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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 6 febbraio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (Cmv) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, conosciuti per la loro distribuzione ubiquitaria, sia nell'uomo che in molti mammiferi. Tutti i ceppi di citomegalovirus sono geneticamente omologhi, ma nessuno è identico, a meno che non sia stato isolato da casi collegati fra loro epidemiologicamente;
    la malattia è strettamente specie-specifica: l'uomo è la sola riserva. Non si conoscono vettori nel ciclo naturale di trasmissione. I Cmv, caratteristici di altre specie, sono ad esse limitati e non diffondono all'uomo. Gli aspetti importanti dell'infezione da Cmv negli umani, sono: la capacità del virus di distruggere le cellule dell'ospite, la capacità di infettare cellule e tessuti diversi e di evadere e interferire con i meccanismi di difesa dell'ospite e la capacità di persistere indefinitamente nelle cellule;
    il Cmv è un agente infettivo molto diffuso a livello globale e in tutti gli strati sociali della popolazione. In generale, si registra una maggiore diffusione nei Paesi in via di sviluppo e nelle aree caratterizzate da scarse condizioni socioeconomiche. Si calcola che la percentuale della popolazione mondiale entrata in contatto con il Cmv si attesti fra il 60 e il 90 per cento. I soggetti di sesso femminile in età fertile presentano una percentuale che va dal 35 al 90 per cento in termini di casi di infezione;
    da ormai circa 50 anni in tutto il mondo si tenta la realizzazione di un vaccino contro questa infezione. Gli studi sulla vaccinazione contro il Cmv iniziarono negli anni 70, ma è solo dal 2000 che, grazie ad un'analisi condotta dall’US Institute of Medicine, che posizionò il Cmv in cima alla lista di priorità per lo sviluppo di vaccini, si ebbe un forte impulso e coinvolgimento delle industrie farmaceutiche;
    una volta contratta l'infezione, il virus rimane generalmente latente, in uno stato «dormiente», all'interno dell'organismo per tutta la vita, senza causare disturbi gravi, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi. L'infezione si trasforma solo di rado in patologia – in genere in presenza di un sistema immunitario gravemente compromesso – potendo causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso;
    si riconoscono infezioni primarie e infezioni ricorrenti, dovute alla riattivazione di un'infezione latente o a una reinfezione esogena. Si ritiene che la sede della latenza virale sia rappresentata dai monociti, dai linfociti e dai neutrofili circolanti;
    la trasmissione del virus avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte. Il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasmissione madre-feto durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento, per trasfusioni e trapianti di organi infetti. La diffusione «orizzontale» dell'infezione richiede contatti stretti e prolungati con pazienti infetti. Gli oggetti possono avere un loro ruolo nella trasmissione del Cmv: il virus è stato ritrovato sulle superfici di plastica e in generale sui giocattoli, per ore dopo la sua emissione;
    con la diffusione dell'infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV), il Cmv si è dimostrato uno dei più frequenti agenti opportunisti nei pazienti immunocompromessi. Frequentissime sono, infatti, le infezioni da Cmv in soggetti affetti da Aids (sindrome dell'immunodeficienza acquisita) come in soggetti trapiantati in cui causano compromissione di organi vitali, gravi sofferenze, diminuita qualità di vita e a volte la morte. L'infezione da Cmv in malati di Aids è talmente frequente che, inizialmente, fu ritenuto che il Cmv fosse la causa prima dell'immunodeficienza acquisita e non un semplice agente opportunista;
    da un punto di vista medico, di particolare rilevanza è l'infezione congenita, contratta durante la gravidanza, che avviene per trasmissione verticale madre-feto e che può arrecare al nascituro danni permanenti anche gravi. È stato ipotizzato un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi di gravidanza. Si distingue un'infezione congenita «primaria», quando viene contratta per la prima volta durante la gravidanza da una donna precedentemente sieronegativa, e «secondaria» quando avviene per riattivazione del virus latente o per reinfezione da un nuovo ceppo in una donna che aveva già contratto l'infezione. Delle donne che acquisiscono il Cmv in gravidanza o che manifestano una riattivazione, solo una minoranza trasmette il virus al feto. Questo evento si verifica, anche nel nostro Paese, intorno all'1 per cento di tutte le gravidanze. Si stima che in Italia vi siano ogni anno 5.000 casi d'infezione congenita;
    statisticamente, il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento per la forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento per la secondaria, inoltre l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita risulta asintomatico. Tuttavia, il 10 per cento circa dei casi asintomatici presenta sequele tardive, generalmente con difetti uditivi di severità variabile. I soggetti sintomatici possono evidenziare disturbi temporanei o permanenti. In particolare, tra quelli temporanei si annoverano problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie, piccole dimensioni alla nascita e convulsioni. I sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme di invalidità quali sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte. Va ricordato che in alcuni bambini i sintomi, quali perdita dell'udito e della vista, possono comparire anche mesi o anni dopo la nascita. Circa due neonati ogni 1000 nati vivi soffrono per una infezione sintomatica congenita severa da Cmv;
    il virus può essere eliminato dall'organismo infetto anche per mesi o anni dopo un'infezione congenita, perinatale o post-natale precoce, attraverso le orine (per 6 o più anni) e la saliva (per 2-4 anni). Anche bambini o adulti dopo un'infezione primaria eliminano virus a lungo; negli adulti sieropositivi può avvenire un'escrezione intermittente di virus;
    attualmente non esiste un vaccino per la prevenzione del Cmv. Il modo migliore per limitare il rischio di contagio è un'attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia. In generale, la pulizia della casa e soprattutto delle superfici contaminate da fluidi corporei (come saliva, urina, feci, liquidi seminali e sangue) facilita la prevenzione del contagio;
    in Italia non è previsto lo screening del citomegalovirus né prima della gravidanza né nei nove mesi di gestazione e neppure dopo il parto. La mancanza di un programma di screening coordinato ha portato ad avere de facto uno screening spontaneo e disomogeneo nelle varie realtà regionali. In altri Paesi europei, fra cui Svizzera e Germania, sono in essere dei programmi di screening autorizzati pre e durante la gravidanza,

impegna il Governo:

1) a intraprendere e implementare, nell'ambito del piano nazionale della prevenzione, le azioni volte a fronteggiare e alleviare i problemi associati a questa patologia, in particolare:
   a) promuovendo anzitutto una corretta e capillare informazione sul citomegalovirus che spieghi effetti e indichi comportamenti e forme di prevenzione, considerato che con una corretta informazione le future madri possono abbattere significativamente il rischio di contrarre l'infezione da citomegalovirus;
   b) assumendo iniziative per ridurre il rischio di trasmissione da citomegalovirus attraverso una corretta profilassi, basata su basilari norme igieniche in grado di abbattere drasticamente il rischio d'infezione, riducendo i danni che la malattia può arrecare se contratta in periodo gestazionale;
   c) emanando linee guida nazionali in materia di screening per le donne in fase preconcezionale, in gravidanza e post parto;

2) a promuovere ed incentivare lo studio e la ricerca sul citomegalovirus al fine di disporre di strumenti diagnostici sempre più efficaci e di contribuire al coronamento degli sforzi di 50 anni di ricerche a livello mondiale per mettere a punto un efficace vaccino protettivo.
(1-01496) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Marti, Latronico».


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus molto comune appartenente alla famiglia degli herpes virus come la varicella, l’herpes labiale o il virus della mononucleosi. Nella grande maggioranza dei casi l'infezione è asintomatica, cioè chi la contrae non ha sintomi. In un 10 per cento dei casi si manifesta in modo simile all'influenza o alla mononucleosi. Negli adulti e nei bambini che contraggono l'infezione, i sintomi sono in genere lievi e generici, per esempio febbre, stanchezza, mal di gola, tanto che spesso non ci si accorge nemmeno della malattia. Chi si è già ammalato non è immune, quindi può nuovamente contrarre la malattia;
    il virus, però, può essere molto pericoloso se contratto in gravidanza, perché in questo caso può superare la placenta e può essere trasmesso al feto, con conseguenze che possono essere anche gravi. Il rischio di trasmissione varia a seconda che si tratti di una prima infezione, cioè se è la prima volta che la madre contrae la malattia, oppure di una re-infezione. Nel primo caso il rischio di trasmissione al bambino corrisponde a 3-4 casi ogni 10 gravidanze, mentre nel secondo caso la trasmissione è molto più rara e si verifica al massimo in 2 casi ogni 100 gravidanze. Per chi ha contratto l'infezione prima della gravidanza il rischio è molto basso e si stima che in Italia circa 8 donne adulte ogni 10 abbiano contratto la malattia prima della gravidanza;
    se la donna contrae per la prima volta il virus durante la gravidanza, c’è il rischio che anche il feto venga contagiato e in questo caso si parla di infezione congenita. Il rischio di trasmissione al feto varia dal 30 al 40 per cento, il che significa che su dieci bambini di madri che contraggono il citomegalovirus durante la gravidanza, 3 o 4 di loro lo contraggono a loro volta. Ma anche se il feto ha contratto il virus, non è detto che manifesti conseguenze a breve o a lungo termine. Di 10 bambini con citomegalovirus congenito solo 2 o 3 di loro avranno conseguenze;
    queste conseguenze però possono essere piuttosto serie. Possono riguardare il sistema nervoso centrale con malformazioni visibili anche in ecografia, oppure possono provocare ritardo mentale, sordità congenita, corio-retinite (una patologia della retina che provoca cecità): tutte condizioni non diagnosticabili in utero e delle quali ci si accorge solo dopo la nascita del bambino, a volte dopo mesi o anni;
    la probabilità che un bambino con citomegalovirus congenito manifesti una di queste disabilità è maggiore se già alla nascita aveva mostrato dei sintomi. Ma l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico e solo il 10-15 per cento circa di questi bambini mostra sintomi alla nascita, in particolare si tratta di problemi al fegato, alla milza, ai polmoni; oppure ci sono convulsioni, si nota un ritardo di crescita e altro;
    il virus quindi non passa sempre al bambino e, anche quando si trasmette, non è detto che abbia conseguenze. In definitiva, i problemi di salute si possono manifestare in media in 3-6 bambini ogni 100 in cui la madre contragga per la prima volta in gravidanza il citomegalovirus;
    per sapere se la madre ha contratto il citomegalovirus durante la gravidanza e questo si è trasmesso al bambino occorre fare un esame del sangue, che ricerca la presenza di anticorpi specifici (immunoglobuline) contro il virus. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline: le IgM, che si formano quando c’è un'infezione acuta in corso e segnalano che la malattia è in atto; le IgG, le cosiddette immunoglobuline della «memoria» dell'infezione. Se queste ultime risultano positive, vuol dire che la malattia è stata contratta in passato e quindi l'organismo ha sviluppato i relativi anticorpi;
    per sapere con certezza quando la madre abbia contratto il citomegalovirus si può eseguire il cosiddetto test di avidità (o avidity test) che permette di sapere se l'infezione si è avuta nei tre mesi precedenti la gravidanza oppure ancora prima;
    se appare ancora piuttosto controversa l'opportunità di uno screening di routine a tutti i neonati, si va invece diffondendo in ambito clinico la convinzione che sia molto utile fare uno screening in fase pre-concezionale o entro le primissime settimane di gravidanza, per sapere se si è già avuta la malattia;
    purtroppo, a oggi non esiste una terapia di dimostrata efficacia, né per prevenire la trasmissione materno-fetale né per scongiurare eventuali danni al bambino. E la prevenzione resta la strada più sicura per tutelare le madri durante la gravidanza, soprattutto nelle primissime fasi. Per limitare il rischio di infezione, le precauzioni più importanti sono di natura igienica;
    il citomegalovirus si trasmette tramite la saliva o semplicemente per via aerea, oltre che attraverso i liquidi corporei, come sangue e urine. Per questo il contagio è piuttosto facile, soprattutto se si hanno altri figli o si lavora in un ambiente dove ci sono bambini, bersaglio privilegiato dell'infezione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per facilitare la conoscenza dei rischi dell'infezione da citomegalovirus, in particolare tra medici di base, pediatri e ginecologi, attraverso una corretta e capillare informazione sulla patologia in questione, in modo da non sottovalutare i sintomi che spesso di presentano in forma molto lieve, ma non per questo meno insidiosa per il feto;
2) ad assumere iniziative per rafforzare la diffusione dei principi fondamentali della prevenzione improntati a una igiene corretta, in modo che si possano evitare o ridurre i danni che l'infezione da citomegalovirus può arrecare se contratta in gravidanza;
3) a stimolare lo studio e la ricerca del citomegalovirus per permettere una diagnosi precoce soprattutto nelle donne in gravidanza, e sviluppare strumenti sempre più efficaci per ridurre il rischio di trasmissione del citomegalovirus da madre a figlio;
4) ad assumere iniziative per favorire la prevenzione rendendo gratuito e obbligatorio lo screening per le donne in gravidanza al fine di ridurre i costi sociali di una diagnosi tardiva o di una cura inadeguata;
5) a garantire l'inserimento dei neonati positivi al citomegalovirus in programmi di controllo, che li accompagnino fino a quanto non abbiano maturato la negatività al virus (in media circa 10 anni);
6) ad assumere iniziative per predisporre presso l'Istituto superiore di sanità un registro nazionale dei casi di infezione da citomegalovirus, soprattutto di quelli che hanno contratto il virus durante la gravidanza o di quei bambini che sono risultati positivi al citomegalovirus alla nascita, affinché in un tempo congruo si possa sapere con precisione qual è l'incidenza di casi di infezione da citomegalovirus in Italia.
(1-01497) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (Cmv) è un virus molto comune e generalmente diffuso della famiglia degli Herpesvirus. Una volta contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    le infezioni da citomegalovirus, mentre nella maggior parte degli individui si presentano asintomatiche o con sintomi aspecifici quali febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi, negli individui immunodepressi possono causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso; l'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto può arrecare al bambino danni permanenti, anche gravi, con un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi;
    il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento nella forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento nella forma secondaria. L'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile, con possibili decorsi fluttuanti o progressivi. Il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti fino a forme di invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni o con esito letale;
    la rilevazione di anticorpi IgG contro il citomegalovirus su un campione di sangue indica un contatto con il virus, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio né l'eventuale trasmissione del virus al feto. Il test per rilevare gli anticorpi IgM, utilizzato per accertare le infezioni recenti, ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile senza l'integrazione con altri tipi di test. Un test utilizzato per risalire al periodo dell'infezione è il test di avidità delle IgG;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale. Per individuare in un neonato un'infezione congenita da citomegalovirus durante le prime tre settimane di vita si cerca di evidenziare la presenza del virus nelle urine, nella saliva e nel sangue. In caso di citomegalovirus congenita non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà esiti;
    non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita. I farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto. Alcuni farmaci antivirali possono aiutare a controllare l'infezione negli individui infetti;
    è difficile fare diagnosi retrospettive per cui molte disabilità non sono attribuite al citomegalovirus anche perché il virus può dare conseguenze tardive, avendo sintomi aspecifici, complicando ulteriormente l'inquadramento diagnostico,

