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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 10 gennaio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    sul sito del Ministro dell'economia e delle finanze, il 27 luglio 2016, si leggeva che «Nonostante la lunga recessione, il sistema bancario italiano è solido ed ha dimostrato una buona capacità di resilienza; ha saputo cioè resistere ai contraccolpi e adattarsi ai cambiamenti. Tuttavia, il prolungamento della profonda crisi finanziaria ed economica fino al 2014 – che ha provocato una caduta del PIL, di quasi il 10 per cento e un calo di un quarto nella produzione industriale – ha incrementato l'entità dei crediti deteriorati presenti nei bilanci bancari (o NPL: Non Performing Loans); oltre i livelli medi riscontrati nelle altre economie avanzate»;
   a settembre 2016, secondi i dati ufficiali di Banca d'Italia, l'ammontare delle sofferenze lorde dei nostri istituti era pari a 198,922 miliardi di euro a fronte dei 200,106 miliardi di agosto, mentre le sofferenze nette ammontavano a 85,131 miliardi rispetto agli 85,446 miliardi del mese precedente. Su base annua si è registrata una flessione pari all'1,7 per cento da +0,1 per cento del mese precedente. Una enorme zavorra, dunque, che fa fatica a diminuire, nonostante le riforme attuate, tanto che il Fondo monetario internazionale, nel rapporto sulla stabilità finanziaria globale di ottobre scorso, sosteneva che «gli sforzi del Governo per facilitare il miglioramento del credito e l'acquisto delle sofferenze potrebbero non essere sufficienti»;
   tra gli istituti più esposti vi sono: Intesa Sanpaolo che, al 30 giugno 2016, deteneva 32,4 miliardi di euro di crediti deteriorati; Unicredit che, al 30 settembre, registrava crediti deteriorati lordi pari a 76,8 miliardi e un rapporto tra crediti deteriorati netti e totale dei crediti netti del 7,6 per cento, Banco Popolare che, alla stessa data, manteneva un portafoglio crediti deteriorati sostanzialmente stabile, attestandosi a 7,1 miliardi lordi; Veneto Banca che, al 30 giugno, presentava crediti deteriorati lordi per 7,9 miliardi di euro (7,6 miliardi a fine 2015) e crediti deteriorati netti a circa 5,0 miliardi di euro, sostanzialmente stabili rispetto ai 4,9 miliardi di fine 2015; Popolare di Vicenza in cui, sempre al 30 giugno 2016, l'incidenza dei crediti deteriorati lordi sul totale crediti verso clientela lordi si attestava al 33,9 per cento a fronte del 30,9 per cento del 31 dicembre 2015 (alla stessa data l'indice di copertura dei crediti deteriorati era pari al 44,79 per cento in crescita di 4,15 punti percentuali rispetto ai livelli di fine 2015 pari al 40,64 per cento); Mps, infine, nel cui bilancio, al termine del primo semestre, erano presenti crediti deteriorati lordi pari a circa 45 miliardi di euro che sono risaliti, al 30 settembre 2016, a 45,6 miliardi di euro, con un incremento di 0,26 miliardi di euro;
   desta diversi dubbi l'affermazione secondo cui l'entità di crediti deteriorati e sofferenze presenti nei bilanci bancari siano da imputare esclusivamente alla caduta del Pil e al calo della produzione industriale, considerata la gestione dissennata che alcuni istituti bancari italiani hanno subito proprio negli anni della crisi e il mancato intervento degli istituti di sorveglianza. Lo stesso Governo è mancato nel ruolo di regolatore del mercato del credito, lasciando imprese e famiglie nelle mani delle società di recupero crediti. A questo, si aggiunge poi la totale assenza di regole e trasparenza che ha permesso agli istituti bancari di operare in totale essenza di controlli; la responsabilità dell'attuale situazione è infatti imputabile anche, e in buona parte, alla gestione negligente di alcuni vertici che, nell'impunità più totale, e spesso con la connivenza colpevole degli istituti di vigilanza, hanno contribuito ad aggravare la situazione patrimoniale delle banche da loro gestite, scaricando i rischi sui risparmiatori, soprattutto sulle fasce più deboli;
   gli stress test dello stesso mese di luglio 2016, pubblicati due giorni dopo l'analisi del Ministro dell'economia e delle finanze di cui sopra, hanno rivelato una situazione patrimoniale disastrosa per l'istituto di credito del Monte dei Paschi di Siena: la BCE ha rivelato come questa fosse l'unica banca, nel nostro Paese, a presentare un crollo verticale del 2,2 per cento del Common Equity Tier 1 ratio (CET1) nello scenario avverso (dal 12 per cento dello scenario base);
   la conseguente operazione di ricapitalizzazione necessaria del Monte dei Paschi ha visto però un fallimento in entrambe le direzioni intraprese: non si è riusciti infatti nell'aumento di capitale attraverso fondi sovrani stranieri (in particolare di quello del Qatar che si era reso disponibile per un miliardo), e solo parzialmente si è riusciti in quello lanciato sul mercato tra il 9 e il 22 dicembre 2016 attraverso la conversione volontaria dei titoli subordinati in azioni;
   le operazioni di rafforzamento patrimoniale non sono una novità del sistema bancario italiano che negli anni più duri della crisi, in particolare tra il 2009 e il 2013, hanno sostenuto aumenti di capitale generali per 40,6 miliardi di euro;
   il 2014, alle prime prove degli stress test che vennero effettuate in ottobre dalla BCE, 25 banche dell'eurozona, di cui 9 italiane, non superarono l'esame dei bilanci e dovettero procedere alla raccolta di capitale per circa 10 miliardi di euro; in particolare, in un contesto critico virtuale, questi istituti risultarono tra i peggiori d'Europa, davanti a quelli francesi e tedeschi, a causa di un livello di sofferenze sui crediti triplicato a 170 miliardi, a cui si sommava la crescita del prodotto interno lordo sotto le attese e l'eccessivo peso dei titoli di Stato negli attivi bancari;
   già a fine 2013 i nove istituti bancari avevano affrontato ricapitalizzazioni per 10 miliardi di euro, a causa di mancanza di requisiti adeguati, ma, per alcune banche, le nuove risorse reperite non furono sufficienti a superare i test europei: Monte dei Paschi di Siena e Banca Carige dovettero provvedere ad un nuovo aumento di capitale attraverso l'emissione di circa 3 miliardi di azioni e alcune tra le banche medio-piccole, come Banca popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca popolare di Sondrio e la Creval, furono «graziate» dalla BCE, ma furono comunque costrette a ricapitalizzazioni miliardarie negli anni successivi;
   in questa difficile situazione, se, da un lato, gli aumenti di capitale non si sono mai arrestati (aumenti di capitale nel 2015: Banca Carige per 850 milioni di euro, Banca popolare di Bari per 30 milioni, Mps per 3 miliardi a cui si aggiunge quello di 5 miliardi del 2016, poi lievitato a 8,8 attraverso l'intervento statale, Popolare di Vicenza e Veneto Banca 2,5 miliardi, che si sono aggiunti a quelli di oltre un miliardo del 2014), dall'altro, si sono previste nuove discipline normative sia a livello europeo che nazionale;
   innanzitutto, è stata approvata la direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), il cui recepimento nel nostro ordinamento è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015: il primo ha introdotto nuove disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce per gli istituti bancari e le società di intermediazione mobiliare e ha modificato le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa; il secondo, invece, ha previsto la nuova disciplina in materia di piani di risoluzione e di gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e la disciplina del fondo di risoluzione nazionale;
   contemporaneamente, sul piano nazionale, sono stati introdotti nuovi strumenti per rafforzare il sistema bancario, dalle misure per migliorare l'efficienza e la rapidità delle procedure di insolvenza, anche stragiudiziali, alla garanzia pubblica sulle tranche senior delle cartolarizzazioni bancarie basate sui prestiti in sofferenza, alla creazione di Atlante (e, in seguito, Atlante 2), alla riforma del trattamento fiscale delle perdite su crediti;
   in particolare, sempre attraverso decretazione d'urgenza, si sono ridisegnate le linee delle banche popolari (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti) e delle banche di credito cooperativo (decreto-legge n. 18 del 14 febbraio 2016, recante misure concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio); in ciascuno di questi interventi, come riportato nelle relazioni illustrative dei relativi disegni di legge di conversione, si leggono argomentazioni dettate dalla necessità del rafforzamento, della capitalizzazione e della patrimonializzazione di alcuni istituti, ai fini di un generale ammodernamento del sistema e della riorganizzazione della governance;
   a questi si sono aggiunti la tranche dei cosiddetti decreti «salvabanche»; il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, poi confluito nella legge di stabilità 2016, la legge n. 208 del 2015, che stabilì la sottoposizione a risoluzione degli istituti CariChieti, BancaEtruria, Banca Marche e Carige, attraverso cui ognuna delle quattro banche è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte buona da quella cattiva, ossia le attività in sofferenza che sono state accumulate in un'unica bad bank; il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, con cui si è previsto, tra le altre cose, un indennizzo forfettario per i risparmiatori delle quattro banche sottoposte a risoluzione; infine, il decreto 23 dicembre 2016, n. 237, di cui inizierà a breve l'iter di conversione, che reca norme per il salvataggio statale dell'istituto bancario Monte dei Paschi di Siena, attraverso una ricapitalizzazione che da 5 miliardi è salita a 8,8, in base alle nuove rilevazioni precauzionali della BCE, al fine di allineare il CET1 ratio alla soglia minima prevista in caso di intervento dello Stato;
   con quest'ultimo decreto, in particolare, la conversione dei titoli e dei prestiti subordinati non sarà più volontaria, ma forzosa, e lo Stato provvederà al rimborso della clientela retail attraverso l'acquisizione, da parte del dipartimento del tesoro, delle azioni dell'istituto detenute dai sottoscrittori del bond subordinato Upper Tier II 2008-2018 (per 2,16 miliardi di euro), i quali, in seguito alla conversione forzosa in azioni, accetteranno l'offerta della banca di riconvertire le azioni in nuove obbligazioni senior con vita residua uguale al prestito subordinato; grazie a questa operazione di burden sharing, dunque, l'intervento pubblico consisterà nell'immissione di circa 6,6 miliardi di euro di risorse pubbliche in MPS per fronteggiare la crisi di liquidità della banca;
   il modo di procedere del Governo attraverso la decretazione d'urgenza e senza alcuna pianificazione unitaria non ha scongiurato il pericolo di una crisi sistemica innescata dagli istituti di credito e ha creato enormi disparità di trattamento per i risparmiatori delle diverse banche, ossia cittadini netta stessa condizione giuridica, per i quali è stato scelto, di volta in volta, un diverso trattamento; continua inoltre ad eludere alcuni nodi cruciali come quelli di una assoluta trasparenza e del riconoscimento delle responsabilità in capo alla dirigenza e agli enti di sorveglianza;
    il Governo ha infatti discriminato fra i detentori di azioni e titoli subordinati emessi da MPS, che saranno tutelati, e i detentori di titoli subordinati e azionisti di altre banche su cui è intervenuto nel recente passato con i decreti suddetti, non essendo stati questi ultimi risarciti del danno subito ed essendo stati, al contempo, esclusi dal citato provvedimento;
    al contrario, per i circa 140 mila risparmiatori delle quattro banche sottoposte a risoluzione, sulle cui spalle è ricaduto quasi tutto l'onere del salvataggio, è stato addirittura previsto un doppio canale: un indennizzo forfettario all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto, a cui è stato permesso l'accesso attraverso un complicatissimo procedimento, soltanto a coloro, in possesso di determinati requisiti reddituali e patrimoniali, che avessero rinunciato all'arbitrato dell'ANAC; quest'ultimo invece, potrebbe, anche se non è certo, portare al ristoro integrale della perdita subita. In questo caso, però, una parte dei risparmiatori, oltre a quelli che sono stati esclusi ex lege, non hanno avuto possibilità di scelta, nonché il termine per l'adesione alla procedura di indennizzo è spirato il 3 gennaio, mentre non si è ancora potuto procedere con gli arbitrati (i cui decreti attuativi sono stati, tra l'altro, «bocciati» dal parere del Consiglio di Stato del 28 settembre 2016 per refusi, carenze ed incertezze);
    a simili incongruenze si aggiunge anche l'esclusione, per coloro i quali abbiano acquistato i titoli obbligazionari subordinati delle quattro banche poste in risoluzione sul mercato secondario, in base alla discutibile premessa che questi abbiano agito a fini speculativi e comunque disponendo di informazioni adeguate. Non si sono invece tenuti in alcun modo in conto, il caso di obbligazioni cedute o prese in possesso in seguito a cause legali di divorzio o in seguito a successioni per eredità;
    un diverso trattamento, inoltre, sarà previsto per gli azionisti di Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, salvate dal Fondo Atlante, per i quali non è mai stato previsto, nonostante le continue richieste da parte delle opposizioni, un intervento legislativo: i circa 200 mila soci dei due istituti potranno decidere, entro i prossimi tre mesi, se accettare l'offerta di un rimborso del 15 per cento del valore delle azioni azzerate comprate negli ultimi dieci anni (le azioni dei due istituti valgono 0,1 euro e prima del crollo avevano toccato un massimo di 40,75 per la banca di Montebelluna e di 62,5 per la vicentina), e impegnandosi a non rivalersi giudizialmente nei confronti delle due banche; il ristoro è inoltre subordinato alla condizione che almeno l'80 per cento dei soci aderisca;
    ugualmente sarebbero stato violato il diritto al recesso dei soci delle banche popolari costrette alla trasformazione in società per azioni: la circolare della Banca d'Italia che ne contiene le misure attuative, secondo il Consiglio di Sfato che ne ha sospeso l'efficacia, «appare affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l'esclusione del diritto al rimborso». Inoltre, «i provvedimenti impugnati e la disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, presentando così profili di immediata lesività»;
    se il principio della separazione fosse stato introdotto prima si sarebbero potute contenere tutte le drammatiche conseguenze che i cittadini hanno scontato negli anni di crisi appena passati e di cui si sentono ancora gli effetti: da un lato, le continue ricapitalizzazioni degli istituti di credito e il credit crunch che hanno innescato una grave carenza di liquidità delle imprese; dall'altro, la crisi dei debiti sovrani e le conseguenti politiche di austerità che hanno portato a manovre economiche procicliche e all'aumento della pressione fiscale diretta ed indiretta;
    da ultimo, si sarebbe potuto anche evitare che a causa delle crisi bancarie, soltanto nel corso dell'ultimo anno, si bruciassero 15,6 miliardi di euro investiti dai piccoli risparmiatori italiani; come ha denunciato qualche giorno fa il Codacons, «tra il 2015 e il 2016 ben 218.996 piccoli investitori sono stati coinvolti dalle crisi bancarie che hanno visto protagoniste Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Carife, Carichieti, Banca Marche, Banca Etruria» e «15.681,000.000 euro investiti in azioni e obbligazioni di questi istituti di credito sono stati letteralmente bruciati, con una perdita media pari a 71.604 euro a risparmiatore»;
    anche per queste motivazioni, in un'ottica di necessaria esigenza di eticità che dovrebbe informare gli enti della pubblica amministrazione, sembrerebbe giusto e adeguato estendere l'intervento della legge di stabilità 2014, nella parte in cui ha innovato la normativa riguardante il ricorso a strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali, rendendo permanente il divieto per detti enti di ricorrere a tali strumenti, salvo le ipotesi espressamente consentite dalla legge,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere una riorganizzazione del sistema bancario al fine di introdurre un principio attraverso il quale venga distinto il modello di banca commerciale che raccoglie depositi ed eroga credito alle famiglie e al sistema produttivo rispetto alle banche d'affari che attuano operazioni finanziarie ad alto rischio, prevedendo altresì delle agevolazioni fiscali a favore delle prime, tenuto conto della loro attività a sostegno dell'economia reale e in particolar modo in favore delle piccole e medie imprese;

2) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di:
   a) escludere i soggetti bancari e finanziari che esercitano attività di speculazione ad alto rischio, ossia l'utilizzo di alte leve finanziarie e l'emissione di titoli «tossici», dalla partecipazione alle procedure di gare d'appalto bandite dalla pubblica amministrazione per l'affidamento di servizi di tesoreria e finanziari;
   b) estendere permanentemente a tutti gli enti della pubblica amministrazione il divieto di ricorso a strumenti finanziari derivati, come già previsto dalla legge di stabilità 2014 limitatamente agli enti territoriali;

3)  ad assumere iniziative per ristabilire, in base all'articolo 3 della Costituzione, l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini che affidino i loro risparmi a differenti istituti di credito, per i quali, viceversa, il Governo ha previsto diverse tipologie di ristoro e/o risarcimento, secondo modalità e con livelli di copertura delle perdite subite a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo iniqui e disomogenei;

4) ad assumere le iniziative di competenza volte a prevedere l'accertamento delle responsabilità degli istituti di vigilanza e dei dirigenti degli istituti bancari sottoposti a salvataggio o che sono stati interessati da perdite che hanno coinvolto soci azionisti e obbligazionisti subordinati, come descritto in premessa;

5) ad assumere iniziative per prevedere norme più stringenti in merito alla trasparenza nella vendita di prodotti bancari, stabilendo non soltanto il divieto di vendita dei titoli più rischiosi alla clientela retail, ma anche un sistema di tutela più ampio dei risparmiatori investitori non professionisti che includa la pubblicazione ufficiale annuale dell'elenco di tutti i titoli, le obbligazioni e gli strumenti finanziari emessi ed offerti da ciascun istituto bancario e finanziario in cui sia indicato il livello di rischio, secondo i principi della più ampia trasparenza e comprensibilità;

6) ad assumere iniziative per prevedere norme più stringenti per l'accertamento delle responsabilità dei dissesti patrimoniali bancari imputabili alla dirigenza, al fine di sanzionare quest'ultima con pesanti sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, di introdurre il divieto assoluto di ricoprire qualsiasi tipo di ruolo dirigenziale negli istituti di credito per chi abbia subito una precedente condanna per cattiva gestione e di prevedere sanzioni penali nel caso specifico in cui, a causa della mala gestio, si verifichino perdite dell'istituto bancario tali da coinvolgere un elevato numero di risparmiatori appartenenti alla clientela retail;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione di inchiesta sul sistema bancario, estendendo i poteri della suddetta Commissione alla verifica dello stato di salute patrimoniale di ogni istituto operante sul territorio nazionale e dei nomi dei beneficiari dei crediti computabili fra le sofferenze o i crediti deteriorati.
(1-01458) «Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    alla base della nascita dell'Unione europea vi è stata una profonda idea di coesione ed unità d'intenti che hanno costituito i presupposti per giungere ad una sempre maggiore integrazione degli Stati membri. Un'integrazione che ad oggi è stata soprattutto monetaria ma che deve proseguire sugli aspetti finanziari e politici;
    gli avvenimenti degli ultimi anni, che prendono avvio con lo scoppio della crisi finanziarla negli Stati Uniti nel 2008 ed il suo successivo diffondersi in Europa, hanno senza dubbio destabilizzato tale coesione, sia dal punto di vista politico che economico, creando forti tensioni fra gli Stati membri e minando le fondamenta stesse dell'Unione;
    arginare gli effetti di tali avvenimenti di squilibrio ha richiesto numerosi e complessi interventi anche dal punto di vista legislativo, sia a livello nazionale che da parte di Commissione e Parlamento europeo;
    tra questi, vi è anche la proposta di direttiva presentata nel giugno 2012 dalla Commissione europea in tema di risoluzione e risanamento delle crisi degli enti creditizi;
    nell'estate del 2015 in occasione del recepimento della direttiva, il Parlamento italiano – a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo senza dedicare al tema le approfondite valutazioni che sarebbero state necessarie – ha accolto la nuova normativa fissando al 1o gennaio 2016 l'introduzione dei cosiddetto bail-in;
    il salvataggio poi da parte del Governo Renzi di quattro istituti di credito tramite il decreto-legge n.183 del 22 novembre 2015 – il «salvabanche» – le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha previsto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara spa, di Banca delle Marche spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti spa, già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia;
    questo evento, inizialmente sottovalutato, ha portato agli occhi dell'opinione pubblica, un potenziale problema che fino ad allora era rimasto delimitato alla valutazione di circoscritti operatori del settore, ovvero che, per evitare il dissesto di un istituto di credito, l'Italia così come gli altri Paesi membri dell'Unione europea non possono più intervenire con fondi pubblici, ma le banche dovranno essere ricapitalizzate tramite la partecipazione degli azionisti, degli obbligazionisti, e se ce ne fosse bisogno, anche del correntisti con depositi superiori ai 100 mila euro;
    in linea generale, ritiene politicamente condivisibile e assolutamente opportuno il principio del «bail-in», in base al quale le perdite delle banche non possono essere ripianate con interventi a carico della fiscalità generale, e quindi di tutti i contribuenti, ma soltanto con interventi a carico del sistema bancario, previa partecipazione alle perdite degli investitori che hanno consapevolmente sottoscritto titoli di capitale e di debito emessi dalle banche medesime;
    il recepimento del predetto principio, assunto in sede europea da parte di ciascuno Stato sovrano, presuppone però una vera attuazione dell'unione bancaria e in particolare richiede che venga attuato il «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento» che, con ogni evidenza, costituisce, in un'ottica di stabilità del sistema bancario dei singoli Paesi europei, il necessario e imprescindibile complemento del principio del «bail-in»;
    si ritiene inoltre utile inserire, nell'ambito dei sistemi di garanzia dei depositi, la non applicazione del limite di 100.000 euro sui conti correnti delle persone fisiche, rappresentando il deposito sul conto un risparmio e non un investimento;
    tale stretto collegamento tra l'introduzione delle regole e l'introduzione degli strumenti di tutela del sistema previsti per attuare una vera integrazione bancaria è tanto più necessario in un momento di strutturale debolezza del sistema bancario internazionale, in cui i rischi di contagio sono particolarmente elevati; 
    il recente accordo tra l'Italia e l'Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto-legge approvato dal Governo sullo stesso argomento, hanno costituito un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato si sono resi necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie;
    recentemente, con il decreto n. 237 del 2016, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, il Governo Gentiloni è intervenuto per consentire al Ministero dell'economia e delle finanze di erogare, sostegno pubblico alle banche italiane in seguito delle prove di «stress test» effettuate a livello nazionale, dall'Unione europea e del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism – SSM);
    un intervento che rappresenta una estrema ratio trattandosi di uno scudo da 20 miliardi di euro per tutti quegli istituti di credito in posizione di sofferenza, che verrà utilizzato in particolare per garantire la copertura del fabbisogno al Monte del Paschi di Siena fino ad un importo di 8,8 miliardi di euro dopo che lo stesso istituto non è stato in grado di trovare sul mercato le risorse necessarie per la sua ricapitalizzazione;
    con questo decreto il Governo, tra le altre cose, adopererà i miliardi di euro stanziati per sottoscrivere nuove azioni di Monte dei Paschi e per rilevare quelle che saranno date in cambio ai piccoli obbligazionisti che dovrebbero riuscire a recuperare l'intera somma investita. Per quanto riguarda invece gli investitori istituzionali, il decreto prevede che le loro obbligazioni subordinate vengano convertite al 75 per cento del valore nominale senza interessi;
    in questo quadro risulta palese la disparità di trattamento con gli azionisti e gli obbligazionisti interessati dal decreto n. 183 del 22 novembre 2015 ovvero quello strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio dalla provincia di Chieti), che ha determinato la costituzione ex lege degli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari,

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario italiano che possa, in tempi rapidissimi, far chiarezza sulle responsabilità che hanno portato diversi istituti di credito a situazioni di difficoltà finanziaria con tutti i risvolti negativi annessi, in particolar modo riguardo alla mancata tutela di migliaia di risparmiatori,

impegna il Governo:

1) a confermare in sede europea l'orientamento favorevole dell'Italia, in linea di principio, al meccanismo del «bail-in», riprendendo contemporaneamente le trattative con la Commissione europea sul meccanismo di sostegno al sistema bancario, per l'autorizzazione di ulteriori misure di aiuto che consentano una dismissione ordinata e razionale del crediti deteriorati da parte del sistema bancario limitando il più possibile l'utilizzo di risorse pubbliche;

2) a garantire condizioni di parità tra tutti gli investitori non istituzionali che hanno subito recentemente una riduzione del valore delle obbligazioni subordinate comprendendo in questa azione anche gli investitori che sono stati coinvolti dall'entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183;

3) ad assumere opportune iniziative normative per garantire adeguata formazione agli operatori del credito ed eliminare la pratica delle pressioni commerciali;

4) a promuovere norme più rigide a tutela dei risparmiatori, prevedendo in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa il fattore di rischio dell'operazione che sta realizzando;

5) ad assumere iniziative normative affinché il limite dei 100.000 euro non si applichi in ogni caso ai depositi di persone fisiche, rappresentando esso un risparmio e non un investimento, anche in conformità alle disposizioni di cui all'Art.47 della Costituzione (tutela del risparmio);

