviate da precedenti Governi, nonché di tutti gli altri progetti inerenti a interventi massicci nel sottosuolo e quali iniziative di competenza intendano adottare per il monitoraggio e la garanzia di uno speciale livello di attenzione e controllo richiesto dalla specificità del territorio. (4-14391)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al progetto «Geomol», sulla base degli elementi acquisiti dagli enti competenti, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto GeoMol (Programma Spazio Alpino) è un progetto-europeo a cui l'Italia partecipa attraverso i seguenti partner: ISPRA (Servizio geologico), regione Lombardia e regione Emilia Romagna.
  Il progetto ha la finalità di realizzare modelli geologici 3D del sottosuolo, rivolti ad approfondire la conoscenza geologica (stratigrafica e sismo-tettonica) del sottosuolo, proprio per la realizzazione in totale sicurezza di eventuali progetti di stoccaggio.
  La modellizzazione 3D riguarda 5 aree pilota distribuite in altrettante nazioni attorno l'arco alpino: per l'Italia è stata individuata l'area che comprende il settore centro-orientale della pianura Padana compreso tra le province di Brescia e Modena.
  Gli esiti finali del progetto sono pubblicati e scaricabili al seguente link: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/modello-geologico-3d-e-geopotenziali-della-pianura-padana-centrale-progetto-geomol.
  Secondo quanto riferito dal Ministero dello sviluppo economico, lo studio della GeoMol è soltanto propedeutico allo sviluppo di attività di sottosuolo inerenti lo stoccaggio di CO2. Ad oggi non risultano essere stati proposti progetti in tal senso e pertanto non è in corso alcun iter procedimentale per il conferimento di eventuali titoli minerali ne risultano in corso di realizzazione opere o attività di sottosuolo relative allo stoccaggio della CO2. Ad ogni modo, il predetto Ministero rappresenta che in base alle analisi e agli studi condotti su tale attività non si è avuta evidenza di alcuna diretta correlazione tra i fenomeni sismici, l'iniezione e lo stoccaggio. Le attività minerarie di sottosuolo, per quanto di competenza, sono comunque costantemente monitorate dallo stesso Ministero, che ha recentemente rafforzato le proprie funzioni in tema di sicurezza anche ambientale di tali attività, al fine di garantire i più alti standard di sicurezza per l'ambiente e per il personale addetto ai lavori.
  Sulla base delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di propria competenza, continuerà comunque a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la costa cagliaritana occidentale si estende verso la spiaggia sabbiosa di La Playa, in zona Giorgino-sa Perdixedda che, tra la fine dell'Ottocento e i primi vent'anni del novecento, fu la principale spiaggia di riferimento delle estati cagliaritane;
   tale area è direttamente adiacente alla laguna di Santa Gilla e a Sa Illetta di San Simone, che rappresenta uno degli spazi più suggestivi del contesto ambientale della città, per la sua storia antica, per il suo habitat naturale straordinario, per le sue potenzialità economiche nel settore della pesca e per la sua valenza attrattiva turistica, purtroppo ad oggi largamente inespressa;
   l'area prospiciente la spiaggia di Giorgino è stata divisa dalla diga foranea del Porto Canale di Cagliari in due settori, uno orientale e l'altro occidentale, tra loro fisicamente separati;
   la porzione orientale di Giorgino direttamente accessibile dalla città di Cagliari, mantiene rilevanti caratteristiche di insediamento antropico, ospita il suggestivo Villaggio dei Pescatori, diversi ristoranti e piccoli stabilimenti balneari, qualche attività industriale e il vecchio complesso della tenuta Ciarella-Ballero, con il fascino sacro e profano della corte intorno alla chiesetta di San Giorgio, dedicata alla sosta di maggio di Sant'Efisio;
   l'altra porzione di Giorgino, quella occidentale, naturalmente accessibile dalla strada statale 195 che viene da Capoterra, appare invece un territorio in stato di abbandono pressoché totale, impegnato da alcune importanti cubature, ormai diventati veri e propri ruderi;
   tra i ruderi che impegnano tale porzione del sito di interesse comunitario, per la loro estensione in superfici coperte, rivestono particolare rilevanza i resti dell'insediamento della Villa Aresu e dell'ex istituto di rieducazione minorile, con una superficie coperta di circa 2000 metri quadri;
   la Villa Aresu, residenza di un celebre cattedratico cagliaritano sin dal primo dopoguerra, è oggi ancora di proprietà privata, mentre l'ex carcere è passato al demanio regionale che, nell'agosto del 2015, lo ha incluso nell'elenco dei beni in dismissione, valutandolo poco più di due milioni di euro;
   sull'ex istituto di rieducazione minorile grava il vincolo relativo al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e paesaggistici, articolo 142, comma 1, lettera a), mentre entrambi i fabbricati ricadono nelle prescrizioni normative del piano paesaggistico regionale;
   entrambe le cubature si affacciano direttamente sul mare o sono a poche decine di metri da esso, costituendo una indiscutibile risorsa per la fruizione a fini turistici della spiaggia attualmente in condizioni di degrado;
   il recupero complessivo del contesto naturale e antropico del compendio passa sicuramente attraverso la ridefinizione dell'utilizzo di tali imponenti cubature, il cui riuso deve essere codificato d'intesa tra comune e regione, mentre l'auspicabile coinvolgimento di capitali privati deve essere inquadrato in una filosofia complessiva e condivisa di fruizione ambientale ed economica –:
   se non si ritenga importante assumere iniziative, per quanto di competenza, per aprire un tavolo di concertazione sul sito di interesse comunitario di Santa Gilla e Giorgino con il comune di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna finalizzato alla riqualificazione dell'area ambientalistica di Giorgino in cui ricadono la Villa Aresu e l'ex carcere minorile, con l'obiettivo di restituire alla piena fruibilità un'area e le relative pertinenze fabbricate che potrebbe rappresentare una grande risorsa turistica e di sviluppo economico per la città di Cagliari e per l'intero sud Sardegna.