impegna il Governo:

1) ad avviare una campagna informativa capillare, anche attraverso i consultori e i medici di medicina generale, per la conoscenza dei rischi di questa infezione e in particolare di quelli connessi alla interazione tra il citomegalovirus, la gravidanza e gli stati di depressione immunitaria anche transitori, sottolineando il ruolo delle comuni regole igieniche personali, in particolare il lavaggio delle mani, e degli ambienti domestici quali misure preventive alla trasmissione;
2) a promuovere lo studio del citomegalovirus, concorrendo alla ricerca per un vaccino specifico;
3) a predisporre un censimento nazionale dei casi per arrivare ad una precisa definizione dell'incidenza di infezioni;
4) a mettere a punto un programma di screening efficace sulle donne in età fertile e in gravidanza al fine di ridurre l'incidenza del citomegalovirus congenito ed i conseguenti costi sociali.
(1-01498) «Amato, Lenzi, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».


   La Camera,
   premesso che:
    il Citomegalovirus (Cmv) è un virus molto comune e diffuso a livello globale, appartenente alla famiglia degli Herpesvirus e può infettare chiunque. Contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso d'indebolimento del sistema immunitario;
    la sua trasmissione avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte o per trasfusioni e trapianti di organi infetti;
    molto spesso, le infezioni da Citomegalovirus sono asintomatiche; infatti, la maggior parte delle persone sane, adulti o bambini che contraggono la malattia, non manifesta sintomi, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi e tale sintomatologia potrebbe indurre i medici a compiere diagnosi errate;
    negli individui con un buon sistema immunitario il virus può essere tenuto sotto controllo; tuttavia, negli individui immunodepressi può causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso e l'aspetto più importante è rappresentato dalle infezioni congenite;
    il Citomegalovirus, può essere eliminato dall'organismo infetto dopo la prima infezione, ma possono servire mesi o addirittura anni; specialmente i bambini piccoli possono addirittura diffonderlo per 5-6 anni dopo la nascita;
    un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa da madre-figlio durante l'allattamento può arrecare danni permanenti anche gravi al bambino;
    l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico, il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile con possibili decorsi fluttuanti o progressivi;
    il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti. Tra quelli temporanei si segnalano in particolare problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie (cioè chiazze rosse sulla pelle corrispondenti a piccolissime emorragie), piccole dimensioni alla nascita e convulsioni;
    i sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme d'invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte;
    l'infezione materna viene classificata come primaria quando è acquisita per la prima volta durante la gravidanza in una donna precedentemente sieronegativa, e secondaria quando avviene per riattivazione del virus latente o per reinfezione da un nuovo ceppo in una donna che aveva già contratto l'infezione;
    il rischio di trasmissione al feto non sembra essere correlato al periodo gestazionale durante il quale viene contratta l'infezione. Si ipotizza però un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi di gravidanza;
    purtroppo a oggi non esiste una terapia di dimostrata efficacia, né per prevenire la trasmissione materno-fetale, né per scongiurare eventuali danni al bambino;
    un esame del sangue della donna in gravidanza indica un eventuale contatto, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio, né l'eventuale trasmissione del virus al feto;
    inoltre, il test per rilevare gli anticorpi IgM – utilizzato per accertare le infezioni recenti – ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale e, in caso di Citomegalovirus congenita, non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà sequele;
    per contrastare il Citomegalovirus non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione, né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita e i farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto;
    anche l'opportunità di uno screening di routine è ancora molto controversa, sia per il rischio di gravi conseguenze permanenti (percentuale bassa), sia perché, una volta individuata l'infezione, non ci sono al momento terapie efficaci per contrastarla. Per questo molti ginecologi preferiscono non prescrivere il test,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per sensibilizzare i medici ginecologi e le future madri affinché si sottopongano ad uno screening, in fase preconcezionale o al massimo entro le primissime settimane di gravidanza, in modo da accertarsi se è stato contratto in passato il virus;
2) a promuovere una campagna d'informazione sulle norme di prevenzione del virus e sullo screening preconcezionale;
3) a favorire lo studio e la ricerca del vaccino contro il Citomegalovirus;
4) ad assumere iniziative per ampliare e finanziare nuovi metodi di ricerca per una terapia efficace per la prevenzione della trasmissione materno-fetale del Citomegalovirus e per scongiurare eventuali danni al bambino.
(1-01499) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV), appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, è un virus comune da contagiare almeno tre adulti su cinque;
    le infezioni da citomegalovirus sono nella maggior parte degli individui asintomatiche, perché un buon sistema immunitario è in grado di tenerle sotto controllo, ma negli individui immunodepressi possono causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso;
    la maggior parte degli individui sani, adulti o bambini, che contraggono la malattia non manifesta sintomi e non si accorge dell'infezione, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi; una volta contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    l'aspetto più importante legato al citomegalovirus, dal punto di vista medico, è rappresentato dalle infezioni congenite;
    un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto può arrecare al bambino danni permanenti anche gravi;
    la trasmissione avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte;
    il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasmissione madre-feto durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento, per trasfusioni e trapianti di organi infetti;
    se contratto nei primi mesi di gravidanza può essere causa anche di serie disabilità nel neonato;
    tra l'uno ed il quattro per cento delle future mamme viene infettato e un terzo lo trasmetterà al figlio;
    la donna in gravidanza è bersaglio facile per i virus, poiché le difese immunitarie si abbassano per impedire un rigetto fetale;
    se il contagio del feto è precoce possono manifestarsi ritardi mentali, sordità o conio retinite;
    spesso la diagnosi è formulata solo quando l'ecografia ha già evidenziato danni al feto;
    il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento nella forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento nella forma secondaria;
    l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile, con possibili decorsi fluttuanti o progressivi. Il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti. Tra quelli temporanei si segnalano, in particolare, problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie, piccole dimensioni alla nascita e convulsioni. I sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme di invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte. In alcuni bambini i sintomi compaiono mesi o anni dopo la crescita, e in questi casi i più comuni sono la perdita dell'udito e della vista. La comparsa di disabilità permanenti è più probabile nei bambini che mostrano i sintomi già dalla nascita;
   lo screening precoce può essere fatto con un semplice esame del sangue; in Italia lo screening precoce non fa parte di linee guida condivise ed è ancora al centro di dibattito;
    non esiste attualmente un vaccino per la prevenzione del Citomegalovirus; il modo migliore per limitare il rischio di contagio è un'attenta igiene personale; più in generale, la pulizia della casa e soprattutto delle superfici contaminate da fluidi corporei (come saliva, urina, feci, liquidi seminali e sangue) facilita la prevenzione del contagio;
    alla luce delle attuali conoscenze lo screening di routine per citomegalovirus in gravidanza non è raccomandato, per vari motivi, fra cui principalmente: la mancata disponibilità di un trattamento preventivo o curativo efficace; la difficoltà nel definire un segno prognostico affidabile di danno fetale; la mancanza di consenso circa il management delle donne che presentano una sieroconversione in gravidanza; le potenziali conseguenze in termini di ansia indotta, perdite fetali iatrogene e aumentata richiesta di interruzione volontaria di gravidanza;
   negli Stati Uniti i Centers for Disease Control and Prevention nazionali raccomandano attenzione all'igiene, soprattutto quando si è a contatto con bambini di età inferiore ai 6 anni;
   con citomegalovirus congenito, anche in assenza di manifestazioni, il bambino resta infettivo per qualche anno e può trasmetterlo ad altri bambini;
    sono disponibili diversi test in grado di rilevare l'infezione da citomegalovirus;
    la rilevazione di anticorpi IgG contro il citomegalovirus su un campione di sangue indica un contatto con il virus, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio, cioè se l'infezione è in atto o risale al passato, molto utile in caso di gravidanza, né l'eventuale trasmissione del virus al feto. Nel caso in cui prima della gravidanza questo test risulti negativo, è importante che la donna presti particolare attenzione alle misure utili a evitare il contagio;
    il test per rilevare gli anticorpi IgM, utilizzato per accertare le infezioni recenti, ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile senza l'integrazione con altri tipi di test;
    un test utilizzato per risalire al periodo dell'infezione è il test di avidità delle IgG;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale. Per individuare in un neonato un'infezione congenita da citomegalovirus durante le prime tre settimane di vita si cerca direttamente la presenza del virus (e non degli anticorpi) nelle urine, nella saliva e nel sangue. In caso di citomegalovirus congenita non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà sequele;
    non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita. I farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto;
    alcuni farmaci antivirali possono aiutare a controllare l'infezione negli individui immunodepressi,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno per la ricerca sul citomegalovirus, nonché per sviluppare sistemi di diagnosi che consentano il rapido riconoscimento del virus;
2) a sviluppare iniziative dirette a informare i cittadini sui sintomi derivanti dal virus e sulle conseguenze della mancata o tardiva cura;
3) ad assumere iniziative per sensibilizzare gli operatori del settore medico-sanitario al fine di promuovere lo screening per le donne in gravidanza;
4) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno, anche economico, a favore delle famiglie dei bambini positivi al virus;
5) ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché le istituzioni e l'industria del farmaco adottino misure per promuovere l'innovazione e la ricerca e regolamentino la cooperazione e la condivisione di informazioni tra tutti i soggetti interessati.
(1-01500) «Gullo, Crimi, Occhiuto».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    in applicazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3253 del 2002, e successive proroghe, relativa agli eventi sismici del 31 ottobre 2002 nelle province di Campobasso e Foggia, è stata prevista, nei tre anni successivi, la sospensione del versamento dei contributi previdenziali per i soggetti residenti o aventi sede legale o operativa nei territori delle province interessate agli eventi stessi. Tale sospensione è stata applicata sia ai datori di lavoro privati e sia ai datori e dipendenti pubblici aventi sede legale ed operativa nei comuni individuati da ordinanze di protezione civile;
    in particolare, l'articolo 7 della predetta ordinanza ha stabilito la sospensione fino al 31 marzo 2003, in favore dei soggetti residenti, del versamento dei contributi di previdenza e di assistenza sociale e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti, nonché di quelli con contratto di collaborazione coordinata e continuativa;
    per lo stesso periodo sono stati sospesi i versamenti dei suddetti contributi;
   inoltre, è stato disposto che la riscossione dei suddetti contributi non corrisposti per effetto della sospensione, sarebbe avvenuta mediante rate mensili pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione stessa;
    in tale ambito, il presidente della regione Molise, commissario delegato, con il decreto n. 5 del 14 febbraio 2003 ed il decreto n. 7 del 19 febbraio 2003, ha esteso i benefici di cui sopra a tutti comuni della provincia di Campobasso. Con analogo provvedimento tali benefici sono stati previsti per 43 comuni della provincia di Foggia;
    le amministrazioni pubbliche interessate da tali provvedimenti, sin dall'inizio della loro emanazione hanno ritenuto applicabile anche al proprio personale la suddetta sospensione e, in previsione della riferita rateizzazione, avevano iniziato a recuperare in 288 rate le somme dovute dai lavoratori, tramite la relativa trattenuta nell'erogazione mensile della retribuzione stessa;
    successivamente, nel dicembre 2006, con l'entrata in vigore del comma 1-bis, dell'articolo 6 del decreto-legge n. 263 del 2006, introdotto in sede di conversione in legge di tale decreto a norma della legge n. 290 del 2006, è stato previsto che «la Legge 24 febbraio 1992, n. 225, si interpreta nel senso che le disposizioni delle ordinanze di protezione civile che prevedono il beneficio della sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi assicurativi si applicano esclusivamente ai datori di lavoro privati aventi sede legale ed operativa nei comuni individuati da ordinanze di protezione civile»;
    l'Inpdap, con la nota operativa n. 4 del 22 febbraio 2010 che richiamava antecedenti proprie note e circolari, ha individuato nei soli soggetti privati i destinata dell'ordinanza di protezione civile, decidendo dunque che il recupero dei contributi sospesi nei confronti dei pubblici dipendenti avvenisse in un'unica soluzione o, al più tramite pagamento dilazionato fino ad un massimo di 60 mesi, ossia entro il mese di maggio 2015;
    di fronte all'innovativo criterio di restituzione dei predetti contributi deciso dall'Inpdap, il tribunale di Campobasso, sezione lavoro, con la sentenza n. 731/12 ha accolto il ricorso proposto da vari lavoratori dipendenti da varie pubbliche amministrazioni ed ha imposto alle stesse di riscuotere le somme per contributi all'epoca non versati adottando la rateizzazione prevista dall'articolo 7 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, n. 3253 del 29 novembre 2002, ovvero in 288 rate. Ciò in quanto il principio di diritto applicabile alla fattispecie è quello della tutela del legittimo affidamento posto dai lavoratori all'epoca della vigenza della detta ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3253 del 29 novembre 2002, principio già più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato n. 5237/2011; TAR Lazio Roma n. 8388/2008; Tar Lazio Roma n. 4583/2011; Consiglio di Stato n. 7612/2004; Consiglio di Stato n. 6654/2004; TAR Lazio Roma n. 3672/ 2006; TAR Molise n. 1555/2012, T.A.R. Campania Napoli, n. 3297/2011, T.A.R. Calabria Catanzaro, n. 973/2011);
    attualmente l'Inps, nonostante i numerosi provvedimenti giudiziari confermativi del diritto dei lavoratori interessati alla restituzione dei contributi post sisma secondo le modalità originariamente formulate, sta chiedendo il recupero delle somme sospese con aggiunta delle sanzioni, in misura difforme da quanto previsto nella medesima ordinanza, con grave danno a carico dei lavoratori pubblici delle province di Campobasso e di Foggia (vedasi al riguardo la richiesta avanzata il 16 gennaio 2017 nei confronti del comune di Castelnuovo della Daunia od anche quella verso il comune di Torremaggiore il 3 ottobre 2016), esponendole tra l'altro ad inutili e costosi contenziosi;
    va fatto presente che con i criteri applicati oggi dall'Inps, le trattenute in busta paga dei dipendenti pubblici, con anche l'applicazione delle sanzioni, diventano molto superiori rispetto a quelle previste e stabilite dall'ordinanza iniziale (consistenti in circa 150-200 euro mensili a fronte dei 15-30 euro previsti), ed in tali circostanze i lavoratori interessati saranno loro malgrado costretti ad agire in sede di cautela, per bloccare i provvedimenti assunti dall'Inps,

