Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 14 febbraio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Allegato XIV, al punto 9, 3o comma, del Trattato di pace di Parigi del 1947 prevede che i beni, diritti e interessi degli italiani residenti in modo permanente nei territori ceduti alla Jugoslavia al momento dell'entrata in vigore del Trattato non potranno essere incamerati, ai sensi dell'articolo 79 del Trattato. Prevede, inoltre, che saranno restituiti ai loro proprietari liberati dagli effetti di tutte le misure di tale natura e di qualsiasi altra misura di trasferimento, di amministrazione forzata o di sequestro presa nel corso del periodo che si estende fra il 3 settembre 1943 e la data di entrata in vigore del presente Trattato;
    tale disposizione avrebbe dovuto portare a superare tutte le misure illegali, e quindi considerate nulle dalle potenze vincitrici, di appropriazione da parte slava dei beni italiani operati durante l'occupazione militare ante trattato; interpretazione che è stata testualmente condivisa dalla Corte di Cassazione sezioni unite civili, sentenza 28 aprile 1964, n. 1017, che ha statuito che, ai sensi della ricordata normativa internazionale, «i privati conservano il loro diritto di proprietà». Similmente, si sono espresse le sezioni unite civili con la sentenza 18 settembre 1970, n. 1549;
    la questione dei beni espropriati è stata solo in parte regolata da accordi bilaterali;
    il Parlamento ha provveduto nel tempo a decidere l'indennizzo delle proprietà perdute nei territori ceduti, attraverso una legislazione che è stata più volte modificata, col proposito di venire incontro alle aspettative degli esuli, ma è sempre stata valutata come del tutto insoddisfacente quanto ai valori riconosciuti;
    lo Stato non ha riconosciuto ai vecchi proprietari di immobili un ristoro integrale, bensì soltanto un indennizzo condizionato dalle possibilità della finanza pubblica e stabilito dal Parlamento con piena discrezionalità;
    la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8055 del 25 marzo 2014, ha stabilito che è ravvisabile un diritto all'indennizzo in favore dei cittadini italiani per i beni localizzati nei territori ceduti alla Jugoslavia in base al Trattato di pace del 10 febbraio 1947 ed ivi sottoposti, dal Governo jugoslavo, a misure di nazionalizzazione o di esproprio, ma spetta comunque sempre al Parlamento determinarne in concreto l'importo. Non è diversa la prospettiva per il regime concernente i beni localizzati nella zona B, in base al Trattato cosiddetto di Osimo del 1975;
    nulla di favorevole c’è da aspettarsi da parte slovena e croata per riesaminare alcune situazioni non chiuse dai precedenti trattati fra Italia e Jugoslavia. Ma, da parte sua, l'Italia non ha dato cenni per un impegno politico attivo a tutela anche di quelle situazioni, che non sono state pregiudicate dagli accordi intervenuti a suo tempo con la Jugoslavia, dante causa dei nuovi Stati che mantengono legislazioni non particolarmente liberali;
    la legge 16 marzo 2001, n. 72, recante «Interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia» e successive proroghe ed integrazioni, stabilisce la stipula di una convenzione pluriannuale con la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati (FederEsuli), avente come obiettivo l'applicazione dell'articolo 9 della Costituzione e il conseguente finanziamento di attività volte alla salvaguardia «delle tradizioni storiche, culturali e linguistiche italiane delle comunità istriane, fiumane e dalmate residenti in Italia, con riferimento agli usi, ai costumi ed alle espressioni artistiche, letterarie e musicali che ne costituiscono il patrimonio culturale popolare ed il legame storico con le terre di origine»;
    la normativa è incredibilmente farraginosa e complessa, a causa del coinvolgimento di una pluralità di istituzioni pubbliche e private, a partire dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Inoltre, la procedura ad oggi vigente per l'erogazione dei fondi è talmente complicata da rendere le tempistiche fisiologicamente lunghe;
    l'attuazione pratica della legge n. 72 del 2001 prevede un iter che non è configurabile come un finanziamento, bensì come rimborso di attività concordate in precedenza e finanziate con anticipazioni da parte delle associazioni. A ciò si deve aggiungere come, fino a circa 5/6 anni or sono, le banche erano disposte a concedere dei «fidi», in quanto coperti dalla legge; questo, oggi, non accade più, vista la crisi economica in cui versano gli istituti di credito. Se a questo si somma il favor utilizzato dalla Commissione tecnica mista nel prediligere progetti molto grandi e di ampio respiro, la difficoltà risulta essere ancora più palese;
    la direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, su sollecitazione del tavolo di Governo «Esuli istriani, fiumani e dalmati» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha costituito dall'anno scolastico 2009-2010 un gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle diverse direzioni generali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da rappresentanti delle associazioni degli esuli;
    tra gli scopi del gruppo di lavoro vi è quello di ottemperare all'articolo 1 della legge n. 92 del 2004, laddove prevede che «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo”, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale»;
    come è noto, i trattati di pace che sono seguiti ai conflitti bellici europei hanno ridisegnato nel corso dei secoli le aree geografiche delle nazioni e dell'intero continente, determinando gli assetti geopolitici dell'Europa a favore o sfavore delle diverse potenze con conseguenze importanti sullo sviluppo socio-culturale dei suoi abitanti. I manuali di storia hanno sempre riportato quelli determinanti spesso con dovizia di particolari, inserendoli nella cornice più generale delle linee guida ministeriali. Non è accaduto ciò per le conseguenze del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, in particolare per le sue conseguenze negative per l'Italia;
    il decreto del Presidente della Repubblica n. 1457 del 1960 introdusse lo studio dell'età contemporanea nei programmi di storia del quinto anno degli istituti superiori per i seguenti argomenti: «Le guerre mondiali, la lotta di liberazione, la Costituzione della Repubblica Italiana, ideali e realizzazioni della democrazia, tramonto del colonialismo, istituzioni e organizzazioni per la cooperazione tra i popoli. Comunità europea», omettendo ogni riferimento al trattato del 1947 e alle sue conseguenze per l'Italia;
    da tale impostazione, sono conseguite trattazioni minime e spesso inesatte o fuorvianti della questione Venezia Giulia nei libri di testo di ogni ordine e grado;
    il decreto ministeriale n. 682 del 4 novembre 1996 («Luigi Berlinguer») pone come programma di storia del quinto anno della scuola secondaria il ’900, ma non specifica gli argomenti;
    il decreto ministeriale n. 26 dell'11 marzo 2010 dettaglia le linee guida di storia del quinto anno per tutti i licei, dividendo il primo ’900 dal secondo ’900. In quest'ultima parte si legge: «L'Italia dal Fascismo alla Resistenza e le tappe della democrazia repubblicana»;
    la legge n. 54 del 1989 stabilisce le modalità di comportamento per «tutte le amministrazioni dello Stato, del parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rilasciare attestazioni, certificazioni, dichiarazioni, documenti in genere, a cittadini italiani nati in comuni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati»;
    in estrema sintesi, per questo insieme di cittadini, le amministrazioni nella compilazione dei documenti «hanno l'obbligo di riportare unicamente il nome italiano del comune, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene». Tale obbligo deve essere rispettato anche su richiesta orale dell'interessato;
    la legge n. 124 del 2006, recante «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernente il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti» ha consentito l'acquisto della cittadinanza agli italiani che risiedevano nel 1940 nei territori della Venezia-Giulia e della Dalmazia (Zara e Lagosta), già appartenenti all'Italia e ceduti alla Jugoslavia con il Trattato di pace del 1947 ed ai loro figli e discendenti in linea retta;
    il 21 settembre 2001, il Presidente della Repubblica pro tempore conferiva motu proprio al gonfalone della città di Zara la Medaglia d'oro al valor militare. Concessione e motivazione dell'onorificenza, secondo quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, venivano pubblicati sul sito della Presidenza della Repubblica, ove rimanevano per oltre un mese. Tra la concessione dell'onorificenza e la consegna solenne dell'onorificenza stessa, fissata per il 13 novembre 2001, la cerimonia annunciata venne disdetta per «impegni» del Presidente della Repubblica e mai più programmata,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per fare in modo che le somme eventualmente incassate in base all'impegno a suo tempo assunto dall'ex Jugoslavia rimangano destinate all'ambito degli interessi delle comunità degli esuli, riducendo al minimo la discrezionalità del Governo nell'utilizzo delle somme stesse;
2) a porre in essere un percorso che arrivi ad un giusto ed equo indennizzo per i beni perduti all'estero degli esuli giuliano-dalmati, anche in considerazione degli indennizzi attribuiti per altre drammatiche circostanze storiche ed in ottemperanza all'articolo 3 della Costituzione;
3) a monitorare l'effettiva e solerte fissazione da parte dei competenti organi di governo croati, dei criteri di attuazione della sentenza della Corte suprema croata dell'agosto 2010, che estende ai cittadini stranieri i benefici della legge del 1996 sulle denazionalizzazioni;
4) a prevedere che, nelle linee guida ministeriali ufficiali, relative all'insegnamento della storia, sia inserito lo specifico argomento «Il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 e le sue conseguenze per l'Italia», data la rilevanza storica inoppugnabile dell'argomento sotto il profilo della conoscenza storica e della consapevolezza istituzionale a tutti i livelli;
5) ad assumere iniziative per risolvere definitivamente la questione relativa alla malevola interpretazione dei codici fiscali delle persone nate nei comuni passati all'ex Jugoslavia da parte di alcuni sistemi anagrafici informatizzati sviluppati privatamente, rendendo obbligatorio l'utilizzo del servizio online messo a disposizione dall'Agenzia delle entrate per la lettura dei codici fiscali e introducendo una sanzione specifica per i trasgressori;
6) ad assumere iniziative per preservare sui documenti la toponomastica in italiano dei luoghi di nascita o di residenza per tutte le città delle aree della ex Jugoslavia tradizionalmente abitate dalla minoranza di lingua italiana e dai suoi membri;
7) ad adottare iniziative per estendere l'applicazione della legge n. 124 del 2006 ai territori della Dalmazia non annessi all'Italia nel 1920;
8) ad assumere le iniziative di competenza, affinché sia solennemente consegnata la medaglia d'oro alla città di Zara.
(1-01509) «Sandra Savino, Vito, Brunetta, Gelmini, Archi, Bergamini, Biancofiore, Calabria, Carfagna, Centemero, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Gregorio Fontana, Garnero Santanchè, Alberto Giorgetti, Gullo, Laffranco, Longo, Milanato, Palmizio, Polverini, Russo, Santelli, Secco, Vella».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il 17 gennaio 2017 è entrato in vigore il nuovo piano abbonamenti di Trenitalia per l'alta velocità (AV) che ha scatenato numerose proteste da parte delle associazioni dei consumatori e dei comitati nazionali e locali di pendolari, in virtù del suo indiscriminato aumento, inizialmente del 35 per cento poi subitaneamente dimezzato, e per le nuove modalità di utilizzo, non essendo più valido per la totalità delle corse ma suddiviso per giorni e fasce orarie;
    il dimezzamento dell'aumento, deciso a seguito delle numerose proteste, non ha soddisfatto le associazioni dei consumatori e dei pendolari che chiedono, al contrario, la sua totale soppressione, poiché Trenitalia, operando in regime di incumbent, ha ridotto e declassato ogni alternativa utile ai collegamenti veloci intercity, utili per questa tipologia di pendolarismo;
    a sostegno di quanto sopra, si citano i dati emersi nella recente indagine di Legambiente, «Pendolaria 2016 – La situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia», dove si mette in evidenza come dal 2010 al 2016 vi sia stata in Italia una progressiva riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza, pari ad un meno 22,4 per cento. A questi si aggiungono i tagli effettuati ai collegamenti regionali dove, sempre dal 2010 al 2016, la riduzione è stata in media del 6,5 per cento, con rilevanti differenze da regione a regione. Infatti, il taglio al trasporto ferroviario regionale è stato più consistente in Calabria con un meno 26,4 per cento, a seguire la Basilicata (-18,9 per cento), la Campania (-15,1 per cento) e la Liguria (-13,8 per cento);
    paradossalmente la soppressione di un gran numero di treni e la chiusura di numerose stazioni si sono accompagnate, in quasi tutte le regioni italiane, ad un aumento delle tariffe ferroviarie. Sempre in base ai dati del rapporto «Pendolaria 2016» il record di aumento del costo dei biglietti v’è stato in Piemonte con un aumento del 47 per cento (a fronte della chiusura di ben 14 linee ferroviarie), mentre è stato del 41 per cento in Liguria, del 25 per cento in Abruzzo e Umbria e così via. In sintesi: negli stessi anni in cui si è assistito alla chiusura progressiva di oltre 1.120 chilometri di linee ferroviarie, senza considerare gli oltre 412 chilometri di rete ordinaria che risulta «sospesa» per inagibilità dell'infrastruttura, le tariffe dei servizi di trasporto aumentavano. Tutto questo avveniva, mentre il Governo nello stesso periodo predicava la necessità di impiegare il treno come sana alternativa al trasporto privato per ridurre le emissioni di CO2;
    Trenitalia, svolgendo un servizio economico di interesse sociale, non può operare esclusivamente con logiche di mercato e che gli abbonamenti per l'alta velocità sono già stati oggetto di rincari nell'ultimo anno;
    non soddisfa la proposta del Governo di individuare soluzioni strutturali al problema degli aumenti degli abbonamenti avviando un tavolo tecnico con le Ferrovie delle Stato italiane e le regioni, poiché questa rappresenta l'ennesima strategia dilatoria finalizzata a rinviare un problema indifferibile. Inoltre, rappresenta una beffa la data individuata per addivenire a tale accordo, giugno 2017, in quanto coincidente con lo stesso periodo previsto per la privatizzazione del ramo dell'alta velocità di Trenitalia. Infatti, secondo le dichiarazioni dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato italiane, Renato Mazzoncini, «la tempistica prevede di chiudere entro giugno-luglio la costituzione della newco» che si occuperà dei servizi di trasporto per l'alta velocità da quotare in borsa;
    è da stigmatizzare il comportamento del Governo che da una parte dice di voler sostenere lo studio e il lavoro, incrementando i livelli di alfabetizzazione universitaria e di occupazione, e tutelare l'ambiente, contrastando il trasporto privato per ridurre le emissioni di CO2 e, dall'altra, crea le condizioni che viceversa va o proprio a colpire chi studia e lavora utilizzando il trasporto ferroviario,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza per sospendere ogni ulteriore operazione di quotazione del gruppo Ferrovie dello Stato italiane o parte di esso;
2) ad attivarsi, in qualità di azionista unico del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, per bloccare i recenti aumenti relativi al costo degli abbonamenti sulle tratte ad alta velocità gestite da Trenitalia;
3) ad assumere iniziative per assoggettare ad obblighi di servizio pubblico specifiche tratte ed orari, maggiormente interessati dal fenomeno del pendolarismo, del trasporto passeggeri ad alta velocità attualmente in regime di mercato;
4) ad adoperarsi fattivamente, per quanto di competenza, affinché venga migliorata la qualità nel servizio ferroviario procedendo al rinnovamento e al potenziamento del parco circolante degli intercity e dei regionali veloci, alla riattivazione delle linee ferroviarie chiuse e alla verifica e al controllo puntuale dell'operato delle prese ferroviarie, con particolare attenzione alla qualità dei servizi offerti e alla loro rispondenza all'effettiva domanda dell'utenza;
5) ad adottare iniziative di carattere normativo volte a reintrodurre detrazioni fiscali di parte delle spese relative all'acquisto di abbonati enti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale.
(7-01184) «Paolo Nicolò Romano».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    come segnala il rapporto 2016 «Pendolaria», pubblicato da Legambiente, a rendere evidente la situazione sempre più complicata che vivono i pendolari sono i tagli realizzati nelle diverse parti del Paese, con la riduzione del numero di treni lungo le linee, a cui si è accompagnato in quasi tutte le regioni italiane un aumento delle tariffe. Fra il 2010 e il 2016 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 18,9 per cento in Basilicata, al 26,4 per cento in Calabria, al 15,1 per cento in Campania, al 13,8 per cento in Liguria. Il record di aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47 per cento, mentre è stato del 41 per cento in Liguria, del 25 per cento in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento. In questi anni si è inoltre assistito alla chiusura di oltre 1.120 chilometri di linee ferroviarie. Sono 14 le linee chiuse in tutto il Piemonte, ma sono avvenute chiusure anche in Abruzzo e in Molise, arrivando a vedere definitivamente soppressi i treni della linea Pescara-Napoli. È stato chiuso per il servizio passeggeri il tratto al confine Piemonte-Lombardia tra Sesto Calende ed Oleggio, tratta che in orari di punta mostrava numeri di frequenza significativi. Stessa sorte è toccata alla Piacenza-Cremona e a numerose tratte in Calabria e Puglia;
    dal 2010 nel conto nazionale vanno dunque considerati i 780 chilometri in più di linee dove sfrecciano treni a 300 chilometri l'ora, con l'ultima apertura della tratta Treviglio-Brescia, e gli oltre 1.120 chilometri di rete ferroviaria «storica» chiusi o non in servizio. A questi vanno aggiunti oltre 412 chilometri di rete ordinaria che risulta «sospesa» per inagibilità dell'infrastruttura, come nel caso della Trapani-Palermo (via Milo) ancora chiusa dopo quasi 4 anni per smottamenti del sedime ferroviario e su cui ancora non si hanno date certe per la riapertura, la Gemona-Sacile in Friuli, la Priverno-Terracina nel Lazio, la Bosco Redole-Benevento in Campania e la Marzi-Soveria Mannelli in Calabria. Oppure per mancanza di servizio passeggeri dovuto a motivi quali finanziamenti o sicurezza dell'infrastruttura. Nel mese di dicembre 2016 infatti si è aggiunta la linea Nuoro-Macomer in Sardegna, gestita da Arst e temporaneamente chiusa, ma fino a data da stabilirsi, a causa delle misure restrittive decise dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, su input dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, che impongono la presenza di casellanti nei passaggi a livello e un secondo macchinista nella cabina di guida. A disposizione dei passeggeri ci sono ora i pullman sostitutivi, che toccheranno tutti i paesi dove erano previste le fermate del treno. Come visto, non circolano più treni sugli 87 chilometri tra Termoli e Campobasso, con numerose polemiche sulle responsabilità, ma in ogni caso il Molise resta per i viaggiatori su ferro una regione divisa letteralmente in due;
    in tutto si tratta di 1.533 chilometri di linee ferroviarie su cui non esiste attualmente alcun servizio passeggeri. Il ritardo infrastrutturale italiano rispetto agli altri Paesi europei è un tema che ha contraddistinto il dibattito politico degli ultimi venti anni. Ma nella spinta a rilanciare i cantieri che, dalla «legge obiettivo» in poi ha contraddistinto tutti i Governi, si è persa di vista una analisi seria che riguardasse le città, dove invece si evidenzia proprio il ritardo più forte in termini di dotazione di trasporto su ferro rispetto al resto d'Europa, dove l'Italia è sotto il 50 per cento rispetto alla media per metropolitane e tramvie, e al 51 per cento per le ferrovie suburbane. Se ne possono contare oltre 100, considerando le regioni principali per domanda pendolare;
    a partire dal 17 gennaio 2016 sono entrati in vigore gli aumenti annunciati dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane per gli abbonati alle linee dell'alta velocità. Secondo Federconsumatori, gli aumenti per i pendolari che usano tali tratte per andare al lavoro saranno di circa il 35 per cento. Sulla linea Torino-Milano: il rincaro sarà addirittura di 119 euro: dai 340 di prima ai 459 attuali, mentre sulla Roma Napoli si passa dai 356 euro del mese scorso ai 481 per l'orario completo per 7 giorni, sulla Bologna-Firenze dai 224 euro ai 302 attuali, sulla Milano-Bologna da 417 euro a 563, sulla Firenze-Roma da 386 euro a 521;
