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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 gennaio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    gli antibiotici, sono sostanze usate per uccidere i microrganismi o per interromperne la crescita e la proliferazione d'infezioni e sono comunemente usati in medicina e in veterinaria per il trattamento di un ampio ventaglio di malattie infettive;
    da quando sono stati scoperti, gli antibiotici hanno senza dubbio salvato molte vite. Tuttavia, sono sempre stati inefficaci nel trattare le malattie virali e sono spesso usati in modo eccessivo o sbagliato nel trattare le infezioni batteriche, con il risultato che gli agenti patogeni resistenti agli antibiotici sono diventati sempre più comuni;
    la dipendenza da antibiotici sta diventando rapidamente un grande problema globale, perché l'uso eccessivo o improprio di essi, ha portato allo sviluppo di nuovi ceppi di microrganismi che si stanno dimostrando letali;
    l'uso eccessivo e l'abuso di antibiotici sono considerati le cause della crescita e della diffusione di microrganismi resistenti alla loro azione, con una conseguente perdita di efficacia delle terapie e gravi rischi per la salute pubblica. Un noto esempio di batterio che ha sviluppato la capacità di resistere a più antibiotici è lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (Meticillin-resistant Staphylococcus aureus) (MRSA);
    i batteri resistenti possono diffondersi attraverso numerose vie. Quando la resistenza agli antimicrobici si verifica in batteri zoonotici presenti in animali e alimenti, essa può anche compromettere l'efficacia del trattamento di malattie infettive negli esseri umani;
    l'elevato dosaggio somministrato non è solo un rischio per gli animali ma anche per l'essere umano, poiché una delle cause della resistenza agli antibiotici è soprattutto l'abuso negli animali;
    nell'Unione europea, in Norvegia e in Islanda secondo una stima venticinquemila persone muoiono ogni anno a causa di comuni infezioni di batteri resistenti. Questa cifra proviene da circa metà dei cinquantatré Stati membri dell'Organizzazione mondiale della Sanità per la regione europea, e il bilancio dei morti di tutta l'Europa è sconosciuto, ma senza dubbio la resistenza agli antibiotici sta crescendo con una velocità allarmante, con il conseguente risultato che l'Unione europea sta pagando, secondo le stime, un miliardo e mezzo di euro per affrontare le conseguenze degli organismi resistenti agli antibiotici;
    in Italia negli ultimi dieci anni, l'uso degli antibiotici è raddoppiato rispetto alla media europea, – il nostro Paese resta il terzo più grande utilizzatore nell'Unione europea (dopo Spagna e Cipro) – causando rischi per gli animali e l'uomo, a causa della resistenza dei batteri sempre maggiore. In media nei Paesi dell'Ocse si consumano 20,5 dosi di antibiotico per 1.000 abitanti, mentre in Italia se ne consumano 27,8 dosi per lo stesso numero di abitanti;
    nonostante gli allarmi lanciati dall'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e dall'organizzazione mondiale della sanità (OMS), all'uso sproporzionato di antibiotici negli allevamenti intensivi di animali, ben poco si è fatto nel nostro Paese per evitare impieghi inadeguati che portano alla resistenza dei batteri agli antibiotici;
    i dati sono allarmanti, poiché si stima che il 71 per cento degli antibiotici venduti in Italia viene somministrato agli animali da macello e quindi successivamente entra nei nostri piatti;
   i dati, forniti da ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), EFSA (European Food Safety Authority), EMA (European Medicines Agency) e SIMIT (Società italiana di malattie infettive e tropicali), hanno segnalato che il settore degli allevamenti intensivi di carne destinata all'uso umano è la cartina di tornasole di un settore che, pur non conoscendo una grossa crisi – 800 milioni di animali macellati per soddisfare il consumo di 60 milioni di persone – , inizia a destare serie preoccupazioni di fronte all'allarmante antibiotico resistenza di cui è maggiormente responsabile;
    le vendite di antibiotici riportate nel report dell'EMA – spiega Ciwf Italia Onlus «sono calcolate in termini di quantità di principio attivo utilizzato per unità di bestiame (l'unità viene chiamata “Population Correction Unit” o Pcu) e l'uso in Italia nel 2014 è stato di 359,9 mg/Pcu, mentre la media delle 29 nazioni europee (Eu/Eea) è di 152 mg/Pcu»;
    la Ciwf specifica inoltre che «i dati di EMA, mostrano che circa il 94 per cento degli antibiotici utilizzati in Italia, servono per i trattamenti di massa somministrati nei mangimi o nell'acqua». Detti trattamenti purtroppo sono resi necessari per diversi fattori, tra cui le scarse condizioni di benessere con cui vengono tenuti gli animali negli allevamenti;
    le pessime condizioni in cui versano gli animali negli allevamenti, dove vivono al limite delle proprie possibilità fisiologiche e con un sistema immunitario indebolito, fanno sì che gli antibiotici vengano somministrati agli animali malati e a quelli sani indistintamente per evitare che si ammalino;
    negli allevamenti intensivi di pollame, oggi la legge italiana, in linea con la normativa europea, consente di allevare a una densità massima di 33 chilogrammi di peso vivo a metro quadro (ossia 15/16 polli per metro quadro), con la possibilità di richiedere deroghe per aumentare la densità fino a 42 chili per metro quadro (20/21 animali per metro quadro);
    ciò che sfugge al nostro Paese e alla zootecnia italiana in generale – ma è ben chiaro alla Fao che riconosce il benessere animale come elemento fondamentale per un buono sviluppo del settore zootecnico – è che avere allevamenti intensivi privi di normative specifiche a favore del benessere animale significa peggiore qualità dei cibo e di conseguenza della salute;
    grazie alle normative comunitarie in vigore dal 2006, in Europa è vietato l'uso di antibiotici per favorire la crescita di animali da reddito e da compagnia;
    tuttavia, la circolare del Ministero della salute del 2013, con la quale si sollecitavano le regioni ad applicare la normativa in materia di prevenzione veterinaria e sicurezza alimentare relativa all'uso e somministrazione degli antibiotici, è stata disattesa;
    l'Organizzazione mondiale della sanità, sottolinea che i pazienti con infezioni causate da batteri resistenti ai farmaci sono generalmente a maggior rischio di esiti clinici gravi o fetali e consumano più risorse sanitarie rispetto ai pazienti che presentano forme non resistenti delle infezioni;
    usare in modo corretto gli antibiotici è una responsabilità del singolo nei confronti della propria salute per avere sempre a disposizione farmaci efficaci per la propria patologia ed è inoltre una responsabilità collettiva, poiché favorire lo sviluppo dell'antibiotico-resistenza, attraverso un uso improprio degli antibiotici, mette a rischio la salute della collettività;
    per ottenere dati affidabili sull'uso di antibiotici in relazione agli animali da reddito, occorrerebbe pertanto monitorare ogni singolo allevamento, estendendo l'uso della ricetta elettronica, come già hanno messo in atto, in via sperimentale, l'Abruzzo e la Lombardia,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dare immediata e piena attuazione alle direttive comunitarie in materia di uso e somministrazione di antibiotici e alla circolare del 27 febbraio 2013 del Ministero della salute;
2) a dare immediato avvio alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, della ricetta elettronica, per acquisire dati affidabili su cui basarsi nelle analisi;
3) ad accelerare la definizione del piano per la riduzione degli antibiotici, annunciato dal Sottosegretario per la salute pro tempore Vito De Filippo, per il 2017 che preveda obblighi precisi per la somministrazione a uso umano e di animali da allevamento e da affezione;
4) a promuovere campagne istituzionali per informare la popolazione generale sui rischi che possono essere connessi all'autocura, all'interruzione spontanea della terapia o alla somministrazione di dosi inadeguate di antibiotici, rischi che possono ripercuotersi sulla sull'efficacia della cura sia sullo sviluppo dei batteri resistenti;
5) a promuovere – anche nella logica di una spending review e di un effecientamento della spesa sanitaria pubblica che concilii il risparmio e la qualità dell'assistenza – un sistema razionalizzato di confezionamento dei farmaci, in particolare degli antibiotici;
6) ad adottare iniziative volte a sensibilizzare medici di base e aziende ospedaliere, nel prescrivere o somministrare gli antibiotici, tenendo conto dell'esatta posologia e dell'effettivo fabbisogno del paziente;
7) ad adoperarsi per attuare con urgenza misure efficaci per monitorare e ridurre i consumi di antibiotici negli allevamenti;
8) ad avviare iniziative per pervenire a un report nazionale degli allevamenti intensivi in Italia, al fine di consentire un innalzamento dei parametri di benessere animale, sanitario e sociale dell'allevamento industriale;
9) a individuare le forme d'incentivo per gli allevamenti che da intensivi passano a estensivi, con particolare riguardo al biologico.
(1-01485) «Brignone, Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'allungamento della speranza di vita della popolazione generale è coinciso largamente con la capacità della medicina di controllare le malattie infettive, prevenendo le epidemie e la mortalità per infezioni sporadiche e permettendo il miglioramento della mortalità materno-infantile, le possibilità d'intervento in chirurgia, lo sviluppo della medicina dei trapianti e della assistenza in terapia intensiva, la sopravvivenza del paziente oncologico e di quello immunodepresso;
    il controllo delle malattie infettive si è storicamente prodotto in virtù delle vaccinazioni e dell'antibioticoterapia;
    oggi le vaccinazioni subiscono una crisi di fiducia, mentre l'arma farmacologica viene progressivamente spuntata dal diffondersi del fenomeno della resistenza agli antibiotici;
    la resistenza al trattamento farmacologico è un problema generale della medicina, riguardando, ad esempio, anche la chemioterapia oncologica, il trattamento delle epilessie e quello della depressione. In questi casi, tuttavia esso è legato principalmente alle differenti caratteristiche genetiche all'interno della popolazione;
    diverso e molto più preoccupante è il fenomeno della resistenza al trattamento delle malattie infettive. Per queste ultime, infatti, un ruolo ben più importante della genetica umana è giocato dalla genetica dei microrganismi, in particolare dei batteri;
    questi, infatti, si riproducono a un ritmo talmente veloce da rendere più facile la comparsa nelle generazioni successive di mutazioni genetiche capaci di rendere il batterio resistente alla antibioticoterapia. Fleming, lo scopritore della penicillina, nel discorso tenuto alla consegna del premio Nobel, anticipò la possibilità dell'antibiotico-resistenza come un fenomeno evolutivo inevitabile;
    alcuni batteri, infatti» sviluppano l'abilità di neutralizzare antibiotici in maniera spontanea, in seguito alla mutazione casuale del proprio materiale genetico. In altri casi, batteri non patogeni portatori del gene di resistenza sono in grado di trasmettere il gene stesso a batteri patogeni che, a loro volta, svilupperanno così la resistenza;
    nello stesso discorso, tuttavia, Fleming mostra di aver intuito la possibilità che l'uso scorretto di antibiotici potesse velocizzarne lo sviluppo e la diffusione;
    infatti, l'esposizione ad antibiotici può indurre una vera e propria selezione naturale tra i batteri. Durante un trattamento con antibiotici può capitare che i batteri più sensibili vengano eliminati, ma, se anche un solo batterio fosse in grado di sopravvivere e moltiplicarsi, esso potrebbe dare vita ad un intero ceppo batterico resistente;
    le cause maggiori risiedono purtroppo nell'uso inappropriato ed eccessivo della antibiotico terapia in ambito medico e in ambito veterinario;
    come previsto da Fleming, nell'uomo lo sviluppo dell'antibiotico-resistenza è causato principalmente dall'utilizzo eccessivo e inappropriato di antibiotici, come si realizza ad esempio per non aver effettuato i test di sensibilità, per l'utilizzazione di farmaci a largo spettro, nei casi di prescrizione in presenza di un'infezione virale (come un semplice raffreddore o l'influenza), di utilizzi inappropriati in termini di frequenza, dosi e durata del trattamento, di «autoprescrizione», quando al paziente resta in casa una confezione del medicinale;
    nell'animale, sin dagli anni ’50, gli antibiotici utilizzati nel settore veterinario sono stati un mezzo per il controllo delle malattie infettive. Questi prodotti hanno importanza fondamentale non solo per il benessere dell'animale, ma anche per garantire la produzione di alimenti non contaminati, soprattutto in contesti legati agli allevamenti intensivi dove il propagarsi di infezioni costituisce un grave problema per la salute dei consumatori e un importante danno economico per i produttori;
    spesso, tuttavia, la somministrazione di antibiotici negli allevamenti non avviene per scopi terapeutici, ma è finalizzata ad ottenere una crescita più rapida dell'animale. La promozione della crescita mediata da antibiotici somministrati nel mangime, avviene tramite alterazioni del microbioma intestinale dell'animale, con conseguente migliore digestione e miglior assorbimento metabolico di nutrienti. Questo processo favorisce lo sviluppo dell'antibiotico resistenza negli allevamenti, e attraverso il consumo di prodotti animali, il suo trasferimento dall'animale all'uomo. Inoltre, gli allevamenti intensivi fanno largo uso di antibiotici per prevenire il propagarsi di infezioni e patologie tra gli animali;
    lo sviluppo dell'antibiotico-resistenza è favorito, dunque, dalle cattive condizioni igieniche degli allevamenti, dal diffondersi di allevamenti intensivi, dal ricorso ad antibiotico terapie di massa a fini preventivi, piuttosto che curativi, per specifiche patologie dall'utilizzazione di antibiotici per favorire l'assorbimento di fattori nutritivi e la crescita dell'animale, mentre il problema dell'uso improprio di antibiotici incomincia, infine, ad interessare lo stessa produzione agricola;
    negli ultimi settantanni il continuo sviluppo di antibiotici ha permesso di curare moltissime malattie che in passato erano letali: colera, tifo e tubercolosi, ad esempio. Ci si sta tuttavia avvicinando alla fine della medicina moderna e all'inizio di un'era post-antibiotica, durante la quale infezioni comuni o ferite minori che sono state curate per decenni potrebbero tornare nuovamente a uccidere;
    si aprirebbe allora uno scenario apocalittico. Ciò equivarrebbe, infatti, a tornare all'epoca in cui le infezioni non avevano nemici in grado di combatterle, cioè a una condizione in cui le infezioni sfuggono alle anni della medicina moderna per divenire intrattabili. Dal punto di vista sanitario, il mondo si troverebbe a essere riportato al periodo precedente alla seconda guerra mondiale;
    tutto questo a causa della diffusione di superbatteri (detti anche «Superbugs») che hanno sviluppato antibiotico-resistenza, definita dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come «resistenza di batteri ad uno specifico antibiotico che originalmente era efficace per il trattamento di infezioni causate dagli stessi»;
    i superbatteri rappresentano una concreta minaccia globale e una delle più urgenti sfide per la salute pubblica mondiale, come più volte ricordato dall'OMS, dalle istituzioni europee e da quelle italiane, al punto tale che nel 2008 il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha deciso di lanciare una giornata europea di Public Awareness, da celebrare il 18 Novembre, dedicata a sensibilizzare pubblico generale e operatori sanitari sull'uso prudente degli antibiotici e sul problema della resistenza agli antibiotici;
    a distanza di oltre otto anni dalla prima giornata degli antibiotici, purtroppo, le notizie sul fronte dell'evoluzione dell'antibiotico-resistenza non sono buone. Il fenomeno è in aumento ed è ormai globale, cioè interessa sia Paesi industrializzati che Paesi in via di sviluppo, come si evidenzia da un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità;
    l'abuso di antibiotici ha creato ceppi di batteri resistenti al trattamento, portando così infezioni comuni, curate efficacemente da decenni, a essere nuovamente letali per i soggetti che hanno appunto sviluppato la resistenza. Basti pensare che nel 2012 sono stati accertati circa 450.000 nuovi casi di tubercolosi resistente ad antibiotici e che circa 170.000 persone sono morte per questa infezione considerata ormai debellata da anni;
    questi batteri antibiotico-resistenti possono velocemente diffondersi in contesti sociali ravvicinati (tra membri della famiglia, compagni di scuola, colleghi di lavoro e altro), minacciando la comunità con un nuovo ceppo di malattie infettive che non solo sono più difficili da curare, ma anche più costose per la sanità pubblica;
    la resistenza agli antibiotici è divenuta un'emergenza di sanità pubblica, che determina aumento della spesa sanitaria, allungamento dei tempi di degenza, fallimenti terapeutici e aumento della mortalità. Senza antibiotici efficaci, la medicina moderna rischia di tornare indietro a un'epoca pre-antibiotica, in cui le infezioni rappresentavano la prima causa di morte ed interventi o terapie complesse erano impensabili. Rischia di precipitare indietro anche la medicina dei trapianti e la gestione del paziente oncologico;
    il «report della sorveglianza Europea EARS-Net», al quale l'Italia partecipa con i dati della sorveglianza AR-ISS, coordinata dall'Istituto superiore di sanità, puntualmente descrive l'aumento di resistenza, soprattutto negli enterobatteri: a livello europeo continua ad aumentare la resistenza ai fluorochinoloni e alle cefalosporine di 3a generazione in escherichia coli e la resistenza alle cefalosporine di 3a generazione in Klebsiella pneumoniae. Inoltre, si nota a livello europeo un incremento della resistenza ai carbapenemi in Klebsiella. Di questo aumento l'Italia è in gran parte responsabile insieme alla Grecia e, in misura minore, Cipro e Romania. Per comprendere l'estensione e la velocità di propagazione del fenomeno della resistenza ai carbapenemi in Italia, basta pensare che nel 2008 meno dell'1 per cento delle Klebsielle era resistente. La percentuale è diventata del 15 per cento nel 2010, 29 per cento nel 2012 e 35 per cento nel 2013. I carbapenemi sono antibiotici di ultima risorsa, dei veri salvavita per infezioni già resistenti alla maggior parte degli antibiotici disponibili. Resistenza ai carbapenemi vuol dire mortalità in eccesso di almeno il 30 per cento percentuale che sale in caso di pazienti particolarmente fragili;
    la resistenza verso i carbapenemi lascia scarse o nulle possibilità terapeutiche: una alternativa è rappresentata da un vecchio antibiotico, la colistina. Ma le Klebsielle resistenti ai carbapenemi stanno diventando resistenti anche alla colistina in una proporzione allarmante. Questi batteri resistenti a tutti o quasi gli antibiotici disponibili sono presenti in tutte le aree geografiche del nostro Paese e in tutti i tipi di strutture di degenza, sia ospedali per acuti che lungo degenti e residenze assistenziali per anziani, in controllo della loro diffusione è difficile, perché molti pazienti sono portatori asintomatici e possono trasmettere i batteri ad altri pazienti;
    un altro problema importante per l'Italia è l'acinetobacter multiresistente, cioè resistente a fluorochinoloni, aminoglicosidi e carbapenemi, che in Italia rappresenta più del 50 per cento degli Acinetobacter isolati. Anche per lo stafilococco aureo resistente alla meticillina (MRSA) la percentuale di resistenza in Italia rimane sempre critica (intorno al 35 per cento), mentre molti Paesi europei sono riusciti a riportare la resistenza a livelli più bassi;
    il 16 novembre 2015, in occasione dell’European Antibiotic Awareness Day, sono stati resi noti i risultati dell'indagine effettuata dall’European Centre for Disease Control and Prevention (Ecdc) sull'andamento dei consumi di antibiotici in Europa; da questi risultati si evidenza che continua a crescere nell'Unione europea il ricorso agli antibiotici, nonostante il fenomeno sia all'origine dell'aumento di forme resistenti, particolarmente insidiose, mentre la «fotografia» mostra come l'Italia sia fra i primi Paesi per consumo, anche se il record assoluto spetta alla Grecia;
    l'indagine rileva come nel periodo 2010-14 il consumo generale di antibiotici nelle comunità (fuori dagli ospedali) mostri in Europa un trend in aumento «in modo significativo», con persistenti variazioni fra Paese e Paese. Il trend è in aumento anche nel caso dei consumi di questi medicinali in ospedale;
    secondo l'indagine, basata sui dati della sorveglianza Esac-Net, nell'Unione europea nel 2014 il consumo medio di questi farmaci fuori dagli ospedali è stato pari a 21,6 dosi al giorno ogni mille abitanti, ma oscilla da 10,6 dosi in Olanda a 34,1 in Grecia. In questa classifica l'Italia – con 27,8 dosi – si piazza al quinto posto, dietro Romania (seconda), Francia e Belgio;
    se la Gran Bretagna mostra un trend significativamente in aumento, questo cala in modo deciso nel periodo 2010-2014 a Cipro e in Svezia. Quanto alle confezioni consumate, si va da una per mille abitanti al di in Svezia a ben 4,6 in Francia. La media europea è di 3,1 confezioni per mille abitanti al giorno, «stabile» dunque, secondo gli esperti. Ma con una riduzione significativa in Danimarca, Lussemburgo, Slovenia, Spagna e Svezia negli anni esaminati. In Italia i dati indicano 3,70 confezioni per mille abitanti al giorno, senza variazioni significative;
    come negli anni precedenti, spiega il rapporto, le penicilline sono l'antibiotico più utilizzato in tutti i Paesi, e oscillano dal 32 per cento del totale in Germania al 67 per cento in Slovenia. Le cefalosporine oscillano dallo 0,2 per cento in Danimarca al 21 per cento in Slovacchia, mentre i macrolidi dal 5 per cento in Svezia al 27 per cento in Slovacchia;
    quanto all'uso sistemico a livello ospedaliero, nel 2014 si va da una dose al giorno per mille abitanti in Olanda a 2,6 dosi in Finlandia. La media europea è di 2 dosi, e ancora una volta l'Italia si piazza fra le «peggiori della classe» con 2,2 dosi al giorno ogni mille abitanti;
    si può dunque dire che malgrado la comunità scientifica internazionale e le istituzioni preposte alla tutela della salute abbiano lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche da molto tempo, dando vita anche a campagne di comunicazione, con l'obiettivo di richiamare la popolazione generale e gli operatori sanitari a utilizzare questi farmaci in maniera più prudente ed appropriata, la percezione pubblica del fenomeno, a livello globale, resta ancora piuttosto limitata;
    pochi mesi or sono, il 10 maggio 2016, l'AIFA ha comunicato i dati raccolti dall'Osservatorio sull'impiego dei medicinali (OsMed) dell'Agenzia, che certificano un rallentamento della spesa e dei consumi registrati per questa categoria. Limitando l'analisi all'ultimo quinquennio, si può osservare che nel 2010 la spesa era pari a 14,5 euro pro-capite, mentre nel 2015 è passata a 10,8 euro, con una variazione media annua del –5,7 per cento. Anche i consumi, nello stesso lasso di tempo, sono diminuiti. Nel 2010 ogni mille abitanti venivano somministrate a carico del Servizio sanitario nazionale 24,6 dosi di antibiotici, mentre nel 2015 ne sono state erogate 23,0 dosi. La variazione media annua dei consumi è stata pari al –1,3 per cento;
    per quanto si tratti di numeri che indicano una tendenza positiva, essi non sono certo sufficienti. Uno dei problemi più annosi è certamente costituito dal «gradiente Nord-Sud», che vede le regioni del meridione consumare un numero significativamente superiore di dosi, senza alcuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico. La variabilità regionale vede realtà di eccellenza, come la Liguria (16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la provincia autonoma di Bolzano (14,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti), e contesti che fanno più fatica a ridurre i consumi come la Campania (32,7 DDD/1000 ab die), la Puglia (30,3 DDD/1000 ab die) e la Calabria (28,4 DDD/1000 ab die);
    nel cercare di ridurre il divario esistente tra le regioni italiane, occorre però guardare con interesse alle esperienze di altri Paesi europei che fanno registrare un consumo inferiore di antibiotici;
    un esempio particolare, ma significativo, viene dalle esperienze nell'ambito del consumo di antibiotici residui. I Paesi Bassi, che rappresentano la realtà europea maggiormente virtuosa nel campo dell'antibiotico-resistenza, hanno ottenuto importanti risultati semplicemente con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, che consente di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati. Lo studio ARNA, finanziato dall'Unione europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti left-overs, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    lo studio ha effettuato una survey in sette Paesi europei, tra cui l'Italia, e nel dettaglio, su 9.313 pazienti italiani intervistati, il 9 per cento ha affermato di utilizzare gli antibiotici senza ricorrere ad una prescrizione medica e di questi l'87 per cento le rimanenze di confezioni di antibiotico disponibile tra famiglia e parenti;
    anche in campo veterinario si sta cercando di coordinare gli sforzi su scala internazionale. Il 6 maggio 2013 la Commissione europea ha presentato il pacchetto di riforme « Smarter Rules for Safer Foods». Tra gli obiettivi di questo pacchetto vi è in primis quello di fare della sicurezza alimentare un fattore chiave nella lotta alla resistenza agli antibiotici. In pratica, lo scopo è di regolamentare i controlli, garantendo maggior sorveglianza su alimenti e mangimi;
    inoltre, per permettere controlli serrati e repentini, entra in gioco con un ruolo fondamentale la ricerca biotecnologica. È, infatti, necessaria la continua messa a punto di nuove tecniche e la scoperta di marcatori biologici per la rilevazione dell'uso illecito di antibiotici o ormoni della crescita. Ad esempio, un recente studio dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte ha scoperto un marcatore in grado di identificare la presenza di una specifica proteina nel plasma delle mucche in seguito ad una somministrazione illecita di antibiotico;
    la necessità di aumentare i controlli sugli alimenti non riguarda solo i cibi di origine animale, ma anche quelli di origine vegetale. Basti ricordare l'epidemia dovuta a germogli vegetali risultati contaminati con una variante mai identificata prima di Escherichia coli (Escherichia coli Enteroemorragica (Ehec)) che, nel maggio del 2011, ha fatto tremare la Germania in primis e successivamente l'intera Europa. L'epidemia ha coinvolto oltre 3950 persone con 53 decessi, in 13 Paesi guadagnando il secondo posto nella classifica delle intossicazioni alimentari europee dopo la diffusione del morbo della mucca pazza. Questa variante di E.coli così risultò particolarmente resistente agli antibiotici, causando nei soggetti infetti sindrome emolitico uremica (SEU) e diarrea emorragica;
    da ultimo, un problema che si somma all'inadeguato utilizzo di antibiotici è il disinteresse crescente da parte delle industrie farmaceutiche nell'investire nella ricerca e sviluppo di nuovi farmaci contro le infezioni. Gli antibiotici sono poco redditizi, poiché da assumere con cautela e solo per pochi giorni, a differenza, ad esempio di farmaci per curare malattie croniche, per le quali è necessario assumere farmaci per tempi molto lunghi. Sono pochi i Governi che si stanno mobilitando per risolvere questo problema, ma è significativo che l'amministrazione del presidente Obama avesse deciso di combattere la crescita dell'antibiotico resistenza e delle infezioni anche grazie all'attuazione di un piano quinquennale, per un costo di 1,2 miliardi di dollari;
    così come è significativo che, a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2016, in occasione della riunione ad alto livello sulla resistenza agli antimicrobici, 13 tra le principali aziende biofarmaceutiche abbiano presentato una roadmap da implementare entro il 2020 per ridurre la resistenza agli antimicrobiotici, tra cui gli antibiotici. Si tratta di quattro punti che riflettono l'intenzione di contribuire attivamente allo sforzo globale per affrontare la resistenza antimicrobica. Nello specifico, questo gruppo di aziende si impegna a:
     1. ridurre l'impatto ambientale della produzione di antibiotici, includendo anche una revisione della catena di produzione e approvvigionamento, e lavorare con gli stakeholder per stabilire un quadro comune per la valutazione e la gestione dello smaltimento degli antibiotici;
     2. aiutare a garantire che gli antibiotici siano utilizzati solo dai pazienti che ne hanno un reale bisogno, riconoscendo, al contempo, che questo richiede un'unione di intenti tra i molti attori coinvolti, attraverso un'educazione costante di fornitori pazienti, un controllo sulle attività promozionali delle aziende, la condivisione dei dati di farmacovigilanza con gli enti sanitari pubblici e gli operatori sanitari e, infine, la collaborazione tra le parti interessate per ridurre l'acquisto incontrollato degli antibiotici;
     3. migliorare l'accesso agli antibiotici, ai vaccini e agli strumenti diagnostici oggi disponibili o che verranno approvati in futuro, lavorando in sinergia con gli stakeholder per rafforzare i sistemi della salute a livello globale e affrontare le barriere all'accesso; creando nuovi modelli di business che bilancino le esigenze di accesso, l'uso appropriato degli antibiotici, l'allargamento della copertura vaccinale e un adeguato ritorno economico per le aziende; infine, lavorando per ridurre la presenza di antibiotici contraffatti in mercati ad alto rischio;
     4. esplorare nuove opportunità di collaborazione tra aziende e settore pubblico per affrontare le sfide in ambito di ricerca e sviluppo su nuovi antibiotici, vaccini e strumenti diagnostici, riconoscendo il valore che questi portano alla società;
   nel documento si legge, tra l'altro che «Non si faranno passi avanti senza uno sforzo comune da parte di tutti i soggetti coinvolti»; nella nota le aziende firmatarie chiedono ai Governi «di sostenere la riduzione, nell'uomo e negli animali, dell'uso di antibiotici quando non necessari, di sostenere il miglioramento delle misure di sorveglianza e di controllo delle infezioni, la ricerca continua e lo sviluppo di nuovi antibiotici attraverso incentivi finanziari e normativi e, infine, di approfondire l'impegno per sviluppare e adottare sistemi diagnostici avanzati per affrontare l'eccesso di prescrizioni»;
   con questo documento, le aziende si sono impegnate a ridurre la diffusione dell'antibiotico-resistenza, a migliorare l'accesso agli antibiotici di alta qualità, ai vaccini e alla diagnostica, a investire in ricerca e sviluppo, e a collaborare con i governi e gli stakeholder per la sostenibilità di questi investimenti;
    insieme alle migliori condizioni di nutrizione, gli antibiotici sono stati l'arma più potente del secolo nella medicina dell'ultimo secolo, vincitori per decenni di numerose battaglie contro malattie inguaribili. Senza gli antibiotici non sarebbero stati possibili trapianti d'organo, chemioterapie anticancro, terapie intensive e altre procedure mediche. L'errore più grande è stato quello di darli per scontati, o sopravvalutare la loro potenza a lungo termine, e ora, se ne stanno pagando le conseguenze;
    la soluzione del problema è scientifica, ma occorre che lo studio delle cause della resistenza e la scoperta dei meccanismi per superarla possano aver luogo prima che i fenomeni della antibioticoresistenza, che crescono a ritmi ben più veloci dell'avanzamento della ricerca, possano diventare incontrollabili;
    nel frattempo, la tendenza all'aumento dell'antibioticoresistenza nel nostro Paese può essere invertita solo da una combinazione d'interventi efficaci, i cui cardini sono la diffusione della conoscenza e la corretta informazione sull'uso consapevole e appropriato degli antimicrobici, la promozione dell'uso prudente di antibiotici anche nel territorio e di strategie efficaci di controllo per bloccare la diffusione di batteri multiresistenti nelle strutture di assistenza. Insieme a questo sono urgenti misure di politica industriale, sia nel filone agro-alimentare con interventi di medicina veterinaria volti ad ostacolare ogni abuso di antibiotici negli allevamenti. La regolamentazione e il controllo sull'uso di antibiotici all'interno degli allevamenti sono, infatti, fondamentali per garantire la sicurezza alimentare e prevenire lo sviluppo di antibiotico-resistenza;
    occorre infine realizzare alleanze tra le istituzioni sanitarie e l'industria per rilanciare la ricerca in campo diagnostico delle malattie infettive e lo sviluppo di nuovi e più efficaci antibiotici,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a promuovere campagne per la prevenzione della diffusione delle infezioni nella comunità, attraverso l'educazione all'igiene personale e di comunità e interventi finalizzati a scoraggiare stili di vita in grado di favorire il calo delle risposte immunitarie;
2) a rafforzare le campagne di vaccinazione come strumento per la prevenzione delle infezioni microbiche;
3) a favorire il miglioramento delle pratiche igieniche come strumento per la prevenzione della contaminazione batterica nella produzione alimentare;
4) a promuovere campagne di educazione alimentare per incoraggiare l'acquisto di carni e altri prodotti alimentari provvisti di certificazione di provenienza da allevamenti o colture controllati per quanto riguarda l'utilizzo di antibiotici e per favorire l'attenzione dei consumatori al lavaggio della frutta e della verdura, soprattutto se consumate crude, in modo da eliminare eventuali batteri contaminanti;
5) a promuovere la prevenzione dello sviluppo di infezioni nosocomiali attraverso il miglioramento delle pratiche igieniche a livello ospedaliero;
6) a promuovere programmi di formazione professionale per gli operatori sanitari e campagne d'informazione e di educazione per la popolazione generale, diffondendo la conoscenza del valore degli antibiotici e le regole necessarie per un loro uso appropriato e prudente, in grado di massimizzarne l'efficacia, di ridurre i rischi di sviluppare resistenza e di contenere al minimo le conseguenze indesiderate per il singolo e per la collettività;
7) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché gli ospedali siano dotati di servizi di microbiologia per coadiuvare i medici prescrittori nella scelta delle terapie più appropriate, identificando i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici;
8) ad adottare, d'intesa con le regioni, iniziative efficaci per la riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, attraverso il raffinamento della diagnosi eziologica e l'applicazione di test di sensibilità agli antibiotici;
9) a promuovere l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati nel sistema di confezionamento dei farmaci, al fine di limitare il ricorso all'autoprescrizione da parte dei pazienti;
10) ad adottare iniziative per incentivare l'allevamento estensivo e con metodi biologici come strumento di prevenzione delle infezioni animali negli allevamenti intensivi e con mangimi arricchiti con antibiotici;
11) ad avviare un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle aziende zootecniche, rafforzando il controllo su eventuali usi degli antibiotici a fini di prevenzione o di crescita degli animali nonché la vigilanza sulle condizioni igieniche degli allevamenti e quelle di vita e di salute degli animali ivi ospitati;
12) ad assumere iniziative per rendere obbligatorio l'uso della ricetta elettronica per la prescrizione in medicina veterinaria, al fine di assicurare la tracciabilità degli antibiotici nel percorso di cura e di prevenire ogni abuso negli allevamenti, e ad intensificare i controlli sulla distribuzione, prescrizione ed uso di medicinali veterinari;
13) ad assumere iniziative, anche normative, per scoraggiare incentivazioni e sconti per l'acquisto massivo di antibiotici ad uso veterinario;
14) ad assumere iniziative per incentivare, anche attraverso la leva fiscale e la politica dei prezzi per i farmaci e i vaccini, la ricerca e lo sviluppo di terapie innovative, in grado di far fronte ai ceppi che non rispondono più ai trattamenti, e di nuovi vaccini;
15) a individuare, in accordo con le regioni e con il supporto tecnico dell'Istituto superiore di sanità, protocolli per una più efficace sorveglianza epidemiologica dei focolai di resistenza microbiche nelle strutture di ricovero, prevedendo sistemi di verifica della loro costante attuazione, utili alla predisposizione di efficaci strumenti di intervento precoce;
16) a valutare la possibilità di individuare una specifica dotazione per finanziare programmi di ricerca indipendente dell'AIFA, in grado di stimolare gli studi sull'uso degli antibiotici e lo sviluppo di farmaci attivi contro i microrganismi con elevata resistenza;
17) ad accelerare la predisposizione di un piano nazionale per il contrasto alle resistenze antimicrobiche.
(1-01486) «Gigli, Capelli, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Marazziti, Sberna, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici, o antibiotico-resistenza, è un fenomeno per il quale un batterio risulta resistente all'attività di un farmaco antimicrobico;
    negli anni, l'antibiotico-resistenza è diventata sempre più importante, soprattutto per quanto riguarda ceppi batterici la cui sensibilità a certi farmaci sembrava indiscussa (ad esempio, Salmonella e cloramfenicolo);
    una delle principali cause di questa tendenza è un uso improprio degli antibiotici;
    l'abuso e l'utilizzo inappropriato degli antibiotici hanno contribuito alla comparsa di batteri resistenti. Il problema è ulteriormente aggravato dalla auto-prescrizione di antibiotici da parte di individui che ne assumono senza la prescrizione di un medico qualificato, e dall'uso sistematico degli antibiotici come promotori della crescita in zootecnia;
    gli antibiotici vengono spesso prescritti per situazioni in cui il loro uso non è giustificato (per esempio, nei casi in cui le infezioni possono risolverci senza trattamento);
    forme comuni di uso improprio di antibiotici comprendono: l'uso eccessivo di antibiotici nella profilassi dei viaggiatori; in caso di prescrizione medica, la mancata presa in considerazione del peso del paziente e della storia del precedente uso di antibiotici, dal momento che entrambi i fattori possono influenzare fortemente l'efficacia di una prescrizione di cura per antibiotici; il mancato rispetto dell'intero corso prescritto di antibiotico, l'omissione nel prescrivere o nel seguire il corso del trattamento secondo precisi intervalli giornalieri, o il mancato riposo per il recupero sufficiente a consentire la liquidazione dell'organismo infettante;
    tutte queste pratiche citate possono facilitare lo sviluppo delle popolazioni batteriche resistenti agli antibiotici. Un inappropriato trattamento antibiotico costituisce un'altra comune forma di abuso di antibiotici;
    dai dati del rapporto annuale del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, redatto con i dati del sistema di sorveglianza Esac-Net dell'Unione europea, l'Italia è ai primi posti in Europa per consumo di antibiotici e, con il loro uso, anche la resistenza aumenta;
    stando ai dati dell'OCSE del 2014, l'Italia è il terzo Paese con la più alta percentuale di antibiotico resistenza;
    oggi questa problematica è diventata una vera e propria priorità di sanità pubblica a livello mondiale, non soltanto per le importanti implicazioni cliniche (aumento della morbilità, letalità, durata della malattia, possibilità di sviluppo di complicanze, possibilità di epidemie), ma anche per la ricaduta economica delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti, dovuta al costo aggiuntivo richiesto per l'impiego di farmaci e di procedure più costose, per l'allungamento delle degenze in ospedale e per eventuali invalidità;
    negli ultimi anni questo fenomeno sta aumentando notevolmente e rende necessaria una valutazione dell'impatto in sanità pubblica, specifica per patogeno, per antibiotico e per area geografica. Ogni microrganismo è infatti causa di malattie di severità e incidenza diversa e nei suoi confronti possono essere disponibili pochi o molti chemioterapici efficaci o anche altre forme di prevenzione primaria come la vaccinazione;
    inoltre, la comparsa di patogeni resistenti contemporaneamente a più antibiotici (multidrug resistance) riduce ulteriormente la possibilità di un trattamento efficace. È da sottolineare che questo fenomeno riguarda spesso infezioni correlate all'assistenza sanitaria, che insorgono e si diffondono all'interno di ospedali e altre strutture sanitarie;
    il problema della resistenza agli antibiotici è complesso poiché fondato su molteplici fattori: l'aumentato uso di questi farmaci (incluso l'utilizzo non appropriato), la diffusione delle infezioni ospedaliere da microrganismi antibiotico-resistenti (e il limitato controllo di queste infezioni), un aumento dei viaggi internazionali e quindi una maggiore diffusione dei ceppi. L'uso continuo degli antibiotici aumenta la pressione selettiva favorendo l'emergere, la moltiplicazione e la diffusione dei ceppi resistenti;
    l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unione europea hanno sottolineato più volte l'impotenza di questa materia e hanno indicato ima serie di provvedimenti specifici, volti a contenere il diffondersi della resistenza antimicrobica attraverso un uso prudente degli agenti antibiotici nell'uomo. L'Unione europea, in particolare, ha inserito l'antibiotico-resistenza tra le priorità da affrontare, già dal 1999, con la risoluzione denominata «Una strategia contro la minaccia microbica» in cui si afferma che l'antibiotico-resistenza costituisce un grave problema di sanità pubblica e che un'efficace riduzione del fenomeno non può essere conseguita solo attraverso misure a livello nazionale, ma richiede una stratega comune e un'azione coordinata a livello internazionale;
    recentemente, il Parlamento europeo, in parere congiunto con tutte le agenzie europee che operano nel settore, ha lanciato il piano d'azione europeo sulla resistenza agli antibiotici 2011-2015, una serie di importanti azioni strategiche per la mitigazione, la prevenzione ed il controllo, al fine di preservare l'efficacia degli antibiotici, ed assicurare che rimangano uno strumento efficace per combattere le malattie, sia nell'uomo che negli animali;
    stando ad un'indagine di Eurobarometro sull'uso degli antibiotici – pubblicata dalla Commissione europea nel giugno 2016 – si evince che gli italiani sanno poco sull'efficacia e sugli effetti degli antibiotici e quindi ne fanno un consumo spesso inappropriato;
    determinante in tal senso è il ruolo dell'informazione. In Italia, però solo il 15 per cento dei cittadini ha ricevuto una qualche indicazione, quasi sempre da un medico, sul fatto di non usare antibiotici quando non sono necessari. La media europea è, invece, del 33 per cento;
    l'utilizzo di vaccini concorrerebbe a ridurre la necessità di utilizzare antibiotici e contribuirebbe a combattere l'aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per ridurre il consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero e domestico;
2) a dare piena attuazione, anche attraverso iniziative normative per concretizzare le linee guida predisposte dall'Organizzazione mondiale della sanità, alla riduzione dell'uso degli antibiotici;
3) a promuovere iniziative rivolte ad incoraggiare un uso corretto degli antibiotici in commercio;
4) a promuovere l'implementazione dei programmi di formazione dei medici riguardanti l'appropriatezza prescrittiva di farmaci antibiotici e l'individuazione, anche attraverso nuove linee guida e/o protocolli clinici, di più corrette ed idonee terapie;
5) a valutare la possibilità di intensificare le modalità di promozione delle vaccinazioni;
6) a stabilire protocolli, di intesa con le regioni, affinché si implementino i sistemi di sorveglianza sul fenomeno dell'antibiotico resistenza;
7) ad assumere tutte le iniziative utili al fine di favorire la ricerca volta all'individuazione di nuove tecniche e metodologie per contrastare tale fenomeno.
(1-01487) «Francesco Saverio Romano, Vezzali, Parisi, Merlo, Abrignani, Marcolin, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    recentemente la Corte costituzionale si è espressa sull'ammissibilità di tre quesiti referendari in materia di lavoro e jobs act dichiarando ammissibili i quesiti concernenti rispettivamente l'abolizione dei voucher, e l'abrogazione delle disposizioni che limitano la responsabilità solidale delle imprese in caso di appalti;
    relativamente al terzo quesito referendario sull'articolo 18, la Consulta si è espressa negativamente sulla sua ammissibilità. In specie, il predetto quesito si proponeva di abrogare le modifiche apportate dal jobs act allo statuto dei lavoratori reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa;
    in particolare, il quesito referendario chiedeva il ripristino e l'ampliamento della «tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo», estendendola però a tutte le aziende con oltre cinque dipendenti, a fronte del tetto massimo di 15 dipendenti, previsti dalla versione originaria dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori;
    il jobs act ha superato l'articolo 18, sostituendo il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa;
   il quesito è stato elaborato dai proponenti in maniera un po’ complessa, investendo due diversi provvedimenti: il decreto legislativo n. 23 del 2015 («Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti») e numerose parti dell'articolo 18, nella versione modificata dalla «legge Fornero» del 2012;
    nel caso del decreto legislativo n. 23 del 2015 si proponeva l'abrogazione integrale del provvedimento, e dunque della disciplina sanzionatoria dei licenziamenti applicabile ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 (cioè dall'entrata in vigore dello stesso decreto);
    nel caso dell'articolo 18, invece, le relative abrogazioni erano finalizzate a modificare la norma, con due principali conseguenze: a) da un lato la semplificazione dei regimi sanzionatori del licenziamento invalido, che sarebbero divenuti soltanto due (e non più quattro, come nella «legge Fornero»), entrambi basati sulla reintegrazione nel posto di lavoro; b) dall'altro, la semplificazione e l'estensione del campo di applicazione della reintegrazione: questa, come già avviene oggi, si sarebbe applicata a tutti i datori di lavoro e a tutti i rapporti di lavoro (compresi i dirigenti) in caso di licenziamento discriminatorio o nullo, mentre in caso di licenziamento illegittimo, perché non giustificato, si sarebbe applicata, in caso di approvazione del referendum, ai lavoratori (non dirigenti) dipendenti da datori di lavoro che occupano più di cinque dipendenti;
    tale carattere ha inciso, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo; sulla decisione della Corte Costituzionale; l'Avvocatura dello Stato si è così espressa: «proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento, “disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire”. Il quesito punta a estendere i vincoli al licenziamento “previsti dall'articolo 18 a tutte le aziende con più di 5 dipendenti”. Nell'articolo 18 l'ambito di applicazione della tutela reale viene stabilito differenziando a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 o più di 5 dipendenti: la disposizione contiene due regole speciali, la prima vale per le organizzazioni diverse dalle imprese agricole, la seconda per le imprese agricole»;
    secondo l'Avvocatura dello Stato, «l'intento dei promotori del referendum era quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta»; tuttavia, considerando che, secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni, l'Avvocatura dello Stato sostiene che l'eventuale esito positivo della consultazione avrebbe condotto ad una condizione di incertezza normativa, col rischio di incidere sulla regolamentazione delle vicende negoziali in essere al momento della modifica normativa;
    già nel 2003 la Corte costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi su un quesito referendario non molto dissimile da quello in parola, che allora era stato ritenuto ammissibile. In quell'occasione, la proposta di abrogazione riguardava alcuni commi o patti di commi dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970 nel testo allora vigente); l'articolo 2, comma primo, e l'articolo 4, comma primo, della legge n. 108 del 1990; l'articolo 8 della legge n. 604 del 1996, con la finalità complessiva di estendere a tutti i rapporti di lavoro il regime della reintegrazione nel posto di lavoro. Il referendum non raggiunse il quorum di validità, e nell'ambito dei voti espressi la grande maggioranza degli elettori si pronunciò a favore dell'abrogazione;
    in assenza del referendum, in primis i lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, e dunque assoggettati alla disciplina del contratto a tutele crescenti, restano in una condizione di grave sotto protezione nei confronti di un licenziamento illegittimo;
    da un punto di vista formale la legge delega n. 183 del 2014 (cosiddetto jobs act) non sostituisce o corregge l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma lo lascia sopravvivere ad esaurimento per i lavoratori già assunti, ponendo un regime autonomo per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato all'indomani della sua entrata in vigore. Non è stato ripresentato il testo del precitato articolo 18, debitamente emendato, ma ne è stato proposto uno nuovo, che solo con riguardo al licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, riprende quello precedente. La riscrittura dell'articolo 18 dello statuto prefigurata dalla legge delega, sostituisce le limitazioni precedenti «per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi» (legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42), che assegnava alla disciplina collettiva una parte essenziale nell'individuazione delle ipotesi di tutela reale;
    il doppio regime («tutele crescenti» per i neo assunti e tradizionali tutele per i lavoratori già dipendenti) ha indotto molti interpreti ad evidenziare la disparità di trattamento tra lavoratori all'interno della stessa azienda, i quali, di fronte a un medesimo provvedimento datoriale potranno ottenere differenti rimedi Una disparità di trattamento non già tra diverse categorie di lavoratori, indotta da ragioni oggettive, bensì tra colleghi di lavoro della stessa azienda, indotta da ragioni puramente soggettive (la data di assunzione). Con l'evidente possibilità che i giudici investiti di tali situazioni possano, a richiesta della parte ricorrente o meno, sollevare questione di incostituzionalità per violazione dell'articolo 3 della Costituzione;
    la mancata individuazione delle «specifiche fattispecie» di licenziamenti disciplinari ancora meritevoli di tutela reintegratoria non rappresenta soltanto violazione della delega ricevuta, anche ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione, ma dà luogo anche ad un profilo aggiuntivo e autonomo di incostituzionalità; secondo molti interpreti, se per dimostrare l'insussistenza del «fatto materiale» il lavoratore licenziato dovesse essere costretto a fornire davvero una prova diretta, allora si tramuterebbe nel dovere di fornire una prova negativa, vietata in generale perché impossibile, con conseguente violazione dell'articolo 24 della Costituzione;
    il divieto per il giudice, sempre in tema di licenziamento disciplinare, di valutare la proporzionalità tra condotta effettivamente tenuta dal lavoratore incolpato e pena espulsiva inflittagli dal datore di lavoro, contrasta – secondo gli stessi interpreti – con l'esistenza stessa di una funzione giurisdizionale autonoma e indipendente dal potere legislativo/esecutivo, garante del principio di legalità: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»; principio contenuto nell'articolo 25 della Costituzione, che a sua volta è contenuto nella Parte prima, «Diritti e doveri dei cittadini», e più esattamente nel relativo Titolo I, «Rapporti civili»; tale divieto si pone, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo anche in violazione dell'articolo 39 della Costituzione laddove smentisce tutto il lavoro svolto dalla contrattazione collettiva in tema di individuazione delle singole mancanze e delle singole sanzioni corrispondentemente applicabili;
    il Governo Renzi, con la riforma del lavoro, di americana memoria ha modificato la disciplina giuridica del rapporto e del mercato del lavoro, sotto l'occhio vigile di Bruxelles, resosi disponibile ad allentare la pressione finanziaria, purché, sull'onda della celeberrima «riforma Fornero», si continuasse ad effettuare ulteriori riforme strutturali, a cominciare proprio da una traduzione della formula comunitaria di gran moda della flexsecurity,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza al fine di fissare la data per il voto referendario entro i primi giorni utili previsti per legge in particolare il 23 aprile 2017;

