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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 20 marzo 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, ha introdotto norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    in particolare, l'articolo 1 del citato decreto-legge ha stabilito che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, fossero individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, ivi incluse le attività strategiche chiave, in relazione alle quali potessero essere esercitati i poteri speciali (cosiddetti golden power) «in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale»;
    con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, è stato emanato il regolamento per l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, mentre con il regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, sono state individuate delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, in attuazione del citato decreto-legge n. 21 del 2012;
    con tali «poteri speciali» il Governo può definire specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e opporsi all'acquisto di partecipazioni. Il provvedimento aveva l'obiettivo di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione Europea;
    con la comunicazione 97/C220/06 relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari, fin dal 1997, la Commissione europea ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve essere attuato senza discriminazioni ed è consentito se si basa su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Fu sulla base di tali indirizzi che la Commissione europea avviò procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni contenute del decreto-legge n. 332 del 1994. Procedure di infrazione analoghe vennero sollevate anche riguardo alle normative di Portogallo, Regno Unito, Francia, Belgio, Spagna e Germania;
    la nuova normativa ha fissato puntualmente i requisiti per l'esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuandoli nella sussistenza di minacce di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Il Governo, può imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; può porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; può opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Tali norme si applicano a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Sono, inoltre, stati fissati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze derivanti dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, che ha contestualmente abrogato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 253 del 2012, come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129 del 2013, è stato adottato il regolamento per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, riunendo in un unico regolamento le norme che individuano le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, comprese le attività strategiche chiave, di competenza sia del Ministero dell'interno, sia del Ministero della difesa;
    in modo analogo al comparto sicurezza e difesa, attraverso specifici regolamenti sono stati individuati gli asset strategici nel settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sui quali il Governo può esercitare i poteri speciali. In tali casi, il golden power consiste nella possibilità di far valere il veto dell'esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ovvero imporvi specifiche condizioni; di porre condizioni all'efficacia dell'acquisto di partecipazioni da parte di soggetti esterni all'Unione europea in società che detengono attivi «strategici», anche, in casi eccezionali, opponendosi all'acquisto stesso;
    altri interventi normativi hanno perseguito scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l'economia nazionale: la legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha introdotto la cosiddetta « poison pill» che consente all'azionista pubblico, in caso di OPA ostile riguardante una società partecipata, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale poter accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata non concordata; il decreto-legge n. 34 del 2011, il cui articolo 7 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. In particolare, sono state definite «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi. Infine, relativamente alle offerte pubbliche di acquisto, va ricordato che il decreto-legge n. 91 del 2014 ha introdotto una doppia soglia Opa al 25 per cento per le società quotate, escluse le piccole e medie imprese che potranno inserire nello statuto una soglia compresa tra il 20 per cento e il 40 per cento;
    la ratio delle norme introdotte è la tutela delle imprese operanti in settori considerati strategici, indipendentemente da una partecipazione azionaria dello Stato mettendo a disposizione degli Esecutivi strumenti proporzionati al rischio concreto e consentendo il ricorso, in via eccezionale, al veto preventivo sulle acquisizioni. Ne consegue una riduzione del potere discrezionale del Governo pur allargandone la sfera d'influenza, facendo salvi i principi della concorrenza e della contendibilità delle imprese;
    fino ad oggi il golden power è stato utilizzato dai Governi solo per poche operazioni minori: secondo la relazione trasmessa al Parlamento «in materia di esercizio dei poteri speciali», dal 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2016 sono stati emanati solo 2 decreti con prescrizioni su 30 operazioni notificate e mai e stato posto il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della «difesa e sicurezza nazionale», il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti;
    il Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali presso la Presidenza del Consiglio, nella sua relazione sottolinea come il meccanismo del golden power «entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende (...) Detto ciò, si ritiene auspicabile perseguire obiettivi atti ad indirizzare ed accompagnare le scelte più importanti della vita di una società»;
    lo stesso rapporto fornisce indicazioni per il futuro, sottolineando come l'obiettivo debba essere quello di «assicurare continuità alla protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che sottendono all'obiettivo di sottrarre tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia»;
    la relazione, citando un'indagine di Kpmg, evidenzia lo squilibrio in termini di merger and acquistion e ricorda che nel 2015 sono avvenuti acquisti di imprese italiane dall'estero per 32,1 miliardi (raggiungendo il record del 2008) contro acquisizioni di imprese estere da parte di soggetti italiani per appena 10 miliardi;
    è evidente che una netta distinzione va posta, in base alla natura degli investitori esteri nel nostro Paese, distinguendo quelli realmente produttivi da quelli che realmente mettono a rischio l’«interesse nazionale». L'apporto di capitali esteri, contribuisce infatti alla crescita economica e all'occupazione del nostro Paese, soprattutto in un periodo che vede l'Italia non riuscire ad agganciare in modo deciso i segnali di ripresa che caratterizzano i partner europei;
    l'adozione di strumenti di tutela effettivi, se da un lato deve fornire una risposta all'eventualità di un uso politico «ostile» degli investimenti esteri nel nostro Paese, dall'altro non deve impedire l'ingresso di investitori di lungo termine, anche stranieri, nell'azionariato d'imprese operanti nei settori regolati, né la partecipazione diretta a progetti infrastrutturali decisivi per l'Italia;
    a livello di Unione europea, tra il 2007 e il 2015, nonostante l'attivismo cinese, si è registrato un calo del 42 per cento negli investimenti esteri diretti in entrata ed è evidente che, in attesa di un rilancio della politica industriale europea e dei singoli Stati, l'introduzione non attentamente ponderata di ulteriori barriere rischia di aggravare una perdita di competitività interna, ferma restando la necessità di un attento monitoraggio degli investimenti esteri, nell'ottica di una parità di trattamento da richiedere da parte di tutti, compresi i Paesi comunitari, che, da un lato, sono impegnati nella costruzione di una politica industriale continentale forte e coesa e dall'altro, gestiscono interessi nazionali spesso confliggenti i partner;
    la necessità di aggiornare gli strumenti di difesa delle imprese strategiche, adeguandoli alle mutate situazioni internazionali, è ormai sentita anche in Paesi, nostri partner e competitor, come Germania e Regno Unito;
    in questi ultimi anni numerosi sono stati i casi di acquisizioni «ostili» di imprese italiane ad opera di investitori stranieri e tutte riconducibili ad un modus operandi simile: acquisto massiccio di azioni, manovre di borsa e attività volte ad alterare il valore del titolo, lancio di un'offerta pubblica di acquisto e acquisizione finale;
    una modifica della normativa sul golden power deve tenere bene in considerazione i confini tra interesse nazionale e deriva interventista, coerente con la politica industriale che si intende perseguire, anche in considerazione del fatto che si disciplinano, da un lato, materie inerenti le libertà individuali quali la libertà d'impresa, i principi costituzionali e dell'Unione europea, il diritto alla concorrenza, la libertà di iniziativa economica, il diritto di proprietà, dall'altro, le esigenze prioritarie di interesse pubblico, in particolare quelle della difesa, della sicurezza nazionale e delle attività strategiche;
    grande attenzione va, quindi, posta anche sulle misure idonee ad attrarre investimenti diretti esteri su progetti di lungo periodo, ancora più necessari e più difficili da finanziare, offrendo garanzie per gli investimenti infrastrutturali, il project financing e creando un quadro giuridico certo e favorevole agli investimenti, italiani o stranieri che siano;
    un quadro normativo chiaro che riduca la discrezionalità dell'Esecutivo e che, contestualmente, definisca chiaramente doveri e diritti delle parti è, sicuramente, più attrattivo per gli investitori internazionali intenzionati ad investire a lungo termine nel nostro Paese;
    il comma 7 dell'articolo 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, già stabilisce che i decreti di individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale siano aggiornati almeno ogni tre anni,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte ad una revisione delle norme relative al cosiddetto golden power che, tenendo conto della necessità di contemperare da un lato la libertà d'impresa, il diritto alla concorrenza, la libertà di iniziativa economica e il diritto di proprietà e dall'altro le esigenze prioritarie di interesse nazionale, introducano nuovi e/o ulteriori obblighi in tema di trasparenza e di comunicazioni a carico degli acquirenti, anche al fine di ottenere garanzie sulla permanenza in Italia di asset produttivi strategici, competenze e posti di lavoro, considerando le esperienze maturate in altri Paesi e nell'Ocse;
2) a farsi promotore a livello di Unione europea dell'introduzione del criterio di reciprocità con gli Stati esteri in materia di acquisizione di asset rilevanti;
3) a procedere, così come previsto dalla normativa vigente, all'aggiornamento dei regolamenti per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale.
(1-01545) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 7 giugno 2014 sono entrati in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 85 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 2014 inerenti ai cosiddetti poteri speciali – golden power – attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici;
    i citati provvedimenti riguardano l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica e il regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali;
    con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, sono state individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, rispetto alle quali l'Esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni di particolare rilevanza; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale; potrà dichiarare nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o adempimento delle condizioni imposte;
    le direttive dell'Unione europea esigono che sia stabilita una soglia per l'Opa obbligatoria, ma demandano agli Stati membri la sua determinazione;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, comunque definiti, la Commissione europea ha adottato una apposita comunicazione (97/C 220/06) con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale»;
    la suddetta comunicazione individua nell'articolo 223 del Trattato istitutivo della Comunità europea (oggi Trattato dell'Unione europea) le disposizioni che autorizzano gli Stati membri ad adottare misure che ritengono necessarie a tutela degli interessi considerati necessari, cioè quelli relativi al comparto sicurezza e difesa;
    il nostro Paese è da tempo soggetto ad una serie di acquisizioni da parte di competitor stranieri, comunitari e extra-comunitari, nonché a una serie di svendita di «asset strategici»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, sia in sede nazionale che in sede comunitaria, al fine di estendere l'esercizio dei poteri di « golden power», con la previsione della partecipazione dello Stato nazionale nell'azionariato oggetto dell'acquisizione al fine di mantenerne il controllo ad altri ambiti di interesse nazionali, tra cui i trasporti, le telecomunicazioni, la gestione delle risorse pubbliche, la sicurezza ed il benessere dei cittadini;
2) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di prevedere la stabile organizzazione sul territorio italiano come condizione necessaria per le società che, a seguito di operazioni finanziarie, intendano assumere una quota pari ad almeno il 5 per cento in strumenti finanziari, partecipativi e con diritti amministrativi nelle suddette società a rilevanza nazionale;
3) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, per far sì che i criteri di nomina degli amministratori all'interno delle società a rilevanza nazionale siano ispirati a principi coerenti con tale carattere, salvaguardando in particolare l'indipendenza degli amministratori da ingerenze particolari e politiche, ivi comprese quelle derivanti dall'elezione nelle istituzioni nazionali e sovranazionali negli ultimi 5 anni, nonché le caratteristiche di onorabilità e rispettabilità, anche tenendo conto dei procedimenti giudiziario in corso e di qualsivoglia conflitto di interesse.
(1-01546) «Sorial, Vallascas, Pesco, Cecconi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Cancelleri, Crippa, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Sibilia, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto riportato dall'UNHCR, il 2016 è stato l'anno record per il numero di vittime nella traversata del Mediterraneo. Dai 3771 morti e dispersi nel 2015, si è passati agli oltre cinquemila del 2016. La situazione risulta ancora più grave se si esamina la rotta del Mediterraneo centrale, ossia quella che mette in comunicazione il Nord Africa con il nostro Paese. In questo caso si passa dai 2913 decessi del 2015 ai 4527 del 2016. Al 9 marzo si contano già 522 vittime per il 2017;
    si stima che almeno il 60 per cento di coloro che perdono la vita in mare resti senza nome; l'attività di identificazione dei migranti annegati in mare è infatti un'operazione complessa, resa ancora più problematica dall'assenza di un'unica banca dati, nella quale far confluire e confrontare i dati relativi alle persone scomparse e ai corpi ritrovati e privi d'identità;
   già il 23 settembre 2014, con l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01045, la Camera chiedeva al Governo l'istituzione di una banca dati in grado di raccogliere tutte le informazioni disponibili sulle persone decedute o disperse nel Mediterraneo; l'allora Ministro dell'interno Angelino Alfano, pur con tutte le misure di cautela e protezione nella trattazione di informazioni così delicate, mostrava di condividere la proposta;
    il tragico fenomeno dei naufragi nel Mediterraneo, infatti, assume rilievo anche dal punto di vista giuridico alla luce di numerose norme sancite dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei diritti umani, che prevedono una serie di obblighi riguardanti la ricerca e il recupero dei corpi delle vittime, il trattamento dei morti, la restituzione dei resti alle famiglie, la sepoltura e la registrazione di tutte le informazioni concernenti le persone scomparse o decedute; da un lato, si tratta di norme finalizzate a garantire un trattamento dignitoso dei corpi delle vittime; dall'altro lato, tali obblighi sono volti a garantire il diritto delle famiglie a conoscere il destino dei propri cari, anche in considerazione del fatto che le famiglie vivono in un limbo psicologico e anche legale molto oneroso; infine, si ritiene che l'identificazione dei corpi rappresenti un fattore essenziale anche nella strategia di difesa e di sicurezza nazionale e internazionale, poiché contribuisce a fare luce sui percorsi migratori, sulle rotte e sulle dinamiche di sfruttamento e di traffico, impedendo, in particolare, l'uso dell'identità e dei documenti di persone annegate da parte di altre persone, magari con finalità criminali o terroristiche;
    a seguito delle tragedie degli ultimi anni, di cui soltanto alcuni, come i naufragi del 14 marzo 2011, del 3 e 11 ottobre 2013, o del 18 aprile 2015, hanno avuto una certa risonanza sui media italiani, il problema dell'identificazione dei migranti che perdono la vita in mare è divenuto sempre più attuale e rilevante; in Italia, un ruolo di fondamentale importanza in materia è rivestito dal commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, istituito nel 2007 al fine di fronteggiare il drammatico fenomeno delle persone scomparse, che ha promosso alcuni esperimenti pilota per quanto riguarda la raccolta dei dati ante e post mortem dei deceduti in mare, attivando proficue collaborazioni con l'Università degli studi di Milano insieme alla polizia scientifica, alla Marina militare, al gruppo psicologi per i popoli, alla Croce rossa e con gli istituti di medicina legale di numerose università italiane;
    lo straordinario impegno umanitario dell'Italia nel Golfo di Sicilia per salvare vite umane e per restituire dignità e memoria ai migranti deceduti ha goduto di un ampio apprezzamento internazionale evidenziato anche sui media di tutto il mondo; tuttavia, i risultati raggiunti attraverso la sinergia tra l'amministrazione pubblica e i centri di ricerca italiani non possono far trascurare alcuni problemi di funzionamento e di operatività che sussistono tanto nella struttura organizzativa dell'ufficio del commissario straordinario quanto sul relativo bilancio, che necessitano di essere rafforzati per fare fronte alle crescenti esigenze strutturali e finanziarie;
    anche le difficili operazioni volte al recupero del relitto del tragico naufragio del 18 aprile 2015 organizzate dal Governo italiano per procedere all'identificazione delle salme che in esso sono state recuperate, rispondevano a un preciso disegno politico volto a salvaguardare la dignità delle vittime e i valori sanciti tanto nella Costituzione italiana, quanto nelle fonti primarie del diritto dell'Unione europea; per sensibilizzare i partner europei verso un approccio più solidale e uno sforzo condiviso nella gestione delle crisi umanitarie in corso, il Governo italiano ha ripetutamente invitato le istituzioni dell'Unione europea ad adottare importanti misure simboliche, quali il posizionamento del relitto recuperato davanti alla nuova sede del Consiglio europeo a Bruxelles, come monumento a testimonianza dei valori di solidarietà, civiltà e accoglienza che l'Europa non deve trascurare, nonché monito perenne affinché tali tragedie simili non si ripetano mai più; anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala si è fatto portatore della proposta di convertire il relitto in un monumento da posizionare a Milano, città crocevia delle migrazioni verso il Nord Europa, nel quadro di un progetto più ampio volto all'istituzione di un polo scientifico e museale per i diritti umani con un percorso sulle tecniche di recupero e d'identificazione e uno dedicato alla memoria;
    i più recenti dati ufficiali a disposizione, relativi al 30 giugno 2015, parlano di 1.421 corpi ritrovati, ma non ancora identificati nel nostro Paese, tra cui quelli di 760 di migranti annegati in mare a seguito di tragici naufragi di cui abbiamo notizia;
    un caso emblematico riguarda la scomparsa di 138 cittadini tunisini imbarcatisi tra il marzo e il maggio 2011 su quattro barconi e di cui si sarebbero perse le tracce; alcune testimonianze darebbero i migranti per approdati presso la Sicilia occidentale, ovvero, presso le isole Egadi. Tuttavia, i familiari, non avendo più avuto notizie, hanno deciso di esporre denuncia presso le autorità italiane, rimasta fino ad oggi senza un riscontro definitivo;
    il fenomeno dei migranti scomparsi assume sempre di più dimensioni di rilievo panaeuropeo e si confronta con gli ostacoli della mancanza di regole comuni agli Stati membri per quanto riguarda le procedure di identificazione e autopsia, nonché con l'assenza di banche dati che consentano la raccolta dei dati ante e post mortem per questa situazione particolare,

impegna il Governo:

1) a promuovere una comunione di sforzi tra gli Stati membri dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa al fine di fronteggiare la tragedia umanitaria in corso nel Mediterraneo e la mancata identificazione dei corpi dei migranti deceduti, anche attraverso una rapida definizione di regole comuni per la ricerca, il recupero, l'identificazione e la gestione dei dati dei cadaveri senza nome;
2) a valutare iniziative di riforma e potenziamento, sia sul piano ordinamentale che finanziario, dell'ufficio del commissario straordinario per le persone scomparse e a sostenere le task-force inter-istituzionali da impegnare per un'ordinata raccolta dei dati post mortem e l'identificazione dei corpi ancora senza nome dei migranti;
3) a favorire un efficace scambio di informazioni con i Paesi d'origine dei migranti, a partire da quelli, come la Tunisia, che sono caratterizzati da una sufficiente stabilità politico-istituzionale, e con i partner europei, per entrare in contatto con i parenti e con i conoscenti delle persone scomparse, al fine del reperimento dei dati ante mortem e del loro incrocio con i dati post mortem;
4) ad adottare le misure necessarie per la riconversione del relitto del naufragio del 18 aprile 2015 in un monumento capace di richiamare la memoria e l'attenzione sui valori della solidarietà e della dignità umana che devono sempre ispirare e guidare le istituzioni nazionali e dell'Unione europea nella gestione dei flussi migratori.
(1-01547) «Quartapelle Procopio, Monchiero, Beni, Carnevali, Tidei, La Marca, Nicoletti, Fedi, Patriarca, Zampa, Rigoni, Carrozza, Sgambato, Chaouki».


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, è stata disciplinata la materia concernente i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    in attuazione del predetto decreto-legge con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 2014, n. 35, in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, con riguardo ai poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sono stati definiti gli ambiti soggettivi ed oggettivi, la tipologia, le condizioni e le procedure per l'esercizio dei poteri speciali nei due diversi settori;
    la specifica individuazione degli attivi di rilevanza strategica, avvenuta con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, per il settore della difesa e sicurezza nazionale e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, per i settori energetici, dei trasporti e delle comunicazioni, ha consentito di completare il quadro organizzativo regolamentare del settore;
    i citati regolamenti hanno altresì previsto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali, finalità conseguita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2014, che ha fissato le modalità procedimentali per lo svolgimento delle corrispondenti attività;
    l'afflusso di capitali stranieri rappresenta un fattore moltiplicatore per la competitività delle imprese nei mercati internazionali. Con la diffusa incertezza sull'andamento della domanda interna, la capacità di attrarre investimenti esteri si è confermata come un'importante leva di crescita, soprattutto per l'Italia che presenta ampie opportunità di investimento;
    tuttavia, negli ultimi anni a causa del perdurare della crisi economica, le difficoltà di crescita riscontrate nell'area dell'eurozona, la voragine sociale legata all'aumento della disoccupazione nei Paesi dell'Unione europea, la posizione del sistema industriale del Paese si è indebolita, lasciando spazio ad una serie sempre crescente che, lungi dal rappresentare occasioni di rafforzamento del sistema produttivo ed occupazionale, hanno sostanzialmente depauperato il contesto economico dell'Italia;
    inoltre, se si considera anche il fatto che la crisi in corso è anche e soprattutto una crisi della finanza pubblica sono spesso i soggetti statali, il Ministero dell'economia e delle finanze in primis, ad aver avviato una nuova fase di privatizzazioni, purtroppo che sembra ancora non conclusa, che ha messo e mette a repentaglio il patrimonio di lavoro e conoscenza acquisito nel corso degli anni dalle società indirettamente o direttamente controllate dallo Stato, sollevando altresì criticità in materia di tutela di ambiti strategici, come le telecomunicazioni, il risparmio di natura bancaria o finanziaria, il trattamento dei dati personali;
    un caso tipico di questo atteggiamento – oltre a quelli riguardanti Poste italiane o il gruppo delle Ferrovie dello Stato – riguarda l'Enel. A gennaio 2017, a seguito della fusione tra Enel green Power ed Enel, per la prima volta la quota di controllo dello Stato italiano nella società energetica è scesa sotto la quota del 25 per cento, rendendo di fatto l'azienda contendibile a soggetti nazionali o sovranazionali;
    tornando all'esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, esso dunque, sembra essere – come del resto ricorda anche la recente relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali – un'arma spuntata sotto un duplice motivo. Il primo motivo riguarda strettamente gli effetti della globalizzazione e l'incapacità dell'Unione europea di agire come attore internazionale. Energia, difesa e reti. Per questi settori più o meno in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea esistono golden powers attribuiti allo Stato, con cui un Governo può porre condizioni all'acquisto di partecipazioni strategiche in imprese considerate strategiche. Ma di fronte allo shopping da parte di Paesi al di fuori dell'Unione europea, in particolare quando non sono economie di mercato o non hanno medesimi standard di protezione in tema di diritto del lavoro o diritti sociali, l'Unione europea dovrebbe fare fronte comune;
    in questo senso, appare opportuna la necessità che, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, Italia, Germania e Francia, ma anche gli altri Paesi europei interessati, si facciano portatori di una proposta alla Commissione europea per introdurre il concetto di golden power comunitario a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'area dell'Unione europea. Il caso della competizione senza regole della Cina nel campo della siderurgia, oppure del comportamento antielusivo in campo fiscale degli Over the Top statunitensi come Google o Apple, impongono l'adozione di una strategia in tal senso, si attiverebbe così anche ad una definitiva armonizzazione delle varie legislazioni nazionali nell'ambito dell'esercizio dei poteri speciali, che tante disparità ha creato in questi anni;
    il secondo versante di criticità riguarda proprio il mercato unico. Infatti, all'interno del mercato unico si assiste oggi ad una reviviscenza di singoli nazionalismi economici che, da un lato, coincidono con scorribande finanziarie opache e aggressive (vedi le mire francesi sul risparmio italiano e sul mondo delle telecomunicazioni), dall'altro sfociano in un protezionismo senza precedenti (vedi il caso dell'acquisizione dei cantieri navali Stx da parte di Fincantieri);
    tale comportamento contrasta con lo spirito e la pratica dell'integrazione economica europea, in una fase politica dell'Unione europea dove al contrario vi sarebbe bisogno di maggiore coesione e trasparenza. In questo senso, sul tema degli asset strategici, appare sempre più utile un intervento che sappia colmare le asimmetrie informative che si sono aperte con la parte del recepimento da parte dei vari Paesi della direttiva europea sull'Opa. Asimmetrie che si notano con la Francia, tanto per citare il più intraprendente investitore nel made in Italy, che ha adottato un criterio di reciprocità che riguarda la condizione di imprese in certi settori strategici;
    il considerando n. 12 della direttiva 2013/50/Ue, in materia di obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti quotati e di prospetto per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, consente agli Stati membri di definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/CE, riguardo al contenuto, alla procedura e ai tempi di notifica delle partecipazioni rilevanti nel capitale di società quotate, nonché consente di richiedere informazioni aggiuntive, incluse, in particolare, le intenzioni degli azionisti;
    non si può non rilevare, tuttavia, come in alcuni casi la cessione o il trasferimento di aziende strategiche del nostro Paese avvenga per indirizzo dello stesso Governo, intento a perseguire in questa fase una politica di privatizzazioni dalla dubbia efficacia, ci si chiede infatti se investire nelle privatizzazioni convenga davvero. Se si prendono le ultime cinque operazioni di privatizzazione a mezzo di collocamento di titoli in Borsa e si confrontano il prezzo di collocamento con quello di Borsa al 24 febbraio 2017, si vede che il bottino è tutt'altro che esaltante. L'operazione più controversa è l'offerta pubblica iniziale di Fincantieri, voluta dall'amministratore delegato Giuseppe Bono e avallata dal Ministero dell'economia e delle finanze: la vendita di circa il 25 per cento della società è stata fatta nel giugno 2014 a 0,78 euro per azione. I titoli, rimasti quasi sempre sotto il prezzo di collocamento, adesso valgono 0,594, cioè il 23,8 per cento in meno. Nel febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto la quinta tranche Enel, il 5,74 per cento a un gruppo di banche a 4 euro per azione, il prezzo oggi è lo stesso. Nell'ottobre 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto Poste a 6,75 euro per azione. Il titolo della società oggi vale 5,94 euro, –12 per cento rispetto al collocamento. Infine, le azioni Enav, collocate a luglio 2016 a 3,3 euro, dopo un balzo del 10,6 per cento al debutto i guadagni sono ora a 3,324 euro;
    con riferimento al debito pubblico, la dismissione di un'ulteriore quota di partecipazione dello Stato al capitale di Poste italiane è suscettibile di determinare effetti negativi dovuti al venir meno del versamento dei dividendi distribuiti al Ministero dell'economia e delle finanze da Poste italiane spa. Sono altresì prefigurabili effetti, di carattere eventuale e indiretto e di entità non predeterminabile, dovuti alle variazioni di gettito fiscale per la tassazione, da un lato, dei maggiori dividendi distribuiti a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, dall'altro, dei minori interessi sul debito erogati. Come emerso nelle dichiarazioni congiunte delle organizzazioni sindacali i rapporti sempre più intrecciati tra Poste italiane e Cassa depositi e prestiti potrebbero far emergere un conflitto di interessi. È infatti noto che Poste italiane colloca per conto di Cassa depositi e prestiti i cosiddetti buoni postali fruttiferi e libretti di risparmio postale a fronte di commissioni periodicamente contrattate. Le consistenze di Cassa depositi e prestiti per quasi l'80 per cento derivano proprio dalla raccolta di risparmio postale. Dunque si verificherà che Cassa depositi e prestiti, maggiore azionista di Poste, sarà contemporaneamente controparte contrattuale nella definizione del rapporto economico tra emittente e collocatore. Altrettanto allarmanti appaiano poi eventuali effetti della privatizzazione di Poste sul servizio universale. I rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati dal contratto di programma. Il nuovo contratto di programma 2015-2019 tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane per la fornitura del servizio postale universale e stato firmato il 15 dicembre 2015, come previsto dalla legge di stabilità per il 2015. Il contratto è entrato in vigore il 1o gennaio 2016 e ha ottenuto l'approvazione della Commissione europea. Il contributo per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni di euro all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto, con cadenza mensile. Il servizio universale rappresenta un presidio essenziale per la vita economica e sociale di tutti i territori del nostro Paese. L'ingresso di una nuova compagine azionaria rischia di mettere a repentaglio la capillarità della rete postale italiana e i servizi offerti alla cittadinanza. Inoltre, sono oltre 30 milioni i soggetti (piccole e medie imprese, enti locali, cittadini, pensionati e lavoratori) che hanno un rapporto costante con il Gruppo Poste italiane, una tale massa di dati sensibili rischia di essere gestita da un soggetto totalmente privato, assunto che nell'era della comunicazione e dell'economia digitale costituisce valore il possesso e la gestione di dati individuali, senza effettive garanzie in termini di tutela della privacy e dei dati industriali ed economici sensibili;
    secondo quanto si apprende da fonti stampa, il Ministero dell'economia e delle finanze sta studiando un nuovo assetto della Cassa depositi e prestiti, diventata nel corso degli anni una sorta di banca d'affari pubblica con una dote da 250 miliardi di euro, il risparmio postale degli italiani. Siamo ancora nella fase istruttoria. Ma si ragiona sulla cessione di una quota del 15 per cento simile a quella già oggi posseduta dalle fondazioni bancarie. L'operazione lascerebbe il controllo di Cassa depositi e prestiti nelle mani del Ministero dell'economia e delle finanze, che scenderebbe al 65 per cento. E porterebbe nelle casse dello Stato, per essere destinati all'abbattimento del debito pubblico, circa 5 miliardi di euro. Anche in questo caso si tratterebbe di un'operazione destinata solo ad indebolire il profilo industriale del nostro Paese. L'istituto di via Goito è un tassello fondamentale per sostenere la dimensione socio-economica, come gli investimenti sul social-housing, sul disagio abitativo o la ricerca universitaria;
    il 10 aprile 2017 scadono i termini di presentazione del documento di economia e finanze ed il Governo è al lavoro proprio in questi giorni per cercare di capire quali siano gli interventi improrogabili e dove invece si può cercare di tagliare qualcosa alla spesa nazionale. Preme, infatti, la richiesta di Bruxelles di ridurre la spesa pubblica, che negli ultimi anni, in particolare durante il Governo Renzi, ha subito una crescita di ben 25 miliardi di euro, accentuando il debito pubblico. Secondo le prime indiscrezioni, pubblicate nel corso della scorsa settimana dal quotidiano economico Il Sole 24 ore, al momento a Palazzo Chigi i riflettori sono puntati su 4 punti fondamentali. I punti più discussi sono incentrati sulla riduzione del cuneo fiscale, sulla revisione della spesa e sull'intervento sulle aliquote Iva in aumento,

