Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 26 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il virus dell'immunodeficienza umana (Hiv, Human Immunodeficiency Virus) è l'agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids) e si tratta di un retrovirus del genere lentivirus, caratterizzato dal dare origine a infezioni croniche scarsamente sensibili alla risposta immunitaria; infezioni che evolvono lentamente, ma progressivamente e, se non trattate, possono avere un esito fatale;
    in base alle conoscenze attuali, l'Hiv è suddiviso in due ceppi: Hiv-1 e Hiv-2, il primo prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale; mentre il secondo, l'Hiv-2, invece, si trova per lo più in Africa occidentale e Asia;
    ricordando che la sua trasmissione può avvenire per via sessuale, ematica e verticale (madre-figlio), ma la più diffusa (85 per cento) è quella sessuale, seguita dal contatto con sangue o emoderivati infetti; mentre la trasmissione verticale può avvenire sia durante la gravidanza, per passaggio transplacentare (20-40 per cento), sia durante il parto (40-70 per cento) e infine nell'allattamento (15-20 per cento);
    all'inizio dell'epidemia, circa 35 anni fa, l'Aids ha fatto nel mondo 35 milioni di morti e 70 milioni di contagiati;
    attualmente, si osserva un aumento dell'età media, al momento della diagnosi di infezione, si è passati negli ultimi 20 anni dai 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine del 1985 a, rispettivamente, 39 e 36 anni nel 2015. Tra le nuove diagnosi di infezione da Hiv, la proporzione di stranieri è aumentata dall'11 per cento del 1995 a un massimo di 32,9 per cento nel 2006; nel 2015 è stata del 28,8 per cento con un numero assoluto di casi pari a 991;
    i casi di Aids registrati in Italia nel 2015 sono stati circa 789, pari a un'incidenza di 1,4 per 100.000 residenti, e i casi di prevalenza ammontano a 23.385 nel 2013 (ultimi dati disponibili). Analizzando l'andamento temporale delle notifiche di Aids, si è passati da un caso del 1982 (il primo noto in Italia) ai 5.653 del 1995, con una crescita che è stata costante fino alla metà degli anni novanta. Dal 1996 si è assistito ad una riduzione dei nuovi casi, dapprima molto rapida e dal 2001 meno marcata. Rapportando i nuovi casi sulla popolazione residente (tassi di incidenza), le regioni più colpite nel 2010 sono state nell'ordine: Toscana, Lazio, Liguria, Lombardia ed Emilia-Romagna, con un gradiente Nord-Sud nella diffusione della malattia essendo meno colpite le regioni meridionali e insulari;
    nel biennio 2012-2013 si stima che in Italia i decessi annuali con Aids sono stati circa 645 (ultimi dati disponibili); complessivamente nel periodo 1983-2013 i decessi sono stati oltre 43 mila, con un andamento temporale simile a quello dei nuovi casi, ma il decremento dalla seconda metà degli anni novanta è stato molto più marcato per merito dell'introduzione della terapia antiretrovirale. Si è così passati dai primissimi decessi del 1983 ai 4.582 del 1995, con una crescita costante, dopo di che si è avuta una forte diminuzione fino ai valori attuali;
    il calo dei nuovi casi e dei decessi non è l'unico fenomeno che si è registrato nell'ultimo decennio. Vi sono stati numerosi altri cambiamenti che si sono potuti osservare grazie all'esistenza di sistemi di sorveglianza nazionali, regionali e provinciali dell'infezione da Hiv (cioè dello stato di sieropositività) che si affiancano a quelli della malattia conclamata (Aids). Tramite questi sistemi di monitoraggio epidemiologico, che operano con procedure rispettose della privacy, è stato possibile riconoscere con tempestività i cambiamenti che si sono verificati negli ultimi anni nelle caratteristiche di diffusione dell'Hiv e la maggior durata dello stato di infezione pre-Aids in seguito all'introduzione di nuove terapie farmacologiche;
    i cambiamenti principali nella diffusione dell'Hiv si possono così riassumere: riduzione dei nuovi casi (casi incidenti), riduzione dei decessi ed aumento dei casi viventi totali (casi prevalenti). Questi fenomeni sono dovuti solo in minima parte alla riduzione di nuove infezioni da Hiv (si sono stabilizzate negli ultimi anni), ma sono da mettere in relazione alla diffusione di nuove terapie farmacologiche ad alta efficacia, con conseguente aumento del tempo trascorso tra inizio della sieropositività e comparsa della malattia;
    nel 2008 è stato istituito il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv; le regioni si sono successivamente uniformate raggiungendo, nel 2012, la copertura completa del territorio italiano. Tuttavia, allo stato attuale, il registro delle nuove diagnosi di Hiv e il registro nazionale dell'Aids non sono unificabili, né compatibili, in quanto il flusso informativo, la scheda di raccolta dati e l'identificativo individuale sono diversi;
    il vero problema, attualmente, è che oltre la metà delle nuove diagnosi avviene molto tempo dopo l'avvenuta infezione, quando essa ha creato danni importanti al sistema immunitario degli individui, tali da consentire la comparsa di infezioni e tumori talvolta letali. Ed, infatti, basti considerare come, negli ultimi anni, sia aumentata la proporzione delle persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato, ignorando la propria sieropositività; pertanto, diminuiscono sensibilmente le probabilità di risposta positiva alle cure. Nel 2014, l'emersione dello stato di sieropositività al virus dell'Hiv è avvenuto principalmente per cause diverse dall'accesso volontario al test dell'Hiv; nello specifico, nel 26,4 per cento dei casi il test Hiv è stato eseguito per la presenza di sintomi correlati all'Hiv, e nel 12,9 per cento dei casi in seguito ad accertamenti per altra patologia o alla diagnosi di un'infezione sessualmente trasmessa; è un dato, ormai, sempre maggiormente confermato quello che riguarda la scoperta tardiva del proprio stato di sieropositività;
    a settembre 2016 è stato sottoscritto dagli Stati della regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità, l’« Action plan for the health sector response to Hiv in the Who European Region», sulla base delle evidenze che indicano una ripresa dell'infezione nell'area di pertinenza e che impegna i Paesi a dotarsi di strumenti e risorse per contrastare l'infezione; sulla base di tale documento, è stato presentato il «Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids» valido per il triennio 2017-2019, da pochi giorni inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in sede di Conferenza Stato-regioni;
    le terapie antiretrovirali hanno permesso di controllare la malattia, ma non tutti nel mondo hanno uguale possibilità di accedervi: solo 17 milioni di persone, che è comunque il doppio di quanti erano in cura nel 2010 (dati rapporto Unaids, Conferenza di Durban 2016); si registra, in Italia, una aumentata sopravvivenza dei sieropositivi e dei malati di Aids, grazie alla terapia antiretrovirale ad alta efficacia, che ritarda sensibilmente la comparsa di sintomi, allunga anche di molto la sopravvivenza e, soprattutto, migliora la qualità della vita dei pazienti con Aids conclamato. Delle circa 4.000 nuove diagnosi di infezione registrate ogni anno, oltre la metà è diagnosticata quando l'infezione è già in uno stadio avanzato. Un dato, quest'ultimo, che non accenna a diminuire nonostante ormai si sappia, ma evidentemente non abbastanza, quali comportamenti preventivi sia necessario tenere; secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, nel 2015, sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a un'incidenza di 5,7 nuovi casi di infezione da Hiv ogni 100.000 residenti;
    ma è soprattutto attraverso la prevenzione che si possono evitare i danni da Hiv prima e da Aids dopo; questo richiede intense campagne informative che raggiungano soprattutto i più giovani, ma non solo loro se si tiene conto dell'aumento dell'età nella insorgenza della malattia; prevenzione e trattamento permetterebbero di abbattere anche la spesa dello Stato, appesantita dal costo altissimo dei farmaci antiretrovirali, fra i più cari per la sanità pubblica. La prevenzione è fondamentale, anche perché la circostanza che vede la malattia diagnosticata in stato avanzato determina la circolazione di persone infette che possono aver trasmesso l'Hiv in modo inconsapevole, accrescendo così il numero totale dei contagiati;
    oltre alla prevenzione, quindi, la diagnosi precoce permette di controllare la malattia e di ottenere i migliori risultati possibili con le nuove cure disponibili. È pertanto necessario perseguire l'obiettivo di incrementare il sostegno alle persone con infezione da Hiv (riduzione dello stigma), sensibilizzare le persone ad eseguire il test per l'Hiv (prevenire nuovi casi) e, non ultimo, supportare le persone che tutti i giorni lavorano e studiano in questo ambito della medicina;
    il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e il sistema di sorveglianza dei casi di Aids costituiscono due basi di dati che vengono permanentemente aggiornate dall'afflusso continuo delle segnalazioni inviate al centro operativo Aids (Coa) dell'Istituto superiore di sanità (Iss) con l'obiettivo di avere un quadro aggiornato della frequenza e della distribuzione dei casi ossia quanta gente viva con l'Hiv e quante persone raggiungano lo stadio dell'Aids in Italia;
    nel mese di dicembre 2016, il Ministero della salute ha predisposto il piano nazionale contro l'Aids, sul quale ha espresso il parere il Consiglio superiore di sanità per poi passare al vaglio delle regioni per l'avallo definitivo e la concreta applicazione sul territorio. Tale piano si compone di una serie di obiettivi tra cui: la messa a punto e la realizzazione di modelli di intervento per ridurre il numero delle nuove infezioni; facilitare l'accesso al test per far emergere il sommerso; garantire a tutti l'accesso alle cure; favorire il mantenimento in cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento; migliorare lo stato di salute e di benessere delle persone che vivono con Hiv e Aids; coordinare i piani di intervento sul territorio nazionale; tutelare i diritti sociali e lavorativi delle persone che vivono con Hiv e Aids; promuovere la lotta allo stigma; promuovere l'informazione e il coinvolgimento attivo delle popolazioni a rischio,

impegna il Governo:

1) a prevedere specifici interventi di prevenzione, incluse campagne informative riguardanti le modalità di trasmissione dell'Hiv, adattandole all'età, alla cultura e agli stili di vita delle persone a cui si potrebbero riferire;
2) ad avviare campagne informative preventive, rivolte soprattutto alle popolazioni maggiormente vulnerabili all'Hiv per diffondere la cultura e la conoscenza delle patologie sessualmente trasmesse, ma anche per educare alle buone pratiche e alla prevenzione;
3) a promuovere iniziative di informazione e comunicazione sia verso i cittadini che nei confronti della classe medica affinché sia garantito il rispetto delle linee guida sulla gravidanza per quanto riguarda il test dell'Hiv;
4) ad assumere iniziative per incentivare la diffusione dei test atti a diagnosticare i virus dell'Hiv e dell'Hcv, favorendo un ulteriore, nuovo percorso finalizzato a consentire l'effettuazione di tali test anche al di fuori degli attuali, specifici contesti sanitari;
5) ad intraprendere le opportune iniziative di competenza per addivenire all'unificazione dei due sistemi di sorveglianza Hiv e Aids, con implementazione di una scheda di segnalazione, uniforme per tutte le regioni, da impiegare sia per la prima diagnosi di Hiv, che per la prima diagnosi di Aids;
6) ad assumere iniziative volte a reperire adeguate risorse per l'avvio del piano e per l'attuazione delle innovazioni contenute nel «Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids», che devono essere portate a compimento nel più breve tempo possibile.
(1-01614) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    la Camera dei deputati si è già più volte occupata dei fenomeni legati all'antibioticoresistenza, riprendendo il grido d'allarme delle organizzazioni sanitarie internazionali che mettono in guardia contro l'uso inappropriato delle terapie antibiotiche, che hanno l'effetto collaterale di selezionare un numero crescente di ceppi batterici resistenti, sempre più difficili da trattare con terapie specifiche e sempre più in grado di determinare gravi danni alla popolazione, in particolar modo in ambito ospedaliero o nei confronti degli individui defedati;
    l'Italia rappresenta uno dei territori europei a più alta criticità, per l'utilizzo inappropriato degli antibiotici e per la crescita del numero dei ceppi batterici resistenti;
    la lotta contro l'inappropriatezza prescrittiva prevede interventi di educazione culturale nei confronti della popolazione e dei sanitari prescrittori, nonché puntuali azioni di monitoraggio sulla catena del farmaco che consentano di misurare l'efficacia degli interventi messi in campo;
    l'approccio alla problematica non può peraltro essere circoscritto alla sola valutazione dell'appropriatezza dell'uso degli antibiotici nella terapia umana. Tali farmaci sono, infatti, utilizzati anche nel settore animale e vegetale per cui, oggi più che mai, è indispensabile un approccio « One health» al fenomeno, che consenta di garantire il corretto uso degli antibiotici e – più in generale – di tutti i farmaci che vengono regolarmente utilizzati per garantire la salute delle specie;
    la direttiva 2003/99 CE aveva già prospettato la necessità che gli Stati membri garantissero la raccolta e l'afflusso di dati comparabili relativi all'incidenza di casi di resistenza agli antibiotici (AMR);
    nel corso della seduta plenaria del Parlamento europeo dell'11 dicembre 2012, il tema della resistenza antimicrobica era stato nuovamente al centro del dibattito, determinando l'adozione di una relazione che accoglieva il Piano d'azione quinquennale sulla lotta alla resistenza antimicrobica;
    in data 12 novembre 2013, l'Unione europea adottava la decisione di esecuzione della Commissione 2013/652, «, relativa al monitoraggio e alle relazioni riguardanti la resistenza agli antimicrobici dei batteri zoonotici e commensali», che stabilisce regole dettagliate per il monitoraggio armonizzato e per le relazioni sulla resistenza antimicrobica (AMR);
    in Italia, il benessere animale è garantito da una forza di circa 6.500 veterinari pubblici del Servizio sanitario nazionale, a cui si devono aggiungere altre 1.500 figure professionali assunte in carico dalle regioni con più significativo patrimonio zootecnico. Tale struttura specialistica appare certamente congrua, in particolare se raffrontata con gli analoghi comparti pubblici presenti in Paesi europei con patrimonio zootecnico equiparabile al nostro (i veterinari pubblici sono circa 1.000 in Francia e meno di 1.500 in Germania);
    in Italia, i controlli sull'impiego dei farmaci veterinari vengono disposti sulla base del regolamento CE 882/2004 e prevedono la necessità di azioni di verifica e di vigilanza, la cui intensità è graduata in base al rischio, regolarmente monitorate per quanto attiene al loro effettiva attuazione e ai risultati che ne scaturiscono;
    i dati raccolti in questo modo dalle Asl vengono trasferiti ai servizi veterinari regionali che, sulla base del disposto dell'articolo 88, comma 3 del decreto legislativo 193 del 2006, trasmettono al Ministero della salute tutte le informazioni relative all'attività di commercio all'ingrosso e di vendita diretta, nonché i volumi di prescrizione registrati nelle singole aziende sanitarie locali. Tali dati vengono processati a livello ministeriale ai fini della programmazione di tutte le successive azioni di farmacovigilanza;
    tale attività di sorveglianza ha, dunque, importanza sia per la registrazione di eventuali interventi con farmaci di natura ormonale (o comunque non correlati con trattamenti terapeutici indispensabili), effettuati nel contesto degli allevamenti, sia per la diagnosi precoce e per il monitoraggio della evoluzione di eventuali malattie animali (in particolare a carattere epidemico), sia per la verifica dell'appropriatezza dei trattamenti farmacologici, per l'adeguatezza della cascata prescrittiva, per la corretta detenzione delle scorte farmacologiche e per la coerenza tra le esigenze degli allevamenti e la loro copertura sanitaria;
    in questo modo, le singole regioni sono considerate direttamente responsabili dei piani di farmacovigilanza animale, che devono peraltro essere portati ad omogeneità tra loro, attraverso l'osservanza delle linee guida europee e ministeriali; 
    in questo modo, vengono compilate vere e proprie classificazioni della «situazione di rischio», da cui discende la frequenza dei relativi controlli;
    tale mappatura del rischio è ovviamente estesa alle attività di deposito e di commercio all'ingrosso e al dettaglio di farmaci veterinari, per la valutazione della correttezza del loro operato e della puntuale adempienza agli obblighi di legge;
    di particolare importanza appare l'attività di vigilanza diretta negli allevamenti che utilizzano farmaci. Tale attività ispettiva appare sottoposta ad obblighi normativi codificati nel caso che gli allevamenti di animali destinati alla produzione di alimenti (DPA) siano autorizzati a detenere scorte farmacologiche di impianto, mentre discende dalla classificazione del rischio (alto/medio/basso) in tutti gli allevamenti non DPA o senza scorta di impianto;
    in Italia, secondo i dati riportati dalla «Relazione annuale al PNI 2015», gli allevamenti che dichiarano di far uso di scorte di medicinali zooiatrici (e sono pertanto soggetti a controlli con cadenza quanto meno annuale) sono appena lo 0,5-5 per cento del totale. Ciò significa che il 95-98 per cento degli allevamenti italiani dichiara di lavorare senza scorte di farmaci e non è pertanto soggetto a controlli annuali sulla tracciabilità farmacologica e sulla appropriatezza prescrittiva e somministrativa se non nella misura prevista del 33 per cento di controlli/anno;
    in particolare, soltanto il 5 per cento degli allevamenti bovini dichiara di detenere scorte farmacologiche e, per quanto attiene agli allevamenti di medio-grande dimensione (tra 50 e 500 capi), a fronte di 26.000 allevamenti censiti, appena 6.000 riferiscono di far uso di scorte;
    anche il rilievo del numero delle ricette veterinarie emesse segnala dati che appaiono meritevoli di approfondimento perché fanno sospettare un utilizzo del farmaco non completamente tracciato e riscontrato: le 6.000 aziende che denunciano l'utilizzo di scorte emettono circa 93.000 ricette l'anno, mentre le 250.000 aziende che non utilizzano scorte farmacologiche (molte delle quali, come abbiamo visto, di dimensioni medie o grandi) utilizzando appena 5.600 ricette l'anno;
    tali rilevazioni inducono a ritenere che le prescrizioni delle direttive europee e delle linee guida ministeriali non siano riscontrate con identica puntualità nel territorio del nostro Paese, mettendo a rischio i sistemi di vigilanza e misurazione che sono deputati a segnalare situazioni di allarme nel caso di utilizzo non corretto del farmaco veterinario;
    tale rischio vale, in particolare, per le prescrizioni di farmaci antibiotici che, secondo le linee guida ministeriali del 26 gennaio 2012, «devono essere somministrati esclusivamente ad animali ammalati o a rischio concreto di ammalarsi» mentre «la presenza di trattamenti preventivi, in assenza di diagnosi etiologica, idonei requisiti strutturali, adeguato management aziendale e rispetto del benessere animale non è giustificabile e potrebbe mascherare un uso degli antibiotici come “growth promoters”»;
    le stesse linee guida ministeriali impongono adeguati controlli anche presso gli impianti produttori di alimenti zootecnici medicati in quanto appare accertato che la cross-contamination dei mangimi con sostanze farmacologicamente attive possa risultare tra le cause che favoriscono la crescita dell'antibioticoresistenza;
    il numero dei veterinari pubblici operanti nel nostro sistema sanitario parrebbe comunque coerente a garantire un sistema di sorveglianza adeguato, mentre, effettivamente, attende una più puntuale definizione normativa la figura del veterinario aziendale ex decreto legislativo n. 117 del 2005, anche in ottemperanza al disposto del regolamento UE 2016/429;
    all'attività di controllo assegnata alle Asl e al sistema dei medici veterinari pubblici, si aggiunge quella esercitata dal Comando dei carabinieri per la tutela della salute, anch'essa finalizzata alla tracciabilità della filiera e al corretto uso del farmaco;
    le nuove frontiere della sanità elettronica rendono indispensabile la prospettiva della piena adozione della ricetta veterinaria elettronica, inserita nell'Agenda di semplificazione 2015-2017 («punto 5.11 – Azioni mirate in materia di sanità veterinaria e sicurezza degli alimenti tramite digitalizzazione»), con l'obiettivo della piena digitalizzazione della gestione dei farmaci veterinari e della completa tracciabilità della catena che va dalla prescrizione alla verifica dell'appropriatezza dell'uso sull'animale;
    l'utilizzo della ricetta elettronica veterinaria comporta la crescita di consapevolezza culturale dell'intero sistema e l'investimento di risorse economiche sia in tecnologia, che nella formazione del personale a cui sono affidate le attività di misurazione e di vigilanza;
    l'utilizzo del supporto informatico obbligatorio consentirebbe la piena tracciabilità del percorso del farmaco veterinario e, conseguentemente, l'emersione di una parte del sommerso prescrittivo e il superamento delle attuali discrasie nei controlli sulle aziende che dichiarano di utilizzare le scorte zooiatriche, rispetto a quelle che riferiscono di non farne uso;
    il sottosegretario Faraone, rispondendo recentemente ad una interrogazione in merito presso la XII commissione affari sociali della Camera ha dichiarato che è in fase di predisposizione il piano per la riduzione dell'utilizzo degli antibiotici e per la lotta contro l'antibioticoresistenza. Tale piano sarebbe in fase di elaborazione da parte di un gruppo di lavoro multidisciplinare che segue le indicazioni del WHO-Global Action Plan, con l'obiettivo stabilire obiettivi, azioni e indicatori di processo e di risultato per contrastare il fenomeno dell'antibioticoresistenza nel nostro Paese,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per avviare ogni possibile azione di omogeneizzazione su tutto il territorio nazionale delle attività di verifica della tracciabilità del farmaco veterinario e dell'appropriatezza del suo utilizzo, semplificando e rendendo più automatici ed efficaci i controlli sulle aziende di allevamento di animali destinati alla produzione di alimenti (DPA);
2) ad assumere iniziative volte ad implementare l'utilizzo della ricetta elettronica veterinaria, attualmente limitato a due-tre regioni italiane, con l'obiettivo della piena misurabilità della cascata del farmaco veterinario e dei fenomeni legati all'appropriatezza prescrittiva;
3) ad assumere iniziative per investire adeguate risorse nella formazione del personale veterinario e addetto alla catena dei controlli e delle verifiche del benessere animale, anche attraverso la miglior definizione dei ruoli e delle funzioni del veterinario aziendale nel sistema pubblico;
4) ad assumere iniziative per inserire i controlli sulla antibioticoresistenza animale nell'unico percorso di pianificazione e di sorveglianza che obbedisce alla filosofia « One health» e ha l'obiettivo di rispondere alle preoccupazione dell'Organizzazione mondiale della sanità che segnalano l'Italia tra i Paesi a maggior rischio di nuove epidemie legate alla diffusione ceppi batterici antibioticoresistenti.
(1-01615) «Vargiu, Monchiero, Oliaro, Galgano, Matarrese, Dambruoso, Menorello, Librandi, Palladino, Catalano».