6) a considerare un'eventuale istituzione di una Commissione di inchiesta sul sistema bancario come condizione politica per l'erogazione di risorse pubbliche per il risanamento del sistema creditizio.
(1-01459) «Zanetti, Francesco Saverio Romano, Galati, Sottanelli, Abrignani, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Lainati, Marcolin, Mottola, Parisi, Rabino, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2014/59/UE Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) istituisce un quadro di risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento. La direttiva BRRD è stata recepita dal decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 180 e dal decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 181;
    la comunicazione della Commissione europea dell'agosto 2013 sugli aiuti di Stato al settore bancario dispone che (i) qualsiasi aiuto pubblico ad una banca sia esaminato ed approvato dalla Commissione medesima in base alle regole procedurali vigenti e che (ii) azionisti e creditori subordinati sopportino parte degli oneri per il risanamento della banca in crisi mediante la riduzione del valore nominale dei loro titoli o la loro conversione in capitale (il cosiddetto burden sharing). La direttiva BRRD ha esteso tale regime anche alle obbligazioni ordinarie ed ai depositi superiori a 100.000 euro (il cosiddetto bail-in);
    secondo i dati forniti dalla Banca centrale europea (BCE) di settembre 2016, gli aiuti pubblici al sistema bancario disposti dal 2008 al 2014 sono stati pari a 800 miliardi di euro, di cui solo 330 miliardi di euro sono stati recuperati. Il principale Stato membro ad aver predisposto interventi pubblici a favore del sistema bancario è la Germania, la stessa che oggi chiede allo Stato italiano di rispettare la normativa BRRD nella gestione della crisi degli istituti di credito italiani. Il volume complessivo degli «aiuti di stato» tedeschi è stato pari a 238 miliardi di euro, pari all'8,2 per cento del proprio Pil. La Spagna ha predisposto un intervento pubblico pari a 52 miliardi di euro (5 per cento del Pil), l'Irlanda un intervento di 42 miliardi di euro (22,6 per cento del Pil), la Grecia un intervento di 40 miliardi di euro (22,2 per cento del Pil), mentre l'Italia «solo» 4 miliardi di euro. Per Italia, Francia e Lussemburgo le entrate derivanti dagli aiuti alle banche sono state addirittura superiori alle uscite pari allo 0,1 per cento del Pil;
    da un'indagine di Mediobanca concentrata nel periodo 2008-2011 risulta evidente il divario tra i vari Paesi dell'Unione europea: Regno Unito 593,9; Belgio 125,4; Germania 122,5; Irlanda 116,8; Olanda 83,1; Francia 69; Italia 4,6 (interventi pubblici a sostegno delle banche dati in miliardi di euro, al netto degli imponi restituiti e dette operazioni terminate) (fonte: Mediobanca);
    l'Italia, dopo la crisi del 2008, nonostante fosse al corrente della debolezza del proprio sistema bancario, sovraccaricato da consistenti volumi di non performing loans (NPL), non ha assunto nessun genere di rimedio per salvaguardare i risparmi dei cittadini italiani;
    i non performing loans (NPL) non sono altro che crediti di «difficile rientro», ovvero quando il debitore non rispetta il piano di ammortamento del finanziamento che ha ricevuto, in alcune circostanze perché in reale difficoltà e, in altre, perché vengono erogati finanziamenti ad «amici» o membri del consiglio di amministrazione senza una reale valutazione del rischio;
   nel quotidiano La Nazione del 17 dicembre 2016 si legge: «Se è vera l'ipotesi d'accusa del pool Etruria della procura, è stata la più colossale dissipazione o spoliazione che si ricordi da queste parti: 180 milioni (grossomodo) andati in fumo in una manciata di operazioni di finanziamento che per i Pm non avevano senso alcuno se non quello della dissennatezza.
  Il posto d'onore non poteva non meritarselo l'operazione più colorita e discussa, quella del cosiddetto Yacht Etruria, il mega-panfilo di Civitavecchia, almeno 30 milioni di perdite per la vecchia Bpel.
  La più grossa delle sofferenze è tuttavia quella generata da Sacci, il gruppo cementiero che faceva capo a uno dei consiglieri d'amministrazione, Augusto Federici: 62 milioni persi per sempre.
  Paradossale, invece, il caso di Isoldi: dieci milioni concessi al discusso immobiliarista forlivese, con un'istruttoria da record di appena due giorni. E siccome chi non restituisce i suoi prestiti va premiato, la Isoldi fu destinataria di un ulteriore credito da un milione.
  Che dire, poi, dei 6,9 milioni alla società Hevea, anche questi mai rientrati in banca, garantiti da terreni supervalutati e il cui valore è stato poi abbattuto dai periti ?
  Tra le situazioni più clamorose, ricostruite stavolta in autonomia dalla Finanza e dai Pm, senza l'ausilio della relazione Santoni, c’è quella del finanziere trentino Alberto Rigotti, perquisito a luglio e già allora accusato di bancarotta (ora è fra gli «avvisati»). Nel 2009, «su istigazione e sollecitazione di Fornasari, Bronchi e Rigotti», viene concesso alla società Pegasus un mutuo di 4,8 milioni, che dovrebbe andare a un comparto immobiliare di Bergamo in realtà già costruito e che invece finisce alla Cib 95 srl, dalla quale 1,5 milioni transitano alla Abm Network di Rigotti e servono a sanare uno sconfinamento con Bpel del finanziere.»;
    anche nel caso del Monte dei Paschi di Siena, non sono i piccoli creditori come famiglie o piccole e medie imprese a creare i «buchi neri» nei bilanci. Da un'analisi dei documenti contabili si desume che i crediti deteriorati del Monte dei Paschi di Siena al 31 dicembre 2015 sono:
     totale crediti deteriorati: 35,9 miliardi di euro;
     totale crediti deteriorati netti: 17,9 miliardi di euro;
    i crediti deteriorati al maggio 2016 sono:
     totale crediti deteriorati: 47 miliardi di euro;
     totale crediti deteriorati netti: 24 miliardi di euro;
    da un'attenta disamina dei crediti deteriorati del Monte dei Paschi di Siena si evince quindi che:
     a) i crediti in sofferenza concessi a famiglie, micro, piccole e medie imprese rappresentano circa il 30 per cento del totale delle sofferenze complessive;
     b) più della metà delle sofferenze nette è relativa ad attività oltre 1 milione di euro, quindi operazioni effettuate da gruppi o enti di grandi dimensioni;

Attività classificata come
sofferenza netta
Importo %

0-150000

1142212000

11,2

150000-250000

809708000

8,4

250000-500000

1041436000

10,7

500000-1000000

1257528000

12,9

1000000-3000000

2332577000

24,3

Oltre 3000000

3120668000

32,4

    molti contratti di finanziamento del Monte dei Paschi di Siena sono oggetto di indagine della magistratura e del giornalismo d'inchiesta. In particolar modo si distinguono i seguenti casi:
     600 milioni di euro di finanziamento concesso a Sorgenia (Debenedetti) per un'operazione complessiva di 2 miliardi di euro con altri 21 istituti;
     1 miliardo di euro di credito «perso» con il pastificio «Amato»;
    9 milioni di euro di fideiussione per Silvio Berlusconi mai escussi nonostante il finanziamento di cui era garante non risulti esser stato pagato;
    l'eccessivo liberismo introdotto nel 1992 con l'emanazione del Testo unico bancario e la contestuale abrogazione di una legge ben fatta che ha resistito e fatto crescere l'economia nazionale per ben 56 anni, la «legge bancaria del 1936», ha portato il sistema bancario italiano sull'orlo di un burrone come ha «denunciato» « L'Economist» nel luglio 2016 e tutto ciò a causa dell'incontrollata possibilità concessa alle banche di creare denaro, erogando spesso prestiti senza nessuna regola o limite (come risulta dalle ultime indagini) a soggetti senza merito creditizio e/o in conflitto di interessi; solo negli ultimi anni si è pensato di introdurre limiti all'espansione della «moneta virtuale» come il parametro «CET1» che limita l'espansione del credito cedibile a una determinata percentuale del «capitale primario di classe 1» della banca;
    dopo il 2008, Paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno provveduto a nazionalizzare grandi gruppi bancari come Royal bank of Scotland, e Lloyd bank nel Regno Unito, e Bear Stearn, Lehman Brothers, Freddie Mac, Fannie Mae. Entrambi i Paesi hanno provveduto ad introdurre sistemi prototipi di « Glass steagall act»; il Regno Unito con la « Vickers reform» e gli Stati Uniti con la « Volcker rules»; da ottobre 2008 gli stessi hanno altresì iniziato un processo per limitare al massimo l'azione degli hedge fund, avviando un contenzioso legale per un valore di 500 miliardi di dollari al fine di acquisirne le quote, inibendo con la regola del Tick Up, le vendite allo scoperto su azioni di società statunitensi quotate negli Stati Uniti;
    gli hedge fund sono obbligati dal regolamento dell'Unione europea del 1o novembre 2012 ad auto-segnalare alla Consob ossia all'ente di vigilanza sulla borsa di Milano, soltanto le vendite allo scoperto di tipo « naked» e « naked nette», ovverosia gli hedge fund sono obbligati ad auto-segnalare vendite allo scoperto eseguite su azioni inesistenti di società italiane (banche o altre società quotate italiane) o sull'Eft italiano (il Mercato italiano di borsa o su altri Eft contenenti titoli italiani (Eurostock 50). Si evince quindi che gli hegde fund sono obbligati dal regolamento dell'Unione europea a segnalare alla Consob soltanto le vendite allo scoperto eseguite su azioni italiane, di cui l’hedge fund in realtà non ha disponibilità, non avendole nemmeno prese effettivamente in prestito da altre banche, essendo in realtà titoli la cui esistenza sarebbe stata inventata, ma che l’hedge fund ha però venduto in una notte per provocarne il crollo la mattina seguente. Gli hegde fund non sono invece obbligati dal regolamento dell'Unione europea a segnalare alla Consob tutte le altre vendite allo scoperto ossia quelle eseguite prendendo in prestito, da altre banche, azioni società italiane, pertanto non sono obbligati a segnalare alla CONSOB le vendite allo scoperto eseguite su azioni italiane realmente esistenti che rappresentano circa il 90 per cento delle vendite allo scoperto. Su queste vendite allo scoperto su titoli italiani, che costituiscono quindi circa il 90 per cento delle vendite allo scoperto eseguite dagli hedge fund, non esiste nemmeno un obbligo da parte degli hedge fund, di auto-segnalarsi alla Consob;
    altri Stati come la Svezia, che aveva già nazionalizzato le proprie banche nei primi anni 90, oggi ha ben 4 banche tra le prime 10 – in relazione ad un campione di 51 istituti di credito partecipanti agli ultimi stress test europei. Mentre altri Stati provvedevano con diverse misure a mettere in sicurezza il proprio sistema bancario, il Governo italiano pro tempore rimaneva immobile evitando ogni genere di iniziativa volta a garantire la stabilità del sistema finanziario; questo immobilismo ha portato le principali banche italiane, tra le più grandi d'Europa, agli ultimi posti della stessa classifica della Bce;
    nonostante la consapevolezza ormai diffusa che le reali cause dell'attuale «crisi di sistema» siano attribuibili al sistema stesso e non alle famiglie o alle piccole e medie imprese, il Governo pro tempore il 16 novembre 2015, ha ugualmente deciso introdurre, con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, e il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 181, con il parere favorevole della maggioranza parlamentare, le nuove regole dettate dalla direttiva BRRD senza alcuna esitazione. Trattasi di norme volte a prevenire le crisi trasformando la Banca d'Italia e la Bce, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo in due «indovini» e contemporaneamente giudici, che possono predire e prevenire le crisi causate dagli amministratori, risanando i «buchi di bilancio» con i fondi degli azionisti, obbligazionisti di fatto, subordinati e correntisti con attivo superiore ai 100.000 euro, compresi i conti correnti delle imprese, mettendo in serio rischio la stabilità e posti di lavoro;
    dopo soli 6 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo che recepisce la direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie, il 22 novembre 2015, è stata messa in atto, per la prima volta in Italia, una delle procedure previste dalla BRRD; il Governo pro tempore ha deciso di disporre la procedura del « burden sharing», usando i risparmi di azionisti e obbligazionisti subordinati di Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cariferrara e Carichieti per ripianare i buchi di bilancio creati da crediti «tossici» concessi dagli amministratori. La procedura messa in atto colpì circa 12.000 piccoli risparmiatori, molti dei quali senza le credenziali per poter acquistare quei prodotti finanziari, spinti e consigliati ad acquisti incauti dalle stesse banche coinvolte. La procedura ha previsto anche la creazione di un fondo per la gestione degli NPL e la creazione di 4 nuove banche che, attualmente, non trovano acquirenti nel mercato, anche a causa della mancanza di fiducia arrecata dal provvedimento del Governo. Il fallimento della BRRD è arrivato dopo poco più di un anno, il 19 dicembre 2016; il Governo che ha rifiutato qualsiasi intervento pubblico in favore delle 4 banche messe in risoluzione nel 2015, comunicava al Parlamento la volontà di mettere a disposizione 20 miliardi di euro a favore delle banche private che ne faranno richiesta;
    la denunciata gestione incontrollata sta inoltre mettendo a rischio numerosi posti di lavoro in molte banche; durante l'assemblea di MPS del 24 novembre 2016 si è aperta la procedura prevista dal contratto nazionale per il confronto tra sindacati e azienda sull'implementazione del piano industriale approvato dalla banca il 24 ottobre 2016. Il primo incontro tra le parti, ha spiegato a margine dell'assemblea Antonio Damiani della Fisac Cgil, è in calendario domani e si focalizzerà sull'attivazione del «fondo di solidarietà» per gli esuberi previsti dal piano (2.900 a fronte di 300 assunzioni), con «i primi 600 esuberi che lasceranno la banca entro aprile 2017»;
    una crisi del credito simile a quella che stiamo vivendo oggi si è già verificata nel 29; la crisi fu mondiale, virale, l'Italia capì come difendersi dalla stagnazione economica nel 1936 anno in cui venne ridisegnato l'intero sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione tra credito a breve e a lungo termine. In particolar modo, si sancì che l'attività bancari doveva essere ritenuta funzione di interesse pubblico, fu costituito il nucleo delle Bin (Banche di interesse nazionale) costituito da: Banca Commerciale Italiana, Credito italiano e Banco di Roma a capitale pubblico; si concentrò l'azione di vigilanza nell'ispettorato – organo pubblico di nuova creazione presieduto dal Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d'Italia, ma diretto da un comitato di ministri presieduto dal capo del Governo – per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito;
    la legge Bancaria del 1936, rimasta in vigore fino al 1992, venne sostituita dal testo unico bancario con il decreto legislativo n. 481 del 14 dicembre 1992; negli stessi anni in antitesi, il sistema bancario svedese come quello norvegese, dopo 20 anni, uscendo dalla cosiddetta «liberalizzazione finanziaria» del 1973 passò alla nazionalizzazione del sistema bancario. La storia bancaria italiana sembra ricalcare quella svedese e norvegese che dopo aver liberalizzato le banche si accorsero dei danni che erano in grado di fare se non opportunamente controllate e l'epilogo fu la nazionalizzazione. Le banche in Italia dopo il 1992 non sarebbero state più banche ma industrie a scopo di lucro prede degli speculatori;
    con la legge 29 gennaio 1992, n. 35 vennero privatizzate le banche dell'Iri azioniste di Banca d'Italia; nove giorni dopo, venne modificato l'articolo 25 dello statuto della Banca d'Italia con cui vennero accolte le disposizioni della legge 7 febbraio 1992 n. 82, firmata dal Carli che conferisce al Governatore della Banca d'Italia Ciampi, il potere esclusivo di variare il tasso ufficiale di sconto di sua libera iniziativa. La norma risulterebbe ininfluente se le banche azioniste di Banca d'Italia fossero rimaste pubbliche – ossia di proprietà dell'Iri – ma nove giorni prima furono privatizzate divenendo, in seguito a varie operazioni di mercato, le attuali Banca Intesa, Unicredit, Carisbo e Carige. La norma avrà una portata devastante sulle generazioni future: il Governatore della neo «Bankitalia spa» varierà il tasso ufficiale di sconto (a decorrere dal 1o gennaio 1999, il tasso ufficiale di riferimento (TUR) sostituisce il tasso ufficiale di sconto (TUS), fissato dalla Banca d'Italia ed applicato nelle sue operazioni di rifinanziamento nei confronti del sistema bancario) sempre al ribasso portandolo dal 15 per cento di settembre 1992 ad oggi che è lo 0,05 per cento. Contestualmente 21 banche d'affari straniere fanno contrarre, a partire dal 1992, al Tesoro dello Stato italiano circa 120 miliardi di euro di derivati sul tasso con clausola « killer» «banca vince se tasso cala»; queste contrattazioni arrecano allo Stato italiano una perdita addebitata sul conto corrente del Tesoro quantificata ad oggi in non meno di 220 miliardi di euro. L'esistenza della clausola « killer» nei contratti derivati sottoscritti dal Tesoro è certa, diversamente il mark to market ad oggi non sarebbe negativo per il Tesoro per 42 miliardi di euro;
    il 18 febbraio 1992 venne firmato il decreto del Tesoro n. 44 con cui si autorizzò la possibilità di piazzare derivati (autorizzati in Italia dall'articolo 23 della legge n. 1 del 2 gennaio 1991) al Tesoro dello Stato italiano anche da parte di banche straniere aventi filiale in Italia;
    il Governatore della controllata Bankitalia SPA che dal 1992 variava il tasso al ribasso, apparentemente mostrando di non sapere che contestualmente una ventina di banche d'affari straniere piazzavano al Tesoro dello Stato italiano e 900 enti locali italiani contratti derivati, difficili da reperire, con clausola cosiddetta killer, «banca vince se tasso cala» ha provocato, a conti fatti, un addebito sul conto corrente del Tesoro di aggiuntivi interessi, oltre a quelli già pagati sui titoli di Stato e sui prestiti sottostanti di 500 miliardi di euro dal 1992 ad oggi. Tali oneri sono stati pagati dai cittadini italiani con ad esempio le accise su carburante auto, luce, gas da riscaldamento (spese quotidiane), che sono più che raddoppiate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, nelle opportune sedi, volte a:
   a) abrogare la direttiva sul bail in o eventualmente modificarne o sospenderne l'efficacia;
   b) introdurre misure volte a garantire ai clienti degli istituti di credito e delle imprese di investimento l'accesso ad informazioni quali identità del richiedente, importo del finanziamento e garanzie prestate delle operazioni di importo superiore a cinquecentomila euro, al fine di consentire loro un'adeguata valutazione patrimoniale e di solvibilità;
   c) far sì che i finanziamenti della Banca centrale europea alle banche con sede legale e amministrazione centrale nei singoli Stati membri siano prioritariamente destinati al credito per lo sviluppo delle piccole e medie imprese ed al finanziamento dell'economia reale;
   d) introdurre un regolamento in base al quale, un titolo non può essere venduto allo «scoperto» mediante cosiddette operazioni di «short selling»;
   e) disporre la nazionalizzazione di Banca d'Italia in modo tale da evitare ogni possibile conflitto di interesse tra soggetti vigilati ed organo vigilante e da porre rimedio al carente esercizio del potere di vigilanza che indurrebbe ad aumentare la portata degli effetti pregiudizievoli delle crisi bancarie;
   f) predisporre strumenti volti a fornire un'informazione piena e consapevole ai consumatori in merito agli investimenti effettuati in prodotti finanziari, prevedendo in particolare «prospetti informativi» chiari, leggibili e scritti in maniera semplice e comprensibile come ad esempio l'indicazione degli «scenari probabilistici»;
   g) introdurre la separazione delle banche commerciali che investono in economia reale dalle banche di investimento;
   h) valutare la possibilità di introdurre nuovi strumenti, quali i warrant che concedono la facoltà di acquistare una determinata quantità di titoli ad una certa scadenza e ad un prezzo determinato, per gli azionisti non istituzionali delle banche oggetto di risoluzione della crisi e di liquidazione;
   i) disporre un tempestivo ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi, per il valore di investimento delle rispettive posizioni, a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in ed introdurre una specifica normativa che consenta il ricorso allo strumento della « class action», in linea con quanto previsto nell'A.C. 1335 approvato dalla Camera dei deputati;
   l) per i risparmiatori di Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti oggetto di risoluzione e liquidazione, estendere il rimborso del Fondo di solidarietà:
    a) ai detentori di «obbligazioni subordinate» acquistate presso le sedi di Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti il cui contratto non sia stato concluso in contropartita diretta con la banca a causa della discrezionalità dell'istituto di credito il quale ha provveduto a selezionare obbligazioni dal mercato secondario non inserite nel portafoglio della medesima banca, rendendo in tal modo la stessa banca «intermediaria» invece che «controparte diretta»;
    b) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che soddisfano i requisiti previsti dal medesimo decreto ma che abbiano provveduto ad acquistarle nelle sedi di istituti di credito diversi da Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti;
    c) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che soddisfano i requisiti previsti dal medesimo decreto che abbiano provveduto ad acquistarle successivamente al 12 giugno 2014;
    d) ai detentori di «obbligazioni subordinate» che dal 2013 al 2015 abbiano una media del reddito rilevante ai fini Irpef inferiore a 35 mila euro;
   m) qualora l'importo del risarcimento degli obbligazionisti, in ordine alle risorse disponibili, risulti parziale, predisporre sull'integrazione anche mediante la trasferibilità agli obbligazionisti delle deferred tax asset di TIPO 2 in possesso delle banche in crisi attraverso la relativa trasformazione in crediti d'imposta;
   n) predisporre adeguate misure per le banche in crisi ed oggetto di liquidazione finalizzate ad una gestione interna delle sofferenze, in modo tale da evitare ogni genere di dismissione dei portafogli di crediti per un valore esiguo e pregiudizievole per la stabilità finanziaria delle medesime banche e conseguentemente, da salvaguardare il personale evitando l'assunzione di misure penalizzanti per lo stesso;
   o) aumentare il limite di 8 miliardi di euro di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, oltre il quale le banche popolari devono trasformarsi in società per azioni, adottando la soglia dei 30 miliardi di euro, in coerenza con la quantificazione operata dall'articolo 6 (4) del regolamento (UE) n. 1024/2013 in riferimento alle banche «significative», nonché introdurre una proroga, per un congruo periodo, del termine per la trasformazione;
   p) modificare la normativa di settore della centrale dei rischi (CR) predisponendo criteri oggettivi ed inderogabili ai sensi dei quali vengono effettuate le segnalazioni, evitando possibili casi di conflitto di interesse e personalizzazioni, così come si è evinto per diversi istituti di credito in crisi finanziaria ed oggetto di risoluzione e liquidazione, con particolare riguardo ai grandi imprenditori presumibilmente esclusi dalle segnalazioni;
   q) individuare criteri oggettivi di erogazione del credito a fronte della prestazione di specifiche garanzie e favorire l'introduzione di misure più rigide al fine di far emergere con chiarezza i crediti deteriorati dai documenti contabili degli istituti di credito;
   r) modificare il codice penale rafforzando le pene disposte per i reati di truffa, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta ed ostacolo alla vigilanza e, in particolar modo a rafforzare le misure cautelari e di sequestro preventivo per i membri degli organi di amministrazione e controllo degli istituti di credito e delle imprese finanziarie, nonché a estendere tali nuove previsioni anche alle società di revisione contabile;
   s) disporre per gli organi di amministrazione e controllo, per i direttori generali, i direttori centrali ed i direttori delle filiali degli istituti di credito e delle imprese di investimento una cauzione speciale vincolata presso la Banca d'Italia e pari ad una percentuale non inferiore al 25 per cento degli emolumenti annuali complessivi;
   t) favorire da parte degli istituti di credito e delle imprese di investimenti la predisposizione di principi contabili chiari al fine di monitorare il volume di «moneta bancaria» creata;

