Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 20 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 è stato firmato, da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto Fiscal Compact;
    la governance economica europea aveva già iniziato a dotarsi di strumenti volti alla riduzione dei debiti dei Paesi membri in occasione della costituzione economica e monetaria: al fine di rafforzare il percorso d'integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht, il quale prevedeva che non fossero superati, nel corso di un normale ciclo economico, i limiti del 3 per cento del prodotto interno lordo, per il deficit (o indebitamento netto) e il 60 per cento per il debito, si proseguì, nel 1997, con la firma del Patto di stabilità e di crescita (PSC), costituito da una risoluzione del Consiglio europeo e da due regolamenti del Consiglio del 7 luglio dello stesso anno che ne precisavano gli aspetti tecnici sul controllo della situazione di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche e sull'applicazione della procedura d'intervento in caso di deficit eccessivi;
    con questo patto, a ciascun Stato membro veniva richiesto di conseguire un saldo di bilancio strutturale corrispondente al proprio obiettivo a medio termine (MTO) nazionale, oppure un saldo in rapida convergenza verso di esso (con una correzione annuale del saldo strutturale pari almeno a 0,5 punti percentuali di prodotto interno lordo come benchmark). Per tutti i Paesi che non l'hanno raggiunto, era richiesto un più elevato aggiustamento nelle fasi positive del ciclo economico, così da avere maggiore flessibilità in quelle negative. Per i Paesi lontani dal raggiungimento dell'obiettivo di medio periodo, i regolamenti europei richiedevano invece manovre correttive anche nelle fasi negative del ciclo, benché con uno sforzo più limitato rispetto al benchmark dello 0,5 per cento;
    con la seconda riforma del patto di stabilità e crescita nel 2011, è stato poi inserito un ulteriore requisito per gli Stati membri che non hanno raggiunto l'MTO e che presentino un livello di debito che ecceda il 60 per cento del prodotto interno lordo: assicurare una velocità di convergenza maggiore verso il proprio MTO (maggiore dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo come benchmark nelle fasi positive del ciclo);
    il PSC è stato poi integrato al fine di introdurre margini di flessibilità per l'adozione di riforme strutturali e investimenti pubblici per un limite massimo dello 0,75 per cento del prodotto interno lordo di deviazione complessiva che si ottiene cumulando le due clausole concernenti le riforme e gli investimenti. Il Six Pack del 2011 ha previsto un'ulteriore clausola (eventi eccezionali) che permette deviazioni rispetto al percorso di raggiungimento dell'obiettivo di medio termine;
    il trattato sul Fiscal Compact arrivò in seguito alla dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'Eurozona, adottata il 9 dicembre 2011, a cui aderirono anche altri nove Stati membri (Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, e Ungheria; Svezia e Repubblica Ceca che poi, però, non firmò il trattato) in cui si prevedeva l'adozione di una serie di obiettivi e misure che rafforzassero la disciplina di bilancio e il coordinamento delle politiche economiche in base alle proposte formulate nel rapporto presentato dal Presidente Van Rompuy in attuazione del mandato Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 per il rafforzamento economico dell'Unione;
    il nuovo trattato è stato negoziato e stipulato al di fuori del quadro istituzionale dell'Unione europea e delle procedure previste per la modifica dei Trattati, anche per le diverse divergenze che portarono, come già detto, Regno Unito e Repubblica Ceca a non firmare il documento;
    l'articolo 16 dello stesso trattato, però, stabilisce che entro cinque anni dall'entrata in vigore, sulla base di una valutazione della sua attuazione, verranno fatti i passi necessari, in conformità con le disposizioni dei Trattati dell'Unione europea, allo scopo di incorporare le norme del trattato intergovernativo nella cornice giuridica dell'Unione europea;
    tra i punti principali del trattato, si ricorda, innanzitutto, la cosiddetta «regola aurea», secondo la quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Il bilancio è considerato in pareggio o in attivo qualora il disavanzo strutturale dello Stato è pari all'obiettivo a medio termine specifico per Paese come stabilito dal Patto di stabilità con un deficit che non ecceda lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo. Le parti contraenti devono assicurare la convergenza verso il rispettivo obiettivo a medio termine, il cui arco temporale è proposto dalla Commissione tenendo conto i rischi di sostenibilità del Paese interessato. I progressi nel percorso di convergenza sono valutati, come precisato dall'ultima versione del progetto, sulla base di un esame del bilancio che includa l'analisi delle spese al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con le disposizioni del Patto di stabilità come modificate dal Six Pack;
    l'articolo 3 del trattato sul Fiscal compact stabiliva infatti che gli Stati contraenti potessero temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
    in base all'articolo 4 dello stesso trattato, si introduceva l'obbligo, per le parti, di ridurre immediatamente il valore del debito pubblico al ritmo di un 1/20 all'anno, qualora il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo superasse la soglia del 60 per cento. Il ritmo di riduzione di 1/20 all'anno del debito pubblico deve inoltre tenere conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
    simili regole di austerità, decise in un momento di gravissima crisi economica come quella che si è attraversata a partire dal 2009 e le cui conseguenze si fanno ancora sentire in molti Paesi europei, tra cui il nostro, hanno causato esclusivamente un aggravamento delle condizioni economiche dei Stati che hanno aderito al trattato;
    l'Italia, oggi, a causa di queste regole che hanno portato alle note misure montiane di «lacrime e sangue» di contenimento della spesa pubblica e di tagli indiscriminati, soprattutto alle politiche sociali, si ritrova con un tasso di disoccupazione altissimo (la media del tasso di disoccupazione dei giovani si attesta intorno al 40 per cento e quella del tasso di disoccupazione generale intorno al 12 per cento) e la crescita più lenta d'Europa, a fronte della pressione fiscale più alta d'Europa. Secondo quanto riportato in alcuni studi di settore, negli ultimi 15 anni, il risultato fiscale emerso dalla comparazione con la media europea è costantemente peggiorato: se nel 2000 sui contribuenti italiani gravava una pressione fiscale pari a quella media presente nell'Unione europea, oggi il carico fiscale è maggiore di circa 900 euro. Per le imprese, inoltre, la pressione fiscale in assoluto la più alta d'Europa, con un differenziale di 21 punti sopra la media europea;
    la carenza di lavoro e l'altissima pressione fiscale, congiuntamente alla contrazione delle politiche sociali, hanno generato, nel nostro Paese, una rapida diffusione di situazioni di disagio ed indigenza, con oltre 4 milioni di individui in povertà assoluta e l'11,9 per cento della popolazione in gravi difficoltà economiche;
    a ciò si sono aggiunte le circostanze eccezionali del sisma e dell'enorme flusso di migranti che hanno sicuramente impegnato ulteriori risorse che, seppur svincolate dai «paletti» europei grazie alla richiesta di flessibilità, hanno richiesto uno sforzo importante alla casse del bilancio statale. Mentre, però, per quanto riguarda il sisma, l'evento è effettivamente di natura imprevedibile e non controllabile, e il Governo impegnerà un miliardo di euro all'anno, secondo quanto riportato nel documento di economia e finanza 2017, l'emergenza del flusso migratorio sarebbe, invece, anche determinata dalle politiche adottate dall'attuale Governo e da quello precedente in tema di immigrazione, che anziché adottare misure ed iniziative immediate che bloccassero tali flussi, hanno incentivato le partenze dai Paesi di origine e transito degli immigrati con il miraggio di una accoglienza indiscriminata che costerà, secondo quanto riportato dalle stesse previsioni governative, ben 4,6 miliardi solo nel 2017;
    sono note le resistenze di molti Paesi europei che non vogliono partecipare alla redistribuzione dei migranti e, nonostante l'imposizione, da parte dell'Europa, al soccorso indiscriminato – a volte addirittura favorito dalle operazioni comuni – i costi sono, quasi per intero, sostenuti dal nostro Paese. Lo stesso documento di economia e finanza 2017 riporta che a fronte di una spesa di 4,6 miliardi, i contributi dell'Unione europea sono solo di 91 milioni;
    a latere del Fiscal Compact, si procedette con la modifica dell'articolo 136 del TFUE che ha previsto l'istituzione di un meccanismo permanente di stabilità (MES o ESM, European Stability Mechanism), detto anche Fondo salva-Stati, che costituisce l'altro pilastro del nuovo sistema di governance economica europea. Il MES ha sostituito gli altri strumenti di stabilizzazione finanziaria quali l’European financial stabilisation mechanism (EFSM) e l’European financial stability facility (EFSF), istituiti originariamente fino al 31 dicembre 2012, e poi prorogati fino al 30 giugno 2013;
    la modifica al suddetto articolo 136 è stata approvata con decisione del Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, secondo la procedura semplificata di revisione dei trattati, con cui si è aggiunto il seguente paragrafo: «Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità»;
    una prima versione del trattato istitutivo del MES, sulla base della modifica all'articolo 136 del TFUE, è stata firmata dagli Stati membri della zona euro l'11 luglio 2011; tenuto conto della predisposizione del Fiscal Compact e dell'esigenza di rafforzare il meccanismo alla luce delle tensioni sui mercati del debito sovrano, il 2 febbraio 2012 è stato firmato un nuovo Trattato poi sottoposto a ratifica: in base all'articolo 1 del Trattato, il MES è costituito dalle parti contraenti quale organizzazione finanziaria internazionale con l'obiettivo istituzionale di «mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità». A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l'emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi;
    il capitale totale sottoscritto fu pari a 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di capitale versato dagli Stati membri della zona euro e una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro per un importo totale di 620 miliardi di euro;
    la ripartizione delle quote di ciascuno Stato membro al capitale del MES fu basata, analogamente all'EFSF, sulla quota di partecipazione al capitale della BCE: il nostro Paese, avendo una quota di capitale BCE pari al 12,49 per cento, partecipò al 17,86 per cento, per un totale di 125,395 miliardi di euro, pari all'8 per cento del prodotto interno lordo; in base al DEF 2012, l'Italia, tra il 2012 e il 2014 avrebbe versato nel capitale del MES 14 miliardi di euro annui. Ugualmente, nel triennio 2015-2019, il contributo resterebbe di 14 miliardi di euro all'anno;
    il MES, simile nel suo funzionamento al Fondo monetario internazionale, è attivo da luglio 2012 ed ha una capacità effettiva di prestito pari a 500 miliardi di euro. Uno Stato membro del MES può rivolgere una richiesta di assistenza finanziaria al presidente del consiglio dei governatori che assegna alla Commissione europea, di concerto con la Bce, il compito di valutare: l'esistenza di un rischio per la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso o dei suoi Stati membri, a meno che la BCE non abbia già presentato un'analisi al riguardo; la sostenibilità del debito pubblico (valutazione da effettuarsi insieme al Fondo monetario internazionale, se opportuno e possibile); le esigenze finanziarie effettive o potenziali del membro del MES interessato;
    considerata la partecipazione dell'Italia al MES e considerata la situazione patrimoniale di molte banche italiane, tra cui 114 sarebbero a rischio a causa delle sofferenze presenti nei propri bilanci, non si comprende perché il Governo abbia proceduto alla ricapitalizzazione di Monte dei Paschi di Siena con i fondi dei soli contribuenti italiani o abbia dovuto chiedere l'autorizzazione alle Camere, a dicembre dello scorso anno, per contrarre maggior debito per 20 miliardi di euro da usare «a scopo precauzionale» per intervenire nelle banche e salvare i risparmiatori;
    l'applicazione meccanica dei vincoli esterni, con obiettivi di bilancio irrealizzabili, ha palesemente fallito. La politica di austerity, che ne è la diretta conseguenza, ha portato miseria in alcuni Paesi come la Grecia, ha compromesso, come già detto, prospettive di crescita e piena occupazione di altri, fra cui l'Italia, ma soprattutto ha indebolito l'Unione europea, la sua capacità di integrare e far convergere i Paesi aderenti, portandola al concreto rischio di dissoluzione;
    inoltre, si è gravemente intaccato il sistema dello Stato sociale che, smantellato, da un lato, dalla crisi finanziaria e, dall'altro, dallo svuotamento di sovranità statale ad opera dell'integrazione europea, ha lasciato un pericoloso vuoto che non è stato colmato da una adeguata struttura europea;
    le politiche keynesiane che hanno permesso la crescita e l'accrescimento del benessere degli Stati del Novecento dimostrano la fondatezza della teoria secondo la quale, in caso di congiuntura economica sfavorevole, gli Stati debbano mettere in campo delle politiche economiche espansive, favorendo gli sgravi fiscali e il sostegno ai contribuenti in difficoltà, attraverso un vasto programma di politiche sociali. Proprio quelle politiche che l'Europa ha contribuito a disfare, imponendo, come contropartita, misure di austerity che sono state criticate, non soltanto da economisti di fama mondiale, ma anche dallo stesso Fondo monetario internazionale;
    quindi, in presenza di crisi sistemiche, sembra evidente che solo l'uso della spesa pubblica, secondo una linea di politica espansiva, può limitare gli effetti di contrazione della domanda privata, poiché spetta allo Stato intervenire in momenti di recessione economica per non rischiare il crack inoltre, è necessario che le politiche economiche concentrino più risorse nel settore dell'economia reale, specie nello sviluppo dell'industria e nel sostegno alla realtà manifatturiera tipica del nostro tessuto economico, piuttosto che nel sistema bancario che si ritrova ora in condizioni patrimoniali disastrose, con grande rischio di contagio, anche grazie alla gestione dissennata da parte dei vertici orientata solo al profitto dei grandi speculatori,

impegna il Governo:

1) a farsi promotore, per quanto di propria competenza, in tutte le opportune sedi europee, di una revisione totale del trattato del Fiscal Compact, in occasione della scadenza dei cinque anni al termine dei quali si dovrà negoziare l'inserimento di questo accordo all'interno del quadro costituzionale europeo, nonché di una revisione totale della normativa europea riguardante la governance economica e monetaria al fine di:
   a) rivedere tutti i parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita e dal fiscal compact, congiuntamente ai vincoli sulla finanza pubblica stabiliti dal Trattato di Maastricht, in modo da tenere maggiormente conto dello stato delle diverse economie europee e del loro impatto sociale e sulla crescita dei vari Paesi, in assenza, di una politica fiscale convergente fra i diversi membri dell'Unione;
   b) rivedere, in particolare modo, i parametri del 3 per cento, del rapporto deficit/prodotto interno lordo, e del 60 per cento per il debito pubblico e rinegoziare gli obiettivi di medio termine;
   c) prevedere, in caso di recessione economica grave, un'interpretazione maggiormente estensiva delle cosiddette «circostanze eccezionali» che permettono uno scostamento dagli obiettivi di medio termine, eliminando l'obbligo di contenere il disavanzo per non inficiare la sostenibilità di bilancio di medio termine, al fine di permettere, agli Stati colpiti, di attuare le necessarie politiche anticicliche per contenere le conseguenze della crisi e aiutare più velocemente la ripresa;
   d) prevedere dei meccanismi di flessibilità più ampi per i Paesi che, per posizione geografica, sono maggiormente coinvolti nell'emergenza del fenomeno migratorio e si impegnano nel contrasto effettivo all'immigrazione irregolare anche mediante il presidio dei confini terrestri, marittimi ed aerei per impedire l'ingresso di immigrati irregolari ed il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi privi dei requisiti per il soggiorno;
   e) prevedere un meccanismo automatico di intervento del fondo «Salva-Stati» quando la situazione patrimoniale dei maggiori istituti di credito del Paese necessiti di intervento statale tramite risorse pubbliche nazionali, dal caso della ricapitalizzazione fino alla sottoposizione a risoluzione dell'istituto, con particolare riguardo alla protezione dei risparmiatori.
(1-01609) «Guidesi, Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE, cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo, e dal Consiglio dell'Unione europea al fine di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    tra le categorie commerciali, per le quali è prevista l'applicazione della direttiva in Italia, rientra quella del commercio al dettaglio su aree pubbliche, per il quale sono introdotti l'obbligo di applicazione da parte delle autorità competenti di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, la durata limitata delle autorizzazioni, il divieto del rinnovo automatico delle concessioni e il divieto di accordare vantaggi al prestatore uscente;
    l'attuale situazione, per il settore e per le amministrazioni interessate da mercati, appare ad avviso dei proponenti del presente atto di indirizzo ampiamente confusa, in quanto le norme di attuazione della direttiva non hanno ancora trovato piena applicazione. In sede di Conferenza unificata era stata stabilita una proroga delle concessioni al 7 maggio 2017, successivamente ridefinita con il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, che prevede il termine delle concessioni in essere al 31 dicembre 2018, invitando poi le amministrazioni ad avviare le procedure di selezione pubblica;
    la direttiva Bolkestein, recepita nell'ordinamento italiano con il citato decreto legislativo n. 59 del 2010, introducendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche ed estendendo l'esercizio del commercio su area pubblica anche a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, oltre che a persone fisiche e a società di persone, di fatto, ostacola la programmazione degli investimenti o il recupero di quelli già realizzati, danneggiando, soprattutto, i piccoli operatori del settore, già in difficoltà nel fronteggiare la maggior forza finanziaria delle predette società, in grado di detenere, anche indirettamente, un maggior numero di autorizzazioni;
    inoltre, le disposizioni della direttiva non tengono pienamente conto delle peculiarità e della eterogeneità del settore, costituito da attività di commercio, svolte su posteggio fisso ed attività svolte in forma itinerante e con turnazioni, svolte, non solo nei centri storici e nei tradizionali mercati rionali, ma anche nelle aree periferiche,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per modificare il decreto legislativo n. 59 del 2010, che ha recepito la direttiva 2006/123/CE, escludendo il commercio su aree pubbliche dall'applicazione della stessa, ovvero a delimitarne l'applicazione mediante l'individuazione di criteri per la concessione delle autorizzazioni, che tengano conto delle diverse caratteristiche e dimensioni degli operatori, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale, e a tutela dei luoghi in cui si svolge il commercio ambulante e degli operatori intestatari delle licenze e che lavorano direttamente o con personale dipendente nei mercati;
2) ad assumere iniziative per prevedere una proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni in essere, al fine di omogeneizzare la situazione su tutto il territorio nazionale.
(1-01610) «Laffranco, Brunetta, Occhiuto, Bergamini».


   La Camera,
   premesso che:
    il capo della polizia, intervenendo il 7 marzo 2017 in audizione presso la commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, ha evidenziato che il fenomeno migratorio non può più essere considerato come transitorio e passeggero, trattandosi invece di un fattore strutturale della nostra fase storica, aperta dalla caduta del muro di Berlino, che ha visto raddoppiare – secondo i dati di una rilevazione Onu del 2015 – le correnti migratorie provenienti dai Paesi meno sviluppati, fino a superare il tetto complessivo degli 80 milioni di persone. È la stessa rilevazione a sottolineare come la popolazione in movimento a livello mondiale possa essere stimata in 240 milioni di persone, circa un terzo delle quali, oltre 76 milioni, ospitato in Europa;
    le crisi e i conflitti di questi ultimi anni hanno amplificato quest'onda lunga, riportando il bacino del Mediterraneo al centro di una rinnovata via di fuga dai Paesi in crisi, aprendo nuove rotte ai flussi dei migranti;
    nel rapporto sul sistema Hotspot italiano, pubblicato nel mese di novembre 2016 da Amnesty International, si ricorda che centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e povertà, negli ultimi tre anni, hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di un luogo sicuro o di una vita migliore. In assenza di canali sicuri e legali di accesso all'Europa, hanno viaggiato in maniera irregolare, con un considerevole rischio per le loro vite;
    infatti, nonostante i flussi migratori siano oramai un fenomeno strutturale e che i conflitti, le carestie e la violazione di diritti umani presenti in molti Paesi costituiscano notori fattori di aumento dei flussi, gli Stati dei Paesi più sviluppati, non sono in grado di approntare risposte adeguate, strutturali e attente a garantire la dignità delle persone migranti;
    l'approccio Hotspot, presentato a metà del 2015 dall'Unione europea come la principale risposta dell'Unione all'alto numero di arrivi nei Paesi membri del sud Europa, è la prova di quanto i leader europei incapaci di pianificare nel tempo a disposizione, e tanto meno di concordare, una necessaria riforma del sistema d'asilo in crisi dell'Unione europea, abbiano prodotto sostanzialmente «un rattoppo»;
    il rapporto di Amnesty International sull'approccio Hotspot ha un titolo eloquente ed emblematico: «Come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti»;
    la premessa fondamentale di tale approccio era quella di associare maggiori controlli sui rifugiati e migranti all'arrivo, con la distribuzione di una parte dei richiedenti asilo in altri Stati membri per un esame successivo delle loro domande di asilo. Controllo e condivisione delle responsabilità erano allora le parole chiave. Ad oggi, è chiaro che solo il controllo è stato messo effettivamente in atto, e a caro prezzo per i diritti di rifugiati e migranti, mentre molti pochi progressi sono stati fatti in materia di condivisione delle responsabilità; e, anzi, questo principio sta incontrando una crescente resistenza a livello politico;
    l'allestimento dei centri Hotspot e l'attuazione dell'approccio Hotspot sono stati raccomandati dalla Commissione europea a maggio 2015, come punto centrale della sua Agenda sulla migrazione e decisi dal Consiglio Ue a giugno 2015;
    gli Hotspot sono stati progettati per fornire un luogo in cui i rifugiati e i migranti arrivati irregolarmente potessero essere identificati velocemente, principalmente attraverso il rilevamento obbligatorio delle impronte digitali, esaminati per individuare necessità di protezione e in seguito selezionati al fine dell'esame delle richieste di asilo o del rimpatrio nei loro Paesi d'origine;
    una drastica diminuzione degli spostamenti irregolari di rifugiati e migranti verso altri Stati membri dell'Unione Europea, uno degli obiettivi chiave, doveva essere raggiunto tramite l'acquisizione delle impronte digitali, nella prospettiva di assicurare la possibilità di un loro rinvio, secondo il regolamento di Dublino, verso l'Italia o altri Paesi di primo ingresso. Per ridurre il peso che grava su tali ultimi Stati, tuttavia, a settembre 2015, è stato adottato un sistema di ricollocazione d'emergenza, che prevedeva il trasferimento progressivo di circa 160 mila richiedenti asilo (di cui 40 mila dall'Italia) verso altri Paesi dell'Unione europea, per esaminare lì le loro richieste di asilo;
    il Governo italiano ha cominciato ad attuare l'approccio Hotspot nello stesso mese, con la trasformazione in Hotspot del centro di prima accoglienza già esistente a Lampedusa e il dispiegamento di funzionari di diverse agenzie dell'Unione europea. Al momento, i centri Hotspot operativi sono quattro (Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo), mentre altri due sarebbero di prossima apertura in Sicilia (Messina e Palermo) e altri dovrebbero seguire entro fine anno;
    mentre la componente di solidarietà del piano Hotspot si è dimostrata ampiamente illusoria, gli elementi repressivi, concepiti per prevenire spostamenti verso altri Paesi europei e aumentare il numero dei rimpatri, sono stati attuati in modo aggressivo, con elevati costi in termini di diritti umani;
    nel rapporto sui centri di identificazione ed espulsione – aggiornato al gennaio 2017 – della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica si legge testualmente che il bilancio dell'approccio Hotspot, analizzando i dati e quanto emerso nel corso delle visite effettuate dalla Commissione, non può che considerarsi deficitario ed evidenziare un sostanziale fallimento del piano europeo: a fronte del raggiungimento di un tasso di identificazioni di oltre il 94 per cento non sono corrisposti risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate. Alla fine di dicembre 2016, sono stati ricollocati dall'Italia in altri Stati membri solo 2.350 persone sul totale di 40.000 previste dal piano europeo, a fronte di 181 mila arrivi in Italia;
    l'approccio Hotspot è servito principalmente a riaffermare il sistema di Dublino, aumentando piuttosto che riducendo il peso sulle spalle dei Paesi di primo arrivo nel controllare i confini, proteggere i richiedenti asilo e tenere fuori i migranti irregolari. Mentre il numero degli arrivi in Italia è rimasto stabile, l'imposizione dell'approccio Hotspot ha, infatti, portato a un drastico aumento delle persone che richiedono asilo in Italia, mettendo a dura prova la capacità delle autorità di assistere in modo adeguato i nuovi arrivati;
    la ricerca di Amnesty International offre un quadro preoccupante: la riaffermazione di vecchi principi con modalità più aggressive sta portando a un aumento delle violazioni dei diritti umani – per le quali le autorità italiane hanno una responsabilità diretta, ma i leader dell'Unione europea hanno una responsabilità politica. Con toni più sfumati, le medesime violazioni emergono nel Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica;
    nel cercare di raggiungere «un tasso di identificazione del 100 per cento», l'approccio Hotspot ha spinto le autorità italiane ai limiti, e oltre, di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani. L'attuazione di misure coercitive per costringere le persone che non vogliono fornire le loro impronte digitali è diventata man mano la regola, attraverso la detenzione prolungata e anche l'uso della forza fisica. È in questo scenario che rifugiati e migranti che non volevano dare le impronte digitali hanno subito detenzioni arbitrarie e maltrattamenti;
    nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile, testimonianze coerenti raccolte da Amnesty International indicano che alcuni hanno fatto uso eccessivo della forza e hanno fatto ricorso a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o addirittura alla tortura;
    il Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica ricorda che in una comunicazione della Commissione europea del 15 dicembre 2015 si chiedeva all'Italia di incrementare gli sforzi, anche a livello legislativo, per assicurare una cornice legale allo svolgimento delle procedure previste per l’Hotspot con particolare riferimento all'uso della forza per il rilevamento delle impronte nei confronti di chi si rifiuta;
    il ricorso all'uso della forza incide evidentemente sulla sfera della libertà personale e non si può prescindere da quanto previsto in questi casi dalle leggi italiane. La legge prevede espressamente le uniche ipotesi in cui le forze di polizia sono autorizzate a procedere in modo coattivo, cioè utile a vincere le resistenze passive del destinatario che non si trovi in stato di arresto o di fermo. L'articolo 349, comma 2-bis, del cod. proc. pen. consente esclusivamente, nei confronti di una persona sottoposta a indagini preliminari, il prelievo coattivo di capelli o saliva, comunque nel «rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione» del Pubblico ministero. Quella relativa al prelievo di capelli e saliva è l'unica forma di identificazione coatta contemplata dal legislatore. La questione è molto delicata, al punto che, già nel 1962, con la sentenza n. 30, la Corte costituzionale evidenziò che «spetta unicamente al legislatore, il quale, avendo di mira, nel rispetto della Costituzione, la tutela della libertà dei singoli e la tutela della sicurezza dei singoli e della collettività, potrà formulare un precetto chiaro e completo che indichi, da una parte, i poteri che, in materia di rilievi segnaletici, gli organi della polizia di sicurezza possano esercitare perché al di fuori dell'applicazione dell'articolo 13 della Costituzione e, dall'altra, i casi ed i modi nei quali i rilievi segnaletici, che importino ispezione personale, ai sensi dello stesso articolo, possano essere compiuti a norma del secondo e del terzo comma del medesimo articolo 13.». Poiché la legge vigente non prevede che le autorità di pubblica sicurezza possano fare ricorso all'uso di altre forme di coazione fisica per costringere una persona a sottoporsi ai rilievi foto-dattiloscopici, tale uso è da considerarsi illegittimo e penalmente rilevante;
    gli agenti di polizia hanno bisogno di istruzioni chiare sull'uso consentito della forza e deve essere assolutamente inequivocabile che l'uso della forza consentito è minimo. La resistenza prolungata deve essere gestita attraverso altre forme di risposta da parte delle forze di polizia, non con un maggiore uso della forza. Il monitoraggio di questa procedura deve essere rafforzato e le accuse di abusi devono essere indagate a fondo;
    la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, del 26 ottobre 2016 (Doc. XXII-bis, n. 8), come pure il rapporto della Commissione sui diritti umani del Senato hanno rilevato il trattenimento prolungato dei migranti nei centri Hotspot, oltre le 72 ore, ai fini identificativi in assenza di previsione normativa nel diritto interno;
    va ricordato che la direttiva 2013/33/UE prevede «il trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione del richiedente asilo come extrema ratio» che può essere disposto o prorogato soltanto se nel caso concreto non sia applicabile più efficacemente nessuna tra le misure meno coercitive alternative al trattenimento indicate nell'articolo 14, comma 1-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998;
    l'istituto del trattenimento è, di fatto, una misura coercitiva che incide sulla libertà personale la cui natura giuridica si sostanzia in una forma di privazione della libertà, sia pure di natura amministrativa. Se il trattenimento è una restrizione della libertà personale, il suo regime è da ricondursi nel perimetro costituzionale dell'articolo 13 della Costituzione, con tutte le sue garanzie: dalla riserva di giurisdizione alla riserva di legge assoluta, da derogarsi solo in casi eccezionali, dalla durata della misura coercitiva alla tempistica per la sua successiva convalida. L'articolo 13, comma 2, della Costituzione prescrive che la restrizione della libertà personale è ammessa solo «per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Deve quindi essere un giudice a stabilire la suddetta restrizione, motivando la propria decisione per far in modo che la detenzione non risulti costituzionalmente illegittima;
    secondo l'articolo 13 della Costituzione, non sono ammissibili settori della vicenda restrittiva in concreto impermeabili al sindacato del giudice. La Costituzione non esclude, tuttavia, che in casi di necessità e urgenza possano essere adottati anche dall'autorità di pubblica sicurezza provvedimenti provvisori di limitazione della libertà. Quindi solo l'eccezionalità delle circostanze, unita al requisito della tassatività e della non discrezionalità della decisione, possono giustificare la compressione del diritto alla libertà personale quando non viene disposta da un magistrato con atto motivato;
    nella sentenza n. 105 del 2001, la Corte costituzionale ha riconosciuto che il trattenimento «è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'articolo 13 della Costituzione», determinando «anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà personale»;
    con il decreto-legge n. 13 del 2017, di recente convertito, il Governo ha inteso legittimale i centri Hotspot introducendo l'articolo 10-ter al decreto legislativo n. 286 del 1998, con un mero richiamo al decreto-legge n. 451 del 1995 (cosiddetta «legge Puglia») ed ai centri governativi di prima accoglienza, di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (cosiddetto «Hub»);
    esso, tuttavia, non contiene alcuna disciplina giuridica dei centri di primo soccorso ed assistenza (gli Hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale;
    né vale a sanare tale illegittimità il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all'identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l'integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per l'ordine di trattenimento in un centro di rimpatrio, ma non eliminerebbe l'incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell'autorità di pubblica sicurezza;
    va ricordato, in proposito, che, anche recentemente, l'Italia è stata condannata dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Khlaifia versus Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), nel centro di accoglienza di Lampedusa e sulle navi divenute centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione dell'articolo 13 della Cedu);
    in tal senso, insoddisfacente è la scelta di non fornire alcuna disciplina dei centri definiti «punti di crisi» (centri Hotspot), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, in violazione della riserva di legge in materia di stranieri (articolo 10, comma 2 della Costituzione) e della riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (articolo 13 della Costituzione);
    anche la normativa introdotta con il decreto-legge n. 13 del 2017 non appare coerente con le sollecitazioni provenienti dalle istituzioni europee e dal Consiglio d'Europa, che, in molte occasioni, hanno invitato l'Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paesi europei;
    muovendosi piuttosto nel senso della ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di centri che sono, a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà;
    l'approccio Hotspot ha anche richiesto l'introduzione di uno screening anticipato e rapido dello status di tutte le persone sbarcate nei porti italiani, per separare quelle considerate «richiedenti asilo», da quelle ritenute «migranti irregolari». Un processo di screening (pre-identificazione mediante la consegna di un modulo da compilare il cosiddetto «foglio notizie») non fondato su alcuna legislazione e fatto con troppa fretta – non appena le persone sono appena sbarcate, sono troppo stanche o traumatizzate dal viaggio per poter prendere parte in modo consapevole a questo processo, e prima che abbiano avuto la possibilità di ricevere informazioni adeguate sui loro diritti e sulle conseguenze legali delle loro dichiarazioni – rischia di negare a coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni l'accesso alla protezione alla quale hanno diritto;
    la finalità della pre-identificazione rimane vaga: se il «foglio notizie», come viene detto, serve semplicemente a raccogliere le generalità dello straniero a fini operativi per le forze dell'ordine e per l'accoglienza nella struttura, basterebbe raccogliere queste, come tra l'altro avveniva in precedenza al momento dello sbarco, senza chiedere quale sia il motivo dell'arrivo in Italia. Anche se le autorità sostengono che quanto dichiarato nel foglio notizie può essere modificato successivamente per manifestare la volontà di chiedere protezione, appare difficile che si ricorra a tale possibilità non avendo cognizione delle conseguenze delle operazioni cui si viene sottoposti;
    la stessa Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta ha puntualizzato la necessità di superare l'ambigua funzione della pre-identificazione che, da un lato, è semplicemente volta ad acquisire le dichiarazioni del migrante (generalità, età, nazionalità, e altro) e, dall'altro lato, finisce per assumere il decisivo ruolo di discrimine e di selezione – ancorché non definitiva – tra chi accede all'accoglienza e chi sarà destinato all'espulsione;
    sul punto la Commissione ha evidenziato che l'indicazione della motivazione del viaggio già all'atto dello sbarco trovava una sua ragion d'essere nella prassi italiana di inserire il foto segnalamento direttamente nella categoria «richiedente asilo», prassi ritenuta illegittima dalle stesse istituzioni europee;
    l'enfasi posta dalle istituzioni e dai governi europei sul bisogno di aumentare le espulsioni ha portato a due sviluppi critici in Italia. Migliaia di ordini di lasciare il territorio nazionale sono stati consegnati a persone considerate «migranti irregolari», in seguito allo screening a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo viziato menzionato sopra. Queste persone, in pratica, non hanno alcuna possibilità di ottemperare all'ordine, anche se volessero, a causa della mancanza di documenti e di soldi. Di conseguenza, sono rimaste nel Paese ma senza alcuna forma di assistenza, vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi;
    anche la Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta, a firma dell'Onorevole Palazzotto (DOC. XXII-bis n. 8-bis), ha evidenziato con chiarezza che l'approccio Hotspot costituisce un sistema che non rispetta il diritto interno ed internazionale in materia di rispetto dei diritti fondamentali della persona;
    le autorità italiane hanno, inoltre, negoziato nuovi accordi bilaterali, anche con governi responsabili di orribili atrocità, come il Governo sudanese. Sulla base di questi accordi, gruppi di persone considerate «migranti irregolari», ancora una volta in base al processo di screening sopra menzionato e senza un'adeguata valutazione dei rischi che il loro rimpatrio comportava, sono stati rimandati verso Paesi nei quali erano a rischio di maltrattamenti e altre gravi violazioni dei diritti umani;
    il recente decreto-legge n. 13 del 2017, già richiamato, che è intervenuto in materia di immigrazione non ha cambiato rotta, ma ha persistito in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri richiedenti protezione non espulsi ma respinti, o l'allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che centri di identificazione ed espulsione;
    da anni, risulta chiaro come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    appare quindi necessaria una più ampia e organica revisione delle strategie di governo dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti, prendendo atto del fallimento, sotto il profilo dell'effettività e della sostenibilità economica, di un approccio esclusivamente orientato all'allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano, peraltro, il tema della garanzia dei diritti fondamentali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per il superamento culturale e politico della detenzione amministrativa delle persone migranti, garantendo in ogni momento la loro dignità, i diritti fondamentali e il divieto di ricorso all'uso della forza al di fuori di quanto consentito dalla legge;
2) ad assumere iniziative per il superamento dell'approccio e dei centri hotspot, intensificando ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative, con regole più rispettose dei diritti dei migranti e prevenendo, in particolare, l'apertura di canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
3) ad assumere iniziative per la revisione delle procedure operative standard (Standard Operating Procedures – Sop) applicabili negli hotspot per assicurare che nessuno illegittimo screening avvenga immediatamente dopo lo sbarco e che tutte le persone in arrivo abbiano accesso a informazioni sufficienti prima dell'esame della loro situazione, eliminando – in particolare – dal cosiddetto «foglio notizie» domande sul motivo dell'arrivo in Italia.
(1-01611) «Andrea Maestri, Daniele Farina, Costantino, Marcon, Fratoianni, Civati, Palazzotto».


   La Camera,
   premesso che:
    dati di fonte ministeriale relativi agli sbarchi di migranti sulle coste italiane fanno registrare nei primi mesi del 2017 una netta crescita, con un incremento di circa il 30 per cento rispetto all'anno precedente, lasciando presagire la possibilità che, per la prima volta, quest'anno si possa sforare il tetto di 200.000 migranti giunti via mare sul nostro territorio;
    la complessa questione della gestione dei flussi migratori, ed in particolare degli sbarchi, è stata oggetto, negli ultimi anni, di un forte impegno dei Governi in questa legislatura, con l'adozione di misure che garantissero anzitutto l'accoglienza dei migranti, nel rispetto della dignità e dei diritti umani di ciascuno, ma anche efficaci modalità di espletamento delle pratiche di identificazione e gestione delle richieste di protezione internazionale;
    al fine di dare attuazione alle richieste europee, da un lato è stato recentemente convertito in legge il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 recante disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale e che ha previsto, tra le altre cose, anche misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e a rendere più efficaci le operazioni di rimpatrio; e, dall'altro, è stata riservata una particolare attenzione alle procedure di fotosegnalamento e identificazione dei migranti, attrezzando a tal fine apposite strutture nelle zone di sbarco in cui si stanno registrando crescenti livelli di attività;
    in questo quadro, i cosiddetti hotspot rappresentano nel sistema italiano di accoglienza un segmento molto specifico ma determinante, perché attinente proprio alla fase iniziale del percorso dei migranti sul nostro territorio. In queste strutture i migranti giunti sulle nostre coste dovrebbero trattenersi per il tempo strettamente necessario a ricevere la prima assistenza, ad essere identificati attraverso le procedure di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e infine collocati nei diversi canali del sistema di accoglienza sulla base della posizione giuridica risultante da questa prima identificazione;
    una precisazione circa le funzioni dei centri hotspot, preliminare ad una più compiuta disciplina delle modalità operative, è contenuta nel sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, che, all'articolo 17, prevede appositi punti di crisi per le esigenze di soccorso e prima assistenza, nei quali saranno effettuate le operazioni di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e presso i quali sarà altresì assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    se messi in condizione di operare efficientemente, gli hotspot dovrebbero dunque assicurare una gestione dell'accoglienza più razionale ed efficiente, consentendo non solo una tempestiva identificazione dei migranti, ma anche il loro rapido ri-allocamento nelle diverse strutture del sistema, sulla base delle previsioni normative;
    come evidenziato in una significativa relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri « hotspot», – approvata il 26 ottobre 2016 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate, istituita presso questo ramo del Parlamento – affinché gli hotspot possano effettivamente funzionare, occorre però rendere più efficiente l'intero sistema di accoglienza, e in particolare è indispensabile: che gli accordi europei in materia di relocation funzionino, che i destinatari di un provvedimento di espulsione o respingimento siano effettivamente rimpatriati nel pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, che il cosiddetto sistema della seconda accoglienza sia in grado di assorbire tempestivamente i nuovi ingressi, anche grazie a una maggiore rapidità delle procedure amministrative e giurisdizionali previste;
    va purtroppo segnalato che, nonostante l'intenso sforzo dispiegato dal Governo italiano, mancano ancora i risultati auspicati a livello europeo: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema comune europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire, mentre i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti è stato ricollocato appena il 3,5 per cento) sono, di fatto, parzialmente falliti per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente hanno finito per sospendere l'accordo di libera circolazione di Schengen; la stessa proposta italiana del Migration compact non è ancora stata applicata né sono state stanziate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito,

impegna il Governo:

1) ad adottare nelle opportune sedi, ogni iniziativa utile per rilanciare una politica europea condivisa sull'asilo attraverso la revisione del regolamento «Dublino III», e l'adozione di nuovi e più efficaci accordi di relocation per un'equa distribuzione dei richiedenti protezione internazionale fra gli Stati membri;

2) a proseguire negli sforzi intrapresi, da ultimo anche con il sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, per rendere effettivi i rimpatri e le espulsioni dei migranti privi di titolo per restare nel nostro Paese, ferma restando la garanzia del pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti;

3) ad adottare ogni iniziativa utile a garantire che gli hotspot siano strutture decorose e ospitali, prevedendo l'adozione di un protocollo uniforme sui requisiti e sulla tipologia dei servizi forniti, tali da assicurare un livello omogeneo nella qualità del soccorso e nella prima accoglienza per tutti, a prescindere dall'eventuale futuro riconoscimento di una protezione internazionale;

4) ad assumere iniziative per rafforzare i servizi di mediazione linguistico-culturale e di informativa legale all'interno degli hotspot, al fine di garantire una effettiva possibilità di accesso al diritto di protezione;

5) ad adottare ogni iniziativa utile a consentire un più rapido trasferimento dei migranti dagli i hotspot alle strutture di accoglienza previste, garantendo il rispetto della dignità umana e l'effettivo accesso all'esercizio del diritto di asilo, e al tempo stesso il dovere istituzionale di controllare le frontiere e identificare chi entra nel territorio dello Stato.
(1-01612) «Carnevali, Fiano, Gelli, Beni, Giuseppe Guerini, Patriarca, Gadda, Sgambato, Moretto, Burtone».


