Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 18 gennaio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati recentemente forniti da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 l'Italia ha contato 181.436 sbarchi sulle coste italiane, il numero più alto mai registrato nella storia, con un incremento del 18 per cento rispetto al 2015 (153.842) e di oltre il 6 per cento rispetto al 2014 (170.100). Gran parte dei migranti proviene dai Paesi dell'Africa centro-occidentale: Nigeria, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia, Particolarmente rilevante il raddoppio del numero di migranti minori non accompagnati, passati da 12,360 nel 2015 a 25.846 nel 2016;
    nel corso dell'anno appena concluso, mentre l'Italia ha registrato un incremento consistente di sbarchi, è risultato essere dimezzato il numero dei migranti che hanno varcato i confini dell'Unione europea: dai 1.014.836 del 2015 (fonte UNHCR) ai 503.700 del 2016 (fonte Frontex). Un calo dovuto alla drastica riduzione degli sbarchi in Grecia (diminuiti del 79 per cento e di un calo di oltre l'80 per cento dei migranti provenienti dalle rotte balcaniche: nel primo caso in conseguenza dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia, nel secondo dell'inasprimento dei controlli di frontiera. Al contrario, la rotta, centro mediterranea mantiene una tendenza in crescita;
    nel corso degli ultimi 15 anni i fenomeni migratori verso l'Italia hanno registrato tendenze non univoche: secondo il cruscotto statistico del Ministero dell'interno nel 2003 gli sbarchi furono 14.331 con una flessione di circa il 40 per cento rispetto all'anno precedente, grazie agli accordi siglati dal Governo italiano con l'Albania e i Paesi dell'Africa mediterranea; nel 2004 il numero è ulteriormente diminuito (13.635), per risalire a 22.939 nel 2005, e lì attestarsi sino all'impennata del 2008, con 36.951 sbarchi; nei due anni seguenti, in ragione degli accordi con il Governo libico, il numero è crollato dapprima a 9.573 e quindi a 4.406. Nel 2011, in coincidenza con le «primavere arabe», si è registrato il nuovo, temporaneo, primato con 62.692 sbarchi – per oltre la metà proveniente dalla Tunisia – cui è seguito un nuovo calo nel 2012 (13.267) e un nuovo aumento nel 2013 (42.925). Nel 2014, in coincidenza con la guerra civile in Libia e l'inasprirsi della crisi siriana, la nuova impennata a 170.100, quindi la flessione del 2015 e il nuovo primato nel 2016, con le cifre sopra riportate;
    tendenza consolidata per quanto riguarda le richieste di asilo politico, quadruplicate nel volgere di un quadriennio: dalle 26.620 del 2013 alle 63.456 del 2014, alle 83.970 del 2015, sino a segnare il record storico nel corso dell'anno appena concluso, con oltre 123.482 richieste di protezione internazionale. Una cifra significativa, ma comunque inferiore a quelle registrate da altri Paesi, in primis la Germania. La ragione di ciò potrebbe derivare dalla stretta dei controlli nei Paesi dell'Europa centrale e da una diversa percezione dell'Italia, sino a qualche anno fa considerata solo come luogo di transito: con l'intensificarsi dei vincoli della Commissione europea al fine di una più stringente applicazione dell’«accordo di Dublino», una quota consistente di migranti, anche non provenienti da Paesi in guerra, consapevoli delle difficoltà nel raggiungere altri Stati, ha optato per presentare domanda di protezione internazionale all'Italia, ottenendo così un titolo per permanervi legalmente almeno fino all'esito dell’iter;
    nel 2016 sono state esaminate 90.473 domande di asilo politico, e la quota di quelle respinte è stata del 61,5 per cento a fronte del 59 per cento del 2015, del 39 per cento del 2014 e del 2013 e del 21 per cento del 2012. I dati relativi al 2016, abbastanza coerenti con quelli dell'anno precedente indicano che solo al 5 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato – a rischio persecuzione nel suo Paese d'origine – mentre il 22 per cento (21 per cento nel 2015) ha ottenuto protezione umanitaria – 24 mesi prorogabili – e il 14 per cento (12,5 per cento nel 2015) protezione sussidiaria, con permesso quinquennale rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese: se ne ricava che viene accolta, in qualche forma, la domanda di accoglienza a meno del 40 per cento dei richiedenti, a fronte del 61 per cento del biennio precedente e al 74 per cento del 2012. Una diminuzione tendenziale dovuta ai criteri più stringenti adottati dal Governo per fronteggiare l'impennata di richieste. Il tasso di non accoglimento in Italia risulta essere ben superiore rispetto alla media europea – in ragione delle basse percentuali dei paesi del nord Europa e della Germania – ma al contempo inferiore al tasso di non accoglimento di Francia e Spagna;
    le richieste d'asilo vengono esaminate da commissioni territoriali sulla base di un colloquio e altri elementi che attestino la sussistenza dei requisiti. Nelle more della decisione i richiedenti asilo hanno diritto all'accoglienza e all'assistenza se privi di propri mezzi di sostentamento. L'esame della domanda dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla richiesta, salvo casi particolari per cui il termine ultimo passa a 90 giorni. Nei fatti, tuttavia, il tempo medio per definire l'esito finale è tra i sei e i nove mesi. Inoltre, circa la metà dei migranti che hanno vista respinta la richiesta di asilo politico ha presentato ricorso al tribunale ordinario, le cui sentenze possono essere impugnate in corte d'appello e, in ultima istanza, in Cassazione, con un conseguente prolungamento – sino al termine dell’iter giudiziario – del permesso a permanere all'interno del sistema di accoglienza, impedendo un naturale ricambio a favore di nuovi arrivati;
    in materia di asilo l'Unione europea prevede regole comuni sul riconoscimento degli status, sull'accoglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure di presentazione ed esame delle domande, ma l'applicazione delle direttive non ha sortito gli esiti auspicati a causa di un'applicazione non uniforme da parte degli Stati membri. La Commissione, nell'Agenda europea per la migrazione del 2015, ha ribadito la necessità di rafforzare una politica di asilo comune attraverso un unico processo decisionale e una ripartizione equa dei richiedenti tra gli Stati, ma il numero esiguo di richiedenti ricollocati nei Paesi membri sta a dimostrare i modesti risultati sino ad oggi ottenuti;
    secondo i programmi europei per settembre 2017 è previsto il ricollocamento dall'Italia verso altri Paesi europei di 34.953 richiedenti asilo, ma ad oggi l'ultima cifra ufficiale – relativa a novembre 2016 – indica un sostanziale stallo, con solo 1950 ricollocamenti. Alcuni Paesi europei – Ungheria e Slovacchia – non hanno offerto disponibilità ad accogliere, mentre altri hanno offerto posti ma non hanno ancora accolto nessun migrante richiedente asilo;
    la succitata Agenda europea per la migrazione, risalente a maggio 2015, è stata la non tempestiva risposta della Commissione europea a un fenomeno, quello migratorio, che da emergenziale ha assunto caratteri di strutturalità. A quasi due anni dalla presentazione, il bilancio di attuazione dell'Agenda è insoddisfacente, se non fallimentare: le misure adottate per ridurre i flussi irregolari verso l'Europa – in particolare il potenziamento delle risorse destinate alle operazioni «Triton» e «Poseidon», l'adozione del modello hotspot e l'intesa con la Turchia – non hanno sortito risultati positivi, lasciando l'Italia quale terminale ultimo delle rotte migratorie e principale Stato europeo competente per le domande d'asilo, ai sensi del regolamento «Dublino III»;
    le proposte di riforma del suscritto regolamento, presentate nel corso del 2016, erano mirate a correggere le storture di un sistema che sta mostrando tutti i suoi limiti, ma nei fatti non hanno risolto le problematicità, poiché mantengono invariata la gerarchia dei criteri, non agendo sui criteri per la determinazione dello Stato membro competente a ricevere ed esaminare le domande di asilo. In definitiva, non viene data risposta all'esigenza di compartecipazione tra gli Stati membri, mantenendo intatti gli elementi di criticità, in particolare il fatto che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne di primo ingresso, si trovi a dover gestire la stragrande maggioranza di richieste; a ciò si aggiunge il corollario che fa derivare dall'assenza del diritto dei beneficiari della protezione internazionale di spostarsi da un paese all'altro la scelta dei migranti di richiedere asilo non nel Paese di arrivo, ma nel Paese in cui intendono risiedere. Da questi flussi secondari è conseguito un incremento delle richieste nei Paesi non di primo ingresso, fatto questo che ha spinto alcuni di questi Stati a reintrodurre controlli alle frontiere, sancendo il fallimento del sistema Schengen e l'individuazione dell'Italia quale unica via per l'Europa per migliaia di persone che scappano dai loro Paesi d'origine;
    a seguito delle disposizioni contenute nell'Agenda europea per la migrazione e alla successiva roadmap presentata dal Ministero dell'interno, l'Italia ha adottato nel 2015 l'approccio cosiddetto «hotspot», con lo scopo di canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati, dove effettuare tutte le procedure previste: La scelta su dove screening sanitario, pre-identificazione, registrazione, foto-segnalamento, rilievi dattiloscopici, localizzare i centri ricadde su Lampedusa, Pozzallo, Taranto, Trapani, Porto Empedocle Augusta, ma ad oggi gli ultimi due non sono ancora attivi. Secondo la citata roadmap negli hotspot dovrebbe svolgersi una immediata selezione tra richiedenti asilo e non, con ulteriori sottodistinzioni: coloro che richiedono protezione internazionale dovranno essere trasferite negli hub presenti sul territorio nazionale, coloro che rientrano nella procedura di ricollocamento dovranno essere trasferiti negli hub regionali dedicati, mentre chi non richiede lo status dovrà essere accompagnato nei centri di identificazione ed espulsione, laddove ci siano posti disponibili, o in seconda istanza gli dovrà essere intimata l'uscita dai territorio nazionale entro sette giorni. Per questa categoria di migranti non è prevista alcuna forma di assistenza materiale: vengono semplicemente accompagnati presso le stazioni ferroviarie per agevolare la ripartenza, con un prevedibile elevatissimo tasso di inottemperanza. Ne deriva che anche l'approccio hotspot, pur avendo apportato migliorie al sistema della prima accoglienza, ha palesato e palesa limiti e falle;
    i migranti cui è stato intimato l'abbandono del territorio nazionale e i richiedenti asilo cui è stato rifiutato il riconoscimento vanno quindi a costituire una particolare e numerosa categoria caratterizzata da uno status di illegalità che preclude loro di svolgere, neppure se offerta, una qualsiasi regolare attività lavorativa. Decine di migliaia di persone che, nella migliore delle ipotesi, per sopravvivere saranno costrette a ricorrere a forme di lavoro nero e/o subire condizioni di sfruttamento;
    nell'aprile 2016 il Governo italiano pro tempore ha proposto alla Commissione europea una serie di misure finalizzate a ridurre i flussi lungo la rotta mediterranea ispirate al precedente accordo tra Unione europea e Turchia, Nello specifico, la proposta italiana prevedeva nuove intese con i Paesi di origine e transito, basate su un sostegno fattuale – opere di impatto sociale e infrastrutturale – da finanziare con strumenti ad hoc quali i bond Unione Europa-Africa, oltre ad una rivisitazione dei sistemi di asilo per i Paesi sottoscrittori. In cambio veniva richiesta collaborazione nel controllo dei confini e della lotta al crimine dedito al traffico di esseri umani, cooperazione amministrativa sui rimpatri e sulla gestione dei flussi dei rifugiati grazie alla realizzazione di strutture di accoglienza ed identificazione nei principali paesi di transito. Strategia che la presidenza maltese dell'Unione europea – in carica per il primo semestre del 2017 – ha annunciato di voler rafforzare,

impegna il Governo:

1) a creare un sistema standard di accoglienza controllata e vigilata che ponga fine alle politiche emergenziali troppe volte messe in campo;
2) ad assumere iniziative a livello europeo per il superamento del «regolamento di Dublino» a favore di un nuovo sistema comunitario di asilo che:
   a) riveda i criteri generali, in particolar modo la consequenzialità tra stato di arrivo ed esame della richiesta di asilo;
   b) favorisca i programmi di ricollocazione e reinsediamento;
   c) istituisca un meccanismo europeo di ammissione per fini umanitari che preveda l'individuazione di canali di arrivo in Europa legali e sicuri;
   d) favorisca, per coloro che hanno diritto alla permanenza nei Paesi europei, il ricongiungimento familiare;

3) a mettere in campo politiche di contrasto all'immigrazione clandestina che non prevedano i respingimenti in mare, pratica pericolosa e disumana, ma che allo stesso tempo rendano effettivi i rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale;
4) a proseguire nel lavoro diplomatico e di collaborazione con i Paesi di origine e transito dei migranti per giungere ad accordi atti a scongiurare nuove partenze;
5) ad attivarsi in sede europea affinché l'accordo sulla redistribuzione dei profughi tra i vari Paesi dell'Unione europea, raggiunto nel corso del 2016, sia effettivamente rispettato;
6) ad assumere iniziative per incentivare la cooperazione del maggior numero di comuni italiani, affinché si rendano disponibili, in proporzione alla loro dimensione, alla loro popolazione e alla precedente presenza di richiedenti asilo, ad accogliere i migranti per garantire una più equa distribuzione sul territorio nazionale;
7) ad adottare politiche di integrazione per richiedenti asilo e rifugiati, attraverso l'istituzione di corsi di italiano obbligatori, in vista di una loro fuoriuscita dal circuito dell'accoglienza;
8) ad adottare iniziative finalizzate al rispetto dei tempi per l'esame delle richieste di protezione internazionale.
(1-01472) «Francesco Saverio Romano, Vezzali, Parisi, Abrignani, D'Agostino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Marcolin, Mottola, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,
   premesso che:
    i Governi italiani, negli ultimi due anni, sono stati, fortemente impegnati sia sul piano interno, sia sotto il profilo del proprio attivo coinvolgimento nelle istituzioni europee, per fronteggiare un consistente numero di sbarchi di migranti sulle coste italiane, con misure di accoglienza idonee a garantire il rispetto della dignità e dei diritti umani, il corretto espletamento delle pratiche di identificazione e di gestione delle richieste di protezione internazionale, nonché la sicurezza del territorio e dei cittadini italiani;
    in particolare, dall'analisi dei dati statistici al 31 dicembre 2016, pervenuti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate – istituita presso questo ramo del Parlamento – risulta che il numero dei migranti sbarcati nel 2016 sia stato pari a 181.436 persone, con un incremento del 6,66 per cento in relazione all'anno 2014, e del 17,94 per cento rispetto all'anno 2015;
    parallelamente all'aumento degli sbarchi nel nostro Paese sono cresciute anche le richieste di protezione internazionale, segnando a settembre 2016 un incremento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente pari al 43,12 per cento;
    rilevante è anche il crescente numero di minori stranieri non accompagnati, tra i soggetti maggiormente vulnerabili all'interno di questi flussi dai 13.026 del 2014, a 12.360 del 2015 fino ai 25.772 del 2016; di questi solo 5.930, però, sempre nell'anno 2016, hanno avanzato richiesta di protezione internazionale, e di queste domande ne risultano attualmente pendenti ancora 3.812;
    appare pertanto sempre più necessaria un'accurata riforma del sistema di valutazione delle domande di asilo, sia attraverso il potenziamento delle commissioni territoriali competenti, anche con personale specializzato da impiegare a titolo continuativo ed esclusivo, sia rafforzando le sedi giudiziarie maggiormente esposte, in modo da realizzare una capacità di risposta più elevata da parte dello Stato, sia in termini quantitativi, sia in termini di qualità ed equità del processo decisionale, allineando così il nostro sistema agli standard europei;
    di grande rilevanza è anche il dato comparato per gli anni dal 2013 al 2016, tratto dalla stessa fonte, relativo al trend sull'accoglienza: se al 31 dicembre del 2013 risultavano presenti nel sistema di accoglienza solo 22.118 persone, queste vengono triplicate, passando a 66.066 persone, al 31 dicembre del 2014, diventano 103.792 al 31 dicembre del 2015 e addirittura 176.554 al 31 dicembre del 2016;
    di fronte all'incremento degli sbarchi avvenuto negli ultimi tre anni, a partire dall'accordo fra Stato e autonomie locali ratificato dalla Conferenza unificata il 10 luglio 2014, il Governo è riuscito ad aumentare la capacità di accoglienza, adottando una nuova strategia fondata sull'ospitalità diffusa di piccoli gruppi distribuiti nel territorio, evitando di concentrare un numero eccessivo di migranti e grandi strutture e in territori circoscritti, per ridurne l'impatto e scongiurare eventuali tensioni sociali, e favorire altresì processi di positiva integrazione;
    altrettanto significativo è il recente accordo fra Ministero dell'interno e Anci per un piano di distribuzione dei migranti proporzionale alla popolazione che si attesta su circa 2,5 posti di accoglienza ogni 1000 residenti con i necessari correttivi per i piccoli comuni e i comuni capoluogo sedi delle città metropolitane e le zone terremotate;
    contestualmente a questi anni i Governi sono stati protagonisti sulle questioni migratorie anche sul fronte delle istituzioni dell'Unione europea, avanzando proposte ambiziose e sorrette da una visione di lungo periodo, come nel caso dei piani d'investimento proposti per l'Africa e la realizzazione del cosiddetto «Migration compact», o dei contributi che hanno condotto al documento «Sullo stato dell'unione» di Junker, o ancora nel caso del determinante impulso dato all'introduzione a livello europeo del principio di responsabilità condivisa nella gestione comune dell'emergenza migratoria, principio alla base della cosiddetta relocation;
    particolare attenzione è stata data anche alle procedure di fotosegnalamento e identificazione dei migranti nelle zone di sbarco che vede attualmente alti livelli di attività, in sintonia con le richieste dell'Unione europea;
    tuttavia, nonostante l'intenso sforzo dispiegato su questo terreno, va segnalato che mancano ancora in Europa i risultati: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema comune europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire, mentre i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti è stato ricollocato appena il 3,5 per cento) sono di fatto parzialmente falliti per la preesistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente hanno finito per sospendere l'accordo di libera circolazione di Schengen; la stessa proposta italiana del Migration compact non è ancora stata applicata né sono state stanziate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i paesi africani di maggiore flusso e transito;
    anche alla luce di ciò, appaiono significativi: il recente rinnovo dell'accordo stipulato dal Ministro dell'interno con la Tunisia per continuare la cooperazione con l'Italia e il rimpatrio degli irregolari; il negoziato in corso con la Libia, che da sempre rappresenta uno dei principali paesi di transito dell'immigrazione irregolare verso l'Italia e la recentissima missione a Malta, dove l'incontro con il nuovo Presidente del Consiglio europeo ha premesso di fare il punto su accoglienza, ricollocamenti e rimpatri gestiti dall'Unione europea,

impegno al Governo:

1) a proseguire lungo la strada della realizzazione di un sistema di accoglienza diffuso sul territorio, anche prevedendo ulteriori incentivi di natura economica che favoriscano la più ampia partecipazione dei sindaci e delle comunità locali nelle scelte di programmazione riguardanti il proprio territorio, e dando attuazione, in particolare, alla previsione del piano in base alla quale i comuni sono incoraggiati ad aderire alla rete Sprar;
2) ad adottare ogni iniziativa utile per rendere i rimpatri e le espulsioni davvero effettivi, anche valutando l'efficacia dei sistemi attuali di trattenimento ed esaminando la possibilità di una loro riforma che, nel rispetto delle fondamentali garanzie costituzionali, possa renderli più efficienti ai fini delle procedure di espulsione;
3) a perseverare nel lavoro in seno alle istituzioni dell'Unione europea per rilanciare una politica condivisa sull'asilo e sulla revisione del regolamento «Dublino III»;
4) a proseguire sulla strada del rafforzamento e dell'estensione degli accordi bilaterali con i Paesi del Mediterraneo, volti sia ad arginare il più possibile le partenze verso l'Italia sia a favorire la riammissione dei cittadini e irregolarmente presenti in Italia;
5) ad incrementare la cooperazione internazionale con i Paesi africani di origine e transito dei migranti per creare opportunità di crescita e sviluppo che possano, in futuro, prevenire i flussi migratori verso l'Europa, continuando così negli sforzi per un progressivo allineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano agli standard fissati a livello internazionale e assicurando che l'aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo includa non solo le spese per l'accoglienza dei rifugiati (refagees in donor countries) ma maggiormente il finanziamento degli interventi in favore dei Paesi di origine;
6) ad adottare, anche in via d'urgenza, misure atte a velocizzare le procedure relative all'esame delle domande di protezione internazionale, anche valutando l'opportunità di un ulteriore potenziamento delle commissioni territoriali ovvero delle sedi giudiziarie maggiormente esposte, nonché ad assumere iniziative per istituire presso alcuni tribunali sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale, sulla falsariga di quanto recentemente è stato fatto con la creazione del cosiddetto tribunale dell'impresa;
7) ad assumere iniziative per una formazione specifica, sia del personale delle commissioni territoriali sia dei magistrati, valutando altresì l'opportunità di introdurre ulteriori fattori di semplificazione dei procedimenti giurisdizionali, con la riduzione a quattro, rispetto agli attuali sei mesi, del termine di durata del procedimento, e l'eliminazione del grado di appello, alla luce del fatto che già il primo grado costituisce, per molti aspetti, una duplicazione del procedimento amministrativo e che in molti ordinamenti europei il controllo giurisdizionale si esaurisce in un unico grado di merito;
8) ad assumere iniziative volte a modificare le modalità e la tempistica del procedimento di decadenza dalla residenza anagrafica per coloro che non ne hanno più i requisiti;
9) a porre in essere un'intensa attività di controllo per la verifica degli standard strutturali e gestionali posti nei bandi di gara pubblici, della correttezza dei contratti stipulati agli operatori e delle condizioni igieniche e sanitarie dei luoghi di accoglienza, delle attività dedicate all'informazione e alla formazione dei processi per favorire politiche di inclusione sociale nonché della correttezza e dei pagamenti ai sottoscrittori di appalti pubblici;
10) ad assicurare la doverosa attenzione verso i minori non accompagnati, le vittime di tratta e le persone in condizione di vulnerabilità sociale sia nella celerità dei processi per il riconoscimento di protezione internazionale, sia per ottemperare alle disposizioni internazionali per i diritti del minore, sia per garantire le prestazioni socio-sanitarie a coloro che sono in condizioni di particolare vulnerabilità e a favorire, per quanto di propria competenza, un rapido iter della proposta di legge, approvata dalla Camera dei deputati e all'esame del Senato della Repubblica, recante modifiche alla normativa vigente in materia di minori stranieri non accompagnati, al fine di definire una disciplina organica che rafforzi gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento;
11) ad adottare iniziative, anche normative, per favorire la partecipazione dei richiedenti asilo in attesa di risposta ad iniziative di pubblica utilità, allo scopo di favorire il loro coinvolgimento in attività positive per la comunità che li accoglie e come esperienza propedeutica al loro futuro eventuale processo di integrazione.
(1-01473) «Rosato, Lupi, Fiano, Carnevali, Beni, Alli, Gelli, Roberta Agostini, Bersani, Carbone, Cuperlo, De Menech, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giachetti, Giorgis, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Nardi, Piccione, Pollastrini, Richetti, Francesco Sanna, Burtone, Gadda, Giuseppe Guerini, Moretto, Patriarca, Sgambato, Malisani, Cinzia Maria Fontana, Gebhard, Cinzia Maria Fontana, Miotto, Rubinato».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati resi noti il 6 gennaio dall'Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex), il numero di migranti arrivati in Europa, a causa delle gravi crisi sociali ed istituzionali che affliggono molti paesi africani ed asiatici, attraverso la rotta centro-mediterranea nel 2016 (181.000, +20 per cento rispetto al 2015) riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale (nell'ordine, Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia), a fronte del brusco calo registrato nella rotta balcanica (dai 764.000 arrivi del 2015 a 123.000 del 2016 grazie soprattutto all'accordo con la Turchia);
    dai dati resi noti dal Ministero dell'interno all'inizio del mese di gennaio 2017, infatti, risulta che in tutto il 2016 sono entrati in Italia 176.554 migranti, di cui larga parte (137.218) è ospitata nelle strutture temporanee, 23.822 nello Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 14.694 nei centri di prima accoglienza e 820 negli hot spot; nel 2015 solo il 58 per cento delle richieste avanzate dai profughi per ottenere titoli legittimanti è stato accolto, mentre appena il 5 per cento dei richiedenti ha avuto lo status di rifugiato;
    il Ministro della giustizia lo scorso 3 agosto ha reso noto che durante i primi cinque mesi del 2016, nei tribunali sono stati scritti ben 15.008 ricorsi, in materia di protezione internazionale, con un flusso in crescita di circa 3.500 nuovi ricorsi al mese. Le sedi giudiziarie con il maggior numero di iscrizioni sono quelle di Napoli e Milano, seguite da quella di Roma e di Venezia. Non appare altrettanto elevato il numero delle definizioni, che, nello stesso periodo, è stato di 985, e la percentuale di accoglimento si attesta al 6 per cento;
    va, infine, rilevato il sostanziale fallimento del sistema dei ricollocamenti, giacché dei 40 mila trasferimenti previsti in due anni dall'Italia verso altri Paesi europei dal piano Juncker, solo 2.654 sono stati effettivamente eseguiti, mentre per altre 1.394 richieste avanzate dall'Italia si attende ancora la decisione dello Stato membro destinatario;
    una politica di accoglienza che intenda rispettare tanto la dignità di ciascuna persona costretta a fuggire da gravi pericoli per la propria libertà o incolumità, quanto le fragili situazioni dei territori ospitanti deve fondarsi sulla capacità di proporre sufficiente conoscenza della cultura italiana e percorsi formativi, di lavoro anche socialmente utile, nonché occupazionali, che evitino esiti di sostanziale clandestinità per i profughi, terminata la permanenza nei centri di prima assistenza;
    la grave crisi demografica caratterizzante l'Europa e l'Italia – secondo cui, sulla base dei dati ISTAT vi sono regioni (ad esempio, il Friuli Venezia Giulia) in cui la popolazione inattiva è persino doppia di quella attiva – indica la necessità di aumentare i soggetti in impiego lavorativo per non compromettere l'equilibrio stesso del sistema sociale ed economico del paese;
    conseguentemente, anche sotto il profilo dell'interesse generale, le politiche di accoglienza dei migranti devono essere performate sulla base di politiche attive del lavoro che aumentino sensibilmente, per i rifugiati così come per la popolazione residente, l'incontro fra la domanda e offerta lavorative, nonché la creatività imprenditoriale;
    i percorsi di accoglienza – gravemente condizionati dalla necessità di far fronte a una esponenziale emergenza dell'ondata migratoria in corso – sono allo stato organizzati allo scopo di assicurare preventivamente l'ospitalità fisica ai profughi;
    le strutture utilizzate, per dimensioni e per qualità media delle attività ivi praticate, appaiono per lo più incongrue ai fini di assicurare la pluralità di fattori che necessariamente consentono apprezzabili risultati, sotto i profili della sicurezza, dell'educazione linguistica e culturale, della formazione professionale, dell'impegno lavorativo e delle prospettive occupazionali successive;
    i percorsi educativo-lavorativi auspicati risultano altresì negativamente condizionati dal permanere di una marcata carenza di iniziative nel periodo successivo al riconoscimento dello status di rifugiato ed equivalenti, cosicché va registrato il fenomeno per cui, una volta usciti dalle strutture di prima assistenza a seguito dell'accoglimento della domanda di asilo o simile, il profugo si trova privo di riferimenti sociali, trovandosi di fatto in una situazione equiparabile a quella di «senza fissa dimora», se non addirittura di mendicanza, con grave pregiudizio per la persona interessata, nonché per il territorio interessato;
    l'attività nelle strutture di prima accoglienza è inoltre ostacolata dal permanere per un periodo di tempo eccessivamente lungo di persone non aventi i requisiti per ottenere lo status di rifugiati, e ciò sia a causa del tempo medio occorrente per riscontrare le istanze ex decreto legislativo n. 25 del 2008, sia per l'eccessivo protrarsi, mediamente biennale, dei procedimenti giurisdizionali proposti (sovente pretestuosamente) contro i dinieghi alle medesime domande di asilo, nonostante l'opposto teorico tenore dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011;
    il problema dei cosiddetti «dublinanti» rende ancor più complesso un sufficiente risultato di integrazione dei rifugiati, in quanto molti profughi che hanno già avuto il diniego in un altro Stato membro arrivano in Italia, perché di norma decorrono inutilmente i termini per realizzare il trasferimento nel paese europeo in cui è stato emanato il primo diniego, cosicché questi stessi possono avviare un nuovo iter, aggravando ulteriormente (in taluni casi nel nord anche per ben il 40 per cento) le già sofferenti strutture di accoglienza;
    il raccordo con le politiche del lavoro risulta non solo ancora troppo trascurato nella programmazione dei servizi di accoglienza, ma è stato anche penalizzato, persino sotto il profilo della imputabilità istituzionale, dal precario quadro normativo che, da tempo, caratterizza le province, in numerose regioni preposte a tali competenze;
    il problema dei flussi migratori coinvolge l'Europa intera deve considerarsi prioritario nell'agenda comunitaria, benché in occasione dell'ultimo Consiglio europeo tenutosi lo scorso 15 dicembre, pochi ed ancora non risolutivi passi in avanti siano stati compiuti verso una soddisfacente gestione dei flussi migratori nella loro dimensione interna ed esterna; in tal senso, molto resta ancora da fare per il pieno recepimento della proposta italiana e per un impatto significativo e capillare nella cooperazione Unione europea-Africa e nei flussi migratori;
     i processi di integrazione possono risultare di maggiore efficacia rispetto a quanto sin qui conseguito, qualora il profugo non si trovi in gruppi eccessivamente numerosi, potendosi, sul punto, ipotizzare un obiettivo di ragionevole standard nell'ordine di 2,5 migranti ogni 1000 abitanti;
    detti processi debbono sensibilmente prevedere non solo politiche di prima assistenza e di sicurezza, ma in misura significativamente maggiore anche politiche educative, di formazione professionale, di impiego lavorativo sin dalla fase di prima accoglienza (lavori socialmente utili et similia), nonché di introduzione a ipotesi occupazionali per i periodi successi all'ottenimento dello status di rifugiato o simili;
    tali risultati possono essere favoriti da riforme amministrative e processuali che diminuiscano i tempi per l'evasione delle istanze di asilo e dei relativi ricorsi giurisdizionali, al fine di evitare una permanenza nei centri profughi senza una apprezzabile prospettiva di permanenza legale in Italia, nonché da iniziative di politica estera e comunitaria che rendano effettivi i provvedimenti di espulsione;
    gli obbiettivi di reale integrazione non possono prescindere da migliori criteri di selezione dei soggetti gestori delle strutture di accoglienza, affinché essi assicurino una più adeguata attenzione alle persone ospitate per tutti i profili sopra nominati, nonché il necessario rispetto e interrelazione con il territorio ospitante, di conseguenza necessitando una netta cesura con le criticità che troppo sovente hanno contraddistinto gestioni attuali e del recente passato;
    da diverse notizie di stampa si apprende che per accelerare le procedure delle domande d'asilo e semplificare la governance, sarebbe stato trasmesso in queste settimane alla Presidenza del Consiglio dei ministri un disegno di legge organico, preparato dal Ministero della giustizia e già annunciato dal Ministro,