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione d'inchiesta sullo stato del sistema bancario e finanziario negli ultimi trent'anni.
(1-01460) «Villarosa, Pesco, Alberti, D'Uva».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi del sistema bancario e creditizio italiano si protrae da diversi anni senza che sia state intrapresa alcuna riforma strategica del settore e mediante interventi di volta in volta dettati dall'emergenza di coprire le perdite;
    secondo uno studio condotto dalla Banca centrale europea tra il 2008 e il 2014 Eurolandia ha speso l'otto per cento del proprio prodotto interno lordo, pari a circa ottocento miliardi di euro, per intervenire in salvataggio di istituti bancari e creditizi;
    l'evoluzione della normativa europea in materia di salvataggi bancari indica chiaramente una rotta in base alla quale non deve più essere lo Stato, e attraverso di esso i contribuenti, a sopportare il peso delle crisi finanziarie ma lo stesso sistema bancario, e a tal fine sono stati istituiti appositi fondi;
    in ambito europeo, infatti, nel 2014 è stata approvata la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che reca nuove procedure per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, alla quale è stata data attuazione a livello nazionale con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
    la cosiddetta direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) aveva avuto origine nel giugno 2013, nei giorni della crisi di Cipro e delle sue banche, ed è finalizzata ad introdurre regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche in tutti i paesi europei, approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto;
    la BRRD si propone di limitare al massimo l'erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, e a tal fine attribuisce alle autorità il potere di allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilita dalla direttiva e, in secondo luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario;
    la direttiva introduce altresì il concetto di bail in, una sorta di «salvataggio interno» tramite il quale si svalutano azioni e crediti e li si converte in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
    con l'introduzione del bail in si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi era imperniata sul ricorso ad apporti esterni, vale a dire su denaro pubblico, come accaduto con il Monte dei Paschi di Siena, ad un sistema che reperisce le risorse necessarie all'interno degli stessi istituti bancari, tramite il coinvolgimento di azionisti e creditori;
    il recepimento della direttiva BRRD nel nostro ordinamento aveva fissato la sua entrata in vigore al 1o gennaio 2016 ma l'ennesima crisi del sistema del credito, intervenuta nell'autunno del 2015, ha spinto il Governo pro tempore ad anticiparne la applicazione al dissesto di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti;
    le quattro banche, che con il loro fallimento hanno polverizzato quattrocento milioni di euro di risparmi dei loro investitori, erano già state tutte commissariate tra il 2013 e il 2015, ma ciononostante le ripercussioni sui risparmiatori sono state massicce e, in parte, drammatiche, perché almeno un migliaio tra di loro hanno visto volatilizzarsi la totalità dei loro risparmi, spesso perché convinti, e in alcuni casi addirittura costretti, a sottoscrivere obbligazioni con un indice di rischio più elevato di quelle ordinarie, senza che ne fossero informati;
    nel 2014 gli stress test della Banca centrale europea sugli istituti bancari italiani hanno sancito la «bocciatura» di nove istituti su venticinque, e alla fine del 2015, dopo il default di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, erano ancora dodici le banche messe sotto commissariamento dalla Banca d'Italia e quindi in una situazione non certo positiva;
    nelle sue considerazioni finali svolte il 31 maggio 2016 a margine della presentazione della relazione annuale il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato che «Al netto delle svalutazioni già apportate dalle banche, il valore dei crediti deteriorati è di poco inferiore a 200 miliardi. Più della metà si riferisce a situazioni in cui la difficoltà dei debitori è temporanea. Se ci si concentra sulle sole sofferenze, il valore netto è pari a meno di 90 miliardi. Si tratta di un peso rilevante, ma in larga parte esso è coperto da garanzie reali il cui valore è stato accuratamente esaminato nel corso dell'esercizio di valutazione approfondita dei bilanci delle maggiori banche dell'area dell'euro condotto nel 2014; a queste si aggiungono le garanzie personali. Nel complesso, le preoccupazioni sulla qualità degli attivi delle banche italiane devono essere prese in seria considerazione, senza sovrastimare però l'entità del problema»;
    in realtà il filo rosso che lega tutte le crisi bancarie dello scorso decennio, infatti, è stato una gestione quanto meno allegra e disinvolta del credito, e la messa in atto di pratiche commerciali scorrette, gestioni patrimoniali sospette, operazioni irregolari di acquisizione, fusione, trasformazione o vendita di valori azionari, obbligazionari, o addirittura di interi istituti di credito, come nel caso dell'acquisizione di Antonveneta da parte del Monte Paschi di Siena;
    nel panorama dei casi di insolvenza di istituti bancari verificatisi negli ultimi anni questi sono stati nella quasi totalità dei casi imputabili a operazioni finanziarie spericolate delle quali alcuna autorità di vigilanza sembra essersi accorta, ma nel momento del palesarsi della crisi spicca la tendenza a salvare i manager responsabili del disastro sacrificando, invece, i piccoli contribuenti, come accaduto, appunto nel fallimento delle citate quattro banche nel novembre 2015;
    in questo quadro suscita profonda preoccupazione l'assenza o il malfunzionamento di quelle istituzioni, quali Banca d'Italia e Consob, che in base alle vigenti normative dovrebbero vigilare sugli istituti di credito;
    per missione istituzionale, infatti, la Banca d'Italia ha il compito di assicurare la «sana e prudente gestione del credito», che spetta anche a ogni singolo banchiere, e funzioni di vigilanza e controllo ha anche la Consob, autorità incaricata di verificare la correttezza delle informazioni fornite al mercato dai soggetti che fanno appello al pubblico risparmio, nonché delle informazioni contenute nei documenti contabili delle società quotate;
    la crisi del Monte dei Paschi di Siena era costata all'Italia quattro miliardi di euro appena tre anni fa, quando il salvataggio dell'istituto era avvenuto attraverso la sottoscrizione dei cosiddetti Monti bond, due miliardi dei quali concessi come aiuti addizionali, rispetto ai quali è stato poi dimostrato che non erano serviti per coprire le perdite generate dal portafoglio di titoli di Stato italiani ma per ripianare un deficit di capitale generato da due temerarie operazioni di derivati eseguite dalla banca, insieme ad altri istituti, realizzate con il fine – anch'esso illecito – di occultare le perdite di altre operazioni;
    nello scorso mese di dicembre il Governo ha chiesto al Parlamento l'autorizzazione per un indebitamento di ulteriori venti miliardi di euro attraverso l'emissione titoli di debito pubblico per coprire, come si leggeva nel testo in situazioni meramente «ipotetiche», le carenze di capitale del sistema bancario nazionale, e rappresenterebbe un intervento meramente precauzionale;
    neanche due giorni dopo il Governo ha approvato in Consiglio dei ministri il provvedimento necessario a intervenire concretamente in sostegno degli istituti bancari in difficoltà, primo tra tutti ovviamente il Monte dei Paschi, appostando un fondo finanziato in deficit con una dotazione di venti miliardi di euro, al quale si potrà attingere per i singoli interventi sul capitale e sulla liquidità;
    proprio in questi giorni è fallito il tentativo di ottenere offerte migliorative rispetto a quelle già presentate per l'acquisizione delle quattro good bank di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Cariferrara;
    i primi tre istituti dovrebbero passare a UBI Banca al valore simbolico di un euro dopo una nuova «pulizia di bilancio» che prevede la dismissione di 1,7 miliardi di crediti in sofferenza e 500 milioni di incagli che verranno rilevati dal fondo di risoluzione «Atlante», e dopo una riduzione dell'organico di 900 unità su 4700 totali, mentre CariFerrara dovrebbe seguire un percorso analogo entrando nel gruppo BPER Banca;
    la gestione del sistema del credito non può funzionare secondo uno schema in cui le banche sono private quando devono erogare prestiti in assenza delle necessarie garanzie, quando compiono operazioni finanziarie ad alto rischio con il denaro degli investitori o quando devono distribuire utili e bonus milionari ai propri dirigenti, ma divengono di interesse nazionale non appena affrontano una crisi di insolvenza e si rende necessario intervenire con fondi pubblici per il loro risanamento;
    appare urgente e indispensabile attuare una riforma del sistema del credito che passi in primissimo luogo attraverso la separazione tra banche commerciali e banche d'affari, cosicché i cittadini possano avere la possibilità di scegliere di investire il proprio denaro in banche che non effettuano operazioni speculative,

