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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 22 febbraio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema penitenziario italiano registra da anni un considerevole sovraffollamento che è imputabile a diversi ordini di ragioni: l'utilizzo della misura della custodia cautelare, la presenza di presunti innocenti in attesa di giudizio, le difficoltà di accesso a misure alternative, lo scarso ricorso ai domiciliari, le troppe persone in carcere per fatti di lieve entità con condanne che sono inferiori all'anno;
    nel luglio del 2009 l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per trattamenti inumani e degradanti in relazione al sovraffollamento delle carceri; i detenuti, allora, superavano le 63.600 unità;
    all'inizio del 2010, il Governo pro tempore ha dichiarato lo stato di emergenza a causa dell'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari, visto che i reclusi avevano raggiunto il numero di 65.000 e hanno sfiorato le 69.000 presenze;
    l'Italia ha anche predisposto un decreto per introdurre la possibilità di scontare l'ultimo anno di pena nella propria abitazione (elevato poi a un anno e mezzo da un successivo decreto);
    nel 2013, 4.000 detenuti hanno presentato ricorso alla Corte di Strasburgo che condannò nuovamente l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea, usando lo strumento inconsueto della sentenza pilota;
    nello stesso anno due decreti-legge hanno limitato il ricorso alla custodia cautelare, ampliato l'accesso alle misure alternative alla detenzione, aumentato la liberazione anticipata per buona condotta, introdotto meccanismi di protezione dei diritti dei detenuti;
    in Italia la situazione carceraria nonostante la diminuzione del numero dei reclusi è ancora lontana dagli standard europei;
    secondo quanto rilevato dal Ministero della giustizia al 31 gennaio 2017 sarebbero detenute 55.381 persone a fronte di una capienza degli istituti di pena di 50.174 posti;
    la presenza di stranieri è pari a 18.825 unità di cui 17.955 uomini e 870 donne; di queste ultime 22 vivrebbero in regime di detenzione con i propri figli (per un totale di 25 minori);
    la presenza di stranieri nei nostri istituti di pena rappresenta quasi un terzo del totale;
    gli stranieri condannati in via definitiva sarebbero 10.916 ai quali ne vanno aggiunti 4.074 in attesa di giudizio e 3.765 con condanna non definitiva;
    l'Italia ha ratificato nel 1988 la Convenzione del Consiglio d'Europa sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983;
    la Convenzione è lo strumento che favorisce il reinserimento sociale delle persone condannate e permette agli stranieri (in stato di detenzione per reato penale) di terminare l'esecuzione della pena nel Paese di origine;
    questa misura, che per essere applicata necessita del consenso dell'interessato, a differenza dell'estradizione e degli altri strumenti di cooperazione giudiziaria, ha carattere umanitario ed ha la finalità di avvicinare il detenuto alla famiglia di origine, e superare, quindi, le difficoltà linguistiche, religiose e culturali che la carcerazione in un Paese straniero porta con sé;
    la Convenzione è estesa a 65 Paesi (quelli membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco) ed è stata ratificata anche da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea del sud, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, USA, Tonga, Trinidad e Tobago e Venezuela;
    secondo la Convenzione la richiesta di trasferimento può essere fatta dallo Stato di condanna, dallo Stato di esecuzione o dal condannato, se vi è il consenso di tutte le parti, a condizione che l'esecuzione della condanna non si trasformi in sanzione pecuniaria;
    l'Italia ha accordi che consentono il rimpatrio dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana, Egitto e Brasile. A questi Paesi va aggiunto il Regno del Marocco con il quale nel 2014 è stata siglata una Convenzione ratificata dal Parlamento il 28 luglio 2016;
    nel 2010 l'Italia ha recepito la decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione in Italia;
    i dati circa il costo giornaliero di un detenuto nel nostro Paese oscillano fra 115 e 150 euro, una cifra che moltiplicata per una media di 30 giorni mese e per 12 mesi ha una forbice che va dai 41.400 euro ai 54.000 euro per anno per persona;
    gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della giustizia risalgono al 2013 e parlano di un costo giornaliero di 124,96 euro;
    i dati circa i rimpatri, pur lievemente in crescita negli ultimi anni, restano a livelli non rilevabili statisticamente tanto per l'ISTAT che per il Ministero della giustizia;
    gli stranieri nel nostro Paese commettono vari tipi di reato, i più numerosi sono quelli contro il patrimonio, per detenzione e spaccio di stupefacenti, contro la persona e la pubblica amministrazione;

impegna il Governo:

1) a promuovere all'interno degli istituti penitenziari italiani una campagna di informazione che consenta agli stranieri in stato di reclusione di conoscere il loro diritto a fare richiesta di rimpatrio per l'espiazione della pena, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo e dalla decisione quadro europea 2008/909/GAI che permette di terminare l'esecuzione della pena nel Paese di origine;
2) a promuovere accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei detenuti stranieri attualmente reclusi nelle carceri italiane, al fine di incrementare il numero dei rimpatri;
3) a fornire dati precisi circa il numero di rimpatri effettuati negli ultimi anni e ad avviare un'indagine ministeriale che esamini le ragioni dello scarso interesse che questa misura ha presso i detenuti stranieri oggi reclusi in Italia;
4) a stimare i costi della popolazione carceraria di nazionalità straniera detenuta in Italia, tenuto conto della tipologia di reato commesso e del numero di anni di reclusione da scontare;
5) ad assumere iniziative nelle competenti sedi internazionali affinché sia ampliato il numero dei Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo;
6) a dialogare con i Governi di Albania, Algeria, Romania, Bosnia, Marocco, Egitto, Tunisia, Nigeria, per citare solo alcuni dei Paesi di maggior provenienza degli stranieri reclusi in Italia, per assicurare a queste persone, nel caso di trasferimento nel Paese di origine, il rispetto dei diritti umani e condizioni carcerarie dignitose, premesse indispensabili per rendere la misura del rimpatrio interessante, visto che sia la Convenzione di Strasburgo sia la decisione quadro europea presuppongono il consenso del detenuto, non trattandosi di una misura coercitiva.
(1-01518) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Parisi, D'Alessandro, Rabino, Sottanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    circa il 35 per cento dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri, con punte, nelle case di reclusione del Nord anche oltre il 50 per cento;
    al 31 gennaio 2017, negli istituti penitenziari italiani, vi sono 55.381 detenuti, di cui 18.825 stranieri, (che gravano sulle casse dello Stato per oltre 850 milioni di euro l'anno; le risorse maggiori vengono spese per marocchini, romeni, albanesi e tunisini), di questi circa 12.000 sono islamici e 7.500 sono praticanti e risulterebbe che di questi ultimi circa 375 sono attenzionati, monitorati o segnalati, e diversi risulterebbero radicalizzati e particolarmente pericolosi;
    la convenzione del Consiglio d'Europa, del 21 marzo 1983, ratificata dagli Stati membri dell'Unione europea, e dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334, sul trasferimento delle persone condannate, prevede che il trasferimento per l'esecuzione della parte residua della pena è previsto solo verso lo Stato di cittadinanza della persona condannata e solo previo consenso della medesima e degli Stati interessati; il protocollo addizionale di tale convenzione, del 18 dicembre 1997, che prevede, a determinate condizioni, il trasferimento dell'interessato indipendentemente dal suo consenso, non è stato ratificato da tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Entrambi gli strumenti non contengono alcun obbligo di massima di accettare le persone condannate ai fini dell'esecuzione di una pena o una misura;
    la decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio d'Europa del 27 novembre 2008 relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea recepita nel diritto interno con decreto legislativo del 7 settembre 2010, n. 161, ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi dell'Unione europea, ma non richiede il consenso della persona;
    occorre, in questa prospettiva, accogliere favorevolmente il programma de L'Aia sul rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea (Guce, C 53 del 3 marzo 2005, pagina 1) che prevede che gli Stati membri completino il programma di misure, specie per quanto attiene all'esecuzione delle condanne definitive a una pena detentiva;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle carceri italiane, con percentuali rilevanti, secondo i dati del Ministero della giustizia al 31 gennaio 2017, sono quella marocchina (17,8 per cento) con 3.359 detenuti, rumena (14,5 per cento) con 2.725 detenuti, albanese (13,2 per cento) con 2.486 detenuti e tunisina (10,8 per cento) con 2.041 detenuti;
    occorre constatare che vi sono alcuni accordi già stipulati ma nei fatti non applicati, tra cui quelli stipulati dall'allora Ministro della giustizia Roberto Castelli nel 2002 con l'Albania, oppure l'accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatta a Roma il 13 settembre 2003, e ratificata con la legge 30 dicembre 2005, n. 281;
    l'esecuzione della pena nello Stato di origine dovrebbe aumentare la possibilità di reinserimento sociale delle persone condannate, poiché vi sono elementi da tenere in considerazione quali, per esempio, l'attaccamento della persona allo Stato di origine e il fatto che questa consideri tale Stato il luogo in cui mantiene legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici e di altro tipo,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dare attuazione agli accordi bilaterali o multilaterali in essere e ad assicurare un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, e ciò anche al fine di evitare eventuali radicalizzazioni;
2) a promuovere ogni iniziativa atta a favorire, in modo efficace, l'utilizzo delle procedure disciplinate dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di ridurre la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
3) a relazionare al Parlamento con cadenza annuale sullo stato di attuazione del trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi di origine che hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo o che hanno concluso accordi bilaterali con l'Italia.
(1-01519) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi della giustizia e l'inadeguatezza del sistema carcerario rappresentano due delle più gravi questioni sociali che la nostra Nazione si trova ad affrontare da anni, posto che colpiscono direttamente milioni di persone, vittime della lentezza dei processi, di condizioni di detenzione intollerabili, e di reati che restano impuniti, con ciò minando alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto;
    a questi elementi si sono recentemente aggiunte le esigenze di intensificare lo sforzo a tutela della cittadinanza a fronte dei rischi derivanti dai flussi migratori ormai fuori controllo e dalle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    l'ultimo impietoso rapporto «Space» del Consiglio d'Europa, traccia un quadro disastroso della condizione delle carceri italiane, disegnando una realtà abbondantemente denunciata ma immobile, che vede purtroppo l'Italia «maglia nera» per numero di carcerati rispetto alla capacità delle prigioni. Tale rapporto è confermato dalla fotografia scattata dallo stesso Ministero dell'interno, secondo cui al 31 gennaio 2017 i detenuti negli istituti di pena italiani erano 55.381, di cui 18.825 stranieri;
    questi dati dimostrano il completo fallimento delle contraddittorie politiche messe in atto dai Governi succedutisi in questi ultimi anni, tutte improntate al «perdonismo» e dirette unicamente a svuotare le carceri senza eseguire interventi strutturali che possano risolvere l'emergenza carceraria sul lungo periodo;
    basti pensare che in meno di un triennio sono stati approvati ben cinque provvedimenti «svuota carceri», unica soluzione fin qui adottata dai diversi Governi per combattere i cronici problemi del sovraffollamento carcerario, e che di fatto hanno segnato la resa dello Stato di fronte alla necessità di riformare in modo organico il sistema della giustizia, concentrando il proprio interesse esclusivamente su modalità per far uscire dal carcere soggetti già condannati e in parte anche recidivi, a testimonianza della totale incapacità di gestire in modo serio ed attraverso riforme organiche le problematiche dell'universo carcerario;
    il problema del sovraffollamento carcerario non è legato solo al rischio di assumere dimensioni tali da poter creare, come ha creato, problemi di ordine pubblico, ma, soprattutto, al venire meno della funzione rieducativa e riabilitativa della pena, posto che il rapporto numerico tra detenuti, educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario;
    gli agenti di polizia penitenziaria sono costretti a lavorare in condizioni disumane, sono mal pagati e sottoposti a turni massacranti e operano in assenza dei requisiti minimi di sicurezza, a causa della cronica carenza d'organico, che continua ad aggravarsi in seguito ai blocchi delle assunzioni nella pubblica amministrazione;
    il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia è stato riconosciuto dalla stessa Corte europea dei diritti umani, secondo cui «il sovraffollamento carcerario in Italia ha assunto le dimensioni di un fenomeno strutturale. È riconosciuto il carattere sistemico del sovraffollamento carcerario derivante dal malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano»;
    uno strumento fondamentale per un concreto contrasto al sovraffollamento carcerario, finora mai preso in seria considerazione dai Governi, è rappresentato dal trasferimento verso il Paese di origine dei detenuti stranieri in espiazione pena;
    tale istituto, peraltro, permetterebbe di coniugare l'obiettivo di ridurre la presenza di detenuti stranieri nelle carceri italiane e la speranza di migliorare le prospettive di reinserimento del condannato una volta terminata l'espiazione della pena nel proprio Paese di origine;
    la materia è regolata dalla Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, e ratificata dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334. La Convenzione ha infatti lo scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine;
    in particolare, la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere domandato sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia subordinato al consenso degli Stati interessati;
    allo stesso modo la convenzione individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno stilato il Trattato, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni hanno favorito l'internazionalizzazione del crimine;
    il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può certamente contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle nostre carceri, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati aggiornati al 31 gennaio 2017 del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (17,8 per cento) rumena (14,5 per cento), albanese (13,2 per cento) e tunisina (10,8 per cento). Romania e Albania hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo e, quindi, il trasferimento dei condannati è già oggi possibile verso questi paesi. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ma soprattutto si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere il medesimo risultato;
    una politica di accordi e trasferimenti con quei Paesi i cui cittadini registrano un elevato tasso di presenza nelle carceri italiane può rappresentare inoltre un valido strumento di selezione dell'immigrazione meritevole di accoglienza. Tale politica avrebbe il pregio di introdurre un fattore di equità in quella che finora si è dimostrata solo una politica di accoglienza indiscriminata che, ad oggi, ha generato soprattutto irregolarità e illegalità;
    né il Governo né i Ministeri competenti, però, sembrano voler incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi in sede internazionale per stipulare accordi bilaterali volti a consentire il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nei Paesi di origine per l'esecuzione della condanna, con particolare riferimento a quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
2) ad adoperarsi, presso le sedi competenti internazionali, per favorire la ratifica della Convenzione di Strasburgo da parte di tutti quei Paesi che non vi abbiano ancora provveduto;
3) ad attivarsi per garantire che l'esecuzione della pena comminata in Italia venga interamente espiata nel Paese di origine del detenuto;
4) a relazionare annualmente al Parlamento in merito ai dati concernenti all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01520) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    nel 2016 si sono svolti i concorsi pubblici di diverse «classi concorso»;
    in considerazione dell'elevata selettività che ha caratterizzato la procedura concorsuale suindicata, si è determinato a livello nazionale un numero di vincitori inferiore rispetto ai posti complessivi messi a bando;
    la percentuale di idonei, infatti, per alcune classi di concorso è sufficiente, mentre per altre risulta deficitaria, poiché non è possibile limitare arbitrariamente nello stesso modo il numero di idonei in classi di concorso con caratteristiche molto diverse fra loro;
    con questa norma risultano particolarmente penalizzati gli ambiti disciplinari orizzontali e il sostegno;
    tale situazione va contro gli stessi propositi della legge n. 107 del 2015 che al comma 114 dell'articolo 1 recita: «Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ferma restando la procedura autorizzatoria, bandisce, entro il 1o dicembre 2015, un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali ai sensi dell'articolo 400 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 113 del presente articolo, per la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio. (...)»;
    tuttavia, va ricordato che detti docenti sono già stati selezionati ed abilitati dallo Stato; lo Stato stesso ha chiesto loro di sottoporsi ad un'ulteriore selezione per verificare (nuovamente) la loro idoneità all'insegnamento e, nonostante abbiano superato tutte le prove a cui sono stati sottoposti, rischiano di restare fuori dal mondo della scuola anche a causa della norma introdotta dalla legge n. 107 del 2015 che vieterà loro, decorso il limite dei 36 mesi di servizio, la possibilità di accettare incarichi di supplenza su posti vacanti e disponibili;
    inoltre, a sensi della legge n. 68 del 1999, articolo 16, comma 2 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, articolo 16 comma 2, i docenti disabili o appartenenti alle «categorie protette» che hanno partecipato al concorso pubblico per docenti 2016, per il solo fatto di aver conseguito l'idoneità superandone tutte le prove concorsuali, devono essere inseriti in graduatoria di merito tra vincitori a prescindere dal punteggio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere, per ciascuna classe di concorso, la pubblicazione da parte degli uffici scolastici regionali di una graduatoria di merito completa contenente i nominativi di tutti i candidati che hanno superato le prove ed i rispettivi punteggi conseguiti, nel rispetto del principio di trasparenza che dovrebbe caratterizzare ogni concorso pubblico;
   considerato che allo stato attuale il limite del 10 per cento e la mancata possibilità di scorrimento delle graduatorie di merito determineranno, in caso di presenza di un candidato in più graduatorie di merito o in caso di rinuncia per qualsiasi motivo, la perdita di innumerevoli posti messi a bando, ad assumere iniziative per abolire il limite al numero di idonei fissato nel 10 per cento dei posti messi a bando dalla legge n. 107 del 2015, al fine di costituire una graduatoria di merito comprensiva di tutti coloro che hanno superato le prove concorsuali, e che per questo possono definirsi «idonei», per la copertura dei posti che si renderanno disponibili nel periodo di validità delle graduatorie di merito;
   ad assumere iniziative affinché, nel caso in cui il semplice scorrimento delle graduatorie non sia sufficiente alla copertura dei posti disponibili, venga data la possibilità di una mobilità nazionale (facoltativa) e, in subordine, la possibilità di coprire posti in classi di concorso affini o sul sostegno, nel caso in cui il candidato risulti in possesso di abilitazione specifica;
   ad assumere iniziative per inserire, ai sensi della legge n. 68 del 1999, articolo 16, comma 2, e del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, articolo 16, comma 2, in graduatoria di merito tra i vincitori e a prescindere dal punteggio conseguito, i docenti disabili o appartenenti alle categorie protette che hanno superato tutte le prove del concorso pubblico del 2016 al fine di permettere loro di coprire i posti che si renderanno disponibili nel periodo di validità delle graduatorie di merito, nel rispetto dell'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 e fino al limite massimo del 50 per cento annualmente assegnabili alle procedure concorsuali (circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 248 Prot D1/9889 – novembre 2000 – indicazioni applicative in relazione alla legge n. 68 del 1999).
(7-01193) «Civati, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la materia delle bonifiche è attualmente contenuta nel titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. A differenza di quanto previsto per i rifiuti e per i rifiuti di imballaggio, che rappresentano i temi di maggiore rilievo contenuti nella richiamata parte quarta, la materia delle bonifiche non è una disciplina derivata dalla normativa europea, sebbene le procedure di bonifica, di messa in sicurezza e di ripristino ambientale dei siti contaminati siano la sostanziale applicazione dei princìpi cardine ambientali contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con particolare riferimento al principio «chi inquina paga»;
    l'assenza di una disciplina immediatamente applicabile in ciascuno Stato membro dell'Unione europea in relazione agli interventi per ridurre o eliminare una fonte di contaminazione per restituire un sito alla fruibilità esistente prima della contaminazione o a un altro uso ha, dunque, condotto il legislatore a introdurre una disciplina nazionale sul tema fin dal tardivo recepimento della disciplina europea in Italia in tema di rifiuti e di rifiuti pericolosi;
    in Italia, le superfici, terrestri e marine, individuate negli ultimi 15 anni come siti contaminati, sono davvero rilevanti;
    i risultati ottenuti fino ad oggi per il raggiungimento della bonifica di queste aree, invece, non sono purtroppo altrettanto significativi. Secondo il programma nazionale di bonifica curato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il totale delle aree perimetrate come siti di interesse nazionale (Sin) è arrivato, negli anni, a circa 180 mila ettari di superficie, scesi oggi a 100 mila ettari, solo grazie alla derubricazione del 2016 di 18 siti da nazionali a regionali (i Sin sono quindi passati da 57 a 39);
    solo in 11 Sin è stato presentato il 100 per cento dei piani di caratterizzazione previsti. Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 Sin è stato approvato il 100 per cento dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde, approvati con decreto, su migliaia di elaborati presentati;
    i problemi più gravi insiti alle procedure di bonifica possono dunque essere ricondotti ad almeno tre ordini di fattori in ordine logico: individuazione del responsabile, solvibilità di quest'ultimo e lento esercizio del potere sostitutivo degli enti locali in caso di mancato accertamento del responsabile. La mancanza di fondi dell'ente sostituito per procedere alle attività di bonifica e la mancata partecipazione delle popolazioni residenti nei luoghi contaminati, o in prossimità di essi, e dunque oggetto di bonifica, hanno contribuito, nel tempo, a rendere insoddisfacente la situazione delle bonifiche in Italia;
    sebbene le motivazioni di tale ritardo siano complesse ed eterogenee, la legislazione di settore non risulta adeguata o comunque soddisfacente, segnatamente su specifici settori a partire dagli effetti applicativi discorsivi della analisi di rischio sito specifica di cui al primo comma, lettera s) dell'articolo 240 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 fino ad arrivare alla mancata adozione di una specifica disciplina sugli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, sulle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento;
    su tale ultimo profilo, come ampiamente noto, va detto che la qualità del suolo, a fortiori a valle di interventi di bonifica, in caso di terreni prima contaminati, è in grado di assicurare anche la qualità dei prodotti agroalimentari per i consumatori;
    riguardo alle bonifiche delle aree agricole, giova ricordare che non risulta a presentatori del presente atto di indirizzo l'adozione del regolamento di cui all'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali con il risultato che, ad oggi, permane il problema di individuare quali siano i limiti, per i contaminanti nei suoli, utilizzabili come valori di riferimento, nonché quali criteri adottare per la valutazione del rischio a cui la popolazione è esposta mediante il consumo di alimenti, prioritariamente di origine vegetale e, in secondo luogo, di origine animale, provenienti dalle aree potenzialmente contaminate;
    a tale riguardo sarebbe, dunque opportuno che il regolamento di cui all'articolo 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006, quale fondamentale strumento per la tutela dell'ambiente e dei consumatori fosse adottato senza riguardo, comunque dopo aver sentito la conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e dopo aver previsto che tale bozza di regolamento sia sottoposto a una fase pubblica di consultazione per ricevere da enti, comitati e cittadini osservazioni a cui il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello delle politiche agricole alimentari e forestali siano obbligati a replicare o delle quali debbano tener conto;
    sarebbe opportuno, altresì, che fintanto che il regolamento non fosse adottato alle aree agricole, che si applicassero gli obiettivi di qualità previsti per l'uso a verde residenziale;
    in tema di analisi di rischio in base all'articolo 240, comma 1, lettera s), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è prevista «l'analisi di rischio sanitario e ambientale sito», che è un'analisi specifica degli effetti sulla salute umana derivanti dall'esposizione prolungata all'azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali contaminate a cui si procede laddove siano superati i livelli di contaminazione delle matrici ambientali (CSC), previa caratterizzazione del sito; sarebbe opportuno procedere alla modifica di tale istituto in favore della sostanziale reintroduzione del sistema tabellare, prevedendo, tuttavia, che sia espletata un'analisi di rischio con calcolo diretto del rischio da svolgersi sulle eventuali contaminazioni residue;
    tale modifica è motivata dalla discrezionalità applicativa di un'analisi di rischio sito specifica che, nel corso dei dieci anni di applicazione, non ha portato reali vantaggi dal punto di vista della celerità di svolgimento dei procedimenti di bonifica, introducendo, invece, considerevoli difformità di trattamento dei diversi siti contaminati. Si sono verificate, infatti, situazioni paradossali nelle quali, per un sito sottoposto a verifica, emergono criticità che non sono evidenziate in siti con le medesime caratteristiche, ma non soggetti a procedimenti d'indagine; atteso che il ricorso all'analisi di rischio resta, comunque, sempre interpretato come deroga ai valori tabellari, alla luce delle considerazioni sopra esposte, si ritiene che la reintroduzione dell'analisi di rischio con calcolo diretto del rischio residuo sia maggiormente cautelativa e garantisca una semplificazione procedimentale;
    sarebbe opportuno, infine, aggiornare periodicamente i valori di concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui all'articolo 240, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
    atteso che il comma 1 dell'articolo 242 del citato decreto dispone che, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai soggetti competenti; l'articolo prevede inoltre che tale procedura debba essere osservata anche all'atto di individuazione non di qualunque contaminazione storica, ma solo in caso di contaminazioni storiche «... che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione»;
    sarebbe opportuno prevedere la caratterizzazione relativamente alle contaminazioni storiche che, nella versione attuale del suddetto decreto, come esposto, sfuggono alla notifica, se non in caso di pericolo di aggravamento della contaminazione stessa;
    ai sensi dell'articolo 242, comma 13, compete alla provincia rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica. Sarebbe opportuno secondo i presentatori del presente atto modificare tale previsione, attribuendo all'Arpa tale compito in quanto le province predispongono la certificazione sulla base della relazione dell'Arpa e si limitano ad effettuare un mero lavoro cartaceo che si traduce in una fase di allungamento dei tempi;
    sarebbe, inoltre, opportuno prevedere che i piani regionali per le bonifiche in aree caratterizzate da inquinamento diffuso siano effettivamente approvati in tempi certi, con eventuale esercizio di potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia delle regioni,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative di competenza affinché sia emanato il regolamento di cui al comma 1 dell'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e a seguito di una fase pubblica per le osservazioni, contestualmente prevedendo, in virtù del principio di precauzione, che nelle more dell'emanazione del predetto regolamento, alle aree agricole siano applicati gli obiettivi di qualità previsti per l'uso a verde residenziale;
   ad assumere le necessarie iniziative normative affinché, al superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), siano effettuati gli interventi di bonifica e, qualora sussistano ancora contaminazioni residue che superano gli anzidetti valori, sia disposta un'analisi di rischio di carattere oggettivo, intesa quale procedura volta a stabilire il rischio, per la salute pubblica e per l'ambiente, causato dalle contaminazioni residue presenti in un sito, condotta secondo un modello concettuale di riferimento e mediante l'adozione di metodiche riconosciute a livello internazionale;
   ad assumere le opportune iniziative normative affinché sia modificata la definizione di «bonifica» di un sito contaminato, intendendo quest'ultima come l'insieme degli interventi atti a eliminare o a isolare le fonti di inquinamento ovvero a ridurre le sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee a un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglie di contaminazioni (CSC) – e non alle concentrazioni soglia di rischio (CSR), così come ora previsto dalla legislazione vigente –, nonché ad assumere le necessarie iniziative normative per introdurre, conseguentemente, una nuova definizione di «sito non contaminato» quale sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrici ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazioni soglie di contaminazioni o se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione residua verificati a seguito dell'analisi di rischio adottata con criteri oggettivi;
   ad assumere iniziative per prevedere che i valori delle concentrazioni soglie di contaminazioni di cui all'allegato V richiamato nella parte quarta, titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006, siano sottoposti a verifiche periodiche in relazione all'evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche o in esecuzione di disposizioni adottate in materia in sede di Unione europea, contestualmente prevedendo che tali revisioni, che possono avvenire anche su segnalazione di comitati, associazioni scientifiche, associazioni dei consumatori e associazioni di protezione ambientale, siano comunque effettuate almeno ogni cinque anni e siano accompagnate da una relazione sull'evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche, delle risultanze dei controlli e dei monitoraggi disponibili predisposta dall'Istituto superiore di sanità e dall'Ispra;
   ad assumere le necessarie iniziative normative affinché la procedura di verifica ed indagine di cui all'articolo 242, comma 1, secondo periodo, del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 si attivi all'atto di individuazione di contaminazioni storiche, indipendentemente al rischio di aggravamento di esse, e siano adottate le conseguenti azioni, chiarendo al riguardo che si tratta di misure di «contenimento» e non, all'evidenza, di prevenzione, come riportato nel primo periodo, essendosi la contaminazione già verificata;
   ad assumere iniziative normative volte a prevedere che il completamento degli interventi di bonifica di cui all'articolo 248, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 sia accertato dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente competente;
   ad assumere le necessarie iniziative normative affinché i piani di cui all'articolo 239, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 contenenti interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso:
    a) siano adottati entro tempi certi nel rispetto delle linee guida, dei criteri generali e degli standard stabiliti dall'articolo 195, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 152 del 2006;
    b) di tali piani sia data adeguata e tempestiva notizia mediante avviso pubblicato nel sito internet istituzionali degli enti interessati, nel quale, altresì, siano rese disponibili informazioni relative ai termini e alle modalità di partecipazione del pubblico al procedimento e alle motivazioni sulle quali si sono fondate le decisioni assunte, anche in relazione alle eventuali osservazioni scritte presentate;
    c) ai suddetti piani, si applichi necessariamente la procedura di cui alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 in materia di valutazione ambientale strategica (VAS);
    d) in caso di inerzia della regione nel predispone tali piani, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa diffida ad adempiere in tempi congrui, adotti, in via sostitutiva, i provvedimenti necessari all'elaborazione e all'approvazione del piano per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso.
(7-01192) «De Rosa, Busto, Daga, Micillo, Mannino, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la Divertor Tokamak Test (DTT) facility è un'iniziativa di ricerca finalizzata alla progettazione e realizzazione di una infrastruttura destinata a risolvere il problema più critico verso la realizzazione dell'energia da fusione: il controllo dello smaltimento del calore generato. Tale infrastruttura è essenziale per la realizzazione di DEMO (Demonstration Fusion Power Reactor) così come testimoniato dalla Road Map europea sulla fusione. Questo perché la DTT è in grado di riprodurre, seppur in scala ridotta, i parametri operativi di un reattore;
    scopo principale del progetto del reattore DTT è dimostrare la possibilità di generare energia elettrica tramite la reazione di fusione nucleare a costi competitivi;
    il progetto DTT, sostenuto dalle più importanti istituzioni universitarie e di ricerca, dalle industrie italiane e da prestigiosi laboratori europei, è pienamente inserito nel programma europeo approvato dall'Euratom e rappresenta un importante volano per attivare, attorno ad una realizzazione di alto valore scientifico e tecnologico, formidabili sinergie in campo tecnologico, economico e sociale; si tratta di un progetto cantierabile in tempi brevissimi e il suo finanziamento non prevede aggravi sul bilancio dello Stato;
    la DTT è da considerarsi, per la scienza, la tecnologia e l'industria italiana, un progetto di alto valore strategico nel percorso virtuoso intrapreso che ha già permesso di ottenere grandi successi nella realizzazione di ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor la cui costruzione è iniziata nel 2007 nel sito europeo di Cadarache nel sud della Francia), visto che ad oggi l'industria italiana ho ottenuto contratti per quasi un miliardo di euro, pari a oltre il 55 per cento di quanto assegnato, ed essenziale per non disperdere, per l'ennesima volta in Italia, un prezioso patrimonio di know-how;
    secondo quanto comunicato nell'audizione del presidente dell'Enea-Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, professore Federico Testa, tenutasi presso la X Commissione il 1o febbraio 2017, l'investimento complessivo risulterebbe essere di circa 500 milioni di euro, con l'attesa di un altissimo ritorno in termini sociali, economici ed industriali in quanto la ricaduta occupazionale annuale prevista è, per la fase di costruzione, che durerà 7 anni, di 620 persone (120 diretti, 150 indotto, 350 indotto terziario), per la fase operativa di 1250 persone ogni anno (250 diretti, 250 indotto, 750 indotto terziario – durata prevista 25 anni), a cui si aggiungono per la sperimentazione altre 150 persone impiegate per almeno 25 anni;
    sempre in termini di ritorno atteso, per quanto riguarda il fattore di moltiplicazione dell'investimento, è previsto un livello 4 ossia circa 2 miliardi di euro a fronte di 500 milioni investiti;
    le fonti di finanziamento previste sono diversificate e coinvolgono in particolare: il « piano Juncker» attraverso la Banca europea degli investimenti o tramite il piano INNOFIN per circa 250 milioni di euro, alcuni soggetti privati nazionali ed internazionali per 60 milioni di euro, fondi regionali per circa 35 milioni di euro, fondi EUROfusion per circa 60 milioni di euro nell'ambito di Horizon 2020, la partecipazione dell'Agenzia per la coesione territoriale e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) e del Ministero dello sviluppo economico (MiSE);
    la DTT, per contro, è una infrastruttura di ricerca inserita in un programma europeo che al pari di tutte le infrastrutture del genere realizzate finora (JET, ASDEX, RFX, Tore Supra, FTU, FT e altro), sarà finanziata da una organizzazione europea, l'Euratom. Per avere riconosciuta la sua eccellenza scientifica in un contesto internazionale non ha bisogno di essere inserita in programmi Eric o Esfri cosa che, tra l'altro, non garantirebbe il necessario flusso finanziario per il rispetto dei tempi stabiliti. Tale schema di finanziamento garantirebbe comunque tutti i vantaggi di governance scientifica e fiscali;
    nel campo degli studi e delle ricerche condotti in Italia sulla fusione termonucleare controllata, il Ministero dello sviluppo economico negli ultimi anni ha già finanziato il progetto « Broader Approach» che consiste nella progettazione e nella costruzione di componenti ad alto contenuto tecnologico, per un importo di 90 milioni di euro, somma per la quale il Ministero dello sviluppo economico ha garantito e completato la parte di finanziamento di propria spettanza per un importo di 50 milioni di euro;
    esiste il rischio concreto che l'intero progetto si fermi se non vengono prese con la dovuta urgenza le decisioni dell'Italia relative alla sua partecipazione, in quanto i soggetti principali coinvolti nel finanziamento (Bei ed EUROfusion) sono in attesa di avere la conferma dell'impegno del Governo entro il prossimo marzo, in mancanza del quale è reale il rischio che vengano identificati e quindi finanziati altri progetti in altre nazioni,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per favorire la realizzazione in Italia di tale infrastruttura di ricerca marcatamente tecnologica, rendendo conseguentemente disponibili le limitate risorse nazionali necessarie per l'avvio e l'implementazione del progetto DTT, in particolare valutando l'utilizzo di quelle esistenti nell'ambito dell'accordo «Broader Approach».
(7-01195) «Bargero, Benamati, Arlotti, Basso, Becattini, Camani, Cani, Ginefra, Iacono, Impegno, Martella, Montroni, Peluffo, Senaldi, Taranto, Tentori, Vico».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'Isolante K-Flex S.p.A. è un'azienda italiana specializzata nella produzione di isolanti elastomerici per isolamento termico ed acustico. I prodotti e le soluzioni per l'isolamento K-Flex trovano applicazione nei settori più diversi: dall'edilizia ai trasporti, dal petrolchimico alle energie innovabili. L'azienda è leader di mercato a livello mondiale grazie alla qualità e all'innovazione tecnologica dei suoi prodotti ed è presente con circa 2.000 addetti in 60 Paesi ed 11 impianti produttivi localizzati in Italia a Roncello (MB), USA, Polonia, Russia, Malesia, Dubai, Cina (2 impianti), India, Regno Unito e Francia;
    in data 30 gennaio 2017, sul sito « ilgiorno.it», veniva pubblicata la notizia che dal 24 gennaio 2017, i dipendenti della K-Flex sono in presidio permanente davanti ai cancelli dell'azienda per impedire l'ingresso dei camion e l'uscita di merce e macchinari perché temono che la proprietà voglia portare la produzione nello stabilimento in Polonia. Tale scelta metterebbe a rischio circa 250 posti di lavoro;
    nell'articolo veniva specificato che, nell'ultimo incontro in Assolombarda, il fondatore e presidente del gruppo multinazionale, Amedeo Spinelli, ha assicurato che non esiste la volontà di licenziare e di abbandonare la Brianza, non convincendo però i propri dipendenti che hanno anzi affermato che l'azienda ha dichiarato che entro qualche mese lascerà lo stabilimento, delocalizzando in Polonia;
   tale voce ha trovato conferma direttamente nelle parole dell'amministratore delegato di K-Flex Polonia, Bartlomiej Gröbner. In data 13 gennaio 2017, sul sito « lodzkie.naszemiasto.pl», lo stesso amministratore delegato ha dichiarato che i proprietari italiani di K-Flex hanno deciso di raddoppiare le dimensioni dello stabilimento di Wieleninie, portandolo dagli attuali 7,5 mila a 15 mila metri quadrati. Tali lavori sono iniziati a dicembre 2016, termineranno a metà giugno 2017, e renderanno operativo l'ampliamento dell'azienda a fine settembre-inizio ottobre 2017;
    sempre per voce di Gröbner, tale investimento comporterà l'assunzione di circa 100 nuovi dipendenti, passando dagli attuali 272 a circa 350;
    Gröbner ha poi trattato il tema di quali siano i mercati in cui opera l'azienda polacca, chiarendo che, oltre a Germania, Russia e Scandinavia, parte di quanto prodotto in Polonia viene esportato anche in Italia. Questo perché gli effetti della globalizzazione hanno portato i proprietari della K-Flex ad una diminuzione della produzione in Italia e, soprattutto, a preferire la Polonia perché più facile produrre in tale Paese per il minor costo complesso della mano d'opera. Inoltre, ha proseguito Gröbner, i costi di trasporto sono di circa il 20 per cento più bassi rispetto a quelli italiani;
    prima dello scorso Natale, l'azienda ha cercato di smontare due grosse macchine industriali per portarle in Polonia, azione non resa possibile dai lavoratori che lo hanno impedito;
    per Matteo Moretti, della Filctem Cgil, l'atteggiamento dell'azienda è incomprensibile. Secondo il sindacalista che partecipa anche al presidio permanente, l'amministratore delegato Carlo Spinelli, nonostante il blocco della produzione non si è presentato al tavolo tra le parti coinvolte per comunicare ai lavoratori le scelte aziendali;
    lo stesso Moretti ha dichiarato che si proseguirà con lo sciopero e che chiederà alle istituzioni di intervenire per il mantenimento dei circa 250 posti di lavoro, in funzione del fatto che l'azienda fa utili e continua ad espandersi in tutto il mondo;
    i sindacati hanno ricordato che K-Flex, nonostante il bilancio ampiamente in utile, nel 2014 ha licenziato 44 lavoratori;
    dall'inizio del presidio permanente fuori dalla fabbrica di Roncello, si sono svolti diversi incontri tra i lavoratori ed esponenti delle istituzioni presso la provincia di Monza e Brianza, in regione Lombardia, nella sede di Milano di Assolombarda e presso il Ministero dello sviluppo economico;
    in data 11 febbraio 2017, veniva pubblicato sul giornale « Il Cittadino», una notizia riguardante la situazione di crisi della K-Flex dove veniva specificato che l'azienda, negli ultimi anni, ha ricevuto 12 milioni di euro di finanziamenti pubblici, di cui uno a fondo perduto;
    come riportato dal sito di informazione « ilcittadinomb.it» in data 14 febbraio 2017, nell'incontro tenutosi presso la sede di Milano di Assolombarda, la proprietà ha confermato di aver investito all'estero i 12 milioni di incentivi pubblici ottenuti negli ultimi anni;
    in data 8 febbraio 2017, è stata trasmessa da Assolombarda all'agenzia regionale per l'istruzione, la formazione e il lavoro, a Femca-Cisl, Filctem-Cgil, Uiltec Milano Metropolitana, Ugl Chimici, Failc Confail e a L'Isolante K-Flex S.p.a., una lettera con oggetto il licenziamento collettivo per riduzione del personale dell'azienda;
    nella lettera veniva indicato che la scrivente società K-Flex, ai sensi dell'articolo 24, comma 7 e 4, della legge n. 223 del 1991, si vedeva costretta a comunicare la necessità e l'urgenza di procedere ad una riduzione collettiva dei lavoratori della sede di Roncello, con la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro per 187 dei 243 dipendenti complessivi;
    le motivazioni dei licenziamenti fornite dall'azienda, riguardavano il fatto che il settore in cui opera ha fatto registrare negli ultimi anni una contrazione dell'attività produttiva causata dall'attestarsi della negativa situazione di mercato. Insieme a questo, il fatto che dei determinati tipi di prodotti dell'azienda non sono più risultati competitivi a causa degli eccessivi costi di trasporto e logistici ed ai lunghi tempi di consegna. Oltre a ciò, la crisi economica iniziata nel 2008 ha ulteriormente aggravato la situazione, portando l'azienda negli anni 2013 e 2014 a ricorrere allo strumento della cassa integrazione ordinaria per i lavoratori e, sempre nel 2014, al conseguente licenziamento collettivo per 44 lavoratori;
    sempre nella lettera, veniva specificato che alla situazione di criticità attuale si sono aggiunte gravi problematiche qualitative, strutturali e di sicurezza riferite al sito di produzione di Roncello, alle quali non si è riuscito a rimediare con un reperimento di un'adeguata sede produttiva alternativa;
    l'azienda non solo ha annunciato il licenziamento per 187 lavoratori, ma ha dichiarato che per gli stessi non vi è la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, in quanto i procedimenti di licenziamento decisi non hanno carattere temporaneo bensì strutturale; che è da escludere il contratto di solidarietà che, mantenendo inalterati i normali livelli di occupazione, non consente l'eliminazione dell'esubero che, come affermato dalla società, ha carattere irreversibile; ha inoltre comunicato che, per gli stessi motivi, da ultimo, non è neanche possibile il ricorso ad altre forme di flessibilità;
    i firmatari del presente atto di indirizzo trovano del tutto ambiguo il comportamento della proprietà dell'azienda che, seppur con bilanci in attivo (K-Flex ha un bilancio dichiarato di 320 milioni di euro e punta ad arrivare a 500 milioni) e nonostante abbia ricevuto finanziamenti ministeriali, ha deciso di spostare i macchinari della sede di Roncello nel proprio sito polacco e procedere con l'assunzione di nuovi lavoratori in Polonia ma, al tempo stesso, di licenziare, con effetto immediato, tutti i lavoratori del sito italiano, senza possibilità alcuna di poter usufruire dei previsti ammortizzatori sociali. Va però sottolineato che risultano essere sempre più i casi di aziende, molte delle quali con bilanci in attivo, che riducono il numero dei propri lavoratori o decidono di chiudere in maniera definitiva i propri stabilimenti in Italia a causa delle scelte delle proprietà di delocalizzare all'estero. Ciò è dovuto anche al fatto che il Governo, ad oggi, a giudizio dei presentatori del presente atto non ha proposto alcuna politica volta a tutelare il mantenimento dei livelli occupazionali e dalle aziende sul suolo italiano al fine di evitare le loro delocalizzazioni in Paesi esteri,

impegna il Governo:

   a promuovere immediatamente un tavolo tecnico di confronto in sede ministeriale, coinvolgendo i vertici dell'azienda Isolante K-Flex e le rappresentanze sindacali, al fine di promuovere azioni volte ad elaborare un piano di intervento che preveda la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e l'esclusione dei licenziamenti dei lavoratori dello stabilimento di Roncello, prevedendo altresì per loro degli adeguati ammortizzatori sociali e rendendo tempestiva informazione degli esiti del tavolo alle competenti commissioni parlamentari;
   nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei lavoratori del sito produttivo di Roncello, ad assumere iniziative volte a prevedere un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, nell'ambito degli interventi tesi a salvaguardare i livelli occupazionali, volta a ridurre i motivi di conflittualità tra azienda e dipendenti;
   ad assumere ogni iniziative di competenza volta a far sì che l'azienda attui una strategia di sviluppo a lungo termine, che ponga al centro delle priorità gli investimenti necessari per l'innovazione e la salvaguardia occupazionale del sito di Roncello;
   ad assumere iniziative di competenza volte ad evitare la delocalizzazione della produzione dello stabilimento di Roncello in altri Paesi;
   ad assumere iniziative normative volte a tutelare i livelli occupazionali e il mantenimento delle attività delle aziende sul suolo italiano, al fine di evitare le loro delocalizzazioni in Paesi esteri.
(7-01194) «Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Ciprini, Lombardi, Dall'Osso, Pesco, Alberti, Villarosa, Zolezzi, De Rosa, Busto, Carinelli, Caso, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Cecconi, Liuzzi, Manlio Di Stefano, D'Ambrosio, Sibilia, Di Battista, Luigi Di Maio, Ferraresi, L'Abbate, Grande, Scagliusi, Vacca, Gallinella, Gagnarli, Crippa, D'Uva, Brugnerotto, Businarolo, Da Villa, Della Valle, Vallascas, Simone Valente, Spessotto, Castelli, Di Benedetto, Luigi Gallo, Brescia, Petraroli, Frusone, Rizzo, Corda, Paolo Bernini, Dell'Orco, Massimiliano Bernini, Baroni, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, Toninelli, Battelli, Cozzolino, Daga, Sarti, Dieni, Basilio, Parentela, Vignaroli, De Lorenzis, Fico, Marzana, Bonafede, Nesci, Tofalo, Agostinelli, Colletti, Del Grosso, Cariello, Fraccaro, Dadone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MENORELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 380, legge n. 228 del 2012, stabilisce che, al fine di assicurare la spettanza ai comuni del gettito Imu, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il fondo di solidarietà comunale alimentato con una quota dell'Imu di spettanza dei comuni, definita con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   in applicazione di tale disposizione è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 10 settembre 2015 con il quale sono state definite e ripartite le risorse destinate al fondo per l'anno 2015, distribuendole per l'80 per cento attraverso il criterio delle risorse storiche e per il 20 per cento attraverso quello dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali;
   tale provvedimento, che penalizza fortemente i comuni virtuosi che hanno provveduto ad aggiornare le rendite catastali, è stato impugnato dal comune di Padova con ricorso n. 15696 del 2015, adducendo tra le motivazioni il fatto che, essendo la base imponibile che alimenta il fondo costituita dal valore catastale degli immobili nei singoli comuni e, in assenza di un compiuto procedimento di revisione delle rendite sul territorio comunale, non corrispondendo i valori catastali odierni (non stabiliti con criteri omogenei sul territorio nazionale) ad una diversa capacità fiscale, il decreto penalizzerebbe i soli comuni che, come Padova, hanno proceduto in autonomia all'aggiornamento delle rendite, portandole a valori più vicini di mercato;
   questo effetto distorsivo sarebbe amplificato dalla struttura orizzontale del fondo, in forza del quale i comuni apparentemente «ricchi», solo perché i valori immobiliari riferiti ai fabbricati insistenti sui loro territori sono stati rivalutati, sono tenuti a perequare nei confronti dei comuni apparentemente «poveri», i cui minori gettiti non sarebbero tuttavia effettivamente espressivi di una minore capacità fiscale dei cittadini. Inoltre, il descritto effetto inficerebbe la parte di perequazione che avviene sulla basi delle capacità fiscali, atteso che in tale computo è stato considerato il solo « tax gap» derivante dall'evasione fiscale e non quello risultante dal mancato aggiornamento dei valori catastali;
   il comune ricorrente rappresenta, altresì, come l'articolo 1, comma 380, lettera f), legge n. 228 del 2012, nella parte in cui riserva allo Stato il gettito proveniente dai capannoni, disegnerebbe una compartecipazione statale ai tributi locali, generando così un federalismo fiscale al contrario;
   inoltre, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per il riparto dei fondi e stato emanato solo il 10 settembre 2015, invece del 31 dicembre 2014, ai sensi dell'articolo 1, comma 380-ter, legge n. 228 del 2012, come pure tardivamente, ossia il 23 giugno 2015, è stato emanato il decreto del Ministro dell'interno per la determinazione degli importi;
   oltre che non rispettare il termine previsto, l'adozione del decreto ad avanzato esercizio di bilancio determina una lesione del principio di autonomia finanziaria dei comuni (articolo 119 Costituzione) che richiede la «certezza delle risorse disponibili»;
   infatti, per elaborare e approvare il bilancio di previsione, gli enti locali devono conoscere le entrate su cui contare per esercitare poi la propria autonomia in materia di spesa ed è per questo che sono previsti, con riferimento alle diverse annualità, termini precisi per l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di determinazione e ripartizione del fondo di solidarietà comunale, che per l'anno 2015 era fissato al 31 dicembre 2014;
   il Tar del Lazio, con sentenza pubblicata il 17 febbraio 2017, ha accolto il ricorso del comune di Padova e ha annullato i provvedimenti impugnati, tra cui il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 settembre 2015 –:
   se il Governo nell'elaborare i nuovi provvedimenti, intenda considerare le ragioni esposte nel ricorso, con particolare riferimento alla necessità di porre riparo a clamorose situazioni di ingiustizia nella ripartizione del fondo a danno dei comuni che hanno aggiornato i propri valori catastali, nonché a danno dei proprietari di capannoni. (5-10650)


   GALGANO e MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle scosse di terremoto che tra agosto e ottobre 2016 hanno colpito duramente l'Italia centrale, risultano essere numerose le scuole dichiarate inagibili;
   nel mese di settembre 2016 la Protezione civile certificava che su 480 edifici scolastici censiti, 149 non potevano ospitare studenti e 30 addirittura risultavano completamente inagibili;
   tra le città maggiormente colpite vi sono Norcia, con la scuola dell'infanzia, primaria e la scuola superiore «Battaglia», Foligno con la scuola media inferiore «Giosuè Carducci» e Spoleto con la scuola materna «San Domenico», oltre al caso dell'istituto scolastico «Romolo Capranica» di Amatrice, di cui ha parlato diffusamente la stampa, in particolare « Il Fatto quotidiano»;
   nei giorni scorsi, una nota trasmissione televisiva ha riportato all'attualità proprio il problema della sicurezza delle scuole;
   sembra, infatti, che le frequenti e violente scosse abbiano reso sempre più deboli le certezze in materia di agibilità degli edifici scolastici e quindi reso più evidenti le lacune e le manchevolezze degli enti territoriali preposti, i quali non hanno ancora fornito risposte chiare e rassicuranti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di acquisire dai comuni colpiti e da quelli a maggior rischio la documentazione relativa alla agibilità e alla sicurezza degli edifici scolastici per il regolare svolgimento dell'anno scolastico.
(5-10654)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GELMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione in apertura dell'anno giudiziario 2017, il presidente del Tar della Lombardia, dottor Angelo De Zotti, ha sottolineato come nel 2016 siano stati depositati 3.097 ricorsi, contro i 3.023 del 2015 (74 in più). I giudici amministrativi si sono espressi su 2.777 ricorsi, contro i 2.880 dell'anno precedente, con un saldo negativo di 103 ricorsi. Tale decremento accentua, anche se leggermente, una discesa costante registrata negli ultimi anni;
   più nel dettaglio: sono 658 i ricorsi depositati nel 2016 al Tar di Milano da cittadini stranieri, il 4,11 per cento rispetto all'incidenza sul 2015; in crescita sono anche i ricorsi depositati dalle autorità, passati da 110 a 187 (+ 2,40 per cento) e quelli in materia di pubblico impiego (+ 0,11 per cento); diminuiscono i ricorsi in materia di edilizia e urbanistica, passati dai 573 del 2015 ai 435 del 2015, come pure i ricorsi depositati per appalti, scesi dai 335 del 2015 ai 284 del 2016, e quelli per richieste di accesso agli atti, diminuiti dell'1,46 per cento;
   dalla relazione del presidente del Tar della Lombardia emerge come tra le difficoltà che hanno caratterizzato il 2016 ancora una volta vanno evidenziate le numerose carenze di organico e l'attività svolta dai magistrati amministrativi in supporto di altri tribunali, mentre il Tar non ha mai fruito di missioni in entrata;
   secondo le stime dei giudici amministrativi se non ci fossero state queste attività di «pronto soccorso» e i vuoti d'organico, si sarebbero potuti risolvere almeno ulteriori 300 ricorsi;
   ulteriori difficoltà sono emerse con l'avvio del PAT (processo amministrativo telematico) che, sperimentato nel corso del 2016, è partito dal 1o gennaio dell'anno corrente nonché a causa della scarsità di risorse per ogni attività, a cominciare dalle spese per la sede;
   recenti studi condotti dal Ministero della giustizia evidenziano come i grandi tribunali lombardi si caratterizzino per un elevato tasso di efficienza. Tali risultati rendono ancor più competitiva ed attrattiva la regione, perché la qualità e l'efficienza della giustizia, anche amministrativa, sono di fondamentale importanza per la crescita del Paese, non da ultimo per rendere attrattivo il territorio per gli investitori esteri;
   le carenze riscontrate si rendono ancora più evidenti, considerando la mole della legislazione nel nostro Paese, la complessità delle norme, l'inefficienza dell'amministrazione e l'eliminazione dei controlli di legittimità  –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di provvedere al più presto a risolvere il problema della razionalizzazione e della decongestione di uno fra i più grandi tribunali amministrativi del Paese, supportando adeguatamente le esigenze della giustizia amministrativa che si è dimostrata capace di sviluppare forme di adattamento alle situazioni operative quasi «emergenziali» presentatesi. (4-15679)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, MANTERO, NESCI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da inizio legislatura si è portato più volte all'attenzione dei Governi susseguitisi la grave situazione registrata in provincia di Ragusa, dove il proliferare della criminalità organizzata sfocia nella consumazione di reati contro il patrimonio ma anche contro la persona. I giornali frequentemente raccontano di rapine a mano armata, di furti, di violenze private, di stupri, di agromafie, di traffico d'armi;
   in questo periodo si stanno registrando picchi di episodi di micro e macro criminalità, come i diversi attentati incendiari presso il mercato ortofrutticolo di Vittoria, l'ultimo, qualche giorno fa, a quattro tir in sosta che stava per costare la vita ad un dipendente;
   da tempo le forze dell'ordine registrano un deficit nella dotazione organica tale da non consentire nemmeno l'espletamento dell'attività ordinaria, con la conseguenza che si attinge con una certa regolarità al personale addetto ad altre mansioni pur di assicurare i normali servizi di controllo del territorio e di ordine pubblico;
   le assegnazioni di nuove unità sono irrisorie rispetto ai trasferimenti, ai pensionamenti e alle crescenti esigenze derivanti dall'aeroporto «Pio La Torre» di Comiso, dalla continua operatività del centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, dall'apertura di nuovi centri di accoglienza straordinaria e di centri legati al sistema S.P.R.A.R.;
   tale situazione è già stata sottoposta all'attenzione del Governo attraverso le interrogazioni a prima firma Lorefice n. 4-01653, n. 4-06386 e n. 4-13406, nonché attraverso vari interventi di fine seduta in Assemblea e attraverso varie missive che non hanno ricevuto risposta;
   i clan mafiosi sono tornati a permeare l'economia e le istituzioni iblee, come evidenziato nella relazione 2012-2013 della direzione nazionale antimafia, e come dimostrano i continui atti intimidatori ad artigiani ed esercizi commerciali, nonché i plurimi attentati incendiari al mercato ortofrutticolo di Vittoria;
   la prima firmataria del presente atto ha altresì chiesto in più occasioni l'intervento dello Stato, tramite il Ministro dell'interno, in quanto nonostante l'eccellente lavoro espletato giornalmente dalle forze dell'ordine non è garantita appieno la sicurezza nel territorio, forse anche a causa della naturale vastità del territorio urbano ed extra urbano che non permette serrati controlli ovunque;
   nonostante il precedente Ministro abbia rassicurato riguardo a una presunta diminuzione dei reati commessi nella provincia di Ragusa, questi continuano a verificarsi con cadenza quasi giornaliera e la sfiducia della popolazione nelle istituzioni è sfociata a volte in allarmanti iniziative autonome di presidio e controllo territoriale –:
   se non ritengano necessario, per quanto di competenza, un intervento tempestivo dello Stato nel territorio ragusano, attraverso un rafforzamento del dispiegamento di forze dell'ordine e una più permeante attività di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca e della particolare questione riguardante il mercato di Vittoria. (4-15681)


   FAENZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale della Toscana ha approvato la legge 20 dicembre 2016, n. 86, recante «Testo unico del sistema turistico regionale» con la quale viene, tra l'altro, disciplinato il sistema del turismo della regione medesima, le strutture turistico-ricettive, le imprese e le professioni del turismo;
   l'articolo 70 della citata legge dà una definizione di «locazioni turistiche» e di attività svolta «in forma imprenditoriale», parificando inoltre «gli alloggi locati per finalità turistiche» alle strutture ricettive ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia d'imposta di soggiorno, ponendo obblighi d'informazione a carico del gestore e prevedendo pesanti sanzioni per «coloro che stipulano contratti di locazione turistica in violazione alle disposizioni» di cui all'articolo 70, per coloro che «esercitano attività di locazione turistica in forma non imprenditoriale direttamente o in forma indiretta, in assenza di requisiti», nonché per chi gestisce una di queste strutture senza aver presentato la segnalazione certificata di inizio attività (Scia), superando la capacità recettiva consentita, violando gli obblighi di cui al capo II della legge;
   viene imposto, inoltre, l'ottenimento di un nulla osta al comune per l'uso occasionale d'immobili da parte di soggetti che operano senza scopo di lucro e si prevede, altresì, il potere del comune d'imporre al privato di conformare la sua attività alla normativa vigente;
   a parere dell'interrogante, la legge regionale in questione si pone in contrasto con l'articolo 117 della Costituzione, in quanto il legislatore statale ha la competenza esclusiva in materia di «ordinamento civile» che, per pacifica giurisprudenza, si identifica con la disciplina dei rapporti tra privati la quale si pone come limite al legislatore regionale fondato sull'esigenza di garantirne l'uniformità sul territorio nazionale, in ossequio anche al principio costituzionale di eguaglianza (ex multis, Corte costituzionale sentenze n. 1 del 2016 e n. 131 del 2013);
   la legge regionale in questione si pone, a parere dell'interrogante, in contrasto con i principi fondamentali, ricavabili dalla legislazione statale –:
   se il Governo intenda valutare la sussistenza dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alla legge della regione Toscana 20 dicembre 2016, n. 86. (4-15683)


   D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 settembre 2016 il quotidiano consultabile online «La Repubblica» dava notizia della sottoscrizione del nuovo piano di finanziamento previsto dal Governo per la Regione Siciliana, denominato «Patto per il Sud»;
   l'articolo riportava come «il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il governatore della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, hanno ufficialmente firmato il Patto per il Sud con la Sicilia, nella Valle dei Templi di Agrigento. L'accordo ha un valore complessivo di 5,750 miliardi di euro, di cui 2,320 da impiegare nel 2016 e 2017, che serviranno a finanziare le opere individuate da Palazzo d'Orleans per tutti i Comuni dell'Isola.»;
   secondo gli impegni riportati dal documento ufficiale, così come consultabile sul sito istituzionale del Governo, «la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Siciliana condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche e integrate, miranti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree di crisi industriale, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio regionale»;
   secondo quanto previsto dall'articolo 3 dell'accordo, «le Parti si impegnano a dare attuazione ai contenuti del Patto mediante la messa a sistema delle risorse disponibili ordinarie ed aggiuntive, nazionali ed europee, nonché ricorrendo ad altri strumenti finanziari quali fondi rotativi, project financing, ecc.»;
   l'articolo 6, in particolare, stabilisce con chiarezza gli impegni assunti dal Governo, dal momento che questo prevede che «l'Autorità per la Politica di Coesione, avvalendosi dei competenti dipartimenti, si impegna ad assicurare forme di immediata collaborazione e di stretto coordinamento, anche con il ricorso agli strumenti di semplificazione dell'attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo. Si impegna, inoltre, a promuovere ogni utile iniziativa affinché le risorse finanziarie necessarie a sostenere l'attuazione di quanto previsto dal presente Patto siano effettivamente disponibili, per un'efficace attuazione degli interventi»;
   in data 29 gennaio 2017 il quotidiano di informazione online «98zero», con riferimento alle dichiarazioni dei rappresentanti politici presenti ad un incontro tenutosi presso il comune di Sant'Agata di Militello (Messina) alla presenza del presidente della regione Siciliana Rosario Crocetta, riportava una dichiarazione dello stesso governatore secondo il quale «i soldi del Patto per il Sud, non sono ancora stati stanziati dal Governo, saranno anticipati dalla Regione»;
   nel caso di specie, il presidente Crocetta interveniva sulla fattibilità di alcune opere da finanziare con i fondi stanziati dal Governo attraverso il programma di investimenti per il Meridione, i quali, secondo il governatore, non sarebbero ancora disponibili nelle casse della regione Siciliana, sollevando per l'interrogante la necessità di conoscere quale sia l'attuale stato di avanzamento del finanziamento previsto dal piano –:
   quale sia l'attuale stato di finanziamento del «Patto per la Sicilia», ovvero quali siano le risorse finanziarie ancora non erogate ed effettivamente disponibili per l'attuazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree di crisi industriale, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio regionale, così come previsti dallo stesso programma. (4-15684)


   D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o ottobre 2009 il comune di Messina veniva colpito da una calamità naturale di eccezionale violenza, causata da un intenso nubifragio abbattutosi lungo il litorale ionico a sud della città;
   il tragico evento, oggi noto come «alluvione di Giampilieri», ha visto il susseguirsi di numerosi eventi franosi, con colate di fango che hanno colpito diversi comuni della costa messinese, causando la morte di 37 persone;
   i centri maggiormente interessati dall'alluvione risultavano essere alcune località appartenenti al comune di Messina, quali Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Molino, Santo Stefano Briga, Briga superiore, Pezzolo, ed il comune di Scaletta Zanclea;
   la portata e la gravità dei danni verificatisi ha richiesto numerosi interventi di messa in sicurezza dei territori, ovvero delle infrastrutture pericolanti, anche attraverso lo sgombero di decine di nuclei familiari le cui abitazioni risultavano distrutte o gravemente danneggiate;
   dopo l'evento alluvionale del 1o ottobre 2009 che colpì anche il comune di Scaletta Zanclea, e nella fattispecie i torrenti di Contrada Divieto e Contrada Racinazzi, sono stati eseguiti i lavori per la messa in sicurezza dei torrenti e quindi l'ampliamento degli stessi;
   tuttavia è da rilevare come, nonostante l'esecuzione dei lavori, il torrente Racinazzi continui a rappresentare un luogo ancora non del tutto sicuro, in considerazione delle criticità che a oggi non risultano completamente risolte;
   in data 1o ottobre 2016 il quotidiano consultabile online « La Gazzetta del Sud», pubblicava un articolo riguardante la commemorazione delle vittime del comune di Scaletta, a sette anni dalla tragedia, denunciando la critica condizione del torrente Racinazzi, la cui messa in sicurezza risultava ancora incompleta;
   secondo quanto riportato dall'articolo, si sarebbe dovuto urgentemente ampliare l'alveo del torrente, il quale attraversava un'area «fonte di preoccupazioni e pericolo: ad ogni evento piovoso si riversano sulla statale 114 ingenti quantitativi di terriccio e detriti»;
   in data 1o ottobre 2016 lo stesso quotidiano pubblicava la notizia di una persistente condizione di preoccupazione per i cittadini del comune di Scaletta (Me), segnalando «il perdurare del disagio causato dal mancato convogliamento delle acque meteoriche che, dall'autostrada, scendono nella sottostante via Roma, formando un pantano, trasportando detriti, provocando infiltrazioni ai piani bassi e gravi conseguenze per la viabilità e la sicurezza delle persone»;
   nonostante si evidenzino rischi minori rispetto al passato, risulta tuttavia necessaria la messa in completa sicurezza di una porzione di territorio ad alto rischio dissesto idrogeologico, intervenendo in maniera preventiva per scongiurare la possibilità che nuovi eventi alluvionali mettano in pericolo l'area del torrente e la popolazione del comune;
   in data 22 ottobre 2016, il quotidiano Tempostretto riportava la notizia della sottoscrizione del patto, da parte del Presidente del Consiglio, per lo sviluppo della città metropolitana di Messina, nel quale il Premier ha elencato «i numerosi interventi infrastrutturali che saranno realizzati grazie ai finanziamenti previsti nel Patto»;
   tra gli interventi riportati si rilevano, in particolare, quelli per il Consorzio autostrade siciliane e per strade provinciali, il palazzo di giustizia, il porto turistico di Santo Stefano di Camastra, la riqualificazione di quattro aree di Messina e ancora interventi per l'ambiente e per la messa in sicurezza dal rischio sismico e idrogeologico –:
   quali siano i finanziamenti previsti dal patto per la città di Messina, e se in tale ambito sia prevista la realizzazione di interventi relativi alla messa in sicurezza delle aree e dei torrenti interessati dall'alluvione del 1o ottobre 2009, tra cui il torrente Racinazzi e l'area del comune di Scaletta (Messina). (4-15685)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2017 la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge S. 2629 di conversione in legge, con modificazione, del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio;
   il provvedimento reca misure ed interventi intesi a sviluppare l'educazione finanziaria, previdenziale ed assicurativa in conformità con la definizione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che per educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale intende il processo attraverso il quale le persone migliorano la loro comprensione degli strumenti e dei prodotti finanziari e sviluppano le competenze necessarie ad acquisire una maggiore consapevolezza dei rischi e delle opportunità finanziarie;
   a questo proposito è bene ricordare che il risparmiatore, spesso inesperto, dovrebbe essere protetto e adeguatamente informato quando acquista un prodotto finanziario, anche in relazione ai costi che sostiene, che spesso si annidano nei contratti finanziari e che possono erodere una parte significativa dei già fin troppo esigui rendimenti offerti attualmente dalle attività finanziarie;
   infatti, sono sempre di più i fondi comuni d'investimento che garantiscono ai risparmiatori una cedola, promettendo così un rendimento certo, ma in realtà la prelevano dal capitale dell'investitore. Questi investimenti risultano appetibili per i risparmiatori, in quanto, al confronto del rendimento quasi nullo dei titoli di Stato, riproducono i meccanismi tipici delle obbligazioni e inducono a percepire la cedola come rendimento. In realtà, nel loro regolamento, è prevista una piccola postilla che consente al gestore di prelevare, se necessario, la cedola dal capitale investito;
   quello che potrebbe apparire come un imbroglio da parte degli intermediari finanziari e in realtà una piccola regola, formulata a giudizio degli interroganti in maniera poco comprensibile e contenuta all'interno del prospetto informativo approvato dalla Consob, così come poco chiaro appare il regolamento del fondo approvato dalla Banca d'Italia –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative normative affinché il risparmio dei cittadini italiani che affluisce ai fondi di investimento sia meglio tutelato e disciplinato attraverso regole certe e trasparenti;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, coerentemente con il programma per una «strategia nazionale per l'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale» di cui al comma 3 dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 237 del 2016 che nei contratti finanziari, siano riportate informazioni chiare e adeguate anche in relazione ai costi e ai rischi per l'acquisto di un prodotto finanziario.   (4-15687)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la strategia «Europa 2020» sottolinea l'importanza della diffusione della banda larga come elemento del piano di crescita dell'Unione europea per i prossimi sette anni e pone obiettivi ambiziosi per lo sviluppo della banda larga e ultra larga. Una delle sue iniziative principali è l'Agenda digitale europea (ADE) che riconosce i vantaggi socioeconomici della banda larga, evidenziandone l'importanza per la competitività, l'inclusione sociale e l'occupazione;
   il 3 marzo 2015, il Governo presieduto da Matteo Renzi ha approvato, in coerenza con l'Agenda europea 2020, la strategia italiana per la banda ultralarga con la quale si intende coprire, entro il 2020, l'85 per cento della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100 Mbps garantendo al contempo al 100 per cento dei cittadini l'accesso alla rete internet ad almeno 30 Mbps. Tale programma nasce per superare il digital divide, sostenendo con risorse pubbliche gli investimenti nelle aree a fallimento mercato, ossia quelle dove i privati non avrebbero avuto sufficiente ritorno economico a investire;
   il sito online www.wired.it, nell'articolo del 14 febbraio 2017, ha riportato come «nella diffusione della banda larga ci sia un ritardo da colmare. E se qualcosa si sta facendo, si va avanti appesantiti da zavorre». In particolare, la Corte dei conti esaminando il dossier «il finanziamento degli investimenti infrastrutturali per la banda larga 2007-2015», ha dichiarato come «l'Italia avrebbe dovuto concludere il piano di banda larga, nel triennio 2011-2013, ma a causa di ricorsi in tribunale e lentezze della burocrazia, è ancora in corso di realizzazione»;
   secondo il Sole 24 ore, che ha ripreso la tematica sopra citata nella stessa giornata, la relazione della Corte dei conti è «una fotografia in cui si notano sprazzi di luce, ma anche ombre. A essere presa in esame è l'attività del MISE, e della sua società Infratel, per le infrastrutture a banda larga nelle zone a fallimento di mercato. Al centro della valutazione della Corte ci sono anche il Piano e la Strategia per la banda ultralarga;
   nello specifico, il rapporto ha evidenziato la presenza di tempi eccessivamente lunghi per il rilascio dei permessi da parte degli enti proprietari (comuni, province, Anas e Rete ferroviaria italiana) delle aree interessate dalla realizzazione delle nuove infrastrutture; nel 2011 il tempo medio di rilascio di tali permessi è stato di 162 giorni; nel 2012 di 163; nel 2013 di 123 e nel 2014 di 143, nel 2015 di 94 e nel 2016 di 69. In Basilicata in media servono 218 giorni per ottenere un'autorizzazione. L'Anas impiega 258 giorni, Rete ferroviaria italiana quasi un anno: 317 giorni. Presso l'Anas sono pendenti 120 richieste in attesa di autorizzazione. E oltre un terzo, 144 per la precisione, riguarda la Sardegna;
   secondo la società Infratel, «non sono tanto i tempi medi di rilascio dei permessi, ma singoli casi di durata eccessiva dei procedimenti che da soli possono comportare gravi ritardi di realizzazione di interi tratti di rete». Altri ritardi sono poi dovuti «a contenziosi instaurati dalle imprese partecipanti alle gare d'appalto o dai proprietari delle aree interessate dai lavori di scavo, all'erogazione discontinua delle risorse finanziarie e, infine, alla realizzazione di opere originariamente non programmate». La Corte raccomanda dunque «di mettere in atto ogni opportuna misura per stimolare sia gli enti proprietari sia le imprese, tenute, per contratto, a curare le richieste dei permessi, affinché siano ridotti i relativi tempi». Il Sinfi, il catasto nazionale delle infrastrutture, in ultimo, «raccomanda a Infratel l'avvio concreto del sistema in tempi rapidi e al Mise di vigilare»;
   Antonio Giacomelli, sottosegretario per lo sviluppo economico, in relazione all'intervento della Corte dei conti, ha informato di avere «(...) scritto a ente locali e sovrintendenze per chiedere di intervenire e rimuovere gli ostacoli che rallentano il Piano. Nelle prossime settimane registreremo le risposte e valuteremo tutte le iniziative da assumere, in ogni sede» –:
   quali iniziative il Governo, nell'ottica del potenziamento degli effetti della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020», intenda assumere per permettere all'Italia di trasformarsi in una società digitalizzata pienamente inclusiva, assicurando uno sviluppo omogeneo sul territorio e garantendo parità di accesso ai servizi da parte dei cittadini;
   se intendano assumere le iniziative idonee a garantire la realizzazione delle reti a banda larga, attraverso la rimozione degli ostacoli riportati in premessa. (4-15690)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2000 il Consiglio e la Commissione europea hanno sottoscritto con il Regno del Marocco un accordo per l'istituzione di un'associazione tra le comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Marocco, dall'altra. L'accordo, entrato in vigore il 1o marzo 2000, prevedeva l'istituzione di una zona di libero scambio tra l'Unione europea e il Marocco attraverso la progressiva eliminazione dei dazi doganali e il divieto di restrizioni quantitative alle esportazioni e alle importazioni da applicarsi in particolare ai prodotti industriali, agricoli trasformati e non, ai prodotti della pesca;
   nel luglio 2005 il Consiglio di associazione Unione europea-Marocco ha adottato un piano d'azione della politica europea di vicinato che ha previsto una maggiore liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli e della pesca. Questo piano ha condotto alla conclusione, l'8 marzo 2012, di un accordo per la reciproca liberalizzazione di questi prodotti;
   il 19 novembre 2012 il Fronte Polisario, legittimo rappresentante del popolo saharawi, riconosciuto come tale a livello internazionale e dalle Nazioni Unite, ha presentato un ricorso al Tribunale dell'Unione europea, chiedendo l'annullamento dell'accordo, perché, non escludendo espressamente il territorio del Sahara occidentale dal suo campo di applicazione e risultando di fatto applicato dalle parti a tale territorio, sarebbe risultato in contrasto con diversi principi consolidati del diritto internazionale ed europeo;
   con sentenza del 10 dicembre 2015 il Tribunale dell'Unione europea ha annullato l'accordo dell'8 marzo 2012 accogliendo la tesi del Fronte Polisario e affermando che «nessuna istituzione dell'Unione ha mai riconosciuto, né de facto, né de iure, la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale»;
   il 19 febbraio 2016 il Consiglio dell'Unione europea ha impugnato la sentenza del Tribunale dinnanzi alla Corte di giustizia dell'Unione la quale, il 21 dicembre 2016, ha sentenziato annullando la decisione del Tribunale;
   secondo la Corte, infatti, «i principi di autodeterminazione dei popoli [...] impongono a priori di considerare l'Accordo come applicabile soltanto al territorio marocchino entro le frontiere internazionalmente riconosciute, ma non al Sahara Occidentale che costituisce un territorio separato e distinto»;
   la sentenza di appello, quindi, ha ripristinato la validità dell'Accordo tra l'Unione europea e il Regno del Marocco circoscrivendone il campo di applicazione al solo territorio marocchino e non, quindi, al territorio del Sahara occidentale da quest'ultimo occupato sin dal 1975;
   nel solco delle numerose risoluzioni approvate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, la sentenza conferma a giudizio degli interpellanti, la necessità di dare rapida sostanza al principio dell'autodeterminazione del popolo saharawi e conferma l'illegittimo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara accidentale da parte del Regno del Marocco –:
   di quali iniziative il Ministro interpellato si sia fatto promotore o quali iniziative intenda avviare, al fine di dare effettiva attuazione alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e circoscrivere l'applicazione dell'Accordo sul libero scambio tra l'Unione europea, gli Stati membri e il Regno del Marocco al solo territorio marocchino, con l'esclusione quindi dei territori occupati del Sahara occidentale;
   se il Governo non intenda farsi promotore, in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di un'iniziativa politica forte per rilanciare il processo di pace nel Sahara occidentale e favorire lo svolgimento del referendum per l'autodeterminazione del popolo saharawi.
(2-01673) «Romanini, De Mita, Fabbri, Patrizia Maestri, Marco Di Maio, Incerti, Bruno Bossio, Arlotti, Carra, Zanin, Gandolfi, Locatelli, Pastorelli, Baruffi, Rotta, Quartapelle Procopio, Carlo Galli, Paola Bragantini, Capodicasa, Albanella, Amato, Paolo Rossi, Beni, Carella, Fossati, Patriarca, Pagani, Oliverio, Prina, Richetti, De Maria».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   GADDA e FIORIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 2016 è stato l'anno più caldo da quando esistono i rilevamenti meteorologici scientifici, segnando un nuovo record dopo quelli registrati nel 2015 e nel 2014: la temperatura sulla terraferma e sulla superficie oceanica è stata di 0,94 gradi superiore alla media del ventesimo secolo;
   il riscaldamento globale è una reale minaccia per l'umanità: gli eventi meteorologici estremi che ne sono la conseguenza – oltre a mettere a rischio la sopravvivenza di interi territori – innescano fenomeni di migrazioni di massa e conflitti sociali dovuti alla compromissione di ecosistemi essenziali;
   dopo più di due decenni di progressi frenati dalla mancata sottoscrizione del protocollo di Kyoto da parte di alcuni dei Paesi maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti, recentemente si è registrata un'accelerazione: la Conferenza dell'ONU di Parigi (COP21) del dicembre 2015 ha posto l'obiettivo di contenere sotto la soglia di 1,5 gradi l'aumento di temperatura e la Conferenza di Marrakech (COP22) del novembre 2016 ha fissato il termine del 2018 per la definizione del regolamento di attuazione dell'accordo sul clima;
   in questo quadro risulta cruciale adottare misure di «biocompensazione», quali l'incremento della superficie verde – suolo e piante – soprattutto nelle città: il suolo assorbe CO2 (il 2 per cento delle emissioni di CO2 sono catturate dal suolo e il carbonio nel suolo è pari a 3 volte quello in atmosfera), mentre le piante riducono l'inquinamento atmosferico, migliorando la qualità dell'aria e abbassando la temperatura nelle giornate estive;
   negli ultimi 5 anni l'aumento di consumo di suolo in Italia ha ridotto lo stock di carbonio presente nel suolo di 5 milioni di tonnellate, pari all'emissione di 18 milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera;
   è quindi fondamentale incentivare pratiche di rigenerazione urbana, quali la «depavimentazione» del 5 per cento della superficie impermeabilizzata cittadina e costiera, sia privata che pubblica, per aumentare lo stoccaggio di CO2 nel suolo urbano, e la piantumazione di nuovi alberi nei centri urbani e nelle vicinanze delle infrastrutture viarie delle città per contenere l'inquinamento atmosferico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative per introdurre misure mirate a favorire il recupero e l'incremento del verde urbano, in particolare promuovendo la «depavimentazione» della superficie impermeabilizzata e la piantumazione di alberi nei centri urbani e nelle vicinanze delle principali arterie di comunicazione urbane, prevedendo incentivi fiscali per i soggetti privati e risorse adeguate per gli enti locali. (4-15680)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Frasso Telesino è un comune italiano di circa 2500 abitanti, in provincia di Benevento (Campania);
   nell'ambito del «Progetto lavori di recupero del centro storico per lo sviluppo turistico del Comune di Frasso Telesino (Benevento)», con delibera di giunta n. 45 /2007 fu approvato un piano preliminare di lavori di recupero del centro storico, con un'ipotesi di pavimentazione di Terravecchia (quartiere più antico del centro storico, risalente all'epoca sannitica e romana e in parte medievale), mediante elementi rettangolari, disposti in file orizzontali e parallele, a fughe strette, quindi di tipo moderno, assolutamente in contrasto con il contesto storico-architettonico;
   l'area dell'intervento è all'interno del parco regionale di Camposauro e Taburno, tutelata dal piano territoriale del massiccio del Taburno – Zona R.U.A. – e sottoposta a tutela ai sensi del decreto-legge n. 42 del 2004;
   con successive delibere di giunta (nn. 175 e 176 del 18 dicembre 2008), furono approvati il progetto definitivo e quello esecutivo (seduta del 4 maggio 2009) e la commissione edilizia integrata espresse parere favorevole, dopo aver ottenuto 2 relazioni integrative, una della quali riguardava la pavimentazione di Terravecchia. In questa relazione si precisava: «A tal riguardo il progetto propone di pavimentare mediante uso dell'attuale pavimentazione recuperabile e l'integrazione con pavimentazione simile all'attuale per cromatismi e lavorazione». In pratica, un restauro conservativo, rispettoso della pavimentazione originaria;
   il parere della commissione edilizia integrata e le prescrizioni sono state approvate per silenzio-assenso dalla Soprintendenza;
   nel nuovo progetto esecutivo approvato nel 2014 (per variazioni di carattere economico), le indicazioni progettuali per la pavimentazione di Terravecchia, vengono di fatto cancellate perché, a quanto consta all'interrogante, sarebbe stato completamente ignorato e non trascritto quanto previsto per Terravecchia dalla relazione integrativa approvata dalla commissione e dalla soprintendenza. Il nuovo progetto riapprovato con delibera 2/2014 non risulterebbe all'interrogante essere stato mai inviato alla Soprintendenza per la nuova approvazione. Lo stesso è stato appaltato e non risulterebbe esser stata mai inviata alla Soprintendenza l'offerta migliorativa su tutto il progetto presentata dalla ditta vincitrice dell'appalto. Nella primavera del 2015 sono iniziati i lavori;
   con la nota di accertamento di compatibilità paesaggistica (ex articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004) del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento del 2 dicembre del 2016, ha sì espresso parere favorevole alla compatibilità delle opere consistenti nel rifacimento delle pavimentazioni di Via Fosso Antico, Via Fosso, Piazza IV Novembre e Via Tuoro, ma ha altresì espresso parere contrario per quanto riguarda il rifacimento della pavimentazione di Via Terravecchia, in quanto trattasi di opere realizzate in difformità dell'autorizzazione paesaggistica n. 14/2009 in considerazione del fatto che le stesse, consistenti nella ripavimentazione con la sostituzione delle pietre esistenti con nuove lastre regolari, hanno travisato l'originario e storico assetto viario;
   la stessa nota (trasmessa alla procura della Repubblica di Benevento e al Comando Carabinieri per la tutela patrimonio culturale, sezione di Napoli) ravvisa che le suddette opere sono state realizzate anche in assenza di autorizzazioni ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 42 del 2004 –:
   se il Ministro interrogato possa assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di garantire il ripristino dell'antica pavimentazione di Terravecchia nel comune di Frasso Telesino, tenendo conto che gran parte degli elementi originari sono conservati presso la struttura comunale;
   se il Ministro interrogato possa assumere iniziative di competenza per assicurare che i lavori eseguiti per la pavimentazione di Terravecchia siano effettuati nel rispetto dell'autorizzazione paesaggistica di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda vigilare, per quanto di competenza, circa l'integrale, tempestivo e corretto ripristino dello storico assetto viario di cui in premessa. (5-10662)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società che di fatto, invece, svolge la propria attività in Italia (cosiddetta esterovestizione), al solo fine di trarre vantaggi di natura fiscale, rappresenta una forma di evasione diffusa e operata da soggetti dotati di una sofisticata intenzione dolosa, certamente non riconducibili alla cosiddetta evasione «di bisogno o di necessità»;
   la normativa fiscale si è via via perfezionata al fine di permettere all'Agenzia delle entrate di svolgere una difficilissima azione di accertamento;
   al positivo e spesso defatigante contenzioso in sede di commissione tributarie dovrebbe far seguito il recupero coattivo delle imposte evase affidato a Equitalia spa;
   le procedure esecutive, in particolare su immobili in Italia, su società «esterovestite» risultano ulteriormente complicate per ragioni di lingua e ordinamenti esteri –:
   quale politica di recupero abbia messo in atto Equitalia spa in queste odiose fattispecie;
   se Equitalia spa disponga di apposita struttura specializzata per procedure esecutive su società «esterovestite» ovvero di personale abilitato a traduzioni nelle lingue di residenza di tali società;
   a quanto ammonti il controvalore dell'imposta evasa, oltre a sanzioni e interessi, attribuibile a soggetti «esterovestiti» in carico a Equitalia spa, distinto tra quelli per cui è in corso la procedura esecutiva e quelli per cui la procedura esecutiva non è ancora partita;
   quali sia la durata media delle procedure di riscossione nei casi di «esterovestizione»;
   quale sia la percentuale di riscossione effettiva di quanto evaso rispetto a quanto preso in carico da Equitalia spa per ciò che concerne i casi di «esterovestizione».
(2-01675) «Giancarlo Giorgetti, Saltamartini, Gianluca Pini, Fedriga, Simonetti».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il bollino farmaceutico, introdotto con l'articolo 40 della legge n. 39 del 2002, ha lo scopo di tracciare i farmaci ed evitare furti e contraffazioni; si tratta di una carta valori e in quanto tale deve rispondere a rigorosi standard qualitativi e di stampa;
   tuttavia dall'inizio della legislatura sono numerosi gli atti di sindacato ispettivo presentati sui problemi e sui costi generati dal suddetto bollino; alcuni di questi atti non hanno ancora avuto risposta e molti di essi sono stati presentati dall'inizio del 2015, cioè da quando l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato ha deciso di internalizzare quasi tutto il processo di produzione di bollini (1,8 su 2,3 miliardi di pezzi), precedentemente affidato a ditte esterne, allo scopo di «garantire economie di scala tali da consentire l'abbassamento del costo del bollino, con beneficio delle casse dello Stato»;
   nell'aprile 2015 si verifica il blocco di 70 milioni di farmaci causato dai bollini difettosi e il Ministro riferisce di problemi tecnici che il Poligrafico risolverà in poche settimane;
   l'8 luglio 2015 viene pubblicato un rapporto dell'Eurispes che stigmatizza le inefficienze del Poligrafico e l'ostruzionismo nel fornire i dati. Eurispes chiede anche di sapere per quale motivo, se le imprese esterne che si sono aggiudicate l'ultima gara hanno fatto offerte comprese tra i 13,6 e i 9 euro per mille pezzi, questi poi vengano venduti dal Poligrafico alle imprese farmaceutiche a 26 euro;
   nello stesso periodo dalla catena della distribuzione del farmaco arrivano notizie che i bollini immessi in commercio hanno il codice in chiaro sul secondo strato cancellabile senza lasciare traccia dell'asportazione. Semplicemente, i bollini difettosi sono immessi sul mercato lo stesso;
   se il codice si cancella è vanificato tutto il processo di tracciabilità del farmaco. I farmaci rubati con il numero cancellato possono essere associati ai bollini inutilizzati su ricette di comodo per il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. Possono essere venduti al mercato nero, esportati all'estero, in mercati con maggiori margini di profitto dove il ri-confezionamento è permesso o dove il sistema sanitario più carente (esempio Est Europa). Si registra un nuovo boom di furti di farmaci: tir che scompaiono, farmacie ospedaliere «visitate», coinvolgimento della criminalità organizzata;
   a novembre 2015 il Ministero della salute promette che a gennaio 2016 entrerà a regime il nuovo layout di stampa. Il 6 aprile 2016, il sottosegretario pro tempore De Filippo ammette che «la disfunzione segnalata ha ricadute sulla rintracciabilità di confezioni fuoriuscite dal canale distributivo legale»...; il 13 aprile il Ministro Lorenzin in persona nell'Aula della Camera dichiara che «...che la risoluzione del problema è prevista entro la fine della prossima settimana e non oltre...»;
   a dispetto di quanto detto dal Ministro, oggi, inizio 2017, non solo il codice è ancora cancellabile, ma la qualità e i rigidi criteri stampa stanno ulteriormente degradando. Si registrano casi in cui nei bollini manca anche la filigrana a stampa. La stampa si domanda perché fornire alla malavita un assist di questa portata;
   dalla stampa si apprende che le ultime offerte delle aziende private sono scese da 9 a 4,5 euro per 1000 pezzi. Dunque, se esternalizzati, i 2,3 miliardi di bollini avrebbero un costo di 10,5 milioni di euro l'anno, contro i 60 che incassa il Poligrafico: è chiaro che il Servizio sanitario nazionale sta finanziando il Poligrafico; a questi oneri si aggiungono circa 140 milioni di euro per la gestione dei bollini da parte delle imprese farmaceutiche. 200 milioni che si scaricano sul prezzo dei medicinali;
   il 9 febbraio 2016 è stato pubblicato il regolamento (UE) n. 2016/161, attuativo della direttiva 2011/62/UE, nel quale si prevede l'introduzione del sistema «datamatrix» su tutte le confezioni con un costo complessivo 10 volte inferiore a quello attuale; l'obbligo scatta al 2019, ma l'Italia dispone di una deroga fino al 2025;
   un emendamento di questo tenore presentato in occasione dell'esame del disegno di legge di bilancio 2017 (59.71), ha avuto il parere contrario del Governo, che considera ottimale il sistema in uso; tuttavia, alla Camera il 20 gennaio 2017, il Governo ha finalmente riconosciuto la necessità di passare al «datamatrix», senza però specificare quando –:
   se non ritengano i Ministri interpellati di indagare i motivi per i quali:
    a) il costo dei bollini prodotti dall'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato sia così elevato, con evidente storno di risorse rispetto ad altre pressanti esigenze del Servizio sanitario nazionale;
    b) l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato continui ad immettere sul mercato un prodotto alterabile e non corrispondente alle specifiche delle carte valori, situazione in cui sono ravvisabili ad avviso degli interpellanti comportamenti di dubbia legittimità;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per adottare quanto prima, per la tracciatura e la sicurezza dei farmaci, il sistema «datamatrix», previsto dal citato regolamento (UE) 2016/161, al fine di realizzare un significativo risparmio sul costo dei medicinali, quantificabile in almeno tre quarti dell'attuale spesa di 200 milioni di euro.
(2-01676) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita».