2) ad adottare tutte le iniziative utili a tutelare i diritti della persona del lavoratore della sua libertà e dignità, della sua capacità e forza contrattuale, partendo da quelle volte all'abrogazione della legge n. 183 del 2014, cosiddetta «riforma del jobs act», anche alla luce delle criticità segnalate in premessa con riferimento al rispetto delle norme costituzionali, e specificamente dell'articolo 76 della Costituzione.
(1-01488) «Ciprini, Cominardi, Lombardi, Chimienti, Dall'osso, Tripiedi, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale in data 11 gennaio 2017, con due ordinanze ha dichiarato ammissibili i referendum costituzionali promossi dalla Cgil per l'abrogazione delle norme del Jobs Act in materia di voucher e di responsabilità solidale del committente e dell'appaltatore negli appalti pubblici. La Consulta ha ritenuto invece inammissibile il quesito volto ad abrogare la normativa in materia di licenziamenti illegittimi contenuta nell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il referendum, ai sensi degli articoli 33 e 34 della legge n. 352 del 1970, dovrà tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2017;
    il lavoro occasionale accessorio include tutte le prestazioni lavorative che non sono riconducibili a contratti di lavoro di alcun tipo, in quanto svolte in modo saltuario e regolate attraverso i buoni lavoro o voucher che garantiscono la copertura Inps e Inail. I committenti che possono utilizzarli sono famiglie, enti o imprese di vario tipo;
    scopo dei voucher è quello di favorire l'occupazione di soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro oppure in procinto di uscirne, oltre che di favorire l'emersione del lavoro nero;
    con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 185 del 24 settembre 2016, dall'8 ottobre 2016 è in vigore la comunicazione preventiva obbligatoria che permette la tracciabilità dei voucher per evitarne l'uso fraudolento. Pertanto, gli imprenditori che utilizzano i voucher dovranno inviare la comunicazione preventiva prima dell'inizio di ciascuna prestazione all'Ispettorato nazionale del lavoro;
    è necessario, pertanto, se si vuole garantire una restrizione sui voucher che, come riportato precedentemente sono stati fondamentali nell'emersione del lavoro nero, che ha costituito e costituisce una vera e propria «piaga sociale», attivare la liberalizzazione dei contratti intermittenti che possono essere stipulati anche a tempo indeterminato. Tra l'altro la cosiddetta legge Biagi ha avviato la sperimentazione limitata dei buoni prepagati ma ha consentito contemporaneamente la possibilità di fare emergere i lavori occasionali periodici o ripetuti (ad esempio i camerieri nei periodi in cui è più intensa l'attività della ristorazione attraverso il contratto a chiamata);
    un'eventuale riforma legislativa potrebbe poi escludere i voucher in un settore particolarmente esposto come l'edilizia o limitarne l'uso sulla base di tetti aziendali. In ogni caso è fondamentale consentire che ogni attività lavorativa, anche occasionale e di breve periodo, possa essere agevolmente regolata in modo da assicurarne l'emersione;
    per quanto riguarda l'altro quesito referendario ammesso, denominato «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti in capo al datore di lavoro», si propone di abrogare una modifica introdotta dalla «riforma Fornero» del mercato del lavoro in tema di appalti. Infatti, in caso di appalti, il committente (cioè l'impresa che affida un'attività in appalto ad un altro soggetto definito appaltatore) può essere chiamato a rispondere nei casi in cui l'appaltatore non adempia ai suoi obblighi nei confronti dei dipendenti (per esempio non riconosca le retribuzioni o i contributi previdenziali). Questo criterio definito di responsabilità solidale è attualmente subordinato al fatto che siano già state esercitate tutte le possibili azioni di recupero nei confronti dell'appaltatore. Solo dopo che tali azioni siano state compiute e si siano rivelate infruttuose sarà possibile rivalersi sul committente. Il quesito propone abrogazione di quest'ultimo vincolo;
    questa tematica è molto delicata. Infatti, fino al 2012, il meccanismo era particolarmente complesso e confuso. Poteva accadere (quasi sempre) che il lavoratore per fare valere eventuali ragioni creditorie chiamava in giudizio il solo committente e non il suo datore di lavoro, cioè l'appaltatore. All'impresa committente veniva preclusa qualsiasi integrazione del contraddittorio, non potendo citare l'appaltatore, né difendersi, vista l'impossibilità per il committente di ingerirsi nel rapporto tra lavoratore ed appaltatore. E così si verificava che l'impresa madre era tenuta a pagare direttamente il lavoratore, salvo poi agire in rivalsa nei confronti dell'appaltatore (peraltro già retribuito per la commessa svolta e magari non più attivo);
    l'idea di attenuare questa responsabilità oggettiva in capo al committente è stata ripresa dalla cosiddetta «legge Fornero» e sono stati introdotti due fondamentali correttivi. Infatti, viene concesso alla contrattazione collettiva nazionale di derogare alla responsabilità solidale, prevedendo metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, sostitutivi appunto della responsabilità solidale. In secondo luogo, in sede processuale, è previsto l'obbligo per il lavoratore di chiamare in giudizio congiuntamente il suo datore di lavoro ed il committente, consentendo a quest'ultimo di chiedere il beneficio della preventiva escussione in base al quale se il giudizio di merito si conclude con una condanna in solido, il lavoratore deve agire in via esecutiva prima nei confronti dell'appaltatore e, solo successivamente, se risulta inadempiente nei confronti del committente;
    questa normativa, che aveva reso ragionevole ed equilibrato il rapporto tra la tutela dei diritti dei lavoratori e delle imprese, è oggi operativa ed applicabile. La disciplina, pertanto, se abrogata darebbe luogo ad incertezze applicative,