impegna il Governo:

   1) ad adottare ogni iniziativa utile a una riforma del sistema del credito e delle autorità di vigilanza sullo stesso, al fine di garantire una stabilità del sistema e la tutela di investitori, risparmiatori e dei contribuenti in generale;
   2) ad assumere iniziative per introdurre una netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari e istituire la fattispecie delle banche di deposito, con la sola funzione di custodire il risparmio;
   3) ad assumere iniziative per introdurre normative più rigide a tutela dei risparmiatori, volte a prevedere in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa il fattore di rischio dell'operazione che sta realizzando, e impedire ai medesimi istituti di attuare pratiche scorrette nell'attività di recupero dei crediti;
   4) a promuovere una normativa che stabilisca che i membri del consiglio di amministrazione e di governo delle banche siano responsabili in solido e senza limiti nel caso di fallimento delle proprie aziende;
   5) ad adottare le iniziative opportune a rendere noto l'elenco dei cento maggiori debitori della banca Monte dei Paschi di Siena;
   6) ad assumere iniziative per condizionare l'erogazione di eventuali aiuti finanziari a istituti bancari all'applicazione di chiare e stringenti limitazioni: divieto di distribuzione di utili e dividendi per almeno cinque anni; divieto di erogare bonus; tetto ai compensi di amministratori e dirigenti; controllo straordinario sull'operato della banca per verificare l'eventuale mala gestione dell'istituto; responsabilità diretta e personale degli amministratori; divieto definitivo e inappellabile per gli amministratori che si siano resi responsabili della situazione di insolvenza di ricoprire altri incarichi in ambito bancario;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in merito all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema del credito e sulla gestione delle crisi bancarie.
(1-01461) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, anche a causa del difficile contesto internazionale, il sistema bancario italiano, come quelli di vari altri Paesi, ha dovuto fronteggiare una serie di crisi finanziarie che hanno colpito vari istituti di credito, sollevando discussioni sulla tenuta dei meccanismi di tutela dei risparmiatori e dei sistemi di vigilanza e controllo;
    già con il decreto-legge n. 183 del 22 novembre 2015, il Governo pro tempore è intervenuto per una migliore tutela dei depositanti e degli investitori di alcuni istituti (Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa);
    a tale intervento, cui ha fatto seguito il decreto-legge n. 59 del 3 maggio 2016, va aggiunto il recente decreto-legge n. 237 del 23 dicembre 2016;
    pur essendo comprensibile che le vicende bancarie di questi mesi siano oggetto di scontro politico, anche in maniera strumentale, e nel ritenere inutile ogni polemica politica sulle colpe del passato, i firmatari di questa mozione ritengono più utile per i risparmiatori, il sistema bancario e il Paese in generale, che tutti i partiti concentrino la loro attenzione sull'individuazione delle cause dei problemi esistenti e sull'adozione delle misure più efficaci per la loro soluzione;
    al fine di identificare cause, responsabilità e conseguenze delle crisi bancarie, i firmatari di questa mozione hanno presentato, già nel dicembre 2015, una proposta di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle funzioni di vigilanza, controllo, prevenzione e sanzione nel sistema creditizio (3485);
    nell'ambito dei lavori della Commissione dovrà necessariamente essere assicurata la massima trasparenza sulle circostanze che hanno portato all'intervento dello Stato, anche identificando le situazioni debitorie che hanno determinato o aggravato la crisi. Occorre, tuttavia, evitare l'introduzione di norme generiche che abbiano come unico effetto di creare una sorta di «gogna mediatica» sui debitori per il solo fatto della loro insolvenza e che allontanino l'attenzione dalle responsabilità di chi ha erogato imprudentemente il credito, o ha omesso di vigilare;
   ai fini della tutela dei risparmiatori e del sistema bancario sono opportune altresì una serie di ulteriori misure in sede sia nazionale che europea;
    in sede europea, è certamente opportuno che il Governo promuova ogni possibile iniziativa per arrivare alla realizzazione del terzo pilastro dell'unione bancaria e in particolare dell'introduzione di un sistema comune di garanzia dei depositi, a rivedere la direttiva 2014/59/UE nonché a promuovere modifiche alla disciplina del bail in ivi prevista e a lavorare per favorire un riesame delle interpretazioni delle norme in materia di aiuti di Stato per modificare gli ambiti di intervento a tutela del sistema bancario e dei risparmiatori;
    a livello nazionale, i firmatari della presente mozione ritengono opportuni interventi che mirino a migliorare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, sia attraverso limitazioni alla possibilità per le banche di collocare propri prodotti presso la propria clientela, soprattutto quando hanno l'effetto di caricare su di essa passività dell'istituto, sia attraverso norme che assicurino allo Stato la possibilità di promuovere per conto della società l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e l'inefficacia di eventuali compensi straordinari e «paracadute» in caso di cessazione dalla carica;
    si ritengono, infine, necessarie disposizioni che regolino i compensi degli amministratori di banche destinatarie di interventi dello Stato, prevedendo che la parte variabile di tali compensi sia percentualmente limitata e possa essere liquidata comunque solo dopo che lo Stato abbia recuperato quanto erogato;

  impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause, responsabilità e conseguenze dell'attuale situazione del sistema bancario, anche al fine di valutare l'efficacia della normativa vigente e proporre interventi normativi,

impegna il Governo:

1) a promuovere in sede europea ogni iniziativa volta a realizzare il terzo pilastro dell'unione bancaria e in particolare l'introduzione di un sistema comune di garanzia dei depositi, a rivedere la direttiva 2014/59/UE per apportare opportune modifiche alla disciplina del bail in e a favorire un riesame delle interpretazioni delle norme in materia di aiuti di Stato per modificare gli ambiti di intervento a tutela del sistema bancario e dei risparmiatori;

2) a promuovere, in sede europea e nazionale, l'introduzione di disposizioni più efficaci per evitare i conflitti di interesse e in particolare di più severe limitazioni alle operazioni aventi ad oggetto il collocamento di prodotti proprietari e alle operazioni che hanno come effetto sostanziale l'addossare sulla clientela le passività degli istituti bancari;

3) a rafforzare i principi di responsabilità e correttezza degli amministratori, prevedendo il potere dello Stato di promuovere autonomamente l'azione di responsabilità per conto dell'istituto del quale è diventato azionista e l'inefficacia di qualsiasi accordo contrattuale che riconosca ad amministratori dimissionari o revocati in occasione dell'intervento di «paracadute» o altre remunerazioni straordinarie o bonus connessi alla cessazione della loro carica o del rapporto di lavoro;