    come ha affermato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, «Si tratta di aumenti che non appaiono in alcun modo giustificati e che daranno vita ad una vera e propria stangata per gli utenti»;
    tutto questo è ancor più grave in considerazione degli impegni assunti dal Governo nel settore del trasporto pubblico locale con l'approvazione, nel mese di febbraio 2016, della mozione n. 1/01091 del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, che impegna a definire le politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato;
   anche nel documento di economia e finanza 2016 – Programma nazionale di riforma, tra i punti principali in termini di riforma dei servizi pubblici locali e del trasporto locale il punto iii) recita: la definizione di livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale automobilistico e ferroviario, anche in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità; l'obbligo per il gestore di rendere pubblica la versione aggiornata della carta dei servizi offerti all'utenza;
   la decisione di Trenitalia di aumentare il prezzo degli abbonamenti mensili appare incomprensibile e immotivata, soprattutto perché non si è assistito ad un aumento significativo dei collegamenti disponibili; i treni, in linea di massima, sono sempre gli stessi dell'anno scorso. A fronte di un servizio rimasto sostanzialmente invariato il prezzo è salito e non di poco;
    la fascia introdotta che va dalle 9 alle 17 esclude, di fatto, chiunque debba raggiungere uffici, scuole, negozi e università e quindi i pendolari che, rimasti senza alternative, per spostarsi sono obbligati ad usufruire del Frecciarossa e quindi della tipologia di abbonamento alta velocità, in quanto quei pochi treni regionali veloci rimasti spesso non viaggiano in orari utili;
    in molte tratte del Paese l'alta velocità proprio alta non è e quindi si pagherebbe ancora di più per un servizio del quale non si può usufruire appieno;
    un'ulteriore beffa l'avrebbe subita chi lavora anche il sabato e la domenica proprio perché l'abbonamento che copre anche i weekend costa in media un 15 per cento in più rispetto a quello valido solo dal lunedì al venerdì;
    secondo alcune stime i pendolari italiani raggiungerebbero i 3 milioni di persone che ogni giorno si spostano in treno per andare a lavorare e trascorrono almeno un terzo delle loro giornate per uscire da casa, prendere un mezzo per raggiungere la stazione di partenza (che ha un costo), prendere il treno (altro costo), una volta arrivati alla stazione di arrivo devono prendere un altro mezzo per raggiungere il luogo di lavoro (altro costo ancora) e la sera fanno il percorso inverso;
    il 25 gennaio 2017, dal confronto tra Governo, Trenitalia e la Commissione infrastrutture, mobilità e Governo del territorio della Conferenza delle regioni è spuntato un compromesso transitorio per il dimezzamento dei rincari fino ad una soluzione definitiva;
    le revisioni di prezzo saranno in vigore con gli abbonamenti di marzo 2017, acquistabili da metà febbraio e i viaggiatori che hanno già acquistato il titolo di viaggio per il mese di febbraio potranno chiedere un rimborso della differenza;
    tale soluzione temporanea consentirà una riduzione al 10 per cento della crescita del prezzo dell'abbonamento più richiesto, quello che copre dal lunedì al venerdì senza limiti di orario. Le altre tipologie di abbonamento erano già state diminuite del 15 per cento e del 5 per cento;
    pur prendendo atto di questo primo risultato, seppur provvisorio, rimane il problema di avviare una seria riflessione e un approfondito confronto tra tutti i soggetti coinvolti vista la dimensione sociale che questo nuovo pendolarismo che utilizza l'alta velocità (anche per mancanza di valide alternative) va assumendo sempre di più. Anche perché, seppur del 10-15 per cento, per una famiglia di impiegati e/o operai, tale aumento incide comunque in maniera consistente nel bilancio familiare;
    il 6 febbraio 2017 si è scoperto che per colpa di un algoritmo sbagliato, ai pendolari venivano imposti abbonamenti altissimi, con il risultato che per 10 anni gli abbonati Trenitalia avrebbero pagato più del dovuto, con tariffe evidentemente falsate;
    il problema nasce nel maggio 2015, quando di fronte agli ennesimi aumenti applicati, i vari comitati dei pendolari scoprono che la tariffa sovraregionale è maggiore della somma delle singole tariffe regionali per le tratte coinvolte;
    la scoperta di una vera e propria distorsione tariffaria – a causa di un algoritmo – che ha portato gli abbonamenti dei treni a costare sino al 33 per cento in più è un fatto gravissimo, che impone al Ministro di avviare un'ampia attività ispettiva per accertare le responsabilità, anche in capo a Trenitalia,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza per individuare una soluzione complessiva per scongiurare l'aumento del costo degli abbonamenti per tutte le tratte caratterizzate da alti flussi di pendolarismo, attraverso sinergie concrete ed operative con il Comitato nazionale pendolari alta velocità (Npav), le aziende di trasporto, i Ministeri competenti e le associazioni di passeggeri;
   a valutare l'opportunità di assumere urgentemente un'iniziativa normativa che ripristini la formulazione dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 238 del 1993 quale era precedentemente alla modifica apportata con il comma 2-ter dell'articolo 9 del decreto-legge n. 159 del 2007, in modo da consentire al Parlamento di esaminare e di esprimere un parere anche sugli schemi di contratto di servizio delle Ferrovie dello Stato italiane spa;
   ad avviare, per quanto di competenza, iniziative urgenti volte a far luce sulla «vicenda algoritmo» di cui in premessa, con particolare riferimento all'accertamento esatto delle responsabilità e alle modalità di risarcimento della platea di pendolari su cui ha impattato l'errore di calcolo;
   in coerenza con la mozione n. 1/01091, approvata nel mese di febbraio 2016, ad assumere tutte le iniziative di competenza dirette a ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi, che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato.
(7-01185) «Franco Bordo, Folino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la prima indagine a scoperchiare l'intreccio tra politica, mafie, imprenditori corrotti e massoneria risale al 1993 con l'inchiesta Adelphi, condotta dalla magistratura napoletana, grazie alle dichiarazioni di un pentito di camorra, Nunzio Perrella, fratello del boss Mario Perrella, con interessi nei rifiuti e nel traffico di stupefacenti, affiliati al clan Puccinelli di Rione Traiano (Na);
   il pentito rivelò che, nel suo ruolo nell'affare dei rifiuti per conto del clan napoletano, aveva avuto contatti diretti anche con esponenti di primo piano della politica nazionale della prima Repubblica;
   l'ex assessore all'ambiente della provincia di Napoli Perrone Capano, docente universitario di scienza delle finanze, secondo l'indagine Adelphi aveva il compito di rilasciare le autorizzazioni alle discariche, come la Di.Fra.Bi. di Pianura, la Alma di Villaricca, la Novambiente e le discariche Resit 1 e 2 di Giugliano e, dai documenti in suo possesso, reperiti durante una perquisizione, è evidente l'esistenza di un giro di fatturazione e di procedure che cambiavano la natura dei rifiuti durante il tragitto verso le discariche;
   Nunzio Perrella fece comprendere alla magistratura antimafia che il traffico dei rifiuti era diventato più redditizio di quello della droga e svelò i particolari di un summit a cui lui stesso aveva preso parte, al ristorante-hotel La Lanterna di Villaricca (Na), nel 1989, nel quale fu siglato il patto sui rifiuti tra gli esponenti della mafia casertana e quella napoletana, alla presenza di imprenditori e personaggi della borghesia criminale legati agli affari sui rifiuti;
   dall'inchiesta Adelphi, condotta dai pubblici ministeri Giuseppe Narducci, Aldo Policastro e Giovanni Melillo, emersero poi altre piste che portavano direttamente verso i traffici di armi e droga gestiti dal boss della cupola del cartello della Nuova Famiglia, Carmine Alfieri e da quanto reperito nello studio del commercialista Rosario Gava, fratello di Antonio Gava, emersero i collegamenti con la società Di.Fra.Bi di Pianura;
   aperta negli anni ’50, la storia della discarica Di.Fra.Bi di Pianura (Napoli), collocata nel cratere del vulcano degli Astroni, nei suoi 43 anni di attività può bene rappresentare l'evoluzione degli affari intorno alla gestione dei rifiuti fino alla fine degli anni ‘90;
   fino al 1996, anno in cui fu chiusa definitivamente, nella discarica napoletana sono stati depositati fino a 40 milioni di metri cubi di rifiuti, parte dei quali scarti e rifiuti industriali provenienti dal nord Italia, tra cui polveri di amianto e rifiuti di industrie chimiche e, tra il 1985 ed il 1996, è stata autorizzata a ricevere 730 mila tonnellate l'anno di rifiuti urbani e 150 mila tonnellate di speciali e tossici;
   in un'audizione presso la Commissione di inchiesta per le economie del 1998 l'ex procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, spiegava il cosiddetto «giro di bolla» con il quale si falsificava la documentazione che accompagnava il trasporto dei rifiuti tossici, dichiarando che i rifiuti tossico-nocivi affidati per lo smaltimento vengono classificati come riutilizzabili e vanno a finire in cave di solito abusive riempite di rifiuti;
   intorno alla discarica sono state costruite abitazioni durante la cui edificazione sono stati smaltiti rifiuti tossici nel canalone di Pianura, senza che nessuno verificasse o controllasse;
   l'inchiesta Adelphi del 1992 portò a decine di arresti sfociati in assoluzioni, prescrizioni e pochissime condanne –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto è emerso dalle inchieste citate in premessa, dispongano di dati epidemiologi relativi alle aree citate (Pianura, Villaricca, Giuliano e altre) e se vi siano piani di bonifica e recupero di tali aree, che hanno procurato gravi danni all'ambiente e alla salute dei cittadini.
(2-01656) «Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   si richiamano l'interpellanza n. 2-01477 in merito al concorso per dirigenti dell'Agenzia delle dogane e alle presunte irregolarità poste in essere (distribuzione, dalla segreteria del direttore generale delle dogane, di gazzette ufficiali e regolamenti europei contraffatti contenenti il tema d'esame svolto), la risposta del sottosegretario Baretta del 30 settembre 2016 (ritenuta insoddisfacente) e le relative indagini avviate dalle forze dell'ordine;
   la «vicenda» è riassunta da due articoli de « Il Fatto Quotidiano» del 3 gennaio 2017, di Lillo e Pacelli: «La denuncia: sono due i dipendenti dell'Agenzia dei Monopoli e delle Dogane che si sono rivolti alla magistratura. Oltre ai concorsi ritenuti «truccati» sono state denunciate alcune irregolarità nella nomina di dieci dirigenti, incaricati anche se privi di diplomi di laurea – Accertamenti dell'Anac: i due si sono rivolti all'Autorità Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone per chiedere di far rispettare l'articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001, che introduce per la prima volta una disciplina del dipendente pubblico che segnala illeciti (il cosiddetto whistleblower)» oltre a ipotizzare il «tentato abuso d'ufficio: il pm Mario Palazzi indaga su due filoni: uno riguarda un concorso per 69 dirigenti ritenuto dai magistrati «truccato». Sette in totale gli indagati, tra questi il direttore dell'ente Giuseppe Peleggi per tentato abuso d'ufficio e il capo della sua segreteria, Paolo Raimondi. L'altro filone riguarda alcune nomine dirigenziali»;
   il 28 novembre 2016, Dirpubblica, la Federazione del pubblico impiego, pubblicava sul proprio sito la denuncia all'Anac in merito al procedimento avviato a carico della dottoressa Giacchetti Claudia: «...la dottoressa Claudia Giacchetti, inoltre, è componente della RSU eletta nella Dogana di Fiumicino, è il segretario della sezione Dirpubblica operante nel medesimo ufficio ed appartiene alla segreteria tecnica nazionale della predetta Federazione Dirpubblica. In tale veste, coerentemente con la linea sindacale di Dirpubblica, forte del successo ottenuto da Dirpubblica da un coacervo di favorevoli sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato sulle nomine dirigenziali taroccate nelle agenzie fiscali (1.200 casi complessivamente), avvalorate dalla oramai arcinota sentenza 37 della Corte Costituzionale del 17 marzo 2015, ha rilasciato la nota intervista a Report del 7 novembre scorso. In tale intervista non ha fatto altro che confermare quanto ha sempre sostenuto Dirpubblica e cioè che l'attuale sistema delle nomine dirigenziali nell'Agenzia delle Dogane determina lo stravolgimento delle finalità istituzionali dell'Ente (...) Quella di Giacchetti è un'opera civica ciclopica, di grande coraggio muliebre, di sincero amore per il proprio lavoro (...) Evidentemente, però, non è questa l'idea che è maturata nella mente del Direttore interregionale per il Lazio e l'Abruzzo, l'ing. Roberta De Robertis, la quale ignorando completamente l'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti, tracciando motu proprio i limiti dell'attività sindacale, ordina al dirigente dell'Ufficio ove presta servizio la Giacchetti, di avviare un procedimento disciplinare a suo carico. Nel far questo cita a suo sostegno una lettera anonima di presunti ex colleghi (molto probabilmente si tratta degli indagati nell'azione penale promossa dalla Giacchetti) che si sentirebbero lesi dalle dichiarazioni della stessa Giacchetti, e pertanto ne invocano la punizione, finanche avvertendo, dalla loro vile posizione, che la mancata adozione di provvedimenti comporterebbe l'avvio di procedimenti penali e disciplinari (...)»;
   successivamente, il 9 dicembre 2016, Dirpubblica informava dal proprio sito che «Il 7 dicembre 2016 è stato depositato c/o il Tribunale di Civitavecchia il ricorso di Dirpubblica per la repressione dell'attività antisindacale posta in essere dalla Dogana di Fiumicino ai danni del dirigente sindacale Claudia Giacchetti per i contenuti dell'intervista concessa a Report»;
   sempre da Dirpubblica si apprende del contenuto della lettera di richiamo verbale che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha inoltrato alla Giacchetti il 23 gennaio 2017 a conclusione della vertenza, e dell'opinione del sindacato sul fatto che «il procedimento costituisce un micidiale attacco alla funzione sindacale generale al cospetto della quale il caso in sé ne costituisce soltanto il pretesto»;
   circostanza questa confermata, a giudizio degli interpellanti, dalle forze scomodate per ottenere tale risultato: dai pareri delle direzioni regionali alla Avvocatura di Stato, nonostante le sentenze avverse, circa le procedure adottate per lo svolgimento del concorso in questione;
   nella memoria del 9 gennaio 2017, depositata dall'Avvocatura generale dello Stato in sede giurisdizionale del 12 gennaio 2017, emerge che altre risorse pubbliche vengono, ad avviso degli interpellanti, impunemente utilizzate per difendere diritti di dirigenti e altri indagati nel citato procedimento penale, chiedendo l'assunzione degli indagati per un concorso in cui è stato in più riprese accertata la violazione di norme e procedure;
   intanto, il 27 gennaio 2017 il Consiglio dei ministri ha deliberato, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, l'avvio della procedura per la proroga di sei mesi nell'incarico di rettore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli per Giuseppe Peleggi;
   il 2 febbraio 2017 la Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 67 del decreto legislativo n. 300 del 1999, ha espresso il suo parere favorevole alla proposta di rinnovo dell'incarico –:
   quali siano le motivazioni in base alle quali si ritenga opportuno rinnovare la fiducia a una dirigenza coinvolta nelle gravi vicende giudiziarie descritte in premessa, prorogando un incarico oramai giunto a scadenza di mandato;
   se intendano immediatamente attivarsi, per quanto di competenza, per far chiarezza in merito al procedimento per attività antisindacale avviato a carico della dottoressa Giacchetti e per garantire adeguate tutele per coloro che denunciano all'interno della pubblica amministrazione atti o attività illecite e irregolari.
(2-01658) «Pesco, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Sibilia, Villarosa, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Corda, Cozzolino, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, per sapere – premesso che:
   le zone franche in genere, e soprattutto «le zone economiche speciali», rappresentano un eccezionale volano per lo sviluppo economico e sociale di qualsiasi Paese, per la loro capacità catalizzatrice di Foreign direct investment (FDI), di creazione di posti di lavoro, e quindi di abbassamento del tasso di disoccupazione, nonché per la loro idoneità a determinare l'incremento del commercio internazionale, l'accelerazione di un programma di sviluppo economico, lo sviluppo del settore della tecnologia avanzata;
   la loro rilevanza nell'ambito della crescita commerciale ed economica deriva anche dalle oggettive connessioni esistenti con il settore dei trasporti, ed in particolare con il settore portuale e logistico;
   a tale riguardo, in relazione alla recente riforma portuale che ha attribuito, fra l'altro, esplicite competenze alle autorità di sistema portuale in ambito portuale e logistico, l'utilizzo delle «zone economiche sociali» sarebbe uno strumento per consentire al sistema portuale e logistico nazionale l'acquisizione di una maggiore competitività, soprattutto con riferimento agli interscambi commerciali con i Paesi esterni all'Unione europea;
   in base a qualificati dati forniti da esperti a livello mondiale in materia di zone franche e di zone economiche speciali, è recentemente emerso il grande interesse degli stakeholder internazionali circa la recente evoluzione istituzionale in atto in Italia su tale argomento, rappresentata dai lavori svolti dal tavolo tecnico interistituzionale sulle zone economiche speciali che nel 2016 più volte si è riunito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per vagliare le relative proposte di legge della regione Calabria e della regione Campania, per verificare la possibilità di redigere un primo documento normativo nazionale dedicato alle zone economiche speciali e di realizzare, così, le prime due ipotesi di zone economiche speciali nel nostro paese presso il porto di Gioia Tauro e in alcuni territori della Campania, in particolare presso i porti di Napoli e di Salerno, e loro aree retroportuali e la zona ex industriale di Bagnoli;
   tali strumenti possono essere realizzati nel rispetto della normativa dell'Unione europea sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza, come dimostrano alcuni esempi di successo in Europa;
   a tal proposito, si sottolinea, tra l'altro, che l'interrogazione sulle zone economiche speciali del 27 settembre 2012 (E-008553-2012), presentata dall'eurodeputato Tsoukalas, ha determinato un'importante risposta della Commissione l'11 dicembre 2012, nella quale è stato precisato che l'esperienza dei propri servizi con le zone economiche speciali sarebbe stata oggetto di un revirement;
   il potere di accelerazione economica di tali strumenti, in base alle più recenti evoluzioni internazionali, non risiede esclusivamente su incentivi di carattere doganale e fiscale (dovendo solo in tal caso soggiacere necessariamente al quadro normativo dell'Unione europea), bensì su ulteriori agevolazioni, quali quelle di carattere amministrativo ed infrastrutturale, che si sono rivelate ugualmente indispensabili per sostenere e catalizzare l'attenzione della business community;
   la grande l'aspettativa che finalmente anche l'Italia entri a far parte a pieno diritto del consesso internazionale dei Paesi che con successo utilizzano sul loro territorio tali eccezionali strumenti creatori di sviluppo e di benessere (e fra questi vi sono diversi Stati membri dell'Unione europea) deve far riflettere sul fatto che i tempi delle analisi e delle inutili ponderazioni sono terminati e che per stimolare la ripresa economica non si può prescindere dalla realizzazione delle zone economiche speciali –:
   se il Governo non ritenga che tra le scelte strategiche e le riforme economiche previste nel nostro Paese sia da annoverare anche la creazione di zone economiche speciali nelle aree logistiche ed industriali in connessione funzionale con i porti italiani di rilevanza internazionale, al fine di stimolare l'insediamento di imprese estere che svolgono attività nel comparto logistico-industriale o in quello dei servizi, nonché di imprese start-up innovative, di imprese spin off attive nel settore della ricerca e dello sviluppo e dell'alta tecnologia, di imprese di servizi per le «città intelligenti» (smart city);
   se non sia necessario accelerare il perfezionamento dell’iter riguardante la creazione delle prime due ipotesi di zone economiche speciali in Italia.
(2-01659) «Oliaro, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Menorello, Molea, Galgano, Quintarelli, Dambruoso».