impegna il Governo:

1) a promuovere in sede europea tutte le iniziative necessarie al completo recepimento delle proposte contenute nel cosiddetto Migration compact, al fine di ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea attraverso nuove intese con i Paesi d'origine e di transito, in particolare quelli africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Unione europea-Africa;
2) a promuovere in sede europea iniziative finalizzate al controllo comune dei confini e delle rotte marittime e alla collaborazione sul fronte della lotta al crimine internazionale e della tutela dei diritti umani, nonché a ridurre drasticamente la possibilità di migrare da un Paese all'altro dopo aver ricevuto un diniego alla permanenza in uno Stato membro;
3) a sostenere in sede europea il rispetto del sistema delle quote, funzionale al rafforzamento della solidarietà e della coesione tra i Paesi membri, già previsto dall'Agenda europea sulla migrazione, adottata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea;
4) a presentare con urgenza al Parlamento un nuovo piano delle azioni sul fronte dell'emergenza migratoria e della sicurezza che comprenda politiche di educazione alla conoscenza della lingua e della cultura italiane, politiche attive per l'impiego lavorativo nei periodi di accoglienza nei centri, nonché politiche di formazione professionale e prospettive occupazionali per i soggetti cui sia stato riconosciuto uno status adeguato alla permanenza nel Paese, seppur nel rispetto del principio di non discriminazione rispetto alla popolazione italiana;
5) ad assumere iniziative normative, anche urgenti, per riformare l’iter amministrativo del decreto legislativo n. 25 del 2008 disciplinante il riconoscimento dello status di rifugiato politico o di titoli equivalenti, per assicurare tempi di evasione delle procedure sensibilmente più celeri, nonché la relativa normativa processuale di contestazione delle decisioni della commissioni territoriali al fine di ottenere tempi ulteriormente ridotti rispetto alla disciplina di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011, altresì prevedendo che la sospensione cautelare di cui all'articolo 5 del medesimo decreto legislativo possa essere disposta solo in presenza di fumus boni iuris;
6) ad organizzare il percorso di accoglienza dei rifugiati in strutture di limitate dimensioni, comunque non superiori, di norma, alle 150 presenze, secondo un principio di distinzione rispetto ai trattamenti previsti per i clandestini e di considerazione unitaria e globale del soggetto, privilegiando azioni di educazione alla conoscenza della identità culturale e civica italiana ed europea, nonché di formazione professionale e di avviamento al lavoro anche per periodi successivi al riconoscimento dello status di rifugiato ed equivalenti;
7) a privilegiare nell'individuazione dei gestori delle strutture i soggetti che dimostrino di avere le migliori progettualità e di raccordo con il territorio, anche all'uopo utilizzando le possibilità per le realtà non profit offerte dall'articolo 112 del decreto legislativo n. 50 del 2016, comunque assicurando la piena e severa applicazione delle cause di esclusione di cui all'articolo 80 del codice degli appalti, con particolare riferimento ai cosiddetti «requisiti morali»;
8) a comunicare ufficialmente al Parlamento, con cadenza semestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese, nonché lo stato e i tempi delle procedure amministrative di riconoscimento di status e delle procedure giurisdizionali di decisione sulle contestazioni di tali provvedimenti, unitamente ai dati riferibili ai tempi di permanenza in Italia e alla occupazione lavorativa dei rifugiati e assimilabili.
(1-01474) «Monchiero, Menorello, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Molea, Galgano, Vargiu, Matarrese, Oliaro, Quintarelli».

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la programmazione della politica agricola comune avviene, come noto, con largo anticipo al fine di consentire il coinvolgimento di un elevato numero di soggetti sulle tematiche oggetto di discussione e di conseguire il più ampio consenso possibile sul superamento delle criticità che emergono dall'applicazione delle misure in corso;
   secondo alcune recenti indiscrezioni e come più volte accennato da alcuni leader politici europei, la dotazione finanziaria che l'Unione europea riserverà alla Politica agricola comune (Pac) il periodo 2021-2028 sarà interessata da una consistente riduzione di risorse ed è pertanto indispensabile procedere ad una razionalizzazione delle stesse al fine di potenziare l'efficacia degli interventi;
    stando ai dati attuali riferiti al nostro Paese, la dimensione media aziendale nazionale è di circa 10,5 ha e circa 1 milione di agricoltori hanno presentato domanda per gli aiuti previsti dalla Pac per la programmazione in corso di cui, più della metà, rientrano nella definizione di «piccoli agricoltori»;
    come previsto dalla vigente normativa, le deroghe alle cosiddette condizionalità greening, ovvero agli obblighi di attuare le pratiche benefiche per il clima e l'ambiente riguardano: i soggetti con superfici aziendali fino a 10 ettari di seminativo, che sono esonerati dall'obbligo di diversificazione e quelli con superfici aziendali inferiori o uguali a 15 ettari che sono invece esclusi dall'obbligo di destinare una quota del 5 per cento dei seminativi ad aree di interesse ecologico;
    come noto, il pagamento a titolo di «sostegno accoppiato» che la norma comunitaria riserva ai settori in crisi e la cui erogazione è subordinata a precise condizioni, nel nostro Paese è stato utilizzato più come una redistribuzione di risorse tra regioni, piuttosto che come contributo a determinati tipi di agricoltura o settori agricoli che rivestono particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali, e che si trovano in difficoltà;
    alla luce di quanto sopra riportato è evidente la necessità, per la programmazione Pac post 2020, di ripensare, come di seguito esposto, le due componenti del «greening» e dell'aiuto accoppiato al fine di procedere ad una riallocazione di risorse che consenta una maggior efficacia di tali misure;
    suddividendo la Superficie agricola utilizzata (Sau) nazionale in «superficie svantaggiata», sulla quale non si applicherebbero condizionalità greening e «superficie non svantaggiata», che invece resterebbe soggetta al solo obbligo di avvicendamento colturale, si libererebbero risorse destinate ad incrementare il pagamento base che, nelle aree svantaggiate, faciliterebbe l'insediamento di lungo periodo, mentre nelle altre renderebbe meno complessa, dal punto di vista burocratico, la gestione dell'azienda agricola;
    la soppressione dell'aiuto accoppiato, pur mantenendo il principio del sostegno alle colture in difficoltà, consentirebbe invece di allocare le relative risorse su un fondo dedicato a finanziare interventi in caso di gravi squilibri di mercato, di emergenze dovute ad epizoziee, fitopatie, calamità naturali e ad erogare contributi finalizzati al rilancio dei settori strategici in difficoltà (olivicolo, cerealicolo, zootecnico, e altro);
    il crescente interesse dei consumatori alla tracciabilità dei cibi dimostra che la società è decisa a rimuovere l'anonimato e a conoscere invece il luogo di produzione di ciò che arriva sulla tavola; tale evidenza riporta in primo piano la tematica dell'obbligatorietà dell'indicazione dell'origine in etichetta, ma anche delle filiere corte, del cibo locale e di stagione, tutti argomenti che devono diventare cruciali per una politica agricola che non può non essere anche politica alimentare;
    esistono moltissime colture di valore ambientale e paesaggistico, le cui produzioni non hanno valore di mercato e che tuttavia richiedono specifici interventi anche a tutela dell'ambiente e del territorio, quali i vigneti eroici, gli oliveti monumentali e gli agrumeti caratteristici,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, in sede di negoziati europei per la programmazione della politica agricola comune post 2020, volte a proporre una riforma finalizzata a:
    a) rivedere le norme sulla condizionalità greening affinché sia previsto il solo obbligo di avvicendamento colturale per le aziende ubicate nelle aree considerate «non svantaggiate» e la conseguente riallocazione delle relative risorse, circa il 30 per cento dell'ammontare dei pagamenti diretti, sul plafond destinato al pagamento base;
    b) rivedere l'attuazione del principio del sostegno alle colture in difficoltà, attraverso la soppressione della componente «aiuto accoppiato» e il conseguente trasferimento delle relative risorse su un Fondo per le crisi in agricoltura e per il rilancio dei settori in difficoltà, destinato a finanziare interventi in caso di gravi squilibri di mercato, di emergenze dovute ad epizoziee, fitopatie e calamità naturali e per contributi finalizzati al rilancio dei settori strategici in difficoltà;
    c) estendere a tutti i prodotti agricoli e agroalimentari, anche attraverso la revisione del regolamento dell'Unione europea n. 1169/2011, l'obbligo dell'indicazione dell'origine in etichetta;
    d) prevedere specifiche norme a tutela e promozione delle filiere corte e quindi degli agricoltori rivolti ai mercati locali il cui ruolo è fondamentale per la gestione del territorio, la tutela dell'ambiente e la valorizzazione dei servizi sociali;
    e) rivedere le norme sullo sviluppo rurale affinché i programmi regionali prevedano misure obbligatorie per la salvaguardia delle colture di pregio paesaggistico ove esistenti.
(7-01165) «Gallinella, Cecconi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agricoltura nelle arie protette, specie nelle aree dei parchi naturali, è oggetto di annosi dibattiti nei quali spesso prevalgono posizioni che non tengono affatto in considerazione i benefici prodotti dall'attività dell'uomo e che tendono a vietare qualsiasi intervento dell'agricoltore sulla natura;
    le posizioni più intransigenti a volte si spingono fino ad immobilizzare completamente le possibilità di azione, Così, ad esempio, si rilevano l'impossibilità di costruire alcunché nelle aree parco, così come la protezione totale di specie dannose per l'agricoltura come il cinghiale, il lupo ed alcune specie di insetti;
    come previsto dalla stessa legge n. 394 del 1991, le attività agro-silvo-pastorali, sempre nel rispetto della biodiversità e della convivenza tra le specie, vanno incentivate. L'uomo è uno dei componenti della natura e deve trovarsi con questa in armonia. Il sopravvento delle politiche che non tengono adeguatamente conto della presenza umana è controproducente anche sul piano ecologico. Un'attuazione troppo restrittiva dei princìpi di conservazione delle aree protette comporta difficoltà alla permanenza dell'uomo talmente grandi che determinano l'abbandono delle aree, che così vanno incontro al degrado;
    la presenza degli allevamenti nelle aree protette non può che migliorare le stesse. È ampiamente riconosciuto che i prati e i pascoli migliorano la qualità ecologica e paesaggistica delle aree. Così come la coltivazione dei cereali e delle leguminose, se effettuate nel completo rispetto dell'ambiente e specie in un regime di produzione biologico, hanno esclusivamente effetti benefici per l'ambiente ed il paesaggio, pertanto, questi devono essere incentivati in quanto il loro abbandono provoca non il miglioramento ma il degrado, dell'ambiente;
    le attività agricole ed allevatoriali devono pertanto avere i propri ragionevoli spazi affinché gli agricoltori possano configurarsi come veri e propri gestori e conservatori delle aree, anche protette. Vanno individuati i limiti delle azioni dell'uomo per contemperare la presenza umana e la salvaguardia dell'ambiente naturale, evitando atteggiamenti eccessivamente restrittivi che portano inevitabilmente all'abbandono ed al conseguente degrado ambientale;
    ai vincoli della normativa nazionale si aggiungono quelli della normativa comunitaria come quelli relativi alla rete Natura 2000 nell'ambito della quale a volte non si tiene conto di eventi e di cicli biologici che impediscono il controllo del proliferare di specie alloctone e che potrebbero essere controllate con antagonisti naturali anch'essi di origine alloctona;
    in Evolutionary-Ecological Land Ethic, Leopold afferma che la natura è un sistema complesso, ogni componente è importante, non vi sono gerarchie. L'uomo stesso, prodotto dell'evoluzione e della selezione naturale, ha lo stesso valore di tutte le altre specie e non deve arrecare danno alle altre specie e all'ecosistema. Un'altra massima dello stesso ecologista recita: «La conservazione è uno stato di armonia fra gli uomini e la terra;
    valorizzando le considerazioni e le massime di Leopold, si dovrebbe perseguire l'armonia tra l'uomo e la natura, invece le politiche ambientalistiche più spinte portano al superamento del punto di equilibrio dell'ecosistema. In altre parole si rompe l'armonia a discapito dell'uomo;
    una politica dei vincoli eccessivamente restrittivi nelle edificazioni e nella coesistenza delle attività agricole non consente agli agricoltori nemmeno di svolgere le più elementari attività, come ad esempio l'allevamento o le altre attività agricole. Gli allevamenti hanno bisogno di ricoveri per gli animali, di coperture per i foraggi e di ripari per gli attrezzi. È nell'essenza dell'uomo costruire dei ripari per la propria vita e per la vita degli animali che alleva e custodisce;
    è paradossale il fatto che, a fronte del divieto a realizzare nuove e razionali costruzioni, con criteri costruttivi in perfetta armonia con il paesaggio, nei parchi naturali, si tolleri la costruzione di fatiscenti ricoveri di fortuna che deturpano il paesaggio, oltre ad essere inidonei sotto il profilo igienico-sanitario;
    il sisma del 24 agosto 2016 e dei giorni seguenti ha severamente colpito, per la regione Marche, i comuni dell'entroterra ascolano, fermano e maceratese; le aree colpite si trovano per la maggior parte proprio in aree parco; emblematico è il caso di Arquata del Tronto, il cui territorio ricade in due parchi nazionali: dei Monti Sibillini e Gran Sasso e Monti della Laga;
    anche in questi parchi, naturalmente, vigono i vincoli edificatori; in considerazione del fatto che, a seguito del sisma, sono in particolare esaminate le strutture, è emersa in tutta la sua evidenza la situazione delle strutture adibite a stalle e ricoveri degli animali; per la gran parte risulta che queste sono completamente inidonee al ricovero degli animali sia sotto il profilo igienico-sanitario, sia sotto il profilo statico, sia sotto tutta un'area il profilo paesaggistico;
    è tuttavia emersa una situazione di tutta un'area che individua una situazione produttiva omogenea, caratterizzata da un livello di economicità sulla soglia della sussistenza ma che finora ha garantito la permanenza di una comunità in queste aree;
    i gravi danni provocati dal sisma rischiano di provocare l'abbandono definitivo di queste fragili aree, anche da parte degli agricoltori ed allevatori che curano e mantengono questi territori ed il conseguente depauperamento di queste realtà di una quantità di animali allevati che contribuiscono significativamente alla conservazione del sistema ecologico;
    per la conservazione delle attività agro-silvo-pastorali nell'area è necessaria una modernizzazione degli allevamenti che passa prima di tutto per la realizzazione di ricoveri razionali sotto il profilo igienico-sanitario oltre che paesaggistico, di strutture per le attività agricole conseguenti e connesse che contribuiranno alla permanenza dei capi attuali e di un auspicio di incremento;
    altrettanto problematico è il controllo delle specie animali selvatiche. In particolare, con il proliferare dei cinghiali, specie dopo l'incontrollata introduzione di razze straniere, particolarmente produttive, si sta verificando una vera e propria emergenza per gli agricoltori e gli allevatori. I primi, perché vedono letteralmente e sistematicamente devastate le proprie coltivazioni; i secondi, perché vedono decimate i propri greggi ed armenti. Il lupo, infatti, nobile animale degli alti boschi, è tornato, grazie all'abbondanza di cibo garantita dal cinghiale, a livelli di popolazione tali da superare le soglie dell'endemia, con il conseguente esubero di fabbisogno di cibo rispetto alla disponibilità nella sfera selvatica. A farne le spese soro agnelli e redditi di allevatori locali con microeconomie già a livelli di sussistenza;
    è infine assolutamente necessario superare il fallimento delle politiche radicalmente protezionistiche che si ravvisano nel caso del Cinipide del castagno, insetto di origine cinese che ha invaso gli ambienti castanicoli locali e che sta determinando l'azzeramento della produzione. Seppur efficacemente controllabile, con il suo antagonista naturale Torymus sinensis, questo non può essere introdotto per il divieto delle normative comunitarie in quanto anch'esso di origine alloctona,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere una politica agricola fondata su princìpi di equilibrio in modo tale che sia consentita un'adeguata attività degli agricoltori nelle aree protette e che, in particolare, garantisca:
    a) agli agricoltori e agli allevatori di poter costruire adeguate e moderne strutture necessarie allo svolgimento delle proprie attività agro-silvo-pastorali, di dimensione commisurata alle aree di cui trattasi e salvaguardando il paesaggio;
    b) la promozione della modernizzazione, in particolare del settore allevatoriale, consentendo la realizzazione di strutture che tengano conto contemporaneamente degli aspetti igienico-sanitari e paesaggistici;
    c) la promozione di azioni integrate per il controllo programmato e radicale delle specie alloctone nocive alle attività agro-silvo-pastorali, la selezione e la reintroduzione e la tutela delle specie autoctone;
    d) agli allevatori la possibilità di fruire di sistemi di protezione preventiva delle proprie greggi, mandrie ed armenti con sistemi di dimostrata efficacia ma che risultano attualmente non sostenibili sul piano dell'attuale ordinarietà economica delle aree interne;
    e) di poter contrastare efficacemente gli insetti nocivi non autoctoni con antagonisti naturali di origine non alloctona.
(7-01166) «Luciano Agostini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   fondata nel 1881, la Franco Tosi Meccanica s.p.a. è un'azienda leader a livello internazionale per l'ingegnerizzazione, produzione e vendita turbine a vapore e turbine idrauliche, inserita in un mercato che prevede per il futuro una forte e continua crescita soprattutto nei paesi emergenti. Purtroppo, la fallimentare gestione dell'azienda degli ultimi trent'anni ha portato un crollo della produzione e conseguentemente dell'occupazione, la quale è passata dai 6.000 lavoratori degli anni settanta ai 180 attuali;
   nel corso di questa legislatura, numerosi sono stati gli atti di sindacato ispettivo presentati, gli incontri al Ministero tra proprietà e rappresentanze sindacali, così come le rassicurazioni ministeriali; numerosi sono stati, altresì, i piani e i progetti messi in campo al fine di salvaguardare la storica azienda legnanese;
   recentemente, la proprietà ha manifestato la volontà di trasferimento dell'azienda a Burago Molgora, in Brianza, là dove ha sede la Bruno Presezzi, azienda principale del proprietario della Tosi, Alberto Presezzi;
   quest'ultimo ha più volte sostenuto che, senza il sostegno promesso dai Governi in questi difficilmente avrebbe potuto lasciare la sede a Legnano, sostenendo altresì di aver presentato un inattuabile programma di investimento, visto il «supporto irrisorio» giunto da Roma;
   il trasferimento della sede porterebbe un'auspicabile riduzione dei costi, a fronte però di un impoverimento del tessuto economico dell'Alto Milanese. Ignote sono poi le eventuali ripercussioni sui 180 lavoratori coinvolti, i quali, in virtù del precedente accordo stipulato tra proprietà e sindacati, avevano già contribuito a scongiurare il fallimento dell'azienda, a prezzo di grandi sacrifici;
   al riguardo, la FIOM lombarda ha chiesto esplicitamente alla proprietà il rispetto degli impegni presi con l'accordo firmato il 18 maggio 2015 durante un incontro tra il commissario straordinario della Tosi, Andrea Lolli, lo stesso Presezzi, e i rappresentanti sindacali: accordo nel quale la società confermava «il ruolo strategico del rilancio dell'attività aziendale nella sede storica di Legnano che intende mantenere quale polo produttivo di riferimento della società»;
   rimarcando come «in nessun accordo era ventilata l'ipotesi di aiuti da parte del ministero». Il Ministero è invece garante del «preciso impegno preso dalla proprietà» al momento dell'acquisizione dell'azienda, per mantenere aperto il sito legnanese;
   delicata è la situazione generale del compatto metalmeccanico in Lombardia: il 2016 si è chiuso infatti con quasi 5.000 licenziamenti, dato che dimostra il difficile momento del settore e la precaria condizione dei metalmeccanici;
   nonostante questo, nell'ultimo incontro del 12 gennaio 2017 la proprietà ha sostenuto che le prospettive per l'azienda sono buone, e il 2016 chiuderà con un utile. Così come confortanti sono le prospettive di lavoro, dovendo entro giugno rientrare 17 lavoratori dalla mobilità –:
   se il Governo intenda convocare in tempi celeri un tavolo di confronto con proprietà e rappresentanze sindacali;
   quali azioni il Governo intenda mettere in atto al fine di garantire la permanenza dell'azienda sul territorio legnanese, nella sua sede storica.
(2-01601) «Cimbro, La Marca, Gnecchi, Alli, Porta, Marantelli, Falcone, Placido, Lauricella, Bersani, Rondini, Grimoldi, Arlotti, Epifani, Stumpo, Scanu, Monaco, Speranza, Pollastrini, Bazoli, Fiano, Brandolin, Fioroni, Rabino, Librandi, Vargiu, Damiano, Giuliani, Galperti, Centemero, Guerra, Pagano».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la società «Calcestruzzi Belice s.r.l.» di Montevago (Agrigento), attualmente in confisca definitiva dei beni disposta con sentenza della Corte di cassazione in data 12 febbraio 2016, ha ricevuto da parte dell'ANBSC (Autorità nazionale per i beni confiscati alla mafia) in data 29 dicembre 2016 la nota protocollo n. 0054842 con la quale si diffidano gli amministratori della società a compiere ogni attività aziendale;
   tale diffida consegue alla dichiarazione di fallimento emessa dal tribunale di Sciacca per una esposizione debitoria nei riguardi dell'Eni che sembrerebbe, secondo notizie di stampa, di entità irrisoria (27.000 euro);
   attualmente, avverso tale dichiarazione di fallimento pende ricorso presso la corte di appello di Palermo che verrà esaminato il 2 febbraio 2017;
   nelle more della pronuncia della corte d'appello, gli amministratori hanno inviato ai lavoratori dipendenti una lettera di licenziamento, per cessazione definitiva della propria attività;
   a seguito di tale orientamento, undici lavoratori verranno a perdere il loro posto di lavoro per motivi che, ad uno sguardo superficiale, non appaiono essere insormontabili;
   in ogni caso, la «Calcestruzzi», sia pure in periodo di accentuata crisi economica e di contrazione del mercato dei calcestruzzi, degli inerti, ghiaie, sabbie e pietrischi, come quella attuale, è riuscita a stare sul mercato continuando la propria attività e garantendo i posti di lavoro;
   l'interruzione, anche solo temporanea dell'attività, comporterebbe la perdita irrimediabile di clienti e potrebbe comportare il rischio della revoca della concessione da parte delle autorità competenti;
   l'eventuale chiusura definitiva dell'attività della Calcestruzzi Belice, oltre a comportare un serio danno all'economia della zona, sancirebbe l'ennesimo episodio di sconfitta dello Stato nella gestione dei geni sequestrati alla criminalità organizzata con ripercussioni notevoli anche sul fronte della lotta alla mafia che non può riverberarsi in danno delle popolazioni e dei lavoratori indirettamente interessati;
   i lavoratori della Calcestruzzi, sostenuti dai sindacati, da un movimento di opinione pubblica e dalle autorità locali, hanno deciso da parecchi giorni di costituirsi in assemblea permanente già tramutatasi in occupazione della sede a difesa del loro posto di lavoro;
   a conclusione della fiaccolata tenutasi nella ricorrenza del quarantanovesimo anniversario del terremoto del Belice, il Cardinale Montenegro, vescovo di Agrigento, ha annunciato la propria intenzione, ove necessario ed ove possibile, di intervenire con le già sparute risorse della Curia insieme a Don Ciotti per conto dell'associazione «Libera», per ripianare, come atto di solidarietà, il debito di circa trentamila euro con l'Eni che è all'origine della dichiarazione di fallimento;
   tale disponibilità, mentre dimostra ed esalta la sensibilità sociale della Chiesa agrigentina e di «Libera», per converso suona come richiamo, monito e critica severa alle istituzioni dello Stato per l'incapacità a risolvere un problema che, pur nella modestia delle cifre, potrebbe avere pesanti ripercussioni sociali per la piccola comunità di Montevago e refluenze negative per l'immagine dell'azione di contrasto alla mafia condotta dallo Stato –:
   se siano al corrente della problematica in questione;
   se non ritengano di assumere iniziative immediate, per quanto di competenza, volte a scongiurare la chiusura della Calcestruzzi, salvare posti di lavoro in un'area depressa come la Valle del Belice e riaffermare così che la lotta alla mafia è ad un tempo, lotta per la legalità e per lo sviluppo.
(2-01599) «Capodicasa, Iacono, Zappulla».