4) a introdurre norme coerenti con quelle già introdotte negli Stati Uniti che prevedano che i compensi riconosciuti agli amministratori degli istituti bancari che beneficiano del sostegno finanziario dello Stato siano, per una parte significativa, legati ai risultati dell'istituto e che qualsiasi bonus, opzione o altro compenso variabile possa essere liquidato solo dopo che lo Stata abbia recuperato quanto erogato.
(1-01462) «Monchiero, Molea, Galgano, Mazziotti Di Celso, Palladino, Vargiu, Matarrese, Oliaro, Bombassei, Librandi, Catalano, Menorello, Quintarelli, Dambruoso».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati diffusi dal rapporto « Review on Antimicrobial Resistance», pubblicato nel 2016, riportano che, entro il 2050 le infezioni resistenti agli antibiotici potrebbero essere la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero dei decessi attuali per cancro;
    il 26 maggio 2016 gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa hanno individuato un super-batterio resistente a qualsiasi tipo di antibiotici, si tratta di una specie di «escherichia coli» riscontrata nelle urine di una donna di 48 anni della Pennsylvania;
    il dettaglio più allarmante, spiega il rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia, « Antimicrobial Agents and Chemotherapy», è che l'agente patogeno in questione è resistente persino all'antibiotico «colistin». La colistina, infatti, è considerata l'ultima spiaggia degli antibiotici e se un batterio riesce a sopravvivere anche a questa è impossibile fermarlo. Potrebbe essere, scrivono i media americani, «la fine della strada» per gli antibiotici;
   uno scenario che potrebbe essere evitato; infatti, il 21 settembre 2016, i Paesi membri dell'Onu si sono riuniti per fare il punto e proporre soluzioni sulla lotta all'antibiotico-resistenza, quella che è stata definita «la più grande sfida della Medicina contemporanea»;
    i rappresentanti dell'Assemblea generale dell'Onu hanno firmato il documento che impegna i 193 Paesi membri a mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l'antibioticoresistenza;
    oggi si stimano circa 700 mila morti l'anno a causa dell'antibiotico-resistenza, una stima approssimata per difetto, in quanto non si dispone di un sistema di monitoraggio globale;
    l'Istituto superiore di sanità nel rapporto 09/32 mette in evidenza, «come dimostrano le tendenze registrate da numerosi studi effettuati al riguardo, come l'utilizzo terapeutico degli antibiotici, riscontra un continuo declino in termini di efficacia. Purtroppo, tale declino non è compensato, come invece avveniva in passato, dalla disponibilità di nuovi antibiotici efficaci ed è, almeno in larga misura, associato al loro abuso/cattivo utilizzo. L'uso improprio degli antibiotici ha fatto sì che oggi la loro efficacia non sia più un bene garantito, come a lungo siamo stati abituati a pensare, e che quelli oggi disponibili debbano essere maggiormente difesi, alla stregua di “risorse non rinnovabili”. Gli effetti di queste tendenze sono molto evidenti in Italia, che è uno dei Paesi europei con il più alto consumo di antibiotici (24,5 DDD/1000 abitanti/die) insieme ad altri Paesi dell'Europa meridionale (Grecia in testa, con >g30 DDD/1000 abitanti/die). Conseguentemente, l'Italia condivide con questi Paesi un alto livello di antibiotico-resistenza nei principali agenti batterici di infezioni gravi (stafilococco, Escherichia coli, Pseudomonas spp., pneumococco) e verso le principali classi di antibiotici (penicilline, cefalosporine, macrolidi e fluorochinoloni). La comunità scientifica internazionale è dunque ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno tramite una inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione, tenendo presente come la resistenza possa essere ridotta a vantaggio della sensibilità ma che, in ogni caso, questo avverrà con minore rapidità rispetto all'avanzare dell'antibiotico-resistenza»;
    il comunicato stampa dell'Agenzia nazionale del farmaco diramato il 10 maggio 2016 rende noto che «la comunità scientifica internazionale e le istituzioni preposte alla tutela della salute hanno lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche da molto tempo, a fronte di una percezione pubblica del fenomeno, a livello globale, ancora piuttosto limitata»;
    si tratta di un’«era post-antibiotica», uno scenario apocalittico, quello in cui le infezioni sfuggono alle armi della medicina moderna per divenire intrattabili, riportando il mondo, dal punto di vista sanitario, al periodo precedente alla seconda guerra mondiale. Oggi si tratta di una concreta minaccia per la salute pubblica mondiale come più volte ricordato dall'Organizzazione mondiale della sanità, dalle istituzioni europee e da quelle italiane. Uno stato di cose determinatosi rapidamente e contemporaneamente in tutto il mondo a causa, principalmente, dell'utilizzo eccessivo e inappropriato di antibiotici, sia per uso umano che per quello veterinario;
    il sistema di sorveglianza europeo ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) stima che in Italia il consumo di antibiotici sistemici, nonostante presenti un lieve calo rispetto al passato, sia superiore alla media europea, sia in ambito ospedaliero che territoriale;
    circa l'80-90 per cento dell'utilizzo degli antibiotici avviene a seguito della prescrizione dei medici di medicina generale, pertanto la medicina generale rappresenta il punto focale per il monitoraggio del consumo di questa classe di farmaci, nonché il punto su cui è importante agire per migliorarne l'appropriatezza prescrittiva. Difatti, l'impiego improprio di antibiotici, oltre ad esporre i soggetti ad inutili rischi derivanti dai loro effetti collaterali, pone grandi problematiche cliniche connesse al possibile sviluppo di resistenze;
    le condizioni cliniche per le quali si osserva un impiego di antibiotici più frequentemente inappropriato, nella popolazione adulta, sono le infezioni acute delle vie respiratorie (IAR) e le infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie (IVU). La metà della popolazione è colpita annualmente da almeno un episodio di IAR; di conseguenza, le IAR rappresentano circa il 75 per cento degli interventi medici nella stagione invernale. Inoltre, esse sono una delle principali cause di morbilità e di mortalità nel mondo. È stimato che oltre l'80 per cento delle IAR abbia un eziologia virale, pertanto gli antibiotici non sono solitamente indicati per il loro trattamento; ne consegue la possibilità di individuare macro indicatori di un uso scorretto degli antibiotici nella popolazione adulta in carico alla medicina generale;
    uno dei problemi più annosi è certamente costituito dal «gradiente Nord-Sud», che vede le regioni del Meridione consumare un numero significativamente superiore di dosi, senza alcuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico. La variabilità regionale vede realtà di eccellenza, come la Liguria (16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la provincia autonoma di Bolzano (14,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti), e contesti che fanno più fatica a ridurre i consumi come la Campania (32,7 DDD/1000 ab die), la Puglia (30,3 DDD/1000 ab die) e la Calabria (28,4 DDD/1000 ab die);
   proprio a livello europeo si valutano con interesse esperienze di Paesi che fanno registrare un consumo inferiore di antibiotici. I Paesi Bassi sono la realtà europea maggiormente virtuosa, con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, che consente di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati. Lo studio Antimicrobial Resistance and causes of Non-prudent use of Antibiotics in human medicine in European Union (Arna), finanziato dall'Unione europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti left-overs, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    lo studio ha effettuato una survey in sette Paesi europei, tra cui l'Italia, e nel dettaglio, su 9.313 pazienti italiani intervistati, il 9 per cento ha affermato di utilizzare gli antibiotici senza ricorrere ad una prescrizione medica e, di questi, l'87 per cento utilizza le rimanenze di confezioni di antibiotico disponibile tra famiglia e parenti. Alla luce di quanto emerso anche nel nostro Paese si sta discutendo, nelle sedi deputate, sull'istituzione di un limite alla prescrizione degli antibiotici nell'ambito della terapia individuale;
    nel libro «principi di politica degli antibiotici», di Smjla Kalenic e Michael Borg è illustrato come «gli antibiotici influenzano la normale flora umana che può diventare resistente e poi agire come riserva di geni di resistenza. Ciò pone un particolare problema nel trattamento dell'infezione di un paziente potendo potenzialmente influenzare i microrganismi di una certa popolazione. Pertanto, quando possibile, devono essere utilizzati antibiotici con ridotto spettro d'azione. Gli antibiotici sono pure diffusamente utilizzati in medicina veterinaria (per infezioni o come fattori di crescita) e in agricoltura, creando altre riserve di microbi resisterti agli antibiotici che possono infettare l'uomo. L'uso eccessivo degli antimicrobici è direttamente responsabile dello sviluppo della resistenza; di conseguenza devono essere favoriti i migliori modelli di prescrizione»;
    la prescrizione impropria in ospedale è stata descritta come «troppi pazienti che ricevono antibiotici a largo spettro non necessari, per via di somministrazione errata, dose sbagliata e per troppo tempo». Il laboratorio di microbiologia svolge un ruolo fondamentale per la gestione corretta degli antibiotici nelle strutture sanitarie. L'applicazione routinaria dei test di sensibilità (antibiogrammi) è di aiuto nell'identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e nella scelta della terapia appropriata da parte dei medici. I laboratori di microbiologia devono saggiare gli antibiotici raccomandati. Refertare solo quelli di prima scelta se l'isolato è sensibile; se è resistente, aggiungere l'antibiotico d; seconda scelta. Ciò rende meno probabile la prescrizione dell'antibiotico di seconda scelta (solitamente a spettro più ampio, più tossico, più costoso). Informazioni aggiuntive dal laboratorio di microbiologia che possono offrire una guida generale per la scelta dell'antibiotico e ridurre l'uso improprio;
    il rischio di resistenza antimicrobica non deriva solo dall'abuso di antibiotici in ambito ospedaliero o domestico, ma anche dalla trasmissione di batteri resistenti agli antimicrobici attraverso la catena alimentare e dalla trasmissione di tale resistenza dai batteri animali ai batteri umani;
    il fenomeno dell'antibiotico-resistenza si è sviluppato anche a seguito dell'abuso di antimicrobici negli allevamenti, in particolare negli allevamenti intensivi, dove l'elevata densità della popolazione animale nelle stalle aumenta il rischio dell'insorgenza e della diffusione delle infezioni;
    per mitigare il rischio di resistenza antimicrobica in modo efficace, tenuto conto della co-resistenza e della resistenza incrociata, l'uso prudente degli antimicrobici deve determinare una riduzione generale dell'uso di tali sostanze attraverso azioni dirette a prevenire l'insorgenza delle infezioni, migliorando lo stato di salute e benessere degli animali, proibendo programmi sanitari nei quali gli animali siano trattati sistematicamente con antimicrobici a titolo profilattico;
    l'uso degli antibiotici in veterinaria dovrebbe essere limitato al trattamento delle patologie e non esteso alla prevenzione o alla profilassi di gruppo/allevamento;
   il Ministero della salute nella relazione finale dell'anno 2015 nell'ambito del «Piano nazionale residui» ha presentato un focus sugli antibiotici da cui emerge: «l'uso eccessivo o non appropriato di antibiotici, unitamente a scarsa igiene e/o carenze nelle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, ha causato negli anni il fenomeno dell'antimicrobicoresistenza, in quanto si sono create condizioni favorevoli allo sviluppo, diffusione e persistenza di microrganismi resistenti agli antimicrobici sia negli esseri umani che negli animali, trasformando il fenomeno di naturale adattamento biologico dei microrganismi in una seria minaccia per la salute pubblica a livello mondiale. L'Unione europea, nell'ottica della One Health è attiva da più di 15 anni nel contrasto a tale minaccia con una serie di Piani e di azioni che spaziano da attività di prevenzione delle infezioni microbiche e della loro diffusione, al controllo sull'utilizzo appropriato e prudente dei farmaci sia in medicina umana ed animale, allo sviluppo di nuovi antibiotici e al miglioramento della comunicazione, educazione e formazione per operatori e pazienti»;
    nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C 299 sono state infatti pubblicate le Linee guida sull'uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria, che, rappresenta uno dei principali settori strategici dell'Unione europea nel quadro del contrasto alla resistenza antimicrobica;
    le linee guida si prefiggono l'obiettivo di fornire una guida pratica agli Stati membri in materia di sviluppo e attuazione di strategie per favorire l'uso prudente di antimicrobici in medicina veterinaria, attraverso piani d'azione che mirino a migliorare lo stato di salute e benessere degli animali;
    alcune misure indicate nel documento che contribuirebbero alla prevenzione delle malattie e alla riduzione della necessità di utilizzo di antimicrobici sono volte a: favorire un miglioramento delle condizioni igieniche e biosicurezza di tutta la filiera zootecnica, evitare situazioni di stress per gli animali allevati che possono indebolire i sistemi immunitari degli animali e renderli più sensibili alle infezioni, come ad esempio il sovraffollamento nelle aziende zootecniche, favorire misure preventive efficaci dirette a migliorare la salute animale e gli standard di benessere e monitorare i patogeni e la loro sensibilità a livello di allevamento, con l'obiettivo finale di garantire che l'uso di antimicrobici avvenga su singoli gruppi;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata all'unanimità una risoluzione dalle Commissioni 9a (Agricoltura e produzione agroalimentare), 12a (Igiene e sanità) del Senato, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale;
   una riduzione drastica dell'uso di antibiotici non è una sfida impossibile, infatti l'Olanda ha ridotto negli ultimi 5 anni del 70 per cento il consumo degli antibiotici ad uso veterinario ed è ultima nella classifica europea per il consumo giornaliero di antibiotici, vantando uno dei più bassi livelli di antibiotico-resistenza al mondo;
    l'Olanda mantiene alta l'attenzione sull'uso consapevole di antibiotici, attraverso l'adozione di linea guida evidence based, formazione del personale sanitario e campagne istituzionali rivolte ai cittadini. La sua prossima sfida è di ridurre del 50 per cento sia le prescrizioni inappropriate, sia le infezioni prevenibili nei prossimi cinque anni. L'Olanda ha il pregio di essere intervenuta non solo nel settore sanitario ma anche in quello veterinario, consapevole che questi due ambiti sanitari sono strettamente correlati. Dal 2007 al 2016 ha ridotto di quasi il 70 per cento l'uso di antibiotici negli allevamenti di pollame, bestiame e maiali, riuscendo a frenare la pericolosa crescita registrata a partire dagli anni Novanta;
   in Olanda, davanti alla constatazione che dal 1990 al 2007 l'uso di antibiotici negli allevamenti era raddoppiato, il servizio medico veterinario nazionale ha lanciato una partnership pubblica-privata tra aziende alimentari, veterinari e Governo. Nel giro di due anni, ha raccolto i dati sull'uso di antibiotici in 40 mila allevamenti. Individuati quali erano gli allevatori che facevano maggiore uso di antibiotici e i veterinari che ne prescrivevano di più, si è iniziato a lavorare per accrescere la consapevolezza della resistenza globale agli antibiotici. In contemporanea, il Governo ha imposto la riduzione del 20 per cento nel 2011, del 50 per cento nel 2013 e del 70 per cento nel 2015 dell'uso di antibiotici in veterinaria, sfida che è stata vinta dimostrando che le abitudini possono cambiare;
    la resistenza antibiotica è una minaccia seria alla salute globale e pertanto non deve essere sottovalutata; la prevenzione e il controllo delle infezioni dovranno essere una priorità nel nostro Paese, occorre quindi che tutte le istituzioni cooperino per modificare i comportamenti di tutti gli attori coinvolti: allevatori, consumatori, medici e pazienti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché gli ospedali siano dotati di servizi di microbiologia permanente, al fine di identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e coadiuvare i medici prescrittori nella scelta delle terapie più appropriate;
2) ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, promuovendo l'applicazione di test di sensibilità agli antibiotici (antibiogrammi) necessari per garantire l'appropriatezza prescrittiva;
3) a promuovere, per quanto di competenza, un differente sistema di confezionamento dei farmaci, prevedendo l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;
4) ad assumere iniziative per promuovere programmi di formazione professionale specifica degli operatori sanitari, migliori prassi, anche con riguardo alle terapie corrette, migliori modelli prescrittivi, misure per prevenire e ridurre la trasmissione di patogeni, il controllo delle infezioni e misure igieniche;
5) ad assumere iniziative, attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria sull'uso prudente di antimicrobici, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre la minaccia alla resistenza antibiotica;
6) ad adottare le necessarie iniziative per prevenire lo sviluppo e la trasmissione delle malattie all'interno degli allevamenti e per incentivare sistemi di allevamento estensivo e allevamenti con metodi biologici, che garantiscano maggior rispetto del comportamento e del benessere animale, nonché una minore incidenza delle infezioni;
7) ad assumere iniziative per attuare programmi di controllo e monitoraggi delle aziende zootecniche, al fine di rafforzare l'attività di vigilanza sulle condizioni di vita e di salute degli animali e di contrasto di eventuali abusi nell'utilizzo di antimicrobici;
8) ad assumere iniziative per creare un sistema nazionale volto ad incrementare i controlli sulla distribuzione, prescrizione ed uso di medicinali veterinari, nonché a promuovere l'obbligo della ricetta elettronica per i farmaci veterinari, al fine di evitare l'abuso degli antibiotici negli allevamenti;
9) ad assumere iniziative, anche normative, per vietare l'applicazione di sconti di marketing basati sul meccanismo prezzo/volume in relazione all'acquisto di antibiotici ad uso veterinario;
10) ad individuare, anche attraverso l'Istituto superiore di sanità, protocolli di sorveglianza epidemiologica dei nosocomi, e a verificare che gli stessi siano attuati, in modo costante, al fine di identificare eventuali ceppi multi-resistenti e strategie mirate di intervento.
(1-01463) «Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Di Vita, Nesci, Grillo, Colonnese, Gagnarli, Busto, Benedetti, Gallinella, L'Abbate, Parentela».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività;
    da diversi anni i cittadini italiani ed in particolar modo quelli residenti nelle quattro regioni padane (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) sono esposti, soprattutto nei mesi autunnali ed invernali, ad alti livelli di inquinamento dell'aria oltre i limiti imposti dalle normative comunitarie (direttiva n. 2008/50/CE);
    gli enti locali e le regioni si trovano sempre più spesso a reagire, soprattutto nei periodi di allarme acuto per quanto riguarda gli sforamenti delle soglie, con provvedimenti tampone che si rivelano in larga parte inefficaci;
    l'annuario 2016 dei dati ambientali dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) riporta una diminuzione delle emissioni di PM10 nel periodo 1990-2014 del 34,5 per cento, con un aumento delle emissioni da combustione non industriale, un crollo delle emissioni da combustione industriale e una sostanziale riduzione delle emissioni da trasporto; le emissioni nazionali di ossidi di azoto dal 1990 al 2014 registrano un decremento pari a –61,5 per cento;
    i dati dell'inventario nazionale delle emissioni come riconosciuto dalla stessa Ispra (paragrafo 1.8 dell’Italian Emission Inventory 1990-2016, Informative Inventory Report 2016), non sono stati sottoposti nella loro interezza all'analisi di incertezza delle stime come richiesto fin dal 2013 dalla competente Agenzia delle Nazioni Unite (Report for the Stage 3 in-depth review of emission inventories submitted under the UNECE LRTAP Convention and EU National Emissions Ceilings Directive for: STAGE 3 REVIEW REPORT – ITALY); un'analisi parziale è stata svolta nel 2016, rivelando che le stime per le emissioni delle PM, specialmente quelle di minori dimensioni, metalli pesanti e POP risentono di una maggiore incertezza;
    tali statistiche sono costruite sostanzialmente a partire dal consumo di combustibili alla fonte e sui dati forniti dalle aziende e non già su verifiche a valle della combustione che tengano conto dello stato reale, compresa la loro efficacia e l'efficienza, degli impianti; basti pensare, tra l'altro, a quanto avvenuto recentemente sui dati dei test di emissione delle auto da parte di alcune aziende automobilistiche;
    i dati sulla qualità dell'aria riassunti dall'Environmental Europea Agency nel rapporto «Air Quality in Europe 2016 report» mostrano a) per l'Italia un marcato trend di decrescita della concentrazione di particolato nel periodo 2000-2014; b) valori molto elevati di particolato sostanzialmente concentrate in due aree europee, la Polonia, la Germania orientale e la Pianura Padana (mappa 4.1); c) diffusi superamenti dei valori di concentrazione per l'ozono atmosferico in Pianura Padana e Spagna meridionale con valori di concentrazione estremamente elevati (mappa 5.1); d) in Pianura Padana, dove, nonostante il trend negativo generale delle emissioni di queste sostanze, continuano ad evidenziarsi diverse centraline di monitoraggio con valori eccedenti i limiti imposti dalle normative comunitarie;
    in ogni caso, nonostante il trend positivo per quanto riguarda la riduzione degli inquinanti, l'Italia in generale e le regioni della pianura padana in particolare, presentano livelli di inquinamento superiori alle soglie fissate tanto che la Commissione europea ha aperto due procedure d'infrazione attualmente nella fase di lettera di messa in mora notificata, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; una riguarda l'applicazione della direttiva n. 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ambiente ed, in particolare, l'obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2) (procedura 2015/2043); l'altra, la cattiva applicazione della direttiva n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente – superamento dei valori limite di PM10 in Italia (procedura 2014/2147);
    la pianificazione degli interventi necessari per l'ulteriore diminuzione dell'inquinamento per rientrare nei parametri fissati a livello comunitario non può esulare da una dettagliata analisi delle fonti di emissioni e della loro localizzazione, tenendo anche conto che in un contesto come quello padano le aree urbane e quelle rurali si influenzano a vicenda, ad esempio attraverso l'emissione di ammoniaca da parte delle aziende agricole che favoriscono la formazione di particolato ultra-fine;
    il decreto legislativo n. 155 del 2010, all'articolo 22, comma 3, prevede per questo che le regioni e le province autonome predispongano gli inventari delle emissioni con cadenza almeno triennale;
    secondo il recente documento dell'Ispra, recante «Inventari regionali delle emissioni in atmosfera e loro articolazione a livello locale» al 2015, (Figura 2), l'ultimo inventario redatto in Italia era quello della Val d'Aosta del 2013, mentre quelli relativi alle regioni della pianura padana erano risalenti nel tempo. In particolare la regione Lombardia lo aveva predisposto nel 2012; la regione Piemonte, la regione Emilia Romagna e la regione Veneto nel 2010;
    da un esame della documentazione reperibile sui siti istituzionali, ad oggi, solo il Veneto risulta avere in corso un aggiornamento ai dati del 2013, attualmente in fase di revisione esterna; per le altre tre regioni padane non risultano ulteriori aggiornamenti degli inventari e, pertanto, si può evidenziare una sostanziale inadempienza di queste istituzioni rispetto alle previsioni di legge per la cadenza degli aggiornamenti delle emissioni;
    per quanto riguarda il Veneto, tra l'inventario del 2010 e quello del 2013 si segnala una limitata riduzione delle emissioni di polveri (variazioni percentuali: –3 per cento per le PTS, –4 per cento per le PM10 e –2 per cento per le PM 2.5), coincidente peraltro con una variazione negativa del Pil della regione nello stesso periodo;
    il limite annuale per le PM10 in Europa è fissato in 40 microgrammi/metro cubo, mentre il valore obiettivo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità è di 20 microgrammi/metro cubo; tra l'altro, la stessa Organizzazione mondiale della sanità evidenzia che per quanto riguarda il particolato, non esiste un valore soglia sotto il quale non vi sono impatti sanitari;
    lo studio « Economic cost of the health impact of air pollution in Europe» (WHO, 2015) ha evidenziato che, nel 2010, i costi sanitari associati all'inquinamento dell'aria per l'Italia sarebbero di 97 miliardi di dollari annui, tenendo conto della sola esposizione al particolato (tabella 2.4 dello studio) e di 133,4 miliardi di dollari tenendo conto della VSL (value of statistical life) nel calcolo. Praticamente, i costi associati al particolato sarebbero pari al 4,7 per cento, del Pil. Tra l'altro, la stima delle morti premature per l'Italia calcolata dall'Organizzazione mondiale della sanità era più bassa (32.447 morti premature nel 2010 per il particolato) delle stime per il 2014 dell'European environment agency; pertanto, se si tenesse conto di quest'ultima stima, i costi sanitari sarebbero molto più elevati;
    esistono complesse interazioni tra i diversi inquinanti, come dimostra lo studio sull'aumento della mutagenicità del particolato a Torino in presenza di ossidi di azoto (Traversi et al 2011, Involvement of nitro-compounds in the mutagenicity of urban Pm2.5 and Pm10 in Turin, Mutation Research);
    già nel 1998 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva commissionato all'Organizzazione mondiale della sanità – Ufficio regionale per l'Europa una valutazione sull'impatto sanitario delle PM10. Nelle otto maggiori città italiane analizzate, circa 3.500 decessi e molte altre patologie erano attribuibili a livelli di PM10 superiori a 30 microgrammi/metro cubo (Health impact assessment of air pollution in the eight major Italian cities. Copenhagen, WHO, Regional Office for Europe;
    l'APAT nel 2007 aveva rinnovato e ampliato questo studio nel rapporto «Impatto sanitario di PM10 e Ozono in 13 città italiane» aveva evidenziato le gravissime conseguenze, con migliaia di morti premature su circa 9 milioni di abitanti, dell'inquinamento dell'aria e in particolare della presenza di ozono e PM10 sulla salute umana, analizzando i dati di 13 città, diverse delle quali situate nella pianura padana; nella sintesi del rapporto si poteva leggere «8.220 decessi l'anno, in media, sono attribuibili a concentrazioni di PM10 superiori ai 20 microgrammi/metro cubo. Tale valore equivale al 9 per cento della mortalità per tutte le cause, escludendo le cause violente (ICD IX 800-999), nella popolazione oltre i 30 anni. L'impatto è stimato considerando i soli effetti a lungo termine sulla mortalità. Considerando anche gli effetti a breve termine (entro una settimana dopo l'esposizione), l'impatto del PM 10 superiore ai 20 microgrammi/metro cubo è di 1.372 decessi, equivalenti all'1.5 per cento della mortalità nell'intera popolazione;
    l'European Environment Agency nell’«Air Quality in Europe 2016 report» desume nella Tabella 10.1 una mortalità prematura di 91.050 persone in Italia nel 2013 direttamente collegate ai valori di inquinamento atmosferico per i parametri PM2,5 (66.630 morti premature), Ozono (3.380) e ossidi di azoto (21.040);
    nel medesimo rapporto si evidenzia (tabella 10.2) che l'Italia, con riferimento agli anni di vita persi x 100.000 abitanti per ogni sostanza inquinante è: all'undicesimo posto su 41 Paesi per le PM2,5, con 1.165 anni di vita persi x 100.000 abitanti; di gran lunga al primo posto su 41 Paesi con 368 anni di vita persi x 100.000 abitanti per gli ossidi di azoto, distanziando di 1/3 di ore in più il secondo Paese; al quarto posto su 41 Paesi con 61 anni di vita persi x 100.000 abitanti per l'ozono;
    a livello nazionale, sono in corso numerose procedure di V.I.A. presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che interessano l'area padana per opere che possono comportare sia in fase di cantiere, sia in quella operativa, anche per aumento del traffico di mezzi o eventuali incidenti, sia in quella di dismissione emissioni di sostanze inquinanti quali particolato, idrocarburi policiclici aromatici, ossidi di azoto e altri inquinanti. Per l'Emilia Romagna sono attualmente in corso di valutazione diversi progetti nei seguenti settori: perforazione di pozzi per ricerca di idrocarburi, stoccaggio di gas, realizzazione dell'autostrada cispadana. Per la Lombardia: stoccaggi di gas e perforazione di pozzi per idrocarburi. Per il Piemonte: perforazione di pozzi per la ricerca di idrocarburi. Per il Veneto: il masterplan dell'aeroporto di Verona;
    sempre il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, negli ultimi anni, ha emanato decine di decreti di compatibilità ambientale favorevoli per opere nelle quattro regioni padane che sono potenzialmente impattanti sotto l'aspetto della qualità dell'aria: si va dalla autostrade alle attività di sfruttamento degli idrocarburi, dalle centrali termoelettriche alle raffinerie. Le problematiche emissive possono riguardare non solo il normale funzionamento degli impianti o delle opere, ma anche gli incidenti, come avvenuto recentemente presso il nuovissimo impianto EST della raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi, vanificando anche eventuali sforzi in sede di autorizzazione per compensare le emissioni degli impianti;
    a livello delle quattro regioni padane, gli enti a diverso titolo competenti continuano a rilasciare pareri di compatibilità ambientale favorevoli per opere che possono comportare sia in fase di cantiere, sia in quella operativa, anche per aumento del traffico di mezzi o eventuali incidenti, sia in quella di dismissione di emissioni di sostanze inquinanti quali particolato, idrocarburi policiclici ossidi di azoto e altri inquinanti. A mero titolo di esempio, per citare alcuni progetti, in Lombardia, si evidenziano l'impianto di biometano da rifiuti a Marcallo con Casone (proponente Green Power Marcallese Srl), con parere favorevole nel 2016, nonché, negli ultimi tre anni, numerosi impianti di trattamento dei rifiuti, strade e altro. A mero titolo di esempio in Veneto basterà ricordare l'impianto per la produzione di bio-BDO ad Adria (RO), proposto dalla società Mater-Biotech S.p.A., con impianti di produzione energetica turbogas e a biomassa con parere favorevole V.I.A.-A.I.A. del 2015; per la regione Emilia Romagna, l’«incremento della capacità produttiva dello stabilimento ceramico sito in comune di Fiorano modenese (Mo)», proposto da Ita S.p.a. nel 2016; per il Piemonte, il «piano particolareggiato di iniziativa pubblica per il parco commerciale e urbano attrezzato in Novara – Veveri» nel comune di Novara presentato dalla società Amteco Spa;
    inoltre, tra il 2008 e il 2014, si è osservata una vera e propria esplosione di impianti per produzione energetica, quasi esclusivamente elettrico, da bioenergie che sono ovviamente responsabili di una certa quota di emissioni, primariamente da NOx. Tale impiantistica, secondo i dati relativi al 2014 pubblicati dal GSE nel rapporto «Energia da fonti rinnovabili 2014» è concentrata per il 63 per cento nelle quattro regioni padane: 657 impianti in Lombardia (26,5 per cento del totale italiano), 345 in Veneto (13,9 per cento), 289 in Emilia Romagna (11,7 per cento) e 274 in Piemonte (pari all'11 per cento). Per quanto riguarda la potenza installata, questi impianti rappresentano il 55,5 per cento dei 4.044 Mw installati in tutto il Paese, così suddivisi: 22,7 Lombardia, il 15,1 per cento in Emilia Romagna, l'8,9 per cento in Veneto e l'8,8 per cento in Piemonte. È interessante notare, dal punto di vista della produzione nazionale, in termini di Gwh/anno che oltre la maggior parte proviene da impianti a biogas (8.198 Gwh), seguiti dalle biomasse solide (6.192,9 Gwh) e infine da quelle liquide per 4.341,1 Gwh;
    circa il 70 per cento delle aziende in regime di autorizzazione integrata ambientale in Italia sono concentrate nelle quattro regioni padane. L'articolo 29 decies, comma 8, del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che i risultati del controllo delle emissioni, richiesti dalle condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e in possesso dell'autorità competente, devono essere messi a disposizione del pubblico nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195. Da una verifica svolta consultando i siti web dedicati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per le opere di competenza nazionale e delle regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna per quelli di competenza regionale, si evidenzia, a quanto consta agli interroganti, una generale inadempienza rispetto a tale obbligo di pubblicazione che, oltre a produrre una carenza di trasparenza, potrebbe ricondursi anche alla mancanza in toto dell'attività di monitoraggio prescritta o prevista direttamente negli elaborati progettuali da proponenti e approvate assieme ai progetti;
    si evidenzia che la stragrande maggioranza di questi impianti sono di taglia minore di 1 Mw per potenza installata e che quindi, in larga parte, non sono stati sottoposti alle procedure di valutazione di assoggettabilità a V.I.A. o di V.I.A. diretta, con tutto quello che ciò comporta in termini di controllo e monitoraggio delle emissioni, di trasparenza delle stesse per la popolazione e, soprattutto, di valutazione, anche in termini cumulativi e sinergici, della reale compatibilità con un contesto territoriale in cui gli standard di qualità dell'aria da tempo non soddisfano i limiti fissati dalle normative comunitarie;
    l'articolo 28, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 obbliga alla pubblicazione sui siti web delle autorità competenti per le procedure di V.I.A. dei risultati dei monitoraggi ambientali condotti sulle opere autorizzate;
    l'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 obbliga le autorità competenti a provvedere alla verifica di ottemperanza delle prescrizioni delle procedure di V.A. e V.I.A. nonché della corretta esecuzione degli interventi secondo gli elaborati presentati. Gli esiti dei controlli devono trovare pubblicità secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005. Da una verifica svolta consultando i siti web dedicati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per le opere di competenza nazionale e delle regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna per quelli di competenza regionale, si evidenzia che solo negli ultimi tre anni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta provvedendo ad una parziale e spesso, a quanto consta agli interroganti, tardiva verifica delle prescrizioni con pubblicazione degli esiti mentre si rileva una generale inadempienza presso le quattro regioni rispetto a tale obbligo di pubblicazione che, oltre a produrre una carenza di trasparenza, potrebbe ricondursi anche alla mancanza in toto dell'attività di verifica obbligatoria per legge,