   La Camera,
   premesso che:
    il «disciplinare tipo per il rilascio e l'esercizio dei titoli minerari per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale» del 7 dicembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2017, pone diverse questioni di legittimità rispetto alla disciplina legislativa di settore;
    alcune delle suddette questioni derivano da previsioni già recate dai precedenti «disciplinari» e mai impugnate dinanzi al giudice amministrativo quali, ad esempio, la definizione delle attività di prospezione, nel cui novero vengono oggi ricondotti espressamente anche i sondaggi geotecnici e quelli geognostici, e le finalità delle attività medesime, volte, secondo il disciplinare, ad accertare la natura del sottosuolo e del sottofondo marino; la questione delle proroghe ex lege per le società che avessero presentato istanza di proroga prima della scadenza del titolo abilitativo; la possibilità che il Ministero autorizzi «nuovi» progetti sperimentali di coltivazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, oltre quanto consentito dal decreto «sblocca Italia» e oltre quanto previsto, in relazione golfo di Venezia, dal decreto-legge n. 112 del 2008, come modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008;
    gli aspetti più discutibili della nuova disciplina tuttavia sono quello relativo alla partecipazione delle regioni interessate alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi e quello riguardante la possibilità che nelle aree poste entro le 12 miglia marine possano essere rilasciati titoli «connessi» al titolo abilitativo principale, non previsti dal programma dei lavori presentato prima del rilascio della concessione;
    è previsto che per tutti i titoli (vecchi titoli e titoli concessori unici), l'intesa della regione venga acquisita in conferenza di servizi, secondo le modalità definite dal decreto direttoriale, nelle cui more di approvazione, si applica quello del 15 luglio 2015, il quale però prevede che le regioni partecipino alla conferenza di servizi e che il decreto di conferimento del titolo sia rilasciato previa intesa con la regione interessata;
    la nuova disciplina prevede che l'intesa sia rilasciata persino, forse, per i vecchi titoli, unicamente in conferenza (articolo 3, comma 9, del decreto ministeriale) mentre in precedenza si stabiliva che il titolo concessorio unico fosse rilasciato «previa intesa con la regione territorialmente interessata o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano», lasciando supporre che, al di là della partecipazione di tutte le amministrazioni interessate al procedimento unico, l'intesa dovesse essere conseguita a conclusione del procedimento e prima dell'adozione del decreto;
    l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, stabilisce che nel golfo di Venezia sono vietate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e precisa che dette attività possano essere eventualmente autorizzate solo dopo aver accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste; in questo caso, l'autorizzazione deve essere rilasciata secondo le modalità ivi prescritte e «d'intesa con la regione Veneto». Il comma 1-bis del medesimo articolo 8, inserito dall'articolo 38, comma 10, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (così detto «Sblocca Italia»), come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, prevede, invece, che possano essere autorizzati progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti nel «mare continentale» «sentite le regioni interessate»; l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come detto, pertanto, continua a trovare applicazione alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione, che si volessero eventualmente autorizzare nel golfo di Venezia, alle condizioni ivi stabilite;
    relativamente al rilascio di nuovo titolo minerario, la nuova disciplina, pur ribadendo che il divieto di rilascio di nuovi titoli minerari entro le 12 miglia marine tuttavia consente alle società concessionarie di chiedere modifiche al programma dei lavori autorizzato al momento del rilascio della concessione, e cioè prima che la legge introducesse quel divieto;
    la legge n. 208 del 2015 ha modificato la disposizione contenuta nell'articolo 6, comma 17, del codice dell'ambiente, oggetto di referendum, che originariamente faceva salvi i titoli abilitativi già rilasciati (permessi e concessioni) ed anche quelli in corso, nonché quelli autorizzatori e concessori conseguenti e connessi;
    il Consiglio di Stato, in un parere del 2011, ha chiarito che con l'espressione «titoli connessi» si riferisce a titoli che si collegano al titolo abilitativo principale, come ad esempio l'autorizzazione per la costruzione di un «nuovo» pozzo e dunque, alla luce del divieto sancito dalla legge e del parere del Consiglio di Stato; ciò che è possibile fare è portare a termine il progetto originariamente presentato al momento del rilascio della concessione, provvedendo alla costruzione di piattaforme e pozzi prevista dal programma dei lavori a suo tempo presentato e autorizzato e non già costruire nuove piattaforme o nuovi pozzi entro l'area data a suo tempo in concessione;
    il decreto ministeriale, invece, stabilisce che «sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell'ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma lavori originariamente approvato dunque al momento del rilascio della concessione, avvenuta prima dell'entrata in vigore del divieto, funzionali a garantire l'esercizio degli stessi, nonché consentire il recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione»;
    il Ministero dello sviluppo economico, con un comunicato del 7 aprile 2017, ha precisato che si tratterebbe solo di attività operative di manutenzione, aggiornamento delle strutture, chiusura dei pozzi e rimozione delle piattaforme esistenti, ma è evidente che la finalità della previsione del decreto non è questa dal momento che lo stesso Consiglio di Stato nel parere citato ha precisato che le attività di esecuzione si considerano sempre (implicitamente) ammesse e che lo stesso articolo 15 del decreto dispone che la modifica al programma dei lavori è funzionale al recupero delle riserve accertate fino al completamento della coltivazione e le attività di chiusura dei pozzi e di rimozione delle piattaforme si collocano fuori dalla fase di coltivazione;
    i commi 2 e 3 dell'articolo 15 del decreto ministeriale dispongono, inoltre, che «sono sempre consentite le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente e le operazioni finali di ripristino ambientale» (appunto la chiusura dei pozzi e la rimozione delle piattaforme) e che «possono essere inoltre autorizzate» le «attività funzionali alla coltivazione, fino ad esaurimento del giacimento, e all'esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo necessarie all'esercizio»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per chiarire che i progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti nelle acque del golfo di Venezia devono essere autorizzati previa intesa con la regione Veneto in linea con quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008;
2) ad assumere iniziative per prevedere che l'intesa delle regioni sui titoli minerari sia data al termine del procedimento unico, di cui all'articolo 38, comma 6, lettera b) del decreto-legge n. 133 del 2014, prima dell'adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico e al termine dei lavori della conferenza di servizi;
3) ad assumere iniziative per prevedere che la modifica dei programmi dei lavori relativi alle concessioni entro le 12 miglia già in essere, non concerna piattaforme e pozzi non previsti dal programma originariamente presentato.
(1-01616) «Pellegrino, Segoni, Zaratti, Civati, Airaudo, Artini, Baldassarre, Bechis, Franco Bordo, Brignone, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Ferrara, Folino, Formisano, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Cristian Iannuzzi, Kronbichler, Andrea Maestri, Marcon, Martelli, Melilla, Mognato, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Stumpo, Turco, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   a norma del combinato disposto dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 804 del 1948 (ripristino Corpo forestale dello Stato), dell'articolo 5, comma 2, della legge n. 36 del 2004 (nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato) e dell'articolo 57, comma 1, lettera b) del codice di procedura penale, il personale del Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna (CFVA) che riveste la qualifica di ufficiale e agente polizia giudiziaria, dalla data del 17 gennaio 2017 risulta privo di tale qualifica per quanto concerne la tutela ambientale, intesa come polizia ambientale;
   fino al 31 dicembre 2016 l'operatività del personale del Corpo forestale di vigilanza ambientale nelle materie proprie del Corpo forestale dello Stato, era pacificamente confermata dall'esistenza stessa dell'amministrazione forestale statale che, per omologia, veniva sostituita in Sardegna dall'amministrazione forestale regionale;
   diverse sentenze della Corte di cassazione hanno legittimato per anni i vari atti di polizia giudiziaria eseguiti dal personale regionale senza discriminare l'attribuzione delle qualifiche tra personale del Corpo forestale dello Stato e del Corpo forestale di vigilanza ambientale (sent. n. 4491 del 19 giugno 2000 – sent. n. 3220 del 21 dicembre 2011);
   fino al 31 dicembre 2016 era evidente e ragionevole ritenere che l'amministrazione forestale della Sardegna esercitasse a mezzo del suo personale le funzioni di polizia giudiziaria in materia di polizia ambientale, in quanto al contrario avrebbe privato vaste parti del territorio statale di essenziali presidi di polizia giudiziaria;
   lo scenario cambia nel momento in cui dal 1o gennaio 2017, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 8, lettera a), della legge n. 124 del 2015 attuato con il decreto legislativo n. 177 del 2016, il Corpo forestale dello Stato cessa di esistere e le sue funzioni in materia di tutela dell'ambiente con buona parte del personale transitano nei ruoli della nuova polizia ambientale statale in seno all'Arma dei carabinieri, con collocazione nel neonato comando unità tutela forestale, ambientale e agroalimentare, presente su tutto il territorio nazionale (a differenza del Corpo forestale dello Stato), mentre il coordinamento antincendio boschivo passa in capo al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la polizia marittima in seno alla Guardia di finanza per ciò che riguarda il mare territoriale;
   risulta annullato il parallelismo tra Corpo forestale dello Stato e Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna;
   non esiste più alcun riferimento normativo, né parallelismo o omologia che sostenga e rafforzi l'attività di polizia giudiziaria del Corpo forestale regionale nella materia ambientale che risulterebbe, quindi, di competenza esclusiva dello Stato come previsto dal comma 2, lettera s), dell'articolo 117;
   l'articolo 8 della legge 124 del 2015 elimina teoricamente sovrapposizioni tra funzioni e strutture, ma non affronta e non risolve le questioni relative all'esistenza sui territori regionali, come nel caso della Sardegna, di Corpi forestali regionali ben organizzati e strutturalmente già preposti a svolgere a pieno i compiti anche di polizia giudiziaria;
   non è stata in alcun modo affrontata la questione relativa alla regione Sardegna dove rischiano la sovrapposizione strutture e funzioni esercitate dal personale delle stazioni forestali, delle basi navali e dei nuclei di polizia giudiziaria ambientale del Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna;
   devono essere valutati i diritti acquisiti dal personale Corpo forestale di vigilanza ambientale, salvaguardando le professionalità maturate fino ad oggi, l'unitarietà delle funzioni esercitate anche con consenso della magistratura, per dare continuità all'attività di polizia ambientale prevedendo la possibilità di riconoscere agli appartenenti al Corpo le qualifiche di polizia giudiziaria a norma dell'articolo 57, comma 2, del Codice di procedura penale facendo sì che la Polizia ambientale in Sardegna sia riconosciuta esclusivamente o prioritariamente nel Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna;
   il mancato accesso al sistema di indagine (SDI) per il Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna impedisce una spedita attività di contrasto alla criminalità, in particolare quella organizzata che lucra molto dagli illeciti ambientali ed agroalimentari;
   la Sardegna non potrà avere un'idonea difesa dai peggiori illeciti ambientali ed agroalimentari se non si potrà operare con le prerogative di polizia ambientale statale;
   un sistema integrato, con eventuale transito volontario di personale Corpo forestale di vigilanza ambientale verso l'Arma dei carabinieri e l'esistenza di un Corpo forestale di vigilanza ambientale con mansioni legate strettamente alle competenze regionali può assicurare una più che idonea protezione del territorio –:
   se non si ritenga di dover intervenire, anche attraverso iniziative normative, onde evitare il disimpegno forzoso di una risorsa fondamentale come il Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna;
   se non si ritenga di dover tempestivamente, anche attraverso iniziative normative urgenti, prima dell'imminente stagione antincendi, riconoscere formalmente al personale del Corpo forestale di vigilanza ambientale della regione Sardegna la qualifica a norma dell'articolo 57, comma 2, del Codice di procedura penale affinché non vi siano più dubbi sulle competenze, al fine di tutelare gli operatori Corpo forestale di vigilanza ambientale che da anni, seppur specializzati in campo ambientale e forestale, svolgono attività di polizia giudiziaria, evitando così pregiudizio a tutte le azioni di contrasto alla criminalità ambientale già in essere e quelle future, a partire dalla lotta agli incendi.
(2-01767) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni il Governo ha reiteratamente ridotto importanti risorse agli enti locali e intermedi della Sardegna;
   intese decisamente dannose per la regione Sardegna sono state sottoscritte dal 2006 ad oggi generando gravissime situazioni finanziarie con ricadute rilevanti nel sistema delle autonomie locali dell'Isola;
   con un comunicato ufficiale la regione Sardegna aveva annunciato un'intesa con il Governo sul recupero dei «tagli» maturati negli anni per le province e le città metropolitane;
   secondo questo comunicato la regione Sardegna dichiarava di aver raggiunto l'accordo con il Governo dopo diverse settimane di trattative;
   l'iniziale esclusione delle province sarde e della città metropolitana di Cagliari, già di per se gravissima sia sul piano politico che istituzionale, veniva dichiarata superata;
   il principio alla base di tale presunta soluzione, destituita di ogni fondamento, prevedeva che gli enti che partecipano al risanamento della finanza pubblica, come gli enti di area vasta della Sardegna, devono partecipare anche al riparto delle risorse per «calmierare» i tagli subiti in questi ultimi anni;
   l'intesa, dichiarata falsamente raggiunta, prevedeva che agli enti di area vasta dell'Isola saranno riconosciuti 20 milioni di euro per il 2017 e 30 milioni dal 2018;
   la regione aggiungeva pomposamente che il risultato raggiunto consentiva di mettere a regime 30 milioni di euro a partire dal prossimo anno, che saranno decurtati dai «tagli» introdotti con la legge di stabilità per il 2015;
   in realtà non esiste alcun atto del Governo che recepisca tale intesa;
   l'atteggiamento del Governo e quello della regione mettono in evidenza l'ennesima sottrazione di risorse ai danni della Sardegna, considerato che l'ammontare dei «tagli» alle città metropolitane e alle province della Sardegna risultava di oltre 100 milioni di euro;
   la vertenza relativa alle entrate, l'ennesima fallimentare trattativa con il Governo, non ha prodotto nessun beneficio e lo Stato si accingerebbe a restituire l'esigua somma di 10 milioni di euro per l'anno in corso e appena 20 milioni per i prossimi;
   il Governo ha sottratto alla Sardegna oltre 100 milioni di euro e dopo una «serrata» trattativa si restituiscono 10 milioni appena;
   tutto questo nonostante le sentenze della Corte costituzionale abbiano ripetutamente dichiarato incostituzionali quei «tagli» agli enti locali;
   a nulla sono valsi gli appelli reiterati ad impugnare tali atti del Governo compresi i provvedimenti attuativi dei tagli agli enti locali della Sardegna;
   il risultato è catastrofico: sono stati sottratti oltre 100 milioni di euro e se ne restituiscono appena 10 –:
   se non ritengano di dover immediatamente assumere iniziative al fine di restituire alla regione Sardegna le risorse sottratte per il governo degli enti locali, anche in considerazione di accresciute difficoltà economiche gestionali legate proprio a questi «tagli» indiscriminati ai bilanci comunali;
   se risponda al vero che sia stata sottoscritta un'intesa con la regione Sardegna che prevede una restituzione di 20 milioni di euro per il 2017 e 30 milioni di euro per i successivi anni a partire dal 2018;
   se, quando e come ritengano di doverla eventualmente attuare e con quali risorse.
(2-01768) «Pili».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   META. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) ha incaricato la società immobiliare «Yard» s.r.l. di gestire i rapporti di locazione degli immobili di sua proprietà;
   nei mesi scorsi, la «Yard» s.r.l., nella sua qualità di asset manager dell'Ordine, ha inviato una lettera raccomandata con avviso di ricevimento agli inquilini dei citati immobili, siti in diversi quartieri della Capitale, proponendo loro la stipula di un nuovo contratto ad uso abitativo in linea con gli attuali parametri di mercato;
   la proposta di rinnovo ha causato preoccupazione e disagio nella maggioranza degli inquilini, quasi tutti pensionati a basso reddito, che abitano da lungo tempo negli immobili interessati e che hanno finora pagato un canone calmierato, anche in considerazione delle condizioni di vetustà delle abitazioni condotte;
   le condizioni di rinnovo proposte in modo generalizzato, nell'interesse unilaterale dell'Ordine proprietario, risultano ostative per i più e rischiano, pertanto, di produrre, in breve tempo, la risoluzione dei contratti di locazione con un numero di sfratti insostenibile sia per gli interessati sia per la città, già provata dall'emergenza abitativa;
   gli inquilini coinvolti stanno dando vita ad un comitato che ne rappresenti le esigenze presso l'Ordine e chiedono una interlocuzione che sia utile a sostenerne le ragioni e le difficoltà nei confronti della istituzione religiosa proprietaria, perché consideri e si faccia carico delle conseguenze della decisione assunta –:
   se il Governo sia a conoscenza delle circostanze rappresentate;
   se, considerato l'impatto sociale della situazione rappresentata, non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per evitare pesanti conseguenze anche sotto il profilo dell'ordine pubblico, favorendo un tavolo di confronto al quale partecipino i rappresentanti dell'Ordine di Malta, i sindacati nonché il comitato degli inquilini coinvolti, al fine di verificare la possibilità di una soluzione concordata per la gestione dei rinnovi contrattuali.
(5-11210)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni di luglio 2015 un traliccio radiofonico di oltre 100 metri è stato installato a Padova (località Terranegra) nel cuore del quartiere Forcellini, a ridosso del centro abitato, nel quale sono presenti alcune strutture scolastiche;
   a difesa della salute dei cittadini un comitato spontaneo di oltre 100 cittadini, costituitosi successivamente nell'Associazione tutela ambiente salute Padova, ha attuato molteplici iniziative per contrastare il progetto, tra cui una protesta pubblica che, nel settembre 2015, mobilitò oltre 500 persone, raccogliendo circa 7.000 firme contro l'installazione; a seguito della quale, l'allora sindaco Bitonci propose lo spostamento del traliccio nella zona industriale della città, individuando un'area dell'Interporto e dichiarando l'esistenza di una lettera di intenti; all'atto pratico, però, non risulta sia stata mai attivata alcuna trattativa con il proprietario del traliccio;
   nell'ottobre 2015 il Comitato presentò, inoltre, un ricorso al Tar con le seguenti motivazioni:
    l'autorizzazione del comune di Padova fu maturata per silenzio assenso con erronea applicazione dell'articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003 (codice delle comunicazioni);
    quanto ai pareri espressi da Arpa Veneto: violazione di legge con riferimento all'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003; eccesso di potere per carenza di istruttoria, erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, perplessità e contraddittorietà;
   la recente sentenza del Tar Veneto (febbraio 2017) respinge il ricorso e rigetta entrambe le motivazioni;
   la possibilità di ricorrere presso il Consiglio di Stato è stata scartata da parte del Comitato cittadino per l'impossibilità di sostenere i costi previsti;
   in un recente articolo (sabato 22 aprile 2017) il Mattino di Padova riporta le dichiarazioni di esponenti del Comitato cittadino che denunciano la disponibilità data da parte del Consorzio Zip (partecipato da comune, provincia e camera di commercio) ad una compagnia telefonica per piazzare un'antenna di telefonini sull'argine di Terranegra, esattamente su un terreno adiacente a quello che l'ente S.P.E.S. (Servizi alla persona educativi e sociali) aveva affittato per un traliccio radiofonico, zona nella quale sono già presenti due tralicci di telefonia mobile e numerosi pannelli wi-fi;
   quindi, in una località densamente abitata del comune di Padova, che ospita strutture scolastiche, sono installati due tralicci per stazione radiobase (Wind e Vodafone) e la torre traliccio per la diffusione di sistemi di radiodiffusione (radio Gelosa e Piterpan) alle quali si aggiungerà presto una nuova antenna (concessione Consorzio Zip);
   la recente sentenza del tribunale di Ivrea riconosce il legame causale tra un tumore al cervello e l'uso di un telefono cellulare, confermando i rischi derivanti dalla vicinanza alle onde elettromagnetiche;
   si ricordano inoltre la perizia epidemiologica di ottobre 2010 del tribunale penale di Roma che dimostra la correlazione tra l'esposizione alle onde elettromagnetiche e l'aumento di leucemie e linfomi nei bambini fino a 14 anni che abitano a ridosso degli impianti di Cesano (Radio Vaticana) e l'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro, che ha classificato, nel 2011, le radiofrequenze come possibili cancerogeni per l'uomo;
   appare all'interrogante che l'interesse economico di enti pubblici o a partecipazione pubblica abbia la precedenza rispetto alla salute dei cittadini;
   le numerose sentenze contrastanti rivelano una ambiguità delle norme vigenti, che si prestano a differenti interpretazioni, mettendo spesso in secondo piano la salute dei cittadini. In questi casi, l'ambito discrezionale dovrebbe essere ridotto al minimo –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere la normativa in materia, anche prevedendo modifiche all'istituto giuridico del silenzio assenso, in un'ottica di maggior tutela della salute pubblica;
   se non ritenga urgente, in attesa di risposte certe sui rischi derivati dalla presenza di più tralicci in una stessa area abitata, promuovere, coinvolgendo l'Istituto superiore di sanità, uno studio epidemiologico nella zona interessata, a tutela della salute della popolazione coinvolta. (4-16398)

AFFARI REGIONALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro per gli affari regionali, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale della Campania n. 6 del 2016, al comma 3 dell'articolo 22, dispone: «Alla luce delle risultanze delle analisi sull'incremento delle patologie tumorali in una zona della Regione Campania svolte, ai sensi dell'articolo 1, comma 1-bis della legge n. 6 del 2014, dall'Istituto Superiore di Sanità, la struttura amministrativa competente in materia di salute e sicurezza alimentare della Regione Campania, in raccordo con le A.S.L. e le A.O. dei territori interessati, entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, attiva, esclusivamente sulla base degli indirizzi del Commissario di governo per la prosecuzione del Piano di rientro dal disavanzo del Settore sanitario, i percorsi previsti dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per gli Accordi di Programma Quadro, affinché la Regione Campania d'intesa con il Governo ed i Comuni interessati definisca idonee, legittime e concrete risposte ai bisogni dei territori coinvolti prevedendo, per quanto possibile, l'istituzione di un “Polo Oncologico PluriTerritoriale” con la riallocazione dell'Ospedale “Sant'Alfonso Maria dei Liquori” di Sant'Agata dei Goti (BN), la rinaturalizzazione delle Aree Agricole a Rischio Ambientale, il riconoscimento di un marchio di Sanità Regionale per la tutela delle produzioni agro-zootecniche-alimentari e del pescato»;
   la Camera dei deputati, con l'ordine del giorno 9/03119-A/011 del 18 febbraio 2016, ha impegnato il Governo ad «attivare un “Accordo di Programma Quadro” (...) tra il Dipartimento della Salute e della Sicurezza Alimentare della Regione Campania, le Aziende Sanitarie Locali, le Aziende Ospedaliere dei territori interessati ed i comuni della Terra dei Fuochi, il quale preveda specifiche azioni capaci di meglio tutelare la salute e lo sviluppo delle aree interessate»;
   con decreto n. 30 del 28 aprile 2016, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della regione Campania n. 27 del 2 maggio 2016, il commissario ad acta per la sanità, contrariamente a quanto da lui stesso rilevato al punto 10.6 del piano ospedaliero, ha stabilito «di Proporre la rimozione del comma 3 dell'articolo 22 della legge regionale n. 6/2016» e, contestualmente, ha disposto «la sospensione dell'efficacia dei provvedimenti assunti in forza delle disposizioni della legge regionale n. 6/2016 individuate come contrastanti con il Piano di Rientro, sino alla necessaria modifica o abrogazione ad opera dei competenti organi regionali»;
   a giudizio dell'interrogante il commissario ad acta, utilizzando la via amministrativa, ha di fatto rimosso la norma di una legge regionale, eccedendo nei propri poteri, pure se questa non incide in alcun modo sui conti del servizio sanitario regionale, trattandosi di atto programmatorio;
   il Consiglio dei ministri, il 31 maggio 2016, ha deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale taluni provvedimenti normativi, inseriti nella legge regionale n. 6 del 5 maggio 2016, tra cui non risulta il citato comma 3 dell'articolo 22 della legge regionale n. 6 del 2016 che prevede la definizione di un accordo di programma quadro tra Governo, la regione Campania ed i comuni, e tale assenza, ad avviso dell'interrogante, può essere interpretata come la conferma e la piena legittimità della norma richiamata –:
   se siano a conoscenza della situazione e delle problematiche descritte;
   quali iniziative intendano assumere, per dare risposte immediate e concrete alle comunità campane, alle loro paure ed alle loro speranze;
   se, a fronte della piena legittimità e vigenza dell'articolo 22, comma 3, della legge regionale n. 6 del 2016, si intenda sostenere la realizzazione di un accordo di programma quadro tra Governo, regione e comuni;
   in quali tempi il Governo intenda procedere all'attuazione del citato ordine del giorno 9/3119-A011 approvato dalla Camera dei deputati in Assemblea il 18 febbraio 2016;
   se intendano assumere tempestivamente iniziative per l'attivazione di uno specifico «tavolo di confronto», per un accordo di programma quadro nel senso sopra richiamato, tra i rappresentanti del Governo, della regione Campania e dei comuni interessati. (5-11216)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE e GALGANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   anche l'Umbria ha scoperto, dopo anni, l'esistenza di una «Valle dei fuochi»: l'area interessata è una vasta porzione della Valnestore, localizzata intorno alla vecchia centrale di Pietrafitta, dove sono stati interrati rifiuti solidi urbani, coperti poi dalle ceneri di risulta della combustione di lignite, nascosti in superficie dalla vegetazione;
   stando alle analisi compiute dall'Arpa, l'Agenzia regionale di protezione ambientale, in 108 punti dei terreni della zona in questione, è stata accertata la presenza di sostanze altamente inquinanti come fanghi di scarti industriali e trielina;
   la «Valle dei fuochi» è stata anche al centro della visita della commissione bicamerale d'inchiesta arrivata in Umbria, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in regione;
   altro aspetto relativo all'inquinamento della Valnestore attiene all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni: la mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), tra il 2004 e il 2011, per il territorio compreso tra Pietrafitta, Tavernelle (Panicale) e Piegaro, mostra in rosso l'insorgenza di nuovi casi;
   al momento, tuttavia, è impossibile stabilire una correlazione diretta tra i nuovi casi di tumore e i fattori ambientali ma è altrettanto difficile da smentire;
   sulla «Valle dei fuochi» è stata aperta un'indagine dalla procura di Perugia e dai dati trapelati è emerso che nei pozzi della zona la quantità di arsenico è di 19,8 microgrammi per litro d'acqua quando il limite è pari a 10;
   l'ex centrale Enel di Pietrafitta, da cui negli anni sono arrivate le ceneri poi interrate nella zona, è stata acquistata dalla Valnestore Sviluppo con l'idea di crearvi un polo di eccellenza sulle energie rinnovabili mai realizzato;
   intanto, aumenta la preoccupazione dei cittadini e si moltiplicano le adesioni al comitato «Soltanto la salute» pronto a mettere in campo anche analisi private sullo stato dell'ambiente del Valnestore –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per avviare analisi tempestive e approfondite in modo da delimitare l'area oggetto del grave danno ambientale e rilevare il grado di tossicità delle falde provvedendo alla messa in sicurezza dei siti contaminati e per favorire l'introduzione di procedure di controllo e vigilanza sul ciclo del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, onde evitare il ripetersi di tali episodi altamente pericolosi per la salute dei cittadini.
(5-11217)