(4-15125)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla riqualificazione dell'area ambientalistica di Giorgino e Santa Gilla, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla Regione Sardegna, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che sia Villa Aresu, sia i Bagni Giorgino, sia l'ex Istituto di rieducazione minorile sono ubicati all'interno del Sito Natura 2000 – SIC ITB040023 «Stagno di Cagliari, Saline di Macchiareddu, Laguna di Santa Gilla», designato in adempimento alla direttiva 92/43/CEE Habitat, e risulterebbero strutture assoggettate a vincolo, ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, cosiddetto «Codice Urbani», del Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo.
  Si segnala, inoltre, che nel caso in questione gli aspetti riguardanti sia del patrimonio naturale che di quello culturale, concerne in prima istanza le competenze delle autorità regionali delegate all'applicazione delle specifiche normative.
  Sull'argomento, si ritiene che la Regione, viste le ulteriori tematiche e competenze coinvolte, quali quelle del turismo e della pianificazione territoriale, possa fornire un maggiore contributo.
  Il Ministero dell'ambiente, ferme restando le specifiche competenze territoriali, in qualità di autorità di vigilanza evidenzia comunque che ogni iniziativa di fruizione turistica dell'area e di recupero architettonico delle strutture, dovrà essere oggetto di opportuna valutazione di incidenza da parte delle competenti commissioni, ai sensi dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE « Habitat», e formulata nel rispetto del piano di gestione del sito Natura 2000, di cui al decreto regionale n. 71 del 30 luglio 2008.
  Secondo quanto riferito dalla regione Sardegna si rappresenta quanto segue.
  La direzione generale della difesa dell'ambiente della regione Sardegna è competente nell'ambito della tutela e valorizzazione della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS), specificatamente nella conservazione della biodiversità di habitat e specie.
  Le attività in essere e la programmazione delle risorse finanziarie in capo alla suddetta direzione generale sono, altresì, orientate alla rivalutazione dei compendi al fine di restituire fruibilità ad aree attualmente poco valorizzate, nel rispetto della sostenibilità ambientale degli interventi.
  In proposito, l'assessorato ha in corso di predisposizione un bando rivolto agli enti di gestione delle aree protette, destinato alle aree della Rete Natura 2000, cosiddetto «Multiazione», a valere sulle risorse dell'Azione 6.5.1 del POR FESR 2014/2020 per interventi di tutela di habitat e specie dei siti Natura 2000, e sulle risorse dell'Azione 6.6.1 per interventi di valorizzazione dei siti in chiave turistica. I comuni che afferiscono all'area potranno proporre gli interventi che riterranno opportuni e, in tale sede, nell'ambito delle valutazioni di competenza, hanno la possibilità di riprendere ed eventualmente sviluppare l'idea insita nell'interrogazione parlamentare in questione. Si precisa, al riguardo, che condizione di ammissibilità degli interventi è la documentata disponibilità dell'area.
  Si fa presente, peraltro, che l'area oggetto di interesse (Stagno di Santa Gilla) è stata e potrà essere ulteriormente oggetto di interventi di recupero ambientale e di valorizzazione, anche eventualmente col coordinamento di risorse finanziarie che arrivano da altre linee di attività: è auspicabile, infatti, un recupero complessivo del contesto naturale, eventualmente anche con l'ausilio di capitali privati.