impegna il Governo:

1) sul versante europeo:
  a) a promuovere un'iniziativa congiunta, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, per introdurre una legislazione comunitaria completa sull'esercizio dei poteri speciali da parte delle istituzioni europee a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'Unione europea, con particolare riferimento ai mercati internazionali e alla competizione operata dai Paesi caratterizzati da economie non di mercato e conseguentemente ad istituire una cabina di regia a livello europeo sulle industrie strategiche, anche a tutela di inappropriate forme di delocalizzazione del lavoro;
  b) a valutare l'assunzione di iniziative a livello di legislazione europea volte a diminuire le asimmetrie informative tra i vari Stati membri derivanti dal recepimento della direttiva europea sull'offerta pubblica d'acquisto;

2) sul versante nazionale:
  a) ad assumere iniziative normative volte a dare corso alle proposte del Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali, come evidenziate nell'ultima relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali, rafforzando in particolare le direttrici di indirizzo e l'integrazione dei meccanismi decisionali;
  b) al fine di migliorare il grado di trasparenza del mercato e incrementare il grado di conoscenza e di informazione degli stakeholder, onde favorire l'assunzione di decisioni consapevoli, a valutare l'adozione di iniziative volte all'estensione del contenuto degli obblighi di comunicazione su chi acquisisce una partecipazione particolarmente importante in una società quotata operante in settori di interesse strategico, imponendo allo stesso di chiarire le finalità perseguite con l'acquisizione, anche con particolare riferimento a tutti quei soggetti che operano nel settore del risparmio di natura bancaria e finanziaria;
  c) nelle more della presentazione del documento di economia e finanza, ad assumere impegni chiari circa la necessità di non procedere ad ulteriori dismissioni di quote di partecipazione di società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato senza il pieno coinvolgimento del Parlamento sulla missione delle società stesse, a cominciare dalla Cassa depositi e prestiti, anche al fine di salvaguardare tali soggetti strategici in un'ottica di competizione internazionale.
(1-01548) «Franco Bordo, Ricciatti, Epifani, Folino, Ferrara, Bersani, Laforgia, Roberta Agostini, Albini, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fava, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE, nota come «direttiva Bolkestein», in materia di servizi nel mercato interno, è stata recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, che provvede a regolare anche il settore del commercio su aree pubbliche;
    la direttiva Bolkestein ha irrigidito il sistema autorizzatorio prevedendo che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, i comuni applichino una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'articolo 16, del decreto legislativo n. 59 del 2010, sul commercio ambulante in aree pubbliche, oltre ad introdurre un limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili nella stessa area, stabilisce, al comma 4, il divieto di rinnovo automatico dei titoli scaduti, creando non poche difficoltà per il settore, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale;
    il citato articolo, equiparando la nozione di «risorse naturali» con quella di «posteggi in aree di mercato» ha avuto l'effetto di generare una forte concorrenza nel settore, questa non sostenibile per gli operatori del commercio ambulante. Infatti, esso fa rientrare il suolo pubblico, concesso per l'esercizio dell'attività di commercio ambulante, nella nozione di «risorse naturali», assoggettandolo quindi alla procedura di selezione pubblica;
    alle suddette criticità si aggiungono quelle relative all'applicazione dell'articolo 70 del citato decreto legislativo, il quale riconosce l'accesso al settore anche alle società di capitali, rischiando di mettere fuori dal mercato le piccole aziende a conduzione familiare, che fino ad oggi hanno operato nel settore rendendolo fortemente competitivo;
    il parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, approvato dalle Commissioni II e X della Camera dei deputati, in data 11 marzo 2010, invitava il Governo, anche su proposta del gruppo della Lega Nord, a «escludere espressamente l'equiparazione dei posteggi in aree di mercato alle risorse naturali» al fine di «evitare interpretazioni estensive della nozione di ”risorse naturali”», sia per ragioni di coerenza con la normativa comunitaria sia per non penalizzare il settore del commercio ambulante e su aree pubbliche;
    il medesimo parere invitava altresì il Governo a «escludere la possibilità di esercizio del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche da parte di società di capitali»;
    il 5 luglio 2012, ai sensi del comma 5, dell'articolo 70 del citato decreto legislativo n. 59 del 2010, è stata adottata un'intesa in sede di Conferenza unificata per la definizione della durata e del rinnovo delle autorizzazioni; in tale intesa, in particolare, viene stabilita la durata delle autorizzazioni da 9 a 12 anni, e soltanto in prima applicazione, viene data priorità al criterio della «professionalità acquisita». Essa, tuttavia, non supera del tutto le criticità di settore, continuando di fatto a far ricadere espressamente la fattispecie del commercio su aree pubbliche nell'ambito di applicazione dell'articolo 16, del citato decreto legislativo n. 59 del 2010;
    la suddetta intesa al fine di evitare eventuali disparità di trattamento tra i soggetti le cui concessioni di aree pubbliche sono scadute prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (recante attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) e che hanno, quindi, usufruito del rinnovo automatico ed i soggetti titolari di concessioni scadute successivamente a tale data, che non hanno usufruito di tale possibilità, stabilisce l'applicazione, in fase di prima attuazione delle seguenti disposizioni transitorie:
   a) le concessioni scadute e rinnovate (o rilasciate) dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 (8 maggio 2010) sono prorogate di diritto per sette anni da tale data, quindi fino al 7 maggio 2017 compreso;
   b) le concessioni che scadono dopo l'entrata in vigore dell'Accordo della Conferenza unificata (16 luglio 2015) e nei due anni successivi, sono prorogate di diritto fino al 15 luglio 2017 compreso;
   c) le concessioni scadute prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 e che sono state rinnovate automaticamente mantengono efficacia fino alla naturale scadenza prevista al momento di rilascio o di rinnovo;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante proroga e definizioni di termini, convertito, con, modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, all'articolo 6, comma 8, ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per il commercio su aree pubbliche al 31 dicembre 2018, ed ha stabilito l'obbligo per i comuni di avviare, qualora non abbiano già provveduto, le procedure di selezione pubblica per il rilascio delle nuove concessioni, entro il 31 dicembre 2018, nel rispetto della normativa vigente;
    il suddetto decreto non risolve tuttavia l'annosa questione legata all'opportunità di escludere la categoria dall'applicazione della direttiva comunitaria relativa ai servizi nel mercato interno, ed anzi rischia di generare profonda incertezza in merito all'espletamento delle gare già avviate dai comuni, che a giudizio dei proponenti, dovrebbero ritenersi nulle,

impegna il Governo

1) a chiarire, con apposita iniziativa normativa, che i posteggi utilizzati per l'esercizio del commercio ambulante su aree pubbliche non rientrano nella nozione di «risorse naturali» e che le relative concessioni non sono soggette all'applicazione del comma 4 dell'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;

2) ad assumere le necessarie iniziative normative per la modifica dell'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, riservando l'attività del commercio al dettaglio su aree pubbliche esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;

3) a promuovere tavoli di confronto con le associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche affinché siano al meglio risolte le problematiche da questi denunciate, anche al fine di mettere ordine nella normativa di settore per quanto concerne i criteri per il rilascio ed il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio dell'attività;

4) ad adottare opportune iniziative normative al fine di chiarire che sono nulle le procedure di gara avviate dalle amministrazioni comunali prima del 31 dicembre 2018, esonerando quindi le stesse dall'obbligo di avviare le procedure di selezione pubblica entro la medesima data.
(1-01549) «Allasia, Saltamartini, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    ormai da diversi anni la coscienza sociale percepisce il legame fra l'uomo ed il suo animale come uno dei momenti di cui si nutre lo sviluppo della personalità del soggetto (tutelata dall'articolo 2 della Costituzione);
    l'attuale coscienza sociale considera l'animale un essere sensibile meritevole di tutela diretta e, non solo, indiretta (quale riflesso del rapporto uomo-animale). Tale presa d'atto si è dunque trasfusa in provvedimenti normativi adottati a tutela degli animali stessi ed in quanto esseri senzienti;
    parallelamente alla crescita delle tutele giuridiche apprestate in favore degli animali si è assistito ad un incremento esponenziale degli animali d'affezione registrati. In particolare in Italia risultano più di 60 milioni di animali domestici, di cui oltre 14 milioni di cani e gatti che rappresentano, rispettivamente, il 48,2 per cento ed il 51,8 per cento degli animali d'affezione posseduti dalle famiglie italiane, come evidenziato dal rapporto pubblicato dall'Assalco (Associazione nazionale imprese per l'alimentazione e la cura degli animali da compagnia);
    a ciò si aggiunga che, secondo i dati del rapporto Italia 2016 redatto dall'Eurispes, quasi la metà degli italiani ha un cane (43,3 per cento) ed alcuni anche più di uno. Il 22,5 per cento della popolazione ha infatti un animale da compagnia, il 9,3 per cento ne ha due, il 4,1 per cento ne ha tre e il 7,4 per cento dichiara di possederne addirittura più di tre;
    dall'indagine Eurispes emerge, anche, che per nutrire, tenere pulito e curare l'aspetto del proprio animale la maggioranza dei proprietari (38,6 per cento) spende circa 50 euro al mese e più del 35 per cento sostiene una spesa mensile di 30 euro;
    anche l'associazione dei consumatori Adoc ha calcolato che per il mantenimento e la cura di un gatto o di un cane si spendono, rispettivamente, dagli 800 euro fino ai 1.800 euro l'anno;
    dunque vi è stato un incremento della spesa destinata alla cura ed al mantenimento degli animali d'affezione pari al 70 per cento rispetto a 10 anni fa. Il comparto degli accessori, per esempio, ha registrato un fatturato di circa 66 milioni di euro nel 2014, con un incremento a valore del 3,9 per cento rispetto all'anno precedente;
    nel 2015 il mercato dei prodotti e servizi legati alla cura ed all'igiene degli animali d'affezione ha prodotto un giro d'affari di circa 2 miliardi di euro, con un trend positivo del 4,1 per cento;
    ciò posto in linea generale, occorre prendere atto della crescita esponenziale delle attività che offrono servizi aventi ad oggetto la cura e l'igiene degli animali domestici, ovvero le toelettature;
    i servizi di toelettatura sono, infatti, destinati a mantenere non solo un elevato livello di igiene dell'animale domestico, ma anche di salute complessiva dell'animale attraverso il lavaggio del pelo e della cute, la pulizia di occhi, orecchie e denti o ancora taglio delle unghie e profilassi antiparassitaria;
    il numero di attività iscritte alla Camera di commercio con codice Ateco n. 960904 – Servizi di cura degli animali da compagnia (esclusi i servizi veterinari), su tutto il territorio nazionale, risultano essere 3557, così distribuite: Abruzzo n. 79; Basilicata n. 22; Calabria n. 56; Campania n. 206; Emilia Romagna n. 312; Friuli Venezia Giulia n. 96; Lazio n. 381; Liguria 103; Lombardia n. 580; Marche 118; Molise n. 9; Piemonte n. 287; Puglia n. 251; Sardegna n. 90; Sicilia n. 209; Toscana n. 300; Trentino Alto Adige n. 57; Umbria n. 64; Valle D'Aosta n. 8; Veneto n. 329;
    tuttavia, nonostante l'elevato numero di attività commerciali di toelettatura e l'elevato giro d'affari del settore, non esiste un sistema nazionale e/o regionale volto a garantire la professionalità e preparazione di coloro che prestano tale servizio;
    tale stato di cose altro implica che chiunque può attribuirsi la qualifica di toelettatore e svolgere tale attività, a prescindere dalla propria formazione professionale, registrandosi in tale ambito un enorme vuoto normativo;
    infatti, le uniche regole, che, in qualche modo, disciplinano il settore, sono quelle dettate dalle norme igienico-sanitarie inerenti le caratteristiche tecniche che devono possedere i locali all'interno dei quali si svolge tale attività;
    si rileva che la normativa non è uniforme su tutto il territorio nazionale essendo rimessa alle regole dettate dalle locali autorità amministrative competenti in materia igienico-sanitaria;
    questo, oltre a comportare un'evidente disomogeneità di disciplina, cui consegue inevitabilmente una disparità di trattamento, attesta il limite della normazione in materia, che si limita a prevenire eventuali pericoli per la sanità pubblica trascurando del tutto l'aspetto della tutela dell'animale;
    tale ultimo dato assume una particolare valenza negativa laddove si pone in contrasto con tutto quanto detto in ordine ai diritti degli animali ed alla tutela che l'ordinamento nazionale ed internazionale gli accorda;
    in effetti, tutelare l'animale dai maltrattamenti non può tradursi unicamente in norme che prevedano una sanzione penale a fatto avvenuto, ma richiede interventi normativi che impongano regole volte a prevenire che tale evento si verifichi, attraverso la garanzia della preparazione tecnica e professionale di tutti quei soggetti chiamati a prestare un servizio che comporti un contatto diretto con l'animale, analogamente a quanto avviene per parrucchieri ed estetisti;
    a ciò si aggiunga che l'assenza di qualsivoglia forma di disciplina, unitamente al costante aumento del lavoro in tale settore, porta inevitabilmente con sé un incremento della cosiddetta economia sommersa (lavoro sommerso ed evasione fiscale), che secondo l'Istat si attesta tra il 17 ed il 21 per cento del prodotto interno lordo nazionale, con le pesanti ripercussioni che tale fenomeno ha sulla ricchezza del Paese,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare un sistema nazionale e/o regionale volto a garantire la professionalità e preparazione di coloro che prestano le tipologie di servizio esposte in premessa;
   a valutare l'opportunità di adottare iniziative per l'introduzione di una disciplina in materia che consenta di effettuare analisi economiche ed applicare tecniche statistico-matematiche attraverso le quali stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti ai soggetti esercenti tali attività, così fornendo all'amministrazione finanziaria importanti strumenti di ausilio nell'attività di controllo e contrasto dell'economia sommersa.
(7-01222) «Polidori, Polverini».


  La XIII Commissione,
   premesso che:
    la produzione europea di riso ammonta a 1,8 milioni di tonnellate annue per un fatturato annuo di circa 3 miliardi di euro. L'Italia è il maggior produttore di riso con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso, 4.265 aziende risicole, 100 industrie risiere per un fatturato annuo di 1 miliardo di euro;
    la filiera risicola europea presenta delle peculiarità che la distinguono dalle filiere risicole del resto del mondo; infatti, è caratterizzata da:
     a) un'elevata specializzazione;
     b) un fondamentale ruolo di gestione delle acque, garantendone la disponibilità nel lungo termine;
     c) un'importante valenza ambientale in termini di riduzione dell'inquinamento delle acque sotterranee, di preservazione di diverse specie di animali, di prevenzione dei fenomeni alluvionali e di contrasto della salinizzazione dei terreni limitrofi alle foci dei fiumi;
     d) un prodotto che non può essere considerato una commodity in quanto rifornisce diversi segmenti di mercato;
     e) una valenza storica, sociale e culturale;
    la filiera europea del riso sta vivendo in questi anni una profonda crisi aggravata dall'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 732/2008 del Consiglio, del 22 luglio 2008, relativo all'applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate (SPG), successivamente aggiornato dal regolamento (CE) n. 978/2012;
    il sistema di preferenze generalizzate, istituito dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo, è lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi applicabili all'atto dell'importazione. Il sistema comprende il cosiddetto regime EBA («everything but arms»), che concede l'accesso senza dazi e contingentamenti a tutti i prodotti provenienti dai Paesi meno sviluppati (Least developed country – LDC), senza limitazioni quantitative e senza dover pagare alcuna tariffa, eccezion fatta per le armi e le munizioni. Per i prodotti sensibili, quali riso, zucchero e banane, è stata prevista una implementazione graduale del regime;
    l'aumento anomalo delle importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici sta riducendo i prezzi di mercato del riso prodotto nell'Unione europea al di sotto dei costi di produzione, con gravi danni per le imprese europee;
    l'analisi del mercato dalla data di completa liberalizzazione delle importazioni dai PMA (1o settembre 2009) ha infatti evidenziato:
     a) una crescita progressiva delle importazioni totali dell'UE (incremento del 65 per cento dalla campagna 2008/2009 alla campagna 2015/2016), raggiungendo il record di 1,34 milioni di tonnellate nella campagna 2015/2016;
     b) un rilevante incremento delle importazioni di riso semigreggio Basmati (aumento del 97 per cento dalla campagna 2008/2009 alla campagna 15/16);
     c) un aumento spropositato sia delle importazioni di risone dai Paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) (crescita del 5.650 per cento dalla campagna 2008/2009 alla campagna 2015/2016) sia delle importazioni di riso lavorato dai PMA (aumento del 4.440 per cento dalla campagna 2008/2009 alla campagna 2015/2016);
     d) un incremento delle importazioni di riso lavorato in piccole confezioni (crescita del 45 per cento dal 2013 al 2016, monitorati dalla Commissione per anno solare);
    questi  trend, dovuti principalmente alla completa liberalizzazione delle importazioni dai (PMA e dagli ACP hanno determinato una forte riduzione della superficie dell'Unione europea a riso indica (riduzione del 40 per cento) ed un aumento della superficie dell'Unione europea a riso japonica (aumento del 14 per cento), creando uno squilibrio di mercato per entrambe le tipologie di prodotto. La Commissione europea ha preventivato per la campagna 2016 - 2017 stock finali ad un livello record di 586.000 tonnellate (equivalente al 30 per cento della produzione dell'Unione europea) e la situazione non potrà che peggiorare se i due studi pubblicati dalla Commissione europea alla fine del 2016 troveranno conferma nei fatti;
    nello studio intitolato Eu agricultural outlook - Prospects for Eu agricultural markets and income 2016/2026 la Commissione europea ha evidenziato per il settore del riso un aumento del consumo di appena il 6 per cento che sarà completamente coperto dall'aumento delle importazioni, in particolare dai PMA che arriveranno a rappresentare il 50 per cento dell'import dell'Unione europea totale;
    lo studio dal titolo «Cumulative economic impact of future trade agreements on Eu agriculture», effettuato dal JRC (Joint research centre), si è concentrato sugli effetti dei negoziati di libero scambio per i diversi mercati agricoli dell'Unione europea, prendendo in esame i maggiori esportatori di riso come i Paesi dell'area economica Mercosur, la Thailandia ed il Vietnam, ma non l'India. Lo studio mette in evidenza che il settore del riso risulterà essere uno dei più penalizzati con un consistente aumento delle importazioni, soprattutto dalla Thailandia, che determinerà una riduzione della produzione dell'Unione europea ed un calo delle quotazioni;
    entro novembre 2017 la Commissione europea sarà chiamata a redigere una relazione sugli impatti derivanti dalla importazione di risi dai Paesi extra Unione europea;
    i rappresentanti della filiera risicola europea sono gravemente preoccupati dalla situazione di mercato delle campagne scorse e dalle prospettive per i prossimi anni;
    la risicoltura europea rischia, infatti, di essere fortemente ridimensionata, mettendo in pericolo un vasto territorio e tutta la filiera, con gravi ripercussioni non solo economiche ed occupazionali ma anche ambientali (l'abbandono dei terreni coltivati compromette, infatti, l'ecosistema e l'equilibrio idrogeologico) e sanitari (dai prodotti di origine asiatica è stata rilevata la presenza di pesticidi non autorizzati);
    i Paesi europei produttori di riso (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Bulgaria e Ungheria) si sono incontrati nel mese di febbraio 2017 a Milano per condividere una piattaforma comune condivisa dall'intera filiera (agricoltori, trasformatori ed istituzioni) che è stata presentata ai Ministeri dell'agricoltura delle rispettive nazioni. Obiettivo prioritario di tale documento è l'apertura di un tavolo con la Commissione europea per la revisione delle norme vigenti sulla importazione di riso dagli stati extra comunitari;
    il sistema di preferenze generalizzate (SPG) prevede in ogni caso meccanismi di sorveglianza e di salvaguardia, che consentono anche di ripristinare i normali dazi della tariffa doganale comune, qualora un prodotto originario di un Paese beneficiario di uno dei regimi preferenziali sia importato in volumi o a prezzi tali da causare o rischiare di causare gravi difficoltà ai produttori dell'Unione europea di prodotti simili o direttamente concorrenti;
    con il regolamento (UE) n. 1169/2011 l'Unione europea si è dotata di norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti;
    in seguito a tale regolamento è stato emanato il decreto interministeriale 9 dicembre 2016 «Indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori». Grazie a tale atto viene indicato con chiarezza la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte Uht, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini (in particolare, Paese di mungitura del latte e Paese di condizione o trasformazione del latte);
    nel mese di dicembre 2016 è stato inviato a Bruxelles, per la prima verifica, lo schema di decreto, condiviso dai Ministri delle politiche agricole Maurizio Martina e dello sviluppo economico Carlo Calenda, che introduce la sperimentazione dell'indicazione obbligatoria dell'origine per la «filiera grano pasta in Italia»;
    grazie a tale atto sarà predisposto un modello di etichettatura che consente di indicare con chiarezza al consumatore, sulle confezioni di pasta prodotta in Italia, l'area dove è coltivato il grano e quello in cui è macinato. In particolare, se coltivazione e molitura avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: «Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE»; e se il grano duro è coltivato almeno per il 50 per cento in un solo Paese, come ad esempio l'Italia, si potrà usare la dicitura: «Italia e altri Paesi UE e/o non UE»;
    è auspicabile, alla luce di quanto espresso, che venga adottata un'analoga sperimentazione dell'indicazione obbligatoria dell'origine anche per la filiera risicola in Italia;
    il 23 luglio 2014 la Commissione agricoltura della Camera dei Deputati ha approvato la risoluzione numero 8-00069 che ha impegnato, tra l'altro, il Governo:
     a) ad intervenire in tempi rapidi nelle competenti sedi europee a tutela delle imprese risicole italiane e del mercato nazionale in senso più generale, affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista all'articolo 22 del regolamento (UE) 978/2012;
     b) ad adottare le iniziative necessarie per rendere immediatamente applicabile al riso e ai prodotti a base di riso la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera e ad attivarsi affinché, nel quadro di quanto stabilito nel regolamento (UE) n. 1169/2011, l'Unione europea si doti di norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti,

impegna il Governo:

   ad adottare in tempi rapidi iniziative presso le sedi comunitari e preposte, coerentemente anche con quanto fino ad oggi attivato nel rispetto degli impegni assunti con la citata risoluzione numero 8-00069, affinché la filiera risicola europea ed italiana sia tutelata attraverso le seguenti azioni:
    a) la pronta applicazione della clausola di salvaguardia nei confronti delle importazioni dai PMA (revisione del regolamento Ue n. 978/2012) per rivedere le agevolazioni ad oggi previste per determinati dazi doganali e la conseguente individuazione di regole condivise e reciproche sia tra gli Stati membri dell'Unione europea sia tra gli Stati membri dell'Unione europea e i Paesi terzi, in ambito fitosanitario e commerciale, per favorire un mercato trasparente nel rispetto dei diritti sociali, dei lavoratori e della tutela dell'ambiente;
    b) il mantenimento della «specificità» del settore risicolo nell'ambito della prossima politica agricola comune con obiettivi e strumenti adeguati per il comparto;
    c) l'adozione di una sperimentazione dell'indicazione obbligatoria dell'origine della filiera risicola in Italia, come già fatto per la filiera «grano pasta in Italia», nel quadro di quanto previsto dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
    d) l'attuazione di campagne promozionali finanziate con fondi comunitari per incrementare il consumo di riso coltivato nell'Unione europea.
(7-01221) «Fiorio, Sani, Luciano Agostini, Carra, Cova, Falcone, Ferrari, Mongiello, Romanini, Taricco, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il mondo delle adozioni internazionali vive una situazione di stallo assoluto da circa tre anni, che mette in difficoltà gli enti che si occupano di adozioni ma soprattutto le famiglie che, ad oggi, non, hanno più un interlocutore;
   il 13 febbraio 2014 la dottoressa Silvia Della Monica riceveva la nomina a vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali (CAI) e dal 30 aprile 2014 al 21 giugno 2016 è stata anche Presidente della stessa CAI per delega dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi;
   in seguito le viene revocata la delega poiché nel frattempo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 giugno 2016 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno 2016, viene conferito l'incarico al Ministro Maria Elena Boschi; tuttavia, la dottoressa Della Monica conservava il ruolo di vicepresidente fino a scadenza dell'incarico della durata di tre anni, ovvero per il mese di febbraio 2017;
   in seguito alla schiacciante vittoria del «No» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Matteo Renzi, rassegna le proprie dimissioni e il successivo 11 dicembre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferisce l'incarico di formare il nuovo Governo al deputato Paolo Gentiloni Silveri, il quale presta giuramento il giorno dopo presentando la sua compagine governativa;
   nel corso della riunione del 29 dicembre 2016, il Consiglio dei ministri completa la squadra di Governo nominando 41 sottosegretari;
   tuttavia, agli interroganti non risulta sia stata ancora affidata alcuna delega per la gestione delle adozioni internazionali;
   se non intenda assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per pervenire al conferimento della delega per l'esercizio delle funzioni di presidente della Commissione per le adozioni internazionali, in modo da ridare piena operatività alla stessa e mettere in atto le necessarie iniziative per superare questa situazione di stallo che ormai è divenuta insostenibile e inaccettabile.
(2-01716) «Scagliusi, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Grande, Del Grosso».

