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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 7 febbraio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) appartiene alla famiglia degli Herpes virus, è molto comune ed ha una diffusione molto elevata. Dopo la prima infezione, di norma resta latente all'interno dell'organismo che lo ospita, pronto a reinfettarlo nel caso di riduzione delle difese immunitarie individuali;
    il serbatoio di diffusione del virus è rappresentato essenzialmente dalla specie umana: la trasmissione è interpersonale, e avviene attraverso i fluidi organici, sangue, saliva, urine, liquidi seminali e vaginali, latte. Il contagio può dunque avvenire in modo diretto, ad esempio attraverso i rapporti sessuali, ma anche con un semplice bacio oppure per effetto di carenza di misure elementari di igiene;
    è pertanto indispensabile, specie in gravidanza, nella gestione di un neonato e tra gli immunodepressi, insistere molto sulla necessità di valutare correttamente l'ipotesi di rischio di citomegalovirus attivando conseguentemente ogni necessaria azione di prevenzione: lavarsi spesso le mani, in particolare prima di avere contatti diretti con gli orifizi del neonato; evitare la promiscuità di asciugamani, posate, bicchieri, spazzolini da denti; evitare di frequentare i luoghi troppo affollati e stipati, in particolare nei periodi invernali;
    la cosiddetta «prima infezione», con insediamento del citomegalovirus nell'organismo, passa spesso inosservata sotto il profilo sintomatologico: può talora causare disturbi di tipo influenzale o essere addirittura completamente asintomatica;
    è invece differente l'estrinsecazione del virus negli individui immunodepressi: il citomegalovirus è un vero e proprio spauracchio nei centri trapiantologici o nella popolazione defedata (pazienti oncologici, ammalati di AIDS), potendo causare polmoniti, encefaliti ed epatiti di difficilissima gestione;
    il citomegalovirus può inoltre causare gravi danni nella trasmissione dalla madre infetta al feto, in particolare quando questa trasmissione avviene nel primo trimestre della gravidanza, quando è maggiore il rischio di malformazioni congenite del prodotto del concepimento;
    l'infezione materno-fetale può essere «primaria», quando la donna viene infettata per la prima volta proprio in corso di gravidanza, e «secondaria» quando invece essa discende dalla riattivazione del virus latente oppure da una nuova infezione legata ad un ceppo di virus differente;
    il rischio di trasmissione del citomegalovirus per via verticale materno-fetale, secondo dati dell'Istituto superiore di sanità, è assai elevato (30-40 per cento) nel caso di infezione primaria, lo è assai di meno (0,5-2 per cento) nel caso di infezione secondaria;
    la frequenza di infezione neonatale da citomegalovirus è oggi molto alta (1:100), superiore di quattro volte a quella della toxoplasmosi e di cinquanta volte a quella della rosolia per cui si stima che, ogni anno, in Italia nascano circa 5.000 bambini che hanno contratto l'infezione da citomegalovirus;
    l'85-90 per cento dei neonati che contraggono l'infezione attraverso il circuito materno-fetale è asintomatico ma, in circa il 10 per cento di questi casi apparentemente negativi, il bambino presenta sequele infettive tardive, quasi sempre correlate a danni della funzione uditiva, con andamento ciclico o, talora, francamente progressivo;
    il 10-15 per cento dei neonati infettati presenta invece sintomi alla nascita che spesso sono transitori e regrediscono spontaneamente o dopo terapia. Tra questi, si segnalano sofferenze degli organi splancnici e dei polmoni, ittero e sindrome petecchiale;
    altre volte i danni sono invece permanenti, più frequentemente a carico del sistema uditivo e visivo, con possibili complicazioni neurologiche (convulsioni, ritardo mentale, microcefalia, idrocefalo, atrofia cerebellare, danni cerebrali con sindromi spastiche e disturbi extrapiramidali). I danni possono configurare rilevanti invalidità permanenti, talora ad esordio tardivo, più gravi nei bambini che presentano problemi significativi già alla nascita;
    nonostante la loro relativa frequenza, non sempre i segni della infezione neonatale da citomegalovirus sono immediatamente riconosciuti, sia a causa della loro aspecificità e rilevanza talora modesta, che per effetto della latenza con cui talora si manifestano;
    attualmente non esiste una vaccinazione in grado di prevenire il contagio da citomegalovirus per cui l'unica prevenzione efficace è rappresentata dalla conoscenza del problema e dall'attivazione di misure igieniche cautelari, particolarmente accurate e attente nei soggetti immunodepressi e nelle donne in gravidanza,
    attualmente lo screening sistematico delle donne gravide non è universalmente raccomandato, in quanto la diagnosi di infezione latente o quella di sieroconversione in gravidanza non sempre sono tecnicamente facili da fare e, soprattutto, non comportano l'attivazione di un percorso terapeutico specifico scientificamente validato (anche se esistono studi avanzati sull'impiego della immunoglobuline specifiche e dei farmaci antivirali), non consentono di valutare con certezza l'eventuale danno fetale e corrono invece il rischio di causare vere e proprie sindromi ansiose nelle puerpere, con effetti negativi sulla gestazione, sino al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la diagnosi della trasmissione dell'infezione al feto richiede anch'essa esami invasivi (amniocentesi, esame del sangue fetale), può realizzarsi anche tardivamente e addirittura nel corso dell'attraversamento del canale del parto e non introduce a protocolli terapeutici schematizzati;
    è certamente più facile individuare con certezza l'avvenuto contagio nel neonato (ricerca del virus nei liquidi organici) senza che però l'accertamento diagnostico possa essere predittivo di eventuali sintomatologie tardive o esiti permanenti a distanza;
    ogni modifica degli attuali protocolli diagnostici e terapeutici relativi al citomegalovirus, in particolare per quanto attiene alle infezioni in gravidanza, va sottoposta ad attente valutazioni dei rapporti costo/benefici di salute e va validata attraverso la conferma delle best practice internazionali,

impegna il Governo:

1) a potenziare le iniziative finalizzate alla corretta informazione della popolazione sui rischi da infezione da citomegalovirus, con particolare riferimento ai pazienti immunodepressi e alle donne in gravidanza e sulla conseguente necessità di adottare e rafforzare le corrette le corrette misure di prevenzione igienica del caso;
2) a promuovere un potenziamento delle iniziative di formazione specifica del personale sanitario a contatto con i pazienti a maggior rischio di infezione da citomegalovirus, perché cresca la generale attenzione del sistema sanitario nei confronti di tale patologia;
3) ad implementare e diffondere i protocolli per garantire la sorveglianza della corretta attuazione delle misure igienico-sanitarie di prevenzione, per supportare adeguatamente i pazienti nella valutazione del rischio, per garantire la massima vigilanza nella individuazione precoce delle eventuali anomalie di sviluppo ecografico correlabili al sospetto di infezione da citomegalovirus e dei sintomi neonatali, consentendo la diagnosi precoce, il monitoraggio dei casi sintomatici di infezione, l'intercettazione precoce di eventuali patologie tardive e la loro valutazione a distanza;
4) ad incaricare l'Istituto superiore di sanità, con la possibile collaborazione delle società scientifiche, di effettuare una accurata valutazione dei migliori protocolli scientifici internazionali per verificare se esistano evidenze certe che inducano ad introdurre in Italia un sistema di screening sistematico e di diagnosi precoce della eventuale sieroconversione per il citomegalovirus delle donne in gravidanza, da cui conseguano eventuali diagnosi precoci sul feto ed eventuali interventi profilattici o terapeutici in grado di ridurre significativamente il rischio di danni temporanei o permanenti al prodotto del concepimento;
5) ad assumere iniziative per rafforzare il sistema nazionale di monitoraggio delle infezioni da citomegalovirus per avere ogni possibile certezza sulla esatta valutazione dell'incidenza dei danni correlati;
6) a dedicare ogni possibile sforzo ai filoni di ricerca scientifica sul citomegalovirus per garantire il massimo contributo della ricerca italiana nell'individuazione della possibile copertura vaccinica e di ogni nuova opportunità diagnostica e terapeutica che consenta di ridurre il rischio di danno correlato al citomegalovirus per la popolazione a rischio.
(1-01501) «Vargiu, Monchiero, Matarrese, Dambruoso, Librandi, Menorello, Oliaro, Quintarelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus che appartiene alla famiglia dell’herpes labiale e genitale, della varicella, della mononucleosi infettiva. È molto comune e, se contratto, rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, con la possibilità di riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    se è vero che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'infezione da citomegalovirus avviene in assenza di sintomi e il paziente guarisce grazie alle difese immunitarie, detta infezione, soprattutto nelle persone immunodepresse, può portare a gravi complicanze;
    uno dei problemi è che gran parte delle infezioni da citomegalovirus non viene diagnosticata subito perché la persona infetta di solito presenta sintomi di lieve entità – sintomi peraltro simili a quelli di altre patologie – oppure appare perfettamente sano. Il contagio, quindi, può passare inosservato;
    ad oggi, non esiste un vaccino per la prevenzione di questo virus, e il modo migliore per ridurre il rischio di contagio rimane sicuramente la prevenzione, anche attraverso un'attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia (donne in gravidanza, individui immunodepressi, bambini piccoli o appena nati);
    il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasfusioni e trapianti di organi infetti, per trasmissione madre-feto, durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento;
    peraltro, un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto (cosiddetto citomegalovirus primario) può comportare per il bambino danni permanenti anche seri. Danni che possono riguardare il sistema nervoso centrale, oppure provocare ritardi mentali, sordità congenita, patologie della retina che portano anche alla cecità, fino a disturbi più o meno seri dell'apparato gastroenterico;
    nel nostro Paese manca un programma di screening gratuito e ben coordinato, né prima della gravidanza, né nei nove mesi di gestazione e neanche dopo la nascita;
    peraltro, uno studio scientifico tutto italiano, pubblicato nell'agosto 2015 su EBioMedicine, ha dimostrato come una donna incinta ben informata sulle norme igieniche da seguire è in grado di evitare l'infezione durante la gravidanza e quindi di non infettare il suo bambino. Mentre infatti nel gruppo di controllo di donne non informate, 9 donne su 100 hanno contratto l'infezione da citomegalovirus, solo 1 su 100 ha contratto l'infezione nel gruppo che aveva ricevuto adeguate informazioni;
    si rammenta che, ogni anno, si osservano circa 13 mila infezioni primarie da citomegalovirus nelle donne in gravidanza; 5 mila sono i bambini che nascono in Italia, con un'infezione congenita, e di questi circa 800 subiscono delle disabilità permanenti;
    riguardo a possibili interventi terapeutici da considerare durante la gravidanza, l'Osservatorio malattie rare, ricorda come diversi studi hanno dimostrato i benefici delle immunoglobuline specifiche per il citomegalovirus (CMV-IVIG) nella prevenzione del CMV congenito. «Otto Paesi europei e Israele sottopongono di routine le donne in gravidanza a test per il citomegalovirus e questo ha portato a grandi sviluppi nella gestione del medesimo CMV. Uno studio inoltre suggerisce che lo screening universale sia la soluzione migliore anche da un punto di vista economico». Le CMV-IVIG sono costose, tuttavia, è stato dimostrato che, grazie alla diminuzione delle conseguenze nei neonati, con esse si ha una soluzione conveniente anche da un punto di vista economico;
    uno dei problemi aperti, è che non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione, né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita;
    per la donna gravida che acquisisca l'infezione mancano farmaci specifici utilizzabili in epoca prenatale in grado di ridurre il rischio di trasmissione o di curare il feto in utero;
    il costo sanitario e sociale dell'infezione congenita da citomegalovirus è enorme. Si stima che, in Paesi come la Germania e l'Italia, i costi diretti di una infezione congenita da citomegalovirus superino i 60.000-100.000 euro, mentre le conseguenze per le famiglie colpite sono enormi;
    un ruolo fondamentale per la prevenzione e l'informazione, deve essere svolto prioritariamente dai medici di famiglia e dai ginecologi nei confronti delle gestanti,

impegna il Governo:

1) a intraprendere tutte le iniziative più idonee e a stanziare opportune risorse, per favorire la ricerca medica e farmacologica per l'individuazione di uno specifico vaccino contro il citomegalovirus, nonché per lo studio del citomegalovirus anche al fine di consentire una diagnosi precoce, con particolare riferimento alle donne in età fertile;
2) ad assumere iniziative per prevedere lo screening gratuito per le donne in gravidanza e in età fertile al fine di prevenire la trasmissione e contrastare il virus;
3) a predispone efficaci campagne informative e di sensibilizzazione sulla conoscenza del virus e per ridurre i rischi di infezione e di trasmissione del citomegalovirus, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e in età fertile, e alle categorie di persone più vulnerabili alla malattia;
4) ad assumere iniziative di competenza per implementare i programmi di formazione dei medici e in particolare dei medici di base e dei ginecologi.
(1-01502) «Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale con la sentenza n. 275 del 19 ottobre 2016 si è pronunciata in merito ad una controversia tra regione Abruzzo e provincia di Pescara, nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 recante «Interventi per l'attuazione del diritto allo studio» introdotto dall'articolo 88, comma 4, della legge della regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale, 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)» promosso dal tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, nel procedimento vertente tra la provincia di Pescara e la regione Abruzzo, con ordinanza del 19 marzo 2014, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 2014;
    nello specifico, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo poneva il dubbio della legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo n. 78 del 1978, in riferimento all'articolo 10 della Costituzione, in relazione all'articolo 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, e dall'articolo 38 della Costituzione, che assicurano il diritto allo studio delle persone con disabilità, poiché l'effettività di tale diritto risulterebbe pregiudicata dal condizionamento dell'erogazione del contributo, al trasporto degli studenti disabili, alle disponibilità finanziarie, di volta in volta, determinate dalle leggi di bilancio;
    la regione Abruzzo non ha contestato l'ammontare degli importi spesi dall'amministrazione provinciale, tuttavia ha eccepito che, in virtù dell'articolo 6, comma 2-bis, della legge regionale censurata, il proprio obbligo di corrispondere il 50 per cento delle suddette spese trova un limite nelle disponibilità finanziarie di bilancio;
    la Corte costituzionale ha evidenziato come l'inciso «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio», contenuto nell'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo n. 78 del 1978, legittimerebbe una decisione arbitraria della regione di coprire in modo discontinuo i costi del servizio, gestito in conformità del piano previsto dall'articolo 6 della medesima legge;
    è di tutta evidenza che l'inciso contenuto nell'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo n. 78 del 1978, limiterebbe il godimento del diritto allo studio degli studenti disabili, tutelato dalla Costituzione, in quanto sarebbe rimesso ad arbitrari stanziamenti di bilancio di anno in anno decisi dall'ente territoriale e, nella fattispecie, dalla norma censurata. Quest'ultima considererebbe le spese per i contributi alle province per il servizio di trasporto degli alunni disabili come spese non obbligatorie, cosicché i contributi regionali per il trasporto dei disabili potrebbero essere ridotti già nella fase amministrativa di formazione delle unità previsionali di base, senza che di ciò vi sia alcuna evidenza o limite a garanzia dell'effettivo godimento dei diritti costituzionalmente garantiti;
    con quanto previsto dall'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo n. 78 del 1978, il finanziamento del servizio potrebbe essere ridotto in modo repentino e incontrollato, di anno in anno, rendendo del tutto variabile ed inattendibile la continuità e la pianificazione dell'organizzazione dello stesso da parte delle province, con inevitabili ripercussioni sulle famiglie e sulla possibilità di queste di poter assicurare la frequenza scolastica ai propri figli;
    la sentenza della Corte Costituzionale n. 275 del 2016 sancisce in questo caso che il servizio di trasporto scolastico dei disabili sia un diritto inviolabile e da garantire senza condizionamenti finanziari;
    si tratta con tutta evidenza di una sentenza storica in quanto sancisce il principio secondo cui «È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»: principio, peraltro, perfettamente declinabile nell'ambito della legislazione nazionale di bilancio;
    il punto 11 della sentenza della Corte Costituzionale n. 275 del 2016 nel testo integrale recita: «11. – Non può nemmeno essere condiviso l'argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l'articolo 81 della Costituzione per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell'articolo 81 della Costituzione è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»;
    è evidente che quanto affermato nella pronuncia da parte della Corte Costituzionale travalica la questione di carattere regionale e assume un carattere di reinterpretazione applicativa dell'articolo 81 della Costituzione che, a detta della Corte Costituzionale, non può essere richiamato per limitare i diritti incomprimibili dei cittadini che sono sanciti nella Costituzione come ad esempio l'articolo 38 in materia di diritto del disabile all'istruzione;
    la Corte Costituzionale, dunque, con la sentenza n. 275 del 2016 ha affermato con chiarezza che spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione dei diritti incomprimibili dei cittadini, affinché questi non si traducano in una mera previsione programmatica, ma vengano invece riempiti di contenuti concreti e reali;
    la Corte Costituzionale ha affermato senza ombra di dubbio che l'effettività della realizzazione e attuazione dei diritti incomprimibili come sanciti dalla Costituzione non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento dei medesimi al fine di garantire l'attuazione dei diritti sociali;
    secondo la Corte Costituzionale nella materia finanziaria non esiste «un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi». Al contrario, ritenere che il sindacato sulla materia sia riconosciuto in Costituzione «non può avere altro significato che affermare che esso rientra nella tavola complessiva dei valori costituzionali», cosicché «non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (Corte Costituzionale sentenza n. 260 del 1990);
    con la sentenza 275 del 2016 la Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 2-bis, della legge della regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l'attuazione del diritto allo studio), introdotto dall'articolo 88, comma 4, della legge della regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», limitatamente all'inciso «, nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa»;
    la vicenda relativa alla censura da parte della Corte Costituzionale dell'inciso dell'articolo 6, comma 2-bis, della legge n. 78 del 1978 della regione Abruzzo ha una valenza generale che deve indirizzare tutti gli atti e provvedimenti che riguardano sia lo stanziamento diretto di risorse per garantire i diritti incomprimibili dei cittadini sanciti dalla Costituzione sia i documenti programmatici che ne indicano l'ammontare complessivo;
    la Corte Costituzionale fornisce, del resto, un'indicazione importante, che fa da apripista non solo per l'intero settore dell'Istruzione, da decenni compresso e depauperato proprio da esigenze contabili e da brutali conteggi di bilancio, ma per l'intero panorama delle relazioni socio-economiche del nostro Paese;
    tale sentenza, infatti, erode in modo autorevole uno dei princìpi recentemente introdotti nell'ambito della Carta Costituzionale dal neoliberismo, ovverosia, il pareggio di bilancio ex articolo 81 della Carta fondamentale e le sue feroci ripercussioni sulla tenuta dello Stato sociale;
    dal Trattato di Maastricht del 1993 in poi l'egemonia dell'economia di mercato e la sua priorità rispetto ai diritti fondamentali dell'individuo hanno prodotto politiche completamente opposte ai principi fondamentali sanciti dal nocciolo duro della Costituzione;
    in coerenza con la sentenza n. 275 del 2016 della Corte Costituzionale si rende necessario che tutti i provvedimenti che prevedano l'attuazione e la garanzia dei diritti incomprimibili non siano più soggetti alle compatibilità economiche, spesso sollevate in sede parlamentare e altrettanto spesso richiamate dal Governo, per limitare stanziamenti ancorando le compressioni rinvenienti al rispetto dell'articolo 81 della Costituzione: compressioni che, come si è detto, la Consulta ha censurato in quanto, come si è detto, deve essere la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione, indicando così una indicazione prioritaria nell'utilizzo delle risorse, laddove si riferiscano ai diritti sociali che in ogni caso non possono essere limitative ai fini del soddisfacimento degli stessi,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a modificare l'articolo 81 e, conseguentemente, gli articoli 97 e 119 della Costituzione in modo tale che una quota consistente e adeguata delle entrate dello Stato sia riservata ad assicurare, direttamente o indirettamente, il godimento dei diritti sociali, affinché sia garantita la piena attuazione degli articoli 32 e 38 della Costituzione, creando una garanzia efficace per i diritti;
2) ad assumere iniziative normative volte a modificare la legge di contabilità e finanza pubblica al fine di chiarire che, in sede di elaborazione di provvedimenti, anche di natura programmatica, che attengono alla tutela dei diritti sociali incomprimibili:
   a) debbano essere predisposti tutti gli strumenti volti ad assicurare l'esatta quantificazione delle risorse necessarie a garantire la piena realizzazione e attuazione dei diritti medesimi senza che ricorra alcun tipo di limitazione attraverso il richiamo al mero rispetto dell'articolo 81 della Costituzione;
   b) debba essere allegata la relativa scheda tecnica indicante il numero dei soggetti rientrante nella platea degli aventi diritto e le relative risorse necessarie all'attuazione dei diritti sociali, al fine di garantire l'effettività della realizzazione e dell'attuazione dei diritti incomprimibili sanciti dalla Costituzione, nonché la certezza delle disponibilità finanziarie necessarie al soddisfacimento degli stessi;
   c) non possano essere fissati limiti in relazione alla disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio, ovvero in relazione alle risorse a legislazione vigente;
3) ad assumere iniziative affinché nel prossimo disegno di legge di bilancio una quota consistente e adeguata della spesa sia complessivamente destinata a garantire, direttamente o anche indirettamente, i diritti alla salute, all'istruzione, alla formazione e all'elevazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, alla retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro, all'assistenza sociale, alla previdenza e all'esistenza dignitosa dei lavoratori e delle loro famiglie.
(1-01503) «Scotto, Melilla, Costantino, Pannarale, Ricciatti, Marcon, Carlo Galli, Franco Bordo, Duranti, Martelli».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    nelle province dell'Italia centrale interessate dai recenti eventi sismici si rileva la presenza di quasi 8.817 strutture turistico-ricettive, con una capacità ricettiva superiore ai 373.178 posti letto, le quali nel 2015 hanno ospitato oltre 19 milioni di pernottamenti;
    nel 2015, le aziende del settore del turismo di tali territori hanno mediamente occupato quasi 40 mila dipendenti (38.562), con un picco di 50 mila (50.193) nel mese di agosto;
    il turismo costituisce uno dei motori dell'economia del territorio ed una delle principali fonti di reddito e di occupazione, ma tali attività hanno subito e stanno subendo pesanti contraccolpi per causa del sisma;
    molte strutture ricettive hanno subito danni ingenti che le hanno rese inagibili, mentre altre strutture sono all'interno delle cosiddette zone rosse e sostanzialmente inaccessibili;
    ulteriori importanti danni per l'economia turistica provengono dal fatto che, oltre ad aver provocato nell'immediato la partenza anticipata dei clienti e la cancellazione delle prenotazioni, gli eventi sismici stanno determinando un calo consistente del fatturato nonché di prenotazioni per i prossimi mesi;
    secondo le prime stime elaborate da Confindustria, nei territori delle regioni Abruzzo, Marche e Umbria e nel nord della regione Lazio le presenze turistiche sono crollate in media del 90 per cento e mete turistiche come quelle di Assisi, Spoleto e Gubbio, anche se lontane dal cratere del terremoto, hanno subito cali dal 30 per cento (a novembre 2016) al 50 per cento (dicembre 2016); la dimensione del fenomeno ha pertanto quasi azzerato l'incremento turistico che tali territori avevano registrato prima della scossa sismica del mese di agosto 2016;
    la contrazione dell'attività non riguarda quindi unicamente i 131 comuni direttamente colpiti dal sisma, bensì l'intero territorio delle province interessate, generando pesanti ricadute sull'indotto e sul sistema economico locale;
    le imprese che svolgono la propria attività in territori classificati come zone sismiche di tipo 1 o di tipo 2, per assicurarsi contro un qualsiasi rischio connesso ad evento sismico devono sostenere un costo proibitivo notevole, con una notevole differenza rispetto le altre realtà,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, in conseguenza degli eventi sismici che hanno duramente colpito i territori dell'Italia centrale nel corso del 2016, in Abruzzo, Marche, Umbria e nel nord della regione Lazio, al fine di agevolare la ripresa produttiva, di promuovere la permanenza delle imprese sul territorio e di contrastare lo spopolamento delle aree depresse, prevedendo adeguati contributi in conto capitale, per il risarcimento del «danno indiretto», finalizzato alla ripresa economica delle imprese operanti nel settore del turismo, anche stagionali, che hanno subito una significativa, oggettiva e documentabile diminuzione del fatturato, individuata sulla base dei criteri stabiliti con apposito decreto ministeriale;
   a coinvolgere gli enti territoriali interessati in modo diretto o indiretto dagli eventi sismici citati in premessa nella realizzazione di progetti volti alla valorizzazione delle iniziative turistiche sul proprio territorio;
   ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni, nella forma di contributo in conto capitale, in favore delle imprese che stipulino contratti di assicurazione contro i rischi connessi a eventi sismici;
   ad assumere iniziative per la costituzione di un tavolo di confronto, coinvolgendo le organizzazioni rappresentative degli enti territoriali e delle reti di imprese che operano nel settore del turismo, l'Enit e l'Azienda di promozione turistica, finalizzato ad individuare adeguate forme di promozione del territorio, orientate sui diversi settori, da quello culturale, a quello sportivo, ai grandi eventi, all'enogastronomico, nelle province interessate, in modo diretto o indiretto, dagli eventi sismici.
(7-01182) «Arlotti, Lodolini, Melilli, Albanella, Amato, Ascani, Basso, Paola Bragantini, Camani, Campana, Cardinale, Carrescia, Casati, Casellato, Cominelli, D'Incecco, Damiano, Di Salvo, Donati, Fabbri, Fragomeli, Gnecchi, Iacono, Incerti, La Marca, Patrizia Maestri, Manzi, Mazzoli, Montroni, Morani, Peluffo, Romanini, Paolo Rossi, Rostellato, Rubinato, Senaldi, Tentori, Tidei, Zan, Preziosi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   si richiamano l'interpellanza n. 2-01477 in merito al concorso per i dirigenti dell'Agenzia delle dogane e alle presunte irregolarità poste in essere (distribuzione dalla segreteria del direttore generale delle dogane di gazzette ufficiali e regolamenti europei contraffatti contenenti il tema d'esame svolto), la risposta del sottosegretario Baretta del 30 settembre 2016 (ritenuta insoddisfacente) e le relative indagini avviate dalle forze dell'ordine;
   2 articoli del Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2017, di Lillo e Pacelli, riassumono «La vicenda» riportando: «La denuncia: sono due i dipendenti dell'Agenzia dei Monopoli e delle Dogane che si sono rivolti alla magistratura. Oltre ai concorsi ritenuti “truccati” sono state denunciate alcune irregolarità nella nomina di dieci dirigenti, incaricati anche se privi di diplomi di laurea – Accertamenti dell'Anac: i due si sono rivolti all'Autorità Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone per chiedere di far rispettare l'articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001, che introduce per la prima volta una disciplina del dipendente pubblico che segnala illeciti (il cosiddetto whistleblower)» oltre a ipotizzare il «tentato abuso d'ufficio: il pm Mario Palazzi indaga su due filoni: uno riguarda un concorso per 69 dirigenti ritenuto dai magistrati “truccato”. Sette in totale gli indagati, tra questi il direttore dell'ente Giuseppe Peleggi per tentato abuso d'ufficio e il capo della sua segreteria, Paolo Raimondi. L'altro filone riguarda alcune nomine dirigenziali»;
   precedentemente, il 28 novembre 2016, Dirpubblica rendeva noto sul suo sito la propria denuncia all'Anac «...la dott.ssa Claudia Giacchetti, inoltre, è componente della RSU eletta nella Dogana di Fiumicino, è il Segretario della Sezione DIRPUBBLICA operante nel medesimo Ufficio ed appartiene alla Segreteria Tecnica Nazionale della predetta Federazione DIRPUBBLICA. In tale veste, coerentemente con la linea sindacale di DIRPUBBLICA, forte del successo ottenuto da DIRPUBBLICA da un coacervo di favorevoli sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato sulle nomine dirigenziali taroccate nelle agenzie fiscali (1.200 casi complessivamente), avvalorate dalla oramai arcinota Sentenza 37 della Corte Costituzionale del 17 marzo 2015, ha rilasciato la nota intervista a Report del 7 novembre scorso. In tale intervista non ha fatto altro che confermare quanto ha sempre sostenuto DIRPUBBLICA e cioè che l'attuale sistema delle nomine dirigenziali nell'Agenzia delle Dogane determina lo stravolgimento delle finalità istituzionali dell'Ente (...) Quella di Giacchetti è un'opera civica ciclopica, di grande coraggio muliebre, di sincero amore per il proprio lavoro (...) Evidentemente, però, non è questa l'idea che è maturata nella mente del Direttore interregionale per il Lazio e l'Abruzzo, l'ing. Roberta De Robertis, la quale ignorando completamente l'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti, tracciando motu proprio i limiti dell'attività sindacale, ordina al dirigente dell'Ufficio ove presta servizio la Giacchetti, di avviare un procedimento disciplinare a suo carico. Nel far questo cita a suo sostegno una lettera anonima di presunti ex colleghi (molto probabilmente si tratta degli indagati nell'azione penale promossa dalla Giacchetti) che si sentirebbero lesi dalle dichiarazioni della stessa Giacchetti, e pertanto ne invocano la punizione, finanche avvertendo, dalla loro vile posizione, che la mancata adozione di provvedimenti comporterebbe l'avvio di procedimenti penali e disciplinari (...)»;
   il 9 dicembre 2016 Dirpubblica informava dal proprio sito che «Il 7/12/2016 è stato depositato c/o il Tribunale di Civitavecchia il ricorso di DIRPUBBLICA per la repressione dell'attività antisindacale posta in essere dalla Dogana di Fiumicino ai danni del dirigente sindacale Claudia Giacchetti per i contenuti dell'intervista concessa a Report»;
   sempre dal sito di Dirpubblica si apprende del contenuto della lettera di richiamo verbale che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha inoltrato alla Giacchetti il 23 gennaio 2017 a conclusione della vertenza, e dell'opinione del sindacato sul fatto che «il procedimento costituisce un micidiale attacco alla funzione sindacale generale al cospetto della quale il caso in sé ne costituisce soltanto il pretesto»;
   fatto, a detta degli interpellanti, confermato dalle forze scomodate per ottenere tale risultato: dai pareri delle direzioni regionali alla Avvocatura di Stato, nonostante le sentenze avverse al modo di operare adottato per lo svolgimento del concorso in questione;
   il 27 gennaio 2017 il Velino/AGV NEWS pubblicava sul proprio sito un articolo dal titolo «Giochi: Monopoli, Cdm avvia procedura proroga di sei mesi per Peleggi – Sulla proroga del direttore dell'Adm dovrà essere acquisito il parere della Conferenza Unificata» che riporta «Il Consiglio dei ministri oggi ha deliberato, su proposta del ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, l'avvio della procedura per la proroga di sei mesi nell'incarico di Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli per Giuseppe Peleggi. Su tale proroga dovrà essere acquisito il parere della Conferenza unificata, come previsto dall'articolo 67 del decreto legislativo n. 300 del 1999»;
   nella memoria del 9 gennaio 2017, depositata dall'Avvocatura Generale dello Stato in sede giurisdizionale del 12 gennaio 2017, ad avviso degli interroganti altre risorse pubbliche vengono impunemente utilizzate per difendere diritti di dirigenti e altri indagati nel procedimento penale citato) chiedendo l'assunzione degli indagati in un concorso in cui è stato in più riprese accertato si siano violate norme e procedure –:
   se trovi conferma quanto riportato da il Velino e quali siano le motivazioni in base alle quali intende rinnovare la fiducia a una dirigenza che non ha apportato sostanziali benefici in termini di recupero delle evasioni erariali, ma ha al contrario gravato sulla macchina amministrativa con condotte già oggetto di inchiesta;
   se intendano immediatamente attivarsi, per quanto di competenza, al fine di tutelare e proteggere chiunque denunci all'interno della amministrazione pubblica atti illeciti o comunque non corretti, come nel caso della dottoressa Giacchetti.
(2-01642) «Pesco, Villarosa, Alberti, Ruocco, Tripiedi, Di Vita, Baroni, Mantero, Dall'Osso, Brescia, Di Benedetto, Basilio, Corda, Paolo Bernini, Brugnerotto, Cominardi, Ciprini, De Lorenzis, D'Incà, Della Valle, Crippa, Castelli, D'Ambrosio, Nesci, Parentela, Massimiliano Bernini, Lupo, Gagnarli, L'Abbate, Lorefice, De Rosa, Mannino, Daga, Terzoni, Carinelli, Liuzzi, Grande, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Spadoni, Sarti, Dadone, Chimienti, Petraroli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro per lo sport, per sapere – premesso che:
   il palazzo del podestà fu costruito nel 1227, committente, il bresciano Laudarengo Martinengo nominato podestà di Mantova. Unitamente alla torre civica, il palazzo rappresentò il centro amministrativo del comune di Mantova;
   con il programma triennale delle opere pubbliche 2008-2010 e l'elenco annuale 2008, approvato con delibera di consiglio comunale n. 22 del 17 marzo 2008, il comune di Mantova ha previsto la realizzazione dei lavori di recupero, valorizzazione e riuso funzionale del complesso monumentale, denominato «Palazzo del Podestà»;
   il progetto preliminare è stato approvato con delibera di giunta comunale n. 247 del 18 novembre 2008;
   la gara pubblica vide, in data 23 novembre 2011, l'offerta del Consorzio Cooperative Costruzioni C.C.C. Soc. Coop di Bologna aggiudicarsi l'appalto per l'importo di 11.125.794,84 euro (prima fase dei lavori);
   le condizioni del complesso monumentale, dopo le scosse sismiche che colpirono il comune di Mantova nel maggio 2012 hanno reso improrogabile l'intervento di urgenza, sia per tutelare la salute e la pubblica incolumità, sia per rispettare il protocollo Unesco. Quindi, con determinazione dirigenziale n. 1925 del settore lavori pubblici, in data 24 settembre 2012, sono stati approvati i verbali di gara e le risultanze in essi contenute aggiudicandosi, in via definitiva, i lavori all'Ati costituita da CCCSoc. Coop di Bologna e Piacenti S.p.a. di Prato;
   in tale determina si è precisato che l'appalto viene suddiviso in due fasi, impegnando l'importo complessivo di euro 12.347.274,32, relativo alla sola Fase I, a favore del C.C.C. Soc. Coop di Bologna: l'imputazione è riferita ai capitoli di bilancio relativi a «realizzazione sedi uffici comunali» e «nuove sedi degli uffici comunali»;
   con delibera di giunta comunale n. 247 del 10 dicembre 2013, è stato approvato il progetto definitivo;
   nelle premesse della delibera di giunta, tra le altre considerazioni, viene «accertata la necessità di rimodulare il progetto definitivo, dando priorità a lavorazioni di consolidamento e miglioramento sismico dell'intero edificio, senza oneri aggiuntivi rispetto alle risorse complessivamente assegnate per la Fase I, pari a 13.925.000,00 euro, di cui 10.135.794,84 euro per lavori»,
   tali risorse risultano dal quadro economico, anch'esso approvato con la delibera n. 247 del 2013 ed «aggiornato a seguito delle spese già effettivamente sostenute e dell'adeguamento IVA, dando atto che si darà corso alla sola Fase I»;
   nelle premesse deliberative, al secondo capoverso, a pagina 7, si considera «che, ad oggi (10 dicembre 2013), sono già stati liquidati complessivi euro 717.768,03 ...». Successivamente, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, segretariato regionale per la Lombardia, con provvedimento n. 1989 del 17 marzo 2016, ha autorizzato il comune di Mantova ad eseguire i lavori;
   sulla Gazzetta di Mantova, in data 1o dicembre 2016, si legge: «Il Cipe ha appena deliberato 9 milioni per sbloccare il cantiere del Palazzo del Podestà – scrive in una nota del tardo pomeriggio il sindaco di Mantova Mattia Palazzi»;
   il progetto doveva procedere senza oneri aggiuntivi rispetto alle risorse complessivamente assegnate per la Fase 1, pari a 13.925.000,00 euro, di cui 10.135.794,84 euro per lavori. Dal marzo 2016 ad oggi, i lavori non sono iniziati;
   non è noto se il Cipe abbia stanziato i nove milioni di euro con adeguata istruttoria;
   da una richiesta del consigliere comunale Giuliano Longfils, risulta che non è stato acquisito alcun fascicolo istruttorio presso il settore «Gestione del territorio e dell'ambiente» del comune di Mantova;
   in una nota del 21 dicembre 2016, inviata dal Ministro Luca Lotti, al sindaco di Mantova Mattia Palazzi, in cui comunica la decisione presa nella seduta del Cipe del 1o dicembre 2016 dell'utilizzazione «delle risorse derivanti da revoche già operate con la delibera del CIPE n. 21/2014 per le obbligazioni giuridicamente vincolanti non assunte nei termini, a favore di Comuni ed Enti Pubblici che presentino un livello di progettazione disponibile tale da consentire il rapido avvio della spesa ovvero che richiedano un cofinanziamento del costo residuo per poter essere rapidamente avviati. Tra gli interventi approvati, Ti confermo la presenza del progetto presentato dal Comune di Mantova relativo al recupero, la valorizzazione e il riuso funzionale del complesso del Palazzo del Podestà per un importo complessivo di 9 milioni di euro. La delibera è attualmente nella fase di formalizzazione presso il Dipartimento per la Programmazione economica e verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica dopo l'avvenuto controllo preventivo di legittimità operato dalla Corte dei Conti». Non è chiaro a quale «progetto» si riferisca il Ministro Lotti, considerato che il settore lavori pubblici del comune di Mantova, a quanto consta agli interpellanti, non ha inoltrato al Cipe alcun progetto definitivo che, come già espresso, ha una sua conclamata autonomia finanziaria, né, tantomeno, il progetto esecutivo, relativo alla fase A1, revisione 1o ottobre-2015; considerato che i lavori non sono mai iniziati e che, comunque, l'importo di tali lavori non può eccedere il finanziamento di 13.925.000,00 euro, già citato sopra;
   risulta agli interpellanti che, ad oggi, non sia stata resa pubblica alcuna istruttoria degli specifici atti di finanziamento del Cipe nella seduta del 1o dicembre 2016;
   da ultimo, il sindaco Palazzi, nella seduta di consiglio comunale del 21 dicembre 2016 ha esibito un documento che avrebbe comprovato il finanziamento di 9 milioni di euro da parte del Cipe: si trattava verosimilmente, secondo gli interroganti, della nota del Ministro Lotti. Il che ha generato la ricerca finora infruttuosa degli atti al riguardo da parte del Consigliere Longfils, con particolare attenzione alla richiesta del comune di Mantova del finanziamento summenzionato –:
   se il Governo intenda chiarire, per quanto di competenza, quali decisioni siano state assunte nella seduta del Cipe del 1o dicembre 2016 in merito al recupero ed al riuso funzionale del palazzo del podestà comune di Mantova;
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere per impedire che siano destinate risorse economiche da parte del Cipe senza che sia stata svolta un'adeguata ed approfondita istruttoria preventiva.
(2-01645) «Zolezzi, Alberti, Businarolo, De Rosa, Ferraresi, Sarti».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIV Commissione:


   SCUVERA, BERLINGHIERI, QUARTAPELLE PROCOPIO, BENAMATI, CARROZZA, ALBINI, ARLOTTI, BARGERO, BASSO, BECATTINI, BERGONZI, BRAGA, CAMANI, CANI, DONATI, FRAGOMELI, GINEFRA, IACONO, IMPEGNO, MARTELLA, MONTRONI, SCHIRÒ, SENALDI, TENTORI, VENTRICELLI e VICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha aderito all’European Patent System (brevetto unitario europeo e tribunale unico brevetti), dando piena esecuzione alla ratifica dell'accordo sul tribunale unificato dei brevetti, con allegati (Bruxelles, 19 febbraio 2013);
   tale accordo prevede come sedi centrali del tribunale unico brevetti Londra, Monaco di Baviera e Parigi e, dopo i risultati sulla «Brexit», si pone il tema della ridiscussione della sede a Londra;
   entro marzo 2017, infatti, su richiesta del Regno Unito, verrà attivato l'articolo 50 del Trattato di Lisbona, per l'avvio del negoziato sul recesso della Gran Bretagna dall'Unione europea, cui seguirà la trattativa per ridefinire i rapporti inerenti anche al libero scambio, esito confermato dalle dichiarazioni del Primo ministro Theresa May, intenzionata a improntare i negoziati a una vera e propria « full exit»;
   rileva, dunque, il tema della ridefinizione delle sedi delle Agenzie europee localizzate nel Regno Unito e la candidatura, ad esempio, dell'Italia per ospitare l'EMA – European Medicines Agency, cui era connessa la sede centrale del tribunale unico brevetti a Londra, specializzata sul contenzioso in materia farmaceutica;
   quindi, l'Italia sarebbe lo Stato membro candidato naturale ad ospitare la sede centrale del tribunale unico brevetti, originariamente prevista a Londra, in una logica di distretto e dell'alto potenziale di innovazione che caratterizza il nostro Paese;
   il Governo italiano pro tempore aveva già manifestato ai partner europei l'intenzione di ospitare una sede locale TUB a Milano, anticipando l'intenzione di adottare ogni iniziativa utile ai fini dell'assegnazione all'Italia della sede centrale prevista a Londra – come da impegni assunti alla Camera, con l'accoglimento degli ordini del giorno numero 9/03867-A/001 e 9/03867-A/003, il 14 settembre 2016, confermati nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2017;
   il tema del trasferimento della sede centrale del TUB è tra le azioni programmatiche europee di interesse nazionale, così come segnalato in sede di audizione, in Commissione XIV, dal rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, ambasciatore Maurizio Massari (18 gennaio 2017) –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al riguardo e se non ritenga di dover agire con tempestività per determinare la nuova sede centrale del tribunale unico brevetti in favore della candidatura italiana in subentro di quella originaria a Londra, data l'importanza di tale scelta per gli interessi strategici italiani e il segnale rilevante che avrebbe in un'ottica di maggiore coesione territoriale tra Nord e Sud Europa. (5-10499)


   BOSSI e GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il sistema «EU Pilot» è un meccanismo istituito tra Commissione europea e Stati membri per lo scambio di informazioni e la risoluzione di problemi in tema di applicazione del diritto dell'Unione europea o di conformità della legislazione nazionale alla normativa dell'Unione europea concepito per la fase antecedente all'apertura formale della procedura di infrazione;
   la legge n. 234 del 2012, che è la legge che regola i rapporti tra l'Italia e l'Unione europea, prevede all'articolo 4 che «Il Governo può raccomandare l'uso riservato delle informazioni e dei documenti trasmessi»; ciò ha comportato di fatto effetti particolarmente restrittivi in ordine alla possibilità dei parlamentari di essere adeguatamente informati circa i casi «EU Pilot»;
   quindi, a parere degli interroganti, la disposizione di legge citata è suscettibile di dare luogo a una violazione dei diritti e dei doveri di un parlamentare, in quanto egli, come rappresentante del popolo, deve potere svolgere al meglio il proprio mandato ed effettuare le scelte più idonee alle necessità dei propri cittadini e aziende, soprattutto quando si tratta di decisioni che provengono dall'Unione europea, e per questo deve essere messo in condizione di poter studiare e portare a conoscenza della collettività i documenti che hanno portato la Commissione europea a contestare le norme interne;
   la ratio che ha spinto a questa scelta di «segretezza» sembra essere stata quella per la quale trattandosi, appunto, di casi EU Pilot si è di fronte al fatto che il Governo tratta direttamente con la Commissione europea e nella fase della trattativa qualsiasi informazione che «esce» potrebbe determinarne l'esito negativo: inoltre, questi documenti contengono molto spesso informazioni e dati sensibili che sono riservati e che riguardano aziende, persone giuridiche e anche persone fisiche che non possono diventare pubblici –:
   se non ravvisi la necessità di adottare iniziative normative per procedere ad una modifica della legge n. 234 del 2012, al fine di favorire la massima trasparenza, in particolare nei confronti del parlamentari, con riguardo alle procedure «EU Pilot» e di poter tutelare adeguatamente i cittadini e le aziende italiani. (5-10500)


   BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2011, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-496/09, ha condannato l'Italia non avendo essa adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza 1o aprile 2004, causa C-99/02, concernente il recupero presso i beneficiari degli aiuti che sono stati dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune;
   il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-196/13, ha condannato l'Italia per 200 discariche non bonificate, prevedendo come sanzione una multa forfettaria di 40 milioni di euro e una multa semestrale proporzionale alle discariche ancora non bonificate;
   il 16 luglio 2015 la Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-653/13 ha condannato l'Italia per non aver adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) sull'emergenza rifiuti in Campania;
   l'Italia è stata, quindi, condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data della pronuncia della citata sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115).
   l'Italia è stata, inoltre, condannata a pagare alla Commissione europea una somma forfettaria di 20 milioni di euro;
   il 17 settembre 2015 la Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-367/14 ha condannato l'Italia, perché ha ritenuto che le riduzioni e/o sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. La Corte di giustizia dell'Unione europea, visto che il nostro Paese non ha adempiuto alla sentenza del 2011 per la causa C-302/09, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 30 milioni di euro e a versare una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo, per aver ritardato nel recupero di aiuti incompatibili con il mercato comune –:
   quale sia l'ammontare totale — e quello relativo ad ognuno delle cause riportate in premessa delle sanzioni pecuniarie pagate dall'Italia alla Commissione europea conseguenti alle condanne emesse dalla Corte di giustizia, ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. (5-10501)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la gestione dei fondi europei da parte delle regioni ed in particolare della Sicilia, presenta gravi problematiche. Infatti, nella relazione annuale relativa al 2015 inviata dalla Corte dei conti al Parlamento si rileva che, tra irregolarità e frodi segnalate o accertate, le regioni perdono circa 356 milioni di euro. Le regioni del Sud sono quelle più interessate da questo fenomeno ed in particolare la regione Sicilia da sola colleziona circa 167 milioni e 852 mila euro di frodi. Tra l'altro, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale quello che è più interessato da questi raggiri;
   inoltre, ad essere interessato dai fenomeni di frodi e raggiri è il Fondo sociale europeo, con la Sicilia che ha perso circa 71,3 milioni di euro;
   si tratta, pertanto, di una situazione molto grave che ha interessato anche le associazioni criminali dedite a questo tipo di truffe. La Corte dei conti, quindi, è intervenuta accertando queste irregolarità che puntavano ad utilizzare in modo fraudolento circa 4,4 miliardi di euro di fondi europei –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda attivare il Governo per contrastare il fenomeno dei raggiri e delle truffe nell'ambito della utilizzazione dei fondi europei al fine di ripristinare la legalità nella loro gestione ed utilizzo;
   se non ritenga necessario avviare, dopo i rilievi della Corte dei conti, un monitoraggio sul fenomeno delle frodi e dei «raggiri» che impediscono di avviare una politica economica efficace ed efficiente, soprattutto nella regione siciliana che è particolarmente interessata da questi gravi fenomeni. (4-15474)