  La concertazione proposta trova rispondenza, altresì, nell'istituendo Parco naturale regionale nell'area protetta «Molentargius-Sella del Diavolo-Capo S. Elia-S. Gilla», di cui alla recente deliberazione della giunta regionale n. 32/2 del 31 maggio 2016, che negli intendimenti della giunta riunirà in un'unica realtà le zone umide di Cagliari e contribuirà a valorizzare le potenzialità dell'area oggetto di interesse.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulle questioni poste.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VEZZALI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso che sul ponte crollato in A14 stavano lavorando più ditte (oltre alla Delabech srl di Roma, subappaltatrice per conto della Pavimental, società controllata di Autostrade, il Gruppo Nori srl di Castelnuovo di Porto e altre ancora) e un numero imprecisato di operai, almeno due squadre;
   la procura di Ancona ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio colposo plurimo;
   il bilancio del crollo del cavalcavia è di due morti (passeggeri di un'auto in transito) e tre feriti (operai addetti ai lavori di innalzamento del ponte);
   la possibile dinamica dell'incidente non esclude l'errore umano, ma verificare la catena di appalti sarà utile per risalire alle responsabilità del disastro;
   il cavalcavia si sarebbe inclinato da un lato per poi scivolare e abbattersi al suolo;
   secondo la polizia stradale è possibile che il troncone caduto non appoggiasse perfettamente per l'intera lunghezza, o che da una parte fosse più sollevato che dall'altra;
   sono probabilmente da scartare anche le ipotesi di utilizzo di materiali scadenti;
   anche la società Autostrade per l'Italia sta valutando l'ipotesi di eventuali errori e possibili azioni a tutela;
   l'inchiesta dovrà stabilire il tempo intercorso tra il sollevamento e il crollo;
   i detriti sono stati rimossi perché non è lì che va individuato il problema, ma sulle pile provvisorie per l'innalzamento del cavalcavia; anche se i sostegni provvisori non presentano danni e la struttura di calcestruzzo che sosteneva le travi è integra;
   secondo Autostrade, le attività di sollevamento erano state completate alle 11.30; l'incidente si è verificato alle 13.50 circa, mentre il personale era occupato in attività cosiddette accessorie;
   le deposizioni degli operai confermano che erano intenti a raccogliere le attrezzature;
   una squadra di almeno cinque persone lavorava al sollevamento a livello del piano stradale (i dipendenti della Delabech), un'altra era sopra il cavalcavia per lavori sul manto bituminoso, circostanza, questa, che non avrebbe inciso in alcun modo sulla dinamica dell'incidente;
   secondo l'Istituto per le tecnologie della costruzione del Cnr, il sollevamento sembra sia stato dovuto a un'operazione di routine un'operazione che in genere non richiede la chiusura al traffico;
   secondo il legale della famiglia dei coniugi deceduti, date le diverse competenze, i diversi soggetti e i diversi tipi di intervento che erano in atto sul ponte crollato, occorrevano maggiori cautele per prevenire ed evitare ciò che è accaduto;
   i magistrati sono in attesa della relazione degli ispettori dell'Asur;
   dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata nominata una commissione d'inchiesta che entrerà presto nel pieno delle sue funzioni –:
   se non ritenga di adottare iniziative volte ad incrementare gli investimenti in infrastrutture e per la manutenzione di quelle esistenti;
   per quali motivi non sia stata disposta la chiusura, seppur temporanea, del tratto di autostrada coinvolto dai lavori;
   se non intenda adoperarsi per incrementare la sicurezza sia per chi lavora nei cantieri sia per gli utenti delle infrastrutture. (4-15930)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali di questo Ministero e della società ANAS interessata al riguardo.
  Preliminarmente occorre evidenziare che con decreto ministeriale n. 81 del 9 marzo 2017 è stata istituita apposita commissione ispettiva al fine di verificare e analizzare quanto accaduto sul l'autostrada A14 nel territorio del comune di Camerano. Tale commissione dovrà fornire una dettagliata relazione sui fatti accertati entro il corrente mese: inoltre al fine di acquisire le notizie utili ad una prima rendicontazione di carattere generale, un ispettore del Ministero è stato inviato sul posto dell'accaduto.
  Dai primi elementi disponibili risulta che i lavori in corso di esecuzione riguardavano l'ampliamento a tre corsie dell'A14 nella tratta Rimini-Pedaso. Nell'ambito di tali lavori si stava procedendo all'innalzamento del cavalcavia n. 167, per adeguare il franco altimetrico presente in carreggiata autostradale alle norme di settore che prescrivono un minimo di cinque metri. Le operazione di sollevamento sono state eseguite con l'autostrada aperta, seppur con restringimenti dell'esercizio, in base al piano di sicurezza redatto dai progettisti mentre la strada provinciale n. 10, che invece si sviluppa sul cavalcavia 167, era stata chiusa al traffico.