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema di accoglienza in Italia è stato recentemente riformato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 e dovrebbe essere organizzato in una fase di prima accoglienza, assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, e in una fase di seconda accoglienza, disposta invece nelle strutture di cui all'articolo 14 (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – Sprar);
    tuttavia, a causa della situazione emergenziale ormai creatasi per effetto dei continui e massicci flussi migratori, favoriti dalle missioni navali internazionali e nazionali succedutesi già dal 2013 sulla rotta del Mediterraneo centrale, tale sistema, si rivelò, da subito, inadeguato rispetto anche agli obblighi derivanti dalla normativa europea di procedere all'immediata identificazione e alla definizione della posizione giuridica degli immigrati che entravano illegalmente nel territorio italiano in numero sempre maggiore, tanto da provocare, allora, un richiamo al Governo da parte degli altri Paesi europei e delle istituzioni europee;
    in particolare, il regolamento n. 603 del 2013, cosiddetto «Eurodac» impone agli Stati membri l'obbligo del tempestivo rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale, al Capo II e dei cittadini di Paesi terzi o apolidi fermati in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna, al Capo III;
    pertanto, poco dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 142 del 2015, il Governo decise di procedere ad un'ulteriore modifica del sistema di accoglienza e, oltre ai centri già previsti dalla normativa nazionale, con il documento programmatico, noto come « Roadmap», istituì i cosiddetti hotspot (punti di crisi) per garantire il fotosegnalamento e l'identificazione degli immigrati al fine, soprattutto, di potersi avvalere del ricollocamento dei richiedenti protezione internazionale dall'Italia in altri Stati europei (cosiddetti relocation), secondo quanto previsto dalle decisioni del Consiglio europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015 a seguito dell'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015;
    ad oggi, secondo i dati forniti dall'Unità Dublino del Ministero dell'interno – Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, risultano ricollocati in altri Stati europei solo 4.438 richiedenti protezione internazionale sui 34.953 previsti in sede comunitaria, e ciò anche in considerazione del fatto che le prime nazionalità dei richiedenti asilo in Italia sono quelle della Nigeria, del Gambia, del Bangladesh e del Senegal che non compaiono tra quelle che, « in clear need of protection» secondo quanto stabilito in sede europea, possono beneficiare del ricollocamento, ossia siriani, iracheni e eritrei;
    attualmente, risultano operativi 4 hotspot, precisamente a Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto, nei quali, al 28 marzo 2017, erano presenti 745 immigrati e pare che siano in fase di realizzazione altri 5 hotspot, benché già quelli attivi, come sopra evidenziato, non abbiano portato ad alcun effetto in tema di ricollocamenti;
    ancora oggi tali centri risultano privi di una specifica disciplina normativa, essendo regolati unicamente dalle procedure operative standard (SOP) redatte dal Ministero dell'interno nelle quali l’hotspot viene individuato quale area, normalmente in prossimità di un luogo di sbarco, ove, nel più breve tempo possibile, vengono effettuati accertamenti medici, attivate le procedure di identificazione e fornite informazioni circa la possibilità di chiedere protezione internazionale per poter poi accedere alle misure di accoglienza previste dalla normativa in vigore;
    nell'ottica di considerare l'attuale fenomeno migratorio come un evento ordinario anziché eccezionale, e dunque da azzerare nel tempo, e per garantire accoglienza a chiunque giunga in Italia, l'attuale sistema, è, altresì, del tutto inadeguato ed incapace ad assicurare una effettiva tutela a chi ne ha davvero diritto secondo le norme internazionali, comunitarie e nazionali;
    difatti, nonostante le misure annunciate dall'attuale Governo e previste dal memorandum siglato il 2 febbraio 2017 con il Governo libico guidato da Fayez al-Sarraj, secondo i dati forniti periodicamente dal Ministero dell'interno, dal 1o gennaio all'11 aprile 2017 il numero degli immigrati giunti illegalmente in Italia dalla rotta del mediterraneo centrale, è stato di 26.989, con un incremento del + 35,41 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016 (19.332) e tale trend è destinato ad aumentare, anche alla luce del record degli sbarchi sulle coste italiane registrato nei giorni scorsi;
    in linea con l'aumento degli ingressi via mare, secondo gli ultimi dati disponibili del ministero dell'interno, il numero degli immigrati richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale e umanitaria presenti nel sistema di accoglienza è passato da 66.066 nel 2014, a 103.792 nel 2015 fino ad arrivare a 175.480 all'11 aprile 2017;
    nella già citata Roadmap del Ministero dell'interno, il documento d'attuazione dell'Agenda pubblicato a fine settembre 2015, contestualmente alla previsione degli hotspot, veniva precisato che «una politica di rimpatrio efficace rappresenta uno degli elementi essenziali del pacchetto di misure presentate dalla Commissione nel quadro dell'Agenda europea sulle migrazioni», che «le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione» per poi essere rimpatriati;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, l'anno successivo, ossia nel 2016, al 31 dicembre le richieste di asilo erano state 123.600 su 181.000 arrivi registrati solo via mare e, a fronte di circa 60.000 immigrati giunti illegalmente in Italia che non avevano formalizzato alcuna richiesta di asilo, nei soli 4 centri di identificazione ed espulsione funzionanti erano presenti solo 288 irregolari, cifra che è rimasta costante anche quest'anno;
    nel 2016 il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento del 2013 al 40,2 per cento nel 2016;
    anche recentemente, la Commissione europea ha raccomandato agli Stati membri, in particolare all'Italia, di adottare misure immediate al fine di procedere al trattenimento e all'effettivo e rapido rimpatrio degli immigrati irregolari;
    è di tutta evidenza che i centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, rinominati in «centri di permanenza per il rimpatrio» all'articolo 19 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, convertito e approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2017, sono del tutto insufficienti per la capienza effettiva prevista di soli 1.600 posti, avuto riguardo anche agli esiti delle domande di protezione internazionale già sopra richiamati e dei dati degli stranieri rintracciati in posizione irregolare in territorio italiano (8.949 dal 1o gennaio 2017 al 15 marzo 2017);
    la disciplina in materia di ingresso e permanenza dello straniero nello Stato, a qualsiasi titolo, necessita non solo di una disciplina rigorosa ma, altresì, di un costante controllo sul rispetto della normativa e una attenta ponderazione anche per gli effetti a lungo termine delle politiche adottate;
    alla luce dei dati sopra riportati, risulta del tutto evidente che l'attuale sistema, così come strutturato (dagli hotspot alla successiva fase dell'accoglienza diffusa) e disciplinato, comprese le numerose circolari ministeriali in materia che si sono succedute nel tempo, risulta privo di una regolamentazione organica ed opportuna per una corretta gestione dell'attuale fenomeno migratorio, con rilevanti implicazioni sul contesto sociale e sul governo del territorio,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a procedere ad una totale revisione dell'attuale sistema di accoglienza, che ormai risulta non più sostenibile e nel cui ambito si collocano gli hotspot quali centro di primo arrivo, dichiarando lo stato di emergenza al fine di inquadrare correttamente il fenomeno in atto che non deve essere gestito come evento ordinario, ma come evento emergenziale destinato ad azzerarsi;

2) a valutare l'opportunità di attuare tutte le iniziative necessarie a disincentivare le partenze degli immigrati dai Paesi di origine e di transito, mediante una politica rigorosa finalizzata al controllo delle frontiere marittime, terrestri e aree, anche con azioni di respingimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 286/98 e per garantire, sempre in un'ottica dissuasiva e di contrasto all'immigrazione clandestina, il trattenimento e l'effettivo allontanamento e rimpatrio di tutti gli stranieri irregolari presenti in Italia;

3) a farsi promotore, per quanto di competenza, in tutte le opportune sedi europee, affinché vengano creati centri di prima accoglienza nei Paesi del Nord Africa o di partenza e transito in modo tale da provvedere, in quei luoghi, all'identificazione degli immigrati e all'esame delle richieste di asilo.
(1-01613) «Rondini, Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    in tema di contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo, quest'ultimo acquista i diritti scaturenti dal contratto con la designazione da parte del contraente della polizza, diventando il beneficiario designato e titolare di un diritto proprio alla prestazione assicurativa; nei contratti in cui i beneficiari sono designati come «eredi legittimi o testamentari», si esplicita solo il criterio d'identificazione di coloro che rivestiranno, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, mentre qualora il beneficiario sia indicato in un terzo identificato non legato al contraente/assicurato, ad esempio, da un vincolo di parentela, di mantenimento o di dipendenza economica, si presume venga designato per spirito di liberalità costituendo, quindi, una donazione indiretta;
    ai sensi dell'articolo 1920 del codice civile, il terzo beneficiario dell'assicurazione acquista un diritto in virtù di un atto inter vivos (il contratto di assicurazione) e potrà rivolgersi direttamente all'assicuratore per ottenere la prestazione, purché ne sia a conoscenza; infatti, l'individuazione dei beneficiari, seppur compiuta necessariamente al momento della morte dell'assicurato, non postula che i medesimi si identifichino a priori, proprio perché rientranti nella categoria degli eredi legittimi, mentre il terzo identificato beneficiario della prestazione assicurativa dovrebbe esserne consapevole all'atto della designazione;
    il Consiglio di Stato, d'altronde, nel parere reso nel febbraio 2005 su una versione non definitiva del testo del codice delle assicurazioni, aveva evidenziato l'opportunità di prevedere, proprio a salvaguardia della finalità previdenziale, che il termine di prescrizione del diritto del beneficiario decorresse soltanto a partire dal giorno dell'effettiva conoscenza da parte sua di un contratto di assicurazione sulla vita a suo vantaggio, anche con la previsione di un obbligo informativo in capo all'assicuratore: proprio la mancata espressa previsione, nell'articolo 1921 del codice civile, di un obbligo di informazione al beneficiario può produrre il rischio che egli possa non essere a conoscenza della designazione o che lo scopra tardivamente; uno spunto in tal senso è comunque rintracciabile dalla lettura di detto articolo, desumendosi, nella previsione della dichiarazione del terzo di voler profittare del beneficio, che sia sottesa una sorta d'informativa al terzo per l'accettazione dei benefici di polizza: questa implicita previsione deve essere resa esplicita anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 1411 del codice civile in cui, se il vantaggio si produce in capo al terzo per effetto della sola stipula del contratto e senza la sua accettazione, di converso, è prevista la facoltà di rifiuto del terzo, che deve, quindi, esserne a conoscenza;
    l'esistenza di un obbligo di informare il beneficiario consentirebbe, inoltre, il rispetto dei princìpi di buona fede e correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 del codice civile, princìpi valorizzati anche dalla stessa Corte di cassazione (Cass. civ., 1o aprile 2003, n. 4917) al fine di evitare un indebito arricchimento delle imprese assicuratrici, ipotizzando la sussistenza di un obbligo informativo anche in capo all'assicuratore;
    giova, infine, ricordare che con il decreto-legge n. 79 del 2012 (convertito dalla legge n. 221 del 2012), sono stati estesi a 10 anni i termini di prescrizione per tutti i beneficiari delle polizze vita che hanno maturato un diritto dopo tale data; per cui, se, da un lato, si è consentito di avere più tempo per la riscossione dei capitali assicurati prima del trasferimento, per prescrizione, al «Fondo a favore delle vittime delle frodi finanziarie», dall'altro diviene necessario che il beneficiario debba essere informato dell'esistenza di una polizza vita a suo favore e che debba accettarla o rifiutarla al momento della ricevuta notizia,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare la normativa primaria e secondaria di riferimento affinché:
   a) il beneficiario designato « ad personam» di una polizza vita venga informato, da parte dell'impresa di assicurazione, della stipula della stessa ricevendone copia conforme, e debba comunicarne l'accettazione o il rifiuto all'impresa stessa;
   b) in caso di rifiuto della prestazione assicurativa da parte del beneficiario, si preveda che l'impresa di assicurazione, annulli il contratto restituendo il premio di polizza pagato per il periodo assicurativo non goduto al contraente/assicurato (escluse le imposte di legge), ovvero debba ricevere dal contraente/assicurato una nuova designazione del beneficiario per dare continuità alla polizza stipulata;
   c) per i beneficiari designati quali «eredi legittimi o testamentari» ed al fine di evitare il fenomeno delle «polizze vita dormienti», l'IVASS realizzi un'anagrafe centralizzata nazionale consultabile dalle imprese, anche tramite collegamento con le anagrafi comunali, al fine d'informare i beneficiari della prestazione assicurativa;
   d) per l'eventuale revoca della designazione del beneficiario di cui all'articolo 1922 del codice civile da parte del contraente/assicurato o del suo legale rappresentante in caso di incapacità sopravvenuta, si preveda che le imprese di assicurazione ne diano notizia al beneficiario comportandosi negli stessi termini previsti alla lettera b).
(7-01246) «Sottanelli, Pelillo».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il prestito sociale di cui agli articoli 12, della legge n. 127 del 1971, e 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, è un importante canale di autofinanziamento del sistema cooperativo italiano la cui equa remunerazione dovrebbe incentivare lo spirito di previdenza e di risparmio dei soci;
    tanto il Comitato interministeriale credito e risparmio (Cicr) quanto la Banca d'Italia hanno nel tempo regolamentato sotto diversi profili l'istituto del prestito sociale nell'ambito più generale della disciplina della raccolta del risparmio ad opera dei soggetti non bancari;
    il regime giuridico vigente (articolo 1, della delibera del Cicr del 3 marzo 1994) stabilisce che le società cooperative (non di credito) e loro consorzi, con oltre cinquanta soci, possano raccogliere prestito sociale pari a tre volte il valore del loro patrimonio netto, costituito, ai sensi dell'articolo 2424 c.c., dalla somma tra il capitale sociale, le riserve e gli utili, e risultante dall'ultimo bilancio approvato, limite che può essere superato fino al quintuplo qualora le stesse aderiscano ad uno schema di garanzia di prestiti sociali alimentato dal contributo degli aderenti ovvero abbiano acquistato una garanzia rilasciata da un intermediario vigilato, come un istituto di credito o assicurativo, o una società finanziaria. Entrambe le garanzie devono comunque coprire il trenta per cento dei prestiti sociali interessati;
    le somme versate dai soci, a titolo di prestito sociale, sono destinate esclusivamente al conseguimento dell'oggetto sociale della cooperativa, sono rimborsabili solitamente a medio ed a breve termine e la loro massima remunerazione e, secondo quanto disposto dall'articolo 6-bis, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 693 del 1980, pari a quella più alta dei buoni postali fruttiferi, aumentata del 2,50 per cento (e cioè della misura massima dei dividendi distribuibili dalle società cooperative a mutualità prevalente, ai sensi dell'articolo 2514, comma 1, lettera a) del codice civile);
    a decorrere dal 2003, anno di entrata in vigore della riforma del diritto societario, il prestito sociale può essere utilizzato solo dalle cooperative a mutualità prevalente o da quelle a mutualità non prevalente i cui statuti prevedano però i requisiti mutualistici stabiliti dall'articolo 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947, e cioè: 1) divieto di distribuzione di dividendi superiori all'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; 2) divieto di distribuzione delle riserve fra i soci durante la vita della società; 3) destinazione, in caso di scioglimento della società, del patrimonio residuo (dedotti soltanto il capitale versato ed i dividendi eventualmente maturati) ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione costituiti ai sensi degli articoli 11 e 12 della legge n. 59 del 1992;
    il prestito sociale è giuridicamente un contratto atipico con elementi del conto corrente, del mutuo e del deposito irregolare, che consiste in un deposito di denaro di fatto molto spesso «a vista» (cioè che può essere ritirato da parte del depositante in qualsiasi momento senza preavviso o con un preavviso di 24 ore), in cui i depositi ed i prelievi di denaro avvengono senza particolari procedure presso la sede legale ed anche presso le sedi operative della cooperativa (per esempio, i punti vendita di una cooperativa di consumo o le sedi operative di una cooperativa di tipo diverso). A tal proposito la Banca d'Italia ha chiarito che: «Alle cooperative, come a tutti i soggetti diversi dalle banche, è fatto divieto di effettuare raccolta “rimborsabile a vista”», però «di fatto (...) le modalità commerciali con cui tale strumento viene presentato possono ingenerare nel pubblico l'idea di una sostanziale equiparazione di questa forma di raccolta rispetto a quella effettuata dalle banche». Di conseguenza, la mancata autorizzazione alla raccolta ed alla gestione del risparmio non sottopone le cooperative ad attività di vigilanza da parte della Banca d'Italia, né richiede maggiori obblighi di trasparenza in termini di informativa contabile;
    il prestito sociale, pur valendo per l'universo delle cooperative italiane oltre 12 miliardi di euro, non è tutelato da adeguati fondi di garanzia, non essendo le cooperative riconosciute come enti dediti alla raccolta ed alla gestione del risparmio, attività riconosciuta ad enti come banche e SGR (società di gestione del risparmio), e non potendo quindi aderire al Fondo di garanzia interbancario a tutela del deposito;
    eppure i «soci prestatori» delle cooperative, alla stregua dei clienti del sistema bancario, sono portatori di un diritto costituzionalmente garantito dall'articolo 47 della Costituzione, secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Assume pertanto particolare rilevanza una dovuta attenzione alla consistenza patrimoniale di una società cooperativa che ad oggi rimane la più diffusa garanzia per i prestatori sociali;
    il prestito sociale, che per sua natura dovrebbe finanziare l'attività commerciale, viene investito dalle grandi cooperative del consumo (le cosiddette Coop) in buona misura in titoli finanziari. Infatti negli ultimi tempi anche le società cooperative, alla stregua dei gruppi bancari, sono state attratte dalle operazioni speculative del mercato finanziario. A partire dal 2006, Coop Centro Italia ha acquistato sul mercato enormi quantitativi di azioni della banca Monte dei Paschi di Siena. Incomprensibilmente, gli acquisti del titolo sono aumentati considerevolmente proprio a seguito dello scoppio dello scandalo che ha riguardato la banca stessa, e delle vicende giudiziarie riguardanti gli ex vertici dell'istituto. Questa imponente e disastrosa speculazione finanziaria, del tutto aliena alla solita attività della cooperativa, gli ha comportato una perdita potenziale stimata pari a oltre 158 milioni di euro;
    a seguito del crack avvenuto nel 2015 di due importanti cooperative di consumo friulane, Coop Operaie Trieste e Coop Carnica che, finite in concordato preventivo, riusciranno a restituire solo una parte dei 129 milioni di euro che i 20.000 soci avevano affidati loro, la Banca d'Italia, con la delibera n. 584 del 2016, al fine di rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori, ha dato un giro di vite alla sopracitata disciplina secondaria della raccolta effettuata da soggetti diversi dalle banche (le cooperative). In particolare, relativamente al limite patrimoniale, ha previsto che l'ammontare dei prestiti sociali non debba superare il triplo del valore del patrimonio netto consolidato (cioè quello che materialmente rappresenta la situazione reale di un'azienda) e non, come si è visto, quello civilistico, ed, inoltre, che le società cooperative, al fine di offrire ai soci la garanzia di vedersi rimborsato almeno il trenta per cento del capitale versato, possano spingersi, previo accesso ad una fidejussione bancaria, anche oltre il limite del quintuplo del patrimonio. Questa garanzia dovrà però, come esplicita la Banca d'Italia, «possedere caratteristiche che ne assicurino l'efficacia», in modo da contrastare «comportamenti elusivi» mirati solo ad ampliare i limiti della raccolta;
    ultima in ordine di tempo è la crisi finanziaria che, di recente, ha costretto alla liquidazione coatta quattro cooperative reggiane delle costruzioni (Coopsette, Unieco, Cmr Reggiolo e Orion di Cavriago), un gorgo che ha inghiottito, tra l'altro, 1.500 posti di lavoro ed un patrimonio collettivo del valore di 600 milioni di euro;
    l'esito delle obbligazioni subordinate delle oramai celebri quattro banche andate in default (Banca Popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti) è pronto ad innescarsi su un'altra bomba ad orologeria: quella rappresentata dal valore del prestito sociale, pari a 12 miliardi di euro, che 1,3 milioni di soci hanno depositato nei libretti di risparmio delle Coop (le nove grandi cooperative di consumo italiane), che non è tutelato da adeguati fondi di garanzia, né soggetto alla regolamentazione della vigilanza, ma che essendo destinato a finanziare l'attività delle stesse è per definizione un investimento a rischio, più delle stesse obbligazioni subordinate;
    riguardo alle garanzie il prestito sociale non è paragonabile con il libretto postale, né con i conti deposito: i sottoscrittori del prestito sociale sono infatti tutelati solamente dal patrimonio della cooperativa, mentre nel caso del libretto postale, oltre al patrimonio di Poste spa i risparmiatori godono della garanzia dello Stato italiano sulla propria giacenza. Analogamente, il conto deposito bancario gode della tutela del fondo interbancario di tutela dei depositi. Invece, in termini di rischio, il prestito sociale dovrebbe essere confrontato più con le obbligazioni che con libretti e conti deposito, trattandosi di debiti chirografari, e quindi con una gerarchia di rimborso in linea con i cosiddetti bond senior;
    la ragione delle crisi economico-finanziarie di molte cooperative risiede nella maggior parte dei casi nel perseguimento da parte della cooperativa di finalità differenti da quello mutualistico o comunque nella distorsione di alcune attività tanto da trasformare la cooperativa in impresa: mala gestio e speculazione sono le due cause principali dei vari default e dunque dell'impossibilità di restituire quanto prestato ai soci da parte delle cooperative. Spesso, infatti, la maggior parte del prestito sociale non viene reimpiegato nell'attività per il perseguimento del fine mutualistico bensì utilizzato per investimenti finanziari a volte, come si è visto, speculativi. Evidente è come in tal modo la cooperativa rischi di trasformarsi in qualcosa di diverso senza però averne né gli strumenti né un sistema di garanzia adeguato e senza, soprattutto, averne reso consapevoli i soci;
    in tutti i casi riscontrati sul territorio nazionale ove si sono verificate crisi economico-finanziarie delle cooperative è inoltre emerso che i soci prestatori non fossero stati puntualmente informati in merito ai rischi sottesi al prestito. Infatti, lo strumento del prestito viene parificato, nella presentazione al socio, al deposito bancario, sottacendo il differente regime di garanzie, vigilanze e tutele che li rendono sensibilmente diversi;
    stante il mancato recupero delle somme prestate in caso di default di una cooperativa, lo schema di garanzia dei prestiti sociali costituito in ambito cooperativo si è dimostrato inadeguato. Dalla breve disamina svolta fin qui emerge che le criticità sostanziali del regime giuridico riguardino: 1) le finalità ed limiti del prestito sociale; 2) la trasparenza nella gestione della società cooperativa e nella informazione fornita ai soci; 3) le garanzie che assistono il prestito sociale; 4) il sistema di vigilanza degli organi istituzionali preposti. Inoltre il settore difetta di uno schema di garanzia obbligatorio del risparmio come le banche, che lo alimentano con i propri fondi: un elemento che spinge a suggerire l'adozione di un meccanismo alternativo di protezione dei risparmiatori;
    opportuna sarebbe, a questo punto, la predisposizione di un privilegio in favore dei prestatori sociali attraverso la costituzione di un fondo di garanzia nazionale che li tuteli automaticamente fino ad un massimo di 36.000 euro a persona, sul modello di quanto previsto per la tutela dei depositi bancari, con versamento pro-quota obbligatorio a carico di tutte le cooperative che ricorrano a questa modalità di autofinanziamento;
    inoltre, al fine di contrastare il rischio di una caduta dell’appeal delle grandi cooperative di consumo, attualmente detentrici del novanta per cento della cifra globale del prestito sociale in Italia, sarebbe opportuno sottoporre quest'ultimo al controllo di un'autorità esterna ed indipendente che vigili sui bilanci e sulle condizioni di emissioni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per istituire un'authority indipendente che svolga funzione di vigilanza sui bilanci delle cooperative che emettono prestiti sociali, sulle condizioni di emissione degli stessi e sulla contrattualistica, alla quale sia attribuita la funzione di ombudsman ed a cui i soci risparmiatori possano in ogni momento rivolgersi per inoltrare reclami e segnalazioni;
   ad assumere iniziative normative per istituire un fondo di garanzia nazionale a tutela dei sottoscrittori di prestito sociale, che li tuteli automaticamente fino ad un massimo di 36.000 euro a persona, sul modello di quanto previsto per la tutela dei depositi bancari, con versamento pro-quota obbligatorio a carico di tutte le cooperative che utilizzino questa modalità di autofinanziamento.
(7-01247) «Paglia, Marcon, Fassina, Pellegrino, Andrea Maestri, Pannarale, Giancarlo Giordano, Palazzotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO e FRUSONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 12 settembre 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 213, il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   all'articolo 3, «Razionalizzazione dei presidi di polizia», comma 1, si legge che: «Ferma restando la coordinata presenza della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri e la garanzia di adeguati livelli di sicurezza e di presidio del territorio, nonché l'articolo 177 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 1 della legge 1o aprile 1981, n. 121, da adottare entro 90 giorni dalla pubblicazione del presente decreto, sono determinate misure volte a razionalizzare la dislocazione delle Forze di polizia sul territorio, privilegiando l'impiego della Polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio, salvo specifiche deroghe per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica, tenendo anche conto dei provvedimenti di riorganizzazione degli uffici delle Forze di polizia di livello provinciale in relazione a quanto previsto dall'articolo 7 del presente decreto, dell'articolo 1, comma 147, della legge 7 aprile 2014, n. 56, nonché della revisione delle articolazioni periferiche dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, anche in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera e), della legge» –:
   quali siano le ragioni della mancata adozione entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione del decreto legislativo n. 177 del 2016, del decreto del Ministro dell'interno per la dislocazione delle forze di polizia sul territorio privilegiando l'impiego della polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio;
   quando verrà pubblicato il suddetto decreto del Ministro dell'interno. (5-11187)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   le assunzioni nella pubblica amministrazione dovrebbero essere effettuate secondo le modalità previste dall'articolo 97, quarto comma, della Costituzione e le collaborazioni di personale esterno dovrebbero avvenire soltanto in casi del tutto residuali;
   a quanto emerge dalle notizie di stampa, e più precisamente per ciò che concerne il Comitato interministeriale per la programmazione economica, si farebbe ampio ricorso ad assunzioni fuori concorso senza neppure identificare criteri meritocratici per effettuare le stesse, dato che risulterebbero affidate alla mera discrezionalità del vertice politico;
   da ciò che si evince infatti dall'articolo apparso su La Verità del 18 aprile 2017 dal titolo «Infornata di nomine del ministro indagato» il Ministro Luca Lotti starebbe «per assumere altri 18 ipotetici esperti a spese dello Stato alla modica cifra di 1.230.000 euro lordi l'anno, per un massimo di quattro anni, con possibile proroga per il quinto, per un computo complessivo che alla fine potrebbe superare i 6.000.000 di euro»;
   della notizia sarebbe peraltro stata data una scarsissima pubblicità, dato che notizia della procedura è individuabile esclusivamente soltanto tra gli avvisi del sito del dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei ministri e non sarebbe stata data notizia sui siti delle università, né di società di cacciatori di teste;
   come comunica il suddetto avviso lo stesso «ha la finalità di raccogliere le manifestazioni di interesse per la predisposizione di una short list (elenco ristretto di esperti), da cui attingere per l'eventuale attribuzione degli incarichi di esperto del DIPE, aventi ad oggetto le funzioni precedentemente svolte dalla soppressa Unità Tecnica Finanza di Progetto» e il tempo limite per la presentazione delle candidature è di 15 giorni dalla pubblicazione con le vacanze pasquali di mezzo;
   saranno gli esperti inclusi nella lista, secondo quanto prevede il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 agosto 2016, che verranno «nominati con decreto del ministro o del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con funzioni di segretario del Cipe, su proposta del capo del Dipe»;
   la graduatoria da cui attingere non sarà ordinata per criteri di merito, ma sarà in ordine alfabetico: è pressoché totale la discrezionalità che sarà dunque impiegata per effettuare le nomine;
   le retribuzioni previste saranno significative, dato che i primi 10 esperti prescelti avranno un compenso di 75.000 euro lordi annui e gli altri otto di 60.000 –:
   se non intendano introdurre, nella procedura di selezione di esperti del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 2016, elementi tali da garantire un'effettiva valorizzazione di criteri di merito e se il Ministro interrogato, con funzioni di segretario del Cipe, non intenda comunque limitare il numero di esperti ad un numero inferiore alle 18 unità massime previste. (4-16351)


   PARENTELA e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o novembre 2004 la gestione degli acquedotti calabresi è stata affidata ad una società mista, la So.Ri.Cal. s.p.a., della quale la regione Calabria è il socio di maggioranza (53,5 per cento);
   l'articolo 13 della «Legge Galli» (n. 36 del 1994), recepita successivamente nel decreto legislativo n. 152 del 2006 («Norme in materia ambientale»), ha stabilito che le tariffe idriche debbano essere determinate mediante un «metodo normalizzato»;
   il metodo tariffario in vigore in Calabria è il cosiddetto «metodo Cipe» così come è stato ribadito nella relazione della Corte dei Conti-sezione di controllo per la Calabria (adunanza pubblica in data 5 dicembre 2011 «La gestione delle risorse idriche e dei relativi impianti in Calabria anche con riferimento alla costituzione ed alle attività delle società miste»);
   la So.Ri.Cal. s.p.a. ha applicato adeguamenti tariffari a partire dall'anno 2002. La regione Calabria, inoltre, con delibera di giunta regionale n. 91 del 2 febbraio 2005, ha stabilito una «Procedura di adeguamento della Tariffa» in base alla quale l'adeguamento della tariffa, per gli anni dal 2004 al 2009, è stato determinato dalla regione su proposta della società So.Ri.Cal. s.p.a.;
   in data 16 luglio 2009 la Corte costituzionale ha emesso la sentenza n. 246 con la quale ha ribadito che la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato è competenza legislativa esclusiva dello Stato e, dunque, gli adeguamenti tariffari, determinati dalla regione Calabria su proposta della So.Ri.Cal. s.p.a., applicati ai comuni calabresi sono, ai sensi della normativa vigente in materia ribadita dalla Corte costituzionale, « contra legem»;
   l'unica direttiva «Cipe» che poteva essere applicata dalla So.Ri.Cal. s.p.a. era la n. 117 del 2008 che prevedeva adeguamenti tariffari a partire dal 26 marzo 2009 e, pertanto, in data antecedente, nessun adeguamento tariffario poteva essere applicato ai comuni calabresi;
   in particolare, a tutto il 31 dicembre 2008, la tariffa idrica applicata ai comuni calabresi ha subito un incremento del 21,8 per cento per l'acqua fornita a gravità e del 26,08 per cento per quella fornita a sollevamento. Tali incrementi della tariffa idrica hanno causato un maggior esborso da parte dei comuni calabresi, e quindi dei cittadini, valutabile in circa 37 milioni di euro –:
   come sia possibile che a tutt'oggi nessuna iniziative sia stata intrapresa in relazione agli adeguamenti tariffari a giudizio dell'interrogante illegittimamente applicati ai comuni Calabresi e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per tutelare i cittadini calabresi che hanno pagato e pagano tariffe che risulterebbero stabilite di fatto in maniera illegittima.
(4-16366)


   MARZANA, D'UVA, GRILLO, VILLAROSA, RIZZO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con sentenza n. 394/2014 dell'8 luglio 2014, disponeva la ripetizione parziale delle elezioni regionali 2012 in alcune sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini nel collegio di Siracusa;
   in ottemperanza alla sentenza sopra richiamata, il presidente della regione ha emanato, nel rispetto dei termini perentori stabiliti dal consiglio di giustizia amministrativa, il decreto n. 223/Serv.4/S.G. del 18 luglio 2014 di indizione dei comizi elettorali per domenica 5 ottobre 2014 per la ripetizione parziale delle elezioni regionali in 6 sezioni del comune di Pachino e in 3 sezioni nel comune di Rosolini;
   è necessario sottolineare che l'amministrazione regionale ha avuto margini discrezionali estremamente ridotti, dato che è stata mera esecutrice di uno specifico ordine del giudice amministrativo;
   la prima firmataria del presente atto, con interrogazione 4-03913, ha già interpellato i Ministri interrogati sulle gravi irregolarità che hanno riguardato le consultazioni elettorali regionali del 28 ottobre 2012 per i quali è già pendente presso il tribunale di Siracusa un procedimento nei confronti del dipendente responsabile della custodia delle schede elettorali andate perdute;
   il disposto rinnovo delle operazioni elettorali nelle nove sezioni «incriminate» è stato il risultato di due fatti: la mancata verbalizzazione del numero di schede e la successiva distrazione delle stesse, il cui danneggiamento e dispersione è avvenuto poco dopo l'emissione dell'ordinanza istruttoria del Consiglio della giustizia amministrativa che ne avrebbe chiesto il riconteggio;
   ad oggi, la vicenda si arricchisce di un nuovo capitolo, difatti a seguito del mancato accoglimento della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero Piero Padova, ben 15 indagati sarebbero coinvolti nella ripetizione delle «mini regionali del 2014»;
   le ipotesi di accusa che rimangono in piedi in vista dell'udienza fissata per il 7 aprile 2017 sono quelle di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, in concorso;
   nelle more della definizione del giudizio, destano molta preoccupazione le dichiarazioni rese a mezzo stampa dell'ex deputato Pippo Gianni: «Mi sembra strano che il Cga che ha ordinato le elezioni in quelle sezioni a Pachino e Rosolini non sia stato coinvolto. Mi sembra ovvio che ci sia stato un collegamento tra l'operato del dipendente del tribunale, qualcuno in prefettura e nel Cga, una triangolazione da pesare perché potrebbero uscire intrecci importanti» (http://www.siracusanews.it/siracusa-corruzione-rivelazione-segreti-dufficio-15-indagati-la-ripetizione-delle-mini-rezionali-gennuso-acqua-fresca-gianni-marziano-persone-offese/),;
   si ricordi che l'articolo 3 dello statuto della regione Siciliana attribuisce all'assemblea regionale legislazione esclusiva in tema di elezioni regionali ed in attuazione della ricordata norma di rango costituzionale, già con il decreto-legge 25 marzo 1947, n. 204, veniva attribuita all'assemblea regionale siciliana la convalida dei deputati eletti;
   quindi con l'organica normativa di attuazione (regolamento interno, ex articoli 40, 61 e legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, articolo 56) si è previsto che: «L'ufficio centrale circoscrizionale pronuncia provvisoriamente sopra qualunque incidente relativo alle operazioni ad esso affidate, salvo il giudizio definitivo degli organi di verifica dei poteri», mentre all'articolo 61 della medesima legge si è disposto che: «All'assemblea regionale è riservata la convalida della elezione dei propri componenti. Essa pronunzia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste, e, in generale, su tutti i reclami presentati agli uffici dalle singole sezioni elettorali o all'ufficio centrale circoscrizionale durante la loro attività o posteriormente» –:
   di quali elementi disponga il Governo sulle vicende rappresentate in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere in relazione alle stesse. (4-16367)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TOFALO, FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 12 aprile 2017 è stato firmato a Helsinki un memorandum of understanding per la creazione di un European Centre of Excellence for Countering Hybrid Threats;
   il documento è stato sottoscritto da Regno Unito, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Svezia e Stati Uniti;
   il Centro mira a strutturare e organizzare gli sforzi per rispondere alla cosiddetta minaccia ibrida che è stata nei mesi scorsi più volte al centro dell'attenzione non solo mediatica a seguito di vere o sospettate interferenze in eventi di grande rilievo internazionale, come ad esempio le elezioni statunitensi;
   le minacce ibride sono state anche oggetto di una comunicazione congiunta in data 6 aprile 2016 al Parlamento e al Consiglio europeo da parte della Commissione europea;
   nella comunicazione la minaccia ibrida è definita come «la combinazione di attività coercitive e sovversive, di metodi convenzionali e non convenzionali (cioè diplomatici, militari, economici e tecnologici), che possono essere usati in modo coordinato da entità statali o non statali per raggiungere determinati obiettivi, rimanendo però sempre al di sotto della soglia di una guerra ufficialmente dichiarata»;
   nel documento della Commissione si invitano (azione 4) gli Stati membri «a prendere in considerazione l'opportunità di istituire un centro di eccellenza per la lotta contro le minacce ibride»;
   l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione, Federica Mogherini, ha salutato la firma del Memorandum di Helsinki garantendo il pieno supporto dell'Unione al funzionamento del Centro europeo anti-minaccia ibrida;
   tra i firmatari del Memorandum non vi è tuttavia l'Italia, nonostante la più volte dichiarata volontà del Governo di essere parte attiva di un'azione a livello europeo per rafforzare la difesa e la sicurezza comuni –:
   quali siano state le ragioni per cui l'Italia non ha aderito al Memorandum of Understanding firmato a Helsinki per la creazione di un centro europeo di eccellenza per il contrasto alle minacce ibride. (5-11182)


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da tempo agenzie stampa e quotidiani continuano a occuparsi di abusi sessuali perpetrati su bimbi anche di 12 anni da parte di caschi blu dell'Onu nel corso di missioni effettuate negli ultimi 12 anni;
   in particolare, si apprende dell'esistenza di un rapporto segreto delle Nazioni Unite nel quale si rivela che 134 caschi blu dello Sri Lanka erano coinvolti in un giro di prostituzione minorile ad Haiti e che, tuttavia, nessun arresto è stato eseguito nonostante le «prove schiaccianti» del caso;
   è l’Associated Press ad aver rivelato che da una propria indagine sono emersi circa 2.000 presunti casi di abusi sessuali, tra il 2004 e il 2016, da parte dei caschi blu e altro personale Onu nel mondo e che oltre 300 di questi casi vedono come protagonisti i bambini, 150 provenienti da Haiti. Oltre ai soldati dello Sri Lanka, sono stati accusati anche peacekeeper provenienti da Bangladesh, Brasile, Giordania, Pakistan e Uruguay;
   nel mese di marzo 2017, il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha annunciato nuove misure contro gli abusi sessuali e lo sfruttamento da parte dei caschi blu; la situazione, tuttavia, appare più complessa di quanto non sembri, poiché l'Onu non ha alcuna giurisdizione sui caschi blu, mentre l'eventuale punizione spetta ai Paesi che forniscono le truppe all'organizzazione internazionale;
   va detto anche che non è la prima volta che i caschi blu delle Nazioni Unite finiscono al centro di scandali per abusi sui minori: Bosnia, Timor Est, Cambogia, Liberia, Guinea, Costa d'Avorio, Congo e Repubblica Centrafricana rappresentano un'ampia testimonianza;
   «Ciò che emerge – ha spiegato l'americana Jane Holl Lute, incaricata per l'Onu di coordinare la lotta contro gli abusi sessuali commessi dai caschi blu – è scandaloso e stupefacente. Abbiamo riscontrato gravi problemi nella catena di comando in seno alle unità coinvolte». Per questo, ha aggiunto, «occorre creare un contesto all'interno del quale questi comportamenti non possano essere tollerati»;
   i soldati che servono sotto l'egida Onu hanno l'immunità dalle leggi locali e dalla giurisdizione Onu ed è compito unicamente dei loro Governi regolarne la disciplina e irrogare eventuali sanzioni che, tuttavia, non risultano, secondo la citata agenzia, per nulla solerti nel farlo; in tal senso, occorrerebbe, a parere degli interroganti, proporre nelle sedi opportune la mancata erogazione ai Paesi che non adottano pene adeguate per i militari che si sono macchiati di tali crimini, nell'ambito delle operazioni internazionali di pace, delle somme relative ai rimborsi corrisposti dall'Onu quale corrispettivo delle prestazioni rese dalle Forze armate, nonché l'esclusione o la sospensione delle stesse da future partecipazioni a operazioni di peacekeeping;
   il Consiglio di sicurezza Onu ha già approvato l'11 marzo 2016 la risoluzione 2272 che prevede il rimpatrio di interi contingenti di caschi blu in caso di accuse di violenze sessuali. Il documento, presentato dagli Stati Uniti, è stato adottato con 14 voti a favore e l'astensione dell'Egitto –:
   se e quali iniziative intenda intraprendere, in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per il 2017, per sostenere in quella sede l'esigenza di un più serrato controllo sull'operato dei caschi blu e l'effettiva irrogazione, da parte degli Stati coinvolti, di condanne adeguate a coloro che si macchiano dei crimini evidenziati in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere affinché venga incentivata la prassi di denunciare i Paesi di origine dei caschi blu finiti sotto accusa affinché venga data concretezza agli atti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, come quello citato in premessa. (5-11197)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli effetti dell'inquinamento ascrivibili all'attività della discarica di Torretta (sita nel comune di Legnago, Verona e gestita da Legnago servizi spa) destano ormai da diverso tempo preoccupazione soprattutto nell'area dell'Alto Polesine: dati recentemente raccolti evidenziano la presenza di solfati, ferro, manganese, magnesio, calcio e arsenico nelle acque della zona;
   dal monitoraggio dell'Arpav 2016 sono emersi valori allarmanti, richiamati pubblicamente e portati all'attenzione delle autorità da parte delle stesse amministrazioni locali: almeno tre parametri, indicatori della presenza di percolato, hanno superato in concentrazione i limiti attualmente sanciti dal codice dell'ambiente, con effetti potenzialmente pericolosi per i comuni polesani di Melara, Bergantino e Castelnovo Badano;
   i campionamenti eseguiti dall'Arpav sulle acque superficiali hanno rilevato concentrazioni addirittura triplicate di metalli pesanti come arsenico, manganese, nichel, facendo ipotizzare il rischio concreto di inquinamento delle falde;
   l'ultimo sopralluogo dell'Arpav e dei carabinieri nell'area, su sollecitazione di comitati locali di cittadini, risale al 13 aprile 2017 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione venutasi a creare e quali iniziative di competenza intendano promuovere per tutelare la salute della popolazione dei comuni coinvolti, con particolare riferimento alle realtà territoriali dell'area alto-polesana. (5-11185)


   VICO e ANTEZZA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale di Basilicata ha proceduto a comunicare la sospensione delle attività del Cova di Viggiano, per i prossimi 90 giorni;
   tale decisione sarebbe dovuta ad una evidente criticità di profilo ambientale nei pressi del centro di estrazione del petrolio in Val d'Agri riscontrata a seguito di una serie di analisi e rilievi effettuati dagli organismi preposti e anche in ragione della inadempienza, ad avviso della regione Basilicata, da parte dell'Eni rispetto alle prescrizioni già notificate nelle scorse settimane;
   la preoccupazione principale esplicitata anche nella delibera regionale del 15 aprile 2017 è il rischio che l'aggravamento della situazione legata allo stato di contaminazione delle acque defluenti verso il fiume Agri possa coinvolgere anche l'invaso artificiale del Pertusillo le cui acque sono usate anche per fornire acqua potabile alle popolazioni di Puglia e Basilicata;
   si tratta di una decisione di assoluto rilievo nazionale considerato che in Val d'Agri si estrae l'80 per cento del petrolio estratto in Italia e che si tratta del più grande giacimento di idrocarburi dell'Europa continentale con i suoi oltre 80 mila barili al giorno, che incide per il 10 per cento sul fabbisogno energetico nazionale e che occupa complessivamente circa 3.000 addetti tra diretti e indiretti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, considerata la rilevanza della questione, al fine di fornire elementi in merito allo stato di inquinamento presente nei pressi del Cova, con particolare riferimento alle acque defluenti verso l'Agri, alle inadempienze da parte di Eni, nonché ai controlli e alle prospettive per i lavoratori direttamente interessati, anche in riferimento all'eventuale utilizzo si ammortizzatori sociali, con l'obiettivo di monitorare costantemente l'evolversi della vicenda. (5-11189)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CORDA e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un accertamento condotto dall'Arpas, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, effettuato tra il 7 e il 9 giugno 2016, i dati raccolti evidenziano delle violazioni circa lo sversamento in mare di una quantità di selenio e vanadio oltre i limiti consentiti dalla legge (articolo 29-quaterdecies del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   a seguito di una visita ispettiva, effettuata nei medesimi giorni dall'Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, è stata contestata alla Sarlux, colosso petrolifero del gruppo Saras, la suddetta ipotesi di reato mediante una nota informativa inviata il 26 luglio 2016 dal responsabile del servizio attività ispettive dell'Ispra, Alfredo Pini, alla procura della Repubblica di Cagliari e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   durante l'attività di campionamento e analisi dello scarico idrico 1B è stata rilevata una concentrazione di 1,7 mg/l per il vanadio rispetto alla soglia prefissata invalicabile di 1 mg/l, e di 0,4 mg/l di selenio rispetto allo 0,3 mg/l prefissato dalla legge –:

  alla luce dei suddetti avvenimenti, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in relazione a tali anomalie e per garantire che vengano rispettate le norme vigenti. (4-16347)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Ginestreto, nella valle dell'Uso, è partito lo sbancamento per realizzare la terza discarica (G4) per rifiuti speciali non pericolosi, con deroga a triplicare i limiti ammessi per sostanze tossiche e cancerogene (tabella 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010), nel comune di Sogliano al Rubicone (Forlì Cesena) e nel comune di Poggio Torriana (Rimini) per opere accessorie, in base alla delibera della giunta regionale dell'Emilia Romagna n. 2103/2016;
   nella relazione tecnica generale del progetto definitivo, presentata il 30 aprile 2015 dalla Sogliano Ambiente, per la richiesta di realizzazione, al paragrafo «Capacità e previsione di durata della discarica», viene dettagliato che «La volumetria di progetto della discarica G4 è pari a circa 1.600.000 mc (...), l'indice di abbancamento previsto è pari a 1.05 ton/mc, che corrisponde ad una previsione di abbancamento di circa 1.680.000 ton. Considerando una media di smaltimento di 150.000 ton/anno, la durata prevista per la discarica G4 è di poco superiore ad undici anni»;
   tutte le analisi e le valutazioni d'impatto si sono basate su questi dati di progetto (150.000 ton/anno) e non sono tenuti in nessuna considerazione nel Rapporto finale sull'impatto ambientale, né nella delibera della giunta regionale. In entrambi i documenti, sono presenti, secondo gli interroganti, inconfutabili incongruenze ed errori macroscopici;
   contraddizioni inquietanti del percorso autorizzativo sono riscontrabili nel rapporto finale sull'impatto ambientale (prescrizioni 17 e 18) e nella delibera della giunta regionale n. 2103/2016 (pagine 21-22), poiché si ammettono conferimenti annui fino a 439.600 tonnellate di rifiuti, da subito in G2 e in futuro in G4;
   ulteriore confusione e contraddizioni presenti nella delibera nell'allegato 1 – «Rapporto sull'impatto ambientale» del 3 novembre 2016, paragrafo «Sintesi dello studio di impatto ambientale» dove si riferisce: «Il quantitativo massimo di rifiuti che è possibile conferire annualmente all'impianto di discarica (...) è pari a 210.000 tonnellate» confermando, nel seguito, il contenuto della richiesta formulata il 30 aprile 2015 dalla Sogliano Ambiente: la media di smaltimento di 150.000 ton/anno e la durata prevista di poco superiore ad undici anni;
   appare evidente che simili alterazioni in eccesso porterebbero al raggiungimento della volumetria complessiva e all'esaurimento della discarica molto prima di quanto previsto dal progetto e i dati errati inficiano secondo gli interroganti tutta l'analisi e lo studio d'impatto ambientale oggetto della procedura di Valutazione di impatto ambientale, incluso la specifica valutazione di rischio per la salute;
   in seguito alle segnalazioni del gruppo di opposizione del comune di Poggio Torriana, il vicesindaco ha chiesto spiegazioni alla regione sui dati incongruenti presenti nella delibera regionale n. 2103/2016, rispetto a quelli del progetto esaminato. In una e-mail, il responsabile del servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale informa di aver assunto opportune informazioni da Arpae Forlì dichiarando: «In sostanza quanto segnalato è un errore materiale: è stato trascinato quanto precedentemente previsto nella discarica G2, cioè è stata sommata la riserva di 155.000 t/anno di rifiuti urbani ai 284.600 t/anno di rifiuti speciali con una somma totale di 439.600 t/anno. Tale indicazione errata è stata inserita nella nuova AIA che riguarda sia la discarica G2 sia la G4 ed è stata riportata nella DGR sulla VIA. Il nuovo Piano regionale Rifiuti non prevede di smaltire rifiuti urbani nella Discarica di Ginestreto; quindi il quantitativo di 155.000 t/anno di rifiuti urbani non può essere collocato a Ginestreto. I quantitativi, di rifiuti da smaltire a Ginestreto sono in realtà: G2 – 284.600 t/anno di rifiuti speciali; G4 – 210.000 t/anno di rifiuti speciali; ARPAE farà una determina per correggere questo errore materiale nell'AIA, e proporrà la stessa correzione alla Regione per modificare la DGR sulla VIA che riprendeva anch'essa questa indicazione errata»;
   a giudizio degli interroganti la risposta conferma l'opacità delle procedure e gli errori materiali, che sembrerebbero basati su dati errati e senza alcun riferimento oggettivo, suscitando sospetti e preoccupazioni sulla legittimità di tutta la procedura autorizzativa, che dovrebbe essere annullata –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, ogni necessaria iniziativa per tutelare una area di particolare importanza naturalistica paesaggistica e culturale che potrebbe essere danneggiata dalla realizzazione della terza discarica sopra richiamata e per rassicurare gli abitanti della Valle dell'Uso che subiscono gli effetti devastanti di tali interventi sul loro fragile territorio. (4-16360)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le cronache riferiscono quotidianamente di sequestri di aree adibite a discariche illegali;
   in provincia di Verona, negli ultimi mesi, le forze dell'ordine hanno individuate decine di discariche abusive che stanno deturpando aree di grande pregio;
   è notizia di questi giorni l'ennesimo sequestro di un'area di 4000 metri quadrati, da parte della Guardia di finanza di Verona, dove sono stati trovati cumoli di rifiuti misti, anche di natura pericolosa, provenienti da attività di demolizioni e costruzioni, container, veicoli fuori uso, materiale ferroso, legname, fusti in ferro contenenti residui di resine e catrame;
   l'area situata a Verona, in via Legnago, è riconducibile ad una società a responsabilità limitata scaligera, specializzata nella costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali, ed è stata scoperta dai finanzieri grazie al controllo di un furgone che trasportava rifiuti senza il documento previsto dalla specifica normativa;
   l'intera superficie è stata posta sotto sequestro e il proprietario, nonché rappresentante legale della società, è stato denunciato alla procura della Repubblica per gestione di rifiuti non autorizzata, in violazione della normativa ambientale;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, il 2 dicembre 2014, ha dichiarato l'inadempimento generale e persistente dell'Italia alla prima sentenza di condanna avvenuta nell'aprile 2007 per inadempienza alle direttive comunitarie sui rifiuti. L'Italia avrebbe dovuto adottare provvedimenti idonei per imporre l'identificazione e la catalogazione dei rifiuti, lì dove rinvenuti, nonché l'adozione di tutte le attività necessarie a verificare lo stato di contaminazione delle aree;
   con il comunicato stampa n. 163 del 2014, la Corte di giustizia dichiara che «nel 2013, la Commissione ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, le 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva “rifiuti”; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva “rifiuti pericolosi”; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva “discariche di rifiuti”»; inoltre, «secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva “rifiuti” e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva “rifiuti pericolosi”. Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva “discariche di rifiuti”»;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento d'ingenti sanzioni pecuniarie, nello specifico sono state imposte: una sanzione forfettaria una tantum che ammonta a 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42.800.000 euro, fino all'esecuzione completa della sentenza del 2007;
   nel tentativo di sanare il contenzioso aperto dopo la suddetta sentenza è stato istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un fondo per il finanziamento di un piano straordinario di bonifica dei siti, così come previsto dal decreto-legge n. 133 del 2014 – il cosiddetto decreto «Sblocca Italia»;
   nel 2016, il decreto-legge n. 113 (sugli enti locali), all'articolo 22, comma 7-bis, prevede di estendere l'utilizzo delle risorse del Fondo menzionato «alle bonifiche nei siti non oggetto della procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077»;
   secondo l'elenco completo delle discariche ancora oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza, in Veneto ci sono 9 discariche illegali –:
   in merito al fondo per il finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive citato in premessa, quale sia lo stato di avanzamento delle attività di bonifica, come siano state effettivamente impiegate le somme messe a disposizione e quali i beneficiari.
   (4-16361)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2017, sono state illustrate le risultanze del lavoro di analisti e studio sullo stato dell'ambiente del territorio comunale di Portoscuso, commissionato dall'amministrazione comunale al Professor Dottor Nedo Biancani;
   l'elaborazione del dossier rientra nell'ambito della procedura avviata nel 2006 per «predisporre elementi tecnici e istruttori al fine di avviare un'azione di risarcimento del danno ambientale nei confronti delle società che operavano nell'agglomerato industriale di Portovesme che possono essere considerate responsabili della contaminazione» (Unione Sarda del 19 maggio 2016);
   gli organi si stampa, nel riportare la notizia, si sono soffermati su due elementi che risulterebbero di straordinaria gravità: da una parte, il rapporto confermerebbe la presenza di sostanze altamente inquinanti e nocive per le popolazioni del territorio; dall'altra, nel corso della raccolta della documentazione, il consulente avrebbe riscontrato la pressoché totale mancanza di collaborazione da parte delle amministrazioni interessate, tanto che si sarebbe anche dovuto rivolgere alla procura della Repubblica e al Noe;
   in particolare, il giornale online CagliariPad, il 12 aprile 2017 ha pubblicato un'intervista, nella quale il consulente afferma esplicitamente che «Tutti gli altri enti mi hanno praticamente mandato a benedire o non risposto, come l'Arpas, come la provincia di Carbonia Iglesias», mentre la regione Sardegna gli avrebbe consentito di accedere al sistema informativo regionale ambientale (Sira), nel quale, però, i dati risulterebbero disaggregati, quindi, inutilizzabili se non ordinati, con ulteriori ritardi e oneri da sostenere;
   nell'intervista il consulente ha sostenuto, tra le altre cose, che per ottenere i dati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe affrontato una procedura di accesso agli atti particolarmente lunga e complessa. In una prima fase, infatti, gli uffici gli avrebbero risposto che il numero dei documenti richiesti era eccessivo, in una seconda fase, gli sarebbe stato detto che su alcuni era stato posto il segreto industriale, circostanza quest'ultima che, secondo il consulente, striderebbe con le caratteristiche di trasparenza e pubblicità proprie di una conferenza di servizi che è pubblica;
   questo stato di cose, avrebbe determinato una ridotta disponibilità del materiale su cui costruire il rapporto – appena il 10 per cento di quello che starebbe stato prodotto negli anni in merito allo stato del territorio di Portoscuso – e nonostante ciò ne emergerebbe una situazione di estrema gravità sul piano ambientale e per la salute degli abitanti;
   nella citata intervista, il consulente ha ricordato che, nel corso degli anni, sono state emanate alcune ordinanze sindacali che vietano la coltivazione, produzione, raccolta e consumo di prodotti agricoli nonché di allevamento, oltre al divieto di pesca in alcuni tratti di mare;
   dalla documentazione risulterebbe la presenza di diossina nella filiera alimentare, di materiali pesanti, di piombo e cobalto che, secondo Biancani, meriterebbe un'analisi più approfondita perché il cobalto «solitamente si accompagna ad isotopi radioattivi» (Unione Sarda del 12 aprile 2017);
   nel corso dell'intervista online, il consulente sostiene che, per le conseguenze sull'ambiente e sulla salute, la situazione emersa dalla documentazione raccolta risulterebbe, allo stato attuale, la peggiore in Italia –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati sullo stato di inquinamento ambientale del territorio del comune di Portoscuso e sulla pericolosità che ne deriverebbe per la salute delle persone;
   se non ritengano opportuno mettere a disposizione del comune di Portoscuso tutte le informazioni inerenti allo stato ambientale del territorio comunale;
   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per arginare gli eventuali pericoli che possano derivare all'ambiente e alle persone dalla situazione di inquinamento illustrata in premessa.
(4-16363)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti notizie di stampa, un F16 americano, di stanza alla base Usaf di Aviano, ha effettuato un atterraggio di emergenza all'aeroporto «Pagliano e Gori» a seguito di una non meglio precisata avaria al motore, riscontrata subito dopo il decollo;
   a seguito dell'attivazione del protocollo interforze, il velivolo ha sganciato il serbatoio pieno di carburante in una zona disabitata, non lontana da Aviano, prima di procedere con l'avvicinamento alla base e all'atterraggio;
   successivamente all'avaria, il serbatoio dell'F16 è stato rinvenuto nella campagna di San Quirino, ad alcuni chilometri dall'aeroporto di Aviano, e, da quanto riferito dai media, sono state attivate le procedure per le operazioni di bonifica dell'area interessata da parte dell'Arpa, procedure che però non risultano essersi ancora concluse;
   non è la prima volta che un aereo del 31o Fighter Wing oppure di passaggio ad Aviano ha problemi in volo ed è costretto a tornare alla base: l'ultimo inconveniente si è verificato il 10 marzo 2017, quando un F15 americano di stanza in Gran Bretagna ma distaccato alla base Usaf di Aviano ha dovuto attivare le procedure di emergenza per un'avaria, avvenuta subito dopo il decollo verso il Regno Unito a circa 3 mila metri di quota –:
   se il Ministro sia al corrente della vicenda esposta in premessa e se possa fornire maggiori informazioni in merito alle presunte cause del guasto occorso al velivolo F16 – tanto da costringere il pilota alla manovra di emergenza – e allo svolgimento delle operazioni di bonifica dell'area interessata dal ritrovamento del serbatoio. (4-16356)


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di previdenza delle Forze armate è un organo dotato di personalità giuridica di diritto pubblico non economico istituito nell'ambito della struttura organizzativa del Ministero della difesa tramite decreto del Presidente della Repubblica del 4 dicembre 2009;
   questa Cassa nata ufficialmente il 1o luglio 2010, deriva dall'accorpamento delle varie Casse militari costituite negli anni trenta per le esigenze previdenziali degli ufficiali e sottoufficiali di ogni Forza armata italiana;
   la Cassa di previdenza delle Forze armate è sottoposta alla vigilanza del Ministro della difesa, supportato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e dai dirigenti dell'amministrazione;
   il compito della Cassa è di corrispondere agli iscritti le prestazioni previdenziali integrative una volta raggiunta la pensione;
   l'interrogante si era già interessata all'argomento con gli atti di sindacato ispettivo n. 5-07279 e n. 5-10592, dove si evidenziavano gravi problematiche riguardo all'attuale sistema di gestione che presenta serie criticità sotto il profilo della sostenibilità finanziaria e dove si sollecitava la nomina dei vertici della Cassa;
   le interrogazioni sopracitate non hanno ricevuto risposta dal Governo;
   il Consiglio dei ministri, nel mese di marzo 2017, ha deliberato su proposta del Ministro della difesa Roberta Pinotti, il conferimento al generale di Corpo d'Armata Massimiliano Del Casale dell'incarico di presidente della Cassa di previdenza delle Forze armate;
   sono pervenute all'interrogante numerose segnalazioni da parte di militari riguardo a mancate erogazioni e gravi ritardi, oltre i termini previsti dalle normative, nella corresponsione della liquidazione della Cassa di previdenza e delle indennità relative;
   tali ritardi e mancanze generano gravi ripercussioni per i militari interessati e per i famigliari, che vedono fortemente compromesse le loro capacità economiche, con pesanti ricadute anche di tipo psicologico;
   inoltre, tali segnalazioni da parte dei militari interessati, riportano una generale mancanza di informazione e di trasparenza da parte degli uffici preposti della Cassa di previdenza delle Forze armate riguardo alle motivazioni dei ritardi e riguardo ai tempi previsti per le erogazioni delle somme spettanti gli interessati –:
   quali urgenti iniziative il Ministro intenda assumere affinché vengano finalmente erogate la liquidazione della Cassa di previdenza e le indennità relative ai militari interessati, con puntualità, regolarità e nei tempi previsti della normative;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere nei confronti degli organi della Cassa di previdenza delle Forze armate affinché simili ritardi non vengano più a ripetersi e venga fornita la massima assistenza e trasparenza nei confronti degli appartenenti alle Forze armate. (4-16362)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2009, nell'ambito del progetto di riconversione industriale e riqualificazione ambientale dell'area Gola della Rossa, il comune di Serra San Quirico (Ancona) ha rilasciato 2 autorizzazioni per estrazione di calcare massiccio dalla cava Gola della Rossa, confinante con il parco della Gola della Rossa e di Frasassi, previa autorizzazione paesaggistica ex decreto legislativo n. 42 del 2004;
   da scambio epistolare con la provincia di Ancona ed il comune di Serra San Quirico, si è appreso di autorizzazione in variante (protocollo n. 7013 del 22 settembre 2012), rilasciata senza valutazione di impatto ambientale (Via) preventiva, ex articolo 3, comma 5, lettera d) della legge regionale n. 7 del 2014, che esclude la valutazione di impatto ambientale per opere di carattere provvisorio (durata inferiore a 180 giorni) non comportanti modifiche permanenti dello stato dei luoghi;
   la valutazione di impatto ambientale è stata esclusa dalla determinazione dirigenziale della provincia di Ancona n. 127 del 5 aprile 2011 recettiva di comunicazione regione Marche del 17 settembre 2010 (protocollo 591270), a firma del geologo Davide Piccinini che ha considerato i lavori de quo opere di carattere provvisorio (durata lavori inferiore ai 180 giorni), non comportanti modifiche permanenti dello stato dei luoghi;
   la variante è stata considerata modifica provvisoria anche dal progettista, dottor Massimo Mosca in sede di conferenza dei servizi 10 dicembre 2010;
   Italia Nostra ha presentato 2 esposti alla procura della Repubblica di Ancona (uno spedito il 12 febbraio 2015 e recapitato il 16 febbraio 2015, l'altro spedito il 23 febbraio 2015 e recapitato il 25 febbraio 2015) per accertare eventuali responsabilità, alla luce delle violazioni dell'articolo 3, comma 5, lettera d) della legge regionale n. 7 del 2004:
    a) la variante deve essere considerata «proposta di variante sostanziale», essendosi realizzato uno sconfinamento di oltre 1840 metri quadrati rispetto alla autorizzazione, sicché sarebbe stata necessaria valutazione di impatto ambientale preventiva;
    b) documentazione fotografica dimostrerebbe che i lavori erano ancora in corso nella primavera 2014, quando sarebbero dovuti terminare il 23 aprile 2013;
    c) dalla relazione dell'architetto Roberto Panariello (punti 11.1 e 14), richiamata dalla determina dirigenziale della provincia di Ancona n. 127 del 5 aprile 2011, emergono prescrizioni in contrasto con l'articolo 3, comma 5, lettera d) della legge regionale n. 7 del 2004: vengono previste pendenze diverse da quelle esistenti, nonché la posa in opera di blocchi calcarei sovrapposti, cioè opere modificative dello stato dei luoghi;
   gli esposti di Italia Nostra hanno dato luogo a due distinti procedimenti: procedimento R.G.N.R. 4526/2016, mod. 44, sostituto Procuratore Rosario Lionello (già R.G. 318/2015, F.N.C.R., mod. 45) e procedimento R.G.N.R. 4560/2015, mod. 21, sostituto Procuratore Paolo Gubinelli (già R.G. 1151/2015, F.N.C.R., mod. 45).
   in data 10 agosto 2015 il dottor Gubinelli ha richiesto l'archiviazione nei confronti dell'architetto Roberto Panariello, indagato per il reato di abuso d'ufficio, cui è seguita il 21 ottobre 2015 opposizione di Italia Nostra;
   in data 8 febbraio 2016 il giudice per le indagini preliminari Carlo Cimini, ha emesso decreto di archiviazione con riguardo all'indagato Roberto Panariello, contestualmente ordinando indagini coattive, ex articolo 409, comma 4, cpp;
   l'ordine di indagini coattive è andato disatteso da parte del dottor Gubinelli;
   il predetto decreto del giudice per le indagini preliminari Cimini è stato pure acquisito al procedimento R.G.N.R. 4526/2016, mod. 44, sostituto Procuratore dottor Lionello che, anziché svolgere le prescritte indagini coattive, ha chiesto l'archiviazione –:
   se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'avvio di iniziative ispettive, al fine dell'eventuale esercizio degli ulteriori poteri di competenza.
   (5-11195)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSTAN, CARLO GALLI, MARTELLI e ZOGGIA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2017, una delegazione di Radicali italiani guidata da Emilio Enzo Quintieri, autorizzata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, ha effettuato una visita alla casa circondariale di Cosenza «Sergio Cosmai» per verificare le condizioni di vita dei detenuti, la conformità del trattamento ad umanità, il rispetto della dignità della persona nonché la conduzione generale dell'istituto; gli esiti della visita, in data 3 aprile 2017, sono stati comunicati ai vertici dell'amministrazione penitenziaria, al magistrato di sorveglianza di Cosenza ed al garante nazionale dei diritti dei detenuti;
   nell'ambito della visita all'istituto, in cui erano presenti 272 detenuti, 50 dei quali Stranieri e 57 con patologie psichiatriche, è stato riscontrato che l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, da più di un anno, non garantisce, l'assistenza sanitaria psichiatrica; in particolare, il monte ore del servizio da 30 ore settimanali è stato ridotto prima a 12 ed infine a 6; inoltre, il servizio non è stato organizzato mediante la nomina di uno o al massimo due psichiatri ma prevedendo la rotazione, a turno fra di loro, prima di 14 ed ultimamente di 5 specialisti, che comportano, fra l'altro, le seguenti negatività: crollo verticale di qualsiasi forma di prevenzione; inattuabilità di una effettiva presa in carico dei pazienti; mancanza di continuità terapeutica; mancato funzionamento dello staff multidisciplinare, nel cui ambito lo psichiatra è elemento decisivo e potenziale innalzamento del livello di rischio suicidiario e auto/etero aggressivo (specie nella stagione estiva durante la quale si acuiscono le problematiche psichiatriche);
   negli ultimi tempi, il direttore dell'istituto, il dirigente del servizio sanitario penitenziario, il provveditore regionale della Calabria ed il magistrato di sorveglianza di Cosenza, hanno chiesto ai vertici dell'azienda sanitaria un intervento risolutivo per la problematica in questione, poiché la mancata integrazione delle ore di psichiatria, oltre a comportare un aggravio dello stato di sofferenza dei detenuti bisognosi di cure, acuisce maggiormente le loro problematiche tanto da creare uno stato di tensione che rende critico il mantenimento dell'ordine e della sicurezza intramuraria, precisando che la riduzione del servizio in questione, potrebbe comportare, nei casi più gravi, il ricorso alle strutture sanitarie esterne con tempi di attesa non compatibili con le necessità del disagio psichico nella detenzione, ma anche gravi ripercussioni per la sicurezza dovute alle traduzioni che devono essere effettuate per l'accompagnamento dei detenuti con dispendio di risorse umane e finanziarie;
   successivamente, durante un incontro presso la casa circondariale, veniva richiesto al direttore generale dell'azienda sanitaria la riassegnazione delle 30 ore settimanali, con incarico ad uno o al massimo a due professionisti, poiché la garanzia del servizio soltanto per 6 ore settimanali costituiva una rilevante negatività. Il citato direttore, condividendo le esigenze prospettate circa il fabbisogno settimanale della branca psichiatrica, dichiarava di impegnarsi in tal senso; la situazione a tutt'oggi è rimasta invariata. Tant’è che l'ultima missiva, indirizzata dal direttore dell'istituto all'azienda sanitaria, risale all'11 marzo 2017, proprio per chiedere notizie sullo stato del procedimento di nomina dello psichiatra per l'istituto in seguito al bando del 20 dicembre 2016 –:
   di quali notizie dispongano i Ministri interrogati su quanto riferito in premessa;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché ai detenuti ristretti nella casa circondariale di Cosenza, venga effettivamente garantito il godimento del diritto alla salute, al pari dei cittadini in stato di libertà, come previsto dal decreto legislativo n. 230 del 1994;
   se non ritengano doveroso verificare eventuali omissioni nella condotta tenuta dall'azienda sanitaria provinciale di Cosenza e, in caso affermativo, se non ritengano opportuno procedere nei confronti dei responsabili. (4-16369)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è in corso una vertenza che riguarda il futuro di Alitalia in merito alla quale il Governo si è attivato organizzando una serie di incontri con i rappresentanti dei lavoratori e dell'azienda;
   la compagnia aerea si è impegnata a presentare il nuovo piano industriale a Governo e sindacati;
   si quantifica, anche in base a quanto riportato dalla stampa in circa 2.000 esuberi il possibile numero di lavoratori che la compagnia aerea potrebbe espellere e questo ha determinato una serie di scioperi e di agitazioni che hanno provocato non pochi disagi ai cittadini;
   l'attenzione del confronto è focalizzata, in particolare, sulla disapplicazione unilaterale da parte dell'Alitalia del contratto di lavoro scaduto e non ancora rinnovato;
   il costo del personale, in realtà, non sembra rappresentare il principale problema di Alitalia. In base all'ultimo bilancio della compagnia, infatti, il costo medio per dipendente nella compagnia italiana rappresenta solo il 16,5 per cento dei costi totali, inferiore a quello di grandi compagnie europee come Air France, Lufthansa e British Airways e sostanzialmente in linea, a parità di prodotto, con la media di vettori low-cost, come EasyJet o Wizzair;
   i veri problemi di Alitalia sembrerebbero derivare evidentemente da altri costi, tutti sopra la media: leasing aeronautico (+11 per cento), manutenzione aerei (+24 per cento), handling e assistenza passeggeri (+20 per cento), spese di vendita con riconoscimento di diritti d'intermediazione pari al doppio di quelli applicati in media dai Crs (computer reservations system), contratti di « hedging», carburante fuori misura che hanno fatto pagare la benzina avio a prezzi maggiori pur con il calo del greggio, controlli inadeguati sugli acquisti dai fornitori;
   secondo quanto riferito dal Sole 24 ore il 16 febbraio 2017, l'impegno da parte dell'amministratore delegato dell'Alitalia, Cramer Ball, sarebbe quello di ridurre in un anno i costi per un valore di 160 milioni di euro, piano che ad oggi sembrerebbe essere difficilmente realizzabile –:
   se, nell'ambito del confronto con Alitalia, il Governo non ritenga opportuno adoperarsi affinché l'azienda assuma impegni chiari e precisi sulla riduzione dei costi per leasing, manutenzione, assistenza passeggeri, intermediazioni commerciali, contratti carburante, acquisti fornitori, per evitare che la discussione sul personale diventi un modo per alimentare lo scontro ed alzare i toni in modo da far saltare qualsiasi soluzione;
   se il Governo intenda effettuare una valutazione estremamente rigorosa sulla qualità e quantità dei costi indicati e delle loro dinamiche di contenimento. (5-11183)


   GRIBAUDO e TARICCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017, nel primo pomeriggio, si è verificato il crollo della campata dell'asta di svincolo per Marene al chilometro 61,300 della tangenziale di Fossano, strada statale 231 «di Santa Vittoria», la quale è stata chiusa in entrambe le direzioni tra i chilometri 59 e 66;
   la costruzione di questo tratto di tangenziale risale all'inizio degli anni ’90, ad opera della società Itinera, appartenente al gruppo Gavio;
   nel giugno 2010 nella zona del cedimento si erano registrati problemi di dissesto del manto stradale e di spostamento del guard-rail, tali da portare al restringimento della carreggiata per un lungo periodo;
   nel crollo è stata schiacciata e distrutta un'auto dei carabinieri, i quali fortunatamente non si trovavano all'interno del veicolo, né al di sotto del ponte, e sono rimasti illesi; allo stesso tempo, alcun veicolo stava transitando sul viadotto, evitando così il verificarsi di incidenti peggiori che potevano coinvolgere un maggior numero di auto e persone;
   l'Anas, nel corso del pomeriggio dello stesso giorno, con una nota sul proprio sito ha dichiarato che l'infrastruttura era sottoposta a monitoraggio, ed era stata ispezionata la mattina stessa da parte del sorvegliante e del capo nucleo senza che fosse «risultata visibile alcuna criticità»;
   il Ministro Delrio ha annunciato la costituzione di una commissione, allo scopo di indagare sui motivi del cedimento del ponte, mentre la magistratura di Cuneo ha aperto un'indagine per crollo colposo;
   numerosi eventi simili si sono verificati lungo la penisola negli ultimi anni, mettendo a rischio l'incolumità degli automobilisti, che in alcuni casi hanno perso la vita a causa del cedimento delle infrastrutture viarie;
   a seguito del crollo del ponte di Fossano il presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, e l'assessore ai Trasporti, Francesco Balocco, hanno chiesto che l'Anas provveda ad una mappatura delle infrastrutture ritenute a rischio, con verifiche di sicurezza in tutti quei casi che presentano analogie con quello presente –:
   se gli strumenti e le modalità ispettive impiegate dall'Anas, e in particolare dall'Anas Piemonte, siano aggiornate ed adeguate a rilevare danni di criticità tale da portare al crollo improvviso di un'infrastruttura poche ore dopo un'ispezione dell'esito positivo;
   quali siano le motivazioni e le cause del crollo in base alle indagini fin qui condotte da parte dell'Anas e dei tecnici del Ministero;
   quali siano i finanziamenti previsti per la manutenzione ordinaria e straordinaria di questo genere di opere e quale sia stato il percorso manutentivo ricevuto dall'infrastruttura in questione negli ultimi venticinque anni;
   come si intenda intervenire per la ricostruzione del ponte crollato, al fine di garantire il ritorno alla normalità per la viabilità della città di Fossano e della provincia di Cuneo. (5-11188)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Atral Lazio si occupa del servizio di trasporto pubblico urbano e scolastico del comune di Latina. Fa parte del gruppo Cotral, una società per azioni controllata al 100 per cento dalla regione Lazio che, ad oggi, è il maggior gestore di trasporto extraurbano su gomma dell'intero Paese;
   da molto tempo i collegamenti effettuati dall'Atral Lazio nei giorni festivi vengono praticamente dimezzati e i viaggiatori sono costretti ad aspettare anche oltre due ore prima di poter salire su un bus che li porti dalla stazione ferroviaria al centro di Latina, come è accaduto, secondo fonti stampa, anche il 16 e 17 aprile 2017;
   dall'inizio del 2016, la società Cotral ha deciso di sopprimere quasi tutti i collegamenti tra la provincia pontina e Roma e molti di quelli tra i piccoli centri di montagna e le città della pianura pontina. Secondo quanto afferma la società, si tratterebbe di una «razionalizzazione per rendere migliore il servizio». I pendolari invece lamentano che la provincia di Latina è stata tagliata fuori dai collegamenti su gomma con la capitale: infatti, la domenica e i festivi, per muoversi o andare a lavoro, sono costretti a prendere l'auto o il treno visto che molte corse sono state soppresse;
   in particolare, la linea Latina-Roma, sembra la più colpita da disagi e ritardi;
   al di là di quelle che appaiono pur palesi violazioni puntualmente denunciate dai viaggiatori, la Atral continua a beneficiare di proroghe – più di venti ormai – del contratto di appalto;
   con espresso riferimento alla possibilità di rinnovi o proroghe automatiche di contratti in concessione relativi al trasporto pubblico locale, la Corte Costituzionale, ha reiteratamente affermato che non è consentito al legislatore regionale disciplinare il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni alla loro scadenza – in contrasto con i principi di temporaneità e di apertura alla concorrenza – poiché, in tal modo, dettando vincoli all'entrata, verrebbe ad alterare il corretto svolgimento della concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici ed invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost. Con la sentenza n. 2/2014, la Corte conferma l'orientamento ormai consolidato, in passato, infatti, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni regionali, che prevedevano la possibilità di proroghe automatiche di contratti di trasporto pubblico locale (sentenza n. 123 del 2011), ovvero il mantenimento di affidamenti preesistenti in capo agli stessi concessionari di servizi di trasporto pubblico locale oltre il termine ultimo previsto dal legislatore statale per il passaggio al nuovo sistema di affidamento di tali servizi tramite procedure concorsuali (sentenza n. 80 del 2011);
   il bando di gara per l'affidamento del servizio di trasporto pubblico locale per il comune di Latina è stato pubblicato il 4 febbraio 2016, ma la procedura non ha avuto seguito –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per implementare la concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale al fine di evitare situazioni come quella descritta in premessa e favorire uno scambio tempestivo e virtuoso tra gomma e rotaia, per garantire un effettivo diritto alla mobilità ai viaggiatori. (5-11196)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-10845, riguardante la difficile situazione degli aeroporti calabresi e specie di quello di Reggio Calabria, il sottosegretario Umberto del Basso De Caro il 15 marzo 2017 rispondeva che «il 3 marzo scorso, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme. Possiamo così iniziare a parlare di una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria»;
   il 10 aprile 2017, a quanto emerge da notizie apparse sulla stampa locale, il presidente, Pierluigi Mancuso, il direttore generale, ed Ester Michienzi, responsabile dell'ufficio legale di Sacal s.p.a., società che gestisce i tre aeroporti calabresi, sono stati posti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'inchiesta sulla gestione dello scalo condotta dalla procura di Lamezia Terme;
   i reati per i quali si procede, a vario titolo, andrebbero dalla corruzione e dal peculato sino al falso, all'abuso d'ufficio ed a varie forme di concussione;
   sarebbero emersi nello specifico illeciti relativi all'affidamento di consulenze «fantasma» per decine di migliaia di euro e ad artefatte selezioni di personale per incarichi interni vari affidati a soggetti che, in generale, sono risultati in possesso di requisiti inferiori rispetto agli altri concorrenti illegittimamente esclusi, ricorrendo ad atti falsi;
   si contesterebbe inoltre l'irregolare gestione del progetto «Garanzia Giovani», finanziato con fondi pubblici, finalizzato ad inserire in un tirocinio retribuito, presso Sacal s.p.a, per il quale le emergenze investigative avrebbero dimostrato che, in ragione di pressioni indebite, anche perpetrate da politici locali e dirigenti pubblici, siano stati selezionati soltanto amici e parenti degli indagati, attraverso interventi artificiosi sulle procedure di selezione previste dal bando pubblico;
   sarebbero stati accertati, inoltre, numerosi episodi di peculato da parte della dirigenza della «Sacal s.p.a.», concretizzatisi in viaggi, pranzi e soggiorni per scopi personali, effettuati presso strutture ricettive di lusso, con indebita imputazione dei relativi costi, spesso assai elevati, al bilancio della società a partecipazione pubblica –:
   se, alla luce di quanto rappresentato, il Ministro interrogato intenda confermare la valutazione di cui in premessa secondo la quale attraverso l'affidamento a Sa.cal s.p.a. della gestione dei tre aeroporti calabresi passino «la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria» o se non ritenga invece di rivedere urgentemente le linee d'intervento per il salvataggio degli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone. (4-16354)


   MELILLA, QUARANTA, RICCIATTI, SCOTTO, PIRAS, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, FERRARA e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: 
   le autostrade A24 e A25 che collegano l'Abruzzo al Lazio e a Roma hanno bisogno di una manutenzione generale anche in considerazione della loro collocazione in un'area ad alto rischio sismico;
   in conseguenza degli eventi sismici del 2009, la legge n. 228 del 2012 ha disposto specifiche misure atte a consentire la messa in sicurezza dei viadotti, l'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria e ogni ulteriore opera di adeguamento;
   il progetto di adeguamento sismico dei viadotti può essere sintetizzato nelle seguenti fasi:
    a) rinforzo delle pile mediante idrodemolizione dello strato corticale ed impiego di malte speciali;
    b) interventi sui testa pila finalizzati alla installazione dei nuovi dispositivi di appoggio;
    c) installazione di smorzatori viscosi trasversali sulle pile e sulle spalle;
    d) solidarizzazione delle solette degli impalcati per creare una continuità secondo uno schema a catena cinematica;
    e) realizzazione di nuovo impalcato in struttura mista acciaio-calcestruzzo nei viadotti con impalcato degradato, secondo lo schema a catena cinematica, prevedendo l'ampliamento dell'attuale carreggiata di circa 50 centimetri per adeguare la larghezza della corsia di emergenza;
    f) realizzazione di un solettone a tergo delle spalle a cui collegare gli smorzatori;
   il programma degli investimenti inseriti nel nuovo Piano economico e finanziario di strada dei parchi per la durata residua di concessione sino al 2030, prevede un rilevante programma di investimenti comprensivo dell'adeguamento sismico dell'autostrada per euro 1.035.000.000 da attuarsi entro il 2023;
   nelle more dell'approvazione del suddetto Piano economico e finanziario è emersa la necessità urgente di eseguire preventivamente alcuni interventi di antiscalinamento, che consistono sostanzialmente nel ripristino dei ritegni sismici originari –:
   quali siano le decisioni assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla società concessionaria per la esecuzione degli interventi di verifica della vulnerabilità sismica e in generale per la messa in sicurezza di una infrastruttura strategica come l'Autostrada dei Parchi non solo per le regioni Abruzzo e Lazio, ma per l'intero sistema nazionale, anche in considerazione delle rilevanti ricadute positive sul piano occupazionale e sociale dei suddetti investimenti. (4-16358)


   VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Rete Ferroviaria Italiana (RFI) è una società per azioni partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato Italiane, con funzioni di gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale;
   questa opera in regime di concessione pubblica ex decreto ministeriale 138 T del 31 ottobre 2000 e, mediante la sua divisione per la navigazione, assicura il traghettamento dei convogli ferroviari nello Stretto di Messina, fra Messina e Villa San Giovanni, e viceversa;
   ai soggetti collocati in posizione di comando vengono affidati beni dello Stato di ingente valore economico (le navi «ro-ro» con cui viene espletato il servizio di collegamento tra le due sponde dello Stretto di Messina); gli stessi devono altresì salvaguardare la sicurezza e l'incolumità dei passeggeri e dell'equipaggio a bordo;
   il contratto collettivo nazionale Mobilità/Area AF così descrive la figura dei comandanti: «Lavoratori che, in possesso dei prescritti titoli professionali, sono responsabili della loro attività a bordo delle navi in servizio di traghettamento ferroviario, in attuazione delle disposizioni legislative e amministrative vigenti nel settore marittimo dello Stato Maggiore delle Navi Traghetto»;
   il Codice della navigazione attribuisce al comandante anche delicatissime funzioni dirigenziali: tra queste, egli è capo della spedizione, con compiti di direzione della manovra e della navigazione; rappresenta l'armatore (articolo 295 c.d.n.); è ufficiale dello stato civile (articolo 203 c.d.n.);
   il contratto collettivo nazionale Mobilità/Area AF norma l'avanzamento professionale dalla posizione di 1o ufficiale navale a comandante: «Il passaggio dalle figure professionali della posizione retributiva 2 alle figure professionali della posizione retributiva 1 avviene esclusivamente sulla base di una positiva valutazione di merito dell'azienda sulle competenze e sulle capacità professionali espresse nelle funzioni svolte e sulla attitudine al disimpegno delle funzioni previste per le figure professionali della posizione retributiva 1» (pag. 56);
   senonché, nonostante la spiegata peculiarità e delicatezza della posizione rivestita dalla figura del comandante, molti lavoratori inquadrati in ruolo inferiore pare siano stati impiegati da RFI in posizione di comando;
   per di più, lo svolgimento di mansioni superiori ha condotto molti lavoratori ad adire il giudice del lavoro al fine di ottenere il riconoscimento della qualifica superiore e delle relative differenze retributive;
   in tale contesto, disattendendo il contratto collettivo nazionale sopra citato, Rfi avrebbe omesso di svolgere una corretta selezione delle competenze e delle capacità professionali dei lavoratori nelle recenti promozioni degli ufficiali a comandanti, utilizzando criteri opinabili e disancorati dalla valorizzazione del merito;
   ciò avrebbe condotto alla nomina di comandante, figura apicale nel settore marittimo di RFI cui vengono affidati compiti di estrema complessità, lavoratori che per requisiti relativi a titoli di studio, colloquio aziendale ed esperienza di navigazione, risultano meno adatti rispetto ad altri in forza all'azienda, come si evince dalle ultime graduatorie redatte dalla stessa RFI –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda verificare sulla scorta di quali procedure selettive e sulla base di quali criteri vengano nominati i comandanti della società a totale partecipazione pubblica RFI, nella sua divisione per l'espletamento del servizio di navigazione tra le sponde dello Stretto di Messina. (4-16370)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORETTO e MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2017, nei pressi dell'interporto di Portogruaro (Venezia), è stato rinvenuto il cadavere di un migrante all'interno di un vagone ferroviario carico di cereali;
   da informazioni di stampa risulta che in quel convoglio, oltre al migrante deceduto, era salito, a ridosso del confine tra Serbia e Croazia, un secondo migrante, professatosi marocchino;
   l'utilizzo dei vagoni merce quale mezzo di trasporto per giungere in Europa attraverso la rotta balcanica non rappresenta un caso isolato. Il 25 febbraio 2017, sempre nei pressi dell'interporto di Portogruaro (Venezia), 13 uomini di diversa nazionalità sono stati scoperti dalle forze dell'ordine all'interno di un carro ferroviario contenente cereali e proveniente dal Montenegro. I migranti hanno poi dichiarato alla polizia scientifica, in sede di identificazione, di essere cittadini marocchini, algerini e tunisini;
   in base a quanto riferito da fonti della prefettura di Venezia 10 di questi uomini risultavano richiedenti asilo, avendo depositato domanda di protezione internazionale in Grecia, mentre gli altri 3 avevano espresso l'intenzione di depositare analoga richiesta;
   tali vicende, da un lato, evidenziano l'esistenza di una «rotta balcanica» che ha come punto di arrivo l'interporto veneto e, dall'altro, fanno emergere la questione dei cosiddetti «dublinanti», persone cioè che hanno già presentato richiesta di asilo in altri Paesi europei e che complicano molto il lavoro delle strutture italiane –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e se intendano approfondire tali vicende per individuare eventuali falle nel sistema dei controlli, nonché potenziare i controlli in merito alla cosiddetta «rotta Balcanica»;
   quali siano le direttive rispetto alla gestione dei «dublinanti» per le riammissioni dei richiedenti protezione internazionale e se ritengano necessarie modifiche normative in merito. (5-11184)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto ha riferito la stampa, il 27 gennaio 2016 il II municipio di Roma, dopo aver ascoltato l'assessore alle politiche sociali di Roma capitale, Laura Baldassarre, si è espresso favorevolmente rispetto all'ipotesi di trasformare in un centro di accoglienza, destinato ad ospitare oltre un centinaio di migranti in transito, la struttura situata in via Masaniello, in prossimità della stazione ferroviaria tiburtina, nota come Ferrhotel, in quanto un tempo adibita ad albergo per i ferrotranvieri;
   al centro di transito per immigrati irregolari sarà altresì associato un info-point, il tutto con un finanziamento da parte del Ministero dell'interno pari a 550 mila euro;
   i transitanti che saranno ospitati all'ex Ferrhotel fino al mese di settembre 2016 si dirigevano a via Cupa, nei pressi del centro sociale Baobab, nel frattempo sgomberato dalle forze dell'ordine;
   nel frattempo, sempre a Roma, versa in grave stato di degrado Forte Ostiense, malgrado investimenti fatti per riqualificarlo pari a 250 mila euro e il progetto di ospitare infrastrutture strategiche della polizia di Stato, come l'unità cinofila, il centro psicotecnico ed il centro di telecomunicazioni;
   è stato altresì spostato dal commissariato di Sant'Ippolito che lo ospitava l'ufficio passaporti di Roma, ora in attesa di destinazione;
   risultano minacciati da accorpamenti e chiusure numerosi commissariati della polizia di Stato, come riportato dal quotidiano il Tempo alla pagina 8 del 6 febbraio 2017, tra cui «Porta Pia» e «Sant'Ippolito» ad oggi ancora situati nel Municipio II di Roma Capitale –:
   se il Governo intenda confermare l'intenzione di finanziare la trasformazione dell'ex Ferrhotel di Roma in un centro di transito e accoglienza per migranti, stanziando all'uopo circa 550 mila euro, mentre altre infrastrutture della polizia di Stato sono ospitate in immobili fatiscenti o comunque soggette a degrado, l'ufficio passaporti è oggetto di trasferimento e sembra in via di esecuzione un piano di accorpamenti che ridurrà significativamente i presidi territoriali delle Forze dell'ordine nella capitale, malgrado questa sia un sito sensibile a rischio di terrorismo presidiato dall'Esercito italiano. (5-11186)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che entro fine giugno 2017 la casa per ferie «Casa San Gabriele», struttura d'accoglienza gestita dall'Istituto dei Fratelli di San Gabriele e ubicata precisamente in via Trionfale 12840, proprio tra i municipi XIV e XV, a nord di Roma, sarà convertita in un centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   sembra dunque che la struttura, attualmente autorizzata dall'amministrazione capitolina come «casa per ferie» per ospitare temporaneamente persone singole, famiglie e gruppi, chiuderà la propria attività recettiva il 5 giugno 2017 e che già sia stato sottoscritto un accordo per la sua destinazione a centro di accoglienza, anche se non è ancora noto il nome della cooperativa che dovrebbe gestirlo;
   sempre secondo quanto reso noto dai mezzi di informazione, sembra siano al vaglio della prefettura di Roma le offerte già pervenute ad un bando di gara per il periodo 1o aprile-31 dicembre 2017 volto ad «assicurare i servizi di accoglienza, e dei servizi connessi, ai cittadini stranieri richiedenti asilo, ivi compresi quelli già presenti nelle strutture temporanee della Provincia di Roma e che devono essere riallocati»;
   la casa San Gabriele consta di 34 camere ed è, dunque, presumibile che il numero degli richiedenti protezione internazionale che verrà ivi alloggiato sarà di qualche centinaio di unità, facendolo diventare uno dei più grandi centri di accoglienza d'Italia;
   la scelta di destinare la struttura a centro di accoglienza non tiene conto delle necessità del territorio e dei suoi cittadini e rischia di avere un impatto più che negativo, poiché la stessa si trova fra il quartiere Ottavia e la Cassia, nonché a poche centinaia di metri dall'ingresso del Consorzio Case e Campi de La Giustiniana, nel quale vivono circa duemila persone;
   i residenti del municipio XIV e XV hanno già espresso la loro forte contrarietà e dissenso al progetto, costituendosi anche in un Comitato del «No», che ha già annunciato il ricorso a barricate e blocchi stradali, pur di impedire l'apertura del centro di accoglienza alla Casa San Gabriele;
   tale vicenda segue di pochi giorni la notizia di uno stesso tipo di struttura che avrebbe dovuto aprire in vicolo Monte Arsiccio, in merito alla quale però il prefetto di Roma avrebbe deciso di non procedere, dando mandato all'Ente gestore per la valutazione di altri luoghi;
   già nel luglio 2015, sempre in un territorio fra XIV e XV municipio, si era paventata l'apertura di un centro di accoglienza, che aveva suscitato proteste e dissenso tra i residenti e che non era poi stato realizzato –:
   se trovino conferma le notizie di cui in premessa in merito alla chiusura dell'attività il 5 giugno 2017 della «Casa San Gabriele» a Roma, e della sua destinazione a centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   quale sia l'effettivo numero di richiedenti protezione internazionale che la prefettura intende alloggiarvi, qualora il progetto venisse confermato;
   se, a fronte dell'espresso dissenso e della contrarietà manifestati dai residenti, non si intenda revocare tale decisione ed impedire l'apertura di un centro di accoglienza nella zona individuata. (4-16357)