Interrogazioni a risposta orale:


   DALL'OSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della polizia di Stato annovera circa 30.000 unità (uomini e donne, gergo ministeriale) in meno per i pensionamenti mai rimpiazzati; il contratto è scaduto da molto tempo e non vi è stata alcuna occasione ancora per un rinnovo;
   quanto ai mezzi: le armi in dotazione personale (pistola) e di reparto (mitragliette) sono obsolete, rugginose e pericolose; le esercitazioni al tiro sono molto distanti nel tempo, così come gli aggiornamenti professionali sulle nuove leggi e le esercitazioni di difesa personale assolutamente essenziali per i reparti operativi; le vetture ferme per avaria sono superiori a quelle sul territorio, i G.A.P. (giubbotti anti proiettile) sono consunti, sporchi e scaduti; gli U-BOT (caschi di protezione da ordine pubblico sono scaduti e pericolosi);
   i reparti volanti delle questure italiane lamentano una grave carenza di personale e mezzi; il reparto volanti della questura di Roma famosissimo per l'uscita delle «pantere» attualmente riesce a far uscire pochissime vetture a turno; mancano infatti auto, personale, uniformi, cancelleria e la caserma versa in uno stato di sporcizia e trascuratezza che, potrebbe mettere a repentaglio anche la salute degli operatori;
   le questure in tutta Italia lamentano una situazione difficile: le varie specialità delle questure ovvero anticrimine, D.I.G.O.S., squadra mobile devono fare i conti con serie ristrettezze di mezzi e personale che costringono gli operatori a non vedersi pagati straordinari effettuati e a comprare di tasca propria la minuta cancelleria (carta per fotocopie, penne, toner); le auto in borghese «civette» sono approvvigionate di benzina dagli operatori molto spesso, così come è effettuata a loro carico la pulizia delle auto e la loro manutenzione;
   gli stipendi non sono assolutamente all'altezza dell'attuale costo della vita ed il regolamento di servizio (di cui alla legge n. 121 del 1o aprile 1981) non è stato mai aggiornato;
   il momento storico richiede con forza una presenza numerosa e qualificata di personale in forze sul territorio nazionale;
   l'interrogante è certo che il Governo sia a conoscenza di tale situazione –:
   come il Governo intenda intervenire da subito per risolvere tale situazione sia delle questure sia del personale citato in premessa affinché la preziosa opera prestata dalla polizia di Stato e dalle forze dell'ordine possa svolgersi nelle migliori condizioni. (3-02711)


   PICCONE e TANCREDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 5 gennaio 2017 e seguenti vaste aree della regione Abruzzo sono state interessate da una forte ondata di maltempo che ha colpito diverse regioni del centro e sud Italia, con straordinarie nevicate, strade ghiacciate e bufere di vento;
   in particolare, sono state gravemente coinvolte le zone dell'Alto Sangro e i paesi degli Altipiani Maggiori, Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo e Roccapia con forti disagi alla rete elettrica, e alla viabilità, fino alla chiusura totale di molte strade principali, tra cui la strada statale 17, la strada provinciale 83 Marsicana Alfedena Pescasseroli, i valichi di Passo Godi e Forca d'Acero;
   nonostante il lavoro dei mezzi dell'Anas dei vigili del fuoco e della protezione civile per liberare le strade e consentire a turisti e residenti di poter transitare, le zone sono rimaste letteralmente paralizzate per tre giorni;
   le notizie riportate dai principali quotidiani nazionali sugli enormi disservizi hanno provocato una cattiva pubblicità ad una località di turismo invernale, provocando seri danni di immagine ed economici agli albergatori abruzzesi delle zone colpite dal maltempo che hanno subito numerosissime disdette nelle prenotazioni –:
   se risulti al Governo che Anas e tutte le altre strutture statali competenti abbiano agito nel rispetto degli obblighi di servizio finalizzati ad assicurare la pronta riapertura della viabilità;
   se risulti che Anas e tutte le strutture statali competenti abbiano agito in conformità ai piani di emergenza vigenti, adottando tutte le misure e i mezzi necessari a garantire tempestivamente il ripristino della viabilità interrotta per un periodo così prolungato;
   quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere il Governo per verificare l'adeguatezza dei piani di emergenza vigenti ed evitare il ripetersi di situazioni di così intenso disagio. (3-02712)


   BENI, CARNEVALI, GADDA, PATRIARCA, GIUSEPPE GUERINI e SGAMBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 234 del 2016, è stato adottato il regolamento che definisce i meccanismi per la determinazione dell'età dei minori stranieri non accompagnati vittime di tratta, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 24 del 2014;
   in assenza di uno specifico metodo scientifico che consenta una determinazione certa dell'età anagrafica, ad oggi il metodo più utilizzato si basa su standard ormai datati e definiti su popolazioni con situazioni fisiologiche e genetiche molto diverse rispetto a quelle dei soggetti valutati;
   la corretta determinazione dell'età anagrafica è elemento fondamentale per l'attivazione di tutte le misure di protezione e assistenza previste dalla normativa vigente nei confronti dei minori non accompagnati vittime di tratta;
   sebbene il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri abbia definito in modo chiaro le procedure per determinare l'età dei minori vittime di tratta, rimangono ancora le lacune normative che non prevedono l'utilizzo di tali procedure per quanto riguarda i minori non accompagnati che non siano riconosciuti come vittime di tratta, i quali rappresentano la quasi totalità dei minori stranieri presenti in Italia;
   attualmente è fermo al Senato un disegno di legge, approvato dalla Camera, che introduce importanti norme sull'accertamento dell'età di tutti i minori stranieri non accompagnati; inoltre, si attende la definitiva approvazione da parte della Conferenza unificata del protocollo per l'identificazione e per l'accertamento olistico multidisciplinare dell'età dei minori non accompagnati;
   alla luce di differenti meccanismi per la determinazione dell'età a seconda che il minore straniero sia o meno vittima di tratta e in attesa dell'approvazione definitiva delle norme sopra citate, risulta necessario intervenire affinché venga superato questo vuoto normativo –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative affinché le disposizioni previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 34 del 2016 possano essere applicate anche nei confronti dei minori stranieri non accompagnati non vittime di tratta, al fine di consentire un'efficace identificazione degli stessi nel rispetto delle principali raccomandazioni adottate a livello internazionale e nazionale, nonché dei diritti fondamentali a loro riconosciuti. (3-02713)


   MARTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Onlus «Enzo B», fondata da Stefano Bernardi e Cristina Nespoli a Torino, è sotto indagine della magistratura perché accusata di aver truffato numerose famiglie che hanno scelto l'adozione internazionale come opportunità per soddisfare consapevolmente il proprio desiderio di genitorialità;
   dal 2011 più di cento famiglie si sono rivolte alla onlus torinese per poter adottare bambine e bambini senza che vi sia stato alcun esito rispetto alla loro istanza;
   ogni pratica è costata da un minimo di 3.750 a oltre 10 mila euro senza che gli interessati abbiano ricevuto di fatto alcun servizio e senza mai concludere la procedura di adozione;
   solo nel 2013 l'ente ha fatto sapere che l'Etiopia aveva negato la possibilità di adottare bambine e bambini, accettando comunque istanze da parte delle famiglie fino al 2014;
   il comitato spontaneo « Family for children» si è costituito, al fine di sollecitare le istituzioni, per raccogliere le storie delle famiglie che sono state truffate, subendo un danno morale ed economico;
   le famiglie denunciano un sistema paludoso, dove le famiglie che desiderano avere un figlio adottivo sono costrette ad affidarsi ad intermediari senza scrupoli svincolati da ogni controllo;
   tenuto conto che gli interessati non hanno ricevuto alcuna risposta, nonostante abbiano scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni, sono state richieste spiegazioni alla commissione per le adozioni internazionali e sono stati presentati vari atti di sindacato ispettivo –:
   in quale modo la commissione per le adozioni internazionali ha vigilato sull'operato della «Enzo B.» Onlus;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, per quanto di competenza, a tutela e risarcimento delle famiglie coinvolte. (3-02714)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, GRILLO, NESCI e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 14 dicembre 2016 le Commissioni competenti di Camera e Senato hanno espresso il parere sullo schema di decreto che dopo oltre 15 anni definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) il cui impatto economico di 800 milioni di euro è il risultato non già di mere prestazioni aggiuntive ma di una diffusa e diversificate opera di compensazione, scaturente dall'eliminazione di talune prestazioni e l'introduzione di nuove;
   da più parti, in particolare da parte delle regioni e nei succitati pareri, è stata espressa l'esigenza che sia garantita la sostenibilità economico-finanziaria dei livelli essenziali di assistenza al fine di assicurare la piena applicazione dei medesimi su tutto il territorio nazionale;
   la nota n. 156 del servizio Bilancio del Senato del mese di dicembre 2016, relativa allo schema di decreto sui livelli essenziali di assistenza, rileva diverse criticità di carattere economico in merito ai vaccini, ai dispositivi medici monouso, alla specialistica ambulatoriale e alle cure ospedaliere, criticità che peraltro anche il M5S aveva evidenziato nel proprio parere alternativo, reso in Commissione affari sociali, laddove in riferimento a taluni risparmi e/o costi (come ad esempio sui vaccini) non si comprendono i sottesi procedimenti ed elementi di stima, mentre in riferimento a talune prestazioni, come, ad esempio, l'analgesia epidurale, non si evinceva alcun impatto economico;
   in riferimento alle diffuse perplessità, espresse anche dal gruppo M5S, sulla reale erogabilità degli 800 milioni di euro per l'anno 2016, perplessità corroborate anche dalle indicazioni fornite dal rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze che, in una audizione in Commissione igiene e sanità al Senato aveva fatto intendere che quegli 800 milioni non potevano essere erogati per l'anno 2016 proprio perché non era stato emanato il relativo decreto, il Ministro della salute ha invece rassicurato sulla loro erogabilità anche per il 2016 ma «solo a seguito dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei Lea. Pertanto, considerato che il perfezionamento del provvedimento in esame dovrebbe intervenire entro la fine del mese in corso, l'erogazione non potrà che avvenire nel 2017, in un'unica soluzione»;
   il 22 dicembre 2016, come rilevato da numerose agenzie di stampa, il Ministro interrogato annunciava, anche tramite social network, di avere firmato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi livelli essenziali di assistenza, facendo ritenere pertanto imminente la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e quindi la piena operatività e vigenza e senza che siano state annunciate anche le firme necessarie sia del Ministro dell'economia e delle finanze sia del Presidente del Consiglio dei ministri;
   in realtà, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, alla luce dei pareri espressi da Camera e Senato, avrebbe dovuto essere nuovamente esaminato anche dal Consiglio dei ministri e ricevere anche il visto della Corte dei conti, passaggi questi il cui esito non è al momento noto agli interroganti;
   alla data di presentazione della presente interrogazione non si ha notizia dell'avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale da cui dipende l'effettiva vigenza, che il medesimo decreto sui nuovi livelli essenziali di assistenza fa decorrere dal giorno successivo alla suddetta pubblicazione –:
   quale sia lo stato dell’iter successivo all'espressione dei pareri di Camera e Senato, anche in riferimento ai rilievi economici e finanziari evidenziati nel corso dell’iter del parere parlamentare, nonché del parere di legittimità eventualmente espresso dalla Corte dei conti, e se non intenda chiarire le conseguenze che deriveranno dalla pubblicazione del decreto nell'anno 2017 sugli 800 milioni di euro di competenza dell'anno 2016.
   (5-10312)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2010 una tromba d'aria ha interessato la laguna veneta, colpendo con violenza in particolare l'isola di Pellestrina all'interno del comune di Venezia;
   i danni derivanti dall'evento atmosferico sono stati ingenti e hanno interessato le abitazioni private dei residenti, alcune attività economiche dell'isola, le stesse strutture pubbliche, per un corrispettivo stimato dal locale comitato danneggiati tromba d'aria in almeno 2 milioni di euro;
   in data 30 luglio 2010 il Consiglio dei ministri adottava con decreto la dichiarazione dello stato di emergenza «in ordine alle eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito il territorio della regione autonoma Friuli Venezia Giulia e della regione Veneto il giorno 23 luglio 2010»;
   in data 3 agosto 2010 il dipartimento per la protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze le risorse per fare fronte alla dichiarazione dello stato di emergenza, in ragione del fatto che le esigue dotazioni del fondo nazionale per la protezione civile non offrivano margini per fronteggiare il contesto emergenziale;
   il Ministero per l'economia e le finanze a quanto consta agli interroganti non avrebbe mai dato riscontro alla predetta nota del 3 agosto 2010;
   nonostante la richiesta di proroga avanzata dagli enti territoriali e locali lo stato di emergenza è cessato il 31 luglio 2011, senza che siano state attivate misure di rimborso a copertura dei danni derivanti dalla tromba d'aria nei confronti della popolazione interessata  –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per garantire le risorse necessarie al rimborso per i danni arrecati dalle eccezionali avversità meteorologiche del 23 luglio 2010 a favore delle popolazioni interessate. (4-15240)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'insolita ondata di maltempo, di questi giorni, tra neve e gelo, ha provocato danni di una certa entità per le imprese agricole calabresi. A farne le spese in misura maggiore è il settore agrumicolo, ma le dannose conseguenze riguardano anche la zootecnia, le colture orticole, frutticole, i vigneti, gli uliveti, le attività e le imprese agricole di montagna segnate dalla difficoltà nei collegamenti –:
   se non si ritenga opportuno mettere a disposizione tutti i mezzi di competenza per ripristinare le condizioni regolari di viabilità e far uscire le aziende agricole e zootecniche dall'isolamento;
   quali possibili modalità e strumenti di intervento si intendano mettere in atto per ristorare i danni all'agricoltura calabrese. (4-15245)


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243 — pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 2016 — reca «Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno»;
   l'articolo 7 del provvedimento de quo stabilisce che «gli interventi funzionali alla presidenza italiana del G7 nel 2017, in quanto imprevedibili in relazione a consistenza e durata dei procedimenti, costituiscono presupposto per l'applicazione motivata della procedura di cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50»;
   la medesima norma prevede inoltre che «conseguentemente, per gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi da aggiudicare da parte del Capo della struttura di missione «Delegazione per la Presidenza Italiana del Gruppo dei Paesi più industrializzati» per il 2017, istituita con decreto del Presidente del Consiglio del 24 giugno 2016, confermata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 2016, e del Commissario straordinario del Governo per la realizzazione degli interventi infrastrutturali e di sicurezza connessi alla medesima Presidenza italiana, nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei limiti temporali e nell'ambito degli stanziamenti assegnati, si applicano, in caso di necessità ed urgenza, le disposizioni di cui ai commi 1 e 6 dell'articolo 63 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50»;
   ai sensi dell'articolo 63, comma 1, «le amministrazioni aggiudicatrici possono — nei casi e nelle circostanze indicati dal codice — aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti»;
   all'articolo 63, comma 2, lettera c), del codice, si legge poi che «la procedura negoziata senza previa pubblicazione può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati. Le circostanze invocate a giustificazione del ricorso alla procedura di cui al presente articolo non devono essere in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici»;
   si sottolinea, a tal proposito, che con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 giugno 2016 era stata istituita presso il segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, la struttura di missione «Delegazione per l'organizzazione della Presidenza italiana del Gruppo dei Paesi più industrializzati» per la preparazione e l'organizzazione della Presidenza del G7 che spetterà all'Italia per l'anno 2017;
   in buona sostanza — ed alla luce di quanto evidenziato — non appare chiaro come mai, per la realizzazione degli interventi funzionali alla Presidenza italiana del G7, si è ritenuto che non ci fosse un adeguato lasso di tempo per far sì che venissero rispettati i termini per l'espletamento delle procedure ordinarie;
   in ultimo, si rileva come già all'interno della legge delega n. 11 del 2016 — articolo 1, lettere e) e l) — si fosse espressamente manifestata l'esigenza, da un lato, di «predisporre procedure non derogabili riguardanti gli appalti pubblici e i contratti di concessione» e, dall'altro, di assicurare, per le procedure di acquisizione di servizi, forniture e lavori da applicare in occasione di emergenze di protezione civile, «l'espresso divieto di affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie, ad eccezione di singole fattispecie connesse a particolari esigenze collegate alle situazioni emergenziali» –:
   sulla base di quali specifiche motivazioni si sia provveduto all'affidamento dei contratti per la realizzazione degli interventi richiamati in premessa attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie previste dal decreto legislativo n. 50 del 2016. (4-15250)


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015, recante «Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», il Governo ha provveduto — in attuazione dell'articolo 1, commi 431, 432, 433 e 434, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 — all'approvazione di un bando con il quale sono definite le modalità e la procedura per la presentazione, da parte dei comuni, di progetti di riqualificazione, costituiti da un insieme coordinato di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;
   l'articolo 1 del bando allegato al sopra citato decreto, stabilisce che la dotazione del fondo per l'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, di cui all'articolo 1, comma 434, della legge n. 190 del 2014, è di euro 44.138.500,00 per il 2015 e di euro 75.000.000,00 per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per complessivi euro 194.138.500,00;
   con l'articolo 1, comma 974, della legge n. 208 del 2015, è istituito, per l'anno 2016, il Programma straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;
   la legge stabilisce (comma 978) che per l'attuazione del programma straordinario è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo di 500 milioni di euro (spesa autorizzata per l'anno 2016);
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2016 è stato approvato il bando, con il quale sono stati definiti: le modalità e la procedura di presentazione dei progetti per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane, dei comuni capoluogo di provincia e della città di Aosta; la documentazione che gli enti interessati devono allegare ai progetti; il relativo cronoprogramma di attuazione e i criteri per la valutazione dei progetti;
   con il sopra citato provvedimento è stato, poi, istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un Nucleo per la valutazione dei progetti per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie; tale organo seleziona i progetti in coerenza con i criteri definiti nel bando allegato al sopra menzionato decreto, decreto, con le relative indicazioni di priorità in base al punteggio ottenuto;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 dicembre 2016 si è, dunque, provveduto all'approvazione della graduatoria del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2016; nel Programma sono stati inseriti n. 24 interventi da finanziare con le risorse di cui all'articolo 1, comma 978, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; gli ulteriori progetti presentati saranno finanziati con le risorse che saranno successivamente disponibili –:
   se non ritenga di provvedere alla pubblicazione anche in maniera sintetica, dei progetti che sono stati presentati ai sensi del bando di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2016;
   con quali modalità ed in che tempi — ai sensi dell'articolo 1, comma 141, legge 11 dicembre 2016, n. 232 — saranno ripartite le ulteriori somme a valere sulle risorse disponibili del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 al fine di garantire il completo finanziamento dei progetti selezionati nell'ambito del programma straordinario richiamato in premessa;
   se ed in che modo sia stata e sarà utilizzata la dotazione finanziaria di 194.138.500 euro del fondo per l'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, di cui all'articolo 1, comma 434, della legge n. 190 del 2014. (4-15251)