  I lavori su altri cavalcavia sono stati eseguiti con la stessa procedura e senza chiusura del traffico, come stabilito nel piano di sicurezza redatto dal progettista sulla base di specifiche valutazioni del rischio, infatti, l'articolo 21, comma 2, del codice della strada prevede che chiunque esegua lavori sulle aree destinate alla circolazione deve adottare gli accorgimenti necessari per la sicurezza e la fluidità della circolazione; tra i provvedimenti adottabili è ricompresa anche la possibilità di interrompere la circolazione lungo la strada qualora non esistano soluzioni alternative per eseguire i lavori garantendo al contempo adeguate condizioni di sicurezza della circolazione.
  Quindi è il soggetto deputato ad autorizzare l'apertura del cantiere che è tenuto a valutare la soluzione più idonea in relazione alle condizioni locali, alla complessità delle lavorazioni da eseguire, alla presenza di itinerari alternativi nel caso si dovesse disporre la chiusura della strada.
  Per quanto riguarda la riapertura del tratto autostradale, si segnala che nella notte tra il 9 e 10 marzo si è proceduto, dietro autorizzazione del magistrato, a sezionare l'impalcato crollato in modo da isolare le zone estreme prossime alle pile, dove l'area è rimasta sotto sequestro per gli accertamenti dei periti, dalla parte centrale ritenuta non influente nelle indagini. Conseguentemente, durante la notte è stato rimosso il tratto centrale del cavalcavia precipitato e alle ore 8,30 circa del 10 marzo l'autostrada è stata riaperta al traffico, seppur con una corsia per senso di marcia.
  Quanto alle condizioni strutturali e allo stato di manutenzione dei cavalcavia autostradali, la direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con apposite circolari ha costantemente sollecitato tutte le società concessionarie ad effettuare verifiche e controlli delle opere d'arte appartenenti al patrimonio autostradale, in ottemperanza ai vigenti disposti normativi di competenza dei gestori delle infrastrutture.
  In particolare, per tutte le opere d'arte con circolari del 2009, 2013, 2014 e 2016, è stato richiesto alle società di trasmettere un dettagliato rapporto informativo sulle attività di verifiche e controlli effettuati sulle opere d'arte disponendo altresì di adottare ogni utile iniziativa finalizzata a garantire la sicurezza della circolazione stradale.
  La suddetta direzione ha accertato mediante esame documentale l'ottemperanza delle stesse alle vigenti normative; inoltre, tutte le Società hanno assicurato di aver adottato ogni iniziativa a tutela della sicurezza autostradale.
  Per le opere d'arte «cavalcavia autostradali», sia per le attività relative al mantenimento in efficienza delle strutture portanti che per le definizioni delle competenze relative alle opere protettive (guard-rails), sono state emanate circolari nel 2012, 2013, 2014, 2015, 2016, Le società concessionarie hanno riscontrato trasmettendo l'attuale stato dei luoghi per tutti i cavalcavia di competenza e relazione in merito alle attività in corso.
  Quanto alle opere metalliche, in particolare quelle costituenti la struttura portante della segnaletica autostradale, con circolare del 2011 alle società è stato richiesto un rapporto sui controlli periodici effettuati su tali opere; dai riscontri forniti questa direzione ha riscontrato il rispetto delle attuali normative relativamente alle attività di controlli e verifiche effettuati.