   FRATOIANNI, MARCON, FASSINA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, è nato da alcuni mesi un mensile scritto da studenti e studentesse rivolto ai giovani delle scuole superiori della Capitale, «Scomodo» che sta riscuotendo grande interesse con molte migliaia di copie distribuite e con un'attenzione del mondo dei media e della cultura;
   fra le iniziative e le inchieste del giornale spiccano l'azione di denuncia pubblica per i tanti immobili e beni culturali abbandonati della città in uno stato di pesante degrado;
   a supporto dell'azione di denuncia giornalistica, periodicamente la redazione del mensile «Scomodo» promuove ed organizza momenti ed eventi con migliaia di partecipanti, che partendo dal recupero di immobili, attraverso l'azione di centinaia di giovani volontari, richiama l'attenzione dell'opinione pubblica sullo stato di degrado e sulla necessità di un'azione dello Stato e delle istituzioni per il riuso sociale e culturale di strutture fatiscenti. Così è avvenuto, ad esempio, nel caso dell'ex Arsenale Papale, ripulito dopo anni di abbandono, con pranzo a sacco e notte fino all'alba con la musica: un blitz di denuncia contro le speculazioni urbanistiche;
   l'ultimo episodio è avvenuto mercoledì 12 aprile 2017 in via Giustiniano Imperatore nel quartiere San Paolo-Garbatella, dove la società Acqua Marcia 10, anni fa, aveva iniziato la costruzione di un immenso hotel da 180 camere mai finito e ormai abbandonato;
   a differenza di precedenti analoghe iniziative, l'intervento delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa, con lo sgombero di centinaia di ragazzi e ragazze, moltissimi minorenni, ha impedito lo svolgimento dell'iniziativa;
   a giudizio degli interroganti appare del tutto spropositata l'azione intrapresa dalle forze dell'ordine, tenuto conto del fatto che sono moltissime le testimonianze dei ragazzi e delle ragazze che lamentano modi rudi e violenti nell'azione di sgombero e del tutto fuori luogo;
   le istituzioni, secondo gli interroganti, contrariamente a quanto avvenuto a Garbatella-San Paolo, dovrebbero essere grate per l'azione di denuncia e di impegno civile di questi ragazzi –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati sui fatti di cui in premessa e sulle iniziative promosse dal mensile «Scomodo»;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per dare risposta alle denunce e alle proposte avanzate dai ragazzi e dalle ragazze del mensile «Scomodo», in ordine alle esigenze di recupero di edifici ed aree che abbiano un valore storico e architettonico e che possano essere utilizzati per iniziative culturali e se non intenda ascoltare le istanze della redazione del mensile «Scomodo»;
   se il Ministro dell'interno intenda chiarire la dinamica dei fatti di cui in premessa che hanno dato luogo, a giudizio degli interroganti, ad inaccettabili episodi violenti avvenuti il 12 aprile 2017 nei confronti dei ragazzi da parte di personale delle forze dell'ordine in servizio di ordine pubblico e se intenda dare apposite istruzioni affinché episodi simili non si ripetano. (4-16364)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'ex Istituto Rossi, posto nel cuore del centro storico di Catanzaro, antico palazzo fondato nel 1884, rimesso a nuovo con annesso lo splendido oratorio del Carmine, oggi è sede del polo didattico di Catanzaro – sezione del conservatorio di musica «Fausto Torrefranca» di Vibo Valentia. Le classi istituite a Catanzaro riguardano la prima fascia di studi musicali di base che prevedono la conclusione di due periodi: il compimento inferiore e il compimento medio, mentre gli studi degli ultimi anni, quelli relativi al compimento superiore, saranno completati presso il conservatorio di musica di Vibo Valentia. I ragazzi che frequentano i corsi provengono da tutta la provincia di Catanzaro e dal capoluogo; inoltre, si è registrato un trasferimento di un congruo numero di allievi che prima frequentavano la sede di Vibo e anche di altre province calabresi;
   risulta all'interrogante che ben presto il polo didattico di Catanzaro verrà chiuso e con esso si spegnerà l'ennesima opportunità culturale per la città, ritenuta dal sindaco di Catanzaro una spesa voluttuaria. Dei 90 giovani iscritti è dato sapere che verranno dirottati, ad anno formativo avanzato, su Vibo Valentia dove, per giunta, vi sono classi già piene;
   la comunicazione del «trasferimento» del servizio è stata data informalmente direttamente agli iscritti, tutti minori. E così, dopo il versamento di una cospicua retta annuale, i giovani musicisti si trovano con un servizio da fruire a condizioni totalmente diverse da quelle pattuite. Non tutti riusciranno a completare il ciclo delle lezioni, perché non tutti potranno permettersi di spostarsi a Vibo Valentia e di proseguire gli studi –: 
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per fronteggiare, da una parte, il declino ulteriore di un capoluogo di provincia e di regione ed il conseguente depauperamento del centro storico e, dall'altra, salvaguardare un sacrosanto diritto allo studio per 90 giovani musicisti. (4-16348)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, LOMBARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, ZOLEZZI, DALL'OSSO, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, BUSTO, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e LIUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 aprile 2017 veniva pubblicato sul sito di informazione « video.repubblica.it», notizia e video riguardante la vicenda lavorativa della signora Valentina Tanzini;
   la signora ha lavorato per circa 10 anni nel punto vendita del marchio «Dolce e Gabbana» sito al terminal 3 dell'aeroporto di Fiumicino. Il giorno dopo il devastante incendio del 7 maggio 2015, che ha avuto origine proprio dal terminal dove era presente il negozio, sono state riaperte le attività commerciali dello scalo romano compresa quella dove lavorava la signora Tanzini;
   la Tanzini nel video dichiara di aver respirato da subito i fumi dall'odore sconvolgente ancora presenti nell'aeroporto e, dopo qualche giorno dall'incendio, di aver perso la voce e di essersi ammalata con sintomi come tosse, mal di gola e febbre. Solo dopo molti giorni dall'incendio, l'Asl ha imposto loro l'utilizzo delle mascherine e di non lavorare più di quattro ore al giorno;
   dopo l'incendio, la signora ha continuato a lavorare per un mese circa, dopodiché il suo medico curante le ha prescritto diversi giorni di infortunio per difficoltà respiratorie;
   la Tanzini, insieme ai suoi colleghi, ha provato a spiegare da subito all'azienda i pericoli che stavano correndo per la loro salute;
   dopo circa otto mesi di malattia per problemi respiratori, la signora è tornata a lavorare fino a che la proprietà ha deciso di chiudere il negozio, riaprendone un altro in una diversa ala dell'aeroporto. Solo alla Tanzini e ad una sua collega, anche lei rimasta in malattia dopo l'incendio, è stato proposto prima il trasferimento a Milano o a Capri o, come scelto poi dalla Tanzini, di accettare dieci mensilità e terminare il rapporto di collaborazione;
   l'azienda, contattata dai giornalisti, ha fatto sapere che, in riferimento a questa questione, preferisce non rilasciare commenti;
   in data 16 giugno 2015, veniva emanata una relazione a cura dell'Istituto superiore di sanità (Iss) sulle concentrazioni e i tipi di inquinanti accumulatisi dopo l'incendio. Nella relazione veniva specificato che le concentrazioni di composti ad attività diossina-simile osservate erano, dopo parecchi giorni dall'accaduto, ancora al di sopra del valore di riferimento suggerito dall'Organizzazione mondiale della sanità. I livelli di PCDD (famiglia di diossine che comprende anche il TCDD, la più pericolosa tra le diossine conosciute), PCDF (famiglia comprendente le restanti delle 210 diossine conosciute) e PCB (policlorobifenili la cui struttura è molto simile a quella delle diossine) risultavano essere molto al disopra della norma. L'Iss concludeva la sua relazione, ribadendo la necessità di mantenere le misure di precauzione e protezione già adottate per minimizzare l'esposizione dei lavoratori;
   la Tanzini, a tutt'oggi, soffre di disturbi del sonno dovuti a forti colpi di tosse, forti dolori alla trachea e senso di soffocamento ai quali cerca di sopperire tramite l'uso di parecchi farmaci. La preoccupazione più grande della signora rimane però quella di potersi ammalare di malattie gravi –:
   quali misure di sicurezza siano state adottate dalle autorità preposte in seguito all'incendio divampato nello scalo romano che ha portato a gravi conseguenze per la salute di diversi lavoratori e passeggeri;
   se non intendano assumere iniziative finalizzate a prevedere in questo, come in altri casi analoghi, misure di carattere risarcitorio per le persone danneggiate;
   se non intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a favorire un piano di ricollocamento dei lavoratori interessati dalla questione sopracitata. (5-11193)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa locale (Crema Oggi — Il quotidiano online di Crema del 19.4.2017) riferiscono dell'ipotesi di trasferimento da Ripalta Cremasca, in provincia di Cremona, a Rozzano, in provincia di Milano, della ditta Ametek Italia, presente sul territorio da oltre 30 anni e che conta 98 dipendenti nella sede in questione, che ha un'altra sede, da 111 dipendenti, a Robecco d'Oglio, nella stessa provincia di Cremona;
   appare necessario pertanto un intervento dei Ministri interrogati volto ad accertare quali siano le intenzioni dell'azienda e a prevenire una eventuale crisi nonché l'ipotesi, da scongiurare con ogni mezzo, di una possibile chiusura, che impoverirebbe il territorio cremasco e avrebbe ricadute drammatiche su moltissime famiglie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali iniziative intendano adottare in proposito. (4-16353)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, PASTORINO e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», ha previsto la soppressione degli enti Inpdap ed Enpals dal 10 gennaio 2012, attribuendo le relative funzioni all'Inps, che a partire da quella data, ha continuato a corrispondere il pagamento delle pensioni degli enti soppressi con le consuete modalità, anche tramite accredito su un conto corrente bancario estero, in caso di cambio di residenza in un altro Paese del pensionato;
   l'Italia ha stipulato delle convenzioni bilaterali con molti Paesi esteri, per evitare le doppie imposizioni sui redditi e sul patrimonio dei rispettivi residenti. Per poter usufruire delle agevolazioni, il pensionato che risiede all'estero, deve richiedere all'Inps l'applicazione delle convenzioni in vigore, così da ottenere la detassazione della pensione in Italia;
   purtroppo, però, anche in materia di pensioni, la legge non è uguale per tutti. Solo in pochissimi casi i pensionati Inpdap possono avere la defiscalizzazione della pensione e versare i contributi laddove risiedono (ad esempio, in Tunisia, in Senegal, in Australia) nella maggior parte dei Paesi, gli ex dipendenti statali, parastatali, degli enti locali (regioni, province e comuni), ex militari, finanzieri, vigili del fuoco, poliziotti, forestali, non possono chiederla in caso risiedano all'estero;
   è d'esempio ciò che avviene in Portogallo, dove, dal 2009, è stata definita la figura giuridica del «Residente non abituale» che, in base a determinati criteri, permette di acquisire il diritto alla detassazione in Portogallo dei redditi pensionistici per 10 anni consecutivi e, in seguito, anche di ottenerla in Italia, in base alla convenzione stipulata tra i due Paesi (legge di ratifica del 10 luglio 1982 n. 562), ma solo per i pensionati del settore privato;
   infatti, nell'accordo fra Portogallo e Italia – come anche in diversi altri casi – sono stati esclusi da questo beneficio gli ex dipendenti pubblici con previdenza ex Inpdap che, quindi, al contrario dei pensionati Inps del settore privato residenti all'estero che percepiscono la loro pensione al lordo, si ritrovano le loro pensioni al netto delle imposte, che l'Italia trattiene, assieme alle addizionali regionali e comunali, nonostante il pensionato non usufruisca più di nessuno dei servizi che motivano tali imposte;
   questo è sancito dal testo base del trattato stipulato che, in molti casi, come è disposto all'articolo 19, recante «Funzioni pubbliche», comma 2, lettera b) della suddetta legge, stabilisce che le pensioni percepite degli ex-dipendenti Inpdap «sono imponibili soltanto nell'altro Stato qualora la persona fisica sia un residente di questo Stato e ne abbia la nazionalità»;
   al di là del merito, tutto ciò è causa di una evidente discriminazione oltre a porsi secondo gli interroganti in contrasto con la Costituzione, perché, se per i pensionati Inps l'unico requisito per ottenere la pensione al lordo è la residenza, il pensionato ex Inpdap ottiene la defiscalizzazione italiana solo a seguito di acquisizione della cittadinanza straniera, che, nella maggior parte dei Paesi, si ottiene dopo 10 anni –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per superare le disparità di trattamento tra i pensionati residenti all'estero del settore privato e quelli del settore pubblico;
   se non ritenga opportuno di assumere iniziative normative per risolvere la questione, in tempi brevi, affinché siano sanate situazioni che si rivelano per gli interroganti discriminatorie e in contrasto con la Costituzione. (4-16359)


   FRATOIANNI, MARCON, AIRAUDO e FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Abruzzo, ad Atessa (Chieti) ha sede lo stabilimento Sevel, il più grande stabilimento di veicoli commerciali leggeri d'Europa del gruppo Fca;
   il 12 aprile 2017 un addetto allo svolgimento delle attività di montaggio ha urtato violentemente la testa su un braccio meccanico per il sollevamento dei sedili, l'incidente gli ha provocato la perdita di conoscenza e la caduta a terra. Ad accorgersi dell'accadimento sono stati i colleghi che immediatamente hanno dato l'allarme. Ancor prima che i soccorsi arrivassero, il responsabile di Ute ha chiesto ai lavoratori presenti di ignorare l'accaduto, di far finta di non vedere il corpo a terra e di riprendere il lavoro;
   l'organizzazione sindacale Fiom Cgil per protesta ha proclamato uno sciopero dei lavoratori dello stabilimento;
   già nel febbraio 2017 lo stesso stabilimento, è assurto alla ribalta della cronaca nazionale per un altro inaccettabile episodio: un operaio addetto alla catena di montaggio si è visto negare il permesso ad andare in bagno, urinandosi addosso;
   appare evidente agli interroganti a questo punto, con il ripetersi continuo di episodi simili, che i responsabili della Sevel di Atessa, per garantire i ritmi e i carichi di lavoro, non abbiano fra le priorità il rispetto della persona e la sua dignità –:
   quale sia l'orientamento del Governo in relazione a episodi di questo genere;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per evitare in futuro il ripetersi di episodi simili, anche convocando innanzitutto i responsabili dello stabilimento e le organizzazioni sindacali al Ministero, avviando attente ispezioni all'interno della fabbrica per verificare direttamente la situazione, relativa alla osservanza delle norme in materia di sicurezza sul luogo di lavoro ed adoperandosi affinché sia garantito il rispetto della dignità delle proprie maestranze. (4-16365)


   RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i dati più recenti dell'Istat per il mese di gennaio 2017 riportano come il tasso di disoccupazione in Italia sia all'11,9. L'istituto di statistica spiega che, nel mese scorso, le persone in cerca di occupazione erano 3.097.000, in aumento di 2.000 unità su dicembre 2016 e di 126.000 unità su gennaio 2016 (a gennaio 2016 il tasso di disoccupazione era all'11,6 per cento). L'aumento dei disoccupati rispetto all'anno precedente insieme all'aumento degli occupati (236.000 su gennaio 2016) si spiega con il calo degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-461.000);
   il Governo nel corso del 2017 ha preventivato una spesa per l'accoglienza dei migranti di 4,2 miliardi di euro;
   il Ministero dell'interno, sul proprio sito internet, ha reso noto il 13 aprile 2017, che è stato sottoscritto con Confindustria un protocollo per attuare i percorsi di formazione e tirocini per i beneficiari di protezione internazionale, ospiti del sistema di accoglienza nazionale;
   il protocollo dà attuazione all'accordo quadro precedentemente sottoscritto dal Ministro dell'interno e da Confindustria;
   secondo quanto previsto le parti si impegnano a realizzare per la prima volta tirocini e percorsi formativi, della durata di sei mesi, presso imprese associate al «sistema Confindustria» che si sono rese disponibili all'iniziativa e che hanno manifestato un fabbisogno specifico di personale;
   nel 2017 verranno finanziati 100 pacchetti formativi in undici province, Asti, Alessandria, Bergamo, Catania, Milano, Roma, Siracusa, Torino, Trieste, Udine e Varese, la cui copertura finanziaria è già stata stanziata e sarà di 500 euro al mese;
   le aziende saranno individuate da appositi team di coordinamento istituiti presso le prefetture delle province interessate –:
   se il Governo sia a conoscenza della drammatica situazione occupazionale di buona parte della popolazione attiva e non ritenga opportuno assumere iniziative per destinare le risorse (e le conseguenti opportunità), dell'inaccettabile ammortizzatore sociale istituito con il protocollo tra Ministero dell'interno e Confindustria, a lavoratori italiani over 40 che più difficilmente riescono a ricollocarsi. (4-16368)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 21 settembre 2011 è stato indetto il concorso pubblico, per esami, a n. 4 posti di dirigente di seconda fascia nel ruolo centrale agricoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale – concorsi ed esami – n. 77 del 27 settembre 2011;
   a conclusione dell’iter concorsuale che ha visto la pubblicazione del diario delle prove preselettive, dell'esito prove selettive, dei risultati delle prove scritte del 23 e 24 aprile 2012, del provvedimento di sostituzione del presidente della commissione esaminatrice (decreto ministeriale 6 agosto 2012) e della nomina dei componenti aggiunti della commissione esaminatrice, per le prove di lingua straniera ed informatica (decreto ministeriale 19 settembre 2012) con decreto ministeriale 30 ottobre 2012, n. 2144, si è data approvazione degli atti del concorso con l'assegnazione dei 4 posti di dirigenti di seconda fascia e la definizione di una graduatoria di idonei non vincitori;
   il precedente concorso del 2004 ha visto lo scorrimento completo della graduatoria sia dei vincitori che degli idonei –:
   se, ove il Ministero dovesse avere necessità di altre figure dirigenziali, si intenda approntare un altro concorso o attenersi – come si augura l'interrogante soprattutto per motivi economici – alla graduatoria sopra richiamata. (4-16349)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMATO e MIOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale d'Abruzzo, in data 4 marzo 2016, ha approvato la delibera n. 133, relativa alla proposta di finanziamento del progetto del presidio ospedaliero di Chieti, avanzata dalla rete temporanea di imprese «Maltauro Nocivelli Finanza e Progetti», secondo il modulo procedimentale della finanza di progetto;
   con delibera in data 13 aprile 2017, che fa seguito alle 10 riunioni ufficiali che si sono susseguite dal 7 agosto 2015 al 13 marzo tra regione, asl di Chieti e Maltauro, la regione Abruzzo diffida la asl ad adempiere alla valutazione del project financing per la realizzazione del nuovo ospedale di Chieti entro il 30 aprile 2017 con esplicito riferimento alla «condotta dilatoria e omissiva della Asl Lanciano-Vasto-Chieti e all'infruttuosità del procedimento di valutazione protrattosi per 990 giorni»;
   nell'ambito delle verifiche sismiche è stato certificato che sui sei corpi di fabbrica analizzati del policlinico di Chieti, due avevano problemi di carichi verticali/staticità;
   il responsabile unico del procedimento, come da recenti articoli, ha evidenziato nella procedura di ricevibilità «profonde perplessità sull'adeguatezza e rispondenza della stessa proposta all'interesse pubblico e sulle modalità di strutturazione della proposta, che azzera ogni rischio per la parte privata», accollandolo tutto al pubblico. Ha sottolineato che i costi proposti sono più elevati di quelli attualmente sostenuti dalla Asl e sono superiori persino a quelli individuati come medi dall'Anac; lo stesso ha evidenziato che «la proposta prevede la coobbligazione della Asl e della Regione al pagamento dei canoni con necessità di iscrizione di tali somme nei rispettivi Bilanci di entrambi gli Enti. Ciò determina una peculiarità non rinvenibile in altri casi di Finanza di progetto scrutinati sul territorio nazionale, che azzera il rischio per la parte privata» e che non si evince dalla riorganizzazione della rete ospedaliera se l'ospedale di Chieti sia individuato come DEA di I o II livello;
   nel corso delle verifiche formali della asl si è determinato uno «stop», perché una delle ditte incorporate nella ICM non sarebbe risultata in regola con le tasse, superato dopo tre mesi con certificato dell'Agenzia delle entrate, con la motivazione di «notifica delle suddette cartelle in una sede secondaria» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione al progetto del presidio ospedaliero di Chieti, con particolare riguardo alle criticità emerse in ordine ai profili statici e antisismici e agli aspetti fiscali;
   se si ritenga di valutare se sussistono i presupposti per avviare una verifica dei servizi ispettivi di finanza pubblica in relazione alle anomalie contabili connesse alla realizzazione del project financing;
   se si intendano assumere iniziative normative per evitare che i costi e i rischi della finanza di progetto, in particolare in ambito sanitario, possano gravare, eccessivamente e in modo sbilanciato, sulla parte pubblica, come sembrerebbe emergere nel caso di cui in premessa. (5-11190)


   NESCI, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2017, durante la trasmissione Report, in onda su Rai 3, è andato in onda un servizio della giornalista Alessandra Borella su reazioni avverse provocate dai vaccini contro alcuni tipi di papilloma virus;
   nel medesimo servizio il focus è fisso sulla raccolta e trasparenza dei dati sulle riferite reazioni avverse, anche con riguardo al ruolo di vigilanza dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA), di cui faceva parte il dottor Pasqualino Rossi;
   dal minuto 15,41 al minuto 17,19, l'autrice del servizio racconta: «Il sistema di protezione però non ha funzionato. Proprio nel 2008, nel comitato di valutazione dell'Ema che ha approvato il vaccino, c'era una vecchia conoscenza di Report, il dottor Pasqualino Rossi. È proprio Rossi che svela informazioni riservate e addirittura la password dei terminali dell'agenzia europea a Matteo Mantovani, il manager che curava gli interessi delle case farmaceutiche. Secondo i magistrati, lo scopo era quello di informarlo sull'iter dell'approvazione del vaccino. In cambio, Mantovani ha pagato a lui e famiglia vacanze in un resort, mobili, infissi, un televisore da 46 pollici e 4000 euro. Rossi viene arrestato nel 2008, dopo essere stato filmato mentre intascava una mazzetta da un altro manager. Ma dopo 7 anni è scattata la prescrizione. Rossi ora è a Bruxelles. Infatti, è stato inviato dal Ministro Lorenzin all'Ufficio di rappresentanza a tutelare la nostra salute alimentare e quella animale. Un salto di carriera, ma il suo oggi caso viene citato nel reclamo presentato al Mediatore europeo»;
   in breve, nonostante la rilevata corruzione di Rossi, salvatosi dalla condanna per intervenuta prescrizione dei reati addebitatigli, il Ministro Lorenzin l'ha designato presso la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, per svolgere un ruolo di responsabilità molto delicato;
   la vicenda della nomina del suddetto dirigente è riassunta sul sito della trasmissione Report –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative per procedere con urgenza alla sostituzione del dottor Rossi per l'incarico in predicato, alla luce della vicenda che l'ha riguardato e della necessità di salvaguardare la credibilità dell'Italia presso l'Unione europea. (5-11191)


   FANUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sangue è composto da numerose frazioni, ciascuna con un ruolo specifico nel mantenere le condizioni necessarie alla vita; esso è costituito da una parte liquida, il plasma e da una parte cellulare rappresentata da globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Il plasma rappresenta il veicolo fondamentale della maggior parte delle sostanze indispensabili alla vita cellulare. Esso contiene acqua, lipidi, ormoni e proteine;
   la corretta scelta dell'emocomponente appropriato è spesso cruciale per il successo della terapia trasfusionale. L'impiego degli emocomponenti consente un uso più efficiente del sangue, che costituisce una risorsa rara e preziosa, in quanto più pazienti possono trarre beneficio da un'unica donazione e i singoli componenti possono, inoltre, essere conservati più a lungo;
   attualmente, in medicina umana, la definizione di «emoderivati» e «emocomponenti» è definita dalla legge n. 219 del 21 ottobre 2005, dal decreto ministeriale 3 marzo 2005 e dal decreto legislativo n. 191 del 19 agosto 2005 che disciplina le attività trasfusionali e la produzione nazionale di emoderivati. In essa vengono definiti Emocomponente: costituente terapeutico del sangue che può essere preparato utilizzando mezzi fisici semplici volti a ottenere la loro separazione ed Emoderivato: prodotto concentrato di singoli fattori molecolari presenti nel plasma umano. Esso si ricava dal plasma di numerosissimi donatori frazionato e sottoposto a un procedimento industriale. Gli emoderivati a differenza degli emocomponenti vanno considerati a tutti gli effetti prodotti medicinali con conseguente applicabilità normativa specifica. Tale definizione è confermata da quanto riportato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 28/11/2001 Direttiva 2001/83/EC, L 311/72 Titolo I punto 10 in cui si riporta: «Medicinali derivati dal sangue e dal plasma umani: medicinali a base di costituenti del sangue preparati industrialmente in stabilimenti pubblici o privati. Al contrario degli emocomponenti, gli emoderivati sono considerati farmaci a tutti gli effetti e la loro produzione e il loro utilizzo sono regolati dalla normativa sul farmaco e sulla farmacovigilanza»;
   il decreto legislativo n. 193 del 2006 nella definizione di «sostanza» riferita al medicinale veterinario, include il sangue umano e i soli prodotti derivati dal sangue di origine animale. Essendo definita, come sopra riportato, la differenza tra emocomponente e emoderivato, è appropriato intendere solo l'emoderivato quale medicinale veterinario, regolato dalla legge sul farmaco veterinario, mentre l'emocomponente, ottenuto mediante mezzi fisici semplici, dovrebbe essere assimilato al sangue intero e quindi, compreso nella regolamentazione «Linea guida relativa all'esercizio delle attività sanitarie riguardanti la medicina trasfusionale in campo veterinario», emanata il 17 dicembre 2015 dal Ministero della salute, e pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 1o febbraio 2016 che contempla attualmente il solo utilizzo del sangue intero;
   nella linea guida attuale sono, erroneamente indicati come emoderivati «i prodotti derivati dal frazionamento del sangue con mezzi fisici semplici» e per la cui normativa si rimanda al decreto legislativo n. 193 del 2016 sul farmaco veterinario dove sono invece correttamente indicati «il sangue e i suoi derivati come sostanze farmacologiche». Quindi, in Italia, la differenziazione tra emocomponenti ed emoderivati in medicina veterinaria non ricalca quanto avviene in medicina umana e la normativa relativa all'impiego degli emocomponenti necessiterebbe di essere chiarita –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga di dover assumere iniziative per quanto di competenza, per la revisione della «Linea guida relativa all'esercizio delle attività sanitarie riguardanti la medicina trasfusionale in campo veterinario» affinché in essa vengano contemplati e conseguentemente regolamentati anche l'impiego e la commercializzazione degli emocomponenti secondo le definizioni, i modi e le leggi sopra riportate, a mutuazione di quanto avviene in medicina umana e in medicina veterinaria in molti Paesi del mondo. (5-11192)

Interrogazione a risposta scritta:


   BERGAMINI e GULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è oramai accertato, dalla scienza medica e dagli studi internazionali, che la sensibilità chimica multipla (MSC) è una patologia rara che si sviluppa in seguito ad un'esposizione acuta o cronica a sostanze tossiche generalmente in commercio e presenti in numerosi detergenti, profumi, prodotti per l'igiene personale, insetticidi, erbicidi, solventi, smog e fumi industriali, materie plastiche, farmaci e altro;
   molti cittadini italiani sono vittima di detta patologia altamente invalidante, com’è noto allo stesso Ministro della salute;
   in una prima fase, tra la fine del 2004 e l'inizio del 2005, alcune regioni hanno riconosciuto la sensibilità chimica multipla come patologia rara: Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo. Alcuni malati stanno combattendo, da soli, battaglie giudiziarie e si sono riuniti in associazioni e stanno promuovendo campagne di sensibilizzazione molto seguite in Italia ed all'estero;
   nonostante ciò, ancora detta patologia non è stata inserita nell'elenco delle malattie rare ed i malati risultano di fatto abbandonati dalle istituzioni;
   è quindi necessario quantomeno definire un omogeneo trattamento dei malati che, ad oggi, sono costretti a recarsi all'estero per sottoporsi alle cure a proprie spese, assicurando così la formazione e l'aggiornamento professionale del personale medico, al fine di facilitare l'individuazione dei soggetti affetti da sensibilità chimica multipla, capire la causa e gli effetti, ed evitare l'espansione di detta malattia in modo indiscriminato, ma soprattutto ulteriori sofferenze e disfunzioni in danno dei malati, predisponendo un protocollo di ospedalizzazione per la sensibilità chimica multipla da attuare nei casi di necessità ed urgenza;
   gli articoli 2, 3, 32, 54 della Costituzione impongono una presa di posizione forte e decisa, a tutela dei numerosissimi malati di sensibilità chimica multipla;

il piano nazionale malattie rare (PNMR) 2013-16 ha evidenziato la necessità di adottare un piano nazionale per le malattie rare entro il 2013 –:
   se e quali iniziative di competenza si intendano adottare per la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura della patologia della sensibilità chimica multipla, anche attraverso il suo inserimento nell'elenco delle malattie rare, promuovendo, in collaborazione con le regioni, osservatori di carattere internazionale e nazionale, e assicurando la formazione e l'aggiornamento professionale del personale medico.
(4-16352)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI, BENAMATI, FAMIGLIETTI, DE MARIA, LENZI, BARUFFI, PAGANI, PAOLA BOLDRINI, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, GNECCHI e PARIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della ex-Bredamenarinibus di Bologna e dell'ex Irisbus di Flumeri, confluiti in Industria Italiana Autobus S.p.a (I.I.A.), dopo i diversi passaggi di proprietà avvenuti negli anni scorsi, sono dal settembre 2016 in cassa integrazione motivata dalla ristrutturazione degli immobili aziendali, ma in realtà – per quanto riguarda la sede di Bologna – non c’è traccia; mentre, sono in corso i primi interventi presso l'opificio di Flumeri;
   il 18 settembre 2013 il Governo pro tempore esprimeva parere favorevole sulla mozione n. 1-00186 sulla crisi delle aziende suddette garantendo l'attenzione dell'Esecutivo sia nei confronti dell'occupazione che della difesa dell'industria nazionale, impegnandosi – inoltre – alla costituzione di un unico polo nazionale per la progettazione e costruzione di autobus e veicoli per il trasporto pubblico su gomma a basso impatto ambientale;
   con atto di sindacato ispettivo n. 5-01149 del 2013 si chiedeva conto al Governo quali fossero le scelte strategiche di politica industriale nel settore del trasporto pubblico al fine di rivedere le ipotesi di cessione dell'azienda e di favorire il mantenimento della proprietà in Finmeccanica;
   il 22 aprile 2014 il Governo pro tempore rispondeva dicendosi pronto «a favorire la nascita di un'impresa industriale in grado di raccogliere tutte le risorse professionali e impiantistiche ancora esistenti nel nostro Paese in un progetto industriale capace di garantire un'offerta qualificata ed economicamente sostenibile», dopo che era stata riscontrata una disponibilità imprenditoriale che induceva a ben sperare;
   con atto di sindacato ispettivo n. 5-04165 del 2014 si chiedeva al Governo se fosse a conoscenza del piano industriale di I.I.A. e se fosse in grado di poter assicurare la permanenza del polo produttivo di Bologna scongiurando l'ennesima delocalizzazione all'estero. Il Governo il 22 gennaio 2015 rassicurava su una rapida predisposizione di un nuovo Piano industriale dell'azienda al fine di un definitivo superamento delle difficoltà denunciate;
   la realizzazione del polo nazionale per la progettazione e costruzione di autobus è stata avviata anche con la firma, nel settembre 2016 con il soggetto gestore Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa), di un contratto di sviluppo che prevede un programma d'investimento teso al ripristino e all'adeguamento dello stabilimento di Flumeri, oltre all'acquisto degli impianti e dei macchinari necessari per la produzione; l'investimento complessivo è di 25 milioni di euro, di cui 17,8 concessi dal Governo per tramite di Invitalia. Il progetto prevede a regime 302 occupati, con il totale reimpiego dei 297 lavoratori ex Irisbus, attualmente in cassa integrazione, che verranno gradualmente reinseriti nella produzione;
   nei giorni scorsi un presidio di lavoratori presso la sede di Bologna ha impedito il trasferimento dei materiali al di fuori della sede aziendale;
   l'azienda rappresenta, per il territorio bolognese, avellinese e nazionale, un asset tecnologico e strategico innovativo, per lo sviluppo di un trasporto pubblico sostenibile; inoltre, lo stabilimento di Flumeri, è localizzato in un'area – quella della Valle Ufita – interessata da strategici investimenti infrastrutturali (come la linea ferroviaria Ac/Av Napoli-Bari) e già infrastrutturata per accogliere nuovi investimenti produttivi. I.I.A nel sito produttivo di Bologna dà lavoro a circa 170 persone e nello stabilimento di Flumeri a circa 300;
   il consiglio comunale li Bologna ha approvato all'unanimità, il 10 aprile 2017, un ordine del giorno che chiede al Governo un'assunzione di responsabilità per gli impegni presi in fase di cessione dell'azienda Breda da Finmeccanica a I.I.A. e l'attuazione del piano industriale per il rilancio dell'azienda e la tutela dei relativi livelli occupazionali;
   il 19 aprile 2017 è convocato al Ministero dello sviluppo economico un incontro istituzionale alla presenza delle istituzioni, della proprietà e dei lavoratori per verificare lo stato di attuazione del piano industriale e il rispetto delle garanzie per i livelli occupazionali –:
   cosa intenda fare per il rispetto degli accordi conclusi il 17 dicembre 2014 presso il Ministero dello sviluppo economico, di cui il Governo pro tempore si era fatto garante e il 27 luglio 2016 presso la regione Emilia Romagna, a tutela della permanenza dell'unico polo nazionale per la produzione di mezzi di trasporto pubblico, che oggi utilizza la cassa integrazione per ristrutturazione, a garanzia della continuità dei siti produttivi di Bologna e Flumeri (Av), nonché per il rispetto degli impegni a carico della proprietà a fronte di risorse pubbliche già fruite o in corso di fruizione. (5-11194)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gestore della rete elettrica nazionale (Terna) ha pubblicato il primo rapporto del 2017 in cui si evidenzia che l'Italia è il Paese il cui prezzo dell'energia risulta essere il più alto;
   in particolare, la regione Sicilia è quella in cui si registra un aumento maggiore delle bollette, nonostante l'isola sia una grande produttrice di energia elettrica. Infatti, il prezzo dell'energia elettrica in Sicilia è superiore al resto del Paese di quasi 2 euro a millivolt'ora;
   tra l'altro, l'isola essendo una delle più grandi regioni d'Italia ha un forte impatto sul prezzo unico nazionale;
   sembra che il prezzo elevato dell'energia elettrica nell'isola sia dovuto al fatto che le centrali elettriche siciliane, ovvero quelle termoelettriche, siano obsolete e risultino alti costi di gestione e di funzionamento. A ciò si aggiunge l'inadeguatezza della rete di trasmissione nazionale sia all'interno del territorio siciliano che nel collegamento con l'Italia peninsulare –:
   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere per superare la problematica del costo più elevato delle bollette elettriche per gli utenti della regione Sicilia che penalizza fortemente imprese e cittadini;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per ammodernare le centrali elettriche siciliane vecchie e deteriorate che comportano alti costi di gestione e di funzionamenti a scapito dei cittadini;
   se non sia necessario assumere iniziative per prevedere misure idonee atte ad implementare il ricorso a fonti di energia alternative (ad esempio fonti rinnovabili) che permettano un costo minore per gli utenti ed una maggiore qualità dell'ambiente. (4-16350)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 aprile 2017 il network tv Al Jazeera ha pubblicato un documentario sui «mercanti di sorveglianza» («Spy Merchants»), un'indagine sotto copertura in cui sono state carpite alcune conversazioni con rappresentanti di aziende che producono tecnologie di intercettazione delle comunicazioni, incluse due imprese italiane, IPS e Area spa. L'inchiesta verte anche sulle possibili elusioni dei controlli sul mercato della sorveglianza digitale, soprattutto se il soggetto che acquista i prodotti non combacia con l'utilizzatore finale;
   l'11 aprile 2017 le associazioni per i diritti digitali Privacy International, CILD e Centro Hermes hanno scritto una lettera al Ministro per lo sviluppo economico, in cui si chiede di pubblicare alcuni dati sulle licenze all'esportazione di tecnologia di sorveglianza sottoposte a controlli;
   il 5 aprile 2017 l'onorevole Galgano, nell'interrogazione a risposta in Commissione, n. 5-11055, chiedeva lumi sull'autorizzazione data dalla direzione generale per la politica commerciale internazionale del Ministero dello sviluppo economico (MiSE) alla società Area s.p.a., un'autorizzazione specifica ad esportare in Egitto un «sistema di monitoraggio delle comunicazioni su rete funzionante con protocollo internet», invitando a tenere conto della particolare criticità sul rispetto dei diritti umani e i casi di tortura, considerati i possibili utilizzatori finali del prodotto, tra i quali il Consiglio nazionale di difesa egiziano, balzato alle cronache per la vicenda di Giulio Regeni: «il via libera all'export è arrivato per Area dopo la “sospensione dei termini di conclusione del procedimento” di 30 giorni, decisa il 14 maggio 2016 dopo ben quattro rinvii del Comitato consultivo per l'esportazione dei beni a duplice uso» e «a seguito delle richieste di revoca giunte da più parti, il 7 luglio 2016 è stato avviato il provvedimento di riesame in autotutela dell'autorizzazione di Area, il Ministero dello sviluppo economico si è avvalso di quando disposto dall'articolo 12 del regolamento (CE) 428/09 che stabilisce che “ai fini del rilascio di un'autorizzazione all'esportazione di prodotti a duplice uso, gli Stati dell'Ue tengono conto di tutti i fattori pertinenti, tra cui considerazioni di politica estera e di sicurezza nazionale”. Al termine di tale processo l'autorizzazione è stata sospesa e avrebbe poi dovuto essere revocata»;
   all'atto dell'onorevole Galgano ha risposto il 12 aprile 2017 il sottosegretario onorevole Gentile che ha tenuto a precisare che «nelle more della conclusione del procedimento, tutt'ora in corso, il Direttore Generale per la politica commerciale internazionale del MISE disponeva la sospensione, con decorrenza immediata, dell'autorizzazione già rilasciata ad AREA Spa ai sensi dell'articolo 8, c. 2o, lett. a) del D.Lgs. n. 96/2003 in ragione del rischio di una grave, irreparabile e definitiva compromissione degli interessi tutelati. Detta sospensione veniva quindi reiterata in ragione della sussistenza di eccezionali esigenze istruttorie e della elevata complessità dell'oggetto del procedimento; la predetta sospensione è pertanto efficace fino al 27 giugno 2017, termine entro il quale dovrà comunque essere adottato il provvedimento finale sulla base di tutti gli elementi istruttori e valutativi medio tempore acquisti» –:
   se il Ministro interrogato intenda informare tempestivamente le associazioni di cui in premessa degli esiti della prossima riunione del Comitato consultivo per l'esportazione dei beni a duplice uso;
   se il Ministro interrogato intenda fornire la lista degli Stati con cui le aziende richiedenti l'autorizzazione all'esportazione dei prodotti « dual-use» intendono commerciare, il numero delle licenze accettate e rifiutate;
   se le «eccezionali esigenze istruttorie» di cui terrà conto il Comitato consultivo per l'esportazione dei beni a duplice uso citato in premessa contemplino anche il rispetto dei diritti umani e la forma di governo dei Paesi verso cui è richiesta l'autorizzazione. (4-16355)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Brescia e altri n. 1-01439, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dadone.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-09493, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiorio e altri n. 5-07911, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Ottavio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Luigi Gallo e altri n. 5-10533, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

  L'interrogazione a risposta scritta Sbrollini n. 4-15727, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Narduolo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-10856, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Allasia.

Ritiro di un documento d'indirizzo.

  Il seguente documento d'indirizzo è stato ritirato dal presentatore: mozione Paglia n. 1-01583 del 7 aprile 2017.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a sposta immediata in Commissione Gullo n. 5-11173 del 19 aprile 2017;
   interrogazione a sposta scritta Fantinati n. 4-16327 del 19 aprile 2017.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Saltamartini n. 4-15476 del 7 febbraio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11186.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale del Gran Sasso è per estensione la terza area protetta d'Italia;
   all'interno del parco vivono cervi, camosci, uno dei branchi di lupi più numerosi dell'Appennino e oltre 2 mila specie vegetali;
   due anni fa con una massiccia mobilitazione da parte di associazioni e popolazione, si bloccò il taglio del Parco del Sirente Velino, che avrebbe messo in pericolo orsi e altre specie in via di estinzione;
   oggi il parco del Gran Sasso è nuovamente messo in pericolo dalla realizzazione del più grande impianto sciistico d'Abruzzo che prevede la cementificazione di molte aree interne al Parco distruggendo la sua bio-diversità e ricchezza naturale;
   l'opera di realizzazione dell'impianto sciistico è probabilmente una delle più grandi che sia mai stata progettata sulle montagne d'Abruzzo, con un costo complessivo di circa 40 milioni di euro;
   secondo la regione Abruzzo, sono almeno 60 i sindaci della provincia dell'Aquila che hanno espresso forti critiche e preoccupazioni alla realizzazione dell'impianto sciistico all'interno del Parco –:
   se ritenga opportuna la realizzazione di un così imponente impianto sciistico all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, patrimonio dell'umanità;
   se non ritenga invece sensato mantenere l'attuale perimetro del parco nazionale del Gran Sasso, dei siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) e di procedere a un piano di sviluppo e turismo sostenibile che rispetti tutte le norme stabilite dall'Italia e dall'Unione europea puntando sul restauro, rendendo migliori gli attuali impianti sciistici, investendo su minori opere a basso impatto ambientale, mettendo in atto azioni volte alla costruzione di una rete di servizi a favore della comunità montana e investendo su un turismo «green», già realtà economica e produttiva nei parchi nazionali. (4-10718)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo sviluppo di progetti di ampliamento delle infrastrutture sciistiche in Abruzzo, all'interno sia del parco nazionale del Gran Sasso che dei siti Natura 2000 ivi designati, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto a richiedere informazioni alla regione Abruzzo, competente in materia, e al parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, sollecitando in particolare l'amministrazione regionale a fornire riscontro anche ad una precedente richiesta di informazioni, concernente ulteriori programmi di infrastrutturazione sciistica nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise.
  L'ente parco del Gran Sasso ha fatto presente che «relativamente a problematiche analoghe, esistente nel territorio del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (SIC IT710202 “Gran Sasso” e Zps It7110205 “parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga”), si comunica che è stato istituito un tavolo tecnico finalizzato a individuare soluzioni, ovviamente permesse dalle leggi, idonee a garantire una conservazione soddisfacente di habitat e specie per gli eventuali interventi».
  La regione Abruzzo in data 22 febbraio 2017, ha fornito le informazioni generali sul contesto delle iniziative in essere. In particolare è stato evidenziato che «le amministrazioni locali e i cittadini hanno fortemente voluto il parco e hanno impedito sempre ogni rischio di manomissione del territorio, promuovendo uno sviluppo sostenibile che rendesse le attività economiche, turistiche e produttive assolutamente compatibili con l'ambiente» e pertanto, in coerenza con questa impostazione, i diversi portatori di interesse «hanno dato vita, ai sensi della legge n. 106 del 2011, al primo distretto turistico montano d'Italia, riconosciuto con Decreto istitutivo (rep. 521) a firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Franceschini in data 18 novembre 2015».
  Da quanto riferito, e precisando che tale accordo rientra nella competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo, si fa presente che il distretto coincide con il cratere sismico del terremoto dell'Aquila del 2009, che sarà esteso anche alle municipalità interessate dagli ultimi eventi sismici del 2016, e rappresenta «un progetto pilota fondato sulla più ampia collaborazione istituzionale per la ricostruzione post-sisma dei borghi montani, lo sviluppo sostenibile, le azioni di sostegno amministrativo, le agevolazioni fiscali alle imprese del territorio, e punta a favorire la vita in sicurezza delle popolazioni, evitare lo spopolamento, accrescere i servizi ai cittadini che vivono sull'Appennino».
  In tale ottica di sviluppo sostenibile, la regione Abruzzo riporta di avere avviato diverse azioni per un turismo green, tra le quali:
   la manutenzione e l'adeguamento della rete sentieristica del Gran Sasso, con fondi Fas 2007/2013 e l'avvio di interventi sulla rete dei rifugi con fondi Fesr 2014/2020;
   l'individuazione di risorse nel master plan della regione per il finanziamento di iniziative sulla mobilità dolce, come la realizzazione di una pista ciclabile sul fiume Aterno, e su interventi di valorizzazione e sviluppo turistico strategico integrato e sostenibile con il recupero di borghi di aree interne e rilancio delle micro-imprese;
   l'avvio di due bandi promossi da Invitalia, a valere sul 4 per cento delle risorse post-sisma, per le attività di accoglienza ed i servizi turistici e per la valorizzazione dei prodotti tipici locali.