impegna il Governo:

1) a completare l'opera di monitoraggio, così come previsto dall'ultima normativa in materia di voucher, ed, a seguito della stessa azione di controllo già avviata e alla luce dei provvedimenti che sono all'attenzione del Parlamento, ad assumere una propria iniziativa tesa a contrastare forme distorsive dell'utilizzo di questi strumenti, senza però giungere alla loro messa in discussione, considerata la loro utilità;
2) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per la revisione della disciplina in materia di responsabilità solidale negli appalti richiamata in premessa, tenuto conto dell'esigenza di evitare incertezze applicative.
(1-01489) «Pizzolante, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale, con sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017, ha ammesso due richieste di referendum abrogativi, relativi rispettivamente all'abrogazione di disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti e all'abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher);
    si tratta di due quesiti di fondamentale importanza, la cui richiesta è supportata, per ciascuno, da oltre un milione di firme, come risulta comprensibile, considerate le conseguenze negative che le ultime riforme del mercato del lavoro hanno determinato in relazione alla tutela dei diritti dei lavoratori e da quanto, a questo proposito, emerge sempre più evidentemente circa i «voucher» il loro utilizzo è stato oggetto di successivi ampliamenti, fino a renderli acquistabili in tabaccheria, nelle banche popolari o presso gli uffici postali, tanto che dalla nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione – in cui vengono documentati i primi risultati di un complesso programma di attività finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti, dati disponibili fino al terzo trimestre 2016; già rilasciati nei comunicati delle singole istituzioni – e sulla base di alcuni nuovi indicatori realizzati ad hoc per arricchire e rendere più coerente il quadro delle principali dinamiche del mercato del lavoro, risulta che, nei primi nove mesi del 2016, i voucher venduti sono stati 109,5 milioni, il 34,6 per cento in più rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente; i voucher riscossi per attività svolte nel 2015 (quasi 88 milioni) corrispondono a circa 47 mila lavoratori annui full-time e rappresentano solo lo 0,23 per cento del totale del costo lavoro in Italia;
    intervenire sul punto è da tempo urgente e tuttavia, questo non è stato fatto, né, d'altronde, sarebbero stati in passato, né tantomeno sarebbero adesso, ad opera di questo Governo, accettabili interventi volti a realizzare modifiche marginali, incapaci di incidere sulle distorsioni provocate nell'ambito del mercato del lavoro e volte magari soltanto a creare confusione nel dibattito pubblico in vista del referendum;
    ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della legge n. 352 del 1970, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo», il Presidente della Repubblica, ricevuta comunicazione della sentenza con cui la Corte costituzionale ammette il referendum, ne indice, su proposta del Consiglio dei ministri, la votazione in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    la legge n. 352 del 1970 esclude la sovrapposizione tra il referendum abrogativo e le elezioni politiche, prevedendo, che nell'anno antecede alla scadenza di una delle Camere, non possano essere presentate richieste di referendum e, all'articolo 34, comma 2, che, se dopo l'indizione del referendum le Camere sono sciolte, il referendum si intende sospeso e i termini riprendono a decorrere dal 365o giorno successivo allo svolgimento delle elezioni;
    nessuna norma è invece volta a escludere il contemporaneo svolgimento del referendum abrogativo e di consultazioni popolari differenti da quelle per il rinnovo delle Camere;
    nel secondo semestre del 2016 e nel primo semestre del 2017 sono andate in scadenza o stanno per andare a scadenza diverse amministrazioni comunali;
    ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991, recante «Norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali» e successive modifiche ed integrazioni le elezioni amministrative si svolgono in un unico turno elettorale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno;
    il costo di un turno elettorale è stimato intorno a non meno di trecento milioni di euro;
    negli ultimi anni sono stati adottati alcuni provvedimenti per ridurre il costo delle elezioni (come il decreto-legge sulla spending review del Governo Letta che ha stabilito il voto nella sola giornata di domenica);
    è comunque necessario chiarire che nessuna politica di riduzione dei costi può incidere negativamente sulla possibilità per gli elettori di esprimersi in occasione delle votazioni, che stabiliscono attuazione del principio democratico di cui all'articolo 1 della Costituzione, ai sensi del quale il popolo esercita la sovranità (di cui è titolare) «nelle forme e nei limiti della Costituzione» stesse;
    la fissazione della data di svolgimento del referendum e delle elezioni per il rinnovo delle amministrazioni comunali in un'unica data non ha nessun impedimento giuridico e anzi, in base a quanto previsto rispettivamente dall'articolo 34 della legge n. 352 del 1970 e dall'articolo 1 della legge n. 182 del 1991 e successive modifiche ad integrazioni, in entrambi i casi la data di indizione deve essere fissata nel medesimo arco temporale dell'anno piuttosto stretto (15 aprile-15 giugno);
    l'individuazione della stessa data per lo svolgimento di entrambe le consultazioni popolari ottimizzerebbe l'organizzazione dei comizi, agevolerebbe i cittadini nella partecipazione (soprattutto da parte di chi ha maggiore difficoltà a esercitare materialmente il diritto di voto), determinerebbe un significativo risparmio per le casse dell'erario (coerentemente con le già adottate misure per lo svolgimento del referendum in un'unica giornata) e, naturalmente, assicurerebbe comunque anche a chi votasse in un comune in cui si svolgono entrambe le votazioni di partecipare all'una ma non all'altra (semplicemente non ritirando le schede delle consultazioni alle quali non intende partecipare),

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza per fissare nella medesima domenica compresa tra il 15 aprile 2017 e il 15 giugno 2017 la data per lo svolgimento delle votazioni popolari relative ai referendum abrogativi ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze pronunciate l'11 gennaio 2017 e quella per lo svolgimento delle elezioni delle amministrazioni comunali e circoscrizionali che devono essere rinnovate nel 2017 ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 182 del 1991.
(1-01490) «Civati, Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del mercato del lavoro sostenuta e approvata dal Governo Renzi (contenuta nella legge delega n. 183 del 2014, il cosiddetto Jobs Act, e nei diversi decreti legislativi approvati) si è rivelata, per i presentatori del presente atto di indirizzo, fallimentare;
    gli stessi dati diffusi dall'Inps, negli ultimi mesi, certificano che la politica della «droga» delle decontribuzioni non ha funzionato: esaurito il « doping» al mercato del lavoro, con la fine degli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, è immediatamente sceso il numero degli impieghi stabili. In sostanza, il Jobs Act ha solo aumentato le assunzioni con contratti a tutele crescenti, senza creare nuovi posti di lavoro e soprattutto senza creare sviluppo e crescita. Sono stati, dunque, bruciati quasi 20 miliardi di euro, spesi per finanziare l'inutile decontribuzione;
    nei primi dieci mesi del 2016 sono stati stipulati più di 1,3 milioni (1.370.320) di contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni), mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato, sono state 1.308.680, con un saldo positivo di 61.640 unità. Il dato – si rileva dall'osservatorio Inps – è peggiore dell'89 per cento rispetto al saldo positivo di 588.039 contratti stabili dei primi dieci mesi 2015, risentendo della riduzione degli incentivi per le assunzioni stabili, e anche di gennaio-ottobre 2014 (+101.255 stabili);
    sempre da dati Inps si rileva che, nello stesso periodo gennaio-ottobre 2016, sono stati venduti 121,5 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3 per cento. Il dato è particolarmente grave se si considera che, nei primi dieci mesi del 2015, la crescita dell'utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 67,6 per cento;
    il pagamento attraverso i voucher per alcuni tipi di lavori era stato introdotto con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (approvato in attuazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30, cosiddette «legge Biagi») per far emergere dall'irregolarità, alcune forme di lavoro occasionale (come dare ripetizioni o tipi di lavoro domestico), ma, negli anni, ne è stato legittimato l'uso per quasi tutti i tipi di lavoro. La disciplina del lavoro accessorio è stata infatti modificata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, uno dei decreti attuativi del Jobs Act. Tra i cambiamenti di maggior rilievo viene in considerazione l'innalzamento da 5.000 euro a 7.000 euro (annualmente rivalutati) nel corso di un anno civile e con riferimento alla totalità dei committenti, del limite massimo entro cui deve rientrare la retribuzione perché la prestazione possa configurarsi come lavoro accessorio. Questo fattore, insieme ad altre misure del Jobs Act che hanno ridotto altre tipologie di lavoro più flessibile, ha determinato un aumento dell'uso dei voucher da parte dei datori di lavoro;
    il legislatore è poi tornato nuovamente sulla disciplina del lavoro accessorio: ma le modifiche apportate da ultimo con il decreto legislativo 24 settembre 2016, n. 185, non sono apparse per nulla risolutive; l'intervento si è infatti limitato a introdurre un obbligo di comunicazione preventiva sul modello di quanto già previsto per il cosiddetto lavoro intermittente;
    per tali ragioni e per evitare che il lavoro accessorio alimenti una generazione di lavoratori poveri si rende necessario un ulteriore intervento legislativo. A tal proposito, e, più in generale, per modificare una parte della disciplina introdotta dal Jobs Act, la Cgil, nel luglio 2015, aveva depositato più di tre milioni di firme per la richiesta di tre referendum abrogativi;
    una delle richieste riguardava proprio l'abrogazione della disciplina dei voucher. Una seconda richiesta chiedeva l'abrogazione di norme che limitano la responsabilità in solido fra appaltante e appaltatore, L'ultima, la più complessa, mirava alla reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa, estendendola anche alle imprese sopra i 5 addetti;
    l'11 gennaio 2017, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito sui licenziamenti illegittimi, mentre ha dichiarato ammissibili le richieste di abrogazione della disciplina dei voucher, e delle limitazioni introdotte sulla responsabilità solidale in materia di appalti;
    la decisione della Consulta risulta equilibrata: il quesito dichiarato inammissibile si prestava in effetti ad ambiguità non proprie delle richieste di referendum abrogativo. La formulazione del quesito scritto andava infatti oltre il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, perché estendeva di fatto il diritto alla reintegra nel posto di lavoro (in caso di scioglimento illegittimo del contratto da parte del datore) ai dipendenti delle aziende con un numero di dipendenti tra i 5 e i 15 (prefigurando tra l'altro un sistema ancora più rigido rispetto a quello vigente prima dell'entrata in vigore del Jobs Act), configurandosi quindi come quesito «propositivo» – in quanto di fatto avrebbe sostituito le norme in vigore con una disciplina diversa rispetto alle norme previgenti – e pertanto inammissibile;
    la «bocciatura» della Consulta è dunque arrivata puntuale e prevedibile, a seguito di un'evidente forzatura operata da parte dei proponenti in merito all'applicazione della soglia dei 5 dipendenti;
    ad oggi, se non interverranno modifiche legislative sulle norme oggetto dei quesiti resi ammissibili dalla Corte, tra il 15 aprile e il 15 giugno 2017, gli elettori saranno chiamati al voto referendario;
    è quindi necessario che il legislatore svolga un'accurata riflessione, e che la politica si concentri sui temi oggetto delle richieste dei cittadini relative al mondo del lavoro, a partire dalla disciplina sul lavoro accessorio;
    l'obiettivo dovrebbe essere innanzitutto quello di regolamentare l'utilizzo dei voucher, che comunque rimangono uno strumento utile a coloro che non godono di contratto stabile. Su tale fronte non è quindi necessario attendere il referendum, anche perché si tratta di una emergenza da risolvere nell'immediato. Anche il Governo si è già reso disponibile a modifiche, e la Commissione lavoro della Camera ha di recente avviato l'esame delle proposte di legge che disciplinano il lavoro accessorio;
    è necessario innanzitutto abbassare il tetto del compenso annuo e restringere l'ambito di applicazione dei ticket lavoro, sostanzialmente tornando alla disciplina già prefigurata dalla «legge Biagi»; con diverse e flessibili forme contrattuali, per rilanciare l'occupazione e offrire maggiori opportunità di lavoro,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a ripristinare sostanzialmente l'originario impianto normativo del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per quanto attiene alla definizione dei voucher e al loro campo di applicazione, nonché alla puntuale individuazione delle tipologie di lavoratori ammessi allo svolgimento delle prestazioni di lavoro accessorio;
2) ad adottare opportune iniziative per offrire, a tutti i lavoratori che dichiarano la loro disponibilità ad effettuare prestazioni di lavoro accessorio, l'erogazione di una formazione di base in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro da parte dei servizi per l'impiego e degli enti accreditati;
3) nell'ambito di future iniziative normative in materia di lavoro, a rivedere gli strumenti di flessibilità, per evitare distorsioni nell'ambito applicativo della disciplina del lavoro accessorio, prevedendo forme di flessibilità anche alternative ai voucher, di maggiore tutela per i lavoratori.
(1-01491) «Polverini, Occhiuto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   secondo la normativa vigente, il governo e la gestione del sistema di allerta nazionale sono assicurati dal Dipartimento della protezione civile e dalle regioni, dal Servizio meteorologico nazionale distribuito, dalle reti strumentali di monitoraggio e di sorveglianza e dai presidi territoriali, e da ogni altro soggetto chiamato a concorrere funzionalmente e operativamente a tali reti. Sulla base dei livelli di rischio, ogni regione provvede a determinare le procedure e le modalità di allertamento del proprio sistema di protezione civile ai diversi livelli di competenza;
   le eccezionali nevicate, unite alle scosse di terremoto dei giorni scorsi, hanno ulteriormente aggravato la situazione nelle aree terremotate del Centro Italia e determinato enormi disagi e difficoltà in vaste aree ed in comuni anche non direttamente interessati dai nuovi e vecchi eventi sismici evidenziando forti criticità, ritardi, sottovalutazioni e inefficienze nella gestione dell'emergenza. In particolare si evidenzia che i sindaci dei comuni interessati dall'emergenza neve hanno denunciato che lo stato di allerta non sarebbe scattato in tempo, causando anche ritardi dei soccorsi e rendendo gli interventi difficili se non impossibili, come nel caso dell'Hotel Rigopiano, nonostante i meteorologi avessero previsto una irruzione gelida su quelle aree. Risulterebbe poi che da giorni Meteomont, il servizio nazionale di prevenzione delle valanghe, avrebbe indicato nella zona del Gran Sasso un rischio 4 su una scala di 5, senza che sia stata emanata un'ordinanza di evacuazione;
   alle difficoltà evidenziate dalle popolazioni colpite da forti nevicate si è aggiunta l'interruzione di erogazione di energia elettrica in diverse zone del centro Italia. Secondo quanto comunicato dall'Enel, la forte ondata di maltempo verificatasi nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2017 avrebbe causato la disalimentazione dell'energia elettrica nel Centro Italia: nel solo Abruzzo di oltre 200 mila utenze, migliaia anche nelle Marche. L'interruzione dell'erogazione di energia ha interessato le utenze domestiche, gli enti locali, compresi i gestori della distribuzione dell'acqua, causando anche la mancanza di acqua in interi comuni. Tale situazione si è protratta per diversi giorni tant’è che al 24 gennaio 2017 nella sola provincia di Teramo sarebbero state ancora 14 mila le utenze senza energia elettrica e/o acqua, in una situazione in cui gli stessi cittadini sono bloccati a causa del maltempo; questa situazione sarebbe stata la causa anche di alcuni decessi, secondo quanto riportato dalle cronache giornalistiche;
   gli eventi sismici di questi giorni, uniti alla eccezionale nevicata che ha reso inaccessibili molte strade e ostacolato la circolazione e i soccorsi, hanno aggravato la situazione in cui versano centinaia di allevatori del Centro Italia, la cui attività è già stata messa in ginocchio dal terremoto che li ha colpiti nel 2016. Le disposizioni contenute nei decreti-legge varati per far fronte all'emergenza degli eventi sismici del 2016 hanno evidenziato una serie di criticità, soprattutto burocratiche, che hanno provocato molti ritardi nella realizzazione delle strutture di alloggiamento per gli allevamenti. Secondo le associazioni rappresentative è il comparto zootecnico a risentire maggiormente di questa situazione e a risultare in piena emergenza a causa della mancanza di stalle e ripari, resi inagibili dal terremoto prima e dalla neve dopo, dell'impossibilità di approvvigionamento di mangimi provocando la morte o il deperimento di centinaia di capi di bestiame;
   dal 1o gennaio 2017 è entrato nella fase esecutiva il graduale accorpamento del Corpo forestale dello Stato con l'Arma dei carabinieri che si concluderà fra circa sei mesi durante i quali i forestali seguiranno un corso di «militarizzazione». Secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa il 19 gennaio 2017 «L'ex base operativa degli elicotteri del Corpo Forestale dello Stato di Rieti, presso l'aeroporto Ciuffelli, in piena emergenza, risulta attualmente chiusa con ben tre elicotteri fermi. Il fermo, che si protrae da giorni, sarebbe dovuto al passaggio, dopo la riforma Madia, di uomini e mezzi della Forestale ai Carabinieri e ai Vigili del Fuoco. Durante l'emergenza sisma del 24 agosto la base e il suo personale aveva garantito l'operatività con decine di interventi di soccorso nelle zone terremotate, anche a supporto delle squadre del Soccorso Alpino». Risultano fermi anche mezzi aerei nel sito di Pescara e di Roma Urbe;
   a fronte del ruolo svolto dai vigili del fuoco, costretti a spalare a mano o a raggiungere a piedi i cittadini in difficoltà, si rileva che i fondi destinati al parco mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per il 2016 (5 milioni) sono fermi al Ministero dell'interno;
   la mancanza di mezzi e strumentazione adatti ad affrontare le forti nevicate, come le turbine spazzaneve, ha provocato il ritardo di soccorsi e l'impossibilità di raggiungere diverse zone abitate –:
   se non ritenga che le vicende di questi giorni abbiano fatto emergere una palese carenza di uomini e mezzi adeguati e quali risorse intenda stanziare per sopperire a tale insufficienza;
   quali iniziative di competenza intenda avviare perché siano individuate le eventuali responsabilità a tutti livelli, a fronte delle pesanti criticità evidenziate nel sistema di gestione dell'emergenza;
   quali iniziative e quali attività siano state predisposte, prima del 15 gennaio 2017, in vista della preannunciata allerta meteo;
   quali siano le cause del blackout nell'erogazione di energia elettrica così diffuso, generalizzato e prolungato, e quale fosse lo stato della manutenzione della rete elettrica nazionale nel periodo antecedente all'evento meteorologico;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per individuare le eventuali responsabilità sia del gestore che del distributore della rete elettrica, con il fine di evitare nuove interruzioni del servizio di erogazione di energia;
   quali dei mezzi in dotazione all'ex Corpo forestale dello Stato non siano stati utilizzati nei giorni dell'emergenza e per quale motivo;
   quanti siano i danni stimati e quali risorse, anche economiche, intenda mettere a disposizione e con quali tempi, per affrontare lo stato di calamità delle zone interessate dagli eventi descritti in premessa.
(2-01616) «Vacca, Colletti, Del Grosso, Luigi Di Maio, Castelli, Caso, Terzoni, Massimiliano Bernini, Cecconi, Agostinelli».