  Per quanto concerne, infine, la rete stradale in gestione ad ANAS la società ha comunicato di svolgere costante e regolare attività di monitoraggio su tutta la rete viaria di competenza, ivi compresa quella sulle opere d'arte di attraversamento stradale.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia ha un costo ragguardevole, di poco inferiore ai 10 miliardi di euro all'anno, con costi decisamente variabili nei vari settori della filiera e in base all'area geografica, alla presenza di società partecipate, al recupero energetico e al ruolo dei consorzi;
   la gestione del ciclo dei rifiuti per essere virtuosa e sostenibile, lo deve essere anche dal punto di vista economico per evitare speculazioni, interessamenti della criminalità organizzata, per evitare sovradimensionamenti degli impianti, inquinamento e danni ambientali evitabili;
   dai dati della relazione 2014 sui rifiuti solidi urbani dell'ISPRA si stima il costo della gestione dei rifiuti solidi urbani nel 2013 in circa 9 miliardi e 690 milioni di euro; il costo della filiera è calcolato in maniera approssimativa, visto che neppure il totale dei comuni presi a campione riporta i dati richiesti annualmente dall'Ispra e i dati desunti dai MUD non coprono totalmente la popolazione;
   in tale direzione, il comune di Rodigo, in provincia di Mantova, di 5.412 abitanti, rappresenta un caso emblematico di efficiente gestione del servizio di raccolta e avvio alla smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU), stabilendo di assumere direttamente «in autonomia» la gestione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani con l'utilizzo di proprio personale e propri automezzi ma avvalendosi dell'opera di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti (trasporto e smaltimento);
   il comune, infatti, ha stabilito di non avvalersi dei servizi di Mantova Ambiente, attualmente soggetto unico provinciale nel settore dell'ambiente, avendo adottato da alcuni anni una strategia di gestione dei rifiuti solidi urbani in grado di abbattere i costi e di conseguenza le tariffe per i cittadini, ricorrendo ad una forma di gestione mista con raccolta direttamente effettuata con mezzi del comune e soggetto/i privati scelti con gara per le successive fasi di trasporto e smaltimento;
   risulta che la liceità della scelta della gestione diretta del comune sia stata posta in discussione dalla società citata Mantova Ambiente e provincia di Mantova rispettivamente per tale gestione «ibrida» pubblico/privata nei servizi pubblici locali di rilevanza economica ed in relazione alla asserita necessità per il comune di essere iscritto all'albo dei gestori ambientali;
   a fronte di tali contrasti che sono sfociati anche in controversie amministrative, risulta evidente che il legislatore debba intervenire, in ogni caso, per delineare con chiarezza un quadro normativo in grado di assicurare ai cittadini servizi migliori e minori costi per i cittadini;
   tale vexata quaestio è stata peraltro oggetto di una pronuncia in funzione consultiva della Corte dei conti proprio sulla gestione diretta del servizio di raccolta da parte del comune (457/2013);
   per di più, l'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, ha collocato «l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi» tra le funzioni fondamentali dei comuni;
   in tutta Italia, peraltro, diversi comuni, soprattutto in Sicilia (Palermo, Agira, Giarre), nonostante il prevalente schema della gestione dei rifiuti sia rappresentato in Italia dalla gestione dei rifiuti su base degli ATO (ambito territoriale ottimale) attraverso contratto tra autorità d'ambito sotto forma di Consorzio tra gli enti locali ricompresi nell'ambito territoriale e società affidataria gestore d'ambito, stanno sperimentando con risultati positivi la gestione diretta dei servizi ambientali;
   risulta dunque, tema controverso e producente ampio contenzioso amministrativo se un comune possa procedere direttamente alla gestione dei rifiuti, attraverso forme di gestione in autonomia peraltro previste dalla legge, per una prima parte del servizio rifiuti corrispondente alla «raccolta» e affidare tramite gare le successive operazioni connesse al trasporto e allo smaltimento senza contravvenire alla legge –:
   se i Ministri interrogati, intendano considerare l'opportunità di interventi anche di carattere normativo per favorire la possibilità da parte dei comuni di autogestire i servizi pubblici locali connessi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, o assimilati, stante il dimostrato risparmio derivato da tali modalità di gestione, chiarendo, altresì, se del caso attraverso interpretazione autentica delle norme con particolare riferimento agli articoli 133 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006 la circostanza che sia consentito all'ente locale di avvalersi di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti, mantenendo però in capo al comune la titolarità del servizio;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intenda costituire un tavolo tecnico di lavoro che possa elaborare dei criteri e principi in base ai quali il Ministero possa prendere esatta contezza dei costi della gestione del ciclo dei rifiuti in base ai diversi sistemi di affidamento utilizzati dalle amministrazione locali, anche per provvedere all'emanazione di linee guida relative alla definizione degli ambiti territoriali più funzionali per la gestione integrata dei rifiuti ex articolo 195 del decreto legislativo n. 152 del 2006, assicurando la qualità del servizio, costi più bassi ed evitando così anche il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. (4-08095)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ed in particolare l'articolo 200 dispone che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati dal piano regionale e deve ispirarsi, tra gli altri, ai seguenti criteri: superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti; conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative; ricognizione di impianti di gestione dei rifiuti già realizzati e funzionanti.
  Pertanto, la principale finalità della legislazione nazionale di settore è il superamento della frammentazione gestionale, da conseguire attraverso una gestione unitaria che abbia riguardo a fattori fisici, demografici, tecnici e di ripartizione politico-amministrativa e che si concili con l'autosufficienza nello smaltimento, da realizzare almeno su scala regionale.
  Al riguardo, si segnala che ai sensi del comma 3 del citato articolo 200 sono le regioni, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza, a dover provvedere alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e all'eventuale sub-articolazione.
  Conseguentemente, sono le regioni, esercitando le competenze attribuite dal legislatore, a determinare, secondo i criteri elencati al comma 1 dell'articolo 200, le dimensioni degli ambiti territoriali ottimali per l'affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti.