   AIRAUDO e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane oltre mille giornalisti in una petizione pubblica hanno manifestato profonda preoccupazione per la cosiddetta «riforma» varata dal consiglio di amministrazione dell'Inpgi (Istituto nazionale previdenza giornalisti italiani) che stabilisce un prelievo di solidarietà dalle pensioni in essere, eleva l'età pensionabile a 66 anni e 7 mesi di età, sancendo quelle che appaiono inique e incostituzionali disparità tra gli iscritti e rappresentando di fatto un ostacolo al riequilibrio del mercato del lavoro tra ingressi e uscite, e taglia pesantemente molte delle prestazioni erogate;
   tali misure, oltre tutto, non appaiono agli interroganti idonee a mettere in sicurezza i conti dell'Istituto a causa della grave crisi che attanaglia oramai da 6 anni il settore dell'editoria –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per accertare la reale situazione dei conti dell'Inpgi;
   se il Governo non intenda verificare, per quanto di competenza, la corrispondenza dei bilanci dell'Inpgi degli ultimi quattro anni alla reale situazione economica e finanziaria;
   se il Governo non intenda verificare la sussistenza oggettiva delle plusvalenze derivanti dai conferimenti immobiliari al fondo «G. Amendola» e assumere ogni iniziativa di competenza per chiarire tali operazioni contabili;
   se il Governo non ritenga di dover acquisire la stima complessiva della rivalutazione del patrimonio immobiliare operata, con l'avvio del fondo, dall’«esperto indipendente», nonché le stime di apporto dei conferimenti redatte dal medesimo «esperto indipendente», onde accertare la corrispondenza con i reali valori di mercato dell'epoca;
   se il Governo non intenda individuare quali siano le cause che con tutta evidenza, ad avviso degli interroganti, hanno attenuato il ruolo di vigilanza e controllo da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri competenti (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell'economia e delle finanze) presenti negli organi collegiali dell'Inpgi, di fronte al determinarsi del gravissimo e irreversibile sbilancio nei conti dell'ente provocato dal ricorso continuo agli stati di crisi da parte degli editori, ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione;
   se il Governo non intenda accertare se quello che gli interroganti giudicano un affievolimento, di fatto, del ruolo di vigilanza da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri interessati continui tuttora;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché nella dismissione delle case dell'Inpgi vengano introdotti e rispettati criteri di trasparenza;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere perché i prezzi di vendita siano rapportati alla situazione reale e attuale del mercato immobiliare, con l'applicazione dello sconto riconosciuto dalle consuetudini su alloggi occupati, e affinché siano garantite tutele reali per le fasce deboli e per chi non può comprare;
   se non si intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza sostanziale, oltre che formale, del bando di gara pubblico e delle varie fasi nella costituzione e gestione del fondo «G. Amendola»;
   se non si intendano assumere iniziative per chiarire le finalità dell’«operazione Fondo», viste le dichiarazioni dei vertici dell'Inpgi che solo due anni fa escludevano tassativamente di voler vendere, e le finalità del piano di dismissioni, considerate le incongrue modalità con cui, ad avviso degli interroganti, si sta attuando;
   quali iniziative il Governo intenda attivare affinché, anche nel piano di dismissioni si tenga conto della natura pubblica del patrimonio dell'Inpgi, che ha funzioni sostitutive dell'Inps ed è ente previdenziale privatizzato incaricato di pubbliche funzioni a norma dell'articolo 38 della Costituzione, con finalità puramente sociali, e non di perseguimento del massimo profitto mediante quelle che appaiono agli interroganti spericolate e oblique operazioni immobiliari;
   se non si intenda verificare con quali strumenti e con quali modalità l'Inpgi affronti, per garantire le normali attività e il pagamento delle prestazioni dovute per legge, le esigenze di cassa e le carenze di liquidità;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda predisporre per riportare l'Inpgi sui binari della trasparenza nonché della sana e prudente gestione;
   come si intenda garantire a chi ha versato «fior fiore» di contributi per decenni, a chi è in pensione, a chi sta per andarci e a chi si avvicina o svolge una professione che ha attinenza con i diritti costituzionali quale il diritto all'informazione, la certezza di avere una previdenza e un'assistenza degne di questo nome;
   se, in situazione così gravemente compromessa, il Governo non ritenga indispensabile assumere le iniziative di competenza per il commissariamento dell'ente, qualora tale misura non fosse già tardiva. (4-15254)


   GAGNARLI, COMINARDI, ALBERTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di alcune sollecitazioni da parte del presidente della Conferenza delle regioni, Stefano Bonaccini, il Ministro interrogato ha confermato la propria disponibilità alla convocazione di un tavolo tecnico per l'applicazione del regime di prelievo venatorio in deroga previsto dall'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992;
   tale tavolo – che sarebbe supportato dall'Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale (Ispra) e dal dipartimento delle politiche comunitarie, e la cui prima fase è prevista per il 24 gennaio 2017, con una riunione per le fasi di avvio dello stesso – dovrebbe allargare la discussione, secondo quanto si apprende dallo scambio di missive tra Conferenza delle regioni e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche alla definizione della cosiddetta «piccola quantità» autorizzata al prelievo in deroga;
   il fine, secondo lo stesso Bonaccini, sarebbe quello di superare la difficoltà riscontrata negli ultimi anni dal mondo venatorio di reperire i dati necessari a tale definizione che sarebbero dovuti pervenire dall'Ispra, secondo quanto previsto dall'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992, che non ha assolto, sempre a parere del Presidente della conferenza Stato-Regioni ai propri compiti istituzionali;
   l'accusa di Bonaccini all'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale è evidente, ma l'istituto ha più volte dichiarato il proprio parere sfavorevole alla caccia a storno, fringuello e peppola (le specie per le quali sono stati richiesti i dati dalle regioni interessate) e di conseguenza l'impossibilità di applicare il concetto di «piccole quantità» a quanto previsto dalla direttiva «uccelli selvatici»;
   con già diverse interrogazioni presentate al Parlamento europeo, tra l'altro, è stata sollevata tale problematica; e stato risposto dalla Commissione europea che «per quanto concerne il ruolo svolto dall'Istituto scientifico nazionale italiano (Ispra), la sua guida scientifica e i suoi pareri alle autorità italiane, la Commissione ritiene che ciò sia pienamente conforme ai principi e alle prescrizioni della direttiva «uccelli selvatici»;
   la Commissione europea nel rispondere a tali atti, ha inoltre ricordato che l'Italia è l'unico Stato membro che si è avvalso della deroga per consentire la continuazione della caccia ricreativa di specie protette non elencate nell'allegato II della direttiva. Ciò ha portato a varie sentenze della Corte di giustizia europea che hanno dichiarato il mancato ottemperamento da parte dell'Italia di tale obbligo della direttiva «uccelli selvatici»;
   l'apertura del Ministro interrogato alla possibile definizione, all'interno del tavolo tecnico, della cosiddetta «piccola quantità», autorizzata al prelievo in deroga, potrebbe esporre al rischio, a parere dell'interrogante di «bypassare» il ruolo fondamentale e di garanzia del rispetto della direttiva europea dell'Ispra in questo ambito, esponendo così ad una possibile nuova condanna il nostro Paese;
   se in base a quanto esposto in premessa non si ritenga urgente richiedere all'Ispra) una documentazione completa circa i dati sulle «piccole quantità» cacciabili in deroga, e chiarimenti circa i motivi per i quali tale istituto si sia trovato fino ad oggi nell'impossibilità di fornire tali dati;
   considerato il parere vincolante dell'Ispra su questo aspetto, in quale fase del procedimento si dovrebbe quindi inserire la convocazione del tavolo tecnico di cui in premessa per definire le «piccole quantità»;
   se non ritenga opportuno porre in essere tutte le iniziative utili, per quanto di competenza, affinché l'Italia non venga esposta al rischio di una nuova condanna da parte dell'Europa in materia di deroghe di caccia;
   se, anziché riaprire la questione «deroghe di caccia», per le quali lo Stato italiano è stato già condannato dalla Corte di giustizia europea, non ritenga opportuno procedere senza alcuno indugio all'adozione di un efficace piano nazionale contro il bracconaggio, considerato che sull'Italia grava una procedura Pilot relativa proprio a questo fenomeno.
   (4-15257)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   esiste una sempre più crescente preoccupazione per il futuro della categoria del professionismo geologico italiano;
   il professionismo geologico italiano è sottoposto a provvedimenti discutibili che generano non solo effetti contrari al corretto apporto di questa professione ma rendono la professione sempre più vessata;
   dopo le riforme «capestro» susseguitesi nel tempo con l'abolizione dei minimi tariffari, si è favorito un sistema incontrollabile legato a società, cooperative ed enti vari, che ha praticamente reso impossibile l'esercizio della professione sia per giovani professionisti che per coloro che avessero scelto di perseguirla singolarmente;
   occorre valutare con urgenza il ripristino di regole unitarie e funzionali non al ribasso ma alla qualità del lavoro proposto;
   si rende necessario valutare il ripristino di una tariffa unitaria per lo svolgimento professionale;
   in tal senso esistono richieste a gran voce di una tariffa minima professionale o di un riordino completo e oggettivo nonché semplificato della materia in termini di parcella professionale del geologo;
   in merito alla procedura amministrativa durante le fasi di progettazione, la stessa normativa italiana, pur contemplando numerose leggi e decreti che regolano la professione di geologo questione segnalata in molti casi denunciati anche dagli ordini regionali su tutto il territorio nazionale, non comprende durante la programmazione dell'uso del territorio negli enti locali, una progettazione geologica ben identificata, inglobando quest'ultima all'interno della progettazione generale;
   per alcuni casi, bisogna fare riferimento alla tariffazione della progettazione ingegneristica ed architettonica, essendo quest'ultima molto differente nel concetto e dagli obiettivi professionali del geologo;
   la problematica riguarda tutto il territorio nazionale considerato che incombe il problema del dissesto geologico, e non idrogeologico e sismico, come invocato da più parti, essendo questi ultimi, solo minima parte delle competenze e conoscenze del geologo;
   si assiste sempre più a catastrofi, che vengono gestite in emergenza, senza capire che, il problema, è di natura esclusivamente geologica, e quindi, bisogna incrementare la conoscenza delle criticità geologiche sul territorio con un approccio scientifico non deterministico ma olistico;
   occorre valutare la creazione nei comuni italiani, di un ufficio geologico comunale funzionale a pianificare interventi adatti alla prevenzione delle catastrofi e alla tutela del patrimonio paesaggistico e geologico;
   tutto questo renderebbe positivamente utili al sistema i laureati in scienze geologiche, di cui circa 15.000 iscritti all'ordine professionale;
   si avrebbe, oltre che un notevole risparmio in termini di risorse economiche dello Stato, anche una evidente riduzione dei livelli di vulnerabilità territoriale, del paesaggio e del patrimonio geologico;
   a tal proposito, è indispensabile regolamentare in modo più chiaro l'aggiornamento professionale APC, il quale ha delle aleatorietà incomprensibili, a tal punto che si verifica alcune volte il paradosso che, se il corso è organizzato a pagamento e svolto da società, fondazioni ed enti pubblici, quindi esterni all'ordine, si concede a questi corsi un alto punteggio; al contrario, se è organizzato dall'ordine a titolo gratuito, il punteggio è molto scarno;
   non sono chiari i meccanismi interni e non è chiaro perché, se tenuti da fondazioni, da società private o università i corsi abbiano un peso maggiore se a pagamento;
   è necessaria la creazione di una piattaforma e-learning, gestita dal consiglio nazionale dei geologi, così come previsto dai programmi europei di apprendimento a distanza, che eroghi gratuitamente ai professionisti iscritti corsi nei vari argomenti della scienza geologica (perché già si paga una doppia quota di iscrizione nazionale e regionale);
   negli ultimi anni, inoltre, si sta verificando un ulteriore pericolosissimo fenomeno relativo alla certificazione/accreditamento professionale;
   l'ipotesi di un accreditamento esterno (anche con società private di accreditamento) avrebbe nel tempo e nella prassi amministrativa, la possibilità di cancellare i diritti professionali di legge dei geologi, con il disconoscimento nel tempo del valore legale della laurea e dell'esame di Stato, che ogni geologo affronta nella sua vita professionale post laurea e di cui rappresenta certificazione professionale riconosciuta dallo Stato;
   una tale iniziativa lascia l'intera comunità geologica basita ed incredula, basta leggere le centinaia di opposizioni fatte nei blog della comunità dei geologi italiani;
   l'accreditamento così realizzato diventerebbe un ulteriore balzello economico di riconoscimento senza valore a favore di una concorrenza «drogata», che opprimerebbe la categoria professionale, con il risultato di spingere verso il basso in termini di qualità del lavoro e di reddito personale il professionismo italiano in generale e gli studi professionali più piccoli a vantaggio di altri con più ricchezza –:
   se non ritengano di dover attivare iniziative utili alla salvaguardia della professione dei geologi, comprendendone la moderna valenza e l'indispensabile utilità;
   se non ritengano di dover intraprendere iniziative, anche normative, utili a rendere la professione di geologo primaria per la tutela olistica del territorio, tutelandola in competenze ben precise, che non possono essere sostituite con un credito professionale, riconosciuto da società private, cooperative o altre professioni, evitando altresì di creare falsi accreditamenti e balzelli che non regolano, ma opprimono la professione di geologo.
(2-01598) «Pili».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, VIGNAROLI e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si evince la scoperta di 600 fusti di rifiuti smaltiti nei pressi della discarica Burgesi a Ugento in provincia di Lecce. I fusti dovrebbero trovarsi al di sotto della discarica di rifiuti solidi urbani a servizio dell'area del Sud Salento gestita dal 1991 dalla Monteco srl;
   sempre da fonti stampa si evince che dalle analisi del CNR di Bari presso il III lotto siano state trovate tracce di Pcb che superano ogni limite sancito dalle normative di settore. Per fortuna la falda acquifera non risulta ancora contaminata;
   i Pcb provocano il cancro negli esseri umani, infatti sono inseriti nel gruppo 1 della classificazione IARC (cancerogeni certi);
   la Corte di giustizia europea ha dichiarato con la sentenza del 26 aprile 2007, Commissione/Italia (causa C-135/05), che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione ha ritenuto (causa C-196/13) che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, per discariche non conformi alla direttiva «rifiuti», alla direttiva sui «rifiuti pericolosi» e alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte ricorda innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificare. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti;
   la discarica Burgesi non è oggetto delle sentenze sopra menzionate, ma la scoperta dei 600 fusti, della presenza dei Pcb e la mancata bonifica potrebbero avere ripercussioni anche in ambito europeo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare al fine di tutelare la falda acquifera, l'ambiente e la salute della cittadinanza;
   se il Ministro intenda assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che la presenza della stessa discarica non bonificata possa dar luogo a nuove controversie per violazione delle direttive europee;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per finanziare la ricognizione e la caratterizzazione delle innumerevoli discariche abusive segnalate;
   quali iniziative siano state intraprese al fine di assicurare il principio «chi inquina paga» e se la Monteco srl, gestore dal 1991, possa essere considerata responsabile di tale smaltimento. (5-10310)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa (http://www.repubblica.it o http://www.qualenergia.it) si apprende che la centrale a carbone Enel di Genova, ferma dall'estate 2016 e avviata alla dismissione, dovrebbe riprendere temporaneamente a funzionare nei prossimi giorni;
   la causa di questa decisione sembrerebbe dovuta ad un sollecito da parte di Terna nei confronti del Ministero dello sviluppo economico, che così intende sopperire alla difficoltà di approvvigionamento di energia elettrica francese (a causa del fermo ad un impianto nucleare d'oltralpe);
   le centrali a carbone sono il metodo di produzione di energia elettrica più impattante dal sunto di vista delle emissioni climalteranti;
   nell'ottobre 2016, il Parlamento ha ratificato gli impegni presi dal Governo pro tempore in sede di COP21 relativi ad una diminuzione delle emissioni climalteranti;
   dalle fonti stampa sopra citate, si apprende anche che l'aumento della domanda di energia elettrica conseguente alla situazione francese ha fatto salire i prezzi nelle borse elettriche dei vari Paesi europei, ad accezione della Germania che ha una produzione di rinnovabili più ricca di quella italiana, che dipende in misura maggiore da fonti di approvvigionamento esterne (come nel caso delle numerose centrali a gas) –:
   come si concili la scelta di riaprire la centrale a carbone di Genova con l'obiettivo di diminuzione delle emissioni climalteranti assunto dal Governo pro tempore in sede di COP21 e ratificato dal Parlamento;
   se, per altre centrali a carbone già destinate o già avviate alla dismissione, siano state formalizzate altre richieste di ripristinare la produzione o di rinviare la chiusura;
   quali siano stati i criteri di scelta di Enel s.p.a., tra tutti gli operatori in grado di soddisfare la domanda di energia elettrica ed in base a quali criteri sia stato scelto di sopperire al bisogno di approvvigionamento energetico proprio tramite una fonte fossile altamente impattante come il carbone, invece di puntare su impianti di altro tipo;
   se, considerato il caso esposto in premessa della Germania che ha dimostrato di avere un sistema un sistema energetico più resiliente a crisi di origine esterna, i Ministri interrogati non reputino opportuno seguire le politiche intraprese dai Governi precedenti relativamente allo sviluppo di energie rinnovabili e alla sovranità energetica. (4-15241)


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014, la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione europea. Di conseguenza, la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo è ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consente di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 deve essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità è calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità è calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente, detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   l'Italia ha pagato 40 milioni di euro come multa forfettaria e 39.800.000, 33.400.000, 27.800.000 euro come multe relative al primo, secondo e terzo semestre successivo alla sentenza;
   il 2 dicembre 2016 è scaduto il quarto semestre successivo alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 –:
   quale sia l'ammontare della quarta multa semestrale relativa alla causa c-196/13 e quale sia il numero delle discariche ancora non conformi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014. (4-15244)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURGIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 9 maggio 2016 l'allora Premier Matteo Renzi lanciava l'iniziativa Governo-Bellezza: «Segnalateci i luoghi e le bellezze che hanno bisogno di un aiuto entro il 31 maggio. Sono, pronti 150 milioni da assegnare entro il 10 agosto»;
   entro il 10 agosto veniva annunciato un decreto di stanziamento, con una commissione avrebbe scelto i progetti per poi assegnare le risorse;
   a quanto risulta all'interrogante non c’è traccia di alcun decreto e tanto meno di una commissione di esperti;
   le mail arrivate sono 139.759, i luoghi segnalati circa 8.000; semplici cittadini, associazioni, comuni, istituzioni culturali hanno fatto domanda –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per emanare il decreto volto a finanziare i progetti più meritevoli;
   se trovi conferma la cifra di 150 milioni di euro, già indicata come budget complessivo per l'intera operazione;
   se intenda assumere iniziative per nominare una commissione di esperti;
   se intenda far conoscere i risultati delle numerose richieste, in modo da avere idea di quali siano le priorità indicate con particolare riguardo alle richieste pervenute dalla regione Sardegna. (5-10297)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Crotone, poco distante da Capo Colonna, dove un tempo sorgeva il Tempio di Hera Lacinia, è collocata un'area conosciuta come «Punta Scifo», nota per la sua bellezza naturalistica e paesaggistica, oltre che per il suo inestimabile valore archeologico;
   «Punta Scifo» è inserita nella «Riserva Marina di Capo Rizzuto» e nella «Sic Fondali Crotone-Le Castella» configurandosi come luogo i inestimabile valore;
   Legambiente ha chiesto l'intervento della Commissione europea inviando una specifica segnalazione circa una presunta violazione del diritto comunitario, comunicata anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla regione Calabria;
   nonostante il piano regolatore generale di Crotone, in vigore dal 2003, abbia destinato tale area a zona agrituristica, per circa 75.000 metri quadrati sono in corso lavori per la costruzione del «Marine Park Village», il cui progetto prevede 79 bungalow su basi di cemento armato e servizi annessi, con accesso al mare e piscina di 4,5 metri di profondità;
   l'agriturismo è inteso come attività collaterale e ausiliaria a quella agricola, esercitata dagli stessi agricoltori, con destinazione di una parte delle abitazioni rurali all'accoglienza dei turisti;
   la normativa non prevede l'edificazione di nuove costruzioni per l'agriturismo, a meno che i nuovi volumi non si configurino come adeguamento degli edifici esistenti;
   il piano regolatore vigente prevede, in caso di costruzione di una nuova struttura dell'azienda agricola destinata ad agriturismo, solo tre posti letto ad ettaro. Il progetto di Scifo insiste su sette ettari e mezzo e prevede 79 bungalow che possono potenzialmente accogliere centinaia di persone;
   da notizie stampa si apprende che la struttura, oltre a non essere un agriturismo me un villaggio turistico, non sarebbe gestita da imprenditori agricoli, ma da imprenditori del settore degli sport invernali che hanno ottenuto la patente di «coltivatori manuali della terre» poco prima di acquistare il terreno dal precedente proprietario che risulterebbe aver firmato un contratto di cessione dopo il suo funerale;
   queste presunte irregolarità e violazioni numerosi vincoli che insistono nell'area hanno innescato la giusta presa di posizione delle associazioni culturali che da tempo chiedono l'intervento del Ministero e sono state oggetto di procedure giudiziarie;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, con decreto del 19 febbraio 2002 recante «modifica del decreto interministeriale 27 dicembre 1991», istitutivo della riserva naturale marina «Capo Rizzuto» ha disposto che:
    l'area marina protetta «Capo Rizzuto» (...) in particolare persegue: la promozione di uno sviluppo socioeconomico compatibile con la rilevanza naturalistico-paesaggistica dell'area, anche privilegiando attività tradizionali locali già presenti (articolo 4, comma 1, lettera f) del decreto 19 febbraio 2002);
    all'interno dell'area marina protetta denominata «Capo Rizzuto» (...) In particolare sono vietate: l'asportazione anche parziale ed il danneggiamento di reperti archeologici, di formazioni geologiche e minerali (articolo 5, comma 1, lettera b) del suddetto decreto);
   il decreto legislativo n. 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137» che:
    i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata i sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione (articolo 146, comma 1);
    l'autorizzazione è rilasciata o negata dall'amministrazione competente entro il termine di venti giorni dalla ricezione del parere della soprintendenza e costituisce atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittima l'intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa (articolo 146, comma 8); c) indipendentemente dall'avvenuta pubblicazione all'albo pretorio prevista dagli articoli 139 e 141, ovvero dall'avvenuta comunicazione prescritta dall'articolo 139, comma 4, la regione o il Ministero ha facoltà di: 1) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di pregiudicare il bene; 2) ordinare, anche quando non sia intervenuta diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati (articolo 150, comma 1) –:
   se il Governo non ritenga urgente intervenire per la tutela dei luoghi di cui in premessa che insistono in un'area marina protetta e sito di interesse comunitario, assumendo iniziative, per quanto di competenza, volte a promuovere una sospensione dei lavori del Marine Park Village, le cui autorizzazioni sono a giudizio degli interroganti in contrasto con i vincoli di cui l'area è gravata e comunque con il suo inestimabile valore;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative di competenza, per la valorizzazione di tutta l'area di Capo Colonna interessata da evidenze archeologiche e ambientali in terra e in mare. (4-15243)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni nel mondo della musica in Italia è tornato in primo piano lo scandalo del cosiddetto secondary ticketing, da molti definito bagarinaggio online, in occasione del concerto della band irlandese U2, previsto per il 15 luglio 2017 a Roma;
   il secondary ticketing (o reticketing) è un mercato di biglietti parallelo a quello autorizzato, che si svolge soprattutto su internet;
   sui circuiti del secondary ticketing i biglietti di concerti e altri eventi sono venduti a un prezzo maggiorato, spesso prima che si apra ufficialmente la prevendita e dopo che gli organizzatori abbiano dichiarato il sold-out. Questo costringe molti spettatori a rinunciare ai concerti o a pagare l'ingresso molto più del dovuto;
   sembra siano numerose le aziende che sfruttano il secondary ticketing ma che negano di fare bagarinaggio online, dichiarando di essere semplicemente delle piattaforme che offrono servizi di mediazione per la vendita dei biglietti;
   sull'argomento, in alcune puntate del programma televisivo Le Iene, andate in onda nel novembre 2016, sono stati trasmessi più servizi realizzati dal giornalista Matteo Viviani, che sarebbe riuscito ad entrare in possesso di documenti che provano l'esistenza di un legame tra la più grande azienda che organizza concerti in Italia, la Live Nation Italia, e il sito di bagarinaggio online Viagogo;
   si apprende dalla stampa che il 16 novembre 2016 la Guardia di finanza ha perquisito le sedi di due importanti promoter di concerti, Live Nation Italia e Vivo Concerti. Roberto De Luca, amministratore delegato della società organizzatrice di concerti Live Nation Italia, e Corrado Rizzotto, ex amministratore delegato di Vivo Concerti e ora alla guida di Indipendente Concerti, sarebbero indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa; 
   le denunce contro il fenomeno del secondary ticketing vanno avanti già da tempo. Si cita a titolo esemplificativo Claudio Trotta, fondatore della BarleyArts, azienda che si occupa della promozione di concerti di Bruce Springsteen, musicisti italiani e internazionali, che in aprile 2016 ha presentato un esposto penale alla procura di Milano, dopo che tra i 15 mila e i 20 mila biglietti del concerto di Bruce Springsteen a San Siro erano finiti sul mercato secondario, e che in quell'occasione ha, tra l'altro, dichiarato che «il biglietto nominale è un'opzione, ma c’è bisogno di una legge che lo renda obbligatorio e ne regolamenti l'uso. E comunque questi siti non si possono regolamentare. Vanno chiusi»;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto un'istruttoria su tale fenomeno e su quattro operatori del mercato secondario per verificare eventuali violazioni del codice del consumo;
   l'istruttoria sarebbe diretta a verificare se:
    siano state predisposte adeguate misure informatiche, previsioni contrattuali e modalità di vendita;
    vi siano informazioni ingannevoli relative alle condizioni di vendita sui siti, che potrebbero rendere non chiara la natura e le caratteristiche del servizio di intermediazione svolto, la tipologia e il prezzo di vendita dei biglietti offerti;
   dal concerto dei Cold Play a quello di Bruce Springsteen e da ultimo quello degli U2, moltissimi appassionati di musica sono stati costretti a rinunciare al concerto –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di propria competenza ed in linea con le iniziative avviate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per arginare definitivamente il fenomeno del secondary ticketing, allo scopo di tutelare i consumatori e tutti gli stakeholder dell'industria dello spettacolo. (4-15249)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   tra gli organismi del Corpo forestale dello Stato vi sono gli uffici per la biodiversità istituiti nel 2005, enti preposti alla tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute d'importanza nazionale e internazionale;
   la legge n. 36 del 2004 ha assegnato agli uffici per la biodiversità alcuni compiti tra i quali la gestione delle aree protette (ivi comprese le attività di manutenzione del territorio, delle foreste, di tutela degli animali), l'attività di ricerca e monitoraggio in tali riserve, l'attività di educazione ambientale;
   il personale dagli uffici territoriali per la biodiversità (Utb) del Corpo forestale dello Stato è impiegato in base alle norme di cui alla legge n. 124 del 1985: tale ordinamento consente l'assunzione di operai a tempo determinato (Otd) ed indeterminato (Oti) a supporto del Corpo forestale dello Stato per la manutenzione delle aree naturali protette e per assolvere ad ulteriori compiti istituzionali;
   si tratta di lavoratori portatori di uno straordinario patrimonio di professionalità, qualificazione e competenze fondamentali, che hanno reso gli uffici dislocati in varie realtà italiane veri e propri laboratori e presidi a tutela della biodiversità, che, se venissero meno le unità oggi assegnate, rischierebbero di scomparire;
   va rimarcato come Oti ed Otd, pur ricoprendo sostanzialmente le stesse mansioni, hanno ad oggi tipologie contrattuali, diritti e tutele diversi;
   va rimarcato che fino al 2008 sono stati stabilizzati alcuni Otd, mentre dal 2009 ad oggi il numero di Otd in servizio presso il Corpo forestale dello Stato si è ridotto da 400 a circa 80 unità;
   dal 1o gennaio 2017 entrano in vigore le norme di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   il personale operaio del Corpo forestale è menzionato al comma 1 dell'articolo 18 del sopracitato decreto legislativo in cui si dispone che «l'Arma dei carabinieri» subentri «a tutti i contratti attivi e passivi in essere, ivi compresi quelli del personale assunto ai sensi della legge n. 124/1985» senza specificare però, in particolar modo per gli Otd, tipologia e tempistica contrattuale;
   tale situazione di incertezza oltre a penalizzare fortemente il personale interessato comporta conseguentemente criticità nella cura e nella salvaguardia di risorse naturali nazionali di valenza naturale, storica e culturale –:
   se, con l'attuazione dell'articolo 18, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, in relazione a quanto espresso in premessa, verranno assunte iniziative per stabilizzare gli operai a tempo determinato attualmente in servizio e assumerli in base alle norme di cui alla legge n. 124 del 1985. (5-10313)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta n. 35 del 9 novembre 2016 della Commissione d'inchiesta sugli effetti dell'uranio impoverito alla «Camera dei deputati», è stato ascoltato il dottor Paolo Pasquinelli;
   il cavaliere Dottor Paolo Pasquinelli è biologo in pensione, ex lavoratore CISAM Centro interforze studi è applicazioni militari che svolse per conto dello stesso campionamenti in tutti i teatri operativi in cui lavoravano i nostri militari col fine di valutare l'ecosistema nel periodo 2001-2006;
   la relazione effettuata dal dottor Pasquinelli è estremamente interessante, in quanto emergono fatti ed elementi fin ora sconosciuti nel lavoro della commissione d'inchiesta dell'attuale legislatura;
   l'esperto in questione ha messo in evidenza che negli esami effettuati per conto dello Stato Maggiore in alcuni teatri di conflitto è emerso che i militari italiani impiegati in quei teatri e tutti coloro che anche in Italia sono venuti a contatto con mezzi e attrezzature provenienti da quei luoghi, non erano esposti semplicemente ad uranio Deplero, ma anche al cesio 137 ed altri agenti contaminanti di gran lunga più radioattivi e pericolosi per la salute;
   dalla lettura dei contenuti dell'audizione emerge chiaramente che i dardi ad uranio impoverito analizzati da apparecchiature adeguate risultavano essere contaminati di cesio 137 che è un prodotto di fissione nucleare;
   il dottor Pasquinelli aggiunge nella sua relazione che «Se c’è cesio 137, quello è un dardo sporco, nel senso che è derivato da un reprocessing o da un combustibile nucleare esaurito e trattato. Questa è la mia deduzione, supportata dal fatto che ora l'uranio depleto viene diviso in due classi, l'uranio depleto pulito e l'uranio depleto sporco, quello sporco proviene da una filiera di reprocessing e ci si trova non solo il cesio, ma anche altri componenti, che in base alla letteratura raddoppiano il rischio rispetto al DU –:
   se i Ministri interrogati fossero già a conoscenza delle risultanze degli esami condotti dal dottor Pasquinelli nel periodo in cui venne incaricato dallo Stato Maggiore Difesa di svolgere indagini per conto del CISAM;
   se, alla luce di quella che appare agli interroganti una palese violazione delle normative afferenti alla tutela del personale, non si intenda provvedere ad emanare un'apposita circolare che chiarisca a tutte le componenti dell'amministrazione della difesa, le modalità per evitare che altri militari si trovino in analoghe situazioni;
   se non si intenda approfondire ed eventualmente chiarire, per quanto di competenza, la posizione dei responsabili di quello che gli interroganti giudicano un comportamento caratterizzato dall'omissione delle dovute informazioni, delle misure di prevenzione per evitare danni alla salute e degli obblighi datoriali. (4-15255)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la giurisprudenza ormai costante della Corte di cassazione degli ultimi anni, con riguardo al regime di tassazione – IVA o imposta di registro – cui assoggettare la cessione a titolo oneroso, da parte di un'impresa agricola, di un terreno che abbia acquisito una destinazione (edificatoria) diversa da quella goduta, allorché era stato impiegato nell'attività produttiva, è esclusa l'applicabilità dell'IVA all'operazione imponibile e ad essa si applica, invece, solo l'imposta di registro in misura proporzionale;
   tale impostazione, da ultimo ribadita anche recentemente con l'ordinanza n. 11600 del 2016, è condivisa anche dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ritiene che l'imprenditore agricolo che ceda un terreno divenuto edificabile in base ad una modifica dei piani regolatori locali, effettua un'operazione priva del requisito soggettivo dell'imposta, a condizione che la vendita non rappresenti l'inizio di un'attività di commercializzazione fondiaria;
   si intende pertanto superato l'orientamento espresso dall'Agenzia delle entrate con la circolare 18/E del 29 maggio 2013, che riteneva soggetti all'Iva gli atti aventi ad oggetto terreni «suscettibili di utilizzazione edificatoria», posti in essere da soggetti passivi IVA –:
   se, in conformità alla giurisprudenza costante della Corte di cassazione degli ultimi anni come illustrato in premessa, si ritenga assoggettabile alla sola imposta di registro in misura proporzionale la cessione a titolo oneroso, da parte di un'impresa agricola, di un terreno che abbia acquisito una destinazione edificatoria. (5-10314)