  La regione Abruzzo riferisce che in tale quadro si inserisce l'azione per la valorizzazione turistica della stazione sciistica di Campo Imperatore, che prevede la realizzazione del sistema di sotto-servizi, interventi su strutture esistenti (ad esempio, albergo storico e rifugio Le Fontari), uno studio forestale per la reintroduzione dei faggi in luogo del pino nero, l'adeguamento degli impianti di risalita previsti all'interno del progetto speciale territoriale Scindarella – Montecristo, sul quale è già stata raggiunta l'intesa tra il comune de L'Aquila e l'ente parco del Gran Sasso, e l'eliminazione di detrattori ambientali.
  Viene riferito altresì che «ogni intervento sarà sottoposto alle necessarie e accurate verifiche ambientali e a tutte le procedure autorizzative previste dalla legge».
  Per quanto riguarda l’iter di approvazione del piano del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, si sottolinea che detto strumento è oggetto di Vas regionale, ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, che, in data 11 luglio 2016, è stato siglato un protocollo d'intesa tra le regioni Marche, Lazio ed Abruzzo che assegna a quest'ultima il ruolo di capofila nel procedimento.
  La regione Abruzzo riferisce inoltre che, terminato il procedimento di Vas, e raggiunte le intese previste dalla legge n. 394 del 1991 tra l'ente parco e la regione per le aree A, B, C di protezione ambientale, e tra l'ente parco e i comuni per le aree D di promozione sociale ed economica, si procederà all'approvazione del piano del parco da parte dei diversi consigli regionali interessati al fine di rendere lo strumento ufficialmente esecutivo.
  L'Autorità regionale segnala infine che «Ogni amministrazione pubblica – a partire dalla regione e dai comuni del territorio – è dunque pienamente consapevole del valore che il parco rappresenta, mette in campo ogni azione di sviluppo sostenibile, è impegnata a mantenere il perimetro del parco, a verificare ed assicurare che Sic e Zps tutelino effettivamente le aree più pregiate dal punto di vista naturalistico e tutti gli enti operano in piena collaborazione con l'ente parco e sostengono l'iniziativa per far diventare il Gran Sasso e le montagne abruzzesi patrimonio mondiale dell'Unesco».
  Ad ogni modo, si fa presente che il Ministero continuerà a tenere alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   così come previsto dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015 è stato indetto il nuovo concorso a posti e cattedre per il personale docente;
   la procedura concorsuale a carattere regionale prevedeva tre bandi di cui uno per i docenti della scuola dell'infanzia e della primaria, un secondo rivolto ai docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado e infine un terzo bando per i docenti di sostegno per un totale di 63.712 posti da assegnare nel corso del triennio 2016/2018;
   il concorso, doveva avere un carattere innovativo, mirato a selezionare i migliori docenti puntando sul merito, sul riconoscimento del percorso svolto e sulla qualità;
   la Ministra interrogata intervistata a « Rainews 24», in merito alle prove del concorso ha dichiarato: «è un concorso epocale. Saranno prove innovative che tengono conto che gli aspiranti docenti che faranno il concorso sono tutti abilitati quindi abbiamo già avuto modo di verificare le loro competenze e conoscenze delle materie per cui si presentano. (...) Questo è storicamente il concorso più grande che la scuola italiana abbia mai organizzato. Finalmente si torna alla Costituzione dopo tantissimi anni in cui i concorsi erano stati bloccati. Ricordo che l'età media di questi aspiranti docenti è un po’ meno di 39 anni, avremo quindi un abbattimento dell'età media. Il concorso è triennale e i primi vincitori andranno in cattedra a settembre»;
   in teoria, tutti docenti aspiranti meritevoli, abilitati e conoscitori della materia per la quale si erano presentati potevano finalmente ambire all'immissione in ruolo;
   il 7 settembre 2016, la Ministra Giannini firma il decreto per le immissioni in ruolo esclusa la mobilità, per un totale di 29.720 posti disponibili, di cui 7.221 autorizzate dal Ministro dell'economia e delle finanze per il sostegno, mentre su posto comune – inizialmente autorizzati 25.198 assunzioni – i posti autorizzati risultano essere 22.499 e di questi, quasi diciannovemila posti sono assegnati alle regioni settentrionali, meno di tremila al Sud e restante al Centro Italia;
   tuttavia, la previsione per sessantaquattro mila cattedre, con circa il 50 per cento di bocciati, non riuscirà a coprire tutti i posti messi a bando anche perché non è garantita la selezione entro il 15 settembre 2016 – termine ultimo per le nomine in ruolo – pertanto è quasi certo che la metà delle cattedre resterà vuota con la previsione che sia i docenti promossi che quelli bocciati torneranno in cattedra da supplenti;
   infatti, vi sono classi di concorso in alcune regioni che non hanno sufficiente disponibilità come ad esempio la classe concorso di matematica e scienza in Calabria: 101 posti sono stati messi a concorso, 52 docenti hanno superato la selezione, ma i posti disponibili sono due. Per la classe di tecnologia per le medie si sono registrati: 86 posti messi a concorso, 28 vincitori, e soli tre posti disponibili;
   una delle principali cause risulta essere la mobilità straordinaria concessa dalla legge n. 107 del 2015 che, al comma 108, riguardante i trasferimenti interprovinciali riporta che tutti i posti vacanti e disponibili per l'anno scolastico 2016/17, tolti quelli accantonati per gli assunti in fase B e C, sono messi a disposizione per la mobilità. Con il conseguente risultato che non c’è disponibilità d'immissioni in ruolo nelle seguenti regioni: Liguria, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Umbria, Lazio, Basilicata, Puglia, una sola disponibilità in Campania, Calabria, Sicilia mentre le uniche disponibilità in Lombardia, Piemonte, Friuli, Sardegna;
   tuttavia, anche se le uniche disponibilità d'immissioni in ruolo sono nelle scuole del nord Italia, vanno assegnate ancora migliaia di cattedre, poiché molte cattedre sono ancora scoperte a causa delle domande di trasferimento nella regione di appartenenza da parte di docenti in mobilità, con l'assoluta certezza che per molti studenti le lezioni inizieranno con le supplenze. Tale responsabilità non può essere attribuita ai vincitori di concorso che, in molti casi, hanno scelto di concorrere in determinate regioni piuttosto che in altre basandosi proprio sul numero di posti banditi;
   altro aspetto riguarda i docenti che hanno concorso per le varie discipline del liceo musicale che, pur avendo garantita la disponibilità dei posti all'atto dell'iscrizione, hanno saputo solo pochi giorni prima dello scritto che il concorso non avrebbe maturato nessuna immissione in ruolo per l'anno scolastico 2016/17, in quanto il Ministro dell'economia e delle finanze aveva in precedenza bloccato l'autorizzazione dei 2000 posti in organico diritto previsti, impedendo, di fatto, quanto invece scritto sul contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilità, in altre parole che il 50 per cento dei posti (1000) sarebbero andati ai vincitori di concorso e l'altro 50 per cento ai trasferimenti –:
   se la Ministra sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   quale sia il motivo e il senso di bandire un concorso ad accesso limitato, con indicazione di un numero preciso e definito di posti messi a bando – bando che parla di assunzioni da effettuare prima di mettere a concorso nuovi posti – mentre migliaia di vincitori di concorso a oggi non hanno un'immissione in ruolo a causa di mancanza di posti disponibili;
   perché il Ministero non abbia fornito nessuna rassicurazione ai candidati vincitori e quali siano le azioni che intende mettere in atto per assicurare l'immissione in ruolo dei docenti promossi nell'ultimo concorso;
   se, considerato l'esito del concorso rispetto ai docenti vincitori oggi ancora non immessi in ruolo, non ritenga di dover modificare le tabelle con le reali previsioni dei posti a disposizione per il triennio 2016/18 e quali tutele e garanzie intenda offrire ai vincitori del concorso;
   considerato che non sono stati tutelati gli abilitati TFA e PAS – a differenza dei docenti abilitati negli anni passati immessi in graduatorie ad esaurimento (GAE), e giustamente oggetto di continue procedure di assunzione fino all'obiettivo di esaurimento delle loro graduatorie – quali azioni di tutela intenda, intraprendere nei confronti dei docenti vincitori di concorso che non saranno immessi in ruolo a causa della mancanza di posti disponibili;
   se trovi conferma il fatto che soprattutto nelle regioni del Centro-sud, a causa della mobilità nazionale, con il ritorno di molti insegnanti prima dislocati provvisoriamente al Nord, non vi siano più posti disponibili;
   se il Ministero, come promesso, intenda redigere la graduatoria del prossimo concorso a cattedra del 2019, quale sarà il destino degli attuali vincitori del concorso e se le attuali graduatorie decadranno al termine del triennio di vigenza. (4-14148)

  Risposta. — In riferimento alle questioni poste dall'interrogante occorre, anzitutto, ricordare che la legge 107 ha previsto, dopo un piano straordinario di assunzioni, anche un piano straordinario di mobilità. Si è trattato di un'operazione fortemente voluta dal Parlamento in fase di esame del disegno di legge «la Buona Scuola».
  Un'operazione vasta, che ha fatto tornare molti insegnanti a casa dopo molti anni e che partiva da un dato di fondo incontrovertibile: l'80 per cento degli insegnanti immessi in ruolo risiedono a sud di Roma, il 65 per cento delle cattedre disponibili sono a nord di Roma.
  A dimostrazione della complessità delle operazioni di mobilità si citano di seguito alcuni numeri: le domande ricevute ed esaminate sono state in totale oltre 207 mila, più del doppio rispetto al solito. Di queste, 95 mila hanno riguardato la mobilità interprovinciale.
  I trasferimenti nella fase A sono stati 82.244, nelle restanti fasi 75.657, per un totale di 157.901.
  Va considerato, inoltre, che dei circa 200.000 docenti che hanno partecipato alla mobilità, più di 70.000 lo hanno fatto – obbligatoriamente – per ottenere una sede definitiva dopo l'immissione in ruolo dello scorso anno.
  Tra questi, 50.763 docenti hanno dovuto parteciparvi per cercare una sede su tutto il territorio nazionale in esito al piano straordinario di immissioni in ruolo che, per la prima volta, ha dato la possibilità ai docenti di concorrere all'assunzione non solo nella provincia nella quale erano iscritti alle graduatorie, ma in tutte le province italiane.
  Inoltre il piano straordinario di assunzioni, con l'organico per il potenziamento, ha aggiunto alle disponibilità ordinarie di posti altre 55.000 sedi, corrispondenti ai posti di potenziamento attivati.
  Tali sedi non sono state riservate unicamente ai docenti neoassunti, ma a tutti i docenti titolari, per consentire l'avvicinamento a casa a quanti negli ultimi anni si erano iscritti alle graduatorie per poi farsi assumere in province lontane dalla propria residenza.
  Insomma la combinazione del piano straordinario di assunzioni e del piano di mobilità straordinario ha consentito di reclutare un grande numero di docenti e a molti di muoversi, nella convinzione che questa scelta avrebbe garantito un posto a tempo indeterminato ai docenti precari e contestualmente una possibilità di avvicinamento ai docenti che erano da anni titolari in province lontane dalle proprie residenze.
  I numeri confermano che quest'obiettivo e stato pienamente raggiunto.
  Il concorso da circa 63.712 posti che si sta per concludere è la più grande opera di selezione che si sia tenuta nella scuola italiana negli ultimi 17 anni. Un concorso tenutosi con metodologie innovative in molti suoi aspetti, tra cui l'informatizzazione delle prove scritte.
  Circa il 50 per cento degli aspiranti sono stati ammessi alle prove orali, precisamente 47,17 per cento al nord, 53,25 per cento al centro, 50,46 per cento al sud e nelle isole. La punta massima si è registrata in Friuli Venezia Giulia con il 75,57 per cento la minima in Calabria e Lombardia rispettivamente al 37,62 per cento e al 35,63 per cento.
  Il numero ridotto di nomine, confrontandole con le disponibilità dell'anno scolastico 2016/17, fa emergere gli effetti della mobilità straordinaria che ha aumentato le disponibilità al Nord, dove peraltro sono esaurite molte graduatorie ad esaurimento, e ridotte fortemente le disponibilità al Sud.
  Tuttavia le graduatorie conservano la validità per tre anni scolastici, precisamente per il triennio 2016/2017 – 2018/2019 con riguardo alle procedure conclusesi entro la data del 15 settembre 2016 (circa il 55 per cento di quelle relative alla scuola secondaria), e per il triennio 2017/2018 – 2019/2020 per quelle che si concluderanno successivamente a tale data.
  Pertanto, tutti i vincitori potranno essere assunti entro la scadenza del triennio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un professore di 55 anni, di una scuola media di Afragola (Napoli), ha commesso per oltre un anno atti persecutori nei confronti di una studentessa;
   la ragazza sarebbe stata vittima delle attenzioni morbose del suo professore da marzo/aprile 2015, quando frequentava la terza media, fino all'ottobre 2016, quando ha iniziato a frequentare il primo anno di liceo;
   dalla ricostruzione dei fatti emerge che la ragazza/oltre ad essere stata minacciata, molestata e costretta a non frequentare le sue amiche, ha ricevuto 600 sms e 700 chiamate in nemmeno due mesi e nella denuncia presentata dal padre della ragazza lo scorso mese di settembre, è riportato che lo zio della giovane ha subito un'aggressione, mentre interveniva in strada per impedire al professore di abusare della nipote;
   dalle testimonianze della famiglia, la ragazza, all'epoca dei fatti quattordicenne, ha riportato gravi disturbi psicologici: non usciva più di casa, piangeva continuamente, si feriva le braccia con una lametta e, infine, ha anche manifestato l'intenzione di uccidersi;
   il 20 gennaio 2017 il giudice per le indagini preliminari, su richiesta della procura di Napoli nord, ha emesso un divieto di avvicinamento, a non meno di mille metri, ai luoghi frequentati dalla giovane;
   ad avviso dell'interrogante le misure cautelari adottate dal giudice per le indagini preliminari non risultano sufficienti a scongiurare che quanto accaduto possa ripetersi nei confronti di altre studentesse, considerato che il professore risulterebbe essere ancora in servizio presso la medesima scuola –:
   se il Ministro interrogato non intenda valutare se sussistano i presupposti per intraprendere le opportune iniziative disciplinari nei confronti del professore che dopo i fatti riportati in premessa risulta essere ancora in servizio presso la scuola media di Afragola. (4-15418)

  Risposta. — La vicenda denunciata nell'interrogazione è stata riportata dagli organi di stampa il 31 gennaio 2017. Fino a quella data non era pervenuta al ministero alcuna notizia in merito ai fatti accaduti, né da parte della famiglia della studentessa, né da parte dell'autorità giudiziaria.
  Dopo l'immediata vicinanza da me espressa pubblicamente e le rassicurazioni date al genitore dell'allieva coinvolta, già il giorno successivo alla pubblicazione della notizia, l'ufficio scolastico regionale per la Campania ha prontamente predisposto tutti gli accertamenti mirati a verificare ogni elemento utile a chiarire eventuali responsabilità e ha invitato a colloquio il padre della studentessa, al line di assicurare il massimo supporto da parte dell'amministrazione.
  È stato convocato anche il dirigente scolastico dell'istituto di frequenza della studentessa per assumere ogni necessaria misura precauzionale volta sia a tutelare la privacy della giovane, sia ad evitare alla stessa ulteriori, possibili ripercussioni psicologiche negative.
  Sono state, contemporaneamente e sollecitamente, avanzate richieste di informazioni agli organi inquirenti circa lo stato di avanzamento delle indagini e, immediatamente, dato concorso ad una specifica indagine ispettiva.
  In considerazione di quanto emerso dall'indagine esperita, e nelle more dell'acquisizione dei provvedimenti conclusivi delle indagini penali ancora in corso, il competente U.S.R. ha avviato il procedimento disciplinare nei confronti del docente e, in via cautelare, adottato un provvedimento di allontanamento del medesimo dall'istituzione scolastica di servizio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   CENTEMERO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 12 febbraio 2017 si svolgerà nel comune di Arcore un incontro organizzato dalla locale Associazione nazionale partigiani dal titolo «lo ricordo tutto – Operazione foibe tra storia e mito»;
   la relatrice dell'incontro sarà Claudia Cernigoi, nota giornalista triestina che, nei suoi studi, ha sostenuto la tesi cosiddetta «riduzionista» sulle foibe, definendole più come risultato di azioni di vendetta compiute dagli slavi nei confronti dei nazifascisti che eccidi contro la popolazione;
   il 10 febbraio ricorre il Giorno del Ricordo, istituito al fine di commemorare gli italiani uccisi in Istria, Fiume e Dalmazia dal regime comunista di Tito, lasciati a morire nelle foibe, cavità naturale tipiche di quel territorio;
   si apprende dalla stampa che questo incontro non rappresenta l'unico momento di discussione sulla vicenda delle foibe previsto in occasione del Giorno del Ricordo, tenuto da storici che, a quanto risulta agli interroganti, tendono se non a negare, quanto meno a ridurre la portata di quei fatti;
   tra questi appare di estrema gravità, soprattutto in una ottica di ricerca della verità storica, quello organizzato a Costa Volpino, frazione di Corti, provincia di Bergamo, di cui sarà protagonista lo storico Piero Purini, anche lui noto «riduzionista», in quanto è previsto che la partecipazione a tale incontro comporti, per gli studenti che vi prendono parte, l'assegnazione di crediti formativi –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato affinché il riconoscimento dei crediti scolastici avvenga nel rispetto della storia del Paese e delle persone e se non ritenga di assumere iniziative di competenza affinché, considerato lo spirito delle commemorazioni sopra richiamate che per gli interroganti offendono la memoria delle tante vittime italiane, sia rivista la decisione concernente l'assegnazione di crediti formativi per gli studenti partecipanti a questi eventi. (4-15505)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si risponde, per quanto di competenza, relativamente all'episodio di Costa Volpino. Al riguardo, si è preceduto ad acquisire dall'ufficio scolastico regionale per la Lombardia le necessarie informazioni relative all'iniziativa rappresentata nell'atto parlamentare.
  Il competente Usr, dopo aver chiesto notizie alle stesse istituzioni scolastiche, ha comunicato al Ministero che le scuole della zona di Costa Volpino e, più in generale, della provincia di Bergamo non sono state coinvolte nell'evento, di cui hanno avuto solo notizia per il tramite di volantini pubblicitari.
  Si precisa che l'incontro – come riportato da articoli di stampa locale – si è svolto sabato 11 febbraio 2017 in orario extrascolastico, senza la partecipazione delle istituzioni scolastiche del territorio.
  Ne consegue, con tutta evidenza, che non è stato deliberato il rilascio di alcun «credito formativo»; ciò è stato confermato dagli stessi dirigenti scolastici delle scuole secondarie di secondo grado del territorio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da fonti giornalistiche, nel luglio 2014, l'allora Ministro degli affari esteri italiano pro tempore, Federica Mogherini, visitava il suo omonimo macedone a Skopje e in tale occasione, nonostante si trattasse di una visita di Stato, incontrava anche i vertici operativi del partito socialista opposizione;
   tre mesi dopo l'incontro, il presidente del citato partito, Zoran Zaev, iniziava una serie di incontri, tutti documentati dalla polizia, con il Premier Nikola Gruevski con il tentativo di estorcere le sue dimissioni, sembrerebbe sulla base di intercettazioni ottenute grazie alla collaborazione di uno Stato straniero;
   nel gennaio 2015 veniva arrestato l'ex capo dei servizi segreti in seguito all'intercettazione di una comunicazione Skype nella quale Zaev gli garantiva che il premier di un Paese europeo amico avrebbe provveduto al suo espatrio;
   a seguito dell'accaduto, i socialisti, rendendo pubblici i contenuti delle comunicazioni in loro possesso, accusavano il Governo di corruzione, ma le accuse non hanno retto e si sono aperti i processi per tentata estorsione e tentativo di colpo di Stato;
   sulla vicenda Darko Janevski, direttore generale nazionale Dnevnik, scriveva che le conseguenze del tentato colpo di Stato sostenuto dall'estero in maniera da favorire l'ascesa dei socialisti si sono talmente ramificate che per i macedoni «parlare del coinvolgimento dell'Italia nell'affare è come dire che l'impero romano sia esistito. È un fatto di cui non interessa più in quanto vi sono altre decine di problemi più incombenti da risolvere»;
   le forze speciali macedoni hanno arrestato anche un gruppo terroristico islamico infiltrato dal Kosovo che, come dimostreranno le indagini avrebbero dovuto fomentare turbolenze in concomitanza con una rivolta pro-socialista organizzata a maggio 2015 dalle organizzazioni non governative del settore civile, finanziate principalmente dell’Open Society di Soros;
   nel frattempo la Mogherini andava a ricoprire l'incarico di Alto Rappresentante dell'Unione europea per la politica estera e delegava Peter Vanhoutte, membro dei Verdi ed ex parlamentare belga, come mediatore con il compito di trovare un accordo tra i partiti macedoni sui termini e la data delle nuove elezioni chieste a gran voce dalle citate organizzazioni non governative;
   Vanhoutte, però, si sarebbe dimostrato tutt'altro che imparziale e, dopo aver ottenuto un Governo tecnico, unitamente alla promessa di nuove elezioni, si è dimesso per diventare consigliere del partito socialista;
   tutta la documentazione sul caso, riguardante il complotto e la prova del coinvolgimento di diplomatici stranieri, sarebbe stata secretata dai tribunali;
   per quanto sembri lontana, la Macedonia è un Paese chiave per la sicurezza italiana essendo la porta di entrata delle migrazioni illegali e dell'islamismo fondamentalista;
   da anni le forze d’intelligence macedoni e l'Aise cooperano su un'agenda altamente sensibile con risultati apprezzabili, ma l'immagine della diplomazia italiana in questi anni ne esce ammaccata –:
   di quali elementi disponga il Governo circa i fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per recuperare credibilità nei confronti dell'opinione pubblica macedone, nonché per ricucire i rapporti con il Governo in carica.
   (4-15453)

  Risposta. — Il Ministro degli affari esteri pro tempore, Federica Mogherini, ha effettuato una visita a Skopje il 25 luglio 2014 nell'ambito di un periplo delle capitali balcaniche effettuato in occasione dell'apertura del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. Dal punto di vista formale si è trattato di una missione e non di una visita di Stato che è riservata ai Capi di Stato e si svolge su invito del Capo di Stato estero.
  A Skopje, il Ministro ha incontrato il Presidente della Repubblica macedone Ivanov, il primo ministro Gruevski, il vice primo ministro per gli affari europei Besimi, il ministro degli affari esteri Poposki. Come è normale prassi nel corso di tali visite, al fine di poter raccogliere un quadro il più possibile completo della situazione politica nel Paese, il Ministro Mogherini ha incontrato anche un rappresentante dell'opposizione, nella persona della vice presidente del principale partito di opposizione (SDSM), Shekerinska.
  Alla luce della complicata situazione di confronto post-elettorale che si era creata, in relazione alla politica interna macedone, il nostro Ministro ha rivolto un invito al Governo e all'opposizione a rilanciare il dialogo e a individuare obiettivi strategici comuni per il futuro del Paese.
  Oggi come allora, l'Italia ha notevole interesse per la regione dei Balcani occidentali, la cui stabilità riveste importanza anche in ambito europeo. Per tale ragione, il nostro Paese da tempo sostiene il percorso di integrazione europea ed euro-atlantica di quest'area.
  Su questa linea l'Italia interpreta anche l'attuale periodo di presidenza del processo dei Balcani occidentali, che culminerà nel vertice di Trieste del 12 luglio prossimo. Gli obiettivi fondamentali si possono sintetizzare con le parole del Ministro Alfano: costituire un valore aggiunto per il rafforzamento della collaborazione a livello regionale e contribuire all'avanzamento congiunto dei Paesi dell'area lungo il percorso di integrazione europea.
  Come per tutti paesi dei Balcani occidentali, anche nei confronti di Skopje le autorità italiane mantengono un atteggiamento improntato alla più assoluta imparzialità per quanto riguarda i rapporti politici interni al Paese, ed al più netto e chiaro sostegno al percorso di integrazione europea ed euro-atlantica dello stesso.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, TERZONI, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, COMINARDI, ALBERTI, CARINELLI, TONINELLI, TRIPIEDI, PESCO, SORIAL, PETRAROLI e CASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 regione Lombardia ha espresso parere positivo in merito alla valutazione di impatto ambientale per il progetto di laminazione delle acque del Seveso, attraverso la costruzione di 3 vasche nel comune di Senago (Milano). A questa prima opera approvata seguiranno la costruzione di altri invasi lungo l'asta del Seveso, necessari secondo il progetto AIPO per la salvaguardia di Milano;
   il torrente Seveso è attualmente il terzo corso d'acqua più inquinato d'Europa e, secondo uno studio condotto da Arpa Lombardia, nel 2009, le acque del Seveso sono state classificate «scadenti e inadatte a qualsiasi tipo di uso», anche per la presenza di metalli pesanti come nichel, mercurio e zinco;
   la stessa relazione di valutazione di impatto ambientale classifica le acque del Seveso con grado «cattivo» o «scarso» secondo la classificazione LIMeco (VIA par. 4.3.2.1 Tab. 5) e alcuni campionamenti riportati nella documentazione di valutazione di impatto ambientale hanno rilevato la presenza, seppur nei limiti di legge, di metalli pesanti nelle acque e nei sedimenti del fiume Seveso (VIA par. 4.3.2.4.);
   più preoccupante risulta la presenza nei medesimi campioni di concentrazioni di crVI (cromo esavalente) superiore ai limiti di legge (P58 microgrammi/litro a fronte del limite di legge pari a 5 microgrammi/litro);
   il cromo esavalente è stato classificato dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) come cancerogeno per l'uomo (classe 1) sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche;
   la regione Lombardia ha sviluppato un progetto di bonifica delle acque del fiume Seveso che però non potrà essere attuato a breve termine, mettendo potenzialmente a rischio la salute delle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dal progetto delle vasche;
   dal progetto finale presentato, riferito alla costruzione della prima opera a Senago, e dal provvedimento di valutazione di impatto ambientale (delibera regione Lombardia n. 1829 del 2015) emerge che il sedimento prodotto e accumulato sul fondo, a seguito dell'uso delle vasche, verrà rimosso tramite sbancamento meccanico solo se la quota di materiale depositato dovesse superare i 30 cm di altezza;
   appare quindi evidente il rischio che un deposito potenzialmente tossico inferiore ai 30 cm possa rimanere per lunghi tempi accumulato sul fondo vasca e disperso nell'ambiente a causa all'azione di agenti atmosferici –:
   se il Governo non intenda valutare, per quanto di competenza e con il coinvolgimento della regione e degli enti locali, la possibilità di commissionare e finanziare uno studio, anche per il tramite dell'Ispra e dell'Istituto superiore di sanità, sulla dispersione degli inquinanti in fase antecedente alla costruzione della prima opera prevista dal progetto, con particolare riferimento al rischio che gli inquinanti cancerogeni potenzialmente tossici presenti nei sedimenti possano, in caso di dispersione in atmosfera (a causa dell'inutilizzo delle vasche e al dissolvimento prodotto da sole e vento), creare danno alle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dall'intero progetto. (4-13216)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dal competente ente territoriale, si rappresenta quanto segue.
  Sulla questione in argomento, in via preliminare, la regione fa presente che le analisi condotte sui sedimenti hanno misurato valori dei metalli pesanti tutti inferiori ai limiti di legge, anche con riferimento al cromo.
  Solo le analisi delle acque superficiali hanno messo in evidenza valori del CrVI (circa 8 microgrammi/litro) superiori ai limiti di legge (5 microgrammi/litro), che però fanno riferimento ai limiti utilizzati e validi per le acque sotterranee. Inoltre, segnalano che i valori misurati sono inferiori ai limiti di scarico nelle acque superficiali (0.2 milligrammi/litro).
  La regione ha inoltre evidenziato che le acque invasate verranno interamente scaricate nel Csno al termine di ciascun evento di piena e quindi non rimarranno molto tempo nell'invaso.
  Con riferimento alle modalità di rimozione dei sedimenti nelle vasche di laminazione, il piano di manutenzione dell'area di laminazione delle piene del fiume (elaborato A-14 del progetto definitivo appaltato) prevede che a seguito di ciascun evento si dovrà provvedere ad eseguire interventi di pulizia dei materiali estranei (plastiche, carte, cartoni, barattoli ecc.) eventualmente lasciati dalle acque sul fondo e sulle sponde, oltre che lungo i canali di alimentazione e scarico.
  Per quanto riguarda i sedimenti, fanghi e materiale in genere che si può depositare all'interno delle vasche durante gli eventi, le operazioni di pulizia sono categoricamente richieste subito dopo il termine di ogni evento di invaso-svaso di ciascun settore di invaso interessato dall'evento, mediante appositi mezzi d'opera e usufruendo anche della fluidificazione idraulica dei sedimenti mediante l'acquedotto irriguo appositamente progettato lungo gli argini di tutte e tre i settori di invaso.
  Questa operazione permetterà di «lavare» dalle scarpate degli invasi il materiale fine depositato durante le procedure di invaso e svaso. Questo materiale si raccoglierà quindi sul fondo degli invasi. Poiché il fondo degli invasi ha pendenza ridotta rispetto alle scarpate, la parte di materiale «lavato» dalle scarpate che raggiungerà il sistema di scarico verrà rimosso mediante il pompaggio, mentre la restante (minima) parte si fermerà sul fondo degli invasi stessi.
  Quando questo materiale, a seguito di allagamenti singoli o ripetuti delle vasche, raggiungerà sul fondo uno spessore uguale o maggiore ai 5 centimetri, si dovrà effettuare un intervento di rottura del fondo mediante appositi dispositivi meccanici, adatti a rompere la crosta superficiale formatasi a seguito della asciugatura del sedimento, in modo da favorire la ripresa vegetativa del cotico erboso.
  Quando, mediante le verifiche topografiche previste nel piano di manutenzione, si verificherà che il fondo erboso delle vasche dovesse essersi rialzato di uno spessore di 30 centimetri (o, comunque, al massimo ogni anno per il I settore e ogni 2 anni per il II e III settore), si dovrà procedere ad uno sbancamento del fondo del settore corrispondente, per riportare la vasca alle quote di progetto e, successivamente, ad una nuova semina del prato.
  Quindi, la parte di sedimento che rimarrà sul fondo e che verrà rotta a spessore di 5 centimetri e rimossa a spessore 30 centimetri, coinvolge comunque una piccola parte di superficie della vasca ridotta rispetto alla superficie totale della stessa.
  La rimozione dei sedimenti potrà essere necessaria omogeneamente su tutto il fondo o anche su parti di esso, in funzione dell'effettiva modalità di sedimentazione o di concentrazione del materiale anche a seguito delle pulizie periodiche.
  Con specifico riferimento agli accorgimenti messi in atto per prevenire il trasporto eolico del materiale sedimentato, nel tempo intercorrente tra la rottura della crosta superficiale, > 5 centimetri, formata dal sedimento asciugatosi sul fondo degli invasi ed il raggiungimento dello spessore massimo di 30 centimetri, verrà assicurata la possibilità di mantenimento e sviluppo della cotica erbosa. Inoltre, sul fondo delle vasche, a profondità di circa 12 metri, l'azione eolica è quasi trascurabile, vista anche l'azione frangivento esercitata dai filari di piante che circondano le due vasche di laminazione.
  Ad ogni modo, il decreto prevede già il monitoraggio ambientale dell'insieme «opera – ambiente circostante» e consentirà di verificare e valutare nei dettagli gli effetti indotti dall'opera. Il livello ambientale di partenza è stato già rilevato nell'ambito dello stesso piano di monitoraggio ambientale approvato dalla competente struttura Via regionale.
  Della questione sono comunque interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Per quanto di competenza il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà comunque a tenersi informato, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    secondo quanto riportato dalla stampa (http://www.avvenire.it) l'ufficio scolastico regionale calabrese si sarebbe letteralmente dimenticato dell'esistenza dell'istituto comprensivo «Moscato» di Oliveto, a Reggio Calabria;
   il paradosso è quello per cui, di fronte ad un plesso nuovo di zecca e con il materiale didattico a disposizione, la dirigenza si sarebbe scordata di destinare gli insegnanti per 18 studenti, tra cui un disabile;
   gli studenti, che si sono recati regolarmente a scuola, hanno trovato i cancelli chiusi, mentre le lezioni non sarebbero ancora iniziate;
   si attenderebbero, nello specifico, ancora i nomi dei professori di italiano ed inglese;
   la prospettiva per i ragazzi, in alternativa alla scuola del quartiere già pronta e totalmente nuova, è quella di una «classe-pollaio» di oltre trenta ragazzi alla sede centrale del circolo didattico, da raggiungere senza che sia stato neppure predisposto un servizio di trasporto –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni per cui all'istituto comprensivo «Moscato» di Oliveto, vicino a Reggio Calabria, non siano stati destinati gli insegnanti necessari a garantire le lezioni. (4-14340)

  Risposta. — Con riferimento alla questione in esame, relativa alla carenza di insegnanti dell'Istituto comprensivo Moscato di Oliveto (Reggio Calabria), si comunica che la questione è già stata risolta dal 16 settembre 2016, con autorizzazione in offerta formativa di una classe prima della scuola secondaria di primo grado, in occasione della comunicazione effettuata nella stessa giornata dal dirigente scolastico relativa al numero degli alunni (61 anziché 57 in precedenza comunicati).
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   FEDRIGA e GIANCARLO GIORGETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da quanto riferito dall'Agenzia Fides, il Pakistan negli ultimi anni, ha dichiarato illegali ben 11 televisioni cristiane fra cui la Catholic Tv, rete cattolica diocesana di Lahore, finanziata dai fedeli locali, che diffondeva il messaggio cristiano;
   la piccola emittente televisiva, che trasmetteva dalla parrocchia di san Francesco di Lahore entro un raggio di 10 chilometri, a beneficio di circa 8.000 famiglie cattoliche, era sostenuta dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, impegnata da sempre per garantire il diritto dei cristiani a praticare la propria religione ed evitare ogni tipo di persecuzione;
   la scorsa Pasqua, sempre a Lahore, mentre i cristiani festeggiavano nel parco Gulshan-i-Iqbal, un kamikaze si è fatto esplodere, causando 72 morti, di cui 30 bambini, e 340 feriti. Invece di sostenere una comunità le cui ferite sono ancora sanguinanti, il Governo chiude 11 televisioni, semplicemente perché cristiane;
   si constata purtroppo tristemente come la cronaca più recente continui invece a testimoniare la tragica condizione di paura e di pericolo in cui vive, in molte parti del mondo, chi professa e testimonia la fede cristiana, in particolar modo in quei Paesi dove vige la sharia (complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla legge coranica);
   nel 1990 il Pakistan ha reintrodotto la dottrina penale islamica che era stata abolita 200 anni prima. Altri regimi più integralisti, come Iran, Arabia Saudita e Sudan, sono giunti ai risultati più estremi, approvando vere e proprie costituzioni islamiche. Il diritto alla libertà religiosa è un diritto che bisogna garantire ad ogni persona, così come la libertà di parola e di espressione;
   si ritiene che tutti i rapporti, sia politici che economico-commerciali, intrattenuti dal nostro Paese e dagli altri Paesi dell'Unione europea con partner internazionali, non debbano mai prescindere dalla valutazione del rispetto dei diritti umani in quei Paesi e dalle condizioni di vita delle loro popolazioni;
   contrariamente a quanto comunemente si pensa, è stato di gran lunga il Novecento il secolo della persecuzione dei cristiani. Nel periodo che va dalla rivoluzione francese a oggi, ma in particolare nel XX secolo, sono state scatenate persecuzioni mai viste in 2.000 anni per ferocia, vastità, durata e quantità di vittime. Ben 45.500.000 sono stati i martiri cristiani di questo secolo –:
   se il Ministro non ritenga opportuno farsi promotore, in tutte le sedi competenti, di iniziative volte ad affermare con decisione sul piano internazionale che la libertà religiosa è un diritto che bisogna garantire ad ogni persona, così come la libertà di parola e di espressione, e non può essere negato arbitrariamente dichiarando illegali i mezzi di informazione che divulgano il messaggio cristiano. (4-14471)

  Risposta. — Il Governo è impegnato con determinazione, sia in ambito bilaterale che multilaterale, per la tutela e la promozione della libertà di religione o credo e dei diritti degli appartenenti alle minoranze religiose, nonché per la difesa della libertà di espressione nel mondo. Il Ministro Alfano ha dato disposizione alla rete diplomatica della Farnesina di continuare le tradizionali battaglie dell'Italia a tutela delle categorie più vulnerabili, tra cui le minoranze religiose, anche tramite la ricerca di più ampie sinergie con la diplomazia vaticana.
  In ambito Nazioni unite, grazie anche all'azione del Governo italiano, il tema della tutela della libertà di religione o credo è stato posto al centro di risoluzioni tematiche dell'Assemblea generale (UNGA) e del Consiglio diritti umani (CDU). A tale riguardo, anche l'Unione europea, con l'attiva partecipazione del nostro paese, promuove annualmente una risoluzione sul tema in seno ad entrambi gli organi ONU. L'ultima risoluzione su tale argomento è stata adottata nel corso della 71asessione dell'Assemblea generale.
  In ambito Unione europea, anche grazie al contributo dell'Italia, la libertà di religione continua ad essere una priorità in materia di promozione dei diritti umani. L'UE ha approvato nel 2013 delle «Linee Guida sulla libertà di religione» che indirizzano la politica dell'Unione nei Paesi terzi in tale materia. Inoltre, il «Piano d'Azione per i diritti umani e la democrazia 2015-2019», adottato a luglio 2015 anche su impulso dell'Italia, include impegni concreti per l'UE e gli stati membri in materia di promozione della libertà di religione o credo, protezione dei diritti degli appartenenti alle minoranze religiose, promozione del dialogo interreligioso e interculturale, nonché libertà di parola ed espressione. Analogo impegno sui citati temi è assicurato nell'ambito del Consiglio d'Europa e dell'OSCE. L'Italia partecipa, inoltre, al Gruppo di contatto internazionale sulla libertà di religione o credo, istituito nel 2015 a Bruxelles, con l'obiettivo di favorire lo scambio di informazioni e buone pratiche e promuovere la condivisione e adozione di azioni, in risposta alle violazioni della libertà di religione o credo nel mondo.
  In ambito bilaterale, la libertà di religione o credo e i diritti degli appartenenti alle minoranze religiose sono temi sollevati regolarmente in tutte le occasioni di dialogo che l'Italia ha con i Paesi terzi nel campo dei diritti umani. Numerose sono inoltre le iniziative umanitarie negli scenari di crisi più gravi e i programmi di cooperazione allo sviluppo che l'Italia ha promosso a sostegno delle comunità religiose e etniche vittime di violenza settaria.
  Per quanto riguarda in modo particolare il Pakistan, la situazione della libertà di religione, così come della libertà di espressione, in quel paese è costantemente monitorata da parte dell'Italia e della comunità internazionale. Destano particolare preoccupazione gli episodi di violenza di matrice settaria e religiosa, nonché l'applicazione, spesso distorta, della legge sulla blasfemia ai danni delle minoranze religiose. In questo ambito, l'Italia segue con particolare attenzione, e in coordinamento con i partner UE, anche i casi individuali. L'Unione europea e l'Italia sono intervenute in più occasioni per esprimere la loro preoccupazione. È stata altresì confermata alle Autorità pakistane piena collaborazione nella lotta contro le violenze nei confronti dei cristiani e delle altre comunità religiose minoritarie.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi dall'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo è stata inviata una circolare ai dirigenti scolastici degli istituti della provincia di Pescara, con la quale si invitava a raccogliere adesioni di studenti e professori per partecipare ad un evento che il Presidente del Consiglio avrebbe tenuto il 10 novembre 2016 a Pescara, nell'ambito del Festival delle letterature, raccomandando la massima diffusione dell'invito;
   l'evento è consistito in un'intervista pubblica al Presidente del Consiglio di Luca Sofri al teatro Circus, ma poiché l'orario è extrascolastico, le ore 18, e un invito potrebbe non bastare a mobilitare studenti e insegnanti, nella circolare sulla «manifestazione che rappresenta un contesto culturale attivo di scambi di idee e conoscenza» e per la quale si vorrebbe «una loro ampia partecipazione», si comunica che «in considerazione dell'impegno in orario extracurricolare ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di presenza», che servirà come credito scolastico;
   più che un invito, sembra all'interrogante una vera e propria precettazione, tesi avvalorata dal fatto che ai partecipanti verrà rilasciato appunto un attestato di presenza;
   l'istituto tecnico Tino Acerbo di Pescara ha messo l'invito dell'ufficio regionale nella bacheca online della scuola, scatenando le proteste di molti genitori e solo per questo se ne è avuta contezza;
   appare molto grave che il Presidente del Consiglio possa utilizzare l'occasione per ottenere consensi in vista del referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale promossa dal Governo, utilizzando strutture pubbliche e coinvolgendo, a giudizio dell'interrogante, indebitamente professori e alunni, con la previsione per di più di crediti formativi aggiuntivi;
   la richiesta dell'ufficio scolastico regionale alle scuole sembra all'interrogante ricordare iniziative di regime –:
   se il Ministro interrogato e i suoi collaboratori fossero a conoscenza della circolare;
   se il Governo abbia dato direttive o indirizzi agli uffici scolastici per organizzare l'iniziativa;
   di chi sia la responsabilità di questa missiva e a che titolo sia stata fatta;
   quale valore formale avrà l'attestato di presenza che verrà rilasciato e quale soggetto giuridico rilascerà tale attestato. (4-14767)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, l'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo ha fornito una dettagliata relazione dalla quale emergono i chiarimenti che si espongono di seguito.
  Si evidenzia, in premessa, che il #FLA Pescara Festival è un appuntamento annuale che vede da sempre protagoniste le scuole della regione con una significativa partecipazione degli studenti agli eventi che animano il festival stesso. Si tratta di una manifestazione di grande rilevanza culturale in cui letteratura, musica, teatro, giornalismo, reading, poesia, sono raccomandati, interpretati e resi disponibili ad un ampio pubblico da parte di autori e giornalisti. In considerazione di tutto ciò, esso rappresenta per le scuole del territorio un'importante opportunità educativa e formativa.
  Come nelle passate edizioni, anche quest'anno l'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo ha diffuso e promosso l'iniziativa, al fine di sensibilizzare la partecipazione delle scuole abruzzesi al nutrito programma di eventi previsti. A tal fine, a fronte della richiesta pervenuta dal soggetto organizzatore dell'evento, in data 3 novembre 2016 lo stesso ufficio scolastico regionale ne ha dato informazione a mezzo pubblicazione sul proprio sito web.
  L'ufficio, inoltre, in considerazione dell'alto numero di adesioni da parte delle scuole, ha collaborato agli aspetti organizzativi e logistici inerenti alla partecipazione delle scuole alla giornata di apertura del festival. Tale collaborazione si è resa opportuna per garantire che la partecipazione degli alunni potesse svolgersi nel modo più regolare possibile, anche e soprattutto per gli aspetti che attengono alla sicurezza e all'incolumità degli stessi.
  Sempre con riferimento agli aspetti organizzativi e logistici, l'ufficio IV dell'ufficio scolastico regionale – ambito territoriale per le province di Pescara e Chieti – ha inviato una mail interna con la quale si fornivano alle scuole apposite indicazioni per la partecipazione alla giornata di apertura del #FLA, in considerazione della prevedibilmente notevole affluenza all'interno del teatro Circus da parte non soltanto degli studenti, ma anche della cittadinanza, per la presenza del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Per quanto si riferisce all'attestato, è stato chiarito che il rilascio dello stesso era in capo al soggetto organizzatore e non all'ufficio scolastico regionale, e che esso riguardava la mera partecipazione all'evento, e non anche l'attestazione di crediti. Infatti, questa funzione non compete né ai soggetti organizzatori né all'amministrazione scolastica, bensì è di competenza del consiglio di classe che, secondo quanto previsto dal decreto ministeriale n. 49 del 2000, che rinvia per alcuni aspetti al decreto del Presidente della Repubblica n. 323 del 1998, deve attenersi ai criteri stabiliti dal collegio dei docenti e agli obiettivi formativi ed educativi dell'indirizzo di studio.
  L'articolo 1 di tale decreto stabilisce che le esperienze che danno luogo all'acquisizione dei crediti formativi sono quelle realizzate al di fuori della scuola di appartenenza e consistenti in attività culturali, artistiche, ricreative, di formazione professionale, di lavoro e attività attinenti all'ambiente, al volontariato, alla solidarietà, alla cooperazione e allo sport.
  Tutto ciò posto, preso atto che l'adesione delle scuole e quindi, la partecipazione di studenti e accompagnatori è stata del tutto spontanea e partecipata, si evince non vi è stato alcun condizionamento o pressione nella vicenda da parte dell'ufficio scolastico regionale, il quale, si ribadisce, ha unicamente collaborato con il soggetto organizzatore nello svolgimento della manifestazione.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   GAGNARLI, COMINARDI, ALBERTI, PARENTELA, GALLINELLA e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992, all'articolo 27, affida la vigilanza venatoria a diversi enti istituzionali, e in particolare alle polizie provinciali e al Corpo forestale dello Stato, oltre alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali;
   all'interno del Corpo forestale dello Stato, era stato inoltre istituito nel dicembre 2005, il nucleo operativo antibracconaggio (Noa, con il compito specifico di organizzare e dirigere operazioni particolarmente impegnative per combattere il fenomeno della caccia illegale nelle zone maggiormente colpite;
   con il decreto legislativo n. 177 del 2016 è stato di fatto soppresso il Corpo forestale dello Stato e ripartite le sue competenze, servizi e compiti tra Arma dei Carabinieri, il Corpo della Guardia di finanza, la polizia di Stato e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   allo stesso tempo, con il decreto-legge n. 78 del 2015 è stato sancito l'avvio del processo di transito di tutta la polizia provinciale nei comuni per lo svolgimento delle funzioni di attività di polizia municipale e il passaggio delle competenze sulla vigilanza su ambiente e fauna alle regioni;
   nel 2013 la Commissione europea aveva avviato una pre-procedura di infrazione (EU PILOT 5283/13/ENVI), sull'uccisione, cattura e commercio illegali con cui la Commissione europea chiedeva allo Stato italiano per ognuno degli 8 black spot del bracconaggio presenti in Italia quante operazioni antibracconaggio sono state condotte, quanti controlli, quante persone denunciate, il dettaglio delle violazioni amministrative e penali riscontrate. Nella medesima procedura, la Commissione riconosceva la validità del Nucleo operativo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato e chiedeva allo Stato italiano dettagli sulle disponibilità finanziarie e sulla dotazione di personale del Noa e chiedeva quali programmi di impiego si prevedessero;
   nel 2014 la Commissione europea aveva avviato una pre-procedura di infrazione (EU PILOT 6955/14/ENVI), con cui evidenziavano diverse criticità rispetto alla gestione della caccia in Italia, tra le quali proprio il tema della vigilanza venatoria, chiedendo nello specifico di ottenere informazioni sul numero dei controlli, la loro frequenza, i risultati ottenuti e le relative sanzioni;
   nel 2015 diverse associazioni ambientaliste, attraverso una lettera alla Commissione europea, denunciavano lo smantellamento, alla luce dei provvedimenti succitati, del sistema di vigilanza ambientale e venatoria, considerando «inaudite ed irresponsabili» le scelte di soppressione del Corpo forestale e della polizia provinciale, poiché «non pienamente valutate nei loro effetti negativi» in tale ambito e non adeguatamente sostituite dalla nuova normativa, lasciando intendere, specie nel caso del Corpo forestale, che i compiti verranno «trasferiti» senza esplicitare in che modo e con quali risorse;
   il rischio di questa situazione è quello di rendere più facile la strada del bracconaggio, già ampiamente diffuso nel nostro Paese (secondo l'ultimo rapporto di Legambiente, diffuso ad ottobre 2016, negli ultimi sette anni ogni giorno sono state registrate 20 infrazioni contro la fauna selvatica, denunciate 16,5 persone ed effettuati quasi 7 sequestri, in particolare nelle «aree calde» indicate dall'ISPRA) e avallato dall'incertezza di chi, nei fatti, dovrà essere demandato al controllo sull'attività di caccia;
   in questo contesto, anche le guardie venatorie volontarie, che erano gestite dalle province, rischiano di non poter operare in maniera efficace in quanto, in alcuni casi non sarebbe stato indicato l'organismo deputato a ricevere il verbale di accertamento delle violazioni amministrative da parte della vigilanza volontaria, così come non è stato definito a quale ente si debba fare riferimento per pagare le somme dovute alle contestazioni ricevute;
   non risulta anche indicato l'organo deputato a ricevere e custodire eventuale materiale sequestrato; inoltre, risulta che in alcuni casi il processo di rilascio e rinnovo dei decreti delle guardie volontarie non sia stato ancora ridefinito –:
   se, alla luce del quadro esposto in premessa, nonché del rischio di poter incorrere in una nuova procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, il Governo non intenda chiarire dettagliatamente la gestione del sistema di vigilanza su ambiente e fauna nel nostro Paese, in base alla ripartizione delle competenze e dei servizi del corpo forestale dello Stato e delle polizie provinciali;
   quali iniziative di competenza siano state intraprese, a fronte dei numerosi e gravi casi di bracconaggio che si sono consumati nel corso della stagione venatoria, non ancora conclusa, nelle more dell'adozione del piano nazionale contro l'uccisione illegale di uccelli, la cui prima stesura da parte dell'Ispra è stata trasmessa a regioni e portatori di interesse nell'estate del 2016, ma non risulta ancora arrivata in sede di Conferenza Stato-regioni per l'approvazione definitiva.
(4-15497)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al fenomeno del bracconaggio in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è al corrente dei ripetuti casi di bracconaggio perpetrati a danno di specie protette sul territorio nazionale.
  Il problema connesso agli atti di bracconaggio in alcune regioni italiane è oggetto di attenzione da parte della Commissione europea che ha richiesto informazioni in merito attraverso il caso EU pilot 5283/13/ENVI; simili rilevi in materia di controlli sono stati sollevati con il caso EU pilot 6955/14/ENVL.
  Sull'argomento si ricorda che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha predisposto un «Piano d'azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici», attualmente all'esame della Conferenza Stato – regioni. La prima seduta tecnica per la valutazione del Piano si è tenuta il 7 febbraio 2017, con un generale apprezzamento del documento. Punto centrale del citato Piano è la problematica connessa al nuovo assetto organizzativo derivante dall'abolizione delle Province e dalla creazione del comando unità tutela forestale, ambientale e agroalimentare Carabinieri che ha sostituito il corpo forestale dello Stato, nonché dalla carenza delle risorse da dedicare alle attività di prevenzione e repressione del bracconaggio.
  Si segnala che in relazione a segnalazioni specifiche vengono regolarmente inviate richieste di intervento al nuovo ufficio Oaio dell'ufficio per la biodiversità – riserve naturali dello Stato, comando unità tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell'Arma dei Carabinieri che ha sostituto il nucleo operativo antibracconaggio del corpo forestale dello Stato, il quale continuerà ad occuparsi anche dei reati contro il patrimonio faunistico tutelato da direttive comunitarie e convenzioni internazionali. Analogamente a quanto in precedenza operato dal corpo forestale dello Stato, è previsto che in caso di illeciti contro la fauna selvatica vengano posti sotto sequestro gli attrezzi per la caccia vietati, i richiami vivi detenuti illegalmente, armi e munizioni e la fauna selvatica abbattuta illegalmente, comminando sanzioni penali per i trasgressori.
  Con riferimento alle questioni relative alla gestione del sistema di vigilanza su ambiente e fauna nel nostro Paese, alla luce delle considerazioni esposte, si fa presente che i compiti e le funzioni del Cfs sono stati affidati ai carabinieri, mentre alle regioni nell'ambito della loro autonomia spetta l'organizzazione dei compiti affidati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si richiama l'interrogazione a risposta scritta n. 4-15039 del 20 dicembre 2016 e la relativa risposta del Sottosegretario di Stato Vincenzo Amendola del 22 febbraio 2017;
   in data 28 febbraio 2017, il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Bari, Chiara Mastrorilli, ha rinviato a giudizio l'imprenditore barese Emanuele Degennaro e l'ex candidato sindaco di Bari, Giacomo Olivieri, insieme ad altre tre persone, per il crac della società Ctf srl. Le accuse, a vario titolo, sono di concorso in bancarotta fraudolenta aggravata. Stando agli accertamenti della Guardia di finanza, gli imputati avrebbero fatto una serie di operazioni illecite fino a svuotare le casse della società, emettendo decine di assegni e falsificando le scritture contabili. Olivieri è accusato di aver cambiato e incassato 22 assegni per 220.000 euro provenienti dalle casse della società poi fallita –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere con la revoca dell’exequatur di nomina dell'avvocato Giacomo Olivieri per l'esercizio delle funzioni di console onorario della Repubblica di Slovenia alla luce del rinvio a giudizio e della normativa in materia. (4-15763)