Interpellanza:


  I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo 2/01068, il Sottosegretario per la giustizia Cosimo Maria Ferri, affermò «La Procura di Siena ha precisato, difatti, come alcun collegamento fosse emerso: tra il decesso del Rossi e i fatti di insider trading per i quali la procura della Repubblica di Siena procedeva nell'ambito del fascicolo a carico di Briamonte Michele, sottoposto a misura cautelare interdittiva; in relazione agli ipotizzati rapporti tra il Rossi ed il Ministero dell'Interno; in relazione all'asserito collegamento tra il Rossi e le società Mens Sana Basket S.p.A. e A.C. Siena S.p.A.», senza specificare la tipologia di collegamenti riscontrati, e comunque oggetto di quesiti al Ministro dell'interno, che non ha risposto in modo soddisfacente;
   Il Fatto Quotidiano pubblica il 9 dicembre 2016 l'articolo «Mps, morte di David Rossi: “Perizia ipotizza il suicidio del manager”» con le parole del legale della famiglia Rossi, secondo il quale la perizia «sposa l'ipotesi del suicidio, perché non sono state trovate evidenze della presenza di terze persone», seppur «esclude in modo categorico la dinamica per cui Rossi si sarebbe seduto sul davanzale della finestra prima di cadere ed esclude che le lesioni nella parte anteriore del corpo siano state provocate dalla caduta». Concetti ribaditi da altre testate giornalistiche (Corsera «perché non c’è conferma che nell'ufficio della vittima ci fossero altre persone» – La Nazione «I dubbi derivano soprattutto dal fatto che le indagini non sono state condotte quando avrebbero dovuto esserle»;
   il 2 febbraio 2017 vengono presentate nuove istanze di parte dei legali della famiglia Rossi, che riporta AgenzialmPress.it, a firma C. Lamorte «Istanza per acquisire nuovi elementi – I fazzolettini rinvenuti con il sangue nell'ufficio di Rossi qualora non fossero andati distrutti, (...) i tabulati telefonici non in formato excel, eventuali video delle altre telecamere dentro e fuori Rocca Salimbeni e l'audio del 118. Sono gli elementi per i quali i legali difensori dei familiari dell'ex capo comunicazione di Mps hanno presentato istanza d'acquisizione. “La richiesta è stata fatta nel mese di dicembre ma ad ora non abbiamo ricevuto risposta”»;
   il giornalista d'Oltralpe Pierre Jovanovic, sul suo blog ha ricostruito con dovizia di particolari la vicenda. Oltre a quanto evidenziato nell'atto ispettivo citato cui il Governo ha risposto in modo non soddisfacente, dall'analisi di quanto pubblicato da Jovanovic, emergono ulteriori informazioni agghiaccianti. Dalle foto pubblicate, sono evidenti anomalie e incompatibilità con la ricostruzione effettuata dagli organi inquirenti: dalla ferita lacero-contusa del cranio, agli ematomi sugli arti, alla camicia di ottima fattura, lacerata e strappata. Il video pubblicato oltre a far scaturire interrogativi circa la sua origine, versione e perché esistano diverse versioni, evidenzia manomissione digitale dell'area relativa all'ingresso del vicolo, dove in più occasioni si scorgono ombre di soggetti che stazionano o si protendono verso il vicolo come a verificare le condizioni del Rossi; compaiono proiezioni di luci di stop e fari di svariati automezzi, tali da delineare la presenza di un veicolo parcheggiato davanti l'ingresso del vicolo, in un punto in cui risulta quantomeno sospetta la presenza, alla luce degli eventi;
   Montepaschi è coinvolta in diverse vicende quanto meno dubbie:
    a) acquisizione di Antonveneta, nulla secondo gli interpellanti in quanto caratterizzata da un vizio di autorizzazione, visto che il costo finale di circa 17 miliardi di euro è macroscopicamente difforme dal prezzo di acquisto di 9 miliardi originariamente autorizzato con delibera 154 del 17 marzo 2008 di Bankitalia a firma Mario Draghi;
    b) il verbale ispettivo di Bankitalia, e la «Nota di approfondimento trasmessa al Ministro dell'economia e delle finanze (...) in relazione all'audizione del 29 gennaio 2013, tenuta dal Ministro presso le Commissioni riunite Finanze di Camera e Senato» nei quali si contestavano numerose irregolarità e difficoltà patrimoniali, in seguito alle attività di vigilanza (L'Inkiesta, 26 gennaio 2013);
    c) dissimulazioni in bilancio causate dal « mandate agreement» del derivato Alexandria sottoscritto con Nomura (come evidenziato con evidenziato con l'interrogazione 4-10147 tuttora senza risposta) estinto anticipatamente con ulteriori passività per la banca su sollecitazione di Draghi, divenuto nel frattempo presidente della BCE, mentre doveva esserne fatta valere l'inefficacia per illiceità della causa, visto che conteneva accordi circa la dissimulazione di debiti all'interno dei bilanci di MPS;
   gli interpellanti non comprendono come sia possibile che la procura di Siena abbia potuto istruire di propria iniziativa un processo per «divulgazione dei dati personali costituiti dal contenuto delle mail in assenza di un consenso validamente espresso dall'interessato» contro la vedova Tognazzi e il giornalista Vecchi, quando la stessa ha richiesto l'archiviazione per il suicidio di Rossi, senza verificare le palesi anomalie riscontrate, al punto da rischiare una ulteriore archiviazione a distanza di 3 anni «perché non c’è conferma che nell'ufficio della vittima ci fossero altre persone», quando sarebbe bastato acquisire tutti i video di sorveglianza, e triangolare i telefoni dei presenti all'interno della banca con i soggetti palesemente apparsi nell'unico video recuperato, comunque manomesso in quanto incompleto;
   andrebbe approfondita la mancata raccolta di tutte le informazioni necessarie a dirimere le evidenti e palesi anomalie intercorse nelle indagini sulla morte di David Rossi, personaggio chiave del management di MPS, al fine di rassicurare i cittadini italiani dell'efficienza della giustizia italiana sanando situazioni che agli interpellanti appaiono, nei fatti, lesive dell'immagine di tutta la magistratura –:
   se intendano:
    a) adoperarsi, per quanto di competenza, affinché ogni elemento utile a chiarire la vicenda che sia in possesso del Governo sia fornito alla magistratura;
    b) valutare i presupposti per promuovere l'avvio di iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari coinvolti;
    c) assumere iniziative di competenza per tutelare la nazione e la stabilità economica, oltre che i risparmi dei cittadini italiani truffati dalle vicende che hanno visto il crollo di ogni valore mobiliare connesso alla banca MPS, alla luce delle imposizioni patrimoniali che la BCE sta pretendendo dall'istituto, per il quale lo Stato sta intervenendo a proprie spese e a proprio rischio, a garanzia dei diritti costituzionali;
    d) verificare, per quanto di competenza, ogni collegamento di Mps è David Rossi con il Ministero dell'interno, alla luce sopra evidenziato.
(2-01662) «Pesco, Alberti, Tripiedi, Villarosa, Cominardi, Di Vita, Ciprini, Baroni, Dall'Osso, Brescia, Di Benedetto, Basilio, Lupo, De Lorenzis, Corda, D'Incà, Brugnerotto, Della Valle, Crippa, Castelli, D'Ambrosio, Nesci, Parentela, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Lorefice, De Rosa, Mannino, Daga, Terzoni, Carinelli, Del Grosso, Sibilia, Grande, Di Battista, Manlio Di Stefano, Spadoni, Sarti, Dadone, Chimienti, Petraroli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sussiste una forte aspettativa fra le imprese del settore dell'energia solare-termodinamica di reiterazione nel 2017 del bando per tale settore già previsto dal decreto ministeriale n. 23 giugno 2016 «incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico»; perché l'asta conclusasi il 27 novembre 2016 è andata deserta per gli elevatissimi requisiti di capitale richiesti e per i ristretti tempi a disposizione;
   nella stessa asta sono stati assegnati incentivi per 800 megawatt di impianti eolici, con un costo di acquisto, quasi totalmente all'estero, di circa 1,2 miliardi di euro, alimentando filiere industriali nelle quali l'Italia non ha alcuna presenza;
   la tecnologia del solare termodinamico a sali fusi è invece tutta italiana, altamente innovativa, frutto di oltre 10 anni di ricerca dell'Enea, di investimenti pubblici di circa 200 milioni di euro e altrettanti di imprese del nostro Paese; in Italia non è stato però finora realizzato nessun grande impianto (potenza di almeno 50 megawatt elettrici) per difficoltà e lungaggini burocratiche;
   la tecnologia italiana solare termodinamica a sali fusi non è ancora bancabile, in quanto non ha raggiunto la maturità commerciale internazionale per la quale serve la costruzione di almeno due impianti di grande scala sul territorio nazionale il cui costo medio è di circa 330 milioni di euro e che creano circa 3000 posti di lavoro durante la costruzione (2-3 anni) e altri 200 per la conduzione e manutenzione trentennale;
   il mercato mondiale solare-termodinamico dal 2020 è stimato in circa 10 miliardi di euro/anno; i brevetti dell'Enea potrebbero consentire alle imprese italiane di aggiudicarsi almeno il 10 per cento del mercato. Tali scenari economici ed occupazionali sarebbero però vanificati se non fosse riproposto, previa modifica del decreto ministeriale 23 giugno 2016 sulle FER non fotovoltaiche che assegnava 100 megawatt elettrici ai grandi impianti solari termodinamici e, per altro, senza oneri per lo Stato, un nuovo bando per le quote di potenza per i grandi impianti (100 MWe totali) non assegnati con l'asta conclusasi il 27 novembre 2016, fermo restando comunque il tetto di 5,8 miliardi, del contatore GSE previsto dal Governo –:
   se e come il Governo intenda salvaguardare le prospettive di un importante ed innovativo settore industriale come quello del solare termodinamico a sali fusi, la cui filiera scientifica e tecnologica è interamente italiana e che può dare enormi ritorni in termini di bilancia commerciale, occupazione e sviluppo del prodotto interno lordo. (5-10563)


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2016, con la sentenza n. 129, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012;
   la dichiarazione di illegittimità riguarderebbe, in particolare modo, la parte in cui la disposizione di legge non prevedeva, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno;
   il provvedimento del Governo Monti apportò tagli alle casse delle amministrazioni locali pari a 2 miliardi circa di euro, su base nazionale, con l'effetto di ridurre significativamente l'efficacia e l'operatività delle citate amministrazioni a discapito della qualità e del mantenimento stesso di numerosi servizi pubblici;
   nelle scorse settimane, alcuni organi di stampa a diffusione regionale hanno dato notizia dell'azione che alcuni sindaci della Sardegna, starebbero avviando per recuperare le somme che non avrebbero ricevuto nel 2013, per effetto del citato decreto-legge n. 95 del 2012;
   in particolare, sembrerebbe che i tagli agli enti territoriali della Sardegna ammontassero complessivamente a 90 milioni di euro (89.836.759,17 euro) suddivisi tra gli ambiti provinciali di Nuoro (14.175.662,92 euro), Sassari (17.384.597,57 euro), Cagliari (26.404.747,29 euro), Oristano (8.634.573,99 euro), Carbonia-Iglesias (6.610.798,34 euro), Villacidro-Sanluri (4.166.005,51 euro), Ogliastra (3.007.263,89 euro) e Olbia-Tempio (9.453.109,66 euro);
   si tratterebbe di risorse consistenti soprattutto per una regione che sta affrontando una fase particolarmente difficile a causa della crisi economica che ha fortemente indebolito il tessuto produttivo e sociale e dove le amministrazioni locali sono chiamate ad assolvere ad un'accresciuta mole di competenze e adempimenti a fronte di una riduzione, appunto, di risorse;
   l'edizione dell'Unione sarda del 7 febbraio 2017 ha citato il caso del comune di Macomer, tra le amministrazioni che hanno annunciato azioni per il recupero delle risorse mancanti, che per effetto della spending review aveva subito una riduzione dei trasferimenti da un milione e 827 mila euro nel 2012 ad appena 373 mila euro nel 2013 –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano gli orientamenti del Governo a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 129 del 6 giugno 2016 con particolare riguardo all'ipotesi di assumere iniziative per attuare interventi compensativi delle somme non erogate a causa dei tagli apportati con il decreto-legge citato in premessa. (5-10571)


   DADONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è venuta a conoscenza di una comunicazione ufficiale inoltrata il 9 febbraio 2017 al Ministro interrogato dal dottor ingegnere Roberto Focherini che, in qualità di unico rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti partecipante agli incontri più recenti della Commissione intergovernativa (CIG) tra Italia e Francia per il miglioramento della circolazione delle Alpi del Sud e della relativa commissione per la convenzione ferroviaria Cuneo-Breil-Ventimiglia, riferisce una serie di critiche estremamente circostanziate in merito alla gestione dei lavori della commissione intergovernativa e della Commissione per la convenzione ferroviaria da parte del suo attuale presidente, dottor Alessandro Violi;
   da quanto si apprende dai documenti inviati il presidente della Commissione intergovernativa, del quale il dottor Focherini ha richiesto ufficialmente al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la rimozione, con il suo comportamento, non tenendo in considerazione le posizioni avanzate dal rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sarebbe addivenuto alla redazione di una proposta di convenzione ferroviaria dannosa per lo Stato italiano e comunque non condivisa nei termini proposti dal rappresentante ministeriale;
   sempre a quanto si apprende dalle comunicazioni inviate dal dottor Focherini la convenzione proposta dal presidente della Commissione interrogativa genera alti costi, genera danni economici allo Stato italiano, in quanto lo Stato non è tenuto a mantenere, gestire, ristrutturare e sviluppare le linee ferroviarie di altre nazioni, ed in conclusione viene definita totalmente anacronistica e dannosa per lo Stato medesimo –:
   quali iniziative intenda adottare con urgenza il Governo in merito alle segnalazioni inviate dal dottor Roberto Focherini e al fine di tutelare gli interessi dello Stato, oltre che dei territori interessati dalla tratta ferroviaria Cuneo-Breil-Ventimiglia. (5-10572)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del sisma del 24 agosto e 26 ottobre 2016, che ha colpito il centro Italia, il Governo approvava il decreto-legge n. 205 del 2016 «Nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni e dei territori interessati dagli eventi sismici del 2016», con cui, tra l'altro, si disponeva la realizzazione e l'assegnazione di moduli abitativi in legno per i cittadini rimasti senza casa;
   il 10 febbraio 2017 il suddetto decreto-legge veniva integrato dal decreto-legge n. 8 del 2017 «Nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017»;
   la regione Marche sta cercando la disponibilità degli albergatori a protrarre l'ospitalità fino al 31 dicembre per coloro che alloggiano negli hotel, poiché alcuni giorni fa, il direttore dell'ufficio regionale per la ricostruzione, Cesare Spuri, annunciava che era vanificata ogni speranza per gli sfollati di rientrare nei loro paesi, considerato che le casette sarebbero arrivate dopo l'estate;
   nelle Marche, sono oltre cento i comuni che hanno subito danni per il terremoto e di questi circa la metà hanno fatto domanda di sae (soluzioni abitative di emergenza) per un totale di 1.881 casette;
   per fare domanda e avere diritto alle casette di legno, è necessaria l'attestazione con scheda Aedes, (agibilità e danno nell'emergenza sismica), ma a quanto si apprende mancherebbero i tecnici incaricati alla compilazione delle schede e, senza questo adempimento, la Protezione civile non può accettare la domanda e inviare la richiesta alla ditta preposta alla realizzazione;
   dal primo sisma, è stato perso tempo prezioso riguardo all'urgenza abitativa, perché la gara preventiva per la fornitura, il trasporto e il montaggio di soluzioni abitative in emergenza e i servizi a esse connessi del 2014, non prevedeva la realizzazione dei container o delle strutture utili a superare i primi mesi di crisi post-sisma;
   l'11 novembre 2016 veniva emanato il decreto-legge che prevedeva una «Procedura negoziata d'urgenza» da parte di Consip;
   il bando prevedeva tre lotti, tra cui «noleggio di container abitativi provvisori e servizi connessi», e il 17 novembre 2016 si aggiudicavano la gara sei ditte incaricate di consegnare 758 container entro un mese;
   tuttavia, la fornitura si è dimostrata insufficiente a soddisfare le richieste dei comuni del cratere, poiché le perizie che sancivano l'inagibilità delle case si moltiplicavano con i giorni;
   il Consiglio dei ministri pertanto decideva di fare un secondo bando per nuovi container, bando che andò deserto;
   si decideva quindi, di procedere con una terza gara «procedura negoziata d'urgenza» alzando la base d'asta;
   i ritardi dovuti alle procedure di gara hanno influito sul rallentamento nell'installazione dei container;
   si sono accumulati notevoli ritardi, nonostante l'arrivo dell'inverno;
   a oggi, la popolazione del cratere, vive ancora in container o soluzioni di fortuna, nonostante in quelle zone si sia riversata molta neve e continui a fare molto freddo, compromettendo ulteriormente le condizioni dovute dal terremoto;
   a ciò si aggiungono i dubbi per i prezzi indicati di ogni singolo modulo abitativo d'emergenza, la qualità e i tempi di realizzazione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   al fine di scongiurare il rischio concreto per gli sfollati di doversi adeguare a sistemazioni di fortuna anche per il prossimo inverno, se si intenda chiarire quante siano le soluzioni abitative di emergenza richieste dai comuni colpiti dal sisma, quante quelle già consegnate e quante quelle in consegna;
   quali siano i motivi dei ritardi nelle attività volte a garantire abitazioni d'emergenza;
   considerato che anche l'ultimo decreto-legge non contiene specifici criteri atti a garantire tempi certi di consegna delle casette di legno alle popolazioni terremotate, quali iniziative il Governo intenda intraprendere per sbloccare la farraginosa burocrazia;
   se non si ritenga doveroso e utile fornire elementi circa il bando per la realizzazione delle soluzioni abitative di emergenza, le aziende aggiudicatrici, i costi e le tempistiche stabilite. (4-15559)


   CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in conseguenza degli eventi sismici dello scorso anno che hanno colpito e devastato il Centro Italia, il 16 novembre 2016 l'Italia avrebbe presentato, in ritardo, domanda di mobilitazione del fondo di solidarietà europeo (FSUE), istituito con il regolamento (CE) N. 2012/2002 del Consiglio dell'11 novembre 2002: questo fondo, che in passato è stato utilizzato per i terremoti in Molise nel 2002 (30 milioni), in Abruzzo nel 2009 (quasi 500 milioni) ed in Emilia Romagna nel 2012 (670 milioni), metterebbe a disposizione del nostro Paese risorse che possono essere utilizzate solo per le operazioni di emergenza;
   la riforma del 2014 del fondo di solidarietà europeo ha introdotto la possibilità per gli Stati membri di chiedere il versamento di un anticipo che non può superare il 10 per cento dell'importo totale del contributo finanziario previsto dal fondo di solidarietà europeo ed è limitato a 30 milioni di euro;
   la domanda di accesso al fondo di solidarietà europeo sarebbe stata accolta dalla commissione europea la settimana successiva alla domanda, come riportato anche dalla stampa: il 30 novembre 2016 la Commissione avrebbe annunciato l'erogazione di 30 milioni di anticipo all'Italia entro 7 giorni;
   nella risoluzione al Parlamento europeo del 1o dicembre 2016 sulla situazione in Italia a seguito dei terremoti del centro Italia del 2016 – 2016/2988(RSP), la Commissione europea ha sottolineato «l'importanza di ottimizzare l'uso dei finanziamenti UE esistenti per investire nella prevenzione delle catastrofi naturali, e dopo aver beneficiato dell'FSUE, gli Stati membri interessati dovrebbero intensificare i loro sforzi volti a definire opportune strategie di gestione del rischio e rafforzare i propri meccanismi di prevenzione»;
   secondo l'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento n. 2012/2002 (modificato nel 2014), una volta ricevuto il contributo, la responsabilità di selezionare le singole operazioni e di dare attuazione al contributo finanziario del fondo spetta allo Stato beneficiario;
   per procedere all'erogazione dei fondi successivi, la Commissione europea richiederebbe la quantificazione esatta dei danni ed il piano di ricostruzione trasparente –:
   se il Governo non intenda chiarire in che modo abbia programmato di utilizzare i fondi di cui in premessa, ovvero quali operazioni abbia deciso di finanziare con tali risorse, e se non intenda impegnarsi nel rendere noti sia la quantificazione esatta dei danni degli eventi sismici in questione, sia il piano di ricostruzione trasparente, che dovranno essere presentati alla Commissione europea per l'erogazione delle restanti risorse del fondo di solidarietà. (4-15560)