  Si fa presente, inoltre, che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha individuato una serie di proposte migliorative che impattano sulla tematica delle dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti nonché sulla durata temporale e sulla governance dei predetti affidamenti.
  A fronte del sistema normativo vigente, è auspicabile che, in primo luogo, siano le regioni a considerare le proposte migliorative suggerite dall'AGCM durante l'esercizio delle competenze attribuite loro dal legislatore.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Occorre evidenziare altresì che il Ministero dell'ambiente ha dato avvio ad una fase di confronto con tutte le regioni al fine di poter svolgere, in materia di gestione dei rifiuti, le attività di cui all'articolo 206-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In tale contesto, il Ministero, tenendo conto di quanto stabilito dalla legislazione di settore e dalle caratteristiche tecnico produttive del ciclo dei rifiuti, ha riservato particolare attenzione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani (cd. governance) nonché ai criteri fondamentali di cui le regioni, caso per caso, si sono avvalse per effettuare la perimetrazione degli A.T.O. fornendo ove necessario indicazioni per evitare il ricorso alle forme di gestione frammentate.
  Inoltre, particolare attenzione viene posta all'eventuale disallineamento tra l'ampiezza dei bacini di affidamento e la dimensione ottimale del servizio il quale si riflette anche sull'assetto industriale del mercato nonché alla scelta del modello di organizzazione dell'attività di raccolta la quale rileva non solo sul piano delle performance raggiunte in termini di capacità di intercettare i rifiuti in maniera differenziata, ma anche in relazione ai costi che essi generano.
  Pertanto, si evidenzia che il Ministero ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo. Infatti, si è consapevoli che la gestione dei rifiuti riveste un ruolo preminente nell'economia circolare, la quale concorre a dare impulso alla competitività del Paese contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modalità di produzione e consumo innovativi e più efficienti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Mantova è una città di circa 48.000 abitanti nella porzione sud est della regione Lombardia. È caratterizzata da notevoli problematiche ambientali: ospita uno dei 39 siti di interesse nazionale per l'inquinamento (SIN) e ha una scarsissima qualità dell'aria (superamenti del Pm 10 ben oltre 35 giorni all'anno), come del resto comuni e le province di pianura circostanti;
   dal punto di vista storico e culturale Mantova è una città di notevole pregio e quest'anno è stata nominata capitale italiana della cultura;
   da un punto di vista infrastrutturale è caratterizzata da un estremo isolamento, sia nei confronti del capoluogo di regione, Milano, che del resto d'Italia e di altre città d'arte come Venezia, Firenze, Roma. Questo isolamento penalizza il versante turistico, lavorativo e ambientale; infatti, per arrivare e spostarsi da Mantova sono spesso necessari mezzi privati, con un notevole incremento annuale dell'inquinamento atmosferico;
   dall'11 settembre 2016 è stato istituito da Trenitalia un servizio di collegamento fra Roma Termini e Mantova mediante Frecciadargento, treno 9472, un collegamento giornaliero da Roma a Mantova (ore 14.30) e da Mantova a Roma (ore 10.26). Questo servizio è previsto fino al 10 dicembre;
   sono stati rilevati alcuni inconvenienti nella tratta fra Modena e Mantova con le sbarre dei passaggi a livello non sincronizzate con il passaggio del treno almeno in un caso;
   tale collegamento consente di ridurre del 40 per cento i tempi di percorrenza fra Roma e Mantova (in media impiega 2 ore e 55 minuti invece di 4 ore e mezza con le normali coincidenze a Modena o a Verona). Il prezzo è mediamente più basso anche per la minore percorrenza chilometrica;
   da un punto di vista del «successo» del collegamento mediante Frecciadargento fra Roma e Mantova, è ovvio che tale collegamento avrebbe una maggiore frequentazione se fosse possibile programmare a lungo termine i viaggi da parte di operatori turistici e professionali;
   dal 2015 non esiste più la coincidenza fra i treni in arrivo a Verona da Roma e quelli in partenza da Verona per Mantova, cosa che penalizza i viaggiatori a vario titolo, che sono costretti a prendere mezzi privati fra Mantova e Verona. Tale disservizio è stato segnalato dal primo firmatario del presente atto a Trenitalia (che ha risposto che la loro programmazione non può prevedere sincronizzazione con Trenord che gestisce le linee ferroviarie fra Verona e Mantova) e Trenord, che non ha mai risposto;
   nel 2015 è stato presentato uno studio commissionato dal Movimento 5 Stelle al Politecnico di Milano (professore Beria) che ha evidenziato come la tratta fra Mantova e Milano sia altamente utilizzata da passeggeri e merci nonostante i lunghi tempi di percorrenza –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare i collegamenti e le strutture ferroviarie da e per Mantova, in particolare migliorando la sicurezza nella tratta fra Mantova e Modena e confermando un analogo collegamento fra Roma e Mantova dopo il 10 dicembre 2016;
   se non si intendano assumere iniziative volte a prevedere diversi orari di collegamento e scontistica per collegamenti pendolari per Modena e Bologna, in modo che tale collegamento sia più appetibile per i viaggiatori, nonché una fermata a Suzzara (Mantova) in modo che possano essere intercettati i viaggiatori da Ferrara e Parma, altra linea problematica;
   se e come i Ministri interrogati stiano valutando di migliorare la carenza infrastrutturale in pianura padana che sta peggiorando la gravissima situazione ambientale e la qualità di vita dei cittadini. (4-14827)

  Risposta. — In ordine ai servizi di collegamento ferroviario tra Mantova e altri capoluoghi di regione e città d'arte, la società Trenitalia, interessata al riguardo, ha comunicato quanto segue.