   LAFFRANCO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 193 del 2016 (convertito dalla legge n. 225 del 2016), recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili» ha sancito, tra le altre cose, l'estinzione delle società del gruppo Equitalia, eccezion fatta per Equitalia giustizia, a partire dal 1o luglio 2017;
   secondo quanto stabilito dal decreto, al posto del gruppo Equitalia nascerà l'Agenzia delle entrate — riscossione, ente pubblico economico controllato dalla stessa Agenzia delle entrate e sottoposto altresì all'indirizzo e alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze;
   sostanzialmente, quindi, Equitalia cambierà semplicemente denominazione, mantenendo le stesse funzioni, ma disponendo di maggiori poteri: la nuova Agenzia, infatti, potrà accedere a tutte le banche dati e alle informazioni riservate in possesso dell'Agenzia delle entrate, precedentemente precluse;
   il procedimento di estinzione e rinascita dell'agente della riscossione solleva svariate perplessità dal punto di vista giuridico, a cominciare dalla qualificazione (pubblica o privata) dell'ente stesso;
   gli 8.000 dipendenti attualmente in forza ad Equitalia verranno assorbiti nel nuovo ente senza concorso;
   attualmente il gruppo Equitalia registra numerosi contenziosi attivi, tra cui il reclutamento di 175 nuovi dirigenti tramite concorso del 2010, bloccato da un sindacato, l'illegittimità di 767 nuove nomine di dirigenti (senza concorso, poi retrocessi a funzionari) riscontrata dalla Corte costituzionale nel 2015 e l'ulteriore sospensione del concorso nel settembre 2016 in attesa dei numerosi giudizi pendenti;
   i dirigenti dichiarati illegittimi dalla sentenza della Consulta hanno visto la proroga delle loro funzioni fino al 30 settembre prossimo –:
   se intenda fare luce sugli aspetti poco chiari e di scarsa linearità giuridica del procedimento di soppressione ed immediata rinascita dell'agente della riscossione, quali la possibilità di accedere (per il recupero forzato dei tributi non pagati) a tutte le banche dati e alle informazioni riservate in possesso dell'Agenzia delle entrate (precedentemente precluse ad Equitalia), la sua effettiva configurazione giuridica (se pubblica o privata), nonché sulla procedura di assorbimento dei circa 8.000 dipendenti attualmente in forza al gruppo Equitalia senza concorso, prendendo in considerazione il rischio di paralisi che comporterebbero gli eventuali ricorsi dei lavoratori, sommati agli attuali già posti in essere da precedenti contenziosi del gruppo Equitalia, e se non ritenga che la configurazione della nuova Agenzia, che ha più poteri della vecchia Equitalia, offra in sostanza al nuovo ente nuovi strumenti in grado di determinare pratiche assolutamente vessatorie nei confronti dei cittadini-contribuenti. (5-10315)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del processo di scioglimento di Equitalia spa disposto dal decreto-legge n. 193 del 2016, per effetto dell'articolo 6 del medesimo decreto è possibile definire in via agevolata tutti i ruoli affidati agli agenti della riscossione tra il 1o gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016, provvedendo al pagamento integrale degli stessi dilazionato in rate e senza corrispondere i relativi interessi di mora, sanzioni ed altre somme aggiuntive, gli interessi di mora e le somme aggiuntive, ad esclusione degli interessi, nella misura prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, a decorrere dal 1o agosto 2017; 
   aderendo alla suddetta procedura il contribuente pagherà, pertanto, solo le somme iscritte a ruolo a titolo di capitale, di interessi legali e di remunerazione del servizio di riscossione, con uno sconto su quanto dovuto che si aggirerebbe intorno al trenta per cento: una serie di condizioni e limiti ne minano, però, l'appetibilità come quella di un piano di rientro integrale a fronte di un numero esiguo di rate che rende conveniente l'adesione solo per coloro che non hanno problemi di liquidità;
   la definizione agevolata, o «rottamazione», è consentita anche a chi ha già avuto accordati da Equitalia piani di rateizzazione o per chi ne era già decaduto prima dell'entrata in vigore del decreto-legge, purché rinunci ai precedenti piani dilazionatori e sia in regola con i pagamenti delle relative rate fino al 31 dicembre 2016;
   nella stessa «rottamazioni», rientrano anche le multe ai sensi del codice della strada e le altre cartelle che derivano da ingiunzioni di pagamento, cioè da atti amministrativi che non discendono dall'attività di Equitalia ma di quei concessionari dei quali si sono avvalsi gli enti locali per la riscossione dei loro tributi;
   l'istanza contenente la dichiarazione da parte del contribuente di volersi avvale della suddetta definizione agevolata dovrà essere presentata o integrata entro il 31 marzo 2017;
   quante siano le istanze di adesione alla definizione agevolata presentate alla data odierna, aggregate per provincia e tipologia di debito. (5-10316)


   BARBANTI e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ampliato perimetro di applicazione della disciplina sulle cosiddette controlled foreign companies ha determinato un incremento venti volte superiore al precedente del prelievo lordo gravante sui dividendi provenienti dalle società controllate estere, sia pur accompagnato dal credito d'imposta «indiretto» per le imposte eventualmente assolte all'estero dalla società controllata;
   la norma ha finito per distorcere il suo stesso scopo originario, colpendo anche coloro che operano e investono realmente in Stati o territori con situazioni economiche più arretrate o svantaggiate;
   operando in territori economicamente «depressi» o in via di sviluppo è, infatti, frequente che vengano offerti incentivi all'insediamento industriale sotto forma di tax-holiday o di riduzioni d'imposta temporanee, condizionate però all'esecuzione di investimenti e/o all'incremento occupazionale;
   la formulazione dell'articolo 167, comma 4, del TUIR e delle relative esimenti – quantomeno così come sinora interpretate dall'amministrazione finanziaria – vanifica però il sacrificio in termini di gettito dello Stato estero, venendo lo stesso acquisito dall'erario italiano qualora il vertice della catena di controllo risulti radicato in Italia: ciò può verificarsi immediatamente o, successivamente, al momento della distribuzione degli utili; si consideri, peraltro, che, ove il medesimo incentivo dello Stato estero non fosse concesso in termini di esenzione temporanea del reddito o di riduzioni di aliquota, bensì in termini di contributi in conto impianti, oppure in conto personale assunto, il regime di «insediamento incentivato» non rientrerebbe più tra quelli che sono considerati «speciali» in base al citato comma 4 dell'articolo 167, creandosi così un'ingiustificata discriminazione fiscale tra coloro che fruiscono di incentivi all'insediamento in territori «depressi» o in Paesi in via di sviluppo a seconda della forma tecnica utilizzata dallo Stato estero per la relativa erogazione;
   una lettura restrittiva della norma porterebbe a colpire, non solo i dividendi corrispondenti agli utili prodotti dal periodo d'imposta 2015, ma anche quelli corrispondenti agli utili indivisi realizzati negli anni precedenti, in Paesi al tempo pacificamente « white list», utili che, pertanto, ben più difficilmente verranno riportati in Italia, privilegiandone magari il reinvestimento sui mercati esteri –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per individuare adeguati «correttivi» alle sopraesposte distorsioni applicative della norma e come intenda chiarire che il prelievo integrale sui dividendi debba gravare sulle sole distribuzioni operate avendo riguardo ai dividendi rivenienti da utili prodotti dalle società controllate solo a partire dal periodo d'imposta 2015.
(5-10317)


   VILLAROSA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ammontare di capitale «precauzionale» che una anca può chiedere allo Stato è quello necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che deriva dallo scenario avverso di una prova di stress; nel caso della Banca Monte dei Paschi di Siena tale fabbisogno è stato valutato dalla BCE in 8,8 miliardi di euro e reso pubblico dall'EBA
   il Ministro interrogato, durante le audizioni sulla «materia della tutela del risparmio nel settore creditizio» del 12 gennaio 2017 ha affermato che: «Le autorità di vigilanza europea per effettuare la valutazione delle banche nell'ambito degli stress test europei utilizzano parametri differenti da Banca a Banca»;
   queste valutazioni «arbitrarie» rischiano di causare la risoluzione degli istituti bancari interessati dai test;
   ulteriori disposizioni disciplinano i limiti e le condizioni che devono essere rispettati nell'adozione delle misure di «burden sharing») tra queste, in particolare, va segnalato il rispetto del principio secondo cui il sacrificio imposto a creditori e azionisti non può essere maggiore di quello che sarebbe loro imposto in uno scenario ipotetico di liquidazione (cosiddetto « no creditor worse-off»);
   gli interroganti sono in possesso di una perizia che valuta l'eventuale impatto di una liquidazione della Cassa di risparmio di Ferrara (perizia Laghi): la stessa valuta come «minore» il sacrifico che avrebbero sopportato i creditori della banca stessa colpiti dall'azzeramento dei titoli in loro possesso a causa dell'emanazione del decreto-legge n. 183 del 2015, che ha messo in risoluzione, oltre a Cariferrara, anche Banca Marche, Carichieti e Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio;
   in data 17 gennaio 2017, il dottor Carmelo Barbagallo, «capo del dipartimento della vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia», audito presso le Commissioni riunite finanze di Camera e Senato, a una domanda in merito all'esistenza di tali perizie, ha risposto di presumere che ci fossero;
   è inaccettabile che una questione delicata venga affrontata dalle autorità proposte in modo così superficiale –:
   se risulti al Ministro interrogato che per la valutazione delle banche italiane che hanno partecipato agli stress test siano stati utilizzati parametri differenti, con indicazione ed esibizione in ogni caso della documentazione ufficiale contenente i dati, indici e/o i parametri utilizzati dalle autorità di vigilanza per valutare gli «scenari avversi» delle banche Intesa San Paolo, UBI, Banco Popolare, Unicredit ed MPS e le banche Commerzbank, Deutsch Bank, Bayerische Landesbank e Norddeutsche Landesbank, nonché delle perizie effettuate sulle 4 banche messe in risoluzione dal Governo in data 22 novembre 2015 e sulla banca MPS. (5-10318)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT, D'OTTAVIO, PATRIARCA, ROSSOMANDO, BONOMO e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia è una società del gruppo Ferrovie dello Stato partecipato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   nel 2015 il Gruppo Ferrovie dello Stato ha chiuso il bilancio con un utile netto di 137 milioni di euro e ha conseguito ricavi per 7,881 miliardi di euro;
   secondo organi di stampa dal mese di febbraio 2017 Trenitalia introdurrà, per la tratta Torino-Milano ad alta velocità, aumenti degli abbonamenti fino al 35 per cento del prezzo precedente;
   tali aumenti colpiscono in particolare chi usa il treno prima delle 9 di mattina e dopo le 17 del pomeriggio e, conseguentemente, i cosiddetti «pendolari»: una utenza quindi che deve spostarsi per motivi di lavoro o di studio. Per questa categoria di passeggeri il prezzo mensile di abbonamento passerà da 340 euro a 408 euro (se utilizzato al lunedì al venerdì) e 459 euro (se utilizzato per sette giorni alla settimana);
   si tratta di un rincaro enorme se si considera che il prezzo dell'abbonamento era fissato, a giugno 2015, a 295 euro;
   la decisione di Trenitalia di introdurre quattro tipologie di abbonamenti, oltre a penalizzare soprattutto i pendolari, causerebbe anche gravi problematiche per la prenotazione dei posti nei convogli;
   i pendolari dell'alta velocità sono oggetto, da anni, di comportamenti scorretti da parte delle società ferroviarie; comportamenti che hanno indotto la stessa Autorità di regolazione dei trasporti ad approvare, dopo un ampia concertazione con l'utenza interessata, misure minime di garanzia, con l'obiettivo di salvaguardare i diritti anche dei passeggeri con abbonamenti a «libero mercato» che non usufruiscono quindi dei «servizi gravati da obbligo di servizio pubblico»;
   la notizia degli aumenti degli abbonamenti ha allarmato i numerosi pendolari che utilizzano la tratta Torino-Milano, mentre le associazioni di consumatori hanno già annunciato iniziative di protesta;
   il presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino ha inviato una lettera a Trenitalia chiedendo di rinunciare agli aumenti previsti considerati «fuori da qualsiasi ragione economica e anche di buon senso». «Sapevamo solo che avrebbero diversificato gli, abbonamenti – ha dichiarato lo stesso Chiamparino –, differenziando fra i 5 e i 7 giorni. Ma non eravamo certo stati avvisati di questi aumenti spropositati. Evidentemente l'obiettivo è quello di disincentivare i pendolari. Perché un aumento del 35 per cento del settimanale, e del 20 per cento del lunedì – venerdì, non può che voler dire tenere lontani i pendolari dal Frecciarossa» –:
   se quanto esposto in premessa relativamente agli aumenti stabiliti da Trenitalia per gli abbonamenti in determinate fasce orarie sulla tratta ad alta velocità Torino-Milano, corrisponda al vero e conseguentemente quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interrogati al fine di evitare che la fascia di utenza dei pendolari venga penalizzata da tali rincari. (5-10305)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la segreteria regionale Sardegna della Federazione nazionale UGL polizia penitenziaria, rappresentata dal reggente regionale dottore Salvatore Argiolas, con note del 14 ottobre 2016 e del 7 gennaio 2017 ha chiesto al provveditore dell'amministrazione penitenziaria della regione, dottore Maurizio Veneziano, di voler inoltrare alla Federazione nazionale UGL polizia penitenziaria, articolazione della Confederazione UGL (Unione generale del lavoro), le comunicazioni di carattere sindacale che riguardano il Corpo di polizia penitenziaria; 
   il provveditore, che ha il dovere di attenersi ai principi costituzionali di buona amministrazione, con nota n. 382/S.R.S. dell'11 gennaio 2017, riscontrate le richieste del sindacato, avrebbe risposto, a quanto consta all'interrogante, che, qualora vi fossero state comunicazioni di interesse anche per una sigla sindacale non rappresentativa si sarebbe provveduto ad inoltrargliele;
   l'organizzazione sindacale UGL polizia penitenziaria, a quanto risulta all'interrogante, visto l'orientamento restrittivo del provveditore veneziano, avrebbe diffidato il dirigente generale di cui sopra;
   l'articolo 5 dell'accordo nazionale quadro sottoscritto tra l'amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali prevede quanto segue: «L'Amministrazione assicura alle organizzazioni sindacali una costante e tempestiva informazione su tutte le questioni che possano interessare il personale di polizia penitenziaria, e consegna mensilmente a ciascuna organizzazione sindacale l'elenco nominativo dei propri iscritti. Analoga informazione è fornita dai responsabili degli uffici, istituti penitenziari e servizi periferici»;
   lo stesso accordo nazionale quadro, all'articolo 2, statuisce che il sistema delle relazioni sindacali, nel rispetto delle distinzioni delle responsabilità dell'amministrazione e delle organizzazioni sindacali, è incentrato sul rafforzamento del confronto su tutte le tematiche di comune interesse, nella convinzione che tale metodologia sia la più idonea a risolvere i problemi e a garantire il miglioramento della qualità dei servizi;
   tali disposizioni, non fanno alcuna distinzione tra le organizzazioni sindacali rappresentative e quelle non rappresentative. Infatti, da un'attenta lettura dell'accordo quadro in questione, si evince in modo chiaro, la parte normativa riservata alle organizzazioni sindacali rappresentative e quella invece riferita in toto a tutte le organizzazioni sindacali indipendentemente dal loro status;
   la libertà sindacale, per ovvie ragioni, non è disciplinata dai contratti collettivi, dalle circolari o da accordi di affiliazione tra le organizzazioni sindacali, ma il punto chiave della disciplina del diritto sindacale è rappresentato unicamente dalla Costituzione, la norma cardine per quanto attiene al fenomeno associativo;
   l'articolo 39 della Costituzione, al primo comma, sancisce un principio fondamentale: la libertà, e quindi la pluralità, sindacale come fondamento delle relazioni industriali. Tale disposizione è immediatamente precettiva, vale a dire che opera nei rapporti intersoggettivi tra privati, senza che si renda necessaria una legge ordinaria di attuazione;
   tale libertà assume una sua specificità, nel senso che il «fine sindacale» è tipizzato come lecito e che pertanto la libertà sindacale è, sotto questo aspetto, assoluta;
   presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ed in particolare presso il provveditorato dell'amministrazione penitenziaria per la Sardegna, diverse organizzazioni sindacali non rappresentative, nello svolgimento dell'attività sindacale, registrano, quotidianamente, la lesione degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 39 (principio della libertà sindacale) della Costituzione, attuati dalla legge 300 del 1970;
   il Consiglio di Stato, senza fare alcuna distinzione tra sindacati affiliati e non, ad esempio, ha voluto affermare che «a qualsiasi sindacato, anche se non compreso tra le associazioni più rappresentative, deve essere riconosciuto il diritto di informazione»;
   il collegio, ha chiarito che «il diritto di informazione non può essere plausibilmente negato a qualsiasi sindacato legittimamente costituito e riconosciuto che ne faccia richiesta» e «a prescindere dal concorso alla formazione di contratti nazionali»;
   l'ufficio relazioni sindacali del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha formalmente chiarito che il diritto ad interloquire ed accordare domande di incontri su materie di interesse del personale di polizia penitenziaria, nonché riscontrare formali richieste di notizie, rientra nel principio di libertà sindacale;
   il diverso orientamento, tuttavia, tra dirigenti della stessa amministrazione, registra un sistema non coerente ed unitario nella tutela dei diritti sindacali e nell'esercizio dell'azione amministrativa;
   risulta inoltre all'interrogante che la Federazione nazionale UGL polizia penitenziaria sarebbe stata anche costretta a diffidare il Ministero della giustizia per le continue lesioni al principio di libertà sindacale –:
   se, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato di cui sopra, il Ministro interrogato ritenga di dover dare indicazioni univoche e urgenti ai vertici dell'amministrazione penitenziaria per garantire il diritto costituzionale all'informazione sindacale a tutte le organizzazioni sindacali del Corpo di polizia penitenziaria, indipendentemente dalla maggiore rappresentatività e da eventuali patti affiliativi.
(2-01602) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è emersa in questi ultimi tempi una sempre più preoccupante carenza dell'organico dei magistrati in servizio presso il tribunale di Rovigo;
   la situazione attuale obbliga a rinvii di parecchi mesi e l'impedimento della celebrazione di molti processi: alcune udienze sono già slittate sino a novembre di quest'anno;
   un recente decreto del Ministero, nel corso del 2016, aveva già assegnato alla sede di Rovigo tre nuovi magistrati, ma questo stesso decreto risulterebbe attualmente ancora al vaglio della Corte dei conti;
   sono palesi i primi segnali di rallentamento dei lavori del tribunale di Rovigo: dall'inizio del nuovo anno non sono più presenti nell'organico il presidente uscente, per motivi di raggiunta quiescenza, e altri due giudici trasferiti ad altra sede;
   è utile ricordare che il tribunale di Rovigo, dal 2013, ha assorbito le sedi di Adria e di Este, aumentando la propria area di competenza in modo significativo al Basso Polesine e alla Bassa Padovana;
   si confida nella possibilità che l'amministrazione dello Stato provveda in tempi brevi a coprire le carenze di organico –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda adottare per promuovere un potenziamento della pianta organica del tribunale di Rovigo, al fine di riequilibrare e garantire l'organizzazione e l'amministrazione della giustizia nel territorio polesano e veneto. (3-02710)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del mese di gennaio 2017 i Carabinieri nell'ambito di una operazione denominata «Gargano» hanno sgominato una banda dedita a rubare merce nelle aziende di stoccaggio in territorio marchigiano;
   con un'operazione mirata condotta fra l'autostrada A14 e la strada statale 76, i carabinieri di Osimo, Ancona e Jesi sono riusciti a bloccare in flagranza di reato una banda di pregiudicati che aveva appena messo a segno un furto in un'azienda jesina e che nei mesi scorsi aveva colpito, secondo gli inquirenti, almeno altre sette volte in altrettante aziende a Loreto, Castelfidardo, Osimo, e alla Baraccola di Ancona;
   otto componenti della banda, provenienti dalla Puglia, sono stati arrestati mentre una nona persona è riuscita a fuggire scavalcando la recinzione dell'autostrada facendo perdere le tracce;
   nel corso della udienza di convalida tenutasi presso il tribunale di Ancona, gli arrestati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e mentre il pubblico ministero aveva chiesto per tutti la misura di custodia cautelare in carcere, il giudice ha disposto la scarcerazione, stabilendo per coloro che non avevano precedenti penali una misura non custodiale e per gli altri componenti della banda gli arresti domiciliari;
   tale notizia ha destato sconcerto nella pubblica opinione in un territorio che per mesi è stato oggetto delle razzie di suddetto gruppo criminale;
   va ricordato che per sgominare tale banda, l'Arma dei carabinieri ha svolto mesi di indagini con intercettazioni e appostamenti e che tale lavoro rischia di essere così vanificato –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga opportuno, in base a quanto riportato in premessa, verificare l'opportunità di assumere iniziative per modificare la disciplina vigente ove fossero riscontrati alcuni limiti dell'attuale quadro normativo in materia di custodia cautelare al fine di evitare il ripetersi di simili situazioni, in quanto va posta la massima attenzione, a tutela dei territori e delle comunità interessate, sulla pericolosità dei soggetti criminali e sul rischio del ripetersi di gravi reati. (5-10303)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 settembre 2016 gli spagnoli del gruppo Abertis hanno completato l'acquisizione dell'A4 holding s.p.a. e dell'autostrada Brescia-Padova da questa controllata. Il gruppo spagnolo ha quindi assunto il controllo della società con l'acquisizione del 51 per cento delle quote di Banca Intesa, di Astaldi e della famiglia Tabacchi (per un valore di 595 milioni di euro);
   sulla vicenda va innanzitutto ricordata l'intesa raggiunta dalle autorità italiane a conclusione di una procedura di infrazione ex articolo 226 del Trattato CE (procedura n. 4378/2006). In risposta a tale procedura di infrazione, attivata per l'indebita proroga della concessione dell'autostrada Brescia Padova, il 9 luglio 2007 Anas e la società Brescia Verona Vicenza Padova s.p.a. hanno sottoscritto una convenzione unica novativa di tutti i precedenti rapporti;
   l'articolo 4 di tale convenzione stabilisce che «in funzione della realizzazione della Valdastico Nord, la scadenza della concessione è fissata al 31 dicembre 2026. In caso di mancata approvazione del progetto definitivo relativo alla realizzazione della Valdastico nord entro il 30 giugno 2013, verranno conseguentemente definiti dalle Parti, nei 6 mesi successivi, gli effetti sul Piano economico finanziario e sulla Concessione»;
   anche le parti che in data 10 maggio 2016 hanno sottoscritto l'accordo preliminare di cessione della società che ha in gestione l'autostrada Brescia-Padova al gruppo Abertis (accordo propedeutico all'operazione dell'8 settembre 2016), hanno stabilito che la cessione definitiva doveva essere subordinata all'assunzione dell'impegno di realizzazione di un corridoio stradale di collegamento tra la Valdastico, la Valsugana e la Valle dell'Adige;
   nella seduta del 10 agosto 2016, il Cipe ha espresso parere favorevole sull'aggiornamento del piano economico finanziario della concessionaria autostradale Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova s.p.a. limitandosi unicamente a prendere formalmente atto dell'avvio della procedura per il completamento della Valdastico nord verso Trento senza approvazione di alcun progetto definitivo come disposto invece dal citato articolo 4 della convenzione Brescia-Padova;
   tale atto invece è stato considerato idoneo ad integrare i requisiti previsti al punto 4.2 della convenzione e dunque a prorogare la scadenza della concessione autostradale al 2026, condizione pretesa dal gruppo Abertis per il perfezionamento dell'acquisizione;
   non risulta ancora avvenuta l'approvazione di un progetto definitivo, ma solo un'intesa siglata il 14 gennaio 2017 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Veneto e provincia autonoma di Trento –:
   se la procedura sopra descritta sia idonea a soddisfare quanto richiesto dal punto 4.2 della convenzione stipulata tra Anas e la società Brescia Verona Vicenza Padova s.p.a.;
   se la delibera del Cipe del 10 agosto 2016 sia sufficiente a consentire l'attuazione della convenzione che stabiliva la necessità di approvazione del progetto definitivo per la realizzazione della Valdastico nord entro il 30 giugno 2013.
(5-10300)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 gennaio 2017 la Protezione civile ha emanato un'allerta meteo per le precipitazioni nevose in Puglia con forti raffiche di vento e abbassamento delle temperature previste già per giorno 5 gennaio. Le allerte meteo della Protezione civile si sono ripetute nei giorni successivi;
   nelle date 6, 7 e 8 gennaio 2017 in Puglia sono state interdette al traffico la strada statale 96 tra Altamura e Bari, la strada statale 100 tra Gioia del Colle e Massafra, la strada statale 7 al confine tra le province di Taranto e Matera a causa delle abbondanti nevicate. Problemi di circolazione anche sulle strade del Gargano e del Salento: si sono ghiacciate la 101 Lecce-Gallipoli, nel tratto da Nardò fino a Taviano, sulla strada statale 613, Lecce-Brindisi, e sulla strada statale 16 Lecce-Maglie. Tali situazioni hanno causato notevoli disagi alla cittadinanza;
   da fonte stampa del Quotidiano di Puglia del 9 gennaio 2016 si apprende che sia treni che bus hanno viaggiato a singhiozzo con il 70-80 per cento delle corse cancellate e nel caso di Ferrovie sud est, le cancellazioni sono avvenute senza alcun preavviso, creando forte disappunto tra i pendolari. Sul sito web di Ferrovie sud est, mancano comunicazioni puntuali in merito ai disservizi causati dalle avverse condizioni climatiche;
   la regione Puglia è notoriamente una regione non preparata alle emergenze di questo genere; seppur esse siano state ampiamente anticipate dalle comunicazioni istituzionali, tuttavia sono mancati provvedimenti concreti e informazioni puntuali atti a diminuire i disagi per la cittadinanza –:
   quali siano le motivazioni per cui non sono state adottate misure preventive come lo spargimento di sale sulle strade statali e sulle strade di competenza dell'Anas in Puglia;
   quali siano le motivazioni che hanno impedito un immediato spiegamento di mezzi spazzaneve sulle strade statali e sulle strade di competenza dell'Anas in Puglia;
   quali siano le motivazioni per cui Ferrovie Sud Est non ha fornito informazioni utili sulle corse ferroviarie cancellate ovvero sui ritardi delle partenze e degli arrivi, creando ulteriore disagio alla cittadinanza. (5-10301)