Interrogazione a risposta orale:


   GIANLUCA PINI, GIANCARLO GIORGETTI e SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'attività di riscossione affidata a Equitalia – servizi di riscossione spa – agente di riscossione per la provincia di Chieti, deve svolgersi, per quanto concerne le operazioni di notifica degli atti relativi a cartelle per pignoramento, intimazione e pignoramento presso terzi, secondo precise indicazioni di legge al fine di garantire il diritto del contribuente all'opposizione e alla difesa;
   appare, talvolta, alquanto imprudente il ricorso a servizi di recapito esterni, la cui condotta, non professionale, espone Equitalia spa a contestazioni circa la legittimità della procedura, nonché ad azioni risarcitorie di contribuenti danneggiati da tale condotta;
   appare pericoloso avvalersi del servizio provato, in particolare per le circostanze che originano le notifiche ai sensi dell'articolo 60, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 –:
   se sia compatibile con il disposto normativo di cui all'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo n. 261 del 1999 il ricorso al servizio postale privato per la notifica degli atti di intimazione;
   quali accertamenti svolga l'agente riscossore rispetto alle dichiarazioni rese dal servizio postale privato, quali a mero titolo esemplificativo «indirizzo insufficiente», «senza numero civico lungo la via, chieste informazioni e risulta sconosciuta», «constata l'irreperibilità del destinatario», a quanto risulta agli interroganti spesso false e contraddette in sede di giudizio da circostanze oggettive facilmente documentabili dal contribuente;
   quando e quanto Equitalia Spa ricorra al servizio postale privato;
   quale sia l'entità del contenzioso originato da difetti di notifica riconducibili alle circostanze evidenziate. (3-02811)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo comma 2-ter dell'articolo 25-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, prevede che il pagamento dei corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi resi ai condomini deve essere eseguito con modalità tracciabili o mediante conti correnti bancari o postali ovvero mediante altre modalità che consentano un adeguato ed efficace controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria;
   l'introduzione dell'obbligo di pagamento tramite strumenti tracciabili si è resa necessaria in conseguenza dell'uso diffuso del contante nel pagamento, dei detti corrispettivi: Tale modalità di pagamento, infatti, priva di tutela i soggetti che subiscono la ritenuta, in quanto, in caso di contestazione circa la regolarità dei versamenti, non possono fornire alcuna prova certa in merito alla ritenuta subita, quale potrebbe essere il bonifico del compenso al netto della ritenuta operata dal sostituto;
   tuttavia, nell'applicazione della nuova disposizione, si registra un'incertezza interpretativa relativa al ricorso all'utilizzo di pagamenti mediante bollettini postali compilati manualmente con provvista in contanti e non tramite conto corrente intestato al disponente;
   tale pratica, ha seri riflessi negativi sull'efficacia della previsione normativa: l'utilizzo di bollettini postali con versamento in contanti non garantisce l'identità del soggetto disponente il pagamento, trattandosi di moduli prestampati compilabili allo sportello;
   in riferimento ad analoga disposizione contenuta nella legge n. 133 del 1999 (articolo 25, comma 5), l'Agenzia delle entrate ha precisato che per modalità idonee a garantire adeguati controlli deve intendersi l'utilizzo di strumenti che consentano un efficace controllo circa l'identità dei due soggetti interessati dalla transazione (si vedano C.M. 43/E/2000; C.M. 207/E/2000)  –:
   se il pagamento mediante l'utilizzo di bollettini postali con provvista in contanti, senza riferibilità a conto corrente intestato al disponente, soddisfi il requisito di tracciabilità richiesto dall'articolo 25-ter, comma 2-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
(5-10667)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo una notizia pubblicata on line il 14 febbraio 2017 dal canale di business news CNBC, e confermata dall'agenzia giornalistica francese Reuters ammonterebbe a circa 583 tonnellate la riserva aurea che la Bundesbank avrebbe rimpatriato, con ritmo più veloce e largo anticipo rispetto al termine del 2020 precedentemente fissato, dai depositi della Banca di Francia a Parigi e della Federal Reserve di New York: fino ad oggi, infatti, il più grande rimpatrio di oro tedesco ha avuto luogo nel 2000, quando la Bundesbank aveva ritirato 931 tonnellate dalla Banca d'Inghilterra;
   la mossa è stata da più parti interpretata come un segnale di forte sfiducia nei confronti degli storici alleati, Usa e Francia;
   stando ai dati forniti dal World Gold Council e aggiornati a febbraio 2017, la Germania detiene la seconda più grande riserva aurea del mondo (quasi 3.400 tonnellate) dopo quella degli Stati Uniti (8.133,5 tonnellate), che ha in gran parte costituito durante la Guerra fredda per metterla al sicuro da un'ipotetica invasione dell'ex URSS; nella stessa classifica l'Italia si colloca al quarto posto con 2.452 tonnellate, di cui poco meno della metà, circa 1.100 tonnellate, situate in patria;
   alcuni economisti ritengono che il recupero anticipato del suo oro da parte della Germania potrebbe essere necessario per sostenere un nuovo marco tedesco in caso di collasso dell'Eurozona, un timore basato sugli appelli per un'uscita dalla stessa da parte di alcuni leader europei: secondo altri, invece, a preoccupare i tedeschi sarebbero le implicazioni del mandato presidenziale di Trump sulla politica monetaria e sulla macroeconomia –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato su quanto riportato in premessa e se non ritenga di assumere le iniziative di competenza per seguire la medesima strada tracciata dalla Bundesbank, al fine di rimpatriare tutte le riserve auree dello Stato italiano custodite all'estero. (5-10668)


   PELILLO, LODOLINI e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 164 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede espressamente limiti di deduzione delle spese relative a taluni mezzi di trasporto utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni;
   tale disciplina, introdotta dall'articolo 17, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, volta ad evitare l'integrale deducibilità dei costi sostenuti, si basa sulla presunzione assoluta secondo cui tali mezzi sono sempre utilizzati sia nella sfera aziendale sia in quella privata dell'imprenditore;
    la citata disposizione stabilisce che gli agenti di commercio possano dedurre dal proprio reddito il costo di acquisizione di autovetture e autocaravan fino al massimo di 25.822,84 euro, disponendo espressamente la possibilità di adeguare tale valore alla rivalutazione monetaria con decreto ministeriale;
    tale valore, corrispondente esattamente all'importo in lire introdotto dalla disciplina del 1997, non è stato mai oggetto di adeguamento monetario;
   l'articolo 1, comma 37, della legge di bilancio per il 2017, di cui alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, incrementa da 3.615,20 a 5.164,57 euro il limite annuo di deducibilità fiscale dei costi di locazione e di noleggio per le autovetture e gli autocaravan utilizzati da agenti o rappresentanti di commercio, tenendo fermo invece il citato limite previsto per il costo di acquisizione di tali mezzi;
   la medesima legge di bilancio per il 2017 esclude inoltre tale categoria di professionisti dalla possibilità, prevista fino allo scorso anno dalla legge di stabilità 2016, di usufruire della maggiorazione degli ammortamenti sui beni strumentali, ovvero nel caso di specie le autovetture;
   il mancato adeguamento del limite massimo di deducibilità sta penalizzando gli agenti di commercio sottovalutando l'importanza che tali professionisti hanno nel tessuto economico, quali intermediari nelle proposte e nelle conclusioni degli affari nei vari settori dell'economia;
   secondo dati forniti dai rappresentanti di categoria, tali operatori intermediano circa il 70 per cento del prodotto interno lordo e sono tra i principali attori della crescita economica del Paese; si tratta di circa 265 mila imprese e di un numero consistente di addetti fondamentali soprattutto nello sviluppo delle piccole e medie imprese –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito a una possibile iniziativa normativa volta ad incrementare l'attuale limite massimo di deducibilità del costo di acquisizione dei mezzi di trasporto vigente per gli agenti o rappresentanti di commercio, a tal fine stimando anche l'onere annuale a carico del bilancio dello Stato.
   (5-10669)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 343 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, istituisce, a decorrere dall'anno 2006, un fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito;
   il fondo è alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come «dormienti» all'interno del sistema bancario/nonché del comparto assicurativo e finanziario, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo loro versamento al bilancio dello Stato;
   il capitolo imputato a tale fondo è il 2176 (somma da versare ad apposita contabilità speciale, ai fini del riversamento all'entrata del bilancio dello Stato, per essere destinata agli interventi previsti in favore delle vittime di frodi finanziarie, dei titolari dei conti correnti e dei conti bancari dormienti, dei beneficiari della carta acquisti nonché per il finanziamento della ricerca scientifica) del bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze;
   risulta all'interrogante che nel 2015 siano stati versati 142 milioni di euro, i quali sono stati successivamente riversati nelle casse dello Stato, così da poter indennizzare i succitati risparmiatori –:
   se intenda fornire dati dettagliati riguardanti la provenienza dei fondi che hanno alimentato negli ultimi 5 anni il capitolo 2176 del bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze e l'utilizzo di tali somme, specificando a quanto corrisponde l'ammontare degli indennizzati, il quantum loro erogato, i tempi, le modalità, le richieste evase e quelle inevase.
(5-10659)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GELMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi dati resi disponibili dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) relativi alle presenze nei 191 istituti penitenziari italiani, riferiti al 31 gennaio 2017, indicano in 55.381 il numero dei detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 50.174 posti. I detenuti stranieri presenti alla stessa data erano 18.825, di cui 870 donne e 17.955 uomini. Le nazionalità straniere maggiormente rappresentate, secondo le tabelle ministeriali, sono quella marocchina (17,8 per cento), quella rumena (14,5 per cento), quella albanese (13,2 per cento), quella tunisina (10,8 per cento), quella nigeriana (4,8 per cento);
   per quanto attiene ai 18 istituti presenti in Lombardia, rispetto ad una capienza regolamentare di 6.113 unità, i detenuti effettivamente presenti, alla stessa data, erano 7.865 (di cui 423 donne);
   rispetto alla posizione giuridica, sono 1.222 i detenuti nelle carceri lombarde in attesa di primo giudizio, 1.386 i soggetti con condanna non definitiva e 5.246 quelli con sentenza passata in giudicato;
   per quanto attiene alla presenza di detenute madri con figli al seguito presenti negli istituti penitenziari lombardi, sono 3 le madri con 3 figli/e presso l'istituto di Bollate «II C.R.» e 7 le madri con 8 figli/figlie presso il carcere «Francesco di Cataldo» San Vittore di Milano;
   al 31 gennaio 2017 i soli istituti di Bollate e Sondrio registravano un numero di reclusi inferiore alla capienza regolamentare. All'estremo opposto vi sono Opera (+353 detenuti rispetto alla capienza regolamentare), Monza (+219) e Bergamo (+203);
   gli stranieri detenuti nelle carceri della Lombardia sono 3.641 (il 46,3 per cento del totale);
   nella recente relazione del Ministro sull'amministrazione della giustizia per l'anno 2016, è stato dedicato uno specifico capitolo alla «Prevenzione della radicalizzazione» islamista, un'attività condotta con una costante attività di monitoraggio dei soggetti ristretti per reati di terrorismo internazionale e di coloro che sono segnalati per presunte attività di proselitismo e di reclutamento;
   attualmente, a livello nazionale, i soggetti sottoposti a specifico «monitoraggio» sono complessivamente 165, a cui si aggiungono 76 detenuti «attenzionati» e 124 «segnalati», per un totale di 365 individui, mentre i detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale monitorati, sono 44;
   come evidenziato, recentemente, dalla ricerca sulla situazione carceraria lombarda svolta da Eupolis, la società di ricerche regionale, non si tratta solo di un problema sovraffollamento. La presenza di detenuti da pressoché tutti i Paesi del mondo, implica la necessità per l'amministrazione penitenziaria di dotarsi di figure professionali adeguatamente preparate;
   a partire dai direttori/direttrici degli istituti penitenziari, unanime è la richiesta di incrementare l'esiguo numero di mediatori culturali. Non si può, infatti, pensare di potersi affidare alla speranza che i detenuti stranieri parlino inglese oppure ad altri detenuti che aiutino operatori e personale della polizia penitenziaria a comprendere i loro connazionali;
   di fronte ad una utenza straniera così significativa dovrebbe esserci un grosso investimento nel sistema penitenziario e nel sistema delle figure professionali qualificate –:
   quali iniziative intenda assumere affinché le risorse destinate all'amministrazione penitenziaria, oltre che al settore della custodia e della sicurezza, siano allocate anche verso quelle figure professionali, come interpreti e mediatori culturali che, proprio in questa delicata fase storica, risultano strumento fondamentale per evitare, segnalare e affrontare quei fenomeni di emarginazione su cui contano i reclutatori delle organizzazioni terroristiche islamiste e non solo. (4-15678)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169 (Gazzetta Ufficiale n. 198 del 26 agosto 2005), detta nuove norme per l'elezione degli organismi rappresentativi degli ordini professionali a seguito delle modifiche introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, che aveva modificato gli ordinamenti professionali con il riconoscimento e l'inserimento di nuove figure (pianificatori, paesaggisti, conservatori e altro) incardinate nei diversi settori della sezione A;
   nel primo periodo di attuazione del citato decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, si è potuto riscontrare come le norme del nuovo regolamento non garantiscano la giusta rappresentatività e la nuova caratterizzazione, in particolar modo, nel ridefinito Ordine professionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, tra le varie componenti professionali ora residenti nel medesimo ordine professionale;
   le nuove norme regolamentari che dettano modalità elettive e composizione degli ordini, non riflettono le innovazioni apportate dal richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 che ha radicalmente innovato la fisionomia di un Ordine che dal carattere monoprofessionale (solo architetti) è diventato, coerentemente a quanto più volte segnalato dalla Commissione europea (direzione generale concorrenza) e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, un Ordine dal carattere interprofessionale tra architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, riconoscendo a queste figure professionali autonomi percorsi professionali;
   tali nuove professionalità pur essendo state collocate tutte all'interno di un medesimo organismo di rappresentanza di tipo ordinistico, hanno esigenze deontologiche, professionali, disciplinari e rappresentative specifiche, che a causa degli attuali meccanismi elettorali difficilmente trovano la giusta rappresentazione pubblica e non riescono a garantire una paritaria visibilità alle diverse componenti professionali rappresentate, ma testimoniano ancora oggi, nelle risultanze della loro composizione, una non più esistente caratterizzazione giuridica monoprofessionale, dal momento che il risultato elettorale riflette per ovvie ragioni meramente numeriche la categoria di appartenenza privilegiando quella più numerosa (degli architetti) a tutto svantaggio delle nuove riconosciute professionalità (pianificatori territoriali, paesaggisti e conservatori) numericamente inferiori;
   ciò è causa di ingiustificata asimmetria rappresentativa e di sperequazioni all'interno del medesimo Ordine professionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori i cui ordini provinciali e nazionale sono rappresentati solamente da architetti e qualche pianificatore o altra figura ma appartenente alla sezione dei junior;
   quanto premesso rileva la necessità che tutte le riconosciute componenti professionali dei vari settori, anche se numericamente minoritarie, debbano trovare negli organismi elettivi rappresentativi la sede di realizzazione delle loro esigenze, in considerazione del fatto che un Ordine professionale avente la caratteristica dell'interprofessionalità deve rappresentare equanimamente le esigenze di tutti i settori, in maniera tale da non determinare, in alcun momento, posizioni predominanti di una categoria professionale sulle altre, ledendo una o più professioni ora residenti nel medesimo Ordine;
   l'attuale sistema ordinistico, ad avviso dell'interrogante, incide direttamente tanto sull'offerta didattica e formativa quanto sul processo di formazione delle leggi e dei regolamenti e, non ultimo, sulla concorrenza interprofessionale nelle fasi di attenzione dell'offerta dei servizi professionali –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative urgenti per modificare le modalità elettorali, integrando l'articolo 3 e l'articolo 5, rispettivamente ai commi 17 e 6 del sempre citato decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, con la previsione dell'obbligatorietà, per i consigli territoriali e per il consiglio nazionale dell'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di garantire la presenza degli iscritti ai diversi settori in cui è ripartita la sezione A, stabilendo, solo ove non vi siano iscritti ad alcun settore della predetta sezione A, che tutti i consiglieri siano eletti tra i candidati iscritti agli altri settori della medesima sezione. (4-15682)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   VELLA e LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da anni la superstrada E45 versa in condizioni disastrate, nonostante i fondi stanziati e (spesso mal) utilizzati nel corso del tempo: cantieri, restringimenti, cambi di carreggiata, deviazioni, rallentamenti e via discorrendo sono uno scenario consueto per chi si mette in viaggio su questo tracciato;
   in particolare, il tratto Orte-Mestre è il più penalizzato di tutto l'asse viario, nonostante passi per snodi cruciali del Centro Italia, come Terni-Perugia-Cesena-Città di Castello, Ravenna: corsie più strette del solito, buche di tutte le dimensioni e incidenti frequentissimi;
   per questo è stata accolta molto positivamente la scelta annunciata dal Ministro interrogato di destinare risorse per un totale di 1 miliardo e 600 milioni di euro alla manutenzione straordinaria dell'asse viario Orte-Mestre, con la messa in sicurezza del tratto storico (risanamento della pavimentazione, ammodernamento di viadotti, barriere, gallerie e svincoli), la realizzazione di nuovi tratti stradali dell'arteria esistente e la garanzia di una viabilità finalmente regolare per il benessere delle aree e dei cittadini interessati;
   il Ministro si è spinto anche oltre, con il progetto « smart road», programmando per i prossimi anni l'inserimento di nuove tecnologie: connessione wi-fi, servizi tecnologici per gli automobilisti, energia da fonti rinnovabili con l'obiettivo di fornire a chi si mette in viaggio numerosi servizi, applicazioni e informazioni in tempo reale sulle condizioni ambientali e di traffico, per una migliore connessione tra i clienti e l'infrastruttura stradale;
   nelle valutazioni sul piano di riqualificazione enunciato in premessa, però, non viene posta particolare attenzione al «nodo stradale di Perugia», da sempre caratterizzato da una viabilità critica e inficiato dall'apertura di nuovi cantieri di lavoro all'inizio di gennaio 2017 –:
   se il Ministro interrogato non intenda dare immediata priorità, nell'ambito delle risorse stanziate, alla realizzazione del nuovo nodo stradale di Perugia, di concerto, con le istituzioni nazionali, provinciali, regionali e comunali per la riqualificazione di un'area in cui convergono, tra le altre, non solo le direttrici stradali della E45, ma anche quelle del raccordo per l'Autostrada del Sole, della strada statale Flaminia nonché della strada Perugia-Valfabbrica-Ancona che versa, ad oggi, in una situazione di criticità impossibile da trascurare ulteriormente. (5-10663)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio 2017 il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha rilevato numerose criticità nel progetto dell'Anas di superstrada Vigevano-Malpensa (1o stralcio funzionale da Magenta a Vigevano), rimandandolo alla stessa Anas affinché apporti le necessarie correzioni in relazione alle pesanti criticità riscontrate;
   contro quest'opera, di grande impatto ambientale e che incide pesantemente sul territorio e sui delicati ecosistemi di ben due parchi (il parco del Ticino e il parco agricolo Sud Milano) ci sono state nel tempo forti mobilitazione dei cittadini, degli agricoltori e delle associazioni;
   il progetto ha una storia che va avanti da anni, con la resistenza dei cittadini e di qualche sindaco del territorio magentino-abbiatense;
   in alternativa alla realizzazione della suddetta superstrada, sono stati proposti validi progetti a maggiore sostenibilità ambientale, a cominciare da quello proposto dal parco del Ticino, in accordo con i sindaci, che privilegia la riqualificazione delle strade statali e provinciali già esistenti –:
   quale sia lo stato dell'iter del progetto di cui in premessa e quali siano gli orientamenti in merito ai suddetti progetti alternativi. (5-10664)


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tragico incidente del crollo del ponte di Annone al chilometro 41,900 della strada statale 36-Milano-Como, del 28 ottobre 2016, che ha provocato la morte di una persona e cinque feriti, ha messo in evidenza le carenze della manutenzione straordinaria dei cavalcavia sulla rete nazionale dei collegamenti viari e ferroviari;
   una serie di ponti su strade statali e linee ferroviarie sono sottoposti a limitazioni al traffico pesante e altri sono dichiarati a rischio di crollo, come il ponte di Isella nella frazione di Civate (LC) che è aperto solo ai pedoni;
   sul ponte tra Cantù Asnago e Cermenate, i controlli effettuati da parte delle Ferrovie dello Stato italiane hanno rilevato situazioni di rischio, per fenomeni di carbonatazione sulle strutture sopra la ferrovia Milano-Como-Chiasso, e provincia di Como, proprietaria della strada, ha posto il divieto al passaggio di tir al di sopra le 7,5 tonnellate, lasciando tuttavia libero il passaggio alle corse «non frequenti» degli autobus di linea, che tuttavia potrebbero raggiungere le 19 tonnellate a pieno carico;
   inoltre, come testimoniano le decine di multe giornaliere, i camion, che possono arrivare anche a 56 tonnellate, passano comunque dal ponte di Cantù Asnago, in spregio del pericolo, per evitare allungamenti di tempo e spese aggiuntive;
   il divieto di transito dei mezzi pesanti è una misura precaria, che, oltre a provocare notevoli disagi agli autotrasportatori non è in grado di risolvere le carenze sul piano della sicurezza stradale, e non rappresenta una soluzione ai pericoli per l'incolumità pubblica sulla rete viaria e ferroviaria;
   il taglio drastico delle risorse a disposizione delle province – nonché la confusione e disorganizzazione creatasi a seguito dell'approvazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014 cosiddetta «legge Delrio» che ha ridisegnato i confini e le competenze dell'amministrazione locale – rendono impossibile la corretta manutenzione e la messa in sicurezza della rete viaria di loro competenza e ciò mette in pericolo ogni giorno la vita di migliaia di cittadini –:
   quali iniziative di politica generale e quali interventi concreti sui casi urgenti il Ministro intenda promuovere, anche in considerazione della sostanziosa riduzione dei finanziamenti alle province indirizzati alla manutenzione della rete viaria, affinché sia garantita l'incolumità degli utenti delle strade e dei viaggiatori della rete ferroviaria e affinché incidenti mortali, come quello del ponte di Annone, non si ripetano in situazioni analoghe, come quella del ponte tra Cantù Asnago e Cermenate. (5-10665)


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   agli interroganti risulterebbe che l'Anas in prossimità delle aree di servizio in località Maggiana sulla superstrada 36, dove sarà realizzato lo svincolo di uscita nord verso il comune di Mandello abbia iniziato opere di movimento terra e realizzazione di muri e rampe (propedeutiche, si pensa, alla realizzazione dello svincolo) senza le prescritte autorizzazioni configurandosi un abuso edilizio;
   si tratterebbe di interventi quali sbancamenti e movimento terra realizzati in assenza dei titoli edilizi e paesaggistici necessari che sono contenuti in un progetto, quello dello svincolo a nord, che è previsto nel piano triennale delle opere pubbliche approvato il 13 ottobre in sede di giunta del comune di Mandello del Lario (Lecco);
   risulta agli interroganti che la presentazione di una interrogazione comunale avrebbe condotto alla momentanea sospensione dei suddetti lavori;
   sarebbe grave la condotta degli uffici preposti di Anas qualora essi non avessero provveduto agli adempimenti autorizzativi necessari –:
   se il Ministro, anche alla luce della propria attività di vigilanza sulla società Anas, ritenga che le professionalità presenti nell'azienda siano idonee e adeguate, qualitativamente e quantitativamente, per svolgere su tutto il territorio nazionale ogni adempimento amministrativo necessario e propedeutico al rilascio di permessi, assensi e autorizzazioni amministrative per i lavori svolti dall'azienda. (5-10666)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori marittimi italiani rappresentano un'eccellenza a livello internazionale in termini di competenze e dedizione al proprio lavoro;
   i lavoratori marittimi possono svolgere le propria attività lavorativa sulle navi solo se in possesso del cosiddetto certificato di competenza Imo Stcw, che indica nello specifico le competenze (coperta o macchina) cui sono abilitati e che in Italia vengono rilasciati e rinnovati dalle capitanerie di porto, con durata 5 anni;
   i certificati trovano regolamentazione, a livello internazionale, nella convenzione STCW adottata a Londra nel 1978;
   la convenzione Stcw è stata da ultimo emendata in seno alla Conferenza diplomatica di Manila nel 2010 e tali emendamenti sono entrati in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   la regola I/15, numero 2, della convenzione stabilisce che fino al 1o gennaio 2017 uno Stato può continuare a rinnovare e prorogare certificati e convalide in conformità con le disposizioni della convenzione stessa che si applicavano immediatamente prima del 1o gennaio 2012, data di entrata in vigore degli emendamenti di «Manila 2010»;
   a livello europeo gli emendamenti «Manila 2010» alla Stcw sono stati recepiti dalla direttiva 2012/35/UE;
   nel nostro ordinamento, in recepimento e attuazione della direttiva 2012/35/UE, è stato emanato il decreto legislativo n. 71 del 2015 che ha stabilito, all'articolo 28 commi 2 e 5, che «2. Fino al 1o gennaio 2017, le autorità competenti possono continuare a rinnovare e prorogare certificati di competenza e convalide conformemente ai requisiti previsti dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136»;
   con circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 13 ottobre 2016 denominata «Riesame della Circolare Unica n. 17 del 17.12.2008» di attuazione del decreto ministeriale del 25 luglio 2016 «si raccomanda a tutte le parti interessate (marittimi e compagnie di navigazione) che effettuano traffico nazionale di rimandare la procedura di adeguamento dopo il 15 gennaio 2017 e comunque non oltre il primo trimestre, favorendo l'adeguamento dei certificati ai marittimi impiegati sul traffico internazionale»;
   la stessa circolare precisa che «(...) Il corso direttivo per primi ufficiali, comandanti e direttori di macchina è obbligatorio per il rinnovo»;
   tale obbligo comporta che l'intero Stato maggiore dei marittimi italiani, costituito da ufficiali di coperta e di macchina, comandanti e direttori di macchina con esperienza professionale decennale siano costretti a frequentare corsi direttivi di 300 e 570 ore per poter rinnovare il certificato di competenza;
   nelle more dell'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 71 del 2015 solo alcune capitanerie di porto avrebbero rinnovato i certificati di competenza e fino al 1o gennaio 2017;
   questa situazione non consente ai marittimi italiani di lavorare e di avere certezze sul proprio futuro, spingendoli a lasciare il Paese per andare a conseguire analoghi certificati presso altri Stati;
   il Tar del Lazio, rilevando la violazione e falsa applicazione dall'articolo 28 del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, con sentenza n. 06619/2016 ha stabilito che i certificati conformi ai requisiti «abilitanti alle funzioni di comandante, direttore di macchina, ufficiali di coperta e di macchina ed il relativo rinnovo hanno validità di sessanta mesi o fino a quando gli stessi sono revocati, sospesi od annullati» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere al fine di assicurare anche ai marittimi italiani il rinnovo dei propri certificati per tutti i 5 anni di regolare durata, tenendo in debito conto delle professionalità e dei titoli di servizio maturati nel corso della carriera, per riallineare la posizione dei lavoratori del mare italiani a quella dei colleghi europei, affinché non accada che l'Italia si trovi ad adottare una normativa di recepimento meno favorevole ai propri cittadini.
(5-10649)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia Bari-San Paolo è una linea ferroviaria a carattere urbano che collega la città Bari con il popoloso quartiere di San Paolo, su cui il servizio è esercitato dalla società Ferrotramviaria, la quale opera anche come gestore dell'infrastruttura;
   già nel giugno 2015 doveva esser inaugurata la fermata «Cecilia», prolungamento della detta metropolitana che collega la stazione di Bari centrale con il quartiere San Paolo. Ma a tutt'oggi la stazione, sebbene pronta, risulta chiusa e sono visibili i primi vistosi segni dello scorrere del tempo a causa di erbacce, piante inaridite e telecamere oggetto di atti vandalici;
   al riguardo, la regione ha dichiarato che sarebbero di ostacolo all'apertura della stazione taluni adempimenti burocratici quali la conclusione dei collaudi e soprattutto il parere dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e sia in grado di chiarire se siano stati compiuti gli adempimenti procedurali di competenza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e, ove ciò non sia avvenuto, quali ne siano le ragioni.
(5-10661)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 447 del 1995 «Legge quadro sull'inquinamento acustico» stabilisce i princìpi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento acustico, disponendo, in particolare, che le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, nel caso di superamento dei valori limite normativi, hanno l'obbligo di predisporre piani di contenimento ed abbattimento del rumore;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 459 del 1998 «Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge n. 447 del 1995, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario» definisce, in particolare, le norme per la prevenzione ed il contenimento dell'inquinamento da rumore avente origine dall'esercizio delle infrastrutture ferroviarie;
   successivamente, il decreto ministeriale 29 novembre 2000 relativo ai criteri per la predisposizione dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore impone alle società e agli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto di effettuare rilievi fonometrici su tutto il territorio nazionale, di, individuare le aree in cui si stima il superamento dei limiti di inquinamento acustico previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 459 del 1998 e di redigere il piano di contenimento e abbattimento del rumore;
   la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali nel luglio 2004, ha espresso una intesa sul piano di contenimento ed abbattimento del rumore presentato da Rete ferroviaria italiana;
   per quanto riguarda gli interventi ricadenti nel comune di Portogruaro (Venezia), il piano sopra citato prevedeva la costruzione di barriere fonoassorbenti nei 15 anni successivi al 2004, con l'indicazione della priorità degli interventi sulla linea Mestre-Trieste, Treviso-Portogruaro e la stazione ferroviaria;
   per quanto di conoscenza, risultano ad oggi mancanti gli interventi programmati da Rete ferroviaria italiana da realizzarsi tra il 2013-2019 per la zona del portogruarese, interventi che in parte avrebbero già dovuto essere realizzati e che al contrario non sarebbero ancora stati finanziati;
   i residenti da tempo lamentano gli eccessivi rumori generati dalla ferrovia del portogruarese, soprattutto durante gli orari notturni, principalmente causati dai treni in sosta al termine della loro attività –:
   se i Ministri interrogati intendano mettere in atto tutte le opportune iniziative affinché Rete ferroviaria italiana rispetti il piano di interventi per il risanamento acustico nella zona di Portogruaro, così come previsto dal piano di contenimento e abbattimento del rumore;
   se si intendano fornire maggiori informazioni circa l'avvio da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell’iter approvativo del secondo stralcio del piano di contenimento e abbattimento del rumore, così come riferito da Rete ferroviaria italiana. (4-15676)


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 113 «Settentrionale Sicula» (S.S. 113) è un'arteria stradale gestita dalla società Anas che collega i centri abitati compresi tra Trapani e Messina lungo la costa settentrionale della Sicilia;
   frequenti interruzioni, tuttavia, si sono determinate, nel corso degli ultimi anni, a causa di importanti eventi franosi i quali, oltre a creare disagi per la viabilità, hanno più volte messo a rischio l'incolumità degli automobilisti;
   il comune di Piraino (Messina), in particolare, risulta essere la località più colpita dai cedimenti dei costoni presenti nei pressi della strada statale, a causa delle preoccupanti condizioni di dissesto idrogeologico in cui questi versano;
   in data 28 gennaio 2015 la società Anas comunicava «che sulla strada statale 113 «Settentrionale Sicula» un tratto è provvisoriamente chiuso al traffico a causa di una frana al km 92,800, a Piraino, in provincia di Messina. Alcuni massi sono caduti sul piano viabile e non hanno comportato danni a persone o veicoli in transito»;
   a quasi un anno di distanza, un nuovo evento franoso veniva riportato dal quotidiano consultabile online «La Repubblica – Palermo», con articolo pubblicato in data 13 marzo 2016;
   secondo quanto riferito dall'articolo «due frane nella notte, a pochi chilometri una dall'altra, lungo la strada statale 113 Settentrionale sicula» hanno causato, infatti, una nuova interruzione dell'arteria stradale;
   il quotidiano riporta come «prima l'Anas ha chiuso al traffico un tratto al chilometro 81, tra Patti e Gioiosa Marea, in provincia di Messina. La circolazione è ora provvisoriamente deviata, tra il chilometro 80,750 e il chilometro 81,350, all'interno della frazione di San Giorgio. Poi, per l'altra frana dovuta alle intense piogge della scorsa notte, l'Anas ha chiuso un secondo tratto della statale 113 al chilometro 91,700, a Piraino. La circolazione è adesso provvisoriamente deviata su strade secondarie segnalate sul posto»;
   nonostante la frequenza degli avvenimenti franosi, non risultano all'interrogante operazioni di messa in sicurezza dei tratti interessati nel corso degli ultimi mesi, se non limitatamente al ripristino della viabilità stradale;
   le attuali condizioni di dissesto del costone sottostante la strada statale 113 a Gliaca di Piraino pongono con urgenza la necessità di verificare eventuali nuovi pericoli per l'incolumità degli automobilisti, ponendo in essere interventi di messa in sicurezza, ove necessari, del tratto di territorio interessato –:
   se siano a conoscenza dell'attuale stato di dissesto idrogeologico dei costoni rocciosi attigui alla strada statale 113 in località Piraino (Messina), condizione che nel corso degli ultimi anni ha determinato il verificarsi numerosi eventi franosi lungo il tratto della «Settentrionale Sicula», con grave rischio per l'incolumità degli automobilisti che la percorrono;
   se si intenda verificare se siano stati effettuati interventi strutturali dalla società Anas al fine di garantire la pubblica sicurezza nel tratto della strada statale 113 «Settentrionale Sicula» in località Piraino (Messina). (4-15686)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 febbraio 2017 i passeggeri sul traghetto Tirrenia da Cagliari a Napoli hanno trascorso una notte da incubo;
   29 immigrati algerini hanno messo a soqquadro l'intera nave;
   la maggior parte di questi immigrati clandestini risultavano colpiti da un decreto di espulsione e quindi avrebbero dovuto lasciare l'Italia entro sette giorni;
   danni, molestie e anche il furto di un telefonino, secondo quanto raccontato dagli altri passeggeri della nave;
   sono state assaltate le cabine con reiterati tentativi di irruzione nelle stanze anche se quelle aperte sono state devastate;
   il comandante della nave ha allertato la polizia, visti i danni e le proteste che si erano verificate durante la tratta;
   l'arrivo a Napoli alle ore 8,30 è stato presidiato dagli agenti, che hanno controllato il traghetto a tappeto per accertarsi che nessuno si fosse nascosto a bordo;
   gli stranieri sprovvisti del foglio di via sono stati accompagnati in questura per l'identificazione e la verifica di eventuali provvedimenti a loro carico;
   a bordo c'erano 63 migranti: 29 già in possesso del foglio di via, 32 regolari e due sprovvisti di documenti;
   se 29 delinquenti sono saliti su una nave da Cagliari verso Napoli, tutti insieme e con tanto di foglio di espulsione, ci si poteva aspettare una simile situazione;
   se la notte scorsa la nave Tirrenia nella rotta sardo-partenopea è stata devastata e i passeggeri costretti al terrore, ciò non si può considerare un evento imponderabile, anzi;
   era tutto previsto, prefigurato in decine di atti parlamentari;
   la gestione dell'immigrazione, soprattutto quella irregolare, non solo si conferma deficitaria sotto molti punti di vista, ma, considerati i fatti di ieri, si caratterizza, secondo l'interrogante, per irresponsabilità e superficialità senza precedenti;
   i 29 delinquenti che hanno seminato panico e devastazione sembravano disporre di una vera e propria «licenza a delinquere»;
   i 29 erano tutti soggetto a un decreto di espulsione, quindi indesiderati, ma pronti a delinquere, con un risultato secondo l'interrogante chiaro: è parso che fossero liberi di fare quello che volevano;
   questi soggetti possono comprare uno o più biglietti, senza controllo;
   arrivano in Sardegna con un percorso prestabilito, con un'organizzazione chiara ed evidente di migranti/clandestini spediti nel Sulcis con finte rotte e barchini improbabili, per poi delinquere e «conquistare» il decreto di espulsione;
   solo con quel decreto possono acquistare un biglietto per raggiungere il confine o fingere di raggiungerlo;
   dalla Sardegna devono raggiungere Napoli, un confine ideale dove comprare al mercato nero quel passaporto che da espulsi li trasforma di fatto, secondo l'interrogante, in delinquenti liberi di vagare;
   sono numerose le interrogazioni parlamentari del sottoscritto, insieme alle denunce dei sindacati di polizia;
   i fatti verificatisi sulla nave sono gravi e qualcuno deve risponderne, istituzionalmente e personalmente;
   si tratta di errori gravi e di una superficialità che ha rischiato di generare conseguenze ben più gravi;
   non è accettabile che venga messa in discussione l'incolumità pubblica per quella che l'interrogante giudica superficialità dello Stato –:
   se e quali iniziative urgenti intenda adottare nei confronti di chi ha di fatto consentito questo libero agire dei citati clandestini prima colpiti da un decreto di espulsione e poi lasciati liberi di devastare una nave;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per modificare le procedure adottate e garantire l'immediato e certificato allontanamento di questi delinquenti;
   se non ritenga di dover predisporre adeguate iniziative per interrompere il flusso di migranti/clandestini dall'Algeria verso il sud della Sardegna, considerato anche l'alto tasso delinquenziale di coloro che hanno raggiunto il Sulcis. (5-10658)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con le interrogazioni n. 4-07062 e n. 4-11630, che hanno già ottenuta risposta l'interrogante ha segnalato diversi atti intimidatori contro l'ex ispettore di Poste Italiane Alessandro Carollo, riconducibili, come da risposta del Governo pro tempore «alla collaborazione con gli organi inquirenti che il predetto ha prestato in ordine ad alcune attività d'indagine»;
   con l'atto n. 4-13883, ancora senza risposta, si è segnalata la pubblicazione online di messaggi intimidatori e diffamatori contro l'ex ispettore, provenienti dal profilo di un imputato di uno dei procedimenti al quale il dottor Carollo ha dato un contributo investigativo;
   malgrado ciò, l'ex ispettore sta continuando a collaborare con gli inquirenti;
   il 25 gennaio 2017, il dottor Carollo è stato citato dalla procura della Repubblica di Termini Imerese a deporre nell'ambito di procedimento penale a carico di B.F., ex dipendente anch'egli estromesso a seguito di attività d'indagine esperite dallo stesso;
   il 15 febbraio 2017, il dottor Carollo è stato sentito presso il tribunale di Trapani, in qualità di testimone, nell'ambito della vicenda giudiziaria riguardante Z.S., ex dipendente di Poste Italiane, condannato per peculato, a seguito di attività d'indagine condotte dallo stesso;
   il prossimo maggio Carollo dovrà testimoniare, su richiesta della procura della Repubblica di Palermo, in altro procedimento penale scaturito da sue attività d'indagine;
   il dottor Carollo è stato destinatario, anche negli ultimi mesi, di altri encomi per l'attività di supporto e collaborazione prestata nell'ambito dell'imponente operazione denominata «Free Money» – condotta dalla procura di Palermo – e per una maxi truffa consumatasi in altro ufficio della Sicilia;
   con denuncia orale sporta al Comando di carabinieri di Bagheria in data 20 febbraio 2017, il dottor Carollo ha denunciato la ricezione per corrispondenza, in data 18 febbraio 2017, di un bossolo calibro 12, nonché la circostanza che, da due/tre settimane, un soggetto a lui sconosciuto si posiziona sul tragitto percorso dal dottor Carollo per andare al lavoro e, rimanendo muto, lo fissa senza dissimulare tale comportamento;
   in sede di denuncia, l'ex ispettore ha fornito alle forze dell'ordine fotografie digitali del soggetto di cui sopra, fornendo altresì dettagliati estremi dei procedimenti penali che ritiene collegati ai citati atti intimidatori –:
   di quali notizie disponga il Governo al riguardo;
   quale sia l'attuale situazione per quanto concerne la sicurezza del citato Alessandro Carollo;
   quali ulteriori urgenti misure intenda il Governo adottare per garantire l'incolumità del soggetto e consentire la continuità della sua collaborazione con le forze dell'ordine e gli inquirenti. (4-15691)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è indispensabile, soprattutto per garantire la continuità didattica, stabilizzare i docenti precari degli istituti dell'Alta formazione artistica e musicale (Afam) inseriti nelle graduatorie nazionali della legge 128 del 2013;
   è indispensabile nell'ambito delle disposizioni in materia di stabilizzazione dei docenti precari del comparto dell'Alta formazione artistica e musicale attivare entro l'anno accademico 2016/2017 delle procedure di stabilizzazione, con assunzione a tempo indeterminato, del personale docente precario del comparto dell'Alta formazione artistica e musicale inserito nelle graduatorie nazionali di cui alla legge n. 128 del 2013;
   è indispensabile prevedere disposizioni in materia di tutela dei docenti residenti in regioni insulari;
   in riferimento alle regioni Sardegna e Sicilia (regioni a Statuto speciale) si deve riconoscere in modo inequivocabile l'insularità come concreta ed indiscutibile fonte di reali ed innumerevoli disagi;
   si dovrebbe attribuire ai docenti che risiedono nelle predette regioni il diritto di precedenza assoluta nelle fasi di reclutamento, mobilità, assegnazioni provvisorie, utilizzazioni, e altro, al fine di consentire loro di operare nelle regioni di residenza ed evitare i molteplici disagi determinati da insostenibili trasferimenti oltremare –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover predisporre ogni utile iniziativa tesa a:
    a) stabilizzare i docenti precari dell'Alta formazione artistica e musicale inseriti nelle graduatorie nazionali previste dalla legge n. 128 del 2013;
    b) introdurre disposizioni in materia di tutela dei docenti residenti in regioni insulari;
    c) attribuire ai docenti che risiedono nelle predette regioni il diritto di precedenza assoluta nelle fasi di reclutamento, mobilità, assegnazioni provvisorie, utilizzazioni, e altro al fine di consentire loro di operare nelle regioni di residenza ed evitare i molteplici disagi determinati da insostenibili trasferimenti oltremare. (5-10655)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   gli educatori del servizio di educativa specialistica del comune di Cagliari e della provincia di Cagliari nei giorni scorsi hanno scioperato;
   sono ancora troppo nebulose le informazioni sul ruolo e sulle funzioni degli educatori professionali (non sono baby-sitter, assistenti alla persona o comunque figure con precise competenze educative);
   le condizioni contrattuali sono al limite del possibile; il netto orario è disarmante;
   nei periodi di sospensione non percepiscono alcuna retribuzione;
   gli educatori professionali continuano ad essere vittime delle gare d'appalto, ovviamente nell'ottica del ribasso; periodicamente cambia il datore di lavoro e, oltre a non sapere se saranno richiamati, c’è il rischio che arrivino società senza titoli e serietà;
   si tratta di educatori che lavorano per l'inclusione e contro la discriminazione e, a loro volta, sono discriminati per primi;
   a quanto consta all'interpellante, ricevono le spettanze del mese il 20 del mese successivo;
   a febbraio devono ancora ricevere la mensilità di dicembre;
   il Parlamento è impegnato da tempo nella discussione di una normativa tesa a definire ruoli e funzioni, ma si continua a non affrontare la questione relativa ai reali problemi della categoria;
   occorre affrontare la vergognosa gestione di servizi così delicati a cottimo con paga oraria irrisoria;
   si tratta di educatori professionali che hanno frequentato un'università specialistica;
   le ore di programmazione e i materiali impiegati con gli alunni vengono pretesi a carico dei lavoratori;
   per raggiungere lo stipendio di un insegnante, che lavora mediamente 20 ore, gli educatori scolastici ne devono svolgere 40;
   non possono accedere al servizio mensa, quando questa rientra nell'orario di lavoro;
   se il bambino è assente non vengono pagati;
   dal dieci giugno si entra in «sospensione»;
   avendo un contratto a tempo indeterminato, gli educatori non ricevono stipendio e non possono accedere alla «naspi»;
   gli educatori che invece prestano servizio nelle comunità devono far le notti «passive», ossia dormire spesso da soli e gratuitamente in struttura pur avendo la responsabilità degli utenti;
   la retribuzione di un laureato che si occupa di sociale è di 9,12 euro lordi all'ora –:
   se il Governo non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza per verificare questo gravissimo stato lavorativo degli educatori professionali e scolastici;
   se il Governo non ritenga, con somma urgenza, di assumere ogni iniziativa di competenza per superare questa situazione e ponendo il superamento di tali e gravi criticità come obiettivo prioritario;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per far cessare la mercificazione di un lavoro così importante e delicato sottoposto a inaccettabili ribassi d'asta sulla pelle dei lavoratori e, conseguentemente, degli stessi assistiti;
   se non si ritenga di dover assumere le iniziative di competenza, anche normative, per garantire una retribuzione congrua e non discriminatoria fissando livelli retribuivi univoci e garantendo analogo trattamento rispetto ad aree professionali analoghe.
(2-01674) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'istituzione dell'Agenzia unica per l'attività ispettiva, denominata Ispettorato nazionale del lavoro, ad opera del decreto legislativo n. 149 del 2015, è stata l'opzione scelta dal legislatore delegato per perseguire «la razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva» (articolo 1, comma 7, lettera l) della legge n. 183 del 2014), in alternativa a quella, pure prevista nel citato articolo della legge delega, che contemplava l'individuazione di «misure di coordinamento»;
   l'articolo 4 (ispettorati territoriali) del decreto del Presidente della Repubblica 23 febbraio 2016 stabilisce che gli ispettorati territoriali, con a capo ciascuno un dirigente denominato «capo dell'ispettorato territoriale», hanno sede presso gli ambiti provinciali elencati, esercitando le proprie funzioni e competenze negli individuati ambiti provinciali;
   l'ispettorato territoriale del lavoro di Rovigo, con il citato decreto del Presidente della Repubblica, risulta essere stato accorpato all'ispettorato di Ferrara, costituendo così l'ispettorato territoriale del lavoro di Ferrara-Rovigo. Tale scelta rappresenta uno dei rarissimi casi in cui si è scelto di accorpare, senza argomentarne effettivamente le ragioni di fondo, uffici appartenenti a regioni diverse, a fronte di una situazione per cui gli enti che dovrebbero essere coordinati hanno tutti una struttura «regionale» (Inps-Inail) e gli enti e le strutture con i quali rapportarsi sistematicamente per l'attività di vigilanza anche essi anno struttura regionale (servizi di prevenzione dell'Asl, vigili del fuoco, guardia di finanza, carabinieri e altri);
   nonostante le rassicurazioni, da parte dei vertici dell'ispettorato, che l'accorpamento avrebbe determinato solo la gestione unitaria da parte del dirigente (unico) senza pregiudizio per le funzioni, le competenze, la professionalità e la stabilità occupazionale dei singoli uffici «accorpati», la sede di Rovigo, in assenza di provvedimenti previsti, invece, dal citato decreto del Presidente della Repubblica 23 febbraio 2016 («il direttore, con propri provvedimenti, previo parere del consiglio di amministrazione e sentite le organizzazioni sindacali (...) ripartisce le competenze tra gli uffici di cui all'articolo 2 comma 4») dal 1o gennaio 2017 è stata di fatto considerata «sede accorpata» e subordinata all'ufficio principale di Ferrara che è stato così definito da varie note pervenute dai vertici dell'ispettorato;
   l'ufficio sede di Rovigo potrebbe così risultare privo di autonomia, dipendente dalla sede «principale di Ferrara», con rischio di future ricadute negative sul personale, che rischierebbe di vedersi sottrarre funzioni e competenze attribuite alla sede «principale»;
   ciò verrebbe a produrre negative ricadute anche per gli utenti-cittadini che rischierebbero di non avere più un qualificato interlocutore sul proprio territorio, per le aziende, per le organizzazioni sindacali e per i professionisti del settore che verrebbero costretti a rivolgersi, per molte «funzioni», alla sede di Ferrara;
   esiste una assoluta peculiarità del territorio polesano caratterizzato dalla presenza di realtà produttive assolutamente variegate e distribuite da un punto di vista logistico su un territorio molto esteso –:
   se intenda chiarire attraverso quali criteri siano avvenute le scelte e la ripartizione e quali correzioni sia possibile effettuare per una corretta organizzazione dei ruoli e delle sedi dell'Agenzia unica nella provincia di Rovigo. (5-10652)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un piano di riorganizzazione aziendale «lacrime e sangue» è quello presentato il 17 gennaio 2017 dai vertici di Sky Italia alle rappresentanze sindacali, con le maggiori ripercussioni, tra trasferimenti e riduzioni di organico, sui lavoratori della sede romana (70 per cento);
   a comunicarlo è stato l'amministratore delegato Andrea Zappia, durante un incontro con i responsabili delle risorse umane e le rappresentanze sindacali, motivando la scelta come necessaria per competere con Netflix e altre piattaforme che forniscono un servizio di tv online;
   il piano prevede: per la sede romana di via Salaria, 120 esuberi e 300 trasferimenti a Milano; per quella di Cagliari, il trasferimento, sempre nella sede milanese, di 10 persone della « control room» e, per la stessa sede di Milano, altri 80 esuberi dell'area finanza, controllo di qualità e service and delivery della stessa sede milanese;
   il rischio di 420 posti di lavoro a Roma – senza dimenticare l'indotto nel quale lavorano altre 500 persone – è la conferma di un depauperamento del territorio capitolino e della totale assenza di politiche volte a rendere attrattiva e produttiva la scelta di investire e restare sul territorio romano, già segnato da altre tristi vicende come quella di Almaviva;
   la logica « for profit», accompagnata molto spesso da quella del « short termist», non può ignorare i drammi psicologici e familiari, oltre a quelli economici, che si celano dietro licenziamenti e trasferimenti di massa di oltre 600 chilometri –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda urgentemente adottare in merito alla vicenda esposta in premessa, a salvaguardia di una importante realtà produttiva e occupazionale per il territorio.
   (5-10653)


   COPPOLA, GRIBAUDO, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GNECCHI, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha delegato il Governo ad emanare norme intese a riordinare, armonizzare e razionalizzare le discipline dei diversi regimi previdenziali, in materia di contribuzione figurativa, di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria, nonché a conformarle al sistema contributivo di calcolo;
   il primo provvedimento emanato in attuazione di questa delega è stato il decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, che disciplina, oltre alla contribuzione figurativa, anche la copertura di alcuni periodi scoperti da contribuzione e valutabili mediante riscatto;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 564 del 1996 riconosce «in favore degli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti e alle forme di essa sostitutive ed esclusive, i periodi successivi al 31 dicembre 1996, di formazione professionale, di studio o di ricerca, privi di copertura assicurativa, finalizzati alla acquisizione di titoli o competenze professionali richiesti per l'assunzione al lavoro o per la progressione in carriera, possono essere riscattati a domanda, qualora, ove previsto, sia stato conseguito il relativo titolo o attestato, mediante il versamento della riserva matematica secondo le modalità di cui all'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni e integrazioni»;
   dalla normativa in vigore, risulta dunque che, solo a partire dal 1o gennaio 1997, si possono riscattare gli anni di formazione professionale;
   risulta che, a causa del tardivo intervento legislativo, coloro i quali hanno partecipato a corsi professionali antecedenti la data del 1o gennaio 1997 siano rimasti esclusi, pur essendo in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge sopra citata, in quanto possessori sia dell'attestato professionale sia della vidimazione apposta sul libretto di lavoro dei periodi formativi;
   numerosi lavoratori che negli anni precedenti hanno frequentato corsi di formazione professionale hanno ricevuto risposta negativa dall'Inps in esito alla richiesta di accredito dei contributi per i periodi di frequenza –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte a modificare la normativa vigente, al fine di consentire ai lavoratori, che hanno frequentato e concluso corsi di addestramento professionale anche in periodi antecedenti il 31 dicembre 1996, in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, di vedere riconosciuto il computo dei periodi di frequenza, ovvero di ottenere la possibilità di riscatto a titolo oneroso degli stessi ai fini previdenziali. (5-10656)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, COLLETTI, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, GRILLO, COLONNESE e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i gas medicinali, secondo la descrizione dell'Unione europea, sono quei gas utilizzati in vivo per eseguire diagnosi mediche o per ristabilire, correggere o modificare funzioni fisiologiche. Questi gas sono quindi, a tutti gli effetti, considerati prodotti farmaceutici;
   secondo l'ultima edizione della Farmacopea ufficiale italiana, i gas medicinali sono farmaci a norma di legge e l'ossigeno è contemporaneamente assimilabile ad un dispositivo medico;
   con il decreto-legge n. 463 del 1983, l'ossigeno gassoso è stato inserito nel prontuario dei farmaci concessi dal servizio sanitario nazionale, rimanendo però esclusi dalla rimborsabilità l'affitto ed il trasporto della bombola e l'acquisto degli accessori (come i deflussori e le cannule);
   negli anni l'utilizzo più frequente delle bombole distribuite dalle farmacie ha riguardato i malati terminali con i familiari abituati a recarsi nella farmacia più comoda per approvvigionarsi della bombola;
   recentemente entrata in vigore la determina dell'Aifa del 3 aprile 2015 che impedisce ai produttori di riempire bombole di proprietà di terzi (farmacie, ospedali, autoambulanze, e altro). Questa decisione è stata presa dall'Agenzia «al fine di assicurare la qualità e la piena conformità del gas medicinale immesso sul mercato». Per ottemperare a tale necessità di qualità e sicurezza, i produttori di ossigeno terapeutico dovranno «utilizzare esclusivamente bombole proprie o appartenenti al titolare dell'Aic»;
   l'Aifa ha così deciso che, al fine di mettere in commercio bombole di ossigeno in condizioni tali da garantire la qualità del gas medicinale contenuto, il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio non essendo responsabile del loro contenuto, deve essere il proprietario delle bombole;
   risulta evidente che, non avendo più la possibilità di riempire le proprie bombole, le farmacie potranno solo offrire al pubblico bombole di terzi, il cui controllo, la cui taratura e quant'altro spetta ad altri;
   pare evidente che non ci sia alcuna differenza tra un contenitore, collaudato, certificato e a norma, di proprietà del distributore o della farmacia;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha da pochi giorni concluso l'istruttoria, nei confronti di imprese che forniscono servizi di assistenza domiciliare di ossigenoterapia e ventiloterapia, accertando l'esistenza di intese restrittive della concorrenza in occasione di gare bandite per l'aggiudicazione di questi servizi, e comminando sanzioni per complessivi 47 milioni di euro –:
   se non si intendano assumere iniziative per rivedere la disposizione dell'Aifa, che appare eccessivamente restrittiva, in merito alla possibile minore disponibilità e reperibilità immediata di ossigeno da parte dei malati;
   se intenda chiarire quale sarà la destinazione delle tante bombole di proprietà di ambulanze, vigili del fuoco, stabilimenti balneari, farmacie, centri per alpinisti, scalatori e altro;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per mantenere a disposizione delle farmacie le bombole di ossigeno, regolarmente riempite dalle aziende autorizzate e accompagnate da certificazione di qualità e garanzia in conformità alla normativa vigente, in considerazione del fatto che l'uso territoriale delle stesse è prevalentemente finalizzato ai malati terminali e alle varie situazioni di emergenza. (5-10660)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 14 febbraio 2017 i sindacati Cgil e Fp Cgil della provincia di Ravenna, in un comunicato congiunto hanno lanciato l'allarme sui gravi problemi nell'assistenza sanitaria ravennate e hanno chiesto che la direzione aziendale intervenga immediatamente con soluzioni strutturali;
   il sistema sanitario si sta impoverendo, non solo nelle risorse economiche ma anche in quelle umane: mancano medici, infermieri, operatori socio-sanitari e personale tecnico. Tutto ciò porta al rischio di incontrare seri problemi in termini di tenuta dei servizi ai cittadini e di garanzie di sicurezza per gli operatori e i professionisti;
   nel solo territorio di Ravenna le unità mai sostituite sono oltre 130 e, nonostante i ripetuti annunci di assunzioni da parte dell'ausl, le risposte date all'emergenza sono lente e ancora insufficienti:
    i coordinatori infermieristici, quando presenti, sono costretti nei loro uffici a gestire enormi flussi di carte destinati a crescere e in alcuni casi a gestire reparti di dimensioni anche doppie rispetto all'ordinaria capienza;
    si registrano mancate sostituzioni del personale che cessa la propria attività o riesce a ottenere un trasferimento;
    si segnalano tempi lunghissimi per avere le reali sostituzioni in relazione a incarichi a tempo determinato scaduti, alle aspettative, alle gravidanze e alle malattie;
   tutto ciò, da tempo, costringe gli operatori a inaccettabili doppi turni e a rientrare in servizio nei loro periodi di riposo;
   nonostante tutto, gli operatori stanno garantendo l'operatività dei reparti con competenza e senso di responsabilità, ma queste modalità, oltre a una dubbia legittimità contrattuale, determinano un carico eccessivo di lavoro e una forte pressione psicologica;
   questi problemi, affrontati con sporadici provvedimenti «tampone», non accennano a trovare soluzione, come non ha ancora trovato risposta la richiesta di verificare criteri adottati per l'applicazione degli accordi regionali recentemente sottoscritti in merito all'acquisizione delle risorse umane;
   nel comunicato Cgil e Fp Cgil chiedono di rivedere l'attuale organizzazione del lavoro, fissare adeguati standard minimi di personale e garantirne la copertura in maniera omogenea e uniforme in tutta il territorio. Ribadiscono inoltre, l'urgenza degli interventi e la grande preoccupazione, perché in queste condizioni si rischia di pregiudicare i livelli di sicurezza per i dipendenti e per i pazienti e deteriorare la qualità del servizio offerto;
   l'articolo 117 della Costituzione sancisce la potestà statale in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e l'articolo 32 tutela il diritto alla salute sia come diritto individuale che come interesse della collettività;
   il Ministero della salute nell'atto di indirizzo per il 2017 ha confermato quanto concordato in sede di Patto per la salute 2014-2016, e tra l'altro, nell'ambito del Siveas (sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria), il Ministero ha mantenuto l'impegno di portare a regime il nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria. L'obiettivo è quello di applicare e manutenere un sistema unico di monitoraggio, incentivazione e valutazione della garanzia di erogazione dei livelli essenziali di assistenza rivolto a tutte le regioni e le provincie autonome –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa, se risultino situazioni analoghe a quella esposta in altre aree del territorio nazionale e come si intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché siano innanzitutto garantiti i livelli essenziali di assistenza e individuata tempestivamente, ogni soluzione necessaria a ripristinare condizioni ottimali necessarie per la sicurezza e la tutela dei pazienti e dei dipendenti del servizio sanitario nazionale. (4-15688)


   D'INCÀ. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni è in corso in Italia un «fenomeno» di trasformazione dei cementifici in co-inceneritori;
   nel territorio Veneto, teatro di numerosi scempi ambientali, le cui conseguenze si riflettono sull'ambiente e sulla salute dei cittadini, risultano essere presenti sei cementifici a ciclo completo, tutti in zone di pregio ambientale, con valenze turistiche e attività agricole cruciali per la regione, tra cui «Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene» candidate, peraltro, in questi giorni ad essere inserite nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco del sito veneto;
   nel 1996 la provincia di Treviso ha autorizzato il cementificio Rossi ad avviare un'attività «sperimentale», nel comune di Pederobba (TV), di co-incenerimento di 35.000 tonnellate di pneumatici. Tali rifiuti, passati dal 2006 a 60.000 tonnellate annue, raddoppiando di fatto le potenzialità dell'inceneritore, e sommati ad altrettante tonnellate di pet-coke, notoriamente considerato la «feccia della raffinazione petrolifera» per gli alti livelli di zolfo, Ipa (in particolare benzopirene) e metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio, fanno sì che il cementificio si collochi tra i primi posti tra gli stabilimenti più impattanti d'Italia per le emissioni di monossido di carbonio e che il comune di Pederobba risulti essere tra i quattro comuni della provincia di Treviso con il maggior carico emissivo;
   nel 2012 la regione Veneto autorizzava a Pederobba anche due cogeneratori a biomasse ed uno stabilimento a olio di colza, nonostante uno studio approfondito sugli inquinanti dell'aria dell'Arpav del 2008 avesse riscontrato che i valori di concentrazione di benzo(a)pirene monitorato presso tutti i siti di Pederobba, si collocassero su livelli sensibilmente superiori al limite previsto dalla normativa, ovvero 1,7 ng/mc contro il livello di legge fissato a 1.0 ng/mg;
   di recente l'azienda ha presentato alla provincia una richiesta «di ampliamento della specificazione merceologica» volta ad ottenere l'autorizzazione a co-incenerire anche plastiche e gomme da rifiuto, mettendo in moto la procedura di valutazione d'impatto ambientale che coinvolge provincia e regione;
   detta procedura, risulta essere in fase di «scoping» ovvero un'analisi preliminare con lo scopo di definire i riferimenti concettuali e operativi attraverso i quali si elaborerà la valutazione di impatto ambientale;
   la suddetta vicenda ha messo in allarme le associazioni di cittadini per la tutela dell'ambiente del luogo (tra cui l'associazione Arianova) che chiedono che si effettui, prima di ogni ulteriore autorizzazione di nuove potenziali forme di inquinamento, uno studio epidemiologico sulla popolazione relativo all'impatto sulla ventennale attività di incenerimento di pneumatici nel locale cementificio;
   tale richiesta è dettata anche dalle evidenze di due recenti studi, il primo, pubblicato nel 2012 dalla Fondazione IRCCS Istituto Tumori e Mario Negri di Milano ed il secondo, direttamente rilevante per il comparto cemento del Veneto, in quanto effettuato a Fumane (Vr) dove insisteva una decennale attività di uno stabilimento dell'Industria Giovanni Rossi spa;
   tali studi confermano la notevole rilevanza sanitaria per la popolazione residente in prossimità di cementifici e la necessità di adozione di misure stringenti per il monitoraggio ed il contenimento dell'inquinamento –:
   se il Governo non ritenga opportuno, per quanto di competenza, adottare iniziative volte a promuovere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, uno studio epidemiologico da effettuare sulle popolazioni dei territori interessati, nel rispetto delle direttive europee recanti il «principio di precauzione», e a evitare che questa situazione possa inficiare e pregiudicare il giusto riconoscimento dell'area quale sito dell'Unesco e quindi l'immagine del prosecco e di tutto il distretto ad esso collegato. (4-15689)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 31 gennaio 2017 il tribunale di Torino ha dichiarato ufficialmente il fallimento della filiale italiana della PMT, con sede a Pinerolo, storico stabilimento che impiegava circa 200 persone;
   la crisi aziendale ha inizio nell'agosto 2016, con il deposito da parte dell'azienda di domanda di concordato preventivo e l'apertura di un tavolo istituzionale di confronto;
   a dicembre dello stesso anno il tribunale di Torino aveva autorizzato una procedura competitiva per la cessione dell'azienda conclusasi il 31 gennaio 2017; ha partecipato una società estera, la cui offerta necessita ancora di accertamenti;
   il curatore della PMT Italia ha avviato l'esercizio provvisorio, con 42 lavoratori impiegati, mentre tutti gli altri sono «sospesi» dallo scorso 1o febbraio e privi di forme di sostegno al reddito;
   i 178 che sono stati «sospesi» dal curatore fallimentare sono entrati nel limbo: non ricevono lo stipendio e non possono nemmeno ricevere la cassa integrazione straordinaria per l'assurda situazione creatasi con la riforma del jobs act; se, infatti, tuo fosse accaduto nel dicembre del 2016, i lavoratori avrebbero potuto accedere alla cassa straordinaria, mentre ora invece non è più prevista e per loro si apre solo la prospettiva dell’«Aspi», la nuova disoccupazione, ma solo quando saranno licenziati e nel mentre non è prevista nessuna copertura;
   se si procedesse al licenziamento collettivo, ciò garantirebbe ai lavoratori non riassorbiti la «NASPI»; tuttavia, l'obiettivo vero è che la procedura di acquisizione – sembra sia in corso una trattativa con un'azienda della Repubblica Ceca – si concluda al più presto con la riassunzione di tutti i lavoratori –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda adottare a tutela e salvaguardia dei lavoratori interessati dalla vicenda, che attualmente non dispongono di copertura reddituale derivante da ammortizzatore sociale;
   se non si ritenga opportuno convocare in tempi rapidi un tavolo istituzionale ad hoc, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate per addivenire ad una rapida soluzione della vicenda. (5-10651)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono indispensabili provvedimenti urgenti per la ripresa dell'attività produttiva delle miniera di Olmedo e l'adozione di misure finalizzate ad attenuare gli effetti della crisi economica del territorio;
   a seguito della pubblicazione di una manifestazione di interesse che ha visto la partecipazione di diverse società, l'assessorato all'industria della regione autonoma della Sardegna, ha avviato le procedure per l'assegnazione della concessione mineraria alla cordata sardo greca Sms Log e la European Bauxite Sa;
   l’iter è stato completato, a causa di una serie di ritardi, solo nel mese di settembre 2016;
   a novembre dello scorso è stata inoltrata la richiesta di voltura della concessione mineraria in favore della Elmin Italia Srl, controllata della stessa European Bauxite Sa;
   la procedura si esaurirà, nei primi giorni del mese di marzo 2017, scaduti i termini di pubblicazione al Bollettino ufficiale della regione autonoma della Sardegna;
   nel frattempo, in occasione di diversi incontri, la regione, seppur in maniera informale, ha sempre assicurato la ripresa dell'attività estrattiva e la riassunzione di tutti i lavoratori in mobilità che per alcuni scadrà a luglio e per altri a dicembre 2017;
   sin dal mese di settembre del 2016, alla presenza della regione autonoma della Sardegna la società concessionaria ha assunto l'impegno di precisare in un apposito incontro i tempi di riavvio dell'attività produttiva e del riassorbimento dei dipendenti;
   l'incontro suddetto non si è mai tenuto;
   a seguito dei numerosi solleciti, e di diversi rinvii, la società Elmin Bauxite SA, ha finalmente comunicato la propria disponibilità a partecipare, in video-conferenza, ad una riunione alla presenza delle segreterie territoriali fissata per il giorno 10 febbraio 2017, ciononostante, senza alcun preavviso e in assenza di qualunque plausibile motivazione, la predetta società ha comunicato la propria indisponibilità a partecipare all'incontro programmato;
   il sindaco di Olmedo Toni Faedda e i lavoratori hanno manifestato tutto il loro disappunto per la condotta ingiustificata della società Elmin Bauxite S.A., in dispregio delle legittime aspettative dei minatori, delle organizzazioni sindacali, della stessa RAS, e di un intero territorio ridotto allo stremo dalla perdurante congiuntura negativa;
   nei giorni successivi, a quanto consta all'interrogante la società greca ha voluto precisare di essersi da tempo attivata per il tempestivo avvio dell'attività estrattiva, lamentando al contempo che la regione Sardegna non ha provveduto all'ottenimento delle richieste autorizzazioni, rimanendo inoltre inadempiente rispetto ad una serie di impegni assunti, impedendo di fatto la ripresa dell'attività produttiva;
   impedimenti che, come paventato dalla Elmin Bauxite S.A., potrebbero perfino comportare da parte della stessa società la rinuncia alla concessione mineraria;
   è pertanto necessario provvedere senza ulteriore ritardo agli adempimenti di competenza per consentire la ripresa dell'attività produttiva, con la presentazione del piano industriale e l'immediato riassorbimento delle maestranze;
   la situazione della miniera di Olmedo rappresenta l'emblema di un intero territorio che, pur provvisto di rilevanti risorse e potenzialità, subisce i gravi effetti di una perdurante crisi economica che ha prostrato il tessuto produttivo con risvolti sociali e occupazionali ormai non più sostenibili –:
   se il Governo non ritenga di adottare ogni iniziativa opportuna al fine di consentire la tempestiva ripresa dell'attività estrattiva e la riassunzione dei minatori;
   se il Governo non ritenga, in considerazione della gravità della situazione che affligge il nord-ovest della Sardegna, di assumere le indifferibili iniziative a sostegno dei settori produttivi del territorio, valorizzando il patrimonio ambientale e culturale, rendendo fruibili le ingenti risorse della programmazione comunitaria e attribuendo ai sindaci i mezzi necessari per sostenere i sempre più numerosi sardi ormai non più in grado di provvedere alle proprie esigenze essenziali. (5-10657)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Fercam avrebbe dovuto acquisire l'azienda Artoni, attraversata da una difficile e complicata situazione finanziaria che avrà conseguenze drammatiche dal punto di vista occupazionale con la perdita di 586 posti di lavoro diretti e circa 2500 dipendenti di altrettante aziende in appalto;
   l'esame congiunto previsto dalla normativa vigente, articolo 47 della legge n. 428 del 1990, svoltosi il 10 febbraio 2017 non ha portato ad accordi a causa di una posizione della società Fercam che ignorava la procedura iniziale riguardante tutti i 586 dipendenti dell'intero perimetro aziendale e le 39 filiali operative. Fercam dichiarava al tavolo sindacale che il fitto di ramo e la successiva cessione, contrariamente alle comunicazioni di rito, avrebbe riguardato 400 unità lavorative e 22 filiali, anziché 39, stravolgendo di fatto la procedura, lasciando 170 lavoratori senza lavoro e senza salario;
   le organizzazioni sindacali hanno confermato l'intenzione di tutelare tutti i 586 lavoratori dipendenti con le garanzie previste dalla norma, articolo 2112 c.c., e nel contempo si sono rese disponibili ad affrontare, previa presentazione di un piano industriale da parte di Fercam, gli eventuali problemi legati alle eccedenze di personale;
   in seguito alla posizione di rigidità assunta dalla Fercam, i sindacati hanno inoltrato una ulteriore proposta consistente in una richiesta di congruo incentivo all'esodo per quei lavoratori non interessati al passaggio, oltre che in ammortizzatori sociali conservativi per la restante parte. La società Fercam ha respinto tale proposta dichiarando la disponibilità ad erogare qualche mensilità e licenziando di fatto 170 lavoratori;
   il 14 febbraio 2017 è stato convocato un incontro per il 15 febbraio da Artoni per il prosieguo dell'esame congiunto, ma all'incontro la Fercam/Artoni srl, società che avrebbe dovuto assumere in fitto il ramo d'azienda, non si è presentata;
   le segreterie nazionali dei sindacati, al fine di evitare ulteriori conseguenze negative per gli oltre 3.000 lavoratori, diretti e indiretti e l'aggravarsi della situazione sociale per la perdita del lavoro, hanno scritto al Ministero dello sviluppo economico richiedendo un incontro urgente con la convocazione di tutti i soggetti interessati per determinare un percorso condiviso, salvaguardare i livelli occupazionali e la condizione sociale delle maestranze interessate –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave crisi aziendale dell'azienda Artoni e della situazione descritta in premessa;
   se non si ritenga opportuno intervenire in tempi brevi per convocare un tavolo di trattativa per la salvaguardia dei lavoratori a rischio e per evitare la chiusura di un'importante attività economica.
   (4-15675)


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 della legge n. 154 del 2016 sulla semplificazione e competitività del settore agroalimentare stabilisce che «l'attività di costruzione, sistemazione e manutenzione del verde pubblico o privato affidata a terzi» può essere esercitata dai florovivaisti (cioè coloro che producono anche piante) iscritti al registro ufficiale dei produttori (RUP) oppure da «imprese agricole, artigiane, industriali o in forma cooperativa, iscritte al registro delle imprese della CIAA, che abbiano conseguito un attestato di idoneità che accerti il possesso di adeguate competenze»;
   l'attestato di idoneità sarà rilasciato attraverso il superamento di corsi appositi;
   il medesimo articolo specifica che saranno le regioni a disciplinare i corsi di formazione per ottenere l'idoneità e, quindi, in ultima istanza a decidere chi potrà occuparsi del verde;
   le stesse regioni hanno auspicato che vi sia omogeneità tra i corsi, chiedendo al Governo di definire (a livello nazionale) orari, argomenti, modalità e titolarità dei corsi;
   dopo mesi di quello che all'interrogante appare un «rimpallo» di responsabilità, il Ministero dello sviluppo economico (titolare della formazione) ha indicato che deve essere il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ad occuparsene e a delineare date e modalità dei corsi per l'idoneità;
   ad oggi non ci sono aggiornamenti al riguardo e tutto sembra fermo;
   da settembre 2016 chi vuol diventare giardiniere (senza essere vivaista), non può effettivamente far nulla, solo aspettare che vengano definiti i corsi;
   la norma in questione sarà vincolante anche per i manutentori del verde che già operano;
   nei bandi pubblici sono state, però, introdotte le nuove disposizioni di legge e tanti giardinieri sono stati esclusi dagli appalti, perché non in possesso del certificato –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della criticità della situazione, se intendano assumere iniziative per prevedere un periodo di transizione per coloro che già esercitano la professione o che si accingano a farlo, durante il quale sia possibile proseguire l'attività e/o accedere ai nuovi appalti pubblici, con l'impegno di sostenere i corsi di idoneità appena saranno ufficializzate date e modalità degli stessi, e se intendano, al più presto, assumere iniziative, per quanto di competenza, per formalizzare l'attivazione dei suddetti corsi di concerto con le regioni. (4-15677)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-15638, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Giorgia Meloni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ferranti e altri n. 5-10647, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Zan.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Vecchio n. 5-01515 del 20 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Laffranco n. 4-15442 del 3 febbraio 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AIRAUDO e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane oltre mille giornalisti in una petizione pubblica hanno manifestato profonda preoccupazione per la cosiddetta «riforma» varata dal consiglio di amministrazione dell'Inpgi (Istituto nazionale previdenza giornalisti italiani) che stabilisce un prelievo di solidarietà dalle pensioni in essere, eleva l'età pensionabile a 66 anni e 7 mesi di età, sancendo quelle che appaiono inique e incostituzionali disparità tra gli iscritti e rappresentando di fatto un ostacolo al riequilibrio del mercato del lavoro tra ingressi e uscite, e taglia pesantemente molte delle prestazioni erogate;
   tali misure, oltre tutto, non appaiono agli interroganti idonee a mettere in sicurezza i conti dell'Istituto a causa della grave crisi che attanaglia oramai da 6 anni il settore dell'editoria –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per accertare la reale situazione dei conti dell'Inpgi;
   se il Governo non intenda verificare, per quanto di competenza, la corrispondenza dei bilanci dell'Inpgi degli ultimi quattro anni alla reale situazione economica e finanziaria;
   se il Governo non intenda verificare la sussistenza oggettiva delle plusvalenze derivanti dai conferimenti immobiliari al fondo «G. Amendola» e assumere ogni iniziativa di competenza per chiarire tali operazioni contabili;
   se il Governo non ritenga di dover acquisire la stima complessiva della rivalutazione del patrimonio immobiliare operata, con l'avvio del fondo, dall’«esperto indipendente», nonché le stime di apporto dei conferimenti redatte dal medesimo «esperto indipendente», onde accertare la corrispondenza con i reali valori di mercato dell'epoca;
   se il Governo non intenda individuare quali siano le cause che con tutta evidenza, ad avviso degli interroganti, hanno attenuato il ruolo di vigilanza e controllo da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri competenti (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell'economia e delle finanze) presenti negli organi collegiali dell'Inpgi, di fronte al determinarsi del gravissimo e irreversibile sbilancio nei conti dell'ente provocato dal ricorso continuo agli stati di crisi da parte degli editori, ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione;
   se il Governo non intenda accertare se quello che gli interroganti giudicano un affievolimento, di fatto, del ruolo di vigilanza da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri interessati continui tuttora;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché nella dismissione delle case dell'Inpgi vengano introdotti e rispettati criteri di trasparenza;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere perché i prezzi di vendita siano rapportati alla situazione reale e attuale del mercato immobiliare, con l'applicazione dello sconto riconosciuto dalle consuetudini su alloggi occupati, e affinché siano garantite tutele reali per le fasce deboli e per chi non può comprare;
   se non si intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza sostanziale, oltre che formale, del bando di gara pubblico e delle varie fasi nella costituzione e gestione del fondo «G. Amendola»;
   se non si intendano assumere iniziative per chiarire le finalità dell’«operazione Fondo», viste le dichiarazioni dei vertici dell'Inpgi che solo due anni fa escludevano tassativamente di voler vendere, e le finalità del piano di dismissioni, considerate le incongrue modalità con cui, ad avviso degli interroganti, si sta attuando;
   quali iniziative il Governo intenda attivare affinché, anche nel piano di dismissioni si tenga conto della natura pubblica del patrimonio dell'Inpgi, che ha funzioni sostitutive dell'Inps ed è ente previdenziale privatizzato incaricato di pubbliche funzioni a norma dell'articolo 38 della Costituzione, con finalità puramente sociali, e non di perseguimento del massimo profitto mediante quelle che appaiono agli interroganti spericolate e oblique operazioni immobiliari;
   se non si intenda verificare con quali strumenti e con quali modalità l'Inpgi affronti, per garantire le normali attività e il pagamento delle prestazioni dovute per legge, le esigenze di cassa e le carenze di liquidità;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda predisporre per riportare l'Inpgi sui binari della trasparenza nonché della sana e prudente gestione;
   come si intenda garantire a chi ha versato «fior fiore» di contributi per decenni, a chi è in pensione, a chi sta per andarci e a chi si avvicina o svolge una professione che ha attinenza con i diritti costituzionali quale il diritto all'informazione, la certezza di avere una previdenza e un'assistenza degne di questo nome;
   se, in situazione così gravemente compromessa, il Governo non ritenga indispensabile assumere le iniziative di competenza per il commissariamento dell'ente, qualora tale misura non fosse già tardiva. (4-15254)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente alla situazione finanziaria dell'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI) si rappresenta quanto segue sulla base degli elementi informativi forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP).
  Preliminarmente, è opportuno ricordare che, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, la vigilanza sugli enti previdenziali privatizzati, tra cui, per l'appunto, l'INPGI, è esercitata, in via primaria, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze, nonché, per due sole Casse (Cassa forense e Cassa del notariato), anche dal Ministero della giustizia. Tale vigilanza, in particolare, si estrinseca:
   nella nomina di rappresentanti nei collegi sindacali;
   nella formulazione di motivati rilievi sui documenti contabili e sulle delibere contenenti criteri direttivi generali;
   nell'approvazione delle delibere adottate in materia previdenziale, assistenziale, statutaria e organizzativa.

  I predetti Ministeri esercitano inoltre un'attività di vigilanza sull'equilibrio finanziario di lungo termine delle gestioni degli enti previdenziali privatizzati.
  È infine attribuito al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, un potere di commissariamento degli enti previdenziali privatizzati nei casi previsti dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, ossia:
   disavanzo economico-finanziario, così come rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dal bilancio tecnico;
   gravi violazioni di legge sulla corretta gestione da parte degli organi di amministrazione e di rappresentanza.

  L'esercizio del potere di commissariamento è inoltre previsto in caso di mancata adozione dei provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, sulla base delle risultanze dei bilanci tecnici (articolo 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995).
  In siffatte ipotesi, il commissario straordinario è tenuto ad adottare tutti i provvedimenti necessari al riequilibrio della gestione economico-finanziaria degli enti in parola.
  Tanto premesso, occorre precisare che la situazione in cui versa l'INPGI trae le sue origini dalla profonda crisi del settore dell'editoria che ha avuto notevoli ripercussioni sui livelli occupazionali della categoria determinando, a carico della gestione, un aumento dei costi per il ricorso agli ammortizzatori sociali.
  I Ministeri vigilanti hanno posto la massima attenzione sulla situazione finanziaria dell'INPGI, rappresentando all'istituto medesimo, sia in sede di valutazione delle modifiche regolamentari e dei relativi bilanci tecnici sia in sede di trattazione dei bilanci d'esercizio, la necessità di adottare misure correttive finalizzate al riequilibrio della gestione.
  Al riguardo, proprio al fine di assicurare la sostenibilità della gestione previdenziale e la tenuta del sistema, il consiglio di amministrazione dell'INPGI ha promosso, sin dal luglio dello scorso anno, un processo di riforma del proprio regime previdenziale. Tale processo avviato sulla base dei rilievi dei Ministeri vigilanti e attualmente al vaglio degli stessi, prevede una serie di interventi tra i quali la modifica del sistema di calcolo pensionistico mediante l'introduzione, a decorrere dal 1o gennaio 2017, del modello di calcolo contributivo in analogia al sistema pensionistico in vigore nell'Assicurazione generale obbligatoria (AGO).
  È inoltre sottoposta all'esame dei Ministeri vigilanti la delibera n. 62 del 28 settembre 2016 con la quale il consiglio di amministrazione dell'INPGl è intervenuto sulla materia previdenziale e assistenziale, definendo nel contempo un'articolata struttura di salvaguardie. Parimenti, risulta essere al vaglio dei predetti Ministeri la delibera n. 63 del 28 settembre 2016 che istituisce, per un periodo di tre anni a decorrere dal 1o gennaio 2017, un contributo di solidarietà da porre a carico di tutti i percettori di rendite pensionistiche. Allo stato, pertanto, i Ministeri vigilanti stanno valutando, sulla base degli elementi tecnici messi a disposizione dall'INPGI, la compatibilità del nuovo sistema (ivi comprese tutte le deroghe previste) con l'obiettivo prioritario di concorrere al progressivo risanamento della gestione, nella prospettiva di assicurarne la stabilità di lungo periodo.
  Alla luce di quanto sin'ora esposto, pertanto, non sembrano sussistere, allo stato attuale, i presupposti per la nomina di un commissario straordinario prescritti dal decreto legislativo n. 509 del 1994.
  Con riferimento alla gestione del patrimonio immobiliare dell'INPGI e agli indirizzi strategici assunti in tale ambito dal consiglio di amministrazione dell'Istituto, occorre ricordare, in via generale, che le procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati sono escluse dall'applicazione dei princìpi e delle norme vigenti sulle dismissioni immobiliari degli enti pubblici.
  Gli enti previdenziali privatizzati, infatti, hanno la piena autonomia gestionale del proprio patrimonio ai fini del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e in un'ottica di tutela degli interessi previdenziali ed assistenziali dei propri iscritti. L'attività di investimento di tali enti soggiace ai soli limiti derivanti dalla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica delle operazioni di acquisto e vendita di immobili, ai sensi dell'articolo 8, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 2010.
  Nel caso in esame. l'INPGI ha precisato che le procedure di costituzione del fondo immobiliare «G. Amendola», nonché le modalità di gestione e di governance dello stesso, sono state sempre adottate nel rispetto della normativa vigente. In particolare, l'individuazione della società alla quale affidare la gestione del fondo è avvenuta sulla base di una formale procedura di gara europea, disciplinata dal codice degli appalti, le cui fasi si sono svolte nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, correttezza e trasparenza in ordine alla valutazione delle offerte da parte della commissione esaminatrice.
  L'Istituto ha altresì evidenziato che la stima del valore del patrimonio confluito nel fondo immobiliare è avvenuta, in conformità ai protocolli standard per tale tipologia di operazioni, sulla base di una procedura di valutazione da parte di una società specializzata. Quest'ultima, in qualità di soggetto terzo e indipendente, ha provveduto a determinare l'ammontare delle singole unità immobiliari. L'intero processo è stato peraltro reso pubblico sul sito web istituzionale dell'INPGI.
  Per quanto concerne il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali privatizzati, occorre ricordare che l'articolo 14 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha introdotto una specifica disciplina che mira a rafforzare tale attività attribuendola alla COVIP. La COVIP esercita il controllo anche mediante ispezioni presso gli enti in parola, richiedendo la produzione degli atti e dei documenti ritenuti necessari.
  Ai sensi del decreto ministeriale del 5 giugno 2012, la COVIP è tenuta a trasmettere ai Ministeri vigilanti, entro il 31 ottobre di ogni anno, una relazione dettagliata sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio, alla fine dell'anno precedente, di ciascuno degli enti in parola.
  Nel caso in esame, le relazioni annuali trasmesse dalla COVIP hanno evidenziato talune problematiche in ordine alla gestione patrimoniale dell'INPGI concernenti principalmente l'eccessiva concentrazione degli investimenti nel real estate la cui incidenza sulle attività totali è passata dal 51,8 per cento alla fine del 2014 al 53,2 per cento alla line del 2015. Tali investimenti condizionano in maniera significativa il grado di liquidità delle risorse a disposizione della gestione sostitutiva dell'AGO con la conseguente necessità di, rimodulare la politica di investimento mediante la valorizzazione e la vendita degli investimenti immobiliari.
  Al riguardo, l'INPGI ha precisato che l'operazione di dismissione del patrimonio immobiliare confluito nel Fondo «Giovanni Amendola» è attuata dalla società incaricata della gestione dello stesso e che quest'ultima sta realizzando, in autonomia, le diverse fasi del piano di vendita, predisposto sulla base dei princìpi e delle procedure standard di mercato,
  Riguardo poi alle preoccupazioni sollevate circa la «reale situazione dei conti» dell'INPGI e sulla «corrispondenza dei bilanci degli ultimi quattro anni alla reale situazione economica e finanziaria», occorre precisare che i bilanci dell'istituto, in attuazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo 509 del 1994 e delle altre norme di legge, regolamentari o statutarie che disciplinano la materia, sono sottoposti, oltre che alle ordinarie procedure di verifica ad opera della società di revisione dei conti e del collegio sindacale, ai controlli dei Ministeri vigilanti e della Corte dei conti. Tali attività di controllo mirano a garantire la totale veridicità della rappresentazione contabile in relazione ai fenomeni sostanziali sottesi.
  Infine, per quanto concerne la presunta «attenuazione del ruolo di vigilanza e di controllo» sull'attività dell'INPGI da parte dei rappresentanti delle amministrazioni vigilanti nel collegio sindacale dell'Istituto, occorre precisare che, nell'atto parlamentare in esame, non risultano adeguatamente esplicitate e motivate le presunte «cause» che, a giudizio degli interroganti, avrebbero determinato «l'attenuazione del ruolo di vigilanza e controllo» da parte dei suddetti rappresentanti.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   ALBANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stampa, nazionale e locale, ha dato grande risalto allo studio iniziato dall’«Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull'economia delle riforme della giustizia», presso il Ministero della giustizia, presieduto dalla ex Guardasigilli Paola Severino: due milioni di cause, delle 5 milioni pendenti, 139 tribunali messi in classifica considerando la capacità di smaltire vecchi processi e non solo con conseguente valutazione dei costi;
   si apprende che lo studio si è basato, dunque, su 4 tabelle: 1. durata media dei processi; 2. piante organiche; 3. pendenze ultratriennali e 4. dati corti di appello;
   si è dato, però, risalto esclusivamente ad una sola delle tabelle elaborate, ossia a quella relativa alla durata media dei processi civili;
   in questa tabella (durata media dei procedimenti civili) il tribunale di Caltagirone è relegato al 113° posto sui 139 tribunali presenti nel territorio nazionale;
   la CGIL di Caltagirone, ed in particolare la FP Giustizia di Caltagirone hanno sottolineato come la lettura della sola tabella relativa ai tempi medi di definizione dei processi civili è fuorviante se non si tengono presenti anche altri fattori: infatti, se si esamina la tabella relativa alle carenze delle piante organiche si nota che il vero problema del tribunale suddetto consiste nella grave carenza delle piante organiche sia del personale amministrativo che della magistratura;
   il tribunale di Caltagirone è infatti posizionato al 18° posto per scopertura nelle piante organiche dei magistrati, e al 33° posto per scopertura nelle piante organiche del personale amministrativo sempre sui 139 uffici presenti ma, nonostante questo, il tribunale, grazie anche all'impegno e al sacrificio del personale, ha svolto un buon lavoro, in quanto, su 4.920 processi iscritti, ne ha definito 4.417 (riferendosi ai processi civili) –:
   quali iniziative si intendano adottare al fine di provvedere alla completa copertura delle piante organiche, tenendo presente che, per quanto riguarda il personale amministrativo, con la mobilità da altre pubbliche amministrazioni (Ministeri e/o province) potrebbe essere risolto solo il problema della carenza delle piante organiche relative alle qualifiche inferiori (ausiliari ed operatori), mentre per le figure apicali (cancellieri, funzionari e direttori) serve personale qualificato, in quanto è impensabile affidare la gestione di una cancelleria a personale non qualificato e adeguatamente formato, proveniente da altri settori, e per i quali ultimi occorrerebbe bandire nuovi concorsi. (4-09521)

  Risposta. — Riportando gli esiti delle attività di analisi svolte dall’«Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull'economia delle riforme della giustizia», istituito presso questo dicastero, mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Caltagirone, con riferimento alle dotazioni di personale, amministrativo e di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  L'interrogazione consente di richiamare, in premessa, il complesso delle misure avviate per il superamento delle criticità del sistema giustizia che, soprattutto in ambito civile, rallentano la crescita economica del Paese e sono costantemente attenzionate dagli osservatori internazionali.
  La Commissione europea, negli ultimi anni, ha elaborato il rapporto « UE Justice Scoreboard» con l'obiettivo di incrementare l'efficacia dei sistemi giudiziari, nella consapevolezza che il funzionamento degli stessi costituisce fattore essenziale per l'economia. A tal fine, il rapporto si concentra su quei parametri che maggiormente influenzano il business environment, essenziale per le imprese e per gli investimenti.
  Nell'ultimo rapporto, pubblicato ad aprile 2016, l'Italia ha registrato un apprezzabile miglioramento nella maggior parte degli indicatori di efficienza del sistema giudiziario.
  Se da un lato il Paese si colloca ancora negli ultimi posti della graduatoria europea sui tempi di risoluzione delle controversie, dall'altro il rapporto riconosce il netto miglioramento dei tempi medi, passati dagli oltre 600 giorni nel 2013 a poco più di 500 nel 2014.
  In particolare, nel rapporto viene riconosciuto il primato europeo dell'Italia nella capacità di «smaltimento» degli affari iscritti (clearance rate), misurata con un indice di ricambio pari al 120 per cento.
  Migliora sensibilmente anche il dato sulle pendenze di procedimenti civili, in linea con l'andamento registrato a livello nazionale.
  Com’è noto, la risoluzione delle croniche criticità della giustizia civile ha costituito obiettivo prioritario dell'azione del mio dicastero, sin dall'insediamento.
  Nell'avviare un complessivo piano strategico di riforme, finalizzato ad assicurare adeguati livelli di efficienza del sistema ed una idonea risposta alla domanda di giustizia, il metodo adottato ha inteso coinvolgere nei lavori l'avvocatura, nella consapevolezza del ruolo essenziale che la stessa svolge nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
  Il proficuo confronto avviato ha investito tanto l'aspetto normativo quanto l'assetto organizzativo e, grazie all'impegno ed alla collaborazione dimostrata dall'avvocatura, sono state varate importanti innovazioni e superate inevitabili criticità operative, come avvenuto nella fase di avvio del nuovo processo civile telematico, al cui definitivo ed efficace consolidamento gli avvocati hanno decisamente contribuito.
  Il percorso riformatore ha, difatti, preso avvio dall'informatizzazione del processo civile, nella prospettiva dell'incremento di efficienza, congiunto a risparmi della spesa e all'ottimizzazione delle risorse.
  In pochi anni, l'impatto dell'innovazione tecnologica sul processo civile ha progressivamente consolidato importanti risultati.
  Dopo l'introduzione del processo civile telematico per le cause civili ordinarie iscritte avanti ai tribunali, l'obbligatorietà del PCT è stata estesa ai procedimenti esecutivi fin dalla loro fase introduttiva, nonché – a partire dal 30 giugno 2015 – ai processi celebrati avanti alle corti d'appello. Con l'introduzione generalizzata della facoltà di depositare l'atto introduttivo in via telematica, l'Italia può vantare oggi un processo civile di merito paperless in tutte le sue fasi.
  Inoltre, il 15 febbraio 2016, sono attive, anche presso la Corte di cassazione, le notificazioni e comunicazioni telematiche; contestualmente, è stata attivata sul Portale dei servizi telematici la consultazione dei registri civili, oltre che penali, della Corte, nonché l'elenco delle comunicazioni e notificazioni effettuate in cancelleria a seguito della mancata consegna del messaggio di posta certificata.
  Si tratta del primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità.
  Sempre con riguardo all'essenziale supporto dello strumento telematico, con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, cosiddetto «decreto banche», è stato introdotto il registro elettronico con le informazioni afferenti le procedure esecutive e quelle concorsuali, anche concordate, quali i fallimenti, l'amministrazione straordinaria, i concordati preventivi, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, e così via, denominato Portale dei creditori.
  Sono in corso le attività prodromiche alla realizzazione di tale registro elettronico: si tratta di uno strumento fondamentale per favorire la creazione di un mercato per i crediti deteriorati (Non performing loans-NPL), che finora ha scontato la scarsità di adeguate informazioni, consentendo ai soggetti interessati l'accesso ad un adeguato set informativo, che consentirà la stima del valore dei crediti e l'identificazione dei titolari, da cui poterli eventualmente acquistare.
  In tale prospettiva, uno strumento fondamentale per i creditori sarà anche il cosiddetto Portale unico delle vendite giudiziarie, già in fase avanzata di realizzazione: si tratta di un marketplace unico nazionale per la pubblicazione dei beni di tutte le procedure, concorsuali ed esecutive, in Italia ove risulti fissata la vendita: un luogo virtuale in cui i beni sono resi visibili e le vendite più accessibili.
  Il portale, che entrerà in funzione entro il 31 dicembre 2016, è uno strumento altamente innovativo, non tanto e non solo sotto il profilo tecnologico, quanto, piuttosto, per il mutamento di prospettiva che esso comporterà, superando il localismo delle singole procedure concorsuali per proporsi come strumento di trasparenza e di apertura al mercato.
  Il marketplace e il portale dei creditori costituiscono due dei pilastri del sistema Com. Mon. (Competition Money). Tale sistema, come concepito dalla Commissione ministeriale istituita il 4 agosto 2014, si fonda sulla necessità di sbloccare la parte qualificata dell'enorme massa creditoria, calcolata in circa 200 miliardi di euro, che rallenta la ripresa economica di molte imprese.
  Con la messa in opera del sistema Com. Mon. si mira a fornire un ulteriore strumento di valorizzazione dei crediti deteriorati, che potrà fungere da volano al relativo mercato.
  Oggi, quindi, si può constatare con chiarezza come il percorso di progressiva informatizzazione della giustizia civile non sia finalizzato al mero risparmio di spesa o al mero incremento di produttività del sistema, ma a fornire servizi innovativi, che rechino vantaggi tangibili alla generalità dei cittadini e agli operatori economici.
  Si tratta di un percorso che vede la partecipazione convinta di tutti gli operatori della giustizia: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
  Ad oltre due anni dall'entrata in vigore dell'obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali, e ad oltre un anno dalla facoltà di deposito non cartaceo degli atti introduttivi, i dati sui depositi telematici sono ancora in decisa crescita, segno tangibile della bontà delle scelte compiute.
  Ciò è confermato dai dati sui depositi telematici: nel solo mese di luglio 2016 sono stati eseguiti 645.148 depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti, con un incremento del 15 per cento rispetto al luglio 2015, quando era già in vigore l'obbligo di deposito telematico.
  Notevole anche la crescita dei depositi telematici di atti introduttivi, pari al 53 per cento rispetto allo scorso anno, ancora più significativa in quanto per questa categoria di atti non esiste, a tutt'oggi, l'obbligo, bensì la mera facoltà di invio telematico.
  Complessivamente, nell'ultimo anno sono stati depositati, da parte di avvocati e professionisti, 7,6 milioni di atti.
  Estremamente positiva è stata anche la risposta dei magistrati.
  Nell'ultimo anno (statistica aggiornata ad agosto 2016) sono stati depositati oltre 4 milioni di provvedimenti nativi digitali (di cui 1.231.510 verbali, 417.723 decreti ingiuntivi, 273.273 sentenze), rispetto ai 2,8 milioni circa registrati nell'anno precedente. Qui il dato è ancor più significativo, perché solo una piccola parte di tali depositi (417.723, pari al 10 per cento del totale) si riferisce ai decreti ingiuntivi, che sono attualmente gli unici provvedimenti necessariamente nativi digitali.
  Questi numeri dimostrano una volta di più come la magistratura abbia spontaneamente aderito al processo civile telematico, comprendendone e sfruttandone le potenzialità.
  I tempi di emissione dei decreti ingiuntivi si sono ulteriormente ridotti, raggiungendo punte di decremento, rispetto al periodo anteriore all'obbligatorietà del telematico, pari al 54 per cento per il Tribunale di Roma.
  Ciò costituisce indice anche dell'evoluzione organizzativa degli uffici giudiziari, che hanno saputo incrementare la propria efficienza organizzativa, avvantaggiandosi in misura crescente delle possibilità offerte dalla tecnologia.
  Tali risultati spingono a guardare con fiducia alle prossime evoluzioni in termini di progressiva estensione del PCT a tutti i settori processuali, con la certezza che l'informatica giudiziaria possa costituire valido strumento di velocizzazione dei procedimenti giudiziari nel loro complesso, oltre che di miglioramento oggettivo delle modalità lavorative, in specie per le cancellerie e per l'avvocatura.
  La maggiore efficienza degli strumenti telematici rispetto a quelli tradizionali è immediatamente riscontrabile anche dai consistenti risparmi di spesa, conseguiti attraverso le comunicazioni telematiche. Basti pensare che, nell'ultimo anno, sono state consegnate oltre 18 milioni di comunicazioni telematiche, con un risparmio stimato di circa 63 milioni di euro.
  Sulla scia dell'obbligatorietà del PCT, è notevolmente cresciuto il numero di pagamenti telematici relativi a spese di giustizia.
  Nell'ultimo anno, sono stati eseguiti 126.138 pagamenti telematici, più del doppio rispetto all'anno precedente, quando ci si era fermati a 66.705. Nel solo mese di luglio 2016 i pagamenti sono stati 12.734, laddove nel luglio 2015 ne erano stati eseguiti 9.675, con un incremento, quindi, superiore al 31 per cento.
  Questi dati inducono a guardare con particolare attenzione alla possibile ulteriore estensione dei pagamenti telematici, in vista di una digitalizzazione integrale del processo civile, dal primo atto del processo di cognizione fino all'acquisto all'asta dei beni nell'ambito del processo esecutivo.
  Non va trascurata, poi, l'informatizzazione del settore minorile, sia civile che penale, attraverso la diffusione dell'applicativo SIGMA, completata in pochi mesi su tutto il territorio nazionale, grazie anche all'esperienza maturata nell'evoluzione dei sistemi civili e penali.
  Tale sistema consentirà, peraltro, il pieno funzionamento della banca dati sulle adozioni.
  Inoltre, presso alcuni uffici è già attivo il servizio SIGM@Web, che consente a tutti, cittadini e avvocati, di attingere informazioni sullo stato dei procedimenti proposti innanzi al tribunale per i minorenni, attraverso un semplice collegamento internet che consente l'accesso alla banca dati del software ministeriale.
  Quanto allo sviluppo degli strumenti statistici, le potenzialità offerte dal datawarehouse civile costituiscono ormai un patrimonio acquisito, al quale si attinge costantemente anche ai fini della cooperazione istituzionale con il Consiglio superiore della magistratura. Il livello conoscitivo del contenzioso raggiunto, riguardo al settore civile, ha consentito un'accurata diagnosi delle cause dell'arretrato e l'individuazione di possibili rimedi organizzativi.
  Il processo di digitalizzazione dell'attività amministrativa e processuale è stato supportato anche per il 2016 con l'assegnazione di cospicue risorse, pari ad oltre 86 milioni di euro. Oltre a tali risorse, vanno considerate quelle provenienti dai fondi strutturali europei nell'ambito del PON Governance per importanti progetti di informatizzazione quali il processo penale telematico e la digitalizzazione del processo innanzi ai giudici di pace, che troveranno compimento entro il 2020.
  Pertanto, dovrà essere assicurata la corretta distribuzione e utilizzazione di tali risorse per il dispiegamento degli interventi programmati conseguenti alle riforme normative introdotte quest'anno in tema di digitalizzazione integrale dell'amministrazione centrale, nonché di tutti quelli necessari allo sviluppo della informatizzazione avanzata degli uffici giudiziari.
  Al percorso di informatizzazione avanzata del processo civile sono state affiancate plurime misure, di tipo normativo ed organizzativo, finalizzate a migliorare il livello di efficienza dei servizi e la qualità della risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
  In tale prospettiva debbono essere inquadrati gli interventi normativi, con i quali ho voluto compiere ogni sforzo per avviare a soluzione la difficile situazione della giustizia civile nel nostro Paese.
  Ricordo, al riguardo:
   l'introduzione di forme alternative di risoluzione delle controversie, in primo luogo attraverso il ricorso all'istituto della negoziazione assistita, complementare e non alternativa alla già avviata mediazione, istituti per i quali sono stati previsti anche meccanismi di incentivazione fiscale. Proprio al fine di armonizzare e razionalizzare il quadro normativo in materia e di elaborare una ipotesi di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato e di trovare strumenti per incentivare e costruire un sistema di maggiori convenienze all'utilizzo delle forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho voluto l'istituzione di una Commissione di studio ministeriale per l'elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, di cui a breve sono attesi gli esiti;
   con riguardo alla riforma organica della magistratura onoraria, il decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92, che dà parziale attuazione alla delega di cui alla legge 29 aprile 2016, n. 57, recando la disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio;
   nel quadro delle riforme in itinere, la complessa ed organica revisione della disciplina dell'insolvenza, secondo linee progettuali definite attraverso il lavoro della Commissione Rordorf e già trasfuse in uno schema di disegno di legge delega, nell'ovvia evidenza dei riflessi negativi che può produrre una gestione non adeguata della crisi di impresa, sia in termini strettamente economici, che di immagine del Paese rispetto ai competitors stranieri. In proposito, si può ragionevolmente ritenere che il deficit competitivo del Paese possa essere colmato, contestualmente creando le condizioni per una duratura crescita economica, anche per il tramite di un ripensamento complessivo del sistema processuale fallimentare;
   sempre nel quadro delle riforme in itinere, la complessiva revisione delle regole processuali, mediante il disegno di riforma del processo civile, attualmente in discussione in Parlamento, che intende migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, conferendo maggiore organicità alle competenze specializzate del tribunale delle imprese; rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona; realizzare un processo civile più lineare e comprensibile; assicurare la speditezza del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione. Tale disegno di legge delega recante disposizioni per l'efficienza del processo civile è all'esame della Commissione giustizia al Senato, in sede referente;
   il decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito nella legge 25 ottobre 2016, n. 197, recante, tra l'altro disposizioni urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione e per l'efficienza degli uffici giudiziari, con il quale si è intanto provveduto ad ampliare l'ambito operativo del giudizio camerale in Cassazione, permettere una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo, anche mediante possibilità di applicazione come componenti dei collegi giudicanti, introdurre i tirocini formativi presso la Corte di cassazione e la Procura generale, assumere misure sull'accesso alla magistratura ordinaria e sul tirocinio dei magistrati ordinari (con possibilità, all'esito del concorso in magistratura, di assegnare ai concorrenti, risultati idonei, ulteriori posti rispetto a quelli messi a concorso, nel limiti di un decimo di quelli messi a concorso; contrazione dei tempi di copertura delle attuali vacanze nell'organico degli uffici giudiziari di primo grado, con riduzione da 18 a 12 mesi della durata del tirocinio dei magistrati dichiarati idonei all'esito di concorsi banditi negli anni 2014 e 2015), disporre limitazioni all'assegnazione del personale dell'amministrazione giudiziaria ad altre amministrazioni e regolare i tramutamenti successivi dei magistrati (si eleva da tre a quattro anni il tempo della legittimazione per i tramutamenti successivi dei magistrati);
   la costituzione dell'ufficio per il processo, introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che consente al giudice di avvalersi di una struttura di staff per la gestione delle controversie. Attraverso l'ufficio per il processo si vuole, infatti, favorire l'integrazione di diverse figure professionali, allo scopo di migliorare non soltanto la produttività della giustizia civile nel suo complesso, ma anche la qualità del lavoro giudiziario attraverso un più razionale impiego delle risorse disponibili e di quelle reperite con specifici meccanismi di incentivazione.