  La coppia di treni Frecciargento Mantova-Roma e viceversa è stata confermata anche con il nuovo orario in vigore dall'11 dicembre 2016.
  Peraltro, Trenitalia riferisce di aver apportato con la nuova programmazione alcune variazioni che consentono di migliorare il servizio per il bacino mantovano offrendo la possibilità di un agevole il rientro nell'arco della stessa giornata, in particolare:
   l'orario di partenza da Mantova è stato anticipato alle ore 6.20, per consentire l'arrivo a Roma entro metà mattinata (ore 10.05);
   il rientro dalla capitale è stato previsto alle ore 18.29, con arrivo a Mantova alle 21.55;
   è stata inserita la fermata di Firenze Santa Maria Novella, per consentire un collegamento veloce anche con il capoluogo toscano.
  Per quanto attiene agli aspetti di carattere infrastrutturale, in particolare le iniziative che si intendano assumere per potenziare le strutture ferroviarie da e per Mantova, si evidenzia che nel contratto di programma con Rete ferroviaria italiana sono previsti molti investimenti che riguardano il «Corridoio Mediterraneo» e le altre infrastrutture ferroviarie afferenti l'area padana. In particolare, nella sola regione Lombardia sono previsti interventi per circa 15 miliardi di euro, 7 dei quali già finanziati, mentre nella regione Emilia Romagna gli interventi riportati nel contratto di programma ammontano a oltre 4 miliardi di euro, di cui 2 finanziati.
  In merito alla linea Codogno-Cremona-Mantova, il citato contratto di programma – aggiornamento 2016 – ha previsto una prima fase del raddoppio il cui costo ammonta a 310 milioni di euro, con un contestuale finanziamento di 6 milioni di euro relativi all'avvio delle attività progettuali.
  Inoltre, per quanto riguarda l'aspetto della sicurezza sulla tratta Modena-Mantova gli interroganti fanno probabilmente riferimento ad un recente inconveniente verificatosi ad un treno che percorreva a bassissima velocità (marcia a vista) un passaggio a livello in località Carpi. A causa della bassissima velocità del convoglio, infatti, le barriere si sono alzate dopo che il treno aveva impegnato l'attraversamento stradale prima che fosse completamente transitato.
  Al fine comunque di evitare il ripetersi di episodi analoghi. Rete ferroviaria italiana ha comunicato di aver già sviluppato una nuova applicazione tecnologica denominata Pepl (Pedale elettronico per protezione passaggio a livello) che, andando a realizzare un circuito elettronico (circuito di rilevamento treno) sul tratto di binario in corrispondenza dell'attraversamento stradale dei passaggi a livello, vincolerà l'apertura delle barriere al completo transito dei convogli. L'installazione del dispositivo, Pepl è già oggetto di un piano di installazione sui passaggi a livello della rete nazionale; in particolare, per il passaggio a livello in località Carpi l'installazione del dispositivo verrà completata nel primo semestre 2017.