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al tragico incidente del crollo del ponte di Annone al chilometro 41 e 900, della strada statale 36 – Milano-Como, che il 28 ottobre 2016 ha provocato la morte di una persona e cinque feriti, un controllo effettuato da parte delle Ferrovie dello Stato italiane ha rilevato che sotto ponte tra Cantù Asnago e Cermenate, sopra la ferrovia Milano-Como-Chiasso, ci sono fenomeni di carbonatazione in alcune parti strutturali, che è la prima causa per l'innesco della corrosione delle armature;
   da quanto riportano i giornali (La Provincia di lunedì 13 febbraio 2017), la provincia di Como, proprietaria della strada, che è stata costruita circa 100 anni fa, ha posto il divieto al passaggio di tir al di sopra le 7,5 tonnellate, lasciando tuttavia libero il passaggio per gli autobus di linea, in quanto si tratterebbe di corse «non frequenti»; qualche azienda di trasporto sembra abbia consigliato agli autisti di evitare il transito simultaneo sul ponte con altri autobus o veicoli pesanti;
   si tratta, tuttavia, di ben 101 corse giornaliere di bus, dal peso di 9,2 tonnellate che possono salire a 19 tonnellate a pieno carico, che mettono in pericolo, ogni giorno, la vita delle persone che trasportano e dei viaggiatori dei treni della Milano-Como-Chiasso;
   chiaramente, il divieto di transito dei mezzi pesanti è una misura precaria, non in grado di risolvere le carenze della sicurezza stradale, e non rappresenta una soluzione al problema, anche perché, come testimoniano le decine di multe giornaliere, i camion, che possono arrivare anche a 56 tonnellate, passano lo stesso dal ponte, in spregio del pericolo, per evitare allungamenti di tempo e spese aggiuntive;
   come testimoniano i giornali, la provincia di Como ha riconosciuto la criticità della situazione e il pericolo per l'incolumità delle persone, ma ha dichiarato l'impossibilità di intervenire per mancata disponibilità di risorse, in quanto servirebbero da 500.000 euro a 1.000.000 di euro per la messa in sicurezza del ponte; la provincia di Como pensa di poter intervenire entro la fine dell'anno 2017 che tuttavia è appena iniziato;
   senz'altro, alla carenza della manutenzione straordinaria della strada incidono pesantemente i sostanziosi tagli ai finanziamenti delle province – nonché la confusione e la disorganizzazione creatasi a seguito dell'approvazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014 cosiddetta «legge Delrio» che ha ridisegnato i confini e le competenze dell'amministrazione locale – fino alla loro progressiva soppressione, ora bloccata a seguito del risultato referendario;
   il taglio drastico delle risorse a disposizione delle province rende impossibile la corretta manutenzione e la messa in sicurezza della rete viaria di loro competenza e ciò mette in pericolo ogni giorno la vita di migliaia di cittadini –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare per rendere le risorse finanziarie trasferite alle province congrue ai compiti loro assegnati in materia di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale di competenza e per assicurare nell'immediato il finanziamento della manutenzione straordinaria del ponte tra Cantù Asnago e Cermenate, sopra la ferrovia Milano-Como-Chiasso, allo scopo di garantire l'incolumità degli utenti sia del ponte che della linea ferroviaria. (4-15562)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   a Cosenza una catena di negozi di elettronica «Keyaku» per indurre ad acquistare una lavatrice per San Valentino, ha utilizzato una serie di manifesti pubblicitari «a San Valentino mettila a 90 gradi» riferendosi sul manifesto ad una lavatrice, ma giocando su un doppio senso piuttosto esplicito, e scatenando reazioni e proteste;
   questa azienda non è nuova a questo tipo di «strategia» di marketing: che si tratti di uno smartphone o di un elettrodomestico, sui manifesti 6 x 3 campeggiano sempre riferimenti maliziosi al sesso;
   il sindaco della città di Cosenza ha provveduto a far oscurare i manifesti in questione, e la reazione dell'azienda è stata quella di denunciare per abuso di ufficio il primo cittadino della città calabrese;
   ad opinione degli interroganti, messaggi di questo tipo anche se commerciali o giocati su discutibili doppi sensi, sono assolutamente pericolosi, di pessimo gusto e da evitare nella maniera più assoluta. Ogni giorno nel nostro Paese messaggi sessisti o ambigui contribuiscono all'estendersi di episodi di violenza, di discriminazione e di umiliazione per le donne –:
   se non ritenga urgente valutare se sussistano i presupposti per promuovere un'istruttoria dell'ufficio nazionale anti discriminazioni razziali, per quanto di competenza, nei confronti di questa azienda quelle che gli interroganti giudicano, per reiterate ed evidenti iniziative di carattere discriminatorio. (4-15575)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il «piano lupo» è stato redatto in collaborazione con l'Unione zoologica italiana onlus e non con l'Ispra, come stabilito dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, articolo 7, comma 2, ed ora all'esame della Conferenza Sato-regioni prima della sua definitiva adozione;
   l'Unione zoologica italiana onlus è presieduta dal Professor Boitani il quale ha dichiarato, che non sono previsti gli abbattimenti selettivi dei lupi secondo gli interpellanti negando evidentemente quanto invece previsto e anche da lui indicato nel così detto «piano lupo», piano di conservazione e gestione del lupo in Italia del 22 dicembre 2015;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato in precedenza che nel piano lupo non è previsto il ricorso agli abbattimenti selettivi come da deroga prevista dall'articolo 16 della direttiva 92/43/CEE «Habitat», mentre in altre circostanze ha sostenuto che l'abbattimento di un massimo del 5 per cento degli esemplari «non mette a rischio la presenza del lupo in Italia. Se non facciamo questo, il bracconaggio diventerà lo strumento di tutela degli agricoltori. E allora davvero la sopravvivenza del lupo sarà a rischio» (fonte http://www.ilfattoquotidiano.it);
   in Italia non esiste un censimento dei lupi e il «piano lupo 2017» per stessa ammissione dei redattori non può utilizzare dati scientifici pubblicati poiché non ce ne sono, come riportato a pagina 13 del piano: «In mancanza di una stima formale basata su un programma nazionale di censimento del lupo (come già previsto dal Piano d'Azione 2002), la popolazione appenninica è stata stimata attraverso un metodo deduttivo»;
   lo stesso nuovo piano ammette di fatto il fallimento totale del precedente piano lupo – del 2002 – e il mancato rispetto della direttiva «Habitat» per quanto concerne la tutela dei lupi e del loro habitat, con il rischio dell'avvio di una procedura di infrazione –:
   quali siano i dati nazionali raccolti e pubblicati relativi all'uso dei deterrenti e dei sistemi dissuasivi in opera ad oggi su tutto il territorio italiano; in che modo siano valutati gli episodi di predazione sulle greggi e se questi siano verificati da esperti medici veterinari forensi;
   per quali motivazioni per la realizzazione del «piano lupo» si sia deciso di avvalersi dell'Unione zoologica italiana, e se, a tale riguardo, la consulenza sia stata decisa con affidamento diretto, se sia a titolo oneroso e, in tal caso, con quale impegno economico a carico dello Stato;
   per quale motivo l'Ispra, organo tecnico-scientifico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non sia stato ritenuto idoneo alla realizzazione del «Piano lupo»;
   se il Ministro interpellato non ritenga di dover tenere conto delle reazioni negative e delle perplessità espresse da alcune regioni, i cui presidenti hanno dichiarato di non voler approvare un piano che, tra le altre criticità, preveda gli abbattimenti;
   per quale ragione il documento non sia presente e consultabile sul sito del Ministero, ma sia reperibile unicamente sul sito di una onlus (http://www.centrotutelafauna.org);
   come siano garantiti l'affidabilità e il carattere scientifico del piano, dal momento che è stato realizzato senza alcun dato pubblicato e senza conoscere la consistenza della popolazione di lupi in Italia;
   con quale metodo si dovrebbe stabilire la quota del 5 per cento egli abbattimenti selettivi previsti dalla direttiva «Habitat» all'articolo 16, visto che il piano lupo non sembra dare indicazioni sufficienti in tal senso;
   se si intenda confermare la relazione tra il bracconaggio e l'esigenza di concedere la deroga agli abbattimenti selettivi, come dichiarato dallo stesso Ministro;
   in che modo il Governo intenda procedere con la tutela del lupo, che appare invece ancora a rischio, tenendo conto che, ad esempio, secondo i dati pubblicati dal «progetto lupo Piemonte», su una popolazione di circa 80 lupi, 12 sono morti a causa di attività umane tra il 2011 e il 2012, mentre in Maremma nel 2014 almeno 13 lupi, su una popolazione di 30 individui, sono stati illegalmente uccisi;
   se il Ministro intenda fornire dati aggiornati sui sistemi di deterrenza messi in opera e quale sia attualmente il sistema più indicato per misurare il fenomeno della predazione;
   se le misure previste per i piani di monitoraggio, per la deterrenza e per garantire il riconoscimento degli indennizzi siano accompagnate da risorse congrue;
   in che modo il Governo intenda tutelare una specie particolarmente protetta e favorirne la convivenza con le attività antropiche, garantendo e sostenendo economicamente quindi l'applicazione e l'uso di tutti i deterrenti e di conseguenza la tutela degli habitat e più in generale la biodiversità.
(2-01657) «Paolo Bernini, Ferraresi, Busto, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Sibilia, De Rosa, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, L'Abbate, Benedetti, Gallinella, Lupo, Parentela, Simone Valente, Fantinati, Sarti, Manlio Di Stefano, Tripiedi, Cominardi, Spessotto, Caso, Fico, Liuzzi, Castelli, Della Valle, Crippa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2017 si è svolto un incontro, in cui vi era l'assenza dei commissari, tra i rappresentanti dell'azienda ILVA di Taranto e le organizzazioni sindacali avente ad oggetto l'emergenza amianto;
   il 31 dicembre 2016 scadeva il termine entro il quale i commissari straordinari avrebbero dovuto trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la mappatura dei rifiuti pericolosi o radioattivi e del materiale contenente amianto aggiornata al 30 giugno 2016 ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge n. 98 del 9 giugno 2016. Tale relazione è stata consegnata il 27 dicembre 2016;
   le organizzazioni sindacali – con particolare riferimento alla FIOM CGIL – hanno ripetutamente ravvisato la necessità che i commissari, all'interno della relazione, facessero riferimento non solo alla mappatura ed alle attività di bonifica già effettuate ma anche al piano di bonifica, al numero e ai dati anagrafici degli addetti, e alle caratteristiche degli eventuali prodotti contenenti amianto e alle misure adottate e in via di adozione ai fini della tutela della salute dei lavoratori e dell'ambiente. Questo al fine di verificare la necessità di allontanamento dei lavoratori dalle fonti di rischio presenti, nello stabilimento siderurgico;
   la necessità di cui sopra è rafforzata dai dati presenti nella relazione che i commissari hanno presentato a luglio 2016 in Parlamento, in ottemperanza all'articolo 1, comma 10-bis, del decreto-legge n. 191 del 2015. Nella relazione, infatti, si specifica come nello stabilimento siano ancora presenti circa 3820 tonnellate di amianto, di cui 3700 in matrice friabile e 120 in matrice compatta. Anche gli interventi di rimozione di materiale contenente amianto e lo smaltimento di rifiuti eseguiti negli anni 2013-2015 sono riferiti maggiormente a materiali in matrice friabile; sono infatti stati eseguiti 140 interventi in matrice compatta e 150 in matrice friabile; in riferimento allo smaltimento sono state smaltite 409 tonnellate in matrice compatta e 1324,883 in matrice friabile. I dati relativi al censimento del materiale contenente amianto, agli interventi di rimozione, allo smaltimento e ai campionamenti ambientali, al fine di verificare la dispersione di fibre di amianto in ambienti di lavoro, sono anche inviati alla asl e alla regione Puglia;
   durante il sopracitato incontro del 12 gennaio, l'azienda avrebbe opposto rifiuto di consegnare – o far visionare – alle organizzazioni sindacali la relazione dei commissari;
   a parere degli interpellanti sarebbe necessario – così come richiesto anche dalle organizzazioni sindacali – aprire un tavolo di confronto con il Governo, le istituzioni locali Asl e Arpa, la regione Puglia ed i commissari al fine di verificare la corretta attuazione di tutte le misure utili e necessarie alla tutela ed alla salvaguardia della salute e della sicurezza di tutti i dipendenti dello stabilimento ILVA –:
   se il Governo non intenda adoperarsi affinché sia immediatamente attivato il tavolo di confronto di cui in premessa, rendendo note le precise modalità con cui saranno affrontati gli interventi di bonifica durante la gestione commissariale – ivi compreso l'accesso per le organizzazioni sindacali alla relazione del 27 dicembre 2016 – in modo da dare pronta e positiva soluzione alla emergenza amianto dello stabilimento ILVA di Taranto.
(2-01660) «Duranti, Pellegrino, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Piras, Scotto, Sannicandro».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI e SCUVERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della discarica monodedicata di cemento-amianto in località Ferrera Erbognone, approvata dalla regione Lombardia nel marzo 2014, presenta varie criticità:
    la vicinanza alla raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi (in cui si ricorda essersi verificato un incidente il 1o dicembre nella zona Est 2, essendo divampato un incendio con conseguente rischio per la popolazione) e al centro abitato di Sannazzaro rendono la prevista localizzazione della discarica in questione non idonea;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è già espresso in occasione di ampliamenti di attività già presenti nell'area imponendo interventi di mitigazione/compensazione ambientale per proteggere il territorio da un'ulteriore grave compromissione per attività antropiche, anche in considerazione della vicinanza della discarica, a meno di 300 metri, a colture risicole;
   al punto 33 la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 invita la Commissione e gli Stati membri a rafforzare i controlli necessari per imporre a tutte le parti interessate il rispetto di tutte le disposizioni in materia di salute di cui alla direttiva 2009/148/CE, e a garantire che qualsiasi rifiuto contenente amianto sia classificato come rifiuto pericoloso ai sensi della decisione 2000/532/CE aggiornata; sottolinea inoltre che la popolazione interessata deve essere informata sullo smaltimento e le sue modalità;
   nella popolazione locale si è manifestata forte contrarietà alla realizzazione dell'impianto, ed è in corso anche una petizione popolare in merito –:
   se si intenda verificare, per quanto di competenza, se la realizzazione degli interventi di cui in premessa sia compatibile con le indicazioni ministeriali, anche in relazione all'esigenza di ottemperare agli impegni derivanti dall'adesione all'Unione europea in materia di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto e di scongiurare rischi ambientali e sanitari. (5-10574)


   MATARRESE, DAMBRUOSO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, sembrerebbe che, a seguito di un'inchiesta della magistratura e di relativi accertamenti provenienti da carabinieri del nucleo investigativo, del nucleo ecologico e di un esperto dell'Istituto di ricerca sulle acque del Cnr di Bari, la procura di Lecce abbia informato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del concreto rischio ambientale derivante dalla probabile presenza nel sottosuolo di 600 barili di policlorobifenili, rifiuti altamente tossici e cancerogeni, che sarebbero stati illecitamente interrati nella discarica Burgesi, sita nel territorio del comune di Ugento e adiacente ai territori dei comuni di Presicce e Acquarica del Capo;
   la presunta presenza dei 600 barili di policlorobifenili, sarebbe stata rivelata nel corso di confessioni di un esponente della criminalità organizzata. Successivamente, il Cnr di Bari sarebbe stato incaricato di analizzare il percolato e le acque di falda per rilevare eventuali contaminazioni da policlorobifenili;
   i dati relativi al percolato avrebbero confermato concentrazioni di policlorobifenili che variano da 3,3 a 902 nanogrammi per litro. Il responsabile delle analisi avrebbe affermato che «(...) i risultati analitici dimostrano inequivocabilmente che nella discarica sono stati a suo tempo stoccati dei fusti contenenti policlorobifenili, che nel tempo hanno riversato parte del loro contenuto nei rifiuti e, conseguentemente, nel percolato»;
   i dati relativi alle acque di falda, invece, pare dimostrino che «Non vi sia alcuna contaminazione da policlorobifenili sulla base del limite di rilevabilità della metodica impiegata che è pari a 0,3 ng/L»;
   secondo fonti di stampa, la procura di Lecce avrebbe sollecitato i comuni di Ugento (competente per territorio) e di Acquarica del Capo (per vicinanza al sito) ad avviare la bonifica dei siti inquinati e oggi dismessi. Le amministrazioni comunali, invece, intenderebbero tutelare le proprie ragioni e l'immagine dei due paesi a forte vocazione turistica con una richiesta di risarcimento danni da inoltrare al vecchio gestore della discarica. I comuni avrebbero chiesto alla regione e alla provincia l'apertura di un tavolo tecnico affinché si possa monitorare l'area e capire se effettivamente esistano i resti di quei fusti –:
   di quali notizie disponga in merito allo stato di contaminazione da policlorobifenili del percolato e delle falde acquifere relative al terreno sottostante la discarica Burgesi, quali siano i concreti rischi per la salute dei cittadini e se non ritenga opportuno adottare, per quanto di competenza, iniziative urgenti, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, che possano essere utili alla rilevazione di eventuali barili di policlorobifenili illecitamente interrati.
(5-10575)


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione n. 132 del 22 dicembre 2014 dell'Assemblea capitolina è stato dichiarato, ai sensi del comma 304 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, il pubblico interesse della proposta di realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle, in variante al piano regolatore generale e in deroga al piano generale del traffico urbano, presentata dalla società Eurnova;
   il programma consiste nella realizzazione dello stadio, del cosiddetto business park, nella realizzazione di opere di urbanizzazione, oltre a un contributo per l'adeguamento della tratta ferroviaria Eur Magliana-Tor di Valle per prolungamento metro;
   l'area oggetto dell'intervento è sita nel quadrante sud del territorio comunale lungo la via ostiense, nella zona Tor di Valle, che ospitava l'ippodromo di Tor di Valle ormai chiuso;
   l'area, situata nell'ansa del Tevere, sarebbe classificata nel piano stralcio n. 5 del piano assetto idrogeologico della regione Lazio come area di esondazione, e interessata da vincoli paesaggistici volti al mantenimento e alla conservazione di paesaggi naturali e da altri vincoli di inedificabilità assoluta;
   secondo lo studio di fattibilità e per l'equilibrio economico finanziario dell'opera oltre all'impianto sportivo e le cubature commerciali ad esso collegate, verrebbero previsti circa 1 milione di metri cubi di nuova edificazione, a destinazione uffici, alberghi e centri commerciali a compensazione delle opere di urbanizzazione ed infrastrutturazione a carico del privato;
   l'intervento ha un importante peso urbanistico, in deroga al piano regolatore generale di Roma Capitale, con elevato consumo di suolo, destinato a produrre un forte impatto ambientale e sull'assetto generale della mobilità di quadrante;
   in risposta all'interrogazione n. 5-06399, il sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo ricordava come l'autorità di bacino del fiume Tevere in conseguenza della localizzazione dell'opera, ha espresso la necessità di approfonditi esami circa il pericolo di assestamento delle formazioni alluvionali; di prevedere misure compensative tese a mantenere invariate le portate di deflusso realizzando la trasformazione del territorio secondo il principio dell'invarianza idraulica; nonché la necessità di valutare preventivamente la quantità di risorsa idrica approvvigionabile dalla rete acquedottistica al fine di poter soddisfare le nuove esigenze conseguenti al carico antropico aggiuntivo previsto nel progetto, nonché di mettere in atto tutte le misure di risparmio idrico possibili –:
   se le criticità e le questioni sollevate dall'Autorità di bacino del fiume Tevere siano state o saranno oggetto di approfondimento nella elaborazione progettuale all'esame della competente conferenza di servizi, e quali elementi possa fornire al riguardo. (5-10576)


   PASTORELLI e LABRIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la notizia pubblicata il 12 febbraio 2017 dal quotidiano «Il Sole 24 Ore», circa la possibilità che l'asta per la cessione di Ilva possa andare a vuoto per mancata presentazione di offerte vincolanti o che possa essere addirittura invalidata in un secondo momento per motivi giuridici, desta sconcerto;
   la vicenda Ilva, che vede protagonista assoluto lo Stato dall'inizio del commissariamento, avvenuto nel giugno del 2013, assume di giorno in giorno contorni più confusi e preoccupanti, non solo per i lavoratori dell'acciaieria, ma per tutta l'area tarantina;
   stando a quanto riportato nell'articolo, il nodo che potrebbe portare al fallimento dell'operazione è relativo alla difformità del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rispetto alla legge che disciplina gli aspetti riguardanti l'attività dell'Ilva, in relazione alle tempistiche dei lavori per l'ambientalizzazione e alla portata della produzione. Così, mentre il decreto ministeriale fissa al 23 agosto 2023 il termine ultimo per i lavori di ambientalizzazione, la legge che ha assorbito il piano dell'autorizzazione integrata ambientale fissa il termine al 2018. Ancora, con riferimento alla capacità produttiva vi è un'altra disparità: il decreto prevede che non siano superati i sei milioni di tonnellate di acciaio l'anno; la legge parla di 8 milioni di tonnellate;
   appare allora necessario fare assoluta chiarezza su quanto sta accadendo e conoscere tempistiche e modalità dell'operazione –:
   se quanto riportato dall'articolo citato sia vero, come intenda il Ministro interrogato gestire l'emergenza ambientale, in vista della cessione dell'azienda, e quale sia la reale tempistica. (5-10577)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione sul Veneto della Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti si citano i casi della autostrada Valdastico Sud, dove ai lotti 4, 5, 6 furono assegnati rifiuti tossici invece che materia prima seconda, con superamenti importanti di fluoruri, rame, bario, cromo. Una parte di questi rifiuti proveniva dal Consorzio Cerea spa di Cerea (Verona), tramite Portamb srl, appaltante di Serenissima Costruzioni. Le certificazioni aziendali erano conformi all'allegato 3 del decreto ministeriale 1998, n. 186 e alla specifica normativa in materia;
   il Consorzio Cerea spa è stato coinvolto anche in un processo penale per un vero e proprio rifiuto macinato, immesso come sottofondo nell'autostrada Valdastico Sud;
   il prezzo di vendita di tali materiali è stato di 35.775,54 euro (0,50 euro/metri cubi), mentre il costo del loro trasporto è stato di 445.012,00 euro;
   sull'autorizzazione rilasciata dalla regione Veneto (autorizzazione integrata ambientale, pagina 13) appare scritto: «i materiali destinati alla formazione dei conglomerati cementizi sono esonerati dall'analisi del test di cessione. Le loro caratteristiche intrinseche non possono rappresentare controindicazioni ambientali, in quanto l'inertizzazione mediante additivazione di cemento è uno dei processi tipici di inertizzazione»;
   qualcosa di analogo avverrebbe in Lombardia e Emilia Romagna;
   i conglomerati cementizi con aggregati ottenuti da ceneri pesanti di inceneritore sono contemplati anche ai sensi del decreto ministeriale n. 186 del 2006, ma in esso non sono incluse, nella categoria dei conglomerati cementizi, i misti cementati o i conglomerati cementizi di scarsa qualità, destinati a sottofondi, contenenti quantità di cemento molto basse e privi della capacità di fissare e/o inglobare i metalli pesanti in essi contenuti –:
   se il Ministro interrogato non intenda monitorare l'applicazione della normativa di settore, su tutto il territorio nazionale, per evitare l'immissione nell'ambiente di materiali potenzialmente pericolosi sotto forma di misti cementati o conglomerati cementizi di scarsa qualità in contraddizione con quanto disposto dall'articolo 184-ter, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 152 del 2006, e se non intenda assumere iniziative per rivedere la definizione di «conglomerato cementizio» valutando se possano rientrare anche i «misti cementati» o i conglomerati cementizi di qualità non precisate. (5-10578)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2017 organi di informazione davano la notizia che, a Flamanville nel Dipartimento della Manica nella Bassa Normandia, a nord della Francia, vi era stata un'esplosione e successivo incendio verificatisi in mattinata nella centrale nucleare di Edf (Électricité de France), compagnia prima produttrice e fornitrice di energia nel Paese;
   l'incendio ha coinvolto la sala macchine della centrale e, si legge, che non ci sono stati feriti gravi né che l'incidente possa avere comportato possibili rischi di contaminazione;
   il reattore numero 1, nella cui area si è verificato lo scoppio, è stato comunque fermato per precauzione. «È esploso un ventilatore nella zona non nucleare», ha specificato il prefetto Jacques Witkowski, sottolineando che «non si è trattato di un incidente nucleare. Cinque persone sono state leggermente intossicate dal fumo, ma sono indenni» (http://www.corriere.it);
   il 10 febbraio 2017 si legge che: «La prefettura ha dichiarato conclusa la fase d'emergenza. I funzionari presso la sede di Parigi non hanno rilasciato commenti» (fonte La Stampa);
   il 7 aprile 2015 si apprendeva già che «L'autorità per la sicurezza nucleare francese ha annunciato “un'anomalia” tecnica nel serbatoio del reattore EPR di Flamanville, in Normandia» e – riferiva un articolo di Repubblica on line – che «Si tratta di un problema distinto da quello annunciato lo scorso novembre (2014) dal gestore EDF sul coperchio del serbatoio della stessa centrale di ultima generazione, ha precisato ASN. L'anomalia nella copertura del reattore Epr di Flamanville, la cui costruzione è iniziata nel 2007 e dovrebbe terminare nel 2017, è emersa nel corso di una verifica di routine da parte delle due aziende responsabili del cantiere, Edf e Areva»;
   intanto, l'Arpa Piemonte, a seguito dell'incidente nucleare francese del 9 febbraio 2017, «a titolo precauzionale» ha intensificato le normali attività di monitoraggio della radioattività ambientale (rete automatica di allarme, in tempo reale e spettrometria gamma sul particolato atmosferico prelevato giornalmente). I livelli di radioattività registrati attualmente in Piemonte – si legge un articolo on line – «sono nella norma». (http://www.targatocn.it);
   di quali informazioni disponga il Governo circa l'episodio accaduto e se non ritenga, dopo una valutazione tecnica, sentita l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, di richiedere ed ottenere una immediata e approfondita verifica sullo stato della centrale di Flamanville, in accordo con la Commissione europea e con la Francia, al fine di valutare il livello di sicurezza della centrale stessa per i Paesi limitrofi come l'Italia, anche prevedendo l'invio di un comitato scientifico di esperti, composto pure da tecnici italiani. (4-15568)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN) è stato istituito con il decreto legislativo n. 45 del 4 marzo 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 marzo 2014 che recepisce la direttiva 2011/70/EURATOM, volta ad istituire un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   in data 15 novembre 2016 due decreti del Presidente della Repubblica hanno nominato l'avvocato Maurizio Pernice direttore dell'Isin, e il dottor Stefano Laporta (con funzioni di coordinamento organizzativo interna e la dottoressa Laura Porzio e il dottor Vittorio D'Oriano componenti della Consulta dell'Isin;
   agli interroganti risulta che l’iter di nomina non sia ancora pienamente concluso, dal momento che i decreti di nomina non sono ancora stati registrati dai Ministeri competenti né pubblicati sui loro siti istituzionali;
   agli interroganti risulta scaduto in data 13 febbraio 2017, il termine di «90 giorni dalla data di nomina di cui al comma 4 entro il quale il direttore dell'Isin trasmette al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dello sviluppo economico, affinché possano formulare entro 30 giorni le proprie osservazioni, il regolamento che definisce l'organizzazione e il funzionamento interni dell'Ispettorato», conformemente a quanto disposto dal comma 14 dell'articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45;
   inoltre risulta scaduto in data 14 gennaio 2017 il termine di 60 giorni dalla data di nomina del direttore dell'Isin entro il quale Ispra era tenuta ad effettuare «una riorganizzazione interna dei propri uffici che assicuri alla struttura di cui al comma 1, regolamentate da apposita convenzione non onerosa, condizioni di operatività», così come stabilito dal comma 12 dell'articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45;
   questo periodo di vacatio è certamente deleterio ai fini della vigilanza. Infatti, fra i suoi compiti, l'Isin ha anche quello della vigilanza sugli impianti in esercizio, sulle aree delle ex centrali nucleari in completamento di dismissione e sui depositi provvisori –:
   come si giustifichi il ritardo accumulato nel perfezionamento degli iter di nomina, nell'emanazione del regolamento e nella riorganizzazione interna; se intenda indicare delle nuove tempistiche e quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché l'ispettorato e la consulta dell'Istituto risultino pienamente legittimati ed operativi in tempi rapidi.
   (4-15571)