   MANNINO e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la riserva naturale orientata «Torre Salsa» è un'area naturale protetta di 762 ettari che si estende tra Siculiana Marina ed Eraclea Minoa in provincia di Agrigento, istituita dalla regione siciliana ed affidata in gestione al WWF Italia;
   ricade all'interno di un SIC (ITA040003) presso il comune di Siculiana;
   con deliberazione della giunta comunale n. 21 del 10 marzo 2016, l'amministrazione di Siculiana ha approvato il progetto per la realizzazione di una «struttura turistico-ricettiva, ADLER mare spa-resort e centro benessere» da realizzarsi in contrada Torre Salsa;
   con provvedimento finale Suap n. 2 del 24 gennaio 2017, il comune di Siculiana ha autorizzato la realizzazione delle opere e degli interventi di cui al progetto de quo;
   la struttura turistica nascerà in contiguità con i terreni della riserva di Torre Salsa, ed in parte all'interno della fascia di rispetto del SIC;
   occorre evidenziare come alcuni pareri/nulla osta acquisiti durante la fase istruttoria del progetto (parere U.T.C. conformità urbanistica prot. 8579 del 25 ottobre 2011, parere ASP prot. 10535 del 6 novembre 2011, parere assessorato regionale risorse agricole ed alimentari prot. 9521 del 2 dicembre 2011) siano risalenti nel tempo e a giudizio degli interroganti non più idonei ad assolvere la funzione rispetto alla quale sono stati rilasciati e suscettibili essere considerati privi d'efficacia;
   si sottolinea che, pur non potendo imprimere ad un'area una condizione giuridica di inedificabilità assoluta solo perché la stessa sia inclusa in siti di importanza comunitaria e in zone di protezione speciale – Consiglio di Stato, sentenza n. 892, dal 25 febbraio 2014 – qualsiasi intervento che degradi integralmente o parzialmente l’habitat per la cui conservazione è stata individuata l'area protetta ben potrà essere precluso;
   ad avviso degli interroganti, le opere e gli interventi previsti nel progetto per la realizzazione del resort in questione possono senz'altro configurarsi – anche per una apposita segnalazione da inoltrare alla Commissione europea – quali impatti ed attività che incidono, in maniera significativa e negativa, sulla conservazione e sulla gestione del sito, il quale può essere leso non soltanto per effetto di attività dirette su quest'ultimo ma anche nell'ipotesi di minacce e pressioni che si verifichino finanche nelle immediate vicinanze dello stesso, ma che siano, tuttavia, idonee a comprometterne, totalmente o parzialmente, l'integrità –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare la compatibilità ambientale del progetto, richiamato nelle premesse, con il sito di importanza comunitaria nel quale è situata la riserva di Torre Salsa. (5-11218)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Roma-Fiumicino, è il più grande aeroporto internazionale italiano per numero di passeggeri;
   il 31 ottobre 1997 è stato emanato il decreto del Ministro dell'ambiente, che assegna ad Enac il potere di istituire per ogni scalo aereo una commissione aeroportuale;
   tra i compiti assegnati a detta commissione vi è quello di definire nell'intorno aeroportuale i confini delle tre aree di rispetto A, B, C, all'interno delle quali vengono identificati limiti acustici;
   il decreto ministeriale 2 dicembre 1999 prevede che le zone di rispetto negli aeroporti debbano essere stabilite mediante la predisposizione preliminare di una «impronta acustica» rappresentativa dei livelli di valutazione del rumore (LVA) generati dall'aeroporto sul territorio circostante, sulla base del calcolo di curve isolivello di rumore elaborate con l'ausilio di modelli matematici, validati dall'Ispra;
   nell'ambito di alcune commissioni aeroportuali, come quella per l'aeroporto di Fiumicino, si è provveduto a definire la zonizzazione acustica attraverso un'interpretazione «semplificata» della norma, che ha portato a determinare i confini delle zone A, B e C utilizzando direttamente l'impronta acustica, in cui le curve di isolivello acustico di indice LVA vengono identificate esattamente con i confini delle suddette zone; tale interpretazione, non analizzando il territorio compreso nell'impronta acustica, può comportare una significativa presenza di edifici residenziali in zona B, in contraddizione con la definizione data dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997, per la quale nella zona B non devono essere presenti edifici abitati;
   tale metodo risulta in contrasto con quanto affermato dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997 e dal successivo decreto ministeriale del dicembre 1999, ove si prevede che i confini delle aree di rispetto debbano essere definiti tenendo conto del piano regolatore aeroportuale, degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti e delle procedure antirumore adottate;
   tale criterio «pianificatorio» della zonizzazione, consentirebbe l'adozione delle procedure antirumore previste, e la predisposizione, da parte delle società di gestione aeroportuali, dei piani di risanamento previsti dalla vigente normativa –:
   se non si intenda disporre, per quanto di competenza, una verifica sulla validità dell'attuale zonizzazione acustica aeroportuale dello scalo di Roma-Fiumicino ed eventualmente investire la commissione aeroportuale affinché venga adottata una nuova zonizzazione acustica dell'aeroporto, redatta mediante l'applicazione del criterio «pianificatorio», in modo da poter definire le aree dove sia stimato o rilevato il superamento dei limiti previsti e dove emergono le criticità acustiche vigenti e dalla quale scaturiscono gli eventuali piani di risanamento da porre in essere. (5-11219)


   PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017, poche ore prima della notifica formale della delibera di giunta regionale che ingiungeva la chiusura del Cova di Viggiano, l'Eni comunicava di avere attivato le procedure tecniche di fermo dell'impianto;
   in data 2 marzo 2017 i sottoscritti, interrogando il Governo in Commissione ambiente, avevano denunciato che, sulla base delle sole notizie diffuse dalla stampa regionale e non smentite da Eni e regione Basilicata, nel mentre l'attenzione degli organi di informazione era distratta dalle «macchie» affiorate nella diga del Pertusillo, un silenzio colpevole aveva avvolto il ben più grave sversamento di una miscela di idrocarburi e metalli che, causata da una perdita di un serbatoio del Cova, minacciava di raggiungere la falda acquifera. Probabilmente il medesimo fluido oggi ufficialmente rilevato a poche centinaia di metri da un emissario del fiume Agri, cioè a poco meno di 2 chilometri dal bacino idrico del Pertusillo (che serve per usi potabili Puglia, Calabria e Basilicata);
   i fenomeni denunciati fanno seguito a rilevazioni altrettanto allarmanti, risalenti al 2012-2013 (operate anche dall'ARPAB) a fronte delle quali Eni aveva sempre negato ogni responsabilità e di cui la regione aveva sempre minimizzato la portata –:
   quali iniziative di competenza abbia inteso attivare il Ministro interrogato, almeno a far data dal momento in cui ha avuto formale cognizione del rischio concreto di disastro ambientale, in conformità alle funzioni di vigilanza e controllo, monitoraggio ed ispezione ad esso attribuite dall'articolo 29-decies, comma 7, del decreto legislativo 152 del 2006 (codice dell'ambiente). (5-11220)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   l'ENIT – Agenzia italiana del Turismo, seppur trasformata in ente pubblico economico, continua ad essere, secondo gli interpellanti, un ente inefficiente, dalla gestione opaca e dispendiosa;
   innanzitutto, si rileva il modello organizzativo, attualmente applicato in ENIT, non corrisponde a quello assentito dal Ministero vigilante (in base all'apposita delibera commissariale n. 19 del 2015) e prevede posizioni/profili dirigenziali difformi dalla pianta organica originariamente stabilita;
   inoltre, detta pianta organica non risulta pubblicata sul sito istituzionale dell'ENIT; la nomina dei dirigenti – seppure sia avvenuta sulla base di deliberati del consiglio di amministrazione – non ha seguito secondo gli interpellanti procedure corrette in termini di trasparenza, relativamente ai criteri applicati, alle modalità di valutazione ed ai soggetti responsabili. La pubblicità data alle selezioni è stata minima (una piccola news su una pagina di terzo livello del sito, nessun quotidiano, nessun altro canale) e, ad ulteriore dimostrazione della carenza della procedura, emergono seri dubbi sulla imparzialità della stessa, laddove i candidati prescelti sono risultati essere in rapporti consolidati con gli organi dell'ente e/o con il Ministero vigilante;
   inoltre, è stato verificato un grave difetto di trasparenza in quanto i curricula dei nuovi dirigenti non sono caricati nella sezione «amministrazione trasparente» del sito web dell'Enit;
   sul piano generale, poi, risulta disatteso il dettato della legge di riforma dell'ENIT in materia di invarianza della spesa, giacché con la riorganizzazione dell'ente vi è stato un incremento del numero complessivo di dirigenti a carico del bilancio dello Stato, considerando che agli originari 9 (trasferiti ad altri uffici pubblici) si sono aggiunti i 3 neo-assunti e che tutti – indipendentemente dalla loro allocazione – rimarranno in via permanente una voce di costo nei capitoli di spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   nonostante le assunzioni di personale dirigenziale, decise dal consiglio di amministrazione dell'ente nel corso del 2016, emerge a giudizio degli interpellanti una diffusa incapacità operativa e gestionale, che si riflette costantemente sul raggiungimento/perseguimento degli obiettivi. Il profilo giuridico dell'ENIT, quale ente pubblico (ancorché economico) ha importanti implicazione per ciò che riguarda le politiche del personale, cioè in materia di assunzioni, dotazioni organiche, trattamento economico, contenimento della spesa, procedure di selezione e altro. Inoltre, un'amministrazione pubblica ha l'obbligo di rispettare i principi stabiliti dalla legge in termini di trasparenza, pubblicità ed imparzialità, nonché quelli riferiti all'ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, la cui infrazione pone a serio rischio la validità dei contratti stipulati;
   l’iter, individuato da ENIT per procedere alle nuove assunzioni, appare piuttosto controverso. Seppure l'ENIT non avesse l'obbligo di applicare la disciplina che regola il reclutamento del personale negli enti pubblici (come invece richiede la stringente interpretazione giurisprudenziale, soprattutto della Corte dei conti) e abbia quindi adottato una procedura di selezione diversa dal «concorso pubblico» usualmente inteso, tuttavia l'articolo 18 del decreto legislativo n. 112 del 2008 prescrive comunque l'inderogabile applicazione dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità;
   gli avvisi del bando di assunzione non risultano apparsi su alcun quotidiano, come nessuna iniziativa risulta intrapresa dall'ente per garantire la massima diffusione e partecipazione alla selezione. Secondo una consolidata giurisprudenza e secondo le indicazioni comunitarie, pubblicare l'avviso solo sul sito è ritenuto assolutamente insufficiente;
   riguardo al rispetto dei principi di trasparenza, nel bando è stata citata una delibera dell'ENIT (in merito alla commissione concorsuale) non presente né consultabile sul sito istituzionale dell'ente, al pari di tutti gli altri atti assunti, la cui pubblicazione nell'area trasparenza risulta essere stata completamente omessa;
   quanto al criterio di imparzialità, si rileva come il bando consenta alla commissione concorsuale di utilizzare soggetti «terzi», contravvenendo in primis al regolamento di organizzazione dell'ente (che in tali procedure obbliga ad avvalersi di personale interno in possesso di adeguato livello contrattuale) e facendo emergere forti dubbi circa la genericità di siffatta previsione (che espone al rischio di rilevanti opacità e alterazioni dei risultati);
   le anzidette perplessità sono corroborate da un'altra previsione contenuta nel bando, riguardante l'assegnazione di un punteggio all'esito del colloquio (quantificato entro un limite massimo di 40 punti) senza che sia accompagnato dall'indicazione di alcuna griglia di valutazione o di criteri puntualmente definiti;
   non sono state previste prove scritte, a beneficio di una maggiore trasparenza ed imparzialità delle procedure selettive;
   non viene regolato il caso in cui, all'esito della selezione, possa determinarsi la parità di punteggio tra più candidati, situazione eventuale ma quanto mai possibile, atteso l'elevato numero di domande presentate;
   non è prescritta la pubblicazione dei verbali dei lavori di selezione, neppure quelli in base ai quali si decide l'ammissione al colloquio, prevedendosi altresì un termine ridottissimo (3 giorni) per presentare ricorso avverso gli esiti delle valutazioni, assolutamente incompatibile con una procedura di accesso agli atti, che richiederebbe molto tempo in più;
   si rammentano anche le posizioni critiche espresse dalla Corte dei conti in relazione ai regolamenti sulle assunzioni e sulle missioni nel 2016;
   a quanto pare una gestione così fallimentare dell'Enit non fa altro, a giudizio degli interpellanti, che confermare la dicitura di ente inutile o meglio «carrozzone»; a conferma di ciò si ricorda una lettera spedita da dipendenti e dirigenti dell'ente all'ex Presidente del Consiglio pro tempore Matteo Renzi nella quale chiedevano di essere accorpati all'Ice, l'Istituto per il commercio estero, e di farlo il più rapidamente possibile –:
   di quali informazioni sia in possesso il Governo sui fatti su descritti e quali siano i suoi orientamenti;
   se intenda adottare iniziative al fine di ottimizzare la governance dell'Ente e rendere trasparenti e chiare procedure di assunzione, gare, missioni e retribuzioni;
   come ritenga di garantire che Enit possa continuare a essere l'ente di promozione del turismo italiano in quanto fino ad oggi sta danneggiando l'immagine turistica del Paese nei confronti della stampa estera e degli operatori internazionali, oltre a creare un possibile danno di natura economica.
(2-01771) «Fantinati, Vallascas, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Crippa, Cecconi».

Interrogazione a risposta immediata:


   COSCIA, BONACCORSI, PICCOLI NARDELLI, ASCANI, BLAZINA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, IORI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, PES, RAMPI, ROCCHI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   la sindaca di Roma Virginia Raggi in una conferenza stampa del 21 aprile 2017 ha preannunciato ricorso da parte dell'amministrazione capitolina contro il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 12 gennaio 2017, che ha istituito il Parco archeologico del Colosseo, e del conseguente decreto direttoriale del 27 febbraio 2017 con cui è stata indetta la selezione pubblica internazionale per il conferimento dell'incarico di direttore del Parco;
   in particolare, la sindaca Raggi, nel preannunciare il ricorso, ha lamentato che l'atto organizzativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – a suo dire – sarebbe «lesivo degli interessi di Roma Capitale» e produrrebbe una forte diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato destinate alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della Città di Roma;
   come noto, la legge di bilancio per il 2017 (legge 11 dicembre 2016, n. 232) ha previsto, all'articolo 1, comma 432, l'adeguamento delle due soprintendenze speciali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura di cui all'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014, così completando la riforma del Ministero avviata nel 2014;
   in attuazione di tale disposizione è stato adottato il citato decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 12 gennaio 2017 –:
   quali elementi di informazione intenda fornire sulla questione, con particolare riferimento alla salvaguardia degli interessi e delle competenze del comune di Roma Capitale. (3-02985)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 83 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2014, all'articolo 10, comma 5, ha previsto l'emanazione di un decreto da parte del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, finalizzato ad aggiornare gli standard minimi ed uniformi, in tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche;
   operatori turistici ed utenti, a quasi tre anni dall'entrata in vigore della legge, sono ancora in attesa della pubblicazione del decreto in questione;
   la relazione sull'attività relativa al 2015 di Federalberghi ha riportato come l'abusivismo sia proliferato in modo indiscriminato, dando luogo a fenomeni di concorrenza sleale e danneggiando tanto le imprese turistiche tradizionali, quanto gli imprenditori che gestiscono le nuove forme di accoglienza rispettando le regole;
   dal 2 al 4 Aprile 2017, a Milano, si è svolta la Bit, la Borsa internazionale del turismo, tra le principali fiere tematiche del settore, durante la quale vengono promossi incontri tra operatori turistici, acquirenti, aziende di promozione turistica e professionisti del comparto;
   Key4biz ha pubblicato un intervista di Alex Kornfeind, Strategy Marketer, a Marco Bianciardi, presidente di Federalberghi Siena e vicepresidente vicario di Federalberghi Toscana, relatore del dibattito «Destinazione turistica e abusivismo»;
   Kornfeind, nel sottolineare come l'abusivismo ricettivo emerga soprattutto grazie alla pubblicazione, da parte degli organi di stampa, di inchieste condotte dalle forze dell'ordine «in merito alle evasioni fiscali di centinaia di appartamenti e bed and breakfast nelle destinazioni a maggiore attrattività turistica», ha chiesto a Bianciardi chiarimenti sulla proliferazione del fenomeno, soprattutto in un'epoca dove le tecnologie dovrebbero essere d'aiuto;
   secondo Bianciardi, nell'abusivismo, la tecnologia ricopre un duplice ruolo. Il primo aspetto è caratterizzato dalla presenza di siti dedicati al settore dell'ospitalità, che conferiscono agli utenti uno strumento tecnologico potente e di facile gestione, ma che, grazie all'anonimato assicurato da molti portali, hanno permesso a molte strutture di svolgere l'attività senza autorizzazione;
   il secondo aspetto riguarda l'utilizzo delle piattaforme per identificare e far emergere il problema;
   per il presidente di Federalberghi Siena, «in questo caso il difficile non è interfacciare il data base web disponibile con il data base ufficiale delle varie realtà ricettive e da lì capire subito chi esercita l'attività regolarmente e chi no, ma riuscire una volta identificata la struttura ricettiva che esercita l'attività in maniera irregolare a dichiararla tale», in quanto risultano assenti delle regole condivise per fermare l'abusivismo dilagante;
   Bianciardi, infine, ha ribadito l'assenza di controlli nel settore. Queste mancanze agevolano la concorrenza sleale delle strutture abusive e recano un danno significativo all'economia italiana, alla qualità dei servizi erogati e a coloro che esercitano le attività ricettive in maniera regolare;
   per questo motivo, occorrerebbe individuare «una struttura organica atta al controllo, che vigili costantemente sulle attività ed esegua maggiori accertamenti possibili sulla qualità del servizio offerto, oltre che sulla validità di poter o meno esercitare l'attività. Il lavoro è lunghissimo e pieno di ostacoli, la legge che regolamenta il turismo è demandata alle regioni per cui ogni regione legifera a modo suo, anche questo non aiuta nessuno né il comparto, né i turisti che visitano il nostro Paese e che poco o nulla hanno di concezione sulle regioni» –:
   quali iniziative di competenza, sentite le regioni e le amministrazioni locali, il Ministro interrogato intenda adottare per contrastare il fenomeno dell'abusivismo ricettivo;
   quali politiche effettive intenda promuovere per potenziare le attività di controllo, al fine di tutelare gli operatori regolari, e garantire una maggiore sicurezza e qualità del servizio;
   se intenda chiarire i motivi del ritardo dell'emanazione del decreto ministeriale di cui in premessa, relativo alle strutture ricettive e alle imprese turistiche. (4-16394)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, PALAZZOTTO e FASSINA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni del 19 e 20 aprile 2017, a Piombino c’è stato un ininterrotto e continuo passaggio nelle vie cittadine di camion carichi di attrezzature dell'Esercito, diretti al porto;
   mezzi militari, blindati, armi e munizioni – classificate come pericolose – sono stati caricati sulla Excellent, nave noleggiata dal Ministero della difesa, all'ancora alla banchina Tabani;
   si tratta di una «ro-ro» battente bandiera maltese con capitano e 14 persone di equipaggio italiani, ma è ignoto agli interroganti chi sia l'armatore, italiano o straniero;
   da quanto riportato dagli organi di stampa, la nave, in questo caso proveniente da Savona, non è la prima volta che attracca a Piombino. A intervalli regolari il cargo si ferma e carica materiale militare, destinato all'estero, in zone dove i militari italiani operano di supporto, o semplicemente si addestrano;
   la nave, negli ultimi mesi, ha fatto spesso la spola attraverso il canale di Suez, fermandosi anche a Civitavecchia, a Malta, a Port Said, tutte tappe nelle quali ha caricato o scaricato materiale militare;
   in questo caso il materiale militare e bellico, tra cui tanti automezzi Iveco Lince, il blindato molto usato dai militari italiani, sarebbero destinati alla penisola arabica, in una zona dove è in corso un'esercitazione;
   secondo la versione ufficiale, comunicata all'autorità portuale, si tratterebbe solo di un'attività di routine, ma com’è noto l'Arabia Saudita ha organizzato una coalizione militare di nove stati arabi con la quale ha avviato due anni fa «Tempesta decisiva», una guerra sanguinosa in Yemen, senza alcun mandato dell'ONU e ha sostenuto alcune fazioni terroristiche in Medio Oriente;
   il conflitto ha messo in ginocchio lo Yemen, con l'aiuto dei 5 miliardi di euro in armi arrivati da Londra e Washington, 10 volte tanto i 450 milioni spesi per aiuti umanitari;
   a questi si aggiungono le armi arrivate dall'Italia: nel 2016 il nostro Paese ha fornito a Riyadh bombe e munizioni per un valore di oltre 40 milioni di euro, contro i 37 milioni del 2015;
   lo Yemen è un Paese devastato, le infrastrutture sono distrutte: ci sono stati 12 mila morti, 42 mila feriti gravi, tre milioni di sfollati; ci sono 19 milioni di persone senza cibo e acqua a sufficienza e 7 milioni di questi a rischio immediato di carestia. Oltre due milioni di bambini soffrono di malnutrizione, 462 mila sono gravemente malnutriti. Ben l'80 per cento della popolazione necessita di aiuti immediati che non arrivano a causa del blocco aereo imposto dai sauditi e seguito a quello ufficioso degli Stati Uniti via mare;
   dopo due anni, nessuna fazione ha definitivamente prevalso nella guerra; solo Al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), il braccio più potente della rete jihadista, trae vantaggio dal conflitto: ha ampliato i territori sotto il proprio controllo, alleandosi via via con tribù, consigli locali anti-Houthi e in alcuni casi, come la città di Aden, con le forze governative alleate di Riyadh;
   paradossalmente c’è un'altra variabile che potrebbe ora giovare ai jihadisti. Si tratta della nuova politica di «ostilità attiva» contro Aqap (secondo le parole del Pentagono) inaugurata da Washington: perché bombe e raid di commando, in assenza di una seria iniziativa diplomatica per risolvere il conflitto, rischiano di favorire solo la propaganda e il reclutamento jihadista –:
   se non si ritenga di bloccare immediatamente il trasferimento delle armi nella penisola arabica e di fermare le esercitazioni e ogni tipo di vendita di armi all'Arabia Saudita che continua a violare in maniera palese e incontrollata i diritti umani, ponendo così fine a quello che appare agli interroganti un sistematico mancato rispetto da parte del Governo dei princìpi supremi della Costituzione italiana. (4-16391)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il dibattito sul tormentato rapporto del Ministero dell'economia e delle finanze e la mancata legiferazione in materia di giochi passa non solo attraverso l'Agenzia delle dogane che detiene il monopolio sul gioco d'azzardo, ma anche attraverso le moderne forme di comunicazione on-line, che aggirano qualunque vincolo sulla pubblicità e raggiungono il potenziale giocatore sulla sua posta elettronica, quindi sul suo personal computer, sul suo smartphone;
   si tratta di una campagna pubblicitaria invasiva e fastidiosa, oltre che illusoria, che aggancia due prodotti tipici del nostro tempo: le lotterie istantanee e i telefonini di ultimissima generazione. Tali offerte, più o meno simili a quella odierna, arrivano tutti i giorni sulla posta elettronica e svolgono il loro ruolo di captatio benevolentiae;
   recentemente è giunto alla prima firmataria del presente atto, anche sul suo indirizzo ufficiale alla Camera dei deputati, e non si può escludere anche ad altri deputati, un messaggio accompagnato dalla doppia dicitura «cancellarsi dalla newsletter» e «messaggio indesiderato», ma chiarissimo nella sua proposta: «Ti offriamo 3 nuovi biglietti di Gratta e Vinci – Biglietti Yes – in palio c’è il nuovo iPhone»;
   e la dicitura che accompagna questo tipo di pubblicità dice: «Congratulazioni Binetti Paola ! Hai appena vinto 3 nuovi gratta e vinci Yes ! Da grattare per tentare di vincere il nuovo iPhone: gratto adesso i miei biglietti». L'offerta dei tre biglietti è valida fino al 28 febbraio 2016;
   il punto è che la prima firmataria del presente atto non ha mai giocato al gratta e vinci e quindi non può aver vinto ad un gioco a cui non ha giocato;
   si tratta di una pubblicità su cui evidentemente nessuno paga le tasse e che nonostante i limiti posti dalla legge riesce a superare tutte le barriere di spazio e tempo, perché si insinua direttamente negli spazi personali del soggetto;
   così facendo si induce dipendenza, dal momento che le lotterie istantanee sono al primo posto per numero di giocatori e perfino per fatturato complessivo, nonostante si possa giocare a costi minimi –:
   cosa intenda fare il Governo per bloccare questo tipo di pubblicità accattivante nell'offerta, ma insidiosa negli effetti, non tanto per la mancata vincita, quanto per la induzione a continuare a giocare. (3-02978)


   RUOCCO, SIBILIA, FICO, ALBERTI, PISANO, VILLAROSA e PESCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   dal dispositivo della sentenza resa dal tribunale di Trani nella pubblica udienza del 30 marzo 2017 emerge che il fatto della manipolazione del mercato contestato con riguardo al doppio declassamento decretato dall'agenzia di rating «Standard & Poor's» nel gennaio 2012 a danno dello Stato Italiano sia stato ritenuto in tutto e per tutto sussistente pur essendosi escluso nella condotta – solo in termini dubitativi e non di certezza – l'evento della «volontarietà» (dolo);
   avendo quindi il tribunale ritenuto esistente e dimostrato il «fatto» di una attività di valutazione (rating) involontariamente errata e falsificata in danno alla Repubblica italiana sembrano ricorrere tutti i presupposti per esercitare un'azione risarcitoria nei confronti di « Standard & Poor's » innanzi al giudice civile;
   in sede di risposta all'interpellanza urgente n. 2-00875 nella quale si chiedeva se il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze non intendessero costituirsi parte civile nei processi in corso presso il tribunale di Trani il Sottosegretario di Stato Pier Paolo Baretta ha dichiarato: «(...) la costituzione di parte civile rappresenta opzione processuale per la richiesta di danni alternativa rispetto a quella da proporre nella sede civile, conseguentemente si terrà conto degli ulteriori elementi che dovessero emergere.». Si precisa che Consob e Banca d'Italia – diversamente dal Ministero dell'economia e delle finanze – erano presenti al processo come parti offese;
   il risarcimento dei danni conseguenti al doppio declassamento frutto di «involontarie erronee-false» valutazioni è connesso, oltre al recupero dei 2.600.000.000 euro da Morgan Stanley, ai maggiori costi sostenuti dagli istituti di credito italiani nelle operazioni di (ri)finanziamento presso la Banca centrale europea e conseguentemente al maggiore costo sostenuto dalla Repubblica italiana nelle operazioni di finanziamento e di rifinanziamento del debito pubblico. È lapalissiano che l'eventuale danno erariale possa essere quantificato anche in diversi miliardi di euro ed è quindi legittima ed inevitabile ogni iniziativa preposta al relativo recupero –:
   in considerazione che il «fatto» accertato in sede giudiziaria e dichiarato nel dispositivo della richiamata sentenza di per sé apre la strada ad una possibile azione di risarcimento in sede civile senza la necessità di attendere il deposito delle motivazioni o altre valutazioni, se intenda tutelare gli interessi economici e patrimoniali della Repubblica italiana proponendo la dovuta azione risarcitoria innanzi al giudice civile, pena ogni eventuale responsabilità erariale, e quali siano le iniziative che intende porre in essere per ripristinare il «credit score» spettante all'Italia prima della «erronea-falsa valutazione» relativa al doppio declassamento del gennaio 2012. (3-02979)