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'Interno, con sentenza del 6 aprile 2016;
   la Consulta ha bocciato i criteri con i quali sono stati distribuiti nel 2013 circa 2,2 miliardi di tagli ai comuni e, per la precisione, si tratta del capitolo che riguarda le riduzioni al fondo sperimentale di riequilibrio e al fondo sperimentale per 2,250 miliardi di euro, laddove stabiliva che il riparto dei tagli spettava al Ministero dell'interno, attraverso un decreto di natura non regolamentare; e «in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal Siope», cioè il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici;
   secondo i giudici costituzionali «il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Città e autonomie locali nella fase di determinazione delle riduzioni addossate a ciascun Comune» unita «alla mancanza di un termine per l'adozione del decreto ministeriale e alla individuazione dei costi intermedi come criterio base per la quantificazione dei tagli finanziari, comporta, infatti, la violazione degli articoli 3, 97 e 119» della Costituzione;
   la Consulta, nella sentenza, spiega: «Nessun dubbio che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull'autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio» e «non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione», in particolare la Consulta punta il dito contro la scelta di quantificare i tagli in base ai costi intermedi delle amministrazioni: «Si tratta, dunque, di un criterio che si presta a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell'impiego delle risorse finanziarie. Il criterio delle spese sostenute per consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; ma la sua illegittimità deriva dall'essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria»;
   i comuni di Casalmaggiore, San Giovanni in Croce e Motta Baluffi, in provincia di Cremona, hanno indirizzato un'istanza di richiesta al Presidente del Consiglio dei ministri Gentiloni, al Ministro dell'economia e delle finanze Padoan e al Ministro dell'interno Minniti, affinché vengano rimborsati 375 mila 907,28 euro al comune di Casalmaggiore, 45.266,74 euro al Comune di San Giovanni in Croce e 14.402,75 al Comune di Motta Baluffi;
   i sopracitati Comuni chiedono formalmente il rimborso delle entrate erariali decurtate in sede di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio del fondo perequativo per l'anno 2013;
   le amministrazioni comunali versano in gravi difficoltà economiche, costrette ad operare tagli e riduzioni di rilievo sui servizi alla cittadinanza;
   con quali tempi e modalità, intendano predisporre il rimborso delle cifre che a parere dell'interrogante risultano, alla luce della sentenza della Corte costituzionale citata in premessa, illegittimamente trattenute nelle casse dello Stato. (3-02882)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella nota del 13 ottobre 2016, protocollo n. 309571, il commissario e il sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, rispettivamente Massimo Scura e Andrea Urbani, precisano i termini dell'integrazione in fieri tra gli ospedali «Pugliese-Ciaccio» e «Mater Domini» – policlinico universitario – di Catanzaro;
   la riferita nota è indirizzata alla direzione generale della programmazione sanitaria e ad altri uffici ministeriali di competenza appartenenti alla medesima struttura, oltre che al rettore dell'università «Magna Graecia» di Catanzaro e al dirigente generale del dipartimento regionale preposto alla tutela della salute;
   nella nota in parola è scritto esplicitamente che verrà realizzata una piastra di pronto soccorso, presso il suindicato policlinico universitario e che progressivamente verranno spostati presso la medesima struttura gli altri reparti dell'ospedale «Pugliese»;
   nella citata nota viene richiamato l'invito al consiglio regionale della Calabria a rimuovere gli ostacoli normativi alla riassunta integrazione, compresa nel programma operativo 2016-2018;
   la predetta integrazione, come scritto nel documento in parola, necessita del protocollo d'intesa tra la regione e l'università, di cui è contestualmente precisato l’«avanzato stato di elaborazione»;
   l'interrogante ha già presentato atti di sindacato ispettivo sulla mancanza di un protocollo d'intesa valido tra regione Calabria e università di Catanzaro, nonché denunce alla procura della Repubblica di competenza e alla Corte dei conti di Catanzaro, in relazione al surplus di finanziamento che la seconda riceve dalla prima pur senza il necessario protocollo, informandone anche la direzione generale della programmazione sanitaria e il tavolo interministeriale di verifica degli adempimenti;
   preme qui ricordare che la potestà legislativa, in relazione all'istituzione delle aziende sanitarie è esclusivamente del consiglio regionale e non della struttura commissariale, delegata dal Governo alla mera attuazione del piano di rientro e, peraltro, a giudizio degli interroganti, in contrasto con la legge, come già osservato nell'interpellanza n. 2-01258 del 3 febbraio 2016 –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per impedire che di fatto la struttura commissariale scavalchi, in materia di integrazione tra i citati ospedali, la potestà legislativa del consiglio regionale, per assicurare al più presto che i rapporti tra regione Calabria e università di Catanzaro siano regolati da un protocollo d'intesa valido e per verificare che le cifre negli anni trasferite dalla prima alla seconda siano state corrisposte in conformità alle norme vigenti. (5-10871)


   NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in una nota del 18 luglio 2016 a firma del dottor Gianluigi Scaffidi, dirigente sindacale di Anaao-Assomed, si evidenzia, all'attenzione della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, del Ministro della salute, del tavolo interministeriale di verifica degli adempimenti, del governatore regionale ed altri che «ha cessato di esistere il punto nascita della casa di cura «Villa Aurora» di Reggio Calabria» e che la «decisione è stata assunta dal duo Scura-Urbani ed è contenuta nel DCA n. 64/2016 avverso il quale tanti protestano, in primis l'altro duo Oliverio-Pacenza, ma nessuno agisce»;
   la suddetta casa di cura garantiva assistenza nella specialità ostetricia e ginecologia con 33 posti letto
   «per decisione dei commissari (ad acta, nda) – ha scritto il dottor Scaffidi – sono stati cassati questi posti letto e sono stati assegnati n. 43 posti letto di «Chirurgia generale» e n. 30 posti letto di «Recupero e riabilitazione» al posto dei 30 preesistenti posti di Lungodegenza»;
   «con questa singolare decisione – ha aggiunto il dottor Scaffidi –, tutta l'utenza del Reggino sarà caricata sull'unico punto nascita dell'Azienda ospedaliera di Reggio Calabria», salvo i punti periferici di Locri e Polistena, dunque altrettanto oberati;
   quanto sopra affermato trova conferma nel fatto che con lo stesso decreto del commissario ad acta n. 64/2016 sono stati distribuiti alla casa di cura privata «Villa Elisa» – ubicata a Polistena (Reggio Calabria) e per anni funzionale a integrare l'assistenza per ginecologia-ostetricia nella popolata, Piana di Gioia Tauro – 15 posti letto di «Lungodegenza» e 33 di «Recupero e Riabilitazione», azzerando quelli del «Punto nascita»;
   la procura di Reggio Calabria ha ricostruito fatti gravissimi sul «Punto nascita» dell'Azienda ospedaliera di Reggio Calabria come riassunto nell'interpellanza urgente n. 2/01365 del 10 maggio 2016, modificata il 13 maggio, a firma dell'interrogante;
   nel verbale di verifica dei requisiti di legge del punto nascita dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, prot. n. 43/ Comm. Az. del 23 marzo 2016, si legge che «il Punto Nascita del A.O. Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria necessita di essere adeguato a quanto previsto dall'Accordo Stato-Regioni del 15 dicembre 2010, da un punto di vista strutturale, impiantistico, organizzativo e tecnologico»;
   la legge n. 161 del 2014 ha introdotto per le professioni sanitarie il rispetto della direttiva europea sui turni e i riposi obbligatori –:
   alla luce della grave e insostenibile situazione evidenziata, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per garantire la massima sicurezza dei parti nella provincia di Reggio Calabria. (5-10872)