  Accanto all'azione riformatrice realizzata sul piano normativo, sono stati adottati specifici interventi di orientamento e sostegno agli uffici giudiziari, al fine di un coerente sviluppo di attività uniformi nella gestione dei flussi.
  Con il progetto «Piano Strasburgo 2», elaborato nel corso del 2015 dal Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei risultati del censimento speciale dell'arretrato civile iniziato nell'anno 2014, positivamente valutato anche dal Consiglio superiore della magistratura, sono stati messi a disposizione di tutti gli uffici giudiziari strumenti utili per abbattere l'arretrato, proponendo di adottare nell'impostazione del lavoro, quale criterio di calendarizzazione delle cause da decidere, quello della assoluta priorità per i procedimenti di più risalente iscrizione.
  Proprio per incrementare al massimo la comunicazione permanente tra Ministero e uffici giudiziari, nella prospettiva di accrescere i processi di responsabilizzazione di tutti gli attori del mondo della giustizia verso la massimizzazione del livello di servizio ai cittadini e creare un proficuo confronto, gli esiti del monitoraggio inerente la giustizia civile e penale, curato dal Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei dati forniti dagli uffici, vengono pubblicati, con aggiornamenti trimestrali, sul sito istituzionale del Ministero.
  A ciò va aggiunta la costituzione, con mio decreto del 12 ottobre 2016, dell'Osservatorio per il monitoraggio dell'efficienza complessiva del sistema giustizia e per la valutazione dell'efficacia delle riforme necessarie alla crescita del Paese, che concluderà il suo mandato nel termine di un anno: esso è volto ad un sistema integrato di monitoraggio del grado di raggiungimento degli obiettivi delle riforme intraprese, ai fini del miglioramento dell'efficienza complessiva del sistema giudiziario, così da sostenere la crescita economica e sociale del Paese.
  L'impegno riformatore, sempre nella linea di necessaria complementarietà tra interventi di carattere normativo e di innovazione organizzativa, ha investito i fondamentali assetti del processo civile.
  È con un certo orgoglio che posso affermare, con il conforto delle statistiche a consuntivo, particolarmente capillari e attendibili anche grazie alla ormai completa possibilità di utilizzo per i dati del settore civile del datawarehouse, come le misure normative ed organizzative adottate abbiano consentito il raggiungimento di confortanti risultati.
  Alla data del 30 giugno 2016, il totale nazionale dei fascicoli pendenti – secondo l'analisi dei dati forniti dagli uffici, raccolti ed elaborati dalla direzione generale di statistica nell'ambito di un monitoraggio periodico pubblicato sul sito istituzionale – risulta, al netto dell'attività del giudice tutelare, pari a 3.886.285 procedimenti, confermando il trend decrescente degli anni precedenti.
  Positivo corollario della riduzione delle iscrizioni e delle pendenze è il contenimento dei tempi di durata delle cause civili.
  Per la prima volta, nell'agosto 2016, i tempi medi di definizione in primo grado sono scesi a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000.
  I dati statistici dei primi due anni di vita dei tribunali delle imprese sono estremamente positivi, con oltre il 90 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2013 giunti a definizione ed oltre il 73 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2014 definiti entro l'anno, con una media complessiva totale dalla nascita delle sezioni specializzate pari all'80 per cento di definizioni entro un anno, con sentenze di primo grado confermate quattro volte su cinque in sede di impugnazione. Quanto ai tempi medi di definizione dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese, essi sono passati da 1.155 giorni del 2012 agli 870 giorni del 2015.
  La positiva esperienza della concentrazione in pochissimi tribunali di questo tipo di contenzioso assume un valore importante per la reputazione anche internazionale del Paese, in quanto rappresenta la risposta, in termini di rapidità e prevedibilità della giurisprudenza, alle critiche che venivano dall'estero.
  La significativa diminuzione dei tempi di trattazione dei procedimenti civili è dato particolarmente significativo, dal momento che rappresenta elemento qualitativo della risposta di giustizia per il cittadino, nonché indicatore chiave di valutazione per gli organismi internazionali.
  E l'inversione di tendenza registrata è stata evidenziata dalla Banca mondiale nel suo ultimo rapporto annuale Doing Business 2016, nel quale l'Italia ha guadagnato, anche grazie al miglioramento dei tempi di trattazione del contenzioso commerciale, 36 posizioni nel ranking mondiale (dalla 147a posizione alla 111a).
  I positivi risultati raggiunti, anche in termini di riduzione dell'arretrato, testimoniano dunque l'efficacia dei numerosi interventi posti in essere, sia di carattere normativo sotto il profilo della deflazione delle cause in entrata, sia organizzativo, allo scopo di velocizzare i tempi di definizione.
  L'efficienza della giustizia civile è un fattore decisivo per la ripresa economica del Paese, oltre che fondamentale terreno di contatto quotidiano per rinnovare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni e la cultura della legalità.
  I risultati raggiunti si sono, in conclusione, senz'altro giovati della complessiva razionalizzazione del sistema, consentendo un più proficuo investimento delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della giustizia, come dimostrato dai dati statistici pubblicati e dagli osservatori internazionali.
  Nella complessiva azione di modernizzazione si iscrive il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, si è, coerentemente, perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1.031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari siciliani.
  In particolare, allo stato, risulta che presso il Tribunale di Caltagirone prestano servizio 41 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 47 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 12,77 per cento, inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici dei distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le politiche sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Sullo schema di decreto il Consiglio superiore della magistratura ha espresso, nella seduta plenaria del 23 novembre 2016, il prescritto parere e, all'esito dei contributi offerti, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Allo stato, presso il Tribunale di Caltagirone prestano servizio tutti i tredici magistrati previsti in organico.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere adeguatamente la giurisdizione sono attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ALBINI e FOSSATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia attuale, più volte riportata negli ultimi anni dai maggiori quotidiani, che molti dei fiumi della penisola italiana sono infestati dal pesce siluro, una specie originaria del Danubio che ha colonizzato i maggiori corsi d'acqua dolce italiani. Tale specie, nota per la sua voracità e longevità – il pesce siluro può infatti vivere 60 anni e superare i cento chili di peso – è considerata pericolosa, poiché nel suo grasso si accumulano sostanze gravemente nocive per la salute. A constatarlo è stato uno studio pubblicato dall'Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, che ha rilevato nei pesci alte quantità di metalli pesanti, policlorobifenili e idrocarburi, sostanze cancerogene e particolarmente dannose per i bambini, soprattutto se assunte durante la gravidanza, che possono causare autismo, problemi neurologici, cecità e obesità;
   i laboratori di contaminanti ambientali, ittiopatologia e chimico dell'Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta hanno analizzato 119 esemplari che vivono nei fiumi e hanno scoperto concentrazioni ben oltre la soglia di sicurezza, perché il pesce siluro assorbe e immagazzina nel grasso le sostanze disperse nelle acque dei fiumi; nonostante la cottura, inoltre, i contaminanti sono in grado di arrivare sino al metabolismo umano e danneggiarlo;
   in tutti gli esemplari analizzati sono stati trovati idrocarburi, benzopirene e più di 125 nanogrammi di policlorobifenili, sostanze simili alla diossina responsabili di disturbi neurologici, deficit immunitari e dello sviluppo, e il mercurio, che è in grado di passare dal sangue al cervello, era almeno del 18 per cento oltre il limite consentito;
   secondo la biologa Stefania Squadrone, che ha condotto alcuni tra gli studi presi in esame: «i contaminanti ritrovati rispecchiano la presenza delle attività industriali e del traffico automobilistico del territorio studiato. Le acque dei fiumi non presentano gli stessi livelli perché le misurazioni sono in grado di identificare gli inquinanti solo se presenti al momento del campionamento. La fauna ittica invece può accumulare queste sostanze negli anni e, nel caso del pesce siluro amplificarne di molte volte il livello, e quindi la nocività»;
   alle misurazioni dell'Istituto zooprofilattico, si abbina la ricerca pubblicata da Jama Pediatric;
   ricercatori americani ed europei – fra cui Lorenzo Richiardi e Costanza Pizzi del dipartimento di scienze mediche dell'università degli studi di Torino – hanno analizzato i dati di 26.184 donne incinte e dei loro bambini sino ai 6 anni e scoperto un allarmante parallelismo: mangiare pesce tre volte la settimana in gravidanza aumenta il rischio di obesità infantile, proprio a causa degli inquinanti presenti nel pesce;
   per quanto riguarda la Toscana, recenti indagini hanno dimostrato che il pesce siluro è presente nell'Arno da Laterina, in provincia di Arezzo fino a San Lorenzo alle Corti, in provincia di Pisa, mentre altre popolazioni sono segnalate sul basso Serchio e sullo Scolmatore dell'Arno, affiancate da segnalazioni sporadiche di catture in altri bacini, tra cui il lago di Bilancino. La popolazione acclimatata da più tempo in Toscana, con maggiori densità ed individui di maggiore taglia risulta essere quella presente nel tratto fiorentino dell'Arno, che con ogni probabilità ha rappresentato il centro di dispersione della specie per l'intera asta fluviale;
   la popolazione presente nel tratto fiorentino dell'Arno è anche una delle più studiate e monitorate a livello nazionale, in particolare grazie a indagini promosse dalla provincia di Firenze e condotte in collaborazione tra dipartimento di biotecnologie agrarie dell'università di Firenze e Federazione italiana pesca sportiva;
   il proliferare del pesce siluro nell'Arno è da anni oggetto di monitoraggi e catture programmate per salvaguardare la biodiversità del fiume e, così come già segnalato, essendo i pesci siluro non autoctoni, cioè inseriti dall'uomo, la loro presenza secondo gli esperti incide profondamente sul patrimonio ittico del fiume e sulla sua pescosità –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative affinché vengano definiti strumenti normativi che permettano di prevenire l'introduzione di specie non locali nei corsi d'acqua, così da contrastare l'invasione di specie che potrebbero minare il benessere e la sicurezza dei cittadini, nonché la salute e la biodiversità dei fiumi italiani. (4-14539)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla diffusione del pesce siluro (Silurus glanis) in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dall'Ispra, si rappresenta quanto segue.
  L'Ispra ha evidenziato in diverse occasioni (si veda al proposito AA. VV., 2007 – Linee guida per l'immissione di specie faunistiche. Quad. Cons. Natura, 27, Min. Ambiente – Ist. Naz. Fauna Selvatica Linee guida) che l'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003, di modifica ed integrazione al decreto Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, ha introdotto un esplicito divieto all'introduzione in natura di specie alloctone. Poiché l'ambito di applicazione del citato, decreto Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 è rappresentato dalla tutela degli habitat naturali elencati nell'allegato A e delle specie di fauna indicate negli allegati B, D ed E al regolamento (articolo 1, comma 1), si ritiene che il divieto di introduzione debba intendersi finalizzato a prevenire ogni possibile impatto derivante dall'immissione in natura di specie alloctone su tali componenti ambientali.
  Pertanto, sulla base di una lettura tecnica della norma, considerato che solo una rigorosa analisi dei rischi può permettere di escludere che un taxon alloctono possa determinare impatti sulle biocenosi naturali, il divieto pare estendersi a tutte le specie alloctone – vegetali ed animali – ad eccezione di quelle per le quali, sulla base di un'adeguata valutazione tecnico-scientifica, sia stato accertato che l'introduzione in natura non comporta rischi per la conservazione delle diverse componenti ambientali tutelate dal già citato decreto Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Al riguardo, si fa presente che il pesce siluro non potrà essere incluso nella Lista di specie esotiche di rilevanza unionale adottata in applicazione del regolamento (UE) n. 1143/14 «recante disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive», poiché il dettato dell'articolo 4, comma 3, di tale norma esclude la possibilità di inserire in tale lista specie autoctone in una parte dell'Europa, come appunto è il caso del siluro, autoctono nella regione ponto-caspica.
  Si evidenzia tuttavia che, su incarico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Ispra ha avviato, con il supporto delle maggiori società scientifiche italiane, un lavoro finalizzato alla definizione di un elenco di specie esotiche invasive di rilevanza nazionale, previsto ai sensi dell'articolo 12 del regolamento (UE) n. 1143/14 sopracitato, nel quale potrà essere valutato l'inserimento del pesce siluro, considerando che l'articolo 3 della legge 12 agosto 2016, n. 170 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 in parola. Qualora, anche sulla base di una analisi del rischio, si valuterà di inserire il Pesce siluro in tale elenco e qualora l'elenco venga formalmente adottato dalle competenti autorità, potranno essere applicate alla specie le medesime disposizioni vigenti ai sensi del regolamento n. 1143/14 per le specie invasive di rilevanza unionale, compreso il divieto di importazione, l'introduzione in natura e l'obbligo di attuazione di misure di gestione efficaci in modo da rendere minimi gli effetti sulla biodiversità, sulla salute umana, ecc.
  In riferimento al quadro normativo che disciplina l'impiego di specie alloctone in acquacoltura (regolamento (CE) n. 708/2007 – relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti – e regolamento (CE) n. 506/2008 di modifica dello stesso), si fa presente che il siluro è una specie per cui non si applicano alcune disposizioni del regolamento medesimo tra cui l'obbligo di richiesta di autorizzazione per l'introduzione (articolo 5), essendo questa inclusa nell'allegato IV. Tuttavia, il «Comitato acquacoltura specie esotiche», istituito dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in base al decreto ministeriale del 28 luglio 2016 anche al fine di «valutare le istante di introduzione e traslocazione presentate al fine di ridurre l'impatto eventualmente esercitato sugli habitat acquatici da tali specie e da ogni altra specie non bersaglio ad esse associate», nella riunione del 3 novembre 2016, ha convenuto sulla opportunità di presentare una richiesta di esclusione del Siluro dalla lista di specie di cui all'allegato IV e di darne comunicazione alla direzione generale europea competente in materia.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ASCANI, GIULIETTI, SERENI e VERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il tratto stradale E45 Orte-Ravenna rientra nell'asse viario internazionale che collega il Nord Europa con l'Italia e, all'interno del territorio nazionale, essa si sviluppa sia su autostrade sia su strade statali: ad esempio, con specifico riferimento al tratto umbro, la E45 coincide, in parte, anche con il tracciato della strada statale 3-bis Tiberina e con la strada statale 675. Tuttavia, nonostante la dimensione infrastrutturale della E45 ricalchi, in buona parte, quella di obsolete reti stradali, essa svolge un importante ruolo di collegamento per la regione Umbria, attraversandola per ben 135 chilometri (dei 250 chilometri complessivi). Anche per via della sua estensione, dunque, la E45 costituisce per l'Umbria uno sbocco fondamentale per l'accesso ai corridoi europei (adriatico e tirrenico), connettendo le due province umbre di Terni e Perugia e attraversando numerose località di interesse paesaggistico-culturale, nonché diverse zone produttive e industriali della regione (fonte: Osservatorio regionale sulle infrastrutture di trasporto e logistica);
   è di tutta evidenza, dunque, la crucialità che l'infrastruttura in commento occupa nelle attività giornaliere degli abitanti della regione Umbria; attività non sono solamente di carattere commerciale, ma che coinvolgono ogni aspetto della quotidianità. Ciononostante, la scarsezza infrastrutturale della E45, e di cui si è già detto, non consente di sostenere i numeri della sua assidua frequentazione, né appare proporzionata alla rilevanza strategica che il tratto stradale in commento occupa. Invero, il dato più preoccupante, e che genera questa interrogazione, riguarda l'incidenza negativa sulla sicurezza stradale: il 37 per cento dei 92 comuni umbri registra, in media annua, più di due incidenti ogni 1.000 abitanti, e il 13 per cento di essi presenta un indice di mortalità superiore a 8,8 decessi ogni 100 incidenti. Tutto ciò avviene proprio in prossimità delle aree maggiormente abitate e attraversate dalla E45 (la rete viaria umbra con più alta densità di traffico) e per lo più causato dalla ridotta ampiezza media della carreggiata, ben al di sotto di quella standard (13/18 metri a confronto dei 25 metri standard – tutto Fonte: Istat – Focus sicurezza viaria);
   non si ignora che siano tuttora in corso interventi straordinari per consentire il miglioramento dell'indice di viabilità della E45 e che siano in programma azioni di messa in sicurezza del tratto stradale. Tuttavia, i dati summenzionati indicano la necessità di provvedere con maggiore celerità, anche nelle more della complessiva riorganizzazione infrastrutturale. Inoltre, la stampa locale riporta quotidianamente il bilancio delle morti occorse percorrendo questo tratto stradale: da ultimo, nel week-end del 24-25 settembre 2016, altre due donne sono rimaste uccise perdendo il controllo dell'auto a causa di uno dei numerosi restringimenti di carreggiata lungo i tratti in rifacimento; per le stesse cause, e in circostanze analoghe, hanno perso la vita altri due giovani ragazzi nei week-end precedenti. Un bilancio tragico, quindi, che richiede interventi tanto più urgenti per la prossimità del peggioramento delle condizioni meteorologiche dovute alla stagione invernale –:
   quali siano le iniziative adottate, per quanto di competenza, per la messa in sicurezza del tratto stradale umbro della E45 e in quali tempi e con quali modalità si svolgeranno gli interventi. (4-14361)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, questo Ministero ha interpellato l'Anas che ha fatto sapere quanto segue.
  Come è noto il tratto umbro della E45 è costituito, per 20 chilometri circa, dall'ex «Raccordo autostradale Terni-Orte», oggi denominato SS 675 «Umbro-Laziale» (Orte-Terni) e per ulteriori 134 chilometri circa dalla strada statale 3-bis «Tiberina» Terni-S. Giustino, per un totale di 154 chilometri circa.
  Per quanto riguarda le problematiche relative alla, sicurezza stradale segnalate dagli interroganti, Anas fa preliminarmente presente e che, di concerto con le prefetture e le sezioni di Polizia stradale competenti, ha adottato, negli anni, diversi interventi volti alla prevenzione degli incidenti stradali, (installazione di box per l'alloggiamento delle apparecchiature autovelox, miglioramento della segnaletica e altro) a seguito dei quali Anas ha riscontrato una diminuzione del tasso di incidentalità.
  Inoltre, Anas evidenzia che, sulle statali 675 e 3-bis, sono stati recentemente eseguiti interventi di pavimentazione, previsti nel contratto di programma Anas 2015, per un importo lordo pari a circa 5 milioni di euro.
  Nel quadro delle iniziative dirette al miglioramento della circolazione stradale. ANAS ha recentemente avviato un programma pluriennale di manutenzione straordinaria dell'itinerario internazionale E45-E55 «Orte-Mestre», da attuarsi nel quadriennio 2016-2019, dell'importo complessivo di circa 1,6 miliardi di euro.
  Tale piano prevede sia interventi finalizzati al miglioramento tecnico-funzionale dell'infrastruttura sia interventi di messa in sicurezza, suddividendone l'attuazione per lotti e per annualità.
  In particolare detto piano prevede la realizzazione dei seguenti interventi volti a migliorare gli standard qualitativi e di sicurezza, ovvero:
   rifacimento della pavimentazione;
   sostituzione delle barriere di sicurezza esistenti con le nuove barriere stradali, che essendo dotate di un profilo senza interruzioni offrono, in caso d'impatto, una maggiore protezione a tutti i tipi di veicoli e, soprattutto, una adeguata tutela per gli utenti dei mezzi a due ruote;
   interventi di rifacimento della segnaletica stradale;
   interventi di risanamento e adeguamento di ponti, viadotti e altre opere di attraversamento idraulico;
   interventi di potenziamento degli impianti di videocontrollo e di informazione all'utenza mediante pannelli a messaggio variabile.

  Completata la progettazione, ad oggi, in fase di svolgimento, i primi cantieri potranno essere avviati entro il primo semestre del 2017.
  Anas evidenzia che nel marzo 2016 è stato pubblicato il primo bando di gara, mediante procedura di accordo quadro (ai sensi dell'allora vigente articolo 59, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006), relativo a lavori di manutenzione del corpo stradale per il tratto umbro della E45, per un importo di 21 milioni di euro, attualmente in fase di aggiudicazione.
  Inoltre, Anas fa sapere che entro il corrente anno saranno bandite nuove gare, sempre attraverso la procedura di accordo quadro, relative al piano di riqualificazione e di potenziamento dell'intero itinerario E45-E55 per un importo complessivo di 274 milioni di euro.
  Infine, per completezza d'informazione, Anas precisa che, in conformità a quanto disposto dal codice della strada, nei tratti di strada interessati da lavori stradali, la regolamentazione della circolazione con i relativi obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo, è garantita da apposita segnaletica puntualmente verificata dal personale Anas.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, COZZOLINO, BUSINAROLO, DE ROSA, ZOLEZZI e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», consente, a determinate condizioni, e per talune tipologie di impianti di utilizzare il combustibile solido secondario (CSS);
   l'articolo 15 di tale decreto istituisce un Comitato di vigilanza e controllo quale organo per monitorare la produzione, le caratteristiche e l'utilizzo del CSS combustibile e per l'applicazione uniforme del citato regolamento sul territorio nazionale;
   tuttavia si sono registrati ostacoli nell'applicazione uniforme del regolamento su tutto il territorio nazionale, come nel caso esemplificativo della Cementeria di Monselice s.p.a., che il 22 luglio 2016 ha depositato presso il settore ambiente della provincia di Padova la richiesta per effettuare un intervento di «parziale sostituzione dei combustibili autorizzati per l'impianto di cottura del clinker (pet-coke e carbone fossile) con combustibile solido secondario (Css) “non rifiuto”» esclusivamente con specifica comunicazione di modifica «non sostanziale» dell'autorizzazione;
   va detto che il suddetto impianto, che risulta attualmente autorizzato con provvedimento A.i.a. n. 223/IPPC/2013 del 13 settembre 2013, la cui validità è estesa fino al 31 agosto 2021, giace in territorio compreso all'interno del parco regionale dei Colli Euganei, noto per le sue peculiarità paesaggistiche, ed è situato a poche decine di metri dal centro storico di Monselice, in pieno centro abitato e a ridosso di alcune scuole, oltre che in un'area già fortemente satura di inquinanti, anche per la presenza fino a pochi anni fa di altri due impianti simili in un raggio di pochi chilometri; inoltre, tale impianto gode di limiti di emissioni per diversi inquinanti molto più permissivi di quelli di un inceneritore. Ad esempio, ad una linea del vicino termovalorizzatore di Camin (Pd) è imposto un limite d'emissione giornaliera di 80 mg/Nm3 di Nox (ossidi di azoto), mentre al cementificio in questione è imposto un limite di emissione giornaliera di 700 mg/Nm3 per lo stesso inquinante –:
   con riferimento alle attività di cui all'articolo 15 del decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, quali iniziative normative intenda assumere al fine di ridurre la discrezionalità degli enti preposti alle autorizzazioni nella valutazione delle modifiche sottese alla sostituzione del combustibile tradizionale con CSS-combustibile, valutando di prescrivere un nuovo procedimento autorizzatorio di valutazione di impatto ambientale;
   se, in relazione alle verifiche e ai controlli di cui sopra, ritenga di assumere iniziative normative nella direzione di introdurre ulteriori condizioni per l'utilizzo di CSS-combustibile negli impianti localizzati in specifiche aree ad alta vulnerabilità del Paese caratterizzate da una mortalità della popolazione superiore rispetto agli standard nazionali (come la Pianura padana), contestualmente tenendo in considerazione il parametro della vicinanza dei predetti impianti con centri abitati, scuole, luoghi pubblici (come nel caso descritto in premessa della cementeria a Monselice) e valutando di modificare i limiti di emissione giornaliera di tutti gli impianti insalubri di prima classe (come le cementerie) sulla base di quanto previsto dal decreto ministeriale n. 22 del 14 febbraio 2013. (4-14543)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il progetto presentato dalla Cementeria di Monselice s.p.a. nel 2013, riguardante il riutilizzo di rifiuti in sostituzione di materie prime per la formazione del clinker, autorizzata con provvedimento A.I.A., di esclusiva competenza regionale, valido fino al 2021, è stato sottoposto a procedimento di valutazione di impatto ambientale.
  In merito a tale provvedimento, questo Ministero non ha, pertanto, dirette possibilità di intervento.
  Inoltre, secondo quanto riferito dalla provincia di Padova, il 22 luglio 2016 la stessa ha presentato una comunicazione di modifica non sostanziale ai sensi dell'articolo 29-nonies del decreto legislativo n. 152 del 2006 per la parziale sostituzione dei combustibili autorizzati per rimpianto di cottura del clinker (pet coke e carbone fossile) con combustibile solido secondario non rifiuto (CSS).
  La comunicazione è stata portata all'esame della Commissione provinciale per la valutazione di impatto ambientale che, nella seduta del 2 agosto 2016 ha espresso il parere di esclusione della predetta modifica dalla procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale con prescrizione e raccomandazione.
  Nell'ambito della procedura di verifica di assoggettabilità e ai fini dell'espressione del parere citato, la predetta Commissione ha valutato anche la collocazione della stessa all'interno del Parco regionale dei Colli Euganei.
  In data 21 settembre 2016, il progetto di sostituzione dei combustibili tradizionali con CSS è stato sottoposto anche al parere della Commissione tecnica provinciale Ambiente, la quale ha espresso parere favorevole sulla non sostanzialità del progetto, con prescrizioni, approvando uno schema di autorizzazione integrata ambientale modificata contenente le condizioni di utilizzo del CSS.
  Le predette Commissioni hanno svolto la valutazione degli eventuali impatti sulle varie matrici ambientali ed hanno tenuto conto che il progetto in questione prevede una percentuale massima dell'1 per cento in cloro nei CSS usati, così come previsto dal decreto ministeriale del 14 febbraio 2013 n. 22.
  L'impatto più significativo derivante dall'utilizzo del CSS riguarda le emissioni in atmosfera. Pertanto, con il proprio parere, la Commissione tecnica provinciale ambiente ha fissato dei limiti alle emissioni in atmosfera, alcuni dei quali conformi a quelli già applicati nella vigente autorizzazione integrata ambientale ed altri più restrittivi. Quindi, con riferimento ai limiti autorizzativi, l'impatto sulle emissioni in atmosfera derivante dall'utilizzo di CSS in sostituzione del pet-coke risulta uguale per alcuni parametri e migliorativo per altri.
  Inoltre, il parere della commissione tecnica provinciale ambiente prevede per la fase di utilizzo del CSS un periodo di osservazione di almeno un anno con controlli ripetuti da parte della ditta sul materiale in entrata e sulle emissioni, a cui saranno affiancati analoghi controlli dell'ARPA Veneto, sia nelle condizioni di utilizzo di solo pet-coke sia nel periodo di parziale utilizzo del CSS con combustibili tradizionali.
  Al termine di ciascun quadrimestre è previsto un esame dei dati raccolti per un confronto tra il livello di inquinanti emessi al camino del forno con le due tipologie di combustione: qualora le emissioni in atmosfera prodotte in concomitanza con l'utilizzo del CSS combustibile siano superiori agli stessi inquinanti emessi durante il periodo di utilizzo dei combustibili tradizionali, è prevista la revoca della parte dell'autorizzazione integrata ambientale riguardante l'utilizzo di questo combustibile.
  Questo criterio, che impone alla Cementeria di Monselice s.p.a., non solo il rispetto dei limiti di legge ma anche il mantenimento o miglioramento delle emissioni attualmente di fatto registrate con l'utilizzo di combustibili tradizionali, è conseguenza del principio contenuto nell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 secondo il quale un rifiuto cessa di essere tale quando soddisfa una serie di condizioni. Tra le altre, quella che prevede che «l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà ad impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana». La Provincia di Padova ha fatto presente di aver tenuto conto di tali aspetti nel procedimento autorizzativo.
  Occorre, peraltro, segnalare che la stessa provincia, nell'applicazione del principio di precauzione in materia ambientale, non ha ancora rilasciato il provvedimento di aggiornamento dell'autorizzazione integrata ambientale ed ha avviato i necessari approfondimenti per una previsione, il più possibile supportata dal punto di vista tecnico-scientifico, delle emissioni conseguenti all'utilizzo di CSS.
  Ad ogni modo, fermo restando quanto evidenziato, si fa presente che per categorie di progetti analoghi, che comportano cioè la sostituzione totale o parziale di combustibile, in ambito statale è prassi avviare il procedimento previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche per garantire la partecipazione dei cittadini interessati e contestualmente permettere la necessaria diffusione delle informazioni, attraverso gli avvisi al pubblico del procedimento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà comunque a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con delibera di giunta n. 9 del 24 febbraio 2015 e successiva determinazione del responsabile del servizio n. 37 del 23 marzo 2015, il comune di Lecce nei Marsi (L'Aquila) ha approvato il bando pubblico di concessione in gestione, per la durata di 9 anni, della struttura ubicata in località Cicerana, nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, da adibire a rifugio montano;
   tra gli obiettivi politici del suddetto comune figura infatti la volontà di fornire ai propri studenti momenti di informazione, integrativa a quella scolastica, affinché possano acquisire quella memoria ritenuta necessaria a valorizzare la propria montagna, oltre che recuperare il rapporto turistico tra quest'ultima e la comunità locale;
   a chiusura del procedimento, il servizio di gestione è stato affidato ad una società di servizi turistici tour operator che, a quanto risulta all'interrogante e da quanto emerge da segnalazioni di associazioni e movimenti ambientalisti, utilizza la struttura come sito di attrazione turistica per finalità prettamente economiche;
   al fine di consentire all'affidatario la massima fruibilità del rifugio e quindi di ospitare il maggior numero di turisti, gli è stato concesso l'impiego di un generatore di elettricità, il cui rumore di certo non favorisce il benessere degli animali che vivono nelle vicinanze, oltre che la possibilità, anche per gli ospiti, di raggiungerlo con auto private;
   come noto, l'area in cui è ubicata la struttura, che idealmente doveva servire come appoggio ai guardiani del parco e punto di osservazione per gli studiosi, è adiacente ad una riserva integrale, zona di svernamento dell'orso marsicano con coltivazioni a perdere per sostenerne l'alimentazione;
   è evidente che tale ubicazione si presta in modo straordinario all'osservazione dell'orso e degli altri animali che popolano il parco ed è pertanto forte il dubbio che proprio tale condizione possa in qualche modo favorire la trasformazione non solo dell'orso, ma anche di cervi, camosci, o lupi in oggetti di attrazione turistica, con ciò che ne consegue in termini di inevitabile contaminazione degli habitat naturali di questi animali molti dei quali in via di estinzione;
   fatto salvo il diritto di ciascuno di poter fruire responsabilmente delle aree montane, ancorché popolate da animali selvatici e rari, è indispensabile che quegli habitat che si contraddistinguono per l'alto valore ambientale/naturalistico, come la Cicerana, siano tutelati rispetto alla possibilità che in esse si sviluppi un turismo inappropriato che, con l'intento della educazione ecologica, possa invece, per finalità puramente economiche, rilevarsi dannoso per la fauna e in particolare per l'orso marsicano anche facilitandone la sua domesticazione –:
   se ritenga di dover intraprendere ogni utile iniziativa di competenza, anche attraverso il rafforzamento delle azioni di sorveglianza e di controllo, volta ad impedire lo sviluppo di attività turistiche in grado di alterare gli equilibri naturali dell'area della Cicerana e se sia compatibile con la disciplina e le finalità del parco nazionale l'assegnazione ad un privato, ancorché a seguito di regolare procedura pubblica, della facoltà di gestire, con scopo di lucro, una struttura appartenente alla collettività ed ubicata in un territorio ad alto valore naturalistico e quindi con un potenziale di attrazione tale da costituire un assoluto privilegio per chi vi volga un'attività economica. (4-14906)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla valorizzazione turistica di strutture all'interno del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, in un'area di particolare importanza per la conservazione dell'orso bruno marsicano, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  La vicenda era già stata affrontata nell'ambito delle attività di coordinamento per l'attuazione del piano d'azione per la tutela dell'orso bruno marsicano (PATOM). Si tratta di strutture legittimamente affidate dal comune ad una società di servizi che da anni opera per la promozione turistica del territorio.
  Le finalità del parco includono prioritariamente la conservazione delle specie e della biodiversità, ma prevedono anche crescita di forme sostenibili di sviluppo. Proprio la coniugazione di conservazione e forme sostenibili di turismo rappresenta un aspetto fondamentale per garantire la conservazione del patrimonio naturale nel lungo periodo in un contesto densamente popolato quale l'Italia.
  In questo contesto, oltre a vigilare sul rispetto della normativa con particolare riferimento alla tutela dell'ambiente, risulta che il parco stia definendo ulteriori disciplinari per la fruizione turistica di strutture quale quella cui fa riferimento l'interrogante.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi ed utili elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, nella sostanza si vuole imporre al nostro Paese, per mere logiche dettate dalle lobby delle multinazionali e non dal diritto alla salute e alla conoscenza del prodotto, di produrre formaggi senza latte;
   la diffida (del 29 maggio 2015 procedura d'infrazione n. 2014/4170) è stata inviata perché il nostro ordinamento prevede il divieto di utilizzare polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale (legge n. 138 del 1974, Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana);
   la motivazione giuridica posta a base della diffida dalla Commissione europea, sarebbe la violazione dell'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'unione europea;
   la Commissione europea ritiene che la legge italiana in materia della tutela della qualità delle produzioni rappresenti una restrizione alla «libera circolazione delle merci», essendo che la polvere di latte e il latte concentrato sono di utilizzo comune in Europa per la produzione di formaggi di dubbia se non di pessima qualità. Altri elementi critici sono la non conoscenza della filiera di produzione, gli standard igienico-sanitari, la quantità ormonale contenuta, la tracciabilità del prodotto di tali surrogati e la conseguenza a medio-lungo termine sulla salute umana;
   l'adeguamento normativo che l'Europa ci chiede è, di fatto, una vera e propria deregolamentazione dei sistemi dei controlli di cui il nostro Paese è leader nel mondo e, la diretta conseguenza, sarà un non contrasto delle sofisticazioni e delle adulterazioni, all'aumento di tali reati che non verranno più perseguiti qualora il nostro ordinamento recepisse tale indicazione, oltre alla perdita culturale che la produzione lattiero-casearia narra dei territori con la notevole qualità, diversità, sicurezza e quantità delle produzioni casearie;
   è evidente che alla base di questa scelta della Commissione europea non vi è l'applicazione né del principio di precauzione e né tanto meno la tutela delle produzioni e delle certificazioni di qualità, anzi vi è la messa a repentaglio del made in Italy, per poi addivenire ad adeguamenti ordinamentali che di fatto disperderanno l'evocazione di garanzia che il made in Italy ha nel mondo;
   è indubbio che ci sono i grandi proventi delle multinazionali del settore le quali hanno tutti gli interessi per creare le precondizioni per il Transatlantic trade and investment partnership, che si rivelerà la tomba delle produzioni alimentari di qualità e certificate;
   il 31 marzo 2015 è terminato il regime delle quote latte e l'Italia dovrà pagare una multa, circa 41 milioni di euro, per aver splafonato nelle quantità delle quote assegnate al nostro Paese nell'ultima campagna lattiero-casearia. Quindi, se passasse questo pericolosissimo adeguamento normativo sul nostro territorio arriverà latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito a costi bassissimi, di pessima qualità con conseguenze socio-economiche pesantissime per la tenuta degli allevamenti italiani;
   è opportuno ricordare tutti i processi di deregolamentazione nel settore della trasformazione del primario operati finora dalla Commissione europea come, ad esempio, dal vino senza uva (wine kit che promettono di ottenere in pochi giorni le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua), al cioccolato senza cacao, di aumentare la gradazione del vino (vino zuccherato) attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa (lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo), la possibilità per alcuni tipi di carne di non indicare l'aggiunta di acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere elusa, la circolazione libera di imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (cosiddetti similgrana) in tutta Europa o come le mozzarelle dove, una su quattro, non sono prodotte in Italia ma ottenute con semilavorati industriali (cagliate) che provengono dall'estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea. A quanto summenzionato bisogna aggiungere la mancanza di informazioni chiare e definite per l'olio extravergine di oliva ottenuto da olive straniere dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è quasi impossibile leggere in etichetta nei supermercati scritte come «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», questo tutto a scapito dei consumatori e della sicurezza alimentare;
   è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va radicalmente rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contradditoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste antinomie giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, a mo’ d'esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza –:
   quali interventi o azioni il Governo italiano intenda porre in essere per evitare che il nostro ordinamento venga deregolamentato, adeguandolo a quello comunitario, a scapito delle produzioni di qualità del lattiero-caseario che utilizzano latte e non latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la produzione di formaggi;
   se il Governo non ritenga necessario invocare il principio di sovranità alimentare, sicurezza alimentare e il principio di precauzione al fine di scongiurare che questa alchimia giuridica lobbistica si traduca in realtà ordinamentale;
   se non si valuti opportuno confutare, in punto di diritto e nelle sedi opportune, la base giuridica posta a fondamento da parte della Commissione europea, che ha prodotto quale conseguenza la diffida nei confronti del nostro Paese, visto che l'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea afferma che: «...la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni...» posto che è evidente la forte componente normativa su base «discrezionale» (... quando reputi...);
   quali interventi o azioni il Governo intenda porre in essere per difendere il made in Italy nel settore agroalimentare dalla crescente pressione internazionale e comunitaria che mira alla deregolamentazione e all'abbassamento degli alti standard qualitativi che sono alla base e a garanzia delle produzioni di qualità del nostro sistema Paese. (4-09657)

  Risposta. — Mi preme anzitutto far presente che, anche a livello europeo, il Ministero ha fortemente sostenuto in questi ultimi due anni la necessità di una normativa europea per la corretta e trasparente etichettatura dei prodotti per non indurre il consumatore a ritenere italiano un prodotto che tale non è. Peraltro, la tutela dell'agroalimentare made in Italy è uno degli obiettivi primari che intendiamo conseguire anche a salvaguardia dei lavoratori e delle imprese che operano nel settore.
  Le nostre richieste riguardano anche l'uso esclusivo delle denominazioni protette e l'impedimento dell'impiego di denominazioni che possano richiamare l'origine italiana di produzione realizzata in altri Paesi che, oltre a trarre in inganno il consumatore, producono gravi danni economici e d'immagine ai prodotti italiani.
  Siamo sempre stati contrari ad adeguare la nostra normativa sul divieto dell'uso del latte in polvere per i formaggi e proprio per preservare l'attuale impianto normativo, abbiamo già formulato le controdeduzioni di competenza in merito a quanto sostenuto nella diffida notificataci dalla Commissione europea che, ad oggi, non ha fatto pervenire osservazioni al riguardo.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che, per i prodotti lattiero caseari, abbiamo poi ottenuto un risultato storico proprio sul fronte dell'etichettatura d'origine.
  A dicembre 2016 infatti, con il Ministro Calenda, abbiamo sottoscritto il decreto che introduce in etichetta l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia, con il via libera dell'Ue. Il provvedimento è stato registrato dalla Corte dei conti il 2 gennaio 2017.
  La firma segue il parere positivo delle Commissioni agricoltura della Camera e del Senato e l'intesa raggiunta in Conferenza Stato-regioni.
  Con questo nuovo sistema, una vera e propria sperimentazione in Italia, sarà possibile indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte UHT, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. Il provvedimento si applica al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale.
  Il decreto prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l'origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile.
  Sono esclusi solo i prodotti Dop e Igp che hanno già disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato.
  Si tratta, quindi, di un'ulteriore conquista che ci permetterà di rafforzare la trasparenza delle informazioni al consumatore e difendere l'eccellenza del made in Italy, obiettivi sempre difesi e sostenuti in sede nazionale ed europea.
  L'Italia si pone così all'avanguardia in una sperimentazione sulla massima trasparenza dell'informazione al consumatore. Il nostro obiettivo è che questa legge sia poi estesa a tutta l'Unione europea, dando così più strumenti di competitività e tutela del reddito ai produttori.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 5 agosto 2016, alle ore 4, all'aeroporto di Bergamo Orio al Serio un aereo cargo in atterraggio è uscito di pista;
   lo scalo, secondo quanto riferito dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), è stato chiuso per le operazioni di emergenza e riaperto alle ore 6.47;
   l'aereo «è finito lungo» (come si dice in gergo) e ha divelto le protezioni, oltrepassando un parcheggio, distruggendo così un paio di auto a noleggio e la carreggiata dell'ex statale 591 (la variante alla Cremasca, che dalla media pianura di Zanica e Urgnano porta allo scalo e in città, poi ha invaso parte della strada verso Orio). Nessun veicolo che circolava in strada è rimasto coinvolto, soltanto per puro caso;
   al momento dell'atterraggio del volo, su Bergamo era in corso un forte temporale;
   alcuni voli sono stati cancellati nelle primissime ore seguite all'incidente. In seguito, lo scalo è stato riaperto, ma molti voli sono stati cancellati, creando molti disagi ai viaggiatori. Ryanair, che opera numerosi collegamenti con lo scalo di Bergamo, ha dovuto cancellare i voli fino alle ore 8.10;
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) ha aperto un'inchiesta di sicurezza di competenza e ha inviato un team investigativo all'aeroporto di Bergamo Orio al Serio. Lo ha reso noto la stessa Ansv, confermando che l'equipaggio composto da comandante e primo ufficiale è rimasto illeso, mentre «l'aeromobile è seriamente danneggiato»;
   si è svolto nella tarda mattinata del giorno 6 agosto in prefettura a Bergamo il coordinamento dell'emergenza con il settore viabilità della provincia di Bergamo al fine di fare il punto sulla situazione di Orio, dopo l'incidente della mattinata in cui erano presenti il questore, il prefetto, il sindaco di Orio, Sferiate, Grassobbio e Azzano, un responsabile della polizia locale di Orio, della stradale di Bergamo, oltre alla protezione civile, i vigili del fuoco, la Croce Rossa e i carabinieri. Il coordinamento ha comunicato che tra le 12 e le 24 ore l'aereo sarebbe stato rimosso completamente e posizionato in un'area verde nella zona limitrofa allo scalo;
   sarà necessario riasfaltare, rifare il guard-rail e riverniciare la segnaletica, nel frattempo tutta la viabilità sarà riorganizzata e reindirizzata sulla strade comunali del territorio di Grassobbio, Orio e Azzano;
   la procura di Bergamo ha aperto un fascicolo «modello 45», relativo quindi a fatti non costituenti notizie di reato, in relazione all'incidente accaduto a Orio;
   i disagi sono molti e, per chi frequenta la zona per diversi motivi, anche di importante natura;
   la tragedia è stata sfiorata ed è solo un caso che l'incidente sia avvenuto in un orario in cui le strade, l'aeroporto e le zone adiacenti l'aeroporto stesso, sono scarsamente frequentate;
   risulta incomprensibile come un fatto del genere, la fuori uscita di un boeing dall'area aeroportuale, con invasione di strade e parcheggio, possa verificarsi nel nostro Paese –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, per seguire la vicenda e per contribuire a far luce sulle cause dell'incidente, in modo tale da valutare se sussistono deficit infrastrutturali dello scalo che possano aver reso possibile la fuoriuscita del velivolo dall'area aeroportuale e se tutte le norme di sicurezza siano state rispettate;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) sia messa nelle condizioni di far luce sull'accaduto in tempi il più possibile rapidi;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che episodi del genere possano ancora verificarsi presso l'aeroporto di Orio al Serio, oltre che a qualsiasi altro scalo nazionale, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini residenti nei dintorni, degli utenti e di tutti coloro che per qualsiasi motivo percorrono le strade adiacenti e accedono a tali aree. (4-14113)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle in formazioni fornite dall'Agenzia nazionale per la sicurezza al volo, dall'Ente nazionale per l'aviazione civile e dalla Direzione generale per gli aeroporti e il trasporto aereo.
  L'aeroporto di Bergamo è un aeroporto aperto al traffico commerciale, le infrastrutture di volo sono state oggetto di recenti interventi di manutenzione straordinaria che hanno interessato la pista di volo, i raccordi di accesso e uscita nonché le aree non pavimentate di sicurezza.
  I lavori, terminati nel settembre 2014, hanno riguardato principalmente le pavimentazioni delle infrastrutture e l'ammodernamento degli impianti di aiuti visivi luminosi.
  Le attività di manutenzione e supervisione dell'efficienza delle infrastrutture aeroportuali ai fini delle valutazioni all'uso operativo sono in capo alla società di gestione SACBO.
  Per quanto riguarda l'incidente occorso il 5 agosto 2016, intorno alle 4.07 al Boeing B737 l'Agenzia nazionale per la sicurezza del solo (Ansv) ha aperto una inchiesta di sicurezza per accertare le cause dell'evento: sul luogo dell'incidente ha inviato un team investigativo che ha effettuato il sopralluogo acquisendo evidenze utili all'inchiesta.
  In aderenza a quanto previsto dall'Annesso 13 alla Convenzione relativa all'aviazione civile internazionale ed è in linea con quanto contemplato dall'articolo 15, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 996/2010, l'Ansv, il 21 settembre 2016, detta Agenzia ha pubblicato nel proprio sito web (www.ansv.it), la relazione preliminare d'inchiesta (preliminary report), che contiene esclusivamente la dinamica dell'incidente, senza entrare nel merito delle cause che saranno oggetto di approfondimenti nella relazione finale d'inchiesta.
  Appare utile ricordare che l'Ansv, istituita con il decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, in attuazione della direttiva comunitaria 94/56/CE del Consiglio del 21 novembre 1994, è posta sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, in posizione di terzi età rispetto al sistema aviazione civile, ed è caratterizzata da ampia autonomia.
  Per completezza d'informazione si riporta una sintesi della predetta relazione preliminare d'inchiesta.
  Il B737 marche HA-FAX era partito dall'aeroporto di Parigi Charles de Gaulle alle 02.54 ora locale con destinazione Bergamo. A bordo del velivolo, che effettuava un volo cargo, c'erano soltanto i due piloti: il comandante. 50 anni di età, aveva una significativa esperienza (oltre 9787 ore di volo complessive, di cui 2254 sul B737), mentre il copilota, 29 anni di età, aveva una esperienza molto limitata (343 ore di volo complessive, di cui 86 sul B737).
  Nella fase terminale del volo, il velivolo veniva autorizzato dal competente ente di controllo del traffico aereo ad effettuare un avvicinamento strumentale per la pista 28 dell'aeroporto di Orio al Serio. Al momento dell'evento sull'aeroporto di Orio al Serio c'erano le seguenti condizioni meteorologiche: visibilità di 4000 metri, vento proveniente da 280o con intensità di 13 nodi e raffiche sino a 23 nodi; pioggia battente. Le ultime informazioni comunicate all'equipaggio dalla Torre di controllo al momento dell'autorizzazione all'atterraggio riportavano un vento proveniente da 310o con intensità di 15 nodi.
  Alla luce delle evidenze acquisite, tramite il sopralluogo operativo, le telecamere di sorveglianza aeroportuale e i registratori di volo (le cosiddette «scatole nere»), che sono stati decodificati presso i laboratori tecnologici dell'Ansv, è stato possibile ricostruire la seguente dinamica dell'evento.
  Il velivolo ha sorvolato la soglia della pista 28 ad un'altezza di 140 piedi, con una velocità di 156 nodi. Prima però di toccare la pista, il B737 ha «galleggiato» per aria per circa 14 secondi, ad una altezza tra i 30 ed i 20 piedi, mantenendo una velocità costante di 155 nodi. Infine è atterrato a 2000 metri di distanza circa dalla soglia pista 28 ed i 750 metri circa rimanenti di pista non sono stati sufficienti a consentire l'arresto dell'aeromobile. Il velivolo, in fase di decelerazione, con una velocità di circa 109 nodi, ha abbattuto le antenne del localizzatore del sistema di atterraggio strumentale ed una parte della recinzione aeroportuale, concludendo la propria corsa a 520 metri di distanza dalla fine della pista. L'ultima velocità registrata dal FDR (una delle cosiddette «scatole nere») è stata di 91 nodi.
  I due piloti, che hanno riportato lesioni, hanno evacuato l'aeromobile tramite lo scivolo di emergenza della porta anteriore destra.
  L'inchiesta è tuttora in corso e al momento sta focalizzando l'attenzione sul cosiddetto fattore umano ed organizzativo, come indicato in dettaglio nella citata relazione preliminare.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 5-07893, nella seduta del 25 febbraio 2016 presso la Commissione ambiente, il Governo aveva riferito che «la realizzazione dell'opera di collegamento autostradale della Valtrompia, incluso il primo tratto Concesio-Sarezzo, è subordinata all'aggiornamento del Piano Economico Finanziario (PEF) allegato alla Convenzione della società concessionaria Brescia-Padova, nella quale l'intervento è previsto. L'opera figura come contributo verso ANAS S.p.A. quale stazione appaltante, l'erogazione del quale risulta tuttavia collegato alla definizione del PEF ad esito della procedura per la realizzazione della Valdastico nord»;
   il comunicato del Cipe della seduta del 10 agosto 2016 riporta che «in riferimento al Corridoio viario tra la Valle dell'Astico, la Valsugana e la Valle dell'Adige, sono stati evidenziati rilevanti passi avanti nell'intesa tra Provincia autonoma di Trento, Regione Veneto e Stato»;
   inoltre, lo stesso comunicato riporta che il Cipe ha espresso parere favorevole, con osservazioni, sull'aggiornamento dei piani economico finanziari (PEF) di alcune concessionarie autostradali, tra le quali Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova s.p.a.;
   da allora, i mass media (BSnews.it dell'11 agosto 2016 e Quibrescia.it del 12 agosto 2016) sottolineano uno stretto collegamento tra le due opere, evidenziando che il Cipe ha dato il via libera alla Valdastico nord e che la Serenissima può vedersi ora rinnovare la Concessione fino al 2026 e dare all'Anas il contributo di 250 milioni di euro che, a sua volta, può aggiudicare i lavori per la Valtrompia all'impresa Ics Grandi Lavori del gruppo Salini;
   l'autostrada della Valtrompia è un'opera strategica per lo sviluppo economico dell'intero territorio bresciano, poiché garantisce la mobilità su gomma del comparto produttivo che incide sull'economia del distretto industriale di Lumezzane e della Valtrompia –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noto lo stato della trattativa in corso per il raggiungimento dell'intesa tra la provincia autonoma di Trento, la regione Veneto e lo Stato e quale sia ad oggi l'effettivo avanzamento dell’iter procedurale di approvazione delle operi concernenti l'autostrada Valtrompia. (4-14417)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni fornite dalla società Anas, interessata al riguardo.
  L'infrastruttura autostradale, classificata come autostrada di categoria A, ai sensi del decreto del ministeriale 5 novembre 2001, n. 6792 recante: «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade», ha una lunghezza pari a circa 10 chilometri e rappresenta il completamento del Raccordo autostradale tra la A4 e la Val Trompia (Ospitaletto-Concesio).
  Il lotto da realizzare, attualmente in appalto, è quello compreso tra le località di Concesio e Sarezzo e risulta finanziato nell'ambito della Convenzione Unica stipulata tra Anas, quale stazione appaltante, e la Società Autostrada Brescia-Padova, quale finanziatrice dell'opera.
  ANAS, in attesa di ricevere il necessario finanziamento, ha avviato, in data 25 febbraio 2012, le procedure di gara ad evidenza pubblica con l'aggiudicazione, in via provvisoria, all'ATI ICS Grandi Lavori S.p.A. (ora S.A.L.C. S.p.A) – Carena S.p.A.
  In data 15 aprile 2016 il Consiglio di amministrazione della società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova ha deliberato di erogare a favore di ANAS la somma prevista dalla sopra citata Convenzione consentendo la riattivazione della procedura di gara.
  L'appalto è stato aggiudicato definitivamente il 7 settembre 2016, all'A.T.I S.A.L.C. S.p.A – Carena S.p.A, per un importo di circa 155 milioni di euro.
  ANAS comunica che attualmente sono in corso le verifiche per la dichiarazione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva.
  Avverso l'aggiudicazione della gara la Società cooperativa CMC di Ravenna ha presentato ricorso al TAR di Brescia che ancora non ha fissato la data di udienza per la discussione dell'istanza; solo all'esito della definizione del ricorso Anas potrà procedere alla stipula del contratto di appalto per il completamento del suddetto raccordò autostradale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la località marina di Punta Penna Grossa, all'interno dell'area protetta di Torre Guaceto, è meta di numerosi turisti che vi si recano con le loro autovetture. Ciò causa importanti problemi di traffico e parcheggio nelle zone limitrofe e rappresenta un ostacolo in situazioni di emergenza;
   fino all'estate 2015, il Consorzio di gestione di Torre Guaceto ha svolto servizio di sosta temporanea su area agricola, previa autorizzazione rilasciata annualmente dal comune di Carovigno;
   nel 2013 il Consorzio ottiene un finanziamento dalla regione Puglia nell'ambito del P.O. 2007/2014 per la realizzazione del progetto «Torre Guaceto Paesaggio come Museo», che prevede la creazione di un'area parcheggio per lo scambio intermodale auto/bici/mezzo di trasporto collettivo. Il 23 gennaio 2015 il Consorzio decide di non realizzare il parcheggio e di utilizzare il finanziamento per la manutenzione straordinaria della torre aragonese;
   il 28 maggio 2015 il Consorzio delibera di spostare le aree di parcheggio della riserva in zone più distanti rispetto agli habitat prioritari e comunitari;
   il 16 luglio 2015 il Consorzio risolve il contratto di diritto di superficie e il 29 dicembre 2015 approva un progetto preliminare d'intervento sulla mobilità sostenibile attraverso un parcheggio nelle nuove aree di reperimento. Con nota del 13 gennaio 2016 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finanzia la progettazione e l'acquisizione delle aree;
   il 23 maggio 2016 il Consorzio chiede al comune di Carovigno di individuare aree di sosta per gli utenti della riserva di Torre Guaceto. L'amministrazione comunale indice una manifestazione d'interesse per tutti i proprietari di terreni agricoli presenti sulla costa carovignese;
   la Cooperativa D&A chiede al comune di Carovigno l'autorizzazione per creare un parcheggio e nel maggio 2016 presenta all'ufficio tecnico una comunicazione di inizio lavori per l'installazione di strutture in legno. I lavori sono bloccati dai Carabinieri per abusivismo, con revoca della comunicazione di inizio lavori da parte del comune;
   la Cooperativa presenta ricorso al Tar contro l'ordinanza del 7 maggio 2016 n. 52 del responsabile del servizio area assetto del territorio – urbanistica del comune di Carovigno;
   è attivato un servizio navetta a cura della Società trasporti provinciale (Stp) da Serranova a Punta Penna Grossa per i turisti che raggiungono le spiagge parcheggiando presso il centro visite Al Gawsit;
   il 24 giugno 2016 il consiglio comunale approva la delibera n. 20 per regolamentare i parcheggi in aree private lungo la costa con una manifestazione di interesse per la creazione e gestione di parcheggi temporanei. A metà luglio 2016 nessun'area risulta assegnata agli operatori che avevano manifestato interesse;
   il 7 luglio 2016 la cooperativa ottiene la sospensiva dal Tar e attiva l'area di parcheggio; il comune di Carovigno sospende il servizio della Stp. Nelle settimane successive la magistratura sequestra il parcheggio a causa di strutture in legno abusive. Il comune di Carovigno riattivava il servizio Stp;
   il 4 agosto 2016 il comune di Carovigno autorizza il Consorzio e la Cooperativa D&A a svolgere attività di parcheggio su due aree agricole adiacenti. La gestione del servizio risulta comunque problematica e contribuisce ad allontanare numerosi fruitori dalla riserva;
   inoltre, la gestione del sistema parcheggi ad opera del comune di Carovigno ha portato spesso i cittadini a parcheggiare in aree non autorizzate con il rischio di danneggiare il patrimonio naturalistico rappresentato dalla riserva naturale di Torre Guaceto –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di tutelare e valorizzare la spiaggia di Punta Penna Grossa, insignita della «bandiera blu», e il patrimonio naturalistico della riserva naturale di Torre Guaceto;
   di quali elementi disponga circa le cause che hanno impedito di assicurare gli opportuni servizi nella spiaggia attrezzata di Punta Penna Grossa e di attivare le procedure per la realizzazione di un'area parcheggio pubblica per la quale lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso finanziamenti al Consorzio;
   quali misure specifiche intenda promuovere a tutela del patrimonio naturalistico della riserva naturale di Torre Guaceto. (4-14770)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione di un'area di parcheggio nei pressi della località di Punta Penna Grossa nell'Area marina protetta (AMP) e riserva naturale dello Stato (RSN) di Torre Guaceto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente nel 2015 ha concesso un finanziamento, pari a 105.006,86 euro, a favore dell'Ente gestore dell'AMP di Torre Guaceto, per consentire due interventi: uno per la realizzazione di una infrastruttura verde, con funzioni di area sosta e parcheggio per i visitatori dell'AMP, e l'altro per sistemare la viabilità esistente connessa alla predetta infrastruttura.
  In particolare, l'ente gestore intende realizzare oltre all'area parcheggio, una serie di progetti finalizzati all'attrazione di interventi, compatibili con il P.O. 2014/2020, rivolti alla tutela e alla valorizzazione della riserva di Torre Guaceto, finalizzati a migliorare e destagionalizzare l'offerta turistica nella fascia costiera ed alla conservazione del buono stato ecologico degli habitat prioritari e comunitari.
  In relazione alle questioni poste è stato evidenziato che, trattandosi di investimenti, le procedure di realizzazione sono più complesse in quanto richiedono progettazioni definitive, esecutive e l'espletamento di procedure ad evidenza pubblica; al riguardo, l'ente gestore su richiesta del Ministero dell'ambiente ha provveduto a specificare quanto di seguito riportato.
  Il consorzio di gestione ha attivato una serie di servizi presso la spiaggia di Punta Penna Grossa (assistenza ai disabili con trasporto, attrezzature e assistenti di spiaggia dedicati; raccolta differenziata e servizi igienici gratuiti) che hanno contribuito a far sì che tale spiaggia venisse insignita della bandiera blu nell'annualità 2016. Detti servizi sono stati forniti anche nel corso del 2016, ad eccezione del punto ristoro che è stato oggetto di sequestro ad opera dell'autorità giudiziaria nel mese di luglio 2016 con successivo dissequestro nel mese di settembre 2016.
  Per quanto riguarda la mancata attivazione delle procedure per la realizzazione di un'area parcheggio pubblica, l'ente gestore ha riferito che l'attivazione dell’iter procedimentale necessario alla realizzazione dell'area di sosta in località Punta Penna Grossa è piuttosto articolato, poiché necessita dell'acquisizione delle aree interessate di proprietà del demanio patrimoniale dello Stato e che sono state oggetto di asta pubblica per essere cedute a privati, nonché dell'espletamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica. Nelle more di tale iter, nell'estate del 2016, il comune di Carovigno ha autorizzato l'utilizzo di due aree di sosta temporanee. Tuttavia la gestione della mobilità sostenibile, come dichiarato dall'Ente gestore, non ha ottenuto gli esiti sperati, a causa dei ritardi accumulati nell'attivazione delle predette aree parcheggio e per la mancanza di coordinamento in particolar modo riferito ai trasporti ed al controllo della viabilità. Ritiene, pertanto, il Consorzio che dette criticità non possono essere imputabili allo stesso non avendo in tali materie competenze istituzionali dirette.
  Il Consorzio riferisce, altresì, che le problematiche saranno comunque superate con la realizzazione dell'area servizi ad opera del predetto Consorzio e fornisce il cronoprogramma delle attività a partire da gennaio 2017, evidenziando i tempi delle attività di diretta competenza dello stesso, nonché indicando una previsione temporale di massima per gli adempimenti a carico del comune di Carovigno, come di seguito riportato:
   approvazione studio di fattibilità da parte della Giunta comunale di Carovigno (tempo previsto 2 mesi);
   espletamento procedure Via/Vas e Conferenza di Servizi (tempo previsto 9 mesi);
   elaborazione progetto esecutivo (tempo previsto 2 mesi);
   approvazione progetto esecutivo da parte del Consiglio comunale di Carovigno (tempo previsto 2 mesi);
   acquisizione aree (tempo previsto 3 mesi);
   attivazione di procedure di gara affidamento lavori (tempo previsto 1 mese);
   esecuzione lavori (tempo previsto 2 mesi).

  In riferimento alle azioni di tutela del patrimonio naturalistico della RNS e dell'AMP di Torre Guaceto, il Consorzio di gestione di Torre Guaceto è impegnato ad intervenire sui fattori di pressione individuati nel Piano di Gestione della riserva terrestre e nel piano di azione del sistema ISEA.
  Il depuratore consortile di Carovigno scarica i reflui depurati nel canale reale, corso d'acqua presente nella riserva che sfocia nell'area marina protetta. Negli anni precedenti, il Consorzio attraverso proposte portate sui tavoli tecnici ha portato la regione Puglia a finanziare interventi di mitigazione quali le trincee drenanti, opera già realizzata, che servirà come recettore temporaneo nelle more della realizzazione della condotta sottomarina che l'ente gestore ha ottenuto raggiungesse la batimetrica dei –50 metri. In questa annualità, il consorzio ho elaborato una proposta progettuale per il riutilizzo dei reflui affinati nei terreni agricoli presenti nella riserva e per interventi di ripristino della zona umida. Il progetto ha trovato favorevole riscontro nella regione Puglia che, secondo quanto riferito, entro l'annualità 2016 approverà e finanzierà il progetto.
  Il consorzio, attraverso fondi messi a disposizione dal Ministero dell'ambiente, ha elaborato un progetto definitivo che verrà candidato al P.O. regione Puglia 2014/2020 asse 6 «Tutela dell'ambiente e promozione delle risorse naturali e culturali»; il progetto prevede interventi relativi al miglioramento ecologico della zona umida; reintroduzione di specie di avifauna; monitoraggio e controllo di specie aliene; eliminazione di detrattori ecologici (ruderi in cemento, relitti stradali, eccetera) e ripristino di habitat con realizzazione di vivaio forestale e successiva naturalizzazione di tali aree; realizzazione centro di prima accoglienza della fauna secondo quanto previsto dalla legge regionale 13 agosto 1998. n. 27 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per la regolamentazione dell'attività venatoria».
  Il consorzio attraverso fondi del precedente P.O. regione Puglia ha realizzato un centro di recupero di tartarughe marine secondo le linee guida elaborate dal Ministero dell'ambiente.
  Il consorzio a valere su fondi del precedente P.O. regione Puglia ha realizzato un osservatorio ecologico ove sono localizzati una sala veterinaria di prima accoglienza della fauna, il laboratorio ecologico utilizzato per monitoraggio della RNS e della AMP e un centro faunistico per prossimi interventi di ripopolamento della fauna terrestre, in particolare rettili e anfibi.
  Si segnala, inoltre, che il consorzio ha aderito alla Carta europea del turismo sostenibile e che il programma pluriennale presentato e la successiva attività di verifica sul campo da parte di esperti di Europark hanno convinto l'associazione della validità e della concretezza delle azioni messe in campo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'uccellagione è una pratica di caccia attuata con l'impiego di dispositivi fissi e finalizzati alla cattura indiscriminata e di massa di uccelli migratori. Tale terrificante pratica ha negli anni maltratto milioni di uccelli per renderli prigionieri con il solo scopo di essere utilizzati come richiami vivi nella caccia;
   i richiami vivi sono catturati nei roccoli – ovvero impianti muniti di reti da uccellagione – mezzi di cattura proibiti dalla direttiva «uccelli» 147/2009/CE e consegnati poi ai cacciatori per essere utilizzati come richiami nella caccia da appostamento, detenendoli per sempre in gabbie talmente piccole da non poter mai più aprire nemmeno le ali;
   la legge n. 115 del 2015 recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (legge europea 2014) vieta l'uso di reti, trappole e vischio per catturare merli, tordi, allodole e tante altre specie di uccelli selvatici; inoltre, la legge 11 febbraio 1992, n. 157, impone all'articolo 3, il divieto di uccellagione;
   i roccoli e le reti hanno procurato tanta sofferenza agli uccelli migratori e le leggi vigenti hanno posto fine a una vera tortura;
   tuttavia, in Friuli Venezia Giulia, riapre l'uccellagione. Infatti, il provvedimento n. 31 pubblicato il 3 agosto 2016 sul Bollettino della Gazzetta Ufficiale della regione, recita: «Atteso che allo stato attuale gli allevamenti presenti in Regione, con riferimento alle specie Merlo, Cesena, Tordo bottaccio e Tordo sassello e utilizzate come richiamo vivo, non risultano in grado di soddisfare la richiesta proveniente dai soggetti esercitanti l'attività venatoria con conseguente possibile ricorso, da parte di questi ultimi, a individui di cattura»;
   in Friuli Venezia Giulia la caccia da appostamento fisso agli uccelli migratori si pratica già da molti anni in contrasto con la legge quadro in materia di caccia e con la direttiva europea 157/2009. Infatti, tutti i cacciatori possono cacciare con richiami vivi a seguito e nel contempo, quindi, svolgere altre attività venatorie;
   tuttavia, si ricorda che il comma 5 dell'articolo 12 della legge n. 157 del 1992 attesta: «fatto salvo l'esercizio venatorio con l'arco o coi il falco, l'esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria programmata»;
   autorizzare la pratica dell'uccellagione è inoltre un modo per aumentare le pratiche di bracconaggio di volatili destinati a uso di richiamo per l'attività venatoria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come si intenda garantire il rispetto delle disposizioni dettate in materia di uccellagione dalla direttiva europea «uccelli» 147/2009 e dall'articolo 3 della legge n. 157 del 1992;
   tenendo conto che ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 157 del 1992 «la fauna è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale e internazionale», se non ritengano necessario e urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare condanne da parte della Corte di giustizia europea nel rispetto della volontà di milioni di cittadini che non approvano la barbarie messa in atto con la pratica dell'uccellagione e quanto deciso dalla regione friulana. (4-14475)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche inerenti alla pratica dell'uccellagione evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti da parte della competente direzione del Ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si rammenta che la cattura di uccelli da utilizzare come richiami durante la caccia da appostamento e l'utilizzo delle reti sono vietate per legge, ma eventualmente autorizzabili con le procedure previste dall'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che recepisce le deroghe di cui all'articolo 9 della direttiva 2009/147/CE.
  Pertanto, in relazione alle questioni poste dagli onorevoli interroganti, si fa presente che le regioni possono, sulla base della normativa vigente, attivare deroghe al divieto di prelievo di uccelli, laddove accertino la sussistenza di tutte le condizioni per la loro applicazione.
  Al riguardo, si segnala, peraltro, la disponibilità espressa da questo Ministro ad attivare un tavolo tecnico di confronto presso la Conferenza Stato-Regioni, finalizzato a definire le Linee guida per la corretta e concreta applicazione del regime di deroga.
  In questo contesto generale, si ricorda che le regioni hanno da tempo avviato programmi di sostituzione della cattura di uccelli da richiamo con l'allevamento di uccelli da utilizzare a tal fine. Le predette iniziative, intraprese dalle regioni e relative all'uso di richiami vivi provenienti da allevamenti riconosciuti, risultano in sintonia con le indicazioni dell'ISPRA, che riconosce nella produzione attraverso allevamenti controllati una valida alternativa alla cattura di uccelli selvatici, in linea con il dettato della Direttiva 2009/147/CE.
  Tanto premesso, si precisa che la recente Delibera n. 31 pubblicata il 3 agosto 2016 sul Bollettino della Gazzetta ufficiale, della regione Friuli Venezia Giulia, non autorizza la cattura di richiami vivi da impiegare durante le cacce da appostamento, bensì il prelievo di uccelli da utilizzare come riproduttori per il potenziamento degli allevamenti di richiami vivi nati in cattività.
  Nello specifico, la delibera in questione stabilisce che il numero complessivo di turdidi da prelevare in due impianti di cattura denominati bresciane operanti in Provincia di Udine e Pordenone è di 346 individui.
  Peraltro, nei diversi pareri resi dall'ISPRA su richiesta della stessa regione Friuli Venezia Giulia e citati nella predetta delibera, ha fornito indicazioni cui la regione si è attenuta.
  Pertanto, le procedure seguite dalla regione Friuli Venezia Giulia nell'emanazione della delibera appaiono in linea con quanto indicato nel citato articolo 19-bis, comma 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, inclusa la trasmissione del provvedimento in deroga alla competente direzione del Ministero e la pubblicazione sul Bur.
  Al momento, inoltre, non risulta a questo ufficio che la regione Friuli Venezia Giulia, abbia iniziato le attività di cattura di uccelli nei due impianti autorizzati dalla richiamata delibera.
  Ad ogni modo, si rassicura che questo Ministero, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, tra il parco nazionale della Majella e il parco nazionale d'Abruzzo, nonostante le cure prestate dai veterinari è morto un orso marsicano, perché investito da un Tir;
   gli esemplari di orso presenti in Abruzzo sono 50 e secondo i numeri stimati dal parco d'Abruzzo negli ultimi 45 anni risultano essere morti 112 orsi a causa di incidenti stradali, arma da fuoco e avvelenamento, facendo emergere il rischio d'estinzione della specie;
   l'aumento delle strade, l'occupazione da parte dell'uomo dei territori dove vivono le specie protette, il mancato rispetto dei limiti di velocità nei tratti di strada interessati dalla presenza di animali e l'assenza di misure di salvaguardia degli animali producono tali conseguenze –:
   se non ritengano di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di mettere in sicurezza le strade e garantire l'incolumità delle persone e degli animali;
   se non ritengano di dover adottare iniziative per la realizzazione di mappature delle zone più a rischio, al fine di promuovere una disciplina normativa che renda obbligatori i dissuasori acustici e ottici, nonché la realizzazione di «viadotti per la fauna» per la salvaguardia degli orsi e degli altri animali. (4-14585)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La riduzione degli incidenti automobilistici che coinvolgono l'orso bruno marsicano costituisce uno degli obiettivi delle azioni previste dal piano d'azione per la tutela dell'orso bruno marsicano (PATOM). Nell'ambito del protocollo di intesa per l'attuazione del PATOM del 27 marzo 2014, la regione Abruzzo ha assunto uno specifico impegno per ridurre gli incidenti automobilistici che coinvolgono la fauna selvatica e in particolare l'orso; tale attività è tutt'ora in corso anche per le oggettive difficoltà e i costi legati al fatto di intervenire su una rete viaria molto estesa.
  Riguardo alla proposta di una disciplina normativa, considerata l'eterogeneità e molteplicità dei contesti ambientali e infrastrutturali che andrebbero regolamentati, appare più efficace un intervento sviluppato su base amministrativa, con iniziative calibrate sulle varie situazioni di rischio, anche considerato che molto lavoro per l'identificazione delle tratte stradali a maggior rischio è già stato svolto. In tal senso vi è anche un'ampia esperienza sviluppata prevalentemente nelle regioni centro settentrionali relativa agli incidenti stradali che coinvolgono ungulati come cinghiale, cervo e capriolo. Si faccia per esempio riferimento al progetto Life+ «Strade» (www.lifestrade.it), recentemente concluso nelle regioni Marche, Toscana e Umbria.
  In ogni caso, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 1° gennaio 2014 è stato avviato il progetto LIFE+ LIFE12 BIO/AT/000143 denominato «una ragione per sperare – reintroduzione dell'ibis eremita in Europa» che persegue l'obiettivo di reintrodurre in Europa una popolazione vitale di ibis eremita;
   tale progetto è finanziato per un totale di 2.179.759 euro con il denaro dei cittadini europei;
   nel corso dello studio decennale di fattibilità del progetto, il 70 per cento delle perdite è stato causato da abbattimenti illegali avvenuti sul territorio italiano (bracconaggio);
   il 1° settembre 2016, primo giorno di caccia in «preapertura», in provincia di Grosseto è stato ucciso l'ibis di nome Kato;
   l'8 ottobre 2016 nei pressi di Thiene, in provincia di Vicenza, è stato ucciso l'ibis di nome Tara;
   il 5 ottobre 2016 in provincia di Grosseto, vicino ad Alberese, è stato ucciso l'ibis di nome Thor;
   il 5 novembre 2016 in Val Camonica, nel comune di Darfo Boario Terme, in località Angone, è stato ucciso l'ibis di nome Enno;
   il 15 novembre 2016 nelle campagne di Caprino Veronese (Verona) è stato rinvenuto Luna, un ibis eremita ferito ad una zampa;
   tutti gli animali uccisi e feriti sono stati colpiti da pallini utilizzati comunemente nelle cartucce per i fucili da caccia;
   i 4 ibis uccisi e l'ibis ferito nel corso di due mesi rappresentano il 30 per cento, del contingente migratorio che interessa il nostro Paese;
   il 13 settembre 2016 il tribunale di Livorno ha condannato un cacciatore toscano per l'uccisione di due esemplari di ibis eremita avvenuta nel 2012;
   a seguito della recente revisione dell'organizzazione periferica della pubblica amministrazione che ha determinato il sostanziale azzeramento della vigilanza venatoria ad opera delle guardie provinciali, l'individuazione di queste vittime di atti di bracconaggio è stata possibile grazie al fatto che tutti gli ibis facenti parte del progetto sono dotati di geolocalizzatore gps;
   considerato l'interesse venatorio pressoché nullo nei confronti di tale specie, è lecito presumere che le dimensioni del bracconaggio nei confronti di altre specie protette dalle norme europee ma di interesse dei cacciatori siano enormemente superiori;
   il fenomeno del bracconaggio è quindi molto più esteso territorialmente di quanto fino ad ora immaginato e non riguarda solamente l'uso di mezzi vietati da parte di cittadini comuni, ma comprende l'uso di fucili utilizzati comunemente nell'esercizio dell'attività venatoria, mentre un cacciatore in possesso di regolare abilitazione all'esercizio venatorio è stato individuato quale responsabile dell'uccisione di due ibis eremita;
   la direttiva «uccelli» e la direttiva «Habitat» impongono al nostro Paese la protezione di tutte le specie di fauna selvatica, sia limitandone il prelievo per alcune, sia vietandolo per altre;
   quanto accaduto espone il nostro Paese al concreto rischio di pesanti sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto delle suddette direttive;
   le conseguenze del passatempo illegale esercitato dalla categoria dei cacciatori, che rappresenta meno dell'1 per cento della popolazione, rischiano quindi di ricadere pesantemente sull'economia di tutte le famiglie italiane in un periodo particolarmente drammatico dal punto di vista economico –:
   se non ritengano improrogabile assumere iniziative normative per una revisione delle procedure per il rilascio delle abilitazioni all'esercizio venatorio, in particolare per quanto riguarda la diretta responsabilità dei cacciatori negli atti di bracconaggio, così come dimostrato con i citati casi degli ibis eremita. (4-14833)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'uccisione di esemplari di ibis eremita, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che l'abbattimento di cinque esemplari di Ibis eremita rappresenta un fatto gravissimo che incide in maniera sostanziale sulla possibilità di riportare la specie in Italia e in generale in Europa. Si tratta di una specie rarissima, gli esemplari uccisi facevano parte dell'unico gruppo presente in Europa, che conta poco più di 20 esemplari in totale.
  Le diverse azioni di bracconaggio registrate a danno degli Ibis eremita, non possono che peggiorare la percezione a livello europeo di quanto sia grave la situazione del bracconaggio in Italia e di come influisca sulla conservazione delle specie non solo nel nostro Paese ma in tutta Europa. Peraltro, in materia di bracconaggio l'Italia è già stata richiamata dalla Commissione europea con il caso EU-Pilot 5283/13/ENVI per ripetute e diffuse azioni illegali contro gli uccelli.
  In risposta al citato caso EU-Pilot e con il supporto tecnico di Ispra, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della tutela del territorio e del mare ha recentemente completato la redazione e consultazione di un Piano d'azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici. Il piano sta per essere sottoposto all'approvazione della Conferenza Stato-regioni.
  Il Piano è volto ad aumentate la percezione del fenomeno, a sensibilizzare amministratori locali ed opinione pubblica su quanto si possa avviare nelle diverse responsabilità di ognuno per reprimere il fenomeno, prevede azioni di coordinamento delle iniziative da assumere attraverso una cabina di regia nazionale per favorire il raccordo con gli organi di Polizia giudiziaria incaricati del presidio del territorio, al fine di aumentare l'efficacia e la tempestività delle azioni repressive.
  D'altra parte, questo atto di palese bracconaggio conferma quanto emerso dal piano d'azione, ovvero di come sia fondamentale rafforzare l'azione di vigilanza sul territorio svolta dalle ex polizie provinciali, dal Corpo forestale dello Stato, dalle guardie volontarie. Ciò risulta ancora più importante ed urgente in relazione alla riorganizzazione delle Polizie provinciali a seguito dell'abolizione delle province e dell'attuale processo di riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato che viene integrato nell'Arma dei carabinieri.
  Alla luce di quanto esposto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del territorio e del mare rafforzerà l'impegno per una rapida adozione e attuazione del piano d'azione e si sta attivando in tal senso per sollecitare il supporto delle associazioni ambientaliste così come delle associazioni venatorie.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARDINALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 121 Palermo-Agrigento risulta essere per chi la percorre un vero e proprio calvario;
   a causa dei lavori di ammodernamento lungo l'arteria sono stati installati ben 9 semafori che regolano il traffico a senso unico alternato;
   questa situazione determina un tempo di percorrenza di tre ore per percorrere circa 140 chilometri;
   cittadini segnalano difficoltà nel prendere aerei, arrivare puntuali a visite mediche o all'università, senza trascurare il trasporto merci e tutto ciò che ne consegue per il tessuto economico e produttivo del territorio;
   l'Anas si è impegnata a sincronizzare i semafori su alcuni tratti e a migliorare la situazione ma non è ancora sufficiente –:
   a fronte di tali disagi, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, intenda promuovere nei confronti dell'Anas per accelerare ulteriormente i lavori di ammodernamento che interessano la strada statale n. 121. (4-14070)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sono state chieste dettagliate informazioni alla società Anas che ha fornito i seguenti elementi di risposta.
  L'itinerario strada statale 121 – strada statale 189 costituisce il collegamento diretto tra il capoluogo regionale e la città di Agrigento. Il suddetto percorso, nella parte nord, si sviluppa per la strada statale 121, da Palermo fino al bivio Manganaro, e verso sud, per la strada statale 189, da Manganaro ad Agrigento.
  Il tratto di circa 34 chilometri di strada statale 121 che parte dall'attuale svincolo di «Bolognetta» sino allo svincolo «bivio Manganaro» è oggetto dei lavori di ammodernamento in sede, denominato «lotto 2», affidati al Contraente Generale «Bolognetta SpA».
  Il lotto 2 risulta suddiviso in due sub-lotti:
   lotto 2a, della lunghezza di circa 24,8 chilometri, nel quale è previsto l'adeguamento in sede cat. C1 di cui al decreto ministeriale 5 novembre 2001;
   lotto 2b, della lunghezza di circa 8,7 chilometri nel quale è previsto il raddoppio di carreggiata con due corsie per senso di marcia.

  I lavori prevedono la chiusura di metà carreggiata, con la definizione di tratte comprese tra i 200 e i 500 metri.
  Al fine di ridurre al massimo i disagi provocati all'utenza nel periodo estivo sui 34 chilometri interessati dai lavori, sono stati mantenuti in funzione solo 6 degli 11 semafori previsti nel periodo invernale.
  È stato, inoltre, effettuato, ove possibile, in base all'andamento dei lavori, il solo restringimento della carreggiata o brevi deviazioni su strade esistenti al posto della chiusura della metà di careggiata.
  Per completezza d'informazione, si segnala che l'ultimazione dei lavori sul tratto in questione è contrattualmente prevista per luglio 2017.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   continuano a persistere forti incertezze sulla realizzazione del collegamento viario ad elevata capacità di traffico tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla strada statale 16 (la cosiddetta «uscita ad ovest»), da parte della società Passante dorico, aggiudicataria del project financing;
   come risulta dagli atti di sindacato ispettivo a prima firma dell'interrogante (nn. 5-08467 e 5-09229) e dalle risposte del Governo, la società ha infatti presentato solo piani economici finanziari dell'opera ritenuti inadeguati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in quanto elaborati prevedendo un contributo in conto capitale o in alternativa in conto gestione;
   a seguito della richiesta avanzata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la Passante Dorico s.p.a. aveva da ultimo presentato una riformulazione delle ipotesi di piano economico e finanziario in data 11 maggio 2016, in relazione al quale però erano rimaste confermate le criticità già precedentemente rappresentate alla società medesima;
   il 5 luglio 2016 è stata rinnovata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in via ultimativa, la richiesta di un nuovo piano economico e finanziario coerente con le indicazioni già in precedenza manifestate, da presentare durante un incontro fissato per il 19 luglio;
   all'esito del confronto del 19 luglio 2016, a quanto consta all'interrogante la società Passante Dorico s.p.a., pur non avendo presentato il nuovo piano economico e finanziario richiesto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti il 5 luglio, si è impegnata a trasmettere una nuova proposta di piano coerente con le indicazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se la Passante Dorico s.p.a. abbia trasmesso e, in caso affermativo quando, il nuovo piano economico e finanziario e, in caso negativo, se ed entro quale termine il Ministro interrogato intenda finalmente concludere un procedimento le cui lungaggini stanno paralizzando la possibilità di soluzioni alternative, come può essere il collegamento fra il cosiddetto «lungomare nord di Ancona» con la strada statale 16 e tramite essa con la viabilità autostradale. (4-14919)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Circa lo stato dell'istruttoria sul Piano economico finanziario del collegamento viario tra il porto di Ancona e la grande viabilità, la competente direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali riferisce che il progetto definitivo del predetto collegamento sviluppato dalla società Passante Dorico S.p.A. è stato trasmesso a questo Ministero il 25 settembre 2015, unitamente a una versione aggiornata di Piano economico finanziario (PEF) e alla richiesta di revisione del rapporto concessorio.
  All'esito delle valutazioni istruttorie, con nota del 22 dicembre 2015 la Direzione generale ha rappresentato la sussistenza di criticità tecniche, trasportistiche ed economiche in difformità alla convenzione stipulata in data 18 dicembre 2013 e novellata con la scrittura integrativa del 2 settembre 2014.
  Tali criticità sono state confutate dalla società Passante Dorico, la quale ha confermato la propria proposta con nota del 20 gennaio 2016.
  Il successivo 17 marzo 2016, la Società ha proceduto ad aggiornare unicamente le previsioni di PEF le quali la direzione generale, con nota del 19 aprile 2016, ha ribadito la permanenza delle criticità originariamente rilevate.
  In data 11 maggio 2016 la società ha riscontrato nuovamente le criticità rilevate da questo Dicastero ribadendo la propria posizione.
  La direzione generale, il 5 luglio 2016, ha invitato in via ultimativa la Società alla predisposizione di un PEF coerente con le indicazioni evidenziate in sede istruttoria a cui è stato dato riscontro con la nota del 4 agosto 2016 riportante una ulteriore proposta modificata nelle condizioni di equilibrio economico. Tale proposta è stata formalizzata in via definitiva unicamente a mezzo trasmissione PEC in data 30 agosto 2016. Detto PEF è stato valutato dalla direzione generale e, all'esito dell'istruttoria, sono emersi i seguenti aspetti:
   la proposta di PEF assume come condizione imperativa l'acquisizione di una garanzia a riduzione del rischio traffico indicata come Intervento finanziario integrativo. Tale garanzia opererebbe in presenza di una domanda di traffico ricompresa tra le previsioni adottate dal PEF (Curva MIT) e una differente curva di traffico ricavata su ipotesi prudenziali (Curva SDG). In caso di una domanda effettiva di traffico costantemente inferiore alla curva SDG, il valore attuale dell'intervento finanziario integrativo risulta pari a 139 milioni di euro, corrispondente al 25 per cento del fabbisogno finanziario complessivo. Predetta garanzia e l'esborso finanziato associato si configura, da parte degli enti garanti, alla stregua di un contributo pubblico. L'erogazione della garanzia costituisce una modifica sostanziale del rapporto concessorio in essere poiché incide significativamente sulle modalità di copertura del fabbisogno finanziario. La convenzione originaria, sottoscritta a seguito di procedura di gara, stabilisce che l'opera venga effettuata esclusivamente mediante mezzi propri e mezzi di terzi (finanziamento) e senza alcun ricorso a contributi pubblici;
   la richiesta dell'intervento finanziario integrativo risulta non conforme al dettato di cui alla delibera Cipe n. 34/2010 che, tra le prescrizioni da recepire, non prevede l'erogazione di contributi, o forme di garanzie finanziarie equivalenti, a favore del concessionario nel presupposto che l'opera sia eseguita in project financing mediante esclusivo ricorso ad autofinanziamento;
   relativamente ai profili di natura tecnica, in assenza delle modifiche al progetto definitivo richieste dalla Direzione generale nel corso dell'attività valutativa, permangono le criticità già rappresentate ed espresse con la citata nota del 22 dicembre 2015.