impegnano il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza affinché siano rispettati su tutto il territorio nazionale le scadenze dettate dall'articolo 22, comma 3, del decreto legislativo n. 155 del 2010, rispetto all'aggiornamento degli inventari delle emissioni;
   ad assumere le iniziative di competenza affinché siano rispettati su tutto il territorio nazionale gli obblighi di pubblicazione dei dati di monitoraggio ambientale e di divulgazione delle risultanze delle verifiche di ottemperanza connesse ai pareri di compatibilità ambientale (V.A. e V.I.A.) da loro emessi secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 28, comma 2, e articolo 29, comma 2, in combinato disposto con quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005;
   ad assumere iniziative di competenza affinché siano rispettati su tutto il territorio nazionale gli obblighi di pubblicazione dei dati dei controlli effettuati presso gli impianti in regime di A.I.A. previsti dal comma 8 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   per i progetti di competenza nazionale, ad assicurare che le strutture del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispettino gli obblighi di pubblicazione dei dati relativi ai controlli degli impianti in regime di A.I.A. di competenza nazionale nonché dei dati dei monitoraggio ambientale e delle risultanze delle verifiche di ottemperanza connesse ai pareri di compatibilità ambientale (V.A. e V.I.A.) da loro emessi secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 28, comma 2, e articolo 29, comma 2, in combinato disposto con quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005;
   ad assumere iniziative per assicurare, attraverso una concertazione tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero della salute e le regioni Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, una moratoria in queste regioni per i progetti di nuovi impianti e/o opere nonché l'ampliamento di quelli/e esistenti che comportano emissioni di sostanze che incidono sulla qualità dell'aria ambiente, con particolare riferimento al particolato e agli NOx, fino a quando non saranno correttamente applicate le previsioni in materia di monitoraggio e controllo degli impianti e non sia garantito il rispetto degli standard di qualità dell'aria previsti dalle norme comunitarie;
   ad assumere iniziative per provvedere, attraverso una concertazione tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero della salute e le quattro regioni padane, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità e garantendo adeguate risorse, ad uno o più studi epidemiologici di dettaglio sia per tipologia di inquinante sia per contesto territoriale a scala sub-regionale, incluso un monitoraggio di medio-lungo periodo, facendo sì che tale attività sia indirizzata a stabilire eventuali ed ulteriori interventi puntuali per la prevenzione delle patologie connesse all'inquinamento atmosferico e all'esposizione a sostanze inquinanti;
   ad assumere iniziative per provvedere, con uno specifico finanziamento, ad uno o più studi relativi ai danni epigenetici derivanti dall'esposizione ai diversi inquinanti atmosferici in pianura padana;
   a promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con le regioni e con il sistema delle agenzie ambientali, un programma di controlli a campione per le emissioni su almeno il 10 per cento degli impianti a bioenergie presenti nelle quattro regioni da svolgersi entro sei mesi.
(7-01158) «Busto, Mantero, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Grillo, Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Lorefice, Di Vita, Nesci».