   NESCI, PARENTELA e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissario per l'attuazione del piano di rientro, Massimo Scura, convocò, per il 9 febbraio 2016 alle ore 9, il direttore generale del dipartimento politiche della salute della regione, Riccardo Fatarella, il direttore generale dell'asp di Catanzaro Giuseppe Perri e il presidente della commissione dell'asp di Crotone per l'autorizzazione e l'accreditamento, Luigi d'Orazio;
   la convocazione di tale incontro segui alla redazione del verbale relativo alla verifica del possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi presso l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, ossia il policlinico dell'ateneo del luogo;
   il verbale in parola, redatto in data 20 gennaio 2016 dalla competente commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento, fu trasmesso all'asp di Catanzaro il 21 gennaio 2016;
   la legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, al comma terzo dell'articolo 65 prescrive: «L'accreditamento definitivo di singoli reparti e servizi di strutture delle aziende sanitarie o di singoli reparti o servizi delle aziende ospedaliere già attivi, riconvertiti o ristrutturati nonché delle sperimentazioni gestionali di cui all'articolo 9-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, è differito alla ultimazione degli adeguamenti complessivi delle strutture dove gli stessi sono collocati. Pertanto dalla loro attivazione le stesse strutture devono essere considerate provvisoriamente accreditate. I nuovi servizi realizzati, nell'ambito di processi parziali di riconversione in atto e in coerenza con le indicazioni del P.S.R. e degli atti aziendali, devono parimenti essere considerati provvisoriamente accreditati nelle more dell'accreditamento complessivo delle strutture all'interno delle quali sono collocati»;
   il decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010 stabilisce, modificando con l'articolo 4 l'apposito regolamento n. 13 del 2009, che «gli atti di autorizzazione sanitaria all'esercizio e di accreditamento istituzionale sono rilasciati dalla Regione alle strutture sanitarie, socio-sanitarie, nonché ai singoli professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente al possesso dei requisiti individuati dal regolamento 1o settembre 2009, n. 13, sulla base delle verifiche svolte in ambito aziendale dalle commissioni aziendali e dal conseguente parere del legale rappresentante dell'azienda sanitaria, fermo restando a definizione del fabbisogno e del volume delle attività individuate dalla programmazione regionale»;
   lo stesso decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, modificando, con l'articolo 4, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che: «La commissione aziendale, ad esito della verifica effettuata presso gli studi dei singoli professionisti e presso le strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, elabora la propria relazione di verifica e la inoltra al legale rappresentante dell'azienda sanitaria che, a sua volta, la trasmette alla regione, all'interno dell'atto deliberativo attestante il previsto parere. La regione, ad esito del procedimento e sulla base della preventiva verifica sulla conformità delle prestazioni rispetto al fabbisogno di assistenza definito dagli atti di programmazione regionale, può rilasciare: il parere sulla compatibilità del progetto, in caso di autorizzazione alla realizzazione; l'autorizzazione sanitaria all'esercizio; l'accreditamento istituzionale»;
   in merito all'applicabilità delle predette norme, lo stesso decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, modificando con l'articolo 5, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che «il presente regolamento disciplina le procedure espressamente attivate dal dipartimento regionale tutela della salute e politiche sanitarie e trasmesse alla commissione dal direttore generale ovvero dal rappresentante legale delle aziende sanitarie»;
   con nota del 5 agosto 2015, prot. n. 241005, il direttore generale del dipartimento regionale della Calabria per la tutela della salute, professor Riccardo Fatarella, comunicò ai deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela – i quali avevano rappresentato gli esiti della loro visita del 13 luglio 2015 presso l'unità operativa di cardiochirurgia di cui sopra – l'attivazione della «procedura di verifica del possesso dei requisiti di legge presso l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro», all'uopo allegando la nota – prot. n. 240607 del 5 agosto 2015 del dirigente per l'accreditamento, dottor Salvatore Lopresti, trasmessa al commissario straordinario dell'asp di Crotone, al commissario straordinario dell'asp di Catanzaro dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute, nonché commissario straordinario dell'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» Catanzaro (policlinico universitario);
   alla luce della normativa sopra richiamata non vi è dubbio – come osservato nell'interpellanza urgente n. 2-01277, presentata dalla prima firmataria del presente atto il 16 febbraio 2016 nella seduta n. 570 e svolta il 19 febbraio 2016 – che la commissione di controllo dei requisiti dell'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro sia stata inviata nel rispetto delle norme vigenti, dal dirigente regionale di competenza e in ossequio alla disciplina sull'accreditamento di cui alla citata legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, e al decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, che, per come sopra citato, compendia l'articolo 12 della legge n. 24 dei 2008 in materia di regolamento circa «le modalità operative ed i criteri per la composizione delle commissioni aziendali per l'autorizzazione sanitaria e l'accreditamento»;
   a fortiori, l'articolo 12 del regolamento per l'accreditamento, innovato e recepito dal decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010 – adottato, come figura in premessa, sulla base del verbale della riunione interministeriale del 27 ottobre 2010 in cui «Tavolo e Comitato ritengono inopportuno e fonte di possibili conflitti di competenza affidare la verifica dei requisiti a commissioni costituite da dipendenti dell'azienda le cui strutture necessitano di verifica» — contiene lo schema delle verifiche di competenza, da cui emerge con chiarezza che la commissione dell'asp di Crotone effettua le verifiche per l'asp di Catanzaro, la quale, stando all'articolo 12 della legge n. 24 del 2008, come le altre aziende sanitarie provinciali attiva, «avvalendosi delle proprie strutture ordinarie, nonché delle commissioni di cui all'articolo 12 sistemi di controllo di verifica sia sulla permanenza dei requisiti strutturali, organizzativi e professionali che, relativamente alle strutture pubbliche e private accreditate, sull'appropriatezza delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate, disponendo le occorrenti attività ispettive almeno ogni due mesi a campione»;
   dell'attivazione della riferita procedura di controllo era al corrente il direttore generale dell'asp di Catanzaro, avendo ricevuto apposita comunicazione del 5 agosto 2015, a seguito della quale non avrebbe eccepito alcunché;
   a seguito della riferita procedura di controllo è emersa, a giudizio degli interroganti, una situazione molto grave in relazione al reparto di cui si tratta, già in parte segnalata dall'ex primario, professor Attilio Renzuili, che da direttore dell'unità operativa il 5 febbraio 2013 inviò al direttore sanitario e al direttore generale dello stesso policlinico – come al rettore dell'università di Catanzaro, al dipartimento regionale per la tutela della salute e al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, della Calabria – una richiesta di provvedimenti a fronte di «n. 6 casi di sepsi grave su n. 60 pazienti operati, con una incidenza del 10 per cento ed un mortalità del 5 per cento»;
   contestualmente, il Renzulli rilevò che «l'assenza (...) di una sala operatoria separata e distinta, sotto il profilo strutturale/architettonico, dalle altre esistenti nell'unico blocco operatorio, implica il passaggio di personale e pazienti, non afferenti l'unità di cardiochirurgia, con nette conseguenze sotto a profilo infettivo/contaminatorio»;
   contestualmente, il Renzulli aggiunse «che l'unità operativa di cardiochirurgia del campus di Germaneto, rappresenta l'unica unità operativa di cardiochirurgia in Italia non dotata, in via esclusiva». Precisò, che dette «carenze architettonico strutturali sono gravissime ed espongono il paziente che ha subito un intervento chirurgico (...) a rischi gravissimi e non tollerabili, che possono portare anche a conseguenze nefaste»;
   in data 4 marzo 2013, il Renzulli fu ricoverato per malattia presso il policlinico universitario di Catanzaro;
   in data 6 marzo 2013, il Renzulli fu sospeso cautelativamente dall'incarico direttoriale, con delibera dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» n. 128 del 2013);
   in data 7 marzo 2013, per il professor Pasquale Mastroroberto la scuola di medicina e chirurgia dell'università di Catanzaro propose la nomina a direttore dell'unità di cardiochirurgia in argomento, giusto lo stesso giorno formalizzata dal rettore con proprio decreto, n. 157 del 2013, e con delibera, in pari data, n. 130 del 2013 dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini»;
   in data 15 marzo 2013, con lettera ai vertici dell'azienda ospedaliera e al medico di competenza, il Renzulli chiese di essere sottoposto ad accorgimenti finalizzati a verificare l'idoneità psico-fisica;
   in data 19 marzo 2013, il Renzulli fu convocato per la predetta visita di accertamento, prevista il 26 marzo dello stesso anno;
   in data 27 marzo 2013, in ordine alla suddetta comunicazione del 5 febbraio 2013, il Renzulli fu audito da una commissione aziendale interna, che non ritenne di poter evidenziare «colpe a carico dei responsabili e del personale medico ed assistenziale, che gli episodi di sepsi possono essere ricondotti a picchi che si presentano nelle strutture assistenziali ad elevata intensità di cura»;
   in un'intervista pubblicata il 21 maggio 2013 sulla testata on line « Lamezia in strada», registrazione n. 2/2011 presso il tribunale di Lamezia Terme, si rende conto della vicenda di «tre decessi di pazienti con infezioni acute: degenti in terapia intensiva» nell'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, a seguito della quale l'intervistato, professor Attilio Renzulli, che all'epoca era direttore di tale unità operativa, inviò – come si legge nella medesima fonte giornalistica – «una lettera esposto indirizzata ai dirigenti dell'azienda e alla procura della Repubblica» di Catanzaro, chiedendo in proposito «interventi urgenti»;
   in data 25 settembre 2013, il Renzulli fu reintegrato con delibera dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» n. 625 del 25 settembre 2013, per l'esito degli accertamenti compiuti circa la di lui idoneità psico-fisica e da direttore fu poi sostituito, in definitiva, dal Mastroroberto, anche per via del contenuto del verbale della scuola di medicina e chirurgia del 18 dicembre 2014, il cui consiglio preferì il Mastroroberto poiché aveva vinto l'abilitazione quale docente universitario di I fascia e per il medesimo organismo risultava quindi più idoneo all'incarico di specie, a direzione universitaria;
   in data 21 novembre 2014, il giudice per le indagini preliminari dottoressa Abigail Mellace, archiviò, su proposta del pubblico ministero titolare, dottoressa Fabiana Rapino, il procedimento penale avviato dalla procura di Catanzaro a seguito del riferito esposto del Renzulli, datato 24 maggio 2013;
   benché nell'esposto in questione fosse stato richiesto di verificare l'effettivo svolgimento del succitato consiglio, il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari concludevano nel senso precisato, a giudizio degli interroganti del tutto indipendentemente dall'allarme formalizzato dal Renzulli sui decessi in seguito a sepsi e sulle carenze del reparto; tali carenze oggi risulterebbero per gli interroganti confermate nel verbale della commissione regionale di controllo;
   dal rammentato verbale della commissione di controllo emerge che il legale rappresentante del policlinico universitario, il dottor Antonio Belcastro, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 14 ottobre 2015, sotto la propria responsabilità ha dichiarato che «l'unità operativa di cardiochirurgia possiede i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi previsti dalla normativa vigente», ma la commissione di controllo ha accertato l'esatto contrario;
   la riferita dichiarazione, che a regola dovrebbe ricalcare quella da rendere obbligatoriamente, secondo l'articolo 14 della legge regionale n. 24 del 2008, risulterebbe quindi in estremo contrasto con quanto accertato e certificato nelle conclusioni dalla commissione aziendale per l'autorizzazione e l'accreditamento, rinvenibile alle pagine 9 e 10 del prefatto verbale, le cui ulteriormente esplicitate dal presidente, dottor Luigi D'Orazio, nella comunicazione del 3 febbraio 2016, prot. n. 11648, indirizzata al direttore generale dell'asp di Catanzaro e attestante che l'unità operativa di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro «non possiede, al momento dei sopralluoghi e della stesura della relazione finale, i requisiti strutturali e tecnologici previsti dalla legge regionale n. 24 del 2008 e dal regolamento n. 13 del 2009»;
   dal verbale della commissione di controllo di cui si tratta, alla luce della visita dei deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela dei 13 luglio 2015 presso la predetta unità operativa di cardiochirurgia, emerge, a giudizio degli interroganti, il tentativo di sanare, attraverso una mera separazione di spazi, peraltro ancora non compiuta, la riscontrata mancanza della terapia intensiva dedicata, invece in Calabria obbligatoria e presente, per esempio, presso la cardiochirurgia del policlinico Gemelli di Roma, dell'ospedale Niguarda di Milano, dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dell'Humanitas Gavazzeni di Milano, degli Ospedali riuniti di Ancona e dell'ospedale San Camillo-Forlanini di Roma;
   dal riferito verbale emergerebbe la mancanza di una sala operatoria a fronte delle due previste dalla norma e la dotazione di soli 10 posti letto a fronte dei 14 previsti dalla normativa di riferimento;
   dal verbale in questione emergerebbe, inoltre, la mancata definizione e identificazione, sia nei numero che nella dislocazione, dei posti letto, nonché un numero di infermieri di gran lunga inferiore al numero previsto dalla normativa;
   dal verbale in parola emergerebbe, quindi, la mancanza della figura del cardiologo e del terapista della riabilitazione, nonché la mancanza della figura di un tecnico manutentore di struttura;
   nello stesso verbale si legge di un numero di interventi in circolazione extracorporea pari a 216, ben inferiore rispetto ai 300 previsti dalla normativa;
   nel medesimo verbale si legge della mancanza delle autocertificazioni dei singoli dirigenti medici, che non hanno indicato la propria casistica degli interventi negli ultimi cinque anni, come prevede la specifica norma;
   nel verbale è scritto, ancora, della mancata verifica periodica, obbligatoria, delle attrezzature elettromedicali nel rispetto delle scadenze previste dalla specifica norma;
   soprattutto, il verbale attesta la mancanza nell'unità operativa in parola del programma delle analisi batteriologiche, dei relativi risultati e del registro di prevenzione e controllo legionellosi, nonché la mancanza degli interventi per la prevenzione e il controllo della legionellosi;
   il verbale attesta, inoltre, la carenza di documentazione relativa alla nomina di rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, alla nomina dei medico competente, alla sorveglianza sanitaria per le lavoratrici madri, alla formazione ed informazione del personale;
   nel verbale si legge, infine, della mancanza del documento di valutazione dei rischi completo di data e firma del datore di lavoro, del medico competente del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché della mancanza dei giudizi di idoneità di tutto il personale afferente all'unità operativa di cardiochirurgia e degli operatori afferenti alle unità operative funzionali ad essa;
   con il decreto del commissario ad acta n. 21 del 10 febbraio 2016, il commissario Massimo Scura e il sub-commissario per il rientro dal disavanzo sanitario regionale, Andrea Urbani, hanno annullato – rectius, revocato – la succitata procedura di verifica, ritenendola illegittima;
   allo stato dei fatti, a quanto consta agli interroganti, l'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» è l'unica struttura «pubblica», pur in possesso di accreditamento provvisorio – ope legis – per la quale è stato avviato, in epoca antecedente alla legge regionale n. 19 del 2009, un procedimento di verifica del possesso di autorizzazione e di accreditamento;
   il dipartimento regionale di competenza ha, dunque, come più sopra narrato, richiesto la verifica del possesso dei requisiti;
   nel caso della cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini», il procedimento è stato dunque avviato per la verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento definitivo della commissione incrociata di Crotone in ottemperanza alla legge regionale n. 19 del 2009, e successive modifiche ed integrazioni e non, come secondo gli interroganti erroneamente contenuto nel decreto del commissario ad acta n. 21 del 2016, per la verifica del mantenimento dei requisiti di una struttura già accreditata, proprio perché la verifica del possesso dei requisiti era in itinere e non si era mai conclusa;
   la commissione dell'asp di Crotone ha sempre informato della procedura in questione la struttura commissariale per il rientro dai disavanzi, che non si è mai pronunciata in merito, se non alla conclusione del procedimento di verifica esitato nella delibera n. 72 del 2016 dei dirigente generale dell'asp di Catanzaro, che ha proposto la sospensione delle attività della riferita unità operativa di cardiochirurgia, al fine di risolvere criticità evidenziate dalla commissione di controllo;
   in ordine alla legittimità dell'adozione del decreto del commissario ad acta n. 21 del 10 febbraio 2016, il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale avrebbe dovuto, a giudizio degli interroganti, rispettare le norme sul procedimento amministrativo stabilite dalla legge n. 241 del 1990, e cioè dare la comunicazione di cui all'articolo 7 della citata legge e consentire la partecipazione a procedimento di cui agli articoli 9 e 10;
   inoltre, il commissario ad acta non ha, nel caso di specie, provveduto ad annullare un «provvedimento» definitivo e completamente formato, bensì ha proceduto ad annullare, a parere degli interroganti, impropriamente, un intero iter procedimentale in corso e i relativi atti endoprocedimentali;
   il riferito decreto del commissario ad acta n. 21 del 2016 è stato adottato sulla base di una presunta violazione di norme sul procedimento e senza dare atto, a quanto consta agli interroganti, di quali fossero concretamente le ragioni di interesse pubblico che a tale annullamento d'ufficio hanno condotto il commissario ad acta e il sub-commissario;
   nel caso di specie, pertanto, a giudizio degli interroganti non è stato rispettato l'obbligo di adeguata motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 3 della legge n. 241 del 1990, posto che, essendo stata impedita la partecipazione procedimentale, la motivazione del provvedimento è conseguentemente inficiata da un grave difetto d'istruttoria;
   emerge dunque, per gli interroganti, per tabulas che il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria e il sub-commissario hanno ampiamente travalicato la facoltà di procedere alla «rimozione, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, dei provvedimenti, anche legislativi, adottati dagli organi regionali e i provvedimenti aziendali che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e dei successivi programmi operativi, nonché in contrasto con la normativa vigente e con i pareri e le valutazioni espressi dai tavoli tecnici di verifica e dai Ministeri affiancanti», agli stessi concessa in base al punto n. 13 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, posto che gli stessi non hanno proceduto alla rimozione di «provvedimenti», bensì di atti che non costituiscono affatto un «provvedimento» in senso tecnico-giuridico;
   con nota avente protocollo n. 0061534 del 25 luglio 2016, il direttore generale dell'asp di Catanzaro ha trasmesso alla prima firmataria del presente atto la relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro in ordine alla verifica dei requisiti tecnologici, strutturali e organizzativi e dell'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, nel febbraio 2016 attivata dal competente dipartimento della regione Calabria, come si legge nella premessa del medesimo atto, «al fine esclusivo di prevenire rischi per la sicurezza e la salute dei pazienti»;
   alla luce delle risultanze degli accertamenti compiuti dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Crotone;
   la succitata relazione conferma, drammaticamente, che dagli accertamenti compiuti dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro rimangono intatte le criticità del predetto reparto – già evidenziate dalla corrispondente commissione in seno all'asp di Crotone – sulla rianimazione dedicata ai pazienti cardiochirurgici, deve essere esclusiva, come confermato dal dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute nell'audizione del 26 aprile 2016 nella Commissione speciale di vigilanza del consiglio regionale della Calabria;
   in quella sede, lo stesso dirigente, professor Riccardo Fatarella, disse testualmente: «A me non piace che si chiudano le strutture pubbliche per altri motivi, però qui il motivo c'era: ce ne sono due, uno che è venuto fuori e un altro che verrà fuori. Con il decreto 70 — di cui vi parlavo prima – le strutture pubbliche o private che non raggiungono un certo livello di produzione di attività vanno chiuse. La cardiochirurgia di “Mater Domini” non raggiunge quel livello di produttività. Appena funzionerà a pieno regime la cardiochirurgia di Reggio, il dipartimento, la Regione e i commissari dovranno spiegare a se stessi e poi alla comunità e a chi fa vigilanza in tutte le sedi perché si tiene aperta, pur avendone già due che funzionano»;
   Fatarella precisò: «Abbiamo la «Sant'Anna», la clinica privata accreditata e contrattualizzata, specializzata in cardiochirurgia che fa circa 800 procedure l'anno, “Mater Domini” che ne fa 250, il minimo è 300 di un certo tipo, non di qualsiasi, poi speriamo che a Reggio si parta e si possa ridurre quella mobilità dei pazienti e dei nostri cittadini, magari, verso Messina o verso questa parte più vicina della Sicilia»;
   con riferimento all'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, lo stesso dirigente generale proseguì: «Quindi avremo il problema, comunque, di questa cardiochirurgia che chiude il venerdì, che non fa urgenza, se non sotto molte insistenze, perché l'urgenza cardiochirurgica, ad oggi, è garantita nei modi in cui è garantita dalla struttura accreditata della “Sant'Anna”»;
   «nel merito della vicenda del controllo dei requisiti, i requisiti – aggiunse il professor Fatarella nella sede rammentata – di cui disponeva e dispone il policlinico erano, oggettivamente, insufficienti, tant’è che la Commissione di Crotone li aveva elencati: alcuni erano particolarmente critici da un punto di vista della sicurezza, come la terapia intensiva non nelle immediate vicinanze, e altri probabilmente un po’ più formali e meno sostanziali»;
   «la procedura normale – specificò il dirigente generale Fatarella, in merito alla verifica dei requisiti del reparto in esame – come si sarebbe dovuta svolgere ? Come in parte si è svolta: la Commissione incrociata è andata a controllare, ha fatto delle prescrizioni, l'azienda sanitaria di Catanzaro ha fatto una delibera trasmessa al dipartimento di chiusura, ma era una chiusura con prescrizioni, cioè “io ti chiudo, ma appena ti adegui, ti riapro”, non c’è una chiusura assoluta, è una chiusura per mancanza di requisiti, quindi è una chiusura che avremmo potuto chiamare apertura con prescrizioni, è la stessa cosa, “purché ti rimetta in regola”»;
   Fatarella ribadì quindi la necessità, per i pazienti di quel reparto cardiochirurgico, «della terapia intensiva in forma esclusiva, come vuole la legge, perché i pazienti cardiochirurgici sono (...) immunodepressi ancor più critici, perché se si ferma il cuore, tutto il resto se ne parla poco, perché non c’è»;
   «purtroppo, i commissari — aggiunse Fatarella nella ricordata sede — non hanno capito che si stava risolvendo il problema, perché si stava risolvendo, purché si fosse... anche “Mater Domini”, come a parole aveva dichiarato di essere, disponibile ad adeguarsi quindi di lì a pochi giorni l'avremmo potuto risolvere però passando nel rispetto delle normative»;
   «questa storia, questo percorso – rimarcò Fatarella – non lo hanno voluto portare a compimento, hanno revocato gli atti della commissione di Crotone, dell'asp di Catanzaro e indirettamente anche del dipartimento che aveva attivato la procedura nell'estate, grosso modo, 2015. Se ne assumeranno le responsabilità, io spero che non succeda nulla, però, se succedesse, i nomi i cognomi sono ben noti ci chi si è preso la briga di fare così»;
   come evidente, le dichiarazioni del professor Fatarella non sono politiche, non promanano, cioè, da un'autorità cui la legge assegna responsabilità di tipo politico e secondo gli interroganti confliggono, invece, con le ricostruzioni del sottosegretario alla salute, professor Vito De Filippo, di cui alla risposta alla succitata interpellanza urgente di merito, della deputata Dalila Nesci;
   nella rammentata risposta il sottosegretario De Filippo ebbe a precisare, dopo aver fornito rassicurazioni sull'argomento: «si fa altresì, presente – concludo – che i dati, che sono in nostro possesso e che sono da noi elaborati, del Programma Nazionale Esiti, che Agenas annualmente presenta, relativi all'unità operativa di cardiochirurgia Mater Domini dell'azienda ospedaliera universitaria, in relazione ai risultati in termini di mortalità, onorevole Nesci, a trenta giorni dopo gli interventi di bypass aortocoronarico isolato, sono seguenti: nel 2010 vi era una percentuale del 4,4 per cento; nel 2011 era cresciuta al 5,8 per cento; nel 2012 era cresciuta ancora al 7,2 per cento; invece, nel 2013 è scesa al 3 percento e nel 2014 era ancora più bassa, ovvero il 2,2 per cento»;
   «ciò – disse il sottosegretario – proprio per riferire, senza ovviamente riprendere nomi e cognomi, come ha fatto l'onorevole Nesci, che la valutazione di questa struttura, anche in una situazione complessa come la sanità calabrese, ci sembra di apprezzabile attività»;
   a tale ultimo riguardo si evidenzia il riferito problema, insuperabile, del numero degli interventi del reparto di cui si tratta, inferiore alla normativa per come certificato dalle due citate commissioni aziendali per l'autorizzazione l'accreditamento e per come ribadito dal dirigente generale del dipartimento regionale di competenza;
   alla luce della succitata relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento in seno all'asp di Catanzaro in merito alla verifica sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cui si tratta, a giudizio degli interroganti è d'uopo rimarcare che le 2 sale operatorie devono essere esclusive; che è insufficiente il numero rilevato di interventi totali e in CEC; che resta da verificare se il policlinico universitario abbia realmente prodotto i registri di manutenzione periodica degli impianti e degli apparecchi elettromedicali, poiché dalla relazione ciò non si riesce a capire; che non si sa se siano stati prodotti i giudizi di idoneità di tutti i dipendenti dell'unità operativa, visto che prima non era stato identificato neppure il medico competente;
   inoltre, nella relazione si accenna appena, a giudizio degli interroganti, alle analisi eseguite e ai registri per la profilassi della legionella e delle infezioni batteriche, sia con riferimento agli impianti di climatizzazione di tutte le aree interessate sia ai rubinetti, sicché bisognerà capire se sono state prodotte le certificazioni dei risultati, non figuranti nella relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento del'asp di Crotone;
   ancora, dalla relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro non si può dedurre, a giudizio degli interroganti, se siano state prodotte le autocertificazioni dei medici con la relativa casistica operatoria degli ultimi 5 anni;
   nella medesima relazione si attesta che in reparto sono presenti il cardiologo, il terapista della riabilitazione et coetera, ma non si specifica se sia stata prodotta la relativa documentazione che comprovi che le dette figure sono in organico all'unità operativa anche solo tramite autocertificazione;
   per ultimo, dalla relazione in parola non si evince se sia presente un tecnico della manutenzione e non risulta il certificato di qualità;
   tra i contestatori politici dell'iniziativa dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle Nesci e Parentela sulla sicurezza della Cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro vi è il consigliere regionale della Calabria Domenico Tallini, che, come figura nell'articolo al link abbreviato http://bit.ly/2atjlhE, ha obiettato ai medesimi parlamentari di volere la chiusura del reparto, poi riferendo che «come Forza Italia, difendiamo con ostinazione la nostra Università», con questo per gli interroganti deviando dal problema di fondo, cioè la mancanza della terapia intensiva dedicata e la presenza di carenze strutturali, tecnologiche e organizzative;
   le carenze in parola erano già state certificate, all'epoca delle riferite dichiarazioni del Tallini, dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Crotone, con la conseguente deliberazione, la n. 72 del 2016, dell'asp di Catanzaro e l'immediata revoca dell'intera procedura di verifica dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto in predicato da parte della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria;
   nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, relativa al procedimento penale n. 9339/2009 della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, si fa riferimento a conversazioni in cui si accenna al fatto che il Tallini avrebbe ricevuto l'appoggio elettorale di una cosca di ’ndrangheta nelle elezioni regionali del 2010 –:
   se alla luce dei gravissimi fatti esposti in premessa e di quello che agli interroganti appare un aggiramento dei problemi già posti con la citata interpellanza urgente, non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza per procedere all'immediata revoca dell'incarico del commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di verificare l'esistenza di eventuali presupposti per attivare gli strumenti di controllo previsti dal combinato disposto degli articoli 146 e 143 del Tuel. (5-10873)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2010 la regione Calabria è commissariata per l'attuazione del piano rientro dal disavanzo sanitario regionale;
   per legge, detto commissariamento doveva cessare il 31 dicembre 2012;
   secondo l'interrogante, come evidenziato nell'interpellanza urgente n. 2-01172, la proroga del commissariamento è avvenuta senza alcun atto giustificativo e non conformandosi alle norme vigenti;
   il 12 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha nominato l'ingegner Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani, rispettivamente, commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria;
   i dati sul fabbisogno di personale sanitario nella regione Calabria sono stati trasmessi con nota del commissario e del sub-commissario ad acta avente protocollo n. 199396, del 21 giugno 2016, inviata alla direzione generale della programmazione sanitaria dei livelli di assistenza e dei princìpi etici di sistema, all'ufficio X della medesima direzione e alla ragioneria dello Stato presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
   nella riferita nota è scritto che «il gruppo di lavoro individuato dalla struttura commissariale con DCA 20 del 10 febbraio 2016, dopo un lungo confronto con le direzioni aziendali, ha registrato un fabbisogno di 3.017 addetti dei vari profili per poter attivare i posti letto della rete ospedaliera di cui al DCA 30/2016»;
   nella medesima nota è scritto, ancora, che, «per poter ottemperare alla legge n. 161 del 2014», è «necessario inserire nel ciclo produttivo 1.298 addetti, dei vari profili»;
   nella nota in parola è precisato che «pur in presenza di oggettive difficoltà si sta consolidando un processo virtuoso, sia sotto il profilo dell'efficientamento dell'organizzazione, sia sotto quello del contenimento della spesa»;
   la suddetta ricostruzione è, a parere dell'interrogante, platealmente smentita da un'affermazione precedente, contenuta nella nota che in questione, laddove si precisa che la sanità calabrese «nel corso del piano di rientro ha perso oltre 4.000 unità»;
   tale ultimo dato, certificato della struttura commissariale in predicato, conferma, a giudizio dell'interrogante, che la riduzione del disavanzo sanitario della Calabria è in larga misura imputabile alla mancata sostituzione del personale andato in quiescenza, forzatamente imposta per rispettare gli obiettivi di finanza pubblica correlati al sistema dell'euro, piuttosto che all'adozione di misure strutturali;
   ancora, nella nota menzionata, a fronte della ricognizione sul fabbisogno di personale sanitario il commissario e il sub-commissario ad acta hanno precisato che «la soluzione di assumere in modo flessibile 589 persone ci creerà non pochi problemi di reclutamento e di fatto nuovi precari», di cui una riprova è costituita dal DCA n. 55 del 20 giugno 2016, che, considerati i naturali tempi burocratici per l'espletamento delle relative procedure, autorizza una serie di assunzioni fino al 31 ottobre, cioè realisticamente per appena due mesi;
   la riferita situazione è insostenibile e non consente affatto, come appare ovvio, di tutelare il diritto alla salute nella regione Calabria, che, come dimostrato nell'interpellanza dell'interrogante n. 2-01258, ha sostenuto una maggiore spesa annua per la cura dell'ipertensione arteriosa, del diabete mellito, della broncopneumopatia cronica ostruttiva e dello scompenso cardiaco, stimata in 108 milioni 826 mila e 600 euro, dal vigore dell'attuale criterio di ripartizione del fondo sanitario regionale, per un totale di oltre 1,6 miliardi di euro –:
   quali iniziative urgenti intendano assumere, per quanto di competenza, per consentire nell'immediato, in Calabria, data la gravissima carenza certificata di personale, le 1.298 assunzioni necessarie a rispettare le prescrizioni vincolanti e tassative sui turni e i riposi obbligatori di cui alle legge n. 161 del 2014, che costituiscono meno della metà del fabbisogno complessivo certificato;
   se, in difetto, non intendano assumere le iniziative di competenza volte all'uscita immediata della regione Calabria dal commissariamento, a giudizio dell'interrogante nei fatti completamente inutile;
   quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere per l'immediata revisione del criterio di ripartizione del fondo sanitario e se non ritengano di dover assumere iniziative per l'erogazione, in favore della regione Calabria e delle altre regioni con analoghi dati sui malati cronici, delle risorse negli anni non elargite a causa del criterio vigente di ripartizione del predetto fondo. (5-10874)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza urgente n. 2-01277, svolta nella seduta della Camera n. 573 del 19 febbraio 2016, è stato chiesto al Ministro della salute di conoscere, con riguardo a una situazione di perdurante incertezza circa il possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro, le iniziative di competenza, anzitutto a garanzia del diritto alla salute dei pazienti della predetta unità operativa, rispetto all'adozione del decreto n. 21 del 2016 del Commissario ad acta per il rientro del disavanzo sanitario della Calabria e, alla luce della gravità assoluta dei fatti esposti, l'eventuale promozione della revoca del riferito incarico commissariale, anche per il subcommissario affiancante;
   in particolare, nella citata interpellanza urgente è stata ricostruita partitamente la vicenda della verifica del possesso dei requisiti obbligatori in capo alla citata struttura sanitaria, attivata dal dipartimento della regione Calabria preposto alla tutela della salute in seguito a una verifica sul posto dell'interrogante e del collega Paolo Parentela, deputati del Movimento 5 stelle, correlata a denunce dell'ex primario, professor Attilio Renzulli, su decessi provocati da infezioni batteriche in pazienti operati, cui non seguirono indagini mirate di organi pubblici esterni alla struttura ospedaliera in parola;
   nell'interpellanza summenzionata si richiamava l'attenzione sulla riscontrata – da parte della commissione regionale dell'Asp di Crotone per l'autorizzazione e l'accreditamento – mancanza, nel reparto cardiochirurgico in esame, della terapia intensiva dedicata ai soli pazienti cardiochirurgici, della seconda sala operatoria, del programma di controllo della legionellosi e dei relativi risultati, dell'indicazione del professionista per la riabilitazione e di diversi altri requisiti obbligatori previsti dalla normativa regionale di riferimento;
   nella rammentata interpellanza si contestava, dunque, la revoca della procedura di verifica del possesso dei requisiti ad opera del commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, repentinamente avvenuta ex post, a esito noto, per dichiarato difetto di competenza della succitata commissione, malgrado – come anche provato nello svolgimento dell'interpellanza medesima – la struttura commissariale fosse stata edotta a più riprese della verifica in corso, benché la proroga del commissariamento per il rientro sanitario sia fondatamente dubbia – come evidenziato nella interpellanza urgente n. 2-01172, svolta nella seduta della Camera n. 531 del 27 novembre 2015 – e nonostante le diverse limitazioni giuridiche sull'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dall'articolo 120 della Costituzione;
   il Sottosegretario per la salute, dottor Vito De Filippo, nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-01277, dichiarava che in esito alla relazione della commissione regionale di controllo dei requisiti del reparto in argomento, «con nota n. 9371 del 1o febbraio 2016, l'Asp di Catanzaro rappresentava al coordinatore della citata Commissione dell'Asp di Crotone che, in assenza di un esplicito, definitivo e dirimente parere, la stessa azienda provinciale non era nelle condizioni di valutare eventuali elementi di compromissione del mantenimento dei requisiti previsti dalla legge»;
   lo stesso Sottosegretario aggiungeva che «in riscontro alla citata nota dell'ASP di Catanzaro, il coordinatore dell'ASP di Crotone, con nota n. 10620 del 4 febbraio 2016, sosteneva che «l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera Mater Domini non possiede, al momento dei sopralluoghi e della stesura della relazione finale, i requisiti strutturali e tecnologici previsti dalla legge regionale n. 24 del 2008 e dal regolamento n. 13 del 2009, al fine della verifica del mantenimento del possesso dei requisiti stessi»;
   il Sottosegretario per la salute continuava con la cronistoria della vicenda, arrivando sino al decreto di revoca dell'adottata procedura di verifica circa il possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro;
   con riferimento all'attivazione di una seconda procedura di verifica dei requisiti, data in carico alla commissione dell'asp di Catanzaro per l'autorizzazione e l'accreditamento, il Sottosegretario riferiva in quella sede, in data 19 febbraio 2016: ”Gli esiti della verifica, certificati dal verbale di sopralluogo del 17 febbraio 2016, quindi due giorni fa, della CAAA dell'ASP di Catanzaro competente, dopo questo articolato e complesso procedimento, a svolgere questa attività, hanno evidenziato – ci riferisce il Commissario – la completa sussistenza dei primi tre punti (presenza di pacemaker, sala operatoria, disponibilità di posti letto), mentre ieri, 18 febbraio, è stata consegnata la documentazione relativa alle attività della commissione di autorizzazione e accreditamento sempre dell'Asp di Catanzaro, che si riunirà proprio oggi, onorevole Nesci, per formalizzare, con documentazione probante, quanto già rilevato in sede di visita ispettiva»;
   a distanza di oltre due mesi e malgrado le opportune sollecitazioni formali dell'interrogante per accelerare la definizione della nuova verifica in corso, gli esiti definitivi della procedura non sono ancora noti, a dispetto delle rassicurazioni fornite dal Sottosegretario per la salute e più sopra testualmente riprese;
   in particolare, il dipartimento della regione Calabria per la tutela della salute ha scritto, con nota prot. n. 77244 dell'8 marzo 2016 scorso, all'Asp di Catanzaro, sollecitando gli esiti definitivi della verifica di cui si tratta e ricevendo quale risposta una nota, prot. n. 0029257 del 7 aprile 2016, della Direzione sanitaria aziendale, con l'allegata comunicazione della commissione interna per l'autorizzazione e l'accreditamento, prot. n. 0028209 del 5 aprile 2016, in cui figura una carenza di documentazione integrativa, non ancora trasmessa dal Commissario straordinario dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, destinataria della verifica nel suddetto reparto cardiochirurgico –:
   se non si ritenga di accertare, anche tramite l'invio di ispettori ministeriali, ove ne sussistano i presupposti, lo stato reale delle cose, in ordine alla verifica in argomento e alla luce delle profonde contraddizioni rilevate, e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire il diritto alla salute, la sicurezza dei pazienti del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro e il pieno rispetto delle norme sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi. (5-10875)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione nazionale persone con malattie reumatiche si occupa da anni della tutela del diritto alla salute delle persone affette da malattie reumatologiche e rare;
   in una nota del 18 aprile 2016, indirizzata al dottor Gianluigi Scaffidi, segretario dell'Anaao-Assomed per l'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, la suddetta associazione ha obiettato che, con il decreto commissariale n. 30 del 2016, a firma del commissario ad acta ingegnere M. Scura e sub-commissario dottor A. Urbani e relativo alla organizzazione delle reti assistenziali in Calabria, sono stati attribuiti «40 posti di degenza ordinaria per la Reumatologia, distribuiti a Cosenza e Cotronei (in provincia d Crotone), lasciando sguarniti gli altri presìdi ospedalieri»;
   nella medesima nota si ricorda che «sono stati confermati 30 posti letto ordinari più 3 di DH (tot 33) alla clinica privata “Madonna dello Scoglio” di Cotronei»;
   l'Associazione nazionale persone con malattie reumatiche ha riassunto, nella nota summenzionata, che «la Reumatologia, nel pubblico, ha solo una struttura con posti letto (10 – Cosenza Ospedale Annunziata) ed è tenuta ampiamente sotto gli standard minimi che prevedono un minimo di 1 struttura complessa per 1.200.000 abitanti ed un massimo di 1 struttura complessa per 600.000 abitanti»;
   «considerando che la popolazione della Calabria è di 1.980.533 abitanti – prosegue la nota in parola – le strutture complesse previste dovrebbero essere da un minimo di 2 ad un massimo di 3, come peraltro evidenziato anche nell'allegato 2»;
   «a Reggio Calabria (Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli) e a Castrovillari (Ospedale Civile Ferrari) sono state previste – evidenzia la nota più volte menzionata – esclusivamente Strutture Semplici Dipartimentali di Reumatologia senza posti letto di degenza ordinaria e di DH»;
   «in tali strutture – riferisce l'associazione rammentata – operano da decenni specialisti in Reumatologia che si fanno carico di una attività professionalmente ineccepibile e svolta da sempre al servizio dei pazienti»;
   per l'associazione in argomento, dal decreto commissariale di cui si tratta, «gli operatori in questione risultano mortificati e penalizzati oltre ogni misura»;
   di più, nella stessa nota l'associazione in parola rappresenta che «tenuto conto delle difficoltà orografiche e viarie della nostra Regione si può facilmente intuire a quali difficoltà i nostri lungimiranti decisori costringerebbero le Persone affette da malattie reumatiche spesso gravi e invalidanti»;
   inoltre, nella nota l'Associazione nazionale persone con malattie reumatiche si chiede «a quale logica obbediscano le scelte dei nostri decisori», aggiungendo che «certamente non si tratta di opzioni che possano privilegiare l'utenza e offrire centralità al paziente, nonostante i proclami di tutti i politici che a turno si assumono le responsabilità di governare un mondo così complesso e delicato quale è la Sanità»;
   la stessa associazione in questione rammenta, nella nota in questione, che «la provincia di Reggio Calabria ha, da sola, un'utenza pari a quella dell'intera Basilicata e che anche le strutture pubbliche delle altre province (Cosenza e Catanzaro) sono sottoposte ad una pressione continua e defatigante da parte dei pazienti», deducendone che «i nostri amministratori pubblici intendano privilegiare incredibilmente il privato rispetto a ciò che invece dovrebbero implementare per mandato»;
   «il commissario ad Acta – riferisce la nota – nel decreto del commissario ad acta n. 30 non ha ottemperato alle precedenti disposizioni previste nel decreto del commissario ad acta n. 9 del 2 aprile 2015 (Oggetto: Approvazione documento di riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza-urgenza e delle reti tempo dipendenti)»;
   con deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, è stato nominato il dottor Andrea Urbani sub-commissario unico nell'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale della regione Calabria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale;
   con la medesima deliberazione è stato assegnato al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro l'incarico prioritario di adottare ed attuare i programmi operativi e gli interventi necessari a garantire, in maniera uniforme sul territorio regionale, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità, nei termini indicati dai tavoli tecnici di verifica, nell'ambito della cornice normativa vigente –:
   se non ritengano urgente assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia revocato il suddetto decreto del commissario ad acta n. 30 del 2016, e, per il tramite della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, sia garantita una distribuzione razionale e secondo un criterio di giustizia effettiva dei posti letto di pertinenza reumatologica. (5-10876)


   CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   facendo riferimento a diverse fonti stampa, si apprende come la società Borgolon S.p.A., sita presso il Comune di Varallo Pombia (Novara) sia in fase di chiusura;
   il gruppo Aquafil S.p.A., proprietario di Borgolon, sarebbe infatti intenzionato a spostare la produzione presente sul territorio novarese in Slovenia;
   a fare le spese di tale scelta sarebbero i 42 lavoratori della Borgolon, e in particolare i 40 ben lontani dall'età pensionabile;
   lunedì 15 marzo, secondo fonti sindacali, sarebbero iniziate le procedure di licenziamento collettivo secondo la legge n. 223 del 1991, i quali sfortunatamente non avranno diritto ai sussidi di cassa integrazione;
   già nel 2013 parte della produzione sita a Varallo Pombia è stata dislocata presso nuovi stabilimenti in Croazia sotto il logo di Aquafil.CRO;
   nel 2013 si registra il finanziamento di circa 1,7 milioni di euro da parte di FINEST spa di Pordenone (Società Finanziaria di Promozione della Cooperazione Economica con i Paesi dell'Est Europeo, ai sensi della legge n. 19 del 1991 e società per azioni partecipata dalla Friulia S.p.A., società finanziaria della regione Friuli Venezia Giulia, dalla regione Veneto, dalla provincia autonoma di Trento, dalla Simest e da alcune banche del territorio friulano, oltre che essere referente del Ministero dello sviluppo economico) per investimenti in Croazia e in particolar modo in Aquafil.CRO, finanziamento grazie al quale al momento FINEST possiede quindi il 24,68 per cento di Aquafil.CRO;
   Società italiana per le imprese all'estero S.p.A. (SIMEST) detiene azioni attualmente pari a 5,4 milioni di euro di FINEST spa;
   in data 15 ottobre 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha insignito dell'onorificenza dell'Ordine al Merito del Lavoro ai Cavalieri del Lavoro il Dott. Giulio Bonazzi, consigliere delegato in carica di Borgolon S.p.A. e amministratore delegato di Aquafil S.p.A.;
   secondo l'elenco fornito da Confindustria Piemonte, la Borgolon S.p.A. risulta fra le aziende considerate «energivore», e quindi sarebbero previsti diversi sconti sulle bollette energetiche relative ai consumi dell'azienda;
   al momento le procedure di erogazione di tali scontistiche risultano ferme –:
   se siano al corrente di quanto in premessa;
   se non si ritenga opportuno avviare le iniziative di competenza al fine della revoca del titolo di Cavaliere del Lavoro al dottor Giulio Bonazzi, in quanto a giudizio dell'interrogante direttamente responsabile delle delocalizzazioni della Borgolon a discapito della fetta di mercato italiana ad esse riferita oltre che degli stessi lavoratori dello stabilimento di Varallo Pombia;
   se si ritenga di convocare quanto prima un tavolo istituzionale comprensivo anche delle parti sociali al fine di trovare una soluzione nel più breve tempo possibile;
   se si ritenga accettabile che una partecipata dello Stato, Simest, possa contribuire, per quanto indirettamente, alla delocalizzazione di un'eccellenza italiana e alla perdita del posto di lavoro di 42 lavoratori italiani;
   quali contributi siano stati erogati e quali sospesi alla Borgolon S.p.A. in quanto azienda energivora. (5-10881)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a partire dallo scorso autunno tutta la regione del Corno d'Africa è stata colpita da una straordinaria siccità con pressoché totale assenza di precipitazioni;
   il 28 febbraio 2017 il presidente somalo, Abdullahi Mohamed Farmajo, ha dichiarato lo stato di disastro nazionale e si è appellato alla comunità internazionale perché risponda urgentemente ad un'ennesima crisi alimentare, la terza in 25 anni, dopo che l'ultima, nel 2011, aveva causato la morte per fame di almeno 260.000 persone;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), più della metà della popolazione somala, ovvero ben 6 milioni e 200 mila persone, ha urgente bisogno di supporto alimentare e addirittura circa 3 milioni sono sull'orlo della fame;
   il Kenya nel mese di febbraio 2017 ha dichiarato lo stato di disastro nazionale. In questo Paese sarebbero 2,7 milioni le persone che hanno urgente bisogno di aiuti umanitari, le organizzazioni umanitarie riferiscono di donne e bambine costrette a percorrere più di 9 chilometri, fino al 70 per cento in più della distanza abituale, per cercare l'acqua;
   in Etiopia sarebbero tra i 5 e i 6 milioni le persone che hanno urgente bisogno di aiuti alimentari e una recente valutazione del Governo ha rivelato che tre milioni di madri e bambini sotto i cinque anni sono in condizioni di grave malnutrizione;
   la situazione è difficile anche nel nord dell'Uganda, che sta subendo un'enorme afflusso di profughi dal vicino sud Sudan, in cui è già stato accertato e dichiarato nelle settimane scorse lo stato di catastrofe alimentare, emergenza che si aggiunge quindi a quella della siccità;
   secondo le agenzie competenti dell'Onu, oltre ai Paesi della regione del Corno d'Africa anche Yemen e Nigeria stanno precipitando velocemente in una situazione di carestia conclamata;
   secondo le prime valutazioni dell'ONU, sono necessari 1,9 miliardi di dollari per far fronte alla crisi nel Corno d'Africa, ma si tratta probabilmente di una cifra largamente sottostimata;
   Stephen O'Brien, sottosegretario generale per gli affari umanitari delle Nazioni Unite ha riferito al Consiglio di Sicurezza di New York venerdì 10 febbraio 2017 che più di 20 milioni di persone in quattro paesi – Somalia, Yemen, Sudan meridionale e nord-est Nigeria – stanno affrontando fame e carestia, numeri che renderebbero questa la più grande crisi umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale. Senza sforzi globali coordinati, ha poi aggiunto, «la gente semplicemente muore di fame» e «molti di più saranno a soffrire e morire di malattie»;
   nel 2017 l'Italia siede come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite –:
   quali iniziative di cooperazione internazionale intenda assumere sia come singolo Paese, attraverso le strutture istituzionali ad essa preposte, sia come membro dell'Unione europea e delle Nazioni Unite, al fine di mobilitare la comunità internazionale per una tempestiva azione di salvataggio di milioni di persone nel Corno d'Africa e non solo. (5-10879)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 7 del 6 febbraio 2009, l'Italia ha ratificato il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione» con la Libia, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, ponendo fine al contenzioso derivante dall'epoca coloniale e mettendo le basi per nuove relazioni tra i due Stati;
   in particolare, al fine di comprendere l'importanza economica e sociale del Trattato è sufficiente rammentare che nel Capo II esso contiene plurime disposizioni in virtù delle quali il nostro Paese si impegna a realizzare in Libia «progetti infrastrutturali base», per «una spesa complessiva di cinque miliardi di dollari americani, per un importo annuale di duecentocinquanta milioni di dollari americani per venti anni»;
   il trattato prevede, altresì, un rafforzamento della cooperazione negli ambiti scientifici e tecnologici e nel campo della cooperazione culturale;
   di particolare rilievo è anche l'articolo 19 del provvedimento di ratifica, volto a rafforzare la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all'immigrazione clandestina, come già stabilito da un precedente accordo, siglato nel 2000 ed entrato in vigore alla fine del 2002, in base al quale per contrastare l'immigrazione clandestina si sarebbe dovuto realizzare un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche effettuato dalla parte italiana;
   il costo dell'operazione era posto per metà a carico dell'Italia e per l'altra metà a valere su un contributo dell'Unione europea, sulla base di precedenti intese tra quest'ultima e la Libia;
   ad oggi, come purtroppo testimoniano le cronache giornaliere, non risultano apprezzabili gli effetti di tale Trattato, soprattutto nel sistema di controllo dei confini della Libia per arginare il flusso di immigrati clandestini che poi si riversa sulla rotta del Mediterraneo verso l'Italia: negli ultimi anni il nostro Paese ha dovuto affrontare una crisi migratoria senza precedenti, con oltre cinquecentomila tra profughi e migranti sbarcati sulle nostre coste tra il 2014 e 2016;
   l'Italia si è impegnata a provvedere al finanziamento delle citate iniziative, avvalendosi solo in parte dei fondi messi a disposizione dall'Unione europea –:
   a quanto ammontino gli stanziamenti dell'Italia per far fronte agli impegni assunti con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia, a quanto le somme erogate, come e in quali progetti le stesse siano state investite;
   se l'Italia stia ancora corrispondendo i finanziamenti annuali previsti dal medesimo Trattato. (4-15963)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l'articolo 268 del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'inquinamento atmosferico come «ogni modificazione dell'aria atmosferica dovuta all'introduzione di una o più sostanze in quantità e caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana»;
   l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) nel rapporto «Qualità dell'aria in Europa», del gennaio 2017, riferisce che l'inquinamento «atmosferico» è il fattore principale di rischio ambientale per la salute, contribuisce alla diffusione di gravi patologie e causa 467.000 decessi prematuri ogni anno, mentre secondo l'ISDE (International society of doctors for the environment) gravi danni alla salute sono prodotti da metalli pesanti e particolato ultrafine;
   l’Institute for Atmosferic and Climate Science, ETH Zurich, ha recentemente condotto presso l'aeroporto di Zurigo uno studio sulla composizione chimica dei gas di scarico delle turbine dei velivoli, riscontrando numerosi composti metallici mescolati con le particelle di fuliggine, tra cui alluminio, bario, manganese e ferro, tutte sostanze tossiche ed inquinanti che sono state immesse in atmosfera;
   tali sostanze risultano spesso presenti, oltre che nell'aria, anche nella pioggia e sul territorio, provocando gravi danni all'ambiente ed alla salute;
   da un'analisi effettuata dall'ARPA Umbria (rapporto RP-2017-211) sono stati riscontrati dati allarmanti, in data 9 gennaio 2017, in zona S. Venanzo (Terni), altitudine 500 metri, zona agricola, con evidenti concentrazioni di sostanze come alluminio, bario, ben superiori alla soglia prevista;
   la Commissione europea, nella risposta del 26 giugno 2007, all'interrogazione posta il 10 maggio 2007 da Erik Meijer, non ha potuto escludere che il rilascio di bario, alluminio o ferro dagli scarichi aerei su larga scala possa produrre effetti sulla salute e sull'ambiente, influenzare le precipitazioni ed il cambiamento climatico;
   nella risposta del 21 maggio 2012, all'interrogazione del 15 marzo 2012 proposta da Oreste Rossi, la Commissione si dichiara a conoscenza di programmi di ricerca che comportano il rilascio da parte di aeromobili di determinate sostanze di marcatura innocua e aggiunge di non essere a conoscenza di emissioni «deliberate» di sostanze tossiche quali i metalli pesanti;
   nella risposta del 16 giugno 2011, all'interrogazione dell'11 luglio 2011 proposta da Nessa Childers, la Commissione precisa che non sono imposti obblighi di sicurezza dalla legislazione dell'Unione europea alle imprese che fabbricano, importano e usano sostanze e/o prodotti chimici per modificare il clima o per applicazioni geo-ingegneristiche e che numerose lacune esistono ancora in materia;
   l'esposizione continua del nostro DNA a un inquinamento sempre più capillare, e in particolare a metalli pesanti, particolato ultrafine, ai cosiddetti distruttori endocrini, modella l'epigenoma del DNA nel lungo periodo e crea le premesse alle mutazioni genetiche che danno poi i tumori e molte altre patologie in aumento;
   gli effetti deleteri dell'inquinamento atmosferico sono tanto maggiori quanto è più precoce l'esposizione (età gestazionale, neonatale, infantile e adolescenziale);
   risulta quindi urgente intervenire e predisporre interventi, azioni e politiche nazionali e internazionali che prevedano una rapida quanto concreta razionalizzazione e riduzione del fenomeno;
   nel recepimento della normativa dell'Unione europea, risulta necessaria ed urgentissima un'integrazione della normativa nazionale attraverso una precisa individuazione del traffico aereo tra le diverse fonti di inquinamento atmosferico, al pari del traffico dei veicoli su terra e mare, e una definizione e classificazione degli inquinanti che ne derivano, quali metalli pesanti, particolati atmosferici e tutti gli altri dei quali si potrà accertare la presenza, con fissazione dei relativi valori limite e guida, in quanto non ancora sufficientemente contemplati nella normativa vigente;
   l'imprescindibile applicazione del principio di precauzione, nell'orientare l'azione dei pubblici poteri verso la prevenzione precoce, persino anticipatoria rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, riguarda in primis la produzione normativa in materia ambientale, ma anche l'adozione di atti generali e di misure cautelari –:
   quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per garantire, nel recepimento della normativa UE, la tutela del diritto alla salute ed alla vita, dell'integrità dell'ambiente e dell'equilibrio degli ecosistemi e delle biodiversità;
   come intenda attivarsi per promuovere tutte le possibili attività di monitoraggio e controllo, da parte dell'ISPRA e delle altre componenti del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, sullo stato dell'aria, dell'acqua e del territorio, a cominciare dalle zone circostanti agli aeroporti e avendo riguardo anche al traffico aereo ed ai relativi inquinanti in questione;
   se non ritenga, nelle more, di costituire un tavolo tecnico interistituzionale con la presenza dell'Istituto superiore di sanità, dell'ISPRA e delle altre componenti del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa), e di altri soggetti interessati, nell'attesa della integrazione della normativa in questione.
(2-01714) «Pellegrino, Marcon».

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI, BORGHESI, RONDINI, MOLTENI e INVERNIZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'accesso gratuito agli spettacoli nei cinema, nei teatri, ai concerti ed alle manifestazioni sportive per la persona disabile e per l'eventuale accompagnatore, non è regolato da leggi, ma solo da consuetudini. Sempre più raramente gli addetti agli ingressi applicano la consuetudine del libero accesso, a fronte di disabilità evidenti;
   per le manifestazioni sportive e per i concerti (ove sono prescritti luoghi accessibili e riservati a disabili in numero contingentato) spesso è necessario accreditarsi preventivamente presso gli organizzatori. Per le manifestazioni sportive di carattere nazionale è largamente diffusa la modalità di accreditarsi ad inizio stagione ed è necessario contattare le società sportive;
   per i musei invece, l'accesso delle persone disabili e dell'eventuale accompagnatore è gratuito in base a disposizioni del Ministero dei beni culturali;
   generalmente, le richieste d'acquisto dei biglietti riservati ai diversamente abili (deambulanti e non deambulanti che hanno bisogno di assistenza continuativa), dovranno essere inviate all'organizzatore dell'evento o spettacolo. La prassi prevede che il titolare del biglietto a pagamento sia lo spettatore diversamente abile e che l'accompagnatore entri a titolo gratuito, il costo del biglietto corrisponde al minor prezzo esistente e l'accesso avverrà nella zona riservata in platea. In alcuni casi è consentito ad entrambi l'accesso gratuito, in altri ancora paga solo l'accompagnatore e, infine, in alcuni casi pagano entrambi. La richiesta deve contenere l'indicazione della data dello spettacolo a cui si vuole assistere, unitamente alla documentazione che attesti la disabilità. È necessario attendere una conferma scritta da parte dell'organizzatore che risponderà a ogni singola email che arriverà, con tutte le informazioni utili al pagamento ed al ritiro dei biglietti qualora possa essere accolta la richiesta. Per ragioni di sicurezza, l'organizzatore non potrà garantire l'accesso a tutti gli spettatori che abbiano acquistato biglietti di settori diversi a quello predisposto;
   i criteri di assegnazione, come il numero dei posti disponibili, sono assolutamente discrezionali e tutt'altro che trasparenti;
   se, mentre per l'acquisto di un normale titolo di accesso, generalmente il criterio è dettato dall'ordine di presentazione della richiesta, che sia attraverso la vendita online, che sia presso le rivendite autorizzate, per quanto riguarda i biglietti riservati ai diversamente abili ci si affida alla discrezionalità dell'organizzatore;
   il rapporto Istat «La disabilità in Italia», nel nostro Paese le persone con disabilità di più di sei anni che nel 2004 vivevano in famiglia sono 2 milioni e 600 mila, pari al 4,8 per cento della popolazione. A queste se ne aggiungevano altre 190 mila (0,4 per cento della popolazione) che vivevano in istituto. In totale, quasi 3 milioni di persone, il 5 per cento della popolazione. Tra questi, un milione e mezzo sono le persone che vivono con due o tre disabilità. Circa 700 mila persone con problemi di movimento, oltre 200 mila con difficoltà sensoriali, quasi 400 mila con limitazioni che impediscono le normali funzioni della vita quotidiana;
   altro punto fondamentale la quota di posti riservati che evidentemente non è parametrata al numero di posti disponibili dato che sono di gran lunga inferiori al 4,8 per cento del totale;
   una volta in possesso dell'agognato biglietto si pone un altro problema, ovvero l'inaccessibilità in senso tecnico: la realtà è costellata di posti per diversamente abili collocati in prima fila con il naso incollato allo schermo nei cinema, nei box e nei palchetti precari posizionati in punti improbabili, come per esempio davanti a piloni, amplificatori, torri delle luci ed affini –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire, anche mediante iniziative normative, per garantire un diritto costituzionale. (4-15962)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Acerra, in provincia di Napoli, è ubicata all'interno del parco urbano di interesse regionale «antica città di Suessula», la Casina di caccia borbonica o Casina de Cardenas Spinelli, tutelata ai sensi delle legge n. 1089 del 1939 con decreto del 21 luglio 1994;
   la casina, che ingloba a est un torrione di una fortificazione medievale e, a nord, i resti del teatro romano dell'antica Suessula, a causa dell'abbandono e del notevole degrado determinato dalla mancanza di manutenzione e cure, ha subito e sta subendo significativi crolli di parti strutturali;
   nel 1996 si verificarono il crollo della volta a schifo del salone principale nonché quello del relativo solaio del livello sottostante e il ribaltamento della facciata principale;
   qualche mese fa, una lesione passante nella volta a bacino su pianta ellittica del cosiddetto «salone» ha prodotto un inizio di ribaltamento della facciata interna sul fronte occidentale ed il crollo parziale del cantonale N-O che è precipitato all'interno dell'area archeologica del foro di Suessula;
   a seguito inoltre dell'abbandono della struttura si sono succeduti numerosi furti di elementi architettonici e di finitura (gradini, porte, camini, pavimenti, stucchi) oltre a materiali d'interesse archeologico che ornavano la fabbrica settecentesca;
   il 26 marzo 2009 alla presenza del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Silvio Berlusconi, fu sottoscritto un protocollo d'intesa per il recupero della casina borbonica tra il Sottosegretario di Stato all'emergenza rifiuti in Campania Guido Bertolaso e il comune di Acerra in persona del commissario prefettizio, Luisa Antonietta Latella, allo scopo di compensare gli impatti di natura sociale, ambientale e paesaggistica derivanti dalla realizzazione e dall'esercizio dell'impianto di termovalorizzazione di Acerra;
   i fondi promessi dal Governo sono rimasti solo sulla carta, mentre la casina borbonica è stata completamente dimenticata tra il disinteresse e l'acquiescenza delle istituzioni, finanche dall'Amministrazione dei beni culturali che, disattendendo ai propri compiti di vigilanza e conservazione, avrebbe dovuto adottare già da tempo ogni misura necessaria per la sua salvaguardia –:
   se si intenda rendere note le eventuali ispezioni, i provvedimenti e atti amministrativi, che siano stati prodotti finora per la conservazione della Casina di caccia de Cardenas Spinelli nel comune di Acerra, in provincia di Napoli;
   se il Nucleo del Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico abbia svolto indagini in merito ai danneggiamenti, ai furti e al commercio di elementi architettonici e dei materiali d'interesse archeologico sottratti dalla fabbrica e se la documentazione eventualmente prodotta sia stata informatizzata nella «Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti»;
   se siano stati stabiliti a carico dei proprietari, possessori e detentori gli interventi necessari per assicurare la tutela del bene culturale, ai sensi dell'articolo 32 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se non si ritenga urgente e indifferibile assumere iniziative per stanziare risorse finanziarie straordinarie allo scopo di far fronte alle emergenze e avviare immediatamente i primi, indispensabili interventi di messa in sicurezza, conservazione e consolidamento delle fabbriche monumentali, rivalendosi successivamente in danno ai sensi degli articoli 33-34 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se non si intendano spiegare i motivi per cui, all'atto di compravendita di alcune quote della proprietà indivisa del signor Gallo Vincenzo, comprendente anche la fabbrica monumentale, non abbia esercitato il diritto di prelazione e non abbia informato la regione Campania e il comune di Acerra ai sensi dell'articolo 62 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se si intendano chiarire i motivi che hanno impedito e impediscono di dar corso all'esecutività del protocollo d'intesa per il recupero della casina borbonica de Cardenas Spinelli nel comune di Acerra (Napoli). (4-15971)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS, DURANTI, ZARATTI, RICCIATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da organi di stampa – fra cui l’Unione Sarda del 16 marzo 2017 – i sindaci di 8 comuni della Sardegna avrebbero scritto al Ministro della difesa lamentando la mancata erogazione di otto anni di indennizzi per la presenza, sui territori da loro amministrati, di servitù militari;
   nello specifico si fa riferimento ai comuni di Arbus, Decimomannu, La Maddalena, Perdasdefogu, Sant'Anna Arresi, Teulada, Ulassai, Villagrande Strisaili, Villaputzu e Villasor che vantano ad oggi crediti dallo Stato che variano dai 450 mila ai 3 milioni di euro 8, per un totale di oltre 16 milioni di euro;
   gli ultimi assegni staccati dal Governo come indennizzo per le servitù militari fanno riferimento al quinquennio 2005/2009 e sono stati erogati nel 2012;
   come prevedibile che sia, tali fondi risultano indispensabili e vitali per i bilanci di comuni medio/piccoli come quelli sardi, specialmente in un periodo di crisi come questo;
   non è la prima volta che ci si trova davanti a questa problematica. A nulla sono servite le lettere inviate al Governo negli ultimi anni e le numerose delibere della giunta regionale in tale direzione, con cui si chiedeva inoltre che le risorse non fossero più stanziate su base quinquennale ma annuale e che, soprattutto, quei fondi fossero stralciati dai vincoli di bilancio;
   già in questa legislatura sono state depositate interrogazioni sul tema – anche a prima firma dell'interrogante – cui sono seguite generiche rassicurazioni mai seguite da fatti concreti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali azioni immediate e concrete intenda avviare affinché sia erogato quanto dovuto ai comuni;
   se non intenda convocare al più presto un tavolo istituzionale con tutte le parti coinvolte, al fine di discutere anche della riformulazione della periodicità di erogazione degli indennizzi dovuti per le servitù militari. (5-10878)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da più di 20 anni la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico costituisce una delle modalità, indicate dai vari Governi, per il taglio del debito pubblico e il rientro del deficit;
   nonostante le valutazioni e le dichiarazioni fatte nel corso degli anni, le procedure di vendita e le vendite finali sono state caratterizzate da estrema lentezza e da scarsi risultati in termini finanziari;
   tali problematiche hanno causato minori introiti per lo Stato rispetto a quelli preventivati, con continui e duri richiami anche da parte della Commissione dell'Unione europea riguardo la riduzione del debito;
   tali difficoltà sono riscontrabili anche relativamente al settore della dismissione del patrimonio immobiliare della Difesa;
   anche in questo settore, infatti, i bandi pubblici emanati nel corso degli anni hanno prodotto scarsi risultati, con aste andate deserte e con immobili venduti a prezzo di gran lunga inferiore rispetto alla valutazione di base;
   una delle maggiori cause nel fallimento della vendita del patrimonio immobiliare pubblico risulta essere la carenza di informazione e di trasparenza verso l'esterno, con gravi difficoltà da parte della cittadinanza e dei soggetti comunque interessati nel venire a conoscenza della messa in vendita degli immobili;
   è riscontrabile, infatti, tra le altre cose, una notevole frammentazione nell'informazione verso l'esterno, con un proliferare di siti web dove compaiono gli immobili oggetto di dismissione;
   tale frammentazione produce l'impossibilità di una visione complessiva rispetto agli immobili, alle condizioni di vendita, alle caratteristiche di ogni singola dismissione, ai soggetti competenti per la procedura di vendita;
   risulta, quindi, opportuno e necessario un cambiamento di impostazione per semplificare e facilitare l'accesso alle informazioni relative alla vendita di immobili della Difesa;
   tale semplificazione, oltre a ricondursi a un doveroso procedimento di trasparenza verso la cittadinanza, provocherebbe una positiva ricaduta nell'aumento di interesse da parte degli investitori, con sicuri aumenti di introiti per le casse dello Stato –:
   se il Ministro della difesa non ritenga opportuno procedere alla creazione di un portale unico web di informazione e orientamento relativamente alla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico di sua competenza che, con informazioni facili e accessibili, indirizzi l'utente ai vari soggetti incaricati della vendita. (4-15959)


   CAPELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la situazione legata alla presenza militare in Sardegna appare molto complessa e caratterizzata da numerose situazioni che preoccupano i cittadini e gli amministratori locali;
   un primo punto riguarda i gravi ritardi con i quali vengono pagati ai comuni interessati gli indennizzi per le servitù militari, con la conseguenza di gravi difficoltà per la situazione finanziaria degli stessi comuni;
   la problematica è stata segnalata dai sindaci degli stessi comuni in una lettera pubblicata su vari giornali il 16 marzo 2017 e indirizzata al Ministro Pinotti, nella quale si legge che sono ben 16 i milioni di euro arretrati e che l'ultimo pagamento da parte del Governo risale al 2012 e riguarda il quinquennio 2005-2009;
   nella medesima lettera i sindaci chiedono al Governo di provvedere alla revisione dei metodi e dei tempi di pagamento, in particolare, per quel che riguarda questi ultimi, riducendo il periodo di pagamento da cinque, come avviene oggi, ad un anno, liberando, inoltre, le risorse ricevute dai comuni come indennizzo dai vincoli patto di stabilità ed evitando così l'assurda situazione che ad oggi impedisce ai comuni stessi di spendere soldi che pure sono in cassa e che restano inutilizzati;
   legato direttamente al tema precedente è quello del necessario adeguamento del giusto indennizzo previsto per comuni sui cui territori risiedono basi militari. È noto, infatti, che i canoni pagati dal Ministero della difesa sono nettamente inferiori a quelli che i comuni stessi potrebbero ricevere da realtà non militari;
   alla questione della presenza militare in Sardegna inoltre, fa riferimento anche la vicenda della nuova caserma di Pratosardo a Nuoro;
   rispondendo all'interrogazione n. 3-02347, nella quale si chiedeva conferma dell'arrivo di 250 militari della brigata Sassari nella nuova caserma pronta ma ancora non utilizzata, il Ministro Pinotti, nel giugno 2016, assicurava che la caserma stessa «in tempi brevi sarà occupata e sarà occupata da personale delle Forze armate», fugando, almeno in apparenza, il timore di un uso diverso rispetto a quello militare per la citata caserma di Pratosardo;
   si trattava di una risposta confortante ma, purtroppo a quasi un anno da questa assicurazione, nulla si è ancora mosso e la caserma resta ancora inutilizzata, mentre si ripresentano i timori per l'uso della suddetta caserma;
   infine, non può essere trascurata la questione relativa alla crisi occupazionale in atto per la chiusura, o comunque il ridimensionamento della presenza Nato in Sardegna;
   l'interrogazione n. 4-14636, che al momento non ha ancora avuto risposta, faceva, tra l'altro, riferimento alle preoccupazioni causate dalla decisione dell'aeronautica tedesca di ritirarsi dalla base di Decimomannu, tra l'altro uno dei comuni firmatari della lettera sopra citata;
   nonostante le ripetute richieste di concreti interventi volti a salvaguardare l'occupazione di coloro che rischiano di perdere il lavoro a Decimomannu, nessuna risposta si è avuta dal Governo;
   da tutto quanto su esposto appare evidente non solo una situazione estremamente preoccupante e grave, ma anche la necessità di ripensare in modo generale la stessa funzione delle basi militari in Sardegna, prendendo atto della necessità di superare la mera funzione di formazione con esercitazioni a fuoco da sostituire in modo prevalente con altri strumenti utili per la ricerca, la tutela dell'ambiente e dei posti di lavoro –:
   quali iniziative di propria competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati, anche in accordo con la regione Sardegna e gli enti locali interessati, per affrontare le gravi questioni sopra esposte, tutte tra loro collegate e che richiedono interventi concreti per dare sollievo ad una situazione generale complessa e che non può durare ancora a lungo. (4-15977)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 novembre 2015 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 257 il decreto 20 ottobre 2015 Ministero della giustizia per l'indizione della procedura di selezione di 1.502 tirocinanti;
   il 18 novembre 2016 veniva pubblicato il decreto - concorso pubblico a n. 800 posti a tempo indeterminato per il profilo professionale di Assistente giudiziario, (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 22 novembre 2016 - 4a S.S. n. 92);
   in Italia si hanno 1.115 tirocinanti impiegati da 7 anni negli uffici giudiziari in continua formazione nel cosiddetto l'ufficio del processo, a gestione diretta del Ministero della giustizia con nessun progetto di stabilizzazione per il futuro;
   alla luce di tanti anni di formazione-lavoro è arrivato il momento di cercare di arginare questo precariato, con lo scopo di ridurre le carenze di organico inserendo personale già specializzato e formato e dare finalmente dignità ai tirocinanti;
   in tutti i percorsi formativi svolti, il ministero ha sempre richiesto l'esclusività del «percorso», che non poteva essere affiancato da nessun ulteriore lavoro (neanche part-time) e/o progetto diverso;
   i lavoratori-tirocinanti della giustizia, chiamati «precari della giustizia», sono lavoratori cassintegrati, in mobilità, (fuori dagli ammortizzatori sociali dall'ottobre 2013), disoccupati, che provengono da vicende di espulsione dal mondo del lavoro, vittime di crisi economiche aziendali, altri invece sono laureati, avvocati, specializzati (anche dottorati di ricerca) con diversi titoli di altissimo profilo. Tra i predetti si hanno anche persone inserite nelle categorie protette; la retribuzione prevista per ciascuno di loro è 400 euro lordi al mese e le uniche prospettive sono: un ulteriore percorso di 12 mesi sempre nell'U.D.P. e un «concorsone» con 308 mila domande per soli 800 posti messi a concorso;
   al quadro sopra esposto consegue che i tirocinanti da dicembre 2017 si ritrovano nuovamente senza occupazione sperando in un'ennesima proroga;
   nell'ipotesi in cui i predetti non risulteranno idonei al concorso resterà vanificato l'articolato percorso formativo già compiuto con ingenti ricadute anche in termini di spesa pubblica –:
   quali siano le iniziative di competenza che il Ministro interrogato intende assumere in relazione alla vicenda descritta in premessa. (4-15965)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 1o marzo 2017 migliaia di pendolari sono rimasti bloccati a causa di un guasto alla linea ferroviaria direttissima che ha comportato pesantissimi ritardi. Ad esempio, il treno regionale veloce 2884 delle ore 14.28 ha impiegato otto ore per arrivare da Roma a Perugia, con circa 400 viaggiatori rimasti fermi a lungo all'interno dei convogli tra Tiburtina e Settebagni, senza informazioni, né assistenza; il treno regionale veloce 2328 Roma Termini-Ancona ha impiegato tre ore e mezza per raggiungere Orte e da lì proseguire verso Terni;
   il giorno dopo un'altra giornata infernale: un guasto ad un treno sulla linea direttissima all'altezza della stazione di Orte ha comportato ritardi considerevoli e ancora disagi. Ad esempio, l'Intercity in partenza da Roma Termini alle ore 17.58 è arrivato a Perugia alle ore 22, impiegando quattro ore per percorrere una distanza per cui, nella norma, ce ne vogliono due e mezza;
   a distanza di pochi giorni, il 7 marzo 2017 è stata cancellata, per un problema tecnico al locomotore, la corsa dell'Intercity 531, che parte da Perugia alle ore 6.40 e solitamente arriva a Roma Termini alle ore 8.58. Le centinaia di viaggiatori rimasti in banchina hanno quindi dovuto compiere il viaggio in diverse tappe, con ulteriori ritardi e disagi: utilizzo del treno 22801 da Perugia che parte alle ore 6.56 diretto a Terni fino a Foligno, proseguimento con Intercity 533 proveniente da Ancona fino a Roma Tiburtina e Termini;
   il comitato dei pendolari di Orte e quello dell'Umbria hanno evidenziato che le motivazioni di tali disservizi sono da ricondurre a un sovraccarico del traffico tra Roma Tiburtina e Settebagni nella fascia di punta (ore 17-20). Tale situazione risulta aggravata dall'utilizzo di materiale rotabile ormai obsoleto. È stato chiesto, quindi, a Trenitalia il potenziamento della linea nel tratto compreso tra le stazioni di Roma Tiburtina e Settebagni e la sostituzione dei treni ormai vetusti. Inoltre, sono stati sollecitati gli operatori per fare in modo che, in situazioni di disagio, non siano sempre i treni regionali a dover dare la precedenza all'Alta velocità;
   i pendolari che hanno subito i gravissimi disagi dei giorni scorsi stanno, altresì, organizzando una class action contro Trenitalia e si preparano a richiedere i rimborsi;
   la regione Umbria, attraverso l'assessore regionale ai trasporti, Chianella, ha annunciato di aver chiesto un incontro urgente a Trenitalia e Rfi per avere chiarimenti su quanto accaduto;
   eppure, a settembre 2016, Trenitalia ha reso noti i dati sull'andamento delle oltre 18.000 corse a disposizione dei pendolari dell'Umbria nei primi otto mesi del 2016, affermando che soltanto uno su dieci è in ritardo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei continui disservizi cui sono stati soggetti i viaggiatori nei giorni scorsi e se non ritenga di intervenire presso Rete ferroviaria italiana e Trenitalia per sollecitare interventi urgenti sulla linea ferroviaria in questione e la sostituzione dei convogli obsoleti. (5-10867)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 marzo 2011 è stato approvato il decreto legislativo n. 35 di recepimento della direttiva 2008/96/CE, entrato in vigore il 23 aprile 2011, volto ad introdurre una serie di procedure, in capo ad una pluralità di soggetti, finalizzate al miglioramento della sicurezza delle infrastrutture stradali;
   il citato decreto ha previsto una serie di decreti attuativi, da predisporre secondo una logica unitaria e coordinata, la cui responsabilità è posta in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. A tutt'oggi alcuni decreti attuativi non risultano ancora emanati;
   allo stato risultano adottate le «Linee Guida per la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali», disciplinate le attività di formazione degli esperti della sicurezza stradale, le procedure e le modalità di svolgimento delle attività di ispezione e delle attività di controllo sui progetti, le attività specifiche sull'incidentalità stradale;
   ma, secondo quanto emerge da notizie di stampa («Autostrade blocca ancora la legge sulle ispezioni», su Il Fatto Quotidiano, a firma di D. Martini, 11 marzo 2017), non risulta effettuato un monitoraggio di controllo delle condizioni delle autostrade italiane come richiesto dalla stessa Unione europea che aveva specificamente richiesto una mappatura delle strade italiane definite TEN, di interesse europeo;
   il monitoraggio risulta importante al fine di valutare le condizioni della pavimentazione, la segnaletica, le barriere laterali, i punti di maggiore incidentalità. Una misura di questo tipo avrebbe consentito di conoscere le condizioni dei luoghi in cui si è verificato il grave crollo del 9 marzo 2017 sul cavalcavia della A14 tra Ancona e Loreto. Allo stesso modo un controllo preventivo avrebbe rivelato anche il pessimo stato della barriera che avrebbe dovuto reggere l'urto del bus nella tragedia del 28 luglio del 2013 dove persero la vita 40 persone ma che, solo ora a seguito delle perizie processuali, risulta con più della metà dei bulloni corrosi –:
   quando il Ministro interrogato intenda adottare i decreti attuativi del decreto legislativo del 15 marzo 2011 n. 35 di recepimento della direttiva 2008/96/CE in materia di sicurezza delle infrastrutture stradali;
   se possa riferire quali controlli sono stati effettuati e il dettaglio dei medesimi con riguardo agli elementi sottoposti a verifica;
   se intenda pubblicare sul proprio sito web istituzionale con cadenza regolare e costante gli esiti dei dovuti controlli specificandone i criteri di adozione e se essi siano influenzati dal numero di vetture per chilometro, nonché se intenda corredare questi dati con le informazioni relative alla dotazione del personale ispettivo, specificando se è numericamente adeguato alla frequenza e alla natura delle verifiche;
   se abbia provveduto alla pubblicazione sul sito web istituzionale dei dati emersi dai controlli già effettuati e provveda periodicamente alla pubblicazione delle risultanze dei controlli disposti;
   quali misure intenda adottare al fine di verificare in loco lo stato delle infrastrutture stradali, se del caso inviando degli ispettori, e di valutare eventuali interventi di necessità. (5-10868)


   SPESSOTTO, CARINELLI, DELL'ORCO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle note vicende relative allo scandalo Volkswagen, che ha coinvolto solo in Italia oltre 700 mila veicoli, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha realizzato, su richiesta della Commissione Emis del Parlamento europeo, un rapporto di indagine, la cui prima versione è datata 27 luglio 2016, sulle emissioni inquinanti dei diesel euro 5 venduti in Italia;
   a questo primo rapporto, la cui lacunosità per carenza di dati e omissioni è stata sottolineata dal MoVimento 5 Stelle in numerosi atti e audizioni parlamentari, ha fatto seguito una seconda versione del rapporto, datata 20 febbraio 2017, in cui sono stati pubblicati gli esiti delle prove concluse per 18 veicoli euro 5;
   gli interroganti rilevano come, anche in questo secondo rapporto, come in quello precedente, non sono stati presi in considerazione i veicoli euro 6 attualmente commercializzati in Italia, che risultano pertanto esclusi dalla verifica del comportamento emissivo in termini di NOx;
   secondo il report «Dieselgate: Who ? What ? How ?» a cura dell'associazione Transport & Environment, per gli euro 6, i marchi più inquinanti sarebbero Fiat (inclusi Alfa Romeo e Suzuki, a cui Fiat fornisce i motori), Renault (compresi Nissan, Dacia e Infiniti), Opel/Vauxhall, Hyundai e Mercedes. In particolare, il suddetto report evidenzia come «le auto diesel Fiat e Suzuki inquinano in media 15 volte di più dei limiti legali per gli Nox»;
   inoltre, sempre secondo la rete europea di organizzazioni non governative ambientaliste per i trasporti sostenibili, sulle strade italiane circolerebbero più di 3 milioni di veicoli diesel euro 5 ed euro 6 con emissioni fuori controllo, anche 15 volte superiori alle soglie comunitarie;
   nel corso di un'audizione presso le commissioni riunite VIII, IX e X della Camera dei deputati, nell'ambito del contenzioso aperto tra Italia e Germania sulle emissioni di alcuni veicoli euro 6 prodotti da Fca, tra cui la Fiat 500X, il Ministro interrogato ha negato l'esistenza di « defeat devices» nei veicoli Fca, rassicurando i presenti in merito al miglioramento delle prestazioni ambientali dei veicoli Fca, a seguito dell'azione volontaria dello stesso costruttore, azione «che verrà a breve confermato per iscritto»;
   la Commissione europea ha adottato il 15 febbraio 2017 il parere motivato n. 2015/2043, contestando all'Italia la mancata applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ed in particolare la persistente violazione da parte del nostro Paese dell'obbligo di rispettare i livelli di NO2, emissioni dovute in larga parte al traffico stradale e in special modo ai motori diesel (responsabili per l'80 per cento di queste emissioni);
   secondo l'Agenzia ambientale europea ogni anno sarebbero imputabili all'inquinamento prodotto dalle PM2,5 59.500 morti premature/anno e 21.600 decessi per l'inquinamento da NOx;
   sull'onda del dieselgate, un recente studio previsionale, redatto a cura del Massachusetts Institute of Technology (Mit), ha inoltre stimato, per la prima volta anche a livello europeo, quanto nocive e letali potrebbero essere le emissioni dei milioni di veicoli truccati, arrivando a ipotizzare 1.200 morti premature a causa di tali emissioni inquinanti, di cui 55 solo in Italia a causa delle auto VW truccate –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire i motivi per cui, da entrambe le versioni del rapporto di indagine ministeriale sulle emissioni inquinanti, siano rimasti esclusi i veicoli euro 6, attualmente commercializzati in Italia, considerato il rischio per la salute rappresentato dalla circolazione di veicoli con emissioni fuori controllo;
   se il Ministro interrogato possa chiarire se esista o meno un rapporto di indagine ministeriale sulle emissioni inquinanti prodotte dagli euro 6 e, in caso di risposta negativa, se non intenda procedere quanto prima con la verifica del comportamento emissivo – in termini di ossidi di azoto NOx – anche per questa categoria di veicoli, al fine di stabilire l'eventuale presenza di dispositivi di manipolazione delle emissioni vietati dalla vigente normativa. (5-10882)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   uno dei requisiti affinché i lavoratori marittimi possano svolgere il proprio lavoro sulle navi consiste nel possesso del certificato di competenza Imo Stcw;
   tale certificato, rilasciato e rinnovato dalle capitanerie di porto, suggella le competenze specifiche che i lavoratori marittimi debbono possedere;
   nel corso degli ultimi mesi e anni, attraverso emendamenti alla convenzione Stcw del 1978, direttive europee, decreti legislativi promulgati e attuati nei vari Paesi, circolari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è prodotta una confusione normativa che sta creando diffuse preoccupazioni nel comparto dei lavoratori marittimi;
   in particolare, la circolare del 13 ottobre 2016 pone una serie di paletti piuttosto discutibili, che stanno generando esitazioni nelle capitanerie di porto e incertezza tra i lavoratori, laddove raccomanda tempi piuttosto esigui (entro il primo trimestre del 2017) «per l'adeguamento dei certificati ai marittimi impiegati sul traffico internazionale», ponendo come base obbligatoria per il rinnovo un «corso direttivo per primi ufficiali, comandanti e direttori di macchina», che in concreto vuol dire frequentare corsi tra le 300 e le 570 ore per poter vedersi rinnovato il certificato di competenza;
   la regolare durata dei certificati in oggetto consta di 5 anni ed è stata recentemente ribadita da una sentenza del Tar del Lazio (n. 06619/2016) che ha stabilito che i certificati conformi ai requisiti «abilitanti alle funzioni di comandante, direttore di macchina, ufficiali di coperta e di macchina ed il relativo rinnovo hanno validità di sessanta mesi o fino a quando gli stessi sono revocati, sospesi od annullati»;
   tale situazione ha prodotto una mobilitazione dei lavoratori marittimi e dei sindacati di categoria che esigono una maggiore sburocratizzazione del sistema anche al fine dei necessari adeguamenti alle disposizioni internazionali, una diversa concezione dei percorsi di formazione che tenga conto delle esperienze e delle competenze maturate dai lavoratori sul campo nel corso degli anni, una comparazione con quel che accade in altri paesi europei sullo stesso versante –:
   come intenda adoperarsi affinché lo Stato Italiano adotti una normativa di recepimento più favorevole ai propri lavoratori marittimi;
   se non sia il caso di garantire un congruo riconoscimento all'importanza strategica del lavoro marittimo per il nostro Paese, anche attraverso la dotazione di un dipartimento specifico interno al Ministero che si occupi esclusivamente di questo settore in funzione di una sua valorizzazione. (4-15961)


   SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura dell'Aeroporto dello Stretto va via via concretizzandosi a seguito dell'annunciato «addio» di Alitalia già dal prossimo 27 marzo;
   il «Tito Minniti» con l'abbandono di Alitalia rischia il definitivo crollo nel giro di 2-3 mesi, atteso che, così come già stabilito, dal 27 marzo fino a metà giugno – periodo in cui scadrà il mandato di Blu-Express – rimarranno soltanto 4 voli settimanali di BluExpress per Roma e per Milano;
   la gravità di tale risultato ritrova la sua vera essenza in una cattiva gestione e in un disastro tutto politico, che ha portato al declino della compagnia aerea. Non a caso i numeri dei passeggeri dell'Aeroporto dello Stretto sono crollati negli ultimi anni in modo esponenziale. Nel 2015 si è scesi per la prima volta dopo un decennio sotto il muro dei 500.000 passeggeri annui, e nel 2016 lo scalo ha chiuso con appena 485 mila passeggeri, il dato peggiore dal lontanissimo 2003;
   la stridente contraddizione tra la gestione politica dell'aeroporto e il trionfalismo adottato in occasione del nuovo piano regionale dei trasporti rappresentano la causa principale del declino;
   infatti il dramma del «Tito Minniti» oggi è rappresentato non solo dal rischio di chiusura per le scelte di Alitalia, ma anche, secondo l'interrogante, dalle scelte insensate di una gestione societaria che ha portato al fallimento della Sogas, con conseguente rischio di soppressione di quasi 200 posti di lavoro;
   la chiusura dell'aeroporto certifica, dunque, il fallimento della politica locale e di una sua totale assenza a colloquiare su concrete proposte per lo sviluppo di un'infrastruttura che, lontano da un epilogo ormai prossimo, poteva essere efficiente, funzionale e competitiva. Anche l'amministratore delegato di Alitalia Cramer Ball, rammaricato in merito a questa vicenda, ha espresso la difficoltà della compagnia aerea di dialogare con le autorità del territorio, in considerazione del fatto che, nonostante i ripetuti tentativi, gli appelli di Alitalia sono rimasti inascoltati e nessuna risposta concreta è arrivata dalle competenti autorità locali;
   l'indifferenza della classe politica ha condotto ad aggravare ancor di più il sistema di mobilità nel suo complesso, soprattutto per una regione come la Calabria ed una città come Reggio, penalizzata negli anni da politiche nazionali sbagliate che hanno deteriorato lo sviluppo, dal trasporto ferroviario a quello portuale fino al sistema aereoportuale;
   per una regione come la Calabria l'aeroporto dovrebbe rappresentare, invece, un punto fermo, centrale e strategico per lo sviluppo, la valorizzazione dell'intero territorio. Lo scalo è di fondamentale importanza per l'economia, per i flussi turistici e per la crescita del meridione, con la triste conseguenza che la sua chiusura definitiva andrebbe ad arrecare danni irreversibili al tessuto sociale ed economico di tutto il territorio reggino e non solo –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intende adottare affinché considerata l'estrema urgenza e necessità, venga istituito un tavolo tecnico volto a consentire, alla presenza delle rappresentanze locali e statali quali l'amministratore delegato di Alitalia, il Presidente della regione Calabria, il sindaco di Reggio Calabria, i sindacati, Unindustria e Sacal spa, che siano trovate le soluzioni più adeguate e le risorse economiche atte a garantire la continuazione dei voli da e per Reggio, limitando, al contempo, gli inevitabili effetti dannosi su tutto il Meridione. (4-15964)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerso dal Rapporto Risk Analysis 2017 recentemente pubblicato dall'Agenzia Frontex e da numerose inchieste giornalistiche negli ultimi mesi, nonostante l'aumento delle partenze per raggiungere attraverso il Mar Mediterraneo i Paesi europei, principalmente l'Italia, le telefonate via satellite al Maritime Rescue Coordination Centre di Roma per avviare salvataggi mirati in alto mare da parte della Marina militare o delle missioni europee sarebbero, invece, diminuite;
   difatti, nel 2015 e i primi mesi del 2016 le operazioni di salvataggio avviate a seguito delle chiamate satellitari al Centro di cui sopra sono state principalmente effettuate dalle forze dell'ordine italiane, Eunavfor Med o Frontex, mentre quelle delle navi delle diverse Ong, che navigano nelle acque tra la Libia e la Sicilia, rappresentavano meno del 5 per cento;
   improvvisamente, invece, dal mese di giugno 2016 il numero di telefonate satellitari al Maritime Rescue Coordination Centre di Roma è diminuito in modo drastico mentre le operazioni di soccorso delle navi gestite dalle diverse Ong, presenti a ridosso delle acque libiche, hanno subito una rapida impennata fino ad arrivare a oltre il 40 per cento di tutti i salvataggi;
   la prima unità navale di una Ong ad intervenire nelle operazioni di soccorso è stata avvistata ad agosto 2014 e da allora i salvataggi effettuati dalle navi, sempre gestite da diverse organizzazioni umanitarie e che via via si sono aggiunte, sono passati da 1.450 nel 2014 ai 46.796 nel 2016;
   secondo l'Agenzia Frontex, a produrre, di fatto, un effetto moltiplicatore delle partenze sarebbero proprio le sempre più numerose navi delle diverse Ong che arriverebbero a spingersi al limite e occasionalmente all'interno del limite delle 12 miglia, ossia in acque libiche, con conseguenze drammatiche sia per la lotta al traffico degli esseri umani sia per il costo di vite umane, come dimostrano l'impennata delle partenze e il numero dei decessi in mare che ha registrato il record di 5.000 circa nel 2016;
   difatti, dal giugno 2016 pare che trafficanti preferiscano contattare direttamente le sempre più numerose navi delle Ong, sapendo di poter contare sul loro intervento perché più vicine alle coste libiche, ed abbiano, perciò, incrementato le partenze ricorrendo a imbarcazioni sempre più malmesse e sempre più affollate: se nel 2015 ogni gommone portava una media di 90 persone, nel 2016 si è arrivati a ben 160;
   inoltre, secondo quanto dichiarato dal direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, le Ong non collaborerebbero con l'Agenzia nella lotta al traffico di esseri umani poiché i volontari non affondano i gommoni usati, che possono quindi essere facilmente recuperati dai trafficanti che restano nell'area mentre le navi delle Ong trasportano gli immigrati sulle coste italiane;
   infine pare siano almeno tre le procure che stanno attenzionando tale fenomeno e una di esse, quella di Catania, avrebbe anche a disposizione dei rapporti riservati di Frontex, con informazioni raccolte anche in Libia, dei servizi segreti e della Marina italiana;
   quali iniziative ed azioni immediate il Governo intenda adottare al fine di dare seguito alle denunce avanzate dall'Agenzia Frontex, riportate anche da diverse inchieste giornalistiche sopra richiamate. (4-15974)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo una ricerca condotta dal settimanale OFCS.Report in Italia ci sono circa 100 mila docenti disabili che quotidianamente svolgono il loro lavoro nelle aule scolastiche; questa cifra rappresenta circa il 15 per cento del corpo docente italiano;
   la cifra comprende qualsiasi tipo di disabilità, dalla patologia cardiologica a malattie degenerative o a situazioni di deficit di altro genere;
   non esiste una stima precisa dei dati perché il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha mai preso in considerazione di condurre una simile indagine focalizzata sulle persone disabili che quotidianamente si trovano dietro la cattedra e che si trovano costrette ad affrontare tutte le carenze strutturali in materia di accessibilità e di barriere architettoniche che caratterizzano la maggior parte degli istituti scolastici del Paese;
   sulla vicenda si registra una mancanza generalizzata di attenzione in quanto una simile indagine non è stata condotta neanche da altri enti statali quali l'Inps, l'Istat, le strutture del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   gli unici dati a disposizione derivano dal monitoraggio che viene dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in merito al complesso delle richieste di permessi in applicazione della legge n. 104 del 1992 e riguardano il godimento di permessi sia da parte delle persone disabili che per familiari con disabilità;
   questi dati mostrano grandi differenze di applicazione della legge n. 104 del 1992 nella diverse zone del Paese che vanno da una percentuale del 18,27 per cento in Sardegna all'8,96 per cento del Piemonte;
   questo folto numero di docenti si confronta ogni giorno non soltanto con i disagi e le difficoltà che incontrano nelle carenze delle strutture ma, a volte, devono fare i conti anche con l'atteggiamento ostile degli stessi dirigenti scolastici e con le difficoltà derivanti dalla burocrazia e dalle decisioni del Ministero –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover avviare un'indagine amministrativa volta a censire il numero dei docenti disabili che lavorano nelle scuole italiane, nonché le condizioni in cui si svolge il loro lavoro, al fine anche di prevedere tutti i necessari meccanismi di assistenza derivanti dalle loro condizioni di disabilità. (3-02883)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 244 del 2007 – legge di stabilità per il 2008 – all'articolo 2, comma 414, è intervenuta a disciplinare la dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno nel senso di prevedere una progressiva rideterminazione della stessa fino ad arrivare ad una consistenza organica del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati pari al 100 per cento a decorrere dall'anno scolastico 2015/2016;
   la disciplina è stata introdotta, al fine di assicurare continuità al sostegno agli alunni con disabilità, con il comma 2 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 2013 recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca;
   il successivo comma 2-bis del citato articolo 15 sancisce che il riparto del personale docente sui posti di sostegno sia assicurato equamente a livello regionale, in modo da determinare una situazione di organico di diritto dei posti di sostegno percentualmente uguale nei territori;
   risulta all'interrogante che i meccanismi della perequazione non venga rispettato per quanto riguarda la regione Umbria e in seguito alla mancata applicazione di una legge dello Stato ogni anno più di 500 studenti con disabilità siano costretti a cambiare docente di sostegno, spesso anche ad anno scolastico inoltrato e ricorrendo in alcuni casi a docenti non specializzati;
   la regione Umbria risulta infatti la regione con la più alta sperequazione nel riparto dei docenti sui posti di sostegno, con un rapporto tra numero di studenti disabili e docenti di sostegno pari a 2,83 a fronte di un indice medio nazionale di 2,3;
   a causa dei numerosissimi posti vacanti i docenti specializzati rientrano nella loro regione di origine in assegnazione provvisoria senza alcuna certezza di riconferma nello stesso istituto, alimentando ulteriormente il bacino dei precari;
   se la perequazione fosse stata rispettata dall'anno 2013, come previsto dalle norme vigenti, molti di questi docenti specializzati sarebbe rientrata nelle procedure di assunzione di cui alla fase A della legge n. 107 del 2015;
   i docenti di sostegno, in seguito alla consistente necessità di docenti specializzati, sono comunque rientrati nelle sedi umbre ma solo con assegnazioni annuali, e in quanto tali provvisorie, senza alcuna garanzia sia per loro che per gli studenti di poter rientrare nell'anno successivo;
   in sede di risposta all'interrogazione 5-10399 il rappresentante del Governo, Sottosegretario De Filippo, ha fatto riferimento alle norme attualmente in vigore che dovrebbero permettere di dare nel breve periodo risposta alle istanze dei docenti di sostegno nel senso di prevedere un aumento della dotazione organica di diritto con conseguente stabilizzazione del personale attualmente precario e introduzione nel Contratto collettivo nazionale del lavoro sulla mobilità, al momento solo ipotizzata, della deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia di assunzione –:
   considerato che la non applicazione delle norme in materia di perequazione da parte degli uffici scolastici ha determinato di fatto un vulnus per le famiglie, gli studenti e i docenti specializzati sul sostegno dell'Umbria, quali iniziative concrete intenda assumere il Ministro interrogato, al di là delle dichiarazioni di intenti, al fine di assicurare l'applicazione della normativa vigente nel senso auspicato dagli insegnanti di sostegno e già espresso nella richiamata interrogazione 5-10399.
(3-02884)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 767 del 17 luglio 2015 aveva fornito le indicazioni per la presentazione della domanda di partecipazione alle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107 del 2015, ma non la ripartizione dei posti residuati dalle fasi ordinarie;
   di fatto, i docenti meridionali con maggiori titoli e specializzazioni sono stati assunti in regioni distanti centinaia di chilometri dalla propria e su una tipologia di posto (comune o sostegno) non indicata come prioritaria;
   ai docenti in fase B è stato impedito sia di accedere alla fase successiva (fase c) che, a distanza di due mesi dalla loro assunzione, ha assegnato posti di potenziamento per la maggior parte curriculari nelle loro province di appartenenza a colleghi con punteggio inferiore, sia di rifiutare la proposta di assunzione, pena la cancellazione da tutte le graduatorie (comma 102);
   i docenti assunti da GAE in fase B si definiscono, a quanto risulta dall'interrogante, vittime di un'ingiustizia e denunciano non solo le disparità di trattamento createsi con la legge n. 107 del 2015 in fase assunzionale e di mobilità, ma anche la violazione del diritto comunitario di libertà professionale –:
   quali iniziative ritenga opportuno assumere per trovare una soluzione definitiva che ristabilisca il principio meritocratico e valorizzi le competenze acquisite dopo anni di docenza sui posti disciplinari. (5-10869)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la scuola primaria di Amorosi (Benevento) è stata recentemente teatro di un evento inaccettabile;
   un'insegnante di 51 anni ha ripetutamente maltrattato e picchiato i suoi alunni apostrofandoli quotidianamente con epiteti ingiuriosi come: «ciucci, cretini, stupidi, ritardati mentali», tenendoli così in stato di costante soggezione psicologica;
   le indagini sono scaturite da una lunga serie di segnalazioni da parte dei genitori, preoccupati per la condotta tenuta dalla maestra nei confronti dei loro figli;
   accolte le segnalazioni, gli investigatori – coordinati dal vicequestore aggiunto Fattori – hanno installato sofisticate telecamere nelle aule didattiche, registrando e documentando tutti gli episodi di violenza nei confronti dei piccoli alunni delle prime 2 classi della scuola elementare;
   nelle riprese si assiste a comportamenti assurdi da parte della donna, che percuote i bambini con schiaffi, calci e colpi in testa con libri, quaderni o altro materiale didattico ponendo in essere, secondo quanto rilevato dalla magistratura, una «serie di atti lesivi della loro integrità fisica e sottoponendoli ad un regime vessatorio e violento, così da rendere abitualmente dolorose le relazioni scolastiche»;
   il Gip del tribunale di Benevento, su richiesta della procura locale, ha emesso un provvedimento interdittivo nei confronti della docente di sospensione dal lavoro per un anno;
   la misura è scattata immediatamente ed è stata eseguita dal personale della squadra mobile della questura del capoluogo;
   ciò che è avvenuto nella scuola primaria di Amorosi è solo l'ultimo di una serie di episodi analoghi venuti alla luce negli ultimi anni nel nostro Paese, a causa anche della mancanza di un quadro normativo preciso ed omogeneo;
   attualmente è in corso di esame in commissione al Senato il disegno di legge n. 2574, che contiene, tra le altre, proprio misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia;
   il disegno di legge è improntato alla prevenzione e al contrasto, in ambito pubblico e privato, di situazioni simili a quella in questione;
   l'articolo 4 del testo prevede la possibilità, anche negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia, di installare sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, le cui immagini devono essere cifrate al momento dell'acquisizione all'interno delle telecamere, con modalità atte a garantire la sicurezza dei dati trattati e la loro protezione da accessi abusivi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'episodio increscioso esposto in premessa e se non intendano adottare più presto le necessarie contromisure, con tutti gli strumenti di competenza, al fine di dotare l'intero settore di un quadro normativo, chiaro ed omogeneo, indispensabile per prevenire e contrastare il reiterarsi di situazioni simili;
   se i Ministri interrogati non intendano adottare iniziative volte ad inasprire, come iniziativa di deterrenza, le sanzioni per chi causa stati di soggezione psicologica ed instaura un regime vessatorio e violento nei confronti degli alunni delle strutture scolastiche. (4-15973)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio dell'anno scolastico in corso una situazione di forte disagio è vissuta da bambini, genitori e maestre nella scuola pubblica dell'infanzia «Principe di Piemonte» di Lezzeno (Como), a causa dell'incertezza organizzativa derivante dall'applicazione della legge cosiddetta «buona scuola»;
   le prime settimane dell'anno sono state caratterizzate dai classici ritardi nelle nomine, con l'inevitabile conseguenza di dover tamponare con svariate supplenze, per giungere ad una situazione a regime di 74 alunni divisi in tre sezioni con 2 insegnanti a sezione, che ha comportato il verificarsi di casi in cui un'insegnante si è trovata a gestire da sola più di venti bambini ed altri nei quali i bambini di una sezione, in mancanza della maestra, sono stati smistati nelle restanti due;
   ad aggravare tale cronica carenza è il fatto che sono state nominate quali insegnanti di ruolo alcune docenti provenienti dal Sud Italia, che per vari motivi (maternità, malattie, problematiche familiari ed altro) nel corso dell'anno scolastico hanno preso continui periodi di congedo coperti – come di consueto – ricorrendo ad ulteriori supplenze effettuate, peraltro, da insegnanti che vivono e risiedono a Lezzeno, rendendo ancora più paradossale tutta la situazione;
   la preoccupazione dei genitori è dovuta non solo alle ricadute che tale disorganizzazione può avere sul programma scolastico da portare a termine entro i prossimi mesi, ma anche per i possibili disagi psicologici in bambini continuamente «sballottati» da una maestra all'altra senza avere mai un vero e proprio punto di riferimento, fondamentale in questa fase evolutiva;
   il problema è stato già evidenziato all'ufficio scolastico regionale della Lombardia-Como;
   ancor più timore detta il recente nulla osta del Ministero alla mobilità che significa, per Como e provincia, più di 500 insegnanti interessati a un trasferimento, considerando le 304 immissioni sul sostegno, le 150 nelle primarie e una ventina nell'infanzia, con evidente rischio per la continuità didattica;
   i nuovi assunti, infatti, avrebbero dovuto – da contratto – restare nella sede di assegnazione per almeno tre anni, ma l'intesa con i sindacati ha invece aperto alle richieste di trasferimento, con l'effetto che il prossimo anno i docenti interessati potranno indicare fino a un massimo di 15 province nelle quali insegnare, nel tentativo di un ricongiungimento familiare o comunque di un avvicinamento al proprio territorio;
   a parere dell'interrogante, affrontare e risolvere prima dell'inizio del nuovo anno scolastico le problematiche in premessa, peraltro interessanti non solo la scuola materna di Lezzeno, è un obbligo nei confronti in primis dei bambini e dei loro genitori, ma anche di tutti i docenti trattati come «riserve» da utilizzare solo nelle emergenze –:
   se e quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare in merito a quanto esposto in premessa, a garanzia della copertura di tutte le cattedre dall'inizio del prossimo anno scolastico per la scuola materna di Lezzeno, e non solo per essa. (4-15975)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   i lavori socialmente utili (LSU) rappresentano le attività svolte a beneficio della collettività da parte di coloro che occupano una posizione di svantaggio nel mercato del lavoro, ossia di soggetti che percepiscono sostegni di reddito (disoccupazione, mobilità, cassa integrazione guadagni straordinari) per realizzare opere e fornire servizi;
   nel nostro Paese i lavoratori impiegati in lavori di pubblica utilità (operai addetti alle manutenzioni, istruttore finanziario, istruttore tecnico, istruttore amministrativo, servizi demografici, cimiteriali, trasporti, scolastici ed altro) sono circa 18.000 dislocati soprattutto nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia ed impiegati, principalmente, presso circa 1.100 enti locali, sopperendo tra l'altro anche a carenze di organico dovute al blocco delle assunzioni;
   i lavoratori di cui sopra si possono classificare in due categorie: quella dei cosiddetti transitoristi, di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione) e i non transitoristi o autofinanziati (con oneri a carico delle regioni di appartenenza);
   nella regione Campania sono circa 4.000 e il governatore De Luca e l'assessore Palmieri hanno allertato gli EE.LL. ed il Governo sulla drammaticità della vicenda;
   tra l'altro, questi lavoratori nel 2017 a causa di un ritardo non percepiscono l'assegno INPS da circa tre mesi;
   sin dall'inizio, il legame tra enti utilizzatori e soggetti utilizzati ha evidenziato la caratteristica di un vero e proprio rapporto di subordinazione (rilevazione entrata/uscita tramite il badge, giustificativo in caso di assenza e per motivi personali e/o di malattia, visite fiscali, ordini di servizio, piano ferie autorizzato, svolgimento di servizi e mansioni sopperendo a carenze di organico ed altro), a cui non ha corrisposto il necessario riconoscimento di un regolare contratto di lavoro;
   dopo circa vent'anni, a fronte di prestazioni di venti ore settimanali, i lavoratori continuano a percepire dall'INPS e/o dalle regioni il sussidio di disoccupazione, denominato assegno socialmente utile (ASU), pari a 580,14 euro mensili, carente di tra l'altro di tutte le voci retributive previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto regioni ed autonomie locali (progressione economica e crescita professionale, tredicesima mensilità, trattamento di fine rapporto eccetera) ma soprattutto carente sotto l'aspetto previdenziale, a causa del mancato versamento dei contributi pensionistici, e quindi l'impossibilità di poter contare su un reddito pensionistico proporzionato al lavoro effettivamente svolto –:
   con quali misure intenda intervenire al fine di definire la contrattualizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori di pubblica utilità (LPU) e di quelli socialmente utili (LSU) del cosiddetto bacino storico nazionale;
   e se intenda istituire un fondo che supporti la regione Campania, e tutte le regioni interessate alla stabilizzazione definitiva di questi lavoratori visto che, da oltre venticinque anni, assicurano con professionalità l'indispensabile svolgimento delle funzioni amministrative tipiche degli enti di appartenenza.
(2-01715) «Sgambato, Tartaglione, Manfredi, Zampa, Berretta, Di Lello, Tidei, Manzi, Rostan, Lodolini, Oliverio, Tino Iannuzzi, Mura, Giulietti, Mongiello, Raciti, Dallai, Cuomo, Famiglietti, Covello, Di Gioia, Capone, Capozzolo, Bruno Bossio, Giuliani, Paris, Moscatt, Magorno, D'Incecco, Impegno, D'Ottavio, Ventricelli, Carloni, Valiante, Paola Boldrini, Gnecchi, Valeria Valente, Antezza, Massa, Misiani, Marchi, Boccuzzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, DELLA VALLE, CASTELLI, CIPRINI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, COMINARDI, LOMBARDI, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE e BARONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 novembre 2014 l'azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino ha indetto con deliberazione numero 1178/2014 una gara pubblica per l'affidamento del servizio integrato di pulizia e sanificazione ambientale e servizi annessi, occorrenti all'A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino, all'ASL TO1, e all'ASL TO5 per un periodo di trentasei mesi;
   il 20 settembre 2016 sul sito della Città della Salute sono stati riportati gli esiti della seduta pubblica e la graduatoria con punteggio delle imprese concorrenti, e con deliberazione numero 1407/2016 il direttore generale dell'A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino ha provveduto ad aggiudicare definitivamente alla società DUSSMANN SERVICE S.R.L., di Capriate S. Gervasio (BG), il lotto A con un ribasso sull'importo complessivo a base d'asta del 33,036 per cento;
   con la deliberazione numero 1417/2016 si è provveduto ad aggiudicare definitivamente alla società DUSSMANN SERVICE S.R.L. il lotto B, con un ribasso sull'importo complessivo a base d'asta del 33,073 per cento;
   con deliberazione numero 1418/2016, si è provveduto ad aggiudicare definitivamente alla società EUROS & PROMO FM SOC. COOP. P.A. di Udine il lotto C, con un ribasso sull'importo complessivo a base d'asta del 10,13 per cento;
   i forti ribassi a base d'asta hanno determinato un taglio delle ore del personale addetto alle pulizie, il 33 per cento sui lotti A e B, e il 10 per cento per il lotto C, corrispondenti a oltre 4.523 ore settimanali contrattuali in meno per la Città della Salute e circa 800 ore settimanali in meno per l'Asl TO1, come riportato nell'articolo pubblicato in data 14 marzo 2017 sul sito TorinoOggi.it;
   la riduzione di orario di lavoro interessa in totale 680 operatori, nonostante nelle deliberazioni fosse riportato il rispetto del capitolato speciale che prevede nella clausola sociale il mantenimento delle medesime condizioni contrattuali e del posto di lavoro;
   nonostante a giugno 2016, dopo la delibera della Giunta Regionale del 30 maggio, sia stato sottoscritto il protocollo sugli appalti, con firma del presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino e dei segretari generali di CGIL-CISL-UIL Piemonte, sulla giusta retribuzione e l'applicazione delle clausole sociali negli appalti regionali, si assiste ad una riduzione delle ore complessive di lavoro, che determina una riduzione pesante del salario degli operatori e una notevole riduzione del servizio offerto che mette a rischio le condizioni di asepsi delle strutture ospedaliere –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per salvaguardare lo status del personale delle imprese di pulizie coinvolte dal bando di gara di cui in premessa e le condizioni di igiene degli ospedali e delle strutture sanitarie coinvolte. (5-10880)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA e GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 68 del 1999, prevede all'articolo 21 che il Ministero del lavoro presenti ogni due anni, entro il 30 giugno, una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge stessa;
   la settima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, riguardante gli anni 2012 e 2013, è stata trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 4 agosto 2014;
   tale relazione evidenziava il grave impatto che la crisi economica ha avuto sull'avviamento delle persone con disabilità, coinvolte in un processo di precarizzazione (calo dei contratti a tempo indeterminato al 35,1 per cento del totale nel 2013); si osservava contemporaneamente una forte contrazione delle quote di riserva, sia nel settore privato (da 158.295 posti a 117.136) che in quello pubblico (da 76.770 a 69.083);
   paradossalmente il numero di posti scoperti nel settore pubblico superava comunque, nel 2013, le 14.000 unità;
   il decreto-legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 ha apportato alcune modifiche alla legge n. 68 del 1999 in particolare la norma introduce il principio base per cui le aziende private possono assumere i lavoratori disabili mediante la richiesta nominativa. Inoltre, è stata introdotta la possibilità di computare, nella quota di riserva, i lavoratori già disabili prima dell'assunzione (con una riduzione della capacità professionale superiore al 60 per cento o del 45 per cento nel caso di persone con disabilità intellettiva e psichica) anche se non assunti attraverso il collocamento mirato;
   ai datori di lavoro si permette di assumere in una loro unità produttiva un numero di aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione;
   il decreto ha rafforzato, infine, gli incentivi per le aziende, con una durata più lunga in caso di assunzione di persone con disabilità intellettiva e psichica, e ha istituito una «Banca dati del collocamento mirato» che raccoglie le informazioni concernenti i datori di lavoro pubblici e privati obbligati e i lavoratori interessati;
   con la circolare n. 99 del 2016, l'Inps ha fornito le indicazioni operative a cui ci si deve attenere per chiedere gli incentivi previsti dal Jobs act per l'assunzione dei lavoratori disabili;
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 151 del 2015 ha modificato i bonus introdotti con la legge n. 68 del 1999 al fine di favorire l'inserimento lavorativo. L'agevolazione riguarda i rapporti di lavoro con decorrenza dal 2016 e varia in base alla tipologia di disabilità;
   i datori interessati hanno dovuto inviare una domanda preventiva all'Inps che ha verificato la disponibilità dei fondi messi a disposizione per la copertura finanziaria dell'incentivo;
   rispetto alla previsione di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 151 del 2015, inerente la banca dati citata, risulta non essere stato ancora emanato il relativo decreto attuativo, i cui termini di 180 giorni dall'emanazione del decreto legislativo risultano essere ormai scaduti;
   l'ottava relazione sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, riguardante gli anni 2013 e 2014, non risulta essere ancora pervenuta all'attenzione del Parlamento e delle commissioni competenti, pur essendo ormai scaduto il termine previsto per legge del 30 giugno (in questo caso, relativo all'anno 2016) –:
   quando intenda presentare l'ottava relazione sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999;
   se abbia effettuato un monitoraggio delle dinamiche di collocamento dei lavoratori disabili in seguito all'applicazione del decreto legislativo n. 151 del 2015, e se sia stato riscontrato in questo senso un miglioramento nell'occupazione delle persone con disabilità e nella loro tipologia contrattuale, anche rispetto ai numeri della settima relazione e in virtù degli incentivi di cui sopra. (4-15966)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da notizie di stampa, i lavoratori della logistica dello stabilimento della Coca-Cola di Nogara pare stiano subendo un cambio di contratto;
   i servizi della logistica sono esternalizzati da Coca Cola a Kuhene Nagel, che a sua volta ha ceduto al Consorzio Vega. Il quarto subappalto in due anni;
   ora accade che il Consorzio Vega stia imponendo ai lavoratori un cambio contrattuale, per non rispettare il precedente contratto e assumere i lavoratori con le tutele crescenti, e quindi senza articolo 18;
   a ciò si aggiunga che è previsto il licenziamento di 14 persone, senza alcun piano di esubero. Per quanto consta all'interrogante, pare si tratti di un tentativo di allontanare i lavoratori più sindacalizzati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga urgente intervenire nell'ambito delle proprie competenze, per fare in modo che vengano rispettati i diritti dei lavoratori. (4-15967)


   BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, ai commi 118-124, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha introdotto per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, effettuate nel corso del 2015, l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico «dei datori di lavoro privati»;
   l'Università «Kore» di Enna ha richiesto il codice 6Y – necessario per poter beneficiare dell'esonero contributivo – con esclusivo riferimento al proprio personale amministrativo;
   il 29 giugno del 2016 l'Inps ha revocato nei confronti dell'Università «Kore» di Enna il codice 6Y ritenendo che, sulla base della circolare Inps n. 17 del 2015, le «Università non statali legalmente riconosciute debbano considerarsi enti pubblici non economici»;
   il legislatore ha utilizzato un'espressione generale, quella di «datore di lavoro privato», nell'individuazione della categoria dei soggetti beneficiari;
   l'Inps, con circolare n. 17 del 29 gennaio 2015, ha fornito una interpretazione che si rivela, per l'interrogante, immotivatamente restrittiva, ritenendo che «nel novero degli enti che non possono fruire dell'esonero contributivo triennale rientrano anche le Università non statali legalmente riconosciute qualificate enti pubblici non economici dalla giurisprudenza amministrativa e ordinaria»;
   tale circolare contrasta, a giudizio dell'interrogante, con la lettera e la ratio della legge, oltre che essere in contraddizione con i più recenti orientamenti della giurisprudenza richiamata dall'Inps;
   le università non statali legalmente riconosciute rientrano tra le istituzioni previste dall'articolo 1, secondo comma, n. 2 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 oltre che dagli articoli 198 e successivi del medesimo testo legislativo, grazie al quale è stata prevista la possibilità di istituire università non statali sottoponendole al riconoscimento legale da parte del competente Ministero;
   tali enti agiscono come soggetto privato nello svolgimento dell'attività amministrativa e, dunque, anche con riferimento al rapporto di lavoro del personale amministrativo;
   esse quindi, sono secondo l'interrogante datori di lavoro privati, che agiscono come soggetti pubblici nel reclutamento di professori e ricercatori di ruolo, e ovviamente nel procedimento che porta al rilascio di titoli accademici aventi valore legale;
   le università non statali legalmente riconosciute possiedono dunque, secondo le più recenti statuizioni del Consiglio di Stato, un doppio canale di funzionamento: uno privatistico (la gestione amministrativa ed organizzativa) ed uno pubblicistico (la funzione accademica) (sul punto, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2660 del 3 febbraio 2015, si veda altresì, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 luglio 2016, n. 3043);
   le università non statali, secondo la prevalente giurisprudenza civile ed amministrativa, non rientrano tra gli enti pubblici e, dunque, non possono esser assoggettate alla disciplina pubblicistica (Cass. Civ. sez. lavoro n. 14129/1999, Tar Lazio sez. III n. 351/2005, Tar Lazio, sez. II, n. 3971/2013 e, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2015);
   la giurisprudenza amministrativa, intervenuta di recente sul tema, valorizzando l'articolo 33 della Costituzione, ha escluso che il riconoscimento del potere di rilasciare titoli aventi valore legale incida sulla natura privatistica delle università (TAR del Lazio sent. n. 8374 del 2015, Consiglio di Stato, n. 3034 del 2016) –:
   quali iniziative si intenda assumere al fine di garantire la riconducibilità delle università non statali legalmente riconosciute tra i soggetti beneficiari dell'esonero contributivo introdotto dalla legge di stabilità per il 2015, con particolare riferimento al personale amministrativo in servizio. (4-15968)