impegna il Governo

ad intraprendere ogni più utile ed urgente iniziativa volta a fare in modo che la restituzione dei contributi previdenziali all'epoca non versati da parte dei lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni delle province di Campobasso e di Foggia interessate dagli eventi sismici del 31 ottobre 2002, avvenga secondo i criteri di rateizzazione previsti dall'articolo 7 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3253 del 29 novembre 2002, se del caso proponendo nella prima iniziativa normativa utile, una norma specifica che confermi e chiarisca la non retroattività delle disposizioni introdotte dal comma 1-bis dell'articolo 6 del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263 così come introdotto dalla legge di conversione in legge n. 290 del 2006.
(7-01181) «Paris, Mongiello, Capozzolo, Ginefra, Michele Bordo, Di Gioia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERGAMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è oramai accertato, dalla scienza medica e dagli studi internazionali, che la sensibilità chimica multipla (MSC) è una patologia rara che si sviluppa in seguito ad un'esposizione acuta o cronica a sostanze tossiche generalmente in commercio e presenti in numerosi detergenti, profumi, prodotti per l'igiene personale, insetticidi, erbicidi, solventi, smog e fumi industriali, materie plastiche, farmaci e altro;
   molti cittadini italiani sono vittima di detta patologia altamente invalidante, com’è noto allo stesso Ministro della salute;
   sul sito del Ministero, infatti, si legge: «La Sindrome da sensibilità chimica multipla o Intolleranza idiopatica ambientale ad agenti chimici (IIAAC) è un disturbo cronico, reattivo all'esposizione a sostanze chimiche, a livelli inferiori rispetto a quelli generalmente tollerati da altri individui, e in assenza di test funzionali in grado di spiegare segni e sintomi. La reale esistenza e definizione di questa sindrome è oggetto di ampio dibattito a livello scientifico e al momento non vi sono ancora solidi parametri di riferimento per la diagnosi di tale patologia. Generalmente la sintomatologia si manifesta dopo un'esposizione o una ritenuta esposizione ad agenti ambientali, spesso segnalata come percezione di uno o più odori; talvolta però non è dimostrabile una relazione temporale tra sintomatologia ed esposizione. Il quadro sintomatologico, che in genere tende a regredire a seguito della rimozione dell'agente chimico implicato, comprende disturbi numerosi e aspecifici, a carico di più organi. Generalmente sono interessati il sistema nervoso e almeno un altro organo o apparato. Il quadro può presentare vari gradi di severità, dal solo malessere e discomfort fino a una grave compromissione della qualità di vita [...] La sindrome potrebbe essere legata a una condizione di suscettibilità individuale, piuttosto che alla tossicità delle sostanze. Altre ipotesi ritengono che la sindrome sia caratterizzata da disturbi indotti da stress, sviluppati principalmente dalla sensazione di immediato pericolo per l'esposizione a sostanze sconosciute o che si tratti di una complessa sindrome psicosomatica [...]. Si evidenzia che con il progredire della malattia i sintomi si cronicizzano con uno stato infiammatorio generale che produce un danno organico irreversibile che può portare fino alla morte»;
   in una prima fase tra la fine del 2004 e l'inizio del 2005 alcune regioni hanno riconosciuto la sensibilità chimica multipla come patologia rara: Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo. Alcuni malati stanno combattendo, da soli, battaglie giudiziarie e si sono riuniti in associazioni e stanno promuovendo campagne di sensibilizzazione molto seguite in Italia ed all'estero;
   nonostante ciò, ancora detta patologia non è stata inserita nell'elenco delle malattie rare ed i malati risultano di fatto abbandonati dalle istituzioni;
   gli articoli 2, 3, 32, 54 della Costituzione impongono una presa di posizione forte e decisa, a tutela dei numerosissimi malati di sensibilità chimica multipla;
   il piano nazionale malattie rare (PNMR) 2013-16 ha evidenziato la necessità di adottare un piano nazionale per le malattie rare entro il 2013 –:
   se il Governo non ritenga necessario, ai fini della diagnosi precoce e della prevenzione della sensibilità chimica multipla, assumere iniziative per introdurre la patologia della sensibilità chimica multipla nell'elenco delle malattie rare, anche promuovendo osservatori di carattere internazionale e nazionale, in collaborazione con le regioni, affinché attraverso i piani sanitari, sia definito un omogeneo trattamento dei malati che, ad oggi, sono costretti a recarsi all'estero per sottoporsi alle cure a proprie spese, assicurando così la formazione e l'aggiornamento professionale del personale medico, al fine di facilitare l'individuazione dei soggetti affetti da sensibilità chimica multipla, capire la causa e gli effetti ed evitare l'espansione di detta malattia in modo indiscriminato ma soprattutto ulteriori sofferenze e disfunzioni in danno dei malati, predisponendo un protocollo di ospedalizzazione per la sensibilità chimica multipla da attuare nei casi di necessità ed urgenza. (4-15465)


   RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio 2012 e 29 maggio 2012 un violento terremoto ha causato danni gravissimi a oltre trenta comuni dell'Emilia, nelle province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara;
   il decreto-legge n. 74 del 2012, convertito dalla legge n. 122 del 2012, ha disposto la sospensione dei pagamenti tributari per tutti i residenti dei suddetti comuni, aziende comprese, per sei mesi;
   decorso tale termine, molti imprenditori hanno avuto grosse difficoltà a versare le imposte sospese, oltre a quelle maturate nel successivo periodo di imposta, cosicché, in accordo con l'ABI, e in base all'articolo 11, comma 7 e 7-bis, del predetto decreto-legge n. 174 del 2012, nonché in base all'articolo 1, comma 367, della legge n. 228 del 2012, e ai sensi dell'articolo 6, commi 2 e 3 del decreto-legge n. 43 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 71 del 2013, gli istituti bancari hanno anticipato ai soggetti che ne hanno fatto richiesta gli importi dovuti a titolo di imposte, tramite un mutuo privo di applicazione di tasso di interessi legali;
   i mutuatari devono restituire detti finanziamenti in numero otto «maxi rate» a decorrere dal 30 giugno 2016;
   l'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 160 del 2016, ha differito detta scadenza al 31 ottobre 2016, con posticipo delle successive rate al 30 giugno e al 31 dicembre di ogni anno, sino al 2020, in base a uno stabilito piano di ammortamento;
   molti imprenditori emiliani non sono stati in grado di pagare la prima rata scaduta il 31 ottobre 2016, per mancanza di liquidità: infatti, è da specificare che, a quasi cinque anni dal terremoto, sono stati erogati contributi per la ricostruzione di capannoni e aziende in misura inferiore al 50 per cento degli aventi diritto, e gli imprenditori sono stati costretti ad anticipare le somme per la ricostruzione/ripristino, pena la chiusura dell'attività;
   stante la grave situazione economica in cui versano le zone dell'Emilia colpite dal terremoto, si profila la necessità di prorogare i termini dei piani di ammortamento, almeno di altri dodici mesi rispetto alla prossima scadenza del 30 giugno 2017, con decorrenza, pertanto, dal 30 giugno 2018 –:
   quali impegni il Governo, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere per fare fronte a questa drammatica situazione ed eventualmente quali iniziative intenda adottare per modificare il piano ammortamento sopra indicato in base ai sopra detti riferimenti normativi, stabilendo la decorrenza della prima rata al 30 giugno 2018. (4-15467)