  Risposta. — In merito al quesito posto dall'interrogante la Farnesina ha immediatamente provveduto, con una nota ministeriale in data 25 gennaio 2017, a chiedere urgenti elementi informativi di approfondimento alla prefettura di Bari circa la notizia di rinvio a giudizio dell'avvocato Giacomo Olivieri.
  Una volta completata la raccolta di elementi sulla posizione dell'avvocato Olivieri, questo ministero si riserva di agire, come in casi analoghi già verificatisi, sulla base di quanto previsto dalle norme e dalla prassi internazionali: articoli 25 e 68 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963 e circolare ministeriale n. 3 del 16 luglio 2010.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2016, le organizzazioni sindacali regionali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Gilda Unams Emilia-Romagna, con un comunicato congiunto, hanno denunciato le proprie preoccupazioni sull'organico del personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario per l'anno scolastico 2016/2017 e la condizione di criticità che, ormai da diversi anni, si ripete ogni estate costringendo le scuole all'incertezza della programmazione, compromettendo la qualità dell'offerta formativa, mettendo in fibrillazione le famiglie e condannando alla precarietà il personale della scuola;
   purtroppo, la questione posta allora trova ora conferma e provoca una vera e propria emergenza, dato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha assegnato i posti necessari alle reali esigenze della scuola dell'Emilia-Romagna, peraltro rappresentate dall'ufficio scolastico regionale e sostenute anche dai massimi livelli istituzionali della regione, «negando di fatto le ragioni oggettive alla base delle richieste», come dichiarato dai sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Gilda Unams Emilia-Romagna;
   l'assegnazione del cosiddetto organico di fatto, avvenuta in questi giorni, si è rivelata una pura operazione contabile, finalizzata unicamente a realizzare, a livello nazionale, un taglio di 1.192 posti rispetto allo scorso anno;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha predisposto una tabella che riporta i dati suddivisi per regione, con numeri slegati dal fabbisogno delle scuole, ad avviso degli interroganti senza alcun riferimento all'andamento demografico della popolazione scolastica, senza l'esposizione di alcun criterio oggettivo e trasparente;
   anche per questo anno la dotazione assegnata all'Emilia Romagna (2.904 posti, di cui 2.271 assommano a spezzoni orari già utilizzati in organico di diritto) è inadeguata e pregiudicherà il diritto allo studio o addirittura l'accesso ad esso, nonché un ordinario avvio dell'anno scolastico;
   l'Emilia Romagna è la regione in Italia che ha la percentuale più alta di aumento della popolazione scolastica (dagli ultimi dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, peraltro sottostimati, c’è un aumento del +0,6 per cento contro una media nazionale di –0,5 per cento) e quella con il rapporto più alto docenti/studenti (1/10,5 per cento contro una media nazionale di 1/10,1 per cento);
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ignorato nel calcolo della popolazione scolastica alcune migliaia di bambini che hanno richiesto l'iscrizione ad una scuola dell'infanzia statale, e ai quali verrà negato questo diritto, e anche tanti adulti che hanno espresso la volontà di reinserirsi in un percorso di formazione, attraverso la frequenza nei centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA);
   le organizzazioni sindacali della scuola dell'Emilia Romagna chiedono un'ulteriore assegnazione di almeno 600 docenti, per garantire ai ragazzi di iniziare l'anno scolastico in classi formate secondo le regole e in aule dove siano garantite le più elementari forme di sicurezza, coerenti con le norme vigenti. Qualora il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca rimanga sordo alle richieste, in Emilia vi saranno classi con 35 studenti, numero questo superiore rispetto a quanto indicato dallo Ministero nella circolare sull'organico di fatto, in cui si afferma che le richieste di sdoppiamento va o effettuate qualora il numero di alunni superi le 31 unità. Saranno inevitabili classi «pollaio» dove difficilmente sarà garantito un grado di sicurezza coerente con le norme vigenti;
   è inoltre necessario l'incremento di ulteriori 600 docenti di sostegno e di 1.100 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, anche a causa di problematiche ancora esistenti nelle zone del sisma. In particolare, per gli Ata si rileva che, pur in presenza di un «dimensionamento selvaggio», che ha prodotto in alcune province una rilevante perdita di posti di lavoro, non è diminuito il numero dei plessi scolastici, il numero degli alunni che necessitano di assistenza di base, che grava sui collaboratori scolastici, e il carico di lavoro degli amministrativi e dei tecnici;
   le organizzazioni sindacali rivendicano quanto sostenuto dal «patto per il lavoro», firmato il 20 luglio 2015 e firmato da regione, enti locali, organizzazioni sindacali e datoriali, forum del terzo settore, università e ufficio scolastico regionale dove l'impegno per il futuro del territorio dell'Emilia Romagna si fonda «su un'attenta ricognizione delle risorse e su una condivisione non solo degli obiettivi, ma anche delle condizioni indispensabili per generare (...) un nuovo sviluppo per una nuova coesione sociale (...) il destino economico e sociale di un territorio dipende dal livello qualitativo e quantitativo di istruzione dei suoi abitanti. La scolarità è la nuova discriminante sociale sia a livello individuale che collettivo. Per prevenire il circolo vizioso dello svantaggio sociale, è necessario investire sul diritto allo studio, sull'innalzamento dell'obbligo scolastico e sui servizi educativi per l'infanzia che rivestono un ruolo cruciale per la promozione del successo formativo, la riduzione delle disuguaglianze e per la garanzia del benessere sociale ed economico delle generazioni future»;
   le disposizioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece, smentiscono nuovamente il proclamato annuncio di investimenti sulla «buona scuola», che dovrebbe innanzitutto essere dotata di risorse umane e finanziarie e non essere privata addirittura di quelle indispensabili per l'ordinario funzionamento –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e delle gravi ripercussioni che provocherà al sistema scolastico della regione Emilia Romagna e se non ritenga opportuno intervenire affinché sia ripristinata una situazione accettabile e garantire, conseguentemente, quel diritto allo studio, che verrà altrimenti negato o reso inaccessibile. (4-13989)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere quali interventi il Ministro ritenga opportuno mettere in atto in relazione alla situazione degli organici del personale docente e amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) delle scuole dell'Emilia Romagna e per garantire il diritto allo studio anche per l'anno scolastico 2016/2017. Al riguardo, acquisiti gli elementi informativi dall'Ufficio scolastico regionale competente, si rappresenta quanto segue.
  In fase di adeguamento dell'organico di diritto del personale docente alle situazioni di fatto per l'anno scolastico 2016/2017, il decreto interministeriale allegato alla nota prot. n. 11729 del 29 aprile 2016 ha attribuito alla Regione Emilia Romagna un contingente pari a 2.904 posti.
  Tali risorse, sono state ripartite tra le province, soddisfacendo le inderogabili esigenze segnalate dai dirigenti scolastici ai competenti Uffici scolastici di ambito territoriale.
  Per ciò che concerne l'organico di sostegno, limitatamente all'anno scolastico 2016/2017, ai 5.841 posti assegnati dal suddetto schema di decreto, sono stati aggiunti i 2.182 posti in deroga autorizzati dall'Ufficio scolastico regionale per l'Emilia Romagna, in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 80/2010 e tenuto conto della proposta formulata dalla specifica Commissione tecnica, sulla base dei prospetti dettagliati pervenuti dagli Uffici scolastici di ambito territoriale dell'Emilia Romagna.
  Infatti, con la citata sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno e l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente.
  Inoltre, sono state prese in considerazione le proposte di assegnazione pervenute dai dirigenti scolastici, limitatamente a quei casi in cui sono state attribuite risorse di sostegno nel decorso anno scolastico e per i quali non sono variate le condizioni oggettive di contesto.
  Relativamente all'organico del personale Ata, per esigenze motivate e ritenute ineludibili inerenti la sicurezza, la necessità di salvaguardare l'incolumità degli alunni e del personale, assicurando altresì la continuità dell'azione amministrativa, il numero di 12.994 posti in organico di diritto, è stato incrementato di 1.182 unità, raggiungendo così un totale di 14.176 posti in organico di fatto.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa risulterebbe che, presso l'istituto comprensivo Masci di Francavilla e l'istituto di Marzio di Pescara, due ragazzi autistici non hanno potuto iniziare l'anno scolastico, perché nelle loro istituzioni scolastiche non hanno trovato gli operatori specializzati per alunni disabili, nonostante le famiglie degli studenti si siano mosse per tempo nella richiesta di assistenza. La madre di uno dei due studenti avrebbe denunciato l'accaduto, si legge nell'articolo, tra un misto di frustrazione per l'ingiustizia e senso di impotenza che un genitore vive quando non può garantire a suo figlio i diritti fondamentali che gli garantiscano una vita complessa, ma dignitosa;
   se le notizie riportate risultassero vere, significherebbe tradire le «buone pratiche» sperimentate in questi anni dalla scuola italiana, sempre fondate sulla condivisione, tra docenti curriculari e di sostegno, oltre che con gli operatori specializzati per alunni disabili, dell'offerta formativa su tutta la classe, e sull'idea di una profonda collaborazione di tutto il team degli insegnanti, e non solo, nei processi educativi dell'alunno diversamente abile;
   le notizie pubblicate sono indecorose e indegne, ancor di più se non si ponesse fine a questo atteggiamento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover appurare i fatti descritti;
   se non ritenga di dover effettuare una verifica sulle vicende esposte;
   quali iniziative intenda assumere per evitare che il mancato rispetto delle disposizioni sull'insegnamento di sostegno e sull'assistenza specialistica ai disabili, da parte della scuola e degli enti locali, non costituisca una disparità di trattamento tra gli studenti. (4-14207)

  Risposta. — Si rappresenta, preliminarmente, che l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un obiettivo primario del nostro sistema educativo. La scuola italiana, infatti, sulla base dei principi riconosciuti dagli articoli 3 e 34 dalla nostra Carta costituzionale in materia di diritto allo studio, vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale.
  Per quanto riguarda in particolare l'autismo, l'impegno del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è concretizzato in diverse iniziative, tra le quali l'apertura dello «Sportello Autismo», struttura nata per favorire l'inclusione scolastica degli alunni affetti da tale sindrome con un lavoro di rete e di valorizzazione delle buone prassi e di supporto ai docenti. Lo sportello, lanciato l'anno scorso in via sperimentale in 13 centri territoriali di supporto (CTS), è ora stato esteso a tutti i 106 Centri presenti sul territorio nazionale.
  Sono stati, poi, promossi 14 master in didattica e psicopedagogia, da realizzare presso determinate università, destinati a circa 1.500 docenti con la finalità di rinforzare le loro competenze in materia.
  Ciò posto, sulle due situazioni segnalate nell'atto parlamentare l'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo ha riferito che, in entrambi i casi, le istituzioni scolastiche hanno messo in atto tutti gli interventi per assicurare l'inclusione degli alunni con un appropriato percorso didattico-formativo.
  L'istituto comprensivo «F. Masci» di Francavilla al Mare ha attribuito all'alunno fin dal primo giorno di scuola (12 settembre) un docente di sostegno per 12 ore settimanali, come concordato nel gruppo H al termine del decorso anno scolastico, in attesa dell'assegnazione dell'assistente educativo da parte del comune. È stato precisato che il ragazzo era assente per decisione dei genitori.
  L'assistente educativo, specialista del metodo ABA, ha iniziato la sua attività il successivo 13 settembre e segue l'alunno per 18 ore settimanali. Quest'ultimo ha ripreso a frequentare regolarmente la scuola e i rapporti scuola-famiglia si sono rasserenati in un'ottica di condivisione che favorisce un piano di miglioramento continuo per la piena inclusione e integrazione del ragazzo al fine di farli esperire le attività didattiche riferite alle varie discipline.
  Come già avvenuto in passato, su richiesta dei genitori, ogni tre mesi un supervisore esterno monitora l'apprendimento dell'allievo attraverso l'applicazione del metodo ABA, per adeguare in itinere il percorso didattico. Il ragazzo è ben integrato nella classe, all'interno della quale si è instaurato un clima di serenità, sintonia e cooperazione con i compagni.
  Riguardo al secondo caso citato, l'istituto «Di Marzio-Michetti» di Pescara ha garantito fin dall'anno scolastico 2014/2015 il diritto allo studio dell'alunno, investendo attenzione e risorse nella gestione del processo di inclusione con metodologie e strategie funzionali allo stesso.
  Pur non essendosi reso possibile, nell'ottica della continuità della figura di riferimento, riconfermare il docente di sostegno che ha seguito l'alunno nell'anno 2015/2016 anno per 9 ore settimanali poiché non più incluso nell'attuale organico dell'istituto, la scuola ha comunque assegnato quest'anno complessivamente 21 ore settimanali svolte da due docenti con verificata esperienza e, in base a specifica richiesta del genitore, di sesso maschile considerato che devono seguire un ragazzo che, per la sua patologia, presenta profili di aggressività.
  In base al modello RAS compilato in data 2 febbraio 2016 è stato richiesto al comune di Pescara l'assegnazione di 24 ore settimanali di assistenza specialistica, richiesta più volte reiterata.
  Per quanto concerne la logistica, la scuola ha riconfermato gli spazi protetti ad uso didattico ed educativo, oltre alla classe di appartenenza, ed ha messo a disposizione strumenti didattici appropriati grazie anche al coinvolgimento e alle risorse del Centro territoriale di supporto per i bisogni educativi speciali di cui l'Ipslas «Di Marzio-Michetti» è sede da anni.
  Ai fini dell'espletamento di particolari necessità o bisogni materiale dell'alunno, è garantita l'individuazione di collaboratori scolastici preposti a tale scopo.
  È stato riferito, inoltre, che nella settimana antecedente l'inizio delle lezioni, la dirigente scolastica ha telefonicamente informato il genitore riguardo alla soluzione predisposta dalla scuola rassicurandolo riguardo alla possibilità di frequenza del figlio fin dal primo giorno di scuola.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che il 10 novembre 2016, in occasione della visita del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi al Festival delle Letterature dell'Adriatico a Pescara, l'ufficio scolastico regionale Abruzzese abbia invitato i dirigenti scolastici a far partecipare gli studenti all'incontro con il Premier delle ore 18 al cinema Circus, ed in cambio sarà rilasciato un attestato di partecipazione;
   appare all'interrogante un'inaccettabile forzatura che si invitino le scuole a partecipare all'incontro di apertura del Festival della letteratura dell'Adriatico, che prevede una intervista al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi;
   soprattutto ciò appare una evidente ingerenza considerando che si è in piena campagna elettorale per il referendum costituzionale –:
   se non intenda verificare se tale notizia corrisponda al vero e, in caso affermativo, fare luce sulle motivazioni e sulle responsabilità di tale scelta, a giudizio dell'interrogante inqualificabile, da parte dell'ufficio scolastico regionale Abruzzese. (4-14760)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, l'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo ha fornito una dettagliata relazione dalla quale emergono i chiarimenti che si espongono di seguito.
  Si evidenzia, in premessa, che il #FLA Pescara festival è un appuntamento annuale che vede da sempre protagoniste le scuole della regione con una significativa partecipazione degli studenti agli eventi che animano il festival stesso. Si tratta di una manifestazione di grande rilevanza culturale in cui letteratura, musica, teatro, giornalismo, reading, poesia, sono raccomandati, interpretati e resi disponibili ad un ampio pubblico da pane di autori e giornalisti. In considerazione di tutto ciò, esso rappresenta per le scuole del territorio un'importante opportunità educativa e formativa.
  Come nelle passate edizioni, anche quest'anno L'Usr per l'Abruzzo ha diffuso e promosso l'iniziativa, al fine di sensibilizzare la partecipazione delle scuole abruzzesi al nutrito programma di eventi previsti. A tal fine, a fronte della richiesta pervenuta dal soggetto organizzatore dell'evento, in data 3 novembre 2016 lo stesso Usr, ne ha dato informazione a mezzo pubblicazione sul proprio sito web.
  L'ufficio, inoltre, in considerazione dell'alto numero di adesioni da parte delle scuole, ha collaborato agli aspetti organizzativi e logistici inerenti alla partecipazione delle scuole alla giornata di apertura del festival. Tale collaborazione si è resa opportuna per garantire che la partecipazione degli alunni potesse svolgersi nel modo più regolare possibile, anche e soprattutto per gli aspetti che attengono alla sicurezza e all'incolumità degli stessi.
  Sempre con riferimento agli aspetti organizzativi e logistici. L'ufficio IV dell'Usr – Ambito territoriale per le province di Pescara e Chieti – ha inviato una mail interna con la quale si fornivano alle scuole apposite indicazioni per la partecipazione alla giornata di apertura del #FLA, in considerazione della prevedibilmente notevole affluenza all'interno del Teatro Circus da parte non soltanto degli studenti, ma anche della cittadinanza, per la presenza del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Per quanto si riferisce all'attestato, è stato chiarito che il rilascio dello stesso era in capo al soggetto organizzatore e non all'Usr, e che esso riguardava la mera partecipazione all'evento e non anche l'attestazione di crediti. Infatti, questa funzione non compete né ai soggetti organizzatori né all'amministrazione scolastica, bensì è di competenza del consiglio di classe che, secondo quanto previsto dal decreto ministeriale n. 49 del 2000, che rinvia per alcuni aspetti al decreto del Presidente della Repubblica n. 323 del 1998, deve attenersi ai criteri stabiliti dar collegio dei docenti e agli obiettivi formativi ed educativi dell'indirizzo di studio.

  L'articolo 1 di tale decreto stabilisce che le esperienze che danno luogo all'acquisizione dei crediti formativi sono quelle realizzate al di fuori della scuola di appartenenza e consistenti in attività culturali, artistiche, ricreative, di formazione professionale, di lavoro e attività attinenti all'ambiente, al volontariato, alla solidarietà, alla cooperazione e allo sport.
  Tutto ciò posto, preso atto che l'adesione delle scuole e, quindi, la partecipazione di studenti e accompagnatori è stata del tutto spontanea e partecipata si evince non vi è stato alcun condizionamento o pressione nella vicenda da parte dell'Usr, il quale, si ribadisce ha unicamente collaborato con il soggetto organizzatore nello svolgimento della manifestazione.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   MUCCI, MONCHIERO e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 353, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, (legge di stabilità 2017) riconosce, dal 1° gennaio 2017, un premio alla nascita, o all'adozione di minore pari ad 800 euro, erogato in unica soluzione dall'Inps. Il premio, che non concorre alla formazione del reddito complessivo, è corrisposto a domanda della futura madre, e può essere richiesto al compimento del settimo mese di gravidanza o all'atto dell'adozione;
   ad oggi, non si conoscono ancora le modalità di erogazione del cosiddetto bonus «mamma domani» e la procedura e il modulo per farne domanda non sono disponibili, in quanto l'Inps non ha ancora predisposto la piattaforma per presentare la richiesta online;
   il Ministro per gli affari regionali, con delega per la famiglia Costa nei giorni scorsi ha assicurato che la possibilità di fare domanda per ottenere l'erogazione una tantum di 800 euro, che spetta dal settimo mese di gravidanza fino alla nascita, sarà attivata tra breve e il ritardo non annullerà il diritto acquisito dall'inizio dell'anno;
   l'Inps fa sapere che per predispone la piattaforma online erano previsti fin dall'inizio alcuni mesi di tempi tecnici, ma garantisce di renderla operativa ai primi di maggio 2017 e il sistema per rilasciare i contributi pronto verso la metà del mese;
   il 5 gennaio 2017 il presidente dell'Inps Boeri avrebbe inviato una lettera al dipartimento politiche per la famiglia, chiedendo di precisare i criteri per accedere alla misura, in quanto elementi necessari per assicurarne l'operatività in tempi brevi. La risposta del dipartimento sarebbe arrivata il 25 gennaio 2017, ma secondo l'Inps non avrebbe chiarito tutti i dubbi, anzi, per il bonus «mamma domani» i tecnici farebbero riferimento ai parametri utilizzati per il «bonus bebé», tra i quali esiste anche la soglia di reddito, che non è invece prevista nella nuova misura per le neo-mamme che è universale. Ulteriori delucidazioni sarebbero arrivate a marzo 2017, insieme a nuovi dettagli come il raddoppio del bonus in caso di parto gemellare, e tali modifiche avrebbero costretto l'Inps a rivedere la piattaforma telematica con ulteriori ritardi;
   a fine febbraio 2017 e ad inizi marzo 2017 sul sito dell'Inps sono state pubblicate due prime circolari che definiscono nel dettaglio la platea dei beneficiari, senza però specificare come presentare la domanda;
   il bonus «mamma domani» si aggiunge, come strumento a sostegno dell'incremento demografico, al «bonus bebé» previsto dall'articolo 1, commi 125-129, della legge di stabilità per il 2015 che prevede, per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017, un assegno di importo annuo di 960 euro erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione, purché il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente abbia un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) non superiore a 25.000 euro annui;
   l'operatività di tali norme è molto importante per le famiglie, dato che rappresentano una forma di incentivo all'incremento demografico e di sostegno per le spese affrontate prima e dopo il lieto evento, considerato che le nascite che in Italia diminuiscono sempre più a causa della crisi economica e dell'elevato tasso di disoccupazione giovanile che costringono molte coppie a rinunciare o a rinviare ad avere figli –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, per mettere fine con urgenza alle diverse criticità sopra evidenziate, facendo sì che l'Inps, che risulta avere a giudizio degli interroganti responsabilità per la ritardata attuazione delle disposizioni di cui in premessa, predisponga al più presto la piattaforma per la presentazione on line della domanda di accesso al bonus «mamma domani» e non ritardi ulteriormente l'applicazione della normativa.
(4-16012)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente all'attuazione della misura premio alla nascita, introdotta dalla legge di bilancio per il 2107, si rappresenta quanto segue.

  Preliminarmente, occorre precisare che una delle priorità di questo, e del precedente, Governo è stata quella di mettere al centro della scena politica il sostegno alla natalità, con l'obiettivo di invertire una tendenza che rischia di creare i presupposti di una società con una fragile prospettiva. Infatti, sono preoccupanti i dati relativi al processo di denatalità in corso nel nostro Paese, avvalorati anche più recentemente dall'Istat, che registrano in Italia per il 2016 un ulteriore calo delle nascite (474.000 bambini) rispetto al record già negativo del 2015 (486.000 bambini).
  Le iniziative messe in campo con la legge di bilancio 2017 mirano ad avviare un percorso organico, strutturato e pluriennale di sostegno alla natalità con misure stabili e soprattutto innovative.
  In particolare, la legge di bilancio per il 2017 prevede nuove misure per le famiglie con un impiego di risorse significativo: 600 milioni di euro per il 2017 e 700 milioni di euro a partire dal 2018.
  L'articolo 1, comma 353, ha introdotto il premio alla nascita (premio alle future mamme), corrisposto a partire dal compimento del settimo mese di gravidanza o all'adozione di minore, pari a 800 euro ed erogato direttamente dall'Inps, in un'unica soluzione. Tale misura si aggiunge al bonus-bebé previsto per le famiglie a basso reddito per tre anni a partire dalla nascita del figlio e pari a 80 euro al mese per chi ha un Isee inferiore ai 25 mila euro e a 160 euro al mese per chi ha un Isee inferiore ai 7 mila euro.
  A tale misura si accompagnano, inoltre, altri strumenti concreti per sostenere la genitorialità:
   il buono nido per contribuire al pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini al di sotto dei tre anni, affetti da gravi patologie croniche;
   il fondo di sostegno alla natalità, per offrire garanzie alle banche per piccoli prestiti alle famiglie con uno o più figli, ripristinando il vecchio fondo di credito per i nuovi nati che aveva dato buoni risultati.

  Con riferimento al premio alla nascita, il beneficio, finalizzato ad aiutare i genitori ad affrontare le prime spese legate alla nascita o all'adozione di un bimbo, non concorre alla formazione del reddito complessivo ed è corrisposto a tutte le future madri a prescindere dal reddito.
  Ancor prima dell'entrata in vigore della norma, il dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri ha avviato apposite interlocuzioni con l'Inps, ente chiamato ad erogare il beneficio, nonché con questo Ministero, al fine di fornire un supporto alla redazione delle istruzioni operative, entro tempi rapidi, con la disciplina di dettaglio di tale nuova misura.
  Nel corso di tali interlocuzioni con l'INPS si è chiarito, tra l'altro, che il beneficio è corrisposto in relazione al numero dei bambini nati o adottati.
  Con le circolari n. 39 del 27 febbraio e n. 61 del 16 marzo 2017, l'Inps ha fornito le necessarie linee guida per l'applicazione della nuova misura, specificando requisiti generali per l'accesso alla misura, gli eventi che comportano la maturazione del diritto al premio, le modalità di presentazione della domanda e la documentazione a corredo.
  Si segnala che l'introduzione della misura in parola ha richiesto, altresì, la realizzazione di una nuova piattaforma telematica, da parte dell'INPS, realizzazione che necessita, come di norma, di adeguati tempi tecnici.
  Al proposito l'Inps ha fornito rassicurazioni sullo stato di realizzazione della piattaforma telematica per la presentazione delle domande, comunicando che «entro il mese di maggio, tutte le mamme in possesso dei requisiti a partire dal 1o gennaio 2017, secondo lo spirito della norma, potranno presentare domanda di beneficio senza incorrere in nessuna preclusione determinata dai necessari tempi tecnici» per la realizzazione del gestionale informativo.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante da tempo denuncia l'emergenza ambientale nel capoluogo della Piana di Gioia Tauro dove è esplosa una vera «bomba» ecologica, concretizzatasi in un flusso impressionante e continuo di percolato che, maldestramente irreggimentato, finisce nei pressi di una falda acquifera che, attraversando i terreni, raggiunge il fiume Budello e quindi il mare e in parte sbocca in un pozzo fino a qualche tempo fa utilizzato per irrigare le piante (soprattutto agrumeti) dei fondi limitrofi;
   ad essere incriminata è l'ex discarica, in contrada Marrella, utilizzata ed in proprietà della TEC Veolia – società che fino al 2012 ha gestito l'inceneritore di Gioia Tauro – cui sono stati apposti i sigilli, non ancora bonificata, dalla quale sembra fuoriesca percolato che scende a valle interessando il fondo privato di proprietà dei signori Murdaca/Condello;
   nel 2014, un incaricato del tribunale civile di Palmi trasmise al comune una relazione con i risultati delle indagini di laboratorio eseguite su alcuni campioni di terreno e di liquido prelevato dai pozzi che ne attestavano l'inquinamento e fu quindi emessa un'ordinanza comunale con cui si disponeva a tempo indeterminato il divieto di utilizzare quelle acque per l'irrigazione e il pascolo e di consumare alimenti lì prodotti;
   il 18 aprile 2016 la regione Calabria ha effettuato delle analisi sulle falde acquifere e superficiali del fondo Murdaca/Condello al cui esito, con determina n. 745 del 21 giugno 2016, ha decretato di indire, con somma urgenza, una gara per il «prelievo, trasporto e trattamento del rifiuto – classificato con CER 19.07.03 – (...) da conferire presso impianti autorizzati»;
   nella determina regionale si evince che la contaminazione è accertata, l'ipotesi dell'inquinamento del torrente Budello è concreta e che l'Amministrazione comunale Pedà, attualmente in carica «visto che si sono svolti diversi incontri con tutti i soggetti interessati» non poteva non conoscere le seguenti circostanze:
    la presenza di una «contaminazione già accertata della falda superficiale in corrispondenza del fondo privato Murdaca/Condello»;
    la necessità «di contenere ogni potenziale situazione di pericolo, anche alla luce della presenza del torrente Budello nelle immediate vicinanze del sito»;
   è prevista una spesa di 650.000 euro per il 2016 e 2017 per il prelievo e trasporto di 13 mila tonnellate di percolato a 50 euro a tonnellata –:
   se il Governo non ritenga necessario ed opportuno valutare se sussistano i presupposti per promuovere, per quanto di competenza, un'ispezione del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente così che venga individuata l'origine del percolato e vagliata l'ipotesi di inquinamento del torrente Budello, informandone, al contempo, correttamente l'ignara ed inerme popolazione gioiese. (4-14358)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che nel territorio del comune di Gioia Tauro, in località Marrella, sono presenti due discariche di cui una comunale ed una privata (ex TEC s.p.a.) contigue tra loro, entrambe dismesse e poste sotto sequestro dall'autorità giudiziaria.
  L'area di località Marrella, inoltre, risulta da tempo attenzionata a causa delle numerose criticità emerse nel corso del tempo, soprattutto a seguito dell'abbandono da parte del gestore della discarica privata, il quale non ha completato le attività di chiusura definitiva e di post gestione trentennale della stessa.
  Al fine di individuare una soluzione alle suddette criticità, si sono svolti diversi incontri con tutti i soggetti interessati, anche alla luce del diretto coinvolgimento del comune di Gioia Tauro, nella qualità di proprietario e gestore della contigua discarica comunale, nonché custode di entrambe le discariche poste sotto sequestro.
  Nel corso di tali incontri e di sopralluoghi congiunti, è emerso che il comune, nonostante i solleciti dell'ufficio rifiuti della regione Calabria, non ha avviato tutte le necessarie attività finalizzate al contenimento delle problematiche più volte evidenziate tra cui lo smaltimento del percolato che si produce nella discarica comunale e le attività di controllo e verifica della tenuta della chiusura definitiva della stessa.
  Tali circostanze hanno portato l'ufficio rifiuti della regione a determinarsi per l'attivazione di alcuni procedimenti sull'intera area in via sostitutiva al comune di Gioia Tauro da una parte, e al gestore privato dall'altra.
  La criticità più allarmante emersa nel corso dei diversi sopralluoghi è risultata essere la contaminazione delle acque di falda superficiali presenti nel fondo di proprietà privata posto a valle delle discariche in parole, situazione già oggetto di controversia in passato con il comune di Gioia Tauro e il gestore della discarica privata. Nelle more della definizione degli interventi risolutivi, al fine di contenere ogni potenziale situazione di pericolo, anche alla luce della presenza del Torrente Budello nelle immediate vicinanze del sito, si è ritenuto di dover procedere, in data 18 aprile 2016, all'esecuzione del prelievo di alcuni campioni dell'acqua presente nel pozzetto di raccolta, al fine di accertare la tipologia della contaminazione e di assegnare al liquido il corretto codice Cer per lo smaltimento.
  Tutto ciò premesso, vengono qui di seguito brevemente elencate le attività poste in essere dal settore rifiuti della regione Calabria finalizzate alla risoluzione delle criticità presenti:
   con decreto del dirigente generale del 21 dicembre 2015, è stato affidato il servizio di prelievo, trasporto e smaltimento in impianti autorizzati del percolato (Cer 190703) rinvenuto presso la discarica per rifiuti non pericolosi ubicata in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 139.971,00 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 18 maggio 2016 è stato affidato il servizio in somma urgenza per le attività conseguenti all'accertamento di contaminazione delle acque di falda superficiale presso le discariche per rifiuti non pericolosi ubicate in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 210.000,00 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 21 giugno 2016 è stato affidato, a seguito di procedura negoziata, l'incarico professionale relativo alla redazione del piano di caratterizzazione ed eventuale analisi di rischio del sito potenzialmente contaminato, sede di discariche, ubicato in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 12.090,00 (attività in corso);
   con decreto del dirigente generale del 27 luglio 2016 è stato affidato, a seguito di procedura negoziata, l'incarico professionale relativo alla redazione dell'aggiornamento del progetto esecutivo di copertura definitiva della discarica di proprietà ex Tec spa e del progetto esecutivo del consolidamento del costone lato nord della medesima discarica, ubicata in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 34.888,19 (attività in corso);
   con decreto del dirigente generale del 17 ottobre 2016 è stato affidato il servizio relativo agli interventi di pulizia per la prevenzione incendi nell'ambito della discarica privata sita in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 7.200,00 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 25 ottobre 2016 è stata aggiudicata la gara ad evidenza pubblica per il servizio di prelievo, trasporto e trattamento del rifiuto – classificato con C.e.r. 19.07.03 – liquido prodotto nella discarica privata ex Tec Veolia nonché di quello rinvenibile nell'area di proprietà privata Murdaca/Condello a valle della suddetta discarica e di quella comunale, entrambe site in località Marrella nel comune di Gioia Tauro (RC), da conferire presso impianti autorizzati per un importo di 626.275,00 (attività in corso);
   con decreto del dirigente generale del 26 ottobre 2016 è stato affidato il servizio da svolgere a garanzia dell'accesso giornaliero per lo svolgimento dell'attività di prelievo e smaltimento delle acque contaminate nel fondo di proprietà privata in località Marrella nel comune di Gioia Tauro (Reggio Calabria) per un importo di euro 5.132,75 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 25 novembre 2016 è stata indetta la procedura ai sensi dell'articolo 36 comma 2, lettera b) del decreto legislativo n. 50 del 2016 per l'affidamento dell'incarico professionale per la progettazione esecutiva, direzione lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e collaudo di un impianto mobile per il prelievo e trattamento delle acque di falda, in previsione di una messa in sicurezza di emergenza in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 60.000,00 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 20 dicembre 2016 è stata affidata l'esecuzione delle prove sui materiali nell'ambito dell'aggiornamento del progetto esecutivo di copertura definitiva della discarica di proprietà ex Tee spa, ubicata in località Marrella nel comune di Gioia Tauro per un importo di euro 6.218,00 (attività conclusa);
   con decreto del dirigente generale del 24 gennaio 2017 è stato affidato, a seguito di procedura negoziata, l'incarico professionale per la progettazione esecutiva, direzione lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e collaudo di un impianto mobile per il prelievo e trattamento delle acque di falda, in previsione di una messa in sicurezza di emergenza in località Marrella nel Comune di Gioia Tauro per un importo di euro 24.582,25 (attività in corso);
   con decreto del dirigente generale del 10 febbraio 2017 è stato approvato il piano di caratterizzazione ambientale ex decreto legislativo n. 152 del 2006 dell'area sita in località Marrella, nel comune di Gioia Tauro sede di due discariche per rifiuti solidi non pericolosi ed è stata indetta gara mediante procedura aperta sotto soglia comunitaria nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 36, 59 e 60 e 95 comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016 per l'affidamento dell'esecuzione dello stesso per un importo di euro 315.000,00 (attività in corso).