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto «Segnali 2016 – verso una mobilità pulita e intelligente», elaborato dall'Agenzia europea per l'ambiente, i trasporti sono responsabili di circa un terzo del consumo finale complessivo di energia nei Paesi europei e di più di un quinto delle emissioni di gas serra, nonché di una parte considerevole dell'inquinamento atmosferico;
    più precisamente il settore dei trasporti nell'Unione europea, contando anche le emissioni dovute ai trasporti aerei e marittimi internazionali, è responsabile del 24 per cento del totale delle emissioni di gas serra. Il nuovo libro bianco sui trasporti impone agli Stati membri dell'Unione europea di ridurre le emissioni di gas serra nel settore dei trasporti del 60 per cento entro il 2050, prendendo come termine di paragone i livelli del 1990. Dato che le emissioni di fatto sono aumentate del 27 per cento tra il 1990 e il 2009, tutti i Paesi dell'Unione europea devono effettuare quindi una riduzione complessiva del 68 per cento tra il 2009 e il 2050;
   a tal proposito, come si evince da un articolo pubblicato da Greenreport.it il 17 gennaio 2017, i veicoli elettrici alimentati con energia da fonti rinnovabili sono in grado di ridurre le future emissioni sia di gas serra, che di inquinanti atmosferici provenienti dal trasporto su strada. L'introduzione massiccia di auto alimentate da fonti di energia rinnovabile permetterebbe di raggiungere l'obiettivo di diminuire i gas ad effetto serra dell'80-95 per cento entro il 2050 e, al contempo, ridurre l'inquinamento atmosferico, a fronte di una maggiore domanda di energia in Europa;
   il consumo totale di elettricità in Europa dei veicoli elettrici aumenterà da circa 0,03 per cento nel 2014 al 9,5 per cento nel 2050;
   l'Italia rimane in ritardo sul fronte delle auto elettriche: solo lo 0,1 per cento dei veicoli immatricolati nel 2016 è dotato di una simile motorizzazione, dato che è addirittura in calo rispetto al 2015. Un ruolo importante all'interno di una performance così negativa è rivestito da un'infrastruttura per la ricarica inadeguata allo sviluppo della mobilità elettrica;
   come denunciato da una relazione della Corte dei conti citata sulla stampa nazionale nei primi giorni del 2017 e richiamata anche da un articolo del quotidiano la Repubblica del 2 gennaio 2017, sono stati spesi appena 6.286,28 euro su 50 milioni stanziati dal 2013 al 2015 per la realizzazione dei punti di ricarica per le auto elettriche. La stessa Corte dei conti raccomanda al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di «accelerare al massimo» sulla realizzazione dell'infrastruttura di ricarica e di puntare sulle centraline di tipo « fast» che permettono di ricaricare in trenta minuti, monitorando poi «l'avanzamento dei progetti appena avviati e di dare impulso all'impiego delle risorse stanziate nel Bilancio dello Stato ma non ancora concretamente utilizzate» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione evidenziata in precedenza e se quanto riportato corrisponda al vero;
   se non intenda, per quanto di competenza, implementare lo sviluppo della mobilità elettrica, assumendo iniziative per aumentare l'infrastruttura di ricarica a disposizione degli utenti e fornire un aggiornamento del monitoraggio sulle colonnine di ricarica installate nel Paese. (5-10304)


   SANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Società Autostrada Tirrenica spa (Sat) ha come oggetto sociale esclusivo la promozione, progettazione e costruzione di un'autostrada a pedaggio tra Civitavecchia (Roma) e Rosignano (Livorno);
   il completamento del corridoio tirrenico autostradale (denominato «A12») rappresenta un intervento strategico di preminente interesse nazionale e comunitario;
   nel 2013 è stato approvato il progetto definitivo del tracciato con l'obiettivo di iniziare i lavori, con il progetto esecutivo, nel 2017;
   all'interno del tracciato riveste particolare importanza il tratto fra Grosseto Sud e Ansedonia (lotti 4 e 5B) presenti sul territorio della regione Toscana;
   sul progetto Sat, sul quale è attualmente in corso il procedimento di valutazione di impatto ambientale, la giunta regionale della Toscana ha già espresso il proprio parere raccomandando indicazioni progettuali specifiche;
   l'attuale progetto di Sat, che per lunghi tratti prevede l'ammodernamento dell'attuate strada statale Aurelia, è oggetto da anni di critiche da parte degli enti locali territoriali, delle categorie produttive e delle associazioni ecologiste che hanno denunciato con forza le gravi conseguenze economiche, sociali e ambientali che l'opera comporterebbe sul territorio;
   in particolare, il nuovo tracciato causerebbe, tra l'altro, le seguenti criticità:
    a) la mancanza di una reale ed efficace viabilità alternativa locale ad oggi non presente sull'area che verrebbe aggravata dalla carenza, nel progetto Sat, di adeguati accessi alla nuova autostrada;
    b) la continuità produttiva e l'esistenza stessa di insediamenti industriali e commerciali presenti lungo l'asse progettuale ipotizzata;
    c) l'eccessiva vicinanza di assi viari ed opere accessorie a centri abitati già esistenti;
    d) la penalizzazione, con l'entrata in vigore del pedaggio, soprattutto dei cittadini residenti nell'area che devono raggiungere i centri maggiori o il capoluogo di provincia, dal momento che non è presente una rete viaria complementare o alternativa;
    e) la compromissione della vocazione ambientale, agricola e ricettiva dell'intera zona, oltre a gravi rischi per l'assetto idrogeologico del territorio già colpito duramente da calamità naturali negli scorsi anni;
   nei giorni scorsi il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Riccardo Nencini ha dichiarato che l'autostrada tirrenica ha un valore prioritario per la viabilità del Centro Italia ed ha annunciato la conferenza di servizi sull'opera entro il mese di gennaio 2017. Riccardo Nencini ha inoltre rimarcato che il tratto sarà terminato entro il 2021;
   tali affermazioni hanno suscitato forte preoccupazione dal momento che un'accelerazione dei lavori implicherebbe inevitabilmente l'assunzione quasi totale del progetto Sat del 2013;
   la progettazione proposta sui lotti 4 e 5B presenta eccessive criticità su molteplici aspetti, tant’è che sorge il dubbio sulle reali intenzioni di Sat di realizzare l'opera, in quanto si accentuano, invece di risolvere, questioni su cui è nota una spiccata sensibilità delle popolazioni interessate: scarso rispetto ambientale e paesaggistico; pessima viabilità secondaria con la sostanziale assenza di complanari; aggravamento del traffico su tutta la rete ordinaria e i conseguenti effetti sui residenti, costretti a usare la viabilità autostradale e il costo (elevato) del pedaggio. Da considerare anche i danni cui andrebbe incontro un vasto il tessuto imprenditoriale investito direttamente dalla realizzazione del tracciato;
   il progetto proposto, quindi, oltre a non rispondere alle esigenze di competitività e sviluppo del territorio, scarica insostenibilmente i costi del pedaggio sulle comunità locali e compromette l'equilibrio sociale, economico ed ambientale –:
   se il progetto esecutivo dei lotti 4 e 5B citati in premessa terrà conto delle indicazioni progettuali espresse dalla giunta regionale della Toscana e delle necessità motivate dagli enti locali territoriali e dal vasto ed articolato tessuto produttivo, sociale, economico ed associazionistico locale. (5-10306)


   BRUNO BOSSIO, BATTAGLIA, STUMPO, MAGORNO, CENSORE, OLIVERIO, AIELLO e BARBANTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi sulla stampa locale della Calabria (Il Quotidiano della Calabria e La Gazzetta del Sud) sono apparsi una serie di articoli riportanti la presunta volontà del Governo di nominare l'avvocato Alberto Rossi per la presidenza dell'autorità di sistema portuale del Tirreno meridionale e dello Stretto con sede a Gioia Tauro e con uffici decentrati nei due porti di Messina e Milazzo e in altri scali calabresi;
   in base a quanto previsto dalla riforma del sistema portuale approvata in questa legislatura la nomina dei presidenti delle nuove autorità portuali è effettuata dal Ministro competente d'intesa con i presidenti delle regioni interessate;
   l'avvocato Rossi, non solo proviene da un territorio non certo «alleato» delle potenzialità di traffico della infrastruttura di Gioia Tauro ma soprattutto, professionalmente, è tuttora l'avvocato di Aponte, che in Mct detiene il 50 per cento delle quote societarie e garantisce con le sue navi quasi il 97 per cento dei volumi movimentati negli ultimi anni;
   di fronte a questo configurabile conflitto di interesse ci si chiede come si porrebbe suddetta nomina anche rispetto alla presenza di Contship Italia;
   il sistema portuale di Gioia Tauro, fondamentale porta d'accesso in Europa e rilevante risorsa strategica nel cuore del Mediterraneo, purtroppo continua a fare i conti con il grave stato di crisi in cui versa –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali siano i suoi intendimenti circa il futuro della nuova autorità portuale anche in riferimento alla sua guida;
   se si intenda realmente coinvolgere, come previsto dalla normativa, i governi regionali e se non ritenga inopportuna la nomina dell'avvocato Rossi, alla luce di quello che appare agli interroganti un evidente conflitto di interessi che lo caratterizza. (5-10307)


   DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 12 gennaio 2017 l'Agenzia per la protezione dell'ambiente americana ha notificato a Fca violazioni del Clear Air Act, per aver montato, senza averlo dichiarato, su circa 104.000 vetture il software che consente emissioni diesel più alte degli standard;
   analoga accusa era stata mossa nei confronti del gruppo Volkswagen già condannato e costretto a versare, negli Stati Uniti, 10,03 miliardi per coprire i costi legali e i risarcimenti legati ai ricorsi dei proprietari dei veicoli coinvolti nello scandalo, fino a 2,7 miliardi per un fondo ambientale e altri 2 miliardi per promuovere la tecnologia per veicoli a zero emissioni;
   a seguito dello scandalo Volkswagen, che ha coinvolto solo in Italia oltre settecentomila veicoli, il Parlamento europeo inviava nel luglio 2016 una richiesta al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per ottenere informazioni circa i test che l'autorità di omologazione italiana aveva condotto su alcuni veicoli per testare l'esistenza di anomalie nelle emissioni delle vetture diesel euro 5;
   il rapporto inviato dal Ministero risulta incompleto e parziale, così come confermato anche dalla responsabile delle attività sulle emissioni dei veicoli dell'Istituto Motori del Cnr: non sono stati testati i veicoli euro 6; i modelli Fiat sono stati testati direttamente nei laboratori Fca di Torino destando quindi evidenti perplessità in merito alla terzietà e alla veridicità dei risultati; nelle prove su pista sono state testate solo quattro vetture italiane sulle quindici iniziali; non è stato studiato, a differenza di quanto fatto per tutte le altre case produttrici, il rapporto tra temperatura esterna e percentuale di attivazione del dispositivo EGR (una tecnologia per abbattere gli ossidi di azoto); nell'analisi dei dati che mostrano il rapporto tra i test effettuati a caldo e freddo, e tra quelli inverso e freddo, non sono stati riportati i dati relativi all'Alfa Romeo 1.6, alla Lancia Y e alla Jeep Cherokee, ovvero alle vetture che risulterebbero aver registrato i valori più alti nel comportamento emissivo;
   di fronte alle imputazioni tedesche che accusano le autorità italiane di essere al corrente dell'utilizzo da parte di Fca di dispositivi di spegnimento illegali, il Ministro interrogato negando l'esistenza di device illegali nei modelli diesel di altre case oltre a Volkswagen, ha chiesto alla Germania di fidarsi dei risultati delle indagini condotte così come è stato fatto dal Governo italiano;
   se il Ministro è convinto dell'attendibilità dei dati, risulta inspiegabile la richiesta di fiducia avanzata alla Germania –:
   se intenda confermare la completezza e terzietà del rapporto di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché venga tutelato il diritto alla salute dei cittadini, anche attraverso delle azioni legali, al pari di quanto fatto dal Governo statunitense, al fine di ottenere un congruo risarcimento da parte delle case produttrici di cui in parola. (5-10308)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, CIPRINI e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli intensi eventi sismici che hanno interessato il centro Italia nei mesi di agosto ed ottobre 2016, hanno causato, come noto, oltre che la perdita di molte vite umane, danni strutturali gravissimi alle abitazioni, agli edifici pubblici e di culto e alle strade;
   ad oggi, nonostante le continue scosse, la situazione, pur ancora molto critica specie con riferimento alla predisposizione e alla consegna dei primi moduli abitativi per i numerosi sfollati, sembra sotto controllo anche grazie al lavoro incessante degli operatori della protezione civile, dei vigili del fuoco, delle istituzioni locali e dei moltissimi volontari;
   alcune significative criticità permangono tuttavia con riferimento alla transitabilità e in particolare in alcuni tratti tra Umbria e Marche dove è ancora chiusa la strada statale 685 «delle Tre Valli Umbre» (Spoleto-Norcia-Arquata del Tronto) in entrambe le direzioni tra Cerreto di Spoleto e Serravalle e tra Norcia e Arquata del Tronto, tratto, quest'ultimo, in cui risultano danneggiati anche la galleria «San Benedetto», in corrispondenza del confine regionale e cinque viadotti, tutti sul versante marchigiano con interdizione del traffico a tutti i veicoli –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro rispetto a quanto espresso in premessa circa la transitabilità delle strade tra Umbria e Marche e in quali tempi sia prevista la riapertura della strada statale 685 nei tratti ad oggi ancora chiusi, al fine di consentire il regolare svolgimento del traffico in arterie che, anche se non principali, consentono collegamenti fondamentali per gli abitanti locali. (4-15239)


   SCOTTO, FRANCO BORDO e NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 17 gennaio 2016 sono entrati in vigore gli aumenti annunciati dal gruppo Ferrovie dello Stato per gli abbonati alle linee dell'Alta velocità;
   secondo Federconsumatori, gli aumenti per i pendolari che usano tali tratte per andare al lavoro saranno di circa il 35 per cento;
   sulla linea Torino-Milano: il rincaro sarà addirittura di 119 euro: dai 340 euro di prima ai 459 attuali, mentre, sulla Roma-Napoli si passa dai 356 euro del mese scorso ai 481 per l'orario completo per 7 giorni, sulla Bologna-Firenze dai 224 euro ai 302 attuali, sulla Milano-Bologna da 417 euro a 563, sulla Firenze-Roma da 386 euro a 521;
   come ha affermato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, «Si tratta di aumenti che non appaiono in alcun modo giustificati e che daranno vita ad una vera e propria stangata per gli utenti»;
   tutto questo è ancor più grave in considerazione degli impegni assunti dal Governo nel settore del trasporto pubblico locale con l'approvazione, nel febbraio 2016, della mozione n. 1-01091 del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, che impegna a definire le politiche relative alla mobilità, mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune azioni disciplinate da norme introdotte all'epoca del Governo Prodi, nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in trazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato;
   inoltre, nel documento di economia e finanza 2016 – Programma nazionale di riforma presentato nell'aprile 2016, a pagina 41, dando seguito ai citati impegni della mozione Sinistra Italiana si legge «si sta valutando la possibilità di introdurre misure innovative per sostenere l'uso del mezzo pubblico, attraverso la detrazione fiscale degli abbonamenti e agevolazioni fiscali per le spese so tenute ai datori di lavoro a favore dei dipendenti e di loro familiari per l'utilizzo del servizi TPL» –:
   quali iniziative urgenti a carattere normativo s'intendano assumere al fine di bloccare l'aumento delle tariffe degli abbonamenti per i servizi di trasporto ferroviario di cui in premessa e assicurare la realizzazione di quanto indicato nella mozione Sinistra Italiana n. 1-01091 per sostenere e incentivare realmente l'utilizzo del trasporto pubblico da parte dei pendolari. (4-15253)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   a seguito della riduzione dei posti di guardia negli ospedali del territorio di Catania, si è registrato un aumento di episodi di violenza e aggressione nei confronti del personale di servizio (medici, infermieri e operatori sanitari) come riportato dalle cronache giornalistiche locali e nazionali;
   in data 1o gennaio 2017 si è verificato, in orario notturno, un violento pestaggio di un medico del pronto soccorso dell'ospedale Vittorio Emanuele di Catania;
   a seguito degli avvenimenti citati si ritiene necessario che il prefetto di Catania convochi celermente il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per stabilire insieme al questore, al sindaco e a tutti i vertici delle forze dell'ordine quali misure urgenti possano essere adottate per garantire sicurezza e serenità agli operatori sanitari del Vittorio Emanuele e degli altri ospedali, oltre che agli utenti;
   la mancanza di sicurezza in luoghi particolarmente sensibili come le strutture di pronto soccorso rischia di produrre una pericolosissima mancanza di serenità e lucidità nello svolgimento delle proprie mansioni da parte del personale ospedaliero –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga necessario intervenire per individuare le opportune misure di supporto per il mantenimento degli standard di sicurezza nelle strutture ospedaliere del territorio catanese.
(2-01597) «Berretta».