   RIZZETTO e RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la società Roma Multiservizi spa è una società partecipata di Roma Capitale le cui quote sono possedute per il 51 per cento da AMA (società 100 per cento Roma Capitale) e il 49 per cento da Manutencoop e La Veneta;
   presso tale società partecipata sono impiegati oltre quattromila dipendenti;
   i lavoratori da anni si impegnano in servizi essenziali e strategici per la città di Roma;
   i servizi erogati rispondono alle esigenze più varie, tra i quali anche di pulizia e di ausiliario nelle scuole e nei nidi comunali e nel verde pubblico, oltre che in subappalto per le scuole statali;
   le ultime gare di servizi per Roma Capitale (laddove hanno raggiunto l'esito definitivo della gara) hanno visto aggiudicazioni con offerte economiche con ribassi fino al 53 per cento e prodotto decine di licenziamenti collettivi con conseguenti peggioramenti nella qualità dei servizi erogati;
   i lavoratori di Roma Multiservizi chiedono da mesi provvedimenti e misure di politica economica di rilancio delle attività, con un definito piano aziendale in collegamento con le necessità di Roma Capitale che garantisca allo stesso tempo la loro continuità occupazionale e salariale;
   il Tar del Lazio ha recentemente bocciato la gara (nota come Global Service e suddivisa in cinque lotti) predisposta dall'ex commissario straordinario Tronca e pubblicata dalla giunta del Movimento 5 Stelle a guida della sindaca Raggi, privando di fatto di qualunque garanzia i lavoratori e le loro famiglie;
   in data 1o febbraio 2017, diverse agenzie giornalistiche hanno riportato dichiarazioni rilasciate dall'assessore Colomban, con delega alle partecipate di Roma Capitale, nelle quali ha lamentato di avere «la legge Madia arrivata tra capo e collo», per cui dovranno «ottemperare a questa legge, quindi una serie di società saranno accorpate, altre dismesse»;
   nel corso dell'audizione in Commissione «Controllo, garanzia e trasparenza», l'assessore avrebbe inoltre detto «stiamo vedendo con gli avvocati come fare per salvaguardare l'occupazione»;
   gli interroganti ritengono prioritario salvaguardare l'occupazione il più possibile per non aggravare le condizioni della città –:
   occorrerebbe chiarire se vi siano motivi ostativi, individuati nelle disposizioni del «decreto Madia» e successive modificazioni e integrazioni, all'acquisizione per le partecipate di secondo livello, strategiche come la Roma Multiservizi, delle quote del privato e la trasformazione della Roma Multiservizi spa, in partecipata di primo livello;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere per tutelare i livelli occupazionali. (4-15468)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2017, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di riordino delle autorità portuali, ora denominate «autorità di sistema portuale». In seno a tale riordino è stata fissata a Catania la sede dell'autorità di sistema portuale del mare di Sicilia orientale che comprende le città di Catania e Augusta;
   al fine di promuovere i centri decisionali strategici, le sedi delle «autorità di sistema portuale» si indirizzano nelle realtà maggiori, in particolare tra i porti « core»;
   a differenza del porto di Catania, di rilevanza economica internazionale con funzioni commerciale, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia, turistica e da diporto, il porto di Augusta è un porto Core della rete TEN-T riconosciuto come porto strategico dell'Unione Europea per la sua posizione baricentrica lungo le rotte del traffico internazionale. È il più grande porto naturale del basso Mediterraneo dove all'interno di esso si trovano un importante porto commerciale, un polo industriale, una base militare ed un porto/città con due darsene in pieno centro storico;
   il porto di Catania non gode di buona reputazione. Il dossier redatto dalla Commissione nazionale antimafia «Il porto delle nebbie» ha svelato il malaffare che si consuma proprio nel porto di Catania e che vede protagonisti anche gli affari illeciti degli Ercolano. Attualmente è in corso il processo nell'ambito dell'inchiesta sulla progettazione della nuova darsena commerciale inaugurata il 25 luglio 2015 che avrebbe influito sul corso del torrente Acquicella. Va infine ricordato che nella classifica del flusso di merci dei porti d'Italia, il porto di Catania occupa tra le posizioni più basse;
   in diverse occasioni è stato chiesto al Ministro interrogato se, in concerto con la regione siciliana, non reputava opportuno valutare la possibilità di trasferire l'attività mercantile del porto di Catania, di rilevanza economica internazionale, presso il porto di Augusta e permettere al porto di Catania di esercitare unicamente la funzione di porto turistico vista la sua posizione urbanistica strategica a ridosso del prestigioso centro storico barocco a incremento degli indotti della croceristica, della diportistica, della pesca professionale e turistica, creando tra l'altro nuove opportunità occupazionali;
   il protocollo d'intesa siglato il 7 agosto 2012 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione siciliana, le autorità portuali di Augusta e Catania, e la Società interporti siciliani, regola gli interventi finalizzati al potenziamento commerciale e del trasporto intermodale delle merci nel quadrante sud-orientale della Sicilia e ribadisce l'esigenza di attribuire precise specializzazioni dei porti di Catania e Augusta per valorizzare le attività e gli investimenti determinando un sistema di attività comuni e la loro messa a sistema per le infrastrutture esistenti e gli investimenti futuri, nonché realizzare il perseguimento di collaborazione e complementarietà. Tuttavia, l'autorità portuale di Catania non intende trasferire il traffico rinfuse e container al porto di Augusta;
   l'articolo 3 del predetto protocollo d'intesa impegna il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a presiedere il tavolo tecnico e convocare le riunioni ogni qualvolta lo ritenga necessario o su richiesta degli altri componenti del tavolo –:
   quali motivazioni abbiano indirizzato la scelta sul porto di Catania quale sede dell'autorità di sistema portuale del mare di Sicilia orientale e, comunque, se e quali iniziative siano state intraprese per sviluppare una sinergia di collaborazione e di complementarietà, al fine di attribuire precise specializzazioni e valorizzare le attività e gli investimenti. (4-15471)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   CAPEZZONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore, nato a Tabriz, Iran nel 1971, dopo il dottorato di ricerca conseguito al Karolinska Institutet di Stoccolma, per quattro anni ha lavorato e studiato all'Università del Piemonte orientale, collaborando dal 2012 al 2015 con il Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi, con sede a Novara, per poi continuare la sua attività accademica in Europa;
   secondo quanto comunicato dalla moglie, che vive a Stoccolma con i due figli, Djalali sarebbe stato arrestano nell'aprile 2016 a Teheran, dove si era recato per una conferenza, incarcerato e tenuto in isolamento assoluto per tre mesi nella prigione di Evin e per altri quattro in isolamento parziale, nel reparto 209 gestito direttamente dal Ministero dell’intelligence;
   alle richieste d'aiuto della moglie aveva risposto anche l'Università del Piemonte orientale, rilanciando una raccolta fondi per sostenere le spese legali della famiglia;
   il 26 dicembre 2016, quando gli è stato annunciato che riceverà la «massima pena», Djalali ha iniziato uno sciopero della fame che gli ha fatto perdere 18 chili e, pochi giorni fa, gli sarebbe stata confermata dal giudice del Tribunale della rivoluzione Abolghasem Salavati la richiesta della condanna a morte per impiccagione, con l'accusa di attività di spionaggio;
   l'unica «colpa» accertata del ricercatore è quella di aver collaborato all'estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei Paesi che soffrono la povertà e sono flagellati da guerre e disastri naturali;
   secondo quanto afferrato da Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce a Oslo di Iran Human Rights, una organizzazione non governativa contro la pena di morte, Djalali è in grave pericolo, in quanto il giudice Salavati è noto per le condanne a morte contro presunti oppositori politici;
   grande eco sta suscitando la vicenda e colleghi e medici che hanno lavorato con lui hanno lanciato un appello per ottenerne la liberazione e fanno appello ai Governi di Italia e Svezia, e all'Alto Rappresentante dell'Unione europea Federica Mogherini perché si attivino concretamente. Anche la regione Piemonte ha chiesto l'immediata revoca della condanna e la scarcerazione;
   se la Cina è lo Stato che effettua il maggior numero di esecuzioni ogni anno, l'Iran è quello che mette a morte più persone pro capite di qualsiasi altro Paese: nel 2015 sono state effettuate almeno 970 esecuzioni (+21,2 per cento rispetto al 2014). Delle 970 esecuzioni del 2015, 365 esecuzioni (37,6 per cento) sono state riportate da fonti ufficiali iraniane, mentre 605 casi (62,4 per cento) sono stati segnalati da fonti non ufficiali. Nei primi sei mesi del 2016, almeno altre 209 persone sono state giustiziate. Il numero effettivo delle esecuzioni, tuttavia, è probabilmente molto superiore ai dati rilevati (fonte: Rapporto di Nessuno tocchi Caino 2016 sulla pena di morte) –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, nelle sedi internazionali e nei rapporti diplomatici bilaterali con l'Iran, per far sì che le autorità iraniane annullino la sentenza di condanna e liberino Ahmadreza Djalali. (3-02762)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo uscito sul settimanale « La Vita del Popolo» del 5 febbraio 2017, dalle associazioni di volontariato laiche e religiose che operano sul territorio della province del Veneto, e dai gruppi missionari parrocchiali veneti di Vicenza, Treviso, Padova e Venezia, giungono segnalazioni circa il fatto che l'applicazione delle nuove norme della legge n. 221 del 2015, il cosiddetto «collegato ambientale», sta rendendo molto difficili se non impossibili le tradizionali raccolte benefiche di rifiuti riciclabili, tra cui ferro e altri materiali ferrosi;
   la riduzione della raccolta del ferro ha gravi ripercussioni, in primo luogo sulla concreta attuazione degli scopi c beneficenza e sull'elevazione dei livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
   vanno riconosciuti il valore fondamentale del volontariato quale elemento essenziale della convivenza e della coesione civile e la particolare rilevanza delle tradizionali raccolte benefiche di rifiuti riciclabili realizzate, in molte regioni e località d'Italia, dalle parrocchie, dai gruppi missionari, e, più in generale, dalle associazioni di volontariato religiose e laiche;
   nel 2009 il Governo pro tempore, sulla stessa questione, aveva accolto l'ordine del giorno AC 9/2206/31 del 26 febbraio 2009 a firma dell'interrogante e di altri deputati, impegnandosi a dare soluzione alla medesima materia, permettendo la raccolta da parte del volontariato nel rispetto della legge che i consorzi di raccolta devono necessariamente applicare –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché vengano rimossi, nel rispetto del corretto trattamento dei rifiuti, gli ostacoli normativi e amministrativi che impediscono o intralciano il libero esercizio, da parte delle associazioni di volontariato, delle raccolte benefiche di rifiuti riciclabili e venga promosso, nell'ambito delle attività di gestione del ciclo dei rifiuti, l'affidamento alle associazioni di volontariato delle raccolte benefiche di rifiuti riciclabili, in un'ottica di promozione del volontariato e di collaborazione fra i soggetti pubblici e privati presenti sul territorio, ai sensi e in attuazione di quanto stabilito dall'articolo 3, comma 5, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000), evitando di lasciare a carico dei consorzi di raccolta le criticità normative rilevate. (5-10488)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MURGIA e RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 17 ottobre 2014, in esito alla valutazione effettuata dalla giuria internazionale sulle città candidate, Matera è stata proclamata Capitale europea della cultura per il 2019;
   già il 3 settembre 2014 era stata costituita la Fondazione di partecipazione Matera Basilicata 2019, quale «soggetto preposto ad attuare le linee di intervento delineate nel dossier finale di candidatura al fine di consolidare il posizionamento acquisito da Matera e dalla Basilicata a livello europeo nel settore della creatività e di diventare una piattaforma culturale per il Mezzogiorno d'Europa»;
   del consiglio di amministrazione della Fondazione fanno parte Aurelia Sole, rettore dell'università degli studi della Basilicata in qualità di presidente, Angelo Tortorelli, presidente della camera di commercio di Matera in qualità di vice presidente, Marcello Pittella, presidente della regione Basilicata, Francesco De Giacomo, presidente della provincia di Matera, e Raffaello De Ruggieri, sindaco di Matera in qualità di consiglieri;
   la regione Basilicata ha finanziato la Fondazione con venticinque milioni di euro;
   i bilanci della Fondazione non risulterebbero agli interroganti pubblicati dal 2015;
   in qualità di direttore generale della Fondazione è stato nominato, nel 2014, Paolo Verri, successivamente incaricato anche di gestire la riorganizzazione dell'agenzia per il turismo della regione Puglia «Pugliapromozione», nonostante il suo contratto con la fondazione preveda espressamente che «non potrà trattare affari per proprio conto o di terzi in concorrenza con la Fondazione cui appartiene»;
   la Fondazione Matera-Basilicata 2019 ha recentemente espletato due avvisi pubblici per il conferimento degli incarichi di manager culturale e manager amministrativo-finanziario di Matera 2019; a quanto risulta agli interroganti non sarebbero state pubblicate le graduatorie degli avvisi pubblici, in contrasto con il principio di trasparenza; i partecipanti avrebbero ricevuto solo una semplice mail di ringraziamenti per la partecipazione;
   come affermato dal presidente della Fondazione, la rettrice Aurelia Sole, «il 2017 sarà l'anno decisivo per Matera2019 e sarà quasi interamente dedicato alla produzione dei contenuti in partenariato con soggetti regionali, nazionali ed europei» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, alla luce degli importanti riflessi sulle iniziative legate alla proclamazione di Matera quale capitale europea della cultura per il 2019;
   alla luce delle criticità emerse nella vicenda di cui sopra, se non intendano assumere le iniziative di competenza – anche normative, ove necessario con il coinvolgimento delle regioni e delle autonomie locali – per implementare l'attuazione dei princìpi di trasparenza, imparzialità ed efficienza della pubblica amministrazione, prevedendo maggiori garanzie in merito alla pubblicazione di bilanci e graduatorie da parte di enti e fondazioni comunque riconducibili a soggetti pubblici, come nel caso descritto in premessa, nonché definendo meccanismi atti a evitare possibili conflitti di interesse nei ruoli dirigenziali di tali istituzioni. (4-15470)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a fine dicembre 2015 a seguito di una brutale aggressione da parte di due detenute nei confronti di una assistente capo della polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Potenza l'interrogante ha depositato un atto di sindacato ispettivo a cui ancora non è pervenuta risposta;
   le organizzazioni sindacali da tempo denunciano criticità nella vita dell'istituto penitenziario che mettono a rischio l'incolumità di operatori e detenuti;
   da tempo a detta del Sappe verrebbero ospitati presso la casa circondariale di Potenza detenuti con gravi disturbi psichiatrici, i quali determinano situazioni di pericolo e disordine perpetrando atti di violenza nei confronti degli operatori di polizia penitenziaria, come riportato in premessa, e danneggiando strutture;
   la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria risulta sottodimensionata e necessita di un indispensabile potenziamento –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per rafforzare l'organico di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Potenza e per monitorare attentamente la questione relativa alla presenza presso l'istituto penitenziario di detenuti con criticità psichiche al fine di consentire agli operatori di poter svolgere il proprio lavoro in sicurezza. (3-02761)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono note le gravi carenze di organico del personale impegnato nell'amministrazione della giustizia. In particolare, si apprende dalla relazione del I presidente della Corte di cassazione, Giovanni Canzio, sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2016, resa durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017, tenutasi a Roma il 26 gennaio 2017, che alla data del 1o gennaio 2017, a fronte di un organico fissato per legge in 10.151 unità (legge 13 novembre 2008 n. 181), risultavano in servizio 9.078 magistrati ordinari (4.394 uomini e 4.684 donne), con una scopertura virtuale di 1.073 posti. Se si considera, tuttavia, che tra i magistrati in servizio sono compresi anche 319 magistrati ordinari in tirocinio senza funzioni e 148 magistrati fuori dal ruolo organico, i posti effettivamente coperti risultano 8.534, di cui 6.396 negli uffici giudicanti e 2.138 negli uffici requirenti. In questo quadro, importante rilievo assume l'apporto dei magistrati onorari (375 nelle corti di appello, 2.130 nei tribunali e 1.770 nelle procure presso i tribunali);
   noti sono altresì i carichi di arretrato che affliggono in particolare la giustizia penale. Nella medesima relazione, già citata, si legge che il numero dei procedimenti penali pendenti al 30 giugno 2016 in tutti gli uffici giudiziari era di 3.229.284 unità. Con particolare riferimento alla situazione dei tribunali, si apprende che per gli uffici di tribunale (dibattimento e ufficio del giudice per le indagini e l'udienza preliminare) nel complesso, l'anno giudiziario 2015/2016 ha evidenziato un leggero incremento delle iscrizioni (+2,1 per cento) e delle definizioni (+4,9 per cento) con un conseguente calo delle pendenze (-3,8 per cento);
   si apprende che, quanto alla prescrizione dei reati, negli uffici di merito si registra complessivamente un apprezzabile aumento delle prescrizioni (139.488, +3,3 per cento). Le prescrizioni dichiarate dai tribunali ordinari sono state 31.610 (+6,9 rispetto al periodo 2014-2015) e, per contro, sono diminuite quelle dichiarate dalle corti di appello (22.380, -6,6 per cento). La maggior parte delle prescrizioni è dichiarata dagli uffici del giudice per le indagini preliminari (GIP), nei procedimenti contro noti e contro ignoti, e negli uffici dei giudici delle udienze preliminari (GUP) (complessivamente 82.923, 59,4 per cento);
   a destare particolare preoccupazione non è solo il numero delle prescrizioni che affligge gli uffici particolarmente oberati di lavoro, ma anche le numerose e gravi pronunce di scarcerazione a seguito dell'annullamento da parte del tribunale del riesame delle ordinanze con cui il giudice per le indagini preliminari dispone in merito alle misure cautelari in ragione dell'assenza di motivazione;
   si apprende da fonti di stampa di questi frequenti annullamenti in quanto sovente i gip farebbero ricorso alla cosiddetta prassi del «copia e incolla» della richiesta d'arresto formulata dal pubblico ministero per motivare la propria ordinanza cautelare;
   diversamente, l'attuale dettato normativo delle disposizioni che disciplinano le misure cautelari nell'ambito del codice di rito penale, a seguito della riforma di cui all'articolo 11, comma 3, della legge 16 aprile 2015, n. 47, impone, ai sensi del comma nove dell'articolo 309 del codice di procedura penale che il tribunale annulli il provvedimento impugnato «se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa»;
   questo preciso ed oneroso obbligo motivazionale finisce per pesare primariamente su quelli che, come già detto, risultano gli uffici maggiormente carenti oltre che oberati di lavoro, non sostenuti in questo da adeguati interventi legislativi, finendo per provocare le numerose e gravi scarcerazioni emerse agli onori della cronaca e tradire, secondo l'interrogante, la volontà del legislatore sulla funzione stessa delle misure cautelari, creando un grave problema di sicurezza –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di risolvere il problema della grave carenza di organico del personale impegnato nell'amministrazione della giustizia e per realizzare una svolta nel senso del recupero dell'efficienza del sistema;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di evitare il riferito fenomeno delle scarcerazioni e se ritenga opportuno promuovere una revisione della disciplina delle misure cautelari. (5-10487)