  Inoltre, in attesa delle risultanze del piano di caratterizzazione, le attività di contenimento della contaminazione della falda, vengono regolarmente svolte dalla regione Calabria con il supporto dell'Arpa Calabria Dap Reggio Calabria.
  Si sottolinea infine che, essendo il sito posto sotto sequestro, ogni attività viene coordinata con la Procura di Palmi e con la polizia giudiziaria delegata (Regione Carabinieri-Forestale «Calabria» stazione di Laureana di Borrello).
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei prossimi 5-6 mesi il Banco di Sardegna perderà non meno di 400 dipendenti, tra pensionamenti naturali ed esuberi (con trattamenti, pare, adeguati);
   gli uscenti non verranno rimpiazzati con l'operatività del Banco che si ridurrà, a meno che gli uscenti siano «nullafacenti», cosa a giudizio dell'interrogante francamente poco credibile;
   la Fondazione Sardegna ha «investito» nella BPER, trasformando il credito che aveva in quell'istituto a seguito della cessione delle quote del Banco, e ne ha acquistato i titoli diventandone socio intorno al 2 per cento ottenendo nel 2015 «ben» 77 mila euro per un investimento di 78,5 milioni, ossia un ritorno estremamente ridotto;
   a pagina 17 della relazione al bilancio al 30 settembre 2016, si legge che si è trattato di una «partecipazione strategica»; si fa riferimento a una partecipazione strategica in un istituto di cui si è co-proprietari e non ci si preoccupa di quello che succede nel Banco di Sardegna;
   la BPER ha perso il 49 per cento del valore del titolo nel corso di quest'anno;
   il Documento di registrazione, effettuato dalla BPER presso la Consob del 27 giugno 2016, contiene le informazioni sull'istituto e sul gruppo rivolte agli investitori in previsione di sottoscrizione di azioni emesse dalla BPER a seguito della trasformazione delle banche cooperative in società per azioni;
   a pagina 2 del documento sopra richiamato vengono riportati i rischi per gli investitori: in Italia è l'istituto in condizioni finanziarie peggiori rispetto agli altri istituti della sua categoria e presenta rischi maggiori;
   il valore delle sofferenze è aumentato sensibilmente ed è continuato anche per l'anno in corso;
   la Fondazione Sardegna fa «investimenti strategici» nella Bper, sottraendo fondi rilevantissimi all'economia sarda nonostante la nota situazione della Bper –:
   se, alla luce dei poteri di vigilanza del Governo nelle fondazioni bancarie, non ritenga di dover valutare gli atti segnalati e conseguentemente assumere le necessarie iniziative di competenza per tutelare le risorse finanziarie della Fondazione Sardegna;
   se non ritenga necessario monitorare, per quanto di competenza, le operazioni richiamate evitando il rischio che si possa utilizzare la fondazione Sardegna per favorire, coprire o avallare azioni che finiscono per nuocere gravemente ai risparmiatori sardi;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare la smobilitazione dei servizi sul territorio regionale insulare già gravemente colpito dal gap insulare anche per il credito. (4-15073)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, concernente i rapporti di partecipazione della fondazione di Sardegna nel banco di Sardegna Spa, società bancaria e conferitaria, e nella Bper.
  In via preliminare, per quanto concerne la gestione delle risorse patrimoniali della Fondazione di Sardegna, si fa presente che la stessa, in attuazione delle linee guida previste dal protocollo d'intesa Mef – Acri del 22 aprile 2015, ha avviato il processo di analisi delle partecipazioni detenute ai fini di una pianificazione strategica degli investimenti volta ad ottimizzare l’asset allocation in coerenza con i principi di diversificazione ed adeguata redditività del portafoglio investito.
  In particolare, a seguito del suddetto processo di valutazione, con cui si è proceduto, come detto, alla verifica, tra l'altro, dell'adeguata diversificazione del portafoglio ai fini del contenimento della concentrazione del rischio, la fondazione ha comunicato «che l'attuale articolazione dell'esposizione verso il settore bancario, fortemente concentrata sulla conferitaria, risulta subottimale...»; sono in previsione, pertanto, «le opportune operazioni sul capitale della conferitaria [banco di Sardegna Spa], ivi compresa la cessione parziale o totale della partecipazione attualmente detenuta, utili a perseguire la migliore valorizzazione del patrimonio complessivo della fondazione in linea con i criteri generali e le previsioni statutarie relative al perseguimento degli scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico della Sardegna».
  Inoltre, per quanto concerne le risultanze degli investimenti effettuati in banco di Sardegna Spa e BPER, dai riscontri effettuati, si è appurato quanto segue: il credito vantato dalla fondazione di Sardegna per la cessione della quota detenuta nel banco di Sardegna Spa è stato dalla Bper interamente onorato al netto di restanti 10 milioni di euro di obbligazioni con un rendimento al 4,94 per cento (a fronte di un rendimento dei BTP a 10 anni attualmente intorno al 2 per cento) e con scadenza al 31 dicembre 2017.
  L'investimento della fondazione di Sardegna in Bper si inquadra nel contesto delle attività ordinarie e vede attualmente un valore al prezzo d'acquisto di 104,08 milioni di euro.
  Gli investimenti effettuati nel banco di Sardegna Spa e in Bper costituiscono, insieme ad altri asset, gli investimenti strategici della fondazione di Sardegna, per un ammontare complessivo a valori di carico pari a 634,07 milioni di euro su un patrimonio totale di 980,99 milioni.
  Si precisa, infine, che non vi è stata una smobilitazione dei servizi sul territorio sardo anzi si evidenzia che la redditività complessiva degli investimenti della fondazione nel 2016 è stata superiore al 3 per cento, circostanza che ha consentito alla fondazione di Sardegna di erogare nei settori di intervento un importo complessivo di 18,5 milioni di euro, in crescita rispetto agli esercizi precedenti.
  Ciò rivela che, nel 2016, vi è stato un miglioramento in relazione alle erogazioni che la fondazione di Sardegna ha effettuato a favore della propria collettività di riferimento e dunque in relazione alla realizzazione di finalità di sviluppo economico e sociale del territorio sardo, in linea con quanto previsto dal proprio Statuto.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il costante e forte aumento della mobilità delle persone a livello globale richiede un coerente sviluppo dei servizi di sostegno e una maggiore fluidità nel riconoscimento a livello transnazionale delle prerogative individuali legate ad autorizzazioni amministrative;
   la possibilità di utilizzare le patenti di guida in diverse realtà di studio e di lavoro rappresenta una condizione essenziale per l'esercizio delle attività e delle professioni che si svolgono contemporaneamente o in periodi alterni in due Paesi;
   tra l'Italia e il Brasile, tra i quali negli ultimi lustri si sono sviluppati consistenti fenomeni di reciproca immigrazione e di mobilità per ragioni di studio, di lavoro e di professione, dal 2008 sono in corso contatti bilaterali volti ad aggiornare alla luce delle novità intervenute un accordo sul reciproco riconoscimento delle patenti di guida;
   tali rapporti hanno visto impegnati i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e degli affari esteri e della cooperazione internazionale con gli omologhi brasiliani in un prolungato e intenso scambio di informazioni e indirizzi, allo scopo di attualizzare l'accordo del 2008, che ha conosciuto già da qualche tempo la definitiva trasmissione da parte brasiliana della documentazione e dei pareri necessari al buon esito della lunga vicenda;
   per il tempo decorso e per l'urgenza dei problemi pratici connessi alla risoluzione della questione c’è una viva e diffusa attesa sia tra i brasiliani residenti in Italia che tra gli italiani residenti in Brasile, alla quale è giusto dare risposte non più procrastinabili e certe –:
   in quali tempi il Governo ritenga di poter dare una risposta conclusiva e di poter firmare il protocollo di aggiornamento dell'accordo bilaterale tra Italia e Brasile per il reciproco riconoscimento delle patenti di guida e in quali tempi pensi che si possa avviare la fase di attuazione amministrativa dello stesso.
(4-13958)

  Risposta. — In risposta a quanto chiesto dall'interrogante, si informa che a seguito di un prolungato negoziato tecnico fra le motorizzazioni civili dei due Paesi, sotto la costante opera di impulso e stimolo di questo Ministero, in data 21 novembre 2016 si è potuto procedere alla firma dell'accordo Italia – Brasile sul reciproco riconoscimento delle patenti di guida. Tale accordo è stato formalizzato a seguito di uno scambio di note avvenuto il 2 novembre 2016 tra il sottoscritto e l'allora ambasciatore brasiliano in Italia, Ricardo Neiva Tavares. Secondo quanto previsto nel suo testo, l'accordo entrerà in vigore 60 giorni dopo lo scambio degli strumenti di ratifica tra i due Paesi.
  Da parte italiana, anche in ragione delle attese in merito ad una sollecita entrata in vigore dell'accordo, la procedura di ratifica (che, per la natura dell'atto, non ha comportato l'esame parlamentare) si è svolta con particolare rapidità ed è stata perfezionata già nel mese di dicembre 2016. Da parte brasiliana invece l'accordo non risulta finora ratificato, e potrebbe essere necessario un passaggio parlamentare dello stesso alla luce delle norme di diritto interno. Per tale ragione il Governo italiano non è nelle condizioni di poter prevedere i tempi di entrata in vigore dell'Accordo, che dipendono interamente dalla parte brasiliana. Ha tuttavia ben presente l'interesse di molti connazionali, oltre che degli stessi cittadini brasiliani, ad usufruire di quanto previsto nel testo dell'accordo.
  La Farnesina non mancherà quindi, in stretto coordinamento con l'Ambasciata d'Italia in Brasile, di continuare a fare presente alle autorità brasiliane le aspettative di una rapida ratifica dell'accordo, nell'ovvio rispetto dei tempi e dell'autonomia del Parlamento di quel Paese.
  Nelle more dell'entrata in vigore, la direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è in contatto con il dipartimento nazionale di transito brasiliano (Denatran), in preparazione della concreta applicazione dell'accordo.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   RIGONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la documentazione in possesso dell'interrogante, le ragionerie territoriali dello Stato sarebbero in ritardo nell'erogazione dei rimborsi delle somme versate a titolo di oblazione per rinuncia alla richiesta di conseguimento del titolo ablativo edilizio in sanatoria, ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326;
   la mancanza di fondi che lamentano le Ragionerie Territoriali necessari per eseguire i rimborsi accordati a seguito della procedura avviata dal Ministero dell'economia e delle finanze comporterebbe un ritardo nell'evasione delle pratiche che sarebbero ferme al 2014 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale iniziative urgenti intenda intraprendere al fine di addivenire alla conclusione della procedura, provvedendo al più presto alla restituzione delle somme che i contribuenti hanno versato.
(4-14887)

  Risposta. — Con l'interrogazione n. 4-14887, nel denunciare ritardi delle ragionerie territoriali connessi ai rimborsi di somme erroneamente o indebitamente versate al bilancio dello Stato, in relazione ai versamenti a titolo di oblazione per rinuncia alla richiesta di conseguimento del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, si chiede di intraprendere le necessarie iniziative per addivenire ad una rapida conclusione delle relative procedure.
  Occorre evidenziare, preliminarmente ed in linea generale, che l'erogazione di detti rimborsi è soggetta, caso per caso, ad una complessa istruttoria, a causa dell'ampia gamma di situazioni concrete sottese alle singole procedure, che postulano una serie di doverosi accertamenti ed a causa della pluralità delle amministrazioni coinvolte.
  Ed è stato proprio a seguito di talune criticità riscontrate in merito alle richiamate attività, che il dipartimento della ragioneria generale dello Stato, già nell'agosto 2016, ha fornito alle ragionerie territoriali dello Stato – in seguito RTS – nuove indicazioni, mirate alla razionalizzazione dei processi ed alla corretta gestione delle risorse, così come di seguito esposte.
  Si precisa, preliminarmente, che i rimborsi competono alle amministrazioni titolari del pertinente capitolo di entrata, ove nel proprio stato di previsione sia presente il corrispettivo capitolo di spesa. Pertanto, compete alle amministrazioni interessate effettuare la relativa istruttoria e provvedere all'emissione del titolo di pagamento.
  E ciò ai sensi dell'articolo 68, comma 2, delle Istruzioni sul servizio di tesoreria dello Stato, approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, in data 29 maggio 2007, che prevede, infatti, che «Al rimborso delle somme erroneamente o indebitamente versate all'erario provvede l'Amministrazione che le ha acquisite, con le modalità previste per il pagamento delle spese dello Stato».
  Ovviamente, ove le amministrazioni competenti, verificata la sussistenza dei presupposti per procedere al rimborso, riscontrassero una carenza o una insufficienza di disponibilità sul pertinente capitolo di spesa, provvederanno a richiedere, con l'ordinaria procedura, l'integrazione dello stanziamento del capitolo, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
  La predetta richiesta dovrà essere adeguatamente motivata con la puntuale indicazione degli importi da rimborsare, delle ragioni del rimborso e dei beneficiari.
  Solo nell'ipotesi in cui le amministrazioni competenti non abbiano, nel proprio stato di previsione il corrispondente capitolo di spesa, vi provvedono le Ragionerie territoriali dello Stato, come disposto dal successivo comma 3, dell'articolo 68 delle Istruzioni sul servizio di tesoreria dello Stato («La DPSV è competente a disporre il rimborso delle somme erroneamente o indebitamente versate in conto entrate del Mef (Capo X), ovvero a capi diversi dal Capo X, nel caso in cui le Amministrazioni competenti non abbiano, nel proprio stato di previsione, apposito capitolo di spesa»), a valere sulle risorse del cap. 2130 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, recante la denominazione «restituzione delle somme erroneamente versate alle Tesorerie dello Stato», assegnate dal dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, direzione dei servizi del tesoro.
  Anche in tal caso le amministrazioni dovranno comunque provvedere alla relativa istruttoria, trasmettendo alle ragionerie territoriali dello Stato, unitamente alla documentazione a corredo della richiesta di rimborso, specifica attestazione recante l'indicazione degli importi da rimborsare, delle ragioni del rimborso e dei beneficiari, corredata del «nulla osta a pagare», dando altresì atto dell'inesistenza di apposito capitolo di spesa nel proprio stato di previsione.
  Si evidenzia ulteriormente, per maggiore precisione, che, in considerazione del nuovo assetto introdotto dal decreto ministeriale 3 settembre 2015, l'attività relativa ai rimborsi di somme versate al capo X e ad altri capi, (nel caso in cui le amministrazioni competenti non abbiano, nel proprio stato di previsione, apposito capitolo di spesa) è attribuita alle ragionerie territoriali dello Stato con sede nel capoluogo di regione, cui sono equiparate quelle di Trento e Bolzano.
  Riscontrate con esito positivo le istanze di restituzione o rimborso pervenute, le ragionerie territoriali inoltrano le stesse, corredate di tutta la documentazione di cui sopra, alla direzione dei servizi del tesoro del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, che, a sua volta, richiederà l'integrazione dello stanziamento sul capitolo 2130 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
  E, nel caso in cui sia già stata effettuata la relativa istruttoria e siano già stati richiesti i fondi da parte di una ragioneria territoriale non operante nel capoluogo di regione, sarà cura di quest'ultima trasmettere la documentazione alla ragioneria territoriale dello Stato attualmente competente, per i successivi adempimenti.
  Anche eventuali pagamenti in conto residui saranno effettuati dalla ragioneria territoriale dello Stato del capoluogo di Regione.
  Le integrazioni degli stanziamenti sui capitoli sono disposte con decreto ministeriale, soggetto alla registrazione della Corte dei conti.
  Dal dettaglio delle descritte istruzioni si evince una rigorosa volontà di fare fronte alla specificità delle molteplici fattispecie nel modo più condiviso e razionale possibile, dovendo, altresì, calibrare e valutare, di volta in volta, in base alle contingenti disponibilità di bilancio, le richieste di integrazione degli stanziamenti, per restituire quanto prima possibile il dovuto ai contribuenti.
Il Viceministro dell'economia e delle finanzeEnrico Morando.


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 10 febbraio 2017 in Italia ricorre il giorno del ricordo, istituito per commemorare i perseguitati italiani in Istria, Fiume e Dalmazia dal regime comunista di Tito che portò, oltre all'esodo da quelle terre, la morte di migliaia di persone lasciate morire nelle foibe, cavità naturali tipiche di quel territorio;
   tra le tante commemorazioni previste sul territorio nazionale l'interrogante ha appreso di una organizzata per l'11 febbraio dalle associazioni Resistenza e Antifascismo militante a Costa Volpino, frazione di Corti, dal titolo «Foibe» e che ha, come sottotitolo, «approfondimento critico»;
   protagonista del convegno sarà lo storico Piero Purini, conosciuto come noto «riduzionista», appartenente cioè a quella corrente che tende a sminuire la pulizia etnica perpetuata dall'esercito di Tito nei confronti degli italiani che ha scritto testualmente il 24 febbraio 2014 in polemica con l'opera «Magazzino 18» di Simone Cristicchi: «gli infoibati furono una minoranza di poche decine di persone»; «sull'esodo, ha giocato molto di più la paura di un sistema economico e politico demonizzato dal fascismo, dalla Chiesa e dall'influente DC che di la dal confine spingeva per la partenza del maggior numero di persone»; ed ancora: «per capirci: se a fini retorici dovessimo dare a questo revisionismo storico omologante un nome di persona, sarebbe quello di Giorgio Napolitano, che ne è il massimo propugnatore istituzionale. Che dire di quest'estratto da un suo famoso discorso (n.d.r. sulle Foibe) del 2007, dove ogni frase contiene un falso storico ?»;
   agli studenti che parteciperanno all'incontro saranno riconosciuti crediti formativi;
   appare scandaloso in occasione delle giornate di commemorazione di un episodio ormai riconosciuto, dopo anni di oblio, dalla storia ufficiale, che associazioni nostalgiche del comunismo organizzino una conferenza che offende la memoria delle tante vittime italiane –:
   se il Governo non ritenga inopportuna e in contrasto con lo spirito delle commemorazioni l'assegnazione di crediti formativi per gli studenti partecipanti a questo evento. (4-15527)

  Risposta. — In merito all'iniziativa rappresentata nell'interrogazione, si è preceduto ad acquisire le necessarie informazioni dall'ufficio scolastico regionale per la Lombardia.
  Il competente ufficio scolastico regionale, dopo aver chiesto notizie alle stesse istituzioni scolastiche, ha comunicato al Ministero che le scuole della zona di Costa Volpino e, più in generale, della provincia di Bergamo non sono state coinvolte nell'evento, di cui hanno avuto solo notizia per il tramite di volantini pubblicitari.
  Si precisa che l'incontro – come riportato da articoli di stampa locale – si è svolto sabato 11 febbraio 2017 in orario extrascolastico, senza la partecipazione delle istituzioni scolastiche del territorio.
  Ne consegue, con tutta evidenza, che non è stato deliberato il rilascio di alcun «credito formativo»; ciò è stato confermato dagli stessi dirigenti scolastici delle scuole secondarie di secondo grado del territorio.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   SCAGLIUSI, DEL GROSSO, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, SPADONI, PETRAROLI, NESCI e BATTELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
   molti Paesi richiedono l'emissione, sul passaporto, di un visto di ingresso; procedura che spesso richiede svariate settimane, limitando quindi l'effettiva capacità di espatrio dei titolari degli stessi;
   vi sono categorie di lavoratori quali piloti e assistenti di volo ai quali, per motivi di servizio, viene richiesto di viaggiare da e verso Paesi tra di loro incompatibili (come ad esempio Israele e Arabia Saudita che non permettono l'entrata nel Paese con lo stesso passaporto); tali lavoratori, proprio per i turni a cui sono sottoposti, non riescono a recarsi presso la questura di residenza per «scambiare» il passaporto prendendo quello depositato;
   i piloti e gli assistenti di volo, impegnati in attività non programmate quali ad esempio servizi di aerotaxi o l'evacuazione di emergenza, non hanno possibilità di conoscere in anticipo le destinazioni presso cui faranno scalo nello stesso turno di servizio. La durata continua della turnazione lavorativa di alcune settimane rende impossibile una pianificazione dei visti presenti sul passaporto, o della compatibilità con il Paese di scalo del passaporto detenuto al momento della partenza;
   in queste particolari circostanze l'uso da parte dei membri di un equipaggio di un documento di navigazione aerea, rilasciato ai sensi della convenzione sull'aviazione civile firmata a Chicago il 7 dicembre 1944, non risulta idoneo in quanto non tutti i Paesi vi hanno aderito e comunque non sarebbe valido nel caso in cui il navigante prenda servizio su uno scalo estero posizionandosi come passeggero con altri voli commerciali (non della propria compagnia) e solo successivamente prendendo servizio con il proprio aeromobile; in questi casi, i membri di un equipaggio entrano nel Paese dove inizieranno il loro servizio come semplici passeggeri motivo per il quale avranno bisogno del visto;
   l'attuale crisi in cui versa il settore aeronautico italiano, le possibilità di lavoro all'estero offerte dal mercato comune e la richiesta al momento di assunzione presso compagnie estere di possedere più passaporti per ovviare ai problemi qui esposti, pone la categoria del personale navigante di cittadinanza italiana in una situazione di svantaggio nei confronti dei colleghi europei;
   la Repubblica italiana regola il rilascio dei passaporti con la legge n. 1185 del 1967. Tuttavia, su tale legge non è evidenziato alcun limite in riguardo al numero massimo di passaporti ottenibili da ciascun cittadino. L'articolo 9 della stessa legge già prevede in casi speciali il rilascio di speciali disposizioni nell'interesse generale del lavoro italiano all'estero e per tutela dei lavoratori, così come tutelato in modo propositivo dall'articolo 35 della Costituzione repubblicana;
   il rilascio di un eventuale secondo passaporto è inoltre regolamentato dal decreto del Ministro degli affari esteri n. 303/33 del 2010. Lo stesso integra la legge n. 1185 del 1967 disciplinando i casi speciali già dalla stessa previsti, tuttavia ponendo un limite al solo rilascio di un secondo passaporto;
   sentiti i pareri degli uffici competenti in materia di rilascio passaporti, sia al Ministero dell'interno sia presso l'ufficio III del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, i quali pongono il problema del rilascio di un terzo passaporto che sarebbe in contrasto con il decreto n. 303/33 del 2010, il quale di fatto non esclude il rilascio di un numero maggiore di passaporti, ma regola esclusivamente lo specifico caso del rilascio di un secondo passaporto, ponendo quindi la questione del rilascio e della detenzione contemporanea di tre passaporti solo come un problema tecnico di procedura e non come un problema legislativo;
   il decreto n. 303/014 del 2009 all'articolo 7 prevede una banca dati dei passaporti che rende gli stessi registrati e perfettamente tracciabili;
   ad oggi, non risultano all'interrogante motivi ostativi presso nazioni estere, che ritengano il possesso di più di un passaporto in contrasto con le disposizioni di legge locali. In aggiunta, la maggioranza dei Paesi aderenti all'Unione europea pone limiti ben diversi da quelli posti in Italia. Ad esempio, in Germania è possibile ottenere fino ad un massimo di 4 passaporti, mentre nel Regno Unito vi è un limite massimo di 3 passaporti;
   il limite massimo di 2 passaporti e la non contemporanea detenzione dei passaporti posto ai cittadini della Repubblica italiana li pone in una situazione di svantaggio nei confronti dei cittadini degli altri Stati europei a giudizio dell'interrogante in evidente contrasto con l'articolo 35 della Costituzione;
   il limite massimo di 2 passaporti quando entrambi sono presentati presso le ambasciate per il rilascio dei visti reca pregiudizio al diritto dei membri di equipaggi membri di equipaggi impegnati presso compagnie estere di uscire dal territorio italiano ai sensi dell'articolo 16 della Costituzione –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative che vadano incontro alla categoria del personale navigante che per comprovate esigenze di servizio si trovi nella necessità di avere con sé contemporaneamente più di due passaporti, vista l'importanza di quale misura per tale personale (piloti e assistenti volo) impiegato presso compagnie estere. (4-13609)

  Risposta. — In relazione a quanto prospettato dall'interrogante si fa presente che già nel 2015 la Farnesina aveva avuto modo di esaminare, con il Ministero dell'interno, la questione relativa all'eventuale rilascio di un terzo passaporto a favore di piloti ed assistenti di volo di una compagnia aerea privata.
  Ne emerse che la normativa vigente consente unicamente il rilascio di un secondo passaporto. Infatti, il decreto ministeriale n. 303/33 del 28 giugno 2010 prevede che al cittadino italiano già titolare di un passaporto in corso di validità possa essere eccezionalmente rilasciato un secondo passaporto ordinario qualora, per particolari e comprovate contingenze di carattere internazionale, risulti opportuno l'uso di due distinti passaporti per l'ingresso o la permanenza in determinati Stati. Tipico è il caso del connazionale che debba viaggiare in paesi stranieri tra di loro ostili.
  Il rilascio di un secondo passaporto è inoltre consentito anche quando, in caso di motivate e indifferibili esigenze professionali, l'acquisizione del visto o l'adempimento di altre procedure per l'autorizzazione all'ingresso in taluni Stati, comportino tempi di attesa incompatibili con le suddette esigenze e sempreché l'urgenza non sia imputabile a comportamenti omissivi o negligenti del richiedente.
  Infine, ad ulteriore garanzia di eventuali particolari esigenze specifiche, anche di natura professionale, la normativa ha previsto che, in via eccezionale e in presenza di circostanze di comprovata necessità e urgenza, colui che richiede un secondo passaporto possa essere autorizzato dall'ufficio emittente al possesso contemporaneo dei due libretti. In tali casi l'interessato deve essere informato espressamente delle possibili reazioni negative da parte delle autorità straniere al possesso o all'uso contemporaneo di due passaporti in corso di validità.
  Quanto alle ulteriori difficoltà evidenziate circa il problema dei visti apposti dalle autorità straniere, si rileva che è sempre possibile valutare, a seconda dei casi, la possibilità di emettere un nuovo passaporto in sostituzione di quello non più utilizzabile per esaurimento delle pagine o per eventuali incompatibilità tra Paesi stranieri, facendo salvi i visti in corso di validità in esso apposti.
  Giova poi evidenziare che, oltre ai due passaporti, il pilota può avvalersi per i 191 Stati membri della convenzione sull'aviazione civile (sui 193 Stati membri delle Nazioni Unite) del documento di navigazione aerea da questa previsto.
  Si ritiene dunque che le criticità segnalate dall'interrogante possano essere risolte dal contemporaneo possesso di due passaporti, senza necessità del rilascio di un ulteriore documento di viaggio.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   SCUVERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della discarica monodedicata di cemento-amianto in località Ferrera Erbognone, ad opera della società ACTA s.r.l., approvata dalla legione Lombardia nel marzo 2014, presenta varie criticità per la popolazione locale e per il territorio;
   la vicinanza alla raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi (in cui si ricorda essersi verificato un incidente il 1° dicembre nella zona Est 2, essendo divampato un incendio con conseguente rischio per la popolazione) e al centro abitato di Sannazzaro fanno del sito individuato per la discarica un luogo non idoneo ad implementare un impianto di trattamento di rifiuti anche pericolosi;
   la presenza, vicino alla discarica, di gasdotti e oleodotti ne amplifica la pericolosità;
   l'altissima vocazione agricola della zona (i cui prodotti sono riso, mais ed ortaggi) lascia profilare un alto rischio di danno ecologico;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è già espresso in occasione di ampliamenti di attività già presenti nell'area imponendo interventi di mitigazione/compensazione ambientale al fine di proteggere il territorio da una ulteriore grave compromissione dello stesso da parte di attività antropiche, anche in considerazione della vicinanza della discarica, a meno di trecento metri, a colture risicole;
   la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente (2012/2065(INI) «invita la Commissione a promuovere in tutto il territorio dell'Unione la realizzazione di centri di trattamento e inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto, prevedendo la graduale cessazione di ogni conferimento in discarica di questi rifiuti»;
   al punto 33 la citata risoluzione invita la Commissione e gli Stati membri a rafforzare i controlli necessari per imporre a tutte le parti interessate, in particolare ai soggetti coinvolti nel trattamento dei rifiuti di amianto nelle discariche, il rispetto di tutte le disposizioni in materia di salute di cui alla direttiva 2009/148/CE, e a garantire che qualsiasi rifiuto contenente amianto, indipendentemente dal contenuto di fibre, sia classificato come rifiuto pericoloso ai sensi della decisione 2000/532/CE aggiornata; sottolinea inoltre che tali rifiuti devono essere smaltiti esclusivamente in specifiche discariche per rifiuti pericolosi, in conformità della direttiva 1999/31/CE, o, previa autorizzazione, essere trattati in appositi impianti, testati e sicuri, di trattamento e inertizzazione, e che la popolazione interessata deve essere informata al riguardo;
   nella popolazione locale si è manifestata forte contrarietà alla realizzazione dell'impianto, ed è in corso anche una petizione popolare in merito –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, anche in relazione all'esigenza di ottemperare agli impegni derivanti dall'adesione all'Unione europea in materia di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto e di scongiurare rischi ambientali e sanitari. (4-15057)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dall'interrogante, fermo restando che le funzioni e i poteri in ordine al procedimento di autorizzazione dell'impianto in questione rientrano tra le competenze della regione (articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sulla base delle informazioni acquisite, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si rende noto che le attività di smaltimento dei rifiuti in discarica sono disciplinate dal decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 che costituisce attuazione della direttiva europea 1999/31/CE, con la quale vengono fornite le norme tecniche che regolano la gestione e la realizzazione degli impianti di discarica. Per quanto concerne la garanzia che i rifiuti contenenti amianto siano classificati e smaltiti in conformità alle disposizioni comunitarie, si sottolinea che tali attività sono regolate da tassativi requisiti di ammissibilità il cui rispetto deve essere garantito dalle attività di controllo, prevenzione e contrasto degli illeciti ambientali poste a carico delle province (articoli 197 e 262 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  Per quanto riguarda la realizzazione della discarica in questione, si rende noto che la regione Lombardia ha chiesto specifico parere consultivo circa la compatibilità territoriale/urbanistica del progetto con l'impianto «Eni Est» di Sannazzaro de’ Burgondi al Ministero dell'interno (Dipartimento dei vigili del fuoco, direzione regionale Lombardia).
  Il Ministero dell'interno ha espresso il relativo parere secondo il quale «... l'area in progetto è interessata dagli effetti relativi a lesioni reversibili... Tali effetti... sono compatibili, per il decreto ministeriale 9 maggio 2001, con le categorie territoriali di tipo ABCDEF. Pertanto, si ritiene soddisfatto il criterio di compatibilità territoriale...».
  Tale parere di compatibilità territoriale risulta richiamato al paragrafo 2.1 «Contesto territoriale, quadro programmatico e sistema dei vincoli» della Relazione istruttoria assentita dalla Commissione istruttoria regionale per la VIA (seduta del 12 marzo 2014) e allegata al giudizio positivo di compatibilità ambientale espresso con decreto regionale n. 2258 del 17 marzo 2014.
  Nell'ambito del successivo procedimento per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale (Aia) si sottolinea, inoltre, che sono stati introdotti elementi di precauzione: l'area di accettazione dei rifiuti è stata posta nella porzione più distante dalle attività a rischio di incidente rilevante ed è stato previsto che i primi settori di coltivazione ad essere chiusi siano quelli più vicini a dette attività; la ditta ha aggiornato il Piano di emergenza ed evacuazione recependo le indicazioni contenute nel «Piano di emergenza esterno (Pee)» della raffineria Eni.
  In particolare, nel procedimento per il rilascio di Autorizzazione integrata ambientale (Aia), conclusosi con decreto regionale n. 3291 del 27 aprile 2015, sono stati introdotti i seguenti elementi di precauzione:
   l'area di accettazione dei rifiuti è stata posta nella porzione più distante dalle attività a rischio di incidente rilevante (Rir) ed è stato previsto che i primi settori di coltivazione ad essere chiusi siano quelli più vicini alle attività Rir;
   la ditta, nel novembre 2014, ha aggiornato il Piano di emergenza ed evacuazione recependo le indicazioni contenute nel «Piano di emergenza esterno (Pee)» della raffineria Eni. In particolare (paragrafo 7.5) sono stati analizzati i rischi connessi all'attività svolta dalla raffineria Eni, evidenziando i 4 scenari incidentali che potrebbero coinvolgere il personale e le strutture interne della discarica Acta. Al paragrafo 12 è riportato il «Piano attuativo dei comportamenti in caso di emergenza esterna», contenente le azioni volte alla messa in sicurezza dell'impianto di discarica in caso di incidente presso l'adiacente raffineria. Nel decreto Aia è stato poi chiesto ad Acta di aggiornare il proprio Piano di emergenza ed evacuazione a seguito della realizzazione dell'impianto Eni Est.

  Anche nella procedura Via è stata debitamente tenuta in considerazione la presenza dell'impianto «Eni Est» precisandosi che le opere previste dal progetto di discarica Acta non interferiranno con quanto prescritto ad Eni.
  In particolare, per quanto riguarda le compensazioni ambientali, nella procedura Via è stata debitamente tenuta in considerazione la presenza dell'impianto «Eni Est», come documentato al paragrafo 3.7 «Compensazioni ambientali» della relazione istruttoria allegata al decreto regionale n. 2258 del 17 marzo 2014, dove si precisa che le opere previste dal progetto di discarica Acta non interferiranno con quanto prescritto ad Eni con decreto ministeriale Dva–Dec–2010–1014 del 31 dicembre 2010 ed, in particolare, con le opere di compensazione ambientale.
  Relativamente alla presenza di gasdotti e oleodotti, il sito di intervento risulta parzialmente interessato da vincoli derivanti dalla presenza di infrastrutture esistenti per i quali il Proponente ha richiesto specifici pareri di compatibilità/deroghe, ed in particolare:
   fascia di rispetto stradale della S.P. 28 «Gallia-Sannazzaro», per la quale il settore viabilità della provincia di Pavia ha rilasciato parere favorevole con prescrizioni;
   fascia di rispetto del metanodotto Snam rete gas s.p.a., per la quale la ditta Acta ha richiesto un avvicinamento per operazioni di scavo di 20 metri lineari misurati in senso orizzontale dal ciglio superiore della scarpata di scavo al tracciato del metanodotto. Snam rete gas ha rilasciato parere favorevole con prescrizioni;
   fascia di rispetto dell'elettrodotto Enel s.p.a. per la quale il soggetto gestore ha rilasciato parere favorevole all'interramento della linea ed all'avvicinamento del ciglio superiore della scarpata di 10 metri lineari misurati in senso orizzontale;
   fascia di rispetto dell'ossigenodotto Air liquide Italia s.r.l., per la quale la ditta Acta ha richiesto un avvicinamento per operazioni di scavo di 10 metri lineari misurati in senso orizzontale dal ciglio superiore della scarpata di scavo al tracciato dell'ossigenodotto. Air liquide s.r.l. ha rilasciato parere favorevole;
   fasce di rispetto degli oleodotti PraOil S.p.a. ed Eni s.p.a., per le quali la ditta Acta ha richiesto un avvicinamento per operazioni di scavo di 10 metri lineari misurati in senso orizzontale dal ciglio superiore della scarpata di scavo al tracciato dell'oleodotto più prossimo. Eni S.p.a. ha rilasciato parere favorevole con prescrizioni.

  In merito alla vocazione agricola della zona, a supporto della scelta localizzativa, la regione Lombardia riferisce che la ditta Acta ha effettuato una verifica puntuale dei criteri localizzativi previsti dalle disposizioni regionali, nonché dal Piano di gestione rifiuti della provincia di Pavia.
  In tal senso, non sono stati rilevati criteri «escludenti» alla localizzazione della specifica tipologia di discarica in progetto mentre sono stati rilevati unicamente vincoli residui di tipo «penalizzante» che consentono la realizzazione dell'impianto « ...dietro particolari attenzioni nella progettazione/realizzazione dello stesso in virtù delle sensibilità ambientali rilevate...». Inoltre, per quanto riguarda il consumo di suolo agricolo, l'impianto viene realizzato in un contesto agricolo caratterizzato da un basso valore naturalistico, data l'adiacenza alla raffineria ed il recupero del sito prevede una destinazione finale a verde/agricola non destinata alle produzioni alimentari, umane o zootecniche. Si segnala, inoltre, che l'esercizio previsto per la discarica è di 10 anni, tra scavi e conferimenti, al termine dei quali verrà realizzata una copertura finale di spessore complessivo di 1,8 metri compreso lo strato vegetale superficiale, favorendo con compost di qualità l'inerbimento della superficie e la progressiva piantumazione di specie arbustive autoctone con apparati radicali poco profondi che non compromettano la sigillatura finale.
  Relativamente alla distanza dal centro abitato di Sannazzaro, regione Lombardia evidenzia come gli aspetti di natura sanitaria siano stati affrontati valutando specificatamente le massime ricadute derivanti da una situazione emergenziale presso la discarica e rilevando l'assenza di recettori sensibili potenzialmente impattati.
  A maggior ragione il centro abitato, posto ad una distanza maggiore di quella prevista per le massime ricadute, non è stato considerato impattato.
  In corso di istruttoria sono state comunque richieste opere di tipo mitigativo/compensativo e sono state escluse anche potenziali interferenze con le opere compensative prescritte da questo Ministero nell'ambito della procedura di Via relativa alla realizzazione dell'ampliamento dell'insediamento Eni con la prevista realizzazione dell'impianto Eni Est.
  In merito all'informazione della popolazione interessata dalla localizzazione di un impianto di smaltimento dell'amianto, la regione evidenzia che i medesimi obblighi sono espressamente previsti dal legislatore nazionale per i procedimenti di Via [pubblicazione quotidiano, pubblicazione sul sito dell'autorità competente ecc.], tutti obblighi adempiuti nell'ambito del procedimento ambientale in questione.
  Si comunica, inoltre, che la regione Lombardia è in fase di interlocuzione con il Comitato tecnico regionale per verificare l'attualità delle valutazioni inerenti la compatibilità territoriale tra l'impianto Eni Est e la discarica Acta, anche a seguito dell'incidente del 1o dicembre 2016, e provvederà a svolgere ulteriori ricognizioni sulle prescrizioni degli atti ministeriali concernenti eventuali modifiche all'autorizzazione dell'impianto Eni Est influenti sulla discarica di cemento amianto della ditta Acta.
  Si ricorda, infine, che il decreto ministeriale n. 101 del 18 marzo 2003 regolamenta la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n. 93.
  In particolare, l'articolo 1 di tale decreto ha affidato alle regioni e alle province autonome il compito di procedere all'effettuazione della mappatura e di comunicarne i risultati al Ministero dell'ambiente entro il 30 giugno di ogni anno.
  Le modalità di esecuzione della mappatura sono state concordate e definite a livello nazionale con le stesse regioni e province autonome che hanno creato un apposito gruppo interregionale sanità ed ambiente. Ai fini della mappatura è stata altresì predisposta dall'Inail, su apposita convenzione con questo Ministero, una banca dati amianto, in cui rientrano circa 34.000 sui interessati dalla presenza di amianto in 19 regioni.
  Allo scopo di garantire la congruenza dei dati censiti con le informazioni ad oggi disponibili, derivanti da rilevazioni aerofotogrammetriche effettuate per l'identificazione delle coperture in amianto in alcune regioni, questo Ministero sta verificando e aggiornando i dati contenuti nella banca dati amianto. All'esito della verifica dei dati, sarà possibile identificare i siti a maggiore rischio e assicurare una programmazione dei necessari interventi.
  Sono diverse, inoltre, le iniziative di finanziamento che questo Ministero ha di recente attivato in merito alla rimozione dell'amianto. In particolare si segnala che:
   con decreto ministeriale del 21 settembre 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2016) è stato istituito presso il Ministero dell'ambiente il fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica su edifici e strutture pubbliche;
   con decreto ministeriale del 15 giugno 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2016) è stato istituito un «Credito d'imposta amianto per imprese» che prevede la concessione, a favore delle imprese, di un credito d'imposta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute per interventi di bonifica dall'amianto su beni e strutture produttive, effettuati e conclusi nel 2016. Il finanziamento complessivo è pari a 17 milioni di euro, e l'agevolazione non spetta per investimenti di importo unitario inferiore a 20 mila euro. Le agevolazioni sono concesse nei limiti e nelle condizioni del regolamento europeo che prevede che il finanziamento pubblico alle imprese uniche non possa superare, nel triennio, 100 mila euro per le imprese di trasporto merci per conto terzi, e 200 mila euro per le altre.

  Da ultimo, si segnala che in data 29 novembre 2016 è stato presentato al Senato un disegno di legge per riordinare ed aggiornare la normativa in materia di amianto in un Testo unico, facendo un passo avanti nella semplificazione di una disciplina che, al momento, risulta troppo frammentaria e di difficile consultazione.
  La vicenda interessa comunque diversi profili di competenza ed ambiti amministrativi, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio e a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DEL GROSSO, DI BATTISTA e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la società Dante Alighieri, fondata nel 1889, è un ente morale istituito con regio decreto del 18 luglio 1893, n. 347, che ha lo scopo di «tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all'estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l'amore e il culto per la civiltà italiana»;
   in base alla legge 3 agosto 1985, n. 411, è concesso un contributo annuo «allo scopo di facilitare lo sviluppo della sua attività all'estero in conformità con i suoi fini statutari e in armonia con l'azione svolta dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale»;
   ai sensi dell'articolo 26, commi 2 e 3, della legge 11 agosto 2014, n. 125, e dell'articolo 17 del decreto ministeriale del 22 luglio 2015, n. 113, sono state definite le linee guida dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per l'iscrizione all'elenco dei soggetti senza finalità di lucro, secondo le quali i soggetti della cooperazione che possono ricevere contributi pubblici devono avere tutti i requisiti elencati, tra cui la pubblicità del bilancio online sul sito web insieme alla descrizione delle attività svolte e ai risultati ottenuti;
   lo stesso principio viene sancito dalla proposta di legge presentata dall'interrogante, «Disposizioni concernenti la trasparenza della gestione e la pubblicità dei bilanci degli enti e delle associazioni senza fine di lucro e delle fondazioni di origine bancaria di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153» (C. 1695);
   i soggetti riconosciuti idonei dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a ricevere contributi dovrebbero, senza alcuna distinzione di natura giuridica, se non quello di essere enti senza scopo di lucro, essere soggetti all'obbligo di pubblicazione dei propri bilanci;
   dal sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si evince che il contributo versato al bilancio della società Dante Alighieri relativo all'anno 2015 è pari a 600.000 euro; tuttavia, non è presente alcun bilancio analitico del contributo pubblico in questione –:
   di quali elementi disponga in merito a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative per vincolare il contributo statale alla pubblicità dei bilanci dei soggetti senza finalità di lucro che lo ricevono. (4-15355)

  Risposta. — L'articolo 3 della legge 3 agosto 1985 n. 411 dispone che la società Dante Alighieri presenti a questo ministero, entro il mese di febbraio di ciascuno degli anni nei quali riceve il contributo statale ordinario, il proprio bilancio consuntivo. Tale bilancio, corredato da una relazione sull'attività svolta nell'anno finanziario immediatamente precedente, viene trasmesso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale al Parlamento entro trenta giorni dalla sua ricezione.
  Per l'esercizio 2015, il bilancio e la relazione sulle attività della società Dante Alighieri risultano regolarmente ricevuti dalle Camere, completi dell'apposito rendiconto relativo alla destinazione del contributo governativo. In tale documento si precisa che lo stanziamento 2015, pari a 600.000 euro, è stato impiegato esclusivamente per attività didattiche e scientifiche relative alla promozione della lingua e della cultura italiana. Una significativa preponderanza dei fondi, pari ad oltre il 70 per cento dell'importo complessivo del contributo ricevuto, è stata destinata a sostegno del «progetto lingua italiana Dante Alighieri» (PLIDA).
  Per quanto riguarda, infine, l'obbligo di pubblicità dei bilanci da parte degli enti senza fini di lucro che percepiscono contributi pubblici da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, si precisa che il bilancio della società Dante Alighieri relativo all'esercizio 2015 è pubblicato sul sito dell'ente, nella sezione «Trasparenza».