DIFESA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   per effetto del decreto legislativo n. 177 del 2016, a partire dal 1o gennaio 2017, il COA (centro operativo aereo) del Corpo forestale dello Stato è smembrato tra carabinieri e Corpo nazionale dei vigili del fuoco; vanno ai carabinieri n. 5 AB412 EP (con matricola militare), n. 3 AW109N, n. 8 NH500D e l'aereo P180 Avanti per un totale di 17 aeromobili; transitano invece ai vigili del fuoco 16 elicotteri;
   vanno ai carabinieri le basi aeree di Belluno e Pescara, le uniche ad essere dimensionate per ospitare gli elicotteri antincendio Erickson S64F transitati ai vigili del fuoco, oltre a quelle di Rieti e Roma Urbe; ciò comporterà ulteriori oneri per le casse dello Stato per l'adeguamento delle strutture dei vigili del fuoco;
   presso la base di Pescara, a seguito del transito di un solo pilota ed 11 specialisti dall'ex Corpo forestale dello Stato, l'operatività verrà garantita solo con l'arrivo di personale supplementare del NEC (nucleo elicottero carabinieri);
   l'organico del COA comprendeva 79 piloti, 103 specialisti e 31 tecnici amministrativi, in molti casi posti di fronte alla scelta di essere militarizzati e trasferiti – pur di continuare a lavorare nel reparto aereo – o di non essere trasferiti ma di dover abbandonare il lavoro aeronautico, col rischio di disperdere professionalità acquisite a spese dello Stato;
   il Corpo forestale dello Stato aveva l'unico servizio aereo in Italia di Stato dotato di una organizzazione EASA (European Aviation Safety Agency), con certificato di operatore aereo Cola che avrebbe permesso in caso di intera acquisizione dei mezzi aerei dei vigili del fuoco di conformarsi alle norme europee garantendo al personale interessato la possibilità di effettuare servizi come l'HEMS che ad oggi sono allo stesso impediti ed affidati a ditte private; inoltre, i piloti del P180 hanno effettuato anche un corso Airline Transport Pilot License di 24 mesi;
   col passaggio ai carabinieri il personale dovrà essere riqualificato con corsi pagati dai contribuenti per la conversione delle licenze civili in militari;
   si dovranno necessariamente interrompere i corsi civili di pilotaggio già attivati, con conseguente sperpero di denaro pubblico;
   il passaggio comporterà la «messa a terra» di quasi tutte le linee degli aeromobili per l'adeguamento tecnico di tutti gli apparati (TACAN, UHF, livree e altro) e l'adeguamento giuridico alla normativa militare;
   la gestione dell'aeronavigabilità del P180 era fatta secondo la normativa EASA e con un software di gestione tecnica del tipo in uso alle linee aeree civili, ed entrambi non applicabili alla eventuale gestione militare dei carabinieri, fatte salve onerose conversioni che svaluterebbero il velivolo; inoltre, il P180 è stato acquistato in leasing quindi spetterà ai carabinieri l'onere del pagamento delle rate residue fino al 2018;
   gli AB412EP acquisiti differiscono dagli AB412HP dei carabinieri che non potendo perciò essere «cannibalizzati» costringeranno l'incremento da parte dell'Arma dei magazzini speciali aeronautici, mentre per gli NH500D sarà necessario predisporre ex-novo una struttura capace di gestirli garantendone una aeronavigabilità continua;
   appare irrazionale che il nucleo elicotteri dei carabinieri con sede presso l'aeroporto di Pratica di mare si doti di altre basi, quella di Roma Urbe, di Rieti e di Pescara a pochi minuti di volo tra loro;
   a parere degli interpellanti al momento è disatteso l'articolo 13 del decreto legislativo n. 177 del 2016 secondo il quale attraverso uno o più decreti del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze e degli altri Ministri interessati, da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo citato, sono individuati le risorse finanziarie, i beni immobili in uso ascritti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, gli strumenti, i mezzi, gli animali, gli apparati, le infrastrutture e ogni altra pertinenza del corpo forestale dello Stato che sono trasferiti –:
   se siano a conoscenze dei fatti esposti in premessa;
   quali siano le tempistiche e l'ammontare delle spese dirette ed indirette dell'adeguamento della flotta aerea del corpo forestale dello Stato transitata nei carabinieri nonché per l'adeguamento logistico ai criteri dell'Arma e dei vigili del fuoco delle basi aeree del COA;
   quale sia l'ammontare degli oneri per le casse dello Stato per l'adeguamento e la formazione del personale del servizio aereo transitato nei carabinieri;
   quali siano i criteri adottati nel riparto degli aeromobili e delle basi aeree dell'ex-COA tra carabinieri e vigili del fuoco rispetto all'articolo 13 del decreto legislativo n. 177 del 2016;
   se sia prevista una gestione civile da parte dei carabinieri della linea NH500D e del P180 o se saranno previste deroghe, e se il contratto in leasing di quest'ultimo, verrà ceduto all'Arma, e quale sarà la tipologia d'impiego;
   se l'assorbimento del servizio aereo del forestale dello Stato comporterà un risparmio di spesa pubblica.
(2-01655) «Massimiliano Bernini, Terzoni, Basilio, Lupo, Parentela».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 177 del 2016, attuativo della «legge Madia», che prevede l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato (CFS), 6.519 agenti della forestale e 658 unità del personale tecnico amministrativo non in divisa e non armato diventeranno carabinieri, acquisendo ai sensi dell'articolo 14 lo status giuridico di militari;
   prima dello scioglimento, la consistenza al 28 agosto senza facoltà assunzionali del personale tecnico amministrativo del Corpo forestale dello Stato, annoverava 692 unità, comprendendo anche soggetti con disabilità ed obiettori di coscienza;
   assumendo lo status giuridico di militari, gli «ex-forestali», soggetti precedentemente all'ordinamento civile, perciò ai giudici ordinari, diventeranno cittadini soggetti all'ordinamento militare perciò ai giudici militari;
   con la militarizzazione si ha una profonda compressione dei diritti tutelati dalla Costituzione, perdendo non per loro scelta, il diritto di associarsi liberamente (articolo 18), i pieni diritti sindacali (articolo 39) e il diritto di sciopero (articolo 40);
   la militarizzazione coattiva del personale femminile investe il principio di eguaglianza (articolo 3), perché contrasta con la norma generale secondo cui le donne possono svolgere il servizio militare esclusivamente su base volontaria (legge n. 380 del 1999, articolo 1);
   la militarizzazione del Corpo forestale dello Stato operata dal Governo Renzi ha, secondo gli interroganti, ripercussioni sul principio fondamentale contenuto nell'articolo 2 della Costituzione: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»;
   nella progressione di carriera, nella fase transitoria e a regime, si creeranno disparità di trattamento tra gli ufficiali del ruolo speciale dei carabinieri e quelli del ruolo normale, sia nei confronti degli altri comandanti/dirigenti delle altre forze di polizia sia ad ordinamento militare che civile;
   con la legge 23 agosto 2004, n. 226, sono sospese a decorrere dal 1o gennaio 2005, le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva; in attuazione dell'articolo 52 della Costituzione, il servizio militare è obbligatorio nei casi e con le modalità stabilite dal codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 e successive modifiche) e il contingente militare fissato dal Ministro della difesa è ripartito tra l'Esercito, Marina e l'Aeronautica militare;
   col trasferimento ai Carabinieri di circa 1.000 stazioni forestali sparse su tutto il territorio nazionale tranne che nelle cinque regioni a statuto speciale che dispongono di propri Corpi forestali, si apriranno notevoli problemi gestionali e normativi; infatti, nelle regioni a statuto speciale si prospetta il rischio di un conflitto di competenze (le medesime) tra corpi regionali e Carabinieri che svolgono le sue funzioni su tutto il territorio nazionale –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative si intendano assumere per il superamento delle disparità negli avanzamenti di carriera all'interno dell'Arma e rispetto le altre forze di polizia ad ordinamento civile e militare;
   in che modo si intendano superare i conflitti di competenze tra il Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare e i Corpi forestali regionali nelle regioni autonome. (4-15565)


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto legislativo n. 177 del 2016, individua per ruolo di appartenenza, sulla base dello stato matricolare e dell'ulteriore documentazione attestante il servizio prestato, l'amministrazione presso la quale ciascuna unità di personale ex-CFS (Corpo forestale dello Stato) è assegnata;
   coi decreti del capo del Corpo forestale dello Stato n. 81268, 81270, 81271, 81272 e 81273 del 31 ottobre 2016, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha individuato il personale dirigente e non, da assegnare agli istituendi ruoli AIB (antincendio boschivo), ovvero al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF), secondo le equiparazioni tra i ruoli e le qualifiche previste dalla tabella B del decreto legislativo n. 177 del 2016, pubblicati nel supplemento al bollettino ufficiale del Corpo forestale dello Stato del 7 novembre 2016; il 7 novembre 2016 è pubblicato nel supplemento al bollettino ufficiale, il decreto del Capo del Corpo forestale dello Stato n. 81275;
   il decreto del capo del Corpo forestale dello Stato n. 81276 del 31 ottobre 2016 reca l'individuazione delle unità di personale appartenente al ruolo direttivo dei funzionari del Corpo forestale dello Stato assegnate ai carabinieri, pubblicato nel supplemento al bollettino ufficiale del Corpo forestale dello Stato del 7 novembre 2016;
   la nota prot. n. 93701 del 9 dicembre 2016 del direttore della divisione 12a dell'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato e il decreto del capo del Corpo forestale dello Stato n. 29 del 19 aprile 2016, prevedono in alcune parti l'assegnazione del personale ricorrente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco anziché all'Arma dei carabinieri;
   con le note del 95138 e 97233 rispettivamente del 14 e 20 dicembre 2016 il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali ha trasmesso le tabelle contenenti i dati relativi al personale del Corpo forestale dello Stato che, a decorrere dal 1o gennaio 2017, è assegnato al Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il 24 novembre 2016 è emanata la nota n. 88869 del Capo del Corpo forestale dello Stato riportante la pubblicazione (solo) sul sito del dipartimento della funzione pubblica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 2016; nei venti giorni successivi alla pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il personale può presentare domanda per il transito in mobilità ad altra amministrazione statale tra quelle individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; il termine era fissato perciò alle ore 24 del 13 dicembre 2016;
   secondo il comma 6 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 177 del 2016, se alla data del 15 novembre 2016 il personale abbia presentato domanda ma non sia stato ricollocato in altre amministrazioni individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e non abbia optato per la riassegnazione, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, viene ricollocato;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 3 gennaio 2017;
   dal 13 dicembre al 26 gennaio 2017, i TAR per la Puglia e per il Molise pubblicano le ordinanze per la sospensione dell'efficacia e dell'esecutività dei decreto del capo del Corpo forestale dello Stato n. 81268, n. 81270, n. 81275 e n. 81276;
   le sigle sindacali hanno depositato presso i TAR migliaia di ricorsi presentati da altrettanti ex-forestali allo scopo di accertare la sussistenza dei diritti e delle prerogative, di evidenziare i profili di incostituzionalità e la lesione dei princìpi di uguaglianza e ragionevolezza, nonché delle libertà di pensiero e di coscienza derivante dalla militarizzazione –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per non calpestare le professionalità e i diritti acquisiti del personale ex-Corpo forestale dello Stato;
   se le pronunce emesse non rischino di inficiare quanto previsto dalla Tabella A del decreto legislativo n. 177 del 2016, nonché la procedura di cui il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 2016 ovvero, se non si ritenga di dover riaprire i termini per transito in mobilità ad altra amministrazione statale;
   in che modo si intenda rispettare quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 177 del 2016 ovvero se si intenda avviare con sollecitudine un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali di categoria presso il dipartimento della funzione pubblica;
   quale sarà il destino professionale del personale oggetto delle sospensive.
(4-15566)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   i recenti provvedimenti economici approvati dal legislatore alla fine del 2016, con particolare riferimento al decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, (cosiddetto, «decreto fiscale») e alla legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017), oltre ad aver introdotto importanti misure (quali, ad esempio, la così detto A.P.E. ovvero sostegni a scuola e famiglia), sono stati appesantiti da scelte, spesso aventi natura temporanea e non strutturale, nonché in qualche senso forse condizionate dalla allora imminente scadenza referendaria;
   il 21 dicembre 2016 sia la Camera dei deputati che il Senato della Repubblica hanno approvato a maggioranza assoluta la risoluzione di maggioranza sulla relazione presentata dal nuovo Governo che ha chiesto l'autorizzazione ad un nuovo indebitamento fino a venti miliardi di euro per interventi a sostegno del sistema bancario;
   la relazione al Parlamento è stata predisposta ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 243 del 2012, il quale prevede che, qualora il Governo, al fine di fronteggiare eventi eccezionali, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dagli obiettivi programmatici di finanza pubblica, presenti alle Camere una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici stessi, nonché una specifica richiesta di autorizzazione, che indichi la misura e la durata dello scostamento e definisca un piano di rientro;
   la relazione chiedeva al Parlamento l'autorizzazione al reperimento, fino ad un massimo di venti miliardi di euro, attraverso operazioni di emissioni di titoli del debito pubblico, nell'eventualità di esito negativo degli «stress test» europei sulle banche. In considerazione della finalità precauzionale cui è indirizzato, si precisava che «l'intervento non può essere al momento dettagliato nei tempi, nelle modalità e nei provvedimenti nei quali si articolerà, ma risulterà comunque finalizzato ad assicurare due obiettivi: un adeguato livello di liquidità del sistema bancario, anche mediante la concessione di garanzie dello Stato su alcune tipologie di passività delle banche, ed un rafforzamento patrimoniale delle banche medesime mediante operazioni di ricapitalizzazione, che prevedono la sottoscrizione di nuove azioni»;
   la flessibilità che ha potuto utilizzare l'Italia è stata stimata in circa 26 miliardi di euro, utilizzata con modalità prevalenti di spesa che avrebbero dovuto, nelle indicazioni prospettiche illustrate dal Governo allora in carica, aumentare i consumi e creare crescita;
   invece, il 17 gennaio 2017 scorso la Commissione europea inviava all'Italia la richiesta di riportare il deficit al livello concordato nella primavera 2016, censurando la recente legge di bilancio che l'avrebbe fatto salire al 2,3 per cento del prodotto interno lordo e richiedendo pertanto un piano di rientro di circa 3,4 miliardi di euro, prospettando in difetto la possibilità di una procedura di infrazione;
   già il 25 ottobre 2016 la Commissione europea aveva chiesto chiarimenti sulla bozza di bilancio 2017, ma il competente Ministro aveva assicurato gli organi europei ed italiani come non occorresse «nessuna modifica»;
   diversamente, il 2 febbraio 2017, a fronte delle confermate contestazioni di Bruxelles del 17 gennaio sul bilancio italiano 2017, il Governo prospettava, seppur del tutto genericamente, riforme strutturali, privatizzazioni, tagli alla spesa, lotta all'evasione, revisioni delle agevolazioni fiscali, nonché nuove accise e/o oneri fiscali, rimanendo pure non precisati i termini temporali di intervento, a causa di prospettate ipotesi di elezioni anticipate;
   il 3 febbraio il Ministro dell'economia e delle finanze, intervenendo sull'aggiustamento dei conti pubblici durante il question time al Senato, precisava che le misure verranno adottate entro fine aprile, presumibilmente anche prima della presentazione del documento di economia e finanza, indistintamente riferendosi anche a possibili ritocchi di accise e tassazione indiretta e rappresentando come «allarmante» la prospettiva di infrazione;
   nella giornata del 6 febbraio 2017 le borse europee hanno perso parecchio, soprattutto quella di Milano che ha registrato –2,21 per cento; lo spread è risalito oltre 200 punti raggiungendo il massimo livello da febbraio 2014 e creando allarme su banche e titoli di stato. A pesare sui mercati sono i timori per la tenuta dell'unione monetaria, l'economia dell'eurozona a due diverse velocità, l'incognita sull'esito delle elezioni in diversi Paesi europei (quali Olanda, Francia e Germania) e, per l'Italia, anche l'instabilità politica con l'incertezza sulle elezioni anticipate. Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nel corso di un'audizione al Parlamento europeo è intervenuto in difesa della politica monetaria europea e del futuro dell'euro, definito «irrevocabile» e senza il quale sarebbe a rischio la stessa sopravvivenza del mercato unico –:
   se il Governo intenda presentare con urgenza alle Camere una più dettagliata proposta di interventi per evitare lo sforamento del livello concordato di disavanzo per l'esercizio finanziario 2017 e la conseguente procedura di infrazione, a tal fine scegliendo di privilegiare — in luogo di nuove misure dirette o indirette di imposizione fiscale – azioni volte all'applicazione rigorosa dei costi standard alla spesa pubblica, all'alienazione di beni pubblici, alle privatizzazioni, ad una radicale accelerazione della digitalizzazione della pubblica amministrazione e della misurazione delle performance del personale pubblico.
(2-01661) «Monchiero, Menorello, Galgano, Matarrese, Molea, Oliaro, Dambruoso, Quintarelli, Catalano, Bombassei, Mucci, Vaccaro, Piso, Roccella, Gigli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di bilancio 2017 ha introdotto nuove regole del pareggio di bilancio per gli enti territoriali ai fini del loro concorso alla realizzazione e degli obiettivi di finanza pubblica, stabilendo che a decorrere dal 2017, sia in fase previsionale che di rendiconto, gli enti territoriali dovranno conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali;
   il rispetto del saldo di pareggio è rafforzato da un articolato sistema sanzionatorio da applicare in caso di mancato conseguimento del saldo in esame e da un sistema premiale in caso di rispetto del saldo stesso;
   in merito al fondo pluriennale vincolato, l'articolo 1, comma 467, della legge di bilancio 2017 consente ai comuni che hanno approvato il bilancio di previsione 2017-2019 entro il 31 gennaio di derogare alle regole di costituzione del fondo pluriennale vincolato previsto dal principio contabile relativo alla competenza finanziaria;
   per quanto riguarda le risorse accantonate nel fondo di parte spesa nell'anno 2015 per finanziare le spese contenute nei quadri economici di lavori pubblici e quelle per procedure di affidamento già attivate, i comuni possono conservare le medesime nel fondo pluriennale di spesa anno 2016 qualora non siano state utilizzate nel corso dell'esercizio, a condizione che sia stato redatto e validato il progetto esecutivo degli investimenti e che lo stesso sia completo del cronoprogramma;
   nonostante il cosiddetto decreto Milleproroghe (decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244), all'articolo 5, comma 11, abbia differito al 31 marzo 2017 il termine per l'approvazione del bilancio annuale di previsione per l'esercizio 2017 da parte degli enti locali, resta comunque fermo il termine del 31 gennaio 2017 per l'approvazione del bilancio di previsione 2017/2019 al fine di avvalersi della premialità, la quale consentirebbe di mantenere nel 2017 le quote inutilizzate del fondo pluriennale vincolato 2015;
   da informazioni pervenute all'interrogante, è evidente che, nel rispetto dei tempi tecnici, molti comuni hanno riscontrato problematiche in merito all'approvazione del bilancio di previsione finanziario 2017/2019, poiché, le maggiori difficoltà, riguardano, in particolare, l'assoluta mancanza e incertezza dei dati, primi fra tutti quelli dei trasferimenti regionali –:
   se non intenda assumere iniziative per far fronte alla disomogeneità della normativa attualmente in vigore riguardo al termine di scadenza per l'approvazione del bilancio di previsione finanziario 2017/2019 e per il mantenimento del fondo pluriennale vincolato 2015 nel bilancio 2017. (5-10565)


   SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da quanto disposto dai princìpi contabili internazionali IAS 7.6, si desume che la «cassa» risulti costituita da contanti (monete e banconote) e da depositi bancari. L'Autorità bancaria europea (EBA) definisce la moneta bancaria come « fiat currency» considerando la stessa – implicitamente – avente corso legale, in quanto accettata dalla banca centrale e dalle autorità statali;
   le banche possono creare moneta «bancaria» dal nulla. Tale facoltà sembrerebbe esser stata riconosciuta legittima dal tribunale di Bolzano (6 settembre 2016 – RG2016/14), in quanto non contraria e non vietata dalla normativa europea e nazionale;
   da quanto si desume dalle dichiarazioni degli esponenti della Banca centrale europea e di importanti società di consulenza come KPMG, le banche di credito creano moneta all'atto di erogazione dei prestiti, quindi non prestano moneta prelevandola dalla raccolta o dalle riserve, bensì la generano ex nihilo, aumentando con ciò il money supply e realizzando un «allungamento» del proprio bilancio. Nell'ordinanza 6 settembre 2016 dell'esecuzione immobiliare 216/2014 il GE di Bolzano ha osservato che gli articoli 127 e 128 del Trattato di Lisbona riservano al Sistema europeo delle banche centrali l'emissione solo dell'euro cartaceo e metallico, non anche di quello scritturale creato dalle banche di credito. Il 7 luglio 2016 a Madrid, in Spagna, il vice presidente della Banca centrale europea ha dichiarato: «Una motivazione fondamentale per la regolamentazione bancaria si riferisce al fatto che, quando concedono credito, le banche creano denaro creando un deposito corrispondente. Questa attività, che è al centro del nostro sistema di moneta-credito, comporta una significativa trasformazione di liquidità poiché i depositi sono molto più liquidi dei crediti»;
   la circostanza sopra descritta è stata ammessa ultimamente dalla Banca popolare dell'Alto Adige nel procedimento esecutivo immobiliare 216/2014; il giudice ha ritenuto che questa prassi sia effettiva e legittima, asserendo nell'ordinanza 6 luglio 2016 quanto segue: «quanto, invece, alla violazione dell'articolo 127 (ex articolo 105) del trattato istitutivo dell'Unione Europea, non si capisce per quale motivo la creazione di moneta attraverso il sistema bancario possa violare tale norma, che nulla dispone in tal senso, come è assolutamente irrilevante il riferimento all'articolo 10 TUB, che non vieta tale sistema, posto che comunque l'Euro è una moneta non rappresentativa, per cui non è richiesto un controvalore per ogni biglietto stampato come all'era del sistema aureo (...)». La banca aveva dichiarato: «Il Trattato di Maastricht non riserva alla BCE la creazione di moneta, ma testualmente l'emissione di banconote ed il conio di monete. Il codice civile non conosce affatto soltanto la moneta legale (se fosse così, in base alla normativa antiriciclaggio, oggi sarebbe vietato qualsiasi affare che prevedesse il pagamento di un prezzo pari o superiore ad euro 3.000; simili limiti sono peraltro in vigore nella maggioranza dei paesi dell'Unione Europea) (...) La “creazione di moneta” da parte delle banche commerciali, l'esistenza di “moneta scritturale”, il fenomeno della “riserva frazionaria” sono caratteristiche assolutamente lecite del nostro sistema economico e monetario ed espressione della libertà contrattuale. Se una banca eroga un mutuo ad un cliente, si ha un semplice fenomeno di espansione dello stato patrimoniale»;
   questa realtà è stata ultimamente confermata anche dal rapporto di KPMG sulla creazione di denaro mediante il prestito, presentato al Primo Ministro dell'Islanda il 5 settembre 2016 che scrive: «La predominante fonte di moneta nel presente Sistema monetario è il prestito bancario, in cui i depositi sono creati nel processo del prestare. La creazione monetaria nel presente sistema monetario, perciò, espande i bilanci delle banche e accresce l'indebitamento di famiglie e imprese»;
   la possibilità per le banche di creare denaro si basa sul fatto che le banche, reciprocamente, si riconoscono e accreditano identicamente alla moneta legale la moneta così creata e trasferita mediante bonifici o altro. Tale moneta scritturale è, giuridicamente, uno strumento di debito, ossia una promessa di pagamento, emessa dalla banca pagante nei confronti della banca destinataria; quindi la moneta scritturale creditizia consiste in una rete di reciproche promesse di pagamento accettate, per convenzione, come moneta finale, estintiva del debito, la condizione di solvibilità o insolvibilità di una banca dipendendo essenzialmente dalla volontà delle altre banche di accertarne i pagamenti –:
   se, in conformità con quanto asserito in premessa, intenda assumere le opportune iniziative di competenza al fine di modificare, i criteri di solvibilità delle banche escludendo ogni ipotesi di liquidazione e di interventi di «bail-in» e «bail-out», consentendo alle banche una continuità operativa nell'ambito del sistema interbancario, ed individuando criteri di gestione delle crisi bancarie finalizzati alla soluzione esclusiva delle cause e delle responsabilità degli organi di amministrazione e controllo che hanno generato una eccessiva esposizione della medesima banca. (5-10570)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 agosto 2016 con la pubblicazione dello specifico avviso sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è partita la raccolta di manifestazioni di interesse per l'incarico dei presidenti delle 15 autorità di sistema portuale italiane. A capo dell'autorità di sistema portuale di Bari, è stata avanzata la nomina del professor Ugo Patroni Griffi;
   in ordine a detta nomina l'interrogante già ha presentato l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-09994 il 9 novembre 2016, seduta n. 704, cui non è stata data risposta;
   nel frattempo, in data 14 dicembre 2016 con delibera n. 1294 l'Autorità nazionale anticorruzione si è espressa in merito all'inconferibilità dell'incarico di presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale, a colui che, nei due anni precedenti, è stato consulente dell'autorità portuale di Bari, nonché presidente di enti di diritto privato regolati o finanziati ovvero in controllo pubblico;
   in ordine all'incompatibilità ai sensi degli articoli 6, 13 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980 e dell'articolo 6, comma 9, della cosiddetta legge Gelmini, l'Anac dispone l'invio della propria delibera al rettore dell'università di Bari e al responsabile per la prevenzione della corruzione dello stesso ateneo affinché promuovano gli adempimenti previsti dagli articoli 13 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980. L'articolo 13, comma 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980 stabilisce che: «il professore è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, dei mandato o dell'ufficio nel caso di nomina alla carica di presidente di enti pubblici a carattere nazionale». L'articolo 15 del medesimo decreto, concernente il regime di inosservanza delle incompatibilità, stabilisce che il professore ordinario che violi le norme sull'incompatibilità è diffidato dal rettore a cessare dalla situazione e che la diffida non preclude all'eventuale azione disciplinare. Decorsi quindi giorni dalla diffida senza che l'incompatibilità sia cessata, il professore decade dall'ufficio. Alla dichiarazione di decadenza si provvede con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca su proposta del rettore, sentito il Consiglio universitario nazionale. L'articolo 6, comma 9, della legge n. 240 del 2010 afferma che la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio e dell'industria e che restano ferme le ipotesi di incompatibilità di cui agli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980. Pertanto, secondo quanto disposto dall'Anac sarebbero necessarie ulteriori verifiche per escludere l'incompatibilità di cui alle norme citate –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda confermare e, in caso affermativo, con quali motivazioni, l'intenzione di nominare il professor Ugo Patroni Griffi a capo dell'autorità di sistema portuale di Bari. (5-10568)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il recente rapporto «Pendolaria 2016», elaborato e pubblicato da Legambiente nelle scorse settimane, le due principali linee ferroviarie che servono il Cremonese, vale a dire la «Milano-Cremona-Mantova» e la «Cremona-Brescia», restano fra le meno efficienti della Lombardia, con la Brescia giudicata addirittura la quinta peggiore tratta d'Italia. Anche la tratta «Cremona-Treviglio-Milano» viene impietosamente «bocciata» dal rapporto, secondo il quale «Nonostante i recenti potenziamenti e i consistenti investimenti sulla linea, realizzati con il quadruplicamento della tratta “Milano-Treviglio” e il raddoppio della tratta “Treviglio-Bergamo”, sui 56 chilometri di linea i tempi di percorrenza sono rimasti gli stessi di trenta anni fa: pessime condizioni di viaggio con carrozze sovraffollate e sporche. [...] E non è un caso che nonostante un'autostrada nuova di zecca davanti a casa come la Brebemi questa resti desolatamente vuota ed i pendolari continuano ad utilizzare i treni e a chiedere sempre maggiori investimenti nel settore ferroviario»;
   gli episodi di gravi disservizi, tra cui si segnalano anche i continui ritardi, sono reiterati e quasi privi di soluzione di continuità, come emerge anche nel citato rapporto: le proteste vengono infatti rilanciate dai pendolari cremaschi pressoché settimanalmente;
   considerato che l'assessore alla mobilità e trasporti della regione Lombardia ha annunciato l'introduzione di nuovi treni sulla tratta Cremona-Treviglio-Milano in diverse occasioni istituzionali e anche attraverso atti formali, almeno a partire dall'agosto del 2015 e che attualmente tali annunci non si sono concretizzati, mentre i disagi sulla tratta in questione conti continuano a permanere, aggravandosi sempre di più, sarebbe opportuno che il Ministro verificasse se, dopo oltre 18 mesi, sussistano le condizioni per un intervento di livello statale in tale ambito –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, sia di immediata urgenza, sia a livello di pianificazione e programmazione, intenda assumere in merito.
(4-15561)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2017 numerosi articoli di stampa hanno dato la notizia di tariffe «gonfiate», sia dei prezzi dei singoli biglietti che degli abbonamenti, per le tratte ferroviarie sovra regionali; un algoritmo errato nella procedura di calcolo ha falsato l'importo dovuto per tale tratte comportando rincari di oltre il 30 per cento;
   tale illegittimo sovraprezzo è stato scoperto da Assoutenti, una nota associazione a tutela dei diritti degli utenti dei servizi pubblici, a seguito di lamentele di pendolari del trasporto ferroviario sovra regionale che hanno constatato come l'importo da essi pagato risultava superiore alla somma delle singole tratte regionali. Insomma, pur sommando il costo delle tratte regionali secondo i prezzi in vigore in ciascuna regione e applicando il correttivo matematico, che tenesse conto di una serie di fattori come stabilito dai contratti di servizio regioni Trenitalia, il risultato economico non combaciava con le effettive tariffe applicate;
   come ammesso dalla stessa Trenitalia, con nota del 7 febbraio 2017 «(...) L'algoritmo cui fanno riferimento oggi i media è quello definito e approvato in sede di Commissione trasporti della conferenza delle regioni e delle province autonome nel luglio del 2007», confermando, pertanto, che tale problematica risale addirittura al 2007. Inoltre, Trenitalia riferisce che «(...) l'unica sede titolata per decidere in materia, ossia la predetta Commissione Trasporti della Conferenza» era già stata da tempo avvertita della questione «senza però che si giungesse alla definizione e alla delibera di un nuovo modello di calcolo». Emerge chiaramente che la società Trenitalia fosse da tempo a conoscenza di tale problematica e che informate le regioni queste non siano intervenute;
   tale grave versione è stata subitaneamente contestata dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, che con il suo presidente, Stefano Bonaccini, in un'intervista (la Repubblica «Le Regioni contro Trenitalia: sapeva dell'algoritmo che ha beffato i pendolari») ha dichiarato esattamente il contrario, ovverossia che: «(...) è prassi che le manovre tariffarie sovra regionali vengano preventivamente condivise con Trenitalia. Trovo sorprendente che l'azienda oggi si mostri estranea alla definizione dell'algoritmo che fu essa stessa a proporre. La modalità di calcolo fu non solo condivisa ma richiesta da Trenitalia per sopperire a un precedente algoritmo. La nuova modalità ha dimostrato le difformità che oggi Trenitalia riconosce. Da più Regioni è venuta in questi anni la richiesta di riconsiderazione delle tariffe. È inaccettabile che l'azienda oggi dichiari di essere venuta a conoscenza del problema nel 2015». Affermazioni queste che, se confermate, rileverebbero una grave e diretta responsabilità di Trenitalia, di cui è sostanzialmente azionista unico il Governo, nel perseguimento di una condotta dagli evidenti profili di dubbia legittimità con cui l'azienda, ad avviso dell'interrogante, ha prodotto a se stesso un ingiusto profitto, con probabili esiti risarcitori e danni erariali e di immagine passibili di accertamento da parte della Corte dei Conti;
   dagli stessi dati diffusi da Trenitalia sono all'incirca 7 mila gli abbonamenti interessati dai non dovuti sovraprezzi. In media un più 35 euro al mese che sommati per gli ultimi 10 anni fanno per sommi capi 30 milioni di euro di indebito guadagno. Fondi che necessariamente dovranno essere restituiti e per cui i vertici di Trenitalia dovranno essere chiamati a rispondere –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere, in primis per assicurare l'applicazione di un modello di calcolo tariffario scevro da alterazioni, in secundis per il ristoro di quanto indebitamente versato dai pendolari in tutti questi anni e in terzis per verificare eventuali responsabilità di quanto accaduto. (4-15574)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa locale si apprende che a Taranto si sia consumato un ulteriore attentato dinamitardo a danno di un supermercato all'ingrosso di prodotti surgelati. Un potente ordigno sarebbe esploso intorno alla mezzanotte del 10 gennaio 2017 davanti alla saracinesca del market Pgs in via Minniti, alle spalle dell'ospedale Santissima Annunziata;
   l'esplosione avrebbe causato ingenti danni alla facciata dell'edificio, sventrando la saracinesca del negozio e danneggiando l'insegna a neon ed anche alcune auto in sosta, mandando in frantumi i vetri della abitazioni dei primi tre piani dello stabile;
   sarebbero, inoltre, arrivate decine di telefonate al centralino dei vigili del fuoco da parte di cittadini allarmati. A seguito dell'esplosione sarebbe cresciuta anche la preoccupazione tra i degenti ricoverati nel vicino ospedale;
   i vigili del fuoco sarebbero intervenuti per fare una verifica strutturale all'edificio e sull'episodio starebbe indagando la polizia; si ipotizza che l'attentato sia probabilmente legato al racket delle estorsioni anche se al momento non si escluderebbero altre ipotesi;
   si tratterebbe del secondo attentato con esplosivi dall'inizio del 2017 a Taranto, infatti, il 2 gennaio 2017 un ordigno fu fatto esplodere poco dopo le 21 davanti alla saracinesca di un parrucchiere nella centrale via Duca degli Abruzzi, danneggiando saracinesca e vetrata. A settembre 2016 un'altra bomba distrusse l'ingresso e gli arredi di un bar al quartiere Tamburi;
   secondo quanto emerso di recente dell'attività della Commissione parlamentare antimafia, a seguito di tre giorni di visita istituzionale a Lecce, sede del distretto della corte d'appello e dopo aver ascoltato i magistrati della direzione distrettuale antimafia e i prefetti, Taranto e il territorio ionico sono territori dove la Sacra corona unita sta diventando un sistema alternativo allo Stato, il nuovo welfare, oltre ad allettare, per il mercato della droga, anche la ndragheta calabrese;
   è parere dell'interrogante che la città sia già in grosse difficoltà economiche ed ambientali legate alle sorti del complesso siderurgico Ilva e che molte persone in stato di bisogno siano facile preda della microcriminalità organizzata locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa di quali ulteriori elementi disponga, per quanto di competenza;
   se non ritenga inderogabile intensificare le operazioni di controllo sul territorio tarantino per la lotta alla microcriminalità e, in caso affermativo, secondo quale tempistica;
   quali iniziative anche normative, intenda adottare per garantire maggiore sicurezza per i cittadini dell'intero territorio ionico. (5-10579)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'onorevole Giuseppe Gennuso è deputato presso l'assemblea regionale siciliana e imprenditore di lungo corso con importati cariche aziendali nell'ambito di società riconducibili alla propria famiglia;
   tali società operano in diversi settori, compreso quello inerente alle concessioni da parte dei Monopoli di Stato, e quello inerente al settore immobiliare, quale la società denominata «Gestione immobili e servizi srl», ove ricopre la carica di procuratore generale dell'amministratore unico;
   nel luglio del 2015, la G.I.S. srl, unitamente ad altra società di famiglia, la «Somalia Games srl», ha acquisito il controllo societario della società denominata «Eredi Burgio Giuseppe di Gallo Alfredo Raul & C sas», che gestisce una sala bingo denominata «Bingo Magic Star», ubicata a Palermo nella Via Villagrazia in zona Guadagna;
   in seguito ad una denuncia per estorsione formalizzata dall'Onorevole Gennuso, i carabinieri del Ros di Palermo e del comando provinciale di Palermo, hanno effettuato la cosiddetta operazione «Bingo Family», che ha portato all'arresto di Cosimo Vernengo, del fratello Giorgio e di Paola Durante;
   i militari hanno, infatti eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere n. 3706/2015 e 8823/2016 RG, emesse dal gip di Palermo su richiesta dalla locale direzione distrettuale antimafia, nei confronti dei predetti accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso;
   non è la prima volta che l'onorevole Gennuso si vede costretto a sporgere denuncia per le minacce e le richieste estorsive ricevute a danno delle sue attività attivo imprenditoriali dal locale clan mafioso, attivo nella zona sud di Siracusa, che ha puntualmente denunciato nel lontano 1991;
   a seguito della predetta denuncia, sia l'onorevole Gennuso che i suoi figli sono stati più volte convocati dalle forze dell'ordine nonché dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal prefetto di Palermo, ove è stata successivamente disposta una prima misura di sorveglianza cosiddetta «dinamica», la forma più leggera di controllo che è disposta nei casi in cui il pericolo è considerato relativamente basso;
   tale forma di «tutela» è assolutamente inidonea ed appare insufficiente a garantire di un minimo grado di sicurezza all'onorevole Gennuso ed i membri della sua famiglia temono una possibile reazione della cosca mafiosa nei loro confronti ed infatti sono iniziati tutta una serie di eventi che sono stati già rappresentati al dirigente del commissariato di pubblica sicurezza di Pachino, al comandante della stazione dei carabinieri di Rosolini e al prefetto di Siracusa; gli stessi sono stati informati di una serie di episodi di intimidazione, tra cui uno avvenuto nel periodo estivo di quest'anno che ha visto tre persone con marcata inflessione palermitana effettuare una sorta di «ricognizione», utilizzando anche espressioni minacciose, ed un altro in cui il figlio dell'onorevole Gennuso è stato gravemente minacciato;
   la richiesta di porto d'armi dell'onorevole Gennuso e le richieste relative ad un maggior grado di protezione, a quanto risulta all'interrogante, sono state rigettate dalla prefettura –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle minacce ricevute dall'onorevole Gennuso e dai suoi familiari;
   se non si ritenga che le misure di protezione disposte per l'onorevole Gennuso ed i suoi familiari debbano essere potenziate. (4-15569)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, alcuni organi di stampa della Sardegna hanno riportato la notizia secondo la quale il segretario provinciale di Cagliari del Sindacato italiano unitario dei lavoratori della polizia (Siulp) avrebbe inviato, al questore di Cagliari e al responsabile della Va zona polizia di frontiera, una richiesta di chiarimenti sulla grave situazione di sicurezza che si sarebbe creata all'aeroporto di Cagliari-Elmas, in occasione dell'individuazione di tre cittadini siriani in transito con passaporti falsi;
   in particolare, il 9 gennaio 2017, il giornale online «Cagliari Pad» ha riferito che i «I tre sono trattenuti in questura, alla Digos, in stato di fermo di polizia giudiziaria, c’è da capire perché siano arrivati a Cagliari con documenti falsi e come si siano imbarcati sull'aereo proveniente da Milano. Il tutto in un contesto di tensione come quello dovuto alla presenza di terroristi jihadisti nelle carceri di Sassari e Nuoro»;
   secondo il segretario provinciale del Siulp la circostanza avrebbe creato delle difficoltà nello scalo aeroportuale, perché avrebbe distolto gli operatori della polizia di Stato – peraltro già sottodimensionati rispetto alle esigenze operative – dalle funzioni istituzionali perché impegnati a sovrintendere alle operazioni di identificazione e fermo dei cittadini non comunitari;
   nel dettaglio, nella lettera del segretario provinciale del sindacato di polizia, secondo quanto riportato dall'articolista, verrebbe riferito che «La preoccupazione è ancora più grande quando nella notte appena trascorsa la sicurezza non è stata garantita dai pochi poliziotti impegnati in servizio, poiché sono stati tutti “dirottati” a vigilare tre stranieri che sono stati trovati con documenti contraffatti. Lo stupore è stato ancor più grande poiché questi cittadini non sono stati trattenuti in strutture idonee dell'aeroporto in attesa delle attività di Polizia ma sistemati in brande di fortuna tra le scrivanie degli uffici utilizzati dai poliziotti. I colleghi in servizio sono stati costretti a vigilare i cittadini, non garantendo la vigilanza e la sicurezza aeroportuale»;
   l'interrogante aveva già presentato sul tema al Ministro interrogato l'interrogazione n. 4-07029, rimasta senza risposta, nella quale veniva sollevata la questione del grave sottodimensionamento degli organici della polizia di frontiera di Cagliari a fronte della molteplicità dei compiti istituzionali da assolvere, aggravati, tra l'altro, anche dall'insorgere dell'emergenza immigrazione, accentuatasi negli ultimi anni;
   da quanto esposto si rileva una situazione difficile per gli operatori della polizia di Stato, impegnati nelle attività di vigilanza, salvaguardia della sicurezza e contrasto della criminalità negli scali aeroportuali della Sardegna, difficoltà che, oggi, risultano straordinariamente accentuate per effetto dei richiamati flussi migratori non controllati –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per far sì che il personale della polizia di Stato, impegnato nel servizio di sicurezza negli scali aeroportuali della Sardegna, possa svolgere in piena operatività il servizio istituzionale;
   se non ritenga opportuno rafforzare gli organici della polizia di frontiera di servizio negli scali aeroportuali della Sardegna;
   se non ritenga opportuno verificare, per quanto di competenza, in che modo i tre cittadini siriani di cui in premessa siano riusciti a eludere controlli e sistemi di sicurezza e a imbarcarsi con documenti falsi su un aereo per Cagliari. (4-15572)