  In ragione di tutto quanto sopra esposto, con nota del 15 dicembre 2016 è stato comunicato alla società concessionaria che il progetto definitivo presentato il 25 settembre 2015 e il corredato PEF, entrambi con le modifiche e le integrazioni successivamente proposte dalla concessionaria, da ultimo il 30 agosto 2016, non possono essere approvati.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   CHIARELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'emergenza ambientale che interessa la provincia di Taranto, con particolare riferimento alla vicenda Ilva, ma con riguardo a tutti gli insediamenti industriali, è nota per la sua gravità;
   il Governo, con il pieno sostegno del Parlamento, ha varato più provvedimenti nel tempo che definiscono percorsi mirati alla ambientalizzazione del siderurgico tarantino e alle bonifiche del territorio;
   di recente è emersa, tra le tante questioni oggetto di attenzione, la questione discariche e smaltimento rifiuti speciali provenienti dallo stabilimento Ilva;
   in merito a tale problematica è in corso una indagine della magistratura che ha prodotto già esiti rilevanti con l'adozione di misure cautelari che hanno colpito esponenti della politica e delle istituzioni locali;
   un recente servizio giornalistico comparso sul settimanale L'espresso avanza ipotesi di pressioni che sarebbero state attivate dal presidente della giunta regionale pugliese per l'utilizzo di tre discariche private insistenti sul territorio ionico;
   l'assessore regionale alle politiche ambientali della regione Puglia ha smentito tali ipotesi, senza però fornire puntuali informazioni sulla reale destinazione dei rifiuti speciali industriali;
   è di tutta evidenza la necessità di mantenere alta la guardia ed evitare che si determinino condizioni per un ulteriore aggravarsi della situazione ambientale a Taranto e nella sua provincia –:
   se sia informato di tale problematica, e se ritenga di dover approfondire attraverso gli organi di controllo ministeriali lo stato dei fatti;
   quali interventi intenda promuovere, nell'ambito della più complessiva azione di ambientalizzazione e bonifica dell'area, a riguardo dello smaltimento dei rifiuti speciali industriali. (4-01623)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre innanzitutto premettere che l'esercizio dello stabilimento siderurgico ILVA S.p.A. di Taranto è disciplinato dal decreto AIA dell'agosto 2011, che è stato parzialmente riesaminato ad ottobre 2012 per le emissioni in atmosfera delle aree di produzione e dei parchi di materie prime, ovvero le aree sequestrate dalla magistratura ad agosto 2012. Le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale del 2011 e del 2012 sono state ulteriormente integrate e modificate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che approva il Piano delle misure e delle attività per la tutela ambientale e sanitaria (cosiddetto Piano ambientale), il quale contiene anche ulteriori prescrizioni per il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.
  Oltre l'autorizzazione integrata ambientale e il piano ambientale, l'esercizio dello stabilimento siderurgico (alcune aree del quale sono a tutt'oggi sotto sequestro con facoltà d'uso) è disciplinato dalla normativa speciale che dal dicembre 2012 ad oggi consta di ben 8 decreti-legge, a loro volta oggetto di conversione.
  Le scadenze temporali previste dal piano ambientale per l'attuazione di interventi ambientali, fermo restando il rispetto dei limiti emissivi stabiliti dall'autorizzazione integrata ambientale, sono state procrastinate una prima volta ai sensi dell'articolo 2, comma 3-
ter, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Tale disposizione – oggetto di modifica ad opera del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 4 marzo 2015, n. 20 – prevedeva per tutte le prescrizioni del piano esclusivamente due scadenze: il 31 luglio 2015 per l'attuazione dell'80 per cento del numero delle prescrizioni in scadenza a quella data, e il 4 agosto 2016 per tutte le rimanenti.
  Successivamente, con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'autorizzazione integrata ambientale dell'ILVA di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal Piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Con il decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (ed in particolare con il suo articolo 1, comma 7), convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2016, n. 13, il termine ultimo per l'attuazione di tutte le restanti prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 è stato fissato al 30 giugno 2017.
  Ad ogni modo, nel luglio 2015 ILVA S.p.A. in A.S. ha comunque provveduto a garantire il rispetto della soglia prevista dell'80 per cento del numero di prescrizioni del piano ambientale, come certificato da Ispra a valle dell'ispezione che ha avuto luogo a luglio 2015 e dai VVF per le prescrizioni di pertinenza.
  Con riferimento allo stato di attuazione delle rimanenti prescrizioni, si segnala che il 7 settembre 2016 è stato registrato il decreto interministeriale di stanziamento di 300 milioni all'amministrazione dell'Ilva per la continuazione della realizzazione del piano ambientale.
  Si evidenzia, altresì, che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali Ispra, con la collaborazione di Arpa Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'autorizzazione integrata ambientale, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Dal 2012 al 2016 sono stati inoltre autorizzati dal Ministero interventi importanti che discendono dall'autorizzazione integrata ambientale e dal piano ambientale, quali gli interventi per la copertura del parco minerali e dal parco fossile, nonché interventi di regimazione delle acque meteoriche nelle aree discariche e parco calcare.
  Sono inoltre attualmente in corso i lavori istruttori della Commissione AIA-IPPC per il riesame delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale riguardanti le aree di stabilimento che non erano oggetto del riesame del 2012 (sostanzialmente le emissioni in atmosfera delle aree delle lavorazioni), nonché le prescrizioni riguardanti gli scarichi di sostanze pericolose degli impianti produttivi dell'intero stabilimento e l'efficienza energetica e i lavori istruttori da parte di ISPRA per il riesame del Piano di monitoraggio e controllo (PMC).
  Tanto premesso, si riporta di seguito lo stato di attuazione degli interventi relativi alla procedura di bonifica effettuati ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006:

   a) piano di caratterizzazione: approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 17 dicembre 2003;
   b) risultati della caratterizzazione: discussi in sede di conferenza di servizi del 19 ottobre 2006;
   c) analisi di rischio (area di stabilimento): richiesta dalla conferenza di servizi del 19 ottobre 2006 e non ancora trasmessa;
   d) piano di caratterizzazione integrativo (area Parchi): approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 18 dicembre 2013;
   e) risultati delle indagini integrative (area parchi) ed analisi di rischio (area di stabilimento): in fase di istruttoria per la prossima conferenza di servizi del 16 marzo 2016.

  Per quanto riguarda le emissioni nocive in atmosfera si segnala quanto segue.
  ARPA Puglia (con nota del 26 febbraio 2016 n. 12878, pervenuta il 29 febbraio 2016), comunicava tra gli altri al Ministero dell'ambiente che, sulla base di documentazione ricevuta nelle vie brevi da Ilva, «nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine si riscontrano valori altissimi nella centralina di via Orsini, quindi fuori dai confini dello stabilimento Ilva, per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento della letteratura».
  Contestualmente perveniva al Ministero, da parte del presidente della regione Puglia, la nota prot. n. 933 indirizzata all'Arpa Puglia e alla ASL di Taranto, con la quale si leggeva quanto segue: «In data odierna mi è stato consegnato per le vie brevi dalla direzione di ARPA Puglia il documento “Ilva – stabilimento di Taranto – attività di monitoraggio ambientale relativo alle analisi dei risultati delle misure di deposizione di PCDD/F a firma del Prof. Ing. Maurilio Onofrio” comunicando che dall'analisi del medesimo documento risultavano “valori deposimetrici di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti normalmente considerati come valori soglia sul suolo”».
  In conclusione la nota chiedeva ad Arpa e Ispra rispettivamente di:
   «ad ARPA Puglia di procedere ad una indagine diretta in sito, precisamente nelle aree esterne del quartiere Tamburi prossime al plinto campionato dal Politecnico di Torino per conto di ILVA, effettuando campionamenti sul suolo e relative analisi di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB,
Dioxin like);
   ad ARPA Puglia di produrre i dati più recenti relativi ai monitoraggi e controlli delle emissioni in atmosfera (SME, Rapporti di prova relativi alle indagini a camino, Monitoraggi ambientali);
   al Dipartimento di prevenzione ed allo SPESAL dell'ASL di Taranto di verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro, di attuare idonee campagne di monitoraggio e controllo avvalendosi di ARPA Puglia, tese ad accertare il livello di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB,
Dioxin like) e di Benzo(a)pirene;
   al Dipartimento di prevenzione dell'ASL di Taranto di accertare la eventuale presenta di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso i laboratori competenti».

  Alla luce delle citate note, il Ministero tempestivamente procedeva a sollecitare l'invio da parte di Ilva della documentazione citata dal Presidente della regione Puglia, documentazione che veniva trasmessa nella medesima data del 29 febbraio da Ilva alla competente direzione e ad Ispra.
  Acquisiti gli atti, la direzione per le valutazioni e autorizzazioni ambientali provvedeva, nella medesima giornata del 29 febbraio, a richiedere formalmente ad Ispra, con l'urgenza che il caso richiedeva e richiede, un approfondimento specifico sulla questione ed in particolare sulla possibile relazione tra i dati rilevati e le attività industriali dell'aria.
  Delle note di Arpa Puglia e dell'Ilva, il giorno stesso del ricevimento è stata data compiuta pubblicità nel sito del Ministero.
  Si segnala, infine, il finanziamento di diversi interventi previsti nella provincia di Taranto, in particolare oltre 8 milioni di euro per la riqualificazione di 5 scuole nel rione Tamburi, più 80 mila euro per studi di caratterizzazione e analisi di rischio e bonifica sia per tre scuole del quartiere Tamburi che per il cimitero di San Brunone. Altri 7 milioni di euro saranno destinati al dragaggio dei sedimenti per la realizzazione del primo lotto della cassa di colmata per l'ampliamento del porto di Taranto.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Cementir – Sacci (multinazionale italiana che opera nel settore del cemento, attraverso la produzione e la distribuzione di cemento grigio e bianco, calcestruzzo, inerti e manufatti) ha deciso di avviare le procedure di licenziamento collettivo dichiarando in esubero complessivamente 260 lavoratori; in particolare, l'azienda relativamente al sito di Spoleto (Perugia) ha annunciato l'esubero di 21 lavoratori di cui 8 adibiti alle lavorazioni presso la cava in concessione di Spoleto;
   più analiticamente Cementir Italia ha previsto 106 licenziamenti in tutta Italia: 96 operai e 10 quadri e impiegati, distribuiti negli stabilimenti di Taranto, 47 ad Arquata Scrivia, 25 in provincia di Alessandria, 21 a Spoleto – Perugia, 10 a Maddaloni (Caserta), 2 nel centro di distribuzione di Civitavecchia, e 1 nella sede di Roma;
   i lavoratori e i sindacati hanno risposto all'annuncio dei licenziamenti con alcuni scioperi e mobilitazioni chiedendo l'intervento delle istituzioni locali e dei Ministeri interessati al fine di avviare un tavolo istituzionale che affronti la grave emergenza occupazionale nei siti interessati;
   secondo l'ipotesi avanzata da alcuni rappresentanti sindacali, la scelta di porre in essere la mobilità dei lavoratori sarebbe legata piuttosto ad esternalizzare i processi produttivi, riducendo i costi fissi a partire da quello del lavoro;
   gli interroganti evidenzino che proprio presso il sito di Spoleto appaiono difficilmente giustificabili gli esuberi dichiarati posto che, spesso, dipendenti sono chiamati a svolgere ore di straordinario e in alcuni giorni doppi turni; inoltre dei 21 dipendenti coinvolti nella procedura di esubero presso il sito di Spoleto, 3 o 4 lavoratori sarebbero vicini al pensionamento e gli altri potrebbero essere ricollocati o riassorbiti dall'azienda che ha in concessione la gestione della cava ed è attiva –:
   quale sia l'esito delle iniziative finora adottate al fine di superare la crisi occupazionale in atto nel gruppo Cementir Sacci e quali ulteriori iniziative si intendano intraprendere per favorire un piano di rilancio che preveda – anche con l'apertura di un tavolo di confronto con l'azienda e con il coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali – il riassorbimento e/o ricollocamento dei lavoratori, delle aree interessate e che tenga conto della situazione concreta e del riscontro delle reali motivazioni poste a base degli esuberi in ciascun sito produttivo del gruppo. (4-14950)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiedono chiarimenti sulle vicende occupazionali e produttive delle società Cementir Sacci Srl e Cementir Italia Spa, si rappresenta quanto segue.
  L'11 ottobre 2016, la società Cementir Sacci Srl ha avviato una procedura di licenziamento collettivo nei confronti di complessive 83 unità lavorative operanti presso la sede legale di Roma, i siti produttivi di Greve in Chianti (FI), Cagnano Amiterno (AQ), Tavernola Bergamasca (BG), nonché preso gli impianti di calcestruzzo di San Giovanni Taetino (CH), Scerne di Pineto (TE) e Roma Casilino.
  La società Cementir Sacci Srl ha reso noto che la procedura di riduzione di personale trova fondamento nella crisi che, negli ultimi anni, ha colpito duramente il settore dell'edilizia causando una significativa contrazione della domanda di materiali da costruzione e, quindi, anche di cemento. In tale contesto, la Cementir Sacci ha dovuto ridurre la produzione, adeguando e razionalizzando progressivamente l'apparato organizzativo, amministrativo e industriale ai mutati volumi di vendita. L'organizzazione industriale ha subito, pertanto, una significativa ristrutturazione con la chiusura di due dei cinque stabilimenti di produzione di cemento e la cessazione della produzione della quasi totalità degli impianti di calcestruzzo.
  Allo stato attuale, la cosiddetta fase sindacale della procedura di licenziamento collettivo si è conclusa con un mancato accordo, conseguentemente gli uffici del Ministero del lavoro, hanno convocato per il 19 dicembre le parti sociali per iniziare l'espletamento della cosiddetta fase amministrativa.
  Con riguardo, invece, alla società Cementir Italia Spa, si ricorda che la medesima società il 12 settembre 2016 ha attivato una procedura di licenziamento collettivo nei confronti di 106 unità lavorative occupate presso: la sede di Roma, il centro di distribuzione di Civitavecchia (RM) nonché presso gli stabilimenti produttivi di Arquata Scrivia (AL), Maddaloni (CE), Spoleto (PO) e Taranto.
  Analogamente alla situazione della Cementir Sacci Srl, anche per la Cementir Italia Spa le motivazioni che hanno determinato la necessità di ricorrere alla procedura di riduzione di personale, sono ascrivibili alla crisi, poc'anzi citata, del settore dell'edilizia.
  Con particolare riferimento allo stabilimento di Spoleto (PG), la Cementir Italia Spa ha comunicato la decisione di esternalizzare le attività relative alla conduzione, gestione, controllo e sorveglianza della cava di calcare limitrofa allo stabilimento.
  Per quanto riguarda la procedura di licenziamento collettivo si rappresenta che tanto la cosiddetta fase sindacale che quella cosiddetta amministrativa si sono concluse con un verbale di mancato accordo. Durante gli incontri svoltisi la società Cementir Italia ha dichiarato di essere disponibile, limitatamente al sito di Taranto, a far ricorso alla CIGS per le aree industriali di crisi complessa prevista dall'articolo 44, comma 11-
bis, del decreto legislativo n. 148 del 2015. Al riguardo, lo scorso 1o dicembre si è svolto un primo incontro presso la regione Puglia – a cui ne farà seguito un altro a breve – al fine di definire un piano che preveda appositi percorsi di politiche attive del lavoro concordati con la regione e finalizzati alla rioccupazione dei lavoratori. Il Ministero del lavoro si impegna, sin da ora, a riconvocare tempestivamente le parti una volta definito l'accordo in sede regionale.
  Per quanto riguarda, invece, gli esuberi previsti negli altri siti, la società ha precisato che:
   per il sito di Spoleto (PG), rispetto alle iniziali 21 unità dichiarate eccedenti, sussiste la possibilità di riassorbirne 5 all'interno del gruppo e di ricollocarne 8 in società esterne:
   per il sito di Arquata Scrivia (AL), rispetto alle 25 eccedenze dichiarate, sussiste la possibilità di riassorbirne 10 all'interno del gruppo e di ricollocarne 13 in società esterne;
   per il sito di Maddaloni (CE), rispetto alle 10 eccedenze dichiarate, sussiste la possibilità di ricollocarne 7 in società esterne;
   per la sede di Roma e il centro di distribuzione di Civitavecchia le eccedenze rimangono quantificate in 3 unità lavorative.

  Nel confermare, pertanto, la massima attenzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in ordine vicenda in parola, si assicura che gli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali continueranno a monitorarne gli ulteriori sviluppi al fine di valutare – qualora richiesto – ogni possibile soluzione volta a tutelare la posizione dei lavoratori e delle loro famiglie.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 hanno dato il via a un piano di riordino degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, con la soppressione di 30 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace che l'interrogante giudica scellerato;
   il 30 giugno 2014, al termine del Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio e il Ministro della giustizia presentavano in conferenza stampa i 12 punti da cui partire per la riforma del sistema giudiziario italiano, tra i quali, al punto 11, «misure per l'ulteriore razionalizzazione della geografia giudiziaria»;
   come si legge sul sito dello stesso Ministero, «La riforma della geografia giudiziaria del 2012 ha soppresso 30 tribunali e i corrispondenti uffici di Procura, ma ha dovuto reali arsi negli angusti confini della legge di delega originaria [...].Pertanto, occorre por mano al necessario superamento di quelle condizioni e, dunque: a) abbandonare la regola che ha imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello; b) rimuovere il divieto di soppressione dei tribunali con sede nei capoluoghi di provincia, a prescindere dalla conformità ad altri parametri funzionali.»;
   tale scellerata ristrutturazione del sistema giudiziario, se portata a compimento secondo i criteri fissati nel citato schema, farebbe sparire in un colpo solo almeno due dei tre tribunali molisani, il tribunale di Isernia e di Latino, e con essa anche la corte di appello di Campobasso, con gravi ricadute sui cittadini, che per ottenere giustizia in sede di appello, sarebbero addirittura dirottati verso realtà giudiziarie lontane, quali Napoli o Roma;
   le nuove misure, lungi dal rappresentare una razionalizzazione del sistema giudiziario utile a una, pur condivisibile, riduzione del costi, comporterà, paradossalmente, elevati oneri di spesa pubblica, posto che i costi per gli stipendi del personale resteranno invariati e quanto risparmiato con l'accorpamento degli immobili si spenderà per l'adeguamento delle nuove sedi;
   dal punto di vista dell'efficienza, poi, un eventuale smantellamento dei presidi giudiziari molisani, anche di uno solo di essi, avrebbe ricadute esiziali sulla cittadinanza: il ricorso alla giustizia diverrebbe non solo più costoso, ma addirittura quasi impossibile, posto che il cittadino che domanda giustizia non avrebbe più un presidio al quale rivolgersi, mentre il cittadino chiamato a testimoniare in un processo, dovrebbe sobbarcarsi gli oneri di una trasferta, addirittura verso altre regioni;
   in termini di ricaduta sul territorio, inoltre, lo smantellamento degli uffici giudiziari comporterebbe la chiusura, o comunque, il ridimensionamento dei presidi dell'Arma dei carabinieri, il ridimensionamento della forze della polizia di Stato e della Guardia di finanza;
   resa già esecutiva la soppressione del tribunale di Lucera, nella imminenza della eliminazione dei presidi giudiziari di Vasto (Chieti) e Lanciano (Chieti), tenuti in vita solo da una norma speciale temporanea emanata dopo il terremoto de L'Aquila, la soppressione del tribunale di Larino avrebbe pertanto ricadute pesantissime in tema di pubblica sicurezza per il territorio del Basso Molise, il quale resta ancora, da questo punto di vista, un'oasi felice;
   difatti, se l'infausto progetto di riforma fosse portato a compimento, non ci sarebbe nessun presidio giudiziario (tribunale e procura della Repubblica) in un territorio costiero di oltre 200 chilometri (da Foggia a Pescara), a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali;
   da aprile 2013 ad oggi, numerose sono state e continuano ad essere le iniziative su tutto il territorio nazionale, gli incontri operativi e le richieste avanzate agli addetti ai lavori e alle istituzioni per scongiurare tale riforma;
   tale drastica riorganizzazione giudiziaria, infatti, non trova il consenso di molti: per gli avvocati è uno spreco di risorse pubbliche, per i sindaci si tolgono avamposti della legalità in territori dove ce n’è bisogno e perfino per la magistratura la paventata soppressione dei presidi giudiziari molisani non è una scelta condivisibile;
   quella che all'interrogante appare una inaccettabile indifferenza riservata dalle istituzioni alla situazione di grave emergenza dei suddetti tribunali condurrà all'implosione del sistema giustizia nel territorio, e, nel settore penale, alla negoziazione dei diritti fondamentali assicurati dagli articoli 24 e 111 della Carta Costituzionale;
   in particolare, resterà seriamente compromesso il diritto del cittadino alla ragionevole durata e qualità del processo, dovendosi prevedere che l'insostenibile gestione dei carichi da parte dei pochi magistrati requirenti e giudicanti in servizio porterà a un rallentamento sine die delle indagini preliminari, o, ancora peggio, alla sommarizzazione della tutela giurisdizionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in considerazione del prospetto di una paralisi generale della macchina giudiziaria, se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per mantenere i presidi giudiziari molisani o, almeno, valutare l'opportunità di una soluzione alternativa che non lasci il territorio sfornito di un presidio di giustizia;
   se non ritenga che una possibile soluzione possa essere rappresentata dall'istituzione di un tribunale a Termoli (Campobasso), già sede distaccata di tribunale, posta a metà strada tra Foggia e Pescara. (4-06268)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione di alcuni uffici giudiziari molisani, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione, secondo le prospettazioni annunciate.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici tracciate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta Costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la Commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   COZZOLINO, SPESSOTTO, DA VILLA, D'INCÀ e BENEDETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   solo a fine agosto 2015 si è avuta notizia dello scoppio di un cassone del Mose dovuto alla pressione troppo alta del calcestruzzo; l'incidente, che sta comportando limitazioni al transito di navi e pescherecci alla bocca di porto di Chioggia, è accaduto ad ottobre 2014 e fu tenuto riservato; il costo stimato per la riparazione è di circa 10-12 milioni di euro;
   questo incidente è solo l'ultimo di cui si è venuti a conoscenza; a marzo 2013 infatti ci fu il cedimento della lunata di Lido, la diga foranea lunga un chilometro in pietra d'Istria al largo del Lido di Venezia (costata 43 milioni di euro), ceduta durante una mareggiata, anche in questo caso la notizia non venne divulgata, ed a scoprire casualmente i danni fu un gruppo di pescatori; la lunata del Lido fu «bocciata» dai tecnici del comune di Venezia che l'avevano ritenuta inutile ai fini della riduzione delle maree; costruita a tempo di record era stata ultimata a metà 2012 e cedette dopo nemmeno un anno dal suo completamento;
   a febbraio 2015 ci fu un altro incidente quando la galleria dei cassoni di Malamocco è stata allagata dal mare in tempesta con conseguenti danni considerevoli e nuovi dubbi sul funzionamento del mega progetto in condizioni meteorologiche critiche;
   il 27 maggio 2015 diciotto parlamentari del M5S fecero una visita ispettiva al cantiere del Mose per monitorare l'avanzamento dei lavori; ad accompagnare i parlamentari fu il direttore generale Hermes Redi, punta di diamante della nuova governance voluta dal presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris, che diede ampio mandato al nuovo direttore Redi di procedere a una complessiva riorganizzazione del consorzio. In tale occasione, nonostante lo scoppio del cassone fosse già avvenuto a fine 2014, il direttore generale non accennò minimamente all'incidente, nemmeno a precise domande dei parlamentari;
   il quotidiano La Nuova Venezia del 3 settembre 2015 dal titolo «Mose e CVN, a rischio Redi e 120 dipendenti» dà notizia dell'invio da parte dei tre commissari del consorzio Venezia Nuova di un dossier su spese, consulenze e subappalti inviato alla procura, al commissario Cantone e al Ministro;
   nel libro «Veneto anno zero» l'autore Renzo Mazzaro dedica alcune righe di pagina 154 a Hermes Redi: «arrivato con Fabris a dirigere il “nuovo corso» Redi era titolare della Hmr di Padova che lavorava per il Mose e continua a farlo anche oggi (sicurezza dei cantieri e direzione lavori) – “quando ho firmato per il Consorzio mi sono dimesso blindando la società con un trust definitivo, non sono più né titolare né beneficiario in alcun modo, né potrò ridiventarlo. I miei figli beneficeranno delle azioni di Hmr solo dopo la mia morte” – lodevole ma con la società che continua a lavorare per il Mose, Redi inevitabilmente amministra la pensione dei suoi cari. La Hmr è la principale delle società affidatarie dei piani di sicurezza, per i quali il consorzio ha speso 9.531.000 di euro (conteggiati dalla guardia di finanza)»;
   Hermes Redi sarebbe anche amministratore delegato di Thetis dal 14 ottobre 2013, incarico non rilevabile dal curriculum visibile nel sito internet del MoSE; l'Azienda conduce, per conto del CVN, la direzione lavori per la realizzazione delle opere di regolazione delle maree alle Bocche di Porto della laguna di Venezia – sistema MOSE;
   un articolo de La nuova di Venezia e Mestre del 21 giugno 2014 dal titolo «Consorzio Venezia Nuova, quel bilancio pieno di misteri» elenca le partecipazioni del Consorzio e tra queste figura che controllerebbe, tra le altre, il 51,181 per cento di Thetis spa, capitale sociale 11,2 milioni di euro, iscritta a bilancio a 5,8 milioni di euro; l'articolo rivela inoltre che dal penultimo bilancio disponibile (2012) d Consorzio Venezia Nuova registra 16,5 milioni di euro di fatture non pagate emesse dalla controllata Thetis, cifra su cui stanno indagato i magistrati –:
   se non ritenga necessaria ed urgente l'accurata verifica di un grave conflitto di interesse, che pare aver intaccato anche la cosiddetta «nuova fase, o nuova governance» nella gestione dell'Opera;
   se non ritenga che i controlli sulla funzionalità del Mose debbano essere affidati ad organismi qualificati ed esperti super partes;
   se non ritenga necessario fare chiarezza in merito agli incidenti occorsi alle strutture dell'opera e se non ve ne siano accaduti di ulteriori, dei quali non sia stata finora fornita evidenza alcuna da parte del concessionario unico dello Stato e costruttore del Mo.S.E, Consorzio Venezia Nuova;
   quali misure intenda attuare a garanzia di una reale trasparenza, affinché d'ora in poi siano tempestivamente resi pubblici ulteriori incidenti. (4-10327)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, considerata la rilevanza delle questioni poste interroganti, questo Ministero ha interpellato l'autorità nazionale anticorruzione (Anac) che ha fatto sapere quanto segue.
  A seguito di specifica richiesta agli amministratori straordinari del consorzio Venezia nuova (Cvn) gli stessi hanno trasmesso ad Anac un'ampia relazione nella quale sono state formulate osservazioni sia con riferimento ad alcune questioni oggetto dell'interrogazione in esame sia con riferimento ad altre problematiche comunque riscontrate nelle diverse fasi di realizzazione dei lavori.
  L'Anac ha trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dette precisazioni fornite dagli amministratori straordinari del Cvn che, in maniera sintetica, di seguito vengono rappresentate,
  Danni alla lunata di Lido.
  Con riferimento ai danni alla cosiddetta lunata di Lido registrati a seguito della tempesta verificatasi nei giorni 31 ottobre-1o novembre 2012 viene precisato che i danni subiti sono stati ingenti. Inizialmente un gruppo di tecnici ha definito l'evento meteomarino come «eccezionale» e, di conseguenza, è stato dato corso all'intervento qualificandolo come «migliorativo». Più di recente, un consulente degli amministratori straordinari del Cvn ha evidenziato che l'evento in questione non poteva essere considerato «eccezionale» rilevando, tra l'altro, ulteriori criticità sulla costruzione della lunata di Lido, indipendentemente dall'evento meteomarino, relativi a fenomeni di erosione in corrispondenza delle due testate.
  Danni ad uno dei cassoni di Chioggia.
  Con riferimento ai danni ad uno dei cassoni di Chioggia gli amministratori straordinari del Cvn hanno rappresentato che durante le operazioni di zavorramento con iniezioni di calcestruzzo avvenute fra il 22 e il 28 ottobre 2014, il secondo cassone di soglia di alloggiamento delle paratoie a partire dalla estremità Sud della barriera della bocca di Chioggia ha subito dei danneggiamenti alla soletta di copertura del corpo lato mare.
  La riparazione è stata effettuata, tant’è che i lavori sono stati già conclusi, ed il 10 giugno 2016 è stato anche effettuato il collaudo statico. Il costo è stato posto a carico della ditta esecutrice tramite la propria quota assicurativa.
  Danni ai cantieri della bocca di Malamocco.
  Per quanto riguarda i danni ai cantieri presso la bocca di porto Malamocco, avvenuti nei giorni 5-7 febbraio 2015 per effetto di una forte perturbazione, la relazione degli amministratori straordinari evidenzia che le bocche di porto maggiormente colpite sono state quelle di Chioggia e Malamocco. Per quanto concerne quest'ultima, i danni hanno riguardato sia le infrastrutture già ultimate sia quelle in corso di realizzazione, come i cassoni di alloggiamento delle paratoie. Di conseguenza, a parere dei citati amministratori straordinari del Cvn non si ravvisa alcun nesso di causalità fra detti danni e potenziali malfunzionamenti del sistema Mose in condizioni meteorologiche critiche.
  Danni al
Jack-up.
  Gli amministratori straordinari del Cvn hanno fornito dei chiarimenti anche con riguardo ad alcuni danni verificatisi durante le prove di funzionamento di un mezzo navale Jack-up per la posa e la sostituzione delle paratoie.
  A tale riguardo gli amministratori straordinari hanno rappresentato di aver proceduto alla risoluzione delle problematiche emerse assegnando ai cantieri navali Rosetti e Marino s.p.a. le attività di completamento e ripristino del mezzo.
  Danni ai tensionari.
  Gli amministratori straordinari del Cvn riferiscono, inoltre, che a seguito di sopralluoghi hanno riscontrato dei fenomeni di corrosione su alcuni elementi impiantistici presenti nelle gallerie e in corrispondenza dei gruppi di aggancio e tensionamento delle paratoie. Le corrosioni riguardano sia l'impiantistica generale sia i gruppi di tensionamento. Nella relazione viene comunicato ad Anac che sono in corso interventi per definire le tipologie di intervento; i piani di manutenzione e le relative modifiche e integrazioni da effettuare.
  Ruolo del direttore generale del Cvn, ingegnere Hermes Redi.
  Con riferimento alla posizione dell'ingegnere Hermes Redi, gli amministratori straordinari del Cvn specificano che a partire dal 31 marzo 2016 lo stesso non presta servizio presso il detto Consorzio. Per quanto attiene ai periodi precedenti puntualizzano che dal 10 ottobre 2015 al 31 marzo 2016 ha svolto il ruolo di direttore tecnico, mentre dal 28 giugno 2013 al 10 ottobre 2015 ha ricoperto, con altri incarichi collegati, anche quello di direttore generale.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   COZZOLINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale Cronaca Vera in data 12 maggio 2015 ha pubblicato l'articolo intitolato «Mi hanno maltrattato in ogni modo» e così ha sintetizzato la vicenda: «Nel corso di un'inchiesta da lui curata, un suo superiore fu indagato per omissioni di atti d'ufficio. È stato forse questo episodio a scatenare nei confronti del maresciallo Antonio Cautillo (vedi Cronaca Vera n. 1961) quella che lo stesso militare definisce una “rappresaglia senza fine”, iniziata nel 1990 e ancora in corso, che ha sottoposto Cautillo a decine di procedimenti disciplinari e penali. Il calvario è iniziato con una graduale emarginazione che si è trasformata ben presto in rapporti sempre più esasperati con superiori e colleghi, fino ad arrivare a boicottaggi, minacce ed altre azioni che Cautillo ha sempre considerato illegali. ”Ho sempre denunciato le minacce che, di volta in volta, ho ricevuto”, racconta. ”Perseguire i reati è sempre stato il mio compito e l'ho svolto senza compromessi. Proprio per non essere rimasto in silenzio di fronte a gravissime situazioni di cui sono stato testimone, ho subito di tutto: procedimenti disciplinari, punizioni, trasferimenti coatti, continue umiliazioni. A tutto questo si sono aggiunte le denunce nei miei confronti per ipotetiche mancanze in servizio: disobbedienza aggravata e continuata, falsità ideologica, diffamazione, abuso d'ufficio, insubordinazione con ingiuria. Nonostante tutto questo, resisto e resto in servizio. Mi sono opposto a qualsiasi tipo di provvedimento emesso dai miei superiori. Recentemente, per aver documentato un'ingiusta punizione subita, al mio curriculum si sono aggiunti altri due giorni di consegna: per me vale più di un encomio». VICENDA ALLUCINANTE. In due esposti inviati al Ministero della difesa, il maresciallo definisce «gerarchi» tre superiori. Basta questo per beccarsi una nuova denuncia per diffamazione, l'ultima di una serie di disavventure nel suo disperato tentativo di difendersi da quello che lui percepisce come un vero e proprio accerchiamento. Un noto generale, oggi in pensione, l'aveva preso proprio di petto. «Dopo essere stato assolto da una delle tante accuse di diffamazione fui punito con 10 giorni di consegna di rigore, poi venni sanzionato “per aver svolto con apprezzabile continuità attività sindacale”. E infine punito con tre mesi di sospensione dal servizio, dopo un'altra sentenza di assoluzione. Tutti dati in possesso del Ministro della Giustizia, che fa finta di niente. Ho subito trattamenti crudeli, inumani, degradanti per mole, ripetitività e durata delle accuse rivolte nei miei confronti. Sono stato costretto a difendermi in 16 processi penali. Tutti questi provvedimenti possono sembrare ineccepibili perché emanati da persone in divisa, ma proprio chi dovrebbe difenderti spesso ti pugnala alle spalle»;
   come se non bastasse, oltre a tutto questo, il maresciallo Cautillo ha dovuto far fronte alle conseguenti cause di pignoramento di beni immobili di cui non era neanche più proprietario e al blocco dello stipendio, sostenendo numerose udienze senza avvocati difensori. «Gli stessi individui da me segnalati mi hanno privato di importanti incentivi concessi a tutti, come il premio di produzione e l'indennità di funzione. Se sei accusato e poi ti assolvono non ti chiedono scusa: ti puniscono, ti bloccano la carriera e, in branco, tentano di licenziarti. Finisci tu stesso sotto accusa». Sul caso Cautillo sono state presentate 15 interrogazioni in Parlamento, una quantità di esposti al Ministero della giustizia e 30 al Ministero della difesa. Senza alcuna risposta esaustiva. Della questione sono state investite anche le istituzioni europee. «Sono un sopravvissuto, nessuno può resistere a tutto questo. Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata nel nome della giustizia e sotto lo scudo della legge da poteri intoccabili. Con la consapevolezza che questa battaglia giudiziaria e disciplinare capovolta possa andare avanti a vita. Anche questo governo, come i precedenti, non difende chi denuncia la corruzione, protegge le caste militari e giudiziarie, si trincera dietro silenzi e omertà. Ho scritto a tutti, anche alla presidenza del Consiglio, segnalando dove andavano i miei superiori utilizzando l'auto di servizio, con chi s'incontravano e quali tipi di scambi avvenivano. Nessuno è mai intervenuto»;
   il maresciallo sulla vicenda ha sinora presentato 44 esposti al Ministro della giustizia, da cui risulterebbero inquietanti profili meritevoli di approfondimento;
   nell'esposto n. 44 inviato al Ministro della giustizia il 25 settembre 2015, atto emblematico e divenuto di dominio pubblico, il carabiniere ha denunciato di essere vittima di ripetuti episodi di malagiustizia;
   sulla vicenda che riguarda il militare, sono stati presentati 3 precedenti atti di sindacato ispettivo (4-02661, 4-01366 e 4-00975) al Senato che ad oggi non hanno ricevuto risposta, così come i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della XVI legislatura –:
   se il Governo non ritenga opportuna; affinché si faccia piena luce sulla vicenda, attivare le iniziative ispettive di competenza. (4-11017)


   COZZOLINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   gli articoli 1465 e seguenti del codice dell'ordinamento militare garantiscono ai militari i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini e gli articoli 1352 e seguenti regolamentano il potere sanzionatorio in ambito disciplinare;
   il comandante interregionale dei carabinieri «Podgora», con provvedimento datato 12 aprile 2016 ha nominato l'ufficiale inquirente e disposto a carico del maresciallo, Antonio Cautillo un procedimento disciplinare di stato, teso ad allontanarlo dal servizio;
   l'Amministrazione della difesa, che risulterebbe a conoscenza diretta dei fatti dal lontano 31 agosto 2007, ha instaurato il procedimento disciplinare il 19 aprile 2016 con le contestazioni dell'ufficiale inquirente;
   l'articolo 1393 del codice militare, in vigore dal 28 agosto 2015, stabilisce: «In caso di procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziario, si applica la disciplina in materia di rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale di cui all'articolo 55-ter del decreto-legge n. 165 del 2001» che dispone: «Il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziario, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale»;
   appare all'interrogante lapalissiano che il procedimento disciplinare sia stato avviato al di fuori ed in spregio dei termini perentori previsti dagli articoli 1392 comma 2 del Codice dell'ordinamento militare e 1032 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, il cui superamento avrebbe dovuto comportare la decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare;
   il carabiniere, difendendosi, ha inviato l'esposto n. 33 al Ministro della difesa, datato 14 maggio 2016, evidenziando fatti di rilievo penale ed estrema gravità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative di competenza intendano assumere in merito. (4-13340)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, in quanto attinenti ad analoga tematica.
  Si rende noto che il militare richiamato dall'interrogante, a seguito della sentenza di condanna divenuta irrevocabile e acquisita dal comando generale dell'arma dei carabinieri in data 1o marzo 2016, è stato destinatario di un procedimento disciplinare di stato, al fine di rilevare la sussistenza di eventuali aspetti passibili di sanzione disciplinare di stato, in relazione alla sentenza passata in giudicato (esame del giudicato penale).
  Il procedimento, instaurato il 12 aprile 2016 e conclusosi lo scorso mese di ottobre, si è svolto nei termini e con le modalità previste dai commi 1 e 3 dell'articolo 1392 del codice dell'ordinamento militare, secondo i quali «il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale... deve essere instaurato... entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono...».
  Si rappresenta, infine, che le vicende penali e disciplinari del militare sono state oggetto di valutazione da parte delle competenti autorità giudiziarie che non hanno riscontrato evidenze riconducibili ad attività vessatorie poste in essere dai superiori gerarchici dell'interessato.

Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la stampa e le televisioni, nazionale e locali del sud pontino, da almeno tre mesi, informano l'opinione pubblica dello stato di assoluto degrado nel quale versa il Parco nazionale del Circeo;
   il tutto nasce da una serie di denunce penali per reati ambientali, nei confronti della dirigenza del parco e del Corpo forestale dello Stato, depositate in procura della Repubblica dal sindaco di Ponza, il giornalista Piero Vigorelli, che è membro del consiglio direttivo del parco;
   in una prima denuncia, a fine luglio 2016, il sindaco ha documentato l'esistenza sull'isola di Zannone, che è inclusa nel parco dal 1979, di alcune discariche a cielo aperto di rifiuti sia urbani sia speciali;
   da 37 anni l'isola di Zannone è stata abitata solo ed esclusivamente dal presidio della Forestale, da impiegati del parco e da studiosi dell'avifauna; appare all'interrogante verosimile che quei rifiuti possano essere stati prodotti dai citati enti;
   si tratta di reti da letto, termosifoni, sanitari, scaffalature di ferro, piano cottura, cappa aspiratrice, materiali elettrici, reti metalliche, inerti dell'edilizia, mobili, persiane e, financo, tubi in eternit e altro;
   la stampa afferma che è stata raggiunta un'intesa, secondo la quale il comune di Ponza autorizza l'ente parco che provvederà a smaltire quei rifiuti. A spese dell'ente parco, che ha stanziato circa 32.000 euro;
   nei primi giorni di novembre 2016, invece, la stampa informa di una seconda denuncia del sindaco di Ponza nei confronti dell'ente parco e del Corpo forestale;
   questa volta, il sindaco documenta che, all'interno della foresta demaniale, cioè il «cuore» del parco, esistono decine di cumuli di rifiuti di ogni genere;
   si tratta di batterie e di copertoni di auto, di sacchi contenenti eternit, di centinaia di bottiglie di plastica e di vetro, di materassi, frigoriferi, un trasportino per cani, sacchi di rifiuti umidi, carte e cartoni, inerti dell'edilizia, materiali elettrici, carcasse varie, sacchi e sacchetti di ogni tipo, e altro;
   in definitiva, nelle due denunce è documentato uno stato di abbandono e di degrado in tutto il parco del Circeo, dalla lontana isola di Zannone alla foresta demaniale;
   è indubbio che la responsabilità di tutto ciò ricada sull'ente parco e il Corpo forestale, che non hanno assolto i compiti istituzionali di vigilanza dell'aerea che lo Stato ha loro affidato, con lo scopo di proteggere e valorizzare la straordinaria natura dei luoghi protetti –:
   se non si ritenga opportuno assumere le rigorose iniziative di competenza per mettere fine a questo scempio, a partire da quelle finalizzate allo scioglimento del consiglio direttivo e al commissariamento dell'ente parco, misure che ad avviso dell'interrogante appaiono assolutamente urgenti e doverose;
   se non si ritenga opportuno attivare iniziative per verificare le responsabilità del Corpo forestale dello Stato, che fra l'altro continua a godere di un congruo contributo dal modesto bilancio dell'ente parco, addirittura di quasi 480.000 euro nel 2013, per assolvere ai compiti per i quali riceve un finanziamento dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, azioni che ad avviso dell'interrogante appaiono assolutamente doverose e urgenti;
   se non si ritenga opportuno agevolare l'iniziativa del comune di Ponza che, stando alle notizie di stampa, sta attivando le procedure per l'uscita dell'isola di Zannone dal parco, una scelta che, ad avviso dell'interrogante, appare assolutamente condivisibile;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per far fronte allo stato di fatiscenza nel quale è ridotta l'imponente e storica villa comunale di Zannone, che sta cadendo a pezzi a causa della mancata azione manutentiva da 37 anni, misura che l'interrogante ritiene assolutamente doverosa. (4-14862)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione dei rifiuti sull'isola di Zannone, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, venuto a conoscenza dei fatti, ha ritenuto opportuno indire una apposita riunione, a cui hanno partecipato lo scorso 26 settembre l'ente parco del Circeo, il comune di Ponza e il corpo forestale dello Stato. Da quanto emerso anche dalle comunicazioni dell'ente parco e dal verbale prodotto dal corpo forestale, la condizione di degrado atterrebbe a situazioni di limitata estensione ma, nel complesso, il territorio di Zannone presenterebbe un buono stato di conservazione degli ecosistemi e della biodiversità.
  Per quanto riguarda la questione relativa alla sorveglianza sull'isola, si evidenzia che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 luglio 2002 istituisce gli uffici del corpo forestale presso i parchi nazionali e ne stabilisce le modalità operative, prevedendo che gli oneri per la sorveglianza e le attività connesse siano posti a carico degli enti parco. Nel caso di specie, il parco nazionale del Circeo ha stipulato un'apposita convenzione con il corpo forestale-ufficio territoriale per la biodiversità (UTB) di Fogliano, per definire obiettivi, modalità e competenze reciproche.
  Tale convenzione non riguarda solo l'isola di Zannone e, dunque, i contributi economici sono commisurati all'attività da svolgere nell'intero territorio protetto.
  Nella Convenzione, è sempre stato individuato un ruolo del corpo forestale dello Stato a Zannone non tanto per le attività di vigilanza (comunque obbligatorie), quanto per le azioni di tutela o valorizzazione che sono poi confluite in progetti di conservazione, nella tabellazione dei sentieri e in attività di ricerca specifiche.
  Per l'attuale convenzione tra corpo forestale dello Stato ed ente parco è previsto un onere finanziario pari a 270.000 euro, che comprende il costo del personale distaccato presso l'ente parco a supporto delle attività degli uffici e la gestione della foresta planiziaria del Circeo di proprietà demaniale che insiste su una superficie complessiva di oltre 3.500 ettari. Si evidenzia che l'isola di Zannone ha una superficie pari a 100 ettari e che la superficie complessiva del parco è di 8.917 ettari.
  Anche nell'attuale convenzione sono state inserite azioni specifiche di conservazione relative a Zannone che non sono state pienamente attuate a causa delle difficoltà di accessibilità all'isola, dovute alla mancanza delle condizioni di sicurezza degli attracchi. Il corpo forestale dello Stato ha, dunque, interrotto due anni fa la presenza sull'isola segnalando la problematica. La questione è oggetto di confronto tra l'ente parco e l'Amministrazione comunale di Ponza per cercare di addivenire a soluzioni progettuali che consentano un accesso in sicurezza.
  Inoltre, preme sottolineare che, a valle della riunione appositamente promossa da questo Ministero in data 26 settembre u.s., è stato concordato un protocollo d'intesa fra provincia di Latina, comune di Ponza, ente parco e corpo forestale dello Stato, approvato all'unanimità nella seduta del 24 ottobre 2016 del consiglio direttivo del Parco. Con detto protocollo sarà assunto l'impegno ad una collaborazione per una soluzione alla problematica dei rifiuti a Zannone, mettendo in atto le necessarie azioni per la loro rimozione.
  Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla gestione dei rifiuti urbani, di stretta competenza dell'amministrazione comunale, si deve precisare che, secondo la vigente normativa, devono considerarsi tali anche i rifiuti giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico e, pertanto, la rimozione degli stessi non rientrerebbe fra i compiti istituzionali dell'ente parco né del corpo forestale.
  Tuttavia, in considerazione del fatto che l'isola è ricompresa nel parco nazionale del Circeo, non si esclude che i rifiuti possano essere rimossi a cura dello stesso Ente Parco in collaborazione con la provincia ed il corpo forestale. In tal senso, si conferma che sono stati avviati contatti tra gli enti interessati.
  Circa l'opportunità di assumere iniziative per escludere l'isola di Zannone dal parco ed affidarne la gestione all'amministrazione comunale di Ponza, si evidenzia che un procedimento di riperimetrazione di un parco nazionale prende avvio con una richiesta da parte del comune all'ente parco interessato e sulla base di un'apposita istruttoria tecnica viene formulata una specifica richiesta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale apre il relativo procedimento.
  Inoltre, per quanto riguarda la questione del commissariamento dell'ente parco, sulla base degli elementi tecnici in possesso della competente direzione generale, ad oggi, non si ritiene che ricorrano i presupposti.
  Da ultimo, si segnala che è in corso il procedimento penale volto a riscontrare l'effettiva sussistenza di violazioni del testo unico ambientale e che, in data 9 agosto 2016, il procuratore della Repubblica ha delegato il personale della polizia giudiziaria della stazione dei carabinieri di Ponza ad effettuare un sopralluogo, unitamente al personale dell'A.r.p.a. Ad ogni modo, al fine di individuare possibili soluzioni per il superamento delle questioni segnalate anche dal comune di Ponza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già predisposto un tavolo di confronto tra l'ente parco, il comune, il corpo forestale dello Stato e la regione Lazio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'INCÀ, DA VILLA e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la trasmissione AMBIENTE ITALIA della RAI ha mandato in onda il giorno 11 aprile 2015 un servizio di Maurizio Menicucci sul MoSE, il complesso e discusso sistema di dighe mobili ideato per difendere Venezia dal fenomeno dell'acqua alta, dove emergono dubbi sulla funzionalità del sistema, costituito da 4 schiere mobili, una a Malamocco con 19 paratoie, una alla bocca di Chioggia con 18 paratoie, e 2 alla bocca di Lido con 41 paratoie, progetto realizzato per l'86 per cento con 5,5 miliardi euro di costo. In particolare si fa riferimento alla bocciatura del progetto nel 1998 da parte della (Commissione VIA nazionale) sull'impatto ambientale del MoSE: già allora si parlava di sistema datato, che si sarebbe dovuto realizzare e verificare per gradi, che fosse inutile sia per l'acqua bassa quando comunque una parte di Venezia si allaga, sia con onde troppo alte che potrebbero mandare in risonanza le paratoie oscillanti con divaricamento reciproco che annullerebbe l'effetto della barriera o potrebbero causare persino la fuoriuscita dai cardini. Infine, i costi di manutenzione dal momento che l'opera giace per la maggior parte del tempo sotto acqua marina e quindi va incontro a biodeterioramento a causa di animali e piante che possono aderirvi: è un'opera costosissima nella manutenzione, di cui non si sa nemmeno l'entità;
   le recenti vicende giudiziarie che hanno coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato e costruttore del MoSE, ipotizzano azioni di corruzione e concussione e possono destare legittimi sospetti di coinvolgimento di comportamenti illegali riscontrabili in quei soggetti, tecnici e politici, che tanto si sono spesi per la realizzazione del sistema MoSE che si è rivelata una macchina corruttiva capace di controllare il controllore, il Magistrato alle Acque, e di elargire tangenti a tutti i soggetti coinvolti, a tutti i livelli: comune di Venezia, regione Veneto, Tar, Guardia di finanza, Corte dei conti – con 35 manager e politici arrestati e oltre 100 indagati;
   Ercole Incalza, deus ex machina del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle grandi opere in laguna con il Governo Berlusconi, il Governo Monti, poi Letta e adesso Renzi, ha seguito da vicino la vicenda del Mose;
   in data 4 agosto 2009 le associazioni AMBIENTEVENEZIA, ASSEMBLEA PERMANENTE NO MOSE, MEDICINA DEMOCRATICA VENEZIA hanno presentato alla Corte dei conti, alla procura della Repubblica di Venezia, al Presidente della Commissione petizioni del Parlamento europeo — Bruxelles, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una segnalazione/esposto che si riferiva ad uno studio eseguito dalla società francese «PRINCIPIA R.D.» (società di consulenza tra le più qualificate e riconosciute autorevoli a livello mondiale per la modulazione numerica di sistemi marini complessi che interagiscono tra loro in modo ondoso) la quale, su incarico ricevuto da comune di Venezia nel 2008, dimostrava che le paratoie di sollevamento del MoSE presentano fenomeni di risonanza ovvero sono dinamicamente instabili;
   il 19 novembre 2009 il comitato tecnico di magistratura del Magistrato alle acque di Venezia redige un documento volto a mettere in dubbio la validità dei risultati del rapporto di Principia R.D. Il documento del comitato tecnico di magistratura, che non porta alcuna evidenza di prove o risultati di calcolo che possono smentire i risultati dello studio di Principia R.D., non ha mai avuto un contradditorio tecnico scientifico che avrebbe verosimilmente evidenziato al suo interno errori ed incompetenze per rifiuto al confronto del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova nonché per un sopraggiunto cambio dell'amministrazione comunale di Venezia avvenuto nel maggio 2010, che ha portato all'elezione di Giorgio Orsoni, arrestato il 4 giugno 2014 per lo scandalo MoSE. Fra il 1999 e il 2000 Giorgio Orsoni in qualità di avvocato chiese e ottenne, per conto di alcuni clienti, che il Tar del Veneto sospendesse il decreto con il quale due Ministri della Repubblica, Edo Ronchi (Ambiente) e Giovanna Melandri (Beni culturali), dichiaravano che il MoSE non aveva superato la valutazione di impatto ambientale;
   nella seduta del 6 settembre 2005 della X Commissione congiunta alla IV Commissione del comune di Venezia vengono presentate da De Simone, del gruppo italo-norvegese-olandese EKO-NORCONSULT-TEC che ha realizzato decine di dighe e tunnel sottomarini in tutto il mondo, soluzioni alternative a quelle pensate per il MoSE. A Rotterdam è stato realizzato un sistema composto da due sbarramenti mobili che ruotando chiudono un canale collegato al mare, questo in caso d'alta marea. Le strutture di Rotterdam, quando non sono in esercizio, sono posizionate all'asciutto, ispezionabili e manutenzionabili. Altri sistemi realizzati in Europa, sono basati su degli elementi in gomma, gonfiati per arginare le alte maree; strutture che possono essere la soluzione giusta per Venezia, considerato che già operano e sono reversibili, senza la necessità d'invasive strutture subacquee. De Simone parla del sistema del cassone autoaffondante (tipo il MoSE) ed esprime dubbi per il rischio di ribaltamento. La prima analisi deve riguardare la sicurezza, i problemi delle cerniere delle paratie mobili e costi della manutenzione del sistema MoSE. Per quanto riguarda l'impatto ambientale, le strutture mobili alternative al MoSE, non vanno a toccare lo strato di caranto presente in laguna; le strutture alternative non sarebbero ancorate al fondale mediante una struttura di cemento: non si comporterebbero rigidamente con le mareggiate ma potrebbero muoversi oscillando e adeguandosi ai flussi di marea. A Venezia, nelle tre bocche di porto, realizzare strutture mobili tipo Rotterdam verrebbe a costare circa 1,5 miliardi di euro; si è in grado di realizzare le opere in 5 anni; il costo delle manutenzioni (annuo) è di 3 milioni di euro;
   il gruppo di tecnici che nel 1998 negò per primo la valutazione di impatto ambientale al MoSE, sottolineando la pericolosità delle cosiddette «cerniere», oggi si è ricostituito per fare pressione al Governo e chiedere di rivedere tutta l'opera. Andreina Zitelli, già docente allo Iuav proprio in materia di valutazione di impatto ambientale ed ex membro della Commissione nazionale Via del MoSE, in un'intervista dichiara: «il MoSE è un progetto tecnicamente e complessivamente sbagliato», andato avanti senza confronti con altri modelli e ottenendo le autorizzazioni della regione Veneto e del Magistrato alle acque con i sistemi che la procura mette ora in luce. La commissione valutazione di impatto ambientale lavorò per diciotto mesi e concluse i lavori a dicembre del 1998. La conclusione: il MoSE ha un impatto disastroso sugli equilibri lagunari, non garantisce funzionalità e manifesta problemi insormontabili nella gestione. Nel documento finale si legge che il MoSE «comportando un sempre più elevato numero di chiusure (delle paratoie) non è in grado di governare le maree più frequenti e medio-alte, se non a danno della portualità e dell'aperto e continuo scambio tra mare e laguna». Inoltre il progetto viene considerato tecnicamente inaffidabile: il moto ondoso fa vibrare le paratoie non garantendo una chiusura ermetica alle acque. È, infine, costosissimo. Le ultime parole del documento suonano inappellabili: il MoSE, non è «compatibile con le attuali condizioni di criticità dell'ecosistema di riferimento, comprendente la laguna, la città di Venezia, il relativo bacino scolante»;
   a Padova esiste un dipartimento universitario di ingegneria idraulica che è una delle eccellenze del nostro Paese. Lì, un gruppo di ricercatori di altissimo livello lavora da decenni proprio sulle questioni legate ai regimi idrodinamici della laguna, conoscono quell'ambiente per esperienza fisica diretta, dispongono di una eccellente modellistica matematica. Il direttore, il professor Luigi Dal Paos dichiara alla stampa nel 2014: «Noi consulenti naturali per quella grande opera, siamo stati messi all'angolo perché ci siamo rifiutati di modificare una relazione». Il Dipartimento aveva già appurato come il canale dei Petroli avesse dissestato la laguna «incrementando – dice Dal Paos – il processo erosivi della laguna centrale», portandole via 60 centimetri di fango. Sono andati avanti con i lavori senza dare risposte a nessuno, si sentivano al di sopra di tutto e di tutti, tanto che sono riusciti a procedere, senza avere alle spalle un progetto esecutivo, per stralci successivi; nessuno, al di fuori dei loro uffici, sa quale sia il reale stato di avanzamento dell'opera. Quindi, nessuno sa cosa ci sia alle bocche di porto, anche sotto il profilo politico amministrativo: l'intera operazione è stata preventivamente sottratta alle mani del comune e affidata alla regia dello Stato che a sua volta ha delegato per intero il consorzio Venezia Nuova, il consorzio, con il contributo fattivo della dirigenza del Magistrato alle acque, non ha solo preteso di scegliersi i controllori, ha anche eliminato relazioni tecniche scomode e consulenze che non erano disposte a tacere, a falsificare analisi e studi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, ciascuno per le proprie competenze, alla luce delle vicende giudiziarie e degli studi tecnici negativi, sottoporre a revisione il progetto complessivo del MoSE sul piano prima funzionale e poi tecnico, prima di procedere ulteriormente con il completamento dell'opera, anche in modo da comprendere dove la corruzione è intervenuta per far avanzare le decisioni e i finanziamenti di un'opera che non ha mai avuto un progetto esecutivo unitario;
   chi abbia la responsabilità scientifica di non aver dato seguito alla valutazione di impatto ambientale negativa del 1998 e quali siano implicazioni future della intrusione irreversibile rappresentata dall'affondamento degli enormi cassoni di cemento attraverso i canali di porto e a profondità definite per sempre;
   chi abbia validato la funzionalità del sistema di previsione, stabilito la quota di chiusura, fissato la batimetria delle bocche, fatto gli studi del monitoraggio ambientale, ignorando i segnali dell'innalzamento del livello marino in rapporto alla vita stimata dell'opera in 50-100 anni;
   se si intenda fare luce definitiva sui collaudi dei lavori male eseguiti e sulle responsabilità delle più recenti approvazioni da parte del Magistrato alle acque, del sistema delle cerniere e del sistema delle paratoie a rischio di risonanza e collasso. (4-08858)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta pervenuti dal provveditorato interregionale per le opere pubbliche Veneto – Trentino Alto Adige – Friuli Venezia Giulia (di seguito «Provveditorato interregionale»).
  In merito ai riferiti presunti danni ambientali indotti dal Mose, il provveditorato interregionale fa presente che la scelta progettuale delle barriere mobili, vincolata al mantenimento dell'area delle sezioni delle bocche, così da non alterare lo «scambio» mare-laguna, costituisce garanzia di mantenimento dell'attuale equilibrio idrodinamico e morfologico. Infatti, in occasione delle «acque alte» che si verificano ordinariamente con concomitanza di tempo perturbato, vento, moto ondoso e basse temperature, l'effetto della chiusura delle paratie sui processi ecologici lagunari è risultato trascurabile.
  In merito allo studio che il comune di Venezia aveva commissionato nel 2008 alla società Principia R.D. sul confronto tra la paratoia adottata nel sistema Mose e una sua variante proposta dall'ingegnere Di Tella, il Provveditorato interregionale precisa quanto segue.
  Quest'ultimo tipo di soluzione era stato escluso dal magistrato alle acque ben prima, sin dalle prime fasi progettuali del sistema Mose, per la ridotta riserva di sicurezza contro il ribaltamento nella fase di chiusura in presenza di corrente; per il comune di Venezia, invece, questa paratoia, tra l'altro non corredata da documenti progettuali adeguati, era apparsa migliorativa in quanto ritenuta meno soggetta a fenomeni di risonanza sub-armonica sotto razione del moto ondoso e dunque alla possibilità di relative ampie oscillazioni delle paratoie con la riduzione della tenuta idraulica della schiera e rischi di ribaltamento.
  Alla base del progetto delle opere alle bocche della laguna vi è il cosiddetto «progettone» che fu approvato nel 1982 dal consiglio superiore dei lavori pubblici (massimo organo tecnico consultivo dello Stato incardinato presso questo Ministero) e posto alla base dei successivi studi e lavori dati in concessione. Il «progettone» prevedeva che la chiusura di ogni bocca fosse realizzata con una schiera di paratoie definite «a spinta di galleggiamento» del tutto analoghe, come principio di funzionamento, a quelle attualmente in costruzione. Quando il mare cresce rispetto alla laguna, questo tipo di paratoia compensa la maggiore spinta idraulica (che agisce in direzione perpendicolare alla parete della paratoia, verso il basso) con la spinta di Archimede della sua parte immersa (che invece agisce in direzione verticale verso l'alto); per ottenere l'equilibrio dei momenti rispetto alle cerniere della paratoia, deve disporsi in modo da presentare una certa inclinazione verso la laguna.
  Nel primo periodo di lavoro del gruppo di progettazione del magistrato alle acque con il consorzio Venezia nuova furono esaminate, per la tipologia di paratoia, alcune alternative e tra queste anche quella che fu indicata come la «paratoia inversa», del tutto simile a quella a gravità dell'ingegnere Di Tella.
  Essa equilibra la spinta idraulica con una massa fissa posta all'estremità della paratoia. Anche questa soluzione richiede che la paratoia lavori inclinata in modo da eguagliare i due momenti dovuti alla spinta e alla gravità, ma questa volta l'equilibrio viene trovato inclinando la paratoia verso il mare. Se il mare cresce, la prima (quella a spinta di galleggiamento del Mose) trova il nuovo equilibrio abbassandosi, la seconda (a gravità, quella dell'ingegnere Di Tella) si alza. L'inverso succede se il mare cala di livello, le paratoie sono anche soggette all'azione del moto ondoso delle mareggiate, che le fanno «pendolare»: la prima si abbassa all'arrivo della cresta dell'onda e si alza all'arrivo del cavo; la seconda, quella a gravità, si comporta nel modo esattamente contrario, si alza con la cresta e si abbassa con il cavo.
  La paratoia del Mose, al crescere del livello del mare, aumenta la sua inclinazione verso il basso per cui una forte acqua alta la porta in posizione di maggiore sicurezza nei confronti del ribaltamento; la paratoia a gravità, che si eleva al crescere del livello del mare, si porta invece in posizione di minor sicurezza al medesimo ribaltamento.
   Anche il problema della risonanza sub-armonica è stato considerato dal Magistrato alle acque sin dalle fasi iniziali degli studi di fattibilità del progetto Mose, negli anni ’90, con studi sperimentali su modello fisico nei principali laboratori idraulici nazionali ed europei ed analisi teoriche condotte dal massimo esperto internazionale nel campo della modellazione delle interazioni fra corpo galleggianti parzialmente vincolati e campo di moto ondoso, il professor Chiang C. Mei del Massachusetts institute of technology di Boston (M.I.T. di Boston), membro del gruppo di esperti internazionali, che nel 1998 ha valutato il progetto Mose,
  Le conoscenze ed esperienze così maturate nel corso degli anni hanno consentito al Magistrato alle acque di definire la forma e le dimensioni ottimali delle paratoie, per ciascuna delle quattro bocche di porto, caratterizzare da diverso fondale, correnti ed esposizione al moto ondoso, per fronteggiare in tutta sicurezza le mareggiate di progetto, comprese quelle eccezionali, in tutte le fasi del funzionamento delle paratoie: dal sollevamento con flusso di marea entrante al ritorno sul fondale al termine della chiusura.
  Il medesimo Provveditorato interregionale comunica altresì che gli effetti del moto ondoso appaiono meno preoccupanti di allora in quanto dal 2012 tutte e tre le bocche sono state attrezzate con dighe che intercettano il moto ondoso di scirocco; restringimenti di bocca realizzati su precisa richiesta del comune di Venezia che aveva subordinato l'avvio della costruzione del Mose al ripristino della capacità dissipativa delle bocche lagunari del 1875, prima degli interventi di realizzazione dei moli foranei.
  Riguardo sempre allo studio di «Principia» commissionato dal comune di Venezia, richiamato nell'interrogazione, il provveditorato interregionale fa presente che il Magistrato alle acque ha sottoposto nel 2009 detto studio di Principia ad esperti nazionali ed internazionali, quali:
   il professor C. C. Mei (ford professor of engineering, M.I.T. di Boston);
   la professoressa Paola Malanotte (professore ordinario di oceanografia, M.I.T. di Boston);
   il professor David Parks (professore ordinario di ingegneria meccanica, M.I.T. di Boston);
   il professor Gerarhard Jirka (all'epoca direttore dell'Istituto di idrodinamica, Università di Karlsruhe, Germania);
   il professor Rafael Bras (all'epoca rettore di «The Henry Samueli school of engineering» – University of California, Irvine);
   il professor Claudio Datei (all'epoca ordinario di costruzioni idrauliche, Università di Padova);
   il professor Luigi Da Deppo (ordinario di costruzioni idrauliche, Università di Padova);
   il professor Sandro Stura (ordinario di costruzioni marittime, Università di Genova).
  Tutti gli esperti coinvolti hanno esaminato, ciascuno per le proprie specifiche competenze, i problemi sollevati dallo studio «Principia» ed hanno concluso l'infondatezza degli stessi in quanto, come evidenziato ad esempio dal professor C.C. Mei nella sua relazione di ottobre 2009, basati sui risultati di uno studio teorico con modello matematico troppo semplificato e quindi non in grado di riprodurre la complessità dei fenomeni che invece il Magistrato alle acque ha potuto riprodurre utilizzando come banco di prova i modelli fisici. Il professor C.C. Mei ha dimostrato che le oscillazioni sub armoniche (citate da Principia) vengono ampiamente eliminate nell'analisi numerica quando il sistema viene studiato considerando la corretta geometria dello stesso, la vera configurazione del canale di bocca e della laguna e gli effetti di smorzamento, propri del sistema, e non con un approccio semplificato.
  In particolare, i professori del Massachusetts Institute of Technology di Boston si sono così espressi: in conclusione, riteniamo che le dimostrazioni risultanti dagli studi precedentemente condotti con modelli matematici e fisici abbiano condotto ad un valido e sicuro progetto del sistema di barriere.
  In merito agli scenari di crescita del livello del mare, il Provveditorato interregionale informa che la vita utile del Mose e di un secolo; periodo ordinariamente assunto per tutte le opere d'ingegno umano ed è progettato per svolgere la sua funzione di evitare gli allagamenti per un periodo sufficientemente lungo durante il quale si avrà tempo per sviluppare eventuali altre soluzioni, sulla base dell'effettiva evoluzione degli scenari prospettati. Per orizzonti temporali così lunghi e per la complessità del sistema climatico accoppiato alla dinamica degli oceani, a parere del provveditorato interregionale, risulta arduo formulare previsioni attendibili sulla crescita del livello del medio mare mentre, invece, si possono adottare scenari ragionevoli per le specifiche applicazioni ingegneristiche, che possano comunque garantire un sufficiente livello di protezione.
  Il Provveditorato interregionale precisa che, a titolo esemplificativo, il livello del mare dal 1966 ad oggi è cresciuto di 5 centimetri, misura questa del tutto simile a quella riscontrata nel secolo scorso in tutto l'alto Adriatico e cioè di 11 centimetri al secolo. Le barriere mobili del sistema Mose, unitamente agli interventi di protezione ambientale già realizzati negli anni dal Magistrato alle acque, conferiscono all'ambito lagunare una notevole capacità adattativa, peraltro segnalata da diversi organismi internazionali, tra i quali, ad esempio il World watch institute, che nel rapporto annuale State of the World 2006, giudica il progetto Mose, assieme alle barriere olandesi, quale modello esemplare per contrastare i crescenti rischi di allagamento delle zone costiere per effetto del cambiamento climatico.
  In merito poi alla possibilità di una «revisione» del progetto Mose, prospettata dagli Interroganti, si evidenzia che l'opera è attualmente in avanzata fase di realizzazione. Infatti l'attuale stato di avanzamento degli interventi per ciascuna bocca di Porto, fornito dal citato Provveditorato interregionale, è il seguente (aggiornamento al 30 giugno 2016):
   Bocca di Lido – Treporti: avanzamento sul totale lavori 98 per cento;
   Bocca di Lido – S. Nicolò: avanzamento sul totale lavori 96 per cento;
   Bocca di Malamocco: avanzamento sul totale lavori 95 per cento;
   Bocca di Chioggia: avanzamento sul totale lavori 90 per cento;
   Paratoie e connettori: avanzamento sul totale lavori 82 per cento;
   Impianti avanzamento: sul totale lavori 49 per cento;
   Jack up: avanzamento sul totale lavori 95 per cento;
   Totale medio opere alle bocche 88 per cento.

  Il Provveditorato interregionale riferisce, inoltre, che per quanto riguarda le strutture principali del «sistema»:
   tutti i cassoni previsti per le tra bocche sono stati regolarmente affondati e quindi muniti di cerniera femmina;
   presso la bocca di Lido – Treporti è stata installata la schiera delle paratoie, con esecuzione di prove funzionali che hanno dato esito favorevole;
   tutte le paratoie restanti sono in fase di realizzazione presso le officine meccaniche e le relative consegne dei manufatti sono iniziate nel settembre 2015 e proseguono con regolarità;
   Tutte le cerniere maschio sono state ultimate in previsione degli assemblaggi sulle paratoie.

  Con specifico riguardo alle opere afferenti alla Bocca di porto di Lido Treporti, ovvero la prima barriera mobile completata, il provveditorato interregionale fa presente di avere approvato, alla fine del 2015, lo studio denominato «B-15.1/II – Bocca di Lido – Treporti: verifiche di funzionalità della barriera». A tale riguardo il medesimo provveditorato fornisce le seguenti precisazioni.
  Lo scopo del citato studio è quello di effettuare: prove in bianco, test di funzionalità, verifica delle procedure, raccolta e analisi di dati di monitoraggio, al fine di acquisire pratica operativa e di iniziare la formazione di personale dedicato, per il periodo compreso tra l'ultimazione delle singole opere e l'ultimazione dell'intero sistema Mose. Tra le predette attività rientrano:
   le attività di monitoraggio idrodinamico durante i test di sollevamento della barriera di Treporti;
   la gestione e manutenzione della barriera di Treporti;
   l'acquisizione di un software di gestione dei dati di monitoraggio topografico e la omogeneizzazione della strumentazione per il monitoraggio dei cedimenti dei cassoni delle quattro barriere del Mose.

  Detto studio, secondo le informazioni fornite dal provveditorato interregionale, prevede:
   Prove di sollevamento della barriera di Treporti e monitoraggio dati idrodinamici.
  Durante le attività di gestione e manutenzione delle opere è prevista l'esecuzione di prove di sollevamento delle paratoie della barriera di Treporti, nel corso delle quali saranno anche acquisiti dati idrodinamici nell'intorno della barriera. Il controllo delle condizioni idrodinamiche si rende necessario per approfondire la conoscenza del comportamento delle paratoie sotto l'azione del moto ondoso e del dislivello di marea.
  Durante le prove saranno svolte delle verifiche per valutare la funzionalità complessiva, a livello di barriera, di quanto realizzato: ad esempio, si potrà iniziare a testare il comportamento dell'intera schiera di paratoie anche in presenza di moto ondoso e correnti significative.
  Per quanto attiene alle prove di sollevamento delle paratoie di Treporti, è previsto un numero minimo di prove pari a 9. Ulteriori prove potranno essere eseguite ove specificatamente richieste dal provveditorato interregionale concedente in rapporto alle risultanze di quelle minime previste.
  Le prove di sollevamento della barriera saranno finalizzate allo studio di diversi aspetti e precisamente: verifica delle sollecitazioni trasmesse alle cerniere, verifica del comportamento della barriera sotto l'azione del moto ondoso. In particolare si prevedono le seguenti elaborazioni minime: analisi delle oscillazioni e del moto ondoso, analisi del dislivello mare-laguna sul l'assetto delle paratoie, ricostruzione con modello idrodinamico del campo di velocità della corrente attorno alle paratoie e verifica dell'effetto della corrente sulla velocità di emersione.