   CURRÒ, LAURICELLA, OLIVERIO, PALMA, CAPOZZOLO, FIORIO e TERROSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei maggiori produttori mondiali di nocciole insieme a Turchia, Spagna e Stati Uniti ed il più importante tra i Paesi dell'Unione. Il panorama produttivo italiano ricomprende 70.000 aziende e una produzione di 10.0000 tonnellate annue. Le superfici e le produzioni corilicole sono concentrate in sole 4 regioni: Piemonte, Lazio, Campania, Sicilia;
   a seguito della crisi di settore, esacerbata dalla forte concorrenza delle nocciole turche, caratterizzate da una dubbia qualità ma presenti sul mercato nazionale e comunitario ad un prezzo inferiore rispetto al prodotto italiano, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha promosso nel corso del 2010 la predisposizione di un «piano nazionale corilicolo» con il contributo di tecnici del settore, ricercatori e rappresentanti delle regioni interessate alla coltivazione del nocciolo al fine di evidenziare le criticità strutturali del comparto e attuare le azioni prioritarie di intervento per il rilancio della corilicoltura nazionale. Il documento descrittivo del piano risulta ancora oggi pubblicato sul sito istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   secondo quanto previsto dal piano suddetto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha funzione di coordinamento delle politiche di intervento delle regioni interessate nonché di attuazione dei processi di concertazione con le organizzazioni professionali e dei produttori, con gli operatori del commercio e della trasformazione industriale, con gli enti di ricerca, con l'università e con l'associazione nazionale «città della nocciola», soggetti riuniti nell'organo centrale della struttura organizzativa – cosiddetto «tavolo di filiera corilifero» – cui sono demandate funzioni decisionali;
   a giudizio degli interroganti il problema oggetto del presente atto ha connotazione fortemente interdisciplinare in seno ai Ministeri interessati in quanto dalla semplice lettura del documento di descrizione del piano si rilevano non già una ma svariate direttrici di intervento. Diversi infatti sono gli aspetti e gli ambiti coinvolti: dal settore economico e di mercato, al settore fitosanitario genetico e varietale, a quello ambientale e inerente allo sviluppo economico dei territori, nonché normativo e regolamentare comunitario;
   il punto 2 del capitolo 6 prevede per il piano una durata di tre anni (2010, 2011, 2012) prorogabili in accordo con le regioni. Al contempo, non vi è sul sito istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alcuna evidenza in riferimento al suo eventuale completamento o al relativo stato di attuazione, né tantomeno evidenza di quanto riportato al punto 5 ovvero di provvedimenti normativi ivi previsti messi eventualmente in atto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali né in relazione a eventuali atti o azioni posti in essere dalle regioni coinvolte;
   il piano, nel suo complesso, individua criticità, azioni e obiettivi strategici al fine di risolvere i problemi del comparto e secondo quanto descritto al punto 1 del capitolo 6 demanda la sua approvazione nella sede della «Conferenza Stato-regioni». A tale riguardo gli interroganti, risultando in possesso del relativo verbale di approvazione datato 29 aprile 2010 e prendendo dunque atto della sua avvenuta approvazione, rilevano come in premessa al verbale sia espressamente statuito che il piano «costituisca documento di indirizzo politico-programmatico di medio e lungo periodo per il settore corilicolo» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se il Governo intenda redigere un report soddisfacente in merito allo stato complessivo di attuazione, di avanzamento o di completamento del piano alla data odierna, anche in riferimento alle azioni poste in essere dalle regioni coinvolte, nonché in riferimento al coinvolgimento dei competenti Ministeri;
   se il Governo ritenga di fornire chiarimenti circa la propria volontà di prosecuzione o di ripresa politico-programmatica del piano sul breve e medio termine, avendo cura di aggiornare i dati delle criticità del settore all'anno in corso e valutando, in conseguenza delle risultanze, la possibilità di aggiornarne le previsioni programmatiche. (4-15481)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   durante la guerra dell'Ucraina orientale, il 7 aprile 2014, militanti filorussi hanno occupato il palazzo governativo di Donec'k, proclamando la Repubblica popolare di Donec'k. Un referendum tenuto l'11 maggio 2014, non riconosciuto dal Governo centrale, ha sancito la larga vittoria dei sostenitori dell'indipendenza dall'Ucraina. Il 24 maggio 2014 l'autoproclamata Repubblica popolare di Donec'k si è unita alla Repubblica popolare di Lugansk, dando vita allo Stato federale della Nuova Russia, con capitale Donec'k; questa unione è cessata il 20 maggio 2015. Donec'k è stata sottoposta a pesanti bombardamenti che hanno distrutto, tra l'altro, l'aeroporto internazionale, e a combattimenti tra l'esercito ucraino e i miliziani filorussi per le strade cittadine;
   gli «Accordi di Minsk», siglati il 12 febbraio 2015, sono scaduti il 31 dicembre 2015 e sono stati rinnovati nel 2016 – come stabilito dai presidenti di Francia, Germania, Russia e Ucraina riuniti a Berlino nel «Normandy Four» — il 19 ottobre 2016. Tuttavia, il Governo ucraino a quanto consta all'interrogante non rispetta nemmeno i punti basilari dell'accordo ed i cittadini del Donbass, inclusi i bambini, continuano ad essere uccisi e le loro abitazioni ad essere bombardate;
   dalla stampa giungono notizie di nuovi pesantissimi bombardamenti avvenuti in questi giorni che hanno causato morti e feriti tra la popolazione civile che è costretta a vivere nei bunker sotterranei senza poter uscire in superficie;
   a Donetsk le forze ucraine hanno preso di mira, con almeno 25 pesanti esplosioni, palazzi, negozi e persino un ospedale per fiaccare i combattenti nella roccaforte dei ribelli filorussi e separatisti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano al momento le relazioni tra Governo italiano e Governo della Repubblica popolare ucraina;
   se non ritenga opportuno mettere in atto ogni iniziativa di natura diplomatica per far cessare immediatamente i bombardamenti e mettere in sicurezza la popolazione. (4-15487)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Sannazzaro de Burgundi, in provincia di Pavia il 1o dicembre 2016 si è sviluppato un incendio alla raffineria Eni, sul quale sta ancora indagando la procura;
   il rogo, che è divampato intorno alle 15,40 nel polo industriale del paese della Bassa Lomellina, ha provocato fiamme che si sono levate con violenza in una zona denominati Cantiere est 2, una parte dell'impianto di recente realizzazione e, secondo quanto riferito da testimoni, si è generata una «palla di fuoco» alta decine di metri provocando danni ingentissimi;
   la prefettura ha concordato con i sindaci di invitare la popolazione a restare chiusa in casa con le finestre chiuse, a scopo precauzionale fino a nuove indicazioni da parte di Arpa, che effettua i controlli in loco, anche se la sala operativa della Protezione civile regionale ha affermato che non ci sono state ricadute al suolo dei fumi e non risultano segnalazioni di problemi di tipo sanitario per la popolazione;
   Eni ha spiegato in una nota che «La società prende atto che dai primi rilievi compiuti dalle autorità locali competenti non risultano nell'aria particolari concentrazioni di sostanze inquinanti»;
   il presidente della regione Lombardia Roberto Maroni, con l'assessore regionale all'ambiente Claudia Terzi, il prefetto di Pavia Erminia Rosa Cesari e autorità militari, il 2 dicembre verso le 15 è arrivato alla raffineria di Sannazzaro per un sopralluogo ed ha spiegato: «L'indagine della Regione è stata avviata, faremo monitoraggi ambientali secondo i protocolli d'emergenza, ma non sembrano esserci problemi»;
   è intervenuta anche Eni con una nota in cui spiegava che avrebbero fatto un'indagine per capire cosa fosse successo e specificando che i pezzi di materiale nero caduti dal cielo non erano inquinati, ma che erano solo braci dell'incendio, aggiungendo che danni all'impianto sono stati ingenti, ma da quantificare e che nessuno avrebbe perso il lavoro;
   il 5 febbraio 2017 poco dopo le 8,30, quello che l'Eni definisce «un principio di incendio», si è sviluppato nella cosiddetta isola 7, «nell'impianto di desolforizzazione del gasolio, immediatamente estinto dal pronto intervento del sistema di sicurezza Eni all'interno della raffineria»;
   nessuno è rimasto ferito e non è scattato l'allarme esterno, anche se l'amministrazione comunale di Sannazzaro alle 9,05 aveva già riunito l'unità di crisi, allertando protezione civile e Arpa;
   il sindaco conferma che «il rogo è stato presto contenuto», aggiungendo però che chiederà un incontro con i vertici della raffineria per chiarire l'accaduto;
   sul fronte dei rilievi per il timore di conseguenze ambientali, Arpa ha informato che «il Gruppo specialistico contaminazione atmosferica di Arpa ha installato, d'intesa con il sindaco, un nuovo campionatore ad alto volume a Galliavola, che si trova a Ovest dell'impianto, lungo la direzione del vento prevalente, in aggiunta a quelli presenti a Dorno e Pieve Albignola –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per tutelare la popolazione del luogo, comprensibilmente preoccupata, e l'ambiente circostante;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, affinché Eni risponda prontamente delle cause che hanno scatenato ben due incendi in pochi mesi e quali misure di sicurezza intenda adottare Eni per non esporre sia la popolazione che i lavoratori dell'impianto a rischi tanto ingenti. (3-02766)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione toscana ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno sottoscritto, in data 3 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio regionale, elencati nell'allegato I, tra cui rientra il progetto di completamento delle opere di difesa a mare dell'abitato, in zona Pratoranieri nel comune di Follonica;
   l'intervento di Follonica, consistente in un ripascimento del tratto di litorale a nord del fosso di Cervia, è stato approvato dalla giunta provinciale di Grosseto (in qualità di ente in avvalimento del commissario straordinario delegato) con delibera n. 42 del 14 maggio 2014 ed è oggi in corso di realizzazione ad opera dell'impresa Sales spa con sede in Roma, aggiudicatrice dell'appalto;
   con un'interrogazione a risposta scritta del 21 luglio 2016, alcuni consiglieri comunali di Follonica hanno ravvisato che il materiale distribuito sull'arenile non sembra rispettare il requisito morfologico di arrotondamento previsto dal progetto; inoltre, da una loro valutazione preliminare, è risultato che il ghiaietto utilizzato ha una preponderante composizione calcarea, in contrasto con la componente tipicamente quarzosa delle sabbie del litorale. Tale composizione, oltre ad assumere una tonalità cromatica che disattende parzialmente il requisito di policromia previsto dal progetto, potrebbe con l'azione meccanica di sfregamento del clasti, causare un intorbidamento continuo dell'acqua che assumerebbe così un aspetto lattiginoso;
   l'amministrazione comunale, in seguito, ha chiesto lumi sulle considerazioni dei consiglieri venendo rassicurata dall'ufficio regionale – direzione difesa del suolo e protezione civile, sulla rispondenza ai requisiti progettuali del capitolato speciale d'appalto, in termini di provenienza del materiale utilizzato, arrotondamento e distribuzione granulometrica, presenza di sostanze contaminanti e colorazione, sottolineando, comunque, che è previsto il completamento del ripascimento con altri diecimila metri cubi di ghiaia con un maggior grado di arrotondamento;
   i consiglieri comunali, tuttavia, continuano a ritenere che l'impresa abbia disatteso il rispetto dei requisiti del materiale stabilito dagli elaborati di progetto, in quanto lo stesso è sì proveniente da cava terrestre ma non «impostata su sistemi di paleoalveo»; gli stessi sollevano perplessità sul numero di campioni usati per la determinazione delle caratteristiche litologiche, del grado di arrotondamento e delle coordinate colore, soltanto 2 campioni su 11 prelevati; ritengono altresì discutibile la «convenzione di ricerca» tra la società Sales spa ed il dipartimento di scienze della terra dell'università di Pisa che ha redatto il report sulla caratterizzazione del materiale utilizzato nel progetto di Follonica ed estratto dalla cava di Monte Valerio di proprietà della Seles spa;
   il capitolato speciale d'appalto, tra l'altro, come del resto le relazioni allegate, non prevede materiale diverso in base allo stato di avanzamento dei lavori, come invece viene addotto nella risposta dalla regione al comune;
   l'accordo tra regione Toscana e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – che compartecipa per circa il 60 per cento ai costi di tutti i progetti previsti in Toscana per la difesa idrogeologica – prevede, all'articolo 9, che venga effettuato un monitoraggio con il supporto tecnico operativo dell'Ispra, in particolare sullo stato di attuazione degli interventi –:
   quale sia l'esito del monitoraggio effettuato con il supporto dell'Ispra, in particolare in merito al rispetto delle prescrizioni riportate nel capitolato speciale d'appalto, comprese quelle di dettaglio, come le verifiche sull'intorbidamento dell'acqua e sulle riprese aeree e subacquee in alta definizione, al fine di accertare il rispetto di quanto stabilito nell'accordo di programma sottoscritto con la regione Toscana in data 3 novembre 2010. (4-15475)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   GIAMMANCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'itinerario arabo normanno di Palermo, Monreale e Cefalù, un percorso che attraversa due civiltà dai grandissimi contenuti artistici, nel 2015 è stato dichiarato dall'Unesco «Patrimonio mondiale dell'Umanità» ed inserito nella World Heritage List;
   nel mese di ottobre 2016 il Presidente della Repubblica ha dato ufficialmente il via alle cerimonie per l'apertura del sito;
   ad oggi, purtroppo, il sito presenta molte criticità. I collegamenti sono scarsi ed inadeguati: una volta arrivati a Palermo, i turisti hanno difficoltà a raggiungere Monreale, visto che c’è solo un autobus che parte ogni ora e mezza;
   va, inoltre, segnalata la grave carenza del parcheggio comunale di Monreale, la mancanza di un ufficio turistico, l'assenza di servizi igienici pubblici a disposizione dei visitatori;
   il sito è poi caratterizzato da evidente degrado ambientale, molto visibile e sotto gli occhi di tutti: dalle strade ai palazzi, ai monumenti trascurati e non illuminati a sufficienza;
   la villa comunale, sito di enorme interesse artistico e culturale, è solo parzialmente fruibile e non è stata ancora messa in sicurezza;
   la piazza di Monreale è solo parzialmente chiusa al traffico –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare ogni iniziativa di competenza per verificare quanto riportato in premessa, anche eventualmente con l'invio di ispettori ministeriali, al fine di esaminare le criticità e far sì che si possano prendere tutte le iniziative del caso, anche coinvolgendo la Regione siciliana, in maniera che Monreale sia all'altezza del ruolo che riveste all'interno del percorso arabo normanno e, quindi, sia valorizzata nel modo adeguato. (3-02768)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco archeologico di Paestum, è stato dotato di «autonomia speciale» a seguito della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nonché del successivo decreto ministeriale 23 dicembre 2014, e del decreto ministeriale 15 ottobre 2015;
   il parco ha finora svolto, con la direzione di Gabriel Zuchtriegel (insediato nel novembre 2015) ben coadiuvato dal Consiglio di amministrazione e dal comitato scientifico, una preziosa azione di valorizzazione e promozione, con lusinghieri risultati ed effetti significativi;
   nel 1998 l'Unesco, iscrisse nella lista del patrimonio dell'umanità «I paesaggi culturali del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le emergenze archeologiche di Paestum e di Velia e con la certosa di Padula»;
   anche in vista del redigendo «Piano di gestione» del predetto sito dell'Unesco, appare necessario ed opportuno accorpare in capo all'autonomia di Paestum, anche gli scavi di Velia e il compendio monumentale della certosa di Padula;
   il sito archeologico di Elea-Velia ha uno straordinario valore archeologico, paesaggistico e culturale, ed è noto anche per essere stato culla della Scuola eleatica di Parmenide, uno dei capisaldi della filosofia occidentale;
   la certosa di Padula, non molto tempo addietro pienamente restituita alla pubblica fruizione a seguito di un sapiente intervento di restauro, è un monumento di enorme e riconosciuto pregio, ed insiste anch'essa, come Velia (comune di Ascea), nel territorio della provincia di Salerno;
   di recente sia il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, con deliberazione del Consiglio nazionale n. 23 del 22 dicembre 2016, che il comune di Ascea, con deliberazione consiliare n. 3 del 31 gennaio 2017, hanno chiesto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di aggregare, «dal punto di vista organizzativo e gestionale, il sito di Elea-Velia e la Certosa di Padula al Parco archeologico di Paestum, prevedendo una gestione unitaria ed integrata dei tre siti»;
   di tale accorpamento Velia e la Certosa di Padula trarrebbero sicuro beneficio, laddove invece differenti ipotesi esporrebbero ad ulteriore marginalizzazione entrambe, peraltro già fortemente penalizzate dalla posizione geografica e da problematiche infrastrutturali relative ai collegamenti viari e alla raggiungibilità;
   dal punto di vista amministrativo e funzionale, il parco archeologico di Paestum, anche attraverso l'opportuno e già previsto completamento e potenziamento della pianta organica con archeologi e architetti, potrebbe sicuramente garantire la gestione integrata e coordinata dei tre siti succitati con la dovuta cura ed attenzione, dando così luogo ad un'esperienza pilota molto significativa ed interessante per l'intero comparto –:
   se il Ministro interrogato, per le ragioni sovraesposte, intenda assumere iniziative per accorpare l'area archeologica di Velia e la certosa di Padula all'autonomia amministrativa e gestionale del parco archeologico di Paestum, anche al fine di uniformarla coerentemente all'iscrizione nella lista dell'UNESCO del patrimonio dell'umanità, assicurando così una gestione unica e sinergica dei tre siti. (5-10496)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha lanciato il portale www.verybello.it, con lo scopo di valorizzare in Italia, e soprattutto all'estero, il patrimonio artistico e culturale italiano, in occasione di Expo 2015;
   nella nota stampa dello stesso giorno, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha puntualizzato che «VeryBello è un nuovo modo di viaggiare in Italia attraverso la nostra straordinaria offerta culturale. Una piattaforma digitale interattiva che, attraverso un linguaggio immediato e visivo, racconta l'Italia da un punto di vista inedito. (...) Grazie infatti al contributo delle istituzioni coinvolte dal MIBACT, Regioni e Comuni è nata una rete aperta in grado di garantire continuità al progetto»;
   tuttavia, diverse notizie di stampa hanno riportato le numerose critiche nei confronti del sito in relazione all'assenza della privacy policy e di una site map; sono stati riscontrati problemi nei livelli di accessibilità previsti per legge per i siti ministeriali (con riferimento all'accessibilità dei disabili di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4, recante disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, nonché alle norme del decreto del Presidente della Repubblica, 10 marzo 2005, n. 75, regolamento di attuazione della legge 9 gennaio 2004, n. 4, per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e decreto ministeriale 8 luglio 2005); la mancanza di traduzione in altre lingue all'infuori dell'italiano (le pagine web sono state aggiornate solamente nel febbraio 2015), infine «la grafica considerata poco accattivante e lo stesso nome del sito»;
   il Ministro interrogato, in un tweet del 24 gennaio 2015, aveva annunciato «in 6 ore 500.000 accessi a www.verybello.it. Come speravamo grande pubblicità da ironie, critiche e cattiverie sul web... Verygrazie ! !»;
   il sito online www.ilgiornale.it, nell'articolo del 13 gennaio 2017, ha evidenziato che «(...) a dispetto dell'ottimismo di Franceschini sulla longevità del bellissimo progetto, il sito è già morto (...). Se si digita verybello.it ci si trova davanti ad una pagina vuota, con un avviso misterioso: “Il nuovo sito presto on line”. Poi c’è un modulo per richiedere informazioni, dove inserire nome, cognome, numero di telefono ed un eventuale messaggio. Il problema è che se si compila il modulo e lo si prova ad inviare, non succede niente, l'invio non funziona. Insomma il sito, costato 35 mila euro più iva per ideazione e realizzazione, è in stato di totale abbandono (...)»;
   Il Giornale, inoltre, ha sottolineato che «quando il sito era attivo erano presenti pochi follower sulle pagine social, pochi commenti se non stroncature così come la scarsa interazione generata con gli utenti su Twitter (...)»;
   nell'articolo «Verybello è verymorto: ennesimo flop di Franceschini sul turismo», pubblicato sul sito online www.glistatigenerali.com il 10 gennaio 2017, Alberto Crepaldi ha ribadito, infatti, che «il destino di Verybello era già scritto al momento del suo travagliato battesimo (...) ed è apparso come un inutile duplicato, per giunta avulso dal contesto di veicolazione turistica dell'Italia nel mondo. Un contenitore già ben avviato, dove si sarebbero potuti valorizzare in chiave turistica gli appuntamenti culturali (...) parliamo di Italia.it: il portale dell'offerta turistica italiana e dunque anche di quella a valenza culturale, peraltro costato alle casse statali la bellezza di quasi 25 milioni di euro (...)» –:
   se il Ministro intenda chiarire le motivazioni per le quali, a distanza di soli due anni, sia stato momentaneamente chiuso il sito di cui in premessa e quali prossime iniziative intenda intraprendere al riguardo;
   se intenda definire le tempistiche relative alla riattivazione del sito verybello.it o all'attivazione del sito che lo sostituirebbe;
   quali siano le motivazioni per cui è stato deciso, ad avviso degli interroganti in modo non opportuno, il momentaneo « stand by» di verybello senza il reindirizzo ad un sito attivo. (5-10498)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il canale skytg24, l'11 ottobre 2016, ha informato che «per il terzo anno consecutivo Milano ha superato Roma per numero di visitatori. E se i giovani scappano dall'Italia, a Milano, nell'ultimo anno, sono venuti a studiare da tutto il mondo 40 mila ragazzi e la scelgono per la qualità della vita, cosa impensabile qualche anno fa»;
   in particolare, secondo il Global Destination Cities Index di MasterCard, «nel 2016 Milano si piazza quattordicesima, in relazione alle altre città mondiali, per numero di arrivi all'anno con 7,65 milioni di visitatori a differenza dei 7,12 di Roma. Rispetto al 2015, è un +1,8. Roma è relegata alla posizione sedicesima della classifica di MasterCard, con un andamento di crescita più lento della rivale meneghina. Tra il 2011 e il 2015 il flusso è cresciuto con una media annua del 5 per cento, più bassa rispetto all'exploit milanese, portando comunque nella Città eterna 14 milioni di persone»;
   nella medesima data, il sito online www.corriere.it ha sottolineato che «nel 2016 gli albergatori romani lamentano un aumento di appena l'1 per cento (e quindi un calo rispetto al 2015 del 4 per cento). E questo nonostante il Giubileo della Misericordia proclamato lo scorso novembre da Papa Francesco. Gli addetti ai lavori aspettavano milioni di pellegrini. Non è andata così: «Non è stato così trainante come ci si aspettava», fanno due conti oggi gli albergatori, tanto che qualcuno parla di un vero «flop». Anche se finora sono quasi 18 milioni i pellegrini arrivati a Roma il Giubileo del 2000 ne portò quasi 15. Ma è pur vero, sottolineano gli albergatori, che questo tipo di turismo frequenta poco gli alberghi e magari lascia la città dopo appena 24 ore. Secondo i dati 2015 del Comune, però, in media un turista italiano si ferma meno di due giorni, 2,6 giorni invece se straniero. Ma a questi numeri vanno aggiunti poi quelli sommersi dell’homesharing, a Roma sempre più diffuso, e delle strutture abusive. Impossibile avere dati ufficiali, ma le stime parlano di un 30 per cento in più da aggiungere alle presenze registrate, tanto che per gli albergatori «35 mila persone ogni giorno dormono a Roma all'insaputa delle autorità»;
   il quotidiano Italia Oggi, il 28 novembre 2016, ha pubblicato una classifica annuale, in base ai dati della ricerca dell'Università La Sapienza, grazie alla quale è stata analizzata, in differenti settori, la qualità della vita nelle città italiane. Nella classifica «tempo libero e turismo», Roma occupa il cinquantunesimo posto (un posto in meno rispetto al 2015) a differenza di Milano (sessantanovesima posizione). Per quanto concerne, invece, la qualità della vita, «a differenza di Milano, la Capitale scende all'ottantottesimo posto, evidenziando, in merito, livelli gravemente insufficienti»;
   in data 27 gennaio 2017 il sito online www.romacorriere.it nell'articolo «Il declino di Roma: anche nel turismo dobbiamo fermare la deriva», ha riportato i dati emersi dalla classifica effettuata da Euromonitor International secondo la quale «Roma è solo al tredicesimo posto, seguita da Milano, Venezia e Firenze». Il giornale online precisa, tuttavia, che, nonostante Milano occupi il 23esimo posto nella classifica, presenta, a differenza di Roma, «un incremento dei visitatori del 17,9 per cento: più che doppio rispetto alla capitale»;
   il Corriere ha evidenziato, in ultimo, come «il turismo, a Roma, è povero. (...) I problemi che frenano lo sviluppo del turismo, nella fattispecie, sono: il traffico infernale, lo stato disastroso dei trasporti pubblici e l'inquinamento. Fattori che condizionano pesantemente un'attività che potrebbe rendere alla città, come riconosce anche l'italiana Eurispes, enormemente di più»;
   si legge ancora nell'articolo: «A gettare altro sale sulle ferite è poi il confronto con Milano. (...) Da tutti i punti di vista. La fuga verso il capoluogo lombardo altro non è che la spia di una perdita della capacità di attrarre che in questa città non risparmia più nulla: il turismo, gli affari, la finanza, la cultura» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche in collaborazione con gli enti territoriali competenti, affinché la città di Roma riacquisisca la dovuta attrattività turistica;
   quali iniziative di competenza intenda predisporre per migliorare la qualità dell'offerta turistica italiana, in particolare in relazione alla classificazione delle strutture ricettive e anche al fine di contrastare fenomeni di abusivismo in tale ambito. (4-15478)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, denominata in sigla Cites, è nata dall'esigenza di controllare il commercio degli animali e delle piante (vivi, morti o parti e prodotti derivati), in quanto lo sfruttamento commerciale è, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, una delle principali cause dell'estinzione e rarefazione in natura di numerose specie;
   fino al 31 dicembre 2016, gli uffici del servizio Cites del Corpo forestale dello Stato rilasciavano, mediamente, circa 50.000 certificazioni l'anno, riguardanti, soprattutto, mammiferi, uccelli e rettili viventi riprodotti in cattività, zanne ed oggetti in avorio di elefante, articoli in pelle di rettile, confezioni realizzate con tessuti o pellicce pregiati, piante da collezione od ornamentali, legname proveniente dalle foreste tropicali;
   da un articolo di stampa apparso recentemente sul quotidiano « LaVerità» si riporta la notizia per cui, il 13 gennaio 2017, diverse associazioni di categoria hanno inviato una lettera congiunta al Governo per chiedere una soluzione tempestiva ad una criticità già manifestata durante il percorso che ha portato alla stesura del decreto di soppressione del Corpo forestale dello Stato;
   sembra infatti che siano state fatte presenti ai Ministeri competenti le criticità in materia di controlli e certificazioni Cites, che sarebbero passati nelle competenze dell'Arma dei carabinieri; in particolare sarebbe passata la competenza per il rilascio delle licenze per il commercio estero di pelli pregiate, caldeggiando anche l'opportunità di non far perdere le competenze sviluppate dal Corpo;
   ciò nonostante, il comparto ora è messo in crisi dalla burocrazia che vede il personale dell'Arma dei carabinieri, a quanto consta agli interroganti, sprovvisto di adeguato materiale di cancelleria: timbri, moduli e carta intestata, causando enormi ritardi nelle autorizzazioni con la conseguenza di far perdere importanti fatturati a quelle aziende che non possono esportare i propri prodotti –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali gravi carenze organizzative;
   se il Governo intenda immediatamente assumere iniziative volte a dotare il personale dell'Arma dei carabinieri, dislocato sul territorio, di materiale di cancelleria idoneo allo svolgimento di tali importanti attività autorizzative. (5-10493)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   una delle piazze più centrali e importanti di Cagliari è piazza Matteotti, prospiciente la stazione ferroviaria. Su tale piazza si affacciano importanti edifici cittadini e lo stesso Palazzo Bacaredda, sede storica del municipio di Cagliari;
   tale piazza rappresenta dunque una parte importante del patrimonio identitario cittadino, ma anche una scommessa di sviluppo futuro, perché su di essa insiste anche il capolinea del trasporto pubblico locale Arst, con i pullman e la metropolitana di superficie e il terminal crociere portuale, mentre adiacente alla stazione ferroviaria, che garantisce il collegamento con l'aeroporto di Elmas e con l'intera Sardegna, è stato realizzato uno dei più importanti parcheggi per autoveicoli del centro cittadino;
   purtroppo, negli anni, il decoro e la frequentazione della piazza Matteotti sono andati gradualmente peggiorando, sino a renderne necessario – in tempi recenti – lo sgombero forzato dagli insediamenti di homeless e dai capannelli di sbandati e delinquenti comuni che rischiavano di renderla sostanzialmente impraticabile;
   le operazioni di riqualificazione di tale luogo urbano, destinate a valorizzarlo e a restituire al medesimo dignità e importanza, risultano quanto mai complesse anche a causa di una diatriba che si protrae da anni sulla effettiva proprietà della piazza, che viene rivendicata da parte di Rfi, controllata di Ferrovie dello Stato Italiane s.p.a;
   l'articolo 14 dello statuto della regione autonoma della Sardegna prevede comunque che tutte le proprietà dello Stato non più connesse a servizi di competenza statale, debbano essere riconsegnate alla piena disponibilità e proprietà della regione autonoma della Sardegna e degli enti locali;
   nel caso persistessero dubbi reali sull'attuale proprietà, appare del tutto evidente la strategicità della piazza Matteotti come punto di riferimento per il futuro centro intermodale trasportistico della città di Cagliari e – conseguentemente – la necessità che sia sancita la piena proprietà e disponibilità della piazza da parte del patrimonio regionale sardo e dell'amministrazione cittadina;
   la società Ferrovie dello stato italiane spa è interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del contenzioso tra Ferrovie dello stato italiane spa e istituzioni regionali e locali sarde sulla proprietà della piazza Matteotti, antistante la stazione ferroviaria di Cagliari e – nel caso – quali iniziative di competenza intendano porre in essere per garantire la cessazione di tale contenzioso, attraverso la indiscutibile attribuzione alle istituzioni sarde del titolo di piena proprietà e disponibilità della piazza, anche al fine di consentirne l'utilizzo strategico per le finalità di sviluppo trasportistico, turistico ed economico della città di Cagliari. (4-15473)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 509 del 1997 ha regolamentato il settore della nautica in Italia, definendo chiaramente, all'articolo 2, la differenza fra un «porto turistico», un «approdo» e un «punto d'ormeggio»;
   in particolare, la lettera a) definisce il «porto turistico» come il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; la lettera b) riporta che l’«approdo turistico» è la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all'articolo 4, comma 3, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari; infine la lettera c) stabilisce che i «punti d'ormeggio», «sono le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto»;
   in relazione a quanto riportato dal sito www.agenziaentrate.gov.it nella guida «Nautica e Fisco», l'Imu (Imposta municipale unica), nell'ordinamento tracciato dal federalismo fiscale, ha sostituito l'Ici (Imposta Comunale sugli immobili), con decorrenza dal 1o gennaio 2012. «La legge istitutiva dell'Imu dispone che, nel caso di concessione su aree demaniali, il soggetto passivo dell'imposta sia il concessionario, il quale è normalmente anche il gestore del porto turistico. Pertanto, il concessionario è, comunque, tenuto al pagamento dell'Imu, sulla base della rendita globalmente attribuita o attribuibile alle singole strutture portuali da esso costruite in base ad un atto di concessione. Il presupposto per l'applicazione dell'Imu è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività di impresa»;
   la guida evidenzia come «se le strutture portuali sono accatastate in categoria D/8 l'IMU deve essere assolta sulla base della rendita catastale attribuita. Se, viceversa, le strutture portuali sono accatastate in categoria E, l'IMU non è dovuta. Nell'ambito di applicazione dell'IMU gli specchi acquei relativi al porto ed ai singoli posti barca non possono neppure essere censiti catastalmente e non costituiscono né fabbricato, né area fabbricabile, né terreno agricolo»;
   Il Piccolo di Trieste, in un articolo del 23 gennaio 2017, ha riportato la notizia della richiesta da parte dell'Agenzia delle entrate dell'accatastamento di circa 4000 posti barca presenti lungo il litorale della provincia di Trieste;
   il quotidiano ha spiegato come «(...) nel 2015 il Comune di Trieste (...) ha inviato alle varie realtà cittadine una richiesta di aggiornamento del registro degli immobili a causa del mancato accatastamento dei posti barca. (...)»; da allora, ha preso il via un fitto rapporto epistolare tra l'amministrazione e i legali che rappresentano le tante associazioni interessate;
   inizialmente, la sezione navale della Guardia di finanza ha scritto al comune di Trieste, inviando una serie di processi verbali di contestazione per «omesso assoggettamento delle porzioni di specchio acqueo abilito a posto barca e/o punto ormeggio dell'imposta comunale sugli immobili e quella municipale unica»;
   il comune di Trieste, in relazione alla legge n. 311 del 2014, ha inviato la richiesta alle singole associazioni diportistiche che si sono affidate ai propri avvocati;
   Paolo Volli, il legale al quale la maggior parte delle realtà diportistiche si è rivolta, ha puntualizzato come, in relazione a un provvedimento della Commissione Tributaria provinciale dell'aprile del 2015, «i posti barca sono costituiti da porzioni ideali della superficie del mare e, come tali, appaiono inidonei a sostanziare la nozione di fabbricato-terreno essenziali a consentire l'iscrivibilità in catasto»;
   il quotidiano ha informato che «se il Comune non procedesse con l'iscrizione di quei posti barca, potrebbe anche trovarsi di fronte ad un intervento della Corte dei Conti per danno erariale»;
   Volli, in ultimo, ha dichiarato come «i posti barca nel Comune di Trieste siano “punti di ormeggio”, cioè aree demaniali marittime e specchi d'acqua dotati di strutture tali da non comportare impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di imbarcazioni e natanti da diporto» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative si intendano assumere per tutelare le piccole e grandi realtà diportistiche;
   se il Governo intenda chiarire l'applicazione della normativa in materia imposta municipale unica per i beni demaniali marittimi portuali. (4-15477)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Stretto di Messina s.p.a., in liquidazione, è soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Anas s.p.a., che a partire dal 1o ottobre 2007 controlla la società con una partecipazione al capitale sociale dell'81,848 per cento;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 aprile 2013, è stata deliberata la liquidazione della società Stretto di Messina s.p.a., ai sensi dell'articolo 34-decies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
   con il medesimo decreto è stato nominato un commissario liquidatore, con l'incarico di definire, entro un anno, ogni adempimento connesso alle procedure previste dalla legge fallimentare;
   tali adempimenti, a quanto consta all'interrogante, non sembrano attualmente essersi conclusi, né tantomeno si ha conoscenza dello stato dell'arte delle operazioni definite dal medesimo commissario liquidatore, connesse ai criteri di liquidazione e alla definitiva fase di estinzione della società;
   dalla delibera 28 dicembre 2016, n. 17, della Corte dei conti si evince che l'onere annuo per il mantenimento in vita della società Stretto di Messina s.p.a. è rimasto sopra i due milioni di euro fino al 2015;
   per la Corte dei conti, tuttavia, i costi di gestione della società risultano «ancora rilevanti» e, pertanto, sarebbe opportuno «accelerare la chiusura della stessa»;
   la società continua a pagare stipendi agli organi sociali, fattore richiamato dai giudici contabili, che esprimono la «necessità di ridimensionare i costi della società inclusi quelli degli organi sociali»;
   la società ha anche aperto un contenzioso con le amministrazioni, chiedendo rilevanti somme a titolo di indennizzo, per un ammontare di circa 300 milioni di euro;
   il contenzioso va a sommarsi a quello aperto dai privati per la mancata realizzazione dell'opera, elemento che a parere della magistratura contabile «risulta contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell'agire amministrativo»;
   i giudici contabili ritengono poi «opportuno che gli azionisti della Stretto di Messina s.p.a. compiano una specifica valutazione circa i vantaggi conseguibili dal contenzioso attivo, a fronte di costi certi per la permanenza in vita della stessa società» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per risolvere una condizione di evidente criticità, quale è quella descritta in premessa. (3-02774)