   VEZZALI, FRANCESCO SAVERIO ROMANO e PARISI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera unica regionale delle Marche ha emesso il 13 settembre 2016 la circolare protocollo 0026323/ASUR/DG/P «Linee Guida in materia di definizione dei Fondi Contrattuali delle Aree Comparto, Dirigenza Medico-Veterinaria e Dirigenza SPTA 2015-2016 – Disposizioni»;
   la circolare, che si richiama anche alla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato n. 20 (protocollo 39875) dell'8 maggio 2015, chiede di determinare i fondi contrattuali 2015-2016, operando la comparazione tra il valore medio dei presenti nell'anno 2014 (cioè la semisomma dei presenti rispettivamente al 1o gennaio ed al 31 dicembre degli anni in questione) rispetto al valore medio relativo all'anno 2010, escludendo, dal computo del personale oggetto di comparazione quello con rapporto di lavoro a tempo determinato supplente, straordinario e quello inserito in processi di stabilizzazione anche se il documento del Ministero dell'economia e delle finanze disponeva di prendere in considerazione tutti i presenti, rispettivamente al 1o gennaio ed al 31 dicembre di ciascun anno;
   questo calcolo ha comportato una «riduzione dei fondi contrattuali», che risulta punitiva nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici delle aree vaste, nello specifico quelli dell'area vasta 2, in quanto i fondi contrattuali quantificati per l'anno 2015 non solo sono diventati «incapienti» ma vengono «cristallizzati», producendo danni anche prospettici, sul 2016 e sugli anni successivi, costituendo il nuovo limite, in luogo del precedente che era stato fissato all'anno 2010 in riferimento alle annualità dal 2011 al 2014;
   in data 7 ottobre 2016 sono stati redatti gli atti di area vasta per la «Determinazione definitiva dei Fondi Contrattuali anno 2015 e provvisoria anno 2016 Aree Contrattuali Comparto e Dirigenze»;
   il direttore generale dell'azienda ospedaliera unica regionale delle Marche ha emesso la determina n. 649 del 19 ottobre 2016 con la quale ha specificato che il collegio sindacale dell'azienda ospedaliera unica regionale delle Marche «ha proceduto al controllo delle Determine, certificando che la decurtazione permanente è stata effettuata in base a quanto previsto dalla Circolare n. 20/2015/MEF» –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda chiarire il contenuto della circolare n. 20 dell'8 maggio 2015, posto che quanto deciso dall'azienda ospedaliera unica regionale delle Marche appare penalizzante per il personale che abbia un rapporto di lavoro a tempo determinato supplente e straordinario e che la trasformazione dei contratti coinvolti in processi di stabilizzazione risulterebbe impossibile. (3-02980)


   MAZZIOTTI DI CELSO, CATALANO, GALGANO, MENORELLO e QUINTARELLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il Programma nazionale di riforma varato insieme al Documento di economia e finanza pone tra gli obiettivi del Governo la «revisione sistematica delle concessioni di beni rilasciate dalle Amministrazioni Pubbliche». In particolare, in relazione alle concessioni demaniali marittime, il Programma nazionale di riforma rende noto che, a fronte di 21.390 impianti turistico-ricreativi sul demanio marittimo, lacuale e fluviale, l'introito per lo Stato dal vigente sistema di determinazione dei canoni è pari a circa 103 milioni di euro per un introito medio di 4815 euro a impianto all'anno;
   si tratta di un introito che appare modesto, tenendo conto che tali attività economiche insistono su una risorsa naturale limitata e operano in forza di concessioni, dalle forti ricadute anticoncorrenziali, peraltro spesso prorogate in violazione delle norme comunitarie, come recentemente documentato in un briefing paper del febbraio 2017 dall'istituto Bruno Leoni;
   inoltre, come denuncia il Programma nazionale di riforma, i dati relativi agli impianti insistenti sul demanio marittimo oggetto di concessione – estratti dal Sistema informativo demanio marittimo – S.I.D. in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – sono incompleti per il mancato aggiornamento da parte degli enti locali concedenti;
   va tenuto presente anche che le Commissioni finanze e attività produttive della Camera dei deputati hanno di recente avviato l'esame del disegno di legge delega per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, che ha come obiettivi prioritari di medio-lungo periodo: «l'apertura e la contendibilità del mercato, assicurando nel contempo un uso rispondente all'interesse pubblico del bene affidato in concessione; il contributo allo sviluppo turistico, con incentivi agli investimenti; la messa a regime di un sistema dei canoni concessori chiaro, equilibrato e aggiornato, che dia certezze regolatorie agli operatori»;
   anche al fine di una corretta rideterminazione delle tariffe e dei meccanismi dei canoni demaniali che secondo il Programma nazionale di riforma produrrà «un raddoppio del gettito», è necessaria un'operazione trasparenza che consenta ai cittadini di conoscere il canone pagato per ciascuna concessione, gli investimenti effettuati e ogni altra informazione utile sul rapporto concessorio –:
   se il Ministro intenda indicare l'ammontare medio, per concessione e per chilometro quadrato, dei canoni annui spettanti allo Stato nell'anno 2016 relativi a concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per impianti turistico-ricreativi, specificando in quale misura le somme dovute siano state effettivamente incassate e fornendo ogni altro dato utile in modo da inaugurare questa necessaria operazione di trasparenza. (3-02981)


   LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   come si evince dalla lettura della stampa nazionale, dopo che i lavoratori di Alitalia hanno sonoramente bocciato il preaccordo siglato tra azienda e sindacati sul nuovo piano industriale della compagnia, per la società si aprirebbe la strada del commissariamento;
   per garantire la liquidità nei prossimi sei mesi all'azienda commissariata, per quanto risulta, il Governo punterebbe ad ottenere dall'Unione europea il via libera ad un prestito ponte;
   sempre nella giornata di ieri il presidente di Alitalia, Luca Cordero di Montezemolo, ha comunicato ufficialmente al presidente dell'Enac la decisione del consiglio di amministrazione di avviare la procedura per la nomina del commissario, fissando l'assemblea dei soci per il 27 aprile (in prima convocazione) e il 2 maggio (in seconda convocazione);
   la situazione è eccezionalmente grave perché, come sottolineato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti, sarebbero a rischio circa 20.000 posti di lavoro complessivi, una bomba sociale che rischia di scoppiare in un momento delicatissimo per il nostro Paese;
   ad avviso degli interroganti nessuna strada deve essere lasciata intentata a qualsiasi costo. Alitalia va salvata, i dipendenti tutelati e ascoltati rispetto all'esito del referendum e seriamente intrapresa la strada dell'intervento pubblico per garantire la continuità operativa dell'azienda e la tutela occupazionale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa al fine di assicurare il salvataggio di Alitalia ed il necessario intervento pubblico teso a garantire la continuità operativa dell'azienda e la tutela occupazionale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori. (3-02982)


   FASSINA, MARCON e PELLEGRINO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   dopo l'inequivocabile esito del referendum con il quale i dipendenti dell'Alitalia hanno sonoramente bocciato il verbale di accordo stipulato il 13 aprile 2017 sul tavolo del Governo tra azienda e sindacati, sembra avanzare a passo incessante lo spettro del commissariamento della compagnia aerea;
   la suddetta bozza di accordo era stata concordata tra azienda e sindacati dopo settimane di trattative e scioperi, indetti quando a metà marzo il management dell'Alitalia aveva annunciato un piano di rilancio aziendale per gli anni 2017-2021 che prevedeva un aumento dei ricavi a fronte di un significativo taglio del costo del lavoro;
   preso atto del risultato della sofferta consultazione (che ha registrato, con un 67 per cento di no, la contrarietà di 10.173 dipendenti su 11.646 degli aventi diritto), e quindi dell'impossibilità di procedere alla ricapitalizzazione della compagnia, il consiglio di amministrazione di Cai Spa ha deciso di avviare le procedure previste dalla legge, convocando per il 27 aprile 2017 un'assemblea dei soci che dovrà esprimersi sui passi futuri;
   il fallimento dell'azienda non è un destino irreversibile e con il loro verdetto le lavoratrici ed i lavoratori hanno detto no ai pesantissimi sacrifici imposti per la terza volta in meno di dieci anni, in assenza di un piano industriale credibile e in permanenza di un management inadeguato;
   secondo quanto dichiarato dal Ministro interrogato, «la cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di 6 mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione»;
   su un altro versante, quello del lavoro, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti ha dichiarato che: «Se con il commissariamento di Alitalia si deciderà per la messa in cassa integrazione di un numero più alto di lavoratori rispetto a quello previsto dal preaccordo bocciato dai lavoratori, e cioè circa 1.000, il Fondo del trasporto aereo potrebbe non avere le risorse per garantire gli ammortizzatori sociali avuti finora dai lavoratori della compagnia che dovrebbero quindi avere solo gli ammortizzatori ordinari» –:
   se alla luce dell'esito del referendum il Governo non sia disponibile all'ingresso nel capitale di Cai Spa della Cassa depositi e prestiti con l'acquisizione da parte di quest'ultima di una quota significativa del capitale della compagnia aerea che assicuri investimenti ed una partnership internazionale necessari al suo definitivo rilancio. (3-02983)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   martedì 25 aprile 2017 è stato reso noto il risultato del referendum sul preaccordo per il salvataggio di Alitalia, firmato al Ministero dello sviluppo economico da azienda e sindacati e che prevedeva circa mille esuberi e tagli alle retribuzioni, rispetto al quale il sessantasette per cento dei lavoratori si è espresso in modo contrario;
   in esito alla consultazione referendaria, il Ministro dello sviluppo economico ha affermato che «la cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di sei mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione», escludendo la possibilità di una nazionalizzazione della compagnia;
   per garantire liquidità all'azienda per i prossimi sei mesi il Governo intende negoziare con l'Unione europea la concessione di un prestito ponte, ipotesi rispetto alla quale il portavoce della Commissione europea avrebbe confermato che in base alle regole comunitarie per il Governo italiano la via degli aiuti di Stato resta aperta, anche se a strette condizioni;
   di fatto già con il commissariamento per mantenere l'equilibrio gestionale dell'azienda si renderà necessario tagliare rotte e voli, con evidenti ripercussioni negative su tutti i lavoratori;
   la schiacciante vittoria del no al referendum rappresenta una richiesta forte e chiara di assunzione di responsabilità da parte dell'azienda e del Governo di fronte alla gestione fallimentare della compagnia che ha vanificato tutti i sacrifici dei lavoratori fatti sin qui;
   il problema di Alitalia non sono gli esuberi ma le scelte strategiche errate fatte fin qui, la dismissione di importanti rotte intercontinentali, la cessione ad altri vettori di tratte commercialmente strategiche, la messa in liquidazione di AMS, azienda d'eccellenza nel settore della manutenzione, l'abbandono del settore del cargo;
   inoltre, consentire alle compagnie low cost di utilizzare gli stessi aeroporti dove atterra l'ex compagnia di bandiera, facendo loro pagare tasse aeroportuali irrisorie, quando non finanziandole direttamente attraverso contributi regionali, ignorando il fatto che tutte le infrastrutture sono state realizzate con denaro pubblico, ha determinato un grave fenomeno di concorrenza sleale, risultante da inferiori livelli di sicurezza, comfort e qualità;
   è indispensabile intervenire a tutela dei livelli occupazionali, salvaguardando le quasi tredicimila famiglie dei lavoratori coinvolti, oltre a quelli che operano dell'indotto, e varare un piano per il rilancio della compagnia –:
   quali iniziative intenda assumere con riferimento alla situazione in cui versa Alitalia. (3-02984)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI e BASILIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 177 del 2016 ha disposto l'accorpamento dei membri del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri;
   in data 5 febbraio 2016 (prot 80 UCL 4924) il Ministero dell'economia e finanze, ufficio del coordinamento legislativo, trasmetteva alla Presidenza del Consiglio dei ministri lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, restituendolo bollinato «unitamente alla relazione tecnica positivamente verificata»;
   dalla relazione relativa al suddetto schema di decreto si evincono i seguenti oneri conseguenti all'assorbimento, suddivisi per articoli: articolo 7 – formazione/amalgama e al cambio di uniformi, all'adeguamento telematico e alle immatricolazioni dei veicoli; articolo 16, corso formazione c/o Guardia di finanza; articolo 17 corso aggiornamento c/o polizia di Stato; rispettivamente, per il 2017, sono previsti i seguenti oneri: 1.450.000 euro, 331.000 euro, 180.000 euro, il totale complessivo è di 1.961.000 euro;
   all'articolo 7 del decreto legislativo n. 117 del 2016, comma 3, difformemente da quanto riportato nel punto precedente, si legge «Per le finalità del presente articolo è autorizzata la spesa di euro 1.450.000 per l'anno 2017» senza alcun riferimento a formazione/amalgama, né ad altri oneri legati al transito del personale destinato all'Arma dei carabinieri;
   nella relazione tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze (capo III, articolo 7, comma 1), non si rinviene nessuna disposizione di dettaglio in relazione ai costi iniziali una tantum, strumentalmente quantificati nella cifra di «1,45 milioni di euro, necessari alle attività di formazione/amalgama e al cambio uniformi, all'adeguamento telematico e alle immatricolazioni dei veicoli»; di contro, gli oneri relativi al personale destinato a transitare nel corpo della Guardia di finanza e nella polizia di Stato sono stati quantificati (sia pur prudenzialmente), sia nel decreto legislativo n. 177 del 2016 che nella relazione tecnica (e la cui spesa è stata autorizzata) nei successivi articoli 16 e 17, relativi ai corsi di formazione militare presso la Guardia di finanza ed al corso di aggiornamento presso la polizia di Stato;
   la relazione tecnica non fa nessun riferimento all'articolo 14, lettera ii), comma 20, del decreto riportante «il personale del Corpo forestale dello Stato transitato nell'Arma dei carabinieri: a) frequenta uno specifico corso di formazione militare, definito con determinazione del Comandante generale dell'Arma dei carabinieri»;
   nella relazione tecnica, all'articolo 19 «Disposizioni finanziarie» (formulazione del Ministero dell'economia e delle finanze) è riportato che «conseguentemente, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, quota parte dei risparmi di spesa di natura permanente, pari a euro 7.970.000 per l'anno 2016, euro 59.081.367 per l'anno 2017 ed euro 56.828.420 a decorrere dal 2018, nella misura del 50 per cento è destinata alle forze di polizia per la revisione dei ruoli di cui alla stessa lettera a), n. 1, attraverso l'incremento dell'autorizzazione di spesa cui all'articolo 3, comma 155, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350;
   gli interroganti stimano i costi per l'assorbimento del Corpo forestale di Stato nelle varie amministrazioni per l'anno 2017, relativamente alla formazione del personale ex Corpo forestale di Stato spese per il vestiario, cambio livree veicoli e aeromobili, rottamazioni – sostituzioni veicoli, adeguamento telematico, cancelleria – segnaletica caserme, oneri di macero divise e cartoleria in giacenza, mancata prestazione di servizio personale transitato nel comando dei carabinieri, Guardia di finanza e nella polizia di Stato durante la formazione, ad oltre 25 milioni di euro quindi ben oltre a quanto previsto dalla relazione tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quale sia l'ammontare degli oneri finora sostenuti dalle casse dello Stato a seguito dell'assorbimento del personale ex Corpo forestale dello Stato nelle varie amministrazioni;
   qualora la stima dei costi contenuta nella relazione tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze relativa al decreto legislativo di cui in premessa si rivelasse non corretta, quali iniziative si intendano adottare al riguardo. (5-11229)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   si apprende che, con decreto del 14 settembre 2016, il tribunale per i minorenni di Roma ha disposto il collocamento di un minore, J.C., presso la casa famiglia «Betania» in Roma. Tale decisione avrebbe creato disagi gravi al bambino che ha avuto un lungo calvario di afflizioni e dolori fisici culminati con un ricovero in ospedale per un mese dal 20 ottobre 2016;
   il 15 dicembre 2016 il minore sarebbe stato prelevato da un tutore delegato provvisorio, da un assistente sociale e da alcuni agenti di Pubblica sicurezza, facendolo uscire dall'aula dall'insegnante con la motivazione che alcune persone volevano intervistarlo;
   il bambino sarebbe stato sottoposto a ciò che lo stesso avrebbe definito un vero e proprio interrogatorio, durato a lungo, durante il quale, piangendo, avrebbe disperatamente richiesto la presenza della mamma e alla fine sarebbe stato trascinato con forza – preso per le braccia e per le gambe – e spinto dentro la macchina di servizio; peraltro, la madre non sarebbe stata tempestivamente avvertita dell'operazione effettuata;
   il bambino avrebbe riferito alla mamma, innanzi ai gestori della casa famiglia, al tutore delegato per l'operazione e all'assistente sociale, di essere stato in malo modo gettato in macchina, nonostante le sue vigorose proteste e l'esplicita richiesta di non essere condotto in casa famiglia, ma di essere messo in contatto con la madre; le promesse di contattare rapidamente la madre non sarebbero state neppure mantenute;
   anche da quanto appreso recentemente da organi di stampa e trasmissioni televisive, sembrerebbe che il bambino abbia il divieto di incontrare e telefonare a chiunque, tranne che alla mamma, che peraltro potrebbe contattare una sola volta al giorno, alle ore 19. La mamma potrebbe incontrare il figlio due volte alla settimana, in una stanza alla presenza di una persona estranea e, qualora fosse impossibilitata, per motivi di lavoro, eventuali incontri sarebbero decisi senza accordo tra le parti;
   a fronte di un sopralluogo dell'ufficio tecnico del 14o municipio di Roma, risulterebbero gravi inadempienze in merito a questioni igieniche, edilizie e di abitabilità presso la casa famiglia;
   il piccolo J. sarebbe impossibilitato ad usare tabloid, telefoni, play station e addirittura a vedere la TV, e sembra che subisca continue forme di bullismo: aggressioni, insulti e furti di iPod;
   sembrerebbe poi che il padre, obbligato dal 2014 a incontri protetti con il figlio, abbia denunciato la mamma per abbandono di minore all'interno del prestigioso circolo sportivo «2 Ponti», luogo in cui il bambino era solito allenarsi a tennis arrivando ad essere classificato tra i, primi 20 d'Italia nella sua categoria; a tal proposito, ci sarebbero tuttavia dichiarazioni-testimonianza di oltre 250 genitori frequentanti il suddetto centro sportivo a smentire l'accusa denunciata;
   la motivazione con cui il giudice minorile avrebbe deciso di togliere il minore alla mamma sarebbe quella per cui si tratterebbe di madre «simbiotica» (eccesso di affetto) e di sindrome da alienazione parentale;
   una corposa documentazione sul caso in questione risulta essere stata inviata dall'avvocato che assiste la madre del minore al Ministro della giustizia, in data 1o agosto 2016 (con raccomandata n. 13658463487-5), e successive integrazioni del 22 e 30 settembre 2016, nonché, per conoscenza, ai Ministri dell'interno e della salute;
   la vicenda è all'attenzione dei media. D'altra parte, non può non suscitare particolare preoccupazione il fatto che sembrano via via più diffusi i casi di allontanamento di minori dalla famiglia sulla base di motivazioni che appaiono agli interpellanti assai discutibili –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano state adottate o si intendano adottare, in particolare di carattere ispettivo, in relazione alla vicenda segnalata in premessa, nonché in relazione alla più ampia problematica della tutela effettiva dei diritti del minore e della sua volontà in casi di allontanamento dalla famiglia;
   quali iniziative si intendano adottare con particolare riguardo alla verifica del comportamento degli operatori della polizia di Stato tenuto nel caso specifico nei confronti del minore, ed eventualmente quali provvedimenti si intendano assumere in proposito.
(2-01769) «Marco Di Stefano, Brandolin, Capozzolo, Borghi, Bonomo, Cuomo, Aiello, Paola Bragantini, Vico, Capone, Stumpo, Marroni, Iori, Miccoli, Melilli, Ferro, Burtone, Cardinale, Carella, Bazoli, Tullo, Zaratti, Ferrara, Albini, Tidei, Simoni, Giachetti, Minnucci, Morassut, Lenzi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   come appreso da una lettera inviata in data 2 marzo 2017 al Ministro della giustizia dalla Rete professioni tecniche, l'associazione fondata nel 2013 che comprende i presidenti di nove Ordini e Collegi nazionali (architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori; chimici; dottori agronomi e dottori forestali; geologi; geometri e geometri laureati; ingegneri; periti agrari e periti agrari laureati; periti industriali e periti industriali laureati; tecnologi alimentari) ha riproposto la necessità di una revisione della disciplina normativa recante le modalità di elezione e la composizione degli organi territoriali e nazionali di governo delle professioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169;
   nello specifico, in considerazione dell'imminente avvio delle fasi elettorali di rinnovo dei consigli territoriali (in particolar modo di dottori agronomi e dottori forestali, di ingegneri, di architetti, di chimici e di geologi), la Rete professioni tecniche ha proposto, nell'immediato, di uniformare le date di indizione delle elezioni per tutti gli Ordini e Collegi d'Italia, allo stato diverse e frammentate, allineando temporalmente tutte le elezioni dei consigli territoriali nel 4o trimestre dell'anno di scadenza, entro e non oltre il prossimo 31 dicembre 2017;
   già in data 1o dicembre 2015 gli interpellanti hanno presentato in materia l'interpellanza urgente n. 2-01189, alla quale ha risposto il sottosegretario Ferri, chiedendo un chiarimento della ratio della bozza di riforma allo studio del Ministero della giustizia;
   secondo alcune indicazioni, la bozza, modificando il decreto del Presidente della Repubblica 169 del 2005, permetterebbe a chi, alla data di entrata in vigore del decreto, ha assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale, di assumerne un altro;
   vale la pena di ricordare che «grazie» al comma 4-septies dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (cosiddetto decreto Milleproroghe del 2010), l'aumento da due a tre mandati del limite di legge ha consentito la ricandidatura a componenti degli organi che altrimenti non avrebbero potuto farlo dopo aver raggiunto tale limite;
   il limite dei due mandati, poi ampliato a tre, rappresentava una garanzia di ricambio della governance degli ordini professionali a fronte di un sistema elettorale assolutamente maggioritario;
   nella risposta all'interpellanza il Governo pro tempore aveva confermato «l'intenzione concreta (...) di aggiornare una normativa che disciplina gli ordini professionali. Si tratta di un aggiornamento che è necessario proprio per cogliere quello spirito (...) di rappresentatività, di maggior democrazia, di confronto, di ricambio anche all'interno» e si era impegnato «anche a tornare in quest'Aula per ragionare sugli sviluppi di un testo che, su molti punti, non è certamente aggiornato»;
   alcune segnalazioni riferiscono di una norma che sarebbe imminente all'indomani del 30 aprile 2017;
   come certificato dai dati sui risultati degli esami di abilitazione per oltre venti categorie professionali, elaborati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e diffusi dal Sole 24 Ore del 6 marzo 2017, si è registrato un consistente calo delle iscrizioni dei più giovani agli ordini delle professioni;
   secondo i dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in un decennio i candidati agli esami sono passati dai 79.000 del 2006 ai 55.000 del 2015 (-31 per cento), con punte fino al -50 per cento per la categoria degli ingegneri;
   tale significativa contrazione non riguarda solo le fasce più giovani, ma ha investito tutta la platea degli iscritti, almeno per alcune categorie in particolare. Per esempio, tra gli architetti si è registrato nell'anno 2016 un saldo negativo (4.800 cancellazioni, a fronte di 4.612 neoiscritti);
   appare dunque necessaria una profonda riforma dei sistemi elettorali degli Ordini e Collegi, sia nazionali che territoriali, considerate le notevoli criticità da molto tempo evidenziate da numerosi iscritti agli ordini stessi e anche alla luce di un ruolo sempre crescente delle professioni nel sistema economico, nell'ambito del sistema giustizia, nella gestione dei procedimenti disciplinari;
   preoccupa l'eventuale riduzione dei quorum richiesti per la validità dell'elezione dei consigli territoriali e nazionali. Una decisione che spacciata per presunta semplificazione produrrebbe un deficit di democrazia interna;
   tale riforma, come affermato nell'interpellanza n. 2-01189, deve incoraggiare la partecipazione degli iscritti e la legittimazione e la rappresentatività degli eletti, garantire la rappresentanza e la tutela delle minoranze (ad esempio, limitando il numero di preferenze esprimibili per ciascun votante alla metà oppure ai due terzi dei consiglieri da eleggere) e preferire, in caso di parità, il candidato più giovane anziché quello più anziano;
   il processo di riforma elettorale dovrebbe configurarsi come un ampio provvedimento capace di rappresentare una svolta per gli ordini, non come una semplice misura ad hoc con il solo obiettivo di uniformare le date di indizione delle elezioni per tutti gli Ordini e Collegi d'Italia entro la fine dell'anno –:
   se le informazioni esposte in premessa rispondano al vero;
   se la normativa allo studio dell'ufficio legislativo del Ministero della giustizia contenga disposizioni atte a uniformare le date di indizione delle elezioni;
   se intenda illustrare il contenuto e la natura dell'atto che verrà adottato per modificare il decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2015, e se non intenda adottare un'iniziativa normativa di rango primario in materia;
   se non intenda, alla luce anche dei dati negativi sulle iscrizioni agli ordini dei giovani professionisti, intraprendere le necessarie iniziative per riformare il sistema elettorale degli Ordini nel senso esposto in premessa.
(2-01772) «Mazziotti Di Celso, Monchiero».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   MINNUCCI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la circolazione in Italia dei veicoli con targa straniera, di cui all'articolo 132 del Codice della Strada, prevede che autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati all'estero che abbiano già adempiuto alle formalità doganali o a quelle previste per i mezzi di trasporto nuovi, se prescritte, sono ammessi a circolare in Italia per la durata massima di un anno, in base al certificato di immatricolazione dello Stato di origine; decorso tale termine non possono più circolare se non vengono nazionalizzati, cioè immatricolati in Italia, senza visita e prova (salvo il caso in cui debbano essere revisionati) pena l'applicazione di una sanzione amministrativa da 85 a 338 euro;
   la norma si applica esclusivamente ai veicoli destinati a rimanere in via definitiva in territorio italiano, ovvero a veicoli condotti da residenti in Italia;
   nel caso di veicoli immatricolati in uno Stato non europeo, l'inizio della circolazione in Italia coincide con la data del visto di ingresso nell'Unione europea sul documento di circolazione;
   di veicoli immatricolati nell'Unione europea dove la circolazione di cose e persone è libera, non è possibile accertare l'ingresso in territorio italiano; secondo la circolare ministeriale 24 ottobre 2007, l'anno decorre dalla data in cui il proprietario del veicolo ha acquisito la prima residenza in Italia, criterio valido quando il veicolo sia immatricolato a nome del soggetto che ha stabilito la residenza in Italia, ma non se il veicolo viene introdotto in Italia da un soggetto già residente;
   un residente in Italia può condurre un veicolo immatricolato all'estero a tempo indeterminato in forza di delega del proprietario residente oltre confine, con atto notarile che ne certifica il possesso o l'uso da parte del conducente;
   in caso di incidente stradale, le forze dell'ordine trasmettono i dati del veicolo con targa straniera coinvolto all'Ufficio centrale italiano che gestisce le pratiche di risarcimento del danno;
   nel caso di incidenti, il danneggiato potrebbe non essere indennizzato o ricevere indennizzi non adeguati; nel caso di violazioni del codice della strada le multe non possono essere notificate nel Paese estero; l'impunità dei conducenti aumenta i rischi connessi, alla circolazione, l'incidentalità e quindi i premi assicurativi dei residenti in Italia –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministero interrogato per garantire che i veicoli circolanti con targa straniera siano, decorso l'anno, regolarmente immatricolati, revisionati, in possesso di valida polizza assicurativa rilasciata da compagnia assicurativa certificata ed attiva. (5-11221)


   SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 aprile 2017, il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione finale sullo «scandalo Dieselgate», esprimendosi a favore delle modifiche al disegno di legge della Commissione europea sull'omologazione dei veicoli a motore;
   dalla risoluzione sono emerse le responsabilità degli Stati membri nel non aver assunto tutte le misure ritenute indispensabili per la salvaguardia della qualità dell'aria e della salute pubblica dei cittadini dell'Unione europea, nonostante gli stessi Paesi fossero a conoscenza, da anni, del superamento dei limiti di NOx da parte dei veicoli diesel;
   stando alle risposte presentate dal Governo al questionario della Commissione europea il novembre 2016 e a quanto emerso nel corso del meeting degli Stati membri dell'Unione europea sulla «riforma post-Dieselgate», tenutosi a Bruxelles agli inizi di aprile e il cui prossimo incontro è fissato per la fine del mese, la posizione del Governo appare negativa sulle proposte chiave avanzate dalla Commissione europea in materia di vigilanza del mercato dei veicoli a motore;  
   in particolare, il Governo a quanto consta agli interroganti, sembra essere contrario alla possibilità di conferire alla Commissione europea il potere di effettuare test indipendenti su strada delle auto e comminare multe per le case costruttrici nel caso in cui venga riscontrata la presenza di defeat device; sembra altresì essere contrario all'introduzione di un target obbligatorio relativo alla sorveglianza del mercato dei veicoli in uso, sia da parte delle autorità nazionali che da parte della Commissione europea e a test indipendenti delle autorità nazionali di omologazione;
   tali proposte, assicurerebbero, ad avviso degli interroganti, pur in assenza di una Agenzia europea unica di sorveglianza, la supervisione europea sulle norme vigenti in materia di tutela della sicurezza e dell'ambiente con riferimento alle emissioni inquinanti dei veicoli diesel al fine di restituire ai cittadini l'aria pulita che era stata loro promessa con l'approvazione degli standard di emissione....» –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire la posizione che il Governo intende assumere, in sede del prossimo Consiglio dell'Unione europea, e in vista del meeting del 29 maggio 2017 in merito all'intenzione o meno di supportare il nuovo compromesso presentato dalla Presidenza maltese in Consiglio dei ministri.
(5-11222)


   OLIARO e GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   pendolari e turisti pagano biglietti ed abbonamenti dei treni interregionali il cui costo, legato al chilometraggio, viene ancora oggi, in tutte le regioni, calcolato in base alla lunghezza delle linee storiche, mentre, attualmente, i treni percorrono le direttissime con tragitti notevolmente minori. Ad esempio, nel caso della tratta Terni-Roma, la distanza oggi percorsa dai treni si riduce dai 112 chilometri pagati dai viaggiatori ai 95 della traccia attuale;
   il problema è già stato sollevato nel 1988 con un'interrogazione presentata, all'epoca, dal senatore Garofalo. A distanza di trent'anni, la situazione è esattamente la stessa, nonostante anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, quale organo preposto ad assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato, abbia richiamato, già nel 2009, il Governo al rispetto delle condizioni tariffarie in relazione al nuovo assetto infrastrutturale maturato a seguito di investimenti pubblici fatti lungo le nuove linee;
   ad autorizzare il calcolo del chilometraggio e del prezzo di biglietti e abbonamenti in base alle linee storiche c’è il decreto ministeriale 6925 del 1974 che consente di non tenere in considerazione le abbreviazioni dovute a «nuove linee direttissime» per remunerare le spese sostenute dall'allora Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato per la costruzione di nuovi tronchi ferroviari che hanno permesso le abbreviazioni di percorso. È evidente come, dopo 43 anni, questa remunerazione sia stata garantita, ma la normativa debba essere rivista per rendere il servizio ferroviario concorrenziale, favorendone così l'utilizzo da parte di pendolari e turisti con tutte le conseguenze positive che si innescano in termini di riduzione del traffico veicolare e delle emissioni inquinanti –:
   quali iniziative il Governo intenta attuare per modificare le previsioni del decreto ministeriale 6925 del 1974 in modo da attualizzare il costo di biglietti e abbonamenti ai percorsi reali effettuati dai treni e non sulla base di linee che risalgono al Regno d'Italia, adempiendo anche alle disposizioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (5-11223)


   MOGNATO, FRANCO BORDO, FOLINO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in aprile 2003 il «comitatone» ha definito la conca di navigazione presso la bocca di porto di Malamocco come struttura di accesso permanente necessaria a garantire l'accesso al porto di Venezia, separando le esigenze di navigazione da quelle della salvaguardia, assicurando l'agibilità portuale con le paratoie in funzione in qualsiasi condizione meteorologica;
   il progetto definitivo del 2002 prevede che la conca di navigazione sia dimensionata per il transito in sicurezza di navi di 250 metri di lunghezza massima, 36 di larghezza, 12 di pescaggio;
   il progetto esecutivo del 2008 prevede il passaggio di navi di progetto di 270 metri, rimanendo inalterate larghezza e pescaggio;
   nel 2013 il Magistrato delle acque di Venezia (Mav) comunica come dimensioni della nave di progetto 280 metri, 39 di larghezza, 12 di pescaggio e con specifiche accortezze, navi di larghezza massima di 44;
   la Capitaneria di porto, nel gennaio 2013, evidenzia criticità nei transiti suggerendo soluzioni migliorative;
   il Consorzio Venezia Nuova nel giugno 2013, ha trasmesso un nuovo schema sulle dimensioni massime della nave di progetto, portando la lunghezza massima a 280;
   il Mav conferma le dimensioni della nave di progetto;
   i piloti e la Capitaneria di porto riscontrano criticità in merito al dimensionamento della conca e alle dimensioni massime della nave di progetto, suggerendo interventi per garantire l'accesso in sicurezza;
   nel gennaio 2014 l'Autorità portuale di Venezia richiede il collaudo operativo della conca per certificare le dimensioni delle navi in grado di transitare;
   nel marzo 2014 il Mav comunica che non sono previsti finanziamenti per adeguare gli accessi della conca;
   nel giugno 2014 l'Autorità portuale di Venezia richiede ragguagli al Mav sulle prove effettuate e sull’iter per l'ottenimento del collaudo funzionale e scrive alla Pcm richiedendo il collaudo funzionale ed evidenziando le soluzioni migliorative da adottare;
   nel 2015, i piloti riportano che la nave di massime dimensioni transitata aveva una lunghezza di 217 metri in condizioni meteo ottimali con corrente nulla, di conseguenza non risulta sicuro il passaggio di navi di dimensioni maggiori;
   l'ex presidente del porto ha ribadito che a conca di navigazione è sbagliata e non serve –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare, prima dell'entrata in funzione del Mose, l'esecuzione del collaudo funzionale della conca, la definizione delle procedure di transito dei porti di cui in premessa, l'adeguamento delle dimensioni della conca per garantire funzionalità del porto in qualsiasi condizione meteorologica, verificando le responsabilità di un eventuale errore di progettazione o realizzazione. (5-11224)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del crollo del mese di marzo 2017 del cavalcavia 167 tra Loreto e Ancona Sud sulla autostrada A14, che ha causato due morti, società Autostrade per l'Italia ha deciso di declassare la portata di uno dei cavalcavia situato a poche centinaia di metri di distanza da quello crollato, in direzione Ancona sud, portando il peso massimo di transito sul ponte dalle 72 alle 12 tonnellate;
   la decisione di Autostrade per l'Italia, assunta con evidente finalità cautelativa, sarebbe stata tuttavia presa senza effettuare alcun collaudo sull'effettivo stato della struttura del cavalcavia;
   il cavalcavia in questione è l'unico accesso stradale dalla grande viabilità per l'azienda Sandro Baldini, sita in Camerano (Ancona), specializzata in movimento terra, demolizioni, lavori stradali e trasporto materiali inerti;
   a seguito della chiusura al transito dei mezzi pesanti, materialmente attuata dall'apposizione di blocchi di cemento posti nei due punti di ingresso del ponte, l'azienda ha fatto presente ad Autostrade per l'Italia, tramite il proprio legale, che il blocco avrebbe impedito ai mezzi dell'azienda di poter uscire, determinando un fermo delle attività della stessa;
   l'impresa in questione ha provveduto successivamente ed in modo autonomo alla rimozione dei blocchi di cemento, per consentire ai propri mezzi di trasporto di muoversi da e per la sede aziendale;
   Autostrade per l'Italia – a quanto si apprende da fonti di stampa – a seguito della rimozione dei blocchi di cemento avrebbe sporto denuncia contro il titolare della ditta Sandro Baldini, per furto aggravato, riposizionando nuovamente i blocchi;
   l'azienda Sandro Baldini è stata incaricata dalla Protezione civile della demolizione di una scuola di San Ginesio (Macerata), gravemente danneggiata dagli eventi sismici degli scorsi mesi, intervento richiesto con tempestività e che, a causa del blocco del transito sul cavalcavia in questione per i mezzi pesanti, non sarà possibile effettuare;
   il blocco della viabilità sta causando diversi disagi all'impresa anche rispetto ad altre commesse, al punto che il titolare è stato costretto ad inviare lettere di licenziamento a 15 dipendenti, data l'impossibilità di esercitare la propria attività;
   fonti di stampa riportano anche che la stessa impresa Baldini avrebbe chiesto ad Autostrade per l'Italia, al fine di riaprire quanto prima la strada di transito e consentire alla stessa ditta di ricominciare a lavorare, di effettuare con tempestività un collaudo del cavalcavia per valutare la stabilità della struttura;
   ad oggi non risulta che tale richiesta, abbia avuto seguito;
   la vicenda è stata rappresentata dagli stessi lavoratori della Sandro Baldini al prefetto di Ancona, al fine di attivare un intervento delle istituzioni –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere le iniziative di competenza per attivare un sollecito collaudo della struttura in questione da parte della società Autostrade per l'Italia, al fine di verificare l'effettiva stabilità del cavalcavia e, in caso positivo, di consentire la ripresa del transito dei mezzi pesanti. (5-11214)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che, dopo il tragico evento del 9 marzo 2017, sulla A14 è stato chiuso un altro cavalcavia a 200 metri dal numero 167 crollato;
   il provvedimento è adottato in via preventiva dalla società autostrade e ha, di fatto, danneggiato l'impresa del geometra Baldini che ha tra le sue attività quella di movimentare terra e raccogliere materiali di cantieri edili e di demolizioni, in quanto tale impresa non ha più nessun accesso né viabilità alternativa. Mezzi pesanti e camion non possono muoversi per consentire all'impresa di continuare la propria attività lavorativa;
   il ponte ora chiuso è l'unica strada che dalla Direttissima del Conero permette ai mezzi pesanti di raggiungere la sede della ditta Sandro Baldini che sorge al di là dell'autostrada. Un ponte che scavalca la A14 e gestito da Autostrade per l'Italia, un ponte collaudato negli anni ’70 con una portata di circa 72 tonnellate;
   l'impresa opera da circa 50 anni e, malgrado la crisi che ha colpito l'edilizia, ha continuato ad avere molto lavoro;
   Autostrade per l'Italia, con una decisione univoca e senza preavviso, già nel novembre 2016 aveva deciso di abbassare il limite di percorrenza del ponte a 12 tonnellate. Un camion della ditta Baldini, a vuoto, ne pesa circa 14;
   si tratta di una decisione che aveva già messo in seria difficoltà le attività dell'azienda che ha sede al di là del ponte, perché i suoi mezzi pesanti non potrebbero né entrare né uscire dai cortili della ditta;
   gli eventi si sono svolti tutti molto rapidamente e in data 13 aprile 2017, in mattinata, Autostrade per l'Italia arriva sul ponte scortata dai carabinieri di Camerano e fa posizionare delle barriere in cemento sulla carreggiata all'imbocco del ponte per bloccare il passaggio dei mezzi pesanti. La strada è privata, però, ed è di proprietà della ditta Baldini che, interpretando come un abuso il posizionamento delle barriere, le rimuove;
   il giorno successivo, il 14 aprile 2017, nel pomeriggio, la Polstrada irrompe negli uffici della ditta Baldini, denuncia il titolare Sandro per furto (delle barriere), e di fatto chiude l'azienda. La stessa sera autostrade torna sul ponte e riposiziona nuove barriere;
   il titolare dell'impresa, impossibilitato a lavorare, fa inviare le lettere di licenziamento ai suoi 15 dipendenti. Pur essendo una attività florida, con diverse commesse da rispettare, è costretta a licenziare i dipendenti, perché i propri mezzi pesanti non possono più attraversare un ponte –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano adottare in relazione alla vicenda, anche per tutelare i livelli occupazionali dell'azienda di cui in premessa;
   se non ritenga necessario, in particolare, assumere iniziative affinché si effettui un collaudo sullo stesso ponte al fine di valutarne la solidità;
   se ritengano che Autostrade per l'Italia, visto il modus operandi e alla luce di quanto in premessa, abbia agito correttamente posto che ha preferito abbassare il tonnellaggio al fine di evitare onerose manutenzioni;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative affinché siano eseguiti lavori volti, ove necessario, al consolidamento della struttura e alla statica del ponte. (5-11215)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 208 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), e successive modificazioni, le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie, per la violazione del codice della strada, hanno una destinazione parzialmente vincolata, con riferimento a specifiche finalità inerenti soprattutto alla sicurezza stradale;
   risulta alla interrogante che l'amministrazione comunale di Campobasso, in data 20 aprile 2016, abbia immatricolato il veicolo targato FA201LT con la dicitura «autoveicolo ad uso esclusivo del comune di Campobasso – Polizia Municipale» (come risultante dalla carta di circolazione CD0518154), acquisto motivato dall'esigenza di usare la vettura «per servizi particolari come accompagnamento di minori presso strutture fuori dal territorio comunale e per tutti gli altri usi che potrebbero richiedere un veicolo civile» (come da nota dell'11 dicembre 2015, prot. N. 60/15 aut. comune di Campobasso);
   l'acquisto della suddetta autovettura è avvenuto con fondi a destinazione vincolata di cui al citato articolo 208, commi 1-4, del codice della strada, attingendo dal capitolo 8950/1 del bilancio comunale anno 2015, così come confermato dagli atti amministrativi – deliberazione di giunta comunale n. 144 del 23 luglio 2015 per il riparto dei proventi di cui all'articolo 208, commi 1-4, del codice della strada e determinazione dirigenziale n. 45 del 5 maggio 2016, reg. gen. 959 del 5 maggio 2016 di pagamento di fattura di acquisto – nonché dai documenti contabili dell'ente approvati con delibera di consiglio comunale n. 15 del 26 maggio 2016 avente ad oggetto «Rendiconto esercizio finanziario 2015. Approvazione»;
   come segnalato alla interrogante, la suddetta vettura veniva però ufficialmente utilizzata esclusivamente come auto di servizio del comune, e mai per servizi di polizia stradale o attinenti alla stessa, almeno fino alla data del 31 agosto 2016, così come si evince dalle schede di servizio nelle quali vengono indicati, come autisti, sia personale della polizia municipale, che dipendenti dell'amministrazione con qualifica di autista;
   tale condotta può considerarsi elusiva della norma di cui al citato articolo 208 del Codice della strada in relazione al vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni per violazione al citato codice, oltre che contraria alle norme sulla circolazione stradale afferenti ai titoli abilitativi per la conduzione di veicoli ad uso esclusivo della polizia municipale;
   in seguito alla pubblica denuncia a mezzo stampa ed al successivo interessamento della prefettura di Campobasso e del Ministero dell'interno proprio in relazione a presunte violazioni sui requisiti per la conduzione di veicoli di polizia municipale, l'amministrazione, per il tramite del dirigente dell'area organizzazione, indirizzo e controllo (quindi di un dirigente diverso da quello competente per la polizia municipale come da pianta organica ed organigramma), dottor Iacobucci, decideva di variare la destinazione del veicolo procedendo alla variazione del libretto di circolazione, libretto che oggi non reca più «l'uso esclusivo polizia municipale». In sostanza, quelli che erano fondati sospetti a giudizio dell'interrogante hanno trovato certezze in tale atto, che ha finito nei fatti per certificare l'uso diverso del mezzo, la distrazione dello stesso dalle dotazioni della polizia municipale e la violazione del vincolo di destinazione ex articolo 208 del Codice della strada –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti elencati in premessa e quali iniziative intenda promuovere, per quanto di competenza, per accertare, nel caso citato e in quelli analoghi, eventuali irregolarità in merito all'utilizzo dei fondi vincolati ex articolo 208 del Codice della strada.
(4-16389)


   MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017, lungo la tangenziale di Fossano, un crollo ha interessato una campata dell'asta di svincolo per Marene, in località Fossano, al chilometro 61,300 della strada statale 231 di Santa Vittoria; il cedimento dell'infrastruttura ha determinato lo schiacciamento di un'autovettura dei carabinieri, rimasti illesi, e l'arteria stradale in questione è stata chiusa provvisoriamente al traffico, in entrambe le direzioni, tra i chilometri 59 e 66;
   in ordine a quanto accaduto, la procura di Cuneo ha aperto un'inchiesta sull'ipotesi di reato di crollo colposo di costruzione ed Anas S.p.a., titolare dell'infrastruttura, ha avviato un'indagine conoscitiva sulle cause del cedimento strutturale (che, da un esame preliminare, sembrerebbe essere stato provocato dal cedimento di un giunto per problemi di natura manutentiva, pur non escludendosi a priori, così come anche evidenziato da Anas, l'ipotesi di possibili vizi costruttivi dell'opera);
   con una nota, Anas S.p.a. ha specificato che il cavalcavia in oggetto risale agli anni novanta e che l'opera non rientrava nei piani di manutenzione straordinaria in quanto non presentava evidenze di problematiche strutturali;
   a tal proposito, non può non rilevarsi in questa sede una sempre maggiore frequenza di episodi di crolli sulle arterie del nostro Paese: dai più recenti cedimenti – rispettivamente di un ponte in manutenzione sull'A14 nei pressi di Ancona, il 9 marzo 2017, e di un cavalcavia sulla statale 38 ad Annone, in provincia di Lecco, in data 28 ottobre 2016 – ai ripetuti crolli che hanno interessato il Mezzogiorno ed, in particolare, le opere stradali siciliane (viadotto Himera sull'A19 Catania-Palermo in data 10 aprile 2015, viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento, il 30 dicembre 2014, viadotto Petrulla, lungo la strada statale 626 in data 7 luglio 2014, viadotto sul fiume Verdura, lungo la strada statale 115 il 2 febbraio 2013 e viadotto Geremia II, in località Butera sulla Gela-Caltanissetta, in data 28 maggio 2009);
   si evidenzia come la complessiva inadeguatezza della tenuta del comparto stradale sia tale da determinare non solo gravi situazioni di pericolo per la sicurezza e l'incolumità degli utenti della strada, ma anche una considerevole flessione del mercato dei trasporti eccezionali a causa delle numerose difficoltà legate al rilascio delle autorizzazioni da parte degli enti preposti;
   secondo una stima effettuata da Anas S.p.a., per la manutenzione straordinaria – comprendente sia la messa in sicurezza che il miglioramento della rete stradale nazionale – sarebbero necessari circa 2,5 miliardi di euro di investimenti effettivi all'anno ma, attualmente, la spesa effettiva si aggira intorno ai 450/500 milioni di euro l'anno (pur segnalando un incremento – tuttavia, non ancora adeguato e sufficiente – per il 2017 a 600 milioni euro); si evidenzia, inoltre, che il Piano di Anas S.p.a., prevede manutenzioni per 1,04 miliardi di euro in media all'anno;
   il diffuso stato di abbandono delle strade ed il ripetersi di fenomeni di cedimento strutturale dei tratti sopraelevati rivelano una significativa fragilità della rete viabilistica italiana ed una trasversale carenza di una tempestiva ed efficace attività di manutenzione straordinaria sulle opere infrastrutturali –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare, di concerto con Anas S.p.a., per far sì che venga assicurato il pieno soddisfacimento del fabbisogno economico necessario per la realizzazione degli interventi di manutenzione straordinaria sulle opere stradali ed autostradali presenti sul territorio nazionale e se, ed in quali tempi, intenda, nell'ottica di favorire un più adeguato livello di sicurezza, procedere ad una mappatura dettagliata dei ponti e dei viadotti che sono da considerarsi a rischio strutturale. (4-16390)


   PAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Camerano sono attive da decenni le ditte Baldini Sandro Autotrasporti Scavi e Sbancamenti e Conero Frantumazioni srl;
   entrambe le imprese operano tramite mezzi pesanti, di peso superiore alle 15 tonnellate, e hanno un passaggio obbligato nel cavalcavia 166 della A14, situato a 200 metri di distanza da quello crollato il 9 marzo 2017;
   nel 2014 la direzione 7, tronco di Autostrade per l'Italia aveva sollecitato le ditte e il comune di Camerano a limitare il transito sui cavalcavia a mezzi di peso inferiore alle 12 tonnellate, sostenendo che questo fosse il carico ipotizzato al momento della progettazione, avvenuta negli anni ’70;
   documentazione presentata dalle aziende, fra cui il formulario di identificazione rifiuti, dimostrerebbero, tuttavia, che il collaudo era stato effettuato per una portata di 72 tonnellate;
   a riprova di questa ipotesi, starebbe l'autorizzazione concessa dalla stessa società Autostrade al transito di mezzi pesanti con carico di 40-50 tonnellate fra il 2015 e il 2016, anche in numero di 60 passaggi quotidiani, finalizzati ai lavori di realizzazione della terza corsia;
   al termine degli stessi, sarebbe stato apposto un cartello che limitava a 12 tonnellate la percorribilità;
   tale cartello non ha evidentemente sortito gli effetti sperati, tanto che, a partire dal 14 aprile 2017, sono stati posti Jersey in cemento per limitare l'accesso al cavalcavia;
   tale scelta ha evidentemente compromesso in modo irreparabile la possibilità di intervento delle aziende Baldini e Conero Frantumazioni; la prima ha quindi annunciato il licenziamento di 15 lavoratori, che sono da una settimana in presidio permanente;
   il coinvolgimento della prefettura non ha fino a qui prodotto alcun risultato;
   a parere dell'interrogante è senza dubbio indispensabile tutelare due interessi non contrapposti, quello alla sicurezza stradale e infrastrutturale e quello alla continuità dell'attività d'impresa e quindi dei posti di lavoro;
   si dovrebbe quindi chiarire immediatamente e senza possibilità di dubbio quale sia l'effettiva portata del cavalcavia 166, anche sottoponendolo a nuovo collaudo;
   si dovrebbero intanto valutare soluzioni temporanee che consentano alle aziende di continuare ad operare, per evitare i licenziamenti –:
   se e come intenda intervenire per evitare che l'obsolescenza o l'inadeguatezza della rete infrastrutturale comprometta la possibilità di svolgere correttamente l'attività di impresa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere a tutela dei lavoratori, che per l'interrogante, non possono essere utilizzati come forma di pressione, ma devono veder garantito il loro diritto alla continuità occupazionale. (4-16396)


   INVERNIZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della realizzazione del sistema alta velocità/alta capacità Milano-Verona, ed in particolare della realizzazione del lotto funzionale Treviglio-Brescia e delle opere funzionalmente collegate alla linea ferroviaria, il Consorzio CEPAV Due, quale contraente generale e in nome e per conto della società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., ha eseguito tutte le attività necessarie per l'acquisizione, anche mediante espropri, delle aree e immobili occorrenti alla realizzazione delle opere;
   il progetto definitivo della «linea AC/AV Milano-Verona lotto funzionale Treviglio-Brescia» è stato approvato con delibera del CIPE del 22 settembre 2009 n. 81/2009;
   da tale delibera del CIPE è stata conseguita la dichiarazione di pubblica utilità dell'intera tratta funzionale alta velocità/alta capacità Treviglio-Brescia, limitatamente alla porzione della tratta alta velocità/alta capacità tra Treviglio e lo sfiocco dell'interconnessione della cosiddetta interconnessione di Brescia ovest più undici chilometri della medesima interconnessione;
   tra gli immobili interessati dalla procedura espropriativa vi sono gli immobili di proprietà dei coniugi G. G. e R. B., di cui al foglio 40 del catasto terreni del comune di Treviglio (BG), mappale 8109, e relative aree di pertinenza di cui al foglio 9 del medesimo catasto, mappale 17748, nonché di proprietà della signora C. M., di cui al foglio 40 del catasto terreni del comune di Treviglio (BG), mappale 5008;
   tali immobili, ceduti a seguito del raggiungimento dell'accordo ai sensi dell'articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, mediante cessione volontaria, consistono in una cascina appartenente alle sopracitate due proprietà, su via Palazzo nel comune di Treviglio, che è stata in seguito demolita;
   i relativi atti di passaggio di proprietà sono stati registrati il 10 giugno 2013, con note di trascrizione;
   registro generale n. 23617 e registro particolare n. 16181, per la proprietà G. G.; e registro generale n. 23615 e registro particolare n. 16179, per la proprietà C.M.;
   la linea alta velocità/alta capacità Treviglio-Brescia è stata inaugurata ed è funzionante; tuttavia, la cascina già demolita non risulta all'interrogante interessata dall'infrastruttura ferroviaria, in quanto, il sottopasso ferroviario della Via Palazzo, sulla quale erano situate le proprietà, risulta molto distante dagli stessi immobili –:
   quali siano le ragioni tecniche e giuridiche per le quali sia stata espropriata e demolita la cascina di proprietà G. G. e C. M., nel comune di Treviglio (BG), in considerazione della consistente distanza tra le due proprietà immobiliari e l'asse ferroviario alta velocità/alta capacità Treviglio-Brescia, e come si giustifichino quindi, sul piano dell'utilizzo del denaro pubblico, gli oneri espropriativi di cui in premessa. (4-16401)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   secondo il quotidiano la Repubblica, negli ultimi anni il sistema delle espulsioni e degli allontanamenti si è rivelato del tutto fallimentare riguardo all'effettivo rimpatrio degli stranieri irregolari in generale e, in particolare, di quelli che hanno commesso dei reati o subito condanne in Italia;
   stando ai numeri riportati dall'articolo, nel 2016 i cittadini stranieri rintracciati in posizione irregolare sarebbero stati ben 41.473, con un notevole e costante incremento rispetto ai precedenti anni: circa 7.000 in più rispetto al 2015 (34.107) e 10.000 in più rispetto al 2014 (20.906);
   nonostante l'aumento registrato, gli stranieri irregolari allontanati nel 2016 sarebbero stati solo 18.664, cioè circa il 45 per cento di quelli rintracciati, in particolare, di cui 5.817 con accompagnamento alla frontiera e 793 espulsi su ordine dell'autorità giudiziaria (questi ultimi addirittura in calo rispetto al 2015 in cui furono 1.159);
   il restante numero di stranieri irregolari rintracciati riceve, infatti, il cosiddetto «foglio di via» con l'intimazione di lasciare il Paese entro sette giorni, che, di fatto, viene generalmente ignorato rimanendo, dunque, liberi di circolare e vivere indisturbati in Italia anche per anni;
   secondo l'inchiesta pubblicata, oltre ai numeri citati, sono i fatti di cronaca nera a disegnare quello che viene definito «un quadro impietoso» e infatti, l'articolo, partendo dai già noti casi di Anis Amri e di Igor Vaclavik, evidenzia come questi ultimi non sarebbero eventi isolati bensì molto più numerosi, citando, solo a titolo esemplificativo, altri casi di cronaca;
   avuto riguardo anche ai più recenti fatti di cronaca, sono in esponenziale aumento i reati commessi da cittadini comunitari, già destinatari di ordine di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine e sicurezza pubblica ma inottemperanti agli stessi;
   la direttiva europea n. 2008/115 pone in capo agli Stati membri precisi obblighi giuridici per il rimpatrio e l'allontanamento dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare e anche recentemente la Commissione europea ha raccomandato di adottare misure immediate al fine di procedere al loro effettivo rimpatrio –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire il trattenimento di tutti gli stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale e l'effettività dei provvedimenti di espulsione e allontanamento disposti nei confronti sia dei cittadini di Paesi terzi che di quelli comunitari. (3-02976)


   RAVETTO, BRUNETTA e VITO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il Comitato parlamentare Schengen ha di recente audito il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, Carmelo Zuccaro;
   il dottor Zuccaro ha affermato che, a partire dai mesi di settembre ed ottobre 2016, si è registrato un improvviso proliferare di unità navali delle piccole organizzazioni non governative (Ong) che accompagnerebbero fino alle coste italiane i barconi dei migranti. Tale situazione rappresenterebbe una sorta di «scacco» all'attività di contrasto degli organizzatori del traffico di migranti, il cui lavoro di accompagnamento, sino al territorio italiano, dei barconi, sarebbe stato sostituito dalle attività svolte da tali navi;
   Zuccaro ha proseguito affermando che la procura di Catania, a febbraio, avrebbe aperto un'indagine conoscitiva allo scopo di approfondire le cause di una proliferazione così intensa delle unità navali, nonché degli ingenti costi sostenuti dalle organizzazioni non governative a fronte di un mancato ritorno in termini di profitto economico;
   secondo il procuratore, poi, vi sarebbe la necessità di comprendere la reale volontà delle organizzazioni non governative di collaborare con le autorità giudiziarie. Secondo i dati forniti, è stato calcolato che, negli ultimi quattro mesi del 2016, il 30 per cento dei salvataggi con approdi a Catania è stato effettuato dalle organizzazioni non governative mentre, nei primi mesi del 2017, tale percentuale è salita ad almeno il 50 per cento, a fronte di una mancata diminuzione del numero dei morti;
   tali informazioni confermano dunque la presenza, in acque internazionali vicino alle coste libiche, di navi riconducibili a piccole organizzazioni non governative che, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, condurrebbero i migranti salvati in mare sulle cose italiane e non verso il porto sicuro più vicino;
   si determinano quindi numerosi dubbi circa l'applicabilità della Convenzione di Dublino da parte dell'Italia che, sotto tale aspetto, non dovrebbe essere costretta a sostenere gli onerosi compiti attribuiti dalla stessa, non trattandosi infatti di reale Stato di primo approdo, ma di approdo deciso a discrezionalità dei comandanti delle navi delle organizzazioni non governative;
   dal punto di vista strettamente legale, atteso che le navi delle organizzazioni non governative sono battenti bandiere straniere anche di altri Stati europei e, secondo il diritto internazionale, i migranti raccolti da dette navi dovrebbero ritenersi approdati negli Stati di bandiera portati dalle stesse –:
   quali iniziative intenda intraprendere rispetto alla vicenda esposta, anche nelle opportune sedi europee ed internazionali, e se intenda fornire chiarimenti, per quanto di competenza, in merito alle rotte marittime effettuate dalle navi delle organizzazioni non governative nonché in merito ai rapporti delle stesse con la Guardia costiera e gli scafisti. (3-02977)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FAMIGLIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che: 
   negli ultimi giorni il territorio del comune di Montoro è tornato ad essere oggetto di una escalation di pesanti intimidazioni;
   l'episodio più grave ha riguardato il primo cittadino, già vittima in passato di un atto intimidatorio, che ha subito – da parte di ignoti – l'incendio dell'auto nei pressi della propria abitazione; inoltre, il giorno successivo, nello stesso territorio si è verificato un caso analogo;
   già negli scorsi anni il sindaco Mario Bianchino aveva denunciato criticità sulla situazione dell'ordine pubblico, chiedendo l'intensificazione dei controlli sul territorio da parte delle forze dell'ordine;
   il consiglio comunale della città di Montoro, con la deliberazione n. 71 del 28 settembre 2016, approvando la relazione del sindaco sull'ordine pubblico e la sicurezza del cittadino – nella quale veniva illustrata la necessità di un rinnovo dell'assetto organizzativo delle forze dell'ordine, alla luce della fusione dei due comuni (Montoro Inferiore e Montoro Superiore) con la creazione di una città di circa 20.000 abitanti – chiedeva al Ministero dell'interno e al Ministero della giustizia, per il tramite della prefettura di Avellino, l'istituzione di una tenenza dell'Arma dei carabinieri e di un commissariato di polizia di Stato e l'immediata attivazione di una stazione mobile sul territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per far luce sulla vicenda e per agevolare l'istituzione dei presidi di legalità richiesti dal consiglio comunale della città di Montoro. (5-11208)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la materia dei permessi e delle licenze spettanti agli amministratori locali è disciplinata esclusivamente dalle disposizioni di cui al capo IV – «Status degli amministratori locali» del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   in particolare l'articolo 79 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali disciplina i permessi e le licenze spettanti agli amministratori degli enti locali a salvaguardia del diritto costituzionalmente garantito (articolo 51 della Costituzione) di disporre del tempo necessario all'espletamento del mandato;
   per quanto attiene alle unioni di comuni, il citato articolo, nel definire puntualmente i permessi di cui ciascun amministratore può usufruire, prevede al comma 1 che i lavoratori dipendenti componenti dei consigli delle unioni di comuni possono assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta di consiglio e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento;
   il comma 2 dispone, inoltre, che i componenti degli organi esecutivi delle unioni di comuni hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata e tale diritto comprende anche il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro;
   il comma 3 prevede che i componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, hanno diritto, oltre ai permessi retribuiti di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti;
   a seguito di alcuni interventi normativi, e in particolare del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la struttura organizzativa delle comunità montane è stata nei fatti sostituita dalle unioni montane di comuni, i cui presidenti però non sono equiparati ai soggetti di cui al comma 4, dell'articolo 79 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
   le unioni montane, nella maggioranza dei casi, hanno ottenuto dalle proprie regioni di appartenenza le deleghe a svolgere le medesime funzioni delle comunità, montane, ma i loro presidenti non sono stati ugualmente tutelati dalla legge, in quanto sono loro garantite soltanto 24 ore di permesso in virtù dei carichi di lavoro dovuti a tale ruolo, e riscontrano attualmente grande difficoltà ad esercitare adeguatamente i loro compiti esecutivi e di rappresentanza;
   i presidenti delle unioni montane non godono di alcuna indennità di funzione –:
   quali iniziative intenda adottare per estendere il dettato dell'articolo 79, comma 4, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ai Presidenti delle unioni montane di comuni, in modo tale da poter assegnare loro 48 ore di permessi di lavoro anziché 24, in virtù dei carichi di lavoro loro assegnati, equiparandoli da questo punto di vista ai presidenti delle comunità montane.
(4-16392)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il conservatorio San Pietro a Majella di Napoli è uno dei più antichi e prestigiosi del mondo; è nato nel 1807, ha avuto tra i suoi allievi e direttori figure importantissime della cultura musicale, come Vincenzo Bellini, Francesco Cilea, Gaetano Donizetti;
   da tempo, l'importante istituzione culturale vive uno stato di sofferenza, sia dal punto di vista strutturale che organizzativo e gestionale;
   numerosi sono gli esposti giunti all'attenzione del Ministro sulla situazione del conservatorio di Napoli, al punto che già nel luglio del 2012, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fu disposta una visita ispettiva con il successivo insediamento del dottor Achille Mottola come commissario straordinario;
   il commissariamento fu giustificato con la necessità di «ristabilire correttezza dell'azione amministrativa e contabile»;
   come più volte segnalato dalla prima firmataria del presente atto, con altri atti del sindacato ispettivo, molte delle criticità segnalate nella fase commissariale, e nella successiva relazione, sono ancora aperte;
   da alcuni anni, docenti e allievi del conservatorio segnalano disservizi e problemi, come aule fatiscenti e disagi di carattere gestionale, anche nell'organizzazione della didattica, come sottolineato dalla scrivente nelle sue precedenti interrogazioni sul tema;
   nel dicembre 2016, in pieno inverno, gli allievi hanno dovuto fare lezione in aule fredde, con il riscaldamento spento e il ricorso ad alcuni mezzi di fortuna, come stufette elettriche, con rischi anche sul profilo della sicurezza;
   nel novembre 2016, la trasmissione Rai Report ha documentato, con un servizio, la situazione curiosa di un docente del conservatorio di Napoli che insegna anche in Cina;
   in particolare, viene documentata la situazione del professor Alfonso Amato, docente di piano, che fa lezione sia presso la struttura napoletana sia presso il conservatorio musicale di Tianjn, con la conseguente necessità di concentrare il suo monte ore a Napoli in tempi molto stretti, determinando un danno per la qualità della didattica;
   nel servizio giornalistico vengono documentate le lamentele di diversi allievi e altri insegnanti, che considerano dannosa l'impossibilità per l'insegnante di essere presente con assiduità presso la struttura napoletana;
   durante le interviste della trasmissione sono arrivate testimonianze che appaiono evasive, non esaustive, contradditorie dei dirigenti della struttura, a riprova di una situazione non chiara –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga di assicurare, nell'ambito delle sue competenze, un intervento per ripristinare una situazione di agibilità e decoro per uno dei conservatori più prestigiosi e importanti del mondo.
(2-01770) «Bossa, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CALABRÒ. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la legge di bilancio 2017, all'articolo 1, comma 313, ha stabilito che nel programma operativo nazionale «Per la Scuola – competenze e ambienti per l'apprendimento» del periodo di programmazione 2014/2020, per «istituzioni scolastiche» si debbano intendere tutte le istituzioni scolastiche che costituiscono il sistema nazionale di istruzione (dunque, scuole statali e scuole paritarie private e degli enti locali, ex articolo 1, legge n. 62 del 2000);
   al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca viene riconosciuta la possibilità di condurre i controlli previsti dal regolamento (UE) n. 1303/2013 (che disciplina l'utilizzo dei Fondi strutturali europei) avvalendosi dei propri revisori dei conti (ossia, ex articolo 1, comma 616, della legge n. 296 del 2006, due revisori chiamati a riscontrare la regolarità amministrativa e contabile presso le istituzioni scolastiche statali);
   tale facoltà deve essere esercitata nel rispetto del principio della separazione delle funzioni previsto dalla normativa comunitaria che disciplina l'intervento dei fondi strutturali (di cui al richiamato regolamento (UE) n. 1303/2013);
   per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sarà possibile destinare i fondi alle scuole paritarie di ogni ordine e grado non appena sarà modificato l'accordo di partenariato con l'Europa, che ad ora blocca la possibilità di accesso ai fondi Pon alle scuole non statali;
   per i bandi che usciranno prima della modifica dell'accordo, prevista tra qualche mese, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca accantonerà una parte dei fondi destinati alle scuole paritarie che, una volta superato il vincolo giuridico, saranno messi a disposizione per i progetti delle scuole paritarie –:
   quali siano i tempi previsti per la revisione richiesta dall'accordo di partenariato europeo, al fine di consentire anche alle scuole paritarie di accedere al Programma operativo nazionale «Per la Scuola – competenze e ambienti per l'apprendimento» del periodo di programmazione 2014/2020. (3-02986)


   GIGLI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   in risposta ad una recente interrogazione riguardante il progetto «A scuola per conoscerci», promosso da associazioni Lgbt, il Ministro interrogato dichiarava che «non si tratta di attività curricolari e che l'eventuale partecipazione degli studenti è meramente facoltativa e, comunque, necessita del consenso dei genitori per gli studenti minorenni», confermando così quanto affermato dall'allora Ministro Giannini, in risposta ad una precedente interrogazione;
   gli interventi riguardanti detto progetto, come anche analoghi, però si svolgono al mattino, in orario curricolare, e quindi sono di fatto obbligatori, non essendo previste attività alternative per coloro che non intendono parteciparvi;
   le scuole non formalizzano la richiesta del consenso informato preventivo ai genitori, dovuto in quanto trattasi di tematiche sensibili, che riguardano l'identità di genere e l'orientamento sessuale;
   in molte scuole i docenti di materia sono invitati ad uscire dalle rispettive aule durante le attività riguardanti progetti sul bullismo omofobico o l'educazione affettivo-sessuale e pertanto si pone un problema di rispetto della professionalità docente e di responsabilità «in vigilando»;
   si osserva, invece, che le linee guida adottate dalla provincia autonoma di Trento, con delibera n. 438 del 24 marzo 2017, prevedono l'obbligo di «fornire un'esaustiva conoscenza da parte delle famiglie stesse di tutti gli aspetti trattati (...) e la possibilità di comunicare all'istituzione scolastica o formativa la non partecipazione dello studente alle iniziative tramite giustificazione non necessariamente motivata»;
   sarebbe necessario, comunque, garantire attività alternative per coloro che non partecipano a tali iniziative se collocate in orario normale di lezione, in coerenza al dovere delle scuole di garantire il diritto allo studio degli alunni esonerati, oltre a garantire il rispetto della professionalità docente e regolamentare l'intervento nelle scuole di esperti invitati a partecipare a progetti di natura extracurricolare, che non possono evidentemente sostituire i docenti nell'espletamento della loro attività didattico-educativa –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare perché sia introdotta la richiesta da parte delle scuole di consenso informato preventivo su tutte le attività che attengono a temi educativi sensibili e divisivi e sulle attività in applicazione dell'articolo 1, comma 16, della legge n. 107 del 2015, eventualmente prevedendo l'inserimento di un apposito paragrafo procedurale per il coinvolgimento delle famiglie. (3-02987)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'economista Viesti, autore del volume «Università in declino. Un'indagine tra gli atenei da Nord a Sud», ha affrontato le tematiche sulle condizioni del sistema universitario italiano, alla luce dei cambiamenti introdotti dalla legge n. 240 del 2010;
   il testo suggerisce una riflessione su vari argomenti, come l'andamento degli iscritti, i processi di mobilità studentesca dal Sud al Nord del Paese e le garanzie di diritto allo studio, i percorsi di carriera dei docenti, nonché i meccanismi di finanziamento e valutazione degli atenei. Infine, esamina le caratteristiche dell'offerta didattica e la qualità della ricerca, il rapporto con il mondo dell'impresa e con la società nel suo complesso;
   per quanto concerne gli ingressi all'università, Viesti fa notare come, «rispetto a 8-10 anni fa, l'erogazione di somme di denaro agli atenei tramite il Fondo di Finanziamento Ordinario, sia diminuito di oltre il 22 per cento e, specularmente, gli studenti immatricolati si siano ridotti del 20 per cento»;
   in particolare, «fra il 2003-2004 e il 2014-15, i nuovi iscritti sono diminuiti di oltre sessantamila unità, arrivando a essere meno di 260 mila. Si tratta di una riduzione che non ha riscontri negli altri Paesi europei e che appare preoccupante, perché l'Italia ha già un numero di laureati estremamente basso. Infatti, è ultimo fra i 28 Paesi dell'Unione europea per la percentuale di giovani nella fascia 30-34 anni che hanno conseguito il titolo»;
   secondo lo studio, il calo degli iscritti dipenderebbe da tre diversi fenomeni. In primo luogo, come già notato dal rapporto dell'Anvur (2014), le immatricolazioni degli studenti che hanno un'età maggiore di 22 anni sono drasticamente diminuite;
   la riforma dei cicli universitari che, in una prima fase, ha prodotto un aumento degli immatricolati, ha fatto registrare, negli ultimi anni, solamente quattordicimila studenti ammessi a fronte dei sessantamila negli anni 2005-06;
   in secondo luogo, è diminuito il numero di immatricolati neodiplomati. Dato che, comune a tutte le regioni, dipende dai fattori demografici ed è stato, solo in parte, compensato dai flussi migratori in entrata, in particolare al Nord;
   in terzo luogo, le immatricolazioni sono scese a causa del disinvestimento nella formazione universitaria. Questo processo sembra più elevato nelle aree del paese tradizionalmente caratterizzate da livelli maggiori di scolarizzazione «ed è presente un esiguo incremento della formazione terziaria che, accompagnandosi alle dinamiche demografiche, provoca un mutamento molto differenziato delle domande di ammissione alle università italiane»;
   il Fatto Quotidiano, nell'articolo del 31 marzo 2017, ha affrontato i contenuti dell'analisi curata da Viesti, osservando che «(...) a fronte della riduzione del personale e dell'investimento economico, siano aumentati gli obblighi di vario genere per acquistare beni e servizi. Un ulteriore obbligo è caratterizzato dalle rendicontazioni valutative previste dall'Agenzia Nazionale di Valutazione dell'Università e della Ricerca. Tutte le università devono documentare le finalità formative e i risvolti occupazionali, le modalità di erogazione della didattica e di verifica degli apprendimenti degli studenti, nonché di dar conto della valutazione periodica del funzionamento dei corsi. Questi oneri aggravano il problema della carenza di personale e di fondi e, soprattutto, richiedono dei costi specifici che ricadano inevitabilmente sull'intera struttura, traducendosi in una minore capacità produttiva della stessa»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, inoltre, ha stanziato per l'ultimo progetto di ricerca di interesse nazionale (2015), circa 92 milioni di euro. Solamente 300 progetti, degli oltre 4.500 presentati, hanno beneficiato del finanziamento ministeriale. In particolare, alcuni hanno ricevuto solamente il 20-25 per cento degli importi richiesti e diversi ricercatori non hanno avuto la possibilità di attuare il programma di studio predisposto;
   un ultimo problema riguarda le facoltà scientifiche, dove la didattica laboratoriale risulta costosa e richiede adempimenti importanti e irrinunciabili inerenti alla sicurezza nei luoghi di lavoro. In molti casi questo comporta la chiusura dei laboratori o il loro ridimensionamento;
   il quotidiano ha evidenziato come «in questo settore, la riduzione dei finanziamenti all'università pubblica non sia ammissibile, in quanto rende impossibile lo svolgimento dell'insegnamento a causa dell'insostenibilità dei costi» –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Ministro interrogato intenda chiarire quali siano le iniziative volte a migliorare il sistema universitario, al fine di garantire un'offerta didattica competitiva con le altre università europee;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per potenziare la capacità di ricerca, d'innovazione e di formazione degli studenti iscritti negli atenei italiani. (4-16395)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 9-bis dell'articolo 1 del decreto-legge n. 193 del 2016 prevede che con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali siano individuate le modalità di utilizzazione, a decorrere dal 1o luglio 2017, delle risorse del fondo di previdenza di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 377;
   il suddetto fondo di previdenza dei lavoratori esattoriali, disciplinato dalla legge 2 aprile 1958, n. 377, contempla ancora un regime previdenziale a «prestazione definita», ben distante, invece, dal regime a «contribuzione definita» ed a capitalizzazione dei contributi versati, come introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335;
   secondo il regime a «prestazione definita», contemplato da numerose forme pensionistiche complementari preesistenti, l'ammontare della prestazione da erogare è prefissata e corrisponde ad una percentuale del reddito o della prestazione corrisposta dalla previdenza obbligatoria, e risulta, pertanto, slegato dall'ammontare dei contributi versati. Tale regime può essere applicato, tra i lavoratori dipendenti, solo ai vecchi iscritti;
   già da tempo giace presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto di riforma della previdenza della categoria condiviso tra Equitalia e le organizzazioni sindacali di trasformazione e razionalizzazione del suddetto Fondo integrativo di previdenza dei lavoratori esattoriali risalente al 1958, progetto supportato da una approfondita relazione tecnica predisposta, su formale richiesta del Ministero stesso, dall'Inps, e che avrebbe un impatto neutro sui saldi di finanza pubblica, non comportando oneri a carico della fiscalità generale, a differenza dell'ipotesi di un mancato adeguamento che certamente porterebbe all'obbligo da parte dell'Inps al rimborso dei contributi versati secondo quanto disposto dall'articolo 32 della legge 2 aprile 1958, n. 377 e successive modificazioni –:
   se ritenga opportuno garantire la tutela della posizione previdenziale maturata ad oggi dai lavoratori esattoriali e la continuità del fondo di previdenza di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 377, prevedendo, ove ne sussistano i presupposti, nel decreto previsto dal comma 9-bis dell'articolo 1 del decreto-legge n. 193 del 2016, l'armonizzazione della disciplina previdenziale del personale trasferito al nuovo ente «Agenzia delle entrate-riscossione» come prevista dalla legge 2 aprile 1958, n. 377, e successive modificazioni, con quella dell'assicurazione generale obbligatoria, sulla base dei principi e dei criteri direttivi indicati dalla legge 8 agosto 1995, n. 335. (5-11209)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel corso delle scorse settimane davanti allo stabilimento della Coca Cola di Nogara, in provincia di Verona, è stato organizzato un sit-in del sindacato Adl Cobas, per protestare contro l'esclusione di 14 lavoratori, aderenti al sindacato, dalla nuova gestione del magazzino e logistica della sede Coca Cola veronese;
   lo stabilimento della Coca Cola subappalta le attività di magazzino e logistica ad altre aziende, e nei giorni precedenti al sit-in organizzato dalla sigla sindacale, la cooperativa che gestiva il magazzino si è ritirata dalla gara d'appalto per il nuovo affidamento di servizi, lasciando così spazio alla cooperativa Vega di Bergamo;
   sembrerebbe che questa stessa cooperativa abbia espresso la volontà di ridurre il personale, sui 95 lavoratori ad oggi occupati intenderebbe evitare l'assunzione di 14 lavoratori;
   lo stesso sindacato Adl Cobas lamenta, tuttavia, che i 14 lavoratori a rischio, sarebbero quasi tutti aderenti alla loro sigla sindacale, e gli stessi lavorano presso quel magazzino ormai da molto tempo ed accusano che ci sia un chiaro disegno di emarginare questi lavoratori poiché dedicati anche all'impegno sindacale;
   la paventata intenzione della riduzione del personale diviene inesplicabile allorché si pensi che l'azienda gode di ottima salute ed, al contrario, eventuali tagli al personale, in tal caso, non potrebbero, quindi, essere assolutamente giustificati dallo stato di crisi;
   a parere del sindacato, quindi, questo comportamento integrerebbe sicuramente una condotta antisindacale dell'azienda e dopo aver annunciato a voce del loro legale la più ferma opposizione alla prosecuzione di questa politica di tagli al personale, alcuni lavoratori aderenti al sindacato hanno così organizzato un sit-in davanti l'ingresso del magazzino Coca Cola di Nogara, che ha impedito, di fatto, ai mezzi della logistica di accedere al magazzino;
   l'ufficio stampa dell'azienda Coca Cola HBC precisa l'estraneità alla gestione della logistica, sottolineando che ogni rimostranza dovrà essere rivolta all'azienda che direttamente gestisce il magazzino e la logistica, poiché è la sola entità giuridica titolare dei rapporti di lavoro con gli operai che hanno inscenato tale protesta;
   ciò che appare emergere in modo curioso, secondo gli interroganti, al di là dei rapporti commerciali tra le società ed i risvolti tecnico-giuridici dei rapporti di lavoro, è che la nuova società cooperativa abbia scelto di allontanare proprio solamente i lavoratori iscritti alla sigla sindacale Adl Cobas;
   a parere degli interroganti, andando oltre il vaglio di legittimità da effettuarsi a cura delle parti interessate sotto il profilo del diritto del lavoro, eventualmente addentrandosi nei singoli rapporti con i mezzi di ricorso forniti dall'ordinamento giuridico, andrebbe sicuramente analizzato il comportamento del nuovo subappaltatore, per fugare ogni dubbio in relazione a questa condotta che gli interroganti ritengono potrebbe essere considerata anti-sindacale –:
   se siano a conoscenza della situazione esposta e se questa corrisponda al vero;
   se e quali iniziative di competenza, anche ispettive, intenda adottare in relazione alle criticità esposte in premessa, che per gli interroganti potrebbero dar luogo a situazioni discriminatorie ed antisindacali;
   se si intenda promuovere, in tempi rapidi, un incontro con i rappresentanti sindacali e la direzione del magazzino e la logistica dell'azienda in questione allo scopo di pervenire a un serio e credibile progetto di reimpiego degli stessi lavoratori. (4-16399)