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in Sardegna si registra una grave limitazione imposta alle competenze dei dottori agronomi e dottori forestali sardi dall'articolo 24 delle norme tecniche di attuazione del vigente piano di assetto idrogeologico della Sardegna;
   con detta norma, approvata con deliberazione dell'organo esecutivo regionale, si è stabilito che solo gli iscritti agli albi degli ingegneri e dei geologi hanno la possibilità di sottoscrivere elaborati concernenti lo studio di compatibilità geologica e geotecnica delle opere idrauliche;
   l'articolo 24 «Studi di compatibilità idraulica» recita:
    «1. In applicazione dell'articolo 23, comma 6, lettera b, nei casi in cui è espressamente richiesto dalle presenti norme i progetti proposti per l'approvazione nelle aree di pericolosità idraulica molto elevata, elevata e media sono accompagnati da uno studio di compatibilità idraulica predisposto secondo i criteri indicati nei seguenti commi.
    2. Lo studio di compatibilità idraulica non sostituisce le valutazioni di impatto ambientale, le valutazioni di incidenza, gli studi di fattibilità, le analisi costi-benefici e gli altri atti istruttori di qualunque tipo richiesti dalle leggi dello Stato e della Regione Sardegna.
    3. Lo studio di compatibilità idraulica:
     a. è firmato da un ingegnere esperto nel settore idraulico e da un geologo, ciascuno per quanto di competenza, iscritti ai rispettivi albi professionali»;
   detta norma ad avviso dell'interpellante contrasta, in maniera fin troppo evidente, con il disposto della legge che regola le competenze dei dottori agronomi e dei dottori forestali, la quale attribuisce a detti professionisti competenze anche in ambito idraulico, come rilevabile dal sottostante stralcio della legge professionale (articolo 2 della legge 7 gennaio 1976, n. 3, integrata dalla legge 10 febbraio 1992, n. 152);
   la norma statale che attribuisce ai dottori agronomi e forestali le specifiche competenze dispone:
    «Art. 2 – Attività professionali.
     1) Sono di competenza dei dottori agronomi e dei dottori forestali le attività volte a valorizzare e gestire processi produttivi agricoli, zootecnici e forestali, a tutelare l'ambiente e, in generale, le attività riguardanti il mondo rurale. In particolare, sono di competenza dei dottori agronomi e dei dottori forestali:
    a) la direzione, l'amministrazione, la gestione, la contabilità, la curatela e la consulenza, singola o di gruppo, di imprese agrarie, zootecniche e forestali e delle industrie per l'utilizzazione, la trasformazione e la commercializzazione dei relativi prodotti;
    b) lo studio, la progettazione, la direzione, la sorveglianza, la liquidazione, la misura, la stima, la contabilità e il collaudo delle opere di trasformazione e di miglioramento fondiario, nonché delle opere di bonifica e delle opere di sistemazione idraulica e forestale, di utilizzazione e regimazione delle acque e di difesa e conservazione del suolo agrario, sempreché queste ultime, per la loro natura prevalentemente extra-agricola o per le diverse implicazioni professionali, non richiedano anche la specifica competenza di professionisti di altra estrazione;
    c) lo studio, la progettazione, la direzione, la sorveglianza, la liquidazione, la misura, la stima, la contabilità e il collaudo di opere inerenti ai rimboschimenti, alle utilizzazioni forestali, alle piste da sci ed attrezzature connesse, alla conservazione della natura, alla tutela del paesaggio ed all'assestamento forestale;
    d) la progettazione, la direzione, la sorveglianza, la liquidazione, la misura, la stima, la contabilità ed il collaudo, compresa la certificazione statica ed antincendio, dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali, anche se iscritte al catasto edilizio urbano ai sensi dell'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, nonché dei lavori relativi alle opere idrauliche e stradali di prevalente interesse agrario e forestale ed all'ambiente rurale, ivi compresi gli invasi artificiali che non rientrano nelle competenze del servizio dighe del Ministero dei lavori pubblici»;
   a fronte di quanto sopra, nonostante siano decorsi diversi anni dall'approvazione della normativa di attuazione del piano di assetto idrogeologico, il testo del precitato articolo 24 continua a vivere e a produrre effetti presso gli uffici regionali, i quali, anche di fronte alla palese condizione di illegittimità originata dal fatto che un atto amministrativo ha contraddetto e limitato la portata operativa di una legge, nulla possono in sede di applicazione di detta norma –:
   se il Governo non intenda per quanto competenza, valutare di assumere iniziative, anche normative, a tutela della categoria dei dottori agronomi e forestali nell'ottica di garantire la correttezza delle procedure di valutazione delle competenze professionali;
   se non ritenga per quanto di competenza di assumere ogni iniziativa tesa ad esplicitare chiaramente le funzioni professionali citate in funzione di un pieno rispetto delle disposizioni in materia.
(2-01609) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la Sardegna nei giorni scorsi è stata gravemente colpita da una grave emergenza neve e gelo che ha provocato ingenti danni e disagi alle popolazioni soprattutto delle zone interne dell'isola;
   nei giorni direttamente successivi alla nevicata, l'intera regione è stata travolta dall'ingresso dei venti africani di scirocco che hanno sostituito le correnti artiche degli ultimi giorni;
   anche in questo caso i danni sono stati ingenti in tutta l'isola, con particolare riferimento ai centri urbani e alle aree agricole, con la devastazione di numerose aziende agricole;
   la nevicata era abbondantemente prevista e dunque facilmente arginabile nelle conseguenze e nei disagi;
   le previsioni dei giorni successivi erano completamente errate, e sono state messe a rischio non solo le strutture pubbliche ma si è attentato alla vita di studenti e cittadini che aveva regolarmente raggiunto i luoghi di studio e lavoro;
   entrambi gli episodi calamitosi inducono ad una valutazione decisamente negativa sia sotto il profilo della gestione dell'evento neve, che della mancata allerta dei giorni successivi;
   sia la protezione civile nazionale che quella regionale risultano, a giudizio dell'interrogante, vista l'imponenza delle previsioni calamitose e dei danni conseguenti, responsabili di quanto accaduto che, solo per un caso, non ha generato vittime;
   la protezione civile nazionale e quella regionale dovevano sovrintendere alla gestione della calamità naturale per le loro specifiche competenze, occupandosi di varie attività, dal coordinamento degli interventi della protezione civile alla gestione della viabilità statale, regionale e dunque provinciale, dalla gestione degli enti territoriali commissariati, vedasi province, ai tagli sistematici di risorse ai comuni sardi;
   si è trattato di un'inadempienza per l'interrogante grave e reiterata;
   da almeno una settimana prima dell'evento nevoso si sapeva che tra sabato 14 e lunedì 16 gennaio 2017 la Sardegna centrale sarebbe stata travolta da un'eccezionale ondata di neve e gelo;
   non serviva un algoritmo per capire che bisognava dislocare tutti i mezzi possibili, antineve e simili nelle zone interne;
   in realtà, alla verifica dei fatti, si riscontrava che era stato bloccato e cancellato il servizio che già esisteva per fronteggiare questo genere di calamità;
   sino al 2016 la provincia di Nuoro aveva in essere un appalto per il servizio di sorveglianza, sgombero neve e spargimento sale sulle strade provinciali della provincia di Nuoro;
   l'appalto comprendeva l'esecuzione di ogni tipologia di opere occorrenti per mantenere libere da neve e ghiaccio e grandi brinate le strade provinciali indicate nell'elenco all'interno del capitolato prestazionale;
   l'impresa poteva consentire, il libero transito in qualsiasi condizione di innevamento, procedendo con mezzo meccanico allo sgombero della neve e a quanto necessario per gestire l'emergenza;
   l'appalto dopo molti anni non era stato rinnovato;
   il sistema della protezione civile statale e regionale avrebbe dovuto fare, ma non l'avrebbe fatto, a quanto consta all'interrogante, una verifica amministrativa preventiva su quell'appalto e sull'esistenza del servizio;
   nel corso del sopralluogo nei comuni maggiormente colpiti dall'evento l'interrogante riscontrava personalmente la totale assenza di mezzi sia statali che regionali;
   i sindaci, durante la nevicata, invocavano l'arrivo dei mezzi della regione e dello Stato;
   di fatto, i responsabili della protezione civile regionale e nazionale, a quanto risulta agli interroganti, non avevano dislocato i mezzi disponibili nei centri abitati che già da una settimana si sapeva sarebbero stati investiti dall'evento calamitoso;
   come se niente fosse Stato e regione hanno tenuto i mezzi spazzaneve, pochi, a Sassari e a Cagliari;
   Fonni, Desulo, Orune e Gavoi e tutti gli altri centri gravemente colpiti venivano lasciati assolutamente soli a contrastare tale calamità;
   la stessa richiesta dei sindaci di dislocare l'Esercito sui comuni maggiormente in difficoltà, a quanto consta all'interrogante, è caduta nel vuoto;
   nessuno ha visto l'intervento delle Forze armate;
   nel 2013, per la drammatica alluvione i Ministri competenti del Governo Letta, dopo 24 ore dai drammatici fatti, dichiararono che stavano valutando se far partire la colonna mobile della protezione civile nazionale;
   per raggiungere la Sardegna, anche in quel caso, ci sarebbero volute altre 48 ore quando, invece, si necessitava di un intervento urgente e immediato –:
   se il Governo non ritenga necessario e indispensabile destinare almeno il 50 per cento delle Forze armate dislocate in Sardegna al genio militare per garantire la piena e autonoma gestione di tali eventi;
   se non si ritenga che l'Esercito in Sardegna debba essere dislocato funzionalmente non per esercitazioni militari lungo le coste, dalle quali traggono beneficio le industrie belliche, ma per stare vicini ai cittadini e alle comunità locali;
   se non si ritenga di dover disporre l'ausilio dell'Esercito che presidi il territorio contro le calamità, dagli incendi alle alluvioni, dalle nevicate ai rischi per la sicurezza civile;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire un'organizzazione indispensabile per la sicurezza in una regione insulare che deve per ovvie ragioni disporre di autonomia e rapidità di intervento;
   se non si ritenga di dover promuovere un proficuo coordinamento delle Forze armate con i vigili del fuoco, le forze dell'ordine, le strutture regionali e i volontari, a partire già dalla prossima stagione estiva, in cui saranno necessarie adeguate misure antincendio.
(2-01610) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in Sardegna i danni conseguenti agli eventi calamitosi verificatisi nella scorsa settimana sono rilevanti sia per quanto riguarda centri abitati, che le aziende agricole turistiche e commerciali;
   sarebbero migliaia capi di bestiame morti, centinaia gli animali mansuefatti, soprattutto vacche, ma anche capre, che si sono trovati intrappolati in campagna in mezzo al muro di neve nelle zone interne; si tratta di perdite ingenti per gli allevatori che si sommano alle altrettanto gravi conseguenze che si contano sul patrimonio boschivo;
   ingenti sono anche i danni verificatesi nei centri urbani sia per l'evento nevoso che per quello ventoso;
   le eccezionali nevicate e le eccezionali calamità legate al forte vento e alle mareggiate hanno provocato ingenti danni in tutto il territorio regionale e causato gravi disagi;
   in particolare, sono stati arrecati gravi danni a opere ed impianti del servizio idrico e fognario, viario e strutturale di impianti sportivi, con conseguente grave disagio per i residenti nel territorio regionale colpito e rilevante pregiudizio per l'ambiente;
   gli eventi hanno causato frane e smottamenti, l'interruzione delle linee elettriche e telefoniche e gravi danni alle vie di comunicazione con varie realtà delle zone interne;
   in attesa della ricognizione e della quantificazione dei danni arrecati al patrimonio al fine di determinarne le reali dimensioni, è indispensabile indicare con urgenza le modalità operative per la rendicontazione dei danni stessi sia del pubblico che dei privati;
   ricorrono tutti i presupposti di cui alla legge n. 225 del 1992 e al decreto legislativo n. 267 del 2000 –:
   se non ritenga il Governo di assumere le iniziative di competenza, d'intesa con la regione autonoma della Sardegna, per dichiarare lo stato di emergenza per i gravi danni derivati dagli eccezionali eventi calamitosi abbattutisi su gran parte del territorio regionale;
   se non ritenga il Governo di dover assumere iniziative per stanziare un congruo contributo per fronteggiare i danni causati dagli eventi richiamati.
(2-01611) «Pili».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'insolita ondata di maltempo che ha colpito il Centro-sud del Paese ha provocato enormi disagi alla popolazione, causati principalmente dal collasso delle infrastrutture, ma soprattutto ha causato ingenti danni all'industria ortofrutticola e zootecnica;
   in particolare, i danni maggiori si sono registrati in Puglia che, come noto, è tra i principali produttori di ortofrutta a livello nazionale. La regione, infatti, produce quasi un quinto dell'ortifrutticoltura italiana, e una produzione di oltre 150 tonnellate, ricoprendo il 16 per cento della superficie ortofrutticola totale italiana, per un valore produttivo che supera i 900 milioni di euro;
   le associazioni di categoria (tra cui AssoFruit Italia, Confagricoltura e Coldiretti) hanno denunciato effetti disastrosi derivanti dal maltempo, che hanno pregiudicato le produzioni invernali, che a breve sarebbero dovute andare in produzione (carciofi, rape, cavolfiori, scarole, cicoria, e altro). In particolare, l'uva da tavola, che rappresenta un'eccellenza del territorio a livello mondiale, rischia di essere irreversibilmente compromessa dal crollo delle strutture, che hanno ceduto al peso della neve. Per le stesse ragioni, risultano compromesse anche le serre delle circa 700 aziende florovivaistiche presenti sul territorio;
   per quanto riguarda comparto zootecnico, che conta circa 2.000 aziende, centinaia sono gli animali morti a causa del freddo, le cui carcasse non riescono ad essere smaltite, a causa delle strade rese impraticabili dalla neve, con i conseguenti rischi igienico-sanitari. Allo stesso modo, la mancanza di elettricità, il congelamento delle condotte idriche degli impianti di mungitura e l'impossibilità di consegnare i prodotti, hanno in pochi giorni provocato perdite al comparto del latte del 35 per cento;
   secondo una prima stima dei danni, nella sola regione Puglia le perdite superano i 110 milioni di euro, con la perdita dell'80 per cento delle produzioni di ortaggi e frutta, mentre le consegne di ortaggi sono crollate del 70 per cento, facendo aumentare i prezzi anche del 200 per cento, a causa delle disponibilità ridotte dei prodotti;
   a quanto detto, vanno aggiunti gravi danni in Calabria, Sicilia, Campania, Abruzzo, Molise e Lucania dove si sono situazioni che aggravano bilancio di questo disastro economico ed ambientale;
   gli aiuti previsti per lo «stato di calamità naturale» operano in deroga al principio generale dell'incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune. La Commissione europea, in occasione degli aiuti erogati per le aree dell'Emilia-Romagna dopo il terremoto del 2012, ha specificato che gli aiuti non devono comportare una sovra compensazione e devono servire a coprire i danni provocati dalla calamità naturale;
   il decreto legislativo n. 102 del 2004 prevede che, in presenza di avversità atmosferiche eccezionali e di calamità naturali, che incidono sulla produzione lorda vendibile annuale delle singole aziende agricole interessate in misura non inferiore al 30 per cento della produzione ordinaria, possono essere attivati gli interventi contributivi e creditizi ex post del fondo di solidarietà nazionale;
   l'attivazione di detti interventi può essere disposta su richiesta regionale, dopo che siano state accertate tali condizioni di danno per effetto della riduzione delle rese produttive annuali, da parte degli organi tecnici delle singole regioni;
   parimenti, la vigente normativa del fondo di solidarietà nazionale che disciplina gli interventi del soccorso a favore delle aziende agricole colpite da calamità naturali e da avversità atmosferiche eccezionali, stabilisce che le domande di aiuto devono essere presentate dagli interessati alle regioni territorialmente competenti o agli enti locali (amministrazioni provinciali, comunità montane, e altri) da esse delegati, entro il termine perentorio di 45 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di dichiarazione dell'eccezionalità;
   nel « question time» del 18 gennaio 2017 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha affermato: «Stiamo lavorando per consentire l'accesso alle risorse del Fondo di solidarietà nazionale anche alle imprese che hanno subito danni per eventi assicurabili: ad oggi, in presenza di una coltura assicurabile, non potremmo attivare il Fondo di solidarietà; ma stiamo allargando le maglie, quindi la possibilità di poter lavorare anche sul Fondo di solidarietà» –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda attivare in favore delle aree colpite da questi eccezionali eventi atmosferici, al fine di contenere i danni, ma soprattutto per rimettere le aziende agricole in condizione di tornare a produrre in tempi brevi, che verosimilmente non possono essere quelli previsti dall'attuale normativa nazionale per la gestione delle calamità nazionali;
   se non si ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa ad hoc che possa permettere di risarcire integralmente gli agricoltori, quanto meno dei danni alla produzione, atteso che, senza risorse aggiuntive a quelle del fondo di solidarietà e la previsione di sgravi tributari e creditizi, i danni alla coltivazione saranno a lungo termine;
   quali concrete iniziative siano in atto per consentire l'accesso alle risorse del fondo i solidarietà nazionale anche alle imprese che hanno subito danni per eventi assicurabili.
(2-01613) «Distaso, Altieri, Fucci».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   anche in Sardegna sono ormai all'ordine del giorno episodi di violenza, minacce e ritorsioni perpetrate nei confronti degli operatori della polizia locale;
   l'associazione Sarda polizia locale «a.s.po.l.-ONLUS» denuncia una situazione ormai insostenibile;
   gli operatori della polizia locale si sentono sempre più schiacciati in una morsa tremenda: da un lato, quotidianamente, viene richiesto il loro intervento per le problematiche legate sia alle competenze dirette, sia alle necessità delle amministrazioni, dall'altro, non si è in grado di far fronte a tutte le richieste in quanto l'organico, ormai sempre più carente, non consente di effettuare un servizio adeguato;
   la carenza di organico, a fronte dei tagli sul personale, pur in presenza di possibilità di assunzioni, ha visto privilegiare assunzioni di figure amministrative anziché di personale della polizia locale o, peggio, destinando gli operatori della polizia locale a svolgere servizio presso altri uffici, impoverendo sempre più l'organico effettivo dei comandi di personale e di risorse economiche;
   tale situazione emerge anche nella gestione di aree metropolitane come quella di Cagliari, facendo venir meno l'obbligatorietà entro tempi certi dell'avvio delle funzioni associate, tra le quali è inserito il servizio polizia locale;
   l'organizzazione del servizio di polizia locale nei vari comuni o nelle poche unioni di comuni in cui esso è stato effettivamente avviato, è lasciato spesso alla libera, estemporanea, interpretazione normativa da parte delle amministrazioni unionali e comunali, con quelle che appaiono all'interpellante furberie, sotterfugi e ricatti contrattualistici, che sfociano in sempre più numerosi casi di richieste operative legate a interpretazioni arbitrarie delle norme vigenti in materia di polizia locale e amministrativa, e con fantasiose opzioni organizzative attuate soprattutto nei comuni a forte impatto turistico;
   a fronte di dotazioni organiche assolutamente inadeguate, viene spesso richiesta l'attivazione di turni di servizio, anche notturni, nonostante la carenza di personale e l'assenza dei requisiti di sicurezza fondamentali per l'effettuazione degli stessi, che portano di fatto per l'interpellante, a sviare o aggirare la normativa vigente;
   i circa 1600 fra agenti e ufficiali operanti nella regione sarda chiedono alle istituzioni: sicurezza nei luoghi di lavoro, pari dignità con chi opera nel settore della sicurezza, formazione e rispetto del ruolo e della funzione svolta;
   si tratta di 1.600 operatori di polizia locale, ai quali vengono richiesti giornalmente compiti e funzioni di polizia, senza che vengano loro riconosciute quelle tutele: giuridiche, assicurative, previdenziali, o senza la concessione di adeguati standard operativi e di sicurezza quali, per esempio, l'accesso gratuito alle banche dati dello SDI, motorizzazione civile e altro; o senza che questi abbiano adeguati sistemi di difesa personale individuati in modo inequivocabile dal decreto ministeriale n. 145 del 1987, in base al quale la dotazione deve essere univocamente riconosciuta anche in virtù delle mutate condizioni;
   si tratta di 1600 operatori che potrebbero essere decisivi nel quadro della sicurezza pubblica, considerato che già oggi rientrano a pieno titolo nella pianificazione di servizi di sicurezza senza avere, alla pari delle forze di polizia statali, tutte le tutele, giuridiche e previdenziali, che in un qualsiasi altro paese normale non avrebbero alcuna difficoltà a vedersi riconosciute;
   occorre andare nella direzione di un'omogeneità degli standard di sicurezza, di uniformità operativa e di funzione del servizio di polizia locale in tutti i comuni, unioni dei comuni e città metropolitana della regione Sardegna –:
   se non intenda promuovere, per quanto di competenza, un'intesa, con la regione Sardegna, considerati la natura speciale dello statuto e il carattere insulare, per valorizzare il ruolo della polizia locale, nell'ambito dell'attività degli operatori della sicurezza e dell'ordine pubblico, favorendone il pieno riconoscimento di funzioni e diritti, al fine di garantire un controllo organico e coordinato del territorio;
   se non intenda assumere iniziative normative per riconoscere, per quanto di competenza statale, i diritti richiamati in premessa a tutela del servizio di pubblica sicurezza e degli stessi agenti impegnati in tale funzione.
(2-01614) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   ai lavoratori pubblici si applica la disciplina dell'equo indennizzo di cui all'articolo 68 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3, e del relativo regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, e successive modificazioni e integrazioni;
   il decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201 avente come oggetto «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», cancella l'equo indennizzo con riferimento alla generalità dei lavoratori dipendenti, compresa quindi la polizia locale e fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori;
   il testo dell'articolo 6 del decreto n. 201 del 2011, concernente l’«Equo indennizzo e pensioni privilegiate», dispone: «Ferma la tutela derivante dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, sono abrogati gli istituti dell'accertamento, della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica, inoltre, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data»;
   anche il nuovo testo del suddetto decreto, quale è quello derivante dalla legge di conversione del 22 dicembre 2011, n. 214 tiene fuori la polizia locale dall'elenco dei soggetti ai quali non si applicano le disposizioni relative all'abrogazione dell'equo indennizzo mentre invece è avvenuto il recupero in extremis dei vigili del fuoco inseriti in tale elenco;
   con riguardo alla normativa in vigore, secondo l'interrogante non è specificato se la possibilità del risarcimento sia legata al tipo di servizio svolto o solo all'appartenenza alla categoria;
   a titolo esemplificativo si riportano i dati statistici relativi alle situazioni di infermità per il triennio 2014/2016 del comparto polizia locale;
   per l'anno 2014: 266 vigili feriti, dei quali 73 durante controlli commerciali, 75 durante controlli stradali, 63 durante altre attività, 55 per aggressioni immotivate;
   per l'anno 2015 si segnalano: 222 vigili feriti, dei quali: 63 durante controlli commerciali, 57 durante controlli stradali, 60 durante altre attività, 42 per aggressioni immotivate;
   per l'anno 2016 si segnalano: 250 vigili feriti, dei quali: 77 durante controlli commerciali, 70 durante controlli stradali, 51 durante altre attività, 52 per aggressioni immotivate –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative per porre urgente rimedio a questa evidente discriminazione che lede un Corpo sempre più esposto ai rischi della gestione della sicurezza pubblica;
   se non intenda assumere iniziative normative per ripristinare l'originaria disposizione contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 191 del 1979, successivamente abrogato che contemplava la polizia locale tra i Corpi aventi diritto alla massima tutela previdenziale.
(2-01615) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4-bis del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, al comma 1, tra l'altro prevede che «i Sindaci dei Comuni interessati forniscono al Dipartimento della protezione civile le indicazioni relative alle aree da destinare agli insediamenti di container, immediatamente rimuovibili al venir meno dell'esigenza»;
   dalle zone colpite dai terremoti di agosto e ottobre del 2016 giungono numerose segnalazioni circa ritardi e problemi nell'individuazione di suddette aree ai quali sono collegati inevitabili ritardi anche nella consegna e nell'installazione dei moduli abitativi provvisori;
   nello stesso articolo sopracitato è previsto anche che «In assenza di indicazioni, procede il Capo del Dipartimento della protezione civile d'intesa con i Presidenti delle Regioni competenti per territorio», mentre, al comma 3, viene stabilito che «Il Dipartimento della protezione civile provvede alla installazione dei moduli di cui ai contratti stipulati per la fornitura mediante noleggio dei container, destinati ad esigenze abitative, uffici e servizi connessi, nel più breve tempo possibile, in relazione all'avanzamento dei lavori di predisposizione delle aree» –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito all'effettiva individuazione e comunicazione delle aree destinate ad accogliere i moduli abitativi provvisori da parte dei sindaci dei comuni interessati e se e in quali casi il capo del dipartimento della protezione civile sia dovuto intervenire in loro vece, rendendo disponibile anche l'elenco dei Comuni che hanno fornito i dati delle aree e dei moduli;
   quale sia la fase di avanzamento dei lavori di predisposizione delle aree già individuate;
   se il Governo sia in grado di fornire elementi circa i motivi che hanno ostacolato le procedure di individuazione, comunicazione e predisposizione delle aree e la conseguente consegna dei moduli;
   quanto personale sia stato assunto dai singoli comuni del cratere, sulla base dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 189 del 2016. (3-02723)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI e CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi sismici del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016, oltre a produrre danni consistenti, diffusi e rilevanti al patrimonio immobiliare pubblico e privato, hanno causato gravi e pesanti conseguenze anche a carico del sistema produttivo dei territori colpiti, interrompendo la produzione di stabilimenti industriali e producendo la chiusura di un numero considerevole di strutture commerciali;
   i recenti provvedimenti normativi relativi al sisma e, in particolare, il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, hanno introdotto, proprio per far fronte alle emergenze produttive segnalate, specifiche misure di sostegno a favore delle imprese danneggiate dal sisma;
   tuttavia, nonostante le positive misure poste in essere, risulta agli interroganti un deficit di conoscenza delle stesse da parte delle categorie imprenditoriali colpite, che rischia di compromettere la stessa efficacia delle misure adottate;
   a parere degli interroganti sarebbe necessario favorire una capillare azione informativa a favore delle imprese danneggiate, attraverso il coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico, delle Camere di commercio e delle regioni, anche mediante la costituzione di specifiche strutture informative in grado di dar conto delle misure adottate e di chiarire eventuali dubbi –:
   se, d'intesa con il commissario straordinario per il sisma e al fine di favorire un'ampia conoscenza degli strumenti e delle risorse messi a disposizione delle imprese colpite dagli eventi sismici del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016, si intendano adottare specifici strumenti divulgativi e promuovere, in particolare, la costituzione di sportelli informativi dedicati alle imprese, attraverso il coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico, delle camere di commercio e delle regioni interessate. (5-10354)