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Gradisca (GO) è una cittadina di 6.500 abitanti, già sede di un centro di identificazione e di espulsione della capienza di 240 posti, del quale, a novembre 2013, era stata decisa la chiusura, mantenendo solo l'attività del centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   gli arrivi nell'isontino non riguardano gli stranieri irregolari salvati nel Mediterraneo, che ammontano a poche decine a tutto il 2016, quanto i richiedenti asilo provenienti dalla rotta balcanica o dai Paesi del Nord Europa, che nello stesso periodo sono stati diverse migliaia; nel corso del tempo, il centro di identificazione ed espulsione aveva ospitato non solo gli stranieri irregolari del Friuli Venezia Giulia, ma anche quelli provenienti da tutto il Nord Italia, con conseguenti problemi di sovraffollamento;
   negli ultimi anni di attività, il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca era arrivato a contenere anche 500 persone, oltre il doppio della sua capienza, con ricadute drammatiche sia sul territorio che sulle condizioni di vita delle persone ospitate nel centro e degli operatori responsabili della gestione della struttura;
   ben quindici sindaci dell'isontino (Linda Tomasinsig di Gradisca d'Isonzo, Riccardo Marchesan di Staranzano, Davide Furlan di Romans d'Isonzo, Enrico Bullian di Turriaco, Alenka Florenin di Savogna d'Isonzo, Silvia Caruso di San Canzian d'Isonzo, Igor Godeas di Medea, Elisabetta Pian di Sagrado, Alessandro Fabbro di Farra, Cristina Visintin di Mariano del Friuli, Claudio Deffendi di Villesse, Luciano Patat di Cormons, Dario Raugna di Grado, Bruno Razza di San Lorenzo Isontino, Daniele Sergon di Capriva del Friuli), nonché i consiglieri comunali Giuseppe Cingolani di Gorizia, Silvia Altran di Monfalcone e Franco Cristin di S. Pier d'Isonzo, hanno scritto una lettera al Ministero, facendo presente la loro contrarietà alla ipotizzata riapertura del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo;
   sul funzionamento dei centri di identificazione ed espulsione è stata costituita una Commissione parlamentare di inchiesta, che non ha ancora concluso la sua attività;
   in caso di riapertura del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, quest'ultimo si troverebbe a dover convivere con l'attuale centro di accoglienza per richiedenti asilo che ospita a oggi più di 400 persone, causando non pochi problemi di gestione;
   nel 2014 ad una domanda rivolta al Ministro dell'interno pro tempore Alfano sulla possibile riapertura del centro di identificazione ed espulsione era stato risposto in modo netto dallo stesso Ministro che «la riapertura del centro e l'ipotesi di una sua possibile destinazione all'accoglienza dei richiedenti asilo erano oggetto di un'attenta riflessione da parte del Ministero dell'interno, che non mancherà di confrontarsi con gli organi di governo locale»;
   al momento non è dato sapere le modalità di funzionamento degli ipotizzati nuovi centri di identificazione ed espulsione, né è dato sapere la durata massima della permanenza né le modalità con le quali verranno rimpatriati gli stranieri identificati come illegali e non aventi diritto di protezione –:
   se non ritenga necessario ridiscutere l'ipotesi di riapertura dei centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, mantenendo invece l'attività del centro di accoglienza per richiedenti asilo e sviluppando forme alternative di accoglienza diffusa, così da non concentrare l'intera pressione dell'immigrazione irregolare in un punto solo del territorio ed evitare il ripetersi di situazioni critiche che già in passato si sono dimostrate di difficile gestione nella cittadina di Gradisca e nella provincia di Gorizia. (4-15573)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalle notizie di stampa si apprende che l'istituto statale per Sordi di Roma, la prima scuola pubblica per persone sorde in Italia (aperto nel 1786) rischia di dover chiudere presto per mancanza di finanziamenti;
   l'istituto è in attesa, da 20 anni, dell'emanazione del «regolamento di riordino» previsto dalla «legge Bassanini» del 1997 che lo trasformerebbe in Ente nazionale di supporto all'integrazione delle persone sorde, dotato di personalità giuridica e di autonomia amministrativa, sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a tutt'oggi il regolamento sarebbe ancora in via di definizione;
   l'istituto non ha mai ricevuto alcun finanziamento pubblico, neanche per gli emolumenti ai collaboratori, tutti impiegati con contratti precari di lavoro;
   l'attuale gestione commissariale, da tempo, reitera istanze al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di risolvere la questione della trasformazione in ente nazionale ed essere messa in condizione di ricevere adeguati finanziamenti ordinari per la sopravvivenza e le attività dell'Istituto stesso;
   a quanto dichiarato dai rappresentanti dell'istituto i finanziamenti, pur previsti, non sono stati mai erogati ma utilizzati costantemente per altre attività, anche in contrasto con le decisioni formali in merito;
   oggi l'Istituto si trova in gravissima difficoltà e rischia di dover sospendere la sua attività entro brevissimo tempo;
   un parziale finanziamento, per il 2016, pur promesso, non è stato erogato;
   il tentativo di inserire il finanziamento dell'istituto nella legge finanziaria del 2017 non ha avuto esito positivo;
   la chiusura dell'istituto sembra quindi inevitabile se non ci saranno interventi tempestivi e significativi; in questa malaugurata sorte, finirebbero anche un asilo nido Montessori, il 173/mo circolo didattico, la scuola media Fabriani, l'istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche, 10 associazioni di sordi che hanno sede presso l'Istituto e 300 studenti in formazione –:
   se non ritenga necessario e urgente un intervento che scongiuri la chiusura dell'istituto statale per sordi di Roma, per quello che è oggi e ciò che ha rappresentato nei suoi oltre 200 anni di storia, anche in considerazione del fatto che appare all'interrogante incongruente questa ipotesi rispetto a quanto annunciato nello schema di decreto legislativo sull'inclusione;
   se non ritenga doveroso intraprendere iniziative, per quanto di competenza, visto che presso l'Istituto ci sono 300 studenti in formazione che sarebbe auspicabile potessero completare il loro ciclo di istruzione al fine di rendere più agevole la loro integrazione nella società. (5-10564)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VIGNALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge di bilancio per il 2017 (legge 11 dicembre 2016 n. 232), ha previsto, per il triennio 2017/2019, misure a sostegno degli studenti universitari;
   i commi 252-267 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016, in particolare, ridefiniscono la disciplina in materia di contributi dovuti dagli studenti iscritti ai corsi di laurea delle università statali, istituendo una « no tax area» per gli studenti fino al primo anno fuori corso appartenenti ad un nucleo familiare con Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 13 mila euro;
   sono previste ulteriori e diverse misure di sostegno anche per gli studenti il cui nucleo familiare ha un reddito Isee superiore a 13 mila euro;
   l'ambito di applicazione di tali misure riguarda gli studenti frequentanti le università statali e le istituzioni dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam);
   a decorrere dal 2017, con riferimento all'anno accademico 2016/17, le risorse sono ripartite tra le università statali, in proporzione al numero degli studenti esonerati dal pagamento di ogni contribuzione, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 68 del 2012, cui si aggiunge, dal 2018, il numero degli studenti esonerati dal pagamento del contributo onnicomprensivo annuale, moltiplicati per il costo standard per studente in corso, di ateneo;
   in conseguenza della nuova disciplina sugli esoneri dal pagamento dei contributi universitari, il Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università statali (articolo 5 della legge n. 537 del 1993, capitolo 1694 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) è stato dunque incrementato di 55 milioni di euro per il 2017 e di 105 milioni di euro annui dal 2018;
   lo stesso criterio di gestione delle risorse dovrà essere seguito anche dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la ripartizione delle risorse tra le istituzioni Afam;
   per quanto riguarda le istituzioni Afam, però, in base al comma 267 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2017, le risorse dovranno rinvenirsi nel «fondo annuale di dotazione» allocato sul capitolo 1673, pagina 5 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a differenza di quanto avvenuto per il Fondo per l'università statali (Ffo), tale capitolo di bilancio (previsto alla missione 23, programma 23.2) non ha beneficiato di significativi incrementi di finanziamento, né le istituzioni Afam accedono all'incremento del Ffo espressamente destinate alla copertura delle minori entrate derivanti dall'incremento degli esoneri;
   alla luce delle richiamate disposizioni, le istituzioni Afam sembrano all'interrogante, dunque, subire un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli istituti universitari statali, non risultando inoltre chiaro grazie a quali risorse potranno far fronte alle minori entrate previste derivanti dalle esenzioni contributive in questione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative volte a estendere l'operatività del Ffo incrementato anche agli istituti Afam;
   se, in alternativa, non ritenga opportuno assumere iniziative per finanziare, adeguatamente il Fondo annuale di dotazione previsto per le istituzioni dell'Afam. (4-15563)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le scuole statali «A. Carracci» di Bologna (via Felice Battaglia, quartiere Saragozza) sono state chiuse alla fine dell'anno scolastico 2009-2010 per gravi problemi strutturali (si parlava, all'epoca, di rischio di crollo) e, secondo dichiarazioni e fonti di allora, la struttura doveva essere abbattuta (e ricostruita) nel 2011;
   a quasi 6 anni dalla chiusura delle scuole, l'edificio è ancora lì, più diroccato e devastato da atti vandalici perpetrati negli anni e accessibile a tutti (come documentato da vari reportage amatoriali di cittadini indignati);
   il 3 luglio 2012 il comune di Bologna ha sottoscritto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) un protocollo d'intesa che ha dato avvio ad un progetto «pilota», a norma di quanto previsto dall'articolo 53 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, (convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35) e successive modificazioni, in materia di modernizzazione del patrimonio immobiliare scolastico (nonché riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza degli usi finali di energia);
   in relazione alla direttiva ministeriale del 26 marzo 2013 relativa alla pubblicazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di un avviso che prevedeva specifici contributi agli enti locali che costituiscono fondi immobiliari per la rigenerazione del patrimonio scolastico, il comune di Bologna ha presentato specifica domanda per essere ammesso all'assegnazione di fondi per la realizzazione di cinque nuovi complessi scolastici, tutti rientranti nel piano di fattibilità del progetto di costituzione di un fondo immobiliare, in quel momento in corso di elaborazione;
   con decreto dipartimentale n. 156 del 17 aprile 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ammesso il comune di Bologna tra i beneficiari del finanziamento, di cui alla sopra citata direttiva ministeriale del 26 marzo 2013, assegnando un contributo di 5 milioni di euro;
   in data 11 settembre 2014, al fine di dare seguito al suddetto finanziamento, è stato sottoscritto un protocollo d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, sulla base di una verifica preventiva con il Ministero dell'economia e delle finanze, contempla l'assegnazione del contributo dei 5 milioni di euro al comune di Bologna nell'ambito di una operazione di costituzione di un fondo immobiliare finalizzato alla costruzione dei cinque nuovi complessi scolastici e definisce gli indirizzi prioritari che dovranno caratterizzare l'intera operazione;
   un annoso «rimpallo» di comunicazioni tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze, a causa di un equivoco normativo, ha, però, notevolmente dilatato i tempi;
   la prima riapertura venne fissata a settembre 2017, con bando nel 2015, poi spostata, in occasione dell'ultima campagna elettorale, al 2018-2019. Pochi giorni fa la direttrice dell’«area educazione e istruzione» del comune, Miriam Pepe, ha dichiarato: «Entro febbraio – salvo poi rettificare con “marzo” – dovrebbe arrivare il decreto sblocca Carracci e la scuola media statale vedrà la luce, in via Felice Battaglia, ragionevolmente nel 2020» –:
   se il Governo non intenda adottare tutte le iniziative di competenza per sbloccare definitivamente il finanziamento che spetta alla città di Bologna e dare inizio al progetto, da anni fermo, per l'abbattimento e la ricostruzione delle scuole Carracci, alla luce anche degli esuberi nelle richieste di iscrizione (che coinvolgono circa 60 bambini) che verranno «tamponati» col sacrificio di spazi in altri istituti scolastici (la «Armando Avogli» o la «Guinizelli», per esempio), già sovraccaricati dall'assenza dello storico polo Carracci, una situazione che arreca inaccettabile disagio alle famiglie. (4-15567)


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   vi è un'insegnante di diritto di Senigallia, (Ancona), che utilizza il suo profilo social – Facebook –, secondo l'interrogante, in maniera poco consona al ruolo che riveste di docente/educatore;
   tra i suoi post, che condivide pubblicamente nella bacheca aperta a tutti, l'insegnante, divulga vignette, commenta frasi e foto di alcuni profili o gruppi di dubbia etica e inneggianti al fascismo;
   da un gruppo denominato Avanguardia nera, il giorno 14 gennaio 2017, la docente pubblicava la fotografia di Mussolini riportante la seguente frase: «meglio avere un dittatore che mi dia da mangiare, piuttosto che tanti politici che rubano e aiutano gli immigrati»;
   il 17 gennaio 2016, condivideva una foto di Mussolini proveniente dallo stesso gruppo social, Avanguardia nera, contenente la seguente frase: «Credete veramente di fermare la mia idea con l'apologia ? Impossibile, i veri italiani mi amano ancora». A detta foto la stessa insegnante commentava: «(...) non occorre essere geologi o metereologi per capire che Stato di m... abbiamo e che tipo di governanti abbiamo che siedono sulle loro comode poltrone incuranti del freddo e del gelo in cui si trovano molti terremotati ! ! ! Gentiloni. Surrogato bis: Forse dovremmo rimpiangere lui – facendo riferimento alla foto postata di Mussolini – a pochi intenditor poche parole..»;
   inoltre, in data 20 gennaio 2016, pubblicava vignette dal tono volgare come la seguente: «quando rinascerò a nuova vita voglia fare la putt@@@a perché ho capito che sono quelle che hanno più fortuna»;
   colleghe e colleghi, nonché studenti e studentesse, hanno espresso molta preoccupazione per i comportamenti tenuti sul social da parte dell'insegnante, poiché usa una «pubblica piazza virtuale» per divulgare pensieri, commenti e fotografie poco adeguate al ruolo di educatore che riveste nell'ambito della sua professione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e delle frasi e dei commenti postati sul profilo sociale da parte della stessa insegnante, che inneggiano al fascismo;
   poiché il comportamento dell'insegnante appare assolutamente inidoneo rispetto al ruolo che riveste, se non si ritenga di dover approfondire quanto riportato in premessa ed eventualmente assumere le opportune iniziative di competenza nei confronti della docente. (4-15576)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni gran parte dei quotidiani ha dato ampio risalto alle dichiarazioni del presidente dell'Inps, Tito Boeri, rispetto alle problematiche legate all'utilizzo dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992 per l'assistenza dei familiari disabili e alle palesi differenze che ne caratterizzano l'utilizzo tra il settore pubblico, con l'utilizzo in media di 6 giorni l'anno, e quello privato, con una media di un giorno e mezzo, affermando che «le differenze tra pubblico e privato anche in questo caso fanno pensare a potenziali forme di abuso»;
   i controlli sugli usi e abusi dei permessi di cui alla legge n. 104 del 1992 possono essere eseguiti dal datore di lavoro e dell'Inps, in quanto ente pubblico rappresentante la collettività –:
   quale sia il numero dei dipendenti del settore pubblico e quale quello del settore privato che fruiscono dei permessi di cui alla legge n. 104 del 1992 per l'assistenza dei familiari disabili, e a quanto ammonti la spesa annua, da parte dell'Inps, per l'erogazione dei permessi in questione;
   quanti controlli, negli ultimi tre anni, l'Inps abbia effettuato sugli usi e gli abusi dei permessi citati, sia nel settore pubblico che in quello privato e quali esiti abbiano avuto tali controlli;
   quali iniziative, nel caso gli esiti predetti avessero verificato un abuso dell'utilizzo della legge n. 104 del 1992, siano state assunte dall'Inps nei confronti del lavoratore;
   se l'Inps effettui verifiche sul corretto utilizzo dei permessi anche su segnalazione di soggetti pubblici e privati;
   quali parametri utilizzi l'Inps per decidere di verificare il corretto utilizzo, da parte del lavoratore, del permesso di cui alla legge n. 104 del 1992;
   se ed in che termini il Governo, a fronte della denuncia fatta in premessa dal presidente dell'Inps, abbia intenzione di assumere iniziative per modificare la legge n. 104 del 1992, nata per tutelare i familiari disabili in difficoltà, al fine di evitare gli abusi denunciati. (5-10566)