   FOLINO, FRANCO BORDO, SCOTTO, AIRAUDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come emerge dalla stampa nazionale, a seguito dell'accordo del 2 febbraio 2017, tra Assoutenti e Trenitalia, i vertici dell'azienda hanno riconosciuto ufficialmente la necessità di ottimizzare il modello di calcolo delle tariffe. Si legge, infatti, in un comunicato di Trenitalia: «L'azienda condivide il disagio e le recriminazioni dei comitati pendolari che lamentavano il fatto che con l'algoritmo applicato gli abbonamenti sovraregionali arrivano a costare fino al 33 per cento in più di quanto dovrebbero essere tariffati»;
   per amore di verità, più che di un semplice disagio si dovrebbe parlare di una vera e propria truffa, visto che migliaia di pendolari, per ben 10 anni, avrebbero pagato abbonamenti di fatto gonfiati;
   in particolare, secondo Assoutenti, nella formazione delle tariffe degli abbonamenti ferroviari sovraregionali vi sarebbe qualcosa che non funziona e, segnatamente, un singolare algoritmo che, anziché rendere le tariffe allineate, le disallinea, con il risultato di innescare un meccanismo di distorsione tariffaria per cui gli abbonamenti arrivano a costare fino al 33 per cento in più;
   il problema nasce nel maggio 2015, quando, di fronte agli ennesimi aumenti paventati, i vari comitati dei pendolari scoprono che la tariffa sovraregionale è maggiore della somma delle singole tariffe regionali per le tratte coinvolte;
   subito è scattato il rimpallo delle responsabilità: per Trenitalia la determinazione delle tariffe nel trasporto regionale è di competenza esclusiva delle regioni e delle province autonome e l'algoritmo cui fanno riferimento i media è quello definito e approvato in sede di Commissione trasporti della Conferenza delle regioni e delle province autonome nel luglio del 2007;
   per quanto risulta agli interroganti sarebbe pronta a partire una class action di migliaia di pendolari per chiedere il totale rimborso di quanto ingiustamente pagato dagli abbonati (oltre 70.000) dal 2007 ad oggi e, come si evince dalla stampa nazionale, vi sarebbe, peraltro, il rischio che a pagare possano essere gli enti locali che, oltre ai tagli subiti per effetto delle manovre economiche di questi ultimi anni, dovrebbero caricarsi degli esborsi necessari a mantenere gli impegni sottoscritti nei contratti di servizio stipulati con Trenitalia, che, a sua volta, non intende veder scalfiti gli importi concordati e garantiti a livello pluriennale –:
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano assumere affinché sia fatta luce sulla vicenda di cui in premessa, con particolare riferimento al pieno accertamento delle cause e affinché si provveda all'immediato risarcimento della platea di pendolari su cui ha impattato l'errore di calcolo. (3-02775)


   CARLONI, TULLO, ANZALDI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, MARCO DI STEFANO, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, META, MINNUCCI, MOGNATO, MURA, PAGANI, SIMONI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI e TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017 Trenitalia ha comunicato l'aumento del costo degli abbonamenti per le linee ferroviarie ad alta velocità che, da Nord a Sud del Paese, si aggira attorno al 35 per cento;
   sulla tratta Torino-Milano, ad esempio, lunga 153 chilometri e che conta circa 1.600 abbonati, l'abbonamento mensile passa da 340 a 459 euro; la Roma-Napoli, invece, lunga 213 chilometri e che conta circa 2.000 abbonati, rincara da 356 euro a 481 euro;
   questi sono solo due esempi dell'insostenibilità del costo degli abbonamenti, che hanno scatenato le proteste degli utenti, rappresentati dal Comitato nazionale pendolari alta velocità e Federconsumatori;
   a seguito di numerosi solleciti del Parlamento, del Governo e delle regioni, il 25 gennaio 2017 l'amministratore delegato di Trenitalia ha sospeso, a partire dal mese di marzo 2017, il rincaro degli abbonamenti, paventando però un reintegro di essi dal mese di giugno 2017;
   la questione abbonamenti è annosa ed incrocia temi come i servizi a mercato ed il servizio universale, la legislazione nazionale ed europea, nonché chiama in causa l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità di regolazione dei trasporti, quest'ultima a parere degli interroganti ondivaga circa il da farsi e poco incisiva nella tutela dei passeggeri;
   inoltre, la questione di fruibilità delle linee ad alta velocità, costruite con soldi pubblici, ma destinate quasi esclusivamente per servizi a mercato, stride con i cambiamenti che i treni rapidi hanno introdotto nella società italiana, di cui il pendolarismo è il più evidente fenomeno;
   tale fenomeno è tutt'altro che marginale, come Trenitalia ha provato a far passare: infatti, si stima che i pendolari sulle tratte ad alta velocità siano circa 10.000. Anche qui, sarebbe utile maggiore chiarezza sui numeri reali da parte dell'azienda –:
   quali siano le azioni di tutela che si intendano intraprendere a favore di una categoria di persone economicamente e socialmente molto penalizzate dal suddetto rincaro, fermo restando il poco tempo a disposizione per intervenire - così come indicato dall'amministratore delegato di Trenitalia - e, al contempo, se non si ritenga che le possibili soluzioni possano coinvolgere anche l'altro operatore in concessione sulle linee ad alta velocità, la Nuovo trasporto viaggiatori, che, unilateralmente, non eroga più il servizio in abbonamento. (3-02776)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, ha introdotto significative modifiche alla legislazione portuale, in particolare sugli organi di governo dei porti, con gli scopi dichiarati di ottenere maggiore efficienza, attraverso semplificazioni, integrazioni e accentramento delle competenze in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulle nomine dei presidenti, sull'indirizzo e la vigilanza. Inoltre, vengono soppresse le 24 preesistenti autorità portuali e istituite 15 autorità di sistema portuale che comprendono 57 porti. Vengono soppressi i comitati portuali sostituiti dai comitati di gestione composti dal presidente dell'Autorità di sistema portuale; da un componente designato dalla regione (o regioni) del sistema; da un componente designato dal sindaco delle città metropolitane ove presente; da un componente designato dal sindaco dei comuni ex sede di autorità portuale; da un rappresentante dell'autorità marittima designato dalle direzioni marittime competenti per territorio;
   a quasi cinque mesi dall'emanazione del predetto decreto sono stati nominati otto presidenti, due (Livorno e Venezia) sono all'esame delle competenti commissioni parlamentari e le altre cinque autorità sono ancora in regime commissariale. Permane pertanto, ad avviso dell'interrogante, una situazione di grave inefficienza del sistema portuale con ricadute negative sulle attività commerciali e sul lavoro portuale che sconta una crisi accentuata proprio dalla perdurante paralisi degli organi di governo dei porti che in molti casi sono commissariati da più di due anni;
   in alcuni sistemi, portuali nei quali è stato nominato il presidente non si è in grado di procedere alla costituzione dei comitati di gestione. Né sono stati ancora costituiti gli organismi di partenariato della risorsa mare, escludendo pertanto il confronto partenariale ascendente e discendente, nonché le funzioni consultive di partenariato economico sociale dei rappresentanti delle categorie produttive e dei rappresentanti dei lavoratori. Analogamente, non sono stati istituiti gli organismi del cluster marittimo ove previsti;
   il decreto legislativo ha istituito la Conferenza nazionale per il coordinamento delle Autorità di sistema portuale, con il compito di coordinare e armonizzare, a livello nazionale, le scelte strategiche che attengono di grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo, nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali, operando altresì, la verifica dei piani di sviluppo portuale delle singole Autorità di sistema portuale. Una struttura rappresenta «il cuore» della riforma, presieduta dal Ministro interrogato, composta dai presidenti delle Autorità di sistema portuale e da due rappresentanti della Conferenza unificata. Risulta all'interrogante che neanche la Conferenza è stata istituita, né che sia stato nominato «l'esperto» con compiti di supporto;
   il signor Luigi Merlo, consigliere del Ministro interrogato, già presidente dell'autorità portuale di Genova, recentemente si è dimesso dall'incarico, in quanto assunto con compiti di direttore rapporti istituzionali per l'Italia del Group MSC, una delle principali compagnie armatoriali private internazionali;
   nel frattempo la crisi portuale ha toccato pesantemente i principali porti di transhipment italiani, Gioia Tauro e Taranto, ove operano i più importanti terminalisti, al punto che il Governo ha emanato il decreto-legge 29 dicembre 2016 n. 243 ove, all'articolo 4, vengono istituite delle Agenzie per occupare circa 900 lavoratori portuali in esubero delle imprese terminaliste. Agenzie che vengono costituite in deroga all'articolo 6 della legge n. 84 del 1994 come modificata dal decreto legislativo n. 169 del 2016: «le AdSP non possono svolgere, né direttamente né mediante società partecipate operazioni portuali e attività strettamente connesse». Appare evidente all'interrogante che la tanto sbandierata «riforma portuale», non solo non viene attuata ma addirittura il Governo vi deroga benché non sia ancora effettivamente attuata –:
   come e quando si intendano completare le nomine dei presidenti delle Autorità di sistema portuale;
   come e quando si intenda nominare l'esperto della Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale e avviare la funzionalità la stessa Conferenza;
   in quali tempi il Ministro interrogato intenda adottare il decreto ministeriale per disciplinare le modalità di designazione dei componenti dell'organismo di partenariato della risorsa mare, in modo che ogni Autorità di sistema portuale li possa istituire;
   quando verranno istituiti i comitati di gestione e se intenda esercitare i poteri di vigilanza affinché venga verificato che i componenti dei comitati di gestione delle Autorità di sistema portuale abbiano i requisiti previsti dalla legge, ossia che risultino «scelti fra cittadini dei Paesi membri dell'Unione europea aventi comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portale»;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per evitare che possano verificarsi in futuro ulteriori casi come quello dell'ex consigliere ministeriale per la portualità e la logistica Luigi Merlo, che, dopo la cessazione dell'incarico, ha assunto funzioni dirigenziali presso un'importante compagnia di navigazione. (5-10502)


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recentemente si è appreso a mezzo stampa che un'impresa indiana, la Panchavaktra Group, si è proposta per realizzare un aeroporto nella valle del Mela nel territorio di Messina;
   la infrastruttura proposta si pone l'obiettivo di fare sistema con il porto di Milazzo, con il fine ultimo di realizzare un polo intermodale di trasporto sia merci che passeggeri;
   intorno a tale ipotesi si sono venuti a coagulare un notevole consenso nella popolazione e aspettative di importanti armatori che vorrebbero aprire nuove rotte fra il porto di Milazzo ed altri porti del Tirreno;
   in merito al porto di Milazzo si presentano talune disfunzioni e ritardi relativi al piano regolatore portuale, la cui redazione è stata avviata dall'autorità portuale di Messina fino dal 13 dicembre 2000, ma per la stesura del quale la stessa ha solo recentemente (16 settembre 2016) assunto l'impegno ad avviare gli incontri propedeutici con i diversi soggetti interessati. L'inerzia decennale dell'autorità portuale di Messina determina, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 4 aprile 2016, la necessità di operare in un nuovo scenario, talché la nota del 16 settembre 2016 prima richiamata si presenta, ad avviso dell'interrogante, come tentativo tardivo, stante il fatto che la stessa è stata formulata dopo la pubblicazione del decreto legislativo;
   risulta altresì che la medesima autorità, quale soggetto attuatore, ha in corso di imminente ultimazione degli importanti lavori di potenziamento dello scalo (avviati il 30 luglio 2010), tramite la realizzazione di nuove banchine finanziate dalla regione siciliana per un importo di euro 12.394.965,57, di cui alla D.D.G n. 2102/14 del 28 dicembre 2008. Per tale opera, tuttavia, la medesima autorità portuale, «profilandosi la necessità di procedere alla chiusura della relativa contabilità», deve attuare nei confronti del soggetto finanziatore la usuale «trasmissione della documentazione amministrativa e contabile giustificativa dei costi sostenuti», come la stessa autorità ha rappresentato al sindaco di Milazzo nella propria nota n. 000008168/2016 del 14 ottobre 2016; osta al predetto necessario adempimento un errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale, risalente al lontano 6 novembre 2001, non ancora corretto nonostante le sollecitazioni ripetutamente avanzate dal precedente sindaco di Milazzo e recentemente ancora una volta dal sindaco attuale, «((...) macroscopico errore, di cui si chiede la correzione attraverso atto analogo, contenuto nella Deliberazione di Comitato Portuale n. 36 del 6 novembre 2001 (...)»);
   in ragione di quanto sopra, tutto ciò costituisce un intralcio al prospettato ampliamento dello scalo mamertino, con grave nocumento allo sviluppo della città di Milazzo e del comprensorio che afferisce al suo porto, isole Eolie comprese –:
   quali siano le ragioni in forza delle quali l'autorità portuale di Messina non ha ancora approntato il piano regolatore del porto di Milazzo, e quali iniziative la stessa autorità intenda assumere con riguardo al transito delle specifiche competenze all'autorità di sistema;
   quale sia l'errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale del 6 novembre 2001 che impedisce all'autorità portuale di Messina, soggetto attuatore, di perfezionare la rendicontazione delle spese alla regione siciliana e per quali motivi la stessa autorità non abbia provveduto, dopo sedici anni, a correggere tale errore, come ripetutamente richiesto dai sindaci di Milazzo che si sono succeduti nel tempo. (5-10504)