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2017, La Gazzetta del Mezzogiorno, ha condotto una campagna di stampa denunciando la situazione inaccettabile dei malati oncologici;
   sabato 21 gennaio, inoltre, sulla « Gazzetta di Bari», è apparso un servizio, con il seguente titolo in prima pagina: «Malati gravi senza indennità – bufera sull'imbuto Asl Inps». E, nell'occhiello, «Sanità – il Presidente dell'Ordine dei medici, Anelli: “ci si preoccupa più del budget dello Stato che della gravità dei pazienti”»;
   sullo stesso giornale, nella medesima data, a pagina 2 si fa riferimento alla burocrazia e al disservizio, in un articolo titolato: «Indennità ai malati gravi – dito puntato su Asl e Inps». E, «Anelli: “I medici tornino liberi, non si preoccupino se lo Stato ha i soldi o no”»;
   il presidente dell'Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), Michele Caradonna, ha osservato un aspetto singolare: «Molti verbali vengono impugnati perché non rendono giustizia delle reali condizioni della persona»;
   sullo stesso giornale è stata pubblicata una lettera nella quale si legge: «Sono un malato oncologico (codice 048), operato nel 2015 per “Adenocarcinoma moderatamente differenziato del grosso intestino pT3NI a (pericolico) MO. Coleciste cronica con adenomioma del fondo”. A seguito di ciò, ho seguito 8 cicli di chemioterapia all'Ospedale Oncologico di Bari per circa 6 mesi. La Commissione medica ASL, il 22/7/2015, ha diagnosticato: “Invalido ultrasessantacinquenne con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni ed i compiti propri della sua età (L. 509/88 – 124/98) grave 100%; e, ai sensi dell'articolo 4, L. n. 104/92 ‘portatore di handicap in situazione di gravità’ (comma 3, articolo 3)”. Il co. 6, della L. n. 509/1988, recita: “Ai soli fini dell'assistenza socio-sanitaria e della concessione dell'indennità di accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultra sessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”. Quello che colpisce in questa vicenda è la formula della legge ricopiata pedissequamente dalla Commissione ASL. Domanda: perché l'INPS non mi ha riconosciuto il beneficio previsto dalla legge ? Naturalmente ho fatto ricorso al Tribunale di Bari. Il giudice ha nominato un consulente d'ufficio (...) che, nella sua relazione afferma una “pressione arteriosa 120/80”, senza averla misurata con uno strumento adeguato (...)»;
   il già ricordato presidente Caradonna, il 5 aprile 2016 aveva osservato: «Dopo lo stupore, e l'amarezza dei giorni scorsi nel constatare come alcuni esponenti della criminalità barese fossero stati riconosciuti “invalidi civili totali”, e la successiva buona notizia dell'apertura di un'inchiesta da parte della Procura antimafia di Bari ci chiediamo come sia possibile che le procedure per il riconoscimento dell'invalidità vengano così facilmente “taroccate” ed eluse in certi ambienti e poi, penalizzino le brave persone che ne avrebbero realmente diritto»;
   non è possibile non chiedersi quali siano le disposizioni ministeriali alle quali le sedi Inps devono attenersi e se non sia possibile ritenere che le decisioni Inps risentano dei vincoli di bilancio statali e delle condizioni economiche in cui versa il Paese, mentre non è affatto chiaro in quale categoria l'Inps faccia rientrare la condizione del cittadino sopra citato;
   appare facilmente immaginabile, a parere dell'interrogante, che quanto sopra esposto indichi un possibile «taroccamento» delle procedure per il riconoscimento dell'invalidità, con la penalizzazione di coloro che ne avrebbero davvero diritto;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto e sia informato, per quanto di competenza, delle motivazioni fornite dall'Inps per le procedure che l'interrogante non può non trovare quantomeno sorprendenti. (4-15972)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come risulta dalla decisione di esecuzione (Ue) 2016/2113 della Commissione europea sulla liquidazione dei conti degli organismi pagatori degli Stati membri relativi alle spese finanziate dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) nell'ultimo esercizio di attuazione (ottobre 2014-settembre 2015) del periodo di programmazione 2007-2013, l'Esecutivo comunitario non ha proceduto a liquidare i conti di alcuni organismi pagatori, nel caso dell'Italia di Agea e di Arcea, ed ha rimandato la chiusura dei pagamenti a fronte di alcune irregolarità emerse in sede di verifica che richiedono ulteriori indagini ed approfondimenti;
   da un'agenzia del 1o dicembre 2016, inerente la procedura di liquidazione dei conti presentati dagli organismi pagatori dei Paesi membri per le spese sostenute nell'ultimo esercizio finanziario della politica di sviluppo rurale 2007-2013, si apprende che i servizi comunitari hanno per il momento bocciato le spese rendicontate per quasi 1,9 miliardi di euro, di cui 1,7 di competenza di AGEA; si contestano inoltre 175 milioni di euro che riguardano l'organismo pagatore della Calabria ARCEA;
   la decisione di esecuzione (UE) 2016/2113 della Commissione europea del 30 novembre 2016 a cui fa riferimento l'agenzia acclara che non sono stati liquidati i programmi 2007IT06RAT001, 2007IT06RPO001, 2007ITO6RPO004, 2007IT06RPO005, 2007IT06RPO006, 2007ITO6RPO008, 2007ITO6RPO012, 2007IT06RPO013, 2007IT06RPO015, 2007IT06RPO016, 2007IT06RPO017, 2007IT06RPO019, 2007IT06RPO020 e 2007IT06RPO021 del FEASR 2007-2013 dell'organismo pagatore IT01 (AGEA), tantomeno il saldo finale del programma 20071T06RPO018 del FEASR 2007-2013 dell'organismo pagatore IT26 (ARCEA), per la presenza di problemi di conformità e ritardi nell'attuazione di un piano d'azione volto ad ovviare alle carenze nei controlli essenziali sul rispetto dei criteri di riconoscimento;
   i due organismi pagatori dovranno dimostrare la regolarità delle procedure seguite per pagare progetti e impegni approvati e/o liquidati nell'ultima fase di applicazione del PSR 2007-2013, per non incorrere nelle correzioni finanziarie che implicano il mancato trasferimento di fondi europei del fondo per lo sviluppo rurale (FEASR) già stanziati da Bruxelles;
   ad AGEA si contestano non solo irregolarità delle procedure seguite per il saldo di pagamenti ed impegni a valere sul FEASR, ma anche la mancata attuazione di un piano d'azione volto ad ovviare alle carenze nei controlli essenziali sul rispetto dei criteri di riconoscimento –:
   di quali ulteriori elementi disponga in Ministro interrogato rispetto a quanto espresso in premessa, come intenda procedere al fine di evitare l'apertura di un contenzioso comunitario e di incorrere nelle eventuali correzioni finanziarie con perdita di fondi destinati agli agricoltori e se non ritenga di dover intervenire con un piano strutturale volto ad «efficientare» l'operato di Agea, con particolare riferimento alle rendicontazioni dei programmi.
   (4-15960)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, come da notizie stampa, è stata data la notizia della soppressione della postazione di elisoccorso in Cirò (Kr);
   in un articolo a firma Betty Calabretta, pubblicato sul quotidiano Gazzetta del Sud del 3 marzo 2017, a pagina 20, il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, Massimo Scura, ha affermato che la riduzione delle basi dell'elisoccorso da quattro a tre era in realtà «prevista dai programmi operativi 2009-2011 e 2016-2018, e dal Dm 70/2015», in risposta a precedenti dichiarazioni del governatore della Calabria, Mario Oliverio, il quale aveva detto, con riferimento allo specifico atto soppressivo adottato dalla struttura commissariale, che «solo la mancanza di conoscenza della Calabria ed un approccio lontano dalla realtà del contesto territoriale, possono giustificare scelte scellerate come quella della soppressione della postazione dell'elisoccorso a Cirò»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo può considerarsi anche la sovranità sull'orientare le scelte di politica monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   l'accademico Giacinto Auriti sostenne che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto fiscal compact, il patto per il pareggio di bilancio europeo che comporta enormi sacrifici per i cittadini e una riduzione obbligatoria della spesa pubblica;
   con l'approvazione del relativo trattato sul fiscal compact in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è divenuto obbligatorio, ma all'interrogante appare in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini;
   il 9 maggio 2010, fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche «Fondo salva-Stati», finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di un sistema che privilegia la decisione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Mes pari a 125.395.900.000 euro;
   a parere dell'interrogante i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo sulla base di quanto qui articolato in tema di sovranità monetaria, che appare sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, nonché sulla base di quanto rappresentato circa le cause reali del debito pubblico, e altresì di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali determinanti sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione dalle finanze pubbliche;
   la soppressione della postazione del suddetto elisoccorso, sia pure prevista dalle fonti citate dal commissario Scura, è da inserire nel quadro generale della razionalizzazione della spesa pubblica conseguente alle politiche monetarie adottate dallo Stato italiano, che non consentono, peraltro, per l'interrogante la tutela piena del diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione;
   con sentenza n. 275 del 2016 la Corte costituzionale ha stabilito il principio per cui la tutela dei diritti è preminente rispetto al pareggio di bilancio –:
   quali urgenti iniziative di competenza, intenda assumere il Ministro della salute al fine di modificare gli standard qualitativi e quantitativi dell'assistenza sanitaria, anche al fine di promuovere una revisione della decisione relativa alla soppressione di una postazione di elisoccorso nella regione Calabria e per garantire la presenza di quattro delle suddette postazioni. (5-10870)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il servizio regionale ReCUP gestisce le prenotazioni delle prestazioni specialistiche nell'ambito sanitario svolte in regime ambulatoriale erogate dalle 12 ASL e dalle 7 Aziende Ospedaliere, Policlinici Universitari e IRCCS pubblici della Regione Lazio;
   numerosi cittadini lamentano la difficoltà di mettersi in contatto con un operatore; quando ciò avviene vengono richieste informazioni per identificate l'utente e la prescrizione della prestazione da effettuare, prima che venga ricercata l'eventuale disponibilità della prestazione;
   la gestione del servizio Cup nella regione Lazio è affidata alla cooperativa sociale Capodarco;
   a fine settembre 2015 la Capodarco e le principali sigle sindacali firmano un accordo, in cui viene stabilito l'uso dei contratti di solidarietà di tipo difensivo ai sensi della legge n. 863 del 1984 e del decreto-legge n. 148 del 93 per ben 1.880 dipendenti e per un periodo di 24 mesi;
   in data 10 dicembre 2015, con l'atto prot. n. 341058 è stato adottato nei confronti della coop Capodarco il provvedimento interdittivo antimafia scaturito dalle indagini sulle gravi e diffuse infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale, politico istituzionale di Roma;
   in data 17 dicembre 2015 con l'atto prot. 357692, il prefetto di Roma ha emesso il provvedimento che ha decretato la sussistenza dei presupposti previsti dall'articolo 32, comma 10, del decreto-legge 2 giugno 2014, n. 90 relativi alla necessità di assicurare la prosecuzione delle prestazioni previste dal contratto per garantire la continuità delle funzioni e servizi indifferibili per la tutela del diritto fondamentale alla salute e per l'esigenza della salvaguardia dei livelli occupazionali;
   una nota del presidente dell'Anac, indirizzata al prefetto di Roma e concernente il procedimento di verifica dei presupposti per l'applicazione delle misure straordinarie di gestione coop Capodarco chiariva la necessità del provvedimento citato:
   «il servizio di gestione integrale del CUP è finalizzato a garantire il libero accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie e costituisce, pertanto, un servizio pubblico indifferibile ed essenziale per la tutela del diritto fondamentale alla salute, la cui interruzione recherebbe senza dubbio un grave pregiudizio all'utenza»; «l'ulteriore circostanza, rappresentata dalla ASL Roma C, in ordine all'impiego esclusivo di personale dipendente e/o socio della Cooperativa Sociale Capodarco nell'espletamento di tale servizio»; circostanza che ha determinato «una vera e propria posizione di interdipendenza funzionale e professionale dell'Azienda nei confronti della Cooperativa Sociale Capodarco» –:
   se i Ministri interrogati siano conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano assumere, anche tramite il Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, per assicurare l'efficienza del servizio sanitario nella regione Lazio, in relazione non solo al numero, alla professionalità e alla tutela degli operatori impiegati per il servizio Recup ma anche relativamente all'ottimizzazione delle procedure di prenotazione;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di evitare che il diritto alla salute, garantito dalla Costituzione, sia messo a rischio dalla pratica di esternalizzazione alle cooperative e al terzo settore. (5-10877)

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI, MARCON, COSTANTINO e PLACIDO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione nazionale Migep, è una associazione rappresentativa a livello nazionale, degli operatori socio sanitari (O.S.S.) ed è particolarmente attenta alle condizioni lavorative nelle quali sono costretti ad operare gli operatori socio sanitari;
   in molte aziende sanitarie e strutture residenziali all'operatore socio sanitario sono affidate mansioni propriamente infermieristiche, che non sono contemplate nell'accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2001 relativo all'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio sanitario e per la definizione dell'ordinamento didattico dei corsi di formazione;
   il Migep ha segnalato, altresì, casi in cui gli operatori socio sanitari sono costretti a svolgere esami diagnostici (tra questi ECG, esecuzioni emogas, rilevazione dei parametri vitali, effettuazione di unità insulinica sotto cute, parnaparina sotto cute, esami diagnostici cateterismo vescicale ed altro), e questo in mancanza di un'adeguata preparazione professionale, per atti dai quali derivano assunzioni di rischi, anche di tipo penale, nonché casi di demansionamento dell'operatore socio sanitario;
   esemplificativo è quanto segnalato riguardo alla Casa di Cura «Ancelle Francescane del Buon Pastore» Roma, dove risulterebbe essersi proceduto all'ampliamento di competenze relative all'assistenza indiretta (igiene ambientale) riducendo contestualmente i tempi di assistenza diretta al paziente;
   l'ordine di servizio adottato alla Casa di Cura «Ancelle Francescane del Buon Pastore» prevede che l'operatore socio sanitario svolga, tra l'altro i seguenti compiti: spolvero arredi, lavaggio manuale dei pavimenti, pulizia dei sanitari, lavaggio a mano dei pavimenti-lavaggio sedie, tavoli carrozzine, lavaggio tazze e utensili per colazione/pranzo e cena, spolveratura mensile sopra gli armadi, vetri, finestre ed altro;
   secondo l'ordine di servizio della citata casa di cura l'operatore socio sanitario oltre a svolgere le citate funzioni, deve anche espletare l'assistenza diretta al paziente come previsto dall'accordo Stato-regioni del 2001;
   nella RSA citata sono ricoverati 100 ospiti + altri 13 ospiti in RSA 1 (monitorati dalle macchine), e altri 100 ospiti suddivisi in «riabilitazione e lungo degenza» con una dotazione di personale sotto organico –:
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, avviare verifiche nei riguardi della Casa di Cura «Ancelle Francescane del Buon Pastore» Roma;
   se non ritenga di prevedere l'apertura di un tavolo tecnico con le associazioni rappresentative a livello nazionale degli operatori socio sanitari al fine di definire la professione, le competenze e il ruolo dell'operatore socio sanitario. (4-15969)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 8 febbraio 2017 il Ministero dello sviluppo economico ha conferito a Po Valley Operations Pty Ltd il permesso di ricerca idrocarburi denominato «Torre del Moro»;
   il permesso di ricerca in esame riguarda un'area di circa 111 chilometri quadrati nel territorio dei comuni di Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Bertinoro e Meldola, a fronte di un canone annuo di 573 euro;
   il programma dei lavori prevedrebbe: l'acquisto e la rielaborazione, entro 12 mesi dal conferimento del permesso, di circa 50 chilometri di linee sismiche 2D esistenti; l'esecuzione, a valle dell'attività precedente, di una campagna di acquisizione sismica 2D per circa 50 chilometri; la perforazione, entro 48 mesi dal conferimento del permesso, di un pozzo esplorativo di profondità massima circa 4.500 metri; la perforazione, entro 60 mesi dal conferimento del permesso ed in caso di esito positivo del primo, di un secondo pozzo contingente di profondità circa 4.500 metri;
   la popolazione interessata non è stata messa nella condizione di partecipare al processo decisionale e ad esprimere un parere consapevole, manifestando preoccupazione e forte mobilitazione alle prime notizie di stampa tanto da suscitare la richiesta di uno stop al progetto da parte dei sindaci di Bertinoro Gabriele Fratto, di Cesena Paolo Lucchi, di Forlì Davide Drei, di Forlimpopoli Mauro Grandini, di Meldola Gianluca Zattini tramite una lettera inviata all'attenzione del Ministro interrogato;
   i numerosi studi eseguiti negli ultimi decenni, anche dalla regione, hanno consentito di consolidare valori di subsidenza molto elevati, registrati soprattutto nei territori della pianura emiliano-romagnola, ed attribuibili al massiccio prelievo di fluidi dal sottosuolo (acqua e idrocarburi) che è stato protratto in tutto il secondo dopoguerra fino ad oggi; più in generale sulle evidenze dei rischi è sufficiente fare riferimento alla struttura geomorfologica (nonché colturale-agricola) del territorio, del suolo e degli acquiferi sotterranei nonché alla collocazione in un'area a rischio sismico elevato;
   ciò nonostante, né la delibera di giunta regionale n. 725 del 10 giugno 2013, con la quale è stata riconosciuta la compatibilità ambientale del progetto di ricerca, né la delibera di giunta regionale n. 2124 del 21 dicembre 2015, con la quale è stata espressa l'intesa della regione Emilia Romagna per la concessione del permesso di ricerca di idrocarburi, riportano alcuna prescrizione al proponente in ordine ad eventuali danni derivanti da un aggravamento dei fenomeni di subsidenza nel territorio interessato; seppure, a seguito delle critiche di cittadini ed enti locali, gli stessi assessori regionali competenti predichino adesso cautela; va inoltre specificato, per onestà intellettuale e memoria storica, come rappresentanze tecniche di alcuni degli stessi comuni che adesso si dimostrano contrari al permesso, abbiano partecipato a due distinte conferenze dei servizi tenutesi nel corso del 2013, propedeutiche all'emanazione della delibera di Giunta regionale di approvazione dell'istanza delle multinazionale (la 725 del 10 giugno 2013 di cui sopra), non esprimendo particolari riserve –:
   se non ritenga di dover immediatamente adottare ogni iniziativa di competenza per ritirare o revocare il titolo autorizzativo relativo al progetto di ricerca «Torre del Moro», visti i rischi ambientali e sociali e l'evidente opposizione di cittadinanza e amministratori locali. (4-15970)


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Fincantieri si appresta a promuovere l'accorciamento della catena tra Genova, Riva Trigoso e La Spezia, con l'intenzione di portare a La Spezia la testa del polo della difesa navale nazionale;
   il direttore divisioni navali militari di Fincantieri, Angelo Fusco, intervenendo al convegno organizzato a Lerici, ha detto che «sarebbe logicissimo (...) permetterebbe di ottimizzare tutto il processo. Ma ci sono problematiche sulla movimentazione del personale e sul dimensionamento infrastrutturale. Il cantiere integrato ha limitazioni fisiche rispetto alla sua espansione»;
   secondo le affermazioni di Fusco, nel 2019 al Muggiano (La Spezia) lavoreranno 3.500 persone, quando oggi sono 1.500, per cui, senza bocciare del tutto l'idea, afferma che «è impensabile per una questione di spazi»;
   in realtà attualmente il personale al cantiere del Muggiano risulta essere all'interrogante pari a 500 unità e a Riva Trigoso 670 –:
   se il Governo, per quanto di competenza, possa chiarire se i 1.500 lavoratori ad oggi al Muggiano includano anche l'indotto e se gli ulteriori duemila previsti per il 2019 deriveranno da nuove assunzioni, trasferimenti di sede ovvero ditte di appalto. (4-15976)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Santerini e altri n. 1-01435, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scopelliti e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Santerini, Cimbro, Scopelliti, Dellai, Marazziti, Baradello, Capelli, Fitzgerald Nissoli, Fauttilli, Sberna, Piras».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Fedriga n. 7-01207, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 752 del 3 marzo 2017.

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in materia di pesca, l'Italia è fortemente condizionata dai regolamenti dell'Unione europea, basata sui principi della protezione delle risorse, adeguamento degli impianti (strutture), risorse disponibili, organizzazione del mercato e definizione delle relazioni con gli altri Paesi;
    i regolamenti europei lasciano la decisione sul tipo (civile o penale) e sul livello delle sanzioni alle autorità degli Stati membri. Per quanto riguarda la normativa europea, l'obbligo d'imposizione di sanzioni da parte degli Stati membri deriva dal regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 istitutivo di un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto della politica comune della pesca e dal regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio del 29 settembre 2008 che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. I requisiti della legislazione UE hanno lo scopo di garantire sistemi sanzionatori armonizzati e parità di trattamento tra gli operatori europei;
    il decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 ha la finalità di scoraggiare ed eliminare ogni fenomeno di pesca illegale, individuando le misure volte a proteggere e conservare le specie acquatiche vive e gli ecosistemi marini, nonché a garantirne lo sfruttamento sostenibile;
    l'articolo 39, comma 1, lettera a) della legge 28 luglio 2016 n. 154, (cosiddetto «Collegato agricoltura»), ha modificato il suddetto decreto legislativo n. 4 del 2012 in particolare ha operato una depenalizzazione, derubricando ad illecito amministrativo una serie di condotte qualificate precedentemente come illeciti contravvenzionali e introducendo sanzioni amministrative che risultano, in fase applicativa, sproporzionate in relazione alle violazioni commesse;
    il comma 5 dell'articolo 11 del suddetto decreto legislativo n. 4 del 2012 (come modificato dal Collegato agricoltura), prevede che gli operatori del settore ittico siano passibili di sanzioni amministrative, che si applicano per la violazione delle disposizioni relativamente alla cattura, accidentale o accessoria, delle specie ittiche la cui taglia è inferiore alla taglia minima. Le sanzioni sono comminate in proporzione al peso del pescato che raddoppiano nel caso in cui le specie ittiche siano il tonno rosso o il pesce spada, nonché viene prevista la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni;
    quasi sempre gli operatori ittici catturano accidentalmente alcune specie sotto misura e, quindi, la cattura involontaria non dovrebbe comportare sanzioni così ingenti, (si va da un minimo di 1.000 euro a 75.000 euro), in quanto la misura di dette sanzioni potrebbe compromettere la continuazione dell'esercizio dell'attività;
    i Regolamenti CE n. 1005/2008 e 1224/2009 contengono una specifica raccomandazione che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive (cioè privare i responsabili del beneficio economico derivante dalla violazione). In particolare, l'articolo 90 del Regolamento CE 1224/2009 prevede che un certo numero di infrazioni (tra cui la detenzione a bordo e lo sbarco del pescato sotto taglia), sono da considerarsi come infrazioni gravi a seconda della gravità dell'infrazione in questione, che deve essere determinata dalle autorità nazionali, tenendo conto di criteri quali la natura del danno, il suo valore, la situazione economica del trasgressore e la portata dell'infrazione o il suo ripetersi;
    le nuove sanzioni stabilite dalla legge n. 154 del 2016, appaiono non proporzionate, ingiuste ed oltremodo onerose rispetto a quelle che possono essere le violazioni compiute dalla impresa di pesca; in special modo quelle riguardanti la detenzione a bordo di prodotto ittico considerato di taglia inferiore al minimo previsto per legge, in totale spregio al principio di proporzionalità invocato nei suddetti regolamenti comunitari;
    anche una singola sanzione seppur di minore entità tra quelle previste è in grado di causare difficoltà finanziarie per le imprese di pesca che spesso sono di piccole dimensioni, a conduzione familiare, composte da poche persone di equipaggio, e che soprattutto in periodi come quello attuale, si trovano in enorme difficoltà;
    il settore della pesca nel nostro Paese sta attraversando una grave crisi determinata anche dalla concorrenza sleale di competitor extra europei, che non sono sottoposti ai medesimi vincoli europei;
    circa 180 mila tonnellate di pesce all'anno vengono pescate nei mari italiani. In Europa si consumano 23 chili di pesce per persona all'anno (56 chili in Portogallo, 25 in Italia e solo 5 in Ungheria). Le importazioni di pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici sono aumentate in quantità del 3 per cento nei primi undici mesi del 2016 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel 2015 le importazioni sono state di 769 milioni di chili, dei quali ben il 40 per cento viene da Paesi extracomunitari;
    le importazioni da Paesi extracomunitari hanno portato ad un brusco abbassamento delle quotazioni del pesce che portano fuori mercato i nostri pescatori, basti pensare che nel 1988 il prezzo medio della triglia era di 13 mila lire al chilo, oggi non va oltre i 4 euro, mentre i costi della produzione sono aumentati del 200 per cento;
    negli ultimi trent'anni, su 8 mila chilometri di coste, le imbarcazioni sono diminuite a 13 mila imbarcazioni (-35 per cento) con un'età media di 34 anni. Si sono persi 18 mila posti in un settore che oggi dà lavoro a 27 mila persone. Il 74 per cento del prodotto consumato in Italia è importato, anche da paesi come Cile o Filippine – ad esempio il pangasio del Mekong venduto come cernia, il filetto di brosme spacciato per baccalà, l'halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliole;
    è risaputo che il nostro prodotto è fresco, di ottima qualità, tracciato e controllato in ogni fase della commercializzazione, viceversa il prodotto proveniente dall'estero non offre le dovute garanzie;
    mentre i consumi aumentano, i prezzi sono in calo a causa della pressione dei prodotti provenienti da Paesi con costi molto inferiori ai nostri, a questo si aggiunge una legislazione europea, che non tiene conto delle specificità del Mediterraneo e impone norme eccessivamente restrittive e punitive;
    i numerosi e onerosi obblighi imposti alle imprese di pesca e l'applicazione del sistema sanzionatorio, come previsto dal decreto legislativo n. 4 del 2012 (così come modificato dal Collegato agricoltura), rischiano di dare un ulteriore colpo al comparto della pesca e di conseguenza a tutta la filiera del pesce fresco italiano, a tutto vantaggio dell'importazione del prodotto ittico da Paesi terzi,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative urgenti che conducano ad una modifica della legge n. 154 del 2016, al fine di ripensare il sistema delle sanzioni, rendendole, come stabiliscono gli articoli dei regolamenti (CE) 1005/2008 e 1224/2009, maggiormente proporzionate alla gravità dell'infrazione e che tengano anche conto della natura del danno arrecato e del suo valore, così da tutelare maggiormente gli operatori del settore ittico;
   a promuovere, anche in sede europea, l'adozione di misure idonee a rendere i pescatori italiani più competitivi a livello mondiale come, a titolo esemplificativo, provvedimenti di snellimento e semplificazione degli adempimenti burocratici, attesa la seria problematicità in cui oggigiorno versa il settore della pesca e la grande difficoltà per i medesimi pescatori italiani di produrre reddito e reinvestire nella propria attività.
(7-01207)
«Fedriga, Molteni, Pagano, Attaguile, Guidesi».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Oliaro n. 5-10842 del 15 marzo 2017.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-12929 del 21 aprile 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10876;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-12951 del 21 aprile 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10875;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-13825 del 15 luglio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10874;
   interrogazione a risposta scritta Nesci e altri n. 4-14004 del 2 agosto 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10873;
   interrogazione a risposta scritta Nesci e Dieni n. 4-14284 del 23 settembre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10872;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-14722 del 4 novembre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10871;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-15914 del 14 marzo 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10870.