  Attività di monitoraggio.
  Tali attività prevedono, in estrema sintesi:
    la fornitura e installazione di strumenti – raccolta ed elaborazione dati idrodinamici alla barriera di Preporti: in particolare, saranno acquisiti e analizzati dati di marea, moto ondoso, velocità della corrente;
    il monitoraggio della qualità dell'acqua immagazzinata all'interno delle paratoie e successivamente rilasciata in laguna durante le operazioni di sollevamento della barriera di Treporti;
    le misure accelerometriche durante le operazioni di sollevamento della barriera di Treporti.
  Nell'ambito delle attività di monitoraggi si prevede di sperimentare l'utilizzo di un sistema «waver radar» o similare per monitorare (tramite l'analisi dei dati basata su algoritmi di imaging) in tempo reale, i parametri che caratterizzano lo stato del mare: lunghezza, periodo, direzione delle onde dominanti, altezza d'onda significativa, intensità e direzione del campo di corrente superficiale. L'importo per la suddetta attività è allocato nel quadro economico tra le somme a disposizione;
  Gestione e manutenzione della barriera e della conca di Treporti.
  Le attività comprendono l'applicazione dei piani di manutenzione delle opere civili e degli impianti, unitamente alle procedure di manutenzione adottate. Il riferimento è costituito dai piani di manutenzione dei progetti esecutivi approvati delle opere in argomento, dai corrispondenti fascicoli informazione, e dalle procedure di manutenzione emesse nell'ambito di altro studio «B.7.20/II», già in corso.
  Gestione operativa della barriera durante le movimentazioni delle paratoie.
  Le prove di sollevamento della barriera di Treporti saranno realizzate simulando l'applicazione delle procedure operative sviluppate nell'ambito dello studio «B.7.20» per quanto di competenza del Gestore dell'esercizio e del Gestore delle operazioni comandate e della manutenzione.
  Manutenzione delle opere della barriera di Treporti.
  Le opere previste nel progetto esecutivo della barriera di Lido – Treporti sono suddivise in 12 work breakdown structure (WBS), suddivise a loro volta in 54 work breakdown element (WBE).
  Nell'ambito dello studio, sarà svolta la manutenzione della barriera di Treporti applicando i piani di manutenzione ed i fascicoli informazione dei progetti esecutivi approvati delle WBE prese in carico. Il provveditorato interregionale sottolinea altresì che, in linea generale, le attività manutentive previste dai piani di manutenzione dei progetti esecutivi approvati comprendono azioni di tipo prevalentemente ispettivo.
  Omogeneizzazione del sistema di monitoraggio dei cedimenti dei cassoni delle quattro barriere.
  Durante i lavori di posa in opera dei cassoni di soglia e di spalla delle quattro barriere del sistema Mose, ciascuna barriera è stata dotata di apposita strumentazione (elettrolivelle, profilometri e misuratori di giunto) per il monitoraggio dei cedimenti dei cassoni.
  Il citato Provveditorato interregionale inoltre riferisce che i cedimenti differenziali tra cassoni adiacenti potrebbero sia comportare la riduzione del traferro tra le paratoie di estremità, e, in casi estremi, la possibilità di interferenza, sia mettere in crisi il sistema di giunti (Gina + Omega), nel caso i cedimenti superassero il campo di lavoro degli Omega posti in opera.
  A valle del completamento della posa dei cassoni di barriera del sistema Mose, è pertanto prevista la continuazione del monitoraggio periodico dell'assetto topografico degli stessi, nell'ambito delle relative attività di manutenzione.
  Durante i lavori di completamento delle barriere, tale monitoraggio è eseguito – a carico dell'impresa – da topografi con stazioni totali di alta precisione, utilizzando capisaldi esterni ed interni alla barriera, con il supporto di dati rilevati da appositi sensori (elettrolivelle, profilometri e sensori di giunto), previsti nei rispettivi progetti esecutivi.
  Dopo il termine degli interventi di posa e completamento cassoni, via via che si procederà con la presa in carico delle opere ultimate, le attività di monitoraggio, controllo e validazione dati dovranno rientrare nelle competenze del soggetto gestore.
  Operativamente, i sensori integrati nei cassoni forniscono informazioni (registrate in continuo) che vengono utilizzate dai topografi per verifiche/conferme delle misure topografiche periodicamente eseguite.
  Ad ogni monitoraggio topografico segue la fase di verifica dei risultati delle misure ottenute con quelle rilevate in continuo dai sensori.
  Il riscontro di differenze oltre le soglie dovute alle precisioni strumentali comporta un'ulteriore verifica delle misure topografiche e strumentali o addirittura la ripetizione di alcune misure da parte dei topografi.
  Infine, il provveditorato interregionale fa presente che l'attività di verifica, monitoraggio e controllo del «comportamento del sistema» – anche al fine di valutare ed apportare eventuali «correttivi» che si rendessero necessari e/o consigliabili – sarà estesa alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia ad ultimazione della posa delle paratoie.
  Le operazioni medesime, sulle quali il citato Provveditorato interregionale opera la propria attività istituzionale di alta sorveglianza, troveranno conclusione entro il mese di dicembre 2017 con la redazione dei rapporti finali.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DAGA, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 221 approvata in via definitiva dalla Camera il 22 dicembre 2015 (provvedimento meglio noto come collegato ambientale), contiene norme che riguardano l'organizzazione e la governance della prevenzione del rischio idrogeologico. Nello specifico, l'articolo 51 prevede la riorganizzazione dei distretti idrografici in materia di difesa del suolo, modificando diversi articoli del codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006): si predispone il passaggio dall'attuale situazione, caratterizzata dalla presenza di 39-41 autorità di bacino nazionali, interregionali e regionali, all'assetto distrettuale, programmando l'istituzione di autorità di bacino distrettuale per gli otto distretti idrografici, responsabili della redazione dei piani di gestione;
   il piano di gestione (articolo 117 del decreto legislativo n. 152 del 2006) affronta le questioni specifiche attinenti al proprio distretto (definisce e stabilisce aspetti qualitativi e quantitativi, come la continuità fluviale, l'eutrofizzazione, il rilascio di sostanze pericolose da specifici settori) e costituisce stralcio del piano di bacino distrettuale. Mentre è in capo alle regioni (i presidenti delle regioni assumono il ruolo di commissari contro il dissesto idrogeologico grazie al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91) l'obbligo di redigere un piano di tutela per il proprio territorio, che costituisce uno specifico piano di settore (articolo 121 del decreto legislativo n. 152 del 2006), nel quale si definiscono aspetti tecnici, quali lo stato dei corpi idrici e le misure per la tutela quali-quantitativa delle acque rientrano tra gli elementi del piano di tutela;
   il collegato  ambientale stabilisce anche che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare assuma le funzioni di indirizzo e coordinamento con le altre autorità, avvalendosi dell'ISPRA  e prevede la possibilità di una articolazione territoriale a livello regionale (sub-distretti) impiegando le strutture delle soppresse autorità di bacino regionali e interregionali. Infatti, risulta fondamentale evitare il dissolvimento del sistema tecnico e del patrimonio di conoscenze e competenze che si è creato nei venticinque anni di attività successivi all'approvazione della legge n. 183 del 1989;
   l'articolo 63, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 rimanda l'attivazione dell'autorità di bacino distrettuale per gli otto distretti idrografici all'emanazione di un apposito decreto che definisce i criteri e le modalità per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie dalle autorità istituite ai sensi della previgente normativa nazionale (la legge n. 183 del 1989) ai nuovi soggetti distrettuali. Il successivo comma 4 dispone che «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 3, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le regioni e le province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, sono individuate le unità di personale trasferite alle Autorità di bacino e sono determinate le dotazioni organiche delle medesime Autorità». Inoltre, in base al comma 7 del medesimo articolo: «Il segretario generale è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare». La carica del segretario generale è quinquennale e tra i suoi compiti ha quello di provvedere agli adempimenti necessari al funzionamento dell'autorità di bacino –:
   quale sia la situazione attuale del riordino della governance relativa alla prevenzione del rischio idrogeologico introdotta dal collegato ambientale;
   se i decreti che definiscono i criteri e le modalità per l'attuazione delle autorità di bacino siano stati emanati, quali e quanti segretari generali siano stati nominati, se tutte le autorità di bacino abbiano provveduto a redigere i piani di gestione e i piani di bacino distrettuale, se tutte le regioni abbiano redatto i piani di tutela per il proprio territorio. (4-13826)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in via preliminare, evidenziare che la nuova disciplina delle autorità di bacino distrettuali, contenuta nel cosiddetto collegato ambientale, è frutto di un lungo lavoro che ha impegnato le commissioni parlamentari competenti ed il Governo nel corso del 2014 e del 2015. La riforma, oltre a riallineare l'Italia con quanto richiesto dall'Europa in merito alla coerenza con i principi della direttiva 2000/60/CE e delle direttive successive in materia, si pone obiettivi ambiziosi volti alla riduzione del numero di enti, alla razionalizzazione delle competenze e alla semplificazione della filiera decisionale, con un rinnovato ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo da parte del Ministero dell'ambiente, l'attribuzione delle funzioni pianificatorie per il distretto in capo alle Autorità di bacino distrettuali e compiti di attuazione dei Piani di gestione alla scala sub-distrettuale e territoriale in capo alle singole Regioni.
  Tanto premesso, si fa presente che lo schema di decreto ministeriale con cui sono disciplinati l'attribuzione e il trasferimento alle autorità distrettuali del personale e delle risorse strumentali e finanziarie delle autorità di bacino dopo essere stato elaborato dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato successivamente trasmesso al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero per la semplificazione e le pubblica amministrazione, ai fini dell'acquisizione del concerto, nonché alla conferenza Stato-regioni per il relativo parere.
  A seguito della definizione dell’iter procedurale previsto, il provvedimento, previa registrazione da parte della Corte dei conti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 239, del 12 ottobre 2016.
  Nel corso della procedura di elaborazione del provvedimento in questione, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha svolto alcuni incontri con le regioni e le autorità di bacino ricadenti nei vari distretti idrografici, al fine di illustrare le linee generali della riforma, comprendere le specificità e le eventuali problematiche di ciascun distretto nonché illustrare ed impostare l'attività di ricognizione, prevista dal decreto ministeriale e funzionale alla definizione dei contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che trasferirà il personale e le risorse strumentali e finanziarie. Si segnala, inoltre, che dal momento in cui entrerà in vigore il decreto ministeriale, gli organi delle nuove autorità di distretto, ed in particolare la conferenza istituzionale permanente, saranno immediatamente convocabili.
  Per quanto riguarda, in generale, le autorità di bacino nazionali che risultano ad oggi prive di segretario generale, si rappresenta che si tratta allo stato attuale dell'autorità di bacino del fiume Arno e delle autorità di bacino dell'Alto Adriatico e dell'Adige. Per queste, nelle more della formalizzazione del nuovo segretario generale, i dirigenti garantiscono comunque il regolare funzionamento dell'autorità e l'espletamento di tutte le attività pianificatorie alle stesse attribuite.
  In merito all'approvazione dei piani di gestione delle acque ex direttiva 2000/60/CE, si segnala che tutti gli 8 piani di gestione dei distretti idrografici in cui è ripartito il territorio nazionale (distretto del fiume Po delle alpi orientali, dell'Appennino settentrionale, del fiume Serchio, dell'Appennino centrale, dell'Appennino meridionale, della Sardegna e della Sicilia) sono stati definitivamente approvati in Consiglio dei ministri lo scorso 27 ottobre ai sensi dell'articolo 57 comma 1 lettera a) n. 2 e dell'articolo 66 comma 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Si evidenzia, a tal proposito, che il Piano di gestione contemplato dalla direttiva 2000/60/Ce europea è il masterplan di riferimento in materia di gestione delle risorse idriche e costituisce uno stralcio funzionale (ossia tematico, relativo appunto alla gestione delle acque) del Piano di bacino distrettuale di cui all'articolo 65 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Di qui la necessità per le regioni di aggiornare le informazioni necessarie alla redazione dei piani di gestione e la previsione di un aggiornamento dei piani di tutela successivamente all'approvazione dei piani di gestione, secondo le disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 221, la quale, all'articolo 51, ha posticipato al 31 dicembre 2016 l'aggiornamento dei piani regionali di tutela per rendere tale data coerente con l'approvazione dei piani di gestione.
  Si rappresenta, infine, che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DAGA, TERZONI, MANNINO, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2014 è stato approvato il decreto-legge n. 47 del 2014 convertito dalla legge n. 80 del 2014 che, all'articolo 1 prevede il finanziamento di due fondi, quello nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 e quello destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124;
   all'articolo 10 del decreto sono introdotte misure volte a favorire la riduzione del disagio abitativo attraverso l'aumento dell'offerta d i alloggi sociali in locazione prevedendo al comma 6 che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni definiscono, qualora non siano già disciplinati da norme vigenti e per i casi non disciplinati da convenzioni già stipulate, i requisiti di accesso e di permanenza nell'alloggio sociale, i criteri e i parametri atti a regolamentare i canoni minimi e massimi di locazione, di cui al decreto ministeriale in attuazione dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 2007, n. 9, e i prezzi di cessione per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita. Le regioni, entro il medesimo termine, definiscono la durata del vincolo di destinazione d'uso, ferma restando la durata minima di quindici anni per gli alloggi concessi in locazione e di otto anni per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita o con patto di riscatto. Le regioni possono introdurre norme di semplificazione per il rilascio del titolo abilitativo edilizio convenzionato e ridurre gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di cui al presente articolo. Al comma 7, che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e comunque anteriormente al rilascio del primo titolo abilitativo edilizio di pertinenza, i comuni approvano i criteri di valutazione della sostenibilità urbanistica, economica e funzionale dei progetti di recupero, riuso o sostituzione edilizia e determinano le superfici complessive che possono essere cedute in tutto o in parte ad altri operatori ovvero trasferite su altre aree di proprietà pubblica o privata, per le medesime finalità di intervento, con esclusione delle aree destinate all'agricoltura o non soggette a trasformazione urbanistica dagli strumenti urbanistici, nonché di quelle vincolate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
   all'articolo 3, comma 1, il decreto prevede:
    «1. All'articolo 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, anche in deroga alle disposizioni procedurali previste dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560. Il suddetto decreto dovrà tenere conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale. Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente.»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014, convertito dalla legge n. 80 del 2014, prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica; lo stesso articolo prevede che: «Il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla, completa attuazione del Programma»; l'articolo 14, del cosiddetto decreto-legge «giubileo», recante «Interventi in materia di edilizia residenziale pubblica», prevede: «Al fine di incentivare il programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica anche per prevenire fenomeni di occupazione abusiva, è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l'anno 2015 da ripartire sulla base del programma redatto ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80; nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 29 ottobre 2015, in risposta all'interrogazione n. 5/06737, il Governo ha sostenuto che: «i fondi disponibili in questa prima fase renderanno possibile intervenire su circa 4400 alloggi con interventi di lievi entità e su oltre 18.000 alloggi con interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria. Ciò posto, è intenzione del MIT rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica con il rifinanziamento del programma di recupero mediante il reperimento di nuove risorse»;
   nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 10 febbraio 2016, in risposta all'interrogazione n. 5-07746, il Governo ha sostenuto che: «All'inizio del mese di dicembre 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto a mettere a disposizione dei bilanci regionali le prime risorse finanziarie limitatamente agli interventi di lieve entità per le annualità 2014-2015 con importo complessivo di 25 milioni di euro;
   considerato che i sopracitati decreti prevedono l'ultimazione degli interventi di lieve entità entro 60 giorni dalla data del provvedimento regionale di concessione del contributo ai soggetti attuatori, i primi esiti del programma potranno essere conosciuti non prima del mese di aprile;
   all'articolo 11 il decreto relativamente all'attuazione del provvedimento, rimanda a quanto previsto agli articoli 1, 4 e 10 –:
   se il Ministro interrogato, in base a quanto previsto dalle norme riportate in premessa, sia in grado di fornire i dati sullo stato di attuazione dell'intero provvedimento e, in particolare, relativamente allo stato di attuazione del programma di recupero previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014. (4-13970)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si comunica che sono state interamente versate alle regioni le disponibilità 2014-2015 del fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazioni (euro 200 milioni complessivamente) e che per il fondo inquilini morosi incolpevoli è stata trasferita alle regioni anche l'annualità 2016 (5.9,73 milioni) per un totale nel triennio 2014-2016 di euro 128,19 milioni.
  Per quanto concerne l'attuazione dell'articolo, 10 del decreto-legge n. 47 del 2014 (convertito dalla legge n. 80 del 2014) solo alcune regioni hanno comunicato di aver dato attuazione alle disposizioni, del comma 6 del suddetto articolo. Per quanto riguarda poi gli adempimenti comunali attivati per il recepimento delle normative regionali questo Ministero non possiede dati puntuali essendo la materia esclusivamente di competenza locale.
  Relativamente alle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1, del citato decreto-legge si evidenza che l'adempimento è stato effettuato con l'emanazione del decreto interministeriale (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze – affari regionali) 24 febbraio 2015 concernente «Procedure di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica».
  Giova segnalare in proposito che l'avvocatura generale dello Stato si è espressa sul decreto in oggetto, ritenendo che il termine di quattro mesi fissato per la predisposizione dei piani di alienazione da parte degli enti pubblici proprietari noti può far assumere al decreto in questione un carattere di straordinarietà in quanto l'articolo 3, comma 1, lettera a) del decreto-legge 47 del 2014 è intervenuto in modifica dell'articolo 13 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008 («Misure per la razionalizzazione, la gestione e la dismissione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica») dettando, in linea generale, le misure per l'alienazione degli, immobili dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, degli Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati e rinviando ad un apposito decreto l'approvazione delle procedure, di alienazione.
  Non viene condivisa, pertanto, dall'avvocatura la tesi delle regioni secondo cui il decorso del termine consentirebbe la reviviscenza del regime ordinario, con conseguente applicazione della normativa regionale già adottata in materia, «in quanto, in tal modo, si finirebbe per riconoscere ad un decreto avente efficacia secondaria, valore derogatorio e limitativo della disciplina primaria, con evidente violazione del principio di gerarchia delle fonti».
  L'articolo 3 del decreto-legge 47 del 2014 oltretutto, osserva l'avvocatura «si pone in diretta attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m) e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'acceso alla proprietà dell'abitazione e, pertanto, costituisce materia riservata alla competenza statale, nonché norma di principio per le normative regionali su cui, di conseguenza, è destinata a prevalere».
  In merito all'attuazione del programma di recupero di immobili e di alloggi di edilizia residenziale pubblica (articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014) che ha un valore complessivo di 492,9 milioni (inizialmente 467,9 milioni ai quali si sono aggiunti 25 milioni del decreto-legge 25 novembre 2015 n. 185, convertito con legge n. 9/2016) si evidenzia che si possono mettere in campo interventi strutturali che possono ridurre fortemente il disagio abitativo anche per quanta concerne gli sfratti.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 12 ottobre 2015 ha emanato il decreto ministeriale di assegnazione delle risorse e di ammissione al finanziamento degli interventi individuati dalle regioni.
  Il suddetto decreto stabilisce le modalità di trasferimento alle regioni delle risorse assegnate e di applicazione delle misure di revoca nonché di monitoraggio del programma. Quest'ultimo è realizzato mediante un applicativo informatico predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Inoltre, il predetto decreto (decreto ministeriale 12 novembre 2015) dispone che agli elenchi già trasmessi potranno essere apportate eventuali modifiche o integrazioni che si rendessero necessarie, su proposta motivata delle regioni per ottimizzare la programmazione, anche ai fini del completo utilizzo delle risorse assegnate, nonché l'esecuzione degli interventi. Le modifiche, saranno approvate, qualora ne ricorrano le condizioni, con decreto direttoriale da emanare, di norma, con cadenza semestrale.
  Il programma di recupero e razionalizzazione degli immobili di proprietà di comuni e degli ex Iacp renderà disponibili complessivamente circa 26.000 alloggi di cui circa 5.800 in tempi brevi, dovendosi concludere i lavori per interventi di lieve entità – linea a), max 15 mila euro ad alloggio, su alloggi sfitti, entro 60 giorni dall'assegnazione del contributo al soggetto attuatore. Ad oggi (29 dicembre 2016) gli alloggi sfitti ultimati con le risorse ripartite sulle annualità 2014-2015 (25 milioni oltre ad ulteriori 14,8 milioni in corso di erogazione) ammontano a 2.068 (come visibile sulla home page del sito Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).
  In merito alle erogazioni effettuate si fa presente quanto segue.
  Ad oggi le risorse, complessivamente erogate in relazione alla linea a) ammontano ad euro 47.406.553,47 compresa l'anticipazione dell'annualità 2017 resa possibile utilizzando le risorse provenienti dai decreto-legge n. 185 del 2014. L'annualità originaria del 2017 verrà poi utilizzata per avviare gli interventi eccedenti.
  Per gli interventi più impegnativi (ripristino e manutenzione straordinaria (linea b) (max 50 mila euro ad alloggio per 20766 alloggi) dovranno essere avviati entro 12 mesi dall'assegnazione del finanziamento e presumibilmente entro il 2017.
  Le risorse trasferite alle regioni per tale linea ammontano a oltre 189 milioni (di cui 83,9, comprese le risorse riversate al Ministero dell'economia e delle finanze e relativi alle province autonome di Trento e Bolzano, trasferiti il 25 luglio 2016 e derivanti dalla rimodulazione delle annualità stabilita dalla legge di stabilità 2016) ai sensi del decreto 30 marzo 2016 (allegato 4) con il quale è stata sostituita la tabella 2 della linea b) con la tabella 2/A in conseguenza della rimodulazione delle risorse effettuata dalla legge di stabilità 2016 – tabella e.
  Infatti la dotazione finanziaria per gli interventi di manutenzione straordinaria compresi nel programma di recupero (linea b) derivante dalla legge di stabilità 2015 è distribuita nell'arco temporale 2014-2024. Ciò comportava un trascinamento nell'esecuzione dei lavori a fronte di interventi programmati nell'anno in corso su alloggi di edilizia residenziale pubblica per i quali c’è necessità di un rapido utilizzo.
  Affinché il programma potesse esplicare efficacemente, e in tempi ragionevoli i suoi effetti sono state anticipate (tabella e legge stabilità 2016) sulle annualità 2016 e 2017 (rispettivamente 84 milioni e 80 milioni) le quote finanziarie precedentemente articolate fino al 2024 elevando la dotazione delle annualità citate a 120 e a 118 milioni di euro.
  La rendicontazione in tempo reale del programma di recupero, è consultabile sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti direttamente accessibile dalla home page dove compare il contatore dalla linea A.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, MANNINO, DE ROSA, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in pieno centro a Roma la notte del 23 settembre 2016 si è sfiorata la tragedia, quando una palazzina di quattro piani è parzialmente crollata in via della Farnesina 5, in zona di Ponte Milvio;
   non ci sono state vittime né feriti (lo stabile era stato fatto evacuare parzialmente dai vigili del fuoco), ma nel complesso sono 110 le persone evacuate e una quarantina di persone ha perso la casa;
   da fonti stampa si apprende che le origini del crollo non sono note, e che la procura di Roma ha aperto un'inchiesta per crollo colposo e disposto il sequestro dello stabile. È indubbio che se il fascicolo del fabbricato fosse stato obbligatorio, se si fossero avviati seri censimenti sullo stato degli edifici, se si facesse attività di prevenzione e messa in sicurezza per il rischio idrogeologico, se si costruisse bene, forse questo ennesimo crollo si sarebbe potuto evitare. Inoltre, con il fascicolo di fabbricato, sarebbe stato possibile ricostruire la successione di tutti gli interventi che sono stati realizzati all'interno dello stabile dalla sua costruzione ad oggi;
   la zona in cui è avvenuto questo recente crollo, dista pochi chilometri da quella del palazzo semicrollato sul lungotevere Flaminio, nel gennaio 2016. I due casi, così come molti altri simili (che in questa sede si evita di citare) che si sono susseguiti negli anni passati, rivelano quanto preoccupante sia lo stato di vetustà e ammaloramento del patrimonio edilizio romano e dimostrano la fragilità del suo sottosuolo, e quanto seri siano i rischi contro il dissesto che la Capitale deve affrontare;
   il 15 luglio del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Lazio firmarono l'accordo di programma 2010, «Finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio Idrogeologico» stanziando con fondi del bilancio ministeriale per la quota parte di 60 milioni di euro e della regione Lazio per la quota parte di 30 milioni di euro. Ma ad oggi molte opere dell'elenco presenti nell'accordo di programma non sono state eseguite e la gran parte dei fondi risulta ancora nelle casse regionali –:
   se il Ministro non ritenga sia opportuno promuovere un'iniziativa normativa volta a prevedere che il certificato di agibilità e le altre certificazioni degli edifici anche relative alle manutenzioni inizino a strutturare una banca dati digitale dove amministrazione locale, protezione civile e vigili del fuoco possano accedere anche in coordinamento con i piani di sicurezza di protezione civile comunale;
   se il Ministro interrogato possa indicare i finanziamenti erogati a partire dal 1999, ossia stanziati dopo l'evento di Sarno e l'entrata in vigore del decreto-legge n. 180 del 1998, per la messa in sicurezza delle aree in frana di Roma;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, possa fornire informazioni sullo stato di attuazione degli interventi di mitigazione contro il dissesto ricadenti nella città di Roma, previsti dall'accordo di programma del 2010 e dagli ulteriori atti integrativi;
   se il Ministro possa indicare i motivi per cui esistono dei ritardi per alcuni interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti negli accordi di programma del 2010 e non ancora realizzati nella Capitale. (4-14452)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  I fenomeni franosi, alluvionali e sismici di seria entità che colpiscono il nostro Paese, evidenziano la necessità di intervenire in maniera non frammentaria ma su scala nazionale e con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica.
  L'origine dei dissesti, è sempre più spesso da imputare ad eventi di trasformazione. In particolare, oltre a fattori patologici quali l'abusivismo edilizio, vi sono comunque da considerare i fenomeni legati all'urbanizzazione ed alla conseguente impermeabilizzazione dei suoli. Altro fattore rilevante nell'aggravamento del rischio idrogeologico, è costituito dalla deforestazione e dal sempre crescente abbandono delle colture agricole, che ha comportato un parziale abbandono delle opere di protezione e della loro manutenzione, in particolare il progressivo degrado delle opere e dei sistemi di drenaggio utili ad evitare l'innesco di fenomeni di dissesto gravitativo.
  Per tali ragioni, a partire dal 2014 il Governo ha predisposto una serie di interventi normativi che hanno fortemente inciso sulla programmazione e sull'attuazione degli interventi in materia di rischio idrogeologico.
  In tal senso si possono richiamare l'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014) e gli articoli 7 e 9 del decreto-legge n. 133 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014).
  Con il primo provvedimento i presidenti di regione sono subentrati alle precedenti gestioni commissariali in materia di mitigazione del rischio idrogeologico, con poteri ampliati e rafforzati allo scopo di accelerare e semplificare sia la fase di progettazione che quella di autorizzazione e successiva esecuzione.
  Con il secondo provvedimento sono state invece definite nuove regole di programmazione, a far data dal 2015, degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, al fine di superare le frammentarietà del passato e garantire una nuova programmazione nazionale coerente con il quadro effettivo della pericolosità e del rischio, fondata su criteri trasparenti che tengono anzitutto conto degli strumenti di pianificazione approvati.
  Nell'ambito di questa cornice normativa questo Ministero, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020. Al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato altresì individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio aree metropolitane costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 sono stati stabiliti i criteri e le modalità per definire le priorità di attribuzione delle risorse finanziarie agli interventi. Tale decreto, condiviso in sede di conferenza Stato-regioni, ha per la prima volta individuato una procedura chiara e trasparente – che si svolge in gran parte on line – che richiede, per ogni intervento proposto a finanziamento, la conoscenza approfondita del fenomeno di dissesto sul quale si intende intervenire, precisando che verranno automaticamente escluse dalla procedura le istanze relative ad interventi che non ricadano o non esplichino la loro influenza su zone perimetrale dagli atti di pianificazione di bacino o in zone critiche non perimetrate che siano state interessate da fenomeni calamitosi nel corso degli ultimi sei anni.
  Un punto di forza del decreto è che con esso si è recuperato il ruolo fondamentale svolto dalle Autorità di bacino nell'attività di pianificazione e di individuazione degli interventi per la salvaguardia del territorio, prevedendo come necessario per l'ulteriore corso della procedura il parere positivo della competente autorità di bacino, chiamata ad esprimersi sulla tipologia ed ubicazione del dissesto, sulle caratteristiche ed ubicazione delle opere, sulla relazione funzionale tra le opere e il dissesto, sull'effettiva relazione fra intervento proposto e recupero dell'assetto idrogeomorfologico del corso d'acqua e delle biodiversità e, se del caso, sull'esistenza del piano di gestione dei sedimenti, sulle delocalizzazioni, sull'eventuale individuazione delle cave di prestito, nonché, ovviamente, sull'inserimento dell'area interessata nella pianificazione di bacino e sulle relative classi di pericolosità e rischio.
  Si segnalano, inoltre, la legge n. 221 del 2015 che ha profondamente modificato alcune norme chiave del settore, prima fra tutte quella sulla riforma delle autorità di bacino distrettuali, e le direttive comunitarie 2000/60/CE e 2007/60/CE che individuano i due nuovi masterplan di riferimento in materia di acqua e in materia di gestione del rischio di alluvioni, coordinati a livello di distretto idrografico, approvati da questo Ministero, in coordinamento con le regioni, lo scorso 3 marzo 2016.
  In ogni caso, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Con riferimento allo stato di attuazione degli interventi di mitigazione contro il dissesto ricadenti nella città di Roma previsti dall'accordo di programma del 2010 e dagli ulteriori atti integrativi si rappresenta quanto segue.
  Dopo il 1999 fino al 2010, anno di sottoscrizione dell'accordo di programma con la regione Lazio, sono stati erogati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25.300.000,00 euro per interventi contro il dissesto idrogeologico nel comune di Roma.
  L'accordo di programma del 2010 prevedeva la realizzazione di 114 interventi, di cui 55 finanziati con fondi regionali e attuati tramite enti indicati dalla regione Lazio.
  Di tali interventi 10 sono ubicati nel comune di Roma, e di questi, 3 in area urbana per un importo complessivo di 9.895.000,00 euro. Lo stato di avanzamento della loro realizzazione risulta il seguente:
   consolidamento del versante occidentale della collina dei Parioli, importo 4.965.000,00 euro, lavori in corso;
   bonifica del movimento franoso a monte di via A. Labriola, importo 1.565.000,00 euro, lavori ultimati e collaudati;
   consolidamento delle cavità sotterranee lungo via G. Valli, importo 3.365.000,00 euro, in corso di progettazione.
  L'attuazione dell'ultimo degli interventi sopra elencati, i cui lavori non sono ancora iniziati, è stata ritardata fino a metà del 2014 per mancanza di finanziamento. Ottenuta la copertura finanziaria è stata avviata la progettazione attualmente in corso.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, CRISTIAN IANNUZZI, CECCONI, LIUZZI, D'INCÀ, MUCCI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da documentazione pervenuta alla conferenza stampa del 22 luglio 2013 del Comitato «Cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti» di Taranto, comitato formato da lavoratori Ilva e cittadini di Taranto e provincia, si viene a sapere che in merito alla visita dei Senatori delle Commissioni ambiente e industria effettuata nello stabilimento Ilva di Taranto della medesima giornata, da giorni un documento distribuito dall'Ilva ai propri dipendenti, impone ai lavoratori e ai capi-area di non usare, durante la visita della commissione, mezzi, sollevatori, camion e si prevede di fermare gli impianti, per poi riprendere dopo la visita delle commissioni parlamentari;
   il comitato sopracitato afferma anche che la visita dei senatori all'interno dell'Ilva non sarà effettuata nei luoghi e nei reparti dove saranno previsti i lavori per l'ottemperanza dell'AIA e per questo si dicono disponibili ad accompagnare i parlamentari della Repubblica nelle aree dove le prescrizioni dell'AIA dovrebbero essere effettuate e nei quali tra l'altro non sono ancora stati rilevati i lavori in merito contravvenendo alle prescrizioni stesse;
   lo stabilimento Ilva spa di Taranto è uno stabilimento di interesse strategico nazionale commissariato dallo Stato a seguito del decreto-legge n. 61 del 2013;
   la notte tra il 21 e il 22 luglio 2013 nel quartiere Tamburi di Taranto si è avvertito un forte boato tale da indurre gli abitanti del quartiere sopracitato che fosse esplosa un ordigno di grosse dimensioni, creando sconcerto e preoccupazione negli abitanti e da quanto riferito da fonti di Taranto e da operai dell'Ilva, il boato è si è creato con la messa in funzione dei Fog-Cannon all'interno dello stabilimento Ilva spa –:
   se e quando il Ministro interrogato intende riferire al Parlamento dello stato di attuazione dell'ottemperanza delle prescrizioni dell'AIA, ricordando che avrebbe dovuto già riferire entro fine giugno 2013 come stabilito dall'articolo 1, il comma 5 della legge 231 del 2012;
   se corrisponda al vero la sospensione delle attività sopracitate in occasione della visita dei senatori allo stabilimento Ilva;
   se il Ministro sia disponibile a svolgere un sopralluogo insieme ai parlamentari della Repubblica o a consentire ai parlamentari della Repubblica di visitare lo stabilimento Ilva di Taranto, commissariato dallo Stato Italiano in quanto stabilimento d'interesse strategico nazionale, accompagnati dagli operai del Comitato dei «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto che cortesemente si sono offerti di mostrare le incongruenze in merito alle prescrizioni AIA;
   se le apparecchiature Fog-Cannon in dotazione all'Ilva di Taranto siano a norma di legge e se il forte boato non corrisponda ad un'anomalia di funzionamento e se il Ministro interrogato ritenga opportuno consentire l'accensione di queste macchine, anche nel caso in cui non fossero a norma e che il boato corrispondesse ad un'attività regolare delle macchine in oggetto, provocando sconcerto e preoccupazione negli abitanti del quartiere
Tamburi quando azionate nel cuore della notte.   (4-01470)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che già con note del 22 dicembre 2013, è stata trasmessa, rispettivamente al Presidente del Senato ed alla Presidente della Camera, la relazione prevista dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 3 dicembre 2012, così come convertito dalla legge 22 dicembre 2012 n. 231.
  Con riferimento alle attività di risanamento ambientale, occorre innanzitutto evidenziare che l'esercizio dello stabilimento siderurgico Ilva s.p.a. di Taranto è disciplinato dal decreto AIA dell'agosto 2011, che è stato parzialmente riesaminato ad ottobre 2012 per le emissioni in atmosfera delle aree di produzione e dei parchi di materie prime, ovvero le aree sequestrate dalla magistratura ad agosto 2012. Le prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale del 2011 e del 2012 sono state ulteriormente integrate e modificate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che approva il piano delle misure e delle attività per la tutela ambientale e sanitaria (cosiddetto piano ambientale), il quale contiene anche ulteriori prescrizioni per il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.
  Oltre l'Aia e il piano ambientale, l'esercizio dello stabilimento siderurgico (alcune aree del quale sono a tutt'oggi sotto sequestro con facoltà d'uso) è disciplinato dalla normativa speciale che dal dicembre 2012 ad oggi consta di ben 8 decreti-legge, a loro volta oggetto di conversione.
  Le scadenze temporali previste dal piano ambientale per l'attuazione di interventi ambientali, fermo restando il rispetto dei limiti emissivi stabiliti dall'Aia, sono state procrastinate una prima volta ai sensi dell'articolo 2, comma 3-ter, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Tale disposizione – oggetto di modifica ad opera del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20 – prevedeva per tutte le prescrizioni del piano esclusivamente due scadenze: il 31 luglio 2015 per l'attuazione dell'80 per cento del numero delle prescrizioni in scadenza a quella data, e il 4 agosto 2016 per tutte le rimanenti.
  Successivamente, con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'AIA dell'Ilva di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Con il decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (ed in particolare con il suo articolo 1, comma 7), convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2016, n. 13, il termine ultimo per l'attuazione di tutte le restanti prescrizioni dell'Aia 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 è stato fissato al 30 giugno 2017.
  Ad ogni modo, nel luglio 2015 Ilva s.p.a. in A.S. ha comunque provveduto a garantire il rispetto della soglia prevista dell'80 per cento del numero di prescrizioni del Piano ambientale, come certificato da Ispra a valle dell'ispezione che ha avuto luogo a luglio 2015 e dai vigili del fuoco per le prescrizioni di pertinenza.
  Con riferimento allo stato di attuazione delle rimanenti prescrizioni, si segnala che il 7 settembre è stato registrato il decreto interministeriale di stanziamento di 300 milioni all'amministrazione dell'Ilva per la continuazione della realizzazione del piano ambientale.
  Si evidenzia, altresì, che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali Ispra, con la collaborazione di Arpa Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'AIA, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Dal 2012 al 2016 sono stati inoltre autorizzati dal Ministero interventi importanti che discendono dall'Aia e dal piano ambientale, quali gli interventi per la copertura del parco minerali e dal parco fossile, nonché interventi di regimazione delle acque meteoriche nelle aree discariche e parco calcare.
  Sono inoltre attualmente in corso i lavori istruttori della Commissione AIA-IPPC per il riesame delle prescrizioni dell'Aia riguardanti le aree di stabilimento che non erano oggetto del riesame del 2012 (sostanzialmente le emissioni in atmosfera delle aree delle lavorazioni), nonché le prescrizioni riguardanti gli scarichi di sostanze pericolose degli impianti produttivi dell'intero stabilimento e l'efficienza energetica e i lavori istruttori da parte di Ispra per il riesame del Piano di monitoraggio e controllo (PMC).
  Tanto premesso, si riporta di seguito lo stato di attuazione degli interventi relativi alla procedura di bonifica effettuati ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006:
   a) piano di caratterizzazione: approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 17 dicembre 2003;
   b) risultati della caratterizzazione: discussi in sede di conferenza di servizi del 19 ottobre 2006;
   c) analisi di rischio (area di stabilimento): richiesta dalla conferenza di servizi del 19 ottobre 2006 e non ancora trasmessa;
   d) piano di caratterizzazione integrativo (area Parchi): approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 18 dicembre 2013;
   e) risultati delle indagini integrative (area parchi) ed analisi di rischio (area di stabilimento): in fase di istruttoria per la conferenza di servizi del 16 marzo 2016.
  Per quanto riguarda le emissioni nocive in atmosfera si segnala quanto segue.
  Arpa Puglia (con nota del 26 febbraio 2016 n. 12878, pervenuta il 29 febbraio 2016), comunicava tra gli altri al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, sulla base di documentazione ricevuta nelle vie brevi da Ilva, «nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine si riscontrano valori altissimi nella centralina di Via Orsini, quindi fuori dai confini dello stabilimento ILVA, per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento della letteratura».
  Contestualmente perveniva al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da parte del presidente della regione Puglia, la nota prot n. 933 indirizzata all'Arpa Puglia e alla ASL di Taranto, con la quale si leggeva quanto segue: «In data odierna mi è stato consegnato per le vie brevi dalla direzione di ARPA Puglia il documento «Ilva-stabilimento di Taranto-attività di monitoraggio ambientale relativo alle analisi dei risultati delle misure di deposizione di Pcdd/F a firma del Professore Ingegnere Maurizio Onofrio» comunicando che dall'analisi del medesimo documento risultavano «valori deposimetrici di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti normalmente considerati come valori soglia sul suolo».
  In conclusione la nota chiedeva ad Arpa e Ispra rispettivamente di:
   «ad ARPA Puglia di procedere ad una indagine diretta in sito, precisamente nelle aree esterne del quartiere Tamburi prossime al punto campionato dal Politecnico di Torino per conto di ILVA, effettuando campionamenti sul suolo e relative analisi di micro inquinanti organici (Pcdd/F, PCB, Dioxin like);
   ad ARPA Puglia di produrre i dati più recenti relativi ai monitoraggi e controlli delle emissioni in atmosfera (SME, Rapporti di prova relativi alle indagini a camino, Monitoraggi ambientali);
   al Dipartimento di Prevenzione, ed allo SPESAL dell'ASL di Taranto di verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro, di attuare idonee campagne di monitoraggio e controllo avvalendosi di ARPA Puglia, tese ad accertare il livello di micro inquinanti organici (Pcdd/F, PCB, Dioxin like) e di Benzo(a)pirene;
   al Dipartimento di prevenzione dell'ASL di Taranto di accertare la eventuale presenza di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso il laboratori competenti».
  Alla luce delle citate note, il Ministero tempestivamente procedeva a sollecitare l'invio da parte di Ilva della documentazione citata dal presidente della regione Puglia, documentazione che veniva trasmessa nella medesima data del 29 febbraio da Ilva alla competente direzione e ad Ispra.
  Acquisiti gli atti, la direzione per le valutazioni e autorizzazioni ambientali provvedeva, nella medesima giornata del 29 febbraio, a richiedere formalmente ad Ispra, con l'urgenza che il caso richiedeva e richiede, un approfondimento specifico sulla questione ed in particolare sulla possibile relazione tra i dati rilevati e le attività industriali dell'aria.
  Delle note di Arpa Puglia e dell'Ilva, il giorno stesso del ricevimento è stata data compiuta pubblicità nel sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Infine, si evidenzia che della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS, SPESSOTTO e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Puglia è una regione nota per le crisi idriche a causa di una scarsa presenza di corpi idrici superficiali di acqua dolce per cui ha necessità di approvvigionamento idrico potabile anche dalla regioni limitrofe;
   il lago di «Pietra del Pertusillo» è un invaso artificiale situato nel territorio dei comuni di Grumento Nova, Montemurro e Spinoso in Basilicata e occupa una superficie di 75 chilometri quadrati, la quota di massimo invaso si trova a 532 metri di altitudine sul livello del mare, la sua capienza massima è di 152 milioni di metri cubi d'acqua;
   la realizzazione dell'invaso del Pertusillo è stata necessaria per rispondere ad un uso plurimo delle risorse idriche, quali lo sfruttamento dell'energia idroelettrica, l'irrigazione di oltre trentacinquemila ettari di terreno tra Basilicata e Puglia e la produzione di acqua potabile per diversi milioni di cittadini lucani e pugliesi. Rappresenta uno dei punti di forza dello schema idrico Jonico-Sinni;
   il lago del Pertusillo è anche un «Sito di interesse comunitario» (S.I.C. IT9210143) della Rete Natura 2000 nata in seguito alla emanazione da parte dell'Unione della «Direttiva 92/43/CEE detta “Habitat” e della direttiva 2009/147/CE detta “Uccelli” (recepite in Italia rispettivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, modificato successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003, e dalla legge 157 del 1992;
   l'intera superficie del SIC ricade nell'area di “vulnerabilità all'inquinamento da nitrati di origine agricola” della regione Basilicata, infatti l'agricoltura intensiva praticata nei paesi limitrofi al lago, fa uso intensivo di tali fertilizzanti»[Natura 2000 FORMULARIO STANDARD – SIC IT 9210143 LAGO Pertusillo];
   sono circa 650 le sorgenti sotterranee che alimentano l'Agri, un fiume le cui acque attraversano il Parco Nazionale Appennino Lucano Val d'Agri-Lagonegrese, che a sua volta alimenta l'invaso del Pertusillo;
   nel 2010 vi è stato un fenomeno di fioritura algale e di moria dei pesci che hanno interessato il Lago del Pertusillo e per questo motivo l'ARPAB nell'ambito del programma PO FESR BASILICATA 2007/2013 ha presentato un progetto sulla «Valutazione dello stato ecologico del Lago del Pertusillo» che prevedeva una verifica dello stato di qualità dell'ecosistema lacustre per arrivare ad una caratterizzazione chimico-biologica del lago e ad una definizione di qualità, sulla base dei dati disponibili e di appositi accertamenti. Dallo studio effettuato in base ai parametri determinati, si deduce che le acque del lago, evidenziano alcune criticità quali ad esempio la presenza spot di idrocarburi totali, l'aumento delle concentrazioni di BOD, COD e coliformi totali in alcuni mesi di campionamento;
   secondo la perizia del Ctu nominato dalla magistratura di Potenza, la moria di pesci è avvenuta a causa di una tossina prodotta dall'alga cornuta, presente per eutrofizzazione del lago a sua volta dovuta a fosforo, nitrati, idrogeno solforato, formaldeide, diossido di zolfo, metalli pesanti e idrocarburi presenti all'interno e nei fondali del lago artificiale;
   l'invaso del Pertusillo è circondato dai pozzi attivi di estrazione di idrocarburi in Alta Val d'Agri ed è a pochi chilometri in linea d'aria dalla Centrale di raccolta e trattamento denominata «Centro oli di Viggiano», un impianto di desolforizzazione di 18 ettari facente parte della Concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi conferita nel 2005 a Eni/Shell denominata «Val d'Agri», di un estensione di 660 chilometri quadrati di cui buona parte sono all'interno del SIC e del Parco nazionale e vede la presenza di 26 pozzi in produzione e 11 pozzi produttivi non eroganti da cui si è ottenuto nel 2014 una produzione di 1.179.803.574 di smc di Gas naturale e 3.257.801 tonnellate di olio greggio. Il pozzo reiniettore «Costa Molina 2» appartenente alla medesima concessione, è destinato esclusivamente alla reiniezione in giacimento delle acque di strato, acque estratte associate all'olio e al gas che dopo la separazione dagli idrocarburi, vengono reimmesse nel giacimento di origine;
   si apprende da fonti ENI in merito alla Basilicata che una parte dell'acqua di strato, circa 2.500 m3/giorno, viene reiniettata in giacimento attraverso il pozzo «Costa Molina 2», mentre 1.000 m3/g, sono smaltiti come rifiuto liquido in impianto di smaltimento, dopo il trasporto su strada con autobotti;
   da fonti stampa si apprende che la pubblicazione scientifica dell'Eni sulla rivista di settore «One Petro» dimostra che già nel 1999, in Val d'Agri, era noto che si sperimentavano perforazioni orizzontali non autorizzate, tipo il fracking, ricorrendo all'uso di acido cloridrico, fluoridrico e addensanti chimici vari;
   la delibera numero 71/2014 della Corte dei conti della Basilicata, afferma che «l'attento e costante monitoraggio dei fanghi esausti rappresenta un punto di fondamentale importanza per la tutela ambientale e la tutela della salute pubblica»;
   sempre da fonti stampa si apprende che a seguito delle richieste del senatore Vito Petrocelli, attualmente le società non avrebbero fornito né i piani ingegneristici dei pozzi realizzati nel sottosuolo né gli studi sulla qualità ed effetti delle sostanze chimiche utilizzate per la reiniezione;
   dalle analisi della qualità dell'acqua proveniente dall'invaso del Pertusillo del novembre 2012 pubblicate da Aquedotto Pugliese si apprende che tra i vari elementi riscontrati, si registrano tracce di idrocarburi e metalli pesanti nell'acqua grezza in entrata al potabilizzatore e che anche nell'acqua potabilizzata in uscita, in misura inferiore, rimangono tracce. Tra gli elementi riscontrati, vi è il bario, un metallo pesante di cui non esiste un limite definito per legge dal decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 31 «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano», in una misura di 49 microgrammi per litro. Il bario assunto in elevate quantità potrebbe diventare tossico e provocare un aumento della pressione arteriosa e anche la paralisi;
   lo studio scientifico pubblicato sul bollettino ambientale «Fresenius», condotto dalla professoressa Albina Colella del dipartimento di scienze dell'università della Basilicata e dalla professoressa Maria Rita D'Orsogna dell'istituto per la sostenibilità, California State University a Northridge, Los Angeles, ha determinato la presenza di idrocarburi nell'acqua del bacino del Pertusillo. Le relatrici affermano nelle conclusioni dello studio che «la nostra analisi, suggerisce che è altamente probabile che la contaminazione da idrocarburi nel Pertusillo sia originato da estrazione di petrolio e sue trasformazioni, stoccaggio e smaltimento. Diversi episodi di inquinamento supportano questa ipotesi: la presenza di alte concentrazioni di manganese, benzene, toluene e solfati, come misurato da ARPAB nel giugno 2011 in terra acqua al Centro Olio Val d'Agri che scorrono verso il Pertusillo»;
   sono 20 le concessioni di coltivazione di idrocarburi in terra ferma rilasciate sul territorio della regione Basilicata –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per accertare lo stato qualitativo dell'acqua dell'invaso del Pertusillo e il suo presunto inquinamento derivante dalle attività di estrazione e lavorazione degli idrocarburi e reiniezione delle acque di strato;
   se i Ministri interrogati al fine precauzionale intendano promuovere una moratoria delle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi nella regione Basilicata;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di salvaguardare dall'impatto antropico il «Parco nazionale appennino lucano Val d'Agri-Lagonegrese» e il SIC «lago del Pertusillo», nonché le 605 sorgenti sotterrane richiamate in premessa;
   se il Ministro della salute, in via precauzionale, e per quanto di competenza, intenda assumere iniziative al fine di accertare lo stato di salute delle popolazioni servite dalle acque del Pertusillo;
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in via precauzionale, intenda acquisire elementi al fine di conoscere lo stato qualitativo dei campi irrigati con l'acqua proveniente dall'invaso del Pertusillo. (4-07943)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, come è noto, il lago artificiale del Pertusillo rientra sia nel Parco nazionale dell'appennino Lucano-Val d'Agri-Lagonegrese, sia nel sito Natura 2000 SIC IT9210143 «Lago Pertusillo», individuato ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat».
  Nell'ambito dell'attività di vigilanza condotta da questo Ministero, e in relazione ad ulteriori indagini, è stato acquisito il rapporto dell'ente parco nazionale nel quale sono riportate notizie in merito alle iniziative correlate all'inquinamento delle acque del bacino lacustre.
  Nello specifico, viene riferito che, con determina dirigenziale del dipartimento presidenza della giunta regione Basilicata del 5 luglio 2013, è stato disposto di affidare all'ente parco l'incarico per il controllo degli affluenti dell'invaso del Pertusillo.
  L'attività di monitoraggio dello stato di salute delle acque del lago è stata realizzata in 4 fasi: monitoraggio dei depuratori urbani e industriali che scaricano nel bacino del lago; monitoraggio del perimetro del lago e degli affluenti; controllo delle aziende zootecniche di maggior rilievo per verificare le modalità di utilizzo degli affluenti di allevamento; controllo ed analisi di eventuali fuoriuscite dal sottosuolo di liquame nel fosso «Spaccamugliera».
  In detto contesto, l'ente parco, di concerto con le autorità preposte, ha provveduto a porre in essere una serie di controlli mirati a prevenire, ed eventualmente reprimere, i fenomeni di sversamenti illeciti nel lago. L'attività di controllo delle aziende zootecniche è stata coordinata, invece, dal comando provinciale del Corpo forestale dello Stato di Potenza che, su 62 verifiche eseguite, ha riscontrato diverse irregolarità rispetto alle quali sono stati avviati i relativi accertamenti.
  Inoltre, sono state svolte analisi relative alla presenza di idrocarburi nelle aree lacuali e peri-lacuali sulle quali risultano in corso approfondimenti da parte del Corpo forestale dello Stato per indagare le cause della presenza di idrocarburi pesanti nei fanghi e sedimenti dell'invaso.
  Il controllo analitico delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile è stato effettuato dall'Arpa Basilicata. In base alle risultanze delle analisi effettuate, l'invaso risulta a tutt'oggi classificato in classe A2, classificazione che prevede un trattamento chimico-fisico e disinfezione delle acque da potabilizzare.
  Il controllo delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile prevede: analisi chimico-fisiche; analisi di parametri inorganici; analisi di idrocarburi e idrocarburi policiclici aromatici; analisi di antiparassitari e analisi microbiologiche.
  I risultati delle analisi effettuate hanno mostrato che, in tutti i campioni prelevati e analizzati, le concentrazioni dei vari parametri sono sempre risultate inferiori ai valori stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, permettendo sempre la classificazione delle stesse in classe A2.
  Inoltre, ulteriori controlli vengono svolti dal gestore del servizio idrico integrato, Acquedotto pugliese (AQP) che effettua regolarmente i controlli sull'acqua grezza derivata dal Pertusillo. Prima della potabilizzazione, l'AQP effettua, oltre i controlli previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 necessari per la classificazione della qualità delle acque, ulteriori analisi di controllo per meglio gestire i processi di potabilizzazione. L'impianto di potabilizzazione dell'AQP è dotato di sezioni di trattamento adeguate alla tipologia di acque da trattare e di una stazione finale di trattamento a carboni attivi che rappresenta una ulteriore cautela rispetto ad eventuali presenze di microinquinanti. Tale filiera di trattamenti consente il pieno rispetto degli standard di qualità stabiliti dal decreto legislativo n. 31 del 2001.
  Per quanto concerne lo scarico nel sottosuolo delle acque derivanti dall'estrazione e dalla separazione di idrocarburi del centro olio Val d'Agri di Viggiano, si segnala che l'Eni, a seguito del sequestro preventivo da parte dell'Autorità giudiziaria di alcuni impianti del centro (vasche asservite all'unità 560 e pozzo di re-iniezione «Costa Molina 2»), lo scorso mese di aprile ha reso noto di aver proceduto alla chiusura graduale della produzione dei pozzi nonché alla fermata generale temporanea degli impianti.
  La regione Basilicata, con la delibera di giunta del 12 aprile 2016, ha disposto la sospensione dell'esercizio dell'attività di scarico in unità geologiche profonde delle acque di strato mediante il pozzo «Costa Molina 2» con effetto immediato e per un periodo non superiore a 90 giorni, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento.
  L'ufficio compatibilità ambientale della medesima regione ha comunicato all'Eni l'avvio del riesame della procedura di autorizzazione integrata ambientale rilasciata con decreto della giunta regionale n. 627 del 2011, secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
  A seguito della conferma del sequestro sentenziata dal tribunale del riesame di Potenza, il successivo 16 aprile l'Eni ha avviato un programma di messa in sicurezza e conservazione dell’asset del centro olio Val d'Agri e dei pozzi ad esso afferenti della durata di 6 mesi, che include tutte le attività e interventi da realizzare sulle tre macro-aree: rete di raccolta, centro olio Val d'Agri, oleodotto Cova-Taranto. Di questo programma di interventi la stessa Eni ha informato la regione e l'Arpa Basilicata.
  A seguito, della richiesta di chiarimenti da parte della regione Basilicata e dell'Arpab, l'Eni, rispettivamente il 13 e il 27 maggio 2016, ha trasmesso a queste ultime la documentazione tecnica integrativa sul programma di messa in sicurezza e conservazione.
  L'autorità giudiziaria, il 1o giugno 2016, ha disposto il dissequestro temporaneo delle due vasche e del pozzo di re-iniezione Costa Molina 2 «al solo fine di consentire la realizzazione delle opere e dei lavori indicati negli atti, così come disposto dai pubblici ministeri...», stabilendo come termine ultimo il 31 agosto 2016 per la loro realizzazione, ovvero anche prima di tale data, qualora la Società dovesse dichiarare l'avvenuta ultimazione delle opere di adeguamento.
  Nello stesso mese di giugno, l'Eni ha comunicato alla regione Basilicata la richiesta di «modifica non sostanziale» dell'impianto per l'attuazione di interventi finalizzati all'adeguamento dell'impianto agli elementi tecnici avanzati dall'Autorità giudiziaria connessi alla gestione delle acque di strato prodotte durante l'esercizio del centro olio Val d'Agri.
  Il 25 luglio, con apposita delibera della giunta regionale, è stata autorizzata la ripresa dell'attività del pozzo «Costa Molina 2» e il 4 agosto la procura della Repubblica presso il tribunale di Potenza ha espresso parere favorevole al dissequestro delle vasche e del pozzo predetto.
  Per quanto attiene alla qualità delle acque superficiali e sotterranee, l'Arpab nel maggio scorso ha fornito i dati relativi alle indagini analitiche effettuate sulle acque sotterranee dell'area limitrofa al pozzo di re-iniezione «Costa Molina 2» nel periodo gennaio 2014-ottobre 2015. Tali analisi, effettuate su campioni di acque prelevati dalle sorgenti denominate SG4 e SG8, hanno fornito nel periodo indicato valori sempre inferiori al limite di rilevabilità analitica, tranne un caso (agosto 2014), in cui il valore era pari a 133 microgrammi/l nel punto di campionamento sulla sorgente SG4; tale valore, comunque, rimane inferiore al valore soglia previsto per le acque sotterranee dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
  Sempre l'Arpab ha integrato ulteriormente la documentazione con gli esiti analitici relativi alle acque superficiali dell'invaso del Pertusillo, destinate alla produzione di acqua potabile di cui all'articolo 80 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Tali analisi, condotte negli anni 2014 e 2015, evidenziano che, nel punto specifico di campionamento dell'invaso del Pertusillo situato in prossimità del punto di captazione delle acque ad uso potabile, gli idrocarburi, sia totali che policiclici aromatici (IPA), sono risultati inferiori rispetto ai valori parametrici del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Infine, per completezza di informazione, si segnala che il pozzo «Costa Molina 2», utilizzato per la re-iniezione di acque di scarto petrolifero, risulta esterno sia al parco nazionale dell'Appennino Lucano-Vai d'Agri-Lagonegrese, che al sistema dei siti natura 2000.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i giorni 12 e 13 aprile si è svolto uno sciopero nazionale dei ferrovieri per la revisione dei limiti pensionistici, fortemente peggiorati dal decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   si sono registrati picchi molto elevati di adesioni, ma sono state registrate una serie di anomalie riguardanti il personale utilizzato per scortare i treni Frecciarossa;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, si sono in tale circostanza verificate gravi violazioni alla sicurezza;
   in particolare, occorre a questo proposito ricordare che il personale di accompagnamento, cioè capotreno/caposervizitreno, deve essere in regola rispetto al decreto n. 4 del 2012 dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF). Tale decreto prevede una serie di prescrizioni, tra cui si ricordano: dotarsi di strumenti necessari in relazione alla tipologia di servizio da svolgere; conoscere il ruolo e le relative responsabilità; muoversi in sicurezza nell'ambito degli spazi ferroviari; adottare i provvedimenti e le precauzioni previste nelle possibili situazioni di pericolo, derivanti dal degrado dell'infrastruttura ferroviaria e dei veicoli, dalle anormalità nella corsa dei treni, da situazioni di emergenza, al fine di garantire la sicurezza delle persone; eseguire le segnalazioni previste nei casi di anormalità occorse durante il viaggio; dare, in caso di necessità, le istruzioni per l'abbandono del treno ai viaggiatori presenti a bordo, anche in relazione alle disposizioni dettate dal gestore dell'infrastruttura; accertare la frenatura/sfrenatura dei veicoli e la continuità della condotta pneumatica; eseguire nei casi di degrado dell'infrastruttura o dei veicoli, la manovra dei deviatoi o di altri enti/meccanismi ad uso del personale del treno interessati dal percorso del treno;
   la Comunicazione organizzativa per il certificato di sicurezza (COCS 55) di Trenitalia acquisisce le prescrizioni del decreto ANSF n. 4 del 2012 e specifica che per mantenere le competenze succitate il personale di accompagnamento deve essere sottoposto a processi formativi continuativi. Inoltre, il personale prima di essere riutilizzato dopo periodi di inattività, deve: se il periodo di inattività è tra 6 e 12 mesi, essere sottoposto a verifica da parte di un istruttore; se il periodo di inattività è tra i 12 e 36 mesi, essere sottoposto a verifica da parte di esaminatore, affiancamento svolgimento attività, ripetizione di procedure per la conoscenza linee, impianti e veicoli; se il periodo di inattività è superiore ai 36 mesi, l'abilitazione viene revocata e il personale potrà essere riammesso al ruolo solo dopo la ripetizione del processo abilitativo;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, alcuni agenti utilizzati nella giornata di sciopero, probabilmente non avevano i suddetti requisiti perché ricoprono altri profili professionali, altri, invece erano stati soggetti a lunghi periodi di inutilizzo da attività legate alla sicurezza;
   in particolare, si segnalavano, come ipotesi plausibile a giustificazione della circolazione dei treni; l'utilizzo di: capideposito ed ingegneri, peraltro già oggetto di numerosi ricorsi ex articolo 28 delle legge n. 300 del 1970 per comportamento antisindacale; ricorso a personale di condotta distaccato presso altre unità del gruppo non più legate all'effettuazione di treni commerciali (con passeggeri a bordo);
   ricorso a personale appartenente agli uffici della produzione e gestione del personale; ricorso a personale di bordo riferito a treni appartenenti ad altri segmenti del trasporto di Trenitalia, non adeguatamente formato rispetto la particolare circolazione dei treni Alta Velocità su linee dedicate; ricorso a prestazioni straordinarie eccedenti i limiti di legge oltre che contrattuali; mancata possibilità di identificazione del personale ai treni da parte della clientela in quanto privo del previsto vestiario di ordinanza;
   la conferma di quanto sopra dichiarato, si troverebbe anche nei piani di formazione programmati annualmente e divisi per categoria. Infatti, nel dettaglio per la linea Frecciarossa le categorie sono: personale di accompagnamento treni (PDA), personale di condotta (PDC), operatori sale operative Frecciarossa (personale d'ufficio); gestione equipaggi (personale dell'ufficio turni);
   peraltro, nei piani di formazione si fa notare come i programmi per il personale di accompagnamento e di condotta siano gli unici che prevedono giornate di formazione su argomenti che riguardano la sicurezza della circolazione ferroviaria così come previsto dalle Comunicazioni organizzative per il certificato di sicurezza (COCS);
   in particolare, per il personale di accompagnamento sono dedicate giornate di formazione e di aggiornamento per i seguenti argomenti: primo soccorso (conoscenza linee e impianti formazione obbligatoria secondo la comunicazione organizzativa per il certificato di sicurezza, COCS 55); aggiornamenti professionali (che riguardano le novità normative); dimestichezza operativa (il corso prevede principalmente attività di carattere pratico per la conoscenza del treno e per il supporto al personale di condotta); aggiornamento commerciale –:
   se il Ministro interrogato non intenda disporre un'indagine ministeriale finalizzata ad accertare se sia stata messa a rischio la sicurezza del servizio e l'incolumità dei viaggiatori;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno valutare la possibilità di predisporre un piano preventivo di soppressioni anche per le cosiddette «Frecce», in maniera tale da garantire al contempo sia il diritto di sciopero sancito dalla Costituzione, sia la sicurezza dei viaggiatori.
(4-04610)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va permesso che il decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 Attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE relative alla sicurezza e allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, che ha istituito l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf), prevede che è responsabilità, delle imprese ferroviarie stabilire, nel rispetto del quadro normativo vigente e in conformità ai principi dettati dall'Ansf, i requisiti per il mantenimento delle abilitazioni per il personale che, indipendentemente dal molo, svolge mansioni di sicurezza anche saltuariamente.

  La stessa Ansf, in fase di rilascio del certificato di sicurezza all'impresa ferroviaria, titolo con il quale quest'ultima è autorizzata a svolgere il proprio servizio sull'infrastruttura ferroviaria nazionale, verifica la conformità delle regole adottate dall'impresa alle norme vigenti e ai principi emanati dall'Agenzia medesima.
  Successivamente al rilascio del certificato di sicurezza, l'Ansf, attraverso l'attività istituiva e di audit controlla che l'impresa ferroviaria operi in conformità alle norme e alle procedure, anche nelle situazioni segnalate nell'interrogazione in oggetto, mentre le problematiche relative alle modalità di gestione degli scioperi non rientrano nelle sue competenze ai sensi del citato decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162.
  Considerata la delicatezza delle problematiche segnalate dall'interrogante, questo Ministero ha chiesto, puntuali informazioni a ferrovie dello Stato italiane (FSI) al riguardo.
  La stessa Fsi premette che, in caso di sciopero, Trenitalia assicura l'effettuazione di alcuni treni a lunga percorrenza nei giorni feriali e festivi, nel rispetto di quanto previsto dalla legge n. 146 del 12 giugno 1990 sui servizi minimi da garantire in caso di sciopero. L'elenco di tali collegamenti è pubblicato sul sito www.trenitalia.com, sezione Informazioni/Informazioni sulla circolazione in caso di sciopero. È, inoltre, previsto il rimborso integrale del biglietto per rinuncia al viaggio in caso di sciopero.
  Con specifico riferimento allo sciopero del 12-13 aprile 2014, Fsi riferisce che in coincidenza con il periodo dell'inizio del ponte pasquale, si è svolto uno sciopero nazionale di 24 ore dei ferrovieri che ha registrato una cospicua percentuale di adesioni, in ambito equipaggi, sia per quanto concerne il personale di accompagnamento (PdA) che per quanto attiene al Personale di condotta (PdC).
  In tale circostanza, al fine di limitare quanto più possibile i conseguenti disagi per i viaggiatori, Fsi informa di aver adottato, nel rispetto della normativa vigente in materia, i provvedimenti che seguono.
  Per quanto concerne la sostituzione del personale di condotta (macchinisti) scioperante è stato impiegato:
   personale di condotta dei treni «Frecciarossa» non scioperante;
   personale di condotta ad alta professionalizzazione selezionato per curare lo sviluppo del nuovo treno «Frecciarossa 1000» e proveniente dai treni «Frecciarossa»;
  istruttori/tutor del settore della condotta.

  In merito alla sostituzione del personale di accompagnamento (capi treno e capi servizio treno) scioperante è stato utilizzato:
   personale di bordo non scioperante;
   istruttori/tutor del settore del bordo;
   personale di bordo appartenente ad altri prodotti del servizio passeggeri (Frecciargento), Frecciabianca, Servizi di Base);
   personale degli impianti di distribuzione con provenienza dal settore del bordo.

  Per l'intera durata dello sciopero i provvedimenti attuati hanno interessato, esclusivamente risorse in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa vigente in materia.
  In considerazione delle modalità di sostituzione adottate, Fsi assicura che non è stata mai e in alcun modo, messa a rischio la sicurezza del servizio o l'incolumità dei viaggiatori; peraltro la stessa Impresa ferroviaria riferisce che risulta ingiustificata la predisposizione di un programma di soppressioni, laddove sussistano tutte le condizioni per garantire, in sicurezza, l'effettuazione dell'offerta commerciale prevista.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stato indetto dagli avvocati della Camera penale della Romagna uno sciopero mediante la modalità dell'astensione dalle udienze al tribunale di Forlì per le giornate dal 14 al 18 novembre 2016;
   all'origine della protesta vi è, secondo quanto dichiarato dai promotori, la decisione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Forlì di riorganizzare l'accesso agli uffici dell'area riservata della procura, disciplinando gli ingressi attraverso appuntamenti con le segreterie dei sostituti;
   l'astensione dalle udienze ha ottenuto l'appoggio non solo dell'ordine degli avvocati di Forlì-Cesena, ma anche degli ordini del distretto, dell'Unione camere penali italiane, del Consiglio nazionale forense;
   alla base della decisione assunta dal procuratore della Repubblica vi sarebbe una grave carenza di organico a disposizione degli uffici amministrativi, che pertanto risulterebbero in sovraccarico di lavoro;
   risulta imminente l'avvio del programma di nuove assunzioni in attuazione del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, che prevede l'assunzione di mille unità di personale amministrativo non dirigenziale a tempo indeterminato da inserire nei tribunali italiani –:
   se il Ministro sia a conoscenza della carenza di organico in versano gli uffici in questione e se tale condizione risulti peggiore rispetto a quella di altre realtà ove non sono stati assunti i medesimi provvedimenti;
   se e quali iniziative di competenza si intendano intraprendere per potenziare l'organico in servizio presso il tribunale di Forlì allo scopo di migliorarne la funzionalità e garantire una maggiore accessibilità dei professionisti e dei cittadini.
(4-14805)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Forlì, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero della giustizia intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1.031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero della giustizia e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero della giustizia ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero della giustizia, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari emiliani.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Forlì prestano servizio 62 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 74 risorse umane. Presso la procura, invece, sono attualmente in servizio 27 delle 32 risorse previste.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, rispettivamente pari al 16,22 per cento ed al 15,63 per cento inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici dei distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Ccnl del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Quanto al personale di magistratura, dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Forlì si compone di 21 unità, di cui 3, allo stato, scoperte. Presso la procura, invece, è vacante solo uno degli otto posti previsti.
  Si tratta, pertanto, di uffici che evidenziano, allo stato, una scopertura sostanzialmente fisiologica, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio Superiore della Magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della Corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative sulla mobilità del personale amministrativo sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura.
  È stato, difatti, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Forlì è stato assegnato un posto di giudice, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre scorso.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il Ministero della giustizia curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il direttore del parco nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga, Domenico Nicoletti, ha recentemente affermato, nel corso del Festival della Montagna, che i progetti speciali territoriali Scindarella e Prati di Tivo previsti nel decreto terremoto «Barca» e nel master plan della regione Abruzzo e acquisiti nel piano del parco del 2004, sono stati confermati anche nel recente piano del parco sottoposto a procedura di valutazione di sviluppo ambientale come imposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nello stesso senso, si è espresso l'attuale vice presidente della giunta regionale Lolli che in più sedi ha dichiarato che la regione Abruzzo ha come priorità la realizzazione di progetti speciali, tra i quali quelli Scindarella e Prati di Tivo;
   i progetti Scindarella e Prati di Tivo sono progetti turistici che pianificavano nuovi impianti di risalita e non solo, che in parte ricadono all'interno del parco del Gran Sasso;
   nella relazione al piano per il parco – rapporto ambientale – valutazione ambientale strategica (VAS) – datata luglio 2016 e disponibile sul sito dell'ente parco, non è contenuto alcun riferimento ai progetti Scindarella e Prati di Tivo;
   il mancato richiamo dei due progetti nella Vas, e l'assenza delle necessarie previsioni urbanistiche per l'attuazione dei due progetti speciali suscita secondo l'interrogante grandi dubbi non solo in merito alla reale possibilità di realizzazione dei progetti, ma anche in relazione all'esistenza di una concreta volontà in tal senso da parte delle istituzioni preposte –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire al fine di appurare se i progetti su indicati siano realmente previsti nel piano del parco e se, nel caso in cui i due progetti fossero stati esclusi, sia possibile correggere il piano del parco in corso d'opera;
   nel caso di esclusione dei due progetti, quale sarebbe la destinazione delle risorse previste a tutt'oggi per finanziarli.
   (4-14599)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo stralcio all'interno del piano del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga dei riferimenti ai progetti speciali territoriali (PST) Scindarella e Prati di Tivo previsti nel decreto terremoto cosiddetto «Barca» e nel Master plan della regione Abruzzo sugli impianti sciistici, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento specifico alle questioni poste dall'interrogante si conferma che i PST Scindarella e Prati di Tivo, quali progetti turistici di pianificazione di nuovi impianti di risalita, all'interno del Parco del Gran Sasso e dei siti Natura 2000 – SIC IT7110202 «Gran Sasso» e ZPS IT7110128 «Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga», non risultano presenti all'interno del Piano del parco, oggetto di procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) regionale, integrata con il procedimento di Valutazione di Incidenza Ambientale.
  La procedura di VAS in corso deve verificare la coerenza della pianificazione con gli obiettivi di conservazione del patrimonio naturale nelle aree protette ai sensi della legge n. 394 del 1991, con il rispetto degli adempimenti previsti dalle direttive 93/43/Cee «Habitat» e ex 79/409 «Uccelli», nonché con i divieti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera
m) del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a zone speciali di conservazione (ZSC) e a zone di protezione speciale (ZPS)», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 novembre 2007, n. 258.
  Quest'ultimo dispone infatti il divieto di «realizzazione di nuovi impianti di risalita a fune e nuove piste da sci, ad eccezione di quelli previsti negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d'incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell'intervento, nonché di quelli previsti negli strumenti adottati preliminarmente e comprensivi di valutazione d'incidenza; sono fatti salvi gli impianti per i quali sia stato avviato il procedimento di autorizzazione, mediante deposito del progetto esecutivo comprensivo di valutazione d'incidenza, nonché interventi di sostituzione e ammodernamento anche tecnologico e modesti ampliamenti del demanio sciabile che non comportino un aumento dell'impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione della ZPS».
  Al riguardo è necessario evidenziare che la valorizzazione del territorio attraverso gli sport invernali debba inserirsi nell'ambito del quadro tracciato dal piano strategico per il Turismo, che pone come principio fondamentale la necessità di garantire la sostenibilità ambientale, tanto più negli ecosistemi complessi e fragili delle aree montane, dove uno sviluppo non sostenibile può portare a conseguenze difficili da mitigare e correggere.
  Detto piano strategico individua tra l'altro le aree protette come ambiti prioritari per la promozione di un modello di turismo sostenibile.
  Si ricorda inoltre che il Parco del Gran Sasso e Monti della Laga ha avviato il processo per l'ottenimento della Carta europea del turismo sostenibile (C.E.T.S.), certificazione che prevede un percorso di partecipazione diretta alle strategie condivise del Parco in materia di sviluppo del turismo sostenibile.
  Lo strumento della Carta europea del turismo sostenibile insieme ad altre iniziative e programmi, entra a far parte pienamente del piano economico e sociale del Parco, e diventa strumento fondamentale di crescita culturale, economica e sociale del territorio.
  Come documento di riferimento per uno sviluppo
green oriented degli sport invernali, si ricorda infine la «Carta di Cortina – Un modello sostenibile per le località di montagna», sottoscritta dal Ministro dell'ambiente a gennaio 2016, con l'obiettivo di sviluppare un turismo sostenibile fondato sull'efficienza nell'uso delle risorse, sulla limitazione delle emissioni di gas serra e dei costi energetici, anche attraverso un processo partecipato con le istituzioni e le comunità locali per identificare le principali cause degli impatti ambientali connessi agli sport invernali, le possibili soluzioni e gli ambiti di intervento.
  Per quanto concerne gli aspetti relativi alla possibilità di una correzione del Piano del parco in corso d'opera, si evidenzia che la procedura di approvazione, di cui alla legge n. 394 del 1991, non prevede la partecipazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in quanto la predisposizione del piano è affidata all'Ente parco che, a seguito dell'adozione in sede regionale, deposita detto strumento per la pubblicazione finalizzata all'acquisizione di eventuali osservazioni da parte dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate, sulle quali l'ente medesimo esprime il proprio parere.
  La regione approva il piano d'intesa con l'ente parco, per le zone
a), b) e c), e anche con i comuni per le zone d).
  Il Piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel Bollettino ufficiale della Regione, ed è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati.
  A tale disciplina deve riferirsi tanto l'ente parco, quanto l'amministrazione regionale e gli Enti territoriali coinvolti.
  Relativamente agli aspetti di natura finanziaria, nel caso in cui i due progetti fossero stati esclusi, si rappresenta che questa amministrazione, in qualità di autorità di vigilanza su rete natura 2000 e aree protette, mediante le osservazioni nel procedimento di VAS del Piano, ha evidenziato all'ente parco e alla regione, allorquando ve ne è stata la necessità, quali sono le norme che devono essere applicate rispetto agli interventi specifici richiamati in modo generico nel Piano.
  Questo non toglie che, nell'ambito di una visione strategica di sviluppo di un turismo sostenibile, si possano promuovere linee di attività compatibili con il piano strategico per il turismo, con la Carta europea del turismo sostenibile, e con le misure necessarie per preservare il valore di
habitat e specie straordinarie che, per sé stesse, costituiscono il capitale naturale su cui implementare iniziative di valorizzazione dei territori.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FASSINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella zona di Anzio è prevista la costruzione di una centrale biogas in una zona contigua ad un quartiere residenziale;
   secondo il Comitato popolare «Anzio No Biogas», la realtà ambientale di Anzio e in particolar modo della zona padiglione Sacida è particolarmente complessa e la forte antropizzazione/industrializzazione dell'area in esame complica ulteriormente la situazione;
   gli inquinanti emessi dalla centrale in questione inciderebbero pesantemente e negativamente sulla popolazione interessata e, in particolar modo, sui 350 bambini (di età compresa tra i 2 anni e mezzo e i 10 anni) della scuola dell'infanzia e della scuola primaria del plesso Sacida-Spalviera sita a soli 380 metri dal luogo ove sorgerà la centrale biogas;
   come definito dalla Corte europea: «Spetta alla politica stabilire il livello del rischio accettabile o non accettabile» e, ad ulteriore conferma, la Commissione europea scrive in una sua comunicazione sul principio di precauzione (COM 2002-1) «che la decisione è prettamente politica e non tecnica»;
   sempre in merito alla validità del ricorso al principio di precauzione il Consiglio di Stato (C.S. – Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525) ha ribadito un principio fondamentale: «il richiamato principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di precauzione. L'applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali» –:
   se intenda assumere iniziative normative per tutelare la sicurezza ambientale e sanitaria dei cittadini, anche alla luce degli obblighi derivanti dall'adesione all'Unione europea, con particolare riguardo ai requisiti e alle condizioni per la realizzazione di impianti per la produzione di energia. (4-14864)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle amministrazioni locali a vario titolo coinvolte, stante la mancanza di una competenza specifica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Sull'impianto di recupero di rifiuti non pericolosi con produzione di biometano in località Padiglione, proposto dalla società Green Future 2015, la città di Anzio ha espresso in diverse occasioni ufficiali parere contrario alla realizzazione dell'impianto e la regione Lazio, in sede di valutazione di impatto ambientale, ha evidenziato una serie di criticità inerenti il sito interessato dal progetto. In data 17 marzo 2016 si è svolta,
ex lege, Conferenza di Servizi, nel cui ambito sono stati ampiamente ascoltati i rappresentanti dei comitati (Lavinio no biogas, associazione Anziodiva e comitato NoBiogas). Sempre in sede di conferenza di servizi, la ASL RM 6 – Servizio di igiene pubblica – ha evidenziato che per quanto concerne la caratterizzazione sulla salute pubblica, manca una valutazione riferita al contesto locale del comune di Anzio, e non è stato preso in considerazione l'aspetto del potenziale rischio sanitario connesso alla realizzazione dell'impianto in esame e ha, a tal proposito, richiesto una valutazione puntuale che consideri la realizzazione del similare impianto già autorizzato e la presenza di insediamenti abitativi e scuole, in quanto dalla documentazione esaminata non si evince la compatibilità della proposta progettuale.
  L'ufficio VIA in sede di conferenza ha invitato il proponente a trasmettere copia della documentazione per l'acquisizione del parere di valutazione di incidenza da parte dell'area sistemi naturali, in riferimento all'adiacenza dell'area di progetto all'area SIC Macchia della Spadellata e Fosso Anastasia.
  Per quanto concerne l'altro impianto destinato al trattamento di rifiuti e alla produzione di gas metano da costruire a circa un chilometro dal primo, la sua realizzazione e gestione è stata autorizzata alla società Anzio Biowaste s.r.l. con determinazioni regionali del 5 novembre 2014 e del 3 novembre 2015, dopo una conferenza di servizi, a cui l'Amministrazione comunale ha espresso parere favorevole. Successivamente, in data 7 agosto 2015, la società Anzio Biowaste s.r.l. ha presentato alla regione Lazio istanza di variante dell'impianto autorizzato. Le modifiche consistevano nella:
   eliminazione della linea di termo-essiccazione dei fanghi;
   rimodulazione di quantitativi totali dei rifiuti gestibili presso l'impianto, a seguito dell'eliminazione della linea di termo-essiccazione dei fanghi, in termini annuali riducendoli da 52.000 t/anno a 50.000 t/anno; su base giornaliera, sull'unica linea che la Società intende realizzare da 70 t/die a 140 t/die.

  Poiché il comune di Anzio non è stato coinvolto nella procedura amministrativa inerente la suddetta variante, lo stesso ha impugnato la relativa determinazione regionale.
  Su tale secondo impianto a biogas già approvato, risulta dunque pendente un ricorso proposto dal Comune presso il Tar Lazio. La regione fa presente che avrà cura di incaricare la propria Agenzia regionale per l'ambiente di effettuare, in tempi certi, ogni verifica utile sullo stato dei luoghi.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a porre attenzione alle problematiche evidenziate ed a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRUSONE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante la seconda guerra mondiale, la masseria Albaneta di Montecassino ebbe un ruolo cruciale nella battaglia, in quanto la zona venne prescelta come campo ideale per un tentativo di infiltrazione alle spalle delle linee difensive tedesche. Dalla Masseria Albaneta vi era infatti una stretta valle che conduceva direttamente all'obiettivo primario degli alleati, ossia l'Abbazia di Montecassino;
   la collina di Montecassino registrò la fase più cruenta della battaglia per il superamento della linea Gustav, che bloccava la via per Roma;
   quest'area, che da oltre 70 anni è territorio sacro per oltre venti popoli: anzitutto per i polacchi, che proprio qui hanno il cimitero dei caduti e altri monumenti che ricordano il sacrificio dei loro soldati, qualche mese fa, per il periodo natalizio si voleva allestire la zona con mercatini di natale, con il progetto di far nascere il «Villaggio di Babbo Natale»;
   a seguito di numerose proteste di ambientalisti, cittadini cassinati e della stessa ambasciata polacca, si è riuscito a far chiudere il villaggio; decisivo fu proprio l'incontro avvenuto tra l'ambasciatore Orlowski e l'Abbate di Montecassino Ogliari;
   in questi giorni la storica masseria Albaneta torna all'attenzione della cronaca, per l'organizzazione del «Battlefield Tour 2016» dell'Esercito Italiano. L'incontro sarebbe stato promosso dall'associazione «Albaneta Farm» con l'intento di iniziare un percorso di riscoperta e valorizzazione di un luogo storicamente e religiosamente importante;
   le tematiche dell'incontro riguardano l'analisi storico militare sulle battaglie avvenute sul territorio;
   da quanto riportato in un articolo de Il Messaggero la visita della delegazione di militari precede altre iniziative simili che dovrebbero vedere interessata la Soprintendenza ai beni culturali e storici;
   tali iniziative sono senza dubbio lodevoli, ma si collocano in un contesto particolare con una situazione in divenire con la presenza di interessi anche di un altro Stato sovrano;
   l'area privata dell'Albaneta, circa 260 ettari, secondo l'articolo succitato, sarebbe stata data in gestione all'associazione Albaneta Farm, con lo scopo di crearvi un'azienda agricola con diverse coltivazioni e produzione di birra artigianale –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se non si ritenga opportuno, alla luce delle vicende descritte in premessa, che hanno investito il sito dell'Albaneta, evitare che si possano mettere in atto iniziative che potrebbero nuovamente complicare la situazione e deteriorare i rapporti con la Polonia. (4-12238)

  Risposta. — L'Esercito ha organizzato, dal 23 al 24 febbraio 2016, un battlefield tour nel Cassinate e nella Valle del Liri sui luoghi simbolo degli eventi bellici avvenuti tra l'inverno del 1943 e il maggio del 1944.
  Si è trattato di una visita organizzata già lo scorso anno e concordata con i Sindaci delle località interessate e i responsabili del cimitero di guerra polacco di Monte Cassino, che hanno anche seguito nell'attività il personale dell'esercito.
  Al fine di rendere onore ai caduti degli eserciti che hanno combattuto nella zona, le fasi di studio e approfondimento storico-militari, sono state precedute dalla deposizione di una corona di alloro nei cimiteri di guerra presenti, in omaggio al sentimento di onore militare che raccoglie intorno allo stesso inestimabile patrimonio di ideali e di valori identificativi i militari di tutte le nazioni, rinsaldando, peraltro, i rapporti di amicizia tra Paesi prima belligeranti; il tutto previa autorizzazione dei rispettivi responsabili nazionali.

Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2015 la Commissione europea ha diffidato l'Italia chiedendo ufficialmente la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari;
   tale divieto è contenuto nell'articolo 1 della Legge 11 aprile 1974, n. 138, secondo cui «è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare (...) prodotti derivati comunque da latte in polvere»;
   la diffida della Commissione europea, notificata alla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea con lettera di costituzione in mora, ha suscitato comprensibili proteste da parte del mondo produttivo agroalimentare italiano, che vede proprio nei prodotti lattiero-caseario un punto di forza anche sul piano dell’export verso l'estero (secondo i dati di Coldiretti le esportazioni di formaggi e latticini italiani sono aumentate in quantità del 9,3 per cento nel primo trimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente);
   come sostenuto da Coldiretti, secondo cui l'eventuale fine del divieto metterebbe a rischio l'intera reputazione del Made in Italy, e da una parte sostanziosa delle Regioni intervenute dopo che la notizia è divenuta di pubblico dominio, misure del genere sono gravemente lesive per il nostro Paese e vengono prese senza tenere nel gusto conto le peculiarità dei singoli Stati membri dell'Unione europea;
   risulta all'interrogante che l'Italia che ha tempo fino alla fine di luglio per rispondere ai rilievi di Bruxelles –:
   quali urgenti e a parere dell'interrogante indifferibili iniziative ritenga di assumere il Governo per chiedere alla Commissione europea un supplemento di istruttoria in modo tale da consentire all'Italia di presentare argomentazioni adeguate;
   quali iniziative ritenga di assumere il Governo, in ambito europeo, per affermare il principio che le realtà agroalimentari europee non possono essere omologate senza tenere nel giusto conto le caratteristiche di un Paese come l'Italia, connotato da grandi tradizioni e da grandi successi anche economici nell'agroalimentare di alta qualità. (4-09644)

  Risposta. — Mi preme anzitutto far presente che, anche a livello europeo, il Ministero ha fortemente sostenuto in questi ultimi due anni la necessità di una normativa europea per la corretta e trasparente etichettatura dei prodotti per non indurre il consumatore a ritenere italiano un prodotto che tale non è. Peraltro, la tutela dell'agroalimentare made in Italy è uno degli obiettivi primari che intendiamo conseguire anche a salvaguardia dei lavoratori e delle imprese che operano nel settore.
  Le nostre richieste riguardano anche l'uso esclusivo delle denominazioni protette e l'impedimento dell'impiego di denominazioni che possano richiamare l'origine italiana di produzione realizzata in altri Paesi che, oltre a trarre in inganno il consumatore, producono gravi danni economici e d'immagine ai prodotti italiani.
  Siamo sempre stati contrari ad adeguare la nostra normativa sul divieto dell'uso del latte in polvere per i formaggi e proprio per preservare l'attuale impianto normativo, abbiamo già formulato le controdeduzioni di competenza in merito a quanto sostenuto nella diffida notificataci dalla commissione europea che, ad oggi, non ha fatto pervenire osservazioni al riguardo.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che, per i prodotti lattiero caseari, abbiamo poi ottenuto un risultato storico proprio sul fronte dell'etichettatura d'origine.
  Lo scorso dicembre infatti, con il Ministro Calenda, abbiamo sottoscritto il decreto che introduce in etichetta l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia, con il via libera dell'Ue. Il provvedimento è stato registrato dalla Corte dei conti il 2 gennaio scorso.
  La firma segue il parere positivo delle commissioni agricoltura della Camera e del Senato e l'intesa raggiunta in conferenza Stato-regioni.
  Con questo nuovo sistema, una vera e propria sperimentazione in Italia, sarà possibile indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte UHT, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. Il provvedimento si applica al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale.
  Il decreto prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l'origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile.
  Sono esclusi solo i prodotti DOP e IGP che hanno già disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato.
  Si tratta, quindi, di un'ulteriore conquista che ci permetterà di rafforzare la trasparenza delle informazioni al consumatore e difendere l'eccellenza del
made in Italy, obiettivi sempre difesi e sostenuti in sede nazionale ed europea.
  L'Italia si pone così all'avanguardia in una sperimentazione sulla massima trasparenza dell'informazione al consumatore. Il nostro obiettivo è che questa legge sia poi estesa a tutta l'Unione europea, dando così più strumenti di competitività e tutela, del reddito ai produttori.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-08182, il Ministro interrogato ha dichiarato che il 10 giugno 2015 la commissione scientifica CITES ha emesso parere favorevole all'esclusione del delfinario di Rimini dall'applicazione del decreto legislativo n.73 del 2005 che regolamenta i giardini zoologici, ma che prima dell'adozione del provvedimento di esclusione dal parte del Ministero interrogato, redatto di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e salute dovrà essere effettuata una verifica da parte del Corpo Forestale dello Stato circa i requisiti in possesso della struttura;
   tale procedura deriva dal fatto che il delfinario di Rimini è stato prima posto sotto sequestro e successivamente chiuso a causa delle gravi carenze nella detenzione in cattività dei delfini e del mancato rispetto della disciplina prevista dal decreto legislativo n. 73 del 2005;
   nel 2015 la suddetta struttura ha aperto in data 28 marzo e fino ad oggi non è chiaro agli interroganti se sia ancora aperta in violazione della normativa vigente o se sia effettivamente stato emanato il provvedimento ministeriale di cui sopra, e risulti quindi esclusa dal regolamento previsto dal decreto succitato;
   nella stessa risposta all'atto di sindacato ispettivo il Ministro ha inoltre ricordato il decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 19 gennaio 2015 (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 38 del 16 febbraio 2015) che definisce le strutture «Acquario» e «Mostra faunistica» (pubblici spettacoli) al fine di distinguerle rispettivamente dai «delfinari» e dai «giardini zoologici»;
   in particolare si definisce «acquario» un bacino di acqua dolce o salata nel quale nuotano animali appartenenti a specie acquatiche, in grado di permettere a ogni soggetto l'espletamento del repertorio comportamentale specie specifico, la cui esposizione sia conforme alla normativa vigente, e «mostra faunistica» una struttura, padiglione o automezzo o rimorchio aperti da un lato, protetto da adeguate barriere o vetri, nell'interno dei quali sono posti animali o riproduzioni di animali, anche animate, con eventuale esibizione davanti al pubblico;
   tale definizione, a parere degli interroganti, appare comunque lacunosa e poco chiara e non servirebbe a districare il già complesso ambito del rilascio delle licenze alle strutture operanti sul territorio nazionale da parte dei comuni in quanto, nel caso dell'acquario non è chiaro quali specie acquatiche possano essere detenute nelle strutture (specie acquatica è anche un delfino),mentre nel secondo caso non è chiara la differenza tra mostra faunistica e zoo;
   inoltre, nella stessa risposta si evince che le strutture che presentano domanda ai comuni per la licenza di pubblico spettacolo (acquario o mostra faunistica), devono contestualmente mostrare il provvedimento di avvenuta esclusione dall'ambito di applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 73 del 2005 relativo ai giardini zoologici;
   attualmente, oltre al delfinario di Rimini, esistono altre strutture quali il Safari Park d'Abruzzo, il Parco delle Star o lo Zoo la Rupe – che da anni operano in regime di irregolarità;
   contestualmente le «attività» con le quali queste stesse strutture sono registrate presso il registro delle imprese sono, rispettivamente: «Mostra faunistica permanente, spettacoli equestri e di arte varia, operatore circense», «Baby Kart, giostrina a motore per bambini, mostra faunistica, allevamento di volatili» e «[...] gestione dei parchi di divertimento; la gestione di attività di bar, pizzerie, ristoranti e trattorie, agriturismo, alberghi, ostelli ed affittacamere [...]», che consentirebbero di continuare a rimanere aperti al pubblico con licenza di spettacolo viaggiante, mentre sarebbero prive di licenza di giardino zoologico, come si suppone sia successo fino ad oggi, anche in considerazione del fatto che tali strutture detengono animali pericolosi ai sensi del decreto ministeriale 19 aprile 1996, la cui detenzione è fortemente regolata e viene concessa limitatamente alle strutture identificate dall'articolo 6 della legge n. 150 del 1992, ovvero giardini zoologici, aree protette, parchi nazionali, circhi e mostre faunistiche permanenti o viaggianti –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, sia stato effettivamente adottato il provvedimento di esclusione del delfinario di Rimini dalla normativa disposta dal decreto n. 73 del 2005 e, in ogni caso, a quale regime sia sottoposta la struttura allo stato attuale;
   qualora il provvedimento di esclusione sia stato adottato successivamente alla verifica del Corpo forestale, se siano stati presi provvedimenti nei confronti del delfinario di Rimini per il periodo in cui lo stesso è rimasto aperto al pubblico con licenza di spettacolo viaggiante, prima di aver ricevuto il summenzionato provvedimento di esclusione;
   come il Governo intenda procedere nei confronti di tutte le strutture che, in attesa di licenza di giardino zoologico o di provvedimento di esclusione, rimangono attualmente aperte al pubblico con licenza di pubblico spettacolo e pertanto in violazione del decreto legislativo n. 73 del 2005;
   se non sia comunque poco funzionale alla disciplina sul rilascio delle licenze la nuova definizione di acquario e mostra faunistica adottate dal decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, citato in premessa. (4-10930)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, inerenti il provvedimento di esclusione del delfinario di Rimini dalla normativa di settore nonché le iniziative adottate nei confronti delle altre strutture che espongono al pubblico animali selvatici, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, evidenziare che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è competente unicamente al rilascio del predetto provvedimento di esclusione, mentre gli ulteriori provvedimenti autorizzativi ricadono nella competenza di altre amministrazioni, secondo quanto previsto dalla disciplina vigente in materia.
  Tanto premesso, si fa presente che il Ministero dell'ambiente, a seguito del parere positivo emesso dalla commissione scientifica CITES e della verifica del corpo forestale dello Stato ed acquisito il prescritto concerto dei Ministeri della salute e delle politiche agricole e forestali, ha adottato il decreto direttoriale di esclusione del delfinario di Rimini dall'applicazione della normativa sui giardini zoologici previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 73 del 2005. Tale decreto direttoriale è stato poi trasmesso alla struttura richiedente il 15 febbraio 2016.
  Il provvedimento è stato adottato perché la struttura richiedente risponde ai requisiti stabiliti dal citato decreto legislativo n. 73 del 2005 per il rilascio del decreto di esclusione, in quanto detiene un numero di esemplari o di specie che è stato ritenuto non significativo ai fini della conservazione della biodiversità. Tale provvedimento potrà essere revocato qualora la struttura non mantenesse i predetti requisiti.
  Attualmente la struttura è oggetto di verifica degli organi ed autorità competenti per territorio.
  Per quanto riguarda le strutture in attesa di licenza di giardino zoologico o di provvedimento di esclusione, è stata attivata un'intensa cooperazione con le Amministrazioni interessate, anche mediante un'attività di informazione alle autorità locali ed alle altre amministrazioni competenti, finalizzata alla puntuale applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 73 del 2005 ed alla piena conoscenza delle implicazioni del predetto decreto sulla procedura amministrativa di autorizzazione all'esposizione al pubblico di animali selvatici. In particolare, è stata interessata l'Anci, in data 1o aprile 2015, attraverso un'espressa nota che ha chiarito i rapporti tra la normativa relativa ai giardini zoologici, contenuta nel più volte richiamato decreto, e quella relativa alle mostre faunistiche che espongono animali selvatici.
  Da ultimo, per quanto riguarda la nuova definizione di acquario e mostra faunistica, adottata con decreto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, si segnala quanto segue.
  Nelle definizioni citate nell'elenco delle attrazioni spettacolari è stato eliminato il riferimento agli zoo nella definizione di mostra faunistica, poiché in questo modo viene chiarito che la mostra faunistica è una struttura con fini diversi dal giardino zoologico, evitando potenziali fraintendimenti in merito alla normativa applicabile.
  Inoltre, la definizione di acquario è stata riscritta al fine di eliminare ogni riferimento a specie selvatiche di una certa rarità o pregio (che devono necessariamente essere ospitate in un giardino zoologico) e di specificare che le vasche della struttura devono permettere ad ogni esemplare «l'espletamento del repertorio comportamentale specifico».
  Pertanto, le disposizioni richiamate definiscono e delineano strutture che sono residuali rispetto ai giardini zoologici e che espongono animali non significativi ai fini della preservazione della biodiversità.
  Ad ogni modo, si fa presente che della questione sono interessate anche altre amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come è noto la liquidazione delle pensioni avviene attraverso procedure informatizzate e non sempre gli operatori dell'Inps delle sedi territoriali possono intervenire direttamente nel processo di liquidazione anche quando si accorgono che il calcolo della pensione derivante dal sistema presenta evidenti incongruenze;
   a titolo di esempio si segnala un caso di liquidazione di pensione ai superstiti che riguarda un minore (M.G. nato il 12 novembre 2004), orfano di un lavoratore, al quale è stata liquidata dall'Inps la pensione di reversibilità (modello TE08 — categoria SO — sede 640000 — certifico 20049217 — richiesta n. 2134576400148);
   la richiesta di pensione di reversibilità è stata avanzata dalla vedova, non correttamente informata, dopo anni dalla morte del lavoratore dante causa (2008) e l'Inps ha proceduto alla pensione di reversibilità con la corretta descrizione degli importi spettanti dal 2008 al 2015;
   detti importi (ratei), annualmente non superano il limite imponibile e come tale non sarebbero tassabili, non possedendo il minore altri redditi; nonostante questo, l'Inps ha operato la trattenuta Irpef sui detti importi, con la precisazione che «si è tenuto conto delle detrazioni fiscali» e secondo l'operatore dell'Inps che ha gestito la pratica, gli importi corrisposti, vengono determinati attraverso procedure informatiche sulle quali l'operatore non ha alcun potere di intervento;
   chiaramente il patronato che segue la pratica di pensione ha proceduto a presentare ricorso e, da parte dell'operatore Inps, si è proceduto almeno per l'anno 2015 a restituire la trattenuta Irpef applicata, mentre per gli anni precedenti ad oggi, nonostante le reiterate richieste, l'istituto non ha ancora provveduto alla restituzione delle trattenute erroneamente operate;
   del suddetto caso è stata anche interessata la sede territoriale dell'Agenzia delle entrate, ma non è chiaro, essendo l'Inps sostituto di imposta, quale sia fra questi due enti, il soggetto che deve restituire le trattenute erroneamente operate dal 2008 al 2014 –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché si pervenga ad una definitiva soluzione del caso segnalato che peraltro riguarda un minore. (4-14967)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare dell'interrogante concernente la restituzione di somme erroneamente trattenute da una pensione liquidata a superstiti, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo, si evidenzia preliminarmente che l'Inps, espressamente interpellato, ha confermato che il minore M.G., nato il 12 novembre 2004, è titolare di pensione indiretta. La madre, infatti, ha avanzato domanda di pensione all'Istituto previdenziale il 9 luglio 2015 anche se il diritto era già sorto con la morte del dante causa, avvenuta l'11 ottobre 2008.
  In merito alle richieste di chiarimento dell'interrogante, relative alle trattenute fiscali applicate sulla pensione, l'Inps ha fatto presente che le procedure informatiche di liquidazione in uso all'Istituto applicano autonomamente l'imposizione fiscale spettante, mentre all'operatore di sede è consentito l'inserimento delle detrazioni personali che, nel caso in esame, avrebbero azzerato l'imposta lorda per l'anno corrente.
  Qualora dette detrazioni non vengano inserite, è possibile recuperare – in sede di conguaglio fiscale annuale – l'importo delle ritenute non dovute; ciò si è verificato anche nel caso specifico, atteso che l'imposta lorda 2015 è stata ricalcolata e riaccreditata al titolare della pensione con il cedolino di marzo 2016. Per quanto riguarda gli anni precedenti al 2015, assoggettati a tassazione separata, l'Inps ha fatto presente che l'operatore di sede può inserire l'importo delle detrazioni soggettive purché le stesse siano state oggetto di espressa richiesta, accompagnata da apposita autocertificazione attestante la non già avvenuta fruizione delle detrazioni. In questo caso la procedura calcola esattamente la prestazione con le detrazioni spettanti.
  Nel caso in esame, dalla domanda presentata all'Inps, risulta che l'istante ha dichiarato di aver diritto alle detrazioni d'imposta solo dal 1o gennaio 2015, conseguentemente la procedura di liquidazione del trattamento pensionistico ha correttamente previsto l'assoggettamento della pensione alla tassazione separata, determinando la decurtazione dell'assegno spettante dell'importo pari alle ritenute fiscali che sono state successivamente versate all'Erario. Ad ogni modo, al line del rimborso delle imposte non dovute dal percettore della pensione, soccorrono le procedure previste dalla competente agenzia delle entrate.
  Qualora si tratti, infatti, di somme da assoggettare a tassazione separata, l'articolo 21, comma 4, del testo unico delle Imposte sui Redditi prevede che «Per gli emolumenti arretrati di cui alla lettera
b) del comma 1 dell'articolo 17 l'imposta determinata ai sensi dei precedenti commi e ridotta di un importo pari a quello delle detrazioni previste nell'articolo 13 e nei commi 1 e 2 dell'articolo 14 se e nella misura in cui non siano state fruite per ciascuno degli anni cui gli arretrati si riferiscono. Gli aventi diritto agli arretrati devono dichiarare al soggetto che li corrisponde l'ammontare delle detrazioni fruite per ciascuno degli anni cui si riferiscono
  L'agenzia delle entrate, espressamente interpellata al riguardo, ha rappresentato che laddove l'Inps non abbia provveduto a riconoscere le detrazioni eventualmente spettanti, il contribuente minore, rappresentato dalla madre, può presentare istanza di rimborso all'ufficio dell'agenzia delle entrate territorialmente competente in base al domicilio fiscale del contribuente ai sensi dell'articolo 38, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 secondo cui l'istanza di rimborso «può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata». Il recupero del versamento non dovuto può avvenire, secondo quanto comunicato dall'Inps, anche utilizzando il modello 730. In questo modo, il minore può ottenere il rimborso direttamente dall'Ente pensionistico, a valere sul trattamento in godimento. Per completezza, infine, si segnala che non risulta presentato, secondo l'Inps, alcun ricorso gerarchico per il tramite dell'Ente di patronato.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   L'ABBATE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Giacomo Olivieri è il titolare dello «Studio legale Olivieri» – specializzato nel diritto societario, diritto d'impresa, fallimentare ed amministrativo – con sede in Bari. Ricopre dal gennaio 2012 il ruolo di presidente di «Bari Multiservizi s.p.a.» e della Fondazione «Maria Rossi Olivieri» dal gennaio 2006, che ha la finalità di recuperare, tutelare e conservare il patrimonio artistico, culturale, storico ed archeologico del Sud Italia. È fondatore e leader di «Realtà Italia», movimento politico nazionale a sostegno delle giunte Decaro (sindaco PD della città di Bari) ed Emiliano (governatore PD della regione Puglia);
   in data 10 febbraio 2015, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha concesso l’exequatur al signor Giacomo Olivieri, console generale onorario della Repubblica di Slovenia a Bari;
   in data 1° dicembre 2016, il pubblico ministero di Bari Giuseppe Dentamaro ha chiesto nell'udienza preliminare dinanzi al giudice dell'udienza preliminare di Bari il rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta aggravata relativa al fallimento della società barese «Ctf S.r.l» riconducibile all'imprenditore barese Emanuele Degennaro. Secondo l'accusa Degennaro, insieme con la sua segretaria Caterina De Bari e con la complicità dell'avvocato Giacomo Olivieri e del bitontino Francesco Monte, avrebbe dissipato le risorse aziendali e distratto beni per circa 17 milioni di euro. Stando agli accertamenti della Guardia di finanza, gli imputati avrebbero fatto una serie di operazioni illecite fino a svuotare le casse della società, emettendo decine di assegni e falsificando le scritture contabili;
   la nomina di console onorario, così come quella di console di carriera, presuppone la concessione dell’exequatur ai sensi della Convenzione di Vienna del 1963, ratificata dall'Italia con la legge 9 agosto 1967, n. 804;
   a livello interno è stata adottata la circolare del Ministero degli affari esteri n. 3 del 16 luglio 2010 secondo cui uno dei requisiti che lo Stato italiano deve verificare ai fini dell’exequatur è quello dell'onorabilità della persona del candidato, al fine di tutelare la sicurezza dello Stato –:
   quali tipologie di controlli siano stati effettuati sulla persona del console Onorario in sede di exequatur;
   se, alla luce dell'indagine per il reato di bancarotta, il Ministro non ritenga che il requisito dell'onorabilità sia venuto meno e, di conseguenza, se non intenda revocare l'autorizzazione all'esercizio delle funzioni di console onorario. (4-15039)

  Risposta. — L'apertura del consolato generale onorario di Slovenia a Bari (di competenza delle regioni Puglia e Basilicata) è stata chiesta dall'ambasciata slovena a Roma nell'aprile 2014, con la contestuale candidatura dell'avvocato Giacomo Olivieri in qualità di titolare. Il cerimoniale diplomatico della Repubblica ha quindi avviato l’iter procedurale previsto ai sensi della circolare ministeriale n. 3 del 16 luglio 2010, relativa all'istituzione e al funzionamento degli uffici consolari onorari stranieri in Italia. Tale procedura prevede l'acquisizione di pareri sull'istituzione e controlli sul candidato con il coinvolgimento degli altri Ministeri competenti, delle Autorità locali e di quelle di sicurezza.
  Nell'ottobre 2014 la procedura si è conclusa positivamente. Nel febbraio 2015 questo Dicastero ha pertanto comunicato all'ambasciata della Repubblica di Slovenia l'assenso all'istituzione del consolato generale onorario e in data 10 febbraio 2015 ha concesso l’
exequatur quinquennale di nomina dell'avvocato Giacomo Olivieri per l'esercizio delle funzioni consolari onorarie. Dalla data di tale nomina, nessuna segnalazione circa procedimenti penali o di rinvio a giudizio a carico dell'Olivieri è pervenuta a questo Ministero.
  Pertanto, in relazione a quanto esplicitato nell'interrogazione sulla richiesta di rinvio a giudizio – formulata in data 1o dicembre 2016 dal pubblico ministero di Bari nell'udienza preliminare del procedimento penale per bancarotta fraudolenta aggravata, relativa al fallimento della società barese «Ctf s.r.l.» e che vedrebbe coinvolto, tra gli altri, anche l'avvocato Giacomo Olivieri – si sta procedendo, come abitualmente avviene in casi analoghi, ad acquisire urgenti elementi informativi presso le autorità competenti.
  Una volta acquisiti gli aggiornamenti sulla posizione del signor Olivieri, questo Ministero si riserva di valutarne la rilevanza e di agire eventualmente, come in casi già verificatisi, sulla base di quanto previsto dalle norme internazionali – nello specifico, ai sensi degli articoli 25 («fine delle funzioni di membro d'un posto consolare») e 68 («natura facoltativa dell'istituzione delle funzioni consolari onorarie») della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963 (ratificata dall'Italia con legge 9 agosto 1967, n. 804), nonché ai sensi della citata circolare ministeriale n. 3 del 16 luglio 2010.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tragedia di Annone di Brianza (Lecco), dove un cavalcavia si è spezzato al passaggio di un tir provocando un morto e cinque feriti, e dove continua il «rimpallo» di responsabilità fra l'Anas e la provincia di Lecco sulla mancata chiusura del ponte dopo i primi calcinacci cominciati a cadere tre ore prima del disastro, ha riacceso i riflettori sul viadotto Cannavino o «Ponte di Celico» sulla strada statale 107, che collega Cosenza con i centri della Sila;
   interessato da interventi «tampone» nel corso degli anni, il ponte continua però a registrare il passaggio delle auto e dei mezzi pesanti con un volume di traffico che d'estate aumenta vertiginosamente, nonostante evidenti segni di cedimento strutturale e l'abbassamento del livello stradale all'altezza della campata centrale;
   a seguito del ripetersi di segnalazioni e notizie diffuse dalla stampa, l'Anas ha rassicurato che il viadotto non è a rischio di crollo: a certificarlo è il Politecnico di Bari, che nella relazione tecnica del 2016 ha riferito gli esiti di prove di carico statiche, dinamiche e sui materiali, di una rete di monitoraggio a prismi ottici, disposti lungo i due versanti laterali del viadotto. Ciò non toglie che sul viadotto si debba intervenire con un intervento di manutenzione. La relazione termina con alcune fondamentali raccomandazioni: «la situazione deve essere tenuta ancora sotto controllo, con rilevazioni almeno semestrali solo di alcune sezioni prossime alle travi di accoppiamento (...) devono essere definite le condizioni ambientali (temperatura) e se i valori non dovessero risultare congruenti ripeterle per sicurezza una seconda volta al fine di essere certi del loro valore». Tra gli interventi proposti la relazione insiste su quelli mirati a ridurre le vibrazioni della struttura al passaggio dei veicoli pesanti;
   si sottolinea che le verifiche statiche sono state eseguite in base alla normativa in vigore al tempo della costruzione e, nelle sezioni più significative, anche in base al decreto ministeriale 14 gennaio 2008 e che le sollecitazioni sono risultate conformi a quelle riportate nella relazione di progetto (1974) nel quale non è stata valutata l'azione sismica trasversale;
   a questo proposito, si ricorda che il viadotto Cannavino è situato nel comune di Celico, in una zona a rischio sismico di livello 1 (è il livello più alto dove possono verificarsi fortissimi terremoti), secondo l'ultimo aggiornamento del 2015 sulla classificazione sismica dei comuni italiani, pubblicato sul sito della protezione civile;
   l'Anas ha comunicato che la progettazione esecutiva per l'intervento di manutenzione è in fase di completamento; entro il 2016 sarà avviata la fase di gara e nel corso del 2017 saranno avviati i lavori di manutenzione straordinaria che sono stati inseriti nella programmazione quinquennale 2015-2019 con priorità massima, per un valore di circa un milione e mezzo di euro;
   nel frattempo, dovrebbe essere varato l'aggiornamento delle norme tecniche per le costruzioni, per il quale il 27 settembre è stato dato il via libera al relativo decreto ministeriale di approvazione, che conterrà norme più stringenti relative ai criteri antisismici che, a giudizio degli interroganti, dovrebbero essere considerati durante la fase dell'intervento di manutenzione del viadotto Cannavino –:
   se il Governo non ritenga necessario e urgente assumere iniziative affinché, attraverso esperti del Consiglio superiore dei lavori pubblici, siano effettuate nuove verifiche e sia espresso un ulteriore parere sulla stabilità e sulla sicurezza del viadotto in questione, tenendo conto della vulnerabilità sismica del territorio sul quale è situato;
   se non consideri opportuno, nei limiti delle sue competenze, assumere iniziative affinché a scopo precauzionale, l'Anas limiti sul viadotto il transito dei veicoli e lo vieti ai mezzi pesanti, fino all'avvenuto intervento di manutenzione, assicurandosi che quest'ultimo sia realizzato nel pieno rispetto della normativa vigente;
   se non ritenga opportuno intervenire affinché l'intervento di manutenzione, ritenuto già dal 2015 lavoro di manutenzione con priorità massima, sia avviato e realizzato nel più breve tempo possibile. (4-14876)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dall'ANAS, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La problematica del viadotto Cannavino risulta ampiamente nota sia ad Anas sia alle altre funzioni istituzionali del territorio (prefettura di Cosenza, Protezione civile regionale, enti locali, forze di polizia, strutture tecniche regione Calabria).
  Infatti, nei primi giorni di agosto 2016 si era tenuto un incontro appositamente convocato dal prefetto di Cosenza cui hanno partecipato rappresentanti di tutti i soggetti coinvolti al fine di analizzare nel dettaglio la problematica evidenziata dagli Interroganti.
  Durante tale incontro Anas ha illustrato tutte le iniziative assunte nel corso degli ultimi anni, relazionando formalmente la prefettura di Cosenza con nota del 9 settembre 2016.
  Ad oggi Anas assicura che sono state messe in campo risorse economiche e strumentali utili a consentire il rispetto della programmazione delle attività per come illustrate nel corso di detto primo incontro.
  A seguito di successiva convocazione, sempre della prefettura di Cosenza, in data 24 novembre 2016 si è tenuto un tavolo tecnico cui hanno partecipato, oltre ai soggetti istituzionali, anche il responsabile della Protezione civile Calabria, supportato da un docente della Università della Calabria per gli aspetti prettamente tecnici correlati alla funzionalità dell'opera.
  In tale consesso Anas, ha illustrato gli aggiornamenti circa le attività svolte ed in corso di svolgimento, compreso quelle realizzate con il coinvolgimento di strutture universitarie specialistiche a tal uopo incaricate. Si è infatti partiti descrivendo le risultanze degli studi specialistici commissionati nel 2010 e nel 2015 per poi illustrare tutte le iniziative assunte di conseguenza che hanno portato, già nei primi mesi dell'anno, a pianificare ed a realizzare un sistema di monitoraggio in continuo dei comportamenti della struttura.
  Si è aperto quindi un confronto altamente partecipato su tutti gli argomenti prettamente tecnici in esame ivi compresi quelli relativi alle proposte della Protezione civile regionale di condivisione/scambio dati correlati al monitoraggio e di integrazione di talune indagini geognostiche, proposta pienamente accolta da parte di ANAS che ha altresì assicurato un pronto recepimento.
  Il prefetto nel concludere i lavori ha preso atto di quanto esposto e condiviso invitando i presenti a proseguire la proficua collaborazione anche e soprattutto nell'ottica delle rassicurazioni per l'utenza circa le condizioni di transitabilità in sicurezza del ponte Cannavino.
  Riguardo infine ai lavori da realizzare Anas riferisce che ha ultimato la redazione del progetto che consentirà di porre in essere gli opportuni interventi sul viadotto «Cannavino» lungo la strada statale 107 «Silana Crotonese».
  Anas informa che a breve, verrà indetta la gara per l'esecuzione dei lavori; il loro avvio sarà, comunque, preceduto da un incontro, da tenersi presso la prefettura di Cosenza, nel corso del quale verrà illustrato, nel dettaglio, il cronoprogramma delle fasi esecutive.
  Nelle more di perfezionamento delle procedure di gara, come illustrato e condiviso nell'ultima citata riunione tenutasi in prefettura lo scorso 24 novembre, Anas ha disposto, oltre all'usuale e costante monitoraggio topografico del viadotto, anche attività di controllo attraverso sistemi automatici di ultima generazione (che consentono di monitorare h24 l'eventuale stato deformativo dell'opera) nonché l'installazione di un semaforo da attivare, direttamente, al raggiungimento della prefissata soglia di allarme.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MANZI, CARRESCIA, LODOLINI, MAURI, NARDUOLO, ZARDINI, CARLONI, MARCHETTI, RICHETTI, MALPEZZI, LACQUANITI, RAMPI, MORANI, D'ARIENZO, MICCOLI, TINO IANNUZZI, CAROCCI, COCCIA, GADDA, FRAGOMELI, LATTUCA, D'OTTAVIO, ASCANI, MARIANO, LENZI, CINZIA MARIA FONTANA, MARRONI, PATRIARCA, VERINI, TIDEI, MAGORNO, ROSTAN e GIUDITTA PINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche settimana fa la notizia del fallimento della Tombolini Industrie, storica azienda di abbigliamento con sede ad Urbisaglia in provincia di Macerata, ma conosciuta in tutto il mondo per i suoi capi di altissimo pregio;
   la sentenza emessa dal giudice del tribunale di Macerata verte su un'istanza dell'Inps che, quale creditore dell'azienda, ha richiesto il pagamento immediato di un credito che invece, secondo i responsabili dell'azienda, era già stato rateizzato, grazie ad un accordo raggiunto con Equitalia;
   la decisione del tribunale di Macerata è stata una vera e propria sorpresa per i dirigenti della società, intenzionati a presentare un'istanza di sospensiva della sentenza, chiedendo di poter proseguire l'attività e ad impugnare il provvedimento di fallimento, in quanto secondo gli stessi, l'intervenuta rateizzazione del credito con la concessionaria Equitalia, avrebbe eliminato il presupposto della dichiarazione di fallimento e, cioè, l'esistenza di un debito scaduto;
   l'interruzione dell'attività è avvenuta nel periodo di massima produzione industriale della Tombolini, con ordini da dover consegnare, fornitori da dovere tutelare, dipendenti che rischiano il posto di lavoro e il rischio di perdita di immagine da parte di un'azienda che, da oltre 50 anni, opera nel settore dell'abbigliamento ed è conosciuta in tutto il mondo per i suoi prodotti raffinati e pregiati;
   forti sono le preoccupazioni soprattutto per le sorti dei circa 150 lavoratori che da anni lavorano per lo storico marchio marchigiano e che già stanno vivendo momenti duri e difficili, a causa dei recenti eventi sismici che, in molti casi, hanno danneggiato o distrutto le loro abitazioni e colpito le loro famiglie;
   grande sensibilità per le sorti dei lavoratori e collaborazione è stata dimostrata dalle istituzioni locali e regionali che, insieme alle sigle sindacali interessate, pur nel rispetto dell’iter che la legge prevede in questi casi, condividono la necessità che l'azienda riprenda quanto prima a lavorare, sia per dare respiro ai dipendenti e sia per permettere alla stessa di soddisfare le richieste dei fornitori e dei clienti –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, alla luce dei fatti descritti, pur nel rispetto dell’iter giudiziario in corso, per addivenire ad un epilogo positivo della vicenda e salvaguardare le sorti dei lavoratori, spesso appartenenti a famiglie terremotate e degli attori a vario titolo coinvolti nella crisi della Tombolini Industrie. (4-15248)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente alla situazione produttiva e occupazionale dell'impresa Tombolini Industrie srl, facente parte del gruppo Tombolini, avente sede legale in Urbisaglia (MC) ed unità produttiva in Colmurano (MC), passo ad illustrare quanto segue.
  Il gruppo Tombolini, realtà produttiva marchigiana nel settore dell'abbigliamento, nasce negli anni ’60 con la Tombolini Eugenio Urbis. Nel 1982, a seguito della chiusura della Tombolini Eugenio Urbis, viene costituita la Tombolini Eugenio Urbis Confezioni srl che, nel 2003, viene incorporata dalla Eugenio Tombolini spa, società capogruppo nata nel 1992 (attualmente denominata Compagnia Moda Italia srl). Nel 2009, il gruppo Tombolini ha dato vita ad una nuova impresa, la Tombolini Industrie srl, mentre la capogruppo Eugenio Tombolini spa ha conservato il ruolo di holding finanziaria.
  Tanto premesso, occorre precisare che, già nel corso del 2010, l'esposizione debitoria della Eugenio Tombolini spa nei confronti dell'Inps ha determinato la sottoscrizione, su istanza dell'impresa, di un accordo di ristrutturazione dei debito ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare. L'accordo, in particolare, prevedeva una dilazione quinquennale per il pagamento, in 60 rate, dei debiti scaduti. Tuttavia, la Eugenio Tombolini spa è riuscita a versare solo meno della metà delle rate dovute all'istituto con conseguente decadenza, a decorrere dal 2012, dai benefici dell'accordo.
  Anche la Tombolini Industrie srl aveva ottenuto dall'Inps una dilazione per il versamento dei contributi da essa dovuti e scaduti: tuttavia, il mancato pagamento delle rate in dilazione ha determinato il trasferimento dei debiti dall'Inps ad Equitalia. L'agente di riscossione ha a sua volta, concesso alla Tombolini Industrie srl rateazioni del debito anch'esse non adempiute dall'impresa e quindi decadute.
  L'Inps ha reso noto di aver costantemente monitorato l'esposizione debitoria del gruppo tombolini anche mediante appositi incontri con i responsabili aziendali i quali hanno sempre rassicurato in ordine alla possibilità di ripresa e alla capacità del gruppo di rientrare nel debito maturato nei confronti dell'istituto. L'Inps ha altresì precisato di aver valutato, nel corso del tempo, tutte le possibili soluzioni atte a consentire alle imprese del gruppo lo svolgimento dell'attività produttiva e il risanamento del debito dalle stesse maturato. Ciononostante, le imprese del gruppo non solo sono riuscite a sanare l'ingente debito ma altresì, a decorrere dal 2014, non hanno nemmeno provveduto al pagamento dei contributi correnti.
  Il 2 febbraio 2016, pertanto, l'Inps ha presentato al tribunale di Macerata istanza per la dichiarazione di fallimento delle imprese Eugenio Tombolini spa e Tombolini Industrie srl. Il giudice fallimentare ha dichiarato il fallimento delle due imprese con distinte sentenze depositate lo scorso 9 novembre con la conseguente chiusura delle stesse.
  Con specifico riferimento alla Tombolini Industrie srl, la regione Marche, espressamente interpellata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha comunicato di essersi immediatamente adoperata, non appena investita della questione, al fine di apportare un contributo fattivo alla risoluzione della vicenda. La regione, in particolare, ha precisato di aver provveduto a convocare, sin dallo scorso mese di aprile, diversi incontri con i vertici aziendali e con la direzione regionale Inps al fine di agevolare il raggiungimento di un accordo che potesse scongiurare l'epilogo fallimentare e salvaguardare, in tal modo, non solo i 180 lavoratori coinvolti nella vicenda ma anche l'intero indotto in un territorio già fortemente colpito dalla crisi e, ultimamente, anche dai noti eventi sismici.
  Alla luce di quanto detto, nell'evidenziare la rilevanza locale della vicenda rappresentata con il presente atto parlamentare, si può comunque assicurare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali continuerà a monitorarne i futuri sviluppi anche nella eventuale prospettiva di esaminarne le principali problematiche.
  Da ultimo, con riferimento ai tristemente noti eventi sismici recentemente verificatisi nel nostro paese, cui si fa cenno nell'atto parlamentare in esame, si precisa che lo scorso mese di ottobre, il Governo ha emanato il decreto-legge n. 189 del 2016 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 229 del 2016. In particolare, l'articolo 45 del decreto ha previsto la concessione, a decorrere dal 24 agosto 2016, di una indennità pari al trattamento massimo di integrazione salariale, con relativa contribuzione figurativa, in favore dei lavoratori dipendenti da imprese operanti nei comuni interessati dagli eventi sismici e per le quali non trovano applicazione le vigenti disposizioni sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   MAROTTA e SAMMARCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è fondamentale assicurare un'efficace ed efficiente azione di tutti gli uffici giudiziari soprattutto di quelli che operano in sedi disagiate;
   in particolare, oggi molti magistrati, che svolgono la loro attività contrastando ogni giorno le mafie lavorando in condizioni difficilissime, dovrebbero essere agevolati e facilitati nel loro compito;
   lo Stato, infatti, dovrebbe assicurare ai magistrati «in prima linea» contro la criminalità organizzata, benefici anche economici proprio al fine di premiare il loro lavoro;
   il Gruppo parlamentare di Area Popolare ha presentato un ordine del giorno sull'implementazione degli organici in magistratura accolto dal Governo proprio per favorire l'efficienza e l'efficacia di tutti gli uffici giudiziari;
   già il Ministro interrogato aveva introdotto un regime di benefici finalizzato ad incentivare le richieste di trasferimento in quelle sedi cosiddette disagiate da parte dei magistrati con adeguata anzianità ed esperienza. I benefici erano di natura economica e di carriera;
   è stata presentata una proposta di legge dal secondo firmatario del presente atto che ripropone la tematica suddetta. Occorre, pertanto, intervenire per incentivare un adeguato numero di magistrati a trasferirsi in una sede disagiata. Oggi, infatti, esistono alcune limitazioni soprattutto dovute ai costi che i magistrati devono sopportare per trasferirsi nelle sedi disagiate che impediscono agli stessi di essere assegnati a quei presidi giudiziari –:
   se non sia opportuno assumere iniziative per prevedere benefici anche economici ai magistrati che operano in sedi cosiddette disagiate;
   se non sia necessario assumere iniziative per prevedere benefici, anche economici, per i magistrati che ogni giorno contrastano le mafie e che svolgono per questo un lavoro rischioso con grandi sacrifici personali;
   se non sia opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per implementare il numero dell'organico sia dei magistrati che del personale che li coadiuva negli uffici giudiziari per garantire una maggiore efficienza ed efficacia degli stessi uffici. (4-14681)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti prospettano criticità degli uffici giudiziari del Paese maggiormente coinvolti nel contrasto alle più gravi forme di criminalità organizzata, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale di magistratura.
  Chiedono, pertanto, quali iniziative il ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze, a sostegno delle sedi più disagiate.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale, amministrativo e di magistratura, attraverso un analitico studio dei fabbisogni nelle diverse realtà territoriali del Paese e, soprattutto, degli uffici che evidenziano perduranti indici di scopertura, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative di potenziamento degli uffici sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura.
  È stato, difatti, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, agli uffici maggiormente gravati sono state proporzionalmente assegnate unità aggiuntive rispetto alla dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre scorso.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Nella prospettiva di sostenere immediatamente gli uffici, giudicanti e requirenti di primo grado, che presentano i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 3, della legge 4 maggio 1998, n. 133 e che evidenziano, pertanto, una stagnazione dell'indice di scopertura pur all'esito di reiterate pubblicazioni effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, il ministero ha, di recente, promosso l'avvio di una procedura finalizzata all'assegnazione delle sedi, riconoscendo ai magistrati adeguati meccanismi incentivanti.
  In coerenza con le iniziative complessivamente assunte per conseguire una maggiore efficienza del sistema giudiziario ed in conformità all'esigenza di una razionalizzazione nell'impiego e nella distribuzione delle risorse disponibili, all'esito di preventive interlocuzioni con il Consiglio, con nota in data 28 settembre 2016 ho indicato un elenco di 53 uffici giudiziari per i quali sussistono i requisiti previsti dalla legge citata per la qualificazione come «sedi disagiate».
  In data 12 ottobre 2016, il Consiglio ha approvato la delibera di terza commissione per la pubblicazione di 113 posti vacanti per 52 sedi, qualificate come disagiate, caratterizzate da scoperture d'organico superiori al 20 per cento e che non sono state coperte con gli ultimi bandi.
  Gli uffici interessati si trovano, tra l'altro, nei distretti di Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Reggio Calabria, Sassari, Torino, Trieste.
  La procedura è, pertanto, attualmente in corso.
  Ai magistrati destinati alle predette sedi sono riconosciuti incentivi, economici e di carriera, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della legge 4 maggio 1998, n. 133 e delle circolari del Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MARTELLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Confturismo Veneto, nei giorni scorsi, ha denunciato, attraverso i media, un episodio singolare che rischia, però, di provocare non pochi danni ad un comparto strategico quale quello del turismo lungo le coste venete;
   attraverso lo smartphone connettendosi dalla spiaggia di Bibione Pineda in provincia di Venezia mediante una apposita app per verificare le condizioni meteo, in tempo reale, risultava la previsione di prevalentemente nuvoloso con rischio temporali pur in presenza di ottime condizioni climatiche;
   la diffusione degli smartphone e delle app concernenti le previsioni meteo, che sono tra le più «cliccate», soprattutto, in questo periodo, fa sì che si tratti di strumenti che possono influenzare non poco la scelta delle località turistiche;
   già negli anni precedenti sono state denunciate dagli operatori turistici situazioni di questo tipo tant’è che è stato coniato il termine di «meteo terrorismo»;
   il limite di attendibilità delle previsioni, secondo l'Aeronautica militare, non supera i tre giorni e, paradossalmente, il sito meteo dell'Aeronautica non ha la stessa popolarità di altri siti «settoriali»;
   la inattendibilità di alcune previsioni rischia di determinare non poche ripercussioni negative ai danni del comparto turistico –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per implementare, in particolare, per le località turistiche di maggiore richiamo, uno specifico servizio pubblico di informazioni meteo, anche con applicazioni per smartphone e altri supporti elettronici, in maniera da assicurare la massima attendibilità possibile e non pregiudicare l'attività degli operatori.
(4-09716)

  Risposta. — Con l'ingresso di operatori privati nella produzione e diffusione di previsioni meteorologiche, in aggiunta ai consueti enti istituzionali, nel corso degli ultimi anni si è sviluppato in maniera allarmante il fenomeno del cosiddetto «meteoterrorismo».
  Pertanto, la problematica sollevata nell'atto di sindacato ispettivo è di una stringente attualità e riguarda, in primo luogo, l'opportunità/necessità di stabilire norme di condotta certe per i soggetti diversi dai servizi meteo nazionali.
  Si tratta di una tematica molto delicata in quanto deve conciliare due interessi contrastanti sul piano economico:
   la libertà dell'iniziativa privata nel campo dell'informazione, inclusa quella meteorologica;
   la riduzione al minimo dell'impatto negativo per i settori produttivi di previsioni non corrette, come accade nel turismo.