Interrogazione a risposta scritta:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso sul Resto del Carlino dell'11 maggio 2016 si citava l'odissea di una madre a cui il servizio sociale della ASP di Ferrara ex articolo 403 c.c. aveva tolto due bambini nel dicembre 2015;
   in particolare, il tribunale civile di Ferrara, dopo una separazione coniugale il 15 luglio 2013 disponeva con un'ordinanza del presidente l'allontanamento del padre dalla casa coniugale e l'affidamento esclusivo alla mamma dei figli;
   dapprima, la madre relazionandosi con l'assistente sociale competente in un clima di collaborazione massima, sembra avere relazioni con i figli molto positive, poi, nel luglio 2015, le relazioni cominciano inspiegabilmente ad essere negative finché, nel novembre 2015, la nuova assistente sociale richiede al tribunale dei minorenni di Bologna l'allontanamento di casa dei minori;
   a seguito dell'inerzia del tribunale, nel dicembre 2015 il servizio sociale effettua un allontanamento forzato ex articolo 403 c.c. motivandolo in maniera generica: «Visto che la situazione famigliare presenta caratteristiche che fanno presupporre elementi di forte pregiudizio.»;
   per l'allontanamento dovrebbero invece rilevare elementi di certezza assoluta e lo stesso ordine nazionale degli assistenti sociali considera l'allontanamento di un minore dalla famiglia solo come elemento residuale dopo aver espletato tutti i tentativi per evitarlo, cosa che, a quanto risulta agli interroganti, non è stata fatta;
   il tribunale dei minorenni di Bologna, pochi giorni dopo, con decreto, ha stabilito comunque l'allontanamento dei bambini dalla mamma con l'unica motivazione che la donna è: «una persona emotivamente fragile ed in difficoltà», nonostante alla signora in questione, il 10 giugno 2016, in sede di controllo psicodiagnostico presso la ASL di Ferrara, fosse stata fornita la seguente diagnosi: «(...) allo stato non emerge una configurazione psicopatologica. Le risorse interne disponibili nei confronti di problemi psicologici e relazionali appaiono nel complesso abbastanza efficaci (...)»;
   il tribunale ha disposto l'affidamento esclusivo ai servizi sociali, collocando minori dalla zia del marito, e stabilendo che i servizi sociali dovessero «regolamentare i rapporti con entrambi i genitori secondo tempi e modalità rispondenti all'interesse dei minori, con facoltà di non avviare gli incontri o di sospenderli se disturbanti» contrariamente alla legge n. 184 del 1983 emendata dal decreto legislativo n. 149 del 2001, articolo 4, comma 3, che impone al tribunale: «Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate (...) le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore»;
   tale inosservanza del tribunale autorizza il servizio sociale ad impedire alla mamma di vedere la figlia ormai da marzo del 2016 consentendo visite all'altro bambino con cadenze quindicinali e lasciando l'arbitrarietà all'assistente sociale che di fatto si sostituisce al tribunale;
   il 10 febbraio 2016 l'avvocato della madre avvisa il tribunale dei minori che è incompetente ex articolo 38 disp. att. c.c. e la procura presso il tribunale dei minorenni di Bologna sapeva già dal 19 aprile 2013 che non lo era, in quanto in altra occasione aveva avvisato lo stesso tribunale ordinario di determinazioni di competenza sullo stesso caso; tuttavia il tribunale dei minori non risponde e, a firma fra l'altro dello stesso giudice relatore, ammette la sua incompetenza solamente ben 9 mesi dopo;
   la conseguenza è stata che i bambini, dopo più di un anno, fuori casa solamente grazie ad un allontanamento ex articolo 403 c.c. mai convalidato da alcun tribunale con probabili futuri gravi danni per gli stessi; ciò evidenzia che tutti questi comportamenti non sono stati assunti nella piena consapevolezza della tutela dei diritti e della salute dei minori ed emergono certamente seri dubbi sulla regolarità procedurale nel caso in questione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il tribunale dei minorenni di Bologna ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (4-15460)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Aeroporto di Salerno-Pontecagnano, attualmente risulta essere inoperativo fatta eccezione per voli di piccoli aerei privati. Dall'inchiesta giornalistica del corriere.it pubblicata online il 28 novembre 2016, si apprende che la società di gestione dell'aeroporto è in perdita per 2,6 milioni l'anno (3,7 milioni nel 2009) e non dispone neanche di fondi sufficienti per provvedere alla riparazione del cancello principale d'ingresso dell'infrastruttura. Infatti, nonostante risulti una spesa di 426 mila euro per la sorveglianza – così come mostrato nel video d'inchiesta – il luogo è attualmente accessibile a chiunque e di conseguenza oggetto di continue violazioni, furti e atti vandalici. All'interno dell'aeroporto incustodito si trovano oltre ad alcuni velivoli di proprietà anche quelli della polizia forestale e dei vigili del fuoco;
   il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca ha recentemente investito nell'infrastruttura succitata 2,5 milioni di euro, somma simile a quella che investirà a breve anche la Regione Basilicata interessata a creare un collegamento tra l'aeroporto salernitano e la Pista Mattei di Pisticci (Matera) sulla quale l'interrogante ha già presentato l'atto n. 5-04375;
   l'infrastruttura è costata ad oggi circa 9 milioni di euro a cui vanno aggiunti gli incentivi elargiti dal 2008 al 2012 alle varie compagnie aeree. Tra queste ultime figura anche Alitalia con la quale il Consiglio di amministrazione del Costa d'Amalfi nel 2010 ha stipulato un accordo da 3,7 milioni di euro per effettuare due rotazioni giornaliere da Salerno a Milano e una verso Roma. Questo nonostante l'inadeguatezza della pista campana di appena 1,5 chilometri, inadatta per far fruttare l'investimento, alla luce del fatto che Alitalia non è neanche collegata con la città di Salerno;
   nel cosiddetto decreto «sblocca Italia» decreto-legge n. 133 del 2014, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) è stato previsto un investimento di 40 milioni di euro per la pista di Pontecagnano inserita tra le opere «indifferibili, urgenti e cantierabili per il rilancio dell'economia»;
   il presidente della regione Campania che definì a mezzo stampa lo scalo di Pontecagnano «il più inutile d'Italia» ha recentemente dichiarato che grazie al rilancio dell'opera «Avremo 4 milioni di passeggeri nell'arco di 5-7 anni». L'appena citata previsione è stata tuttavia smentita da Roberto Vergari, direttore della vigilanza tecnica dell'Enac, il quale ha dichiarato «Il piano di sviluppo prevede un massimo di 1,5 milioni di passeggeri ma in venti anni e nessuno di noi ha mai parlato di 4 milioni di passeggeri»;
   l'aeroporto di Salerno-Pontecagnano è stato inserito anche nel piano nazionale per gli aeroporti in cui si evidenzia il «ruolo strategico nel tanto auspicato sistema aeroportuale campano che può e deve diventare realtà in un'offerta di servizi di trasporto aereo differenziati ed integrati, stante le differenti peculiarità delle due strutture» –:
   quali siano le ragioni per le quali l'aeroporto di Salerno-Pontecagnano sia stato inserito nel piano nazionale per gli aeroporti, alla luce dei fatti citati in premessa e dei requisiti previsti per legge;
   viste le condizioni in cui versa l'aeroporto citato nonostante gli ingenti finanziamenti stanziati, quali iniziative si intendano assumere per evitare, in questo caso e in quelli analoghi, un cattivo impiego di denaro pubblico. (5-10489)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI, PASTORINO e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2017 il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere Giovanni Pinto ha inviato un telegramma alle questure italiane per «attività di contrasto dell'immigrazione clandestina» per procedere, d'intesa con l'ambasciata della Nigeria, al rimpatrio di cittadini nigeriani in posizione irregolare sul territorio italiano;
   nel testo viene spiegato che dal 26 al 18 febbraio 2017, nei Centri di identificazione ed espulsione di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta vanno riservati 95 posti (50 donne e 45 uomini) per «sedicenti cittadini nigeriani rintracciati in posizione irregolare» che, in seguito alle «audizioni ai fini identificativi» da parte di responsabili dell'ambasciata, saranno poi rimpatriati con un volo charter in Nigeria. Audizioni che, a giudizio degli interroganti, per il poco tempo a disposizione per il raggiungimento dell'obiettivo, non verificheranno senz'altro le reali motivazioni ed esigenze dei cittadini nigeriani presenti in Italia, come ad esempio delle donne vittime di tratta. Oppure, essi non verranno informati in modo esaustivo e completo sulla procedura di richiesta della protezione internazionale;
   l'operazione ha precedenza assoluta e, se nei Centri di identificazione ed espulsione non c’è spazio, bisogna renderlo disponibile anche «mediante eventuali dimissioni anticipate» di altri irregolari che sono già trattenuti in quei centri, praticabili «nell'immediato e senza eccezione alcuna (...) sino a esaurimento delle aliquote assegnate»;
   affinché sia raggiunto il numero di 95 posti e garantita la riuscita dell'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017» e la successiva espulsione collettiva, il direttore dispone che vengano effettuati «mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale»;
   il telegramma non spiega con quali modalità l'operazione dovrà essere svolta, ma parla di «intese» che le questure dovranno prendere con la direzione centrale. Si può ipotizzare, quindi, che in questo periodo i controlli si faranno più serrati e discriminanti nei luoghi di ritrovo della comunità e che riguarderanno ovviamente più persone nella speranza di individuare una o un nigeriano;
   quella che agli interroganti appare una frenetica e cinica «caccia» alla persona nigeriana, innescata dal telegramma ha il chiaro obiettivo di dimostrare che l'accordo con la Nigeria è utile e funziona, come secondo il Governo lo è quello firmato ad agosto con il Sudan e come lo saranno quelli che saranno firmati con altri Paesi africani come il Niger, Mali, Senegal ed Etiopia nel futuro, anche grazie alla proposta italiana alla Ue del Migration compact, che nasconde, dietro agli aiuti alla cooperazione e allo sviluppo, accordi con Paesi africani per la regolamentazione dei flussi che, con le azioni di espulsione collettiva fatte sulla base della nazionalità, quindi discriminatorie e che non valutano caso per caso ogni persona, sono secondo gli interroganti in palese contrasto con i diritti umani e la legge italiana;
   l'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017», attivata con il telegramma di Pinto, vuole anche essere da rafforzativo al «mantra» sull'utilità dei Centri di identificazione ed espulsione e sulla necessità di aprirne altri, tante volte ribadito dal Ministro dell'interno e, dare un segnale di serietà alla tanto sbandierata «fermezza» da parte del Governo che, proprio per questo, esegue dei veri e propri rastrellamenti, riempie un charter di 95 migranti calpestando i loro diritti e le disposizioni contenuti nella legge italiana, per rimpatriarli in Nigeria, uno Stato dove le atrocità commesse dall'organizzazione terroristica jihadista sunnita Boko Haram dovrebbe automaticamente dare a qualunque cittadino nigeriano il diritto di asilo, specie alle donne vittime di tratta;
   il contenuto del telegramma diramato, ad avviso degli interroganti, si pone in contrasto con:
    norme interne e internazionali ed è suscettibile di impegnare la responsabilità, non solo politica ma anche giuridica (civile se non addirittura penale) del Ministero e quella personale del funzionario che l'ha sottoscritta;
    il diritto alla protezione internazionale e il principio di non refoulement di cui alla Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati e all'articolo 10, comma 3, della Costituzione;
    gli articoli 2, 19, comma 1, e 13 del testo unico immigrazione, con particolare riferimento alla obbligatoria tutela dei diritti umani fondamentali, al divieto di espulsioni collettive, alla decisione motivata caso per caso delle misure espulsive, al divieto di rimpatriare cittadini stranieri verso Paesi in cui sia messa in pericolo la loro incolumità –:
   se il Governo sia a conoscenza di tutti i particolari descritti in premessa e se non ritenga di fornire ogni utile elemento riguardo all'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017», chiarendo in che termini sia sovrapponibile alle attuali politiche di gestione dei flussi migratori e se preveda di programmare operazioni di questo tipo nel prossimo futuro;
   se non si ritenga opportuno interrompere immediatamente l'operazione suddetta, ad avviso degli interroganti fortemente in contrasto con i diritti interni e internazionali e la legge. (4-15462)