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dalla stampa, in particolare in un recente articolo apparso sul settimanale Settegiorni di Rho, che tra ospiti del centro di accoglienza «la Vincenziana», in via Casati 4 a Magenta, dove da luglio 2014 sarebbero alloggiati circa un centinaio di immigrati, sarebbe stato registrato un caso di Aids;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, la notizia avrebbe suscitato forti preoccupazioni e timori tra la cittadinanza, in particolare, per la possibilità di contagio di alcune donne che nei mesi scorsi avrebbero avuto libero accesso notturno al centro e avrebbero, proprio all'interno della struttura, avuto rapporti sessuali con alcuni richiedenti ivi ospitati;
   già nei mesi scorsi, il centro di accoglienza la Vincenziana è stata più volte oggetto di interesse da parte dei mezzi di comunicazione, per i già noti casi di tubercolosi verificatisi tra gli immigrati ivi ospitati e per gli scontri tra questi ultimi e le forze di polizia, costrette ad intervenire in diverse occasioni per riportare ordine nel centro;
   pertanto, se le ultime notizie riportate dalla stampa fossero confermate, riguardo a presunti casi di Aids all'interno del centro, nonché dell'accesso, nelle ore notturne, di donne al fine di avere prestazioni sessuali con gli immigrati ospiti, è palese l'estrema gravità della situazione in quanto confermerebbe che gli immigrati, a quanto consta agli interroganti, non sarebbero controllati adeguatamente da un punto di vista sanitario, non solo al loro arrivo in Italia, contrariamente allo screening medico previsto nella fase della prima accoglienza, anche ai sensi della cosiddetta Road Map e del decreto legislativo n. 142 del 2015, ma altresì successivamente, quando vengono dislocati nei vari centri di accoglienza sui territori;
   la Lombardia è la regione che ospita il numero maggiore di immigrati nei centri di accoglienza, oltre 23 mila secondo i dati del 2016, ed è altresì la regione in cui si è registrato un aumento del 32 per cento complessivo dei casi di malaria, nel quinquennio tra il 2011 e il 2015, ed un incremento rilevante di altre malattie, quali la tubercolosi o la meningite, che, sebbene da debellate negli ultimi decenni, stanno tornando a colpire la popolazione –:
   quali iniziative intenda assumere nell'immediato, al fine di predisporre tutte le necessarie verifiche sulla veridicità delle notizie giornalistiche riportate in premessa ed, in particolare, quali iniziative siano già state adottate, anche a seguito dei precedenti casi riportati dalla stampa nei mesi scorsi a proposito dello stesso centro, o intenda adottare per procedere agli opportuni e doverosi controlli della struttura La Vincenziana e della cooperativa che la gestisce; se reputi, comunque, opportuno assumere iniziative per procedere all'immediata chiusura dello stesso centro di accoglienza. (4-15247)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, DELLA VALLE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 145, della legge 13 luglio 2015, n. 107, così come modificato dall'articolo 1, comma 231, lettera a), della legge del 28 dicembre 2015, n. 208, al quale è stata data attuazione con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, dell'8 aprile 2016, statuisce un credito d'imposta corrispondente al 65 per cento delle somme destinate a titolo di donazione alle scuole statali e paritarie italiane da parte persone fisiche, enti non commerciali e imprese;
   i cittadini che decideranno di contribuire opereranno una scelta libera individuando una qualsiasi scuola, anche paritaria, del territorio nazionale a cui destinare l'erogazione liberale. Questa riceverà, in via indiretta, il 90 per cento delle somme ad essa destinate, il restante 10 per cento sarà devoluto ad un fondo perequativo che verrà ripartito agli istituti scolastici presenti sul territorio italiano che risulteranno aver ricevuto erogazioni stimate in percentuale inferiore rispetto alla media nazionale;
   l'Agenzia delle entrate, con la risoluzione del 19 dicembre 2016 n. 155/E, stabiliva il codice tributo n. 6873 per beneficiare del credito d'imposta de quo in ordine all'erogazione in denaro che si intenderanno destinare ad una o più scuole;
   a parere degli interroganti la scelta in questione, sebbene astrattamente apprezzabile, se calata nella realtà in cui versano le regioni e i territori in cui si estende il Paese, ancora fortemente diseguali e disomogenei, appare come a scelta discutibile non nelle intenzioni ma nel merito e per i criteri impiegati;
   secondo un'indagine promossa da Save the Children risalente all'anno 2012 è emerso che nel Sud e nelle isole viene registrata la più alta concentrazione di famiglie in condizioni di esclusione sociale, con un tasso di povertà minorile superiore al resto del Paese. Un'indagine dell'Ocse del 2016 certifica una netta differenza nella preparazione tra studenti del nord e del sud Italia, a svantaggio di questi ultimi;
   è agevole e ragionevole immaginare, a parere degli interroganti, che l'erogazione delle donazioni sarà localizzata nelle scuole presenti nei territori di appartenenza dei donanti; considerato che gran parte della ricchezza del Paese è concentrata al Centro-nord, si corre il rischio che le erogazioni saranno devolute soprattutto alle scuole del settentrione d'Italia, aumentando, il divario già esistente. Occorre mettere in luce che tale meccanismo potrebbe contribuire a svuotare di significato il principio di uguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, della Carta fondamentale, nonché quanto statuito dal successivo articolo 34;
   il meccanismo previsto dal comma 148 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 che stabilisce una quota perequativa del 10 per cento delle somme donate a favore delle scuole che hanno ricevuto erogazioni nel quantum inferiori alla media nazionale, non sembra essere sufficiente ad impedire il rischio che si creino ulteriormente scuole di «serie a» e di «serie b» nel Paese –:
   se il Ministro intenda, e in che modo, scongiurare il rischio che una forte sperequazione nella destinazione delle donazioni a favore degli istituti scolastici del Paese sia in grado di creare i presupposti per un'ulteriore divisione, su base geografica, del sistema scolastico nazionale, a svantaggio degli alunni, delle loro famiglie e delle opportunità formative e lavorative degli studenti residenti nelle regioni del centro sud d'Italia. (5-10298)


   LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, DELLA VALLE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 dicembre 2016, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore Stefania Giannini ha firmato il suo ultimo decreto ministeriale, n. 987, recante normativa su «Autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari»;
   in applicazione dell'articolo 8 del succitato decreto, «al fine di facilitare l'istituzione di corsi di studio direttamente riconducibili alle esigenze del mercato del lavoro, nell'ambito dei corsi di cui al comma 1, ciascun Ateneo può proporre al massimo un corso di Laurea per anno accademico, caratterizzato da un percorso formativo teorico, di laboratorio e applicato in stretta collaborazione con il mondo del lavoro»;
   in ottemperanza dei criteri sulla base dei quali vanno sviluppati tali corsi di laurea, il progetto formativo deve essere sviluppato tramite «convenzioni con imprese qualificate, ovvero loro associazioni, o ordini professionali che assicurino la realizzazione di almeno 50 CFU e non più di 60 CFU in attività di tirocinio curriculare, anche con riferimento ad attività di base e caratterizzanti»;
   oltracciò, per avere l'accreditamento, queste nuove lauree dovranno dimostrare che almeno l'80 per cento dei laureati ha trovato un lavoro ad un anno dal titolo di studio e il rispetto di tale soglia è «condizione necessaria al fine dell'accreditamento periodico del Corso stesso dall'anno accademico 2021/2022, nonché al fine dell'accreditamento iniziale di altri Corsi con le medesime caratteristiche nella stessa classe»;
   come denunciato da molta stampa del settore (vedasi, per esempio: http://www.informazionescuola.it/lauree-professionalizzanti-lultimo-regalo-delgoverno-renzi-alle-imprese/ o http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/lauree-professionalizzanti-il-colpo-di-coda-della-ministra-giannini.flc), le cosiddette «lauree professionalizzanti» rappresentano invero una ghiotta occasione per le «imprese qualificate» e per gli studi professionali di poter avvalersi per un intero anno di intere classi di studenti da impiegare, verosimilmente a titolo gratuito, in cambio della certificazione delle competenze acquisite;
   il decreto, inoltre, non dirime la questione riguardante l'identificazione del soggetto giuridico che avrà il compito di valutare che almeno l'80 per cento dei laureati abbia trovato un lavoro ad un anno dal titolo di studio e, soprattutto, sulla base di quali dati;
   le associazioni studentesche e la coordinatrice nazionale dell'Unione degli universitari, Elisa Marchetti, hanno definito il provvedimento di una «gravità inaudita» e, secondo quanto dichiarato da quest'ultima a corriereuniv.it, questo decreto rappresenta «l'ultimo colpo di coda di un Ministro che si è sempre rivelato sordo e incapace di ascoltare le istanze che arrivavano da tutta la comunità accademica ed è la dimostrazione di come il precedente Governo non abbia saputo cogliere la sconfitta elettorale e anzi abbia continuato con un atteggiamento arrogante»;
   ictu oculi, emerge da tali dichiarazioni il malcontento generale delle associazioni studentesche e del Consiglio nazionale studenti universitari che ha inoltrato richiesta esplicita al Ministro interrogato di ritirare il succitato decreto ministeriale, n. 987, e chiesto di aprire un proficuo tavolo di trattative su questi temi, come già richiesto in passato –:
   se il Ministro interrogato, date le forti perplessità sollevate dalle associazioni studentesche e delineate in premessa dagli interroganti, intenda rivedere a breve quanto disposto dal decreto ministeriale n. 987, nelle parti in cui interviene in una materia estremamente delicata come quella delle lauree professionalizzanti;
   se il Ministro intenda invertire la rotta sulla questione, assumendo iniziative per qualificare i titoli professionali alla stregua dei diplomi delle scuole tecniche e professionali del sistema d'istruzione italiano, attraverso l'opportuno aggiornamento dei curricula degli indirizzi dei trienni tecnici-professionali. (5-10311)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, COLONNESE e RIZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si evince dagli organi di stampa, ed in particolare da un video mandato in onda da La 7 durante la trasmissione televisiva «La gabbia open» dell'11 gennaio 2016, che all'Asp 1 di Agrigento sarebbe stata avanzata ai dipendenti, poco prima della scadenza dei contratti a tempo determinato, richiesta di rinunciare ad intraprendere qualsiasi azione legale nei confronti dell'azienda sanitaria, presumibilmente in cambio del rinnovo contrattuale;
   in particolare, come emerge dal video, la direzione sanitaria e la direzione amministrativa dell'ASP 1 avrebbero consegnato ai direttori di numerose strutture complesse, un modello di dichiarazione liberatoria da distribuire al personale medico, sanitario, amministrativo e del comparto, assunto a tempo determinato, allo scopo di far rinunciare ai dipendenti la cui proroga del contratto fa superare i tre quarti di tempo determinato, a qualunque azione legale tendente a stabilizzarli;
   è emerso altresì che i contratti di coloro che avrebbero firmato la liberatoria sarebbero stati prorogati, a dispetto di quelli di coloro che non sarebbero scesi a compromessi con l'azienda sanitaria;
   il caso sarà oggetto di una specifica audizione, richiesta dal gruppo parlamentare del M5S presso la VI Commissione sanità dell'Assemblea regionale siciliana, del direttore generale dell'ASP Ficarra e dell'assessore alla sanità Gucciardi per ottenere un chiarimento –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per fare chiarezza sulla vicenda;
   se non ritenga di valutare se sussistono i presupposti per promuovere un'apposita verifica ministeriale anche per il tramite del competente ispettorato del lavoro e dell'ispettorato della funzione pubblica al fine di appurare, per quanto di competenza, la conformità alla normativa vigente delle richieste avanzate dai vertici dell'Asp 1 ai dipendenti con contratto di lavori a tempo determinato. (5-10309)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANZI, CARRESCIA, LODOLINI, MAURI, NARDUOLO, ZARDINI, CARLONI, MARCHETTI, RICHETTI, MALPEZZI, LACQUANITI, RAMPI, MORANI, D'ARIENZO, MICCOLI, TINO IANNUZZI, CAROCCI, COCCIA, GADDA, FRAGOMELI, LATTUCA, D'OTTAVIO, ASCANI, MARIANO, LENZI, CINZIA MARIA FONTANA, MARRONI, PATRIARCA, VERINI, TIDEI, MAGORNO, ROSTAN e GIUDITTA PINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche settimana fa la notizia del fallimento della Tombolini Industrie, storica azienda di abbigliamento con sede ad Urbisaglia in provincia di Macerata, ma conosciuta in tutto il mondo per i suoi capi di altissimo pregio;
   la sentenza emessa dal giudice del tribunale di Macerata verte su un'istanza dell'Inps che, quale creditore dell'azienda, ha richiesto il pagamento immediato di un credito che invece, secondo i responsabili dell'azienda, era già stato rateizzato, grazie ad un accordo raggiunto con Equitalia;
   la decisione del tribunale di Macerata è stata una vera e propria sorpresa per i dirigenti della società, intenzionati a presentare un'istanza di sospensiva della sentenza, chiedendo di poter proseguire l'attività e ad impugnare il provvedimento di fallimento, in quanto secondo gli stessi, l'intervenuta rateizzazione del credito con la concessionaria Equitalia, avrebbe eliminato il presupposto della dichiarazione di fallimento e, cioè, l'esistenza di un debito scaduto;
   l'interruzione dell'attività è avvenuta nel periodo di massima produzione industriale della Tombolini, con ordini da dover consegnare, fornitori da dovere tutelare, dipendenti che rischiano il posto di lavoro e il rischio di perdita di immagine da parte di un'azienda che, da oltre 50 anni, opera nel settore dell'abbigliamento ed è conosciuta in tutto il mondo per i suoi prodotti raffinati e pregiati;
   forti sono le preoccupazioni soprattutto per le sorti dei circa 150 lavoratori che da anni lavorano per lo storico marchio marchigiano e che già stanno vivendo momenti duri e difficili, a causa dei recenti eventi sismici che, in molti casi, hanno danneggiato o distrutto le loro abitazioni e colpito le loro famiglie;
   grande sensibilità per le sorti dei lavoratori e collaborazione è stata dimostrata dalle istituzioni locali e regionali che, insieme alle sigle sindacali interessate, pur nel rispetto dell’iter che la legge prevede in questi casi, condividono la necessità che l'azienda riprenda quanto prima a lavorare, sia per dare respiro ai dipendenti e sia per permettere alla stessa di soddisfare le richieste dei fornitori e dei clienti –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, alla luce dei fatti descritti, pur nel rispetto dell’iter giudiziario in corso, per addivenire ad un epilogo positivo della vicenda e salvaguardare le sorti dei lavoratori, spesso appartenenti a famiglie terremotate e degli attori a vario titolo coinvolti nella crisi della Tombolini Industrie. (4-15248)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle eccezionali condizioni meteorologiche che si sono abbattute sul nostro Paese nei giorni scorsi, la Sicilia ha subito forti nevicate ed eccezionali gelate, anche a quote molto basse;
   anche a causa della scarsissima consuetudine a fronteggiare condizioni meteorologiche tanto pesanti che a quelle latitudini ed in quella forma si presentano molto raramente, tali avverse condizioni atmosferiche, oltre a provocare enormi disagi alla popolazione, hanno provocato danni cospicui agli impianti, alle produzioni ed alle strutture di numerosi imprenditori agricoli che conducono le loro aziende in forma singola o associata;
   oltre alle conseguenze prodottesi nelle zone di montagna per le aziende zootecniche, relativamente ai pascoli ed alle riserve di foraggio per gli animali, tali conseguenze si sono manifestate anche nelle zone di pianura laddove insistono aziende dedite ad attività agricole rivolte alla produzione di agrumi (come il mandarino tardivo di Ciaculli) o di ortaggi (come i carciofi nella Piana di Catania) o produzioni intensive di primaticci in serra in varie altre parti del territorio isolano;
   buona parte di tali produzioni vengono realizzate in ambiente protetto (serre, tendoni o tunnel) che l'eccezionalità degli eventi meteorologiche ha irrimediabilmente compromesso;
   in particolare, nella zona del Canicattinese in provincia di Agrigento, dove l'eccezionale evento calamitoso ha visto cadere oltre cinquanta centimetri di neve, vista la particolare tecnica di coltivazione «a tendone» dell'uva da tavola «Italia» (IGP), si è verificata la distruzione di parecchie centinaia di ettari di vigneto crollate sotto il peso della neve accumulatasi;
   la produzione di uva «Italia» costituisce una consolidata e cospicua fonte di reddito per la città di Canicatti e dei comuni del circondario, trattandosi di produzioni pregiate di una agricoltura evoluta e d'avanguardia;
   le aziende agricole interessate spesso non hanno una capacità finanziaria e patrimoniale di livello tale da consentire loro di sopportare i danni subiti che, in alcuni casi, sono di notevole entità;
   la regione siciliana sembrerebbe orientata a dichiarare lo stato di calamità per tali zone interessate dagli eventi calamitosi dei giorni scorsi, anche alla luce della quantificazione dei danni che sono tuttora in fase di accertamento da parte degli uffici competenti –:
   se non ritenga di dovere assumere iniziative al fine di accelerare le procedure di propria competenza e consentire agli imprenditori agricoli delle zone colpite ed, in particolare, delle zone più fortemente colpite dall'eccezionale ondata di maltempo di poter vedere ristorato il danno subito, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, ed in particolare dal decreto legislativo n. 102 del 2004, nel più breve tempo possibile;
   se non ritenga di adottare iniziative di natura straordinaria affinché le aziende agricole che hanno subito danni e perdite non debbano vedere compromessa l'intera annata agraria con le conseguenze che questo avrebbe sull'intera economia della zona.
(2-01596) «Capodicasa, Raciti, Albanella, Berretta, Moscatt, Culotta, Greco, Schirò, Zappulla, Piccione».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia (Eipli) è persona giuridica di diritto pubblico ed è stato istituito con decreto del Capo provvisorio dello Stato n. 281 del 18 marzo 1947 e confermato con decreto del Presidente della Repubblica n. 666 del 16 luglio 1977. Nel 1979 sono stati assegnati a Puglia, Basilicata e Campania, beni e personale, mentre sono state ascritte all'ente funzioni di progettazione ed esecuzione di opere, esercizio e manutenzione, studi e ricerche. L'Eipli agisce come fornitore di acqua agli acquedotti Pugliese, Lucano e Consorzio Jonio Cosentino ed a nove consorzi di bonifica;
   i consorzi di bonifica si configurano come enti di diritto pubblico economico dotati di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e proprio personale dipendente, il quale è sottoposto al rapporto d'impiego di diritto privato. Essi trovano il fondamento giuridico della propria costituzione nel regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, recante «nuove norme per la bonifica integrale»;
   ai sensi dell'articolo 862 del codice civile, i consorzi di bonifica si configurano come lo strumento attraverso il quale si può procedere «All'esecuzione, alla manutenzione e all'esercizio delle opere di bonifica». Agli stessi possono anche essere affidati «l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle altre opere d'interesse comune a più fondi o d'interesse particolare a uno di essi»;
   il 27 dicembre 2016 il consiglio regionale della Basilicata ha approvato a maggioranza il disegno di legge della giunta sulla «Nuova disciplina in materia di bonifica integrale, irrigazione e tutela del territorio». La legge disciplina, tra l'altro, le modalità dell'intervento pubblico per l'irrigazione, la difesa e la valorizzazione del territorio rurale attraverso la costituzione di un unico comprensorio, sul quale è istituito un unico consorzio di bonifica denominato «Consorzio di bonifica della Basilicata. L'articolo 37 della legge prevede che «i crediti ed i debiti maturati e maturandi alla data del 31/12/2017 rimarranno rispettivamente a favore ed a carico dei rispettivi disciolti Consorzi»;
   il mondo agricolo del Metapontino è in grandi difficoltà in questo momento di crisi economica dopo l'eccezionale nevicata dei giorni scorsi e la richiesta di calamità naturale per i danni irreversibili arrecati al settore e non potrebbe sostenere l'eventuale pagamento del contributo da versare all'EIPLI da parte del Consorzio di bonifica di Bradano e Metaponto, nel caso quest'ultimo dovesse soccombere nel contenzioso davanti al TAR di Basilicata;
   nonostante gli accordi di programma e le intese istituzionali tra il Ministero, le regioni e gli enti che operano nel settore irriguo, si apprende che i consorzi di bonifica della Basilicata vorrebbero rivalersi sui produttori per colmare debiti contratti dai consorzi nei riguardi dell'Eipli, imponendo il contributo Eipli di 150 euro per ettaro per gli anni 2011, 2012, 2014, 2015 e 2016 a carico degli imprenditori agricoli per un importo complessivo di 15.000.000 milioni di euro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per chiarire il rapporto tra l'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia, le regioni ed i consorzi di bonifica che utilizzano la risorsa idrica fornita dall'ente irrigazione;
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere, anche normative, per salvaguardare la funzionalità degli enti, assicurando il rispetto del principio di legalità e trasparenza al fine di tutelare il sistema imprenditoriale lucano.
(5-10302)