  Nel merito dei quesiti posti e per gli aspetti di più diretta competenza che riguardano le iniziative per accrescere la diffusione e fruibilità delle previsioni meteorologiche dell'aeronautica militare, si rende noto che dal 10 giugno 2015 è attiva l'applicazione meteo aeronautica del Ministero della difesa, che consente al cittadino di ottenere sul proprio smartphone le informazioni richieste.
  L'applicazione rende visibili le informazioni sul tempo in atto, sull'evoluzione del tempo fino a tre giorni e sugli avvisi.
  In futuro è prevista una continua evoluzione di tali servizi.
  Dal mese di giugno 2015 è stato effettuato, poi, un restyling dello stesso sito meteo, migliorandone la gradevolezza e la fruibilità.
  Sono state, inoltre, integrate le informazioni fornite al cittadino associando per ogni località, alla previsione di precipitazione, la stima della probabilità con cui si verificherà il fenomeno.
  È stato pianificato, infine, un ammodernamento strutturale della «Piattaforma Informativa del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica militare» tale da garantire, in futuro, un sistema di produzione e distribuzione di prodotti/servizi tecnologicamente avanzato.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaGioacchino Alfano.


   MARZANA, D'UVA, RIZZO, VILLAROSA, LOREFICE e GRILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2010 la Cir Componenti s.p.a., società impegnata nell'attività di produzione e commercializzazione di porte di vario genere, presentava ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo a causa del proprio dissesto intervenuto a seguito della crisi nel relativo settore di competenza;
   precedentemente, in un'ottica di riduzione dei costi e di ottimizzazione delle risorse, la società aveva attivato una cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale, per trenta unità di personale;
   purtroppo per l'aggravarsi della crisi l'azienda collocava in mobilità gli ultimi 31 lavoratori, tentando una moratoria con i creditori nell'ottica di una liquidazione volontaria;
   in seno al ricorso, la società depositava perizia di stima del proprio patrimonio attestante i dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario proposto;
   il tribunale di Siracusa, con provvedimento del 30 aprile/3 maggio 2010, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo e sospendeva il procedimento volto alla dichiarazione di fallimento della CIR Componenti s.p.a. proposto dagli ex dipendenti della società sino all'esito della procedura di concordato preventivo;
   gli ex dipendenti, pertanto, presentavano atto di opposizione avverso il decreto emesso dal tribunale di Siracusa, anche contestando la documentazione contabile presentata dalla Cir, in particolare, questi evidenziavano che la società in data 8 ottobre 2009 aveva cessato la sua attività produttiva, ma, poco prima e precisamente in data 2 settembre 2009, aveva dato in affitto, con contratto regolarmente registrato per la durata di 10 anni, alla Porte & Arredi S.r.l. tutti i suoi beni mobili e immobili, contestualmente la Porte & Arredi S.r.l. iniziava a produrre gli stessi articoli della Cir;
   tra l'altro — evidenziavano sempre gli ex dipendenti della società – i soci della Porte & Arredi erano per l'82 per cento Montagno Grillo Manuela, figlia di Montagno Grillo Salvatore, socio per il 92,30 per cento della Cir Componenti s.p.a., per il 18 per cento Palazzi Stefania, cognata del predetto signor Montagno Grillo Salvatore, mentre amministratore unico delle Porti & Arredi s.r.l. era la figlia Montagno Manuela;
   dalla visura storica della Porte & Arredi s.r.l. risultava che il primo amministratore unico era stato il più volte citato Montagno Grillo Salvatore, poi sostituito dal signor Consiglio Gianfranco, cognato del Montagna Grillo Salvatore, ed ancora sostituito dalla signora Montagno Grillo Manuela;
   secondo gli ex dipendenti pertanto «...sorge spontaneo il sospetto che il contratto di locazione predetto sia fittizio...». Tra i motivi di opposizione, poi, si lamentava come la effettiva cessione dei beni ai creditori sarebbe potuta avvenire soltanto al termine del contratto di locazione, divenendo quindi impossibile monetizzare a breve scadenza i crediti spettanti agli opponenti;
   inoltre, si riscontravano delle incongruenze nella relazione presentata dalla società sulla propria situazione patrimoniale ed economico-finanziaria;
   nonostante la presentata opposizione, contenente una dettagliata analisi negativa delle risultanze peritali, con decreto del tribunale di Siracusa dell'11 novembre 2011, la procedura di concordato preventivo veniva omologata;
   il 19 settembre 2011 gli ex dipendenti presentavano per il tramite del loro legale una querela scritta presso gli uffici della Guardia di finanza di Siracusa nei confronti della CIR Componenti s.p.a.;
   dal giornale on line « La Civetta di Minerva» del 9 febbraio 2015 apprende che: «(...) Proprio l'8 gennaio scorso, a causa di un vizio di forma, è stata rinviata al 19 febbraio l'udienza nell'ambito del procedimento penale a carico di Montagno scaturito dall'indagine della Guardia di finanza di Augusta a seguito della già citata denuncia presentata nel settembre 2011 solo da alcuni degli ex dipendenti Cir “...esasperati dalla inutilità delle loro richieste di verifica delle incongruenze riscontrate nella relazione presentata dalla società sulla propria situazione patrimoniale ed economico-finanziaria...”. Denuncia che, esattamente un anno dopo viene integrata per i nuovi elementi emersi: “...Nell'agosto 2012, infatti, l'avvocato Spadaro, nella sua veste di commissario giudiziale, informa i lavoratori del fatto che la CIR ha distratto ingenti somme di denaro, somme destinate al soddisfacimento dei creditori concorsuali. Eppure – lamentano i denuncianti – in diverse occasioni abbiamo chiesto al Tribunale di controllare se le scritture contabili fossero state depositate in modo che il giudice delegato potesse apporre le firme necessarie a separare attività compiute in azienda prima dell'apertura del concordato da quelle successive. Una richiesta inascoltata. Perché abbiamo dovuto aspettare fino al 30 agosto 2012 che il commissario giudiziale si accorgesse degli illeciti commessi dalla CIR nel periodo che va, dal 24 marzo 2010 al 31 dicembre 2011 ?...Se da una parte i lavoratori sono informati dal commissario – tardivamente secondo loro – prima, del mancato versamento dell'affitto della Porte & Arredi alla CIR e dell'ingiunzione per il pagamento degli oltre 190 mila euro, poi della necessità di un'azione giudiziaria per ottenere il rilascio forzoso degli immobili, dall'altra solo casualmente, in un'udienza del 28 maggio 2013, apprendono che lo stesso Spadaro ha attivato il procedimento per ottenere la risoluzione del concordato preventivo. ’Perché solo ora ?’ è la domanda...”. Si evidenzia, inoltre, che altri creditori stanno seguendo la stessa strada ma, nonostante ciò il tribunale ha rigettato l'istanza.
  Intanto, all'interno delle aree dell'azienda, a seguito del rilascio degli immobili da parte della Porte & Arredi s.r.l. il compendio immobiliare della Cir rimasto incustodito è stato oggetto di ripetuti furti ed atti vandalici, che hanno provocato ingentissimi danni: “...Stante la carenza di disponibilità liquide da parte della procedura per assicurare un adeguato servizio di vigilanza, si è deciso di concedere in godimento parte degli immobili al fine di garantire adeguata sorveglianza... così da dissuadere eventuali malintenzionati da ulteriori attività criminose. Il legale rappresentante della CIR si è dichiarato disponibile ad abitare la foresteria esistente all'interno. La Società Emmeporte di Montagno Manuela si è dichiarata disponibile a condurre in comodato gratuito il locale (show room) del corpo C2 del compendio e le aree esterne antistanti, mantenendone la destinazione d'uso, provvedendo a tutte le spese di gestione e all'attivazione dell'illuminazione notturna, con la installazione anche di un impianto di video sorveglianza...”. Al riguardo, gli ex dipendenti hanno evidenziato: “...la figlia di Montagno, titolare della Porte & Arredi, pur avendo subito lo sfratto dai locali della CIR, e malgrado la dichiarazione di fallimento della sua azienda, riceve a titolo gratuito egli stessi locali. A quanto pare non c’è nulla da eccepire quindi, se il giudice Salvatore Leuzzi ha autorizzato la stipula dei relativi contratti di comodato, fino alla vendita degli immobili. Ma a che gioco stiamo giocando ?”»;
   si rilevano probabili irregolarità nella vicenda riguardante la Cir Componenti s.p.a. –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e si ritenga che sussistono i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il tribunale di Siracusa. (4-12895)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti riportano le vicende relative alla procedura esecutiva concorsuale che ha riguardato la CIR Componenti s.p.a., società impegnata nell'attività di produzione e commercializzazione di porte di vario genere.
  Riferiscono, in particolare, che, in data 24 marzo 2010, la società, dopo aver attivato una cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale, per trenta unità di personale, presentava ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo a causa del proprio stato di dissesto intervenuto a seguito della crisi nel relativo settore di competenza.
  Il tribunale di Siracusa, con provvedimento del 30 aprile-3 maggio 2010, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo e sospendeva il procedimento volto alla dichiarazione di fallimento della CIR Componenti s.p.a, proposto dagli ex dipendenti della società, sino all'esito della procedura di concordato preventivo.
  Gli ex dipendenti presentavano, dunque, atto di opposizione avverso il decreto emesso dal tribunale di Siracusa, evidenziando che la società, poco prima e precisamente in data 2 settembre 2009, aveva dato in affitto, con contratto regolarmente registrato per la durata di 10 anni, tutti i suoi beni mobili e immobili alla Porte & Arredi s.r.l. la quale, contestualmente, iniziava a produrre gli stessi articoli della CIR Componenti. Gli opponenti evidenziavano altresì che i soci della Porte & Arredi s.r.l. erano persone direttamente legate ai soci della predetta CIR Componenti da vincoli familiari, con ciò adombrando la fittizietà del contratto di affitto e deducevano una serie di incongruenze nella relazione presentata dalla società sulla propria situazione patrimoniale ed economica-finanziaria.
  Ciononostante, rilevano gli interroganti, il tribunale di Siracusa, con decreto dell'11 novembre 2011, omologava la procedura di concordato preventivo.
  Inoltre, nel richiamare un articolo di stampa on line che ha dato risalto alla vicenda de qua, evidenziano che, su impulso dei predetti creditori privilegiati, nell'agosto 2012, l'avvocato Spadaro, nella sua veste di commissario giudiziale, informava i lavoratori del fatto che la CIR Componenti aveva distratto ingenti somme di denaro, somme destinate al soddisfacimento dei creditori concorsuali.
  Veniva accertato il mancato versamento del canone di affitto da parte della Porte & Arredi alla CIR Componenti, cui seguiva l'ingiunzione per il pagamento di oltre 190.000 euro e l'avvio di un'azione giudiziaria per ottenere il rilascio forzoso degli immobili; inoltre, gli ex dipendenti, solo casualmente, in un'udienza del 28 maggio 2013, apprendevano che l'avv. Spadaro, nella qualità sopra indicata, aveva formulato istanza per ottenere la risoluzione del concordato preventivo, poi rigettata.
  Da ultimo, affermano gli interroganti che,
medio tempore, a seguito del rilascio degli immobili da parte della Porte & Arredi s.r.l., all'interno delle aree dell'azienda, il compendio immobiliare della CIR Componenti, rimasto incustodito, sarebbe stato oggetto di ripetuti furti ed atti vandalici e pertanto, al fine di garantire un'adeguata vigilanza del predetto compendio immobiliare, alcuni beni venivano dati in comodato, tuttavia a soggetti collegati alla precedente gestione.
  Su tali premesse, nel rilevare probabili irregolarità nella vicenda riguardante la Cir Componenti s.p.a., chiedono di sapere se sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il tribunale di Siracusa.
  Orbene, dall'istruttoria condotta dalla competente direzione generale dei magistrati, sulla base degli elementi forniti dal presidente del tribunale di Siracusa, è emerso quanto segue:
   la procedura di concordato preventivo relativa alla CIR Componenti s.p.a. è attualmente assegnata al giudice delegato dottor Sebastiano Cassaniti (subentrato, in virtù della variazione tabellare dell'8 febbraio 2016, al dott. Giuseppe Artino, a sua volta subentrato all'originario titolare dott. Salvatore Leuzzi);
   il dottor Marco Spadaro è il commissario giudiziale e liquidatore della procedura sopra indicata;
   le criticità segnalate dagli ex dipendenti sono state debitamente vagliate dagli organi della procedura, che si è svolta secondo l'iter procedimentale di legge, attraverso l'approvazione dei creditori aventi diritto al voto, l'omologazione da parte del tribunale di Siracusa, con decreto del 4 novembre 2011, e la conferma della Corte di appello di Catania con decreto del 3 aprile 2012, avverso il quale è stato proposto ricorso per cassazione dagli ex dipendenti, allo stato ancora pendente;
   nel corso della procedura, a seguito di relazione del commissario giudiziale e di istanza di risoluzione presentata dalla sola creditrice Riscossione Sicilia s.p.a., il tribunale di Siracusa ha avviato il procedimento di revoca, ai sensi dell'articolo 173 legge fallimentare, e di risoluzione del concordato ai sensi dell'articolo 186 legge fallimentare, conclusisi, l'uno, con declaratoria di inammissibilità della revoca e, l'altro, di rigetto dell'istanza di risoluzione del provvedimento dell'8 aprile 2012, definitivo perché non impugnato da alcun creditore;
   al fine di fronteggiare i ripetuti episodi di furto e gli atti vandalici che hanno interessato il compendio immobiliare della società, su parere del commissario giudiziale ed autorizzazione del giudice delegato (non essendosi mai costituito il comitato del creditori), è stato concesso in comodato all'architetto Poli il locale ad uso foresteria (corpo «e») e alla Emmeporte di Montagna Grillo Manuela la porzione d'immobile costituente il corpo «o»;
   con riguardo al punto che precede, la concessione in godimento di modestissime aree all'interno del vasto compendio aziendale (1.000 metri quadri rispetto ai 36.000 metri quadri dell'intero compendio) ha garantito e garantisce tuttora (a costo zero per la procedura e per la massa dei creditori) l'integrità del compendio immobiliare e dei beni mobili e attrezzature ivi contenute, nel frattempo messe in vendita.

  All'esito dell'istruttoria svolta, la competente articolazione ministeriale ha ritenuto che non appaiono sussistere elementi da cui ricavare profili di responsabilità disciplinare in capo ai magistrati che si sono interessati al procedimento, tenuto conto della regolarità delle procedure seguite, della correttezza delle stesse valutata anche in sede dei proposti gravami, nonché degli esiti delle procedure per la risoluzione e la revoca del concordato. Sotto altro profilo, ha rilevato che la concessione in comodato di piccole aree del compendio immobiliare della società – non affetta da illegittimità – risulta esclusivamente finalizzata ad evitare ulteriori danni ed ingenti spese di custodia.
  Per completezza espositiva, mi preme comunque rilevare che il tribunale di Siracusa è stato oggetto di ispezione ordinaria alla fine dell'anno 2014; all'esito dell'attività ispettiva, che ha riguardato il periodo ottobre 2009-settembre 2014, non sono emersi profili di irregolarità con specifico riferimento alla vicenda processuale oggetto del presente atto di sindacato ispettivo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in una nota a mezzo stampa alcune associazioni ambientaliste denunciano come una delle zone più belle del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise stia per essere gravemente deturpata. L'allarme ha raggiunto anche il Corpo forestale dello Stato e i carabinieri del Noe;
   si tratta della strada che si inoltra nei piani d'Angro, nel comune di Villavallelonga (L'Aquila), dall'altezza del Vallone Giafassa fino al fontanile e al rifugio dell'Aceretta;
   è bene precisare che attualmente la strada è sterrata, ma che diversi anni fa fu asfaltata. Oggi essa è, per alcuni tratti, intransitabile poiché le piogge l'hanno erosa e resa scoscesa, tanto che molti mezzi meccanici preferiscono percorrere il manto erboso vicino piuttosto che l'arteria;
   secondo il parere degli ambientalisti riportare l'asfalto sulla strada metterà in serio pericolo la vita dei molti orsi che vivono nella zona, soprattutto femmine con prole: la strada avrebbe dovuto fermarsi in corrispondenza di valle Cervara (dove si trova una delle faggete più antiche d'Europa);
   stando alla denuncia, invece, la strada dovrebbe proseguire verso il rifugio, prolungandosi per oltre un chilometro –:
   se il Ministro interrogato non intenda verificare se il progetto di asfaltare questa strada non sia dannoso per l'habitat degli orsi, mettendone a repentaglio la sopravvivenza. (4-13818)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai lavori sul tracciato stradale che porta ai Prati d'Angro – Fontana dell'Aceretta nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La strada in argomento ricade in parte all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e della ZPS IT7120132 «Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise» e nel SIC IT7110205 «Parco nazionale d'Abruzzo».
  L'attività di sorveglianza è svolta dal corpo di guardia esclusivo dell'Ente Parco, che ha relazionato regolarmente agli organi direttivi in merito alla esecuzione dei lavori di stabilizzazione della sede stradale. Al fine di verificare la conformità delle attività rispetto a quanto approvato e prescritto nelle autorizzazioni, è intervenuto anche il servizio tecnico dell'ente che ha effettuato specifici sopralluoghi.
  Sulla base di difformità accertate, come quelle relative alla asfaltatura non prevista per alcune tratte viarie, il direttore del parco ha avviato una serie di interventi nei confronti del comune di Villavallelonga, concretizzatisi con un primo provvedimento di sospensione dei lavori, e con una successiva ordinanza di rimessa in pristino dei luoghi, mediante rimozione dell'asfalto, della quale è stata interessata anche la Procura della Repubblica di Avezzano.
  La Procura ha altresì posto sotto sequestro il cantiere in data 23 luglio 2016, mentre per la rimessa in pristino si attende l'esito del ricorso al TAR presentato dal comune.
  Detti provvedimenti trovano fondamento nelle prescrizioni impartite dall'Ente Parco in sede di valutazione del progetto.
  Sono infatti conseguenti ai pareri espressi dall'Ente Parco in sede di nulla osta preliminare, condizionato alla presentazione della Valutazione di incidenza, nel rispetto dell'articolo 6 della direttiva Habitat, e alle conclusioni raggiunte a seguito dell'approvazione da parte del comune di Villavallelonga di detta procedura, rispetto alla quale il parco ha espresso il proprio parere vincolato alla osservanza di puntuali specifiche, poi non rispettate.
  Riguardo a progetti turistici di pianificazione di nuovi impianti sciistici, non risultano iniziative ufficiali in tal senso.
  Come è noto, ogni previsione pianificatoria deve rispettare gli obiettivi di conservazione del patrimonio naturale nelle aree protette ai sensi della legge n. 394 del 1991, oltre agli adempimenti previsti dalle direttive 93/43/CEE «Habitat» e ex 79/409 «Uccelli», nonché con i divieti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera
m) del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS). Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 novembre 2007, n. 258».
  A tale disciplina deve riferirsi tanto l'Ente Parco, quanto l'amministrazione regionale e gli enti territoriali coinvolti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la normativa che regola le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sta creando gravi disagi agli imprenditori che non sono riusciti a regolarizzare la propria posizione nei tempi ristretti previsti dalla normativa;
   anche in caso di rinnovo delle autorizzazioni già concesse, si applica l'articolo 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, che prevede un regime sanzionatorio alquanto severo, qualificando come reato penale la mancata comunicazione dell'inizio attività all'autorità competente;
   in particolare, il comma 1 dell'articolo 279 prevede la pena dell'arresto da due mesi a due anni o l'ammenda da 258 euro a 1.032 euro per chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata; per colui che sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8, si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria fissa e pari a 1.000;
   il comma 3 dell'articolo 279 prevede che chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la preventiva comunicazione sui dati relativi alle emissioni, come prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 6, o sull'autorizzazione ai sensi dell'articolo 272, comma 1, è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a milletrentadue euro;
   tali sanzioni penali si ritengono molto penalizzanti per il rilancio del settore industriale italiano che attraversa la più grave crisi dal dopoguerra –:
   se il Ministro non intenda adottare iniziative urgenti, anche di carattere normativo, per trasformare in sanzioni amministrative pecuniarie le sanzioni penali e le ammende previste dai commi 1 e 3 dell'articolo 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche modulando su una tranche da 100 a 1.000 euro la attuale sanzione amministrativa pecuniaria, prevista in misura fissa pari a 1.000 euro, per chi sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8, evitando di penalizzare gravemente gli imprenditori italiani che stentano a restare sul mercato nell'attuale momento di crisi economica che attraversa il Paese. (4-00604)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Con la direttiva 2015/2193/UE del 25 novembre 2015 è stata introdotta a livello comunitario una apposita disciplina finalizzata alla riduzione delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti prodotte dagli impianti di combustione ad uso industriale o civile di potenza termica inferiore a 50 MW (ossia gli impianti di combustione che non sono soggetti alla disciplina vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale). Il recepimento deve avvenire entro il mese di dicembre 2017.
  Tale disciplina sarà recepita nell'ordinamento italiano mediante la modifica e l'integrazione delle vigenti norme relative agli impianti di combustione di potenza termica inferiore a 50 MW, norme che sono attualmente contenute nella parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (titolo I per quelli ad uso industriale, titolo II per quelli ad uso civile).
  Al fine di ottimizzare il recepimento della nuova direttiva si interverrà sulle regole generali che, alla luce dell'esperienza maturata in sede di applicazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 nei dieci anni di vigenza, manifestano specifiche esigenze di revisione e che, pertanto, non sarebbero funzionali ai fini del corretto inserimento delle norme di recepimento della direttiva 2015/2193. In particolare, tali esigenze riguardano alcuni aspetti concernenti l'installazione e l'esercizio degli stabilimenti, le procedure autorizzative, la determinazione dei valori limite di emissione, i controlli e le azioni conseguenti ai controlli.
  Per quanto attiene al sistema sanzionatorio, risulta che le attuali sanzioni previste dal titolo I della parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 per violazioni relative agli stabilimenti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale corrispondono a quelle individuate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988.
  Nell'aggiornamento, da effettuare nel rispetto dei criteri e dei massimali previsti dall'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, si terrà conto, quale termine di confronto, del recente aggiornamento (decreto legislativo n. 46 del 2014) dell'apparato sanzionatorio per le violazioni relative agli stabilimenti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale. Tale apparato di sanzioni riguarda infatti infrazioni di natura analoga (assenza di autorizzazione, violazione di prescrizioni di esercizio, superamento dei limiti di emissione, ecc.) e, pertanto, potrà essere preso a riferimento ed opportunamente adeguato per tenere conto del minore impatto emissivo potenzialmente associabile agli stabilimenti di cui alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Ciò anche a garanzia di una maggiore coerenza e graduazione della risposta sanzionatoria dell'ordinamento rispetto a tutte le violazioni ambientali legate alle emissioni degli stabilimenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la categoria dei periti industriali e dei periti industriali laureati, regolamentata con regio decreto n. 275 dell'11 febbraio 1929, si trova in una situazione di grave criticità che necessita di urgenti iniziative;
   con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 si è di fatto realizzata l'elevazione del livello di formazione alla laurea, quale requisito per l'accesso all'albo, come previsto dalla direttiva europea (48/89) di carattere generale sulle professioni che prevede per l'esercizio di una professione intellettuale un livello minimo di formazione post-secondario di tre anni di livello universitario;
   attraverso l'introduzione delle cosiddette «lauree brevi», si è dunque equiparato il sistema formativo dei periti industriali per l'accesso alle libere professioni regolamentate al sistema di riconoscimento previsto in Europa;
   successivamente è stata emanata la direttiva 36/2005, recepita dall'Italia con decreto legislativo n. 206 del 2007 che di fatto contribuiva a superare l'anomalia creatasi – come nel caso dei periti industriali – della coesistenza nel medesimo albo di professionisti con formazione universitaria e professionisti con formazione secondaria;
   difatti, l'articolo 12 della predetta direttiva del 2005, ripreso dall'articolo 20 del citato decreto legislativo del 2007, recita che: se lo Stato membro di origine eleva il livello di formazione richiesto per l'ammissione ad una professione e per il suo esercizio, e se una persona che ha seguito una precedente formazione, che non corrisponde ai requisiti della nuova qualifica, beneficia dei diritti in forza delle disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative, in tal caso detta formazione precedente, ai fini del riconoscimento, corrisponde al livello della nuova formazione;
   in tal senso, costituisce un precedente quello dei consulenti del lavoro – anche loro con requisito formativo iniziale di livello secondario (i consulenti hanno visto elevarsi il livello minimo alla formazione universitaria) – per il cui esercizio della professione è stato fissato un termine per l'accesso ai possessori del vecchio titolo (decreto-legge n. 10 del 2007 che ha modificato la legge n. 1979 del 2012);
   invero, l'attuale contesto normativo comporta, a giudizio dell'interrogante una discriminazione di dubbia legittimità del perito industriale nell'ambito dell'Unione europea, essendogli preclusa la possibilità di accedere all'esercizio della professione regolamentata con il livello che gli spetta, ovvero il livello di qualifica prescritto all'articolo 11, lettera d), della direttiva 36/2005/CE –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare con urgenza affinché possa essere interrotto l'accesso definitivo dei diplomati alla professione di perito industriale, al fine di evitare ogni discriminazione in danno dei periti industriali che già esercitano la professione sul territorio italiano e comunitario, chiarendo in modo netto e definitivo che la professione di perito industriale sia una professione  regolamentata appartenente al livello di qualifica professionale di cui all'articolo 11, lettera d), della direttiva 36/2005/CE. (4-09019)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante rappresenta criticità relative all'accesso alla professione di perito industriale, regolamentata con regio decreto n. 275 dell'11 febbraio 1929.
  In particolare, evidenzia come, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 «si è, di fatto, realizzata l'elevazione del livello di formazione alla laurea, quale requisito per l'accesso all'albo, come previsto dalla direttiva europea di carattere generale sulle professioni», direttiva che prevede, per l'esercizio di una professione intellettuale, un livello minimo di formazione post-secondario di tre anni di livello universitario.
  A parere dell'interrogante, attraverso l'introduzione delle cosiddette «lauree brevi», il sistema formativo dei periti industriali per l'accesso alle libere professioni regolamentate è stato allineato alle forme di riconoscimento previste in Europa e, attraverso il recepimento, con decreto legislativo n. 206 del 2007, della direttiva 36 del 2005, si è inteso superare l'anomalia consistente nella coesistenza, nel medesimo albo, di professionisti con formazione universitaria e professionisti con formazione secondaria. Evidenzia, in merito, come l'articolo 12 della direttiva del 2005, ripreso dall'articolo 20 del citato decreto legislativo del 2007, reciti che «se lo Stato membro di origine eleva il livello di formazione richiesto per l'ammissione ad una professione e per il suo esercizio, e se una persona che ha seguito una precedente formazione, che non corrisponde ai requisiti della nuova qualifica, beneficia dei diritti in forza delle disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative, in tal caso detta formazione precedente, ai fini del riconoscimento, corrisponde al livello della nuova formazione».
  Secondo l'interrogante, inoltre, verrebbe a crearsi, nell'ambito dell'Unione europea, una ingiustificata discriminazione in danno del perito industriale italiano, essendogli preclusa la possibilità di accedere all'esercizio della professione regolamentata con il livello di qualifica prescritto all'articolo 11, lettera
d), della direttiva 36/2005/CE.
  Chiede, pertanto, quali iniziative di competenza, in quanto autorità vigilante, il Ministero della giustizia «intenda adottare, con urgenza, affinché possa essere interrotto l'accesso definitivo dei diplomati alla professione di perito industriale, al fine di evitare ogni discriminazione in danno dei periti industriali che già esercitano la professione sul territorio italiano e comunitario, chiarendo in modo netto e definitivo che la professione di perito industriale sia una professione regolamentata appartenente al livello di qualifica professionale di cui all'articolo 11, lettera
d), della direttiva 36/2005/CE».
  Lo statuto della professione di perito industriale è delineato – come osservato dalle competenti articolazioni ministeriali – dall'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001.
  La norma prevede che agli esami di stato per le professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale, oltre che con i titoli e tirocini previsti dalla normativa vigente e dalla attuazione della legge 10 febbraio 2000, n. 30, si accede con la laurea comprensiva di un tirocinio di sei mesi. Restano ferme le attività professionali riservate o consentite e le prove attualmente previste per l'esame di Stato.
  Per quanto in questa sede rileva, le classi di laurea che conferiscono titolo all'accesso alle sezioni attualmente presenti nell'albo dei periti industriali sono le seguenti: le classi 4, 7, 8 (sezione edilizia); la classe 9 (sezione elettronica e telecomunicazioni); la classe 10 (sezioni: elettronica ed automazione; costruzioni aeronautiche; cronometria; industria cartaria; industrie cerealicole; industria navalmeccanica; industria ottica; materie plastiche; meccanica; metallurgia; tessile con specializzazione produzione dei tessili; tessile con specializzazione confezione industriale, termotecnica); la classe 16 (sezione: industrie minerarie); la classe 20 (sezione tecnologie alimentari); la classe 21 (sezioni: chimica conciaria; chimico; chimica nucleare; industria tintoria), la classe 23 (sezioni: arti fotografiche, arti grafiche); la classe 25 (sezioni: energia nucleare, fisica industriale), la classe 26 (sezione informatica) e la classe 42 (sezione disegno di tessuti).
  La disposizione prevede, altresì, che possono partecipare agli esami di Stato per le predette professioni quanti, in possesso dello specifico diploma richiesto dalla normativa per l'iscrizione nei rispettivi albi, abbiano frequentato, con esito positivo, corsi di istruzione e formazione tecnica superiore, a norma del decreto del Ministro della pubblica istruzione 31 ottobre 2000, n. 436, recante norme di attuazione dell'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, della durata di quattro semestri, oppure i percorsi formativi degli istituti tecnici superiori previsti dalle linee guida di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008, comprensivi di tirocini non inferiori a sei mesi coerenti con le attività libero professionali previste dall'albo cui si chiede di accedere.
  Con la precisazione che agli iscritti in possesso del diploma di laurea spetta il titolo professionale di perito industriale «laureato».
  Secondo il delineato quadro normativo, l'accesso alla professione di perito industriale è, allo stato, consentito tanto ai diplomati che ai laureati.
  La direttiva 2005/36/CE prevede, invece, una serie di livelli di qualifica professionale diversificati a seconda del percorso di studi che il soggetto abbia compiuto.
  In considerazione della molteplicità dei percorsi di accesso alla professione, nel caso dei periti industriali è previsto un doppio livello di qualifica: possono, infatti, essere ammessi all'esame di Stato sia soggetti in possesso di un diploma di istruzione superiore, sia soggetti che abbiano conseguito una laurea triennale. I primi, qualora conseguano il titolo professionale di perito industriale, accederanno al livello di qualifica professionale previsto dall'articolo 11, lettera
e) della direttiva 2005/36/CE; i secondi, invece, accederanno al livello qualifica professionale previsto dall'articolo 11, lettera d) della direttiva 2005/36/CE.
  La modifica normativa prospettata dall'interrogante dovrebbe, pertanto, innovare l'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001, con conseguente individuazione e contestuale abrogazione delle numerose disposizioni che prevedono che si possa acquisire il titolo di perito industriale anche solo con un diploma di istruzione superiore, coinvolgendo anche le competenze del Ministero dell'università e della ricerca scientifica.
  Corre, peraltro, l'obbligo di segnalare come il parallelismo ravvisato dall'interrogante con la disciplina relativa ai consulenti del lavoro non sia pertinente.
  Nel caso dei periti industriali, infatti, con l'introduzione del citato decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328 non si è assistito ad un innalzamento del livello di formazione, posto che alla professione in questione si continua ad accedere anche con il diploma di istruzione superiore. Nel caso dei consulenti del lavoro, invece, l'articolo 5-
ter del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, ha integralmente riformato l'accesso alla professione, disponendo che sia condicio sine qua non per l'ammissione all'esame di Stato il conseguimento di una laurea triennale o anche quinquennale, nonché prevedendo un regime transitorio per coloro che avessero conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di consulente del lavoro con un semplice diploma di istruzione superiore.
  La questione è, pertanto, all'attenzione degli uffici del mio dicastero.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presidente del tribunale di Como già nel maggio 2010 aveva evidenziato al Ministero della giustizia la carenza di organico di detto tribunale, parlando di «profondo disagio», attraverso la puntuale segnalazione della mancanza di personale pari al 30 per cento e del conseguente rischio di paralisi;
   la stampa locale, da ultimo anche l'articolo apparso sul quotidiano Corriere di Como del 19 luglio 2016, ha più volte affrontato il tema e descrive una situazione del tribunale di Como, da un lato, in parte confortante (in due anni circa – 639 giorni – si arriva ad una sentenza di primo grado contro la media nazionale di tre anni circa – 1007 giorni), per il riconosciuto impegno degli operatori e, dall'altro lato, preoccupante, per la carenza di organico sia degli operatori giudiziari che dei magistrati; per i primi la carenza si attesta «a quota 29,6 per cento (..) per quanto riguarda i magistrati (...) è scoperto il 10,3 per cento» al 31 dicembre 2015;
   appare evidente che la situazione, lungi dal realizzare l'obiettivo di assicurare la giustizia in tempi ragionevoli, a un territorio di fondamentale importanza nel tessuto imprenditoriale e industriale del Nord-ovest, sta comportando sia una dilatazione dei tempi dei processi che un aumento dei disagi e dei costi per tutti i cittadini e gli operatori economici;
   appare alquanto urgente un immediato intervento al fine di consentire al tribunale di Como di funzionare in modo efficiente ed efficace –:
   quale sia l'esatta scopertura dell'organico sia degli operatori giudiziari che dei magistrati e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere ai fini della immediata ricostituzione dell'organico dei magistrati e degli operatori giudiziari, per consentire di svolgere in tempi ragionevoli il ruolo che costituzionalmente è assegnato agli organi giudiziari. (4-13866)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Como, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali (Notificazione esecuzioni e protesti);
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari lombardi.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Como prestano servizio 72 unità di personale amministrativo, oltre ad altra impiegata part time, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 103 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 29,61 per cento, superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del contratto collettivo nazionale del lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Quanto al personale di magistratura, dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Como si compone di ventinove unità, di cui due, allo stato, scoperte.
  Si tratta, pertanto, di un tribunale che evidenzia, allo stato, una scopertura sostanzialmente fisiologica, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative sulla mobilità del personale amministrativo sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura.
  È stato, difatti, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della corte d'appello di Milano stati assegnati due posti di giudice, in aumento della dotazione complessivamente prevista.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre scorso.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al 22 giugno del 2016 i detenuti morti, per varie cause, nelle carceri italiane sono 44, di cui ben 19 sono suicidi;
   dal 2000 a oggi l'Italia vanta il triste primato di decessi nelle strutture di detenzione, con 2538 morti di cui ben 906 sono suicidi;
   nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato;
   in molti casi le persone che si sono tolte la vita erano affette da malattie invalidanti e ricoverate in centri clinici penitenziari: l'allocazione in un determinato reparto rappresenta spesso il principale fattore di rischio, più che la gravità della patologia;
   uno studio recente dice che il 35 per cento dei detenuti soffre di disturbi psichiatrici;
   il fatto di raggruppare i detenuti in base al loro stato di salute contribuisce a far perdere ogni speranza;
   negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18 mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133 mila atti di autolesionismo;
   gli istituti penitenziari hanno l'obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti e l'Italia è certamente all'avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici;
   malgrado i buoni propositi, nel campo della prevenzione c’è ancora tanto da fare: le leggi ci sono, ma sono insufficienti e, in ogni caso, spesso manca un attento esame sui trascorsi delle persone che si sono tolte la vita, per cercare di capire da dove nascesse la loro disperazione;
   l'elemento che accomuna la stragrande maggioranza dei suicidi (sia di quelli appena arrestati che di quelli che stanno per terminare la pena) è la mancanza totale di prospettive, seppure in situazioni molto diverse tra loro;
   non c’è nessuna prospettiva di riottenere la rispettabilità persa per chi, da detenuto, attende il processo per mesi ed anni: anche se fosse assolto, non potrà più liberarsi dal marchio del sospetto;
   non c’è nessuna prospettiva di poter trascorrere utilmente la detenzione per chi sa di dover scontare molti anni: in tante carceri, spesso proprio quelle dove sono più frequenti i suicidi, il tempo della pena è tempo vuoto, dissipato lentamente aspettando il fine pena;
   non c’è nessuna prospettiva di poter tornare a vivere «normalmente» per chi è entrato e uscito troppe volte dal carcere e si sente condannato (anche in libertà) ad una vita ai margini, di solitudine, di sofferenza fisica e psicologica;
   servono provvedimenti concreti perché la situazione nelle carceri resta allarmante;
   occorre maggior attenzione agli strumenti che le leggi offrono per una carcerazione alternativa, dai domiciliari alla libertà vigilata;
   con l'avvicinarsi del caldo torrido, il disagio psichico all'interno delle carceri è destinato ad aumentare –:
   se non ritenga opportuno individuare nuove misure per ridurre al minimo il rischio che un detenuto si uccida, pur nella consapevolezza che tante situazioni personali sfuggono ad ogni tentativo di comprensione;
   se non ritenga urgente definire un programma di prevenzione del suicidio e l'organizzazione di un servizio d'intervento efficace, come misure utili non solo per i detenuti ma anche per l'intero istituto dove questi vengono implementati;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare la tutela della dignità sociale delle persone incarcerate nell'attesa del processo, sia sul versante della piena applicazione delle leggi in vigore sia per quanto riguarda la necessità di pervenire a nuovi interventi normativi che dettino tempi certi per il processo penale e limitino al massimo la custodia cautelare e ogni forma di detenzione in carcere, se non per i reati più gravi dove sia acclamata la pericolosità sociale dell'individuo sottoposto a forme di restrizione della libertà;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare che il significato della pena non sia vanificato, da comportamenti carcerari, attivi e passivi, che possano indurre il detenuto, soprattutto quelli più fragili, a scegliere la via del suicidio come unica soluzione alla carcerazione, vanificando così la funzione rieducativa che la Costituzione assegna al carcere. (4-13646)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante affronta il sensibile tema dei suicidi negli istituti carcerari, sollecitando l'adozione di tutte le misure, anche di carattere legislativo, in grado di prevenire il fenomeno e di ricondurre la restrizione carceraria al carattere di extrema ratio che la legge e i princìpi costituzionali le attribuiscono.
  Il tema, per la sua delicatezza ed importanza, è da tempo oggetto di un'approfondita analisi da parte di questo dicastero, sia sotto l'aspetto normativo, che sotto quello più strettamente amministrativo.
  Partendo da quest'ultimo profilo, nei mesi scorsi abbiamo indirizzato una direttiva al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, specificamente incentrata sul tema dei suicidi in carcere, con la quale è stata raccomandata l'elaborazione di un vero e proprio piano nazionale d'intervento per la prevenzione del suicidio. Sull'attuazione del detto piano di azione sarà realizzato poi un attento monitoraggio delle strategie adottate, attraverso la raccolta, l'elaborazione e la pubblicazione dei dati e delle esperienze condotte.
  L'imprescindibile necessità di innalzare il livello di attenzione, infatti, richiede un deciso potenziamento delle misure già attuate nei singoli istituti, anche nella prospettiva di ridurre il cosiddetto «rischio ambientale» che, in taluni casi, viene acuito dalla sorveglianza o dall'isolamento del detenuto a rischio. Per tale ragione è stato raccomandato di prestare particolare attenzione al disagio psicologico e mentale, nonché di avviare politiche che consentano più efficaci forme di controllo ma anche una approfondita conoscenza delle persone ristrette, con l'obiettivo di garantire la miglior comprensione e gestione delle situazioni di maggior disagio.
  Con la direttiva citata, la competente articolazione ministeriale è stata incaricata di sviluppare misure di osservazione del detenuto differenziate in relazione della fase trattamentale e specifiche per i soggetti tossico-alcool dipendenti. Inoltre, è stata evidenziata la necessità di individuare adeguati spazi detentivi per l'accoglienza dei soggetti a rischio, secondo criteri moderni e rispettosi della dignità della persona.
  Nella prospettiva di garantire la concreta attuazione di tutti i profili sottolineati, è stata anche raccomandata l'organizzazione di programmi formativi specifici per tutti gli operatori, evidenziando l'opportunità che gli stessi siano costruiti in modo da favorire l'interazione anche con i soggetti esterni che operano nell'Istituto.
  Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato che è in corso di elaborazione il piano nazionale d'intervento, che terrà conto anche della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia e delle linee guida elaborate dal Comitato nazionale di bioetica nel 2010, già ripreso dalla Conferenza unificata per i rapporti tra Stato-regioni nel 2012 nelle sue «Linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale». Preme, però evidenziare che la direttiva citata si pone nel solco di un'azione per la prevenzione dei gesti di autolesionismo, che era stata già tracciata, e mira proprio a rafforzarla e a strutturarla.
  Nel corso degli ultimi due anni, infatti, è stata emanata una serie di circolari che valorizza la conoscenza del detenuto e, conseguentemente, sensibilizza il personale a prestare la massima attenzione alle forme di disagio. Va in questa direzione la realizzazione di modalità organizzative della vita detentiva secondo forme, quale quella della custodia dinamica, più idonee a consentire l'osservazione del comportamento del detenuto e la sua capacità di relazione.
  La conoscenza del detenuto, imprescindibile nella prospettiva di prevenire il rischio di gesti di autolesionismo, risulta infatti molto ridotta quando il perimetro della sua vita è confinato nei pochi metri quadri della cella. Una diversa gestione ed utilizzazione degli spazi negli istituti mira anche a impegnare i detenuti nel corso della giornata, facendo loro trascorrere fuori dalla cella le ore non destinate al riposo notturno. Il cambiamento già avviato, infatti, mira a destinare la cella al solo pernottamento, prevedendo che le principali attività trattamentali (scuola, formazione, lavoro, tempo libero) si svolgano negli spazi comuni. Questo diverso impiego degli ambienti consentirà agli operatori di meglio valutare il detenuto, poggiando l'analisi sull'osservazione di elementi concreti, quali il senso di responsabilità rispetto agli impegni assunti con l'accesso al circuito aperto, le relazioni con i compagni e col personale. Tale tipo di osservazione offrirà, in buona sostanza, dati più attendibili anche ai fini della valutazione di atti di auto ed etero aggressività.
  Sulla stessa linea si collocano anche le successive circolari emesse il 23 dicembre 2015 ed il 4 febbraio 2016, anch'esse specificamente mirate alla prevenzione dei suicidi delle persone detenute, attraverso le quale i provveditorati regionali sono stati sollecitati ad adottare protocolli regionali e locali con l'obiettivo di alleviare le situazioni di ansia e stress dei detenuti. Inoltre, è stato raccomandato di non destinare a stanze singole i detenuti che presentino stati di ansia e stress, per evitare che la condizione di solitudine, oltre ad amplificare i pensieri negativi, crei concretamente l'occasione per porre in atto gesti che, in presenza di altre persone, sarebbe più difficile realizzare. Tali indicazioni sono state recentemente arricchite dalle previsioni di un'ulteriore recente circolare che raccomanda anche di evitare ogni forma di isolamento dei soggetti a rischio, individuando compagni di detenzione umanamente e culturalmente idonei ad instaurare rapporti costruttivi con la persona in difficoltà.
  Ai fine di offrire un sostegno concreto alle indicazioni contenute nelle circolari diramate in quest'ultimo anno, e per evitare scelte allocative fatte disapplicando le direttive impartite, è attualmente allo studio dei competenti uffici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria un progetto per l'implementazione della banca dati SIAP/AFIS, che preveda un campo informatico specificamente dedicato all'indicazione dei motivi della dislocazione del detenuto in cella singola.
  Anche sotto il profilo legislativo il Governo ha profuso il massimo impegno, promuovendo diverse iniziative, tra cui l'Atto Senato 2067 (ex Atto Camera n. 2798, approvato alla Camera dei deputati il 23 settembre 2015 e assegnato all'esame del Senato in data 29 settembre 2015, attualmente all'esame della Commissione giustizia del Senato), il decreto-legge n. 78 del 2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94) e il decreto-legge del 23 dicembre 2013, n. 146 (ora convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10), ispirati – sia pur con diverse declinazioni – all'obiettivo di restituire dignità ai soggetti reclusi e di consentire loro di esercitare al meglio i diritti fondamentali numerosi strumenti normativi.
  Il disegno di iniziativa governativa, Atto Senato n. 2067, recante: «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena», agli articoli 29 e 31 mira a garantire l'effettività della funzione rieducativa della pena e contiene la delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario secondo i princìpi e criteri direttivi articolati sulla semplificazione delle procedure, la revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, la necessaria osservazione scientifica della personalità, l'eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o ostacolano l'individualizzazione del trattamento rieducativo, la previsione di forme di giustizia riparativa, la valorizzazione del lavoro carcerario quale strumento di responsabilizzazione individuale e di reinserimento sociale, la valorizzazione del volontariato, l'attuazione del riordino della medicina penitenziaria disposto dal decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, il riconoscimento del diritto all'affettività delle persone detenute ed attenzione alle specifiche esigenze educative dei detenuti minori di età.
  Anche in tema di detenzione ante iudicium, la recente legge 16 aprile 2015, n. 47, recante «Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354», in materia di visita a persona affette da handicap in situazione di gravità, coerentemente con i diversi interventi in tal senso della Corte costituzionale, limita l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere.
  Già il citato decreto-legge n. 146 ha inteso introdurre diverse misure, che operano su due diversi piani: interviene con l'obiettivo di diminuire le presenze in carcere, attraverso misure dirette ad incidere sia sui flussi di ingresso in carcere che su quelli di uscita dal circuito penitenziario; rafforza gli strumenti di tutela dei diritti delle persone detenute o comunque sottoposte a misure di restrizione della libertà personale, attraverso la previsione di un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato di sorveglianza ed attraverso l'istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale.
  L'istituzione della figura del Garante risponde ad una richiesta sollevata più volte a livello nazionale e soddisfa i princìpi che sono alla base del sistema di NPM – National Preventive Mechanism, previsti dagli articoli da 17 a 21 del Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (ratificato con la legge 9 novembre 2012, n. 195). In particolare, il Garante è organo autonomo e indipendente cui sono attribuiti compiti di vigilanza, di sollecitazione e di informazione, nonché di raccordo con le istituzioni, ivi compresa la magistratura.
  Infine, in quanto coerenti con la volontà di approntare efficaci misure per il superamento del grave problema del sovraffollamento carcerario, si deve anche rammentare l'intervento teso a potenziare l'organico degli uffici dell'esecuzione penale esterna, funzionale al maggiore impegno cui tali uffici saranno chiamati, stante l'ampliamento della platea di fruitori delle misure alternative alla detenzione.
  Ad ulteriore corredo, si ricorda che il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117, recante «Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile», prevede una specifica modifica dell'articolo 97-bis delle norme di attuazione del codice di rito per regolamentare le modalità di esecuzione del provvedimento che dispone gli arresti domiciliari.
  Non può dunque allora revocarsi in dubbio come tale puntuale disciplina della materia costituisca un serio presidio a tutela delle esigenze di salvaguardia della sicurezza della collettività, proprio in relazione a quei soggetti che non offrono sufficienti garanzie in termini di autodisciplina nel rispetto delle prescrizioni.
  In ossequio alle medesime esigenze, si è cercato di garantire pienamente il funzionamento di tali strumenti, tanto che non risultano segnalazioni, se non sporadiche, di difficoltà nel loro utilizzo.
  Inoltre, con tale intervento normativo si è messo a punto un rimedio compensativo, riconoscendo il diritto a un indennizzo pecuniario o, in alternativa per quanti sono ancora detenuti, il diritto a una riduzione della pena detentiva ancora da espiare in misura percentuale pari al dieci per cento del periodo durante il quale il trattamento penitenziario è stato inumano o tale da violare la disposizione di cui all'articolo 3 Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 19 agosto 2014 nello scontro tra due aerei militari Tornado sui cieli di Ascoli Piceno, persero la vita quattro piloti: Pietro Paolo Franzese, Alessandro Dotto, Giuseppe Palminteri e Mariangela Valentini;
   la mamma di quest'ultima, attraverso un articolo pubblicato dal quotidiano «la Stampa» l'8 marzo 2016 evidenzia, come a seguito dell'inchiesta militare e della magistratura, avviata per accertare le responsabilità del tragico evento, numerose testate giornalistiche avessero insinuato qualche sospetto sul corretto operato della giovane figlia;
   il medesimo articolo riporta altresì, che il 13 giugno 2015, i familiari delle vittime sono stati convocati dai vertici dell'Aeronautica militare, per essere informati sull'esito dell'inchiesta della procura militare di Verona e che, in quella sede, è stato ad essi, comunicato che non risultavano responsabilità per quanto accaduto, in quanto l'incidente era stato provocato da una serie di concause sfortunate;
   a seguito del suddetto incontro, prosegue il quotidiano in precedenza richiamato, la famiglia Valentini non ha ricevuto nessun'altra comunicazione sull'inchiesta, nonostante le legittime richieste di far luce su quanto accaduto, affinché i responsabili dell'aeronautica militare, affermassero con una dichiarazione pubblica, quanto sia effettivamente avvenuto in merito alla tragedia aerea;
   nel mese di ottobre 2015, evidenzia inoltre l'articolo giornalistico, sono emerse invece ulteriori novità, in quanto i periti nominati dalla procura di Ascoli, ha o riscontrato carenze organizzative sulla pianificazione dei voli, riconducibili a quattro ufficiali in catena di comando e vari responsabili;
   secondo quanto risulta, infatti, i cosiddetti diavoli rossi del Sesto stormo di Ghedi (Brescia) il giorno della tragedia sono rimasti isolati, non potendo comunicare con le sale operative e il «mission commander» a terra, e pertanto la mancanza di assistenza e di info azioni necessarie, sono state per i consulenti, all'origine del disastro;
   al riguardo, tale nuova conclusione, che non è indubbiamente una sentenza, ha rilanciato le perplessità delle famiglie, sulla veridicità delle dichiarazioni dell'Aeronautica militare in merito alle indagini svolte dalle competenti autorità d'inchiesta;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interrogante, desta sgomento e preoccupazione, se si valutano le dichiarazioni divergenti, in merito alle indagini effettuate dai medesimi responsabili militari, con quelle svolte dai consulenti nominati dalla procura di Ascoli, che alimentano i dubbi sull'effettivo andamento delle indagini, finalizzate a chiarire le cause della tragedia che ha portato allo schianto i due aerei militari e il decesso dei quattro giovani piloti, dell'Aeronautica –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati con riferimento a quanto esposto in premessa;
   come si spieghino le dichiarazioni delle autorità militari rese ai familiari delle vittime alla luce del parere dei consulenti nominati dalla procura di Ascoli, in merito all'incidente aereo accaduto il 19 agosto 2014 nei cieli di Ascoli, secondo i quali sarebbero mancati il necessario sostegno e le informazioni adeguate da parte delle sale operative militari, nei riguardi dei piloti dei due caccia Tornado;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere, al fine di contribuire a fare chiarezza in merito alla vicenda descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati siano in possesso di ulteriori informazioni oltre a quelli citati nella premessa e riportate dal quotidiano «la Stampa» e, in caso affermativo, se non ritengano necessario e opportuno fornire chiarimenti in merito. (4-12476)

  Risposta. — Nel merito dei quesiti posti con l'atto di sindacato ispettivo in esame, va detto che le dichiarazioni delle autorità militari dell'aeronautica rese in merito all'incidente aereo accaduto il 19 agosto 2014 nei cieli di Ascoli ai familiari delle vittime non riguardavano gli esiti dell'inchiesta della procura militare di Verona, come citato dall'interrogante, bensì le conclusioni a cui è giunta la commissione di investigazione interna.
  Si tratta di una commissione tecnica che non si esprime sulle responsabilità e ha come unico scopo la ricostruzione delle dinamiche degli incidenti per individuare i fattori che hanno determinato un evento e, attraverso la loro comprensione, estrapolare delle lezioni apprese da diffondere nel mondo aeronautico per evitare che incidenti simili possano ripetersi in futuro.
  Nello specifico, tutte le informazioni raccolte in sede di indagine e le conclusioni raggiunte sono state partecipate ai familiari dei militari deceduti nel corso degli incontri avuti con loro e trasmesse alle competenti autorità a titolo di collaborazione e supporto.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaGioacchino Alfano.


   NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del direttore Paolo Pollichieni, apparso il 9 agosto 2016 portale web della testata giornalistica « Il Corriere della Calabria», si raccontano gli effetti di «due ore di pioggia», che hanno messo in ginocchio il tratto autostradale tra Palmi e Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria;
   proprio nella stessa giornata, è spiegato nell'articolo, «un fiume di fango si è riversato sul tracciato, mettendo a rischio l'incolumità dei viaggiatori nel bel mezzo dell'esodo estivo»;
   «tagliamo nastri, brindiamo professionalità dei tecnici, spendiamo in rinfreschi e sbrodoliamo – commenta il giornalista, con riferimento alla gestione politica e tecnica dell'ammodernamento dell'autostrada A3 – lodi ai vecchi e nuovi governanti. A Lupi e Matteoli prima, a Delrio oggi»;
   lo stesso giornalista rammenta i «salamelecchi per Ciucci ieri e per Armani oggi», assieme ricordando che «della ristrutturata A3 abbiamo un paio di chilometri sotto sequestro a Vibo perché costruiti in modo da uccidere gli automobilisti, e un – paio di chilometri tra Palmi e Gioia Tauro che lunedì, complice una pioggia durata poche ore, hanno messo a serio rischio l'incolumità dei viaggiatori nel bel mezzo dell'esodo estivo»;
   l'articolo è corredato di foto eloquenti, in cui si vedono le sconcertanti immagini del «fango a carrettate che piove dall'alto e finisce sul sedime autostradale» –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare, anche di carattere ispettivo, per verificare la sicurezza dell'autostrada A3 in Calabria, con riguardo ai tratti ammodernati e a quelli che per scelte politica rimarranno come sono sempre stati;
   quale sia nel dettaglio il costo dei singoli lotti oggetto di ammodernamento e quali siano state le imprese che a qualsiasi titolo vi hanno lavorato, con quali tempistiche, con quanto personale, con quali garanzie per i lavoratori e con quali verifiche specifiche da parte di Anas in ordine all'esecuzione delle opere in progetto;
   quali iniziative intenda assumere per assicurare, in Calabria, il completamento dell'autostrada in parola in modo che assolva alla sua funzione. (4-14196)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni fornite dalla società Anas.
  Il 9 agosto 2016, sui territori della costa tirrenica calabrese, tra le località di Vibo Valentia e Bagnara, si sono abbattute precipitazioni di forte intensità che hanno provocato un grave fenomeno di ruscellamento, facendo riversare dalle pendici dei monti calabresi, un misto di acqua, fango e detriti anche sulla sede stradale dell'A/3 Salerno-Reggio Calabria nel tratto tra Palmi e Bagnara.
  Per effettuare l'intervento di sgombero dal materiale fangoso e per la messa in sicurezza del piano viabile, l'Anas ha disposto la parzializzazione della carreggiata invasa (riaperta, peraltro, nel giro di poche ore) senza interdire al traffico alcun tratto dell'autostrada.
  Le verifiche effettuate da Anas, per risalire alle cause dell'accaduto, hanno evidenziato che le strade e i sentieri di campagna presenti sui terreni a monte della A/3 essendo privi delle necessarie opere di regimentazione idraulica hanno favorito l'incanalamento dell'acqua piovana, dai pianori coltivati, verso la sede autostradale.
  L'Anas, dopo aver informato la prefettura di Reggio Calabria ha invitato le amministrazioni comunali interessate ad intervenire con la massima urgenza per individuare i proprietari dei fondi e delle opere stradali coinvolte dall'evento affinché, a tutela della sicurezza, fossero eseguite le opere e gli interventi necessari a garantire una regimentazione idraulica delle strade e delle proprietà sia pubbliche che private poste a monte del nastro autostradale.
  Per il completamento dell'autostrada SA-RC l'Anas ha adottato una soluzione, condivisa con questo ministero, che prevede per il tratto relativo agli ultimi 58 chilometri, interventi di manutenzione straordinaria della sede autostradale nella sua attuale configurazione, pur senza escludere possibili varianti localizzate, in aderenza ad una logica di project review mirata essenzialmente ad un'azione di recupero e valorizzazione del patrimonio viario esistente.
  Il piano di intervento così individuato contempla l'esecuzione in project review di una pluralità di lavori finalizzati a migliorare le attuali condizioni di sicurezza, quali, ad esempio: il risanamento del corpo stradale e delle opere presenti, l'adeguamento delle barriere e degli impianti, il rifacimento della segnaletica e della pavimentazione, nonché l'adeguamento/rifacimento delle attuali dotazioni impiantistiche e di illuminazione.
  Si è, inoltre, tenuto conto della complessità del contesto geomorfologico che caratterizza il tratto, prevedendo appositi interventi strutturali e/o di messa in sicurezza delle opere autostradali mediante la sistemazione e il consolidamento dei versanti medesimi.
  In particolare, nel tratto compreso tra Cosenza e Altilia, è in corso di studio una prima ipotesi di soluzione in variante, con la realizzazione di una nuova carreggiata in affiancamento all'autostrada esistente per poter disporre di una corsia dedicata ai veicoli pesanti, in modo tale da separare i flussi di traffico e conseguire così un innalzamento delle condizioni di sicurezza e percorribilità del tracciato.
  Allo stato è in corso l'attuazione della prima fase del citato piano di project review attraverso una serie di appalti in Accordo Quadro, per i quali sono state attivate le relative procedure di gara e che riguardano, essenzialmente, l'esecuzione di interventi sul corpo stradale, sulle opere d'arte minori, sugli impianti di illuminazione e sulla segnaletica.
  Per quanto riguarda, invece, i lavori già realizzati per l'ammodernamento dell'autostrada SA-RC, si forniscono le relative informazioni per dati aggregati, in modo da avere un'immediata percezione del livello di complessità e di articolazione degli interventi fin qui effettuati.
  Il programma complessivo di intervento sull'autostrada SA-RC è stato avviato alla fine degli anni 90 con gli appalti dei primi lotti ma il reale avvio dei lavori è avvenuto, mediante affidamento a Contraente generale, nel 2003 con l'apertura del macrolotto tra Atena Lucana e Sicignano degli Alburni.
  L'inserimento dell'autostrada SA-RC tra le opere di rilevanza strategica nazionale ha reso possibile l'applicazione delle procedure realizzative contenute nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo) che ha previsto l'introduzione nella legislazione italiana della figura del Contraente generale e la conseguente possibilità di raggruppare i singoli lotti in macrolotti, consentendo, così, il superamento, almeno parziale, delle difficoltà rappresentate dal frazionamento del progetto originario in tanti piccoli lotti e dalla mancanza di risorse finanziarie adeguate.
  L'esecuzione dei lavori sul tracciato dell'autostrada si è, quindi, svolta secondo un'articolazione in macrolotti e lotti funzionali, appaltati in via progressiva, dopo aver ottenuto i finanziamenti necessari, adottando, a seconda dei casi, le varie tipologie di affidamento previste dalla legge (affidamento a contraente generale, appalto integrato, appalto su progetto esecutivo).
  Per tali interventi sono stati attivati 55 appalti di lavori principali, affidati ad altrettante imprese ovvero associazioni temporanee di imprese consorzi/cooperative (non sono inclusi i numerosi casi di appalto interrotto per gravi inadempimenti o per il fallimento delle imprese appaltatrici), alle quali vanno aggiunti tutti i rispettivi affidatari, sub-affidatari e fornitori, rientranti nelle varie fasi delle attività, con un impiego complessivo di manodopera stimato in 3.500 operai, oltre a 7.000 risorse impiegate nelle attività collegate all'indotto. Il tempo medio di esecuzione dei vari interventi è stato di circa 4 anni e mezzo.
  Ad oggi, sono stati realizzati 375 chilometri totalmente fruibili e aperti al traffico (rispetto ai 443 chilometri di estensione complessiva dell'autostrada), ivi incluso il macrolotto di oltre 20 chilometri tra Laino Borgo e Campotenese, aperto al traffico lo scorso luglio e su cui sono in corso di completamento i lavori della galleria Laria (di circa 600 metri e posta in variante rispetto al tracciato originario), che si prevede di ultimare per la fine dell'anno corrente.
  Per altri 10 chilometri (relativi al tratto tra Campo Calabro e Reggio Calabria) si era già previsto un intervento in project review riguardante la messa in sicurezza dell'autostrada esistente (rifacimento pavimentazione, segnaletica, barriere, illuminazione svincoli, risanamento solette, impalcati dei viadotti) per il quale sono in corso le procedure di gara con ultimazione presunta entro l'anno corrente. Per i restanti chilometri di autostrada è prevista la sopra descritta soluzione di intervento in project review.
  Complessivamente l'investimento, ad oggi, ammonta a circa 7,4 miliardi di euro, interamente finanziati. Per quanto riguarda il piano di intervento in project review, il relativo costo risulta pari a circa 1 miliardo di euro, ricompreso nell'ambito dello schema di piano degli investimenti 2016/2020. Per finanziare tali lavori è anche prevista l'utilizzazione delle risorse già assegnate con la legge 27 dicembre 2013, n. 147 e con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con la legge 11 novembre 2014, n. 164.
  Infine, nel quadro complessivo delle verifiche previste nell'ambito della realizzazione degli interventi, si segnala che tutte le Imprese titolari del contratto, così come quelle affidatarie e sub-affidatarie, sono soggette al vincolo del necessario possesso dei requisiti di qualificazione e delle certificazioni antimafia.
  In particolare, ai fini della prevenzione e del contrasto all'infiltrazione criminale nei cantieri, come da disposizioni specifiche emanate dal Ministero dell'interno – Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza sulle grandi opere, l'Anas ha attivato, in stretta collaborazione con le forze dell'ordine, procedure rigorose per il costante monitoraggio delle imprese, delle maestranze e dei mezzi impegnati nei cantieri dell'A/3.
  Per l'attuazione di tale monitoraggio, all'atto dell'avvio dei lavori, sono stati stipulati appositi protocolli di legalità tra le prefetture, territorialmente competenti, l'Impresa appaltatrice e l'Anas, volti a definire le specifiche disposizioni da seguire nelle procedure di affidamento e/o subaffidamento da parte dell'impresa e dei suoi affidatari, estese a tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nella realizzazione delle opere.
  Durante l'esecuzione degli interventi, inoltre, si è stabilita una costante collaborazione con i gruppi interforze istituiti presso le prefetture per monitorare, prevenire e reprimere eventuali tentativi di infiltrazione criminale nei lavori, anche mediante accessi diretti in cantiere da parte degli organismi vigilanti (INAIL, ASL), e delle forze dell'ordine.
  Il monitoraggio sopra descritto ha determinato l'emissione di oltre cento interdittive prefettizie con conseguente allontanamento delle imprese dai cantieri.
  Con riferimento agli aspetti della sicurezza in cantiere, si segnala che l'impresa titolare del contratto di appalto e i relativi affidatari e sub-affidatari hanno l'obbligo del rispetto dei princìpi e delle misure generali di tutela e salvaguardia dei lavoratori nelle varie fasi esecutive dell'intervento. Tutte le imprese esecutrici provvedono, quindi, alla predisposizione del proprio Piano operativo di sicurezza, specificando le procedure, le tecniche e le risorse (uomini e mezzi) che intendono utilizzare nella realizzazione dei lavori rispettivamente affidati, compresa la corrispondente analisi dei rischi e la definizione dei controlli da attuare sulle suddette procedure.
  In tale contesto l'Anas effettua durante lo svolgimento dei lavori, verifiche e ispezioni in cantiere finalizzate all'accertamento dell'ottemperanza delle disposizioni contrattuali in materia di sicurezza, controllando, altresì, che la qualità delle opere corrisponda a quella contrattualmente prevista.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   così come denunciato dal collettivo Askavusa sul proprio sito web, nel corso di questi anni i cittadini di Lampedusa, al pari di numerosi altri concittadini nel resto del Paese, hanno dovuto pagare una tariffa di depurazione nonostante il servizio non sia mai stato garantito, per «una media di 40 euro all'anno a famiglia, conteggiati all'interno della bolletta dell'acqua»: tuttavia «la Corte Costituzionale con sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008 ha dichiarato che la tariffa del servizio idrico integrato, compresa la depurazione, ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo», per cui ne deriva che «se non c’è prestazione del servizio, il gestore non può farlo pagare» e «La Legge n. 13 del 2009 e un Decreto del Ministero dell'Ambiente, sempre nel 2009, stabiliscono inoltre le modalità di restituzione»;
   il collettivo Askavusa ha inoltre denunciato che, all'interno della bolletta dell'acqua, «da quest'anno la voce che di solito era descritta come “consumo applicato” viene definita “consumo concordato”. Ricordiamo che l'acqua erogata a Lampedusa non è potabile e che la maggior parte delle case non ha allacciato un contatore in entrata per misurare il consumo effettivo dell'acqua e che a nostra conoscenza nessuno ha concordato con il comune il prezzo da pagare per l'acqua erogata. Di tutto questo sono stati informati nel corso del tempo i sindaci, la Guardia di finanza, i prefetti, i presidenti di regione e i ministri»;
   Infatti, anche come riportato dal sito web Ecopolis, «La Corte Costituzionale con sentenza n. 335 del 2008 (G.U. del 15/10/2008), dichiara che la tariffa del servizio idrico integrato, compresa la depurazione, ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo, come lo era prima con la legge Galli. Quindi, se non c’è prestazione del servizio, il gestore non può farlo pagare. La Legge n. 13 del 2009 e un Decreto del Ministero dell'Ambiente, sempre nel 2009, stabiliscono inoltre le modalità di restituzione» –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se non ritenga, limitatamente alle proprie competenze, di predisporre iniziative anche normative sul tema al fine di evitare, a tutela degli utenti, situazioni di potenziale abuso che, come nel caso descritto in premessa, appaiono gravemente pregiudizievoli per i cittadini. (4-13441)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che oggi la competenza regolatoria, di verifica e controllo dell'attuazione del corretto rimborso della quota di tariffa non dovuta afferente alla depurazione, in assenza o per temporanea inattività degli impianti, e in generale per gli aspetti relativi alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, conseguente dalla declaratoria di incostituzionalità dell'articolo 155, comma 1, primo periodo del decreto legislativo n. 152 del 2006, giusta sentenza della Corte costituzionale del 10 ottobre 2008, n. 335, è in capo all'Autorità dell'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI).
  Infatti, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha attribuito alla predetta autorità le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, precisando che tali funzioni vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti alla stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481 (legge istitutiva dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas che, a seguito del trasferimento delle funzioni attinenti ai servizi idrici, è diventata Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico – AEEGSI).
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 sono state, poi, individuate le funzioni di competenza dell'autorità e quelle che restano in capo a questo ministero. Mentre l'AEEGSI è il regolatore nazionale per il Sistema idrico integrato, comprendente, come noto, il segmento dell'acquedotto, della fognatura e della depurazione, spettano al Ministero dell'ambiente tutte le funzioni relative alla fissazione ed al perseguimento degli obiettivi ambientali, alla qualità della risorsa e ai poteri di indicizzo e coordinamento.
  Inoltre, spetta al regolatore locale, l'ente di governo d'ambito di cui all'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006, individuato dalle regioni, il compito di vigilare sull'operato del gestore affidatario del servizio nel territorio di competenza.
  Premesso quanto sopra, si riportano di seguito alcune considerazioni in merito alla specifica questione in esame.
  In particolare, si fa presente che nell'agglomerato di Lampedusa esiste un impianto di depurazione, ubicato in località Cavallo Bianco (capacità organica di progetto pari a 8.000 abitanti equivalenti). Presso tale impianto è trattato un carico generato di 8.000 AE (abitanti equivalenti), mentre il restante 10 per cento è trattato con sistemi individuali.
  Tale agglomerato è, peraltro, interessato dalla procedura d'infrazione 2014/2059, per la quale la Commissione europea, nel marzo 2015, ha emesso un parere motivato contestando la violazione dell'articolo 4 della direttiva 91/271/CEE per mancato adeguato trattamento secondario dei reflui.
  Questo ministero, nell'ambito del monitoraggio che effettua semestralmente sugli avanzamenti degli interventi finalizzati all'adeguamento degli impianti depurativi oggetto di infrazione e contenzioso comunitario, con nota del 23 giugno 2016, ha richiesto informazioni alla Regione Siciliana in merito a tutti gli agglomerati oggetto, appunto, di procedure d'infrazione per mancata attuazione della direttiva 91/271/CEE.
  La Regione Siciliana, con nota del 20 luglio 2016, ha dichiarato che sull'impianto di depurazione ubicato in località Cavallo Bianco è in corso un intervento di adeguamento e potenziamento per portare la capacità depurativa dagli attuali 8.000 abitanti equivalenti fino a 24.000 abitanti equivalenti.
  Inoltre, nella tabella allegata alla citata nota, la regione riporta dati relativi al trattamento secondario ed i valori limiti di emissione allo scarico per richiesta biochimica di ossigeno e domanda chimica di ossigeno, da sottoporre alla valutazione della Commissione europea.
  Alla luce di quanto sopra esposto, per quanto concerne l'applicabilità al caso di specie della sentenza della Corte costituzionale del 10 ottobre 2008, n. 335, occorre precisare quanto segue.
  La suprema corte, partendo dalla considerazione della natura di corrispettivo propria di tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ha evidenziato che la mancanza o l'inattività degli impianti di depurazione dei reflui elimina il presupposto stesso del corrispettivo in quanto «la norma censurata, imponendo l'obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale di tale quota, e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la (...) ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, che (...) è fondata sull'esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione».
  Successivamente, il legislatore, con l'articolo 8-sexies, della legge 27 febbraio 2009, n. 13, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante «misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente», ha espressamente previsto che, «in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, i gestori del servizio idrico integrato provvedono anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di cinque anni, a decorrere dal 1o ottobre 2009, alla restituzione della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione». La medesima norma precisa, altresì, che «dall'importo da restituire vanno dedotti gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate» in quanto, in una tale fattispecie, le somme pagate sarebbero finalizzate ad una realizzazione e attivazione efficiente del servizio di depurazione, nel rispetto della sinallagmaticità tra pagamento effettuato dall'utente e fornitura del servizio.
  Il legislatore ha, dunque, sottolineato che gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti di depurazione, nonché quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d'ambito (di cui all'articolo 149 del decreto legislativo n. 152 del 2006), costituiscono una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato, dovuta al gestore dall'utenza anche nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, a decorrere dall'avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione, purché alle stesse si proceda nel rispetto dei tempi programmati.
  Ne consegue, pertanto, che sulla base del citato articolo 8-sexies, gli effetti della declaratoria di illegittimità vengono ad essere circoscritti alle sole ipotesi in cui sia stato applicato il canone di fognatura e depurazione anche in assenza di allacciamento agli impianti di depurazione, mentre per quelle realtà in cui fosse in corso di attivazione un progetto impiantistico, dall'importo da restituire agli utenti andrebbero dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate.
  La disciplina prevista dalla citata normativa trova conferma anche nel decreto ministeriale 30 settembre 2009 con cui sono stati indicati i criteri ed i parametri per la restituzione della quota di tariffa non dovuta per la depurazione. In particolare, infatti, l'articolo 3 comma 1, stabilisce che laddove gli impianti di depurazione manchino o siano temporaneamente inattivi, gli utenti hanno diritto alla restituzione; mentre, per le utenze al servizio delle quali sia stata prevista, nei piani d'ambito o da atti formali dei competenti organi comunali, la realizzazione d'impianti di depurazione, dall'importo della quota di tariffa da restituire vanno dedotti gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento dei medesimi impianti, svolte nel periodo oggetto di rimborso.
  Peraltro, sempre in merito all'argomento in esame, si richiama quanto sostenuto dalla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche (ex regolatore nazionale del servizio idrico integrato le cui funzioni sono state trasferite all'AEEGSI giusto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012) nel parere n. 4720 dell'11 novembre 2010, relativo proprio all'applicazione del decreto ministeriale ambiente 30 settembre 2009. Nel richiamato parere, la Commissione evidenzia che l'articolo 2, comma 1, del decreto ministeriale definisce «impianto di depurazione» come «l'insieme delle strutture che presiedono alla depurazione delle acque senza entrare nel dettaglio della filiera impiantistica e sull'adeguatezza ai fini della normativa sugli scarichi: in ogni caso si ha un processo di depurazione e costi di gestione (servizio) che devono essere attribuiti all'utente servito».
  In sintesi, sulla base di quanto disciplinato dalla vigente normativa fin qui richiamata, le procedure per il rimborso della quota di depurazione nei casi in cui questa non era dovuta sono state avviate dai vari enti d'ambito e gestori competenti. Spetta, infatti, all'autorità d'ambito, o ai comuni gestori in via diretta dei servizi, individuare l'importo da restituire ad ogni singolo richiedente avente diritto, secondo una apposita procedura. La vigilanza e il controllo della corretta attuazione è in capo ai medesimi enti di governo d'ambito e all'AEEGSI che la esercita mediante l'esame, ai fini dell'approvazione, dei piani tariffari dei singoli gestori. Dall'eventuale quota di tariffa da restituire, nei casi in cui l'impianto sia inesistente o sia temporaneamente inattivo (caso da verificare a cura dell'ente di governo d'ambito ove costituito, o dai comuni) andrebbero comunque sottratti gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento dei medesimi impianti.
  Con riferimento al caso in esame, relativo all'isola di Lampedusa, occorre, pertanto, tener conto, da una parte, di quando stabilito nella sentenza n. 335 del 2008 della Corte costituzionale e, dall'altra, della sopra richiamata normativa di riferimento, del parere della Commissione di vigilanza, del fatto che l'agglomerato in questione è servito da un impianto di depurazione e che sullo stesso è in corso un intervento di adeguamento/potenziamento, come dichiarato dalla regione nella nota del 20 luglio 2016.
  Peraltro, come già detto, le funzioni di regolatore nazionale del settore idrico sono esercitate dall'AEEGSI, mentre quelle di controllo e vigilanza sulla gestione spettano, ove istituiti, agli enti di governo d'ambito, quali regolatori locali preposti o, in mancanza, alle amministrazioni comunali competenti.
  Fermo restando quanto sopra esposto, preme, infine, evidenziare che nella Regione Siciliana l'attuazione del servizio idrico integrato non è ancora a regime. A seguito del riordino del settore disciplinato dall'articolo 7 comma 1, del decreto-legge del 12 settembre 2014 (cosiddetto Sblocca Italia), convertito con legge 11 novembre 2014, n. 164, la Regione Siciliana ha emanato la legge regionale n. 19 dell'11 agosto 2015 recante «Disciplina in materia di risorse idriche». Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 20 ottobre 2015, n. 88 ne ha deliberato l'impugnativa innanzi alla Corte costituzionale in quanto numerose disposizioni contrastano con le norme statali di riforma economico sociale in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente. Tuttavia, in Sicilia risulta che, come desunto dalla relazione annuale sullo stato dei servizi idrici dell'AEEGSI di marzo 2015 e dalla successiva del giugno 2016, manca l'affidamento del servizio idrico integrato nell'ATO1 Palermo, ATO 3 Messina, ATO 4 Ragusa e ATO 7 Trapani. E stato, invece, affidato:
   nell'ATO 2 Catania a SIDRA S.p.a. (a capitale interamente pubblico) che gestisce il Servizio idrico integrato nell'ambito dell'area metropolitana di Catania e in alcuni comuni limitrofi;
   ATO 5 Enna ad ACQUAENNA s.p.a., affidamento tramite gara, durata 30 anni, concessione di gestione sottoscritta il 19 novembre 2004;
   ATO 6 Caltanissetta a Caltaqua – Acque di Caltanissetta s.p.a., affidataria del Servizio idrico integrato per tutta la provincia di Caltanissetta dal 27 luglio 2006 (affidamento tramite gara);
   ATO 9 Agrigento a Girgenti Acque s.p.a., gestore del Servizio idrico integrato dei comuni della provincia di Agrigento, in forza della convenzione stipulata in data 27 novembre 2007 con l'ex Autorità d'ambito territoriale ottimale 9 – Agrigento. I comuni attualmente presi in gestione da Girgenti Acque sono 27 su 43.