   LOCATELLI, PASTORELLI e LO MONTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 2016, è stata pubblicata la legge 6 giugno 2016, n. 106, «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale», in vigore dal 3 luglio 2016;
   il terzo settore viene definito come il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d'interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in coerenza con le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi;
   tra le finalità perseguite vi è la revisione della disciplina contenuta nel codice civile in tema di associazioni e fondazioni, da attuare secondo i determinati principi e criteri direttivi;
   i decreti delegati dovranno: individuare i settori in cui può essere svolta l'attività d'impresa nell'ambito delle attività di interesse generale; prevedere le forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell'oggetto sociale; prevedere il divieto di ripartire eventuali avanzi di gestione degli utili al conseguimento degli obiettivi sociali; prevedere l'obbligo di redigere il bilancio; coordinare la disciplina dell'impresa sociale con il regime delle attività di impresa svolte dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale; prevedere la nomina, in base a principi di terzietà, di uno o più sindaci con funzioni di vigilanza;
   essendo la legge entrata in vigore il 3 luglio 2016, il Governo dovrà adottare e presentare i decreti entro il 18 maggio in modo che essi siano definiti entro il 2 luglio, termine di scadenza per l'esercizio della delega;
   al tal fine, diverse associazioni femminili hanno individuato, cosa che avevano invano fatto presente durante l’iter di approvazione della legge, due esigenze fondamentali: che il linguaggio della legge fosse in linea con le indicazioni sull'uso non sessista della lingua italiana e che la tipologia «associazioni femminili» fosse esplicitamente inclusa in tutte le sezioni individuate per l'associazionismo;
   la terminologia «associazioni femminili» deve comparire in ogni sezione in quanto il limite attuale dell'impianto legislativo potrebbe di nuovo ostacolare/impedire alle associazioni femminili (ad esempio: UDI – Unione Donne in Italia) di iscriversi al registro, per una presunta mancanza del requisito della «democraticità» (non sono ammessi uomini);
   la tipologia «associazioni femminili» deve comparire in ogni sezione perché evidenti sono i rischi e i limiti che avrebbero le politiche del terzo settore, nel momento in cui le associazioni femminili non fossero neppure nominate in quanto tali. Si disperderebbero di fatto, nel vasto mondo dell'associazionismo, valori e istanze specifiche che tali associazioni hanno in quanto femminili –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di un indispensabile riconoscimento dell'associazionismo femminile, come forma associativa specifica e, come presupposto per una legislazione futura che si esprima con un linguaggio corretto dal punto di vista del genere. (4-16402)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 11, comma 1, lettera p), detta princìpi e criteri direttivi riguardo agli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale e ai sensi di tale delega è stato emanato il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, in materia di dirigenza sanitaria;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, della legge n. 124 del 2015 e, tra gli altri, anche dell'articolo 11, comma 1, lettera p), nella parte in cui prevede che il decreto legislativo attuativo, sia adottato previa acquisizione del parere della Conferenza Unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni;
   per recepire la sentenza citata, il Governo ha predisposto un nuovo schema di decreto, integrativo e correttivo, utilizzando la delega di cui all'articolo 11, comma 3, della citata legge n. 124 del 2015, il quale prevede che, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura stabiliti dal medesimo articolo, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive;
   la relazione tecnica allo schema di decreto legislativo chiarisce di recepire il suggerimento della Corte costituzionale, nel pieno rispetto del princìpio di leale collaborazione, e corregge il testo vigente, oltre che nelle premesse anche all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 171 del 2016, eliminando la previsione che la «rosa di candidati» proposta dalla commissione regionale al presidente della regione, sia «non inferiore a tre e non superiore a cinque», essendo l'unico emendamento non interamente accolto a suo tempo in sede di Conferenza unificata sullo schema di decreto legislativo attuativo della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124 del 2015;
   reca qualche perplessità la soppressione della disposizione sopra riportata che, auspicata anche dal Consiglio di Stato, poneva un primo argine, seppure non esaustivo, alla discrezionalità del presidente della regione e all'inaccettabile meccanismo che lega le nomine della dirigenza sanitaria agli interessi della politica;
   l'Anac, con delibera n. 1388 del 14 dicembre 2016, ha adottato un atto di segnalazione al Governo e Parlamento, quale proposta di modifica dell'articolo 14, comma 1, lettera d), dell'articolo 41, comma 3, e dell'articolo 47, comma 3, del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, attuativo anch'esso della medesima delega di cui alla legge 7 agosto 2015, n. 124;
   in particolare, l'Anac ha ritenuto necessario segnalare alcune criticità che la nuova disciplina in tema di trasparenza, introdotta dal decreto legislativo n. 97 del 2016, manifesta in riferimento agli articoli 14, 15 e 47 del decreto legislativo n. 33 del 2013, con particolare riguardo al diverso regime di trasparenza previsto per la dirigenza amministrativa in generale rispetto a quella sanitaria;
   l'articolo 14 del decreto legislativo n. 33 del 2013 disciplina gli obblighi di pubblicazione concernenti anche i titolari di incarichi dirigenziali e, al comma 1, elenca i dati da pubblicare, compresi quelli che si riferiscono alle dichiarazioni patrimoniali; mentre tale disciplina trova applicazione per la generalità degli incarichi dirigenziali, incredibilmente non trova applicazione per la dirigenza sanitaria (e cioè per gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse) poiché l'articolo 41 del decreto n. 33 del 2013 (in tema di trasparenza del servizio sanitario nazionale) espressamente richiama, al comma 3, l'articolo 15 (invece riferito ai consulenti e collaboratori), introducendo di fatto un differente regime di trasparenza; l'Anac ritiene quindi necessario apportare le opportune modificazioni;
   nel medesimo atto l'Anac segnala altresì che l'articolo 47 del decreto legislativo n. 33 del 2013, in tema di sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza, per come modificato dal decreto legislativo n. 97 del 2016, non consente alla medesima Anac di irrogare le diverse sanzioni previste, anche per la mancata indicazione del soggetto competente ad introitare le somme incassate a titolo di sanzioni;
   gli articoli 1, comma 8, e 2, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, in riferimento alla dirigenza sanitaria, richiamano gli obiettivi di trasparenza e, al riguardo, in occasione dell'esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari, il gruppo M5S ebbe a rilevare nel proprio parere alternativo proprio la necessità di fare un esplicito riferimento a tutti gli obblighi previsti dalla legge n. 190 del 2012, dal decreto legislativo n. 33 del 2013 e dal decreto legislativo n. 39 del 2013;
   appare inaccettabile quindi che le disposizioni sulla trasparenza previste per la generalità della dirigenza pubblica non trovino invece applicazione esaustiva per la dirigenza sanitaria che, peraltro, si trova a gestire ingenti e importanti risorse economiche del Paese destinate alla salute dei cittadini e che per contiguità alla politica e ad interessi politico-elettorali è, più di ogni altra dirigenza, collocata in un contesto a forte rischio di corruzione;
   il Governo, nel recepire il suggerimento della Corte costituzionale, dichiara di soddisfare il principio di leale collaborazione tra istituzioni, ma dimentica e ignora che lo stesso principio dovrebbe portare a integrare e rettificare il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, anche con i rilevi segnalati dall'Anac che hanno fatto luce su una gravissima incoerenza delle norme sulla trasparenza in ambito sanitario e con riferimento alla dirigenza sanitaria –:
   se intenda assumere iniziative per apportare i correttivi necessari e indispensabili a rendere trasparente il sistema della dirigenza sanitaria, come richiesto dall'Anac, con specifico riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse, anche cogliendo la contingenza offerta dalla necessità di adeguare il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, alla sentenza della Corte costituzionale, nel rispetto del principio di leale collaborazione tra tutte le istituzioni.
(2-01773) «Lorefice, Nesci, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Baroni, Agostinelli, Battelli, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Cariello, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Corda, Dall'Osso, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, D'Incà».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2016 circa 10 milioni di italiani, pari al 17,6 per cento, hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi e la rinuncia riguarda soprattutto le fasce più deboli della popolazione secondo quanto emerge dall'IPS, l'indice di performance sanitaria realizzato dall'Istituto Demoskopika;
   secondo i dati raccolti dai Tribunali per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, fra gli oltre 26 mila che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato nel 2015, un cittadino su quattro, lamenta difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie di cui oltre il 58 per cento per le liste di attesa ed il 31 per cento per il costo del ticket;
   il 12 aprile 2017 sono state discusse alla Camera dodici mozioni, presentate da tutti i gruppi, volte a impegnare il Governo a realizzare e varare un nuovo piano nazionale dei tempi di attesa, che allarghi lo spazio temporale di attività delle aziende sanitarie, coinvolgendo i cittadini o le loro associazioni come parte attiva dei controlli;
   nei giorni scorsi sulla stampa locale e sui social network si è scatenata un'infuocata discussione sui lunghissimi tempi delle liste di attesa per le prestazioni sanitarie nelle strutture pubbliche della Basilicata. Infatti, per una visita ortopedica per discopatia all'ospedale San Carlo di Potenza i tempi di attesa sono di oltre un anno; per una visita specialistica in reumatologia si deve aspettare oltre un anno sempre all'ospedale San Carlo di Potenza. Mentre all'ospedale di Matera per una visita pneumologica necessitano circa 13 mesi, per una visita urologica sempre a Matera occorre 1 anno. Di conseguenza, l’intramoenia è diventata una corsia preferenziale per curarsi e a volte sono gli stessi operatori del centro di prenotazioni unico regionale a consigliare la via della visita privata;
   il 12 gennaio 2017 è stata approvata la legge regionale n. 2 riordino del servizio sanitario regionale della Basilicata che, all'articolo 3, prevede che le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale concorrono a garantire gli obiettivi assistenziali ed operano secondo criteri di efficienza, qualità e sicurezza delle cure nonché di riduzione dei tempi di attesa per l'erogazione delle prestazioni, di efficienza e di centralità del paziente in una logica di rete regionale;
   i lucani confermano la loro diffidenza scegliendo di ricoverarsi e curarsi in strutture sanitarie fuori dai confini regionali. In particolare, con un indice di «fuga» pari al 24,1 per cento, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, la Basilicata ha totalizzato solo 16,6 punti nella graduatoria parziale di Demoskopika;
   l'abbattimento dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie, a giudizio dell'interrogante, dovrebbe essere uno degli obiettivi prioritari del servizio sanitario nazionale con l'erogazione dei servizi entro tempi appropriati, rispetto alla patologia e alle necessità delle cure –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per risolvere il problema della trasparenza delle liste di attesa che crea gravi disagi ai cittadini che non riescono ad avere consulti medici specialistici in tempi certi nella erogazione delle prestazioni sanitarie;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di verificare ed incentivare l'effettiva attuazione degli istituti di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini, previsti dalla legislazione nazionale, nelle attività relative alla programmazione, al controllo e alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale e aziendale e, in particolare, nella sanità lucana. (3-02975)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, AMATO, CARNEVALI, D'INCECCO e PICCIONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto Airtum del 2016 il tumore al seno colpisce una donna su dieci nell'arco della vita e nel sesso femminile rappresenta il 25 per cento di tutti i tumori; in Italia, i nuovi casi, ogni anno, sono in costante aumento; solo nel corso del 2016 ne sono stati diagnosticati 50.000, a fronte dei 48.000 dell'anno precedente; ciononostante, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è tra i più alti in Europa, raggiungendo l'87 per cento delle donne colpite dalla neoplasia;
   la diagnosi precoce dunque rappresenta un'arma fondamentale nella lotta contro il tumore al seno, permettendo di aumentare notevolmente le probabilità di guarigione delle pazienti;
   i centri di senologia (CS) multidisciplinari « breast unit» sono un modello di assistenza specializzato nella diagnosi, cura e riabilitazione psicofisica delle donne affette da carcinoma mammario, dove la gestione del percorso della paziente è affidato ad un gruppo multidisciplinare di professionisti dedicati e con esperienza specifica in ambito senologico (chirurghi, radiologi, oncologi, radioterapisti, infermieri, tecnici di radiologia, onco-genetisti, chirurghi-plastici, ginecologi, fisiatri e fisioterapisti);
   è stato recentemente dimostrato che le pazienti curate in questi centri hanno maggiori possibilità di guarigione, con un tasso di sopravvivenza più alto di circa il 18 per cento rispetto a chi si rivolge a strutture non specializzate;
   nel 2003 il Parlamento europeo ha raccomandato che tutte le donne europee siano curate in una rete di centri multidisciplinari certificati, secondo i requisiti della European Society of Breast Cancer Specialist;
   nel 2006 una risoluzione del Parlamento europeo invitava gli Stati membri a realizzare, entro il 2016, i centri di senologia; a tal riguardo il 18 dicembre 2014 la conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano ha sancito l'intesa sul documento «Linee di indirizzo sulle modalità organizzative ed assistenziali della rete dei Centri di senologia», ove si indicano specifici percorsi di presa in carico multidisciplinare delle pazienti affette da neoplasia mammaria;
   da queste indicazioni è assente la previsione di un percorso assistenziale e terapeutico ad hoc per le donne che superano la malattia;
   il 20-30 per cento dei casi di cancro alla mammella colpisce, infatti, le donne in età pre-menopausale, le quali nel caso vengano sottoposte ad una terapia a base di ormoni porta la paziente ad affrontare il più delle volte una menopausa precoce, accompagnata dunque da tutte le sintomatologie ad essa correlate, sia di natura neurovegetativa che psicoaffettiva;
   tra questi un caso eclatante è la manifestazione dell'atrofia vulvo vaginale (AVV) destinata a peggiorare con il passare del tempo, che colpisce circa il 70 per cento delle donne nei casi di menopausa indotta da tumore al seno;
   in questa ottica, dunque, è importante promuovere il ruolo dei centri specialistici multidisciplinari in cui mettere insieme le esperienze e la sensibilità di diversi professionisti che possano assistere la donna nel periodo menopausale a seguito dei trattamenti per la patologia oncologica;
   il termine ultimo per l'istituzione dei centri era il 31 dicembre 2016, ma all'inizio del 2017, secondo dati risultanti all'interrogante, non tutte le regioni hanno dato il via all'organizzazione della propria Rete dei centri di senologia; in nessuna regione l’iter è completo e molte, nonostante le delibere, non hanno ancora indicato quali strutture presentano (o dovranno presentare) tutti i requisiti essenziali, stabiliti nella menzionata Intesa Stato-regioni –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire la piena attuazione del processo di strutturazione dei centri di senologia. (5-11211)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2017;
   il Ministro della salute, ha definito la pubblicazione, una data «storica per la sanità italiana», poiché, a suo dire, è l'occasione concreta di «creare un servizio sanitario nazionale sempre al passo con le innovazioni tecnologiche e scientifiche e con le esigenze dei cittadini»;
   sicuramente tale pubblicazione ha il merito di concludere un iter atteso da quasi dieci anni; tuttavia, è doveroso rilevare che l'accessibilità alla maggior parte delle prestazioni incluse nei nuovi Lea è ancora molto lontana per cittadini e pazienti;
   la Fondazione Gimbe ha effettuato un'analisi scrupolosa del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e dei relativi allegati: in particolare, i commi 1-5 dell'articolo 64 (norme finali e transitorie) fanno emergere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «orfano» d'indispensabili documentazioni tecniche, che rimanda a ulteriori atti normativi dalle tempistiche in parte ignote e imprevedibili, in parte note ma difficilmente applicabili in tutte le regioni secondo le scadenze previste;
   ad esempio, i nomenclatori pubblicati in Gazzetta Ufficiale sono privi delle corrispondenti tariffe; infatti, si precisa che l'entrata in vigore dei nomenclatori dell'assistenza specialistica e protesica è subordinata all'operatività dei provvedimenti che fisseranno le tariffe massime delle prestazioni;
   inoltre, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede l'ampliamento dell'elenco inserendo circa 110 nuove prestazioni tra singole malattie rare e gruppi di malattie che, tuttavia, entreranno in vigore 180 giorni dopo la data di pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   le modalità di erogazione delle prestazioni sono rinviate a successivi accordi sanciti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome, su proposta del Ministro della salute;
   la Commissione nazionale, incaricata di garantire l'aggiornamento dei Lea attraverso una procedura semplificata e rapida, avrebbe dovuto formulare, entro il 28 febbraio 2017, una prima proposta di revisione da formalizzare entro il 15 marzo, ma entrambe le scadenze non sono state rispettate;
   infine, sui dispositivi monouso, sulle prestazioni protesiche, sui percorsi assistenziali integrati e sull'assistenza ambulatoriale, il testo prevede che per essere realmente applicato, occorrono diverse intese tra Stato-regioni;
   considerate quanto sopra descritto, secondo gli interroganti, i nuovi Lea non possono garantire i livelli essenziali e uniformi di prestazioni e servizi nel Paese, causando pertanto un grave disagio ai cittadini –:
   stabilito che i nomenclatori tariffari in vigore saranno superati solo quando sarà raggiunta l'intesa Stato-regioni, se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare allo scopo di adeguare le reti regionali per le malattie rare con l'individuazione dei relativi presidi e registri regionali;
   quali siano le iniziative previste – per quanto di competenza – per tutelare i pazienti con malattie rare nelle regioni inadempienti;
   poiché la standardizzazione su tutto il territorio nazionale dei criteri di erogazione delle prestazioni dei nuovi Lea ai sensi del comma 1 dell'articolo 64 sopra citato è stata rimandata ad atti successivi, quali siano le tempistiche della standardizzazione non definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per definire una specifica tabella finalizzata a fornire certezze a cittadini e pazienti sulla reale fruibilità dei nuovi Lea in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. (5-11212)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZOLEZZI, LOREFICE, COLONNESE e MICILLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia nascono ogni anno 485.000 bambini di cui 12.658 nel 2014 da tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA);
   a livello europeo, il fenomeno della «migrazione riproduttiva» interessa tra le 25 mila e le 30 mila coppie all'anno. L'Italia è il Paese europeo dove il fenomeno della migrazione per problemi riproduttivi è di gran lunga più frequente. Secondo un'indagine condotta dall'Osservatorio sul turismo procreativo nel 2011, almeno 4.000 coppie si sono recate all'estero; 11 mila sono le coppie che si rivolgono a centri nazionali fuori regione di residenza;
   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), all'articolo 24 relativo all'assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie, si fa riferimento (comma 1, lettera i)) a consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi di sterilità e infertilità e per procreazione medicalmente assistita (PMA);
   all'articolo 49, relativo alla donazione di cellule riproduttive, si fa riferimento alle coppie che si sottopongono alle procedure di procreazione medico assistita eterologa, che contribuiscono ai costi delle attività, nella misura fissata dalle regioni e dalle province autonome;
   durante il XXXII Convegno di medicina della riproduzione, tenutosi ad Abano Terme (Padova), dal 23 al 25 febbraio 2017, sono stati portati dati quali-quantitativi importanti relativamente agli esiti dei cicli di procreazione medicalmente assistita. In particolare, aggiornando i dati del report 2016 sull'attività nazionale di procreazione medicalmente assistita del 2005-2014 è emerso un progressivo incremento dell'offerta delle varie prestazioni correlate alla procreazione medicalmente assistita a livello nazionale, in particolare aumento dai 63.585 cicli del 2005 (tutte le tecniche di I, II e III livello senza donazione di gameti) ai 90.711 cicli del 2014 agli oltre 110.000 cicli del 2015; un aumento da 37.293 (2005) a 66.845 cicli (2014) di II e III livello;
   si è assistito, però apparentemente, a una riduzione degli esiti favorevoli delle procedure, passando da 10.732 parti/90.711 cicli (11,8 per cento), a una importante riduzione nel 2015 (dati da validare), con grande disomogeneità fra centri:
   dalle audizioni e dai lavori eseguiti in regione Campania in merito alla Proposta di legge regionale «Organizzazione delle attività di medicina della riproduzione e PMA in regione Campania» sta emergendo la necessità:
    di maggiore attenzione all'aspetto andrologico (che dalle recentissime evidenze sembra addirittura prevalere rispetto a quello ginecologico) e ginecologico, sia nel campo delle procedure di prevenzione e diagnosi che nel trattamento delle affezioni maschili e femminili, responsabili di ipofertilità o «infertilità idiopatica» anche per ridurre il fabbisogno di prestazioni;
    di maggiore omogeneità nella durata dei ricoveri che in molti casi possono essere di poche ore;
    di affidare ai centri di I livello il compito della prevenzione dell'infertilità, diagnosi (eventuali esami genetici e infettivologici vista fra l'altro la crescente prevalenza di infezioni da germi intracellulari e di diatesi trombotiche); diverse infezioni sono state associate all'aborto sporadico e ad altri esiti ostetrici avversi come la morte intrauterina e il parto prematuro. In particolare, il 15 per cento degli aborti precoci ed il 66 per cento di quelli tardivi sono stati attribuiti ad infezioni. In uno studio effettuato su tessuto ottenuto da materiale abortivo, il 78 per cento di 101 campioni è risultato infetto con batteri (corionamniotiti); gli studi più recenti hanno evidenziato un'associazione principalmente con le perdite fetali più tardive, dovute essenzialmente all'attivazione della trombosi nei vasi utero-placentari. I polimorfismi prevalenti sono quelli dell'eterozigosi per il fattore V di Leiden e omozigosi per la mutazione della MTHFR;
    di evitare la spinta a eseguire un grande numero di prestazioni (cicli in crescita) a scapito della qualità, a causa dei rimborsi che portano a 550 milioni di euro il costo dei circa 110 mila cicli eseguiti nel 2015, ipotizzando l'applicazione della cifra di rimborso applicata in regione Lombardia per i pazienti provenienti da fuori regione (5.000 euro) senza contare la spesa privata per farmaci e prestazioni varie –:
   se e come i Ministri interrogati intendano rendere sostenibile e fruibile per il maggior numero di coppie possibile l'assistenza efficace all'infertilità ed, eventualmente, l'accesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, prestazioni in corso di inserimento nei livelli essenziali di assistenza. (4-16393)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIMÌ, BRUNO BOSSIO, DE MENECH, FRAGOMELI, RIBAUDO, COVA, STELLA BIANCHI, FANUCCI e CASELLATO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 della legge delega n. 124 del 2015 recante come titolo «Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», alla lettera d) del primo comma reca: «soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni»;
   Consob e Banca d'Italia bandirono e perseverano nel bandire, in tempi successivi all'approvazione di tale norma, concorsi in cui è richiesto come requisito di ammissione il voto minimo di laurea 105/110 e quindi, oltre a mortificare il favor partecipationis, disattendono palesemente quanto stabilito dall'articolo 17 della legge delega n. 124 del 2015;
   il Tar del Lazio, con il decreto presidenziale n. 5673 del 17 dicembre 2015, accolse un'istanza cautelare, avente ad oggetto la richiesta di partecipazione al concorso indetto dalla Banca d'Italia per la selezione, e assunzione di 65 coadiutori, presentata da un soggetto che ne era stato escluso a causa del voto di laurea inferiore al requisito imposto dal bando;
   è quindi stato ordinato, dal suddetto decreto presidenziale del Tar del Lazio, alla Banca d'Italia di dover ammettere al concorso il soggetto richiedente, ribadendo come il voto di laurea non sia più esigibile ed utilizzabile come metodo di discriminazione intercandidato –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per chiarire che la soppressione del requisito del voto minimo di laurea trova applicazione anche in relazione ai concorsi banditi da Consob e Banca d'Italia, tutelando possibilmente anche coloro che, ad oggi, non hanno presentato la domanda di partecipazione ai concorsi che seguono le modalità, ad avviso degli interroganti, illegittime descritte nelle premesse, autoesclusisi ritenendosi privi dei requisiti richiesti – i quali possono ancora ambire ad ottenere un provvedimento di ammissione nonostante la scadenza del termine – nonché coloro i quali, in generale, si cimenteranno nei prossimi mesi in altre selezioni pubbliche che dovessero contemplare il limite minimo di voto fra i requisiti necessari per partecipare. (4-16397)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   CANCELLERI, VALLASCAS, FANTINATI, CRIPPA, DA VILLA e DELLA VALLE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Invitalia è l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di proprietà del Ministero dello sviluppo economico;
   come si evince dal sito di Invitalia: nell'ambito dell'elaborazione del progetto di riconversione e riqualificazione industriale dell'area di crisi di Gela (costituita dai territori dei Comuni appartenenti ai Sistemi Locali del Lavoro di Gela, Mazzarino, Vittoria, Caltagirone, Riesi, Caltanissetta e Piazza Armerina) la stessa promuove una call di manifestazioni di interessi ad investire, con l'obiettivo di definire i fabbisogni di sviluppo dell'area;
   in data 15 febbraio 2017 a Gela, è stato organizzato un convegno dove sono stati illustrati l’iter e la finalità del progetto;
   vanno sottolineati l'importante scopo della call e la scadenza troppo breve del 15 marzo 2017, per presentare l'interesse –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, intenda organizzare il prima possibile degli incontri, simili a quello avvenuto in data 15 febbraio 2017 a Gela e quante manifestazioni di interesse siano state presentate, valutando eventualmente la fissazione di una nuova data di apertura della manifestazione di interesse, per dare modo a chi non fosse a conoscenza dell'iniziativa di attivarsi per prenderne parte. (5-11225)