   COSTANTINO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO e MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2017 le questure di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta hanno ricevuto una circolare diramata dal direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, Giovanni Pinto, con l'oggetto «Audizioni e charter Nigeria»;
   con la circolare si intende avviare, in accordo con l'ambasciata della Nigeria, il rimpatrio di «sedicenti cittadini nigeriani» irregolari che si trovano sul territorio italiano, obiettivo che si realizza tramite un volo charter in Nigeria;
   le questure sollecitate devono perciò dal 26 gennaio al 18 febbraio 2017 riservare presso i loro Centri di identificazione ed espulsione, 50 posti per donne e 45 posti per uomini, 95 persone che, in seguito alle audizioni svolte dal personale dell'ambasciata, verranno poi rimpatriate. Qualora nei Centri di identificazione ed espulsione sopracitati non ci fosse spazio la circolare spiega che si può ricorrere ad «eventuali dimissioni anticipate (...) nell'immediato e senza eccezione alcuna (...) sino a esaurimento delle aliquote assegnate» di altri cittadini irregolari trattenuti nelle strutture; vengono disposti inoltre «mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale»;
   la circolare non fornisce spiegazioni su come dovranno essere svolti questi servizi (parla infatti di intese che le questure dovranno prendere con la direzione centrale), ma, vista la priorità e la frettolosità dell'operazione, lascia intendere l'avvio di una vera e propria «caccia al nigeriano»;
   i ristrettissimi tempi con cui dovrà essere completata l'operazione fanno credere che le audizioni per la verifica dei requisiti saranno sommarie e sbrigative;
   la Nigeria è un Paese colpito da una crisi umanitaria di proporzioni enormi, un Governo sospettato di essere stato eletto in seguito a brogli, martoriato dalle incursioni terroristiche di Boko Haram, che 2009 ha ucciso più di 20 mila persone e sequestrato altre centinaia, motivo per cui le organizzazioni che tutelano i rifugiati, tra cui l'UNHCR, hanno dichiarato che i respingimenti dei nigeriani che scappano dal Paese infrangono i diritti di protezione internazionale;
   a questo si aggiunga la drammaticamente nota situazione riguardante il traffico ormai accertato di donne nigeriane vittime di tratta che arrivano in Italia per il mercato della prostituzione;
   Italia e Nigeria hanno stipulato, nel febbraio 2016, un accordo che prevede collaborazione per rimpatri dei migranti nigeriani;
   nel frattempo, la politica di riapertura e rafforzamento dei Centri di identificazione ed espulsione è fortemente sostenuta dal Governo italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, viste le numerose violazioni di norme interne ed internazionali sul trattamento dei rifugiati, non ritenga di dover assumere iniziative per sospendere immediatamente l'operazione di cui alla circolare del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. (4-15463)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici ammessi alle scuole di specializzazione universitarie in medicina dall'anno accademico 1992/1993 all'anno accademico 2005/2006 non hanno usufruito di alcun rimborso per l'attività prestata, nonostante la normativa europea. Infatti, numerose sono state le direttive europee a cui lo Stato italiano avrebbe dovuto adeguarsi anche nei confronti di quanti stavano già frequentando il corso di specializzazione;
   la Corte di cassazione sezione lavoro, nel 2012 ha sancito, tra l'altro, la non prescrivibilità dei diritti acquisiti dei medici specializzandi. Infatti, la legge di stabilità aveva ridotto a cinque anni la prescrizione per responsabilità dello Stato in tema o ritardata attuazione di direttive comunitarie, stabilendo anche che iniziasse a decorrere dal momento in cui si era verificato il fatto dal quale derivano i diritti. La decisione della Corte ha, al contrario, confermato che la norma potrà dispiegare effetti soltanto per la prescrizione dei diritti di tal genere insorti successivamente alla sua entrata in vigore e quindi derivanti da fattispecie di mancato recepimento verificatesi dopo l'intervento del legislatore del 2011 –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere le iniziative di competenza per garantire i diritti acquisiti del personale medico citato in premessa, almeno iniziando ad affrontare la problematica accennata con la corresponsione di un rimborso allo stesso. (4-15464)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta orale:


   PATRIZIA MAESTRI, CARNEVALI, GIACOBBE, ALBANELLA, AMATO, PATRIARCA, PAOLA BOLDRINI, MURER, PIAZZONI, INCERTI, GNECCHI e BENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, ha previsto l'emanazione, entro centottanta giorni, di uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza unificata, con cui definire le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità;
   benché l'emanazione delle linee guida rappresenti un tassello essenziale della riforma del collocamento mirato delle persone con disabilità ed il termine temporale sia ormai abbondantemente decorso, ad oggi non risulterebbe emanato alcun provvedimento da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   quale sia lo stato di redazione delle linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità e in che tempi il Ministro interrogato intenda adottare i decreti previsti ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151. (3-02759)