  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i sindaci delle città di Nardò e di Galatone, in provincia di Lecce, sono stati informati del fatto che venticinquemila tonnellate di amianto sarebbero pronte per essere portate e smaltite in una discarica al confine tra i territori dei suddetti comuni;
   dalle note emanate dagli enti in questione, e confermate anche dal sito on-line de La Repubblica 23 gennaio, si apprende infatti che entro la fine del mese di gennaio 2014 dovrebbero giungere nel porto di Gallipoli, provenienti dalla Sicilia, alcune navi cariche di materiale, come noto, altamente pericoloso da smaltire nella discarica della Ditta R.E.I., in contrada «Castellino» tra Galatone e Nardò;
   si tratterebbe – si legge nelle note – di un affare da 16.250.000 euro se si considera che il prezzo medio di mercato per lo smaltimento è di 0,65 euro al chilogrammo e che i chilogrammi attesi sarebbero ben 25 milioni;
   la discarica in questione nasce per soddisfare prioritariamente le esigenze del territorio salentino, autorizzata sin dal 2009 per i rifiuti merli e dal 2011 per piccole quantità di amianto –:
   se quanto suesposto corrisponda al vero;
   se le informazioni risultassero esatte, se si intenda effettuare tutte le necessarie attività di controllo e di verifica, sia all'interno dell'area portuale di Gallipoli, sia durante la fase del trasporto fino alla discarica, sia per lo smaltimento all'interno della stessa. (4-03307)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che, in merito alle attività di controllo e di verifica sia all'interno dell'area portuale di Gallipoli sia durante la fase del trasposto dell'amianto fino alla discarica, lo scrivente Ministero non partecipa ai procedimenti autorizzativi che, nel caso degli impianti di gestione dei rifiuti, sono rimessi alle competenti autorità locali, e neppure alle attività di controllo che risultano poste a carico della provincia alla quale, comunque, spetta il controllo di tutte le attività di gestione, intermediazione e commercio dei rifiuti, compreso l'accertamento delle violazioni delle disposizioni ambientali di cui alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Inoltre, per quanto concerne il controllo ed il contrasto degli illeciti presso le aree portuali, tale attività è posta a carico della Guardia di finanza e degli altri organi di polizia, tranne il caso dei trasporti transfrontalieri di rifiuti in cui è impegnata anche l'Agenzia delle dogane.
  Ad ogni modo, per completezza di informazione, si forniscono le informazioni inerenti le corrette modalità di gestione dei rifiuti contenenti amianto.
  Il decreto ministeriale 27 settembre 2010, recante «Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica», stabilisce all'allegato 2 che i materiali edili contenenti amianto possono essere conferiti sia nelle discariche per i rifiuti pericolosi che in quelle per i rifiuti non pericolosi, purché tali impianti di smaltimento siano dedicati a tale tipologia di rifiuti oppure siano opportunamente attrezzati mediante la creazione di appositi settori, detti celle, riservati a tali materiali.
  Nella conduzione della discarica che accetta rifiuti contenenti amianto si applicano le specifiche disposizioni del decreto legislativo 81 del 2008 relative alla protezione dai rischi connessi all'esposizione all'amianto.
  Nelle discariche, il deposito dei rifiuti contenenti amianto deve avvenire direttamente all'interno delle celle ad esso dedicate e deve essere effettuato in modo tale da evitare la rottura degli involucri protettivi e la frantumazione dei materiali in esso contenuti. Inoltre, il riempimento delle celle deve avvenire in modo tale che non venga ostacolato il passaggio degli automezzi e, sempre al fine di evitare la dispersione delle fibre di amianto, la zona di deposito deve essere ricoperta quotidianamente con materiale appropriato e di spessore di almeno 20 centimetri. Peraltro, nel caso in cui i rifiuti conferiti, per le loro specifiche caratteristiche, non siano stati precedentemente imballati, deve essere anche previsto un sistema di irrigazione per impedire il sollevamento delle polveri.
  Infine, nella destinazione d'uso finale dell'area, dopo la conclusione del ciclo di vita della discarica, è sempre previsto il recupero a verde e sono vietate tutte le opere di escavazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria che unisce Catanzaro e Cosenza da sei anni è interrotta a causa di due frane. L'interruzione è nel tratto che da Soveria Mannelli arriva a Marzi: 31 chilometri di ferrovia immersi nel cuore del Reventino e della Sila abbandonati all'incuria e al dissesto idrogeologico;
   questi 31 chilometri «sono l'esempio lampante di come la mancanza o l'abbandono di infrastrutture ferroviarie – afferma Roberto Galati dell'Associazione ferrovie in Calabria – causi una spirale negativa di crollo demografico, crollo dell'economia e quindi ulteriore abbandono dei centri abitati da parte della popolazione. La battaglia di civiltà ha come obiettivo primario quello di evitare la morte di quei piccoli (o divenuti tali) centri abitati precedentemente serviti dai treni, e che chiaramente non hanno trovato nel bus un mezzo sostitutivo altrettanto veloce, comodo, sicuro e frequente». Si tratta, in particolare, dei comuni di Vaccarizzo, Bianchi, Colosimi, Scigliano, Pedivigliano e Carpanzano, rimasti isolati tra il 2009 e il 2010, a seguito dell'interruzione della Soveria Mannelli-Rogliano, dal 2014 ripristinata da Rogliano a Marzi;
   a Decollatura c’è la prima frana, situata attorno al chilometro 42, tra la fermata di Celsita e la stazione di Scigliano-Pedivigliano. In questa zona sono presenti alcuni smottamenti di lieve entità e alcuni alberi caduti sulla sede ferroviaria. Tra Celsita e Scigliano, invece, oltre ad alcuni lievi abbassamenti della sede ferroviaria, insiste la frana che ha provocato i maggiori danni in assoluto, su tutto il tratto interrotto. Frana che si trova al chilometro 42, a poco più di 1 chilometro di distanza dalla stazione di Scigliano-Pedivigliano. Lo scenario che si trova è desolante: del rilevato ferroviario non è rimasto praticamente nulla, se non la micropalificazione per il contenimento del terreno rimasta «appesa». Dalla stazione di Carpanzano, dotata ancora di uno storico apparato centrale a leve «Max Judel» per la manovra di scambi e segnali, si arriva poi alla seconda frana, posta attorno al km 33, lato Cosenza. Il tragitto prosegue fino a Parenti e in fine a Marzi. Trentuno chilometri mozzafiato che potrebbero, se ripristinati, togliere dall'isolamento numerose comunità;
   l'interrogante ha già ricordato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-09678 del 2 luglio 2015, per giunta senza risposta, che non esistono infatti scuse infrastrutturali, nei collegamenti tra i principali capoluoghi di regione, al nord come al sud, devono essere garantiti collegamenti diretti su treni moderni che possano circolare con velocità competitive nei confronti delle automobili. Non è accettabile che scompaiano i collegamenti interregionali perché le regioni hanno deciso di tagliare le linee più periferiche e il Ministero non intervenga. Al Ministero spetta il compito di verificare che siano garantiti gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario in tutta Italia –:
   se non si ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza per garantire ai cittadini calabresi gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario dei residenti delle altre regioni e provvedere alla messa in sicurezza dei 31 chilometri indicati in premessa e relativi alla tratta che unisce Catanzaro a Cosenza. (4-13045)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La tratta Marzi-Soveria Mannelli, della linea ferroviaria Cosenza-Catanzaro, e stata sospesa all'esercizio ferroviario nei periodo 2009-2010 a causa di una serie di movimenti franosi in più punti della sede ferroviaria.
  La società esercente, Ferrovie della Calabria s.r.l., interessata al riguardo, ha riferito che per la mitigazione dei rischi idrogeologici e per il consolidamento dei pendii, sono stati predisposti nel 2014 alcuni progetti successivamente inviati all'Autorità di bacino della regione per essere inseriti nell'ambito dei «Finanziamenti del Ministero dell'Ambiente per la difesa del suolo periodo 2014-2020 ISPRA Ambiente». Detti interventi risultano inseriti tra quelli finanziabili e a breve riceveranno un finanziamento pari a euro 8.439.825,96.
  I progetti, inviati dalla società esercente, sono all'esame dei competenti uffici di questo ministero (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi) per l'ottenimento del nulla osta tecnico ai fini della sicurezza.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il viadotto «Cannavino», tra gli svincoli di Rovito e Celico, dai più conosciuto come il Ponte di Celico, sito al chilometro 42,700 della strada statale 107 di competenza dell'Anas (ricadente appunto nel comune di Celico), collega la provincia bruzia con Crotone, passando attraverso la Sila. Il viadotto dimostra evidenti segni di cedimento strutturale con l'abbassamento del livello stradale all'altezza della campata centrale;
   il ponte, dalla sua costruzione, è stato ciclicamente sottoposto a frequenti chiusure del traffico per permettere il monitoraggio da parte dell'Anas dei sempre più palesi segni di collasso della struttura. Interessato da interventi «tampone» nel corso degli anni, il ponte continua ad essere percorso delle auto e dei mezzi pesanti con volumi di traffico che aumentano vertiginosamente durante l'estate;
   sulla base delle risultanze di ispezioni visive, rilievi topografici, prove di carico statiche e dinamiche commissionate all'ingegner Pietro Monaco, professore ordinario presso il politecnico di Bari, l'ANAS ha previsto la realizzazione di un intervento di manutenzione straordinaria che è stato inserito nella programmazione quinquennale 2015-2019 con priorità massima;
   dopo anni di rassicurazioni da parte di tecnici e operatori, da qualche tempo pare che l'Anas abbia nuovamente «attenzionato» il viadotto Cannavino, perché «il pericolo è reale». Ma come spesso accade «non ci sono fondi per metterlo in sicurezza» e a dirlo è lo stesso Ministro interrogato che precisa rispondendo, il 4 marzo 2016, all'atto di sindacato ispettivo n. 4-09739 che «l'intervento di manutenzione straordinaria» (...) «sarà realizzato non appena le risorse finanziarie saranno rese disponibili»;
   la strada statale 107 è una delle arterie «trasversali» più importanti in termini logistici e di volumi di traffico della Calabria, poiché collega il versante tirrenico tramite l'innesto con la strada statale 18 presso Paola (CS) con il versante ionico tramite l'innesto con la strada statale 106 presso Crotone;
   in Calabria, come spesso avviene nel Mezzogiorno, e di ciò si ha un triste precedente in questi giorni, le tragedie devono prima accadere per far sì che partano gli interventi di manutenzione –:
   se non convenga sulla necessità di procedere immediatamente con i lavori di manutenzione del Ponte di Celico per evitare una tragedia imminente;
   se non ritenga opportuno che vengano rese pubbliche le indagini e le prove di laboratorio del professor Pietro Monaco al fine di informare i cittadini che si trovano a percorrere il sopracitato viadotto circa la sua reale pericolosità.
(4-13877)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dall'Anas, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La problematica del viadotto Cannavino risulta ampiamente nota sia ad Anas sia alle altre funzioni istituzionali del territorio (prefettura di Cosenza, protezione civile regionale, enti locali, forze di polizia, strutture tecniche regione Calabria).
  Infatti, nei primi giorni di agosto 2016 si era tenuto un incontro appositamente convocato dal prefetto di Cosenza cui hanno partecipato rappresentati di tutti i soggetti coinvolti al fine di analizzare nel dettaglio la problematica evidenziata dagli interroganti.
  Durante tale incontro Anas ha illustrato tutte le iniziative assunte nel corso degli ultimi anni, relazionando formalmente la prefettura di Cosenza con nota del 9 settembre 2016.
  Ad oggi Anas assicura che sono state messe in campo risorse economiche e strumentali utili a consentire il rispetto della programmazione delle attività per come illustrate nel corso di detto primo incontro.
  A seguito di successiva convocazione, sempre della prefettura di Cosenza, in data 24 novembre 2016 si è tenuto un tavolo tecnico cui hanno partecipato, oltre ai soggetti istituzionali, anche il responsabile della Protezione civile Calabria, supportata da un docente della Università della Calabria per gli aspetti prettamente tecnici correlati alla funzionalità dell'opera.
  In tale consesso Anas, ha illustrato gli aggiornamenti circa le attività svolte ed in corso di svolgimento, compreso quelle realizzate con il coinvolgimento di strutture universitarie specialistiche a tal uopo incaricate. Si è infatti partiti descrivendo le risultanze degli studi specialistiche commissionati nel 2010 e nei 2015 per poi illustrare tutte le iniziative assunte di conseguenza che hanno portato, già nei primi mesi dell'anno, a pianificare ed a realizzare un sistema di monitoraggio in continuo dei comportamenti della struttura.
  Si è aperto quindi un confronto altamente partecipato su tutti gli argomenti prettamente tecnici in esame ivi compresi quelli relativi alle proposte della Protezione civile regionale di condivisione/scambio dati correlati al monitoraggio e di integrazione di talune indagini geognostiche, proposta pienamente accolta da parte di Anas che ha altresì assicurato un pronto recepimento.
  Il prefetto nel concludere i lavori ha preso atto di quanto esposto e condiviso invitando i presenti a proseguire la proficua collaborazione anche e soprattutto nell'ottica delle rassicurazioni per l'utenza circa le condizioni di transitabilità in sicurezza del ponte Cannavino.
  Riguardo ai lavori da realizzare Anas riferisce che ha ultimato la redazione del progetto che consentirà di porre in essere gli opportuni interventi sul viadotto «Cannavino» lungo la strada statale 107 «Silana Crotonese».
  Anas informa che a breve, verrà indetta la gara per l'esecuzione dei lavori; il loro avvio sarà, comunque, preceduto da un incontro, da tenersi presso la prefettura di Cosenza, nel corso del quale verrà illustrato, nel dettaglio, il cronoprogramma delle fasi esecutive.
  Nelle more di perfezionamento delle procedure di gara, come illustrato e condiviso nell'ultima citata riunione tenutasi in prefettura lo scorso 24 novembre, Anas ha disposto, oltre all'usuale e costante monitoraggio topografico del viadotto, anche attività di controllo attraverso sistemi automatici di ultima generazione (che consentono di monitorare h24 l'eventuale stato deformativo dell'opera) nonché l'istallazione di un semaforo da attivare, direttamente, al raggiungimento della prefissata soglia di allarme.
  Infine, per quanto concerne l'ultimo quesito, si allegano le relazione tecniche redatte nel 2012 e nel 2016 dal prof. ing. Pietro Monaco, docente dell'università di Bari, incaricato da Anas per la consulenza tecnica specialistica e per la verifica statica e dinamica del viadotto Cannavino.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e MATARRELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi ben 41 giorni dal 19 marzo 2016 quando una frana ha invaso l'Aurelia ad Arenzano al punto da renderla interdetta al traffico che ad oggi non è ancora stato possibile riaprire;
   poco più di 11 chilometri di strada statale isolano Arenzano e Voltri e l'unica strada che si profila percorribile è il segmento autostradale della A10 fra le due località;
   il progetto esiste e anche i fondi, ma, per liberare l'Aurelia dalla frana che la spezza in due e riaprire almeno un senso di marcia, ci vorranno ancora più di due mesi;
   non è da escludere l'incognita dell'instabilità del versante, che comporterebbe per il Ponente e in particolare per Arenzano e Vesima, gravi perdite per gran parte della stagione balneare. Inoltre, l'intervento, destinato a partire soltanto una volta perfezionata una laboriosa trafila burocratica, non sarà risolutivo e il territorio a ridosso della galleria del Pizzo e Terrarossa, che già era considerato estremamente vulnerabile alle frane, resterà tale;
   gli ultimi sviluppi non sono confortanti visto che il sindaco di Arenzano Maria Luisa Biorci, partecipando a un incontro in regione per fare il punto, non ha nascosto la propria delusione: «L'area è stata sequestrata – dice – e dunque non è stato possibile procedere coi lavori in somma urgenza. Ora i tempi sono scaduti. Il risultato ? Anas dovrà procedere con una gara normale»;
   la via d'uscita, per ridurre almeno in parte i tempi tecnici, è allo studio della prefettura di Genova e a presentare il progetto sono stati i vertici di Anas, alla presenza dei tecnici della regione, e dell'assessore all'ambiente, Giacomo Giampedrone, ipotizzando l'inizio dei lavori e entro una quindicina di giorni, tempo necessario per ottenere tutte le autorizzazioni del caso comunali della Soprintendenza, oltre a un via libera della prefettura, che dovrebbe essere rilasciato ai sensi del codice della strada;
   Anas e regione hanno raggiunto un'intesa per dividere le spese (rispettivamente 2 terzi e 1 terzo), pari a 1,6 milioni di euro e, come precisato dal presidente della regione Giovanni Toti e dall'assessore Giampedrone «Il lavoro verrà effettuato in danno ai privati e in anticipo e a questo proposito abbiamo scritto al prefetto di Genova perché avvii il necessario iter autorizzativo»;
   percorrere la strada alternativa comporta pagamento di un pedaggio autostradale fra Arenzano e Voltri (e viceversa) pari a 0,90 euro che, per chi è costretto a percorrere il tratto due volte al giorno, si trasforma in 1,80 euro che in un mese di lavoro fanno mediamente 45 euro;
   l'importo che i «pendolari» devono affrontare per recarsi quotidianamente al lavoro fra l'una e l'altra località è del tutto incomprensibile e soprattutto sarebbe superabile con un azzeramento del pedaggio almeno nelle fasce orarie in cui i lavoratori si devono servire obbligatoriamente di quest'unica via di collegamento –:
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative per provvedere all'istituzione di due fasce orarie per chi entra ad Arenzano ed esce a Genova Voltri che comportino un esonero dal pagamento del pedaggio per chi è costretto a percorrere la strada alternativa per motivi di lavoro. (4-13082)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il 19 marzo 2016 una frana di vaste proporzioni si è staccata dal versante a monte della strada statale 1 Aurelia, in corrispondenza del chilometro 547+700 nel territorio del comune di Arenzano, invadendo con materiale detritico un ampio tratto della carreggiata.
  La società Anas riferisce di aver prontamente chiuso al transito veicolare la strada e, individuati i proprietari dei terreni dai quali era originato lo smottamento, ha provveduto a sanzionarli in base a quanto disposto dall'articolo 31 del codice della strada, notificando loro gli atti di diffida per la messa in sicurezza e il consolidamento dei terreni sovrastanti l'arteria stradale; il giorno stesso in cui si è verificato il distacco detritico, anche il comune di Arenzano ha emesso un'ordinanza con la quale obbligava i proprietari a provvedere alla stabilizzazione dei terreni.
  Il successivo 22 marzo 2016, l'autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro l'area interessata dall'evento; il sequestro cautelativo delle aree è stato verbalizzato dal Corpo forestale dello stato il 24 marzo e notificato ad Anas il 30 marzo.
  Da parte di questo Ministero, al fine di garantire la continuità dei collegamenti e la transitabilità dell'area interessata dalla completa chiusura al traffico della strada statale Aurelia in comune di Arenzano, con nota del 23 marzo 2016 si è provveduto ad autorizzare la Società Autostrade per l'Italia ad applicare l'agevolazione tariffaria alle autovetture di classe A dei residenti pendolari nei comuni interessati, per la tratta Arenzano – Genova Voltri, con decorrenza dalle ore 00.00 del 24 marzo fino al ripristino delle normali condizioni di percorribilità sulla statale suddetta.
  In particolare, per tale categoria di transiti è stato previsto un rimborso del 70 per cento dell'importo, previa presentazione alla società concessionaria di blocchi di scontrini di pagamento corredati da un'autocertificazione relativa al luogo di residenza e ai motivi del pendolarismo. Il rimborso verrà effettuato tramite l'erogazione, per ogni 20 scontrini, di 14 buoni pedaggio gratis per la medesima tratta di percorrenza.
  Con nota del 12 settembre scorso, il Compartimento della viabilità per la Liguria ha trasmesso il provvedimento di dissequestro della corsia a mare della strada statale 1 Aurelia emesso dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Genova in data 7 settembre 2016 e, in pari data, copia dell'Ordinanza compartimentale Anas n. 60, con la quale è stata disposta la riapertura a senso unico alternato regolato da impianto semaforico e/o movieri del tratto precedentemente chiuso al traffico, con l'imposizione del limite di velocità di 30 chilometri orari e del divieto di sorpasso, nonché il divieto di transito ai pedoni e il divieto e la sosta dei veicoli a margine strada. I lavori di risanamento sono stati ultimati il 14 dicembre 2016 ma non è stato possibile procedere all'apertura al transito del tratto su entrambe le corsie poiché il provvedimento di dissequestro dell'area da parte della Procura di Genova è subordinato all'esecuzione di ulteriori lavori in aree private.
  Ritenendo di fatto superata la fase di emergenza posta a motivo della predetta agevolazione tariffaria disposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, se n’è disposta la revoca a far data dalle ore 00.00 del 17 settembre 2016.
  Con tale revoca è stato altresì raccomandato, in caso di allerta arancione e di concreto, inizio: delle precipitazioni nonché in caso di allerta rossa, così come disposto dalla Procura di Genova, di provvedere all'immediata chiusura della strada con conseguente deviazione del traffico sulla A10 tratta Arenzano-Genova Voltri e viceversa. Nelle fasi di allerta arancione e rosso che dovranno essere comunicate da Anas alla società concessionaria, quest'ultima dovrà procedere secondo quanto previsto nella citata nota del 23 marzo 2016 di autorizzazione all'agevolazione del pedaggio, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e adeguata informativa all'utenza.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PELLEGRINO, CAUSIN, DALLAI, SEGONI, COSTANTINO e MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 ottobre 2015, con la proclamazione degli eletti, si sono concluse le elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale dei geologi (Cng), occasione che vede gli oltre 13.000 geologi italiani chiamati ad eleggere i loro rappresentanti;
   le precedenti elezioni di tale consiglio, nell'anno 2010, furono turbate da disordini all'unico seggio elettorale di Roma, con l'intervento delle forze dell'ordine e seguite da azioni legali a causa delle diverse irregolarità e anomalie; ad esempio, fu riscontrato che centinaia di schede riportavano voti espressi in maniera identica, tutte con lo stesso errore di scrittura nella trascrizione del nome di uno dei candidati. Tali operazioni elettorali furono anche oggetto di esposto alla procura della Repubblica di Milano e di Torino. Ciò nonostante quelle elezioni non vennero annullate. Il procedimento di impugnazione delle elezioni del Consiglio nazionale dei Geologi, infatti, prevede una prima fase amministrativa dinanzi allo stesso Consiglio eletto. Tale fase si è protratta per quasi un anno, con esito, del resto ipotizzabile, negativo per i ricorrenti. È seguita la fase giurisdizionale durata tre anni e conclusasi solo un anno fa con la conferma del risultato elettorale, non potendo il giudice civile procedere a nuovo controllo delle schede;
   le ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale geologi, ancor prima dello spoglio dei voti, secondo informazioni in possesso degli interroganti, sarebbero risultate già inficiate da irregolarità e anomalie quali appaiono essere quelle di seguito esposte;
   le schede elettorali, prive delle indicazioni riferite alla presente consultazione elettorale, in violazione dell'articolo 5 della legge n. 616 del 1966, comma 1, non sono state siglate dagli scrutatori;
   le schede siffatte sarebbero state inviate a tutti gli elettori, contrariamente alla norma che ne dispone l'invio solo a coloro che ne abbiano fatto richiesta al fine di esercitare l'opzione di voto per raccomandata postale (comma 7, articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005);
   i componenti del seggio elettorale sarebbero stati nominati diversi giorni dopo l'invio massivo a tutti gli elettori delle stesse schede elettorali che essi avrebbero dovuto siglare; in tal modo sarebbero state messe in circolazione in tutta Italia migliaia di schede, non verificate dai componenti del seggio elettorale;
   l'operazione di voto da parte degli elettori sarebbe stata formalmente possibile a partire dal 23 settembre 2015, quando il termine per la presentazione delle liste era stato fissato per il 1° ottobre 2015;
   tali fatti sono stati tempestivamente e formalmente segnalati da diversi candidati ed elettori mediante due esposti presentati agli uffici competenti, ufficio libere professioni presso il Ministero della giustizia (in data 7 ottobre 2015), e al medesimo Ministero della giustizia, nonché all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e allo stesso presidente del seggio elettorale aperto presso il Consiglio nazionale dei geologi a Roma (in data 9 ottobre 2015), quindi in fase ancora di espressione del voto e preliminarmente allo spoglio;
   contrariamente a quanto avvenuto in relazione alle schede inviate agli elettori per raccomandata – prive di sigla – per i votanti, al seggio le schede sarebbero state siglate dagli scrutatori. Si è in tal modo verificato che, nella medesima urna, sono confluite, schede elettorali siglate e schede elettorali non siglate, rendendo possibile, dunque, il riconoscimento delle espressioni di voto a mezzo posta;
   in data 15 ottobre 2015, 18 ottobre 2015 e 20 ottobre 2015, da parte di alcuni candidati, sarebbero stati formalizzati al Cng – con richiesta di trasmissione via posta elettronica certificata al presidente del seggio aperto presso la medesima sede del Cng – alcuni specifici rilievi al riguardo; non risulta, al momento, che tali azioni di segnalazione abbiano avuto significativo riscontro;
   nella giornata del 17 ottobre 2015, durante lo scrutinio, si sarebbe ripetuto quanto già avvenuto nelle scorse elezioni con l'intervento delle forze dell'ordine per riportare la dovuta calma all'interno del seggio elettorale, ove si stavano registrando alcune intemperanze;
   nella fase di esame della validità delle buste pervenute al seggio, il presidente di seggio avrebbe accantonato oltre 800 buste, pari a circa il 25 per cento delle buste pervenute, e le avrebbe successivamente riesaminate, ritenendone ammissibili circa 600; in tale seconda fase, egli avrebbe impedito ai rappresentanti di lista di verificare la correttezza del suo operato e quindi l'osservanza di quanto disposto dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 e successive modificazioni e integrazioni ove è stabilito che «nelle legalizzazioni devono essere indicati il nome e cognome di colui la cui firma si legalizza. Il pubblico ufficiale legalizzante deve indicare la data e il luogo della legalizzazione, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma per esteso e il timbro dell'ufficio»; in particolare, sarebbe stato vietato l'accesso alla stanza del seggio con apposita guardianìa esercitata da una guardia giurata, per tutti i giorni in cui si sono svolte tali operazioni, e quindi da giovedì 15 ottobre a martedì 20 ottobre 2015;
   l'apertura delle buste contenenti le schede votate e, quindi, la verifica che l'autenticazione delle firme apposte fosse avvenuta in osservanza della normativa di riferimento, si sarebbe compiuta senza che alcun candidato avesse la possibilità di controllarne la legittimità. Altrettanto si sarebbe realizzato per lo scrutinio dei voti;
   quanto avvenuto per le elezioni dei rappresentanti nazionali dei geologi, risulterebbe agli interroganti inficiato da gravi irregolarità e violazioni di legge;
   gli eletti ai Consigli nazionali degli ordini professionali, nell'ambito delle attribuzioni di competenza, vigilano sull'osservanza di tutte le leggi riguardanti la professione, nella fattispecie della professione di geologo; ne consegue come debba considerarsi circostanza imprescindibile ed inderogabile che tali cariche, siano assunte con modalità pienamente legittime ed attraverso elezioni non viziate da qualsivoglia irregolarità e/o illegittimità;
   compete al Ministro della giustizia la vigilanza sulle attività degli organi rappresentativi delle categorie professionali, quali il Consiglio nazionale geologi. Tali poteri di vigilanza comportano la facoltà per il Ministero di procedere, ove ne ricorrano i presupposti di legge, al commissariamento e financo allo scioglimento nel caso non siano in grado di funzionare, ovvero se ricorrono altri gravi motivi (articolo 11 legge 3 febbraio 1963, n. 112);
   a seguito della proclamazione del risultato delle elezioni, avvenuta in data 24 ottobre 2015, il Ministero della giustizia dovrà procedere alla convocazione degli eletti per l'insediamento;
   preliminarmente all'insediamento dei geologi proclamati eletti, il Ministero della giustizia ha dunque, anche in considerazione di quanto esposto, la possibilità di verificare la regolarità delle operazioni elettorali attraverso l'acquisizione dei verbali di seggio e quant'altro ritenuto necessario –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato circa quanto riferito in premessa;
   se abbia promosso iniziative di competenza al riguardo e/o intenda eventualmente promuovere specifiche iniziative utili alla verifica dei fatti sopra segnalati, fatti che se confermati integrerebbero, a giudizio degli interroganti, la patente violazione delle norme vigenti in materia elettorale, al fine di garantire la legittimità delle operazioni di voto, anche attraverso l'eventuale adozione di provvedimenti di sospensione dell'insediamento e di commissariamento. (4-11115)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti rappresentano diverse criticità relative all'elezione per il rinnovo del consiglio nazionale dei geologi, svoltesi tra l'8 ed il 20 ottobre 2015.
  La normativa che disciplina l'elezione per il rinnovo del consiglio nazionale dei geologi è costituita dal combinato disposto degli articoli 3 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169 e dagli articoli da 1 a 6 della legge 25 luglio 1966, n. 616, nei limiti delle disposizioni non abrogate in forza del menzionato decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005.
  Richiamando il quadro di riferimento, gli interroganti prospettano irregolarità, ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005 citato, nella valutazione dei voti espressi e trasmessi a mezzo corrispondenza.
  Censurano, inoltre, la circostanza secondo cui non sarebbe stata ammessa la presenza di rappresentanti di lista o candidati all'atto di apertura delle buste contenenti le schede votate a mezzo posta ed alla loro conseguente valutazione di validità.
  Deducono che il Ministero della giustizia dispone del potere di commissariamento «e fìnanco di scioglimento» del Consiglio nazionale dei geologi a norma dell'articolo 11 della legge 3 febbraio 1963, anche in presenza di gravi motivi, prospettando che tali debbano ritenersi le riferite irregolarità.
  Richiedono, pertanto, di quali informazioni disponga il Ministero al riguardo e se abbia promosso o intenda promuovere iniziative che possano impedire l'insediamento del consiglio nazionale, disponendone il commissariamento.
  La questione posta attiene, all'evidenza, al regolare espletamento delle procedure elettorali per il rinnovo del consiglio nazionale dei geologi.
  Al riguardo, va premesso che il consiglio nazionale è l'organismo che rappresenta istituzionalmente, sul piano nazionale, gli interessi rilevanti della categoria professionale dei geologi ed è un ente pubblico non economico, a carattere associativo, dotato di autonomia, patrimoniale e finanziaria.
  Il consiglio, pertanto, determina la propria organizzazione attraverso appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge.
  Come noto, al Ministero della giustizia è attribuita la funzione di vigilanza sui consigli e sugli ordini professionali.
  Tale prerogativa, finalizzata a garantire il funzionamento degli enti rappresentativi, si estrinseca nel potere di scioglimento del consiglio che non sia in grado di svolgere, per qualsiasi ragione, le proprie attribuzioni regolarmente, ovvero quando sia decorso il termine, previsto dalla legge, entro il quale il consiglio debba essere nuovamente eletto, alla scadenza del precedente, ovvero – ancora – quando il consiglio stesso, richiamato all'osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nella loro violazione.
  Dal quadro così sommariamente delineato, discende che esula dai poteri di vigilanza del Ministero della giustizia la valutazione circa la legittimità dei procedimenti elettorali finalizzati al rinnovo del consiglio, riservati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 169 dell'8 luglio 2005 al medesimo consiglio nazionale.
  Ed invero l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica citato riserva al consiglio nazionale il potere di indire le consultazioni elettorali (comma 1) e di nominare il seggio elettorale (comma 8), mentre attribuisce al presidente del seggio elettorale (comma 20) la competenza in ordine alla proclamazione degli eletti.
  L'articolo 6 della legge 12 novembre 1990, n. 339, inoltre, attribuisce la competenza in materia di ricorsi elettorali allo stesso consiglio nazionale, in sede amministrativa, e, in seconda istanza, al tribunale ordinario.
  Nessun potere di ingerenza nel procedimento elettorale è, pertanto, attribuito dalla legge al Ministro della giustizia.
  Ne consegue che anche un intervento ministeriale volto allo scioglimento e commissariamento del consiglio neoeletto, sulla base di prospettate e, allo stato, indimostrate irregolarità, costituirebbe una interferenza nelle prerogative proprie dello stesso ente.
  Relativamente alle precedenti elezioni del consiglio nazionale dei geologi, svoltesi nell'anno 2010, risulta, peraltro, come il relativo procedimento sia stato contestato sia attraverso il previsto ricorso al consiglio nazionale, che mediante impugnativa al tribunale di Roma che, con ordinanza n. 936 del 2014, depositata il 16 gennaio 2014, ha rigettato il ricorso.
  La competente articolazione ministeriale ha, comunque, vagliato tutte le segnalazioni riferite alle rappresentate irregolarità non potendo, per le argomentazioni rassegnate, assumere iniziative a riguardo.
  La stessa direzione generale è, invece, costantemente impegnata nelle attività di indirizzo ed orientamento degli ordini, funzionali alla vigilanza, soprattutto nelle materie ad elevato grado di complessità.
  Con riferimento al voto a mezzo corrispondenza, difatti, si evidenzia come siffatta modalità di espressione del consenso abbia evidenziato, nella prassi, talune criticità applicative.
  Al fine di orientare l'interpretazione delle norme coinvolte, la direzione generale della giustizia civile ha emesso, già con nota in data 2 settembre 2005, n. 10265, una specifica circolare, indicando nel decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000 n. 445 la fonte regolatrice della materia.
  Con la nota citata, è stato evidenziato come, anche qualora il diritto di voto sia esercitato per corrispondenza, il riconoscimento e l'identificazione del votante non possano essere omessi, palesandosi come «indispensabile una attività equipollente a quella svolta per regola generale dai componenti il seggio», tale potendosi ritenere la«legalizzazione della firma da parte di un pubblico ufficiale secondo le modalità che lo stesso decreto del Presidente della Repubblica 445 del 2000 prevede agli articoli 30 e seguenti», in quanto idonea ad accertare l'effettivo esercizio della operazione di identificazione e riconoscimento del votante, a cura dei soggetti previsti dall'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53.
  Non è stata, invece, ritenuta valida modalità di identificazione, nei casi di votazione mediante lettera raccomandata, «... la sottoscrizione del votante trasmessa, unitamente ad una copia fotostatica di un valido documento d'identità nella busta chiusa e sottoscritta, contenente la scheda elettorale», come invece prospettato nei quesiti rivolti all'amministrazione, attraverso una lettura applicata «alla materia elettorale degli ordini professionali dell'articolo 38, 3 comma, richiamato dall'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 28 luglio 2000 in materia di documentazione e semplificazione amministrativa», posto che tali norme «si riferiscono o ad istanze o ad atti destinati a certificare stato, qualità o fatti, categorie alle quali non è certo riconducibile la dichiarazione di voto... per sua natura segreta, personale e non delegabile... esercitata sempre previo accertamento della identità del votante da parte dei componenti il seggio elettorale: accertamento che avviene o per riconoscimento personale o per ricognizione del documento personale esibito».
  Siffatta opzione ermeneutica, finalizzata ad assicurare la più ampia tutela alla segretezza e personalità dell'espressione di voto, in conformità a quanto disposto dall'articolo 48 della Costituzione, attraverso il rigoroso accertamento della identità del votante, è stata ritenuta, da ultimo, tuttora condivisibile anche dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. 3427 del 28 luglio 2016, ha annullato le elezioni per il rinnovo del consiglio nazionale dei biologi.
  Nella citata decisione, il Consiglio di Stato ha ritenuto conforme alla legge la nota richiamata in quanto «... circolare interpretativa tutt'altro che illegittima, oltre che vincolante per il sistema ordinistico-professionale, con la conseguente illegittimità dell'esercizio del potere amministrativo che se ne discosti».
  È indubbio che attraverso il voto per corrispondenza è favorita la partecipazione degli iscritti alle elezioni per il rinnovo degli organi degli ordini professionali, in una prospettiva di promozione dell'esercizio del diritto di voto anche per gli aventi diritto al voto residenti in località distanti dall'unico seggio centrale.

  Tuttavia, il «favor voti» e le esigenze di semplificazione incontrano un limite invalicabile nella necessità di garantire trasparenza, genuinità e personalità nell'esercizio del diritto di voto.
  L'autenticazione del pubblico ufficiale, terzo rispetto all'elettore è, pertanto, l'unica condizione idonea ad assicurare in via immediata il controllo anzidetto.
  Nella ipotesi del voto per corrispondenza occorre, dunque, l'autenticazione della firma per mezzo di un pubblico ufficiale, con esclusione dell'autocertificazione che, invece, non garantisce alcun controllo diretto sull'identità del votante.
  Nella votazione mediante lettera l'autenticazione della firma del votante sulla busta chiusa che contiene la scheda di voto è da considerarsi attività equipollente a quella svolta presso il seggio elettorale dai componenti il seggio medesimo, i quali accertano l'identità dell'elettore.
  La tutela della personalità e segretezza del voto è, pertanto, oggetto di costante attenzione da parte degli uffici del mio Dicastero.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo crack del 27 ottobre 2014, che ha travolto la cooperativa operaia di Trieste, Istria e Friuli, con un buco di 130 milioni di euro che mette a repentaglio i risparmi di 17.000 soci ed il futuro lavorativo di 600 dipendenti, ripropone allarme sul finanziamento delle coop attraverso i prestiti sociali, la gestione del risparmio in deroga al Testo Unico Bancario, il ruolo della vigilanza di Bankitalia;
   come raccontano molti quotidiani, a fine ottobre 2014, una storica cooperativa operaia si avvia verso il fallimento su richiesta della procura, con 103 milioni di «buco», 600 dipendenti in bilico e 17 mila soci rimasti con il cerino in mano. Mille dei quali sono già pronti a chiedere un risarcimento alla regione Friuli Venezia Giulia, mentre altri studiano una class action nei confronti delle coop a cui potrebbe partecipare anche il comune di Trieste. È in questo quadro che lunedì 27 ottobre, in un'aula del tribunale civile del capoluogo giuliano sotto il quale nel frattempo protestavano centinaia di risparmiatori, si è svolta l'udienza sulla richiesta di fallimento presentata dai pubblici ministeri Federico Frezza e Matteo Tripani per le coop operaie di Trieste, Istria e Friuli. L'inchiesta deflagrata una settimana fa vede indagato per falso in bilancio l’ex presidente Livio Marchetti in sella da dieci anni prima di essere esautorato dai pubblici ministeri. Nel mirino dei magistrati sono finite delle operazioni immobiliari infragruppo portate a termine per «gonfiare il patrimonio netto e rientrare solo fittiziamente nei parametri per il prestito sociale», come si legge nell'atto della procura triestina reso noto dal quotidiano Il Piccolo. In base all'attuale disciplina la raccolta di risparmio tra i soci delle coop denominata appunto prestito sociale, deve essere limitata a una cifra non superiore a cinque volte il patrimonio stesso della cooperativa;
   quindi secondo l'accusa la coop operaie ha compensato le pesanti perdite degli ultimi anni (37 milioni tra il 2007 e i primi mesi del 2014) con i proventi di cessioni avvenute solo sulla carta in quanto gli immobili venivano venduti «in casa» a società dello stesso gruppo. Un vecchio trucco praticato anche in Borsa, che sembra quindi funzionare ancora. E così a bilancio sono finiti guadagni netti (plusvalenze) «per 15 milioni su vendite di immobili ceduti internamente a società controllate al 100 per cento». Il trucchetto che ha permesso alla coop di stare in piedi nonostante quello che il consulente tecnico incaricato dalla procura definisce «uno scenario di precaria condizione finanziaria». Che si regge, appunto «sostanzialmente sul mantenimento del prestito sociale, il quale rappresenta la maggior parte delle passività finanziarie di breve periodo». Di qui la richiesta di fallimento. Anche se l'amministratore giudiziario Maurizio Consoli ha nel frattempo messo a punto un piano di salvataggio che vedrebbe coop Nordest intervenire in soccorso della cugina friulana acquistando per 70-80 milioni il centro commerciale Torri d'Europa, sul quale vantano già un diritto di prelazione in seguito a un finanziamento concesso a coop operaie che dovrebbe essere restituito entro fine anno. Peccato che anche i 103 milioni dei risparmiatori, ormai, esistano solo sulla carta: Consoli ha disposto la sospensione dei rimborsi «per salvare la società e conservarne il patrimonio». Vale a dire che i 17 mila soci prestatori non possono ritirarli. E il prestito sociale non è garantito fino a 104 mila euro, come invece i depositi bancari, bensì solo per una somma pari al 30 per cento di quanto versato. In questo caso a garanzia c’è una fidejussione concessa da Banca Generali. Per completare il quadro occorre aggiungere che la regione guidata dalla vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani in base a una legge del 2007, è tenuta a vigilare sull'attività delle cooperative. Di conseguenza il fatto che le irregolarità di gestione non siano emerse durante le revisioni svolte dal 2007 al 2013 «su incarico di Confcooperative o della Lega delle Cooperative», come riferito dal vicepresidente della giunta regionale Sergio Bolzonello, non fa venire meno le responsabilità politiche. Forse anche perché sa bene che la vicenda triestina è destinata a sollevare un nuovo polverone sul fenomeno dei prestiti sociali, che per l'universo delle coop italiane vale quasi 11 miliardi ma non è tutelato da adeguati fondi di garanzia né soggetto alla regolamentazione della Banca d'Italia, visto che le cooperative non sono istituti di credito e non dovrebbero agire come soggetti finanziari;
   in data 28 settembre 2013, a seguito di un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano intitolato: «Coop, gli oligarchi rossi che giocano in Borsa con i soldi dei soci», firmato da Giorgio Meletti, che accusava le cooperative di essere diventate banche d'affari che raccolgono risparmio – pur non essendo sottoposte ad alcuna vigilanza lanciandosi in rischiose operazioni finanziarie chiudendo i bilanci in perdita, con le «nove sorelle» inguaiate dopo aver investito chi su Unipol, chi su Monte dei Paschi, e partecipato al tentativo di salvare la Fonsai di Ligresti, Adusbef inviò una denuncia alla Banca d'Italia, chiedendo una maggiore vigilanza per impedire di mettere a rischio il risparmio degli investitori;
   scriveva infatti Meletti: «Potremmo parlare di banca clandestina, se non fosse tutto alla luce del sole. Basta entrare in un supermercato coop e diventare socio (che è come fare la tessera sconto in qualsiasi catena) per depositare i propri risparmi. Le nove grandi cooperative del consumo raccolgono ben 10,4 miliardi di euro. Sarebbe vietato;
   la coop infatti lo chiama «prestito soci», senza però spiegare al popolo che il prestito soci è un capitale messo a rischio nell'impresa che, sia essa una coop o una società di capitali, lo usa per la sua attività, come aprire un supermercato. Infatti accadono sotto gli occhi di tutti, comprese le autorità di vigilanza, due cose strane. La prima è che le coop utilizzano i risparmi dei loro soci non per mettere scaffali nuovi, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria. Esempio: l'Unicoop Firenze, la maggiore per fatturato (ben 3 miliardi di euro), ha in bilancio immobilizzazioni tecniche (ciò che serve per funzionare) per 2 miliardi e debiti verso i soci per 2,3 miliardi. Ma il debito complessivo è di 3 miliardi. Che ci fa la coop con tutti quei soldi ? Unicoop Firenze ha in bilancio 644 milioni di immobilizzazioni finanziarie: una vera merchant bank. I conti in rosso degli uomini al potere da decenni. La seconda stranezza è che queste banche d'affari a marchio coop non sono sottoposte ad alcuna vigilanza. La Banca d'Italia controlla le banche propriamente dette, ma le coop non se le fila nessuno, punto e basta. Negli ultimi anni, complice la crisi e nella disattenzione generale, si sono messe nei guai. L'anno scorso le «nove sorelle» (oltre 12 miliardi di fatturato, con 50 mila dipendenti e sette milioni di soci in tutto) hanno chiuso i loro bilanci in rosso per complessivi 135 milioni di euro, e proprio per colpa della finanza...»;
   la Banca d'Italia in data 22 gennaio 2014, riscontrando la nota Adusbef del 28 ottobre 2013, rispondeva che il quadro ordinamentale non avrebbe assegnato alla vigilanza alcun potere sull'operatività delle cooperative soggette ai controlli del Ministero dello sviluppo economico e delle associazioni nazionali di rappresentanza, ma che ciò posto – nell'evidenziare, con specifico riferimento alle caratteristiche dei cosiddetti «prestiti sociali», che la normativa vigente vieta alle società cooperative non bancarie la raccolta del risparmio presso i soci con possibilità di rimborso «a vista» – si rende noto che questo Istituto ha assunto le iniziative reputate doverose;
   in un articolo de Il fatto quotidiano, pubblicato il 10 dicembre 2014, dal titolo: «Il miracolo delle coop: la grande banca all'insaputa della vigilanza», Giorgio Meletti, prendendo spunto dal caso delle due cooperative di Trieste e Friuli, che avrebbero bruciato 130 miliardi di euro, torna a stigmatizzare i comportamenti della Banca d'Italia che avrebbe il dovere di vigilare sulla mole di investimenti personali con oltre 1 milione di libretti distribuiti alla clientela con la garanzia di «depositi a vista», ritirabili anche con il Bancomat, vietato dalla legge a chi non ha apposita autorizzazione con Palazzo Koch che se ne lava le mani –:
   la Banca d'Italia e la Consob, secondo l'interrogante hanno il dovere di una maggiore vigilanza per impedire che questa sorta di «banca clandestina», possa mettere a rischio il risparmio degli investitori, dato che il «prestito soci», è un capitale messo a rischio nell'impresa che, sia essa una coop o una società di capitali, lo usa per la sua attività, utilizzando i risparmi dei loro soci non per mettere scaffali nuovi, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria;
   negli ultimi anni, complice la crisi e nella disattenzione generale, le «nove sorelle» (oltre 12 miliardi di fatturato, con 50 mila dipendenti e sette milioni di soci in tutto) a chiudere i loro bilanci in rosso per complessivi 135 milioni di euro, proprio per colpa della finanza e degli investimenti speculativi;
   se il Ministero dello sviluppo economico abbia nel corso delle precedenti verifiche ed ispezioni, rilevato l'anomalia di iniziative imprenditoriali quali quelle descritte in premessa e quali rilievi abbiano mosso gli ispettori ministeriali;
   se sia vero che non sia prevista una specifica forma di vigilanza sulla tipologia di attività descritta in premessa considerato che non appare accettabile che società cooperative giochino in borsa con i soldi dei soci, trasformandosi, di fatto, in banche d'affari;
   se non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa diretta a disciplinare puntualmente i contenuti, le forme e le responsabilità di tale vigilanza, circoscrivendo, a tutela dei risparmiatori, i casi nei quali le attività descritte in premessa possano essere consentite, nonché stabilendo le sanzioni in caso di violazione della medesima normativa;
   quali misure urgenti il Governo intende attivare per tutelare i soci investitori delle coop, che come nell'ultimo crack, hanno visto andare in fumo 130 milioni di euro del sudato risparmio dei soci coop. (4-07364)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame, per quanto di competenza, rappresentando ciò che segue.
  Si vuole ricordare preliminarmente che la società cooperativa alla quale gli interroganti fanno riferimento ha sede in una regione a statuto speciale e che in tali casi, per ciò che concerne le funzioni di vigilanza, la competenza è attribuita alle regioni medesime che abbiano previsto nei loro statuti una competenza esclusiva o concorrente con lo Stato in materia di cooperazione, come nel caso in esame della regione Friuli Venezia Giulia.
  Le altre cooperative citate nell'atto, come evidenziato dagli stessi interroganti, appartengono al gruppo Coop Italia e risultano essere aderenti all'associazione Lega Nazionale Cooperative e mutue alla quale è affidato l'espletamento dell'attività di vigilanza ordinaria volta ad accertare i requisiti mutualistici delle cooperative stesse, con il fine sia di migliorarne la gestione, il livello di democrazia interna, di promuovere la reale partecipazione dei soci alla vita sociale e sia di verificare la legittimità degli enti di beneficiare delle agevolazioni fiscali.
  La vigilanza nei confronti di tali cooperative, pertanto è stata assolta nell'ambito della normale attività di revisione esercitata dall'associazione di riferimento non essendo stata attivata l'attività straordinaria di ispezione che la normativa attribuisce invece in via esclusiva al Ministero dello sviluppo economico.
  Per ciò che attiene alla problematica concernente l'utilizzo del «prestito sociale» si fa presente come il tema sia emerso nell'esercizio della vigilanza, in particolare, nei confronti di grandi realtà cooperative, quali quelle appartenenti alla categoria di «consumo».
  In tali casi per una maggiore trasparenza nella gestione societaria e con il decreto ministeriale del 18 settembre 2014 sono state varate misure atte a rafforzare il coinvolgimento dei soci nei processi decisionali della cooperativa e garantire una maggiore trasparenza nelle gestioni mutualistiche, tra le quali, appunto, la raccolta dei prestito sociale, attraverso una maggiore informazione agli stessi riguardo alle attività sociali.
  È da sottolineare, infatti, che la raccolta del prestito sociale, attraverso i conferimenti dei soci, costituisce un sistema di finanziamento endosocietario che non può e non deve essere equiparato all'esercizio dell'attività bancaria ed in cui è auspicabile che il socio acquisisca la consapevolezza che, con l'adesione al prestito sociale, sta finanziando l'attività di impresa della società di cui fa parte, assumendosi appunto l'alea del rischio di impresa.
  Il sistema della vigilanza amministrativa compie controlli sulle modalità, sul rispetto dei limiti della raccolta del prestito dai soci, sulla salvaguardia della funzione sociale dell'istituto a tutela del risparmio dei soci.
  I revisori, nello specifico, hanno il compito di controllare e relazionare nel verbale circa il rispetto di alcuni imprescindibili obblighi quali: la previsione statutaria, la raccolta del prestito solo con i soci e che tale raccolta sia finalizzata esclusivamente per il conseguimento dell'oggetto sociale, l'adozione di un regolamento interno che regoli la raccolta del prestito approvato dall'assemblea dei soci, la sottoscrizione di un contratto in forma scritta, il rispetto dei limiti massimi del deposito complessivo da parte di ciascun socio e il limite massimo del tasso di interesse da corrispondere.
  Si vuole, infine, precisare che non costituiscono prestiti sociali i versamenti effettuati per usufruire di specifici servizi resi dalla cooperativa, i versamenti collegati alla realizzazione di specifici programmi societari (esempio nelle cooperative edilizie) e i versamenti vincolati quali i depositi cauzionali.
  Qualora si riscontrino criticità, i revisori diffidano l'ente a regolarizzare la posizione e provvedono, eventualmente, ad inviare una segnalazione ad altre amministrazioni, per quanto di loro competenza, anche in considerazione dei risvolti di natura tributaria.
  Sempre sul tema ed in seguito all'emergere delle suddette criticità, è stata svolta da parte della Banca d'Italia, un'attività volta alla revisione della regolamentazione in essere, che di recente ha portato all'emanazione del provvedimento «Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche» dell'8 novembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 271 del 19 novembre 2016.
  Scopo della rivista regolamentazione risulta quello di «rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specie con riferimento a forme di raccolta che coinvolgono un pubblico numeroso e prevalentemente composto da consumatori».
  In particolare in tale ambito, con riferimento alla raccolta del risparmio presso i soci effettuata da società cooperative, l'Istituto, accogliendo anche alcune proposte provenienti dai soggetti che hanno partecipato alla consultazione pubblica sullo schema di provvedimento, ha dettato disposizioni in materia di schemi di garanzia dei prestiti sociali (che devono essere promossi dalle associazioni di categoria o direttamente dalle cooperative) allo scopo di aumentarne la credibilità, l'efficacia, la completezza della copertura e la tempestiva attivazione nel caso di bisogno.
  Banca d'Italia ha segnalato, inoltre che, sempre in sede di consultazione sono emerse ulteriori proposte di riforma che richiederebbero un intervento di rango legislativo, riferendosi in particolare alle richieste concernenti: regole di trasparenza che impongano alle società cooperative un obbligo di pubblicazione sul proprio sito internet delle informazioni relative alle modalità di raccolta di risparmio presso i soci e all'eventuale adesione a schemi di garanzia dei prestiti sociali; una complessiva revisione della normativa del «prestito sociale» volta, fra l'altro, a ricondurre la disciplina delle grandi cooperative e quelle delle altre società, finalizzare la raccolta tra soci all'attività mutualistica, imporre vincoli di durata minima per tale forma di raccolta, separare l'attività finanziaria dall'attività non finanziaria svolte da una cooperativa.
  Di recente, inoltre, la Camera dei deputati ha approvato il dispositivo riformulato dalla mozione Ciprini e altri n. 1-01309 con il parere favorevole del Governo, finalizzato tra l'altro ad adottare «iniziative normative nelle cooperative che fanno ricorso al “prestito sociale”», prevedendo controlli adeguati e la fissazione di stringenti parametri di liquidità, di solidità finanziaria, di trasparenza, d'informazione e di pubblicità dei bilanci e degli investimenti da parte delle cooperative a favore del socio aderente.
  Sull'argomento, pertanto, il Ministero dello sviluppo economico conferma la disponibilità e l'interesse istituzionale ad affrontare la tematica evidenziata nelle sedi politiche e istituzionali a ciò deputate, anche in coordinamento con le altre istituzioni competenti sulla materia.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Malpensa è l'aeroporto intercontinentale di Milano considerato il principale scalo dell'Italia settentrionale;
   l'aeroporto è gestito su concessione statale dalla società aeroportuale «SEA S.p.a.» di Milano, azienda misto pubblico-privata, che ha come soci il Comune di Milano al 55 per cento, il fondo F2i, cui partecipa la Cassa depositi e prestiti, al 44 per cento e il comune di Busto Arsizio;
   S.E.A. s.p.a., essendo controllata dal comune di Milano, ha l'obbligo di rispettare le leggi in materia di gare d'appalto, trasparenza e controllo sull'esecuzione delle opere come previste nei capitolati d'appalto;
   l'aeroporto di Malpensa, inaugurato nel 1998, ha subito nel corso degli anni diversi interventi di ampliamento e ammodernamento: nel 2009 sono stati avviati i lavori di costruzione del terzo satellite, conclusi il 13 gennaio 2013, con un investimento, secondo le dichiarazioni di SEA s.p.a. reperibili dall'indirizzo http://www.seamilano.eu/it, di circa 300 milioni di euro;
   in seguito lo scalo è stato oggetto di restyling ed è stato inaugurato il 15 aprile 2015, con un investimento economico di 30 milioni di euro;
   il 15 maggio 2015 un forte temporale si è abbattuto in provincia di Varese creando danni e non pochi disagi anche all'Aeroporto di Malpensa;
   per quarantacinque minuti non ci sono stati né decolli né atterraggi: undici voli sono stati dirottati, cinque dei quali a Linate;
   lo scalo ha subito danni, come si evidenzia dalle foto e dai filmati pubblicati, tra i quali:
    crollo di una parte di controsoffitto, interessata dal restyling ultimato ad aprile 2015, presso la porta n.6 al piano arrivi, mentre gli addetti alle pulizie della società Romeo stavano tentando di aspirare l'acqua che cadeva copiosamente, mettendo a rischio la propria sicurezza e quella dei passeggeri presenti;
    allagamento del satellite «C», appena inaugurato, con conseguenti danni anche alle attività commerciali circostanti;
    allagamento dei vani ascensore;
    allagamento dello smistamento bagagli;
    allagamento di varie zone del piazzale degli aeromobili;
   in merito all'accaduto SEA s.p.a., che gestisce i servizi a terra, ha spiegato che la zona era stata evacuata ancor prima che accadesse il crollo senza alcun rischio per i passeggeri;
   per sicurezza SEA s.p.a. ha quindi fermato i traffici passeggeri;
   allagata anche la strada statale 336, che conduce all'Aeroporto, nel tratto che collega la città di Busto Arsizio con la zona di Malpensa;
   dalle informazioni in possesso dell'interrogante si può affermare che l'evento atmosferico avvenuto nel territorio di Busto Arsizio – Malpensa non ha provocato alcuna emergenza per la popolazione del territorio e non ci sono stati interventi da parte della protezione civile per la popolazione o le loro abitazioni private e commerciali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative abbia intrapreso per quanto di competenza, per verificare eventuali responsabilità;
   se siano state rispettate le normative edilizie in vigore e gli standard delle infrastrutture nell'aeroporto di Malpensa;   
   se intenda eseguire, per quanto di competenza, dei controlli sugli appalti riguardanti i lavori sulla costruzione del terzo satellite e sul restyling dell'intera struttura, avvalendosi del supporto dell'A.N.AC;
   in quale modo siano stati assegnati i lavori di collaudo sulle opere di costruzione del terzo satellite e i lavori di collaudo sulle opere di restyling;
   se le opere di manutenzione riguardante le reti idriche e alle griglie per la raccolta dell'acqua piovana eseguite alcuni giorni dopo l'evento dalla Global service siano state eseguite nel rispetto del contratto d'appalto;
   se siano state eseguite le opere di ripristino delle coperture dell'aerostazione e da chi siano stati eseguiti i lavori;
   se siano stati quantificati i danni e se tal evento abbia creato un danno economico allo Stato. (4-10601)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame di questo Ministero ha interpellato l'Enac che ha fatto sapere quanto segue.
  Occorre premettere che, sulla base della relazione trasmessa a Enac dal PH manutenzione Malpensa della società Sea recante «Aeroporto di Milano Malpensa, stima dei danni ed interventi di ripristino a seguito del nubifragio del 15 maggio 2015», la precipitazione oggetto dell'interrogazione in parola ha provocato danni da allagamento sia all'interno del Terminal 1, a seguito di infiltrazioni d'acqua che hanno interessato tutti i piani dell'aerostazione in corrispondenza del picchetto 10, sia all'esterno del Terminal, nonché in area airside e landside.
  La causa delle infiltrazioni d'acqua, secondo la relazione del PH manutenzione Malpensa, è ascrivibile all'eccezionalità dell'evento, stimato nel punto di massima intensità in 30 mm per una durata di 10 minuti e di circa 200 mm in 105 minuti, ossia di circa 200 litri per ogni metro quadro caduti nel periodo di picco tra le ore 12:00 e 13:45. La serie storica (dal 1971 al 2000) delle precipitazioni rilevate dalla stazione meteo di Malpensa riporta per l'intero mese di maggio una precipitazione media di 155 mm al mese.
  Nella citata relazione si fa presente che a fronte di tale eccezionale precipitazione si sono verificati principalmente tre eventi distinti, non correlati fra loro:
   infiltrazioni in aerostazione ai piani check-in, imbarchi e arrivi, in corrispondenza del picchetto 10 (zona 3o/3o);
   allagamento area di manovra con inagibilità della pista 35L e di alcuni raccordi;
   allagamento BHS e rotonde a nord e sud dell'hotel Sheraton.

  Per quanto concerne il primo evento questo è stato determinato dal carico d'acqua da smaltire accumulatosi in copertura che non è riuscito a defluire completamente dai pluviali e pertanto l'acqua è tracimata dai cordoli della copertura, defluendo direttamente nel piano check-in e, attraverso i cavedi, anche nei piani sottostanti (imbarchi ed arrivi).
  Gli allagamenti nell'area del BHS ed in parti della viabilità esterna adiacente il Terminal 1, sono dovuti al superamento di quasi il 50 per cento della portata massima dei collettori finali di scarico delle acque piovane e delle conseguenti difficoltà di smaltimento del sistema di recapito costituito da 8 vasche di prima pioggia e relativi pozzi di dispersione a servizio dell'aerostazione (3 – disposte nelle rotatorie sud. nord e nel BHS), della stazione ferroviaria (2) e dei parcheggi (3 – parcheggi nord, centro e sud).
  L'allagamento delle infrastrutture di volo è stato determinato dal superamento della capacità dei pozzi disperdenti presenti in airside. La situazione più grave si è verificata sulla pista 35L mentre sulla pista 35R, recentemente riqualificata anche con la sostituzione dei fognoli, i problemi sono stati minori ed è stato possibile mantenerne l'operatività.
  Premesso ciò, Enac fa presente che i lavori del Satellite nord (C) e il completamento architettonico e strutturale dell'aerostazione passeggeri Terminal 1, hanno riguardato principalmente interventi interni; lo stesso Ente evidenzia che nel corso dei sopralluoghi effettuati non si sono verificati ritorni di allagamenti interessanti tali lavori.
  La parte preesistente del Terminal 1 – dove si è verificata l'altra infiltrazione – ha richiesto lavori di restyling consistenti sostanzialmente in opere interne di finitura e di riqualifica degli impianti.
  Per quanto concerne le modalità di affidamento dei lavori, Enac ricorda di non svolgere attività di «sorveglianza» nelle fasi relative all'affidamento degli appalti, infatti i gestori sono totalmente responsabili degli stessi sotto il profilo del rispetto delle disposizioni di legge.
  In ordine alle modalità di affidamento del collaudo, lo stesso è stato effettuato da funzionari Enac all'uopo incaricati, secondo le procedure dell'ente, per quanto riguarda il Terminal 1 ed il Satellite C; gli interventi di restyling (più interventi, in parte affidati nell'ambito del «contratto quadro di manutenzione», in parte affidati ad altri soggetti), sono stati assoggettati a «certificazione di regolare esecuzione» da parte di Sea. (Tali interventi, eseguiti senza autorizzazione Enac in quanto ritenuti dal gestore interventi di manutenzione eseguibili senza titolo abilitativo, sono tra quelli oggetto di successiva verifica da parte del GdL appositamente nominato dalle direzioni centrali attività aeronautiche ed infrastrutture aeroporti per valutare gli investimenti dei gestori AdR, Save e Sea).
  Successivamente all'evento Sea ha avviato l'esecuzione di una serie di interventi di manutenzione urgenti; tali interventi sono stati eseguiti in parte nell'ambito del «contratto quadro di manutenzione» in essere per gli aeroporti di Malpensa e Linate, in parte mediante affidamento ad altri soggetti.
  Infine, per quanto concerne i lavori di ripristino delle coperture, la società Sea ha programmato una serie di interventi volti a minimizzare il rischio di criticità in caso di eventi meteo di particolare intensità. Tali interventi includono la realizzazione di nuove condotte di by-pass (per scaricare gli eccessi idrici degli attuali collettori), la realizzazione di interventi di sigillatura in copertura e, per quanto riguarda la parte di Terminal più datata e vetusta (zone a sud), la sostituzione del manto di copertura (inclusa impermeabilizzazione) e la sostituzione della guaina impermeabile del viadotto partenze. A tale riguardo, Enac informa che il primo degli interventi sopra descritti risulta essere già stato avviato, mentre gli interventi di sigillatura sono in fase di affidamento.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i dati del dossier «Terra dei Fuochi» elaborato da Legambiente e presentato il 18 settembre 2013, in occasione del lancio della annuale campagna «Puliamo il mondo», dimostrano quanto sia perentorio contrastare da subito e con misure a carattere prioritario lo smaltimento illecito di rifiuti per tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini. Questione che interessa a vario titolo tutta l'Italia, anche se con maggiore drammaticità la Campania ed, in particolare, le province di Napoli e Caserta;
   si evince dal sopraccitato dossier che negli ultimi cinque anni tra le province di Napoli e Caserta sono stati compiuti ben 205 arresti per traffici e smaltimenti illegali di rifiuti, pari al 29,2 per cento del totale nazionale, e nei 20 mesi compresi tra gennaio 2012 al 31 agosto 2013 sono stati registrati migliaia di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci: ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta;
   l'Istituto Pascale di Napoli ha recentemente pubblicato un rapporto sui casi di morte verificatisi dal 1998 a causa delle neoplasie e dalla ricerca emerge un aumento dei tumori stimato fino al 47 per cento e, soprattutto, la stretta correlazione tra inquinamento ambientale e patologie neoplastiche –:
   se i Ministri interrogati non intendano provvedere, con gli adeguati strumenti normativi e per quanto di loro competenza, affinché sia data maggiore forza all'attività di controllo, prevenzione e contrasto delle attività illegali di smaltimento dei rifiuti e dei roghi «tossici» nella «Terra dei fuochi», destinando ad essa risorse specifiche e adeguate;
   se non ritengano poi utile istituire un tavolo tecnico per l'emergenza roghi nella Terra dei Fuochi, anche ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali e con la regione Campania, per controllare l'impatto su salute e produzione agroalimentare dell'inquinamento; da ultimo se non si intenda dichiarare l'area della Terra dei Fuochi sito da bonificare di interesse nazionale al fine di arrivare rapidamente alla bonifica assumendo le iniziative di competenza per pervenire al risarcimento del danno ambientale da parte dei responsabili dei fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti e per uscire dal regime di gestione emergenziale di gestione di rifiuti della regione. (4-01886)


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la triste e tangibile catastrofe ambientale, sanitaria ed economica che da anni interessa le province di Napoli, Caserta, in particolare la «terra dei fuochi» – area compresa tra i comuni di Qualiano, Giugliano, Villaricca, Casal di Principe, Villa Literno – la Baia Domizia, i territori a nord di Napoli è, da tempo, tristemente nota all'Unione europea, al Governo italiano, all'amministrazione regionale della Campania, all'opinione pubblica nazionale ed internazionale; questo «ecocidio» dato dallo sversamento e trattamento illegali di rifiuti e quasi sempre legati alla criminalità organizzata, come lamentano le più importanti associazioni ambientali nazionali come Legambiente, ha interessato anche territori limitrofi alla Campania e anche altre zone d'Italia;
   il comune di Giugliano in Campania (Napoli) è stato sciolto ex lege per infiltrazioni mafioso-camorristiche nell'aprile del 2013; l'attuale commissario prefettizio è rappresentato dal dottor Fabio Giombini;
   da verbali trasmessi dal commissario delegato Mario De Biase alle competenti autorità, quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Campania e presentati anche nel corso di un'audizione informale, il 27 novembre 2013, dal detto Commissario alla VIII Commissione della Camera dei deputati, si evince che nel comune di Giugliano in Campania insistono tre pozzi privati fortemente inquinati e tuttora utilizzati per irrigare campi dedicati alla produzione agricole ad alimentazione umana;
   nello stesso territorio comunale esistono poi campi coltivati con percentuali altissime e fuori norma di inquinanti per cui non è stata ancora emessa ordinanza commissariale di sequestro e divieto alla coltivazione da parte dell'amministrazione straordinaria di Giugliano in Campania;
   si manifestano altresì nei citati verbali descrizioni di atteggiamenti che appaiono all'interrogante dilatori da parte degli uffici dell'amministrazione comunale nel rendere effettive le ordinanze di sequestro di pozzi e terreni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e se essi trovino riscontro e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano assumere al fine della tutela dell'ambiente e della salute pubblica. (4-02792)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche segnalate dall'interrogante relative all'inquinamento ambientale nel comune di Giugliano in Campania, sono da tempo all'attenzione di questo dicastero, nel quadro delle attività promosse dal patto per la Terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  A tale riguardo, nel corso della riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 21 luglio 2015, alla quale hanno partecipato il sindaco di Giugliano e il procuratore della Repubblica di Napoli Nord, è stato disposto un rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sui siti maggiormente interessati dagli incendi, anche con la rimodulazione del contingente militare già operante nell'area, che è stato in parte impiegato nella sorveglianza fissa di alcune zone del territorio di Giugliano, ritenute strategiche per il controllo delle strade di collegamento verso i siti di stoccaggio abusivo dei rifiuti.
  In prossimità dell'ultima stagione estiva, si sono svolti fin dalla primavera numerosi incontri per la predisposizione di specifiche misure di competenza dei diversi organi di amministrazione, controllo e repressione. In particolare nelle riunioni relative ai comuni di Giugliano, Acerra, Caivano per la provincia di Napoli sono state adottate misure in materia di:
   risanamento dei siti storici di abbandono dei rifiuti;
   potenziamento del servizio di raccolta rifiuti urbani e assimilati;
   aggiornamento del registro comunale e regionale delle aree interessate da abbandono e da roghi di rifiuti;

   interventi urgenti sui luoghi di stoccaggio abusivo di rifiuti a rischio incendio e di potenziamento dei sistemi di video-sorveglianza;
   rafforzamento delle misure di vigilanza e di repressione dei fenomeni.

  In particolare è stata approvata dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presso la prefettura di Napoli una pianificazione dei servizi che prevede l'impiego mirato dei militari in alcuni settori nei quali si è evidenziata nell'ultimo periodo una più elevata propensione ai fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti, tra cui, per la provincia di Napoli, il quadrilatero Giugliano-Melito-Qualiano-Marano.
  È stata svolta un'attività di controllo per posti di osservazione sui siti maggiormente interessati dai fenomeni di smaltimento abusivo, finalizzati alla prevenzione degli sversamenti e dei roghi, ma anche all'identificazione e, in collegamento con i presidi delle forze dell'ordine, di fermo di persone sospettate di attuare condotte illecite di abbandono e di incendio di rifiuti, specificamente sanzionate dall'articolo 256-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Inoltre le forze dell'ordine, le polizie municipali, la polizia provinciale, secondo le linee operative definite nel piano di contrasto dei roghi di rifiuti, sono impegnate ad effettuare controlli sulle attività economiche (gommisti, officine, imprese edili e manifatturiere, esercizi commerciali), finalizzati a verificare il rispetto delle procedure di smaltimento dei rifiuti speciali prodotti. Il Corpo forestale dello Stato concorre con mirate attività rivolte a risalire la filiera di produzione dei rifiuti speciali e sul corretto smaltimento dei rifiuti provenienti da attività zootecniche e agricole.
  Analogamente la Guardia di finanza provvede, anche avvalendosi delle informazioni che le pervengono per il tramite della Sala dati regionale alla quale convergono le segnalazioni dei militari, degli osservatori civici e dei cittadini, ad effettuare, nell'ambito delle verifiche fiscali, controlli sulle imprese nei settori produttivi sensibili e sulle aziende iscritte all'albo dei gestori ambientali, sospettate di alimentare il flusso di materiale smaltito illegalmente.
  Nonostante l'impegno messo in campo e i risultati conseguiti in termini di contenimento e di contrazione del fenomeno dei roghi, si sono registrati negli ultimi mesi alcuni incendi di grandi dimensioni, non riconducibili in maniera specifica alla tematica dello smaltimento illegale dei rifiuti mediante combustione, ma che hanno talvolta interessato anche materiale qualificato come rifiuto.
  Il primo di questi si è sviluppato, nel pomeriggio del 9 luglio 2016 presso gli impianti delle ex discariche «Masseria del Pozzo ed ampliamento Masseria del Pozzo, Schiavi, Novambiente» che fanno parte dell'area vasta ex SIN di Giugliano, che si estende per circa 210 ettari e comprende una serie di aree utilizzate in passato come discarica e tuttora oggetto di sequestro giudiziario, tra le quali anche la Resit cava X e cava Z, San Giuseppiello, Fibe e stoccaggio Ecoballe Fibe in località Giuliani e Monte Riccio e discarica Eredi Giuliani.
  Su tali aree sono state effettuate negli scorsi anni indagini ambientali e sono stati realizzati o sono ancora in corso interventi di messa in sicurezza e di bonifica, a cura del Commissario delegato di cui all'articolo 11 dell'ordinanza n. 3891 del 5 agosto 2010 del Presidente del Consiglio dei ministri.
  L'episodio incendiario, sul quale procede il tribunale di Napoli Nord, non ha riguardato rifiuti, ma ha interessato, secondo quanto riferito dallo stesso commissario delegato, l'impiantistica (copertura, impianto di captazione bio-gas e percolato) della collinetta-ex discarica di Masseria del Pozzo, nonché la vegetazione che ricopre le altre discariche sopra indicate. Dalle prime informazioni sembrerebbe certa la natura dolosa dell'evento, che ha potuto aver luogo nonostante il servizio di custodia effettuato da una guardia giurata.
  A seguito di tale episodio sono stati ulteriormente rafforzati a Giugliano i servizi di vigilanza ravvicinata nei pressi dell'area in questione, anche con l'impiego di una pattuglia di militari del contingente dell'esercito.
  Sotto il profilo repressivo sono in corso attività giudiziarie che hanno già portato al sequestro e allo sgombero di alcuni insediamenti, come quello di Masseria del Pozzo a Giugliano.
  Ad ogni modo, si segnala che le problematiche connesse alla cosiddetta Terra dei Fuochi rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che presiede il Comitato interministeriale istituito con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della Regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita un'apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal Comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della Terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla Commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal Comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro. Tali misure possono suddividersi in 6 macroaree d'intervento: misure per le bonifiche e il ripristino ambientale (le quali prevedono un fabbisogno economico pari a 38,5 milioni di euro); misure ricadenti sulla sicurezza (19,65 milioni di euro); area ambiente e salute (40,725 milioni di euro); rafforzamento delle misure di prevenzione antimafia e anticorruzione per le attività inerenti alla messa in sicurezza e la bonifica dei terreni (1,2 milioni di euro); misure relative alla comunicazione, sensibilizzazione e informazione della popolazione (250.000 euro); area rivitalizzazione economica del territorio (3,1 milioni di euro).
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal citato decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, il Ministero dell'ambiente ha già predisposto lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Tale schema è stato trasmesso in data 9 novembre 2016 agli altri ministeri competenti per acquisire il prescritto parere. Al riguardo il Ministero è costantemente impegnato nell'attività di monitoraggio in ordine al predetto iter.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni ed enti, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Vicenza, nel quartiere di «Borgo Berga», a pochi passi dal centro storico e dalla villa palladiana de «La Rotonda», è in via di completamento un enorme complesso edilizio che include diversi edifici commerciali, direzionali e residenziali, compreso il nuovo palazzo di giustizia berico;
   detto complesso edilizio sorge a ridosso dei fiumi Retrone e Bacchiglione, in un'area inquinata e mai oggetto di bonifica, e certamente instabile dal punto di vista idrogeologico;
   a seguito di numerosi esposti e denunce, presentati sin dal 2013, la procura di Vicenza ha recentemente contestato alla proprietà il reato di lottizzazione abusiva, emettendo 17 avvisi di garanzia a carico di privati e pubblici funzionari, anche se al momento non sembrerebbero essere stati ancora notificati; anche l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e la procura presso la Corte dei Conti hanno aperto dei procedimenti rispettivamente per violazione del codice degli appalti pubblici e per danno erariale;
   l'impianto accusatorio è stato confermato dal GIP che il 2 novembre 2015, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto il sequestro preventivo di un lotto dove i lavori non sono iniziati; non sono stati oggetto della richiesta di sequestro, invece, i lotti dove sono tuttora in corso i lavori di completamento degli edifici. A proposito scrive il GIP: «è però un fatto che sussista l'illegittimità del piano di lottizzazione, e dunque dei permessi a costruire rilasciati, concernenti la complessiva edificabilità dell'area siccome prevista dal Piano.»;
   gli edifici risultano peraltro in violazione della necessaria fascia di rispetto fluviale prevista dall'articolo 96 del regio decreto n. 523 del 1904, «Testo unico sulle opere idrauliche», che prevede per le costruzioni una distanza minima inderogabile di 10 metri dai corsi d'acqua;
   il sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. di parte dell'area in questione ha avuto come scopo quello di evitare che il «reato venga portato alle estreme conseguenze» e di evitare che chi abbia violato la legge possa continuare a trarne beneficio a causa dell'illecito posto in essere, ad esempio, vendendo o affittando a terzi gli immobili presunti abusivi in via di costruzione;
   a quanto risulta all'interrogante non è stato richiesto il sequestro degli edifici in via di completamento. Di più, è stato autorizzato il passaggio nel lotto sequestrato dei mezzi pesanti che possono così raggiungere l'adiacente cantiere dove sono in corso i lavori edilizi abusivi;
   numerose associazioni ambientaliste vicentine, in primis Legambiente Vicenza, con istanza del 30 marzo 2016, hanno chiesto al tribunale l'allargamento del sequestro a tutti gli immobili in via di costruzione e non ancora in uso, proprio per evitare che l'illecita attività del privato, concernente anche la vendita o la stipulazione di contratti di affitto, possa continuare;
   a questo riguardo, si apprende da stampa nazionale e locale che l'Agenzia delle entrate, potrebbe essere trasferita dal centro della città in uno degli edifici della contestata lottizzazione abusiva di Borgo Berga, in forza di un contratto di locazione stipulato recentemente tra l'Agenzia delle entrate e la società Sviluppo Cotorossi s.p.a;
   l'Agenzia delle entrate sostiene che il palazzo settecentesco situato in corso Palladio, attuale sede degli uffici dell'Agenzia delle entrate, di proprietà dell'Agenzia del demanio, presenta problemi di sicurezza e logistici a causa della sua vetustà;
   il trasferimento, previsto nel mese di aprile 2017, quando i lavori edilizi verranno ultimati, secondo quanto riferito dal citato articolo di stampa, «genererà per l'Agenzia delle entrate un risparmio di circa 179 mila euro l'anno» (Il Giornale di Vicenza, dell'11 marzo 2016);
   con la stipula del suddetto contratto, all'Agenzia delle entrate potrebbe essere contestata la presunta violazione di disposizioni della legge finanziaria 2010, legge 23 dicembre 2009, n. 191, la quale prevede una puntuale procedura che ogni ente pubblico avente la necessità di prendere in locazione un immobile, deve obbligatoriamente espletare;
   in particolare, l'articolo 2, comma 222, prevede che «A decorrere dal 1° gennaio 2010, le amministrazioni dello Stato (...) incluse (...) le agenzie, anche fiscali, comunicano annualmente all'Agenzia del demanio, entro il 31 gennaio, la previsione triennale: a) del loro fabbisogno di spazio allocativo; b) delle superfici da esse occupate non più necessarie. Le predette amministrazioni comunicano altresì all'Agenzia del demanio, entro il 31 gennaio 2011, le istruttorie in corso per reperire immobili in locazione. L'Agenzia del demanio (...) a) accerta l'esistenza di immobili da assegnare in uso fra quelli di proprietà dello Stato (...) b) verifica la congruità del canone degli immobili di proprietà di terzi (...), individuati dalle predette amministrazioni tramite indagini di mercato; c) stipula i contratti di locazione ovvero rinnova, qualora ne persista il bisogno, quelli in scadenza sottoscritti dalle predette amministrazioni (...) d) (...) È nullo ogni contratto di locazione di immobili non stipulato dall'Agenzia del demanio»;
   per quanto sopraddetto, mentre sono pendenti procedimenti penali e procedimenti, presso la Corte dei Conti e l'ANAC, di cui la stampa locale e nazionale hanno riportato la notizia, un ente pubblico, quale l'Agenzia delle entrate, decide di stipulare un contratto di locazione per un edificio appartenente alla contestata lottizzazione abusiva e, come sembra, in violazione delle procedure previste dalla legge nonostante il fatto che a Vicenza ci siano altri edifici pubblici che possono ospitare gli uffici delle Agenzie delle entrate come, ad esempio, quello dove aveva prima sede il tribunale e che risulta attualmente disponibile;
   le associazioni ambientaliste vicentine hanno inviato in data 14 marzo 2016 all'Agenzia delle entrate di Roma e al Ministro delle dell'economia e delle finanze una lettera di protesta per chiedere l'annullamento del contratto di affitto, senza ottenere alcuna risposta;
   l'intera vicenda è già stata oggetto di altri atti di sindacato ispettivo promossi in Parlamento da diversi gruppi politici e anche di un recente articolo pubblicato dal Corriere del Veneto, edizione Vicenza – Bassano del Grappa del 10 maggio 2016, che paventa di togliere il riconoscimento UNESCO alla Città di Vicenza e alle Ville Palladiane a causa di un susseguirsi di interventi troppo impattanti nel territorio vicentino –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tali fatti accaduti nel territorio di Vicenza a pochi passi dalla villa palladiana «La Rotonda»;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche per il tramite dell'ufficio territoriale del Governo, per tutelare la popolazione interessata considerando il rischio idraulico che potrebbe porsi in relazione alle opere di cui in premessa;
   se non si ritenga viste le indagini in corso da parte della procura della Repubblica sull'intero complesso edilizio, di adottare le opportune iniziative di competenza, affinché si proceda all'immediata sospensione dell'esecuzione del contratto di locazione stipulato dall'Agenzia delle entrate con la società Sviluppo Cotorossi, nonché alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'annullamento del contratto stesso, per il supposto mancato rispetto della procedura prevista dalla legge finanziaria del 2010 per la stipulazione dei contratti di locazione da parte di enti pubblici;
   se si intenda verificare, per quanto di competenza e in nome di una sensata politica di risparmio della pubblica amministrazione, la possibilità di rendere idoneo all'uso l'attuale edificio settecentesco che ospita gli uffici dell'Agenzia delle entrate o altri edifici di proprietà demaniale presenti nella città di Vicenza come, ad esempio, quello che ospitava il tribunale prima del suo recente trasferimento a Borgo Berga. (4-13192)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si rileva, innanzitutto, che le specifiche questioni poste dall'interrogante riguardano aspetti non di competenza di questo Ministero.
  Ad ogni buon fine, si è provveduto ad assumere notizie presso gli uffici della regione Veneto relativamente alla asserita violazione della fascia di rispetto fluviale prevista dall'articolo 96 del regio decreto n. 523 del 1904. Al riguardo, la regione, in data 21 luglio 2016, ha riferito che: «Per una comprensione delle motivazioni che hanno determinato l'attuale complessa situazione risulta necessario premettere che lo Stato, attraverso il Magistrato alle acque, concesse nel 1960 la copertura del corso d'acqua, oltre ad autorizzare la realizzazione dei magazzini dell'ex opificio a 5,00 metri dal fiume Retrone. Tale distanza fu poi mantenuta. In merito alla frase: “gli edifici risultano peraltro in violazione della necessaria fascia di rispetto fluviale...” si evidenzia che: il P.I.RU.EA., nell'area ex 1 Cotorossi, si compone di numerosi edifici compreso il nuovo Tribunale di Vicenza. Tali edifici sono stati realizzati ad una distanza di almeno ml. 10,00 dal ciglio spondale dei due corsi d'acqua che li costeggiano ad eccezione degli edifici denominati “A” e “D” e del Tribunale di Vicenza, che distano circa ml. 5,00 dal F.Retrone in una tratta del corso d'acqua che risultava coperta a far data dal 1960 con regolare concessione idraulica n. 6149 del 30 giugno 1960 e sulla quale insistevano anche dei magazzini dell'ex opificio.
  Il P.I.RU.EA. venne approvato nel 2003 e prevedeva il mantenimento della copertura del corso d'acqua con funzione di piazza pubblica e la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia e degli edifici denominati “A” e “D” nella posizione in cui oggi si trovano.
  Iniziata la costruzione dei nuovi immobili, in data 12 maggio 2008 l'Azienda Municipalizzata del Comune di Vicenza (AMCPS), a seguito di sopralluogo effettuato presso i ponti cittadini, rileva e segnala al comune di Vicenza e al Genio Civile il grave stato di conservazione della copertura esistente sul F.Retrone e in conseguenza di ciò il comune di Vicenza, in data 14 maggio 2008, con ordinanza contingibile ed urgente impone alla ditta Sviluppo Cotorossi s.p.a. di attuare tutte le opere provvisionali atte alla messa in sicurezza del ponte ed alla sicurezza delle aree circostanti.
  In data 21 maggio 2008 la ditta Sviluppo Cotorossi s.p.a., vista l'ordinanza comunale, comunica l'inizio dei lavori di demolizione dell'impalcato soprastante il F.Retrone, propedeutica alla ricostruzione dell'impalcato medesimo precisando che tale demolizione, resasi necessaria per motivi statici, non comporta rinuncia né decadenza e/o estinzione della connessa concessione idraulica per la copertura del tratto d'alveo interessato. Successivamente alla demolizione di parte dell'impalcato, nel 2009, la società Sviluppo Cotorossi s.p.a. ha presentato una variante al PUA P.I.RU.EA Cotorossi che, nella tratta sopra citata non prevedeva più la ricostruzione di una nuova copertura del corso d'acqua e gli edifici più prossimi erano e sono rimasti a distanza inferiore ai 10 ml. dal ciglio di sponda del F.Retrone.
  Si evidenzia comunque che gli edifici in costruzione, che probabilmente ospiteranno la nuova sede dell'Agenzia delle entrate di Vicenza, non rientrano tra quelli che vengono contestati poiché a distanza non regolamentare dal corso d'acqua.
  Infine, in merito al possibile rischio idraulico dell'area interessata degli edifici del P.I.RU.EA., si fa presente che le quote imposte ai nuovi cigli spondali nonché agli intradossi dei ponti di collegamento tra la pubblica viabilità e l'area in questione, sono superiori a quelle registrate durante l'evento più gravoso per la città di Vicenza del novembre del 2010».
  Si è provveduto, altresì, ad investire della questione anche la locale autorità di bacino di rilievo nazionale la quale, per gli aspetti di competenza, ha comunicato che l'area in esame è considerata all'interno di due strumenti di pianificazione facenti capo alla stessa, ossia il piano per l'assetto archeologico (Pai) ed il piano di gestione del rischio di alluvioni (Pgra) e che, sulla base di tali strumenti, l'area occupata dal quartiere Borgo Berga non risulta, per motivi morfologici, caratterizzata da indici di pericolosità idraulica o geologica.
  In relazione alle iniziative già assunte o da assumere per tutelare la popolazione, l'autorità di bacino ha fatto presente, inoltre, che nell'ambito del piano per gli interventi predisposto dal presidente della regione Veneto a seguito dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 novembre 2010, con cui è stato nominato il Commissario delegato per il superamento dell'emergenza, e della successiva ordinanza del 23 gennaio 2012 «Disposizioni urgenti di protezione civile», è stata ultimata nel gennaio 2016 la realizzazione del bacino di laminazione di Caldogno (bacino di monte) e sviluppato, a livello definitivo, il progetto del bacino di laminazione sul torrente Orolo, finanziato nell'ambito della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
  Sul versante delle misure non strutturali, l'autorità di bacino dei fiumi dell'Alto Adriatico, a seguito dell'evento di piena del novembre 2010 che ha colpito in particolar modo il territorio vicentino, ha sviluppato una piattaforma revisionale, già operativa sul fiume Bacchiglione, in grado di elaborare i dati meteo-climatici sia in tempo reale che previsionale a 5 giorni.
  L'autorità di bacino evidenzia, infine, che la stessa città di Vicenza ha costituito il primo caso studio del progetto «WeSenselt» finanziato dalla Commissione europea nell'ambito del 7o Programma/Quadro (FP7-ENV-2012 n. 308429), con l'obiettivo di sviluppare un osservatorio dei cittadini sulle acque e di integrare i dati acquisiti dai sensori fisici con i dati e la conoscenza provenienti dalle comunità di cittadini, per rendere l'intero processo di gestione delle acque più efficace. L'implementazione e la messa a regime dell'osservatorio costituisce, altresì, specifica misura del Piano di gestione del fischio di alluvioni.
  Infine, per quanto concerne gli aspetti relativi ai vari esposti a firma di associazioni ambientaliste e di comitati di cittadini per presunti abusi edilizi, inquinamento, deturpamento paesaggistico, storico e ambientale, sulla base degli elementi forniti dalla prefettura di Vicenza, risulta attualmente in corso un'inchiesta da parte della magistratura berica nei confronti di diciotto persone indagate a vario titolo per i reati di abuso d'ufficio e lottizzazione abusiva aggravata. Il Comando provinciale dei carabinieri ha, però, riferito che presso i reparti dell'Arma dipendenti non sono in corso indagini sulla vicenda, né risulta che l'autorità giudiziaria inquirente abbia delegato alcuno dei predetti reparti al compimento di atti sulla citata inchiesta giudiziaria.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, PALAZZOTTO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, ZACCAGNINI, GIANCARLO GIORDANO, MELILLA, DURANTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2015 la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea ha ricevuto una lettera di costituzione in mora, nella quale, a seguito di una denuncia pervenuta alla Commissione europea, si richiama «l'attenzione dell'Italia» sul divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto dall'articolo 1 della legge 11 aprile 1974 n. 138, chiedendone la modifica in quanto restrittiva rispetto alle norme sulla libera circolazione delle merci nel mercato comune (11 Corriere della Sera, 29 Giugno 2015); sebbene la richiesta della Commissione europea non riguardi direttamente i prodotti Dop e Igt, secondo Coldiretti la caduta del divieto ex articolo 1 legge 138 del 1974, comporterebbe conseguenze pesanti per il settore, dal momento che «con 1 chilo di polvere di latte che costa 2 euro, è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt e tutto con lo stesso sapore», ma abbattendo significativamente i costi di produzione e mettendo perciò a rischio circa 487 produzioni casearie tipiche (Ansa, 8 giugno 2015);
   il problema attiene quindi al rischio che il «mercato», una volta decaduto il divieto della legge 138 del 1974 (come chiede la Commissione europea), possa penalizzare prodotti caseari comuni, che in Italia godono comunque di livelli qualitativi alti, in favore di prodotti realizzati con latte in polvere, qualitativamente inferiore, ma più competitivo in termini di prezzo. Un adeguamento al ribasso che oltre a colpire i consumatori, danneggerebbe fortemente anche le produzioni lattiero casearie locali;
   il Ministro in indirizzo ha già dichiarato, in una nota stampa dello scorso 28 giugno, il suo impegno a tutela della «qualità del sistema lattiero caseario italiano e la trasparenza delle informazioni da dare ai consumatori», e la volontà di ribadire alla Commissione europea «la necessità di un intervento più approfondito sull'etichettatura del latte, che sappia rispondere meglio alle esigenze dei nostri produttori soprattutto dopo la fine del regime delle quote»;
   ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea la lettera di messa in mora – di cui ha dato conto la stampa – rappresenta semplicemente l'avvio di una procedura di infrazione (cosiddetta fase «pre-contenzioso»); pertanto l'Italia ha ancora diversi strumenti sul piano tecnico-giuridico per contestare la posizione della Commissione europea circa il rilievo mosso al nostro Paese;
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-05944 in Commissione XIII (Agricoltura), il Viceministro alle politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Oliviero, oltre a confermare per conto del Governo la difesa dei principi alla base dell'impianto normativo italiano sulla materia, sottolineando come non vi sia, a parere del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, «alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», ha fatto presente che «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea», per svolgere ulteriori approfondimenti e per consentire lo svolgimento «di un dibattito parlamentare aperto e trasparente sulla questione»;
   ancora nella risposta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali all'atto di sindacato ispettivo citato, il delegato del Governo ha riferito come la procedura di infrazione sia nata, secondo quanto dichiarato dal Commissario Hogan, dalla «segnalazione ricevuta da un produttore italiano» –:
   se i Ministri non intendano fornire elementi in merito alle osservazioni che l'Italia presenterà alla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 TFUE;
   se siano in grado di riferire la ragione o denominazione sociale del produttore italiano che avrebbe effettuato la segnalazione che ha dato avvio alla procedura di infrazione a carico dell'Italia. (4-15204)

  Risposta. — Mi preme anzitutto far presente che, anche a livello europeo, il Ministero ha fortemente sostenuto in questi ultimi due anni la necessità di una normativa europea per la corretta e trasparente etichettatura dei prodotti per non indurre il consumatore a ritenere «italiano» un prodotto che tale non è. Peraltro, la tutela dell'agro alimentare «Made in Italy» è uno degli obiettivi primari che intendiamo conseguire anche a salvaguardia dei lavoratori e delle imprese che operano nel settore.
  Le nostre richieste riguardano anche l'uso esclusivo delle denominazioni protette e l'impedimento dell'impiego di denominazioni che possano richiamare l'origine italiana di produzione realizzata in altri Paesi che, oltre a trarre in inganno il consumatore, producono gravi danni economici e d'immagine ai prodotti italiani.
  Siamo sempre stati contrari ad adeguare la nostra normativa sul divieto dell'uso del latte in polvere per i formaggi e proprio per preservare l'attuale impianto normativo, abbiamo già formulato le controdeduzioni di competenza in merito a quanto sostenuto nella diffida notificataci dalla Commissione europea che, ad oggi, non ha fatto pervenire osservazioni al riguardo.
  A tal proposito preciso che, per evidenti motivi di riservatezza, la Commissione europea non ha reso noto il nominativo del produttore che, tramite una segnalazione, ha attivato il meccanismo di messa in mora dell'Italia.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che per i prodotti lattiero caseari abbiamo ottenuto un risultato storico proprio sul fronte dell'etichettatura d'origine.
  Nel dicembre 2016 infatti, con il Ministro Calenda, abbiamo sottoscritto il decreto che introduce in etichetta l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia, con il via libera dell'Unione europea. Il provvedimento è stato registrato dalla Corte dei conti il 2 gennaio 2017.
  La firma segue il parere positivo delle Commissioni Agricoltura della Camera e del Senato e l'intesa raggiunta in conferenza Stato Regioni.
  Con questo nuovo sistema, una vera e propria sperimentazione in Italia, sarà possibile indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte UHT, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. Il provvedimento si applica al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale.
  Il decreto prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l'origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile.
  Sono esclusi solo i prodotti a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta che hanno già disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato.
  Si tratta, quindi, di un'ulteriore conquista che ci permetterà di rafforzare la trasparenza delle informazioni al consumatore e difendere l'eccellenza del Made in Italy, obiettivi sempre difesi e sostenuti in sede nazionale ed europea.
  L'Italia si pone così all'avanguardia in una sperimentazione sulla massima trasparenza dell'informazione al consumatore. Il nostro obiettivo è che questa legge sia poi estesa a tutta l'Unione europea, dando così più strumenti di competitività e tutela del reddito ai produttori.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Canelli, in provincia di Asti, è considerato una delle capitali del vino mondiale. Famosa in tutto il mondo per lo spumante e il moscato e per le celebri cantine sotterranee, veri e propri capolavori d'ingegneria e di architettura enologica dove milioni di bottiglie sono lasciate fermentare, Canelli è la terra di storiche aziende vinicole come il Gancia, Bosca, TostiGiovanni Bosca, Bocchino, Contratto, Coppo e di molte altre ancora. In virtù di queste sue eccellenze è stata proclamata, il 22 giugno 2014, patrimonio mondiale dell'umanità UNESCO, parte integrante del territorio del Paesaggio vitivinicolo del Piemonte di LangheRoero e Monferrato;
   questo primato rischia però di essere offuscato dal duplice fenomeno del caporalato e dei campi della vergogna, veri e propri luoghi della disperazione, dove braccianti impiegati nella raccolta dell'uva, prevalentemente provenienti dai Balcani e dall'est Europa, vivono in condizioni inumane in tendopoli improvvisate. Fenomeno che sta assumendo proporzioni preoccupanti tali da destare l'attenzione dei media nazionali. Si citano in proposito l'inchiesta «La vendemmia della vergogna» del settimanale l'Espresso (dicembre 2013) e l'articolo de il Fatto Quotidiano online del 16 settembre 2014;
   dalle denunce di alcune associazioni di volontariato locali è emerso un quadro desolante di sfruttamento di questi lavoratori, non dissimile a quanto già accaduto in altre località del Paese come Rosarno e le campagne della provincia di Foggia, Caserta e Latina. La cosa più grave, in questo specifico contesto, è l'esistenza di una sorta di «caporalato legalizzato» dove l'impiego di manodopera da parte delle aziende vinicole avviene sotto forma di pseudo cooperative che si occupano di gestire contratti, orari e paghe dei braccianti per conto dei proprietari terrieri. Nell'indifferenza generale e nella totale assenza delle istituzioni locali questi lavoratori sono facili prede di un sistema di sfruttamento che li costringe ad accettare salari bassissimi e orari di lavoro massacranti;
   quanto segnalato si ripresenta ciclicamente ad ogni avvio della stagione della raccolta delle uve, della durata all'incirca di un mese, poiché, essendo alta la domanda di manodopera a basso costo da parte delle aziende vinicole, migliaia di lavoratori stranieri arrivano nel territorio canellese per mettere a disposizione le loro abilità, ormai indispensabili per l'eccellenza e la competitività del nostro vino. Pur essendo note le problematiche di questa migrazione stagionale di massa l'unica risposta che l'amministrazione comunale di Canelli è riuscita a dare, in questi anni, è stata una doccia e due wc chimici;
   l'articolo 12 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 ha introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro;
   l'assenza di politiche di accoglienza per gestire l'arrivo e l'assunzione dei braccianti stranieri e di contrasto e repressione di qualsiasi forma di caporalato da parte delle autorità preposte, hanno permesso che si generasse ed espandesse a Canelli un fenomeno che rischia, se non si adottano immediate misure, non solo di aggravarsi con gli anni, ma anche di danneggiare l'immagine di una città votata a diventare un polo internazionale del turismo enogastronomico, sfruttando anche l'onda dello straordinario riconoscimento Unesco. Danno di immagine che ricadrebbe anche sulle nostre aziende vinicole invidiate in tutto il mondo per la qualità dei loro prodotti;
   il problema di Canelli, a detta dell'interrogante, sarebbe facilmente risolvibile coinvolgendo le aziende vinicole nell'allestimento di strutture provvisorie in grado di rendere più dignitosa la permanenza degli stagionali nelle 3/4 settimane in cui sono impegnati nella, raccolta delle uve. Per tale ragione occorre uno sforzo istituzionale concertato tra Ministeri competenti, prefettura, amministrazione comunale, forze dell'ordine, aziende vitivinicole e società civile –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative intendano promuovere, anche congiuntamente, per migliorare le politiche di accoglimento dei lavoratori stagionali di Canelli e per contrastare e reprimere forme più o meno subdole di caporalato ormai ampiamente accertate.
(4-06132)

  Risposta. — in riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sui fenomeni del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, con specifico riferimento al Comune di Canelli (AT), anche sulla base delle informazioni fornite dai Ministero dell'interno, si rappresenta quanto segue.
  Governo e Parlamento insieme, sono fortemente impegnati a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e territoriali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini.
  Per quanto di specifica competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta che nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 – adottato dalla Commissione centrale di coordinamento (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 124 del 2004) – sono stati pianificati, in specifici ambiti regionali, interventi di vigilanza nel settore agricolo. Le attività di verifica, svolte in sinergia con altri soggetti istituzionali – quali l'Arma dei Carabinieri, le aziende sanitarie locali, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza –, hanno consentito di esaminare i rapporti di lavoro sotto diversi aspetti, ivi inclusi quelli di rilevanza penale (ad es. il traffico di esseri umani).
  I dati dell'attività ispettiva svolta nel 2015 nel settore agricolo mostrano risultati molto positivi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono state effettuate, infatti, 8.662 ispezioni – con un incremento del 59,4 per cento rispetto al 2014 pari a 5.434 ispezioni in più – che hanno consentito di individuare 6.153 lavoratori irregolari, di cui 3.629 in nero e 180 stranieri privi di permesso di soggiorno. Sono stati accertati, inoltre, 713 casi di interposizione di manodopera/caporalato e 186 violazioni della normativa sull'orario di lavoro. Sono stati riqualificali 82 rapporti di lavoro e individuati 35 minori impiegati irregolarmente. Si evidenzia, inoltre, che sono stati adottati 459 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.
  Anche il documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2016 dedica particolare attenzione al contrasto del lavoro sommerso, ai fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nonché al caporalato. In particolare, sono stati pianificati interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, tra i quali Puglia (nello specifico il Salento, le province di Foggia, Taranto e Bari). Campania (in particolare la Piana del Sele e l'Agro Nocerino-Sarnese) e Lazio (nello specifico l'Agro Pontino). A tale proposito, al fine di rafforzare l'efficacia dell'attività ispettiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto la costituzione di apposite task-force ispettive.
  Per quanto concerne gli accertamenti nel settore agricolo condotti, nel comune di Canelli (AT), la Direzione territoriale del lavoro di Asti ha comunicato che nel 2015, la zona del Canellese è stata raggiunta da poche centinaia di lavoratori stranieri, la quasi totalità dotati di regolare passaporto idoneo allo svolgimento di attività lavorative. Dagli accertamenti svolti, in congiunta con i Carabinieri, il Corpo forestale e le aziende sanitarie locali, non sono emerse violazioni concernenti il fenomeno dell'intermediazione illecita di manodopera o dello sfruttamento del lavoro, né sono stati constatati fenomeni di caporalato. Tali accertamenti che hanno interessato 29 aziende agricole e 176 lavoratori, hanno consentito di rilevare 7 lavoratori in nero e l'impiego di un lavoratore minorenne.
  Il Ministero dell'interno ha inoltre comunicato che la Guardia di finanza, nel 2015 ha condotto una specifica attività ispettiva sull'intera filiera enologica che ha consentito l'individuazione di una serie di cooperative agricole, rette perlopiù da cittadini stranieri, prive di attrezzature e in condizione di «evasione totale». Nello specifico è stato accertato che tali cooperative operavano alla stregua di vere e proprie agenzie di lavoro interinale senza però garantire ai lavoratori i dovuti trattamenti retributivi e contributivi. Inoltre, la Guardia di finanza ha riscontrato: 144 posizione lavorative irregolari e una base imponibile sottratta a tassazione superiore a 750.000 euro, omessi versamenti contributivi per 706.000 euro Iva non versata pari a 160.000 euro. Relativamente al 2016, la vigilanza iniziata il 2 settembre e svolta in congiunta con il Corpo forestale e l'Asl ha interessato 12 aziende agricole ed ha permesso di accertare 12 lavoratori in nero.