Interrogazione a risposta scritta:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   quel che è successo ai tre dirigenti dell'ospedale Santa Maria della Pietà di Nola, sospesi per aver consentito di apprestare il primo soccorso a due pazienti sul pavimento dell'ospedale la notte tra il 7 e l'8 gennaio 2016 è sintomo, purtroppo, dell'inefficienza del sistema sanitario nazionale;
   la Ministra interrogata ha quindi disposto un'ispezione all'ospedale, inviando i carabinieri del Nas – salvo poi definire «eroi» i medici di Nola per le condizioni nelle quali sono costretti a lavorare –, e il presidente della regione, De Luca, ha avviato un'indagine interna per accertare eventuali responsabilità, e chiesto le procedure di licenziamento dei responsabili del pronto soccorso e del presidio ospedaliero campano;
   le immagini dell'ospedale di Nola permettono di comprendere come la situazione del nosocomio, sia la naturale conseguenza di anni di tagli e del degrado della sanità in Campania;
   nella maggior parte degli ospedali e dei pronto soccorsi italiani sono carenti i posti letto e spesso i pazienti si trovano in situazione di forte disagio, costretti a un ricovero d'emergenza nei corridoi dei pronto soccorso, o direttamente sul pavimento, per non parlare delle carenze d'organico che portano il personale ospedaliero a dover lavorare in condizioni difficili;
   sarebbe necessario cercare di verificare le responsabilità del governatore regionale De Luca, dal momento che come asserito dallo stesso Governo, sul piano più generale dell'organizzazione del sistema sanitario della regione Campania, è stato accertato un ritardo nell'attuazione di alcuni fondamentali decreti emessi dal commissario ad acta e dal sub commissario ad acta, concernenti la rete ospedaliera, la rete di assistenza territoriale e l'azienda unica regionale di emergenza urgenza;
   il Ministro della salute, pertanto, ha richiesto ai commissari di Governo, di esercitare tutti i poteri previsti dalla legge e dal mandato commissariale, per dare compiuta e rapida attuazione a tali decreti commissariali –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per prevedere dei controlli periodici sull'operato dei commissari di Governo. (4-15319)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 giugno 2016 è stata emessa dalla corte d'assise d'appello di Brescia una sentenza con la quale è stato condannato Gilberti Enrico, manager della raffineria Tamoil di Cremona, alla pena di anni 3 di reclusione per il reato di disastro colposo ai sensi dell'articolo 449 c.p. e confermando a carico del medesimo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile, con l'assegnazione alle parti civili di una provvisionale immediatamente esecutiva. Detta provvisionale nel caso della parte civile comune di Cremona ammonta a un milione di euro;
   il 27 ottobre 2015 nella risposta alla interrogazione presentata dalla sottoscritta n. 3-01788 (già 5-05409) relativa alla mancata costituzione di parte civile del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si evidenzia che dalla relazione tecnica di ISPRA viene ipotizzato un danno ambientale di notevole consistenza e sono individuate alcune possibili misure di riparazione compensativa per un valore economico di circa 5,4 milioni di euro, con riserva di fornire, in una fase successiva, una precisa valutazione delle voci di danno individuate;
   nella medesima risposta si dà notizia che, a seguito della intervenuta sentenza di condanna di primo grado, la competente direzione generale ha richiesto all'avvocatura distrettuale dello Stato di avviare un'azione civile di risarcimento del danno –:
   se sia stata intrapresa o sia previsto di intraprendere l'azione civile di risarcimento del danno ambientale, anche alla luce della sentenza di secondo grado, le cui motivazioni sono state depositate dalla corte d'assise d'appello di Brescia di data 22 settembre 2016. (5-10362)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da vari siti internet e blog di informazioni vi è un serio rischio per quel che concerne il futuro del «Museo di Doccia», il prezioso museo ubicato in Sesto Fiorentino, adiacente alla storica azienda Richard Ginori;
   il museo andrà all'asta il 23 febbraio 2017 alle ore 12 con un prezzo minimo di 4.334.700 euro;
   come riportato dai media i beni sarebbero di «proprietà della società Museo Richard Ginori in liquidazione volontaria e del fallimento Richard Ginori ma sono posti in vendita inscindibilmente tra loro insieme all'immobile»;
   inoltre, si apprende che poche settimane fa il consiglio comunale avrebbe approvato in maniera unanime la mozione «Il futuro della Manifattura Richard Ginori a Sesto Fiorentino» in cui le varie forze politiche avrebbero auspicato che l'azienda acquisisca al più presto il terreno su cui sorge la fabbrica, trovando un accordo con i liquidatori, e che si riqualifichi lo stabilimento per il rilancio definitivo dell'azienda e del museo stesso;
   come riportato dal «Corriere Fiorentino» sembrerebbe che esiste una prelazione da parte dello Stato per quel che concerne l'acquisizione di tali beni;
   sul Sole24ore, in un articolo a firma Vincenzo Chierchia, viene chiesto al Ministro interrogato di trovare: «il modo di intervenire, si faccia un grande progetto di tutela e valorizzazione per un Museo di rilievo internazionale oggi costretto a restare chiuso.»;
   il Ministero dello sviluppo economico, nel tutelare il « made in Italy», riserva particolare attenzione a settori peculiari, come quello delle ceramiche, avendo istituito anche un «Comitato nazionale ceramico», nel quale – come si può leggere sul sito del Ministero – «è stato affrontato il problema di rilanciare i marchi, dei poli e dell'alta istruzione professionale, dell'aggiornamento annuale dei dati di settore e della promozione dei contratti di rete di impresa» –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione su descritta;
   se il Governo non ritenga di importanza strategica assumere iniziative per mantenere in funzione un «pezzo di storia» quale è il Museo di Doccia nel settore delle ceramiche;
   quali urgenti e calibrati interventi il Governo intenda promuovere per salvaguardare, tutelare e valorizzare il Museo di Doccia tenendo, in particolare attenzione che la chiusura definitiva del museo o lo smistamento delle sue opere in altri musei inciderà negativamente sul futuro dell'antica fabbrica che verrebbe ridimensionata e trasferita in zone industriali perdendo così il legame con la sua storia che l'ha resa unica in tutto il mondo. (4-15318)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia del demanio è nata dalla suddivisione e dal conferimento delle funzioni del Ministero delle finanze alle quattro Agenzie fiscali (entrate, territorio, dogane e demanio) istituite nell'ambito della nuova organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze prevista dal decreto legislativo n. 300 del 1999;
   con decreto legislativo n. 173 del 2003 l'Agenzia assumeva la natura di Ente Pubblico Economico (EPE);
   con sentenza n. 1122/2009 del tribunale civile di Civitavecchia si dichiarava la proprietà privata di aree oggetto di concessioni demaniali marittime, insistenti sull'arenile del comune di Cerveteri – località Campo di Mare, sulle quali risultano operanti da decenni stabilimenti balneari e nautici;
   la capitaneria di porto di Civitavecchia provvedeva ad esperire un sopralluogo atto a verificare lo stato dei luoghi al fine dell'eventuale revisione della linea di confine del demanio marittimo di cui al verbale n. 123 del 1967;
   si disponeva il confronto tra i rilievi effettuati in loco da parte della capitaneria e i documenti ufficiali afferenti alla delimitazione eseguita nel 1967 e si evinceva l'invarianza della profondità della spiaggia ricadente nel demanio marittimo;
   risulterebbe avvenuto il ritrovamento di un cippo indicante il passaggio della linea di demarcazione tra proprietà privata e demanio marittimo, alla presenza della Guardia di finanza, dal quale si desumerebbe che i manufatti realizzati in concessione insisterebbero su area demaniale;
   conseguentemente a quanto sopra, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, chiedeva all'Agenzia del demanio e all'Agenzia del territorio di verificare se nella cartografia fosse stato esattamente riportato il verbale di delimitazione del 1967;
   il summenzionato Ministero chiedeva, altresì, all'Agenzia del demanio di valutare se sussistevano i presupposti per richiedere un parere all'Avvocatura di Stato in ordine alle determinazioni da assumere e successivamente di darne notizia al medesimo;
   gli stabilimenti balneari e le aziende ad uso turistico-ricreativo costituiscono una realtà fondamentale per il sistema turistico di Cerveteri –:
   quali iniziative siano state assunte da parte dell'Agenzia del demanio in merito alla vicenda di cui in premessa, con particolare attenzione alle richieste di ulteriori approfondimenti in merito alle verifiche relative alla cartografia di delimitazione del 1967, nonché all'eventuale richiesta di parere all'Avvocatura di Stato;
   quali siano gli intendimenti dell'Agenzia del demanio in merito all'intera vicenda rappresentata. (4-15323)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i giudizi pendenti presso tribunale di Vallo della Lucania ammontano, al 31 dicembre 2015, per i comparti civile e lavoro e previdenza, a 10.794 oltre a 1.302 per le esecuzioni e i fallimenti;
    nel civile «puro» sono complessivamente pendenti 7.326 procedimenti, con 5 ruoli di 1.465 processi ognuno; nel settore penale le pendenze per il monocratico sono di 5.845 giudizi che, divisi per 4 ruoli, con un carico individuale di 1.469 procedimenti, mentre al collegio sono pendenti 140 giudizi;
   da più di un decennio si registra a Vallo della Lucania una pesante situazione di criticità, che può essere compresa solo rapportando il numero delle sopravvenienze annue alle costanti vacanze in organico e considerando l'aggravamento degli effetti determinato dalle astensioni di magistrati per maternità;
   secondo un recente parere del consiglio giudiziario di Salerno «per il circondario di Vallo della Lucania le problematiche di maggior rilievo attengono alla cronica scopertura di una cospicua percentuale dei posti già esistenti in organico, all'eccessiva dilatazione dei tempi occorrenti per la sostituzione dei magistrati trasferiti ed al notevole carico di lavoro derivante dal cd. «arretrato»;
   il turn over continuo dei magistrati l'assenza di domande per l'assegnazione a tale tribunale hanno indotto il Ministero ed il Consiglio superiore della Magistratura, nell'ottobre 2016, a ritenere Vallo della Lucania sede disagiata, con l'assegnazione di due magistrati, uno per il settore civile ed uno per quello penale;
   nonostante ciò, il successivo decreto del Ministro della giustizia 1o dicembre 2016 n. 179425 non ha previsto, nel rideterminare le piante organiche dei tribunali, l'assegnazione di nuovi magistrati al tribunale di Vallo della Lucania;
   solo per talune sedi giudiziarie (per Rimini, ad esempio) sono stati utilizzati criteri correttivi che andrebbero applicati anche alla sede di Vallo, quale l'elevato aumento della popolazione estiva che nel 2015 ha superato 2.300.000  persone nelle sole strutture alberghiere sia della zona costiera, nota a livello internazionale, compresa tra Agropoli a San Giovanni a Piro sia nelle aree interne del parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni;
   allo stesso modo il numero delle pendenze è stato considerato per il settore civile del tribunale di Messina (800 cause pro capite circa) e non per quello di Vallo (oltre 1.400);
   il presidente del tribunale ha anche chiesto nel 2015 l'istituzione del posto di presidente di sezione; il Consiglio Superiore della Magistratura si è espresso positivamente anche in una precedente occasione, ma il Ministero non ha adottato alcuna decisione;
   il Ministro della giustizia, nella sua relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2016, ha rilevato che la revisione delle piante organiche del personale di magistratura è destinata ad essere soggetta ad una fisiologica azione di monitoraggio e verifica operativa, così da consentire l'adozione, ove necessario, di opportuni interventi integrativi e correttivi –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per incrementare l'organico del tribunale di Vallo della Lucania, rivedendo in aumento la pianta organica di almeno una unità e prevedendo senza ulteriori ed ingiustificati ritardi e rinvii la istituzione di un posto di presidente di sezione. (5-10363)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) ha certificato che l'aeroporto «Amerigo Vespucci» di Firenze è conforme ai requisiti per la certificazione dell'aeroporto prescritti nel regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti ed è idoneo per le operazioni di traffico aereo commerciale (certificato di aeroporto Nr. I-012/APT);
   nella relativa specifica di certificazione (allegata al medesimo certificato di aeroporto) non è indicata alcuna limitazione né deroga, fatta eccezione per un'esenzione temporanea relativa al Capo 3, 4.1.2. scaduta il 31 dicembre 2016;
   l'aeroporto, nel suo stato attuale, continua a registrare record e incrementi dei voli. Ha invero superato i 2,5 milioni di passeggeri e avuto un incremento di 95 mila unità in un solo anno;
   in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'Enac istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«Aeroporto di Firenze – Master Plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento «12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
   segnatamente, rispetto a tale procedura, come già esposto in altre interrogazioni presentate dall'interrogante, si pongono, sulla base di osservazioni rese da comitati e associazioni, gravi problematiche di rischio ambientale e paesaggistico, di alterazione di precari equilibri antropico/naturali e di limitazione al godimento del patrimonio culturale dell'Unesco;
   si apprende da fonti di stampa (La Nazione Firenze, «La svolta di Castello. Eurnekian vuole comprare l'area Unipol», del 12 gennaio 2017) che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Galletti il 2 dicembre 2016 avrebbe anticipato l'esito favorevole della procedura di VIA in ordine alla realizzazione dell'Aeroporto di Firenze. Ma non ne sarebbe seguita alcuna comunicazione ufficiale, mancando, come si legge nell'articolo, la firma sul parere della commissione che risolverebbe il vuoto lasciato dalla sentenza del Tar della scorsa estate in base alla quale sarebbe stata cancellata la previsione della nuova pista dal piano di indirizzo territoriale della regione;
    si apprende anche (La Nazione Firenze, «Espropri nell'area di Castello per sviluppare il nostro business», del 12 gennaio 2017) che, in ragione di opere accessorie e di compensazione, si avrebbe una maggiore occupazione di terreno rispetto a quanto previsto nel Master plan. Per tale necessità, si apprende, sarebbe stata presa in considerazione l'area Unipol –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano spiegare perché si perseveri nella volontà di realizzare un nuovo aeroporto dato che le premesse e i prerequisiti di tale opera, per gli interroganti, sono venuti meno o si sono rivelati infondati;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere iniziative per non proseguire nella realizzazione del nuovo aeroporto e disporre la revoca dei fondi stanziati nel decreto cosiddetto «Sblocca Italia»;
   se e per quali ragioni i Ministri interrogati, anche alla luce delle certificazioni citate in premessa, ritengano di dover permettere con la costruzione di una nuova pista nell'ambito dell'aeroporto di Firenze, che, invece, per gli interroganti implica gravi problematiche di tipo ambientale e paesaggistico;
   se si sia conclusa la procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«Aeroporto di Firenze – Master Plan aeroportuale 2014-2029» con provvedimento autorizzatorio favorevole e, in caso affermativo, se il Governo intenda fornire elementi sullo stesso, che deve esser reso pubblico nei termini di legge;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della intervenuta necessità di una maggiore occupazione di terreno rispetto a quanto previsto nel Master plan in ragione di opere accessorie e di compensazione e come si intenda provvedervi, se con procedura di espropriazione o di acquisto, e con quale spesa;
   se i Ministri interrogati intendano valutare di assumere iniziative per favorire il potenziamento dell'aeroporto di Pisa e dei collegamenti ferroviari tra i comuni di Pisa e Firenze. (5-10357)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la divisione Cargo di Trenitalia fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato italiano s.p.a. Nelle Marche, la divisione cargo è attiva da circa 15 anni ed opera attraverso l'impianto ICC di Ancona;
   originariamente il personale dell'azienda era di 300 addetti; tuttavia, negli anni ha subito una progressiva riduzione fino agli attuali 60 addetti, nonostante gli indici di produttività dell'impianto Cargo di Ancona abbiano evidenziato un trend di crescita tanto da far conquistare primati nazionali in termini di condotta/treno: nel 2010 sono stati registrati 7076 chilometri treno, saliti a 8186 nel 2016;
   inoltre, la collocazione baricentrica del presidio anconetano ha favorito un costante aumento della cosiddetta «produzione di transito»;
   si apprende da fonti stampa che la dirigenza del gruppo F.S.I. s.p.a., nell'ambito del processo di riorganizzazione della società Trenitalia s.p.a., intende scorporare la divisione cargo da Trenitalia, mediante trasferimento di ramo d'azienda, e creare al posto di questa un'altra società: Mercitalia. Le Marche, quindi, rischiano lo smantellamento del presidio di Ancona, con possibili ricadute sui livelli occupazionali, sull'infrastruttura logistica locale e sulla competitività del sistema produttivo marchigiano;
   dagli incontri tenuti nella terza Commissione della regione Marche (quella competente su infrastrutture e trasporti), a settembre con i rappresentanti sindacali e ad ottobre con quelli di Trenitalia, si è appreso che la dirigenza di Trenitalia-divisione cargo ha già iniziato trasferimenti di attività relative al «trasporto merci» dalle Marche all'Emilia Romagna ed alla Puglia, spostando posti di lavoro in altre regioni;
   la questione è stata già oggetto di due interrogazioni in consiglio regionale del 17 gennaio 2017;
   nella sua risposta l'assessore ai trasporti ha precisato che «tutta l'operazione di riorganizzazione non produrrebbe esuberi all'interno del perimetro del Gruppo, ma la necessità di collocare risorse in altre divisioni di Trenitalia»;
   secondo Roberto Ascani di Fit Cisl «è venuta meno un'altra struttura di Trenitalia nelle Marche che si sposterà da Ancona a centri più importanti come Milano, Bologna, Roma o Bari. Quando Fs deve economizzare, tende a partire sempre dalle Marche che rischiano così di essere marginalizzate»;
   l'impianto ICC di Ancona è strategico all'interno dei 9500 chilometri della rete commerciale individuata finanche dal PGTL del 2001, secondo la logica del sistema a rete disegnata dallo SNIT (sistema nazionale integrato dei trasporti);
   il venir meno di un centro operativo così importante per il supporto della logistica regionale avrà, sicuramente, un impatto negativo sulla competitività del sistema produttivo marchigiano. Eppure con il piano regionale infrastrutture, trasporto merci e logistica (DACR n. 51/2012), la regione si è impegnata a favorire l'intermodalità ed a privilegiare il trasporto ferroviario rispetto a quello su gomma, che è più sicuro e presenta minori effetti nocivi per l'ambientale, sicché lo smantellamento della divisione cargo di Ancona appare in contrasto con questo atto di programmazione –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per evitare la marginalizzazione delle Marche nell'ambito della rete dei trasporti su scala nazionale;
   se intendano convocare con urgenza i vertici di Trenitalia s.p.a. per scongiurare lo smantellamento dell'impianto divisione cargo di Ancona;
   come si concili l'operazione sopra descritta con quanto dichiarato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che ha indicato come obiettivo da raggiungere nei prossimi tre anni quello di spostare il 30 per cento delle merci dalla gomma al ferro e, dal 2018, quello di utilizzare la linea ad alta velocità anche per il trasporto merci. (5-10367)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Confartigianato Imprese Piemonte rileva che per il quinto anno consecutivo, l'avvio del nuovo anno ha portato consistenti rincari dei pedaggi autostradali; in particolare, rispetto al dato medio nazionale, (+3,9 per cento) nella regione Piemonte si evidenzia che da un contenuto +0,82 per cento per la A5 (Torino-Ivrea-Val d'Aosta), al +1,6 per cento della A6 (Torino-Savona) si arriva all'esorbitante +5,27 per cento della A4 (Torino-Milano);
   l'interrogante, al riguardo, evidenzia che proprio la tratta Torino-Milano, che risulta la più trafficata e la più importante di tutto il Nord ovest, ha subito nel corso degli anni aumenti ingiustificabili ed esagerati rispetto all'aumento medio sulle altre tratte autostradali nazionali pari a: +15 per cento nel 2010; +12 per cento nel 2011; +6 per cento del 2012; +3 per cento nel 2013; +5 per cento nel 2014;
   i rincari della medesima tratta, a parere dell'interrogante, appaiono tra l'altro inaccettabili, in quanto penalizzano in particolare un settore importante quale quello dell'autotrasporto, già in crisi da molto tempo e sono inopportuni anche in ragione della circostanza che la tratta Torino-Milano è sembrata essere nel corso degli anni (e lo è ancora) più che un'autostrada, un cantiere, dove si viaggiava (e si viaggia) tra restringimenti di carreggiata e salti di corsia;
   a giudizio dell'interrogante, gli automobilisti e gli autotrasportatori fruitori della tratta autostradale A4 sono già stati sufficientemente penalizzati nel corso degli anni, a causa dei profondi disservizi da parte del gestore concessionario, determinati da un percorso stradale pericoloso, carente in termini di sicurezza degli utenti e privo di adeguati sistemi di ammodernamento per la viabilità;
   introdurre rapide misure finalizzate al blocco o alla riduzione delle tariffe e alle agevolazioni fiscali per i pendolari che percorrono quotidianamente la tratta Torino Milano, a parere dell'interrogante, appare urgente e necessario in considerazione del fatto che i rincari delle tariffe contribuiscono ad accrescere negativamente la crisi economica, tutt'altro che superata, nei riguardi dei tanti artigiani e piccoli imprenditori, in particolare quelli dell'autotrasporto piemontese; gli effetti causati dagli aumenti delle tariffe determinano inevitabili ricadute sui consumatori finali, deprimendo ancora di più la propensione al consumo delle famiglie –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non convengano sul fatto che l'aumento delle tariffe per la tratta autostradale A4 Torino Milano, addirittura pari a +5,27 per cento a partire dal 1o gennaio 2017, rischi di determinare effetti negativi e penalizzanti per le attività produttive piemontesi, in particolare quelle legate al sistema dell'autotrasporto;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per prevedere nuovi criteri più stringenti per definire un meccanismo di adeguamento dei pedaggi autostradali che sia strettamente legato agli investimenti effettuati dalle società concessionarie delle tratte autostradali. (4-15322)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   le Palazzine denominate «Ex Moi» di Torino, realizzate nel 2006, sono al centro da anni ad una situazione di grave disagio urbano, di degrado, caratterizzata da numerosi episodi di violenza, vandalismo e microcriminalità;
   gli ultimi gravissimi episodi si sono verificati il 24 ed il 25 novembre 2016, giornate nelle quali sono stati registrati scontri tra gli immigrati presenti nelle palazzine ed altri abitanti del quartiere, con danneggiamenti a negozi e cassonetti della spazzatura, lancio di bombe carta, sassi e bottiglie;
   il prefetto di Torino ha inviato cinquanta militari sul luogo per garantire l'ordine pubblico nell'attesa che si muovano i primi passi per liberare le palazzine;
   gli edifici, gestiti da alcuni centri sociali, sono stati occupati inizialmente da profughi con lo status riconosciuto di «rifugiati» provenienti dal Nord d'Africa e successivamente da numerose altre etnie di immigrati. Secondo alcune stime sarebbero circa 1.000 le persone presenti attualmente in tali edifici;
   l'eterogenea composizione sociale ed etnico-religiosa degli occupanti ha generato conseguentemente episodi di tensione, nonostante gli sforzi operati da enti e associazioni assistenziali, aggravando la complessità di un contesto abitativo e sociale già oggettivamente problematico non solo per motivi di sovraffollamento ma anche per le attività micro-criminali che si svolgono nell'area, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti e la ricettazione;
   la società proprietaria del plesso residenziale ha sollecitato a più riprese lo sgombero delle palazzine, assoggettate peraltro a sequestro penale preventivo disposto dal Gip di Torino su richiesta della procura della Repubblica;
   in risposta ad una interrogazione sulla vicenda (n. 5-03431) in data 29 giugno 2016 il Governo pro tempore, pur monitorando costantemente la situazione e riconoscendone la gravità, ha sollevato criticità e motivazioni di carattere umanitario che stanno ad oggi sconsigliando uno sgombero tout court degli stabili. Lo stesso Governo ha previsto un aggiornamento della situazione nel mese di settembre 2016;
   il sindaco di Torino ha annunciato pubblicamente nel mese di agosto 2016 che dal mese di settembre sarebbe stato effettuato «il censimento delle palazzine che verranno successivamente sgomberate»;
   risulta ad oggi agli interpellanti che il censimento sopra citato annunciato da tempo non sia stato però ancora effettuato –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere, coinvolgendo gli enti e le istituzioni locali, per risolvere la grave situazione di pericolo che interessa da anni le palazzine «ex Moi», garantendo la sicurezza dei cittadini residenti negli edifici limitrofi, i diritti degli immigrati rifugiati con il rispetto dell'ordine pubblico ed il contrasto al degrado sodale.
(2-01612) «Fregolent, Giorgis, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo anno l'immigrazione in Italia è aumentata di oltre il 20 per cento; la maggior parte degli arrivi avviene via mare sulle coste adriatiche e, in particolare, in Puglia;
   i recenti fatti di cronaca e le indagini antimafia e antiterrorismo hanno rivelato che cellule criminali si infiltrano tra i disperati in fuga da Paesi disastrati e per i quali il nostro Paese, in linea con gli accordi europei e con la cultura italiana dell'accoglienza e della carità umana, ha il dovere di garantire ospitalità;
   in particolare, è emerso dalle indagini della magistratura che i centri di accoglienza divengono veri e propri rifugi per queste cellule criminali che, a spese dello Stato italiano e dell'Europa, si organizzano per compiere atti criminosi o attentati terroristici;
   molti dei componenti di cellule terroristiche, che hanno agito recentemente in Europa, sono passati dalla Puglia, dagli aeroporti e dai porti di Bari e Brindisi ed hanno avuto contatti con loro connazionali nei centri di assistenza per i richiedenti asilo di Bari e di Rignano, riuscendo a spostarsi nel nostro Paese in auto o in treno;
   molto spesso in questi centri vi sono stati disordini e rivolte degli immigrati, che si lamentano dei lunghi tempi di permanenza e dei trattamenti che vengono loro riservati;
   la lentezza delle pratiche causa notevoli spese al Governo italiano e comporta che gli immigrati si trovino costretti a cercare una fonte di sostentamento, divenendo prede di sfruttatori o della criminalità organizzata;
   le città italiane sono invase da clandestini che chiedono l'elemosina e creano racket dell'accattonaggio; ogni giorno nei centri italiani si verificano risse, scippi e omicidi;
   la gestione del fenomeno va ripensata, ipotizzando di ospitare donne e bambini e di eseguire controlli accurati prima di accogliere incondizionatamente;
   si ritengono urgenti le stipule degli accordi internazionali con i principali Paesi di provenienza degli immigrati (Libia, Nigeria, Eritrea) per limitare la partenza da questi Paesi verso il nostro –:
   cosa intenda fare il Governo per garantire la sicurezza nelle città italiane, con quali misure il Ministro interrogato intenda rafforzare i controlli negli aeroporti e nei porti di Bari e Brindisi, che, ancora oggi, sono ben al di sotto di quelli adottati nelle altre città e negli altri Paesi europei, e se non ritenga di dover porre fine ad un fenomeno isolato in Europa, in base al quale è possibile viaggiare sui treni italiani con biglietti privi di intestazione, cosa che rende impossibile un reale controllo sulla circolazione. (3-02729)