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 settembre 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 151, recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2015, prevedeva, che con uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si procedesse alla definizione di linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità, entro centottanta giorni dalla sua entrata in vigore;
   ad oggi le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità non sono state ancora definite;
   si assiste ad una disomogenea attività delle strutture preposte al collocamento disabili, che spesso presentano una gestione localistica dei servizi, come evidenziato anche dal secondo programma biennale di azione per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone disabili, adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013;
   il programma biennale di azione sulla disabilità, della V Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità di Firenze del settembre 2016, elaborato dall'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità non è stato, purtroppo, ancora adottato;
   già in passato, gli impegni presi da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di disabilità sono stati puntualmente disattesi;
   troppo spesso la disciplina in materia di disabilità è stata definita sotto forma di suggerimenti, indicazioni, attività auspicabili, non trovando quindi alcuna attuazione da parte dei servizi per il collocamento disabili –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di definire ed emanare rapidamente le linee guida di cui al decreto legislativo n. 151 del 2015, migliorando ed uniformando l'operato dei servizi di collocamento mirato provinciali, in modo che possano dare risultati efficaci. (3-02763)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI SALVO, GNECCHI, PATRIZIA MAESTRI, INCERTI, ALBANELLA, ROTTA, GIACOBBE e CASELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 26 del decreto legislativo n. 151 del 2015 ha modificato la disciplina delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, disponendo che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro siano fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmessi al datore di lavoro e alla direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con apposito decreto;
   la trasmissione dei moduli può essere effettuata autonomamente dal lavoratore, oppure può avvenire per il tramite dei patronati, delle organizzazioni sindacali, nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione di cui agli articoli 2, comma 1, lettera h), e articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
   il decreto legislativo 24 settembre 2016, n. 185, entrato in vigore l'8 ottobre 2016, all'articolo 5, comma 3, lettera b), aggiunge i consulenti del lavoro agli enti che sono abilitati alla compilazione delle dimissioni on line;
   con comunicato stampa, il 6 ottobre 2016, la Cgil ha denunciato che l'affidamento ai consulenti del lavoro concernente la possibilità di effettuare la procedura telematica per la trasmissione on line delle dimissioni dei lavoratori rischia di comportare un forte conflitto d'interessi e «un'indebita alterazione del meccanismo di verifica e invio delle dimissioni»;
   il 10 novembre 2016 la Cgil di Treviso ha depositato una segnalazione presso la Direzione territoriale del lavoro di Treviso, avvisando che il 27 ottobre 2016 il signor Mocanu Ionel si è presentato presso la camera del lavoro di Treviso, alle postazioni abilitate alla trasmissione telematica delle dimissioni, con un «Modulo recesso rapporto di lavoro», compilato in data 26 ottobre 2016, consegnatogli dal proprio datore di lavoro nella medesima data. Il lavoratore ha dichiarato di non aver conferito ad alcuno il mandato di procedere alla trasmissione delle dimissioni;
   risulta, dunque, una situazione di non volontarietà delle dimissioni nella quale un soggetto abilitato ha proceduto all'invio telematico, senza alcuna autorizzazione da parte del lavoratore. Gli incaricati, hanno inoltrato la revoca delle dimissioni in questione, verificando che il soggetto che ha trasmesso le dimissioni (senza averne avuto alcun incarico) è un patronato e che la e-mail usata per il lavoratore corrisponde ad presunto consulente del lavoro (info@centrostudilavoro.com) –:
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per procedere ad una verifica in modo tale da evitare che soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dimissioni agiscano senza alcun mandato da parte del lavoratore.
(5-10490)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, SCOTTO, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'introduzione della legge denominata Jobs Act, che ha modificato in senso estensivo anche la disciplina dei voucher lavoro, si è immediatamente registrato un aumento dell'utilizzo di tale strumento, purtroppo spesso in modo distorto. Concepito per far emergere il lavoro nero in alcune attività lavorative occasionali è divenuto strumento di «precarizzazione» del lavoro nei settori dell'industria, dell'artigianato e persino nella pubblica amministrazione;
   numerosi rilievi statistici forniscono base empirica a tali valutazioni. Per citare il solo esempio della regione Marche, in soli due anni l'aumento della vendita di voucher lavoro si è attestata intorno al 96 per cento;
   nel 2016 sono stati venduti nelle Marche 6.039.783 di voucher lavoro con un aumento, rispetto all'anno precedente, del 27,4 per cento, con un totale di circa 40 mila lavoratori interessati;
   di questi solo il 3,3 per cento sono utilizzati per attività di giardinaggio, il 3 per cento per lavori domestici, il 15,3 per cento nei settori del turismo, il 12,5 per cento nel commercio, mentre – come ha avuto modo di sottolineare il segretario generale di CGIL Marche Giuseppe Santarelli – oltre la metà (52,6 per cento) sono stati impiegati nei settori dell'industria, dell'artigianato e della pubblica amministrazione;
   anche la Corte costituzionale, nell'ammettere il referendum proposto dalla Cgil, in merito al quesito relativo ai voucher ha sottolineato nelle motivazioni come nell'utilizzo di tale strumento «viene a mancare qualsiasi riferimento alla occasionalità della prestazione lavorativa quale requisito strutturale dell'istituto», aggiungendo come attraverso gli interventi normativi introdotti con il Jobs Act «la originaria disciplina del lavoro accessorio, quale attività lavorativa di natura meramente occasionale, limitata, sotto il profilo soggettivo, a particolari categorie di prestatori, e, sotto il profilo oggettivo, a specifiche attività, ha modificato la sua funzione di strumento destinato, per le sue caratteristiche, a corrispondere ad esigenze marginali e residuali del mercato del lavoro»;
   lo stesso Ministro interrogato ha riconosciuto che: «In relazione alle prime evidenze registrate dal monitoraggio sui voucher il governo considera necessaria la revisione di questo strumento per riportarlo all'origine di una copertura dei lavori occasionali per portarli fuori dal lavoro nero» (Repubblica.it, 10 gennaio 2017) –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per modificare le norme relative all'istituto dei voucher lavoro al fine di limitarne l'utilizzo, renderlo compatibile con i princìpi costituzionali che impongono diritti e dignità del lavoro e introdurre maggiori tutele per i lavoratori occasionali che risultano oggi marginalizzati e poco tutelati. (5-10491)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   CIRACÌ, PALESE, LATRONICO, CHIARELLI, MARTI, FUCCI e DISTASO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   diversi esponenti del mondo agricolo hanno manifestato grande preoccupazione per il futuro dell'olivicoltura pugliese, rilevando che «se da una parte ci si ritrova in quello che fisiologicamente è il cosiddetto «anno di scarica» in cui la pianta riposa per alternanza a seguito dell'ottima e abbondante produzione dell'anno precedente, d'altro canto è innegabile che una drastica riduzione nella produzione è dovuta ai disseccamenti diffusi nel territorio, dovuti alla diffusione di Xylella e Codiro, che hanno ridotto in sofferenza le piante»;
   stando ai dati Ismea, diffusi qualche giorno fa, quest'anno in Italia ci sarà un crollo del 38 per cento della produzione di olio, percentuale che sale al 40 per cento se si analizzano anche i dati pugliesi;
   il timore è che possa arrivare sulle tavole olio di origine non pugliese e, soprattutto, privo di quelle proprietà organolettiche che rendono il nostro olio un prodotto d'eccellenza in tutto il mondo, che la scarsità del prodotto possa fortemente incidere anche sull'occupazione nel settore dell'olivicoltura e della lavorazione delle olive e che la drastica riduzione della produzione di olio possa tradursi in un danno per i consumatori;
   si pone il problema delle frodi, stando ai sequestri effettuati dai Nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri;
   gli altri Paesi europei, come Turchia e Spagna, secondo i dati riportati dall'articolo pubblicato da «Quotidiano di Puglia» in data 1o ottobre 2016, vedono incrementare le loro produzioni — nell'ordine, la prima, del 17 per cento e, la seconda, almeno del 9 per cento – e dunque questo fenomeno potrebbe essere la causa secondo cui sulle tavole italiane potrà ritrovarsi un prodotto non italiano;
   quali politiche il Ministro interrogato intenda promuovere a favore di un settore, quello olivicolo, importante per lo sviluppo economico non solo della regione Puglia, ma dell'intero Paese, già fortemente provato negli ultimi anni dalla diffusione del batterio Xylella e dal fenomeno della contraffazione del made in Italy. (3-02760)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo numero della rivista «The Lancet Oncology» l'agenzia dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha annunciato di aver classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello, prima di «sicuramente cancerogeni»;
   fra le molecole prese in considerazione dallo IARC ci sono due insetticidi, il diazinon e il malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere dello IARC sulla terza sostanza, il glifosato;
   il glifosato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni settanta, è il principio attivo del diserbante Roundup, ed è di fatto l'erbicida più usato al mondo oltre a essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
   il suo impiego è decisamente aumentato con lo sviluppo delle colture transgeniche resistenti al glifosato;
   l'Italia, secondo un rapporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, è il maggiore consumatore tra quelli dell'Europa occidentale di pesticidi per unità di superficie coltivata, con valori doppi rispetto a quelli della Francia e della Germania. Molto alto anche il numero delle sostanze di cui si trovano importanti tracce nelle acque: 175 tipologie di pesticidi nel 2012 a fronte dei 166 del 2010 e di 118 del biennio 2007-2008. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono il glifosato e i suoi metaboliti, il metolaclor, il triciclazolo, l'oxadiazon e la terbutilazina;
   uno studio pubblicato nel 2011 dallo «US geological survey» ha rivelato che in alcune regioni degli Stati Uniti il glifosato era presente a livelli misurabili in tre quarti dei campioni di aria e di acqua piovana analizzati;
   in Francia è il pesticida di sintesi più diffuso. Nel 2011 ne sono state impiegate più di ottomila tonnellate, molte di più delle circa 2.700 della seconda sostanza più usata, il mancozeb (un fungicida). Secondo il rapporto del 2010 dell'Agenzia di sicurezza sanitaria dell'alimentazione, dell'ambiente e del lavoro, ANSES, in Francia «... il glifosato è il principale responsabile del degrado della qualità dell'acqua...»;
   va precisato che gli studi esaminati dallo IARC segnalano un aumento del rischio di tumore tra i giardinieri e agricoltori, non nella popolazione generale. Secondo l'Agenzia, «... gli studi caso-controllo di esposizione professionale condotti in Svezia, Stati Uniti e Canada hanno rivelato un aumento del rischio del linfoma di non Hodgkin...»;
   alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che il diserbante provocava danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle e al tubolo renale e di adenomi delle cellule pancreatiche;
   tuttavia lo IARC ritiene che l'insieme della letteratura scientifica esaminata non permetterebbe di concludere con assoluta certezza che il glifosato sia cancerogeno;
   in un comunicato pubblicato il 23 marzo 2015 la Monsanto ha reagito duramente, sostenendo che lo IARC si è basato su «scienza spazzatura» e ne ha rifiutato categoricamente le conclusioni. In una lettera del 20 marzo scorso, la Monsanto ha intimato alla direttrice generale dell'OMS, Margaret Chan, di far «rettificare» la valutazione dello IARC;
   la valutazione dello IARC è il frutto di un processo immutabile da quarant'anni: una ventina di scienziati di diverse discipline (tossicologia, epidemiologia, e altro) sono selezionati dall'Agenzia in base alle loro competenze e all'assenza di conflitti di interesse con l'industria. All'Agenzia viene chiesto un parere sulla base della letteratura scientifica pubblicata: per vari giorni i ricercatori discutono dell'argomento in presenza di osservatori dell'industria, rappresentanti di agenzie di sicurezza sanitaria e portatori di interesse di altre realtà socio-economiche. A seguito di una conclusione condivisa degli esperti, lo step successivo è l'adozione di un parere. I pareri dello IARC – che hanno carattere puramente informativo e non normativo – godono nella comunità scientifica internazionale del massimo riconoscimento, ma spessissimo sono oggetto di contestazioni, prive di controprove empiriche, da parte dell'industria;
   l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, EFSA, ha incaricato il Bundesinstitut fur Risikobewertung, BfR, tedesco di valutare nuovamente il glifosato. Fatto singolare, però, è che un terzo dei ricercatori del gruppo di esperti di pesticidi dell'agenzia tedesca è alle dirette dipendenze di giganti del settore agrochimico e/o biotecnologico –:
   se il Governo non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative per mettere al bando il glifosato dal territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» per salvaguardare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori del settore, oltre alla salute dei consumatori e dell'ambiente, avendo quale punto di valutazione scientifica il parere dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e i numerosi studi di cancerogenicità finora esperiti;
   se il Governo intenda promuovere in sede europea uno studio scientifico elaborato da organismi indipendenti, contrariamente a quanto fatto dall'EFSA che ha incaricato il Bundesinstitut fur Risikobertun di valutare nuovamente il glifosato da parte di esperti di pesticidi molti dei quali sono alle dirette dipendenze di giganti del settore agrochimico e/o biotecnologico.
(3-02764)