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   VAZIO, GADDA, MORETTO, DONATI, MARCO DI MAIO, FREGOLENT, FANUCCI, DALLAI, PARRINI, ERMINI, MORANI, CRIMÌ, BERGONZI e DE MENECH. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente della regione Vallonia dello Stato federale del Belgio ha recentemente avviato una campagna pubblicitaria contro l'abbandono di rifiuti lungo le strade, come evidenziato ad esempio nella pagina web – http://www.sofico.org/. A tal fine, sono stati realizzati una serie di cartelloni informativi che ritraggono un maiale alla guida di una autovettura — che presenta tutte le caratteristiche della nota Fiat 500 storica — e che getta un sacco dell'immondizia in mezzo alla carreggiata;
   l'immagine è di sicuro impatto, ma desta — a detta degli interroganti grande sconcerto e perplessità per la precisa scelta grafica di disegnare una Fiat 500 storica, in luogo di un'autovettura generica;
   la Fiat 500, oltre ad essere una vettura di indubbio valore storico, rappresenta un simbolo dell'italianità nel mondo;
   tali valori hanno addirittura portato, nel lontano 1984, alla costituzione del Fiat 500 Club Italia, dedicato alla 500 storica progettata da Dante Giacosa nel 1957. Si tratta del più grande Club di modello al mondo, contando più 21.000 soci, in Italia così come all'estero;
   la Fiat 500 storica trasmette, anche grazie alla vasta filmografia esistente, l'immagine più positiva dell'Italia e del popolo italiano nel mondo, rappresentandone i valori di genuinità, affidabilità, familiarità, orgoglio storico ed ingegneristico;
   il suddetto accostamento pubblicitario — a parere degli interroganti intacca l'onorabilità del marchio della casa produttrice Fiat, e colpisce al cuore il Fiat 500 Club e la sensibilità delle migliaia di collezionisti d'auto d'epoca presenti in tutto il mondo;
   infine, tale messaggio, così come costruito nella specifica campagna pubblicitaria, a parere degli interroganti, lede l'immagine stessa dell'italianità nel mondo e la sensibilità del popolo italiano –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nei confronti del Governo belga in relazione al descritto utilizzo di uno dei principali simboli del made in Italy nel mondo, quale è la Fiat 500 storica, accostato ad un messaggio negativo come quello che, a giudizio degli interroganti, si intende perseguire con la suddetta campagna informativa. (4-13802)

  Risposta. — L'ambasciata d'Italia a Bruxelles ha seguito da vicino la vicenda relativa alla campagna promossa dalla Société Wallonne de financement complémentaire des infrastructures (SOFICO) per la pulizia sulle strade della Vallonia, sui cui manifesti compariva un maiale, al volante di un modello storico di Fiat 500, che disperdeva rifiuti nell'ambiente.
  Il 25 luglio scorso, l'ambasciatore d'Italia in Belgio aveva inviato una lettera all'amministratore delegato di SOFICO, Jacques Dehalu, nella quale condivideva le reazioni negative di istituzioni e associazioni italiane, argomentando come non fosse giustificabile associare un'antica e prestigiosa automobile italiana a crimini contro l'ambiente.
  Nella lettera veniva in particolare sottolineato come la campagna volesse far passare un messaggio per cui fosse più frequente che gli autori di tali crimini fossero i conducenti di veicoli italiani – o di nazionalità italiana – rispetto ad altre categorie. In essa veniva quindi richiesto a SOFICO di ritirare i manifesti di cui sopra e di presentare le scuse della società ai cittadini italiani. Copia della lettera era stata inviata anche al Ministro Presidente della Vallonia, Paul Magnette, al Vice Presidente del Governo vallone e al Ministro dei lavori pubblici, della sanità, dell'azione sociale e del patrimonio, Maxime Prevot, e al Ministro del Governo vallone per il territorio, la mobilità, dei trasporti e del benessere animale, Carlo Di Antonio.
  A seguito del passo dell'ambasciata, la campagna pubblicitaria è stata interrotta il 31 luglio scorso, e SOFICO ha informato la nostra rappresentanza diplomatica di aver disposto il ritiro anticipato dei relativi cartelloni stradali e degli adesivi esposti sui bidoni per rifiuti nelle aree di servizio. I siti web che riportavano l'immagine contestata sono stati inoltre modificati in modo che quest'ultima non possa essere scaricata.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   VECCHIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015, cosiddetta Buona Scuola, istituisce un corso di formazione e relativa prova scritta finale per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico;
   i commi 87 e successivi dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 disciplinano il corso-concorso per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico;
   l'articolo 1, comma 87, della legge n. 107 del 2015 prevede che: «Al fine di tutelare le esigenze di economicità dell'azione amministrativa e di prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico dei possibili esiti del contenzioso pendente relativo ai concorsi per dirigente scolastico di cui al comma 88, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale, volto all'immissione dei soggetti di cui al comma 88 nei ruoli dei dirigenti scolastici. Alle attività di formazione e alle immissioni in ruolo si provvede, rispettivamente, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e a valere sulle assunzioni autorizzate per effetto dell'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni»;
   il decreto ministeriale n. 499 del 2015 disciplina le modalità di svolgimento del suddetto corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale, prevedendo che siano organizzati dagli uffici scolastici regionali;
   il 5 agosto 2015 l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia, direzione generale, pubblica l'avviso di avvio della procedura per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico di cui alla legge n. 107 del 2015, articolo 1, commi 87 e successivi e al decreto ministeriale n. 499 del 20 luglio 2015;
   dal 10 al 20 agosto 2015 si è svolto il corso di formazione intensivo per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico in Sicilia;
   il 24 agosto 2015 si è svolta la prova scritta per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico nella regione Siciliana al termine del corso intensivo di formazione di cui alla legge n. 107 del 2015, articolo 1, commi 87 e successivi e al decreto ministeriale n. 499 del 2015;
   come si evince dall'allegato all'avviso prot. N. 13916 dell'URS Sicilia del 16 settembre 2015 le sedi disponibili per le immissioni in ruolo di dirigente scolastico risultano essere 83;
   il 22 settembre 2015 l'USR Sicilia procede all'assegnazione di 42 sedi di servizio ai vincitori del corso-concorso;
   il 2 ottobre 2015 l'USR Sicilia procede all'assegnazione di altre 9 sedi di servizio attraverso la procedura di nomina interregionale;
   tra i partecipanti che hanno superato la prova scritta del corso-concorso, a quanto consta all'interrogante, risultano esserci degli idonei con riserva;
   a quanto risulta all'interrogante ci sarebbero ancora numerosi posti rimasti vacanti –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato affinché si proceda all'assegnazione delle 32 sedi ancora disponibili in Sicilia al fine di tutelare le esigenze di economicità dell'azione amministrativa e di prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico regionale. (4-13239)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente che tutti i candidati risultati idonei all'esito della procedura prevista dall'articolo 1, commi 88 e seguenti, della legge n. 107 dei 2015 (corso intensivo di formazione e relativa prova scritta finale per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico) per la regione Sicilia sono stati immessi in ruolo, ad eccezione di alcuni soggetti che esclusi per mancanza del requisito di ammissione di cui alla lettera b) del citato comma 88 risultano inseriti con riserva nella graduatoria di merito in virtù di provvedimento cautelare del giudice amministrativo. Solo in caso di eventuale esito positivo del relativo contenzioso, tali ultimi soggetti potranno essere immessi in ruolo.
  Ciò posto, si rappresenta che per l'anno scolastico 2016/17 le procedure di mobilità e di immissione in ruolo sono ormai concluse da tempo ed eventuali posti vacanti e disponibili possono essere coperti, in corso d'anno, solo ricorrendo all'istituto della reggenza.
  Per quanto concerne le procedure relative all'indizione e allo svolgimento del concorso a posti di dirigente scolastico, queste sono state oggetto di diverse modifiche normative succedutesi negli ultimi anni.
  Il comma 217 della legge di stabilità per l'anno 2016 ha nuovamente trasferito la competenza relativa al corso-concorso per dirigenti scolastici dalla Scuola nazionale dell'amministrazione al Ministero stabilendo che con decreto del Ministro, siano stabilite le modalità di svolgimento della procedura concorsuale, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi.
  L'Amministrazione ha, pertanto, provveduto a definire il relativo regolamento, allo stato in corso di perfezionamento.
  Per il corrente anno scolastico si è proceduto, comunque, ad assumere 143 nuovi dirigenti scolastici, grazie allo scorrimento delle graduatorie del precedente concorso bandito nel 2011. Sono stati, quindi, coperti tutti i posti vacanti e disponibili delle regioni Abruzzo e Campania, ove sono ancora presenti idonei, nonché altri posti nel resto del Paese in virtù di quanto dispone l'articolo 1, comma 92, della citata legge n. 107 che prevede, a conclusione delle operazioni di mobilità e previo parere dell'ufficio scolastico regionale di destinazione, che i posti autorizzati per l'assunzione di dirigenti scolastici siano conferiti, nel limite massimo del 20 per cento, ai soggetti idonei inclusi nelle graduatorie regionali del concorso del 2011.
  Al riguardo si informa che, per l'anno 2016-2017, solo due candidati hanno chiesto ed ottenuto di essere immessi in ruolo nella regione Sicilia.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   VEZZALI e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha lanciato il Programma sperimentale di formazione studenti-atleti di alto livello iscritti negli istituti secondari di secondo grado statali e paritari del territorio nazionale;
   con una circolare il Ministero ha spiegato che è possibile accedere a un percorso formativo personalizzato per quegli atleti che figurino al top in Italia nella propria disciplina, con la possibilità di affrontare una parte del carico delle lezioni attraverso e-learning (esami e verifiche andranno comunque svolti in classe), seguiti da un tutor scolastico e un tutor sportivo;
   il programma è coerente con la legge n. 107 del 2015 (articolo 1, comma 7, lettera g) che individua, tra gli obiettivi formativi prioritari, l'attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica;
   per l'atletica leggera il programma riguarda i primi 12 atleti delle graduatorie nazionali di categoria;
   le scuole riceveranno le domande delle famiglie (complete di attestazione da parte della federazione) e invieranno le richieste entro venerdì 16 dicembre 2016, data limite per entrare nel percorso formativo per gli studenti-atleti;
   potranno richiedere l'ammissione alla sperimentazione:
    a) rappresentanti delle nazionali partecipanti a competizioni internazionali;
    b) per gli sport individuali atleti compresi tra i primi 12 posti della classifica nazionale di categoria giovanile all'inizio dell'anno scolastico di riferimento;
    c) studenti coinvolti nella preparazione ai Giochi olimpici invernali e paraolimpici di Pyeongchang 2018, ai Giochi olimpici estivi di Tokyo 2020, ai Giochi olimpici e paralimpici giovanili estivi di Buenos Aires 2018, ai Giochi olimpici e paralimpici giovanili invernali di Losanna 2020;
   la partecipazione al programma sarà possibile previa approvazione del progetto formativo personalizzato (PFP) da parte del Consiglio di classe e/o con una modalità avanzata di partecipazione con richiesta di utilizzo della piattaforma digitale;
   si evidenzia che l'alternanza scuola lavoro costituisce un impegno che viene richiesto nelle ore pomeridiane e che mal si concilia con le ore di allenamento, i ritiri e le gare. In alternanza scuola lavoro, le assenze, a differenza di quelle per la frequenza in classe, che sono giustificate, devono essere recuperate con evidente penalizzazione per i giovani atleti –:
   se il Programma tenga conto e in quale modo dei disagi che crea l'alternanza scuola lavoro tenendo conto che si tratta di un obbligo per i ragazzi che frequentano il triennio superiore.
(4-14949)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame che paventa la difficoltà per gli studenti-atleti di cui al programma sperimentale avviato dal decreto ministeriale n. 935 dell'11 dicembre 2015, si ricorda che l'articolo 1, comma 7, lettera g) della legge n. 107 del 2015 individua, tra gli obiettivi formativi prioritari, «... attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica».
  In attuazione della norma citata il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inteso garantire, anche attraverso l'emanazione del citato decreto ministeriale n. 935, la possibilità che istituzioni scolastiche interessate possano prendere parte ad «... un Programma sperimentale, mirato ad individuare un modello di formazione per sviluppare una didattica innovativa supportata dalle tecnologie digitali e relativa valutazione, dedicata a tutti gli studenti-atleti di alto livello iscritti negli Istituti secondari di secondo grado statali e paritari del territorio nazionale... Il programma sperimentale ha come obiettivo il superamento delle criticità della formazione scolastica degli studenti-atleti, soprattutto riferibili alle difficoltà che questi incontrano nel frequentare regolarmente le lezioni scolastiche ...».
  Tale possibilità di sperimentazione, si integra con il disposto dell'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1999, n. 59) che precisa: «Nell'esercizio dell'autonomia didattica le Istituzioni scolastiche regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune ...».
  Tra le diverse opportunità previste dalla legge n. 107 del 2015, il comma 34 richiama in tal senso esplicitamente la possibilità di inserire i percorsi in collaborazione «... con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI...». Inoltre il comma 35 prevede che «l'alternanza scuola-lavoro può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche secondo il programma formativo e le modalità di verifica ivi stabilite nonché con la modalità dell'impresa formativa simulata. Il percorso di alternanza scuola-lavoro si può realizzare anche all'estero».
  Per quanto attiene alle osservazioni contenute nell'interrogazione – che correttamente individua nella sperimentazione un'opportunità importante per accompagnare e sostenere il diritto allo studio e il successo formativo per gli studenti impegnati in attività sportive agonistiche e che richiede se sia stata contemplata la necessità che i medesimi svolgano attività di alternanza scuola-lavoro – si precisa che attualmente non è prevista deroga all'assolvimento degli obblighi di alternanza,
  Tuttavia, al line di facilitare la realizzazione di percorsi di alternanza per la categoria degli studenti-atleti, si evidenzia che in data 29 novembre 2016 è stato sottoscritto protocollo d'intesa tra il Miur e il Coni al fine di individuare misure volte al potenziamento dell'attività fisica e sportiva a scuola. Tra queste, è stata inserita una specifica misura relativa al riconoscimento del percorso di alternanza scuola-lavoro nell'ambito delle attività sportive svolte a livello agonistico.
  In attuazione quindi del citato protocollo d'intesa, le istituzioni scolastiche si trovano già oggi nella condizione di poter formalizzare dei percorsi di alternanza nell'ambito delle attività da loro autonomamente programmate in accordo con le Federazioni sportive nazionali nonché con tutti gli altri organismi riconosciuti dal Coni, anche attraverso la partecipazione a competizioni, gare e
stage svolti anche all'estero.
  Inoltre è in fase di stesura definitiva un accordo specifico con il Coni che espliciterà ancora più chiaramente la possibilità di valorizzare l'attività agonistica di alto livello quale componente fondamentale del percorso di alternanza scuola-lavoro, con il conseguente riconoscimento ufficiale da parte delle scuole in ottemperanza a quanto previsto dalle linee guida specifiche del 2015.
  Oltre a ciò, in via più generale si osserva che le scuole hanno la massima flessibilità organizzativa e varie modalità di realizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro che riguardano tutti gli studenti del triennio, sia che partecipino o non al programma sperimentale. Infatti le attività di alternanza scuola-lavoro possono essere svolte in tutto o in parte nell'orario annuale e/o realizzate in periodi di sospensione delle attività didattiche. Inoltre, dette attività possono essere anche realizzate con le modalità dell'impresa formativa simulata utilizzando apposite piattaforme dedicate.
  In ordine alle condizioni necessarie a garantire la validità dell'anno scolastico ai fini della valutazione degli alunni, ai sensi dell'articolo 14, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2009 e secondo le indicazioni di cui alla circolare Miur n. 20 del 4 marzo 2011, si specifica quanto segue:
   nell'ipotesi in cui i periodi di alternanza si svolgano durante l'attività didattica, la presenza dell'allievo registrata nei suddetti percorsi va computata ai fini del raggiungimento del limite minimo di frequenza, pari ad almeno tre quarti dell'orario annuale personalizzato, oltre che ai fini del raggiungimento del monte ore previsto dal progetto di alternanza;
   qualora, invece, i periodi di alternanza si svolgano, del tutto o in parte, durante la sospensione delle attività didattiche (ad esempio, nei mesi estivi), fermo restando l'obbligo di rispetto del limite minimo di frequenza delle lezioni, la presenza dell'allievo registrata durante le attività presso la struttura ospitante concorre alla validità del solo percorso di alternanza che richiede, come sopra specificato, la frequenza di almeno tre quarti del monte ore previsto dal progetto.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di una «comunicazione», pubblicata il 26 gennaio 2017, sul waste to energy (recupero di energia da rifiuti), la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a valutare con maggiore attenzione la gerarchia di gestione dei rifiuti, quali la riduzione, il riutilizzo e il riciclaggio, proponendo, al contempo, di rivalutare il ruolo e le potenzialità dell'incenerimento, ma soprattutto i fondi che lo sostengono. La citata Commissione invita, infatti, gli Stati a non investire risorse pubbliche per realizzare impianti inutili o aumentare una capacità di incenerimento già eccessiva;
   tra il 2010 e il 2014, riporta la «comunicazione», la capacità di incenerimento nei 28 Paesi dell'Unione europea (considerando inoltre Svizzera e Norvegia) è cresciuta del 6 per cento fino a raggiungere quota 81 milioni di tonnellate;
   la Commissione ha indicato, tra l'altro, l'Italia (insieme a Svezia, Olanda, Germania, Francia e Regno Unito) tra i Paesi che hanno un eccesso di impianti di incenerimento rispetto alle necessità attuali e future. Per le aree sprovviste di capacità di incenerimento, la «comunicazione» raccomanda di esplorare prima tutte le opzioni prioritarie, inclusive della realizzazione di capacità di riciclo e compostaggio come strumento prioritario di riduzione dello smaltimento a discarica, e della valutazione degli effetti a 20-30 della crescita della raccolta differenziata, onde evitare realizzazione di capacità di incenerimento in eccesso. A proposito delle aree ove già attualmente si registra elevata capacità di incenerimento, la Commissione suggerisce l'adozione di una serie di strumenti quali la tassazione dell'incenerimento, la terminazione graduale dei sussidi al comparto, la «moratoria» per i nuovi impianti di inceneritori, così come lo smantellamento dei vecchi impianti;
   il coordinatore scientifico della rete « zero waste Europe», Enzo Favoino, ha dichiarato che «vi è un forte mandato alla Banca europea per gli investimenti e ai Paesi membri di rivedere i loro finanziamenti per la realizzazione delle infrastrutture di settore, riducendone la quota all'incenerimento (e comprimendone fortemente la possibilità) e allineandoli invece con l'evoluzione prevista della politica di rifiuti: l'economia circolare»;
   benché la priorità europea sia il recupero della materia, attualmente si dichiara strategico l'incenerimento, che rappresenta la penultima gerarchia europea. La produzione di energia è per l'impresa legata ad un duplice business: incentivi statali e vendita dell'energia prodotta. Il recupero di materia non gode purtroppo di questi benefici, per di più il mercato deve essere ancora ben regolato per offrire uno sblocco certo e remunerativo per le materie prime riciclate. Dunque, ne deriva una concorrenza «sleale» tra recupero di materia e recupero di energia –:
   se e quali iniziative il Governo, alla luce della «Comunicazione» del 26 gennaio 2017 della Commissione europea e ai sensi della gerarchia di gestione dei rifiuti definita dalla direttiva europea 2008/98/CE, intenda mettere in campo al fine di minimizzare e comprimere il ruolo futuro dell'incenerimento rispetto alla situazione attuale, promuovendo a tal fine, una revisione delle disposizioni contenute nell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia»;
   se il Governo non ritenga necessario assumere le opportune iniziative di competenza volte alla revisione della normativa in materia di erogazione degli incentivi per gli inceneritori, prevedendo al contempo, giusti incentivi per il recupero di materia nell'ambito dei principi dell'economica circolare. (4-15605)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  I dati sulla gestione dei rifiuti, presentati lo scorso dicembre dall'Ispra e relativi all'anno 2015, offrono una fotografia dell'Italia in cui la percentuale di raccolta differenziata cresce di 2,3 punti rispetto all'anno 2014, raggiungendo il 47,5%, dato che, in valore assoluto, vuol dire che la raccolta differenziata supera i 14 milioni di tonnellate, con una crescita di 619 mila tonnellate rispetto al 2014 (+4,6 per cento). Si osserva, però, ancora un'Italia in cui i risultati raggiunti sono disomogenei sul territorio nazionale.
  La vera sfida del prossimo anno è di allineare gli standard di efficienza della gestione dei rifiuti delle diverse aree del territorio per raggiungere il comune obiettivo del 65 per cento di raccolta differenziata, ovvero del 50 per cento di avvio a riciclo.
  Prima ancora della raccolta differenziata e del riciclo, la gerarchia dei rifiuti pone però la prevenzione ai vertici delle forme di gestione.
  Anche sulla prevenzione vi è l'esigenza di un forte coordinamento tra livello centrale e regionale. L'integrazione del programma nazionale nei piani regionali rappresenta la condizione necessaria e indispensabile affinché le misure previste a livello nazionale possano dispiegare i propri effetti e portare al raggiungimento dei previsti obiettivi di riduzione.
  Occorre evidenziare che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato avvio ad una fase di confronto con tutte le regioni al fine di poter svolgere, in materia di gestione dei rifiuti, le attività di cui all'articolo 206-
bis (Vigilanza e controllo in materia di gestione dei rifiuti) del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In questi anni il Ministero ha in particolare dato luogo ad una attività di approfondimento dell'attuazione, a livello regionale, della normativa che disciplina la gestione integrata del ciclo dei rifiuti. In particolare con le regioni Calabria, Campania, Puglia, Liguria, Sicilia, Veneto, Marche e Abruzzo si è avviato un percorso collaborativo atto a superare le varie criticità territoriali.
  In tale contesto, il Ministero, tenendo conto di quanto stabilito dalla legislazione di settore e dalle caratteristiche tecnico produttive del ciclo dei rifiuti, ha riservato particolare attenzione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani (cosiddetta
governance) nonché ai criteri fondamentali di cui le regioni, caso per caso, si sono avvalse per effettuare la perimetrazione degli Ato fornendo ove necessario indicazioni per evitare il ricorso alle forme di gestione frammentate.
  Inoltre, particolare attenzione viene posta all'eventuale disallineamento tra l'ampiezza dei bacini di affidamento e la dimensione ottimale del servizio il quale si riflette anche sull'assetto industriale del mercato nonché alla scelta del modello di organizzazione dell'attività di raccolta la quale rileva non solo sul piano delle
performance raggiunte in termini di capacità di intercettare i rifiuti in maniera differenziata, ma anche in relazione ai costi che essi generano.
  Se da un lato quindi è richiesto alle regioni e ai comuni di creare le condizioni per un efficiente rete di raccolta dei rifiuti, perché questa possa davvero diventare funzionale al sistema Paese e creare nuove opportunità economiche, è necessario che vi sia un'adeguata dotazione infrastrutturale tale da permettere la valorizzazione dei rifiuti. Con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2016 e del 10 agosto 2016, adottati in attuazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il Ministero ha condotto una ricognizione sul fabbisogno nazionale di termovalorizzazione e di compostaggio individuando dotazioni impiantistiche necessarie e i fabbisogni residui da soddisfare, al fine di garantire la corretta chiusura del ciclo dei rifiuti. Come è noto, infatti, l'articolo 35 dello «Sblocca Italia» ha previsto che, su proposta del Ministero, si provveda alla adozione di due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto:
   la ricognizione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani esistenti o autorizzati a livello nazionale, la determinazione della capacità impiantistica necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di incenerimento, nonché l'individuazione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati necessari per coprire il relativo fabbisogno residuo (comma 1);
   la ricognizione della capacità impiantistica di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata e la determinazione della capacità necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di trattamento (comma 2).

  Il ciclo integrato dei rifiuti si compone di diversi elementi che devono necessariamente essere realizzati tutti: la mancanza di un solo anello determinerebbe l'impossibilità di chiudere il ciclo e la conseguente necessità di far ricorso allo smaltimento in discarica. Le capacità di incenerimento individuate, lungi dal sostituirsi ad altre forme di gestione più virtuose, sono necessarie alle predette finalità.
  Tra le varie attività che ha visto impegnato il Ministero si segnala quella per il corretto trattamento della frazione organica dei rifiuti.
  La frazione maggiormente raccolta in modo differenziato è infatti proprio la frazione organica che costituisce circa il 43,31 per cento del totale raccolto. Secondo il Rapporto rifiuti urbani 2016, nel 2015 la frazione organica registra tra il 2014 e il 2015, un incremento di circa 350 mila tonnellate e si attesta a quasi 6,1 milioni di tonnellate di cui 3,4 milioni di tonnellate raccolte nelle regioni settentrionali, 1,2 milioni di tonnellate nel centro e quasi 1,5 milioni di tonnellate nel sud.
  In ordine alla quantificazione del fabbisogno impiantistico per il riciclo della frazione organica il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2016, in attuazione dell'articolo 35.
  Il fabbisogno teorico di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani è stimato sulla base dell'ipotesi di estendere la raccolta differenziata di tale frazione a tutti i Comuni e di intercettare la maggior parte della frazione organica presente nel rifiuto prodotto.
  La ricognizione degli impianti presenti è stata fatta considerando l'offerta impiantistica atta a dare continuità e solidità al sistema. Dalle analisi condotte emerge una situazione di grave deficit per l'area geografica meridionale.
  In tema di riciclaggio della frazione organica, inoltre, è stato pubblicato in
Gazzetta ufficiale (Serie generale n. 45 del 23 febbraio 2017) il decreto ministeriale 29 dicembre 2016, n. 266 recante «i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici» che introduce una tipologia di impianto di piccola taglia con la peculiarità di essere gestito collettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche, in qualità di utenze conferenti nell'apparecchiatura, al fine dell'ottenimento del compost da utilizzare tra le medesime.
  L'obiettivo perseguito è quello di ridurre gli impatti derivanti dalla gestione della frazione organica dei rifiuti urbani contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio, ai sensi dell'articolo 11 della direttiva 2008/98/CE, e di riduzione del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica, ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 1999/31/CE.
  L'attività di compostaggio di comunità, in quanto attività di riciclaggio partecipa al raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 50 per cento dei rifiuti urbani e dell'obiettivo di riduzione del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica.
  La corretta gestione della frazione organica dei rifiuti urbani concorre alla diminuzione delle emissioni di gas serra, all'incremento della fertilità dei suoli ed al contrasto dell'erosione e della desertificazione oltre che alla tutela dei corpi idrici.
  Inoltre, in conformità alla gerarchia dei rifiuti è pienamente rispondente ai principi di autosufficienza e prossimità della gestione dei rifiuti biodegradabili urbani, costituendo uno strumento alternativo e integrativo della gestione dei rifiuti organici dei comuni in considerazione delle conformazioni territoriali, della gestione attuata, della disponibilità di impianti a e della distanza degli stessi, con il beneficio di non gravare nella gestione e nei relativi costi del servizio di igiene urbana, in quanto il conferimento di tale frazione da parte dell'utenza conferente è autonomo ed evita l'intervento della società di gestione.
  Infine, l'attività di compostaggio di comunità, al pari del compostaggio domestico, contribuisce, attraverso l'impegno diretto del cittadino nella gestione dei rifiuti, all'incremento della sensibilità ambientale collettiva nonché alla comprensione dei processi di trattamento biologico dei rifiuti tanto dei piccoli come dei grandi impianti.
  Pertanto, si evidenzia che il Ministero ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo. Infatti, si è consapevoli che la gestione dei rifiuti riveste un ruolo preminente nell'economia circolare, la quale concorre a dare impulso alla competitività del Paese contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modalità di produzione e consumo innovativi e più efficienti.
  A riguardo si segnala che la Commissione europea, attraverso la sua comunicazione di gennaio 2017 sul ruolo del «
waste-to-energy» (recupero di energia da rifiuti) nell'economia circolare, ha espresso una valutazione estremamente positiva sulle strategie di gestione del rifiuto attuate dall'Italia. La Commissione ha in particolare elogiato la gestione dei rifiuti organici della città di Milano portandola come esempio del potenziale del processo di gestione anaerobica nel trattamento dei rifiuti biodegradabili, confermando l'eccellenza italiana in questo settore.
  Questa valutazione dimostra la qualità delle politiche italiane sulla valorizzazione del rifiuto. Bisogna pertanto proseguire sulla strada degli incentivi per il passaggio da un'economia lineare ad una circolare: in quest'ottica è centrale il ruolo del rifiuto che da problema diventa una risorsa, oltre che un'opportunità per creare nuovi posti di lavoro.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZANIN. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il documento di viaggio provvisorio (chiamato anche ETD – Emergency Travel Document) è un documento rilasciato dalle rappresentanze consolari italiane nel caso di smarrimento o furto dei documenti dei cittadini italiani, valido solo per il rientro in Italia, o verso lo Stato membro in cui il richiedente ha la residenza permanente comprovata dall'iscrizione in Aire oppure, eccezionalmente, verso un'altra destinazione;
   in materia di periodo di validità, la Decisione 96/409/PESC, relativa all'istituzione di un documento di viaggio provvisorio dispone che «per consentire ai cittadini di fare ritorno in un dato luogo, il DVP dovrebbe essere valido per un periodo di poco più lungo del tempo minimo necessario per effettuare il viaggio per il quale è rilasciato. Per il calcolo di tale periodo, occorre tenere conto delle soste notturne e del tempo richiesto per le coincidenze di trasporto»;
   l'articolo 23 del decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71 (Ordinamento e funzioni degli uffici consolari, ai sensi dell'articolo 14, comma 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246), disciplina l'ETD, ma nulla dispone in tema di durata della validità dell'ETD;
   sui siti di alcuni consolati italiani, come, ad esempio, quello di Londra o Parigi, si evince che tale documento ha una validità massima di 5 giorni dalla data di rilascio;
   interpellato sulla questione, l'Ufficio rapporti con il Parlamento del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si è espresso, confermando che la validità temporale dell'ETD è limitata al tempo strettamente necessario per raggiungere la destinazione del viaggio, ha risposto che «Ogni valutazione in tal senso, infatti, è rimessa all'Ufficio consolare, chiamato a contemperare l'esigenza dei connazionali con l'interesse di ordine pubblico di evitare un uso improprio del documento di emergenza. Sul sito web istituzionale di alcuni consolati italiani è indicata una validità temporale di 5 giorni dalla data di rilascio del predetto documento di viaggio perché tale è il tempo ritenuto generalmente sufficiente al rientro del connazionale richiedente. Le assicuro tuttavia che tale indicazione rappresenta solo un'informazione di massima e che, in ogni caso, l'interesse del connazionale è tenuto in debito conto e la validità del documento viene decisa in base alle circostanze del caso singolo»;
   il termine di 5 giorni nelle apposite sezioni dei siti consolari relative al documento di viaggio provvisorio – ETD potrebbe viceversa trarre in inganno e costituire una indicazione, oltre che una informazione sbagliata per i cittadini italiani che, trovandosi in situazione di emergenza a causa del furto o smarrimento dei propri documenti, decidano per tale motivo di anticipare il proprio rientro e di non usufruire del titolo di viaggio già in loro possesso, subendo così un danno anche economico;
   inoltre, si ritiene che ci sia il rischio che, indipendentemente dal titolo di viaggio posseduto, il termine di validità temporale possa essere interpretato come termine perentorio da parte di singoli funzionari dei consolati e pertanto il nostro connazionale si troverebbe costretto a dover anticipare il proprio rientro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario emanare una nota di precisazioni per informare i consolati italiani all'estero sulla natura ordinatoria del termine di validità di 5 giorni del documento viaggio provvisorio, specificando che il termine debba rispettare il diritto del cittadino di usufruire del titolo di viaggio già in suo possesso;
   se il Ministero interrogato non ritenga utile richiedere ai consolati esteri italiani di aggiornare i propri siti, eliminando l'indicazione del termine di validità di 5 giorni al fine di dare una corretta informazione ai soggetti interessati.
(4-15940)

  Risposta. — Si conferma quanto già comunicato da questa amministrazione circa la validità temporanea dell’emergency travel document-ETD. Si tratta di documento di viaggio di natura meramente provvisoria rilasciato dalle rappresentanze consolari italiane nel caso smarrimento o furto di documenti a cittadini italiani. Infatti, l'Etd costituisce unicamente un titolo utilizzabile per il viaggio di rientro in Italia o al luogo di abituale residenza, non ha funzione di documento di riconoscimento e non è valido titolo di permanenza nel Paese straniero.
  La discrezionalità che le sedi consolari hanno di valutare il termine temporale di validità dell'Etd a partire dalla data di rilascio è data in relazione alla specificità di possibili casi per i quali occorra un tempo maggiore per fare rientro in Italia o nella sede di residenza.
  Del resto, l'indicazione di cinque giorni quale validità media – fornita da alcuni uffici consolari in relazione appunto alla distanza dall'Italia – costituisce per l'utenza un parametro utile perché questa si rivolga all'ufficio consolare in prossimità del previsto rientro.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008 relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, sono stati stabiliti i valori limite per la qualità dell'aria;
   con decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, «Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa», è stato istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente;
   con deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 66 del 10/12 2009 è stato approvato il piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio, in attuazione degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 351 del 1999, pubblicato sul S.O. n. 60 al Bollettino ufficiale della Regione n. 11 del 20 marzo 2010, che all'articolo 12 delle NTA stabilisce che le disposizioni contenute nella sezione IV (PROVVEDIMENTI PER IL RISANAMENTO DELLA QUALITÀ DELL'ARIA) si applicano nei territori dei comuni che ricadono nella zona A (classe 1) e B (classe 2) di cui all'articolo 3 del piano;
   con deliberazione della giunta regionale del Lazio n. 536 del 15 settembre 2014 è stata approvata la nuova classificazione del territorio regionale, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 155 del 2010, in base ai risultati degli studi modellistici ed ai monitoraggi eseguiti dall'Arpa Lazio sulla qualità dell'aria nell'ultimo quinquennio 2011-2015, dalla quale risulta che dei 321 comuni del Lazio, ben 91 ricadono in classe 1 (ex zona A del PRQA), cioè nella classe con più elevato grado d'inquinamento atmosferico determinato dai superamenti dei limiti di legge degli inquinanti, che si ricorda essere limiti sanitari;
   con nota circolare n. 635050 del 20 dicembre 2016 la regione Lazio ha raccomandato ai comuni del Lazio maggiormente inquinati di predisporre un piano di intervento operativo (PIO) comunale, con le modalità di una progressiva attuazione dei provvedimenti da adottare in relazione al persistere o all'aggravarsi delle condizioni d'inquinamento e di prendere visione delle prescrizioni per la predisposizione e l'attuazione del piano e delle misure emergenziali da adottare –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le misure per il mantenimento ed il risanamento della qualità dell'aria adottate negli ultimi 5 anni nella regione Lazio, stante il superamento dei limiti di più inquinanti in molte realtà comunali, e se non ritenga urgente assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di ridurre il rischio di superamento dei valori limite, anche al fine di evitare procedure d'infrazione in ambito europeo al nostro Paese. (4-15431)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, la regione Lazio con Dcr n. 66 del 10 dicembre 2009, ha approvato il piano per il risanamento della qualità dell'aria che definisce il complesso degli interventi finalizzati alla riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici, laddove si verifica il superamento dei valori limite previsti dalla normativa, ed al mantenimento della migliore qualità dell'aria nel resto del territorio regionale.
  A seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 155 del 2010, la regione Lazio ha, altresì, provveduto ad adeguare la zonizzazione del territorio regionale (deliberazione n. 536 del 15 settembre 2016) e la rete di monitoraggio della qualità dell'aria (deliberazione n. 478 del 4 agosto 2016) in base a quanto richiesto dalla normativa vigente (deliberazione di giunta regionale n. 217 del 18 maggio 2012). In base alla nuova zonizzazione, il territorio regionale è stato suddiviso in 3 zone per l'ozono, ossia litoranea, Appennino-Valle del Sacco e agglomerato di Roma, e 4 zone per tutti gli altri inquinanti, ossia agglomerato di Roma, zona appenninica, zona Valle del Sacco e Zona litoranea.
  Inoltre, la regione ha approvato la deliberazione n. 688 del 15 novembre 2016 concernente i «Criteri per l'assegnazione dei contributi, erogati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la realizzazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria, in attuazione del “programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse al miglioramento della qualità dell'aria e alla riduzione delle emissioni di materiale particolato in atmosfera nei centri urbani” istituito con decreto ministeriale 16 ottobre 2006». La regione fa presente che i fondi ministeriali saranno ripartiti al fine di garantire sia a soggetti pubblici sia privati il sostegno all'attuazione delle misure idonee al contenimento e al contrasto all'inquinamento atmosferico.
  Sempre la Regione segnala che, attualmente, il piano è in fase di revisione e con la deliberazione n. 834 del 30 dicembre 2016 sono state approvate le «Linee guida per la redazione dell'aggiornamento del piano di risanamento della qualità dell'aria (Prqa) approvato con Dcr n. 66 del 10 dicembre 2009 della regione Lazio». In fase di approvazione è, invece, la proposta di deliberazione n. 3852 del 2 marzo 2017 relativa alle «Linee Guida sui criteri per la sostenibilità territoriale degli impianti per la produzione di energia elettrica da combustione, diretta ed indiretta, di biomasse». Sono stati, inoltre, approvati una serie di provvedimenti direzionali, sia propedeutici che successivi agli atti di giunta, diretti a darvi attuazione.
  Dai dati comunicati dalla regione Lazio e da quelli disponibili sul sito
web dell'Arpa Lazio, per l'anno 2015, le aree più critiche nel territorio regionale sono l'agglomerato di Roma e la Valle del Sacco, a causa del maggiore carico emissivo e, per la zona Valle del Sacco, delle caratteristiche morfologiche del territorio che non favoriscono la dispersione degli inquinanti in atmosfera.
  Per quanto concerne l'agglomerato di Roma, la criticità principale è rappresentata dall'NO2 per cui, nelle stazioni urbane di Corso Francia, Largo Magna Grecia e Fermi, la concentrazione media annua supera i 60 μg/m3. Nel contesto cittadino solo Villa Ada e Ciampino hanno concentrazioni annue inferiori al limite di legge. Il numero di superamenti orari del valore limite di 200 μg/m3 non è mai oltre la soglia massima consentita (18 volte l'anno). Relativamente al PM10 si registrano superamenti del valore limite giornaliero di 50 μg/m3 superiore al massimo consentito (35 in un anno civile) nelle stazioni di Cinecittà, Preneste, Tiburtina, Francia, Ciampino, Largo Magna Grecia e Cipro. Non viene invece superato il valore limite per la concentrazione media annuale di PM10 in nessuna stazione all'interno dell'Agglomerato di Roma. Riguardo l'ozono, presso tutte le stazioni, ad eccezione di Bufalotta e Cipro, si sono registrati superamenti dell'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (120 μg/m3), mentre il valore obiettivo per la protezione della salute umana è stato superato nelle sole stazioni di Cinecittà (29 giorni di superamento) e Preneste (30 giorni di superamento).
  Per quanto riguarda la zona della Valle del Sacco, il PM10 rappresenta la maggior criticità della zona, sia per la media annua, che risulta superiore al valore limite consentito di 40 μg/m3 nelle stazioni di Frosinone Scalo e Ceccano, sia per i superamenti giornalieri che sono in numero inferiore ai 35 consentiti solo nelle stazioni di Fontechiari e Anagni, arrivando, invece, nelle stazioni di Ceccano e Frosinone Scalo a, rispettivamente, 121 e 115 superamenti di 50 μg/m3. Per l'NO2 il numero di superamenti del valore limite orario di 200 μg/m3 rimane inferiore al massimo consentito (18 in un anno civile), mentre la concentrazione media annua è superiore al valore limite di 40 μg/m3 nella stazione di Frosinone Scalo (43 μg/m3). Riguardo l'ozono si registrano superamenti del valore obiettivo per la protezione della salute umana nelle stazioni di Frosinone Mazzini (31 giorni di superamento) e Fontechiari (61 giorni di superamento). In tale zona si riscontrano inoltre alcune criticità per il benzo(a)pirene per il quale il limite normativo viene superato sia nella stazione di Frosinone Scalo, con 3,08 ng/m3, sia in quella di Colleferro Europa con 1,17 ng/m3.
  Per quanto riguarda le altre zone, le uniche criticità riscontrate nel 2015 sono relative all'ozono, per il quale si registrano superamenti del valore obiettivo previsto per la protezione della salute umana in tutte le stazioni della Zona Appenninica, e nella sola stazione di Allumiere (52 giorni di superamento) nella Zona Litoranea.
  Come previsto dalle norme di attuazione del Piano (deliberazione di giunta regionale n. 164 del 5 marzo 2010), nei due agglomerati di Roma e Frosinone, per l'entità dei superamenti dei limiti di legge, sono previsti provvedimenti specifici e più restrittivi, ad esempio sulla circolazione veicolare e sugli impianti termici, che devono essere predisposti dalle singole amministrazioni comunali tramite la redazione di un Piano di intervento operativo (P.I.O.).
  Per quanto riguarda il comune di Roma, con deliberazione di giunta comunale n. 242 del 19 luglio 2011, sono stati approvati una serie di provvedimenti di prevenzione e contenimento dell'inquinamento atmosferico, di tipo permanente, quali la limitazione della circolazione alle auto maggiormente inquinanti nelle zone più sensibili (ZTL centro storico e ZTL Anello ferroviario) e lo sviluppo di forme di mobilità sostenibile, e provvedimenti di tipo emergenziale e programmato. Inoltre con D.A.C, n. 21 del 16 aprile 2015, è stato approvato il Piano generale del Traffico Urbano (PGTU) che prevede, in aggiunta a quanto già vigente, ulteriori provvedimenti con ricadute positive sulla qualità dell'aria. A partire dal mese di gennaio 2016, il Comune di Roma, per quanto di competenza, ha avviato un Tavolo Tecnico finalizzato all'individuazione degli interventi diretti a contrastare l'inquinamento atmosferico; con deliberazione di giunta comunale n. 76/2016 ha deliberato l'attuazione dei provvedimenti di limitazione della circolazione veicolare previsti dal nuovo PGTU (D.A.C. n. 21/2015) per la prevenzione e il contenimento dell'inquinamento atmosferico, stabilendo, all'interno della ZTL anello ferroviario, il divieto programmato per il periodo 21 novembre 2016-31 marzo 2017 di accesso e di circolazione dal lunedì al venerdì (24h/24h), con esclusione del sabato, della domenica e dei giorni festivi infrasettimanali, per gli autoveicoli alimentati a benzina «Euro 2». Tale divieto programmato di accesso di circolazione diverrà divieto permanente a partire da novembre 2017.
  La succitata deliberazione di giunta comunale ha, altresì, approvato la ridefinizione del Piano di intervento operativo (articolo 25 delle norme di attuazione del piano di risanamento della qualità dell'aria) con una serie di misure dirette al ripristino del valore limite di NO2 stabilito dalla Direttiva attualmente violata. Il nuovo Piano di intervento operativo, in vigore dal 21 novembre 2016, individua i criteri operativi in base ai quali vengono disposti i necessari provvedimenti da adottarsi, di volta in volta con apposito atto, all'interno della ZTL «fascia verde» a seconda delle situazioni di criticità da inquinamento che si dovessero verificare nei vari periodi dell'anno; tali provvedimenti di contenimento sono adottati sulla base dei dati e delle previsioni modellistiche fornite da Arpa Lazio.
  Relativamente alla zona Valle del Sacco, si deve far presente inoltre che, rispetto all'agglomerato di Roma, dove le emissioni predominanti derivano dal traffico urbano, la situazione delle sorgenti emissive è più complessa, considerato che in questa zona vi sono notevoli fonti emissive industriali, da traffico locale e autostradale, oltre alle emissioni civili residenziali. Inoltre, tale zona è interessata in generale da una situazione meteoclimatica sfavorevole e da caratteristiche morfologiche del territorio che non favoriscono la dispersione degli inquinanti in atmosfera.
  Per tale zona, secondo quanto dichiarato dalla regione in merito ai provvedimenti per la riduzione delle emissioni di impianti di combustione ad uso industriale, l'attività della provincia riguardo il rilascio delle autorizzazioni AIA è stata portata a termine e alcune autorizzazioni, rilasciate prima dell'entrata in vigore del Piano di qualità dell'aria, saranno riesaminate per allinearle alle disposizioni in esso contenute, e anche i controlli agli impianti industriali saranno intensificati per le verifiche sulla corretta conduzione degli stessi. Secondo la regione, la completa attuazione delle prescrizioni sugli impianti industriali contenute nelle norme di attuazione del piano consentirà ulteriori miglioramenti sulla qualità delle emissioni.
  Per quanto riguarda il comune di Frosinone, dando attuazione al piano regionale di risanamento della qualità dell'aria, sono stati emanati, nel corso degli ultimi anni, una serie di provvedimenti per il risanamento della qualità dell'aria, tra cui interventi programmatici di limitazione del traffico, oltre ad altre misure quali la riduzione delle temperature negli ambienti degli edifici residenziali, commerciali, direzionali, ricreativi, di culto, sportivi, scolastici e assimilabili. A ciò si aggiunge il divieto di climatizzazione di cantine, box e garage e la riduzione di 2 ore dell'accensione degli impianti rispetto alla norma per quelli alimentati a gasolio. È vietato, inoltre, usare legna o biomasse per impianti di riscaldamento superiori a 35Kw, se è possibile l'alimentazione a gas o gpl; da evitare anche l'uso di camini aperti e chiusi, stufe a legna,
pellet e biomasse anche per le abitazioni, quando provviste di rete gas o gpl.
  Inoltre, secondo quanto dichiarato dalla regione, per rafforzare gli interventi fino ad oggi adottati dai singoli comuni per contrastate i superamenti dei limiti di legge del PM10, è prevista l'attivazione di azioni coordinate tra i comuni della Valle del Sacco (Colleferro, Alatri, Anagni, Ferentino, Ceccano, Frosinone e Cassino) attraverso un piano di interventi concertati e simultanei sul traffico urbano e sul riscaldamento domestico.
  La regione, ai sensi della normativa vigente, ha altresì provveduto ad informare e a sensibilizzare, con circolari ed incontri, tutti i comuni del territorio regionale sulla situazione di inquinamento atmosferico presente e sugli adempimenti da mettere in atto per contrastarlo; in particolare con circolare n. 635050 del 20 dicembre 2016 è stato trasmesso un elaborato con le prescrizioni per la predisposizione e l'attuazione dei Piani di intervento operativo (PIO) ai sensi dell'articolo 25 delle norme di attuazione del piano di risanamento della qualità dell'aria. L'attuazione delle misure previste negli anzidetti provvedimenti sarà seguita dall'Arpa Lazio attraverso studi modellistici approfonditi per la valutazione dell'efficacia di tutte le misure, regionali e locali, finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di legge. L'Arpa Lazio, tra l'altro, cura l'organizzazione, la presentazione e la diffusione via
web, sul link «centro regionale della qualità dell'aria» delle informazioni relative all'inquinamento atmosferico regionale, fruibili dalla popolazione, dalle amministrazioni provinciali e comunali e dalle altre autorità competenti in materia di tutela ambientale; tale forma di comunicazione è attuata in coerenza con le indicazioni della Comunità europea in materia di accesso alle informazioni.
  La regione ha, poi, comunicato a tutti i Comuni del Lazio, l'avvenuta pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale serie generale n. 239 del 12 ottobre 2016, il decreto ministeriale n. 20 del 20 luglio 2016, che approva il «Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro» e definisce le modalità per la presentazione dei progetti al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  A livello nazionale, si segnala che, stante la competenza primaria delle Regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, l'azione del Ministero dell'ambiente è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle Amministrazioni locali. In primo luogo, al fine di favorire un confronto istituzionale sul tema della valutazione e gestione della qualità dell'aria, è stato istituito, presso il Ministero, un coordinamento tra i rappresentanti dello stesso, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Upi e dell'Anci e le agenzie e gli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (ISPRA, ISS, ENEA, CNR). Nel contesto del coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria ed anche in relazione agli strumenti di pianificazione.
  Inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato da tempo un'azione di indirizzo e coordinamento di tutte le amministrazioni centrali aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera al fine di definire una strategia volta all'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente su tutto il territorio nazionale.
  In particolare, è stata avviata un'interlocuzione con le regioni del centro sud, finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise per l'individuazione delle misure per il miglioramento della qualità dell'aria specifiche per tali territori, anche sul modello dell'accordo di programma delle regioni del bacino padano.
  Infine, si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tale protocollo prevede tra le misure urgenti, da attivare dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola 7 giorni) le seguenti: abbassamento dei limiti di velocità di 20km/h nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Tale protocollo prevede importanti misure di sostegno agli interventi regionali e locali di risanamento, come la destinazione di circa 12 milioni di euro al finanziamento di misure dirette ad incentivare il trasporto pubblico locale e la mobilità alternativa al trasporto privato. Il decreto del Ministro dell'ambiente, di indirizzo circa la destinazione e l'utilizzo delle risorse, così come quello direttoriale di fissazione della regolamentazione del programma sono stati già pubblicati sul sito del Ministero (decreto ministeriale DEC-2016-316 del 10 novembre 2016 e decreto direttoriale RIN-DEC-2016-0000125 del 22 novembre 2016).
  Nel protocollo si prevede, inoltre, un impegno a precisare le attività da finanziare con strumenti di incentivazione esistenti (fondo per la mobilità sostenibile, fondo per la realizzazione di reti di ricarica elettrica, fondo per la riqualificazione energetica delle scuole e degli edifici pubblici), per un importo totale di circa 350 milioni di euro. In tale ambito sono già stati attivati 6 milioni di euro per il finanziamento di interventi di mobilità sostenibile ed efficienza energetica nelle città di Bologna, Roma, Milano e Torino, nonché 35 milioni di euro destinati al programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro al fine di finanziare progetti predisposti da uno o più enti locali e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti, diretti a incentivare iniziative di mobilità urbana alternative all'automobile privata.
  Un ulteriore contributo, infine, è atteso dall'attuazione della nuova direttiva sui tetti alle emissioni.
  Lo scorso 14 dicembre è stata adottata, infatti, la direttiva 2016/2284/Unione europea, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, la cosiddetta direttiva NEC
(National emission ceilings). Tale direttiva stabilisce obiettivi di riduzione delle emissioni nazionali per gli inquinanti biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3) e polveri PM2,5 da raggiungere entro il 2020 e il 2030.
  Tali obiettivi sono individuati come percentuali di riduzione delle emissioni dei singoli inquinanti rispetto ai valori registrati nel 2005 e mirano a garantire una riduzione generalizzata dell'inquinamento atmosferico sul territorio dell'Unione Europea.
  La riduzione delle emissioni, necessaria a raggiungere gli obiettivi, deve essere perseguita tramite la predisposizione, l'adozione e l'attuazione di specifici «programmi di controllo» nazionali. Il programma dovrà, in particolare, definire le priorità politiche ed il loro rapporto con le priorità stabilite in altri settori d'intervento pertinenti, compresi i cambiamenti climatici, l'agricoltura, l'industria e i trasporti; dovranno, infine, essere chiarite le responsabilità attribuite alle diverse autorità (nazionali, regionali e locali).
  Un contributo rilevante alla riduzione delle emissioni di inquinanti in atmosfera è pertanto atteso dall'attuazione della citata direttiva NEC.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.