  Il 27 maggio 2016 è stato sottoscritto dai Ministri Poletti, Alfano e Martina un Protocollo di intesa contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa, sottoscritta anche dall'Ispettorato nazionale del lavoro, da diverse regioni, dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni di categoria e da alcuni rappresentanti del cosiddetto «terzo settore», ha come finalità principale sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale, a partire dai territori più interessati da tale fenomeno. Tra le azioni principali previste dal protocollo si annoverano: la stipula di convenzioni, per il servizio di trasporto gratuito dei lavoratori per il tragitto casa/lavoro: l'istituzione di presidi medico-sanitari mobili; il potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori.
  Il 13 luglio 2016, inoltre, e stato siglato un secondo protocollo – sulla scia di quello concluso il 27 maggio 2016 – per il lancio dell'attività di vigilanza «interforze» nel settore agricolo. Tale protocollo è stato sottoscritto, oltre che dai Ministeri del lavoro, della difesa, delle politiche agricole, anche dall'Ispettorato nazionale del lavoro, dalle regioni, dalle Organizzazioni sindacali e datoriali del settore agricolo e dalle Organizzazioni di volontariato. Il protocollo ha carattere strettamente operativo, in quanto mira ad assicurare – attraverso l'impiego dei militari dell'Arma dei Carabinieri e del personale del Corpo forestale dello Stato – un contrasto ancora più efficace contro le violazioni della disciplina in materia di lavoro e legislazione sociale, grazie a una forte e costante presenza sul territorio di tutti i soggetti competenti a svolgere azioni di vigilanza nel settore agricolo.
  Il caporalato costituisce, purtroppo, un problema storico del nostro Paese sul quale si è intervenuti ripetutamente e, anche di recente, in termini legislativi. Evidentemente gli avvenimenti, anche tragici, che si apprendono dai media costringono a ritornare su questo argomento, imponendo una riflessione in ordine alle azioni, alle norme ed ai comportamenti più adeguati per far fronte a tale situazione. Il problema, dunque, non va affrontato in maniera emergenziale bensì strutturale perché si ripropone ogni anno con le medesime modalità e nei medesimi territori,
  A tale proposito ricordo che il 18 ottobre 2016 il Parlamento ha approvato definitivamente un disegno di legge di iniziativa governativa contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura (legge n. 199 del 29 ottobre 2016 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 257 del 3 novembre 2016). Tale provvedimento mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo significative modifiche al quadro normativo penale e prevedendo specifiche misure di supporto dei lavoratori stagionali in agricoltura.
  Nel documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2017 viene ribadito ancora una volta l'impegno a proseguire nel contrasto al cosiddetto reato di caporalato – previsto dall'articolo 603-bis del codice penale come novellato dalla legge n. 199 del 2016 – agendo con il coinvolgimento di tutte le istituzioni coinvolte a vario titolo.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 gennaio 2016 i vigili del fuoco di Latina, Caserma Giulio Canturan eseguivano un'ispezione dell'elisuperficie, sita a Latina Scalo, gestita da Elitaliana s.p.a. appaltatrice del servizio medico di emergenza con elicottero sul territorio della regione Lazio;
   in tale occasione i vigili del fuoco di Latina riscontrarono gravi violazioni alle norme dettate dal decreto ministeriale n. 238 del 2007, Regolamento recante norme per la sicurezza antincendio negli eliporti ed elisuperfici, poiché gli impianti dei sistemi antincendio non erano in sicurezza e il personale preposto a tali compiti in numero insufficiente. Per tali ragioni trasmettevano alla procura della Repubblica di Latina la notitia criminis;
   tale esito ispettivo ha riscosso un comprensibile clamore mediatico nel territorio di riferimento non solo per le ovvie preoccupazioni legate alla vicinanza della base elicotteristica con l'aeroporto militare Enrico Comani, ma anche per l'esorbitante costo che la regione Lazio paga per tale servizio di pronto soccorso elicotteristico. Infatti, il contratto d'appalto 2009-2018 (10 anni) ha un costo complessivo di molti milioni di euro, a fronte del quale Elitaliana, s.p.a. evidenzierebbe il mancato rispetto di norme di sicurezza, turni di lavoro massacranti senza risposi garantiti, piloti con ore di volo non corrispondenti a quelle effettive;
   tale questione non è solo regionale, ma investe responsabilità del Governo nazionale poiché, come è emerso nel corso delle indagini, l'eliporto di Latina Scalo, da quando è stato realizzato quattordici anni fa, non è mai stato in regola poiché non solo la società non ha mai presentato il progetto dell'antincendio al comando dei vigili del fuoco ma non ha mai richiesto le dovute autorizzazione per operare ad Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile, non figurando pertanto nell'elenco delle elisuperfici omologate. Quest'ultimo dato lascia interdetti poiché risulta all'opposto che Enac fosse a conoscenza dell'esistenza di questo impianto in quanto vi effettuava i controlli per le autorizzazioni al volo delle eliambulanze –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra e se non ritengano di chiarire come sia stato possibile che Enac abbia potuto autorizzare le operazioni di volo delle eliambulanze a fronte della mancata omologazione della elisuperficie;
   quali iniziative intendano intraprendere per assicurarsi che la base elicotteristica di pronto soccorso di Latina Scalo possa operare quanto prima in piena conformità con le disposizioni di legge.
(4-14689)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La base HEMS «118» sita nel sedime dell'aeroporto di Latina risulta essere una infrastruttura di volo per elicotteri posta su aree appartenenti al demanio aeronautico dove non è applicabile il decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti del 1o febbraio 2006, decreto che definisce le modalità di attuazione della legge 2 aprile 1968 n. 518, concernente la liberalizzazione dell'uso delle aree di atterraggio nonché le modalità con cui l'Enac assicura e mantiene aggiornate le informazioni sulle avio-idro-elisuperfici istituite sul territorio nazionale.
  L'utilizzo della area demaniale, sulla quale insiste la sede della Base HEMS di Latina è stato dato in concessione dall'Enac a Elitaliana s.p.a. per attività inerenti le licenze aeronautiche possedute.
  L'attività volativa sulla elisuperficie è stata autorizzata da Enac a seguito delle risultanze della verifica condotta l'8 ottobre 2011 dalla quale è emerso che la struttura è risultata idonea per l'apertura al traffico notturno ed in tal caso utilizzabile per operazioni HEMS ai sensi di quanto disposto dall'articolo 10 del regolamento Enac recante «Norme operative per il servizio medico di emergenza con elicotteri».
  A seguito delle verifiche effettuate dai vigili del fuoco nel gennaio 2016, oggetto di un verbale di accertamento da parte degli stessi vigili del fuoco che ha prescritto all'operatore Elitaliana di provvedere al ripristino delle condizioni antincendio dell'impianto rifornimento carburarne entro 90 giorni senza l'adozione di misure ad
interim, l'Enac, in data 16 marzo 2016, ha disposto una visita ispettiva presso la base HEMS di Latina intesa ad accertare eventuali ricadute di natura aeronautica sull'attività HEMS dell'operatore Elitaliana.
  Le risultanze di tale visita non determinarono particolari criticità di carattere aeronautico. Pertanto fu confermata l'operatività della base, attraverso l'adozione, da parte dell'operatore Elitaliana, di misure ritenute equivalenti e già previste nelle pratiche
standard dell'operatore medesimo.
  Fu inoltre disposto l'obbligo, da parte dell'operatore, di comunicare all'Enac l'ottemperanza di quanto evidenziato dai vigili del fuoco, in relazione alla sostituzione, nei termini temporali stabiliti dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Latina, del distributore di carburante oggetto di contestazione, con impianto rispondente alla corrente normativa antincendio.
  Alla luce di quanto sopra, in data 15 novembre 2016, Elitaliana comunicava ad Enac le seguenti dettagliate informazioni.
  In data 27 maggio 2016 la società Elitaliana presentava richiesta di una prima proroga di 90 giorni, ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994, al Comando provinciale dei vigili del fuoco di Latina che, in data 8 giugno 2016, procedeva all'accoglimento della stessa.
  In data 10 giugno 2016 Elitaliana S.p.A. provvedeva alla presentazione del progetto al Comando provinciale vigili del fuoco di Latina per valutazione di legge.
  In data 8 luglio 2016 il Comando provinciale vigili del fuoco Latina esprimeva parere favorevole inerente il sopracitato progetto depositato in data 10 giugno 2016.
  In data 29 agosto 2016 la società Elitaliana, per motivi tecnici, presentava richiesta della seconda proroga di 90 giorni, ai sensi del citato decreto legislativo n. 758 del 1994, e in data 5 ottobre 2016 il Comando provinciale vigili del fuoco di latina accoglieva tale richiesta di proroga.
  Infine ENAC segnala che in data 7 novembre 2016 Elitaliana S.p.A. provvedeva a presentare la Segnalazione certificata di inizio attività ai fini della sicurezza antincendio (Scia) al Comando provinciale vigili del fuoco di latina per segnalare la corretta esecuzione dei lavori con riferimento al progetto approvato dallo stesso Comando dei vigili del fuoco e l'inizio attività.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha diffidato l'Italia a rimuovere il divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari;
   secondo un'analisi di Coldiretti l'introduzione di formaggi creati utilizzando latte in polvere metterebbe a dura prova la produzione della maggioranza di prodotti caseari italiani di eccellenza su tutto il territorio nazionale;
   il costo del latte in polvere per produrre il formaggio sarebbe drasticamente inferiore al latte munto nelle fattorie italiane e direttamente utilizzato per la produzione casearia; si stima che con circa 2 euro – il costo di un chilo di latte in polvere – è possibile produrre 10 litri di latte, 16 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt: tali prezzi significherebbero una concorrenza insostenibile per le produzioni tradizionali e la conseguenza sarebbe quella della certa chiusura di molte stalle con perdita di migliaia di posti di lavoro, posizioni lavorative anche di certa qualità ed esperienza che fino ad oggi hanno espresso prodotti tipici apprezzati in tutto il mondo;
   questo provvedimento provocherebbe l'abbassamento della qualità generale dei prodotti caseari, l'omologazione dei sapori, un maggior rischio di frodi e la perdita di quella distintività che solo il latte fresco con le sue proprietà organolettiche e nutrizionali assicura ai formaggi, yogurt e latticini «made in Italy». L'Italia, con la sua varietà di centinaia di tipologie di prodotti caseari sarebbe certamente danneggiata a vantaggio di altre economie che certamente non operano con gli stessi standard di qualità e di sicurezza alimentare;
   la legislazione europea e nazionale non può tener conto solamente dei vantaggi in termini di profitto, di costi di trasporto, produzione e conservazione che abolire i divieti sul latte in polvere comporterebbe, ma deve tener conto anche della qualità dei prodotti e tutelare le realtà produttive che lavorano nel rispetto della tradizione e dell'unicità dei prodotti tipici –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   come il Governo intenda agire per tutelare i prodotti caseari italiani, tutelando migliaia di posti di lavoro e il valore sociale e culturale della produzione di latticini tipici di tutte le province d'Italia. (4-09956)

  Risposta. — Mi preme anzitutto far presente che, anche a livello europeo, il Ministero ha fortemente sostenuto in questi ultimi due anni la necessità di una normativa europea per la corretta e trasparente etichettatura dei prodotti per non indurre il consumatore a ritenere italiano un prodotto che tale non è. Peraltro, la tutela dell'agroalimentare made in Italy è uno degli obiettivi primari che intendiamo conseguire anche a salvaguardia dei lavoratori e delle imprese che operano nel settore.
  Le nostre richieste riguardano anche l'uso esclusivo delle denominazioni protette e rimpedimento dell'impiego di denominazioni che possano richiamare l'origine italiana di produzione realizzata in altri Paesi che, oltre a trarre in inganno il consumatore, producono gravi danni economici e d'immagine ai prodotti italiani.
  Siamo sempre stati contrari ad adeguare la nostra normativa sul divieto dell'uso del latte in polvere per i formaggi e proprio per preservare l'attuale impianto normativo, abbiamo già formulato le controdeduzioni di competenza in merito a quanto sostenuto nella diffida notificataci dalla Commissione europea che, ad oggi, non ha fatto pervenire osservazioni al riguardo.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che, per i prodotti lattiero caseari, abbiamo poi ottenuto un risultato storico proprio sul fronte dell'etichettatura d'origine.
  Nel dicembre 2016 intatti, con il Ministro Calenda, abbiamo sottoscritto il decreto che introduce in etichetta l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia, con il via libera dell'Ue. Il provvedimento è stato registrato dalla Corte dei conti il 2 gennaio 2017.
  La firma segue il parere positivo delle Commissioni Agricoltura della Camera e del Senato e l'intesa raggiunta in Conferenza Stato-regioni.
  Con questo nuovo sistema, una vera e propria sperimentazione in Italia, sarà possibile indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte UHT, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. Il provvedimento si applica al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale.
  Il decreto prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l'origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile.
  Sono esclusi solo i prodotti a denominazione di origine protetta che hanno già disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato.
  Si tratta, quindi, di un'ulteriore conquista che ci permetterà di rafforzare la trasparenza delle informazioni al consumatore e difendere l'eccellenza del Made in Italy, obiettivi sempre difesi e sostenuti in sede nazionale ed europea.
  L'Italia si pone così all'avanguardia in una sperimentazione sulla massima trasparenza dell'informazione al consumatore. Il nostro obiettivo è che questa legge sia poi estesa a tutta l'Unione europea, dando così più strumenti di competitività e tutela del reddito ai produttori.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   SCAGLIUSI, SIBILIA, DEL GROSSO, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, GRANDE, BONAFEDE, FERRARESI, AGOSTINELLI, LUPO, LOMBARDI, COLLETTI e TRIPIEDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   esiste in Italia un numero crescente di casi di sottrazione del figlio minore ad opera di un genitore, di situazioni familiari, cioè, nelle quali un genitore decide, illegittimamente, di allontanarsi e di portare via con sé il figlio, in un luogo sconosciuto o all'estero, al fine di impedirgli qualsiasi rapporto con l'altro genitore;
   le sottrazioni dei figli minori avvengono in situazioni e con modalità diverse. Sono poste in essere immediatamente prima di richiedere la separazione o di interrompere la convivenza, oppure dopo il provvedimento giudiziale di affidamento dei figli, ad opera del genitore affidatario che intende recidere definitivamente il legame del figlio con l'altro genitore o del non affidatario che non riconosce il, provvedimento;
   benché assumano sempre più rilevanza i casi in cui il genitore sottraente ha una diversa nazionalità di origine e, comunque, decide di portare con sé il figlio all'estero, appaiono altrettanto preoccupanti i casi in cui il genitore, di origine italiana, sottrae il figlio e, pur permanendo nel territorio dello Stato, riesce a far perdere qualsiasi traccia all'altro genitore;
   la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata dall'Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ha come fine di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente e di garantire che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti;
   con l'espressione «sottrazione internazionale di minori» si indica la situazione in cui un minore viene illecitamente condotto all'estero da chi non esercita la potestà esclusiva, senza alcuna autorizzazione oppure non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero;
   la sottrazione internazionale di minori viene comunemente definita «attiva» quando il minore viene illecitamente condotto dall'Italia all'estero o non è ricondotto in Italia – quale Paese di residenza abituale – a seguito di un soggiorno all'estero e passiva quando un minore viene illecitamente condotto dall'estero in Italia, o è qui trattenuto;
   alla sezione statistiche sul sito del Ministero della giustizia, si legge che i casi pervenuti relativi alla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, sottrazione internazionale di minori – rimpatrio e diritto di visita – relativi al 2014 sono 240, comprensivi di casi attivi e casi passivi (https://goo.gl/82sfK4);
   la sottrazione e il trattenimento all'estero di minore costituisce ipotesi di reato in base all'articolo 574-bis del codice penale, ove non si ravvisi altro, più grave reato (ad esempio, articolo 605 c.p.);
   in data 2 febbraio 2005 alla Camera dei deputati fu depositata la mozione n. 1/00421, modificata il 9 febbraio 2005 e approvata nella stessa data con la quale si impegnava il Governo:
    a promuovere iniziative e soluzioni normative che riconoscano il minore quale vittima della sottrazione e consentano di attivare tutti gli strumenti sia investigativi che coercitivi al fine di rintracciare e tutelare tempestivamente il minore indebitamente sottratto ad un genitore;
    a verificare i percorsi normativi per giungere alla costituzione di un fondo per il gratuito patrocinio per le vittime di sottrazione;
    a promuovere trattati bilaterali con gli Stati non aderenti alla Convenzione dell'Aja in materia di sottrazione internazionale del minore;
    ad adottare iniziative perché siano unificate le competenze istituzionali in un unico organo o ad affidargli funzione di coordinamento;
    a verificare con le ambasciate italiane modalità per rafforzare le iniziative da intraprendere in caso di sottrazione di un minore italiano e al fine di garantire il diritto di visita del genitore italiano;
    a rafforzare il sistema dei controlli per il caso di espatrio di minori attraverso frontiere e aeroporti italiani –:
   se non ritenga opportuno mettere in atto le necessarie iniziative in materia di sottrazione di minori secondo quanto già indicato nella mozione di cui in premessa. (4-11667)

  Risposta. — Con l'atto in esame gli interroganti, dopo aver ricordato che in data 2 febbraio 2005 è stata depositata alla Camera una mozione, approvata il 9 febbraio, con la quale si impegnava il Governo ad assumere una serie di iniziative in materia di sottrazione internazionale di minori, chiedono al Ministro della giustizia se non ritenga opportuno mettere in atto le necessarie iniziative ivi indicate.
  Al riguardo, giova premettere che la medesima questione è stata oggetto, presso il Senato, di altra più recente mozione, poi ritirata (n. 1-00482 del 3 novembre 2015), mentre quella indicata dagli interroganti nel proprio atto ispettivo si riferisce, per errore, ad una mozione relativa ad altro (dissesto idrogeologico).
  Orbene, l'atto ispettivo in esame offre l'opportunità di trattare una delle più complesse questioni che il nostro Paese e la comunità internazionale sono chiamati ad affrontare con sempre maggiore urgenza, e che costituisce una delle priorità dell'azione di Governo, sotto il profilo tanto dell'adeguamento della normativa vigente, quanto delle misure organizzative necessarie a fronteggiare nella maniera più adeguata le connesse esigenze, cui, in particolare, il Ministro della giustizia ha da tempo riservato al tema estrema attenzione.
  La disamina del tema impone, in via preliminare, una ricostruzione dell'attuale quadro normativo.
  Occorre ricordare che, al fine di contrastare il fenomeno della sottrazione internazionale dei minori, la legge 15 gennaio 1994, n. 64 ha reso esecutiva la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione stessa, nonché la Convenzione di Lussemburgo 20 maggio 1980 sul riconoscimento delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, la Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 in materia di protezione dei minori fatta e la Convenzione de L'Aja del 28 maggio 1970 in materia di rimpatrio dei minori.
  Quando l'episodio di sottrazione sia circoscritto al territorio dell'Unione europea, trova applicazione il regolamento (CE) 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale.
  L'applicazione della Convenzione presuppone, ovviamente, la «illiceità» della sottrazione, che sussiste allorquando il trasferimento o il mancato rientro avvengano in violazione del diritto di affidamento, esercitato di fatto dal genitore che subisce la sottrazione ed a questo attribuito o dalla legge o da una decisione giudiziaria dello Stato dove il minore ha la residenza abituale.
  Peraltro, secondo la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, la decisione sul rimpatrio e quella sulla custodia sono indipendenti ed autonome, non solo perché la decisione sul rientro non pregiudica il merito del diritto di custodia, ma anche perché, qualora nello Stato richiesto o in quello di residenza abituale sia stata emessa una decisione sull'affidamento favorevole al genitore che ha effettuato la sottrazione, tale pronuncia non può fondare il rigetto dell'istanza di ritorno.
  Lo scopo prioritario della citata convenzione, rafforzata dal regolamento CE, è infatti quello di garantire una tempestiva ed efficace protezione del minore.
  Il regolamento CE trova uno specifico ambito di applicazione nella frequente ipotesi in cui, all'esito di un periodo di permanenza del minore presso il genitore non collocatario residente in un altro Paese UE) il medesimo non venga più rimandato nel luogo in cui ha la residenza abituale. Esso è dunque intervenuto a limitare l'applicazione dell'anzidetta eccezione al rimpatrio, stabilendo che il giudice del rimpatrio è comunque obbligato a ordinare il ritorno del minore qualora sia dimostrato che, nello Stato di residenza abituale del medesimo, sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo rientro.
  Da quanto esposto si apprezza come il regolamento comunitario n. 2201/2003 offra significativi strumenti idonei a risolvere molti conflitti di giurisdizione e molti contrasti di giudicato a beneficio degli interessi dei minori.
  Tuttavia, non può non concordarsi sul fatto che il tema merita una crescente sensibilizzazione, anche perché, pur nella vigenza del precitato quadro normativo sovranazionale, vi è ancora la tendenza da parte degli Stati di avvalersi in primis della normativa nazionale, anziché di quella comunitaria, che renderebbe certamente più agevole la soluzione dei problemi.
  Allo stato, la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 è oggetto di studio di un gruppo di lavoro
ad hoc, istituito presso la Conferenza de L'Aja di diritto internazionale privato, che sta valutando varie opzioni interpretative.
  Inoltre, a distanza di dieci anni dall'entrata in vigore del regolamento del 2003, la Commissione europea, avendone analizzato il concreto solo parziale funzionamento nella pratica, ha iniziato a valutare alcune proposte di nuovo regolamento, come quella datata 30 giugno 2016, atto COM(2016) 411, fra l'altro al fine di «proteggere meglio l'interesse superiore del minore semplificando le procedure e rendendole più efficaci».
  Tra i punti ritenuti critici e da migliorare, la proposta indica il tema del ritorno del minore sottratto, lamentando il fatto che «i ritardi di trattamento dei casi sono anche ascrivibili alla scarsa specializzazione, in diversi Stati membri, delle autorità giurisdizionali che si occupano delle domande di ritorno».
  Mi preme, al riguardo, rammentare che, anticipando dette indicazioni e nella prospettiva convinta di soddisfare tale esigenza, ho presentato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il disegno di legge n. 2953 di Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2016 e trasmesso al Senato della Repubblica, ove si trova, ad oggi, con il n. 2284 all'esame della commissione giustizia in sede referente.
  Con tale atto, il Governo viene delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che istituisca il Tribunale della famiglia e della persona, mediante sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori.
  Esse dovranno svolgere le loro attività in ambienti e locali separati, adeguati ai minori di età e alla natura dei procedimenti, con magistrati assegnati in via esclusiva e tenuti, altresì, a partecipare annualmente a specifiche attività di formazione «aventi come obiettivo l'acquisizione di conoscenze giuridiche e di conoscenze extragiuridiche propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice e di pubblico ministero della famiglia e dei minori, di buone prassi di gestione dei procedimenti e di buone prassi per l'ascolto del minore».
  Tutto ciò, come recita la delega, anche per «assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e delle linee guida del Consiglio d'Europa in materia di giustizia a misura di minore».
  Ciò posto, per quanto di diretta competenza del Ministero della giustizia, va precisato che allo stato esso interviene mediante l'autorità centrale, istituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile, nei casi di sottrazione – attiva e passiva – coinvolgenti sia minori italiani che stranieri, avvenuti tra l'Italia e quei Paesi con i quali è in vigore la sopra descritta Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori.
  Il dipartimento per la giustizia minorile è autorità centrale anche per l'attuazione del Regolamento n. 2201/2003.
  In tali casi, la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, quale articolazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, è di sostegno all'azione dell'autorità centrale.
  Peraltro, per quanto, il fenomeno delle sottrazioni internazionali di minori possa ritenersi diretta conseguenza della sempre maggiore mobilità delle persone, in Europa così come nel resto del mondo, è opportuno sottolineare che a fronte di una forte crescita delle unioni transnazionali, le sottrazioni internazionali restano un fenomeno limitato e che un numero molto elevato di procedure si estingue abbastanza rapidamente, senza necessità di attivare la procedura giudiziaria volta all'emissione dell'ordine di ritorno.
  Ed infatti, come riferito dal competente dipartimento del Ministero, delle 849 sottrazioni, attive e passive, attivate per il tramite della autorità centrale italiana negli anni dal 2010 al 2015 e già definite al 31 dicembre 2015, ben 157 si sono concluse per rientro volontario del sottrattore con il minore nello Stato di residenza abituale, 91 a causa del raggiunto accordo tra le parti, 152 per rinuncia all'istanza da parte del soggetto vittima della sottrazione, 43 per inerzia, identificata quando il soggetto che lamenta la sottrazione non ha più contattato l'autorità centrale dopo la prima attivazione e malgrado i solleciti ed ha così evidenziato il sopravvenuto disinteresse per la procedura.
  Dunque, nel 52 per cento dei casi le parti hanno autonomamente raggiunto un soddisfacente equilibrio nei loro rapporti.
  Solo il 40 per cento dei casi è giunto al giudizio, mentre il restante 8 per cento si è definito per mancanza assoluta dei presupposti di procedibilità.
  Nei casi giudiziali, la metà circa è stata definita con ordine di ritorno, l'altra metà con reiezione dell'ordine di ritorno: ciò, sia nei casi cosiddetti passivi, decisi cioè dai giudici italiani, sia nei casi cd. attivi, decisi da giudici di Stati esteri.
  Sono, pertanto, ben pochi i casi che restano irrisolti.
  Ciò premesso, in merito alle questioni specifiche riportate nell'interrogazione, rilevo anzitutto che, con riguardo alle osservazioni degli interroganti circa l'articolo 574-
bis c.p. – il quale prevede la pena base della reclusione da uno a quattro anni per la sottrazione o il trattenimento di minore all'estero – in pochissimi Stati, in realtà, la sottrazione internazionale di minori è un reato.
  Infatti, nella maggior parte di essi sussiste un reato, solo in specifiche situazioni: solitamente, solo se il soggetto sottrattore non era titolare della responsabilità genitoriale al momento della sottrazione; ma poiché, per lo più, tale titolarità sussiste, ne deriva che quasi sempre la sottrazione dall'estero verso l'Italia non costituisce reato secondo la legge dello Stato di residenza abituale, né lo è il caso inverso (sottrazione dall'Italia verso l'estero). Ne discende un'importante conseguenza: l'assenza della «doppia incriminazione» vanifica le misure restrittive della libertà personale eventualmente emesse in Italia a carico del sottrattore.
  Si aggiunga che l'esistenza in Italia di misure coercitive può essere addirittura un deterrente del ritorno volontario. Con una certa frequenza le autorità giudiziarie estere, nel valutare se emettere l'ordine di ritorno verso l'Italia, chiedono all'autorità centrale l'assicurazione che il genitore sottrattore, rientrando insieme al bambino, non subirà limitazioni alla sua libertà personale: assicurazione che ovviamente l'autorità centrale non può dare, al più potendo chiedere all'autorità giudiziaria procedente la disponibilità a chiedere la revoca della misura cautelare eventualmente applicata, nel caso in cui il minore fosse riaccompagnato in Italia.
  Consta che vi siano attualmente alcune proposte di legge in materia di modifica dell'articolo 574-
bis c.p.c. e 266 c.p.p.
  Rilevo, in secondo luogo, con riguardo alla costituzione di un fondo dedicato al gratuito patrocinio per le vittime della sottrazione, che, a decorrere dal 23 luglio 2016, è entrata in vigore la legge 7 luglio 2016, n. 122, sulle Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2015-2016, la quale all'articolo 9, comma 2, dispone che il patrocinio a spese dello Stato sia riconosciuto per tutte le domande presentate ai sensi della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, tramite l'autorità centrale.
  In forza di tale norma, pertanto, il beneficio è accessibile a tutti coloro che ne facciano richiesta – senza alcuna condizione relativa al reddito o alla fondatezza della richiesta di ritorno – al fine di attivare avanti un tribunale per i minorenni italiano una procedura
ex articolo 7 della legge n. 64 del 1994, purché si tratti di domanda presentata nell'ambito della cooperazione tra Autorità centrali, ai sensi della Convenzione.
  Con riguardo alla definizione di trattati bilaterali, segnalo che la Corte di giustizia dell'Unione europea, consultata su iniziativa della Commissione europea, il 14 ottobre 2014, con parere 1/13, ha confermato che «l'accettazione dell'adesione di uno Stato terzo alla Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, conclusa, all'Aia il 25 ottobre 1980, rientra nella competenza esclusiva dell'Unione europea».
  Ogni accordo con Paesi dell'Unione europea o extra-Unione europea deve essere dunque raggiunto a livello europeo. Peraltro attualmente, in sede comunitaria, nell'ambito della procedura di revisione del regolamento Bruxelles II-
bis si stanno valutando misure di enforcement prevalentemente rivolte ai soggetti responsabili di sottrazione di minori; trattandosi di normativa di carattere europeo, la previsione di eventuali sanzioni nei confronti di Paesi UE ed extra UE inadempienti deve essere senza dubbio valutata a livello europeo, nel rispetto delle indicate prerogative dell'Unione.
  Giova altresì evidenziare che con la legge del 16 novembre 2015, n. 199 è stato ratificato e si è data esecuzione al terzo protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo, che stabilisce una procedura di presentazione di comunicazioni, adottato dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2011.
  In base alle nuove norme, ogni singolo minore, o gruppo di minori, i cui Governi, come il nostro, abbiano ratificato il Protocollo, potrà segnalare le violazioni dei propri diritti, a mezzo di apposito ricorso al Comitato Onu per i diritti dell'infanzia, organismo indipendente di esperti incaricati di monitorare il rispetto dei diritti dell'infanzia da parte degli Stati. Il terzo protocollo rafforzerà la responsabilità degli Stati, obbligandoli a rendere il suddetto meccanismo di reclamo accessibile a tutti i minori interessati, ed, inoltre, li aiuterà ad identificare le lacune presenti nei sistemi giudiziari nazionali sull'infanzia e sarà anche strumento di sostegno all'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e ai Garanti per l'infanzia regionali.
  Quanto alla elaborazione di linee guida per le ambasciate italiane, di cui pure la mozione di riferimento faceva menzione, va rilevato che l'impegno del Ministero degli affari esteri è costante, attraverso le ambasciate ed i consolati. Esso si sostanzia da sempre nell'assistere sotto il profilo consolare i genitori che hanno subito la sottrazione del figlio o sono ostacolati nell'esercizio del loro diritto di visita, modulando gli interventi a seconda dei singoli casi, sul duplice fronte sia dell'assistenza ai connazionali, sia della sensibilizzazione delle autorità locali a vario titolo competenti.
  Tali interventi, tuttavia, non hanno, per loro stessa natura, carattere coercitivo: ambasciate e consolati operano in territorio straniero e sono vincolati all'osservanza degli ordinamenti locali e all'impossibilità di agire
iure imperii.
  Gli strumenti internazionali richiamati nella mozione infatti, pur se recepiti nei singoli ordinamenti, non comportano per ciò solo la totale abdicazione dello Stato parte alla sua potestà normativa ed esecutiva.
  Va precisato, comunque, che il Ministero degli affari esteri è da tempo impegnato anche per prevenire la sottrazione internazionale dei minori. Su quest'ultimo fronte, la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie ha attuato iniziative intese a portare a conoscenza dell'opinione pubblica i risvolti del fenomeno, nell'intento di limitarne l'insorgere o il protrarsi. Ci si riferisce, in primo luogo, alla pubblicazione periodica dell'opuscolo «Bambini contesi – Guida per i genitori», giunta alla sua ottava edizione e reperibile
online.
  La guida, frutto dell'esperienza maturata in questi anni, è diretta sia ai genitori, sia agli operatori del settore minorile, chiamati ad intervenire nei singoli casi.
  Circa l'intensificazione dei controlli alle frontiere, va rilevato che si è in constante contatto in sede di
task force con il competente Ministero dell'interno sulla questione dei controlli alle frontiere e degli strumenti atti ad impedire o ad ostacolare l'uscita dal territorio nazionale di minorenni sottratti, nel rispetto della libera circolazione delle persone e delle norme comunitarie in materia (Accordi di Schengen).
  Come da informazioni assunte presso detto Ministero, si soggiunge che gli uffici della Polizia di frontiera esercitano le funzioni di specialità al fine di garantire l'applicazione della normativa, nazionale ed internazionale, sulla circolazione delle persone, nell'ambito della quale assume una particolare rilevanza la disciplina sulla tutela dei minori. Sotto il profilo operativo, con specifico riferimento ai divieti giudiziari di espatrio, gli uffici della Polizia di frontiera rivestono un ruolo fondamentale nell'attuazione dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria, attraverso lo svolgimento dei controlli in uscita dal territorio nazionale, nell'ambito dei quali assume particolare rilievo la consultazione delle banche dati.
  Quanto all'unificazione di competenze istituzionali al riguardo, va rimarcato che l'autorità centrale ai sensi della Convenzione dell'Aja del 1980, così come del Regolamento (CE) n. 2201/2003, è il Ministero della giustizia, con il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Trattasi infatti di strumenti di cooperazione giudiziaria, che trovano pertanto presso il Ministero della giustizia la opportuna collocazione operativa.
  Come riferito dal competente dipartimento, le difficoltà del rimpatrio non sono dovute all'attuale struttura dell'autorità centrale, quanto piuttosto alla farraginosità della procedura.
  Ed invero, come sopra ricordato, tutto il regolamento Bruxelles II-bis, e in particolare l'articolo 11, è oggetto di un processo di revisione da parte della Commissione Europea.
  In ambito interno, è in funzione da diversi anni un gruppo di lavoro, la cosiddetta
task force interministeriale, sopra già menzionata, composta da rappresentanti dell'Autorità centrale, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del Ministero dell'interno, che si riunisce periodicamente, condividendo informazioni e pianificando strategie condivise. Essa è stata istituita in passato, proprio al fine di migliorare la collaborazione tra i Dicasteri che trattano la materia in questione (Esteri, Interni e Giustizia) e vede la partecipazione costante di questo Ministero della giustizia.
  Nell'ambito della stessa viene effettuata un'intensa attività di scambio informativo e vengono adottate le idonee iniziative per agevolare la localizzazione del minore e sviluppare l'assistenza consolare, nonché viene fornito ogni supporto necessario allo sviluppo delle procedure di risoluzione della sottrazione.
  Peraltro – come evidenziato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale – la collaborazione tra lo stesso ed i Ministeri della giustizia e dell'interno è costante ed agevola lo scambio di informazioni. Il 30 maggio 2013 è stato firmato un protocollo d'intesa tra le tre amministrazioni, che ha formalizzato l'attività del gruppo di lavoro interministeriale che esamina i casi di sottrazione particolarmente critici, con l'obiettivo di realizzare il massimo coordinamento tra le strutture operative coinvolte.
  Tale intenso lavoro ha portato in parecchi casi al rientro di minori trattenuti all'estero.
  Va comunque ricordato che, una volta avviata nello Stato estero la procedura mirata all'emanazione dell'ordine di ritorno da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato di rifugio, come previsto dalla Convenzione, né l'autorità centrale dello Stato di rifugio, né tanto meno quella dello Stato di origine (anche se si trattasse di un «Commissario straordinario» o di un «comitato interministeriale») può interferire sull'attività giudiziaria in corso.
  Mi preme, in conclusione, rimarcare che resta comunque fermo l'impegno del Ministero sul tema, auspicandosi un confronto aperto, interistituzionale e politico, a livello nazionale ed internazionale, per il rafforzamento degli strumenti volti a garantire la tutela dei minorenni che, loro malgrado, sono coinvolti in una sottrazione internazionale.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SIMONETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 23 agosto un volo Meridiana diretto ad Olbia e decollato alle 10 del mattino da Torino, con a bordo circa 97 passeggeri più sei membri dell'equipaggio, è stato costretto a fare ritorno all'aeroporto di Caselle per un'avaria ad uno dei due motori;
   come riportato a mezzo stampa, in fase di decollo, uno dei due motori del Boeing 734 ha perso potenza e all'altezza di Bra è dovuto rientrare, creando non poco spavento e disagio;
   risulta all'interrogante che trattasi di velivolo in wet-lease, termine con il quale si indica un contratto di noleggio di un aeromobile comprendete tutte le prestazioni accessorie quali assicurazione, equipaggio e manutenzione;
   il contratto di wet-lease viene solitamente stipulato tra due compagnie aeree: il locatore di fatto fornisce al locatario una prestazione di servizio e non, come nel caso del dry-lease, la disponibilità effettiva del mezzo; il locatore in effetti opera per conto del locatario un certo numero di voli, utilizzando una struttura interamente propria, ma tali voli vengono classificati con il codice IATA del locatario;
   anche Alitalia sta adottando tale pratica, sottraendo la revisione dei propri motori ad AMS (Alitalia Maintenance Systems), che ha sempre garantito elevati standard di sicurezza, e affidandola alla israeliana BedeK, con il risultato che solo nell'ultimo mese ha riscontrato problemi su 3 motori provenienti, appunto, da Bedek Israele;
   la predetta pratica di leasing comporta, dunque, l'evidente rinuncia ai controlli manutentivi sia sugli aeromobili che sui motori, preferendo il risparmio sui costi di gestione a scapito della sicurezza dei passeggeri –:
   a chi spetti il controllo sulla manutenzione degli aeromobili di proprietà di compagnie straniere che percorrono tratte sul territorio italiano;
   se ed in che termini, nell'ambito delle proprie competenze, si intenda salvaguardare l'elevata professionalità ed esperienza di AMS, i cui 240 lavoratori sono in attesa da oltre un anno di una risposta sul futuro occupazionale ed aziendale e la cui sigla è sinonimo di sicurezza nella revisione e manutenzione dei motori degli aeromobili. (4-14612)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Per quanto riferisce ENAC, la pratica del wet-lease è prevista dal Regolamento europeo n. 965 del 2012 relativo ai requisiti tecnici e le procedure amministrative per le operazioni di volo.
  La gestione dell'aeronavigabilità e la manutenzione degli aeromobili ricadono sotto la piena responsabilità dell'operatore locatore e sono sottoposti a monitoraggio da parte dell'operatore locatario, al fine di verificare il rispetto dei requisiti di aeronavigabilità e manutenzione. Il locatario, inoltre, è sottoposto ad audit periodici da parte dell'Enac per verificare il rispetto del suddetto monitoraggio.
  La revisione dei motori della flotta A320 Family di Alitalia viene attualmente eseguita dalla ditta di manutenzione BEDEK, da quando la ditta Alitalia Maintenance System è fallita e ha terminato le sue attività.
  Dal canto suo Enac assicura di svolgere una sorveglianza continua sulla gestione dell'aeronavigabilità e della manutenzione dei suddetti motori di Alitalia, dalla quale emerge uno stato di affidabilità degli stessi in linea con quelli degli altri maggiori operatori europei e mondiali.
  In ordine alla prestazione del servizio e alla disponibilità effettiva del mezzo, Enac precisa quanto segue. L'impiego dell'aeromobile è definito nell'ambito del contratto di wet-lease stipulato tra il locatore (lessor) e il locatario (lessee), nel quale è peraltro definito l'operativo dell'aeromobile in regime di noleggio, in termini sia di calendario che in numero di voli (tratte) e pertanto, per ottemperare a quanto contrattualmente definito, la disponibilità dell'aeromobile è di fatto vincolata.
  Riguardo, poi, ai controlli manutentivi sia sugli aeromobili che sui motori, Enac ribadisce che gli aeromobili operati in regime di wet-lease continuano ad essere gestiti in termini di aeronavigabilità/manutenzione/operazioni volo dal relativo locatore, il quale è in possesso di AOC (Air Operator Certificate) che, nel caso in esame, è stato rilasciato dall'autorità maltese e quindi secondo gli standard europei.
  Improprio, quindi, correlare operazioni volo in regime di wet-lease con «rinuncia ai controlli manutentivi sia sugli aeromobili che sui motori...».
  Infine, l'evento di spegnimento in volo di un motore occorso all'aeromobile Boeing B 737-400, operato in regime di wet-lease out da parte dell'operatore VVB Aviation Malta, non prevede l'adozione di «procedure di emergenza», così come risulta dalla documentazione del Costruttore Boeing (Boeing 737 Flight Crew Operations Manual).
  Quanto al futuro occupazionale dei lavoratori coinvolti, il Ministero dello sviluppo economico ha riportato quanto segue.
  La società AMS è stata dichiarata fallita nel 2015 dal tribunale fallimentare di Roma. Si è arrivati a questo epilogo per comportamenti poco avveduti dei quali il Ministero è stato informato pochissimo tempo prima della dichiarazione di fallimento e, quindi, senza avere la reale e concreta possibilità di verificare le alternative eventualmente disponibili.
  Tuttavia, il Ministero ha ritenuto di attivare ogni possibile iniziativa finalizzata alla salvaguardia del know-how e delle competenze professionali presenti in AMS, condizioni fondamentali per un suo possibile rilancio. A questo fine sono stati attivati gli opportuni contatti con gli azionisti – e quindi anche Alitalia, socio di minoranza al 15 per cento oltre che principale cliente – e con i potenziali nuovi investitori per ricercare una relazione valida ed economicamente sostenibile.
  Nel frattempo, il Ministero ha anche dichiarato la disponibilità ad esaminare e sostenere progetti di investimento finalizzati al recupero di efficienza e produttività in AMS, così da consentire alla società di poter tornare a produrre con margini positivi.
  A luglio 2016 il Tribunale di Roma ha autorizzato i curatori alla stipula dell'atto di cessione di AMS in fallimento alla società IAG.
  Il 9 agosto 2016 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo durante il quale la società IAG ha presentato alle istituzioni e alle organizzazioni sindacali i punti cardine del proprio piano industriale; tale piano non ha ottenuto a quella data il pieno consenso da parte delle organizzazioni sindacali.
  Il Ministero dello sviluppo economico e la regione Lazio hanno comunque concordato nel rendersi disponibili a valutare il progetto industriale e le attività di ricerca e sviluppo della IAG Engine Center Europe eventualmente finanziabili e hanno confermato il proprio impegno a favorire un'operazione che salvaguardi i livelli occupazionali e garantisca solide soluzioni industriali.
  In data 16 settembre 2016 è stato stipulato il contratto di cessione di ramo d'azienda tra AMS in fallimento e IAG Engine Center LLC.
  A seguito dell'acquisizione, la situazione è monitorata con costante attenzione dal Ministero dello sviluppo economico proprio per favorire un rapido riavvio delle attività e presso lo stesso Ministero dello sviluppo economico sono stati anche organizzati degli incontri con l'azienda e alcune delle parti coinvolte nella cessione (curatela, Aeroporti di Roma) in modo da agevolare il subentro di IAG nelle attività.
  Non appena la situazione apparirà più delineata, sarà convocato presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di confronto che coinvolgerà IAG, istituzioni e organizzazioni sindacali.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SPADONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Tribunale di Reggio Emilia ha una grave carenza di organico di personale: rispetto alla pianta organica, in servizio vi è circa il 20 per cento di personale in meno e tra l'80 per cento in servizio sono compresi anche i lavoratori assenti per maternità, aspettativa e malattia;
   il maggior difetto riguarda la carenza di funzionari giudiziari: sono in servizio solo 9, di cui alcuni in malattia e aspettativa, mentre da pianta organica dovrebbero essere nel numero di 16, registrando dunque una grave scopertura del 50 per cento circa;
   il dirigente del tribunale di Reggio Emilia, dottor Prelati Graziano, è anche dirigente reggente del tribunale dei minori di Bologna, altro ufficio duramente colpito dalla drastica scopertura di organico del 50 per cento;
   dei 5/6 funzionari promessi dalla regione dopo sollecito solo uno per il momento è giunto al palazzo di giustizia di Reggio Emilia –:
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato al fine di sopperire a tali carenze che si verificano con una preoccupante gravità, anche se con una maggior rilevanza nei casi sopracitati, sull'intero territorio nazionale;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato e quale sia la tempistica necessaria, vista l'estrema urgenza di far fronte a questa problematica al fine procedere all'aumento di organico minimo affinché sia assicurata una modalità efficace di amministrazione della giustizia nel territorio di Reggio Emilia e Provincia, anche in vista del grande «processo Aemilia» in corso;
   se il Ministro abbia preso in considerazione la possibilità di assumere iniziative per distribuire in modo più omogeneo ed equilibrato il personale nei vari palazzi di giustizia e indire nuovi concorsi e assunzioni. (4-13432)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Reggio Emilia e del tribunale per i minorenni di Bologna, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato, il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre; il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato il decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari emiliani.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Reggio Emilia prestano servizio 55 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale del 25 aprile 2013 – da 68 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 19,12 per cento, inferiore alla media nazionale del 21 per cento.
  Il Tribunale per i minorenni di Bologna evidenzia, invece, una scopertura ben più rilevante, pari al 44 per cento circa, con 14 presenze rispetto alla previsione organica di 44 unità.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici dei distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto collettivo nazionale del lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, Presidente della Corte d'Appello e Procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Nella prospettiva di fornire adeguato sostegno agli uffici emiliani, in attesa delle definizione delle procedure di mobilità in corso, il 10 novembre 2016, ho sottoscritto – con il presidente della regione Emilia-Romagna, il presidente della corte d'appello di Bologna e il procuratore generale della Repubblica di Bologna – un protocollo d'intesa, per la temporanea assegnazione di personale della regione Emilia-Romagna agli uffici giudiziari del distretto.
  L'accordo nasce, da un lato dalla considerazione dal carattere particolare del territorio della regione, a forte connotazione imprenditoriale e commerciale, con evidenti ripercussioni in termini di investimenti, sviluppo economico e competitività dello stesso; dall'altro, dal fatto che l'efficiente svolgimento dell'azione giudiziaria sul territorio regionale è indispensabile per garantire certezza alle attività economiche e contrattuali e fronteggiare fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata e di corruzione.
  Le iniziative sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Reggio Emilia sono stati assegnati quattro posti di giudice, in aumento della dotazione prevista.
  Nel distretto di Bologna risultano assegnate, complessivamente, ventidue unità aggiuntive giudicanti e sei requirenti.
  Sullo schema di decreto, il Consiglio superiore della magistratura ha espresso il prescritto parere nella seduta plenaria del 23 novembre 2016.
  All'esito dell'esame dei contributi pervenuti, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Con specifico riferimento alla celebrazione del processo «Aemilia», deve essere ribadita, anche in questa sede, l'azione di sostegno che questo Dicastero ha assicurato all'ufficio procedente, tanto nella fase relativa alla individuazione di una sede idonea alla celebrazione dell'udienza preliminare e del dibattimento, che per la fornitura delle necessarie dotazioni strumentali.
  La celebrazione dell'udienza preliminare ha, difatti, richiesto la individuazione di locali idonei, in considerazione dell'imponente numero delle parti e dei difensori impegnati, nonché della partecipazione al processo a distanza di diversi imputati e delle connesse esigenze organizzative.
  In virtù delle intese raggiunte tra il presidente della regione Emilia Romagna ed i capi degli uffici è stato sperimentato un positivo modulo di interazione tra l'amministrazione centrale ed il territorio, che ha consentito l'adeguamento e l'allestimento di spazi fieristici garantendo, peraltro, l'utile reimpiego dei dispositivi messi a disposizione dal Ministero.
  L'udienza preliminare si è, pertanto, svolta nelle sede naturale di Bologna.
  Anche per quanto attiene alla celebrazione del dibattimento, e facendo seguito alle richieste avanzate dal procuratore della Repubblica e dal presidente del tribunale di Reggio Emilia, il Ministero della giustizia ha prestato attività di supporto per la verifica della idoneità delle aule del tribunale di Reggio Emilia, avviando le opportune interlocuzioni con gli uffici giudiziari e gli enti locali interessati.
  All'esito dei necessari approfondimenti e di incontri tecnici, la competente articolazione di questo Dicastero ha fornito il proprio assenso all'assunzione, da parte del comune di Reggio Emilia e con il contributo della regione Emilia Romagna, degli oneri di allestimento di un'aula speciale, assicurando l'esecuzione da parte dell'Amministrazione delle attività riguardanti la multivideoconferenza e la videosorveglianza, in linea con le statuizioni del procuratore generale presso la corte d'appello di Bologna per quanto attiene agli aspetti relativi alla sicurezza.
  La Direzione generale dei servizi informativi automatizzati ha, inoltre, fornito i dispositivi telematici ed elettronici utili a sostenere nel modo migliore la celebrazione del processo.
  Sono state, in tal modo, realizzate le condizioni perché anche il dibattimento potesse essere celebrato nella sede naturale di Reggio Emilia dove è, effettivamente, iniziato il 23 marzo 2016 ed è tuttora in corso, in locali resi funzionali e rispondenti ai necessari standard di sicurezza, secondo le statuizioni assunte dalla competente Conferenza Permanete.
  Il Ministero ha, pertanto, profuso il massimo impegno anche per assicurare che il processo Aemilia potesse essere celebrato presso il tribunale di Reggio Emilia, nel rispetto delle regole processuali che disciplinano la competenza per territorio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TIDEI e FERRANTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici giudiziari della città di Civitavecchia (tribunale e procura della Repubblica) versano in condizioni di gravissima difficoltà a causa di una endemica carenza di organico del tutto inadeguata al carico di lavoro;
   la carenza di organico presso il tribunale di Civitavecchia è pari a poco più del 7 per cento, essendo presenti 56 unità su un organico di 60 unità complessive. Tuttavia, anche se fosse rispettato l'organico previsto, il rapporto tra personale amministrativo e magistrati risulterebbe comunque il più basso di tutto il distretto della corte di appello;
   da alcuni dati emergerebbe che il rapporto tra personale amministrativo e magistrati, con riferimento al distretto della corte di appello di Roma, per quanto riguarda gli uffici giudiziari di Civitavecchia è estremamente basso. Essendo il numero dei magistrati pari a 20 unità e quello relativo al personale amministrativo pari a 60 unità, il risultato del rapporto sarebbe pari a tre, ovvero un magistrato ogni tre unità di personale amministrativo;
   il tribunale di Civitavecchia, come confermano le statistiche in possesso del Ministero della giustizia è, per mole di lavoro e per incisività territoriale, un rilevante presidio di giustizia;
   le stesse criticità si riscontrano presso la procura della Repubblica di Civitavecchia, dove, a fronte di 34 unità previste nella pianta organica se ne contano al momento solo 19. In particolare, va segnalata l'assenza di un direttore amministrativo quando, sempre nella pianta organica, ne sarebbero previsti due. Un ulteriore direttore amministrativo avrebbe dovuto prendere servizio nel mese di gennaio 2014, ma ad oggi risulta ancora assente. Gli stessi problemi di sottorganicità riguardano i funzionari giudiziari, i cancellieri, gli assistenti giudiziari nonché gli operatori giudiziari;
   un potenziamento di organico riferito ad entrambi gli uffici giudiziari di Civitavecchia, migliorerebbe sensibilmente l'efficienza e l'efficacia del servizio pubblico della giustizia in una città portuale dalla non trascurabile importanza, anche considerato il fatto che il porto Civitavecchia rappresenta uno dei più importanti scali crocieristici di Europa –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, non ritenga necessario e urgente adottare le iniziative necessarie a colmare la carenza di organico nel tribunale di Civitavecchia, al fine di garantire l'efficacia e la sostenibilità del servizio giustizia sul territorio. (4-04388)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti prospettano criticità del tribunale e della procura della Repubblica di Civitavecchia, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiedono, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 2-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo Unico di Amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge del 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato il bando per il concorso è stato pubblicato lo scorso 22 novembre; il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo Unico di Amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari laziali.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Civitavecchia prestano servizio 53 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale del 25 aprile 2013 – da 61 risorse umane. Presso la procura, sono in servizio, invece, 29 delle 42 unità previste.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, rispettivamente pari al 13,11 per cento ed al 30,95 per cento, quest'ultimo superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici dei distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto collettivo nazionale del lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Quanto al personale di magistratura, dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Civitavecchia si compone di venti unità, di cui tre, allo stato, scoperte.
  La Procura, invece, non registra alcuna vacanza.
  Si tratta, pertanto, di un tribunale che evidenzia, allo stato, una scopertura sostanzialmente fisiologica, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della Corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative sulla mobilità del personale amministrativo sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura.
  È stato, difatti, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Civitavecchia stati assegnati due posti di giudice, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre 2016.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con decreto-legge n. 168 del 2016, convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web della fondazione Clinton, denominata dal 2013 «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» tra i donatori di somme di denaro che si aggirano tra i 100.000 e i 250.000 dollari, fino al giugno 2016 figurano sovvenzioni governative italiane, da parte del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare (Italian Ministry For The Environment, Land, & Sea) –:
   se corrisponda al vero e, in caso affermativo, per quali motivi il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare abbia finanziato la «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation»;
   quale sia, in caso affermativo, l'importo esatto con cui stata finanziata la fondazione e da quale capitolo di bilancio siano stati presi i fondi;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia finanziato la «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» anche in passato e, in caso affermativo, quale sia la cifra totale con cui negli anni sia stata finanziata la fondazione;
   di quali elementi disponga il Governo circa i progetti finanziati dalla fondazione con le donazioni dell'Italia, considerato che si tratta di una fondazione estera, intitolata e gestita da una famiglia estremamente coinvolta nella vita politica degli Stati Uniti. (4-14623)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha aderito in passato alla fondazione «Clinton Global Iniziative» (citata dall'interrogante come «Bill Hillary & Chelsea Clinton Foundation») negli anni 2009-2010-2011-2013, corrispondendo, per ciascuno di questi anni, la quota associativa prevista di 20.000 dollari (ovvero 14.065 euro nel 2009, 14.570,88 euro nel 2010, 14.490 euro nel 2011 e 14.765,59 euro nel 2013).
  La suddetta organizzazione, fondata dal presidente Clinton quale momento di incontro e scambio tra i Governi, il settore privato e le organizzazioni non governative, investe quattro aree tematiche quali la economic empowerment, istruzione, ambiente ed energia e global health, dando vita ad azioni di avvicinamento a modelli di sostenibilità ambientale e alla presentazione di progetti nell'ambito dello sviluppo sostenibile e della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo, a cui era destinata la contribuzione dell'Italia.
  I relativi provvedimenti di spesa, emanati con decreto direttoriale negli anni passati, sono stati effettuati a valere sui capitoli di bilancio: 2214 per gli anni 2009 e 2010, 2038 per il 2011 e 2215 per il 2013.
  Da quanto sopra esposto, si evince, pertanto, che la contribuzione da parte del Ministero è stata interrotta a partire dal 2014.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   chi attesta falsamente di non possedere in casa una televisione è punito due volte più severamente di chi, invece, falsifica la propria dichiarazione dei redditi;
   ad avviso degli interroganti si tratta di un paradosso poiché la legge porta a ritenere molto più grave il comportamento di chi evade 100 euro l'anno rispetto a chi, invece, non paga allo Stato le imposte per somme superiori a 150.000 euro, somma limite oltre la quale si incorre in un procedimento penale a causa di una dichiarazione dei redditi infedele;
   in base alla normativa attuale introdotta con l'ultima legge di stabilità, chi non detiene un televisore deve inviare all'Agenzia deve entrate, una volta l'anno, una autocertificazione con cui chiede che il canone Rai non gli venga addebitato;
   il modello, diffuso dall'Agenzia delle entrate la scorsa settimana, può essere inviato o con modalità telematica oppure con raccomanda a.r. Si è inoltre stabilito che, nel caso in cui il contribuente dichiari il falso, è soggetto alle pene previste dal testo unico sulla documentazione amministrativa che, e sua volta, richiama il codice penale;
   appare eccessiva la sanzione prevista dalla legge poiché si potrebbe essere condannati alla reclusione da 1 a 6 anni per il compimento del reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale in virtù del fatto che l'autocertificazione deve essere inviata all'Agenzia delle entrate e non alla Rai, o ad altro soggetto privato;
   anche nel caso in cui il contribuente invii la dichiarazione dei redditi infedele, il soggetto destinatario della dichiarazione è l'Agenzia delle entrate, ma esso rischia la condanna ad una pena inferiore, compresa tra 1 e 3 anni e, come sopra detto, solo a condizione che l'importo evaso sia superiore a 150.000 euro e l'ammontare complessivo degli elementi sottratti al fisco sia superiore al 10 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, a tre milioni di euro;
   dunque, rispetto al falso relativo al canone Rai, il reato di dichiarazione dei redditi infedele è punito con una pena molto più blanda e, peraltro, l'illecito è depenalizzato per cifre inferiori a 150 mila euro;
   appare poco logico sanzionare maggiormente chi evade 100 euro di canone Rai rispetto a chi sottrarre 149.999,99 euro allo Stato in termini di Irpef o Iva, poiché in tal ultimo caso, il falso non costituisce reato;
   1°) la normativa ricordata non pare tenere in conto il principio calla proporzione delle pene;
   2°) la Corte costituzionale ha fissato alcuni principi in merito all'esercizio della discrezionalità legislativa in materia penale che ha ad oggetto il rapporto di proporzionalità fra la gravità del crimine e l'entità della sanzione, che ad esso si correla, poiché il principio d'uguaglianza «esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza n. 409 del 1989);
   3°) il rispetto del principio di proporzionalità della pena, equivale a negare legittimità alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalità statuali di prevenzione, producono però, attraverso la pena, danni all'individuo, ai suoi diritti fondamentali, alla società, sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti, o da ottenere, con la tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni, e vanificano la finalità di rieducazione di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione –:
   se i fatti riportati trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda assumere al fine adeguare la normativa vigente ai principi dell'ordinamento giuridico richiamati più volte nel sindacato della Corte costituzionale. (4-12730)

  Risposta. — Premesso il rilievo secondo cui chi attesti falsamente di non possedere un televisore sia punito «due volte più severamente di chi, invece, falsifica la propria dichiarazione dei redditi», mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti osservano come la normativa in materia, nel raffronto con la disciplina delle violazioni tributarie, appaia irragionevole, sotto il profilo della proporzionalità delle sanzioni, alla stregua delle elaborazioni della giurisprudenza della Corte costituzionale, al fine di sindacare i limiti della discrezionalità del legislatore in materia penale.
  Chiede, pertanto, al Ministero della giustizia «se i fatti riportati trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda assumere al fine di adeguare la normativa vigente ai principi dell'ordinamento giuridico richiamati più volte nel sindacato della Corte costituzionale».
  Nell'analisi della questione, pare opportuno rilevare come nell'interrogazione si operi un riferimento espresso al comma 153 della legge di stabilità 2016, nella parte in cui, modificando l'articolo 1 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, prevede che: «Allo scopo di superare le presunzioni di cui ai precedenti periodi, a decorrere dall'anno 2016 è ammessa esclusivamente una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico».
  La disposizione si riferisce, all'evidenza, ad una forma di «autocertificazione» circa il mancato possesso di apparecchio televisivo, che si inquadra nella più ampia previsione degli strumenti atti a comprovare, nei confronti della pubblica amministrazione, mediante dichiarazioni sottoscritte dall'interessato, stati, qualità personali e fatti (articolo 46 decreto del Presidente della Repubblica 445 del 2000), compresa la situazione di reddito ed economica.
  L'articolo 76 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica stabilisce che chiunque rilasci dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale e dello leggi speciali in materia.
  Al fine di agevolare i rapporti dei privati con le amministrazioni interessate, l'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica citato stabilisce che queste ultime «... predispongono i moduli necessari per la redazione delle dichiarazioni sostitutive, che gli interessati hanno facoltà di utilizzare. Nei moduli per la presentazione delle dichiarazioni sostitutive le amministrazioni inseriscono il richiamo alle sanzioni penali previste dall'articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate».
  Con riferimento alle autodichiarazioni rilevanti in ordine al canone Rai, dalle informazioni acquisite risulta come l'Agenzia delle entrate abbia predisposto il relativo modulo, con espresso rinvio alle norme che puniscono il mendacio nei rapporti con la pubblica amministrazione.
  Secondo le osservazioni svolte dall'Ufficio legislativo di questo Dicastero, viene, pertanto, ad essere richiamato l'articolo 483 c.p., che punisce con la reclusione fino a due anni la falsità ideologica del privato in atto pubblico.
  Trattasi di norma incriminatrice contro la fede pubblica, posta a salvaguardia della veridicità dell'attestazione contenuta negli atti sostitutivi in se, a prescindere dagli ulteriori profili coinvolti in relazione al fine cui la dichiarazione mendace tende.
  Di conseguenza, la norma sanziona il mendacio in una dichiarazione che tiene luogo di un atto pubblico e, pertanto, il trattamento sanzionatorio è parametrato a siffatto disvalore e non già – nel caso di specie – all'elusione del pagamento del canone televisivo cui la falsa attestazione è finalizzata.
  La comparazione tra la fattispecie incriminatrice applicabile al mendacio finalizzato all'elusione del canone Rai ed il reato di dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette e dell'iva non consente, dunque, di ravvisare manifesti profili di irragionevolezza per sproporzione nella risposta sanzionatoria, trattandosi di norme incriminatrici poste a presidio di diversi beni-interessi.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono ripetuti e angoscianti gli episodi di maltrattamenti di cui la stampa dà conto, ogni giorno, perpetrati a danno di minori, anziani e disabili: soggetti che necessitano di una tutela maggiore da parte delle istituzioni, perché versano in una situazione di particolare svantaggio, non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze e alla propria auto-difesa;
   sono tanti i soprusi che si compiono all'interno delle strutture, pubbliche e private come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali (dove le persone vengono obbligate a mangiare cibi avariati e assumere medicinali scaduti, in ambienti senza le più elementari condizioni igieniche);
   l'installazione di un sistema di videosorveglianza a circuito interno nelle strutture pubbliche e private costituirebbe senza dubbio un elemento di maggiore garanzia per le famiglie che devono affidare i propri figli, genitori e parenti a tali strutture e, avrebbe funzione di deterrente, per evitare ogni eventuale tipo di abuso da parte di coloro che vi operano o, addirittura, da parte di soggetti esterni;
   il sistema di videosorveglianza con telecamere a circuito interno non è un sistema di web cam, censurato nell'anno 2013 dal Garante per la protezione dei dati personali; il circuito chiuso offre le necessarie tutele di riservatezza, e le riprese immagazzinate possono essere visionate dagli interessati, solo qualora vi sia la necessità in caso di sospetti o di segnalazioni pervenute agli organi di polizia preposti, di utilizzarle per indagini e controlli;
   proprio grazie alle segnalazioni di parenti o di genitori e all'installazione di telecamere a circuito chiuso, le forze dell'ordine hanno avuto la possibilità di individuare e perseguire i reati commessi negli asili nido, nelle scuole materne e nei centri residenziali che ospitano disabili e anziani: luoghi che dovrebbero essere deputati all'educazione e al benessere dei bambini, dei disabili e degli anziani –:
   se non ritengano opportuno adottare in tempi rapidi iniziative normative che vadano a disciplinare, come già previsto dalla legge 20 maggio, 1970, n. 300 (per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) un sistema di videosorveglianza a circuito chiuso in ogni struttura pubblica o privata adibita ad asilo nido, scuola dell'infanzia e pensionato per anziani o che accudisca i disabili, ciò al fine di tutelare la sicurezza e l'incolumità fisica e mentale dei soggetti ospitati e assicurare la tranquillità delle loro famiglie, proprio per impedire che questi episodi si ripetano. (4-15101)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sulla tutela dei bambini, degli anziani e delle persone con disabilità nelle istituzioni a cui è affidata la loro educazione, assistenza e cura, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto è opportuno ricordare che il tema è stato già approfondito nel corso del dibattito parlamentare. Il disegno di legge (AS 2574) attualmente all'esame della Commissione lavoro del Senato è stato, infatti, già approvato, in prima lettura, dalla Camera dei deputati. Il provvedimento concerne gli asili nido, le scuole dell'infanzia, le strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e per persone con disabilità, in particolare con riferimento alla valutazione e formazione del personale e ai sistemi di videosorveglianza.
  Il Governo già durante l'esame parlamentare alla Camera dei deputati, ha avuto modo di esprimere apprezzamento in termini generali per la finalità del provvedimento, ravvisabile nell'intento di predisporre una particolare tutela dei soggetti particolarmente deboli e vulnerabili quali i minori che frequentano asili nido o scuole dell'infanzia, le persone con disabilità e gli anziani ospitati in apposite strutture.
  Il disegno di legge interviene su un tema, di grande complessità per la rilevanza dei beni giuridici coinvolti. Non si tratta, infatti, solo del profilo attinente alla libertà del lavoratore nell'adempimento della prestazione, ma anche, del lavoro in contesti come quelli educativi legati anche a requisiti di spontaneità e immediatezza nella relazione e della necessaria protezione di soggetti incapaci o comunque in condizioni di particolare vulnerabilità.
  Altrettante importante e delicato è il tema della formazione dell'educatore professionale che merita la massima attenzione di tutto il Governo e il Parlamento nell'approssimarsi a definire il contenuto del provvedimento in seconda: lettura al Senato.
  Il disegno di legge rappresenta, pertanto, un importante, mutamento giuridico rispetto al panorama, normativo vigente.
  Nel testo approvato dalla Camera (al quale si è arrivati cercando il più possibile un equilibrio tra molti interessi in conflitto tra loro) viene, riconosciuta la possibilità di installare negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia, nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e disabili, nel rispetto di una procedura concertativa analoga a quella dell'articolo 4 dello statuto dei lavoratori, telecamere la cui idoneità tecnica sia stata verificata dal Garante della privacy che raccolgano dati soggetti, a conservazione in forma cifrata e accessibili solo all'autorità giudiziaria in caso di procedimento penale.
  Si segnala, inoltre, che durante l'audizione svoltasi presso la Commissione lavoro del Senato il 22 novembre 2016 Antonello Soro, presidente del Garante per la protezione dei dati personali, ha sottolineato alcuni aspetti problematici che presenta il provvedimento, tra i quali la necessità ineludibile di salvaguardare quel naturale rapporto fra educatori e bambini (o comunque tra personale e ospiti di strutture di cura), che, secondo il Garante, invece rischia di essere falsato è reso artificioso, perché il lavoratore sa di essere costantemente sorvegliato dall'occhio elettronico di una telecamera.
  In conclusione, l'auspicio è che la discussione già iniziata al Senato possa contribuire a migliorare e superare gli aspetti più delicati e complessi derivanti dal contenuto del disegno di legge nell'ottica di riuscire a contemperare le diverse esigenze, in particolare la tutela dei bambini, degli anziani e delle persone con disabilità nelle istituzioni a cui è affidata la loro educazione, assistenza e cura.

La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche socialiFranca Biondelli.


   VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la città di Barcellona Pozzo di Gotto è la seconda città della provincia di Messina con circa 45.000 abitanti, è sede di un tribunale ordinario che copre un comprensorio di circa 100.000 abitanti;
   il tribunale, negli ultimi anni, è stato interessato da numerosi processi di mafia in quanto la città è stata «sede» della cosiddetta cosca dei «barcellonesi» affiliati a Cosa Nostra catanese e della limitrofa cosca dei cosiddetti «mazzarroti»;
   il 25 febbraio 2016 si è insediato il nuovo presidente del tribunale, Dottor Giovanni De Marco;
   in un articolo del 4 aprile 2016 uscito sulla Gazzetta del Sud si legge di una disposizione del presidente Giovanni De Marco in cui esplicitamente sostiene che «la situazione in cui versa il Tribunale di Barcellona può essere definita disperata: per volume di arretrato, carichi di lavoro, vacanze e inadeguatezza della pianta organica»; lo stesso presidente analizza nel dettaglio la situazione del tribunale sostenendo che «il tribunale nelle condizioni attuali non è in grado di gestire e trattare la mole dell'arretrato e di fronteggiare la stessa mole delle sopravvenienze» arrivando a stabilire, con la disposizione, una priorità nei procedimenti proprio per evitare che i processi più importanti arrivino in prescrizione;
   i dati citati nell'articolo, aggiornati al 30 giugno 2015, sono molto chiari ed inquadrano la situazione drammatica in cui versa il tribunale, le pendenze sono: circa 18.000 per i procedimenti civili, circa 3.000 per i processi penali in fase dibattimentale e circa 8.000 per i procedimenti penali pendenti in fase gip e gup, tutti distribuiti su soli 11 giudici e quindi con una media circa 2600 procedimenti per ogni giudice, nettamente superiore al dato statistico nazionale, con l'aggiunta dell'elemento, di certo non secondario a parere degli interroganti, che molti dei procedimenti più importanti legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso sono concentrati proprio in questo tribunale;
   in un'intervista rilasciata al giornale Centonove.it lo stesso presidente De Marco, per denunciare il gravissimo stato in cui versa il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, dichiara che quest'ultimo: «È un presidio di legalità se funziona. Se non funziona, se non assolve al compito per cui è stato istituito, diventa un presidio di illegalità, è la prova vivente del fallimento dello Stato, un inno all'anti-Stato perché se uno non riesce a trovare giustizia nelle vie ordinarie si rivolge altrove. Se si tiene in piedi un tribunale che non funziona si dà la possibilità all'anti-Stato di realizzare una giustizia parallela»;
   lo stesso Consiglio dell'Ordine degli avvocati, come si può leggere in un articolo della Gazzetta del Sud del 6 aprile 2016, ha deliberato una «pressante istanza», diretta ai più alti livelli istituzionali tra cui il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia e tutti gli organi interessati «affinché vengano assunti i più idonei interventi di natura strutturale onde porre fine alla inadeguatezza della pianta organica che va implementata almeno di 5 magistrati ed alla cronica carenza di organico»;
   con un articolo del 12 maggio 2016 apparso sulla Gazzetta del Sud si viene a conoscenza che, oltre alla disposizione del presidente del tribunale ed all'istanza del Consiglio dell'ordine degli avvocati, anche i sindacati hanno deciso di proclamare lo stato d'agitazione all'interno del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in quanto, come si può constatare dall'articolo, nonostante la conclamata carenza d'organico sono state richieste dalla corte d'appello di Messina tre unità di personale amministrativo «per fronteggiare straordinarie criticità sopravvenute» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per arginare il progressivo depauperamento del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e, conseguentemente, del ruolo importantissimo che esso svolge per la parte «sana» di popolazione;
   quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di migliorare le prestazioni, anche tramite adeguamento della pianta organica, del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;
   se intendano effettuare, per quanto di competenza, un'immediata ed attenta valutazione in merito alla situazione del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, anche prendendo eventualmente in considerazione una eventuale chiusura definitiva della struttura, ma fornendo una soluzione valida ed efficace al fine di non far percepire ulteriormente alla popolazione locale quella spiacevolissima sensazione di non far parte (o farne parte in maniera minore) dello Stato italiano.
(4-13211)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Barcellona pozzo di Gotto, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l’avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, in, 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del d.m. 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari siciliani.
  Allo stato, risulta che presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto prestano servizio 47 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il d.m. 25 aprile 2013 – da 56 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 16,07 per cento, inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Presso la Procura, invece, le unità presenti sono 34, oltre ad altra impiegata part time, in sovrannumero rispetto alla previsione di 31 risorse.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto collettivo nazionale del lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Quanto al personale di magistratura, dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto si compone di quindici unità, di cui due, allo stato, scoperte.
  La Procura, invece, non registra alcuna vacanza.
  Si tratta, pertanto, di un tribunale che evidenzia, allo stato, una scopertura sostanzialmente fisiologica, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della Corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative sulla mobilità del personale amministrativo sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura.
  È stato, difatti, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre scorso.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della seduta della Commissione difesa di giovedì 11 febbraio 2016, il rappresentante del Governo, Sottosegretario di Stato on. Domenico Rossi, rispondendo alla interrogazione n. 5-07577 dell'on. Basilio su un procedimento disciplinare attivato nei confronti di un delegato COCER (vicenda per la quale anche il sottoscritto ha presentato l'interrogazione n. 5-07495 alla quale il Governo ha risposto nel corso della seduta del 3 febbraio) ha dichiarato che «l'ufficiale incaricato, analizzando la pagina Facebook pubblica di una giornalista – autrice dell'articolo oggetto degli accertamenti, pubblicato sul quotidiano Libero – è risalito ai profili Facebook, anch'essi pubblici, dei militari interessati, rilevando in tal modo condotte passibili di vaglio disciplinare;
   l'affermazione del rappresentante del Governo appare di enorme gravità, per l'aspetto del controllo dei profili Facebook di giornalisti e militari –:
   quali orientamenti intenda esprimere in merito all'accaduto e quali iniziative intenda assumere per evitare che, nella ricerca di condotte passibili di vaglio disciplinare dei militari e dei delegati Cocer, si possano ledere elementari principi e diritti costituzionali di libertà di stampa, di comunicazione e di espressione del pensiero. (4-12098)

  Risposta. — Si confermano i contenuti delle risposte richiamate nell'atto dall'interrogante.
  Si ribadisce, altresì, che in ambito Forza armata non viene svolta alcuna attività di monitoraggio dei profili del personale militare o di altri soggetti presenti sui social network.
  Nel caso di specie, riconducibile al legittimo esercizio dell'azione disciplinare, condotta in ossequio alle garanzie individuate dall'ordinamento giuridico, non è stato peraltro violato alcuno dei diritti costituzionalmente garantiti tenuto conto che le informazioni acquisite da internet erano pubbliche.
  In tale quadro, nell'ambito delle inchieste sommarie disposte ai sensi dell'articolo 530 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, si evidenzia che l'attività dell'ufficiale incaricato è consistita, tra l'altro, nell'acquisizione di documenti o altri mezzi di prova, nonché di ogni altro elemento di informazione utile alla definizione o all'accertamento dei fatti e all'individuazione delle cause che hanno determinato l'evento.
  L'ufficiale inquirente, nell'ambito di tale cornice giuridica, ha individuato delle condotte di possibile rilevanza sotto il profilo disciplinare, che sono state segnalate ai rispettivi Comandanti di Corpo, competenti al vaglio disciplinare delle stesse.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   ZAMPA e CHAOUKI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il problema della sottrazione dei figli minori da parte di uno dei due coniugi è un problema molto grave ed esteso e non è stato ancora risolto anche se posto più volte all'attenzione;
   la difficoltà a intervenire efficacemente per risolvere il problema è data anche dal fatto che sono tre i Ministeri di competenza, affari esteri e della cooperazione internazionale, giustizia e interno;
   un ulteriore difficoltà è data dal fatto che molto spesso i figli minori sottratti sono portati da uno dei due coniugi nel proprio Paese d'origine, rendendo ancor più complicata l'individuazione e il successivo rimpatrio del minore;
   negli anni è mancato un coordinamento specifico per far fronte al difficile problema dei figli minori sottratti da uno dei due coniugi;
   le convenzioni internazionali con cui il dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia è stato designato quale autorità centrale sono state rese esecutive con la legge 15 gennaio 1994, n. 64 e dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione in cui si trovano molti genitori italiani a causa delle problematiche esposte in premessa e quali siano in loro orientamenti in merito per trovare delle soluzioni concrete;
   anche alla luce di recenti casi ancora in attesa di soluzione, se non ritengano opportuno assumere iniziative per la creazione di un centro di coordinamento che permetta una migliore sinergia tra le forze in campo, deputate ad affrontare il problema dei figli minori sottratti da uno dei due coniugi, ovviamente nel precipuo interesse del minore, per rendere meno difficile, ai cittadini colpiti da questo problema, interfacciarsi con le istituzioni.
(4-10048)

  Risposta. — Con l'atto in esame gli interroganti, dopo aver ricordato lo spinoso problema della sottrazione dei figli minori da parte di uno dei coniugi, sovente conducendoli all'estero, chiedono se non si reputi opportuno provvedere ad un centro di coordinamento delle iniziative al riguardo.
  La disamina del delicato tema impone, in via preliminare, una ricostruzione dell'attuale quadro normativo.
  Occorre ricordare che, al fine di contrastare il fenomeno della sottrazione internazionale dei minori, la legge 15 gennaio 1994, n. 64 ha reso esecutiva la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione stessa, nonché la Convenzione di Lussemburgo 20 maggio 1980 sul riconoscimento delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, la Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 in materia di protezione dei minori fatta e la Convenzione de L'Aja del 28 maggio 1970 in materia di rimpatrio dei minori.
  Quando l'episodio di sottrazione sia circoscritto al territorio dell'Unione europea, trova applicazione il regolamento (CE) 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale.
  L'applicazione della Convenzione presuppone, ovviamente, la «illiceità» della sottrazione, che sussiste allorquando il trasferimento o il mancato rientro avvengano in violazione del diritto di affidamento, esercitato di fatto dal genitore che subisce la sottrazione ed a questo attribuito o dalla legge o da una decisione giudiziaria dello Stato dove il minore ha la residenza abituale.
  Peraltro, secondo la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, la decisione sul rimpatrio e quella sulla custodia sono indipendenti ed autonome, non solo perché la decisione sul rientro non pregiudica il merito del diritto di custodia, ma anche perché, qualora nello Stato richiesto o in quello di residenza abituale sia stata emessa una decisione sull'affidamento favorevole al genitore che ha effettuato la sottrazione, tale pronuncia non può fondare il rigetto dell'istanza di ritorno.
  Lo scopo prioritario della citata Convenzione, rafforzata dal regolamento CE, è infatti quello di garantire una tempestiva ed efficace protezione del minore.
  Il regolamento CE trova uno specifico ambito di applicazione nella frequente ipotesi in cui, all'esito di un periodo di permanenza del minore presso il genitore non collocatario residente in un altro Paese dell'Ue, il medesimo non venga più rimandato nel luogo in cui ha la residenza abituale. Esso è dunque intervenuto a limitare l'applicazione dell'anzidetta eccezione al rimpatrio, stabilendo che il giudice del rimpatrio è comunque obbligato a ordinare il ritorno del minore qualora sia dimostrato che, nello Stato di residenza abituale del medesimo, sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo rientro.
  Da quanto esposto si apprezza come il regolamento comunitario n. 2201/2003 offra significativi strumenti idonei a risolvere molti conflitti di giurisdizione e molti contrasti di giudicato a beneficio degli interessi dei minori.
  Tuttavia, non può non concordarsi sul fatto che il tema merita una crescente sensibilizzazione, anche perché, pur nella vigenza del precitato quadro normativo sovranazionale, vi è ancora la tendenza da parte degli Stati di avvalersi in primis della normativa nazionale, anziché di quella comunitaria, che renderebbe certamente più agevole la soluzione dei problemi.
  Inoltre, a distanza di dieci anni dall'entrata in vigore di detto regolamento, la Commissione europea, avendone analizzato il concreto solo parziale funzionamento nella pratica, ha elaborato una proposta dì nuovo regolamento, datata 30 giugno 2016, atto COM(2016) 411, fra l'altro al fine di «proteggere meglio l'interesse superiore del minore semplificando le procedure e rendendole più efficaci».
  Tra i punti ritenuti critici e da migliorare, la proposta indica il tema del ritorno del minore sottratto, lamentando il fatto che «i ritardi di trattamento dei casi sono anche ascrivibili alla scarsa specializzazione, in diversi Stati membri, delle autorità giurisdizionali che si occupano delle domande di ritorno».
  Essa aggiunge: «I casi di sottrazione transfrontaliera sono complessi e sensibili e se a trattarli sono tutte le autorità giurisdizionali locali competenti in materia di diritto di famiglia, il singolo giudice vi si imbatterà solo raramente. Di conseguenza avrà poca familiarità con le procedure e le disposizioni applicabili e poche possibilità di mantenere contatti con altre giurisdizioni dell'UE secondo modalità assodate, e di rafforzare così la fiducia reciproca».
  Mi preme, al riguardo, rammentare che, anticipando dette indicazioni e nella prospettiva convinta delle esigenze predette, ho già presentato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il disegno di legge n. 2953 di Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2016 e trasmesso al Senato della Repubblica, ove si trova, ad oggi, con il n. 2284 all'esame della Commissione giustizia in sede referente.
  Con tale atto, il Governo viene delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che istituisca il Tribunale della famiglia e della persona, mediante sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori.
  Esse dovranno svolgere le loro attività in ambienti e locali separati, adeguati ai minori di età e alla natura dei procedimenti, con magistrati assegnati in via esclusiva e tenuti, altresì, a partecipare annualmente a specifiche attività di formazione «aventi come obiettivo l'acquisizione di conoscenze giuridiche e di conoscenze extragiuridiche propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice e di pubblico ministero della famiglia e dei minori, di buone prassi di gestione dei procedimenti e di buone prassi per l'ascolto del minore».
  Tutto ciò, come recita la delega, anche per «assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e delle linee guida del Consiglio d'Europa in materia digiustizia a misura di minore».
  Ciò posto, per quanto di diretta competenza del Ministero della giustizia, va precisato che allo stato esso interviene mediante l'autorità centrale, istituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile, nei casi di sottrazione – attiva e passiva – coinvolgenti sia minori italiani che stranieri, avvenuti tra l'Italia e quei Paesi con i quali è in vigore la sopra descritta Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Il Dipartimento per la giustizia minorile è Autorità centrale anche per l'attuazione del Regolamento n. 2201/2003. In tali casi, la Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, quale articolazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, è di sostegno all'azione dell'Autorità centrale.

  Peraltro, per quanto, il fenomeno delle sottrazioni internazionali di minori possa ritenersi diretta conseguenza della sempre maggiore mobilità delle persone, in Europa così come nel resto del mondo, è opportuno sottolineare che a fronte di una forte crescita delle unioni transnazionali, le sottrazioni internazionali restano un fenomeno limitato e che un numerico molto elevato di procedure si estingue abbastanza rapidamente, senza necessità di attivare la procedura giudiziaria volta all'emissione dell'ordine di ritorno.
  Ed infatti, come riferito dal competente dipartimento del Ministero, delle 849 sottrazioni, attive e passive, attivate per il tramite della Autorità Centrale italiana negli anni dal 2010 al 2015 e già definite al 31 dicembre 2015, ben 157 si sono concluse per rientro volontario del sottrattore con il minore nello Stato di residenza abituale, 91 a causa del raggiunto accordo tra le parti, 152 per rinuncia all'istanza da parte del soggetto vittima della sottrazione, 43 per inerzia, identificata quando il soggetto che lamenta la sottrazione non ha più contattato l'autorità centrale dopo la prima attivazione e malgrado i solleciti ed ha così evidenziato il sopravvenuto disinteresse per la procedura.
  Dunque, nel 52 per cento dei casi le parti hanno autonomamente raggiunto un soddisfacente equilibrio nei loro rapporti.
  Solo il 40 per cento dei casi è giunto al giudizio, mentre il restante 8 per cento si è definito per mancanza assoluta dei presupposti di procedibilità.
  Nei casi giudiziali, la metà circa è stata definita con ordine di ritorno, l'intera metà con reiezione dell'ordine di ritorno: ciò, sia nei casi cosiddetti passivi, decisi cioè dai giudici italiani, sia nei casi cosiddetti attivi, decisi da giudici di Stati esteri.
  Sono, pertanto, ben pochi i casi che restano irrisolti.
  Giova altresì evidenziare che con la legge del 16 novembre 2015 n. 199 è stato ratificato e si è data esecuzione al terzo protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo, che stabilisce una procedura di presentazione di comunicazioni, adottato dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2011.
  In base alle nuove norme, ogni singolo minore, o gruppo di minori, i cui Governi, come il nostro, abbiano ratificato il protocollo, potrà segnalare le violazioni dei propri diritti, a mezzo di apposito ricorso al Comitato ONU per i diritti dell'infanzia, organismo indipendente di esperti incaricati di monitorare il rispetto dei diritti dell'infanzia da parte degli Stati. Il terzo protocollo rafforzerà la responsabilità degli Stati, obbligandoli a rendere il suddetto meccanismo di reclamo accessibile a tutti i minori interessati, ed, inoltre, li aiuterà ad identificare le lacune presenti nei sistemi giudiziari nazionali sull'infanzia e sarà anche strumento di sostegno all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e ai Garanti per l'infanzia regionali.
  Inoltre, va rilevato che l'impegno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è costante, attraverso le ambasciate ed i consolati Esso si sostanzia da sempre nell'assistere sotto il profilo consolare i genitori che hanno subito la sottrazione del figlio o sono ostacolati nell'esercizio del loro diritto di visita, modulando gli interventi a seconda dei singoli casi, sul duplice fronte sia dell'assistenza ai connazionali, sia della sensibilizzazione delle autorità locali a vario titolo competenti.
  Tali interventi, tuttavia, non hanno, per loro stessa natura, carattere coercitivo: ambasciate e consolati operano in territorio straniero e sono vincolati all'osservanza degli ordinamenti locali e all'impossibilità di agire iure imperii.
  Gli strumenti internazionali richiamati nella mozione infatti, pur se recepiti nei singoli ordinamenti, non comportano per ciò solo la totale abdicazione dello Stato parte alla sua potestà normativa ed esecutiva.
  Va precisato, comunque, che il Ministero degli affari esteri è da tempo impegnato anche per prevenire la sottrazione internazionale dei minori. Su quest'ultimo fronte, la direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie ha attuato iniziative intese a portare a conoscenza dell'opinione pubblica i risvolti del fenomeno, nell'intento di limitarne l'insorgere o il protrarsi. Ci si riferisce, in primo luogo, alla pubblicazione periodica dell'opuscolo «Bambini contesi – Guida per i genitori», giunta alla sua ottava edizione e reperibile online.
  La guida, frutto dell'esperienza maturata in questi anni, è diretta sia ai genitori, sia agli operatori del settore minorile, chiamati ad intervenire nei singoli casi.
  Quanto, in particolare, all'unificazione di competenze istituzionali al riguardo, va rimarcato che l'Autorità centrale ai sensi della Convenzione dell'Aia del 1980 (così come del regolamento (CE) n. 2201/2003) è il Ministero della giustizia, con il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Trattasi infatti di strumenti di cooperazione giudiziaria, che trovano pertanto presso il Ministero della giustizia la opportuna collocazione operativa.
  Come riferito dal competente dipartimento, le difficoltà del rimpatrio non sono dovute all'attuale struttura dell'autorità centrale, quanto piuttosto alla farraginosità della procedura.
  Ed invero, come sopra ricordato, tutto il regolamento Bruxelles II-bis, e in particolare l'articolo 11, è oggetto di un processo di revisione da parte della Commissione europea.
  In ambito interno, è in funzione da diversi anni un gruppo di lavoro, la cosiddetta task force interministeriale, composta da rappresentanti dell'autorità centrale, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del Ministero dell'interno, che si riunisce periodicamente, condividendo informazioni e pianificando strategie condivise. Nell'ambito della stessa viene effettuata un'intensa attività di scambio informativo e vengono adottate le idonee iniziative per agevolare la localizzazione del minore e sviluppare l'assistenza consolare, nonché viene fornito ogni supporto necessario allo sviluppo delle procedure di risoluzione della sottrazione.
  Peraltro – come evidenziato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale – la collaborazione tra lo stesso ed i Ministeri della giustizia e dell'interno è costante ed agevola lo scambio di informazioni. Il 30 maggio 2013 è stato firmato un protocollo d'intesa tra le tre amministrazioni, che ha formalizzato l'attività del gruppo di lavoro interministeriale che esamina i casi di sottrazione particolarmente critici, con l'obiettivo di realizzare il massimo coordinamento tra le strutture operative coinvolte.
  Tale intenso lavoro ha portato in parecchi casi al rientro di minori trattenuti all'estero.
  Va comunque ricordato che, una volta avviata nello Stato estero la procedura mirata all'emanazione dell'ordine di ritorno da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato di rifugio, come previsto dalla convenzione, né l'autorità centrale dello Stato di rifugio, né tanto meno quella dello Stato di origine (anche se si trattasse di un «commissario straordinario» o di un «comitato interministeriale») può interferire sull'attività giudiziaria in corso.
  Mi preme, in conclusione, rimarcare che resta comunque fermo l'impegno del Ministero sul tema, auspicandosi un confronto aperto, interistituzionale e politico, a livello nazionale ed internazionale, per il rafforzamento degli strumenti volti a garantire la tutela dei minorenni che, loro malgrado, sono coinvolti in una sottrazione internazionale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.