   ZACCAGNINI, GIANCARLO GIORDANO e MARTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 2016 l'agenzia di zampa « Ansa» riportava la seguente notizia dal titolo «Sequestrato campo mais Ogm a Rovigo da Forestale» nella quale si descriveva, come: «Scoperta dal Corpo forestale dello Stato una piantagione di mais transgenico alle porte di Rovigo. In particolare, i Forestali del Comando regionale del Veneto con quelli del Comando provinciale di Rovigo hanno trovato a Guarda Veneta (Rovigo) un campo di mais geneticamente modificato Mon810. La contaminazione è stata confermata dal campionamento delle foglie che sono state analizzate presso il laboratorio dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche;
   il terreno è stato, quindi, sottoposto a sequestro preventivo e la piantagione sarà distrutta. Saranno effettuate delle analisi sui campi confinanti a quelli contaminati al fine di verificare eventuali commistioni e applicare la normativa sull'utilizzo di prodotti geneticamente modificati. Il sequestro rientra nell'ambito di un programma di controlli da parte del Corpo forestale dello Stato per verificare l'utilizzo di Ogm in agricoltura in Italia, anche mediante l'uso di test che rilevano la presenza dell'endotossina specifica per il Mon810. L'Unione europea ha introdotto la possibilità per ogni Stato membro, di vietare la coltivazione del Mon810 e l'Italia ha, pertanto, richiesto e ottenuto che fosse bandita sul proprio territorio come già previsto in due precedenti decreti interministeriali. Oggi in Italia la violazione del divieto di coltivazione di Ogm nel nostro Paese è punita con una multa da 25 a 50 mila euro». Questa grave azione non è il gesto di un soggetto isolato, ma rientra nel progetto che da anni alcuni imprenditori agricoli legati a Futuragra, l'associazione di imprenditori agricoli che si batte per l'introduzione delle biotecnologie e per la libera scelta degli agricoltori, stanno portando avanti pericolosamente nei nostri territori; si ricordano le semine in Friuli del Mon810 da parte di Fidenato bloccate dalla forestale dopo l'intervento di agricoltori, movimenti o associazioni. Nonostante le disposizioni europee e nazionali che ne vietano la coltivazione per la loro pericolosità per ambiente, salute, agricoltura, si continua con queste semine sul territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza abbia intrapreso o intenda intraprendere;
   se non reputi necessario l'avvio, per quanto di competenza, di una verifica sulla provenienza di questi semi illegali, risalendo a coloro che in modo reiterano tentano coltivazioni ogm in Italia;
   se il Ministro non reputi opportuno assumere iniziative per potenziare il sistema sanzionatori e bonificare i territori limitrofi contaminati, includendo l'azione di biomonitoraggio di eventuali altre aree sospette;
   se il Ministro, considerato l'esito dell'assemblea plenaria del Parlamento europeo, che in data 13 gennaio 2015, ha approvato, la nuova legislazione che ha introdotto il permesso agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di colture OGM sul loro territorio, non reputi opportuno, alla luce della suddetta nuova normativa europea e della impossibilità delle norme di coesistenza di garantire la tutela delle coltivazioni tradizionali e biologiche, poiché la presenza di coltivazioni OGM genera contaminazione certa, assumere iniziative per innalzare il livello sanzionatorio inasprendo le pene per coloro i quali introducono in modo reiterato sementi non autorizzate nel nostro Paese, così come nel caso di Rovigo descritto in premessa;
   se e in che tempi il Ministro intenda assumere iniziative per vietare la coltivazione delle varietà di soia ogm recentemente autorizzate dalla Commissione europea. (3-02765)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il crollo dei prezzi del grano italiano, rispetto allo scorso anno, ha causato agli agricoltori perdite per circa 700 milioni di euro;
   le quotazioni del grano duro destinato alla produzione di pasta hanno perso il 43 per cento del valore, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi al chilo;
   i compensi sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa anche delle manovre speculative di chi fa acquisti di grano sui mercati esteri da trasformare poi in pasta o pane made in Italy. Infatti, vi è una importazione sempre più massiccia di grano straniero, che crea danni devastanti alla produzione nazionale, ai livelli qualitativi assicurati e all'occupazione; si rischia, infatti, di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro. Si parla che siano a rischio circa 300mila aziende;
   il 30-40 per cento di grano duro, infatti, proviene da Paesi stranieri. Un pacco di pasta su tre contiene grano importato dall'estero. Nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento;
   l'industria alimentare nel 2015 ha moltiplicato le importazioni di grano straniero: quadruplicate dall'Ucraina e raddoppiate dalla Turchia. Ad esempio: si registra un +315 per cento dell'importazione dall'Ucraina di grano tenero (per il pane), mentre il Canada resta in testa per le spedizioni di grano duro (per la pasta);
   in pericolo non ci sono solo la produzione di grano e l'attività di oltre 300mila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari – il 15 per cento dell'intero territorio nazionale – a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione made in Italy;
   da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del made in Italy, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 400 per cento e quelli dal grano al pane addirittura del 1.450 per cento;
   esiste un problema importante che incide notevolmente sulla crisi del settore, ovvero la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine del grano impiegato nella produzione;
   è necessario provvedere a mettere in atto misure che tutelino sia i produttori che i consumatori per poter restituire un futuro al grano italiano: l'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima utilizzata nella pasta e nei derivati/trasformati; l'indicazione della data di raccolta (anno di produzione); il divieto di utilizzare un prodotto extracomunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta; infine, l'esigenza di fermare le importazioni selvagge a dazio zero;
   non è accettabile il fatto che il primo fornitore di grano duro dell'Italia quale è il Canada possa esportare a dazio zero, mentre applica una aliquota fino all'11 per cento all'ingresso della pasta in arrivo dall'Italia sul proprio territorio. È anche necessario estendere i controlli al 100 per cento degli arrivi da Paesi extracomunitari come l'Ucraina dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa;
   nei porti italiani continuano a giungere navi importatrici di grano che oltre a contribuire alla diminuzione del prezzo, hanno anche problemi di tracciabilità e salubrità del prodotto importato;
   la priorità italiana deve essere quella di agevolare la produzione di qualità e tutelare il reddito di chi produce e valorizza il grano 100 per cento italiano;
   il Governo ha finora fatto proposte «tampone» per contrastare il calo dei prezzi e dare respiro alle aziende della filiera. Una fra tutte inserire nel cosiddetto decreto «enti locali» un fondo di 10 milioni di euro per dare avvio a un piano nazionale cerealicolo che punta alla qualificazione della produzione italiana e consente ai trasformatori di acquistare sempre più prodotto made in Italy e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100 per cento italiano. Ma questo stanziamento è ben poca cosa, in quanto per la stessa finalità esistono i piani di sviluppo regionali –:
   quali iniziative intenda assumere per tutelare gli occupati, le produzioni agricole regionali e la qualità del made in Italy messi a rischio dal ribasso dei prezzi del grano e dall'invasione dei prodotti stranieri a volte anche di scarsa qualità e privi di controllo;
   quali iniziative intenda assumere per intensificare i controlli fitosanitari sulle importazioni dall'estero, in particolare da Paesi extracomunitari come l'Ucraina dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa, per una maggiore tutela della salute dei consumatori;
   se non ravvisi la necessità di assumere iniziative per rendere, urgentemente, obbligatoria l'indicazione in etichetta della provenienza geografica del grano utilizzato per la realizzazione di pane e pasta, perché c’è bisogno di uno strumento di protezione dei prodotti 100 per cento italiani, nonché di garanzia per i consumatori, che avranno così l'opportunità di scegliere consapevolmente quali prodotti consumare premiando, quindi, la qualità italiana. (4-15461)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUERRA e BRAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni Poste Italiane spa ha avviato un processo di riorganizzazione, razionalizzazione e taglio degli uffici postali che sta mutando profondamente la capillarità, la funzionalità e la qualità del servizio postale su tutto il territorio nazionale, causando disagi e difficoltà notevoli agli utenti;
   da maggio 2016 Poste Italiane spa ha proseguito l'implementazione graduale, avviata già a partire da ottobre 2015, del nuovo modello di organizzazione degli invii postali a giorni lavorativi alterni dal lunedì al venerdì su base bisettimanale (lunedì, mercoledì e venerdì nella prima settimana; martedì e giovedì nella successiva) che verrà esteso, entro il 2017, ai comuni italiani con densità di popolazione inferiore ai 200 abitanti per chilometro quadrato;
   non tenendo conto né della peculiarità dei territori del lago di Como, né delle criticità presenti nelle realtà locali rivierasche, la nuova programmazione della consegna a giorni alterni di Poste Italiane spa, ascrivibile ad un vero e proprio taglio del servizio di recapito, unitamente alla riduzione dei centri di distribuzione e del personale addetto alla consegna, ha colpito in modo rilevante la provincia comasca arrecando forti disagi sia in termini di utilizzo che di qualità del servizio erogato ai cittadini. A ciò si aggiunge il peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti postali, costretti ad incrementi importanti dei carichi di lavoro da gestire in tempi più stringenti a causa dell'aumento delle giacenze e delle riduzioni sia dei giorni di recapito che degli addetti alle consegne;
   la posta in giacenza nel comasco ha raggiunto volumi enormi tanto che nell'ufficio postale di Dongo si sono registrate permanenze superiori alla tonnellata. Sono insostenibili anche i ritardi nella consegna della posta, in particolare delle bollette riferite a servizi primari come luce, gas e acqua. A Como città il recapito funziona a singhiozzo, la corrispondenza frequentemente viene bloccata e le linee di rientro per il ritorno delle raccomandate dagli uffici postali più distanti soppresse. A Cantù, Cucciago e Fino Mornasco la distribuzione ha cadenze molto irregolari, in genere a volta la settimana, le bollette recapitate già scadute o addirittura dopo l'arrivo dei solleciti, mentre per ricevere a prioritaria si possono attendere anche tredici giorni. A Rovellasca i ritardi di lettere o fatture spedite nelle immediate vicinanze toccano i ventuno giorni. Nella Valle d'Intelvi e nel Ceresio capita abitualmente di rimanere per più di una settimana senza ricevere corrispondenza e i cittadini sono costretti a recarsi direttamente al centro di smistamento per recuperarla. A ciò, si somma il problema delle assenze, dovute a malattia o a ferie spettanti, dei portalettere che rischia, soprattutto nella zona del centro-alto lago dove il numero dei postini è già ridotto al minimo, di compromettere pesantemente il funzionamento dell'intero servizio a causa della mancata sostituzione dei lavoratori assenti;
   nonostante abbia chiuso il terzo trimestre 2016 con un utile di 242 milioni di euro, in crescita del 29 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015 e continui a ricevere significativi contributi pubblici, la politica aziendale di Poste Italiane spa sembra seguire sempre più logiche esclusivamente finanziarie, ponendo in secondo piano l'universalità, la continuità e gli obiettivi di qualità del servizio postale –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità riportate in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché la scelta di razionalizzazione del servizio di recapito a giorni alterni, attuata da Poste Italiane spa, non pregiudichi il principio di universalità del servizio postale;
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché nella provincia di Como vengano risolti i disservizi causati dalla politica di riorganizzazione del servizio postale garantendo alle comunità interessate il diritto ad un effettivo e puntale servizio di recapito. (4-15466)


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le zone di montagna sono considerate, da parte dei gestori telefonici, poco redditizie dal punto vista economico e, pertanto, essi tendono a tralasciare e trascurare in queste aree la completa copertura del segnale telefonico. Da anni ormai, numerosi sindaci e amministratori locali continuano a segnalare le difficoltà di accesso al servizio di telefonia mobile denunciando uno stato di difficoltà e criticità soprattutto nei casi di emergenza legati ad incidenti stradali, incendi boschivi e urbani, sinistri legati agli sport ed infortuni ad alta quota della montagna con relativo grave e costante rischio nell'attivazione dei soccorsi in tali circostanze;
   il comune di Erto e Casso (già teatro della tragedia della diga del Vaiont dell'ottobre 1963) fino a tre anni fa, considerata la morfologia del territorio, era sufficientemente coperto dalla rete di telefonia mobile, che copriva tutte le frazioni e le case sparse, grazie alla presenza di un ripetitore Tim collocato in località «Marzana» e uno Vodafone in località «Liron». Successivamente, a seguito della decisione della società Vodafone, per le suddette ragioni economiche, di installare il proprio ripetitore sul traliccio della Tim, la parte a ovest del territorio comunale è rimasta scoperta dal segnale lasciando così ampie zone private dal segnale per cellulari e con connessioni internet praticamente inesistenti. In questa parte ricadono per intero il centro abitato di Casso, la zona della diga del Vajont, una palestra in località Roccia (frequentata da tantissima gente) e le frazioni di Prada e Pineda. Gli abitanti di Casso per telefonare sono costretti ad uscire di casa per cercare i punti di ricezione del segnale. Disagi si sono inoltre manifestati dai visitatori della diga del Vajont (circa cinquantamila solo i paganti che attraversano la diga in un anno);
   gli amministratori del comune di Erto e Casso, che si sono succeduti negli ultimi anni, hanno cercato invano di convincere le compagnie telefoniche di riferimento a risolvere la problematica e non disinvestire nell'area già fortemente penalizzata dalla sua conformazione morfologica;
   peraltro, anche la linea di telefonia fissa che raggiunge l'abitato di Casso risulta essere in uno stato di abbandono totale da anni, tanto che il filo, scoperto, attraverserebbe la strada lungo una cunetta;
   giova ricordare quanto la regolare fruizione del servizio di telefonia, sia fissa che mobile, sia da considerare tra i servizi essenziali della popolazione, visto che ha una funzione di utilità pubblica, sociale, commerciale e di sicurezza. La scarsa o assente copertura del segnale telefonico che persiste in molte aree collinari, montane, alpine e appenniniche o comunque periferiche e a bassa densità di popolazione, le cosiddette aree disagiate a causa del «divario digitale», oltre a determinare una discriminazione verso quei cittadini che vi abitano, contribuisce anche allo spopolamento dei luoghi di montagna e dei piccoli borghi, processo già peraltro in atto da tempo –:
   se intenda attivarsi, con urgenza, per quanto di competenza, convocando un tavolo di concertazione con le rappresentanze dei comuni montani e delle compagnie telefoniche per risolvere la sempre più diffusa carenza di impianti che determinano assenza di segnale telefonico, con conseguente isolamento delle popolazioni delle zona alpine e di montagna;
   se non ritenga di adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, affinché tutti i gestori di telefonia ammodernino le reti telefoniche nelle aree citate, nonché in tutto il territorio nazionale, nelle more favorendo, con ogni iniziativa di competenza, il ripristino del servizio di telefonia mobile nel comune di Erto e Casso, ed in generale in tutta la zona della Valcellina, al fine di garantire un servizio fondamentale per la sicurezza della comunità ed essenziale per le attività economiche. (4-15469)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Vezzali e altri n. 1-01412, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Alessandro.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Valiante e altri n. 2-01638, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostan.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-10435, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Vezzali e altri n. 1-01412, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2016: è stata ritirata la firma del deputato Latronico.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Zaccagnini n. 5-05427 del 23 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02764;
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-08284 del 31 marzo 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02761;
   interrogazione a risposta in Commissione Zaccagnini e altri n. 5-09327 del 1o agosto 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02765;
   interrogazione a risposta in Commissione Guidesi n. 5-09623 del 29 settembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15461;
   interrogazione a risposta in Commissione Ciracì e altri n. 5-09739 del 12 ottobre 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02760;
   interrogazione a risposta scritta Liuzzi n. 4-14971 del 12 dicembre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10489;
   interrogazione a risposta in Commissione Patrizia Maestri e altri n. 5-10180 del 28 dicembre 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02759;
   interrogazione a risposta scritta Binetti n. 4-15268 del 20 gennaio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-02763;
   interrogazione a risposta scritta Realacci e Rubinato n. 4-15445 del 3 febbraio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10488.