   FIANO, MARANTELLI, CIMBRO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, CARBONE, CUPERLO, DE MENECH, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che a Caidate, piccola frazione di Sumirago, in provincia di Varese, si è installata da più di quattro anni la più grande e organizzata comunità nazionalsocialista italiana, denominata Do.ra, acronimo che indicherebbe la comunità militante dei dodici raggi, in omaggio ai raggi del Sole nero, simbolo del castello tedesco di Wewelsburg, sede operativa delle SS;
   sotto le spoglie di un'associazione culturale, con sede in un ex magazzino con regolare contratto d'affitto, si celebrerebbe – secondo quanto riportato da organi di stampa – una vera e propria struttura di stampo militare, inserita nel network antisemita europeo Skin4Skin e dedita, secondo quanto dichiarato dai suoi stessi membri, ad una sorta di contro-informazione che, partendo dalla negazione o, membri, ad una sorta di contro-informazione che, partendo dalla negazione o, addirittura, dall'esaltazione dell'Olocausto, ispirerebbe iniziative sul territorio o la propaganda di idee contro i «nemici» immigrati, ebrei, gay, centri sociali, polizia, banche e così via;
   tali iniziative andrebbero dalla celebrazione della festa di compleanno di Hitler, all'organizzazione di veri e propri cineforum tematici, anche tramite l'ausilio di una biblioteca con un'ampia gamma di testi revisionisti sul tema dell'Olocausto, il tutto non solo alla luce del sole, ma diffuso e amplificato tramite una pagina Facebook di riferimento molto attiva –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in ordine a quanto riportato in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di contrastare movimenti e organizzazioni che si richiamano al fascismo e ai principi della discriminazione e dell'odio razziale. (3-02730)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Friuli Venezia Giulia, regione autonoma a statuto speciale che ha competenza primaria sulle autonomie locali, la giunta regionale, sotto la presidenza di Debora Serracchiani, ha proceduto ad un riordino delle autonomie locali attraverso lo strumento delle unioni territoriali intercomunali, prevedendo l'abolizione delle quattro province e la creazione di 18 unioni territoriali intercomunali;
   la legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, ha poi modificato lo statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia, prevedendo la soppressione delle province e conseguenti modifiche dell'assetto istituzionale. L'articolo 1 della legge costituzionale n. 1 del 2016 sostituisce, infatti, il primo comma dell'articolo 2 dello statuto, al fine di registrare le modifiche amministrative intervenute. Il provvedimento, con il sopprimere il livello di governo delle province, delinea quindi un assetto istituzionale che contempla solo due livelli di governo: la regione ed i comuni, anche nella forma di città metropolitane;
   nel corso dell'esame in Parlamento, l'interrogante aveva denunciato le problematiche connesse al nuovo assetto: in particolare, attraverso la presentazione di una questione sospensiva, poi respinta dall'Assemblea, aveva chiesto di riprendere l'esame del provvedimento alla luce del risultato del referendum confermativo della riforma costituzionale approvata a maggioranza assoluta dalle Camere, che prevedeva l'abolizione delle province;
   ad oggi, il risultato della consultazione referendaria del mese di dicembre 2016 determina, nei fatti, l'incostituzionalità della riforma degli enti locali in Friuli Venezia Giulia;
   a seguito della bocciatura della riforma, infatti, la provincia risulta ancora un ente fondamentale della Repubblica ai sensi di quanto previsto dall'articolo 114 della Costituzione vigente; pertanto, la neonata riforma dello statuto regionale e il nuovo assetto delle unioni territoriali intercomunali, pregiudicando la possibilità di disporre di un quadro ordinamentale valido per tutti, presenta chiari profili di incostituzionalità;
   la gestione Serracchiani ha imposto scelte senza alcun confronto, lontane dalla definizione di un apparato snello, efficace e duraturo; imposizioni che creano solo strascichi nei tribunali o che rilevano questioni di dubbia costituzionalità –:
   quale sia la posizione del Governo su quanto esposto in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda adottare per pervenire ad un contemperamento dell'assetto amministrativo del Friuli Venezia Giulia con il quadro ordinamentale generale. (3-02731)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riportano che nel mese di dicembre 2016 sarebbe stata diramata una circolare a tutte le questure e prefetture e ai comandi di Arma dei Carabinieri, Polizia, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria, che dovrebbe segnare l'inizio del nuovo corso – almeno nelle intenzioni – del Governo nel contrasto all'immigrazione clandestina;
   la circolare sembra prevedere il coinvolgimento di tutte le forze dell'ordine in piani straordinari di controllo del territorio per conferire nuovo slancio all'attività di individuazione dei cittadini di Paesi terzi che soggiornino in Italia in posizione irregolare, anche attraverso maggiori controlli sugli ambiti lavorativi nei quali viene maggiormente sfruttata la manodopera degli immigrati clandestini;
   il potenziamento dell'attività ispettiva e di accertamento sul territorio dovrebbe essere accompagnato da un considerevole aumento del numero dei centri di identificazione ed espulsione, che dagli attuali quattro dovrebbero passare a uno in ciascuna regione;
   negli ultimi due anni l'Unione europea ha esortato i propri Stati membri a realizzare un maggior numero di rimpatri dei migranti irregolari dall'Europa e l'Italia – con quindicimila espulsioni in tre anni a fronte di cinquecentomila arrivi – appare gravemente inadempiente;
   in questo quadro si inserisce anche l'incapienza del fondo rimpatri, sinora progressivamente depauperato proprio per sopportare gli oneri di quella che appare agli interroganti un'accoglienza indiscriminata –:
   quali siano esattamente i termini delle iniziative esposte in premessa e quali i previsti tempi di attuazione e le risorse finanziarie a tal fine stanziate. (3-02732)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di S. Gregorio in provincia di Catania intenderebbe intitolare nell'ambito della toponomastica comunale uno slargo a Giorgio Almirante;
   l'Anpi di Catania è indignata per la proposta da parte del consiglio comunale di S. Gregorio uno slargo a Giorgio Almirante;
   introdurre nella toponomastica una intitolazione è quindi occasione di riflessione storica e riguarda anche l'identità in riferimento alla storia e al futuro di una comunità;
   non risultano esservi particolari legami tra questa comunità e la figura di Giorgio Almirante che non va dimenticato partecipò alla diffusione della cultura razzista e alla persecuzione degli ebrei nel nostro Paese, e fu protagonista della Repubblica di Salò firmando il bando di fucilazione per quegli italiani che rifiutavano di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale italiana, così come fu protagonista di altri inquietanti episodi anche nella storia repubblicana a partire dalla strage di Peteano;
   l'Anpi di Catania ha già comunicato la propria netta contrarietà a tale decisione –:
    se il Ministro sia a conoscenza di tale questione e se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza al fine di evitare tale intitolazione, evidenziando l'assoluta inopportunità di tale riconoscimento. (5-10365)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Isola di Capo Rizzuto, dottor Gianluca Bruno, ha subito nelle ultime ore, l'ennesimo vile attentato che ha provocato gravissimi danni alla sua residenza estiva, semidistrutta da un incendio doloso;
   il sindaco Bruno e gli amministratori in carica hanno già subito altri attentati e intimidazioni nel recente passato; sono state incendiate in diversi momenti le autovetture del sindaco, del presidente del consiglio comunale Frustaglia, del consigliere Astorino e del dipendente comunale Francesco Scerbo; è stato incendiato un automezzo della ditta del consigliere Poerio e la casa del consigliere Timpa; inoltre, sono stati ritrovati dei proiettili sull'uscio della casa del sindaco che ha subito anche un furto nella stessa abitazione;
   di recente è stato anche denunciato il furto di 6 generatori di corrente di proprietà pubblica, dal valore stimato di 200.000 euro;
   i numerosi atti vandalici e i furti, dal chiaro sapore criminale, che si susseguono da molti anni all'interno della realtà cittadina, determinano un clima pesantissimo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accade nel comune di Isola di Capo Rizzuto ed, in particolare, degli ultimi gravi atti intimidatori ai danni del sindaco e degli amministratori locali;
   cosa intenda fare, nell'ambito delle proprie competenze, per garantire sicurezza agli amministratori minacciati e continuamente aggrediti;
   se non ritenga urgente garantire la sicurezza dei cittadini mediante una più incisiva e continua presenza delle forze dell'ordine sul territorio comunale di Isola di Capo Rizzuto. (4-15321)


   FASSINA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane, Mimmo Lucano, sindaco di Riace, è stato oggetto di una grave campagna denigratoria dai preoccupanti contorni;
   il principale giornale del Sud, la Gazzetta del Sud, ha pubblicato, in prima pagina, un articolo dal titolo «Fango su Mimmo Lucano». Mentre, da giorni, sul canale Youtube girano alcune registrazioni che hanno la pretesa di denunciare «il vero Mimmo Lucano», così scrivono in bella vista sul video;
   le registrazioni si riferiscono a una riunione della giunta comunale di Riace che si è tenuta nella primavera del 2016, a cui erano presenti, oltre al sindaco Lucano, anche gli assessori Valilà e Cimino. Nell'estate del 2016 il sindaco ha ritirato le deleghe proprio ai due assessori;
   il presidente della regione Calabria, al riguardo, ha spiegato che la gestione di Lucano è stata del tutto corretta, né risultano al momento indagini della magistratura;
   si è dunque probabilmente trattato di un'operazione manipolatoria nei confronti di un personaggio che la rivista americana Fortune ha inserito tra i 50 personaggi più influenti del pianeta per il suo impegno nel campo dell'immigrazione –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e se non ritenga di assumere le iniziative di competenza, anche normative, volte a evitare che, soprattutto attraverso internet e i social network, possano essere attuate pratiche denigratorie destinate a colpire politici e amministratori, come accaduto nel caso segnalato che riguarda un sindaco impegnato in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata e nell'impegno verso i migranti. (4-15328)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta n. 4-13926, a firma dell'interrogante, venivano posti quesiti e chiesti chiarimenti in merito ai numerosi e gravi problemi sotto il profilo igienico-sanitario, oltreché dell'ordine e della sicurezza pubblica, segnalati dagli abitanti di una palazzina di via Asiago 8/D a Monza dove, dal novembre 2015, sono stati collocati dalla prefettura, a più riprese, un numero sempre maggiore di immigrati, fino ad arrivare, come risultava dalla stampa, a 126 distribuiti in 13 appartamenti dello stabile, a fronte di soli 34 cittadini italiani ivi residenti;
   in seguito nella risposta dal Ministero dell'interno D/5296 del 26 ottobre 2016 si è ufficialmente appreso che in via Asiago sono ospitati 116 immigrati, anziché 126, distribuiti in 16 alloggi di varia metratura, di cui 38 ancora in attesa di formalizzare l'istanza di asilo e solo 7 già auditi dalla competente commissione territoriale, essendo tutti gli altri ancora in attesa di essere auditi dalla Commissione stessa;
   sempre dalla medesima risposta si evince altresì che a seguito di «numerosi sopralluoghi» effettuati anche da personale della locale A.T.S. Brianza (ex A.S.L.), quest'ultimo avrebbe «evidenziato una buona situazione degli alloggi sotto il profilo igienico-sanitario e formulato prescrizioni, relative anche alla loro capienza massima, alle quali l'ente ha ottemperato»;
   a seguito del sopralluogo effettuato in data 8 agosto 2016, il personale tecnico e medico dell'A.T.S. Brianza (ex A.S.L.) aveva accertato la presenza di 127 immigrati ospitati in via Asiago, dislocati in 16 alloggi di varia metratura (dagli 80 ai 120 metri quadri) in due distinti complessi condominiali di via Asiago: 116 presso lo stabile sito al civico 8/D scala C ed 11 presso lo stabile sito al civico 8/B interno;
   sempre dalla medesima relazione stilata dall'A.T.S. si evidenziava, in particolare, che per i 116 immigrati ospitati presso lo stabile sito al civico 8/D scala C erano utilizzati 14 appartamenti, nei quali, durante il sopralluogo, erano state riscontrate diverse carenze igienico-sanitarie e la mancanza di una serie di requisiti igienico sanitari di abitabilità anche in alcuni locali utilizzati a scopo abitativo posti al piano mansardato/sottotetto ed infine che, in relazione anche alla normativa in vigore, che il numero massimo di persone ospitate nelle strutture visionate non avrebbe potuto essere comunque superiore a 97;
   pertanto, a seguito di tali risultanze l'A.T.S. avrebbe formulato delle prescrizioni alla Società Trattoria Mercato ed al Consorzio Madre Santina, ognuno per le proprie parti di competenza, tra cui lo sgombero dei locali ad uso abitativo posti al piano mansardato/sottotetto dello stabile 8/D scala C, demandando comunque al sindaco la verifica dei requisiti di abitabilità degli immobili per i seguiti di competenza –:
   quale sia l'effettivo numero degli appartamenti utilizzati per l'ospitalità degli immigrati nella palazzina di Via Asiago 8/D scala C, stanti le diverse indicazioni contenute nella risposta del Ministero dell'interno e nella relazione dell'A.T.S. Brianza; se risultino, dunque, ospitate nelle strutture sopra citate un numero di persone superiore a quello consentito dalla normativa vigente anche secondo le prescrizioni dell'A.T.S. sopra riportate, ed in caso affermativo quali iniziative siano state adottate sia intenzione del Ministro interrogato promuovere; se e quando siano stati effettuati i lavori prescritti dall'A.T.S., compreso lo sgombero dei locali ad uso abitativo, quali controlli successivi risultino essere stati effettuati, anche dall'amministrazione comunale, onde verificare i requisiti di abitabilità dei locali utilizzati per l'accoglienza in via Asiago a Monza. (4-15329)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017 la Guardia di finanza coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Venezia ha sequestrato beni per 17 milioni di euro al capo della mafia del Brenta Felice Maniero;
   nel corso dell'operazione sono stati arrestati Riccardo di Cicco, ex cognato di Maniero, e Michele Brotini, promotore finanziario, con l'accusa di riciclaggio aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa;
   sono coinvolte nell'inchiesta anche la sorella e la madre di Di Cicco;
   le indagini sono iniziate il 12 marzo 2016 in seguito alle dichiarazioni di Maniero;
   in questi anni, l'autorità giudiziaria ha più volte negato la revoca delle misure preventive a carico di Maniero con la motivazione che il mafioso, condannato per associazione di stampo mafioso ex articolo 416-bis del codice penale, non aveva rivelato entità e collocazione dei proventi delle attività criminali;
   dalle prime ricostruzioni sembra che i beni sequestrati costituiscano soltanto una parte del totale e gli inquirenti si stanno concentrando sul denaro ricevuto da Maniero fino al 2015;
   le indagini di questi anni sulla mafia del Brenta hanno consentito di smantellare in gran parte questa organizzazione criminale grazie al lavoro di magistrati e forze dell'ordine;
   la collaborazione parziale tra Maniero e l'autorità giudiziaria ha favorito la disarticolazione dell'associazione mafiosa, ma non ha consentito di fare piena luce sui numerosi collaboratori e complici che si occupavano di riciclare e occultare i proventi delle attività illecite;
   inoltre, occorre rilevare che molti appartenenti all'associazione mafiosa, una volta tornati in libertà, hanno ripreso a vario titolo l'attività malavitosa potendo contare su strutture logistiche, risorse economiche e contatti che hanno originato diversi crimini già oggetto di precedenti segnalazioni da parte dell'interrogante (4-00284 di giugno 2008, 4-16346 di maggio 2012, 4-18275 di ottobre 2012 e altre);
   a parere dell'interrogante occorre proseguire e potenziare l'attività di repressione e contrasto dell'organizzazione di Maniero che, come dimostra l'entità dei beni sequestrati, può contare su una disponibilità economica e su strutture tali da consentire agli affiliati di proseguire l'attività criminale;
   appare necessario superare le sottovalutazioni del fenomeno che hanno presentato la mafia del Brenta come una organizzazione minore, soprannominata «Mala del Brenta», mentre le sentenze di condanna degli affiliati, le strutture e le risorse a disposizione degli stessi dimostrano con tutta evidenza che l'organizzazione in questione è un'associazione mafiosa, ai sensi dell'articolo 416 bis del codice penale, assimilabile alle cosche di mafia, ’ndrangheta e camorra;
   infine, si deve ricordare che diverse indagini hanno evidenziato che appartenenti alla mafia del Brenta hanno costruito rapporti criminali con associati alle mafie tradizionali finalizzati al riciclaggio e con esponenti di gruppi criminali stranieri, in particolare dell'est europeo, per il traffico di armi e di stupefacenti –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, anche sul piano normativo, per il riconoscimento di un risarcimento alle famiglie delle vittime della mafia del Brenta, anche attraverso l'utilizzo dei beni coinvolti nell'operazione descritta e in altre analoghe;
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere per potenziare gli strumenti delle forze dell'ordine e in particolare la dotazione organica della direzione investigativa antimafia e della direzione distrettuale antimafia del Veneto per prevenire e contrastare le attività della criminalità organizzata in Veneto.
(4-15330)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alcune famiglie segnalano la difficoltà e la rigidità nei passaggi ad altri indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore;
   in una lettera del febbraio 2016 inviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia, si precisa come la disposizione citata all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 226 del 2005 concernente i passaggi ad altri indirizzi di studio, esami integrativi e d'idoneità non abbia trovato applicazione, rimanendo solo «enunciazione di un principio generale» priva della «relativa regolamentazione di dettaglio»;
   in virtù di questo vuoto normativo, fa notare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si deve fare riferimento all'articolo 24 dell'ordinanza ministeriale 21 maggio 2001, n. 90, secondo cui il passaggio ad altri indirizzi di studio è consentito solo previo svolgimento di esami integrativi da effettuarsi prima dell'inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo;
   a fronte di questo quadro fornito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si riscontrano nelle scuole incertezze e difficoltà nell'assicurare l'effettiva possibilità dei passaggi ad altri indirizzi di studio. In particolare, si nota una flessibilità discrezionale nei passaggi che avvengono dopo il secondo anno, anche in virtù di quanto enunciato dal decreto ministeriale n. 323 del 1999 (articolo 5, comma 1);
   l'articolo 8 dello schema di decreto legislativo sull'istruzione e formazione professionale – articolo 1, comma 181, lettera d), della legge n. 107 del 2015 – regolamenta in maniera puntuale il passaggio tra sistemi formativi;
   l'interrogante ritiene necessario un intervento di aggiornamento, chiarimento e semplificazione anche nei passaggi ad altri indirizzi di studio nella scuola secondaria superiore;
   tali modifiche permetterebbero una piena inclusione scolastica, consentendo a ogni studente di poter esprimere il proprio talento e contribuendo a lottare contro la dispersione, fenomeno in calo, ma ancora lontano dall'obiettivo europeo del 10 per cento entro il 2020;
   in questo senso, di concerto con famiglie e uffici scolastici regionali, vanno governate e sistematizzate, anche con processi di rilevazione e consultazione, le diverse attività sviluppate e sperimentate con successo a livello territoriale, con una valutazione sia degli aspetti legati all'adeguamento delle competenze, sia delle motivazioni, delle aspettative e delle attitudini –:
   se intenda intervenire per sanare questo vuoto lungo più di quindici anni.
(3-02727)


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, D'UVA, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'anno scolastico 2016/2017, il primo in cui le disposizioni contenute nella legge 13 luglio 2015, n. 107, sono entrate a regime, viene definito dal dossier di «Tutto Scuola», pubblicato in data 12 gennaio 2017, come il più caotico di sempre, con un tasso di mobilità di docenti triplicato rispetto agli anni precedenti;
   nel 2016/2017 sono infatti 207 mila i docenti trasferiti, pari al 30 per cento dell'organico di ruolo complessivo degli insegnanti statali; di questi, in 60 mila hanno lasciato la cattedra vacante al Centro-Nord per rientrare al Centro-Sud, usufruendo dell'istituto dell'assegnazione provvisoria introdotto dal decreto legge 29 marzo 2016, n. 42, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2016, con lo scopo di prorogare anche al 2016/2017 le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 108, della legge 13 luglio 2015, n. 107;
   ad oggi, secondo le stime del dossier, sommando i 207 mila docenti trasferiti ai circa 50 mila docenti precari che annualmente prendono servizio in istituti scolastici diversi, risultano circa 257 mila gli insegnanti che hanno cambiato cattedra (il 200 per cento in più rispetto agli anni precedenti) e due milioni e mezzo gli studenti che hanno avuto uno o più insegnanti diversi rispetto all'anno precedente;
   la problematica si ripresenterà nell'anno scolastico 2017/2018, visti i contenuti dell'accordo sulla mobilità firmato dal Ministro interrogato con i sindacati in cui si prevedono deroghe da ogni vincolo di permanenza per tutti i docenti di ruolo, compresi quelli chiamati con incarico triennale dai dirigenti scolastici;
   l'avvicendamento annuale di docenti nelle istituzioni scolastiche inficia la continuità didattica e il successo formativo degli studenti, come dimostra uno studio del 2008 della Banca d'Italia intitolato «Educational choices and the selection process before and after compulsory schooling», che ha utilizzato fonti dell'Istat e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, evidenziando come, a parità di condizioni, alla maggiore stabilità del personale docente corrisponda un minore numero di fallimenti scolastici –:
   quale strategia a lungo termine e pluriennale intenda attuare il Ministro interrogato per arginare il caos verificatosi nell'ultimo anno scolastico, contemperando l'esigenza di garantire la continuità didattica degli studenti e il rispetto dei diritti dei lavoratori. (3-02728)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, NESCI, MANTERO, GRILLO e COLONNESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'assistenza domiciliare diretta è un servizio dato in affidamento dall'ente locale di riferimento a soggetti terzi a seguito di espletamento di gara e viene svolta da operatori della ditta affidataria del servizio. Il servizio è costituito da un complesso di interventi e di prestazioni di carattere socio-assistenziale erogati al domicilio dell'utente che ne faccia richiesta;
   l'assistenza domiciliare indiretta, invece, è una forma di assistenza consistente nell'erogazione di un contributo economico da parte dell'amministrazione comunale, nata per rispondere al crescente aumento di disabili con un altissimo livello di intensità assistenziale che necessitano di una forma di assistenza fortemente personalizzata, tendente al raggiungimento per il beneficiario, del maggior grado possibile di vita indipendente;
   le persone disabili in Italia hanno il diritto di scegliere il tipo di assistenza di cui usufruire ai sensi della dell'articolo 3, comma 3, della legge 104 del 1992, e l'assistenza con modalità «indiretta» è diventata la più utilizzata dagli interessati;
   il diritto a ricorrere all'assistenza indiretta è tutelato dalla legge n. 162 del 1998. Ma il diritto di scelta è garantito anche dalla Convenzione dell'ONU delle persone con disabilità (ratificata con legge n. 18 del 2009);
   il «Fondo per le non autosufficienze (FNA)» ha lo scopo precipuo di assicurare l'attuazione dei livelli essenziali delle predette prestazioni assistenziali, da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti;
   in base all'articolo 31 della sopracitata convenzione, rubricato «Statistiche e raccolta dei dati», gli Stati Parti si impegnano a raccogliere le informazioni appropriate, compresi i dati statistici e i risultati di ricerche, che permettano loro di formulare ed attuare politiche allo scopo di dare attuazione alla Convenzione. Le informazioni così raccolte, inoltre, devono essere disaggregate in maniera appropriata, e devono essere utilizzate per valutare l'adempimento degli obblighi contratti dagli Stati Parti alla Convenzione e per identificare e rimuovere le barriere che le persone con disabilità affrontano nell'esercizio dei propri diritti, assumendo la responsabilità della diffusione di tali statistiche e garantendo la loro accessibilità sia alle persone con disabilità che agli altri;
   in base alle informazioni in possesso degli interroganti tuttavia, i siti istituzionali ministeriali farebbero riferimento a dati a dir poco datati, aggiornati rispettivamente all'anno 2011 (www.salute.gov.it) e all'anno 2012 (dati.disabilitaincifre.it) –:
   se non ritengano opportuno, anche alla luce delle varie osservazioni critiche di cui alla recente delibera della Corte dei conti n. 18/2016, fornire un quadro aggiornato dei suddetti dati statistici – per meglio definire la reale distribuzione e l'utilizzo effettivo delle risorse ripartite tramite il fondo nazionale per le non autosufficienze – e in particolare:
    a) il dato statistico descrittivo nazionale in termini di saldo annuale (o triennale) e disaggregato per regioni (anche qui possibilmente triennale) inerente alla spesa per assistenza domiciliare diretta, di competenza sanitaria (ASL) e sociale (comuni);
    b) il dato statistico, nazionale e regionale, inerente tutte le forme di assistenza indiretta, con relativa suddivisione fra le varie tipologie di prestazione/intervento;
    c) il dato statistico inerente alla vita media delle persone disabili, con relativa suddivisione per categorie specifiche (ad esempio maschi e femmine, cause di morte e luogo del decesso), ciò in particolare al fine di analizzare l'impatto degli interventi assistenziali sull'aspettativa di vita di quest'ultimi, soprattutto in relazione al diverso tipo di servizio di cui s’è potuto usufruire (a domicilio con assegno di cura, assistenza domiciliare indiretta, progetti di vita indipendente, residenze sanitarie assistenziali, residenze sanitarie per disabili e case famiglia);
   se non ritengano opportuno, qualora non dispongano di tali dati, provvedere ad horas al loro reperimento, visti i giudizi negativi dell'ONU verso l'Italia in materia di applicazione concreta ed esigibile della convenzione sui diritti delle persone con disabilità attinenti anche il citato articolo 31, riferito alla materia statistica descrittiva e parametrica. (5-10353)