Interrogazione a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi mesi sono apparse sui social network alcune foto dei piloni di un viadotto dell'autostrada A6 Torino-Savona in località Castellaro tra Altare e il capoluogo provinciale;
   dalle fotografie risulta che questo viadotto sia in pessime condizioni (piloni presentano crepe profonde);
   la società Autostrada Torino-Savona s.p.a., in un comunicato del 14 novembre 2016 affermava che «Le fotografie rappresentano una lesione del cosiddetto "setto di chiusura della spalla" lato Torino (cd. paraghiaia) che non svolge funzioni di sostegno dell'impalcato. Nonostante ciò, la Società informa che nell'ambito della propria mission di innalzamento dei livelli di sicurezza dell'infrastruttura autostradale ha sviluppato, per l'opera in questione, un progetto che prevede di intervenire sulle fondazioni, pile ed impalcato al fine di rendere il viadotto Castellaro più performante anche in caso di un eventuale evento sismico»;
   nel suddetto comunicato si precisava inoltre che «l'appalto dei lavori relativi a tale progetto, approvato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in data 15.12.2015, è stato pubblicato in data 29.02.2016: sono attualmente in corso le obbligatorie verifiche per l'individuazione dell'impresa appaltatrice»;
   sono passati ben 7 mesi dal giorno in cui l'appalto è stato pubblicato e, a quanto risulta all'interrogante, non è stata ancora individuata l'impresa appaltatrice;
   appare evidente come sia assolutamente necessario che i lavori di manutenzione del viadotto Castellaro inizino nel più breve tempo possibile;
   il livello di degrado delle travi sembra suggerire una origine temporale dell'ammaloramento risalente a tempi non proprio molto recenti; e comunque risalenti a non meno di qualche anno, se non addirittura di qualche decennio;
   la normativa di settore sul controllo dei ponti, in particolare la circolare del Ministero dei lavori pubblici, Presidenza del Consiglio superiore – servizio tecnico centrale n. 34233 del 25 febbraio 1991, prescrive a carico dei gestori di strutture da ponte stradale la «conoscenza delle caratteristiche delle opere loro affidate [..] sostenute da adeguata documentazione tecnica da istituire per ogni opera [...] contenente tutti i dati salienti relativi alla progettazione [...] e alla gestione», l'esecuzione di verifiche, modulate in: vigilanza, ispezione, manutenzione e restauro, da svolgere a varie scadenze temporali «p.to 9. Gestione dei ponti stradali della Circolare n. 34233/1991»;
   in particolare, la vigilanza dovrebbe essere permanente in modo da «accertare ogni fatto nuovo, l'insorgere di anomalie esterne, come fessurazioni, deformazioni anomale, armature scoperte [...] e [il personale preposto] dovrà immediatamente segnalare tali effetti all'Ufficio da cui dipende»; la documentazione delle operazioni di vigilanza dovrà essere allegata al fascicolo dei documenti «di cui al punto 9.1» della circolare;
   le ispezioni dovranno essere oggetto di report da «conservare insieme alla documentazione tecnica di cui al punto 9.1»;
   la manutenzione ordinaria dovrebbe prevedere «le riparazioni localizzate superficiali delle parti strutturali, da effettuare anche con materiali speciali» e «gli interventi localizzati contro la corrosione»;
   la manutenzione straordinaria dovrebbe prevedere il ripristino di parti strutturali in calcestruzzo armato, la protezione delle armature scoperte, la protezione dei calcestruzzi da azioni disgreganti con eventuale applicazione di film protettivo –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per verificare che il gestore dell'autostrada A6 abbia agito nel rispetto della normativa sul controllo dei ponti e abbia eseguito la vigilanza permanente, le ispezioni e la manutenzione ordinaria delle strutture;
   se il gestore abbia tenuto un registro sui controlli effettuati sulle strutture da ponte e in che data risultino i vari livelli di accertamento e riscontro tecnico delle prime;
   se il Ministro interrogato disponga di documentazione in merito all'avvenuto svolgimento delle attività di controllo prescritte;
   se sia a conoscenza delle tempistiche e delle modalità di esecuzione dei lavori di manutenzione del viadotto Castellaro.
(4-15479)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le recenti emergenze che hanno colpito nelle ultime settimane alcuni territori del centro Italia hanno testimoniato l'alto impegno profuso dal Corpo dei vigili del fuoco e la professionalità acquisita del personale in servizio, il quale opera alacremente anche a costo della propria vita,
per tentare di salvare altre vite umane oltre che portare assistenza e conforto;
   tuttavia, non si possono negare le difficoltà in cui si dibatte il CNVVF (Corpo nazionale dei vigili del fuoco) per la pesante carenza organica che si registra in tutti i ruoli del personale, in particolare negli organici del settore operativo. Tali carenze, diffuse su tutto il territorio nazionale, determinano una ricaduta nell'organizzazione del servizio di soccorso ordinario e straordinario alla popolazione con rischi d'infortunio al personale che opera in squadre non correttamente dimensionate;
   di tale difficoltà sono testimoni le varie missive inviate a tutti gli organi competenti dalle varie sigle sindacali e dal Comitato «idonei non assunti 814 VVFF», con l'intento si sollecitare l'accelerazione dell'assunzione di ulteriori unità;
   per il concorso pubblico per 250 posti di vigile del fuoco, bandito lo scorso autunno, con lo scopo di reperire nuove forze, le prove concorsuali non sono ancora iniziate e molto probabilmente si concluderanno non prima di un biennio. Tale tempistica risulta, a detta dei sindacati, troppo lunga per le esigenze operative del Corpo;
   sebbene, la legge di bilancio 2017 garantisca la proroga al 31 dicembre 2017 della graduatoria del concorso ad 814 posti nel ruolo di vigile del fuoco bandito nel 2008, ciò non implica l'assorbimento delle unità necessarie per far fronte alle carenze d'organico del Corpo;
   le tre sigle confederali CGIL, CISL e UIL, sia attraverso media e organi di stampa, che nel loro invito alla manifestazione unitaria del 15 giugno 2016 in Piazza Montecitorio a Roma, chiedono da tempo l'assorbimento del personale in graduatoria al concorso pubblico a 814 posti, al momento l'unico bacino disponibile, che contiene ancora 3500 idonei giovani circa (una parte comprende anche idonei discontinui), che aspettano da anni una chiamata dopo aver superato 3 prove molto selettive su un bacino di ben 123.000 candidati (prove preselettive - prove motorio attitudinali - prove orali) –:
   in che modo il Governo intenda rispondere alle giuste sollecitazioni delle sigle sindacali in merito all'assorbimento del personale idoneo al concorso a 814 posti di vigile del fuoco e quale altra iniziativa intenda adottare in loro favore e per sopperire alle carenze di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco entro i prossimi mesi. (5-10494)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (cosiddetta spending review), ha previsto per il 2013 la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio del fondo perequativo e dei trasferimenti erariali ai comuni pari ad un ammontare complessivo di 2,25 miliardi di euro, da imputare a ciascun comune in base alla quota delle spese sostenute per i consumi intermedi desunte dal sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE);
   tale riduzione è stata operata dal decreto del Ministero dell'interno del 24 dicembre 2013, in attuazione del citato articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012;
   con sentenza n. 129 del 2016 la Corte Costituzionale ha sancito l'illegittimità del predetto comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 95 del 2012 in quanto non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del fondo sperimentale di riequilibrio da applicarsi a ciascun comune, alcuna forma di coinvolgimento dei comuni, né l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto attuativo del Ministero dell'interno;
   alla luce della citata sentenza n. 129 del 2016, pertanto, che ha efficacia retroattiva, i comuni hanno subito una illegittima decurtazione delle entrate erariali, con conseguente diritto al rimborso delle somme sottratte da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e dell'interno –:
   se i Ministri interrogati intendano riconoscere – e con quali modalità – ai comuni il diritto al rimborso delle somme trattenute per effetto della decurtazione sulle spettanze per l'anno 2013, alla luce della dichiarazione di incostituzionalità della norma che la prevedeva. (5-10495)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto ha riferito la stampa, il 27 gennaio 2016 il II municipio di Roma, dopo aver ascoltato l'assessore alle politiche sociali di Roma capitale, Laura Baldassarre, si è espresso favorevolmente rispetto all'ipotesi di trasformare in un centro di accoglienza, destinato ad ospitare oltre un centinaio di migranti in transito, la struttura situata in via Masaniello, in prossimità della stazione ferroviaria tiburtina, nota come Ferrhotel, in quanto un tempo adibita ad albergo per i ferrotranvieri;
   al centro di transito per immigrati irregolari sarà altresì associato un info-point, il tutto con un finanziamento da parte del Ministero dell'interno pari a 550 mila euro;
   i transitanti che saranno ospitati all'ex Ferrhotel fino al mese di settembre 2016 si dirigevano a via Cupa, nei pressi del centro sociale Baobab, nel frattempo sgomberato dalle forze dell'ordine;
   nel frattempo, sempre a Roma, versa in grave stato di degrado Forte Ostiense, malgrado investimenti fatti per riqualificarlo pari a 250 mila euro e il progetto di ospitare infrastrutture strategiche della polizia di Stato, come l'unità cinofila, il centro psicotecnico ed il centro di telecomunicazioni;
   è stato altresì spostato dal commissariato di Sant'Ippolito che lo ospitava l'ufficio passaporti di Roma, ora in attesa di destinazione;
   risultano minacciati da accorpamenti e chiusure numerosi commissariati della polizia di Stato, come riportato dal quotidiano il Tempo alla pagina 8 del 6 febbraio 2017, tra cui «Porta Pia» e «Sant'Ippolito» ad oggi ancora situati nel Municipio II di Roma Capitale –:
   se il Governo intenda confermare l'intenzione di finanziare la trasformazione dell'ex Ferrhotel di Roma in un centro di transito e accoglienza per migranti, stanziando all'uopo circa 550 mila euro, mentre altre infrastrutture della polizia di Stato sono ospitate in immobili fatiscenti o comunque soggette a degrado, l'ufficio passaporti è oggetto di trasferimento e sembra in via di esecuzione un piano di accorpamenti che ridurrà significativamente i presidi territoriali delle Forze dell'ordine nella capitale, malgrado questa sia un sito sensibile a rischio di terrorismo presidiato dall'Esercito italiano. (4-15476)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 5 febbraio 2017, il gruppo politico Forza Nuova, di chiara ispirazione neo-fascista, svolgeva una manifestazione per le strade di Cesena;
   l'occasione era data dalla celebrazione avvenuta nella città romagnola di un'unione civile fra due persone omosessuali, secondo le previsioni della legge n. 76 del 2016;
   15 esponenti di Forza Nuova sfilavano portando con sé una bara coperta da una bandiera italiana ed esponevano manifesti in cui «Matteo e Marco» erano accusati di volere la fine della civiltà italiana;
   l'interrogante ritiene che tali atteggiamenti non possano essere ricondotti alla lecita espressione di una posizione politica, ma assumano di fatto un valore intimidatorio, viste le modalità con cui vengono messi in atto;
   la bandiera nazionale non può inoltre essere utilizzata in «pagliacciate» che hanno come obiettivo quello di contestare una legge della Repubblica;
   non è, d'altra parte, accettabile per l'interrogante che si continui a concedere libertà di manifestazione a gruppi che si richiamano apertamente al regime fascista, con ciò contravvenendo alla XII disposizione della Costituzione Italiana e alla legge n. 645 del 1952, oltre che alla legge n. 205 del 1993 –:
   quali siano le ragioni dell'autorizzazione della manifestazione di Forza Nuova esposta in premessa;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per impedire il ripetersi di simili aggressioni a diritti garantiti dalla legge, che possono dar luogo per altro a turbative dell'ordine pubblico;
   se non ritenga di dover adoperarsi, per quanto di competenza, per monitorare le attività di organizzazioni xenofobe e intolleranti, oltre che legate all'ideologia fascista, per tutelare il diritto di tutte le italiane e gli italiani a vivere serenamente nel rispetto della normativa vigente.
(4-15482)


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE, TOFALO e CASTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il capo della polizia di Stato, Franco Gabrielli, è stato recentemente audito dalla commissione parlamentare d'inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle città;
   il 10 gennaio 2017, di fronte ai membri della commissione d'inchiesta egli ha affermato ed è desumibile dallo stenografico di seduta a pagina 56: «Il nostro Paese ha situazioni particolari. Per esempio, Varese è sopra organico. Come mai ? Forse perché c’è stato un Ministro dell'interno», oppure «A Lecce sono sopra forse perché c’è stato un sottosegretario all'interno», ancora «Modena è sopra organico perché c’è il segretario generale del Siulp. Sono cose che in questo Paese sono facilmente intellegibili»;
   nel 1989 la polizia aveva un organico di 117.200 unità, mentre oggi afferma Gabrielli «siamo 99.630 con un decremento medio del 15 per cento», «quando ci sono realtà con una scopertura del 5, del 4 o del 3 per cento è grasso che cola»;
   le parole del capo della polizia di Stato sono state richiamate da diversi organi di stampa, suscitando commenti non positivi sulle scelte che negli anni sono state fatte, così, a titolo di esempio, si ricorda che ad Agrigento al 2016 ci sono in servizio 290 agenti su un organico previsto di 260, il 12 per cento in più, così come per Lecce (351 contro 319, il 10 per cento in più), Varese (229 contro 205) e Modena (254 contro 251) già citati da Gabrielli;
   le deduzioni a cui arriva «IlFattoQuotidano» in un articolo del 28 gennaio 2016 richiamano la circostanza che Varese è la città di origine dell'ex Ministro dell'interno Maroni, così come Lecce lo è stato per l'ex sottosegretario all'interno Alfredo Mantovano, Modena lo è per il segretario generale del Siulp, sindacato di polizia e Agrigento per il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Angelino Alfano, già Ministro dell'interno nel Governo Letta e nel Governo Renzi;
   le statistiche riportate confermano, ad avviso degli interroganti, l'esistenza di un'attenzione particolare per quei centri urbani ove sono presenti o sono stati presenti importanti personalità che hanno ricoperto incarichi ministeriali –:
   se trovi conferma quanto riferito dal capo della polizia Gabrielli in audizione;
   quali siano le motivazioni del rafforzamento del dispositivo di sicurezza nei centri urbani riportati in premessa;
   se si intenda procedere con un immediato piano di riequilibrio delle piante organiche per distribuire il personale di polizia in esubero al 2016 nelle città che manifestano carenze quali Reggio Calabria, Bari, Catania, Messina, Cagliari, Caserta e Foggia. (4-15483)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 dicembre 2016 un centinaio di militari dell'Arma dei carabinieri sono stati impegnati a Conversano (Bari) in un'operazione coordinata dalla direzione distrettuale antimafia che ha eseguito una decina di ordinanze di custodia cautelare emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari, nei confronti di personaggi appartenenti al clan La Selva e ritenuti responsabili, a vario titolo, di «associazione per delinquere finalizzata alla commissione di attentati incendiari e dinamitardi, porto detenzione e uso di armi e materiali esplodenti, nonché associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti»;
   i provvedimenti sono stati emessi a seguito di un'indagine della Compagnia di Monopoli, conclusa nell'agosto del 2016, sviluppata attraverso articolate intercettazioni telefoniche e ambientali, scaturita dopo l'inchiesta sull'omicidio tentato del capo indiscusso del gruppo criminale di Conversano, Nicola Antonio La Selva, ferito, nell'agosto del 2013, da cinque colpi d'arma da fuoco nel parco di Conversano. Dalle indagini è risultato il ruolo di primissimo piano svolto, nella banda, dalla compagna del boss;
   l'attività investigativa avrebbe permesso di far luce sull'esistenza di due gruppi criminali strutturati e contrapposti — il primo dei quali facente capo al boss La Selva — artefici di una lunga serie di attentati incendiari e dinamitardi, compiuti al fine di affermare il rispettivo dominio criminale sul territorio;
   le intercettazioni in possesso degli inquirenti confermano le denunce che il periodico locale « Fax» fece già nel 2013 quando riportò la notizia della presenza costante dei La Selva negli uffici comunali;
   sabato 28 settembre 2013, il periodico conversanese « Fax» online riportava che «La settimana scorsa in Villa Garibaldi, su una statua di pietra, a pochi passi dal luogo in cui si è consumata la sparatoria dello scorso 31 agosto è stata ritrovata una lettera anonima nella quale si riportavano degli elementi sulla sparatoria. La lettera si chiudeva con il racconto di un presunto giro fatto a bordo di un'auto cabrio dal sindaco e Nicola La Selva in un clima spensierato. Il fatto si sarebbe consumato cinque anni fa. “Il testimone di pietra” si riferisce alla prima elezione a sindaco di Lovascio ? La storia non è ben chiara. La lettera parla di un'auto rossa. Il giorno della festa del 2008 fu utilizzata una Fiat Belvedere intestata ad un parente di La Selva. L'auto, una decappottabile, fa da sfondo alla foto ricordo che Fax oggi ha pubblicato insieme ad una serie di immagini che documentano una parte di quello che accadde quel pomeriggio. Di seguito la fotocronaca»;
   in quella circostanza, in ben due consigli comunali, come ricordato nel consiglio comunale del 9 gennaio 2017 dai consiglieri di opposizione e tra questi dal capogruppo del PD in consiglio comunale, Vincenzo D'Alessandro «il Sindaco diede rassicurazioni, affermando che non c'era alcun problema, che tutto era sotto controllo e che i conversanesi avrebbero potuto stare tranquilli, che nel più breve tempo possibile tutto sarebbe tornato nella normalità restituendo alle famiglie la serenità di cui Conversano si è sempre fatta vanto»;
   il boss La Selva, infine, cedeva lo scettro degli affari del clan alla compagna quando era detenuto, e le impartiva ordini di cercare sinergie con il clan barese degli Strisciuglio;
   nel corso dell'operazione, sono stati tratti in arresto, nella flagranza, 3 associati, sequestrando significativi quantitativi di droga –:
   se il Ministro interrogato sia stato informato delle circostanze riportate in premessa;
   se si intenda promuovere, l'invio di una commissione di accesso presso il comune di Conversano (Bari) in relazione a quanto esposto in premessa, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.
  (4-15485)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diverse sigle sindacali – fra le quali quelle del Coordinamento nazionale dei vigili del fuoco della Cgil parte della Cgil funzione pubblica, e del Conapo – hanno recentemente stigmatizzato, in diversi comunicati stampa, alcuni aspetti della ventilata riforma della Protezione civile che concernono l'attività del corpo di appartenenza dei loro iscritti;
   i comunicati hanno in particolare sottolineato come, nel contesto della riorganizzazione della Protezione civile, si stia pensando di sottoporre i vigili del fuoco alle singole prefetture, invece di responsabilizzale appropriatamente la dirigenza tecnica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ponendola al centro di tutto il sistema del Soccorso tecnico in costanza d'emergenza;
   sempre secondo la sezione Cgil dei vigili del fuoco e del Conapo, incomberebbe ormai il rischio di una crescente burocratizzazione del soccorso tecnico urgente;
   secondo i sindacati dei vigili del fuoco, riconoscere al Corpo dei vigili l'autonomia che questo desidera e valorizzarne le competenze nel soccorso, anche nel corso delle emergenze che determinano l'attivazione della Protezione civile, accrescerebbe invece l'efficienza e l'efficacia degli interventi –:
   se corrisponda al vero quanto affermato dalla sezione Cgil dei vigili del fuoco e dal Conapo circa la futura sottoposizione dei vigili del fuoco alle prefetture in costanza di gravi calamità;
   qualora corrispondesse al vero, per quale motivo si sarebbe rinunciato a valorizzare l'autonomia del Corpo dei vigili del fuoco e la capacità dei loro dirigenti tecnici anche in costanza di emergenza;
   quali sarebbero i motivi che indurrebbero il Governo a rendere secondario il ruolo dei vigili del fuoco in costanza di emergenza, sottoponendoli a coordinamento prefettizio invece di sfruttarne le capacità acquisite per porli al centro del sistema nazionale di protezione civile.
(4-15486)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di febbraio 2017, per il secondo anno consecutivo, viene proposto agli studenti dell'IIS Q. Sella di Biella un progetto dal titolo «Condividere la cultura. Da studente a studente», nell'ambito dell'alternanza scuola-lavoro, che prevede l'attuazione di un corso di alfabetizzazione informatica rivolto ai «rifugiati e richiedenti asilo» presenti nel biellese, tenuto dagli allievi delle classi terze, quarte e quinte; per gli studenti del quinto anno che partecipano all'iniziativa viene addirittura riconosciuto un credito formativo;
   il progetto, curato in collaborazione con la Caritas, si articolerà in un corso tra febbraio e maggio con cadenza settimanale (lezioni due ore circa ciascuna) per un totale di 40 ore, comprensive degli incontri di formazione relativi alla didattica dell'informatica ed alla conoscenza della realtà dei rifugiati e richiedenti asilo;
   pur riconoscendo al progetto l'alto valore che possa avere nell'attività di volontariato, lo stesso tuttavia, a parere dell'interrogante, non può configurarsi come «alternanza scuola-lavoro» ai sensi della legge n. 107 del 2015, che detta appunto le finalità tra le quali figurano: «l'opportunità di apprendere mediante esperienze didattiche»; «arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro»; la legge dispone anche che il progetto «deve connotarsi di una forte dimensione innovativa, per assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, anche l'acquisizione di maggiori competenze per l'occupabilità e l'auto-imprenditorialità»;
   è palese per l'interrogante che dal progetto in questione gli studenti non possono trarre alcuna valorizzazione del proprio percorso formativo, secondo il dettame della normativa citata; piuttosto, a trarne vantaggio, sono i richiedenti asilo, non già gli studenti, posto che l'acquisizione di nuove competenze avverrà per i destinatari del servizio;
   il progetto, dunque, sembra all'interrogante essere l'esatto contrario delle finalità dell'alternanza scuola-lavoro: in questo caso, sono gli studenti a fornire e mettere a disposizione le competenze che già posseggono ai soggetti del progetto, i richiedenti asilo per l'appunto, e non invece questi ultimi ad arricchire gli studenti con nuove competenze utili ad un ingresso futuro nel mercato del lavoro;
   non convince, all'interrogante, la giustificazione del preside dell'Istituto, Gianluca Spagnolo, secondo il quale il percorso di alternanza scuola-lavoro risponde all'acquisizione di quelle che vengono chiamate «competenze-chiave europee»; «si tratta di competenze sociali e civiche, di regole di cittadinanza consapevole, di consapevolezza ed espressione culturale, della comprensione di un'altra cultura (...) La critica tiene conto solo dell'aspetto competenze sul lavoro che è il cuore ma non la sola cosa richiesta (...)», atteso che la ratio alla base dei progetti di alternanza scuola-lavoro è proprio l'acquisizione di competenze da riutilizzare in un lavoro futuro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente chiarire l'interpretazione della normativa poste dall'articolo 2, comma 2 della legge n. 107 del 2015, in merito alle specifiche ed ai requisiti dei progetti di alternanza scuola-lavoro, posto che, per altro, secondo l'interrogante, l'alternanza scuola-lavoro non può essere l'equivalente di un volontariato «mascherato» e tantomeno prefigurare progetti di integrazione dai quali gli studenti non traggono alcun vantaggio ai fini dell'inserimento nel mercato del lavoro;
   se il Ministro interrogato, con specifico riguardo all'Istituto biellese, non ritenga opportuno verificare se il progetto dal titolo «Condividere la cultura. Da studente a studente» possegga o meno i requisiti per essere inserito nel programma che promuove l'alternanza scuola-lavoro ai sensi di legge. (5-10492)


   BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tutti i corsi di laurea delle facoltà di medicina e chirurgia sono a numero chiuso per garantire la massima qualità alla formazione degli studenti, in cui una parte integrante del curriculum è fatta di crediti da acquisire con tirocini a livello di complessità crescente. In ogni facoltà il preside, d'accordo con il direttore del rispettivo policlinico universitario, precisa ogni anno di quanti studenti l'ateneo può farsi carico, per metterli in condizione di sostenere l'esame di abilitazione alla professione scelta. Viste le risorse didattico-formative a disposizione, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'accordo con il Ministero e la Conferenza Stato-regioni, fissa il numero di studenti che si possono iscrivere a quel determinato corso in quell'ateneo. Forse qualcuno in meno di quanto previsto, ma certamente non di più;
   per selezionare gli studenti il Ministero, dopo i concorsi locali, ha optato per la graduatoria nazionale. Ogni metodo presenta aspetti positivi e negativi, sia per quanto riguarda lo strumento scelto: le Dsm, sia per quanto riguarda la graduatoria, che offrendo più opzioni allo studente, rallenta i processi decisionali complessivi. La selezione è rigorosa si parte da circa 80.000 studenti per selezionarne ogni anno più o meno 9.500;
   gli studenti esclusi procedono con il ricorso al tribunale amministrativo per chiedere l'ammissione sulla base di vizi di vario tipo. In alcuni casi si è assistito alla riapertura di concorsi con immissioni di studenti che rendevano problematica la frequenza ai corsi e al tirocinio e la scansione degli esami secondo i canoni previsti dal piano di studi;
   per i giudici chiudere le graduatorie lasciando fuori futuri medici, non è possibile, se ci sono ancora posti vacanti. L'anno scorso il Tar annullò il provvedimento che dichiarava chiuse le graduatorie 2015, ponendo fine agli scorrimenti, Non avendo fatto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ricorso contro l'ordinanza del Tar, ora si attende la riapertura delle graduatorie 2015 fino al riempimento dei posti. Nei verdetti pubblicati, sembra che l'università non si sia neppure presentata. Si tratta di provvedimenti o di riammissione o di accoglimento delle richieste di scorrimento di graduatorie. Nel primo caso si ravvedono irregolarità nello svolgimento del test, nel secondo caso ci si riferisce al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca perché riapra le graduatorie e consenta gli ultimi scorrimenti:
   anche quest'anno gli studenti presenteranno ricorsi. I concorsi 2015 e 2016 hanno avuto esiti diversi tra loro. Nel 2015 su 60 mila domande, gli idonei furono 26 mila circa (48 per cento) per 9.550 posti, mentre nel 2016, quasi 50 mila (94 per cento), 9.224 posti a disposizione. In pratica nell'ultima tornata s’è alzato di molto il «punteggio soglia» per l'ammissione;
   a questo punto inizia il meccanismo dello scorrimento, più in alto ci si è piazzati tanto più alta è la probabilità di essere assegnati alla sede scelta. Chi ha meno punti deve attendere le scelte dei colleghi con punteggi migliori. Se nelle sedi meno ambite restano vacanti alcuni posti, il Ministero segna come «prenotato» in quelle sedi chi, in basso nella graduatoria, ha comunque diritto a un posto nel corso di laurea;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel 2016 chiuse le graduatorie a febbraio ritenendo di non poter aspettare, ma il Tar ha contestato questa prassi e quindi molte situazioni restano in sospeso. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora preso una posizione chiara e sono moltissimi gli studenti in attesa di una risposta precisa –:
   come intenda procedere il Ministro interrogato sia in merito alla contestata decisione del 2016 relativa agli esami di ammissione al corso di laurea in medicina del 2015, sia in merito alla graduatoria di questo anno, relativa alla selezione di settembre 2016 per la quale sono già stati presentati molti ricorsi. (5-10497)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che il 29 novembre 2016 il Parlamento europeo ha adottato un provvedimento che equipara il dottorato di ricerca all'abilitazione all'insegnamento;
   il provvedimento, che è parte integrante del diritto dell'Unione europea, pur essendo vincolante per gli altri Stati membri non lo sarebbe per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che può quindi rifiutarsi di concedere la spendibilità del titolo per insegnare in Italia;
   analoghe indicazioni sono poi contenute nel documento inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 13 dicembre 2016 dal Consiglio nazionale degli studenti universitari (organo consultivo del  Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) nel quale sono contenute le raccomandazioni a prestare la massima attenzione, riguardo ai prossimi processi relativi alla formazione iniziale dei docenti e all'accesso nei ruoli di docenti della scuola secondaria, consigliando al riguardo di considerare l'attuale condizione dei dottori di ricerca, al fine di garantite un sistema inclusivo e di qualità;
   nello stesso periodo, il Consiglio di Stato, con l'emanazione dell'ordinanza del 3 novembre n. 06956/2016, ha accolto il ricorso di centinaia di ricercatori «cosiddetti Ph.D», esclusi dal concorso scuola 2016, intimando il Ministero a disporre «l'ammissione con riserva degli appellanti a prove suppletive, da svolgere nel più breve tempo possibile». Con questa sentenza, il Consiglio di Stato, oltre a stabilire l'illegittima esclusione dei ricercatori, equipara di fatto il titolo dei dottori di ricerca all'abilitazione all'insegnamento per l'accesso al concorso a cattedra –:
   se non si ritenga opportuno, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali ed accademici di cui in premessa, assumere iniziative normative che consentano ai ricercatori l'accesso ai canali di reclutamento per l'insegnamento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, mediante il riconoscimento del valore abilitante del dottorato di ricerca. (4-15480)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio 2017 si è riunita una sezione speciale sugli Ogm (Genetically Modified Food and Feed and Environmental Risk) del Comitato permanente dell'Unione europea sulle piante, gli animali il cibo e l'alimentazione (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed – Paff);
   tale comitato esprime pareri su proposte che la Commissione europea intende adottare. Il Paff è un organo tecnico, composto da rappresentanti esperti nominati da tutti gli Stati membri ed è presieduto da un rappresentante della Commissione europea;
   nel corso della seduta, svoltasi a Bruxelles il 27 gennaio, il Paff è stato chiamato a votare per l'ammissione nelle colture europee di tre qualità di mais Ogm resistenti ai parassiti: il Pioneer 1507, il Syngenta Bt11 e il Mon 810. Per quest'ultimo, già in uso, si chiedeva il rinnovo dell'autorizzazione;
   è stata la prima votazione eseguita con le nuove regole che consentono ai Paesi membri dell'Unione europea di vietare la coltivazione all'interno del proprio territorio anche in presenza di un'autorizzazione comunitaria, il cosiddetto opt-out. A ciò che risulta all'interpellante – pur non arrivando ad esprimere la maggioranza qualificata necessaria – l'Italia, insieme ad altri 16 Paesi, ha scelto di votare a favore dell'autorizzazione, riservandosi la clausola dell’opt-out;
   oltre all'Italia, si sono pronunciati a favore anche altri Paesi che vietano le coltivazioni ogm sul proprio territorio, come i Paesi Bassi. Germania e Belgio hanno scelto di astenersi, probabilmente a causa delle divisioni sul tema all'interno delle rispettive coalizioni di Governo. La Francia, invece, ha guidato il fronte del no;
   rimane dunque confermata la profonda divisione in Europa sulla questione Ogm, che ora ritorna in Commissione europea per un nuovo esame. Un portavoce ha fatto sapere che l'organo esecutivo dell'Unione «intende ora riflettere sulle prossime tappe»;
   attualmente, la normativa europea in materia di Ogm è molto restrittiva: l'unica coltivazione ammessa è proprio quella del Mon 810, di cui ha usufruito soprattutto la Spagna e, in misura minore, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia. Per quanto riguarda le importazioni ci sono invece 58 Ogm autorizzati tra cui soia, mais, cotone, colza e barbabietola da zucchero. Il voto favorevole all'introduzione delle tre colture espresso dai rappresentanti italiani ha suscitato grande dibattito;
   l'Italia è infatti uno dei Paesi europei in cui è stata vietata la coltivazione di organismi geneticamente modificati. Già in passato, inoltre, Coldiretti ha mostrato come, secondo un sondaggio, il 73 per cento degli italiani si sia detto contrario all'uso di Ogm nel nostro Paese;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha preso le distanze dal voto a favore, confermando «il suo approccio rispetto alla coltivazione di Ogm in campo, dando come indicazione di voto l'astensione, che equivale da sempre alla contrarietà nel comitato competente Ue dove votano i Ministeri della salute europei», come si legge in una nota del Ministero;
   come riportato da più organi di stampa e dalla tv, già tempo, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con quello della salute, ha inviato alla Commissione europea le richieste di esclusione di tutto il territorio italiano dalla coltivazione di tutti gli Ogm autorizzati a livello europeo;
   le richieste – spiega il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – sono fatte in attuazione della nuova direttiva europea 2015/412, che consente agli Stati membri di vietare al proprio interno la coltivazione degli organismi geneticamente modificati. «La nostra scelta guarda alle caratteristiche del modello agricolo italiano, che vince e si rafforza puntando sempre di più sulla qualità e sulla distintività. Abbiamo un patrimonio unico di biodiversità che rappresenta un valore non solo da tutelare, ma da promuovere», ha affermato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprende;
   se i Ministri interpellati, in vista di quella che sarà la comunicazione della Commissione permanente su piante, animali, cibo e alimentazione (PAFF) in materia che ha confermato che andrà in appello, verso metà marzo, per tentare di portare avanti le proposte non reputino opportuno chiarire quale sia la posizione del nostro Paese in seno all'Unione europea, specificando, secondo l'interrogante, che la posizione dell'Italia è quella di adottare e promuovere un'agricoltura sostenibile, e non quella intensiva e dannosa per l'ambiente promossa dalle multinazionali dell'agrochimica;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda chiarire quanto viene descritto in premessa, al fine anche di spiegare se nel dibattito europeo la posizione del nostro Paese sia condivisa e come questa si concilii con la posizione assunta tempo addietro di contrarietà all'immissione e all'utilizzo di Ogm.
(2-01644) «Zaccagnini».

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per le adozioni internazionali, essendo l'unico organismo titolato ad autorizzare in Italia l'ingresso di minori adottati all'estero, svolge un ruolo di primario interesse per le famiglie in attesa di vedere completato il percorso di adozione;
   stando alle notizie pubblicate dagli organi di stampa, le famiglie adottanti, in questi giorni, si sono riunite in associazioni spontanee per manifestare contro il Governo che, ad oggi, non ha provveduto ancora ad assegnare la delega politica per l'esercizio delle funzioni di presidente della commissione;
   secondo indiscrezioni pubblicate dalla stampa, sembrerebbe che la mancata delega sia dovuta anche ad uno scontro politico-istituzionale tra l'ex presidente della commissione, il Ministro pro tempore Boschi, e la vice presidente attuale;
   secondo gli interroganti è intollerabile questo ritardo nell'individuare il soggetto chiamato a svolgere effettivamente il ruolo di presidente della commissione, quando il tema meriterebbe una particolare attenzione finalizzata ad individuare una linea programmatico-politica mirata a ridurre i tempi di attesa e a semplificare e razionalizzare i costi legati alla procedura –:
   per quali ragioni non si sia ancora proceduto a delegare l'esercizio delle funzioni di presidente della Commissione per le adozioni internazionali e quale sia la linea programmatico-politica del Governo in materia di adozioni, al fine di velocizzare i tempi, semplificare le procedure e razionalizzare i costi a carico delle famiglie. (3-02767)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il pronto soccorso ospedaliero è la struttura che garantisce il trattamento esclusivo delle emergenze-urgenze, ovvero di quelle condizioni patologiche, spontanee o traumatiche, che necessitano di immediati interventi diagnostici e terapeutici, cui ci si rivolge, o meglio, ci si dovrebbe rivolgere solo per problemi acuti urgenti e non differibili al giorno dopo o risolvibili dal medico di base, dal pediatra di libera scelta o ai medici della continuità assistenziale (ex guardia medica);
   le prestazioni che il pronto soccorso può offrire sono incluse nei livelli essenziali d'assistenza, le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto per legge fornire a tutti i cittadini, i quali vengono poi declinati a livello dalle singole regioni;
   in Sicilia il ritardo nel completamento delle procedure di riordino della rete ospedaliera ed in particolare il ritardo nella stabilizzazione del personale afferente ai pronto soccorso sta portando al collasso, con particolari picchi registrati negli ultimi mesi invernali, tutto il sistema dell'emergenza-urgenza della regione e generando sempre più frequenti e preoccupanti episodi di aggressione nei confronti di medici ed operatori sanitari;
   per quanto concerne specificatamente l’escalation delle aggressioni nei confronti dei medici, secondo i sindacati di categoria, il fenomeno sarebbe fondamentalmente riconducibile al sovraffollamento del pronto soccorso che predispone alla conflittualità per la promiscuità che si viene a creare e per l'allungamento delle attese;
   a riprova della situazione caotica e preoccupante, preme ricordare che l'ultima ispezione a tappeto dei Nas in 200 nosocomi della penisole tra il 15 dicembre e la fine delle festività di fine anno, ha rilevato il dato comune che i pronto soccorso sarebbero intasati quasi ovunque, soprattutto nelle grandi città;
   in proposito, non può che richiamarsi la raccomandazione del Ministero della salute n. 8 del novembre 2007, volta a monitorare i casi di violenza e ad assumere iniziative per scongiurarli, che sostanzialmente risulterebbe esser stata ignorata dalle aziende sanitarie negli ultimi anni;
   una nota del gruppo parlamentare del Movimento cinque stelle siciliano ha rilevato 47 casi di violenza in 5 anni, 15 solo nel 2016. I dati cui si fa riferimento fotografano senz'altro una situazione preoccupante e in costante peggioramento, se si pensa che nel 2012 c’è stata solo un'aggressione e nel 2013, 4;
   il sindacato dei medici ospedalieri Cimo ha depositato in Commissione sanità all'Assemblea regionale siciliana un corposo dossier con numeri e dati che fotografano lo stato di crisi dei pronto soccorso siciliani;
   in esso sono dettagliatamente illustrati i motivi alla base dei fatti di violenza negli ospedali siciliani. Per sintetizzare, la violenza a volte – esclusi casi specifici – sarebbe il frutto di un'inefficienza generale del sistema determinata dalle condizioni di sovraffollamento;
   il sovraffollamento dei pronto soccorso a sua volta sarebbe dovuto al «blocco dell'uscita, cioè l'impossibilità – si legge nel dossier – di ricoverare i pazienti nei reparti degli ospedali per indisponibilità di posti letto, dopo il completamento della fase di cura in Pronto Soccorso; si tratta pertanto – prosegue il report – di un problema dei sistemi sanitari che si manifesta nei dipartimenti di emergenza, ma trova la sue origini all'esterno di essi. Tale situazione – prosegue il dossier – dà origine al cosiddetto fenomeno del “boarding” che può essere definito come la permanenza inappropriata in area di emergenza di pazienti in attesa di ricovero, con elevati bisogni assistenziali ed in grado di assorbire notevoli risorse umane, logistiche ed organizzative, che dovrebbero più opportunamente essere dedicate alle attività di front line»;
   non c’è dubbio che la riduzione di 70 mila posti letto negli ultimi 10 anni è la principale causa di quanto oggi accade. La sanità italiana, ancorata ad una filosofia «ospedalocentrica», esibisce niente di meno che 3,7 posti letto per 1000 abitanti, ponendosi a fanalino di coda dell'Europa (quasi il doppio in Francia e quasi il triplo in Germania). In tali condizioni anche un lieve incremento della domanda di posto letto per ricovero, ad offerta costante, determina la paralisi del sistema;
   la programmazione regionale, d'altro canto, non sembra aver tenuto conto della domanda appropriata di ricovero da pronto soccorso, operando una distribuzione dei posti letto non tarata sui volumi di attività delle diverse aree di emergenza – come emerge dall'analisi dei dati di attività dei pronto soccorso contenuta nel dossier;
   risulterebbero, inoltre, responsabilità gestionali aziendali nella diffusa presenza di Drg ad alto rischio di inappropriatezza tra i ricoveri ordinari programmati di quasi tutte le aziende con il risultato di uno spreco della esigua risorsa «posto letto» altrimenti utilizzabile per consentire i ricoveri dei rispettivi pronto soccorso sovraffollati –:
   se il Ministro interpellato non reputi assolutamente improcrastinabile assumere ogni iniziativa di competenza volta verificare la situazione di stallo in cui versano pronto soccorso siciliani – mettendo essa a repentaglio l'incolumità di numerosi pazienti e medici, questi ultimi sempre più spesso vittime di personali aggressioni – e a garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
(2-01641) «Di Vita, Silvia Giordano, Mantero, Lorefice, Grillo, Nesci, Colonnese, Nuti, Di Benedetto, Lupo, Mannino, Baroni».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   rispondendo a precedenti atti di sindacato ispettivo, il Ministro interrogato segnalava l'esistenza del registro dei donatori di gameti e la completa tracciabilità delle donazioni, garantendo interventi in caso di sospetti;
   un'inchiesta, pubblicata da Corriere.it il 28 dicembre 2016, solleva ora pesanti sospetti sull'importazione di gameti per la fecondazione eterologa delle regioni italiane;
   il giornale segnala la moltiplicazione di ovobanche in Spagna e pubblicità contenenti messaggi espliciti: «Diventa donatrice di ovociti. La tua generosità sarà ricompensata»;
   a Marbella opera Ovobank, prima banca di ovociti in Europa e principale punto di riferimento degli ospedali italiani. Alla data dell'inchiesta, Ovobank vantava 40 contratti attivi e 20 in attesa di sottoscrizione. Nelle richieste dall'Italia vengono specificate le caratteristiche delle richiedenti, utili a selezionare la donatrice più compatibile dal punto di vista immunologico e fisico. Secondo i responsabili, Ovobank riceverebbe 100-150 richieste dall'Italia al mese;
   il lavoro più difficile è trovare le mujeres donantes che, secondo la coordinatrice di Ovobank, «vengono sottoposte a visita psicologica, ginecologica e analisi del sangue. Quando va a segno l'abbinamento (...) la donatrice si sottopone a un trattamento ormonale di 10-15 giorni, con punture nella pancia (...). La giovane viene contemporaneamente una decina di volte alla clinica per i controlli ecografici». Infine, arriva il momento del prelievo vero e proprio, con anestesia e intervento chirurgico laparoscopico;
   per questa procedura, impegnativa e pericolosa, non si trovano donne disponibili in Italia. In Spagna se ne trovano molte, per la modica cifra di mille euro, che sarebbero elargiti non come compenso, vietato, ma come rimborso spese per i disagi;
   mentre la sanità italiana fatica a sostenere l'essenziale e l'Italia retrocede nelle classifiche, l'eterologa è entrata nei livelli essenziali di assistenza e le regioni pagano a Ovobank 4.000 euro a gamete, da moltiplicare per sei per ogni ricevente, per un totale di 24.000 euro a ricevente per i soli ovociti;
   nell'articolo si chiarisce che sarebbero 1.300 le donatrici collegate a Ovobank, nei cui laboratori verrebbero prelevati circa 8.000 gameti all'anno, dei quali il 60 per cento diretto in Italia. Sembrerebbe che ogni donatrice si sottoponga a 6 prelievi all'anno, non per guadagnare 6.000 euro, ma per «spirito di solidarietà», virtù molto diffusa in Spagna e irreperibile in Italia –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta ad assicurare controlli adeguati, anche in ambito europeo, per impedire forme di sfruttamento del corpo femminile.
(3-02769)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Augusta è presente un presidio ospedaliero denominato «Emanuele Muscatello» che serve anche i cittadini di città limitrofe, quali Melilli, Priolo Gargallo e Sortino;
   gli interventi del governo regionale per la rimodulazione degli ospedali siciliani sono stati molteplici e hanno portato gravi ripercussioni su quello di Augusta, nonostante sul territorio siano presenti impianti a rischio incidente rilevante (facenti parte di un importantissimo polo petrolchimico), l'arsenale della Marina militare, una casa circondariale e un porto di rilevanza europea;
   con il piano sanitario regionale 1277 del 2010, infatti, l'ospedale è stato incorporato a quello di Lentini, con la soppressione di reparti essenziali, a fronte della promessa di apertura dei nuovi reparti di oncologia e neurologia, a tutt'oggi praticamente non operativi;
   in un territorio pesantemente colpito dall'inquinamento del polo petrolchimico e un tasso di mortalità derivata da tumore superiore alla media regionale, la creazione di un polo oncologico di eccellenza è considerato dalla popolazione un atto dovuto e la sua mancata realizzazione ad avviso degli interroganti un affronto inaccettabile;
   dal 2010 ad oggi sono state molte le manifestazioni cittadine a difesa del diritto alla salute e sia diversi comitati spontanei che il tribunale dei diritti del malato hanno chiesto la scorporazione dell'ospedale Muscatello da quello di Lentini, il ripristino dei vecchi reparti e la piena operatività di quelli nuovi;
   il 5 ottobre 2015 il consiglio comunale di Augusta ha votato all'unanimità una mozione di indirizzo (deliberazione n. 38 del 2015) con cui si è impegnata l'amministrazione comunale a chiedere, tra i diversi impegni: l'attuazione del polo oncologico con assegnazione dell'unità operativa; il potenziamento del reparto di endoscopia digestiva con l'assegnazione di nuovo personale; lo sblocco dei fondi previsti dall'articolo 20 della legge n. 67 del 1988 (edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico) destinati all'azienda sanitaria provinciale di Siracusa in cui rientra la quota parte per l'ospedale di Augusta, finalizzato agli interventi manutentivi e tecnologici;
   appare quanto mai urgente l'ipotesi di attingere ai fondi previsti dal citato articolo 20 della legge n. 67 del 1988 per un miglioramento complessivo della struttura e dei servizi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e, in caso positivo, quali iniziative intenda assumere per verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, acquisendo ogni utile elemento sulle cause che impediscono la piena operatività dell'ospedale Muscatello di Augusta e il ripristino dei reparti soppressi, rendendo noti a quanto ammontino i fondi di cui in premessa, se siano mai stati utilizzati e, in caso affermativo, per quali finalità. (3-02770)