   RICCIATTI, FERRARA, EPIFANI, QUARANTA, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, SCOTTO, PIRAS, MELILLA, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 marzo 2017 Ericsson Telecomunicazioni spa, con sede legale in via Anagnina a Roma, ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex articolo 4 e 24 della legge 223 del 1991 e successive modifiche;
   Ericsson è tra i maggiori fornitori in Italia di tecnologie e servizi per i principali operatori di telecomunicazioni, oltre che di industrie ed Enti pubblici;
   l'azienda ha motivato l'apertura della procedura di licenziamento collettivo con un cambio strutturale dello scenario competitivo del settore, che ha visto aggiungersi alla contrazione della domanda interna una crescente competizione basata sui prezzi, oltre ad un «cambiamento di paradigma tecnologico» sempre più sbilanciato nel settore software a scapito delle forniture hardware;
   oltre a ciò, è da registrarsi l'ingresso di un nuovo importante operatore nel settore, la società cinese Zte, che nel mese di dicembre 2016 si è aggiudicato una importante commessa da Wind-3, proprio ai danni di Ericsson che della rete 3 era il principale fornitore;
   la commessa aggiudicata dalla cinese Zte, che aveva peraltro una scarsa presenza sul territorio nazionale, prevede la realizzazione degli apparati tecnologici necessari e conseguenti alla fusione tra le due realtà Wind e 3, quali interventi su decine di migliaia di base station sul territorio nazionale ed unupgrade delle due reti alle tecnologie 4G, in vista della realizzazione dell'unica rete di accesso per i clienti Wind-3;
   il costo di tale commessa è stimata tra un valore di 800 milioni e 1 miliardo di euro;
   la procedura di esuberi aperta da Ericsson è, di fatto, la terza in tre anni. I lavoratori considerati in esubero nella procedura citata sono circa 360, molti dei quali troverebbero enormi difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro per questioni di età e per l'aver acquisito una professionalità specifica difficilmente spendibile in un settore in contrazione;
   l'azienda esclude il ricorso agli ammortizzatori sociali, in quanto ritiene la previsione degli esuberi di carattere strutturale e non congiunturale;
   ad avviso degli interroganti sarebbe tuttavia necessario un approfondimento che consenta di individuare soluzioni equilibrate in grado di salvaguardare il profilo industriale dell'azienda, i lavoratori e la loro professionalità, senza pregiudicare lo sviluppo futuro dell'impresa –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare il Ministro interrogato in merito alla questione illustrata in premessa. (5-11226)


   BOMBASSEI, CATALANO e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 31 marzo 2017 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inoltrato a Governo e Parlamento una segnalazione relativa ad alcune previsioni presenti nel disegno di legge A.S. n. 2647, recante «Disciplina dell'attività di home restaurant»;
   l'Autorità, richiamando preliminarmente il quadro europeo in materia di sharing economy, in base al quale «restrizioni in termini di accesso al mercato possono essere previste (...) soltanto se sono non discriminatorie, giustificate da un ben individuato “motivo imperativo d'interesse generale”, ai sensi dell'articolo 4, punto 8, della Direttiva Servizi (Direttiva 2006/123/CE), proporzionate e necessarie», ha anzitutto censurato il fatto che sia stata prevista, come unica modalità per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, quella dell'utilizzo di piattaforme telematiche, così escludendo ogni possibile rapporto diretto tra cuoco e fruitore, nonché l'obbligo di operare ogni transazione mediante le piattaforme digitali, che renderebbe più oneroso per il cliente disdire il servizio;
   anche la qualificazione dell'attività in termini di sola occasionalità si rivelerebbe non necessaria né proporzionata, tenendo conto che si è pure prevista una modalità di home restaurant ad obblighi attenuati, ossia il social eating;
   i conseguenti limiti massimi di coperti e di reddito annuo previsti per l’home restaurant si porrebbero «piuttosto in palese contrasto, oltre che con i principi di liberalizzazione previsti dal decreto legislativo n. 59/2010, che recepisce la Direttiva Servizi, e dai successivi decreti di liberalizzazione, anche con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica e di tutela della concorrenza»;
   infine, sempre secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, apparirebbe «priva di motivazioni e ingiustificatamente restrittiva l'esclusione delle attività di B&B e Case Vacanza in forma non imprenditoriale e della locazione dalla possibilità di ampliare l'offerta di servizi extralberghieri con quella del servizio di home restaurant»;
   in conclusione, le norme di cui sopra non sarebbero necessarie e proporzionate agli obiettivi di tutela di interessi pubblici e, in particolare, della salute dei fruitori, che sarebbe già adeguatamente garantita «dall'obbligo di rispettare le norme sull'igiene degli alimenti (richiamate all'articolo 4, comma 6) e dagli obblighi di copertura assicurativa (articolo 3, comma 6)» –:
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto ai rilievi di cui sopra formulati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (5-11227)


   BENAMATI, FABBRI e FAMIGLIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della ex-Bredamenarinibus di Bologna e dell'ex Irisbus di Flumeri, confluiti in Industria Italiana Autobus S.p.a. (I.I.A.), sono dal settembre 2016 in cassa integrazione motivata dalla ristrutturazione degli immobili aziendali;
   l'azienda rappresenta, per il territorio bolognese, avellinese e nazionale, un asset tecnologico e strategico innovativo, per lo sviluppo di un trasporto pubblico sostenibile;
   I.I.A. nel sito produttivo di Bologna dà lavoro a circa 170 persone e nello stabilimento di Flumeri a circa 300;
   l'attività parlamentare su questa vicenda è stata molto intensa, dal 2013 si sono succeduti diversi atti di sindacato ispettivo ed è stata discussa e approvata la mozione n. 1-00186 sulla crisi delle aziende suddette;
   gli accordi presi in sede di Ministero dello sviluppo economico il 17 dicembre 2014, di cui il Governo pro tempore si era fatto garante, e il 27 luglio 2016 presso la regione Emilia Romagna, per la realizzazione del polo nazionale per la progettazione e costruzione di autobus, sono stati integrati anche con la firma, nel settembre 2016 con il soggetto gestore Invitalia, di un contratto di sviluppo che prevede un programma d'investimento teso al ripristino e all'adeguamento dello stabilimento di Flumeri, oltre all'acquisto degli impianti e dei macchinari necessari per la produzione;
   l'investimento complessivo è di 25 milioni di euro, di cui 17,8 concessi dal Governo per tramite di Invitalia. Il progetto prevede a regime 302 occupati, con il totale reimpiego dei 297 lavoratori ex Irisbus, attualmente in cassa integrazione, che verranno gradualmente reinseriti nella produzione;
   il consiglio comunale di Bologna ha approvato all'unanimità, il 10 aprile 2017, un ordine del giorno che chiede al Governo un'assunzione di responsabilità per gli impegni presi in fase di cessione dell'azienda Breda da Finmeccanica a I.I.A. e l'attuazione del piano per il rilancio dell'azienda e la tutela dei livelli occupazionali;
   il 19 aprile 2017 si è tenuto al Ministero dello sviluppo economico un incontro istituzionale per verificare lo stato di attuazione del piano industriale e il rispetto delle garanzie per i livelli occupazionali, durante il quale la proprietà ha prospettato una revisione del piano, secondo le organizzazioni sindacali presenti, decisamente preoccupante in termini di rilancio industriale e occupazionale –:
   cosa intenda fare il Governo per garantire il pieno rispetto degli accordi presi e degli impegni a carico della proprietà, a fronte di risorse pubbliche già fruite o in corso di fruizione. (5-11228)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Giorgio Armani spa è un'azienda italiana leader nel mondo nel campo della moda; il brand Armani è da decenni una eccellenza riconosciuta in tutto il mondo del made in Italy. In numerose occasioni anche in campo sportivo Giorgio Armani ha firmato le divise di numerose rappresentative nazionali, ultima in ordine cronologico quella degli atleti olimpici e paraolimpici italiani che hanno preso parte all'edizione di Rio 2016;
   Giorgio Armani Operations è l'unità operativa della Giorgio Armani spa che industrializza e produce abbigliamento, accessori, interni e finiture di pelle per i brand del gruppo. La sede principale si trova a Modena, ma altri sette stabilimenti produttivi sono sparsi fra il Nord Italia (sei) e Hong Kong (uno);
   Giorgio Armani Operations nel 2015 (secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili) impiega 1.433 addetti registrando un fatturato di 895.130.922 euro;
   tra gli stabilimenti italiani della Giorgio Armani Operations vi è quello di Settimo Torinese che rappresenta un polo di eccellenza del settore per il made in Italy, dove vengono confezionati anche capi di alta moda;
   nei giorni scorsi la proprietà ha annunciato che lo stabilimento di Settimo Torinese sarà interessato da un processo di riorganizzazione di marchi e di accorpamento di attività impiegatizie; tale processo porterà a circa 110 esuberi tra impiegati ed operai su un totale di 184 lavoratori (per la maggior parte donne);
   in seguito a tale decisione le associazioni sindacali, che hanno ricordato come lo stabilimento fosse già interessato da due anni da contratti di solidarietà attivati per affrontare la diversificazione nel settore della moda, hanno proclamato uno sciopero;
   l'azienda avrebbe motivato la scelta degli esuberi a seguito del forte calo delle richieste dei capi di abbigliamento da parte del mercato americano dove dal 2015 le commesse sarebbero scese dai 25 mila ai 15 mila capi all'anno;
   le associazioni sindacali e gli stessi lavoratori hanno però rimarcato come da tempo la produzione di tali capi di alta moda sia stata delocalizzata in Bulgaria, dove i costi di produzione e di manodopera sono inferiori; da fonti di stampa è inoltre emerso come proprio nello stabilimento di Settimo Torinese venissero riparati gli errori nei capi di abbigliamento mal confezionati nei poli produttivi della Romania;
   il sindaco di Settimo Torinese, Fabrizio Puppo, ha manifestato tutta la sua preoccupazione per questa vicenda sottolineando come «un mese e mezzo fa» la proprietà avesse rassicurato circa la continuità produttiva dello stabilimento, rimarcando come il loro patrimonio fosse il personale e non le linee produttive, mentre l'assessore al lavoro del Piemonte Gianni Pentanero ha assicurato che «la Regione sta seguendo con attenzione» tale vicenda e che «è disponibile a convocare un tavolo con i sindacati, l'azienda e l'amministrazione comunale di Settimo Torinese, per individuare tutte le misure utili a salvaguardare i posti di lavoro» –:
   se il Governo ritenga necessario, in relazione a quanto espresso in premessa, intraprendere iniziative urgenti al fine di garantire i livelli occupazionali dello stabilimento Giorgio Armani Operations di Settimo Torinese, a partire dalla convocazione di un tavolo nazionale di concertazione, con la presenza di tutte le istituzioni e le parti interessate, per salvaguardare le professionalità impiegate e tutelare il made in Italy. (5-11213)

Interrogazione a risposta scritta:


   PICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, ed il decreto del Ministero delle comunicazioni 12 maggio 2006 regolano il mercato di quelle imprese impegnate nella gestione di dati, stampa e imbustamento di comunicazioni rivolte a grandi masse di destinatari, ovvero i consolidatori postali, che corrispondono tariffe di consegna direttamente agli operatori postali, in primis Poste Italiane s.p.a.;
   nonostante Poste Italiane s.p.a., nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale 12 maggio 2006, sia tenuta a garantire ai consolidatori parità di accesso ai servizi di recapito della corrispondenza nel rispetto dei principi costituzionali che garantiscono la tutela delle comunicazioni tra privati e la libera concorrenza, nei fatti ha riservato ai diversi consolidatori diversità di trattamento in tema di condizioni e termini di pagamento causando così anomalie ed asimmetrie nel mercato di riferimento;
   dalle informazioni in possesso dell'interrogante, alcuni soggetti hanno accumulato un ingente debito nei confronti di Poste Italiane s.p.a. e, nonostante questo, sono stati ammessi a godere di formule di pagamento di particolare favore che non sembrano essere giustificabili in base alle disposizioni normative vigenti;
   nello specifico, in relazione al pagamento delle spese di recapito della corrispondenza, il consolidatore Selecta s.p.a. ha accumulato nei confronti di Poste Italiane s.p.a. un debito che nel tempo è arrivato a superare i 70 milioni di euro (a fronte di un fatturato annuo in diminuzione di circa 30 milioni di euro, come risulta dal bilancio recentemente approvato, riferito all'esercizio 2015);
   nel 2012, anziché escutere la fideiussione che Selecta s.p.a. aveva prestato a garanzia del pagamento posticipato delle spese di recapito della corrispondenza, Poste Italiane s.p.a ha accordato un piano di rientro che prevedeva acconti con importi ridotti e un saldo finale molto consistente nel 2017, posticipato incomprensibilmente al 2020;
   l'ingente debito contratto non appare all'interrogante adeguatamente garantito dai criteri adottati da Poste Italiane s.p.a. che impongono un tetto massimo di 8 milioni di euro alle fideiussioni che i consolidatori debbono prestare a favore di Poste Italiane s.p.a. per il pagamento delle spese di recapito della corrispondenza, anche laddove il valore delle spese postali sia nettamente superiore. In questo modo, vengono meno il principio di proporzionalità e di concorrenza, con un vantaggio a favore dei consolidatori che generano elevati volumi di corrispondenza a scapito di competitor di dimensioni inferiori e della stessa Poste Italiane s.p.a., che è garantita per intero contro rischi minori, ma solo in minima parte contro rischi di elevate dimensioni;
   il sistematico e continuo accumulo di debiti per spese postali da parte di alcuni operatori ha una portata distorsiva nell'intero mercato, a discapito soprattutto di quei consolidatori che regolarmente hanno pagato e pagano le tariffe postali, tanto più se gli operatori avvantaggiati dalla possibilità di accumulare elevatissimi ed indiscriminati livelli di debito abbiano praticato tariffe nettamente inferiori rispetto a quelle di mercato e grazie a ciò acquisito maggiori quote; 
   i livelli di debiti per spese di corrispondenza accumulati da alcuni consolidatori risultano del tutto sproporzionati sia rispetto ai volumi di corrispondenza da essi generati, sia rispetto alle concrete possibilità di recupero e, pertanto, si configura ad avviso dell'interrogante la possibilità concreta di un danno erariale indiretto –:
   se i Ministri interrogati siano, per quanto di competenza, conoscenza di quanto esposto in premessa e, ove i fatti trovassero riscontro, quali iniziative urgenti intendano mettere in atto al fine di garantire parità di accesso e di azione nel settore postale a tutti consolidatori, assicurando la libera concorrenza del mercato e, al contempo l'integrità patrimoniale di Poste Italiane s.p.a. (4-16400)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Gribaudo e Quartapelle Procopio n. 4-16266, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fanucci;

  l'interrogazione a risposta in Commissione Realacci n. 5-11150, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Borghi, Braga.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-15732, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 749 del 27 febbraio 2017.

   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   proprio quando si cominciava a sperare che il rischio di tagli lineari dei posti di polizia fosse stato scongiurato, sarebbe stata annunciata la chiusura di nove o dieci commissariati solo a Roma;
   come si apprende da fonti di stampa, infatti, nel corso di una riunione del 4 febbraio 2017 è stata anticipata la nuova sede dell'ufficio dei due commissariati accorpati di Porta Pia e Sant'Ippolito, individuata in un edificio che ospita una scuola elementare e materna;
   secondo la denuncia del Sap «oltre alla problematica ideologica c’è anche quella della sicurezza degli alunni, dato il rischio attentati terroristici verso gli uffici di polizia. Un posto oltretutto non servito da alcun mezzo di trasporto, la metro più vicina “Quintiliani” è a quasi due chilometri, senza un marciapiede mancando allo stato attuale urbanizzazione»;
   in particolare, il commissariato di Porta Pia, ad alta densità di popolazione, è l'unico punto di riferimento delle forze dell'ordine nella zona dove sono presenti due piccole stazioni dei carabinieri a cinquecento metri di distanza, come sottolineano dal Sap, secondo cui «del commissariato si servono quotidianamente tutta la comunità ebraica (la seconda per grandezza e importanza di Roma), circa venticinque ambasciate e decine di personaggi pubblici e politici, nonché anche ministri e onorevoli. Oltre all'Università La Sapienza e al Policlinico Umberto I»;
   l'accorpamento di questi due importanti presidi capitolini, dove complessivamente lavorano 89 agenti (49 a Porta Pia e 40 a Sant'Ippolito) rende bene il senso delle conseguenze concrete sulla gestione della città spogliata di troppi presidi di Polizia;
   tra le ipotesi di chiusura e accorpamento ci sarebbero anche San Lorenzo, Torpignattara e Santa Maria Maggiore, così come Appio Nuovo e San Giovanni, Villa Glori e Vescovio, Monte Mario e Prati, mentre fra Trastevere, Monteverde e San Paolo sarebbe destinato a sopravvivere un solo commissariato tra i presidi a rischio vi sarebbe poi il commissariato di Genzano, che quotidianamente garantisce sicurezza, tutela e presenza in un territorio che interessa, oltre al comune di Genzano, anche Nemi e Lanuvio, per un bacino di oltre 40 mila abitanti;
   si tratta di una «sforbiciata» che, se confermata, andrebbe ad aggiungersi al taglio dell'organico negli uffici della Capitale, perché, secondo i sindacati di polizia, nel mirino del Governo potrebbe esserci nell'immediato futuro, così come negli ultimi anni, anche l'organico della polizia di Stato che, beffa ancora più grande, è già deficitario;
   sempre secondo i sindacati, infatti, «Il progetto è determinato dalla contrazione degli organici che ha raggiunto le cifre record di 45 mila uomini nelle forze dell'ordine, di cui 18 mila nella Polizia di Stato. Ogni anno si perdono circa 2.500 uomini nell'apparato della sicurezza e la Polizia, nel 2016, registra il pensionamento di 2.227 agenti, contro un'assunzione di appena 1.140»;
   l'età media del poliziotto italiano è poi in preoccupante aumento, considerato che il 60-65 per cento degli agenti supera i 50 anni: nonostante ciò, invece di rinforzare l'organico, si effettuano solo tagli lineari;
   è emblematico il caso di Ventimiglia, dove sarebbe stata sciolta la squadra investigativa, perché non vi sono più operatori, mentre sia il comune di Ventimiglia che quello limitrofo venivano sciolti per infiltrazione mafiosa o, ancora, quello dell'esercito antimafia in Sicilia, dove mancherebbero 4 mila uomini;
   tale riforma, lungi dal rappresentare un'operazione di «razionalizzazione», si tradurrebbe in un'ulteriore «sforbiciata» dispositivo della sicurezza; invece di colmare i buchi che si creano nella sicurezza del nostro Paese, particolarmente evidenti di fronte all'emergenza sbarchi, si pensa solo a tagliare e il risultato è già sotto gli occhi di tutti: oggi non si è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio della chiusura dei commissariati di polizia e, più nel complesso, la riduzione degli organici delle forze dell'ordine nella Capitale, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini. (4-15732)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta D'Incà n. 4-15804, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 752 del 3 marzo 2017.

   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio alpino, in particolare della provincia di Belluno, è nota da anni la grande diffusione della presenza delle zecche che pone serie problematiche in merito alle malattie che questi parassiti possono trasmettere all'uomo;
   lo scorso anno, in modo particolare, così come comunicato dalla ULSS1, nella provincia di Belluno si è registrata una ripresa allarmante dell'encefalite a morso di zecca (TBE). Infatti già ad inizio dell'estate il numero delle persone ricoverate per tale patologia, presso l'ospedale San Martino, risultava essere pari a quelli registrati complessivamente negli anni 2014 e 2015;
   i casi segnalati nella provincia di Belluno, dal 1994 ad oggi sono 194, ovvero poco meno della metà di quelli registrati sull'intero territorio nazionale;
   la meningoencefalite da zecche, o meningoencefalite primaverile-estiva, è una malattia virale acuta del sistema nervoso centrale, si manifesta nel 70 per cento dei casi con meningite o meningoencefalite con esiti anche gravi e permanenti mentre, nei restanti casi, appare come un'influenza ma di grave entità;
   la gravità della presenza di tale malattia è rimarcata dalle dichiarazioni del dottor Ermenegildo Francavilla, direttore unità operative di malattie infettive, all'ospedale di Belluno e membro Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali «Non abbiamo ancora avuto decessi, nonostante i circa 200 casi registrati dal 1994 ad oggi, ma la mortalità può arrivare sino al 2 per cento» sottolineando che questa malattia esiste e non va sottovalutata, ma può essere prevenuta con il relativo vaccino e ribadendo la necessità di sensibilizzare non soltanto le persone, ma anche il mondo medico;
   attualmente è soprattutto il Nord-Est italiano ad essere interessato ed infatti, risulta che in Friuli le vaccinazioni contro la TBE sono gratuite già dal 2013 mentre, nella provincia di Belluno le stesse vaccinazioni sono a pagamento. Il ciclo necessario per la relativa vaccinazione è composto da tre dosi al costo unitario di 47 euro comportando così un costo totale di 141 euro per la vaccinazione completa. Inoltre nel territorio della provincia si rileva una scarsa propensione dei bellunesi alla vaccinazione contro la TBE. Infatti dati USLL1 rilevano come la somministrazione di dosi di vaccino sia sensibilmente ridotta passando dalle 1.900 dosi nel 2009 alle 1.300 degli ultimi anni;
   considerato che non esiste una cura per la Tbe, ed il modo migliore per prevenirla è la vaccinazione, e vista la gravità delle conseguenze associate alla salute dei cittadini, si rende necessaria una campagna di sensibilizzazione e prevenzione per la popolazione; anche in considerazione dell'approssimarsi del periodo primaverile ed estivo, nel quale è più diffusa la presenza delle zecche –:
   se i Ministri interrogati intendano, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, adoperarsi per promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione, nei territori della provincia di Belluno interessati a tale fenomeno, prevedendo a tal fine l'erogazione gratuita del vaccino anti TBE. (4-15804)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vezzali n. 4-14819 del 23 novembre 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-10406 del 27 gennaio 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-10532 del 8 febbraio 2017;
   interpellanza Lorefice n. 2-01691 del 3 marzo 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Zaratti n. 5-11125 del 12 aprile 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-11194 del 20 aprile 2017.