  Infine, per quanto concerne l'aspetto relativo all'inquinamento ambientale, il Ministero della salute ha riferito che il Sito di interesse nazionale (Sin) ubicato nel territorio di Mantova è costantemente sottoposto a monitoraggio a cura dell'Arpa regionale e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   ZOLEZZI, ALBERTI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i progetti dei forni crematori non sono sottoposti a una normativa specifica;
   gli impianti che producono tali emissioni devono ricevere un'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, in base alla parte V del decreto legislativo 14 aprile 2006, n. 152, ed essere autorizzati ai fini del rispetto dei criteri regionali per il controllo delle emissioni inquinanti in atmosfera;
   i forni crematori si possono costruire solo nelle pertinenze dei cimiteri, o come ampliamento delle strutture cimiteriali, in ogni caso «entro i recinti dei cimiteri» (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2006 n. 5930);
   negli ultimi anni si è verificato un incremento del ricorso alla cremazione, dalle 42.982 cremazioni del 2003 alle 117.956 del 2014. Si sono moltiplicate le autorizzazioni di impianti di cremazione, in misura molto maggiore della richiesta. Sono state riscontrate notevoli irregolarità ambientali e gestionali nel settore (si veda l'inchiesta dei carabinieri del NOE nel 2008, con esiti pubblicati su Panorama). A Mantova i militari di Trento hanno sequestrato 100 fusti di polveri di abbattimento dei fumi degli impianti crematori, filtri esausti e ceneri di combustione, denunciando un imprenditore per gestione illecita di rifiuti. Si sono verificate anche criticità legate alle emissioni di mercurio e diossine dai forni;
   a Mantova, presso il cimitero monumentale di Borgo Angeli, in via Cremona, è in funzione un forno crematorio che ha eseguito nell'anno 2013: 7.289 cremazioni, delle quali 4.403 salme; nell'anno 2014: 6.951, delle quali 4.230 salme, nell'anno 2015: 7.413, delle quali 4.787 salme, assorbendo le esigenze di altre province. Il 75,38 per cento delle cremazioni riguarda salme o esiti di esumazione provenienti da fuori provincia (5.588);
   a Mantova viene eseguito il 6 per cento delle cremazioni italiane, pur rappresentando la provincia di Mantova lo 0,6 per cento della popolazione nazionale;
   TEA s.p.a. che gestisce il forno crematorio dichiara nel monitoraggio del 2015 di aver riscontrato 0.038133 ng/Nm3 di PCDD equivalenti. Manca un'ipotesi di emissione totale annuale e mancano controlli pubblicati da enti terzi (Arpa Lombardia);
   in termini di diossine non è semplice rispettare i dettami della normativa sulle emissioni (0,1 ng TE/Nm3 di diossine/PCDD), ma nel rispetto dei limiti a Mantova si possono ipotizzare emissioni di circa 5 mg all'anno di diossine/PCDD dal forno crematorio, tale da poter costituire una parte rilevante della dose tollerabile (2 pg/m2 secondo i parametri obiettivo stabiliti dalla Unione europea), arrivando ben oltre 1 pg per metro quadro, supponendo una distribuzione equa su una superficie di circa 15 chilometri quadrati intorno al cimitero di Mantova e una diffusione di prossimità per la bassa altezza del camino. Il resto delle fonti emissive di diossine fanno supporre una deposizione al suolo di molto superiore a quella consigliata in un raggio di alcuni chilometri dal cimitero;
   il territorio mantovano è sede di un sito da bonificare di interesse nazionale (SIN) ed è caratterizzato da superamenti delle polveri sottili ben oltre i parametri indicati dalla Commissione europea;
   la gestione delle salme presenta criticità sul versante del consumo di suolo e sul versante ambientale e sanitario e manca una definizione aggiornata tecnica e normativa che miri alla riduzione del danno, in particolare nella gestione di prossimità –:
   se i Ministri interrogati intendano monitorare la programmazione relativa alla costruzione dei forni crematori nel rispetto del principio di territorialità;
   se intendano promuovere una revisione della normativa specifica, mirando a una maggiore sostenibilità ambientale e alla riduzione del danno sanitario e ambientale nella gestione mortuaria.
(4-14893)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre segnalare che la disciplina dei forni crematori è contenuta nella parte V del decreto legislativo n. 152 del 2006, pertanto, tali impianti devono ottenere un'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
  Si fa presente, inoltre, che la vigente normativa di settore, ed in particolare l'articolo 8 della legge n. 130 del 30 marzo 2001, ha previsto, ai fini della regolamentazione delle attività connesse alla cremazione ed ai fini dell'individuazione dei valori limite più idonei da assegnare a tale tipologia di impianti, che con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, siano definite le norme tecniche per la realizzazione dei forni crematori, anche con riferimento ai limiti di emissione, agli impianti e agli ambienti tecnologici, nonché ai materiali per la costruzione delle bare per la cremazione.
  Il Ministero della salute fa presente altresì che nell'ottobre 2006 il Consiglio dei ministri « pro tempore» aveva approvato un disegno di legge del Ministero della salute, «Misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria», il cui articolo 5 recava «disposizioni in materia di polizia mortuaria». Tuttavia non risulta, ad oggi, avvenuta l'approvazione in sede parlamentare di questo o di altro apposito disegno di legge.
  Il Ministero, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato e, qualora dovessero pervenire nuovi ed utili elementi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Fermo restando la competenza primaria del Ministero della salute, questo Ministero provvederà ad assicurare la massima collaborazione nella stesura del testo per tutti gli aspetti concernenti le tematiche ambientali.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, si segnala che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.