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la decisione del Consiglio dei ministri dell'Unione europea «Agricoltura e pesca» del 13 dicembre 2016 assegna all'Italia una quota di pescato di tonno rosso pari a 3.304,82 tonnellate, ossia il 20 per cento in più rispetto alle 2.752,56 tonnellate (t 552,26) concesse nel 2016;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a breve dovrà procedere alla ripartizione di tale quota aggiuntiva;
   l'articolo 8 del regolamento (CE) 14 settembre 2016, n. 2016/1627, relativo a un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio, recita «in sede di assegnazione delle possibilità di pesca a loro disposizione, gli Stati membri utilizzano criteri trasparenti e oggettivi anche di tipo ambientale, sociale ed economico e si adoperano inoltre per ripartire equamente i contingenti nazionali tra i vari segmenti di flotta tenendo conto della pesca tradizionale e artigianale nonché per prevedere incentivi per le navi da pesca dell'Unione che impiegano attrezzi da pesca selettivi o che utilizzano tecniche di pesca caratterizzate da un ridotto impatto ambientale»;
   sono numerose le istanze di coloro che chiedono di poter accedere al sistema delle quote per la pesca del tonno rosso, a tutt'oggi riservato ad un totale di soli 42 pescherecci e 6 tonnare fisse;
   le ultime campagne di pesca del tonno rosso in Italia hanno evidenziato, relativamente alle catture accessorie, l'insufficienza delle quantità assegnate alla «quota non divisa» che ogni anno viene rapidamente azzerata dallo sforamento delle imbarcazioni autorizzate;
   il decreto ministeriale 27 luglio 2000 stabiliva un quantitativo di 750 kg/barca/anno per le catture accidentali di tonno rosso da parte di imbarcazioni non autorizzate, quantitativo elevato a 900 kg/barca/anno, con decreto ministeriale 5 aprile 2016, e la somma di tutti questi quantitativi viene imputata alla «quota non indivisa» che rappresenta una percentuale di circa il 3 per cento del totale nazionale, assolutamente inadeguata a coprire le catture accidentali effettuate;
   questo quantitativo massimo annuale rappresenta, specialmente nel sud Italia e nel mare Adriatico, una fonte di reddito non trascurabile per tante imprese della piccola pesca artigianale e strascico, a fronte di un impatto trascurabile sulla risorsa tonno;
   tale situazione ha causato serie difficoltà agli operatori che, pur avendo specie bersaglio diverse, pescano accidentalmente tonno rosso;
   la consistente presenza di tonno rosso nell'Adriatico ne fa inoltre una specie concorrente in quanto si nutre di pesce azzurro –:
   sulla base di quali criteri sarà ripartita la quota aggiuntiva di pescato di tonno rosso per l'annualità 2017;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario rivedere i quantitativi massimi annuali di pescato di tonno rosso alla luce di quanto sopra esposto con un significativo aumento nell'Adriatico;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno istituire un tavolo di concertazione sui grandi pelagici coinvolgendo  le associazioni di rappresentanza, sulla scia di quanto già avvenuto per altri segmenti di pesca. (4-15242)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   attualmente, alcuni internet service provider italiani non rilasciano ai propri clienti le loro credenziali di registrazione/autenticazione come i dati di registrazione VoIP, ID ed ogni ulteriore utile parametro di configurazione, così imponendo, di fatto, l'utilizzo obbligatorio dei loro apparati di proprietà;
   al contrario, già oggi, nelle connessioni su rete mobile 3G/4G, i vari operatori rilasciano i parametri di configurazione e connessione alle loro reti mobili, e pubblicano i dati degli A.P.N. e altri: può quindi essere impostato per la navigazione internet qualsiasi apparato, anche diverso da quello proprietario fornito dall'operatore;
   ne consegue che, ad ogni cambio di contratto, l'utente del servizio è costretto a cambiare il proprio apparato hardware, rispedendo il vecchio al precedente operatore, aspettando l'arrivo del nuovo e dovendo poi provvedere alla sua installazione, con esborsi di tempo e/o denaro;
   inoltre, l'esborso mensile dovuto al comodato d'uso, a pagamento nella gran parte dei casi, e la «blindatura» del firmware che equipaggia gli apparati dell'ISP, le cui modifiche sono anch'esse a pagamento in molti casi, limitano ulteriormente la piena accessibilità e sana concorrenza per una tecnologia, come quella relativa all'accesso su rete fissa che potrebbe invece costituire un importante volano di sviluppo socioeconomico del territorio e della popolazione italiana, come previsto dall'Agenda digitale italiana in attuazione dell'Agenda digitale europea;
   tutto ciò limita drasticamente la libertà di scelta degli utenti, impossibilitati ad utilizzare apparati diversi da quelli dati in comodato d'uso, e costituisce una significativa barriera non tariffaria alla libera concorrenza tra i diversi operatori;
   il problema risulta sentito anche in altri ordinamenti, tanto che recentemente il Governo federale tedesco ha depositato una proposta di legge (Drucksache 18/6280 dell'8 ottobre 2015) per risolverlo;
   nelle premesse della citata proposta si legge, tra l'altro, che «spesso gli utenti non hanno la possibilità di scegliere liberamente il Router da essi utilizzato», che «ciò è dovuto al fatto che alcuni gestori di rete del collegamento a banda larga consentono esclusivamente l'utilizzo dell'apparecchio da loro prestabilito», che «alla base di tale prassi viene posto il punto di vista che la rete di telecomunicazioni pubblica finisca solo in un punto che sarebbe da individuare dopo un'interfaccia per il collegamento di apparecchi e che per questo motivo l'apparecchio proprio dell'offerente per motivi funzionali farebbe parte della rete» e che «tuttavia questa gestione non è compatibile con il mercato dei terminali completamente liberalizzato ai sensi della Direttiva 2008/63/CE del 20 giugno 2008 riguardante la concorrenza sul mercato dei terminali nel campo delle telecomunicazioni»;
   infatti, come evidenziano i proponenti, nella motivazione circa l'articolo 1 del progetto di legge federale sopra richiamato, «se i gestori di rete stessi fossero in grado di stabilire fin nell'ambito dei clienti finali la portata della loro rete, allora potrebbero stabilire alla fine anche al di là della portata del loro obbligo di tolleranza del collegamento di dispositivi di telecomunicazione» e «ciò porterebbe ad ostacolare la libera concorrenza, cosa che contraddirebbe lo scopo della Direttiva 2008/63/CE» –:
   se quanto riportato in premessa trovi conferma;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla questione e alle sue ripercussioni sull'Agenda digitale e sul digital divide;
   se il Governo condivida la valutazione espressa dall'Esecutivo della Repubblica federale tedesca, in riferimento all'identica situazione che si verifica nel mercato tedesco, circa la incompatibilità dell'attuale gestione degli apparati terminali «con il mercato dei terminali completamente liberalizzato ai sensi della direttiva 2008/63/CE del 20 giugno 2008», già attuata con il decreto legislativo n. 198 del 2010, e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare per dare più completa attuazione alla citata direttiva;
   in ogni caso, se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, anche nell'ambito del prossimo disegno di legge in materia di concorrenza, al fine di prevedere il divieto per gli internet service provider di imporre ai clienti apparati di loro proprietà per le offerte internet fibra/VDSL2 e tecnologie simili o derivate.
(2-01600) «Catalano, Quintarelli, Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da almeno due anni nel territorio lecchese si registrano enormi disagi nel servizio di consegna di Poste Italiane. La corrispondenza viene recapitata con ritardi di settimane o addirittura mesi, e utenti e soggetti economici lamentano il rischio di addebito degli interessi di mora per la mancata ricezione nei termini di scadenza di bollette, avvisi di pagamento, e altro;
   il modello di consegna a giorni alterni non funziona e la situazione si è aggravata ulteriormente durante le festività natalizie a seguito della sottoscrizione del contratto di Poste Italiane con Amazon;
   4.800 addetti in uscita (il 20 per cento solo in Lombardia), la carenza di organico negli uffici postali e la privatizzazione in atto, rischiano di aggravare ulteriormente la situazione;
   il 15 dicembre 2015 il contratto per il quadriennio 2015-2019 è stato firmato dall'amministratore delegato della società, Francesco Caio, e dal Ministro per lo sviluppo economico pro tempore, Federica Guidi, registrato dalla Corte dei Conti 19 febbraio 2016 al numero 436 ed è attualmente in vigore;
   all'articolo 1, comma 2, del suddetto contratto si riporta che Stato e società perseguono obiettivi di coesione sociale ed economica e prevedono la fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni mediante l'utilizzo della rete postale della società;
   il contratto recepisce la legge 23 dicembre 2014 n. 190 la quale stabilisce che gli obiettivi percentuali medi di recapito dei servizi postali universali sono riferiti al recapito entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello di inoltro nella rete pubblica postale, salvo quanto previsto per gli invii di posta prioritaria;
   la legge n. 214 del 2011 affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) la funzione di autorità di regolamentazione, vigilanza e tutela dell'utenza dei settore postale;
   l'articolo 3, comma 7, del contratto conferisce all'Agcom, ai sensi dell'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 261 del 1999, la verifica periodica su base campionari, sulle prestazioni rese dalla società Poste Italiane e l'articolo 3, comma 8, del contratto stabilisce che la società trasmette all'Autorità, con cadenza semestrale, e comunque entro i tre mesi successivi alla scadenza del semestre di riferimento, i risultati di qualità conseguiti nei servizi inclusi nel servizio universale, ivi compresi quelli in esclusiva, non sottoposti al monitoraggio di cui al comma 7;
   la carta del servizio postale universale, redatta in conformità all'articolo 12 del decreto legislativo n. 261 del 1999 ed alle delibere dell'Autorità di regolamentazione del settore postale (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), n. 184/13/CONS e n. 413/14/CONS, alla voce obiettivi di qualità/tempi di consegna, indica per l'Italia, la consegna entro 4 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 90 per cento dei casi; entro 6 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 98 per cento dei casi; per l'Europa, la consegna nell'85 per cento dei casi in 8 giorni lavorativi oltre il giorno di spedizione; per il bacino del Mediterraneo, in 12 giorni lavorativi oltre il giorno di spedizione; per il Nord America e l'Oceania, in 16 giorni lavorativi oltre il giorno di spedizione e per il resto del mondo la consegna in 22 giorni lavorativi oltre a quello di spedizione (escludendo sabato e festivi) –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per sanare il disservizio rilevato in premessa, in particolare nel territorio lecchese e per verificare il rispetto del contratto di programma sottoscritto con la società Poste Italiane; e quali iniziative di competenza intenda assumere nel caso emergano inadempienze rispetto al sopra citato. (5-10299)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA, SANNICANDRO, QUARANTA, RICCIATTI, KRONBICHLER e PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 5 gennaio 2017 ad oggi, cioè da 13 giorni ormai, ininterrottamente, l'Abruzzo è tra le regioni con la situazione più critica a livello nazionale per problemi causati dal maltempo e dalle abbondanti nevicate, con ingentissimi danni e disagi per la popolazione e l'economia abruzzese;
   la rete infrastrutturale per l'approvvigionamento dell'energia elettrica sconta ritardi annosi nella manutenzione ordinaria e straordinaria: l'Enel nel 2015, dopo l'ultima emergenza nevosa in Abruzzo, si era impegnata a realizzare ingenti investimenti per migliorare le sue infrastrutture, ma a quegli impegni pubblici non sono seguite le realizzazioni concrete;
   va anche detto che la maggioranza delle 300 mila utenze disalimentate a causa di problemi d'interruzione dell'alta tensione, della caduta dei tralicci e dei guasti alle cabine, sono addebitabili secondo gli interroganti alla responsabilità di Terna, che è apparsa del tutto incapace di fronteggiare l'ennesima, ma prevista emergenza;
   l'Abruzzo sconta anche un grave dissesto idrogeologico, per cui, sempre dal marzo 2015, si contano 1.200 frane di una certa entità che non rendono sicuro l'interramento dei cavi;
   una soluzione potrebbe essere quella di rafforzare i cavi aerei con tecnologie che Terna non utilizza perché costose;
   ad oggi, il risultato che si è generato da quando l'Enel è stata «spacchettata» dal Governo Berlusconi, è per gli interroganti la massimizzazione dei profitti e l'esaurirsi del vincolo sociale di una missione fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e dell'economia –:
   se i Ministri interrogati non intendano intervenire, per quanto di competenza, per verificare le gravi responsabilità che i disservizi di cui in premessa hanno prodotto e assicurare che Enel e Terna corrispondano agli impegni di miglioramento delle loro infrastrutture e dei conseguenti servizi erogati in Abruzzo.
(4-15246)


   TACCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a decorrere dall'anno 2016 il canone per l'abbonamento ai servizi radiotelevisivi è automaticamente addebitato nella bolletta elettrica;
   la nuova modalità di pagamento, senza nulla innovare rispetto a quanto prevede l'articolo 1 del regio decreto n. 238 del 1938, introduce un'ulteriore presunzione di possesso di un apparecchio radiotelevisivo, vale a dire la titolarità di un contratto di utenza elettrica nel luogo di residenza;
   il modello fornito dall'Agenzia delle entrate per la dichiarazione sostitutiva di non detenzione di apparecchi radiotelevisivi, secondo il quale il canone non deve essere addebitato in quanto già imputato ad un'utenza intestata ad altro componente della stessa famiglia anagrafica, contempla esclusivamente i titolari di utenza elettrica domestica residenziale, nulla prevedendo per i titolari di utenze domestiche non residenziali, nella presunzione che su tali utenze non venga addebitato il canone;
   sono stati, al contrario, segnalati casi di addebito in bolletta anche per utenze domestiche non residenziali, quali sono generalmente quelle degli italiani residenti all'estero, senza che questi abbiano potuto presentare la dichiarazione sostitutiva in parola;
   i contribuenti che non sono abilitati ad inviare la dichiarazione sostitutiva per via telematica devono farlo con plico raccomandato senza busta il cui costo di quasi 12 euro non solo vanifica la riduzione del canone, ma introduce un odioso balzello annuale a carico di chi, invece, ne sarebbe esente –:
   se non si intendano promuovere modifiche alla normativa vigente intese a prevedere l'autocertificazione di non detenzione di apparecchi radiotelevisivi anche per il canone non deve essere titolari di utenze domestiche non residenziali che ricevano l'addebito in bolletta, stabilendo altresì che l'autocertificazione in questione sia valida fino a quando non cambino le condizioni che l'hanno determinata.
(4-15252)


   PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 dicembre 2016 si è tenuta la giunta di Unioncamere Calabria che, come previsto dall'articolo 10 comma 1, dello statuto in vigore, è costituita da tutti i presidenti delle camere di commercio della Calabria associate;
   alla riunione, oltre agli attuali presidenti in carica delle Camere di commercio calabresi, ha preso parte nella qualità di presidente di camera anche il dottor Paolo Abramo, il cui mandato è scaduto il 12 aprile 2016, data in cui è scattata la prorogatio di sei mesi conclusa il 12 ottobre 2016; 
   l'articolo 16, comma 3, della legge n. 580 del 1993 e successive modificazioni e integrazioni e l'articolo 19, comma 2, dello statuto della camera catanzarese, prevedono che il presidente della camera di commercio, duri in carica 5 anni, in coincidenza con la durata del consiglio, costituito, in questo caso, con delibera del presidente della giunta regionale n. 31 del 15 marzo 2011 e insediato il 12 aprile 2011;
   la decadenza, operando ope legis, non richiede alcun atto formale da parte della regione o dal Ministero;
   la presenza alla riunione sopra menzionata rischia di inficiare tutti gli atti della seduta;
   la riforma del sistema camerale (decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016) è stata approvata ed è entrata in vigore successivamente alla decadenza ope legis del consiglio della camera di Catanzaro e, a parere dell'interrogante, non ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'articolo 1 comma 5-quater, della riforma circa il prosieguo nell'esercizio delle funzioni degli organi «fino al giorno dell'insediamento del consiglio della nuova camera di commercio» –:
   se non rilevi l'omissione di atti d'ufficio della Regione Calabria che avrebbe dovuto tempestivamente nominare fin da ottobre 2016 il commissario straordinario della Camera di commercio di Catanzaro;
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa la vicenda di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere, anche nel piano normativo in relazione alle criticità sopra descritte. (4-15256)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Bratti e altri n. 7-01094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

  La risoluzione in Commissione Villarosa e Ferraresi n. 7-01130, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Busin.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Fitzgerald Nissoli e Dellai n. 2-01590, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Capelli, Gigli, Baradello, Tacconi, Piepoli, Fauttilli, Porta, Tabacci, Vezzali, Sottanelli, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Bombassei, Librandi, Latronico, Distaso, Invernizzi, Buttiglione, Matarrese.

  L'interpellanza urgente Terrosi e altri n. 2-01593, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fragomeli, Carra.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Lodolini e altri n. 5-09595, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dallai.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato n. 5-09786, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gnecchi e altri n. 5-10181, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 dicembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fragomeli.

  L'interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-15214, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Lupi e Tancredi n. 3-02701, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garofalo.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci e Tino Iannuzzi n. 4-15221, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capozzolo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Capozzolo n. 5-10290, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tino Iannuzzi.

Pubblicazione di testi riformulati.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Santerini n. 1-01468, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 275 del 17 gennaio 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati UNHCR sono oltre 5000 le persone morte in mare cercando di raggiungere l'Europa nel 2016, il numero più alto degli ultimi decenni;
    secondo gli stessi dati in Europa tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia. Nel 2016, gli arrivi nel nostro Paese sono aumentati del 18 per cento circa rispetto al 2015, ma solo del 6 per cento rispetto al 2014;
    a livello europeo si tratta di un dato inferiore rispetto a quello del 2015 (1.015.078), anno record, mentre gli sbarchi in tutta Europa del 2016 hanno raggiunto la somma di tutti quelli verificatisi tra il 2011 e il 2014; l'aumento italiano del 2016 rispetto al 2015 va letto anche in relazione, oltre al diversificarsi delle nazionalità dei migranti, con la diminuzione da 856.723 a 173.447 degli ingressi in Europa dalla frontiera greca;
    per quel che riguarda l'Italia, il 2016 ha confermato le previsioni della circolare 3148 del 12 aprile 2016 con cui il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno preannunciava un significativo aumento del fenomeno immigratorio nel 2016, anche se sino a settembre gli sbarchi sono stati in numero analogo rispetto a quelli del 2015;
    la svolta, se così si può dire, è avvenuta nell'autunno, in particolare tra ottobre (27.000 arrivi) e novembre, quando si è superato il numero di arrivi del 2015. A dicembre si è, invece, registrato un rallentamento degli stessi sbarchi (8.300 nel 2016, 9.600 nel 2015), mentre si è avuta un'impennata nei primi giorni del 2017;
    si tratta, certo, di dati significativi ma che non possono far parlare seriamente di «invasione», né giustificare il senso di minaccia che molti sostengono sia percepito nel nostro Paese, anche a causa del fenomeno terroristico che colpisce l'Europa in questi anni;
    inoltre, per superare le attuali inaccettabili sperequazioni nel nostro Paese a causa della reticenza di alcuni comuni italiani ad aderire ai progetti Sprar (su 8.000 comuni italiani solo 1.800 hanno accolto i migranti nel 2016), a ottobre 2016 una circolare del Ministero dell'interno ha stabilito che se un comune aderisce allo Sprar otterrà la progressiva diminuzione della presenza dei Cas sul suo territorio e inoltre riceverà 500 euro all'anno per ogni accolto;
    tuttavia, mentre la distribuzione dei profughi per regione nel sistema dei Cas è disposta dal Ministero dell'interno attraverso le prefetture ed è obbligatoria, l'adesione al sistema Sprar rimane volontaria;
    prosegue a rilento e con diverse criticità il meccanismo di relocation: i dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600 previsti entro il 2017) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su 66.400);
    per quel che riguarda in particolare i richiedenti asilo, che come sappiamo sono una particolare categoria di immigrati con uno statuto speciale dovuto all'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, si assiste un cambiamento di immagine, da perseguitati individuali a vittime traumatizzate di conflitti, instabilità politica o calamità, perseguitati anonimamente quasi sempre non per quello che hanno fatto ma per quello che sono;
    tale allargamento del tradizionale concetto di rifugiato, verso cui non si ammette il debito politico da parte europea, crea tensioni contrastanti negli Stati nazionali che tendono a difendere i propri confini ma non hanno elaborato una legislazione adeguata verso questo fenomeno;
    si può temere che, di fronte a tale difficoltà di gestire il fenomeno, si intenda porre una stretta alla concessione dell'asilo politico; in particolare, appare preoccupante l'idea di negare il diritto di appello a coloro che si vedessero respinta la domanda di protezione internazionale;
    si tratterebbe di un atto che potrebbe mettere a rischio la vita di molte persone e che, tra l'altro, potrebbe portare ad eventuale condanna italiana da parte della Corte di giustizia europea, che non potrebbe non essere investita della questione;
    infatti, l'Italia, che insieme alla Grecia è inevitabilmente la prima meta dei profughi, e l'Europa sono ben lontane da qualunque «invasione» anche se è evidente che si sia di fronte a mutamenti significativi;
    di fatto gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri irrisori: il decreto flussi 2015 permetteva 17.850 ingressi di lavoratori stranieri, di cui 12.350 riservati alla conversione di permessi già esistenti di studio o lavoro; il decreto flussi 2016 ha previsto 30.000 posti, di cui 13.000 riservati a lavoratori stagionali e 12.000 alla conversione di altro tipo di permessi; solo 5000 i permessi per nuovi ingressi. Oggi la richiesta di protezione internazionale è, di fatto, diventata pressoché l'unico modo per entrare regolarmente in Italia;
    dal punto di vista dell'accoglienza, in Italia la situazione è molto frammentata. Vi è, infatti, una non equa distribuzione nei vari comuni del nostro Paese;
    al momento in Italia il 77,7 per cento dei profughi e richiedenti asilo è ospitato in Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) e solo il 13,5 per cento in posti Sprar Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati (il restante 8,8 per cento negli hotspot e centri di prima accoglienza nelle regioni di sbarco). I Cas sono nati come risposta emergenziale agli arrivi dopo le cosiddette Primavere arabe del 2011, diventando poi un sistema parallelo e preponderante rispetto a quello dell'accoglienza ordinaria dei richiedenti asilo nel paese che andrebbe, invece, potenziato;
    la qualità dei servizi offerti dai Cas, spesso allestiti in strutture turistiche, è disomogenea, così come lo è la loro collocazione sul territorio nazionale. Rispetto ai Cas, i centri aderenti allo Sprar hanno standard di qualità più alti, con regole ben precise e hanno come scopo l'integrazione a lungo termine del richiedente asilo e non solo la sua accoglienza temporanea. Inoltre i centri Sprar sono soggetti a una rendicontazione economica più rigorosa, e sono quindi meno esposti ad abusi;
    il decreto governativo del 10 agosto 2016 prevede che gli Sprar non siano più finanziati attraverso bandi periodici, ma continuativamente, in base a un sistema di accreditamento permanente e ai finanziamenti disponibili;
    altrettanto problematica appare la possibilità di restringere le modalità di iscrizione anagrafica a fine di residenza, che non comporterebbe tra l'altro consistenti risparmi ai comuni ma al contrario renderebbe più difficilmente reperibili i richiedenti creando anche maggiori problemi di sicurezza;
    un approccio lungimirante deve portare a gestire il fenomeno nelle sue rapide evoluzioni, anche con una revisione complessiva ed organica della normativa sull'immigrazione con l'obiettivo di difendere i diritti fondamentali dei migranti, operare in sede europea per rivedere, come già richiesto, le convenzioni di Dublino, ottenere la relocation dei profughi, favorire canali e corridoi umanitari previsti dalla legislazione europea;
    l'eventuale riapertura dei Cie, per rispondere al fenomeno, non appare auspicabile se non a determinate condizioni. Il bilancio di una storia ormai di diversi anni ha mostrato, a fronte di sofferenze provocate nei detenuti e di un alto costo economico per le casse pubbliche, l'inefficacia di tali centri rispetto allo scopo per cui sono stati ideati;
    si consideri che meno della metà (46,2 per cento) delle 175.142 persone detenute nei centri dal 1998 al 2013 sono state effettivamente rimpatriate; nei primi nove mesi del 2016, nei Cie rimasti in Italia sono stati reclusi circa 2 mila stranieri irregolari, 876 dei quali sono stati rimpatriati. Nello stesso 2016, il solo Ufficio della Questura di Milano ha realizzato 762 espulsioni: si tratta di quasi la metà di tutte le espulsioni d'Italia, senza il transito da un Cie dato che in Lombardia non vi sono Cie attivi,

impegna il Governo

1) ad operare per potenziare e ampliare il sistema SPRAR, effettuato finora dai comuni su base volontaria a fronte invece dell'obbligatorietà del sistema dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), anche rafforzando il sistema degli incentivi economici ai Comuni virtuosi;
2) ad assumere iniziative per mantenere la possibilità di appello in caso di rifiuto della protezione internazionale, operando al contempo per rendere più rapide le risposte al ricorso e per impiegare i richiedenti asilo in lavori socialmente utili;
3) a facilitare la reperibilità dei richiedenti protezione internazionale e i loro percorsi di integrazione anche mantenendo la possibilità di iscrizione anagrafica;
4) a incentivare e incrementare l'accoglienza diffusa da parte di sponsor, associazioni e singoli cittadini nonché le iniziative di formazione linguistica e professionale dei richiedenti asilo e a favorire le iniziative finalizzate a individuare canali legali di ingresso per i richiedenti asilo come i corridoi umanitari per persone vulnerabili.
(1-01468)
(Nuova formulazione) «Santerini, Marazziti, Sberna, Dellai, Baradello, Capelli».

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Crippa n. 5-10294, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 725 del 17 gennaio 2017.

   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2016, la società E-distribuzione ha inviato all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico la richiesta di ammissione al riconoscimento degli investimenti in regime specifico ai sensi dell'articolo 5 dell'Allegato A alla deliberazione dell'Autorità 10 novembre 2016, 646/2016/R/eel recante: «Riconoscimento dei costi per la misura dell'energia elettrica in bassa tensione e disposizioni in materia di messa in servizio dei sistemi di smart metering di seconda generazione – 2017-2019;
   E-distribuzione, svolge in concessione fino al 2030, il servizio di distribuzione dell'energia elettrica, in circa 7.500 comuni italiani, gestendo quasi 32 milioni di misuratori attivi in bassa e media tensione;
   in data 2 dicembre 2016, l'Autorità ha definito e pubblicato sul proprio sito internet le modalità operative per la discussione pubblica del Piano di messa in servizio del sistema di smart metering 2G che, secondo un fitto calendario, dovrebbe portare alla definizione del piano di sostituzione, entro il mese di febbraio;
   la direttiva 2014/32/UE, MID, all'articolo 4 definisce «strumento di misura ogni dispositivo o sistema con funzioni di misura», così come indicati all'articolo 2 della stessa;
   la metrologia legale nazionale, ad oggi, non ha ancora definito un sistema di misura, materia che compete esclusivamente a questo ministero;
   il misuratore elettronico che E-distribuzione intende installare, data per scontata l'omologazione MID del singolo apparato, si configurerebbe a giudizio dell'interrogante come uno dei componenti di un sistema, che comprende concentratori, reti di comunicazione, i criteri e le procedure di tele-lettura e tele-gestione da remoto del misuratore stesso;
   tale sistema, che prevede la modifica da remoto di variabili fondamentali nella gestione del dato di misura da parte del distributore, non sembrerebbe garantire, al contrario, adeguati strumenti di verifica di tali eventi né al consumatore né agli organi di vigilanza;
   quanto proposto da E-distribuzione, nel suo insieme, sembrerebbe configurarsi come privo dell'omologazione legale necessaria a garantire trasparenza e completa oggettività nelle operazioni effettuabili da remoto sul contatore, alcune in grado di influenzare anche la stessa misurazione e potenzialmente la lealtà delle transazioni commerciali;
   il decreto legislativo n. 102 del 2014 e successive modifiche, all'articolo 9, comma 3, al contrario prevede che «i Sistemi di misurazione intelligenti forniscano ai clienti finali informazioni sulla fatturazione precise, basate sul consumo effettivo e sulle fasce temporali di utilizzo dell'energia», e che «sia garantita la sicurezza dei contatori, la sicurezza nella comunicazione dei dati e la riservatezza dei dati misurati al momento della loro raccolta, conservazione, elaborazione e comunicazione, in conformità alla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto in premessa;
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare, anche sul piano normativo, per garantire la trasparenza delle transazioni e la tutela della fede pubblica cui è preposto il servizio di metrologia legale, affidato al Ministero dello sviluppo economico.
(5-10294)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Manzi n. 2-01546 del 23 novembre 2016;
   interpellanza urgente Airaudo n. 2-01548 del 23 novembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Castelli n. 4-15184 del 13 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-10278 del 16 gennaio 2017.