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la società Roma Multiservizi spa è una società partecipata al 51 per cento da AMA (società al 100 per cento di Roma Capitale) e al 49 per cento da Manutencoop e La Veneta;
   presso tale società partecipata sono impiegati oltre quattromila dipendenti;
   i lavoratori da anni si impegnano in servizi essenziali e strategici per la città di Roma;
   tali servizi rispondono alle esigenze più varie, dovendo svolgere anche servizio di pulizia e di ausiliario nelle scuole e nei nidi comunali e nel verde pubblico, oltre che in subappalto per le scuole statali;
   le ultime gare di servizi per Roma Capitale (laddove hanno raggiunto l'esito definitivo) hanno visto aggiudicazioni con offerte economiche con ribassi fino al 53 per cento e prodotto decine di licenziamenti collettivi, peggioramenti nella qualità dei servizi erogati;
   i lavoratori di Roma Multiservizi chiedono da mesi provvedimenti e misure di politica economica che rilancino le attività, con un definito piano aziendale in collegamento con le necessità dell'amministrazione capitolina, e che garantiscano allo stesso tempo la continuità occupazionale e salariale;
   entro un paio di mesi fa sapere alla stampa l'assessore competente Massimo Colomban è in arrivo una «sforbiciata» alle partecipazione. «Noi abbiamo la legge Madia – ha detto durante un'audizione in commissione Trasparenza – che ci è arrivata tra capo e collo e a cui dobbiamo ottemperare. Quindi una serie di società saranno accorpate, dismesse, spero recuperando tutti i lavoratori. Ci vorrà ancora un mese o due per terminare i piani industriali, poi presenteremo questa ristrutturazione»;
   sarebbe opportuno avere un quadro chiaro di tale operazione, che, conformemente a quanto disposto dalla normativa vigente in tema di società partecipate dagli enti locali, dovrebbe portare all'acquisizione, da parte del comune di Roma, di quote della società Roma Multiservizi spa, attualmente società partecipata di secondo livello, al fine di trasformarla in società partecipata di primo livello –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, di concerto con Roma Capitale, per salvaguardare i livelli occupazionali e retributivi, sulla base di un definito piano aziendale che interessa migliaia di lavoratori. (4-15570)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, D'UVA e LOREFICE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione regionale allevatori della Sicilia (Aras opera da 50 anni, su delega dello Stato e della regione Siciliana ed attua la selezione del bestiame e l'assistenza agronomico-veterinaria nello specifico, ad oggi l'ARAS occupa, a tempo indeterminato, circa 127 lavoratori (tecnici, agronomi, veterinari, agrotecnici ed amministrativi);
   sono circa 4000 gli allevamenti zootecnici siciliani aderenti all'Aras, con un patrimonio di circa 100.000 bovini, 600.000 ovi-caprini, 25.000 suini, oltre 15.000 equidi, per un fatturato accertato di oltre 250 milioni di euro;
   con legge regionale n. 12 del 1989, articolo 6, la regione siciliana si impegna alla copertura finanziaria ed alla vigilanza sui vari progetti svolti dall'Aras;
   con legge regionale n. 33 del 1996, articolo 15, si prevede l'accorpamento delle funzioni, del personale, delle sedi e delle attrezzature dell'Aras all'Istituto sperimentale zootecnico della Sicilia;
   con legge regionale n. 39 del 1997, articolo 57, la regione siciliana si avvale dell'Aras per l'attuazione e l'avvio delle attività di identificazione del bestiame e l'assistenza tecnica agli allevatori siciliani;
   l'attività svolta dall'associazione regionale allevatori della Sicilia per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'assessorato delle risorse agricole alimentari della regione riguarda molteplici attività: tenuta dei libri genealogici; consulenza tecnica, miglioramento qualità latte e formaggi, servizio controllo impianti di mungitura, fiere e manifestazioni zootecniche; regolamenti dell'Unione europea; qualità latte (regolamento (CE) 73/2009, articolo 68); marcatura bestiame (legge regionale n. 33 del 1997, articolo 57); anagrafe bestiame (decreto ministeriale del 31 gennaio 2002, articolo 14); incenerimento carcasse (legge regionale n. 20 del 2010); tipicizzazione formaggi e carni (riconoscimento Dop e consorzi di tutela); tracciabilità e sicurezza alimentare dei prodotti zootecnici;
   eppure da diversi anni la struttura dell'Aras ha subito un collasso organizzativo, finanziario ed amministrativo, tanto da determinare dal 28 dicembre 2009 la nomina di un commissario da parte dell'Associazione italiana allevatori (A.I.A.), con conseguente destituzione del presidente, della giunta e del consiglio direttivo;
   dal 6 gennaio 2010 la gestione dell'Aras, pur essendo stata affidata ad un commissario, a tutt'oggi, non registra alcun miglioramento sia sotto il profilo gestionale che finanziario: anzi si è ulteriormente aggravata, anche in relazione ai tanti decreti ingiuntivi da parte di operatori e fornitori, portando a dei primi esuberi, mentre per gli altri lavoratori ad un contratto di solidarietà con una riduzione notevole dei salari;
   con nota prot. 3766/16 del 3 novembre 2016 è stata procedura per il licenziamento collettivo di 56 lavoratori occupati in tutte le sedi operative dell'Aras, nonostante l'approvazione in data 30 novembre 2016 da parte dell'Assemblea regionale siciliana dell'assestamento di bilancio (articolo 21) con un intervento di 1.300.000,00 euro per implementare i servizi resi agli allevatori;
   il prolungarsi della situazione di crisi potrebbe essere sintomatico di criticità nella gestione delle risorse che, per oltre il 95 per cento, sono erogate dalla regione siciliana e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   si tratta di un'associazione che per la sua funzione va certamente salvaguardata –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di convocare, per quanto di competenza, un tavolo di confronto in sede ministeriale per l'elaborazione di un piano di rilancio e di revisione della governance dell'Aras;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per garantire una riduzione dei costi, nonché la salvaguardia dei posti di lavoro dei dipendenti, finalità che potrebbero essere meglio perseguite con l'accorpamento dell'Aras all'Istituto sperimentale zootecnico;
   se non ritenga urgente promuovere l'avvio, per quanto di competenza, di un'azione di verifica in merito alle anomalie gestionali e finanziarie dell'ente, allo scopo di appurare la corretta gestione dei contributi pubblici erogati. (5-10567)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROBERTA AGOSTINI, AMATO, D'INCECCO, PATRIARCA, MIOTTO, MURER, FOSSATI, PAOLA BOLDRINI, CARNEVALI e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 40 del 2004 all'articolo 11, prevede «1. È istituito, con decreto del Ministro della salute, presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime; 2. L'iscrizione al registro di cui al comma 1 è obbligatoria; 3. L'Istituto superiore di sanità raccoglie e diffonde, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti; 4. L'Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguardanti la procreazione medicalmente assistita; 5. Le strutture di cui al presente articolo sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all'Istituto superiore di sanità i dati necessari per le finalità indicate dall'articolo 15 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti»;
   all'articolo 15 si prevede: «1. L'Istituto superiore di sanità predispone, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una relazione annuale per il Ministro della salute in base ai dati raccolti ai sensi dell'articolo 11, comma 5, sull'attività delle strutture autorizzate, con particolare riferimento alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati; 2. Il Ministro della salute, sulla base dei dati indicati al comma 1, presenta entro il 30 giugno di ogni anno una relazione al Parlamento sull'attuazione della presente legge»;
   nel registro delle strutture di cui all'articolo 11 della legge n. 40 del 2004, visionabile sul sito dell'Istituto superiore di sanità, risulta che numerose strutture effettuino la cosiddetta «diagnosi preimpianto»;
   nella relazione al Parlamento presentata dal Ministero della salute il 30 giugno 2016 non risultano riportati dati in merito ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita cui sia stata applicata la «diagnosi preimpianto»;
   da numerosissime pubblicazioni di stampa risulta una cronica carenza di donatrici di ovociti per l'effettuazione di trattamenti eterologhi e che, per sopperire a tale carenza, si provvede ad importare ovociti dall'estero;
   nella medesima relazione al Parlamento risultano riportati numerosi dati in merito ai trattamenti eterologhi effettuati, ma non viene indicato il numero di trattamenti effettuato con gameti frutto di donazioni raccolte in Italia, ovvero importati da, banche dei gameti straniere –:
   se la mancanza di informazioni sulla diagnosi preimpianto e sulla provenienza dei gameti dipenda dalla mancata comunicazione da parte dei centri di procreazione medicalmente assistita e/o dell'Istituto superiore di sanità di tali dati e, in caso positivo, quali iniziative siano state adottate nei confronti dei centri o dell'istituto;
   quali siano le ragioni per cui l'Istituto superiore di sanità non abbia raccolto o fornito tali dati per la Relazione annuale al Parlamento;
   quanti fondi vengano spesi ogni anno dalle strutture pubbliche per importare gameti dall'estero;
   se il Ministro interrogato intenda promuovere campagne per la donazione dei gameti e assumere iniziative per prevedere un indennizzo al donatore.
(5-10569)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BASILIO, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, si legge che al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) sono attribuite le seguenti competenze del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi: a) concorso con le regioni nel contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei; b) coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi (AIB); c) partecipazione della struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali;
   purtuttavia, nella legge 6 febbraio 2004, n. 36, «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato» non vi è traccia di competenze esclusive del Corpo forestale dello Stato in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, piuttosto all'articolo 2, comma 1, lettera l), tra le competenze del Corpo forestale dello Stato si annoverano: pubblico soccorso e interventi di rilievo nazionale di protezione civile su tutto il territorio nazionale, con riferimento anche al concorso con le regioni nella lotta attiva agli incendi boschivi e allo spegnimento con mezzi aerei degli stessi;
   la «legge quadro in materia di incendi boschivi», legge 21 novembre 2000 n. 353, all'articolo 7 «Lotta attiva contro gli incendi boschivi», comma 5, riporta che «le regioni assicurano il coordinamento delle operazioni a terra anche ai fini dell'efficacia dell'intervento dei mezzi aerei per lo spegnimento degli incendi boschivi. A tali fini, le regioni possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato tramite i centri operativi antincendi boschivi articolabili in nuclei operativi speciali e di protezione civile (...)»;
   dalla legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia») si evince che il coordinamento per lo spegnimento degli incendi boschivi viene affidato ai Vigili del fuoco e non più alle regioni come da legge n. 353;
   i Vigili del fuoco subentrano nel coordinamento, ad avviso degli interroganti, senza un'adeguata implementazione di personale, mezzi e trattamento economico; infatti, dal Corpo forestale dello Stato transitano ai vigili del fuoco solo 390 unità contro le 7.177 passate ai carabinieri (CC), di cui solo 10 dirigenti ai Vigili del fuoco e 95 ai carabinieri; inoltre, su 33 aeromobili, transitano ai Vigili del fuoco solamente 16 elicotteri;
   gli incendi boschivi che hanno interessato la regione Liguria nel mese di gennaio 2017 hanno costretto i Vigili del fuoco a turni massacranti per fronteggiare al contempo più focolai vista l'esiguità delle dotazioni: un vigile ogni 15 mila abitanti, una caserma ogni 300 chilometri quadrati età media superiore a 50 anni, carenza e inadeguatezza dei mezzi di soccorso;
   ad oggi, sul sito della protezione civile sulla pagina «attività rischio incendi» si legge che alle regioni compete, innanzitutto, l'attivazione delle sale operative per consentire il coordinamento dei diversi soggetti che concorrono alla lotta agli incendi; spetta alle stesse inoltre attivare i piani regionali di previsione, prevenzione e d'intervento aggiornati ogni anno ed elaborati su base provinciale –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se l'articolo 9 del decreto legislativo n. 177 del 2016 debba essere interpretato come un trasferimento delle competenze in materia di coordinamento delle operazioni di spegnimento dalle regioni al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco;
   se non ritengano urgente assumere iniziative per un chiarimento della normativa sulle funzioni di coordinamento;
   se non ritengano urgente in vista delle prossime campagne antincendio, implementare l'organico e le risorse economiche e strumentali dei Vigili del fuoco, viste le nuove competenze attribuite agli stessi, dalla legge delega n. 124 del 2015;
   se non si ritenga urgente assumere iniziative per rivedere la tabella A del decreto legislativo n. 177 del 2016 al fine di incrementare le dotazioni organiche trasferite dal Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco; parimenti, se non si intenda trasferire un maggior contingente di mezzi terrestri ed aerei dell'ex Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco. (4-15564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PALLADINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le «società benefit» sono imprese a scopo di lucro che distribuiscono utili ma perseguono uno o più finalità di beneficio comune e hanno un significativo impatto sociale operando «in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse» (lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione, cittadini);
   tali società sono disciplinate dall'articolo 1, commi da 376 a 382 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che ne fornisce definizione legale e stabilisce regole precise per la formazione e l'esercizio dell'attività;
   la disciplina in questione prevede misure di carattere organizzativo, sia sul piano giuridico che gestionale, spaziando da talune prescrizioni, da inserire necessariamente nello statuto, alla regolamentazione della governance sino a quelle di trasparenza gestionale. Infine, è prevista una serie di obblighi che, qualora disattesi, comportano responsabilità per gli amministratori, che vanno ad aggiungersi a quelle già previste dal codice civile per le società ordinarie;
   l’iter giuridico che ha condotto al riconoscimento in Italia di questo nuovo soggetto giuridico è stato quanto mai rapido, considerato che il primo esempio in assoluto di tal società è stato disciplinato dalla legislazione dello Stato federale del Maryland degli Usa appena nel 2010;
   il nostro Paese, peraltro, è stato il primo in Europa che si sia dotato di un corpo di norme per l'istituzione e la disciplina di tale figura giuridica;
   tale corpo normativo, che ha ampiamente preso spunto dall'esperienza degli Usa dove, dopo lo Stato del Maryland, altri sedici Stati federali hanno legiferato sull'argomento, contribuisce non poco al superamento della divisione tra società con scopo di lucro e le organizzazioni no profit, aprendo di conseguenza a questo ultimo settore interessanti prospettive di sviluppo;
   le attività oggetto di tali società prevedono un miglioramento dell'ambiente naturale e sociale e riguardano: la crescita del benessere di persone e comunità, la conservazione ed il recupero dei beni del patrimonio artistico ed archeologico, la diffusione ed il sostegno alle attività culturali e sociali;
   infine, è particolarmente rilevante come, con la creazione e la diffusione di tali società, si incentiva un nuovo modo di fare impresa (business model) in grado di combinare l'obiettivo del profitto con l'etica gestionale, atteso che le conseguenze di questa attività hanno ricadute non solo sugli azionisti (shareholder) ma anche su tutti gli interessati al processo (stakeholder: clienti, fornitori, cittadini);
   esiste tuttavia un fattore critico al concreto affermarsi di tale istituto, individuabile nella mancanza di agevolazioni che dovrebbero invece essere previste per compensare i maggiori impegni ed obblighi che queste società assumono rispetto agli altri enti commerciali, ossia clausole statutarie particolarmente rigide, doveri e responsabilità aggiuntive in capo agli amministratori, redazione di una relazione annuale sulle attività svolte per il perseguimento del beneficio comune sotto il controllo e la vigilanza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   la normativa in essere, infatti, non sembra tener in conto questi maggiori oneri, il che è singolare atteso che, ordinatamente, per soggetti che operano con finalità sociali e/o ambientali esiste da tempo una legislazione di vantaggio sia in campo fiscale che previdenziale –:
   se non ritenga opportuno, vista l'importanza che tale strumento può avere per le prospettive del settore, adottare iniziative volte a prevedere misure incentivanti, con applicazione delle norme agevolative già contemplate nell'ordinamento nazionale per le onlus e per il conferimento e la gestione di immobili di interesse storico e culturale di cui alla legge n. 1089 del 1939, consentendo in tal modo alle società benefit un più ampio e rapido sviluppo. (5-10562)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017, i vertici di Sky Italia hanno annunciato un piano organizzativo di trasformazione che prevede il ridimensionamento della presenza di Sky Italia a Roma e un trasferimento a Milano di 378 unità lavorative da Roma e da Cagliari e 194 esuberi a livello nazionale;
   l'annuncio sarebbe giunto inaspettato in considerazione delle ottime performance dell'azienda nell'ultimo anno (2,78 miliardi di euro di fatturato e 4.760.000 abbonati con un 15 per cento dei ricavi totali del mercato) e viste le recenti garanzie fornite dai vertici aziendali circa il mantenimento della sede romana;
   il 16 settembre 2016, infatti, nel corso di un incontro con le organizzazioni sindacali, l'amministratore delegato di Sky Italia, Andrea Zappia, smentendo le voci sulla chiusura della sede di Roma, avrebbe chiarito che l'azienda stava rinnovando il contratto di affitto dello stabile di via Salaria e, contestualmente, stava predisponendo un immobile, sempre nel territorio romano, per la redazione giornalistica;
   la discordanza tra le dichiarazioni e i provvedimenti assunti, la stessa situazione economico-finanziaria che non giustificherebbe per l'interrogante gli esuberi e il ridimensionamento della sede romana, hanno destato legittime preoccupazioni su una riorganizzazione più ampia rispetto a quella presente nel piano;
   in particolare, si sarebbero rafforzate le ipotesi, peraltro già diffuse da tempo tra personale e rappresentanze sindacali, in merito al ridimensionamento e alla progressiva dismissione, del Contact center Sky Italia di Sestu, in provincia di Cagliari;
   il centro, tra i più importanti d'Europa, è nato a partire dal 2003, raggiungendo in pochi anni la cifra di oltre 1.200 occupati, l'80 per cento dei quali assunto grazie a consistenti investimenti e incentivi pubblici sotto forma di sgravi fiscali e contratti agevolati;
   secondo i rappresentanti sindacali, negli ultimi anni, l'azienda avrebbe ridotto gli investimenti nel centro, con una mancato adeguamento dei servizi di assistenza via chat e web e un ricorso crescente all'esternalizzazione delle attività;
   questa tendenza sarebbe confermata sia dal piano industriale di Sky Italia, che non contemplerebbe il Contact center di Sestu, sia dalla mancata sostituzione dei circa 200 dipendenti che negli ultimi sei anni avrebbero lasciato l'azienda che, oggi, conta 978 addetti;
   è il caso di osservare che le stesse organizzazioni sindacali, in più circostanze, avrebbero rilevato, con preoccupazione, la sproporzione del lavoro affidato in outsourcing, in particolare all'estero;
   tra i segnali che confermerebbero l'intenzione dell'azienda di dismettere e chiudere il Contact center, vi sarebbe la notizia pubblicata il 9 febbraio 2017 sull'Unione Sarda, che, nel resoconto dello sciopero nazionale dei lavoratori Sky del giorno precedente, riferiva, quali segnali negativi, «l'assurda decisione di far smaltire le ferie, avendo i dipendenti una media di 4 giorni di ferie arretrate. Ancora: l'abbandono, seppure incentivato, di diversi coordinatori, il trasferimento di diversi membri isolani del management nelle sedi esterne, l'innalzamento degli obiettivi da raggiungere per ottenere premi di risultato»;
   è il caso di sottolineare che un eventuale chiusura del centro Sky di Sestu, per il numero, le qualità e le competenze degli attuali occupati, avrebbe ripercussioni negative di grande rilevanza per un territorio, come quello sardo, già fortemente compromesso dalla crisi economica –:
   se, nel corso dei lavori del tavolo di crisi istituito al Ministero dello sviluppo economico sulla vertenza Sky, siano emersi ulteriori particolari sul piano organizzativo di trasformazione annunciato dall'azienda ovvero siano emerse informazioni sul futuro del Contact center Sky di Sestu;
   se il Ministro interrogato per quanto di competenza e nell'ambito del citato tavolo di crisi, non intenda assumere iniziative per scongiurare la dismissione del centro di Sestu, in considerazione anche delle elevate risorse pubbliche impiegate per la sua nascita e per il suo sviluppo. (5-10573)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Fanucci e altri n. 1-01505, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carbone.

Apposizione di una firma ad un'interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fanucci n. 5-10560, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sbrollini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-15554, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 740 del 13 febbraio 2017.

   PAGLIA, FRATOIANNI, COSTANTINO e PANNARALE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 gennaio 2017 l'università di Bologna dispone presso la sala studio di lettere di via Zamboni, 36, l'installazione di porte a vetro apribili tramite badge disponibile a studenti e addetti dell'ateneo, nonché di una telecamera che registri gli ingressi;
   tale decisione deriva ufficialmente dalla volontà di prolungare l'orario d'apertura dalle 22 alle 24, impedendo l'accesso ad esterni come misura di sicurezza contro lo spaccio di stupefacenti;
   alcuni collettivi studenteschi contestano apertamente la scelta, ritenuta lesiva della libertà di frequentazione degli spazi pubblici universitari;
   non si riesce evidentemente ad attivare un dialogo proficuo, e la tensione cresce progressivamente, fino a quando gli stessi collettivi in data 8 febbraio 2017 provvedono a smontare per protesta le barriere, portandone i resti materiali al rettorato;
   a seguito di tale evento, il rettorato dispone la chiusura della sala studio;
   cominciano proteste ulteriori e nella mattinata del 9 febbraio i collettivi provvedono quindi a forzare la porta, rendendo accessibile l'edificio che durante la giornata viene regolarmente frequentato da studenti;
   nel tardo pomeriggio intervengono le forze di polizia in assetto antisommossa e penetrano dentro la sala studio;
   seguono confusione e scontri all'interno che producono la devastazione dello spazio, evidentemente non consono a una simile dinamica;
   gli scontri proseguono poi nelle vie limitrofe, impegnando almeno un centinaio di manifestanti e le forze dell'ordine;
   appare agli interroganti di dubbia opportunità, l'installazione di barriere all'ingresso di una sala studio e biblioteca, che ne rendono oggettivamente più difficile la frequentazione –:
   come si spieghi che non sia stato messo in campo anche da parte delle forze dell'ordine, il dialogo necessario a stemperare la tensione che evidentemente si era venuta a determinare nei giorni scorsi;
   se risulti che le forze di polizia siano intervenute presso la sala studio di via Zamboni, 36, su richiesta del rettorato e, nel caso, sulla base di quali presupposti di fatto e di diritto;
   perché le forze di polizia abbiano adottato metodi tanto aggressivi in un luogo così palesemente inadatto, tanto dal punto di vista della funzionalità quanto del carico simbolico, anche considerando che al momento dell'intervento la biblioteca era frequentata da studenti.
   (4-15554)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-14130 del 12 settembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-14977 del 12 dicembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Zolezzi n. 4-15071 del 21 dicembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Duranti n. 4-15195 del 16 gennaio 2017.