   RICCIATTI, SCOTTO, ZARATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, MARTELLI, FERRARA, PIRAS, QUARANTA, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, DURANTI e MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le sedi provinciali dell'Inps delle Marche non hanno pagato la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per l'annualità 2015 ai marittimi imbarcati su motopescherecci e vongolare soci delle società proprietarie e/o armatrici delle imbarcazioni suddette;
   dal 2008, primo anno in cui è stato previsto il trattamento di cassa integrazione in deroga per i pescatori italiani, i soci delle società armatrici e/o proprietarie delle imbarcazioni da pesca avevano sempre ricevuto il citato trattamento economico;
   il diniego opposto dall'Inps per l'annualità 2015 è caduto sul settore della pesca come «un fulmine a ciel sereno», diniego che gli interroganti ritengono di dubbia legittimità per le seguenti motivazioni;
   né l'accordo in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'8 giugno 2015, né il decreto interministeriale n. 91411 del 7 agosto 2015, né il messaggio dell'Inps n. 5313 del 13 agosto 2015 disconoscevano, per l'annualità 2015, il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga ai soci di società armatrici e/o proprietarie di imbarcazioni da pesca;
   armatori e proprietari delle imbarcazioni da pesca sono di regola società in nome collettivo o in accomandita semplice; non può in alcun modo affermarsi, quindi, che armatori e proprietari delle citate imbarcazioni siano persone fisiche; appare di palmare evidenza, infatti, come una società ed i propri soci siano entità giuridiche differenti e ben distinte (ad esempio AGCI, CONFCOOPERATIVE, LEGACOOP) e, nel caso di specie, va ribadito, armatore e proprietario dell'imbarcazione da pesca è la società in nome collettivo o la società in accomandita semplice e non le persone fisiche imbarcate;
   il rapporto che intercorre tra la società e le persone fisiche dei soci è un rapporto di lavoro subordinato; la dottrina e la giurisprudenza sono unanimi nel riconoscere la possibilità che fra società e soci si instaurino rapporti di lavoro subordinato distinti da quello societario;
   i recenti provvedimenti di diniego emessi dalle Inps provinciali poi contraddicono quanto affermato dallo stesso Istituto nazionale di previdenza sociale con la circolare n. 61 del 16 marzo 1999; è la stessa Inps, infatti, con la citata circolare a riconoscere che anche i caratisti armatori, in quanto membri dell'equipaggio, siano da ritenersi lavoratori dipendenti. A seguito di tale indicazione, con circolare n. 232 del 1o ottobre 1992, p. 3, l'Istituto ha riconosciuto ai cartisti imbarcati sulla nave da loro armata l'equiparazione ai lavoratori dipendenti, così come tale equiparazione «viene estesa agli armatori e proprietari armatori, in considerazione del fatto che tali soggetti, una volta imbarcati, sono equiparabili agli altri membri dell'equipaggio»;
   va da ultimo sottolineato come la stessa Inps nazionale con comunicazione protocollo INPS.HERMES22/11/2016.0004731, inerente alla disciplina applicabile ai soci proprietari di imbarcazioni, afferma chiaramente come il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per il settore della pesca spetti anche ai suddetti soci di società proprietaria dell'imbarcazione da pesca –:
   se non ritenga necessario intraprendere ogni valida iniziativa di competenza affinché sia riesaminata la tematica in questione e si proceda al pagamento della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga nel settore della pesca per l'anno 2015 anche ai marittimi imbarcati soci di società proprietarie e/o armatrici di motopescherecci e vongolare. (5-10366)

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il caso Almaviva è solo l'ultimo di una crisi che a Roma coinvolge sempre più aziende di call center, un settore che in poco tempo è passato da oltre cinquemila lavoratori a meno di duemila;
   in sostanza, però, il call center a Roma è in crisi: gli incentivi a investire nel Sud del Paese e i bandi al massimo ribasso, con importi tagliati in media del 30 per cento, hanno portato le aziende a delocalizzare o chiudere commesse e progetti, a svantaggio di lavoratori che spesso sono donne con figli a carico e con un reddito medio inferiore ai mille euro;
   come, appunto, i 1.600 lavoratori licenziati di Almaviva che di recente hanno manifestato per riavere il posto: l'80 per cento sono donne, di cui la metà monoreddito. «Il paradosso è che il governo paga ammortizzatori ai licenziati – spiega Michele Azzola segretario Cgil Roma e Lazio – mentre le aziende portano il lavoro in altre città dove il personale è assunto con incentivi e quindi costa di meno»;
   infatti, come si apprende dai portali di ricerca di offerte di lavoro, pur avendo operato quelle che appaiono all'interrogante ingiustificate procedure di mobilità e licenziamento, Almaviva Contact, sta cercando personale da assumere con contratti a progetto per svolgere le stesse mansioni svolte dal personale di recente licenziato, come ad esempio le indagini di mercato;
   si tratta di un fatto, secondo l'interrogante, grave anche considerato che la società Almaviva Contact ha ottenuto e continua ad ottenere importanti commesse da parte della pubblica amministrazione;
   tali comportamenti aziendali appaiono all'interrogante non rispettosi dei princìpi e della normativa sul diritto del lavoro –:
   se, considerato l'affidamento all'azienda citata di commesse pubbliche e quindi di risorse dello Stato, non si ritenga opportuno avviare ogni iniziativa di competenza per verificare quanto sta avvenendo al fine di contrastare fenomeni come quello descritto in premessa. (4-15326)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   GELMINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i produttori italiani di riso hanno lanciato l'allarme di fronte al record registrato nella campagna 2015/16 delle importazioni comunitarie di riso lavorato, varietà «Indica» proveniente dai Paesi del Sud-est asiatico, in particolare Cambogia e Myanmar, e alla riduzione delle esportazioni comunitarie, con conseguente aumento degli stock comunitari di riporto nella campagna attuale;
   l'Italia è il primo Paese produttore di riso dell'Unione europea, con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso e un consumo annuo di 6 chilogrammi pro capite; sul territorio nazionale operano 4.265 aziende che danno lavoro a circa 5.000 addetti e circa 100 industrie risiere, per un giro d'affari di circa un miliardo di euro;
   l'Indica non viene consumata in Italia, ma esportata in Europa. Con l'invasione del riso proveniente da Paesi quali Cambogia e Myanmar (che importano a dazio «zero»), la superficie coltivata con tale varietà è scesa da 75 a 33 ettari;
   nel primo semestre del 2016 l’import di riso in Italia è cresciuto del 7,5 per cento a 59 milioni, mentre l’export è calato del 3,7 per cento a 280 milioni;
   nel 2009 sono stati aboliti i dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar e già nel 2015 l'Unione europea aveva raccomandato al Governo cambogiano di stabilizzare i volumi dell’export di riso verso il nostro continente;
   il Governo di Phnom Penh ha totalmente disatteso alle rassicurazioni fornite, tanto che la Commissione europea è nuovamente intervenuta il 13 luglio 2016, inviando una propria delegazione in Cambogia, senza tuttavia ottenere alcun risultato concreto;
   diventa fondamentale salvaguardare gli interessi della filiera risicola italiana e comunitaria, creando un fronte comune che convinca le Istituzioni comunitarie ad agire con rapidità, anche ripristinando i dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar;
   dal 1o gennaio 2017 è entrato in vigore, anche se in via provvisoria, l'accordo commerciale tra l'Unione europea e l'Ecuador. L'accordo prevede la possibilità di importare nell'Unione europea a dazio zero il riso da seme e un contingente annuo (per cinque anni) di 5.000 tonnellate con il codice NC 1006;
   secondo Eurostat, le importazioni comunitarie di riso dall'Ecuador, assoggettate a dazio zero, hanno riguardato mediamente 20 tonnellate di prodotto. Si tratta di un altro «colpo basso», che si aggiunge alle tante altre concessioni accordate ai Paesi del Sud-est asiatico e alle importazioni agevolate da Cambogia e Myanmar;
   l'Ente nazionale risi ha convocato e organizzato per il febbraio 2017 a Milano gli stati generali dei principali Paesi produttori –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare in sede comunitaria al fine di salvaguardare la produzione italiana di riso, che, è bene ricordarlo, è destinata per un terzo al consumo interno, mentre per il resto è destinata all'esportazione in Europa e nel mondo. (3-02722)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCOTTO e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, Crea, è un Ente di diritto pubblico, vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il cui fine è la ricerca nel campo dell'agroalimentare italiano, oltre ad avere le competenze scientifiche nel settore agricolo, ittico, forestale, nutrizionale e socioeconomico;
   a distanza di due anni dalla sua istituzione, non è stato, a tutt'oggi approvato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il nuovo statuto dell'ente e il relativo «piano per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione», il che ha comportato la non deliberazione del bilancio di previsione del 2017;
   secondo quanto disposto dall'attuale regolamento di amministrazione e contabilità, in particolare, dall'articolo 22, comma 2, l'ente potrà procedere solo in gestione provvisoria la quale prevede che le spese possano essere effettuate in dodicesimi sugli stanziamenti previsti per ciascun capitolo, dal bilancio approvato nel 2016;
   l'assenza dello statuto consente all'ente di far fronte solo a spese obbligatorie, quali stipendi, imposte, tasse e a quelle non suscettibili di impegno e pagamento non frazionabili in dodicesimi;
   la mancata approvazione dello statuto dell'ente impedisce la nomina del presidente, del consiglio d'amministrazione e del consiglio scientifico, a fronte del fatto che il commissariamento si è protratto per molto tempo e che, un ente di ricerca di tale importanza, ha bisogno di organi dirigenziali a regime, cui, si aggiunge, oltre a quanto già illustrato, il blocco delle relative attività di ricerca –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per procedere, in tempi strettissimi, all'approvazione dello statuto del Crea al fine ti rimuovere l’impasse in cui si trova l'Ente di ricerca. (5-10358)


   GALLINELLA, D'INCÀ, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2016 è stato introdotto, ancorché in via sperimentale, l'obbligo di indicare nell'etichetta del latte e dei prodotti da esso derivati commercializzati in Italia, la duplice menzione del Paese di mungitura e quello di condizionamento o trasformazione, ovvero dei «paesi Ue» o «non Ue» nel caso in cui le predette operazioni avvengano in più Stati membri o Paesi terzi;
   analoga sperimentazione è in corso di finalizzazione relativamente alla filiera delle materie prime grano-pasta, a dimostrazione del fatto che la tracciabilità del prodotto è senz'altro veicolo prezioso per la valorizzazione e promozione del «made in Italy», oltre che strumento indispensabile per la determinazione di scelte consapevoli da parte del consumatore;
   alla luce delle note criticità che interessano il settore cunicolo nazionale, sarebbe opportuno estendere tale sperimentazione anche alla filiera cunicola, posto che il regolamento (UE) 1169/2011 non include la carne di coniglio tra quelle per le quali vige l'obbligo di indicazione del Paese di origine;
   giova ricordare che prima dell'entrata in vigore della suddetta normativa l'Italia introdusse l'obbligo, seppur per motivazioni di natura sanitaria, della tracciabilità delle carni di pollame, poi ricomprese a pieno titolo nell'ambito di applicazione del citato regolamento che, come detto, inspiegabilmente non annovera la carne di coniglio tra quelle sottoposte a tracciabilità –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per introdurre in via sperimentale anche per la filiera cunicola, l'obbligo di indicazione in etichetta del Paese di origine, d'allevamento e di macellazione, al fine salvaguardare e valorizzare un comparto nazionale che, come noto, esprime una qualità molto superiore rispetto a tutti gli altri Paesi produttori. (5-10364)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazioni a risposta immediata:


   SOTTANELLI, VEZZALI, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, ABRIGNANI, BORGHESE, D'ALESSANDRO, D'AGOSTINO, FAENZI, GALATI, LAINATI, MARCOLIN, MERLO, MOTTOLA, PARISI, RABINO e ZANETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2017 la Commissione grandi rischi, d'intesa con il capo dipartimento della protezione civile, si è riunita a seguito della ripresa della sismicità che ha colpito l'Appennino centrale a partire dall'agosto del 2016;
   lo scopo dell'incontro era la valutazione dei possibili scenari evolutivi della sismicità in corso, alla luce delle informazioni attualmente disponibili;
   gli interroganti al riguardo evidenziano che, secondo quanto pubblicato sul sito della protezione civile, la regione Abruzzo, la cui area geografica era già stata colpita da sequenze sismiche e da grandi terremoti in passato, da ultimo quello dell'Aquila nel 2009, può essere interessata dalla ripresa di ulteriori scosse sismiche che possono propagarsi alle aree limitrofe, come già avvenuto nel passato, anche più recente nella zona di Amatrice, con eventi di magnitudo 5.9-6.5 negli ultimi cinque mesi;
   il comunicato della protezione civile rileva, altresì, che la commissione in oggetto, confermando l'impianto interpretativo già formulato a seguito degli eventi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016, riporta che ad oggi non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento, aggiungendo, inoltre, che le aree contigue alla faglia principale responsabile della sismicità in corso hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata intensità addirittura pari a magnitudo 6-7;
   a giudizio degli interroganti, il contenuto che emerge dal documento pubblicato dalla protezione civile desta sconcerto e preoccupazione, se si considera che quanto rilevato non può che accrescere i livelli di allarme e sgomento tra le popolazioni delle regioni colpite dai gravissimi eventi sismici in corso da mesi, a cui si sono aggiunti quelli meterologici delle scorse settimane, causati dalle abbondanti nevicate –:
   di quali elementi disponga con riferimento a quanto esposto in premessa e se al riguardo abbia già predisposto un piano di prevenzione, monitoraggio ed emergenza, al fine di tutelare le popolazioni dell'area interessata, coinvolgendo la filiera delle istituzioni locali, regioni, province e comuni, in relazione alle misure da adottare per garantire la massima sicurezza dei cittadini, la sicurezza dei luoghi pubblici e le infrastrutture critiche, quali le grandi dighe, in particolare quella di Campotosto in provincia dell'Aquila dove è situato il secondo bacino più grande d'Europa con tre dighe. (3-02733)


   MELILLA, RICCIATTI, ZARATTI, FRATOIANNI, SCOTTO, PELLEGRINO, FASSINA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   dopo le scosse del 18 gennaio 2017 e le bufere di neve che hanno travolto l'Appennino centrale, la situazione di queste aree si fa sempre più grave e la tragedia di Rigopiano ne è l'emblema più drammatico. Si sono evidenziati ritardi nella pulizia della strada provinciale da Farindola a Rigopiano per mancanza di mezzi e uomini da parte della provincia di Pescara, nel quadro della «legge Delrio» che ha chiuso e tolto risorse alle province senza pensare a chi poi deve pulire le strade e gestire i piani neve;
   l'attività della protezione civile vede attualmente impegnati oltre 8 mila persone e 3 mila mezzi nelle attività di ricerca e soccorso e nell'assistenza alle popolazioni, anche se molti cittadini continuano ad essere isolati;
   troppe sono le utenze elettriche che devono essere riattivate. Se le utenze nelle Marche sono in gran parte ripristinate, in Abruzzo ancora oggi sono 10 mila quelle disalimentate. Sotto questo aspetto emergerebbe una gravissima responsabilità di Terna per il livello obsoleto delle infrastrutture e di Enel che ha lasciato centinaia di migliaia di persone, non solo dei comuni montani ma anche di città capoluogo come Teramo, senza energia elettrica. Vari morti intossicati in casa e dal freddo, migliaia di cittadini senza luce, riscaldamento, acqua calda;
   di fronte a questa tragedia, va comunque confermata piena gratitudine alle forze civili, militari e ai volontari per l'impegno nel prestare soccorso alle popolazioni, colpite dal terremoto e da una quantità di precipitazioni nevose come non se ne vedevano da decenni;
   ai danni alla zootecnia e all'agricoltura locale, si aggiunge la crescita esponenziale delle spese straordinarie che si trovano a dover affrontare i comuni, molti dei quali piccoli;
   peraltro le ultime scosse sismiche hanno aggravato ulteriormente il bilancio dei danni provocati dai terremoti iniziati ad agosto 2016: il 40 per cento degli edifici sottoposti a verifiche risulterebbe inagibile e i danni complessivi ammonterebbero a 10 miliardi di euro. Di questi oltre 3 miliardi sarebbero imputabili alle nuove scosse di ottobre 2016 e all'ondata di maltempo eccezionale che sta colpendo questi territori –:
   se il Governo non ritenga indispensabile stanziare ben più cospicue risorse quale ristoro ai comuni colpiti, per affrontare al meglio questa emergenza, e aprire una trattativa con l'Unione europea, che in questi giorni ha chiesto all'Italia una manovra di correzione dei conti pubblici, e se non ritenga di verificare eventuali responsabilità di Terna ed Enel per i disservizi di cui in premessa. (3-02734)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502, stabilisce nella misura massima di 154.937 euro la retribuzione del direttore generale di un'azienda sanitaria, sommando, eventualmente, fino a 5.165 euro per iniziative alle quali debba partecipare per esigenze connesse al proprio ufficio ed un bonus, nella misura massima del 20 per cento, in relazione al conseguimento degli obiettivi assegnati;
   la legge regionale della Sardegna n. 17 del 2016, all'articolo 17, stabilisce che «il trattamento economico dei direttori generali (...) è determinato dalla giunta regionale, (...)», in base a vari parametri e con una possibile integrazione sino al 20 per cento per obiettivi raggiunti «nel rispetto del limite massimo al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate, di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014 (...)»;
   il parere della Ragioneria generale dello Stato relativo al citato articolo segnala che «l'assenza di riferimento al rispetto di quanto previsto in materia dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 502 del 1995 (...), le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è suscettibile di determinare oneri non quantificati e non coperti, quindi in contrasto con gli articoli 81 e 117, comma 3, della Costituzione»;
   l'ufficio legislativo del Ministero della salute, inoltre, ha osservato che la norma citata «appare foriera di un'ampia discrezionalità in capo alla regione poiché svincolata dai parametri stabiliti a livello nazionale nella determinazione dei compensi attraverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502 (...)»;
   appaiono all'interrogante insoddisfacenti le controdeduzioni fornite in merito dalla regione Sardegna, in quanto i pronunciamenti della Corte costituzionale a cui si fa riferimento (in particolar modo, la sentenza n. 341 del 30 dicembre 2009) mai parlano espressamente del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 502 n. 1995;
   il presidente della regione Sardegna impegnava la giunta regionale a proporre al consiglio regionale le modifiche normative richieste dal Ministero della salute, ma in realtà a tutt'oggi questo non è mai avvenuto;
   al contrario di quanto previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014, la retribuzione del direttore generale dell'azienda per la tutela della salute è stato fissato nella misura di 200.000 euro, prevedendo un massimale di 240.000 euro, ben al di sopra dei limiti imposti dalla normativa vigente –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, anche nelle competenti sedi di concertazione con le regioni, in relazione alla problematica sopra esposta.
(3-02725)


   PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra i numerosi esempi di sprechi di denaro pubblico in ambito sanitario sul territorio nazionale, uno è rappresentato dalla polemica sulla collocazione del centro di cardiochirurgia pediatrica a Palermo, sancita dal decreto assessoriale n. 1364 del 2016, che sulla carta rappresenta una tappa molto importante al fine di realizzare in Sicilia un centro di riferimento di alta specializzazione di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica di III livello aperto anche all'assistenza dei cardiopatici congeniti adulti «guch» (grown up congenital heart), superando i problemi territoriali, gestionali ed economici del centro realizzato a Taormina presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo»;
   la destinazione ha animato un dibattito: l'assessore competente con decreto ha indicato l'Arnas civico, ma l'Assemblea regionale siciliana, con ordine del giorno n. 364 del 21 settembre 2016, ha dato mandato all'assessore regionale per la salute ad allocare il centro presso l'Irccs/Ismett di Palermo;
   secondo previsioni dettagliate, la scelta dell'Arnas civico come sede del centro comporterebbe un dispendio enorme di risorse per la ristrutturazione integrale dei locali con una spesa di oltre 1.300.000 euro, la dotazione di attrezzature di alta tecnologia, che, da fonti ufficiali, si aggirerà tra i 6,5 e gli 8,5 milioni di euro, e la ricostituzione di un’équipe di personale specializzato;
   l'Irccs/Ismett ha recentemente acquisito nuovi locali e sta ultimando una ristrutturazione, comprendente un'area infantile (in tale istituto si effettuano trapianti di organi solidi in età pediatrica), che potrebbe accogliere anche il nuovo reparto cardiochirurgico; pertanto i costi per realizzare il centro di III livello di assistenza cardiologica e cardiochirurgica pediatrica presso il già esistente ed accreditato «centro cuore» della cardiochirurgia adulti di Ismett sarebbero praticamente nulli;
   l'elevato standard di competenze presso l'Irccs/Ismett sarebbe garantito dalla ventennale e attuale joint venture con l'Università di Pittsburgh, in cui ha sede un dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica che è considerato uno dei centri leader mondiali per questa specializzazione –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di competenza, per garantire ai cittadini il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, vigilando altresì affinché non vi siano sprechi di denaro pubblico e danni all'erario in generale, nello specifico con riguardo all'avvio del centro di III livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica a Palermo, anche nel quadro del piano di rientro dai disavanzi sanitari, agevolando la soluzione più funzionale dal punto di vista strutturale, immediata dal punto di vista temporale ed economico e con garanzie di specializzazione assoluta.
(3-02726)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI, BUTTIGLIONE, DE MITA e CERA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tutti, cittadini e professionisti di area sanitaria hanno salutato con soddisfazione la recente approvazione dei nuovi livelli essenziali di assistenza, attesa da oltre 15 anni;
   in particolare, le persone affette da una malattia rara, definita da precisi parametri di incidenza epidemiologica, hanno visto finalmente riconosciuto il loro status di pazienti con esigenze particolari e possono ora contare su nuovi modelli di assistenza. Anche tutta la vasta operazione a favore delle vaccinazioni gratuite e disponibili per tutti, bambini ed anziani, è stata salutata molto positivamente, anche perché accompagnata da un'opportuna azione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Analogamente, è apparsa molto positiva la disponibilità di nuove terapie innovative, che permettono una sperimentazione scientificamente controllata;
   una categoria di pazienti è invece rimasta delusa da questa revisione dei livelli essenziali di assistenza: sono gli anziani, considerati nel loro status di anziani e non come portatori di patologie particolari. L'indice di vecchiaia dice che in Italia nel 2016 c'erano 161,4 anziani ogni 100 giovani. Mentre l'indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva su quella attiva dice che in Italia nel 2016 c'erano 55,5 individui a carico, ogni 100 persone che lavorano. Ma di un certo interesse è anche l'indice di ricambio della popolazione attiva, che rappresenta il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (55-64 anni) su quella che sta per entrare nel mondo del lavoro. In Italia nel 2016 l'indice di ricambio è stato di 126,5 e significa che la popolazione in età lavorativa è molto anziana;
   in questo contesto socio-demografico il riconoscimento del ruolo della visita geriatrica e della valutazione multidimensionale geriatrica costituisce un segno di reale attenzione ai bisogni degli anziani. Sono persone che si muovono lungo una frontiera in cui, da un lato, c’è la loro fragilità, pressoché fisiologica, non ancora patologica, ma dall'altro lato non si trova un'unica concreta malattia; c’è piuttosto un convergere di malattie diverse che rendono un paziente altamente complesso, sia sotto il profilo diagnostico che per gli aspetti terapeutici che potrebbero seguire. Nelle strutture ospedaliere, negli ambulatori di geriatria, c’è una pressione enorme per accedere alla valutazione multidimensionale geriatrica e questa visita consente di evitare il moltiplicarsi di interventi scollegati tra di loro, a cui non segue un effettivo confronto, con la condivisione dei dati e delle decisioni, nel team dei curanti;
   la vista geriatrica con valutazione multidimensionale avrebbe meritato di essere inserita nei livelli essenziali di assistenza non solo per facilitare la vita degli anziani, ma anche per restituire alla medicina la sua visione unitaria del paziente, andando oltre l'approccio centrato sulla malattia, per recuperare un visione che ponga l'anziano al centro del servizio sanitario nazionale. I Lea sono le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario nazionale deve garantire a tutti i cittadini, con le risorse pubbliche, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket). Ma per scoprire cosa garantisca agli anziani bisogna andare a cercare negli articoli 3, lettera h) nell'articolo 21, comma 2, 3, 4, e negli articoli 23 e 27 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che è attualmente in fase di registrazione presso la Corte dei Conti e che a breve sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale;
   sorprendentemente i livelli essenziali di assistenza allargando tanto lo spettro delle prestazioni di base, non prevedono valutazione multidimensionale e neppure visita geriatrica –:
   se il Governo interrogato non ritenga di assumere iniziative per inserire quanto prima questa specifica prestazione, nell'ambito della revisione dei nuovi livelli essenziali di assistenza che dovrebbe avvenire nell'arco del prossimo anno, come risposta a bisogni reali espressi dai cittadini e facilmente ricavabili dal quadro demografico del Paese. (5-10356)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2014/85/UE concernente la patente di guida, in relazione ai rischi di infortunio e di incidenti stradali attribuibili alla sindrome delle apnee ostruttive in sonno (OSAS), ha inserito tale patologia nell'elenco delle malattie che possono comportare inidoneità alla guida;
   dopo l'adozione della direttiva in data 22 dicembre 2015 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della salute viene posto in essere un tavolo interministeriale;
   successivamente il Ministero della salute mette in moto due processi:
    il primo mira all'elaborazione di un documento che riporti «una visione comune sull'entità dell'impatto sulla salute derivante nel nostro Paese dall'OSAS e di pervenire ad un comune orientamento sulle misure che, con le risorse disponibili, possono essere adottate per una prevenzione efficace della malattia». La Conferenza permanente Stato-regioni ha approvato il 16 maggio 2016, un documento d'intesa che recepiva il contenuto del documento ministeriale, sottolineando la volontà di favorire azioni per far fronte a tale sindrome;
    il documento conferiva rilievo di allarme sociale ad una patologia che è riconosciuta come una delle cause più frequenti di eccessiva sonnolenza diurna (EDS) e come tale cofattore determinante in un numero rilevante di incidenti stradali, con evidente pregiudizio per la sicurezza delle comunità e con alti costi sanitari per via dei ricoveri ospedalieri;
    il secondo processo messo in moto dal Ministero della salute mira a definire gli indirizzi medico-legali da osservare per l'accertamento dell'idoneità alla guida dei soggetti affetti da tali disturbi. Tali indirizzi vengono pubblicati in data 3 febbraio 2016;
    in ambedue i processi il Ministero della salute si è avvalso della collaborazione di un board di esperti;
    tali esperti, a quanto risulta all'interrogante, sono stati scelti dai funzionari interessati, senza una chiara esposizione dei criteri di competenza e valore scientifico richiesti, né è stata consultata alcuna organizzazione scientifica competente, pur essendo presenti in Italia società scientifiche riconosciute a livello internazionale;
    questa condotta è apparsa nettamente in contrasto con quanto avvenuto in altri Stati europei che hanno recepito la direttiva coinvolgendo le società scientifiche nazionali competenti;
    pertanto, i documenti prodotti risultano essere il frutto della condivisione delle opinioni di un gruppo ristretto di esperti in relazione ai quali non è possibile affermare che rappresentino il meglio del valore scientifico italiano e che rispecchino una condivisione che il lavoro operato con le società scientifiche avrebbe potuto ottenere;
    inoltre, è attualmente in corso uno studio di validazione della corrispondenza dei risultati ottenuti con il «Test dei tempi di reazione per valutare il livello di vigilanza», che è stato adottato dal decreto direttoriale 3 febbraio 2016, con una misura oggettiva specialistica della sonnolenza operata per mezzo del test di mantenimento della veglia. Di tale studio sono di nuovo stati incaricati esperti scelti, per quanto risulta all'interrogante, senza consultare alcuna società scientifica e lo si sta attuando senza alcun supporto economico. Appare strano che il Ministero della salute che dispone sia di mezzi che di strutture per la valutazione dei protocolli di ricerca operi in questo modo, senza supporto economico, cosa che, necessariamente, abbassa la qualità e la dimensione dello studio;
    infine, in diversi passi del decreto viene citata la figura di «esperto in disturbi del sonno» che non è riferibile ad alcuna disciplina accademica e necessita di essere definita ex novo. Tuttavia, esistono già parametri e profilo per questa figura definiti dall'unica società scientifica italiana che si occupa in maniera specifica della medicina del sonno –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di coinvolgere gli organismi scientifici associativi più idonei per scelte critiche come queste e ottenere un risultato di alta qualità, condiviso dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale. (4-15320)


   SIBILIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel lontano 2003 è stato avviato l’iter per la realizzazione ad Avellino di un «Centro servizi e assistenza socio-sanitaria specializzato per soggetti autistici»;
   da allora, nonostante l'approvazione dei progetti esecutivi da parte dell'amministrazione comunale di Avellino e l'erogazione di finanziamenti da parte della regione Campania per un ammontare pari a circa 4 milioni di euro, a seguito di numerosi « stop e go» nell'esecuzione dei lavori e di alcuni problemi di natura tecnico-burocratica, la struttura ubicata nel quartiere denominato Valle non è stata ancora consegnata: resterebbero da effettuare solo gli allacci delle utenze di acqua energia elettrica e gas;
   è notizia di 10 giorni fa la volontà espressa dall'asl Avellino, per il tramite del direttore generale Maria Morgante, di istituire il centro presso l'Ospedale «Criscuoli» di Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino) anziché a Valle, poiché – si legge nella nota ufficiale – «si è venuto a conoscenza che, ad oggi, ancora non si è in condizioni di poter dire quando sarà possibile per la Asl utilizzare tale struttura. Di fronte a tale indeterminatezza da una parte e dall'urgenza di attivare un servizio così importante per i pazienti “Autistici” dall'altra, la Asl si è mossa per cercare i locali immediatamente disponibili. L'accelerazione data per affrontare e risolvere il problema con urgenza, trova conferma nel fatto che è proprio di queste ore il definitivo inserimento della prevenzione e cura dei disturbi dello spettro autistico nell'ambito dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)»;
   a parere dell'interrogante e non solo l'autismo non è una malattia che va ospedalizzata –:
   se il Governo non ritenga opportuno, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, porre in essere iniziative, per quanto di competenza, al fine di rendere operativa la struttura di Valle, in via di completamento, prioritariamente alla decisione prospettata dall'Asl di Avellino di adattare reparti di un ospedale non ancora pronti. (4-15327)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione di operatori della polizia locale della Sardegna, regione a Statuto speciale, ha rivolto all'interrogante un pressante appello per sottoporre all'attenzione del Governo le gravi problematiche del comparto della polizia locale sarda e non solo;
   la Sardegna risulta essere una «terra di frontiera» dove la maggior parte dei comuni, alla pari di tantissimi altri comuni d'Italia, è privo o fortemente limitato materialmente qualsiasi presidio di sicurezza «statale» e dove, sempre più frequentemente, l'unica forma istituzionale di «divisa» è rappresentata dagli operatori di polizia locale;
   si tratta di una regione dove sono all'ordine del giorno gli episodi di violenza e minacce rivolte agli operatori della polizia locale ed alle quali la polizia locale risponde soltanto «armata» della propria professionalità acquisita spesso e volentieri a proprie spese, limitata nelle proprie competenze e nelle tutele giuridiche, assicurative e previdenziali;
   gli oltre 60.000 operatori della polizia locale sono sempre più consapevoli del ruolo sempre più impegnativo e rischioso che la loro professione è chiamata a svolgere quotidianamente nell'interesse e per la sicurezza di tutti i cittadini;
   si tratta di una professione difficile e spesso pericolosa, che ha lasciato e lascia sul campo, oramai con cadenza sempre più frequente, uomini e donne, padri e madri di famiglia, che tutte le mattine si alzano, indossano una divisa di cui vanno orgogliosi, escono di casa e scendono in strada con la consapevolezza che esiste la concreta possibilità di incorrere in rischi sempre più gravi;
   occorre scongiurare nuove vittime degli operatori di polizia locale, colpite spesso nel silenzio assordante dei media e delle istituzioni;
   negli oltre 8000 comuni italiani vi sono 60.000 operatori di polizia locale, contrattualmente qualificati come «impiegati comunali», ai quali vengono richiesti giornalmente compiti e funzioni di polizia, senza che vengano loro riconosciute quelle tutele giuridiche, assicurative, previdenziali e anche economiche che la nostra professione avrebbe il diritto di avere alla pari delle altre forze di polizia statali e che in un qualsiasi altro Paese normale non avrebbero alcuna difficoltà a vedersi riconosciute;
   è indispensabile il ripristino dell'istituto della causa di servizio e dell'equo indennizzo che per l'interrogante è stato inopinatamente cancellato con il decreto-legge n. 201 del 2011 adottato dal Governo Monti, e la cui proposta di ripristino è stata secondo l'interrogante vergognosamente bocciata in sede di approvazione della legge di bilancio per il 2017;
   è indispensabile un adeguamento delle tutele professionali e previdenziali ed è necessario provvedere all'equiparazione del ruolo delle polizie locali con quello delle altre forze di polizia operanti nel territorio; provvedimenti che consentano alla polizia locale di vedersi riconosciute tutte le sue peculiarità e l'importanza del ruolo che la sua quotidiana attività al servizio dei cittadini ed i suoi caduti dimostrano tutti i giorni dell'anno lungo le strade del nostro Paese, e che potrebbero essere realizzati grazie ad una modifica della legge n. 65 del 1986 –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per dare risposte concrete e urgenti ai 60.000 agenti ed ufficiali, uomini e donne orgogliosi della loro divisa e del loro essere tutti i giorni al servizio dei cittadini;
   se intenda, in particolare, assumere iniziative normative tese a valorizzare una polizia locale moderna, organizzata e rispondente agli standard operativi e di sicurezza che la professione richiede e che soprattutto i cittadini a gran voce sollecitano;
   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per far sì che la polizia locale possa fornire il massimo impegno al servizio dei cittadini ed a fianco di tutte le forze dell'ordine per un controllo più capillare del territorio, assumendo tutte le decisioni utili ed orientate in tal senso. (5-10360)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   TANCREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   oltre alla gravissima situazione determinata dal terremoto e dalle intense nevicate, l'Abruzzo è costretto ad affrontare una condizione di estrema emergenza dovuta alla mancanza di energia elettrica;
   nella giornata di lunedì 16 gennaio 2017 questo problema ha riguardato ben trecentomila persone e 160 mila utenze e si deve rilevare come, ad oggi, ancora oltre quindicimila risultino disattivate;
   le conseguenze di questa drammatica calamità hanno ulteriormente aggravato, in termini facilmente comprensibili, le condizioni di vita di migliaia di cittadini, colpendo particolarmente le fasce più disagiate per età, salute, condizioni economiche;
   l'Enel, nel corso del 2016, ha investito in Abruzzo cinquanta milioni di euro che avrebbero dovuto, dunque, determinare il rinnovo e la manutenzione di una rilevante quantità di chilometri di rete;
   è inaccettabile constatare come da oltre dieci giorni l'Abruzzo e le stesse Marche abbiano dovuto confrontarsi con una simile, impensabile emergenza;
   Abruzzo e Marche sono state colpite da un simile flagello proprio in un momento di grande sforzo che, nel campo dell'imprenditoria e del turismo in particolare, hanno posto in essere per rilanciare le condizioni socioeconomiche di due regioni già pesantemente colpite dal terremoto;
   il problema delle responsabilità è e sarà sicuramente oggetto, in tempi comprensibilmente lunghi, delle indagini degli organi preposti, mentre attuale ed indifferibile risulta la soluzione dei problemi denunciati –:
   quali siano le misure che il Governo ha posto o porrà in essere per risolvere nei modi più rapidi e definitivi la gravissima emergenza denunciata, ponendo sicure premesse perché la stessa non abbia più a verificarsi. (3-02724)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio erogato dalla società Poste italiane è regolato da apposito contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico; il 15 dicembre 2015 il contratto per il quadriennio 2015-2019 è stato firmato dall'amministratore delegato della società, Francesco Caio e dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Federica Guidi;
   all'articolo 1, comma 2, del contratto si riporta che Stato e società perseguono obiettivi di coesione sociale ed economica e prevedono la fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni mediante l'utilizzo della rete postale della società;
   il contratto recepisce la legge 23 dicembre 2014 n. 190, la quale stabilisce che gli obiettivi percentuali medi di recapito dei servizi postali universali sono riferiti al recapito entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello di inoltro nella rete pubblica postale, salvo quanto previsto per gli invii di posta prioritaria;
   il contratto richiama la necessità di «adeguare i livelli di servizio alle mutate esigenze degli utenti in funzione dei mutamenti intervenuti nel contesto tecnico, economico e sociale, anche al fine di tener conto della sostenibilità economica e finanziaria della fornitura dei servizi, compatibilmente con i bisogni dei consumatori e della collettività»;
   la carta del servizio postale universale, redatta in conformità all'articolo 12 del decreto legislativo n. 261 del 1999 ed alle delibere dell'Autorità di regolamentazione del settore postale n. 184/13/CONS e n. 413/14/CONS, alla voce «Obiettivi di qualità/Tempi di consegna» indica, per l'Italia, la consegna entro 4 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 90 per cento dei casi, entro 6 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 98 per cento dei casi; per l'Europa la consegna nell'85 per cento dei casi in 8 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione; per il bacino del Mediterraneo la consegna nell'85 per cento dei casi in 12 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione; per il Nord America e l'Oceania, la consegna nell'85 per cento dei casi in 16 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione e per il resto del mondo, la consegna nell'85 per cento dei casi in 22 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre a quello di spedizione;
   si susseguono numerose segnalazioni da parte di utenti, sindaci e organi di stampa della provincia di Varese sulla consegna della corrispondenza ben oltre le tempistiche indicate; le segnalazioni si intensificano in corrispondenza delle ferie estive e delle festività natalizie, ma si verificano durante l'intero arco dell'anno; i ritardi lamentati dagli utenti di Poste italiane si susseguono da almeno 2 anni in diverse zone del territorio nazionale ed in particolare nella provincia di Varese, coinvolgendo sempre più comuni, fra i quali si segnalano Valganna, Cunardo, Ferrera e Luino, senza che si vedano segni di un miglioramento del servizio;
   la consegna ritardata della posta causa, sovente, a cittadini e imprese, un danno economico per la mancata ricezione entro le scadenze previste di bollette, avvisi di pagamento, solleciti e simili, con conseguente scatto di interessi di mora –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di disservizio rilevata sul territorio nazionale e, in particolare, nella provincia di Varese e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in merito;
   se il Ministro interrogato intenda verificare il rispetto del contratto di programma sottoscritto con la società Poste italiane e quali iniziative di competenza intenda assumere nel caso emergano inadempienze rispetto al contratto. (5-10355)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stata comunicata alle organizzazioni sindacali la volontà da parte di Sogin di procedere al licenziamento di 21 unità lavorative impiegate presso il centro Trisaia di Rotondella in Basilicata;
   suddetta procedura di licenziamento avrà decorso a partire dal 31 gennaio 2017;
   si tratta di una decisione di assoluta gravità che mette a rischio attività fondamentali per il sito stesso;
   il ridimensionamento delle unità lavorative preoccupa quindi sia sotto il profilo occupazionale ma soprattutto in considerazione della delicatezza del sito anche per quanto concerne la sicurezza del centro di Trisaia –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale decisione e quali iniziative intenda assumere con la massima urgenza nei confronti di Sogin al fine di scongiurare suddetti licenziamenti e attivare un tavolo di confronto con tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di salvaguardare i livelli occupazionali e la piena sicurezza del sito in questione. (5-10359)


   RICCIATTI, FERRARA, QUARANTA, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, PIRAS, MELILLA, DURANTI, FOLINO, SCOTTO, SANNICANDRO e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Electron Italia srl è una società che opera nel settore della progettazione e realizzazione di sistemi integrati del comparto «sicurezza fisica»;
   la società ha un elevato know how nel settore e vanta importanti collaborazioni con istituzioni sia civili che militari. Tra le collaborazioni di maggior rilievo negli ultimi anni: gli appalti sulla sicurezza di Expo di Milano, G8 de L'Aquila, Coni, Enac Porto di Napoli, Stadio Olimpico;
   Electron Italia srl è controllata dal gruppo GJ Gruppo Leonardo, con una quota di partecipazione del 100 per cento;
   in data 7 dicembre 2016 la direzione aziendale di Electron Italia ha comunicato alle organizzazioni sindacali che è stato raggiunto l'accordo per la cessione della società, che avverrà entro i primi tre mesi del 2017;
   la società acquirente è stata individuata nella Medinok spa, attiva nel settore della progettazione, installazione e manutenzione di impianti di telecomunicazioni, di sale radio, di radio base e ponti radio per operatori telefonici e non e di relative opere civili;
   tale società, per la natura delle attività svolte e per le dimensioni, non pare idonea a garantire la stabilità dei livelli occupazionali attuali di Electron Italia, che conta 68 dipendenti tra ingegneri, progettisti, sviluppatori di software e tecnici specializzati;
   l'accordo per la cessione prevede una assegnazione di commesse da parte di Leonardo a Electron per 36 mesi, mentre di soli 12 mesi è la garanzia sui licenziamenti collettivi;
   il Governo, più volte interrogato sulla vicenda, ha sempre riconosciuto la qualità delle professionalità presenti in Electron Italia;
   le rappresentanze sindacali unitarie di Electron Italia, secondo quanto riporta una nota della Fiom-CGIL del 15 dicembre 2016, ritengono esservi «prove tangibili e inconfutabili di interessamento all'acquisto da parte di gruppi industriali solidi e strutturati», che potrebbero fornire nuove prospettive sia per i livelli occupazionali, sia per la conservazione ed accrescimento delle competenze maturate da Electron Italia –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno verificare tali informazioni e assumere le iniziative di competenza affinché siano individuate nella cessione di Electron Italia da parte del gruppo Leonardo, soluzioni più idonee a garantire i livelli occupazionali e a evitare la dispersione di un prezioso know how, industriale;
   in alternativa, se non intendano verificare la disponibilità, da parte del Gruppo Leonardo, ad assorbire le professionalità che dovessero risultare in esubero dopo la cessione di Electron Italia nelle società facenti parte del gruppo. (5-10361)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera n. 465/15/CONS l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha suddiviso il territorio nazionale in trentanove bacini di servizio, costituiti da aggregazioni di province, per la radiodiffusione sonora in tecnica digitale con standard DAB+;
   ad oggi sono stati già pianificati sedici dei trentanove bacini, e sono stati assegnati i diritti di uso delle frequenze in otto bacini tra i sedici pianificati;
   in particolare, sono stati pianificati i seguenti bacini, per ognuno, del quale è indicato il relativo numero e le province che lo compongono: 1) Torino-Cuneo; 4) Aosta; 8) Trento; 9) Bolzano; 20) Firenze, Arezzo, Pistoia, Prato, Siena; 22) Roma, Frosinone, Latina, Rieti; 23) Perugia, Terni; 25) L'Aquila; 28) Avellino, Benevento; 29) Napoli, Caserta; 30) Salerno; 33) Potenza, Matera; 34) Catanzaro, Cosenza, Crotone; 35) Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catania, Messina, Siracusa; 37) Palermo, Trapani; 39) Cagliari, Carbonia-Iglesias, Nuoro, Ogliastra;
   la direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali del Ministero dello sviluppo economico ha già assegnato i diritti di uso delle frequenze a operatori di rete realizzati da società consortili costituite secondo le previsioni della delibera AGCOM n. 664/09/CONS, recante il «Regolamento per il digitale radiofonico» nei bacini numero 1, 4, 8, 9, 20, 23, 25 e 39, mentre devono ancora essere assegnati i diritti di uso delle frequenze nei bacini numero 22, 28, 29, 30, 33, 34, 35 e 37;
   inoltre, ancora essere pianificati gli ulteriori ventitré 23 bacini definiti dall'Agcom, e in seguito a tale pianificazione la direzione generale dovrà assegnare i diritti di uso delle frequenze anche in quei ventitré bacini;
   gli operatori di rete nazionali (Rai e società consortili costituite d reti radiofoniche nazionali private) stanno operando in virtù di autorizzazioni sperimentali in ampie zone del territorio nazionale e il mercato dei ricevitori sta cominciando a svilupparsi (molte case automobilistiche stanno installando sulle vetture autoradio dotate, tra l'altro, della funzionalità di ricezione DAB+);
   allo stato attuale, l'avvio, del digitale radiofonico DAB+, per l'emittenza locale, nelle aree del Paese diverse dai sopracitati bacini 1, 4, 8, 9, 20, 22, 23, 25, 28, 29, 30, 33, 34, 35, 37 e 39, non risulta tecnicamente possibile per mancanza di risorse frequenziali pianificabili;
   per risolvere la problematica, evitando che il digitale radiofonico si sviluppi senza la partecipazione dell'emittenza locale in tutto il territorio nazionale, è assolutamente indispensabile che siano attribuite nuove risorse frequenziali al DAB+ come il canale 13 VHF, attualmente attribuito al Ministero della difesa ma non utilizzato;
   in particolare è necessario che il Ministero dello sviluppo economico aggiorni il piano nazionale di ripartizione delle frequenze, ai sensi dell'articolo 42, comma 4, del decreto legislativo n. 177 del 2005, recante il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, destinando i sei blocchi di frequenze del canale 13 VHF alla radiodiffusione sonora digitale DAB+;
   è, inoltre, necessario che l'Agcom pianifichi i ventitré bacini residui, destinando all'emittenza locale un'adeguata quantità di risorse frequenziali;
   è altresì necessario che la direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali del Ministero dello sviluppo economico proceda all'assegnazione dei diritti di uso delle frequenze per le trasmissioni digitali radiofoniche DAB+ nei bacini numero 22, 28, 29, 30, 33, 34, 35 e 37 –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per dare soluzione a quanto esposto in premessa e per garantire, conseguentemente, un equilibrato avvio delle trasmissioni radiofoniche digitali terrestri DAB+ sull'intero territorio nazionale. (4-15324)


   GRIBAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 Poste Italiane ha presentato un piano di razionalizzazione degli uffici postali con l'obiettivo dichiarato di riorganizzare il servizio sull'intero territorio nazionale. Il piano prevede un totale di 1064 interventi, 455 sportelli postali da chiudere, i più piccoli, e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici;
   tale piano prevede in Piemonte la chiusura di circa 40 uffici postali, l'apertura a giorni alterni di oltre 130 sportelli e l'applicazione della distribuzione a giorni alterni della corrispondenza, secondo lo schema bisettimanale lunedì-mercoledì-venerdì martedì-giovedì;
   tali provvedimenti hanno inciso negativamente sulla consegna della corrispondenza con l'accumulazione del carico di lavoro e la consegna di ogni tipo di lettera, di quotidiano e di settimanale con ritardi che la natura stessa degli oggetti rende inaccettabili;
   il 9 novembre 2016 Poste Italiane ha approvato il bilancio dei primi nove mesi dell'anno, che ha visto l'utile netto in rialzo del 29,7 per cento a 807 milioni di euro rispetto ai 622 milioni dello stesso periodo del 2015; il fatturato in rialzo 7,6 per cento a 25,7 miliardi di euro; l'utile operativo in rialzo del 28,6 per cento a 1,196 miliardi di euro;
   tali dati non spiegano la necessità di razionalizzare il servizio postale e dovrebbero invece generare, a parere dell'interrogante, investimenti atti a migliorare il servizio in tutto il territorio nazionale;
   i più colpiti dalla chiusura degli uffici postali e dalla consegna della corrispondenza a giorni alterni sono i piccoli comuni di montagna, ad alto rischio di spopolamento, dove gli uffici sono frequentati da persone anziane, ma rappresentano al contempo un indispensabile presidio del territorio per il mantenimento delle attività economiche;
   a ciò si aggiunge la frequente mancanza, in questi territori, della rete internet veloce, per cui il servizio postale non sempre è sostituibile con i servizi offerti digitalmente;
   il Parlamento europeo ha approvato in data 15 settembre 2016 la risoluzione sull'applicazione della direttiva sui servizi postali, la quale recita: «Il servizio universale deve continuare a essere fornito nella misura massima, cioè deve almeno comprendere consegna e ritiro per cinque giorni a settimana per ogni cittadino europeo. Inoltre, al fine di soddisfare l'obbligo di servizio universale è importante mantenere ben funzionanti le reti postali, con un numero sufficiente di punti di accesso nelle regioni rurali, remote o scarsamente popolate» –:
   quali siano gli orientamenti del Governo circa la riduzione di servizi prevista da Poste Italiane su oltre un quarto dei propri presidi di rete e il progressivo spostamento del core business di Poste Italiane dai servizi di corrispondenza ai servizi finanziari;
   se il Governo non ritenga indispensabile assumere ogni iniziativa di competenza per mantenere un operatore postale, con azionariato a maggioranza pubblica, che intervenga proprio laddove la mancata rilevanza economica del servizio rende impossibile la presenza di servizi postali ad esclusivo capitale privato;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere nei confronti di Poste Italiane per garantire il rispetto della risoluzione del Parlamento europeo del 15 settembre 2016, e assicurare così il servizio di corrispondenza per 5 giorni a settimana in tutti i comuni italiani.
(4-15325)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Mozione Rondini ed altri n. 1-01475, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Petrenga e Totaro e l'ordine delle firme viene così modificato: «Rondini, Petrenga, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Simonetti, Totaro».

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione D'Incecco e altri n. 1-01476, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Antezza.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-15288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Guidesi.

Cambio di presentatore di una interrogazione.

  Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10307, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 gennaio 2017 è da intendersi presentata dall'On. Battaglia, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interrogazione a risposta scritta Pagano n. 4-14848 del 23 novembre 2016;

  interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-10132 del 19 dicembre 2016;

  interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-15262 del 20 gennaio 2017.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rostellato n. 4-14997 del 14 dicembre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10362.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta orale Culotta n. 3-02717 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 728 del 23 gennaio 2017.
Alla pagina 43996, prima colonna, dalla riga trentatreesima alla trentacinquesima deve leggersi: «CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:» e non come stampato.