   MONCHIERO e VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, in corrispondenza dell'inevitabile picco di influenza, le cronache ci rappresentano lo scenario di pronto soccorso sovraffollati, ove gli utenti vengono assistiti in condizioni di gravissimo disagio;
   ha destato particolare sensazione il caso di Nola, con le immagini di pazienti assistiti su materassi adagiati per terra, in una sorta di anticamera infernale prima di ricevere le cure più appropriate;
   a questo caso estremo la risposta delle autorità è andata in due direzioni opposte: da un lato, l'immediata sospensione dei medici responsabili della struttura, decisa dalla regione, dall'altro, il riconoscimento delle virtù e dell'abnegazione del personale sanitario, da molti definito «eroico». Risposte entrambe eccessive e che eludono la sostanza del problema, ben più diffuso di quanto comunemente non si ritenga;
   è, infatti, di pochi giorni fa la notizia, riportata dalla stampa locale, che nella città di Alba, in Piemonte, una persona molto nota per il suo passato di sindaco e di presidente della locale associazione commercianti abbia trascorso, in pronto soccorso, un paio di giorni in barella, prima dell'indispensabile ricovero;
   aldilà dell'attendibilità dei dettagli delle notizie riportate, è di assoluta evidenza che le soluzioni sino ad oggi tentate, per superare l'annoso problema dell'intasamento delle strutture destinate all'emergenza-urgenza, non hanno dato i risultati sperati e che il numero degli accessi in pronto soccorso corrisponda, da tempo, a circa il 40 per cento della popolazione;
   è pertanto indispensabile approfondire la conoscenza del fenomeno e acquisire, accanto al numero di accessi e alla loro classificazione al triage, anche dati certi circa la durata dello stazionamento in pronto soccorso prima del ricovero vero e proprio –:
   se esistano dati attendibili, inerenti alla durata media e a quella massima della permanenza in pronto soccorso, per tutte le strutture d'Italia e, qualora il dato non fosse disponibile, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per acquisirlo in tempi brevi. (3-02771)


   ZOLEZZI, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, NESCI, COLONNESE, DI VITA, DALL'OSSO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   altri atti di sindacato ispettivo segnalavano la situazione della struttura complessa di oncologia dell'azienda socio-sanitaria territoriale «Carlo Poma» di Mantova e richiedevano, fra l'altro, un'ispezione, avvenuta nel settembre 2016, e di cui si attendono gli esiti;
   la procura di Mantova ha avviato un'indagine sulla base di un esposto delle dottoresse Pisanelli e Adami e il primario della struttura complessa Cantore è stato iscritto nel registro degli indagati;
   da notizie di stampa emerge che l'utilizzo di farmaci oncologici codificati da linee guida internazionali (come pemetrexed, lenalidomide, capecitabina e altri) sia stato ridotto in maniera drastica nel primo periodo di conduzione del reparto da parte del dottor Cantore, per poi risalire dopo le segnalazioni delle due dottoresse alla direzione aziendale;
   il dottor Cantore già nel reparto di precedente conduzione, l'oncologia di Massa Carrara, ha stimolato l'utilizzo di una pratica, definita «terapia locoregionale», di somministrazione di farmaci oncologici, che appaiono agli interroganti di vecchia generazione, per via vascolare locale relativamente all'organo bersaglio (fegato, mammella e altri);
   sulla piattaforma delle buone pratiche aziendali (Talete) sono state pubblicate le linee guida, seguite dalla citata struttura complessa, per quanto riguarda il trattamento del cancro del pancreas. La bibliografia appare agli interroganti autoreferenziale e non aggiornata: studi osservazionali non controllati, revisioni limitate, studi di fase 1 e uno di fase 3 non in cieco e che parrebbero in contrasto con la metodologia internazionale Consort. Nessuna delle voci riportate compare nelle linee guida Asco (American society of clinical oncology);
   nella comunità medica internazionale per linee guida si intendono raccomandazioni la cui «forza» si basa su una gerarchia di prove scientifiche (Rct, trials randomizzati e controllati e relative metanalisi);
   sia nel caso del cancro del pancreas localmente avanzato che metastatico, il Journal of clinical oncology dell'agosto 2016 non fa alcun riferimento a terapia locoregionali in arteria. Tale procedura presenta caratteri economici particolari, un importante guadagno per la struttura che la pratica (per il rimborso delle procedure invasive e di radiologia interventistica) e una scarsa spesa sui farmaci da somministrare –:
   se non ritenga utile promuovere, anche avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità, studi sulla somministrazione di farmaci oncologici per via locoregionale, in modo tale da promuovere una valutazione autorevole di tali procedure mediche in corso presso l'azienda socio-sanitaria territoriale «Carlo Poma» di Mantova e chiarire dal punto di vista strettamente sanitario tutte le questioni relative alla citata struttura complessa, con possibili risvolti positivi anche a livello nazionale.
(3-02772)


   PETRENGA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Caserta, nella località di Casagiove, operava sino a due anni fa un ospedale militare;
   l'immobile, appartenente al demanio militare, che ospitava la struttura ospedaliera dismessa versa in uno stato di grave abbandono e appare quanto mai necessario trovare una nuova destinazione d'uso agli edifici;
   per il territorio sarebbe di primaria importanza mantenere la vocazione sanitaria della struttura, destinandola a centro di eccellenza nei settori della chirurgia oncologica e dell'oculistica e a centro riabilitativo per pazienti in coma, specialità che mancano –:
   se non ritenga di adottare ogni iniziativa di competenza volta al mantenimento della vocazione sanitaria della struttura di cui in premessa, affinché essa possa ospitare reparti medici specialistici carenti nel territorio casertano. (3-02773)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in data 5 marzo 2013 la Commissione europea ha richiesto informazioni alle autorità italiane sulla disciplina contenuta nei commi 16, 16-bis e 16-ter dell'articolo 8 del decreto-legge n. 158 del 2012 (EU PILOT 4738/2013/ENTR) rilevando, tra l'altro, che facendo riferimento al succo naturale, senza più far riferimento alle altre alternative di succo «concentrato», «liofilizzato» o «sciroppato», la normativa introduceva un'indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento (direttiva 2001/112/UE);
   al fine di far fronte ai rilievi mossi dalla Commissione europea, in base ai quali le bevande analcoliche con il nome di uno o più frutti devono essere commercializzate con un contenuto di succo naturale non inferiore al 20 per cento e per rispondere ai rilievi formulati, l'articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis), ha innovato la disciplina sulla produzione di bevande vendute con il nome dell'arancia a succo;
   il citato articolo 17, comma 1, prevede che le bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell'arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 grammi per 100 centilitri o dell'equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere;
   tale limite si applica esclusivamente alle bevande commercializzate nel mercato nazionale, mentre ne sono escluse quelle destinate al mercato degli altri Stati dell'Unione europea o degli altri Stati contraenti l'Accordo sullo spazio economico europeo, nonché quelle verso Paesi terzi;
   lo stesso articolo, al comma 3, stabilisce che tale obbligo entri in vigore a decorrere dal dodicesimo mese successivo al perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea ai sensi della direttiva 98/34/CE, di cui dare notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   la norma tecnica è stata notificata alla Commissione europea, tramite l'ufficio centrale di notifica del Ministero dello sviluppo economico, e il periodo di «stand still» risulta essere terminato il 5 gennaio 2015, senza alcuna reazione da parte della Commissione europea;
   poiché la richiamata direttiva europea non prevede necessariamente l'emanazione di un provvedimento esplicito da parte della Commissione europea, è da ritenersi che, decorsi inutilmente i termini, sia possibile dare attuazione alla norma tecnica di cui al citato articolo 17 della legge n. 161 del 2014 –:
   se intenda valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa utile a confermare la piena efficacia delle citate disposizioni della legge europea 2013-bis, dando notizia, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, dell'esito positivo della procedura di notifica alla Commissione europea come previsto dal comma 3 dell'articolo 17 della legge 30 ottobre 2014, n. 161.
(2-01643) «Oliverio, Sani, Antezza, Anzaldi, Battaglia, Berlinghieri, Boccadutri, Bonomo, Bruno Bossio, Burtone, Capone, Carra, Currò, Dal Moro, Di Gioia, Falcone, Famiglietti, Ferrari, Fiorio, Fusilli, Garofani, Ginoble, Iacono, Tino Iannuzzi, Lodolini, Losacco, Manciulli, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mongiello, Montroni, Nardi, Pagani, Palma, Piccione, Salvatore Piccolo, Pinna, Rigoni, Sanga, Taricco, Terrosi, Tentori, Venittelli, Vico».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2017, nella pagina dedicata alla provincia di Bologna del sito www.repubblica.it, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Bancarotta Mercatone Uno, perquisizioni a Bologna: indagati i fondatori» a firma Enrico Miele;
   secondo il pezzo già citato «Sono accusati di aver “depredato” per quasi dieci anni il gruppo Mercatone Uno, da loro stessi fondato. Il valore della frode a loro contestata è di 300 milioni di euro. Ora i soci storici, con in testa Romano Cenni e Luigi Valentini, sono indagati per bancarotta fraudolenta assieme ad altre otto persone (in buona parte loro familiari) [...]»;
   sempre secondo l'articolo di La Repubblica, tali indagini sarebbero partite da segnalazioni effettuate dagli stessi commissari straordinari (che da quasi due anni stanno amministrando il gruppo Mercatone Uno) al fine di evitare ulteriore dispersione di beni già di pertinenza delle imprese in amministrazione straordinaria;
   non si hanno notizie sicure circa la pubblicazione del secondo bando previsto dall'amministrazione straordinaria;
   nell'invito a manifestare interesse per la cessione del complesso aziendale e delle attività del gruppo Mercatone Uno in amministrazione straordinaria si può leggere come «ai fini della prosecuzione delle attività produttive delle società e, in ossequio a quanto previsto dall'articolo 8 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, alla redazione del programma di cui all'articolo 54 D.Lgs. n. 270/99 secondo gli indirizzi di cui all'articolo 27 del medesimo decreto legislativo, i Commissari Straordinari intendono procedere ad una prima valutazione dei soggetti interessati alla cessione di diritti, partecipazioni ed aziende o rami delle stesse ivi incluse le partecipazioni detenute nelle società [...] CVE S.r.l. [...]»;
   come si apprende dall'articolo pubblicato in data 19 gennaio 2017 sul sito www.ilfattoquotidiano.it, «[...] tra il 2012 e il 2014, [...] secondo l'accusa Cenni e Valentini (ex proprietari Gruppo Mercatone) smontarono la struttura delle società estere e riportarono il patrimonio immobiliare del gruppo alla società Cve, da loro stessi controllata e che ha continuato finora a incassare i canoni di locazione dalle società del gruppo Mercatone Uno. Secondo la Guardia di finanza gli indagati, tramite le loro società lussemburghesi e in seguito la Cve (ora sotto sequestro preventivo), hanno incassato negli anni canoni di locazione in maniera indebita per almeno 100 milioni di euro [...] –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se siano disponibili informazioni certe riguardo alla tempistica con la quale dovrebbe essere pubblicato il secondo bando per le dichiarazioni di interesse del gruppo Mercatone Uno;
   se lo stesso bando terrà conto del sequestro da parte dell'autorità competente della CVE s.r.l. (con la conseguente diminuzione di valore dell'intero gruppo), di cui il gruppo Mercatone Uno possiede quote, e di quale entità possa essere considerato il valore di CVE s.r.l. prendendo in considerazione che a capo di essa possono essere ricondotte le proprietà di diversi immobili del gruppo stesso;
   se il potenziale danno al patrimonio del gruppo causato, secondo le tesi investigative dei magistrati competenti, dai fondatori del gruppo stesso possa aver avuto ricadute sul lavoro di ristrutturazione dei commissari straordinari e per quale entità. (5-10503)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane ha pubblicato l'elenco dei comuni interessati dalla fase III della riorganizzazione, e nella provincia di Viterbo si parla di 52 comuni su 60. Negli uffici postali sono apparsi gli avvisi della nuova modalità di recapito a giorni alterni ed anche, nella nota apparsa sul sito di Poste Italiane, si parla di «ottimizzazione dei processi di lavorazione della corrispondenza», annunciando che a partire da febbraio 2017 sarà avviata l’«implementazione graduale del nuovo modello di recapito» che entrerà a regime entro aprile;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n. 261 del 1999, come modificato dall'articolo 1, comma 276, della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015), e della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) n. 395/15/CONS, in un'ottica di ottimizzazione dei processi di lavorazione della corrispondenza, a partire dal mese di febbraio 2017, sarà progressivamente implementato in ulteriori aree del territorio il nuovo modello di recapito a giorni alterni – fase III, già avviato in alcune località da ottobre 2015 (Fase I) e da aprile 2016 (Fase II);
   come denunciato da diversi sindaci, con il provvedimento in esame di fatto vengono accorpate le zone e dimezzati i postini, con conseguenza che la posta verrà consegnata a giorni alterni, il che ha creato forti disagi per l'utenza, nonché la perdita di numerosi posti di lavoro. Nei territori dove è già in atto tale politica, si sono infatti registrati forti disagi a causa dell'accumularsi della posta e delle difficoltà che hanno i portalettere per smaltirla;
   sono già state denunciate situazioni in cui la posta è stata consegnata, specialmente nelle realtà più periferiche, una volta ogni cinque o dieci giorni;
   la Commissione europea ha inviato una lettera all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, definendo il diritto alla comunicazione tra cittadini un obbligo, al quale Poste può venire meno solo «in circostanze o situazione geografiche eccezionali»;
   a fronte di questa situazione, molti sindaci hanno scritto al Governo ed a Poste Italiane, denunciando disagi e criticità del provvedimento e chiedendo ai vari soggetti interessati di rivedere il provvedimento e garantire un servizio adeguato;
   l'interrogante condivide l'opinione di molti sindaci secondo i quali questa decisione del Governo e di Poste Italiane avrà di fatto una ricaduta più negativa verso le fasce più deboli della popolazione, cioè gli anziani e coloro che hanno bisogno di servizi di prossimità, ma non solo –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per modificare una normativa che per l'interrogante si rivela tanto discriminatoria per intere fasce della popolazione e realtà del sistema produttivo nazionale;
   in quale modo il provvedimento di cui in premessa possa considerarsi rispettoso dei valori richiamati dalla lettera inviata dalla Commissione europea e se non ritenga che possa sussistere il rischio di incorrere in sanzioni da parte della Unione europea;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché possa realizzarsi un confronto tra Poste italiane e le istituzioni locali, in particolar modo le piccole realtà che, a fronte di una eccessiva razionalizzazione, si vedono mettere in discussione un servizio fondamentale per la sopravvivenza stessa dei piccoli centri storici in modo tale da risolvere le criticità sopra evidenziate. (4-15472)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 dicembre 2015, il Ministro dello sviluppo economico pro tempore Guidi, e l'amministratore delegato di Poste Italiane, Caio, hanno sottoscritto il contratto di programma 2015-2019 che regola i rapporti tra lo Stato e la Società per la fornitura del servizio postale universale;
   il contratto, entrato in vigore il 1o gennaio 2016, all'articolo 1, comma 2, «regola i rapporti tra lo Stato e Poste Italiane nel perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica che prevedono la fornitura di servizi al cittadino, alle imprese e alle Pubbliche amministrazioni mediante l'utilizzo della rete postale della società»;
   il regolamento recepisce la legge n. 190 del 2014, che stabilisce come «gli obiettivi percentuali medi di recapito dei servizi postali universali sono riferiti al recapito entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello di inoltro nella rete pubblica postale, salvo quanto previsto per gli invii di posta prioritaria»;
   l'accordo richiama la necessità di «adeguare i livelli di servizio alle mutate esigenze degli utenti in funzione dei mutamenti intervenuti nel contesto tecnico, economico e sociale, al fine di tener conto della sostenibilità economica e finanziaria della fornitura dei servizi, compatibilmente con i bisogni dei consumatori e della collettività»;
   la carta del servizio postale universale di Poste Italiane è redatta in conformità all'articolo 12 del decreto legislativo n. 261 del 1999, ed alle delibere dell'Autorità di regolamentazione del settore postale n. 184/13/CONS e n. 413/14/CONS e al capitolo «Obiettivi di qualità/Tempi di consegna» per l'Italia indica quattro giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 90 per cento dei casi e la consegna in sei giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 98 per cento dei casi;
   Il Piccolo di Trieste, nell'articolo del 27 gennaio 2017, ha riportato la notizia dei ritardi di consegna della posta nella provincia di Trieste che avviene «a giorni alterni». Un addetto ai recapiti ha dichiarato che «inizialmente, questo metodo di consegna della corrispondenza era stato pensato per le zone rurali quelle aree isolate, come possono essere le comunità montane, dove non è necessario, o comunque è antieconomico, consegnare la posta ogni giorno. La mole di lavoro che prima spettava a due portalettere, adesso grava sulle spalle di un solo dipendente. Il personale destinato alla consegna della posta è stato quasi dimezzato, fra prepensionamenti e cambi di mansione. La consegna a giorni alterni, inoltre, ha fatto in modo che un postino non riesca a passare nella stessa via più di una o due volte a settimana»;
   il quotidiano, in ultimo, ha evidenziato come «se è vero che non vengono più spedite fatture, cartoline di auguri o di saluti dai luoghi di villeggiatura, è altrettanto vero che sono aumentate le spedizioni di bollette e di pacchi di ogni genere. Tanto più che Amazon, una delle più grandi aziende legate al commercio elettronico, ha stretto un accordo con le Poste Italiane per la consegna dei propri prodotti. Questo «meccanismo perverso» finisce per creare dei disagi agli utenti, ai privati cittadini o alle aziende che si trovano a dover fare i conti con un sistema che, a questo punto, è diventato assolutamente imprevedibile»;
   Poste Italiane ha replicato, attraverso una nota stampa, informando che «la nuova organizzazione del recapito attuata a Trieste, a partire dal 7 novembre 2016, ha ridefinito le zone di recapito affidate a tutti i portalettere della provincia, con la conseguente necessità di acquisire nuova dimestichezza con gli indirizzi di famiglie, imprese, enti e associazioni. Diamo tempo ai postini di imparare le nuove vie (...) il nuovo modello organizzativo fa parte di un processo di profonda riforma del servizio postale universale, in linea con le nuove e diverse esigenze della clientela, sia in termini di velocità, che in termini di frequenza di recapito». I disservizi, inoltre, sarebbero coincisi con «un periodo, quello di fine anno, durante il quale i volumi si intensificano e con delle avverse condizioni meteorologiche che hanno ostacolato, anche per motivi di sicurezza degli operatori, il funzionamento del servizio di recapito che nelle prossime settimane potrà essere normalizzato» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, di competenza, intenda intraprendere per evitare in futuro il ripetersi di tali disservizi ai danni dei cittadini, per garantire la continuità del servizio postale e, soprattutto, come intenda garantire ai cittadini un servizio di qualità;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire il servizio postale universale e il pieno rispetto del contratto di programma 2015-2019, firmato dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore Guidi e da Poste Italiane il 15 dicembre 2015. (4-15484)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Amato e altri n. 1-01498, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-13288 del 24 maggio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Petrenga n. 5-09741 del 12 ottobre 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Fragomeli n. 5-10108 del 12 dicembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-15111 del 10 gennaio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Andrea Maestri n. 4-15294 del 20 gennaio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Garofalo n. 4-15432 del 1o febbraio 2017.