   Le Commissioni VIII e XIII,
   premesso che:
    in risposta all'emergenza della contaminazione da PFAS, la regione veneto ha attivato un accordo di collaborazione con l'Istituto superiore di sanità che prevede diversi obiettivi, tra cui uno studio di biomonitoraggio su un campione rappresentativo della popolazione residente e l'implementazione di un piano di sicurezza dell'acqua. Lo studio di biomonitoraggio sulla popolazione generale in comuni selezionati tra quelli maggiormente esposti e altri non esposti (o di controllo) si è recentemente concluso, confermando che i livelli di PFAS nel siero degli esposti sono significativamente superiori rispetto ai livelli dei non esposti. Da tale studio, il cui periodo di campionamento va dal luglio 2015 ad aprile 2016, emerge infatti che la concentrazione mediana di Pfoa nel siero dei cittadini esposti della Usl 5 (comuni di Brendola, Lonigo, Montecchio, Sarego) è di oltre 70 ng/g siero, mentre nei cittadini non esposti la concentrazione è prossima allo zero;
    in merito alla presenza di sostanze perfluorate negli alimenti in Veneto, lo stesso Istituto superiore di sanità, nelle conclusioni della nota del 19 febbraio 2016 (Prot. 49309) indirizzata alla regione Veneto – sezione veterinaria sicurezza alimentare, in cui comunica i dati relativi ai controlli analitici effettuati su matrici di interesse alimentare, segnala situazioni di potenziale criticità, considerando i livelli di consumo alimentari regionali ed i parametri tossicologici (TDI) definiti dall’European Food Safety Authority (Efsa): tali criticità, secondo il parere dell'Istituto superiore di sanità, si riscontrano in particolare nella risorsa ittica e uova di galline allevate a terra; nella nota si legge inoltre: «La contaminazione ambientale già pluridecennale per la presenza di un insediamento produttivo di sostanze fluoro-organiche ad elevata persistenza ambientale situato in area di ricarica di falda in presenza di un acquifero indifferenziato (di Domenico e Zapponi, 1984; ARPA Veneto – dip. Vicenza, 2013) indica la rilevanza di misure di prevenzione primaria efficaci ai fini di ridurre le esposizioni alimentari nel breve e nel lungo periodo. A tale proposito è importante approfondire gli aspetti legati alla produzione e al consumo di cibo locale e alla conseguente assunzione di tali contaminanti da parte delle fasce di popolazione più esposte. Si ritiene rilevante la considerazione di pratiche agronomiche e zootecniche volte a ridurre il trasferimento della contaminazione dai comparti ambientali a quelli agro zootecnici»;
    il principio di precauzione è una norma in materia di sicurezza dell'ambiente che afferma che «ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l'assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale» (articolo 15 della Dichiarazione di Rio – Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo – 1992); il ricorso a tale principio è contenuto sia nella Comunicazione della Commissione del 2 febbraio 2000, sia, per quanto riguarda il diritto nazionale, nell'articolo 301 del decreto legislativo n. 152 del 2006 in cui si individua il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come autorità competente per le misure di prevenzione; inoltre il tribunale di primo grado delle Comunità europee CE, (Seconda sezione ampliata, 26 novembre 2002, T-74/00 Artegodan), sancisce che «il principio di precauzione è il principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici»;
    con il decreto 6 luglio 2016 è stata recepita la direttiva 2014/80/UE della Commissione del 20 giugno 2014 che modifica l'allegato II della direttiva 2006/118/CE del Parlamento europeo o Consiglio sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento ai sensi della direttiva quadro sulle acque 200/60/CE l'obiettivo del «buono stato chimico delle acque sotterranee» dovrà essere raggiunto entro il 2027,

impegnano il Governo:

   alla luce della grave situazione di contaminazione ambientale che colpisce il Veneto e visti i risultati dello studio di biomonitoraggio dell'Istituto superiore di sanità citati in premessa, al fine di tutelare la salute umana ed in applicazione del principio di precauzione, ad assumere le iniziative di competenza per anticipare al 2019 la scadenza del 2027 fissata per il raggiungimento del «buono stato chimico delle acque sotterranee» in modo da utilizzare i prossimi 3 anni per svolgere tutte le attività idonee a diminuire l'immissione nell'ambiente dei Pfass e a sostituire tali sostanze nei processi industriali;
   a porre in essere tutte le iniziative utili alla tutela della salute dei consumatori e degli operatori nonché alla tutela delle attività produttive legate al settore agricolo.
(7-01157) «Benedetti, Busto, Daga, De Rosa, Gagnarli, Gallinella, Massimiliano Bernini, L'Abbate, Lupo, Mannino, Micillo, Parentela, Terzoni, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'utilizzo di risorse pubbliche andrebbe gestito con estrema oculatezza e, specie nella scelta di consulenti, una carica istituzionale dovrebbe usare ogni cautela per non ingenerare l'impressione che vengano retribuiti dallo Stato soggetti impiegati in attività proprie di un partito o di una parte politica;
   la struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, da ciò che si evince dal sito della Presidenza del Consiglio, ha conferito a Simona Ercolani l'incarico che «consiste nel coordinamento e nella realizzazione delle iniziative celebrative degli anniversari di interesse nazionale, per la direzione artistica, la promozione e la diffusione della conoscenza delle iniziative celebrative»;
   più specificamente si sarebbe occupata, nell'ultimo periodo, della direzione artistica nella realizzazione di tre spot televisivi per la ricorrenza del settantesimo anniversario della Liberazione;
   per questo incarico, svolto nel periodo che va dal 1o aprile al 31 dicembre 2016, la consulente avrebbe ricevuto 46 mila euro lordi;
   Simona Ercolani, nel medesimo periodo, si sarebbe occupata tuttavia anche della regia dell'evento «La Piazza è del Popolo» il 29 ottobre 2016, a favore del «Sì» al referendum costituzionale, e della cosiddetta «Leopolda», incontro politico promosso dal Presidente del Consiglio e organizzato nel 2016 dal sottosegretario Luca Lotti;
   Simona Ercolani, a quanto si evince, dal curriculum disponibile sul sito della Presidenza del Consiglio, è anche amministratrice delegata della società di produzione televisiva Stand by me che idea e realizza diversi format televisivi, venduti in prevalenza alla televisione pubblica;
   la società Stand by me, da quanto si evince da notizie presenti sulla stampa ha realizzato negli ultimi 2 anni crescite di fatturato consistenti, anche del 24 per cento;
   vista la difficoltà di accertare se Simona Ercolani abbia percepito o meno una retribuzione per il suo lavoro a favore delle iniziative politiche citate, è impossibile non rilevare, ad avviso degli interroganti, una certa possibile confusione tra il suo ruolo di direttore artistico per eventi del Governo e quello di direttore artistico per eventi per la parte politica cui appartiene il capo del Governo;
   è inoltre compito del Governo, a parere degli interpellanti, fornire debite garanzie del fatto che la vicinanza della Ercolani all'ex Presidente del Consiglio e attuale segretario del principale partito di maggioranza, nel suo duplice ruolo di consulente istituzionale e politica, non abbia avuto ripercussioni tali da ingenerare per la società che amministra vantaggi nei suoi rapporti commerciali col gestore del servizio televisivo pubblico –:
   se l'incarico affidato a Simona Ercolani sia state rinnovato per il 2017 dal nuovo Governo;
   a quali criteri la Presidenza del Consiglio abbia fatto riferimento per fissare la retribuzione della consulente Simona Ercolani, pari a circa 5100 euro al mese lordi, e se la sua opera si sia limitata, negli ultimi 9 mesi, alla direzione artistica dei 3 spot relativi al settantesimo anniversario della Liberazione;
   al di là del caso specifico illustrato in premessa, se non ritenga opportuno rivedere i criteri nell'assegnazione delle consulenze da parte della Presidenza del Consiglio, o quantomeno aumentare le garanzie di trasparenza, in modo da evitare che soggetti retribuiti con risorse pubbliche per svolgere attività istituzionali si adoperino nel contempo in attività professionali per un partito o una parte politica.
(2-01573) «Dieni, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   le avverse condizioni meteorologiche che sta o interessando il Centro-Sud Italia, a partire dai primi giorni di gennaio 2017, con temperature rigide al disotto degli 0 gradi centigradi e con consistenti nevicate, sta o causando estremi disagi alle popolazioni che tuttora risiedono nell'area del cratere sismico;
   a Visso (Macerata) circa venticinque persone, prevalentemente allevatori, non disponendo ancora delle strutture provvisorie previste per il periodo di transizione verso la ricostruzione, si sono attrezzati con delle roulotte adattando le strutture di un impianto sportivo a struttura provvisoria dotata di docce e cucina (fonte: Cronachemaceratesi.it, 7 gennaio 2017);
   i forti disagi causati dalle avverse, quanto prevedibili, condizioni meteorologiche colpiscono in particolare chi, per la necessità di custodire i propri allevamenti, è costretto a restare nelle aree terremotate;
   la situazione è particola ente grave per decine di piccole e medie aziende agricole, attive nel settore dell'allevamento che, non avendo a disposizione stalle o strutture sostitutive, assistono con preoccupazioni crescenti alla perdita degli armenti;
   a Pieve Torina, comune della provincia di Macerata, ad esempio, diversi allevatori segnalano la mancata consegna delle strutture sostitutive delle stalle (moduli e tensostrutture), promesse all'indomani degli eventi sismici;
   in alcuni casi gli allevatori sono stati costretti, per necessità, a far rientrare gli animali nelle stalle non dichiarate agibili, o dichiarate inagibili, scegliendo il male minore dell'accettazione del rischio rispetto alla morte certa per freddo;
   in altri casi gli allevatori sono stati costretti dalle circostanze a vendere al di sotto del valore di mercato diversi capi, per ovviare al rischio deperimento o per far fronte alle spese (fonte: Cronachemaceratesi.it, 6 gennaio 2017);
   situazioni analoghe sono presenti in diversi comuni delle Marche, prevalentemente nell'area dei Sibillini, come Ussita e Valfornace (già Pievebovigliana), in alcune aree del Lazio, come Amatrice (Rieti) e dell'Abruzzo (fonte: AbruzzoWeb.it, 7 gennaio 2017) –:
   se il Governo, anche attraverso il commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, non intenda fornire spiegazioni sui preoccupanti ritardi nelle forniture delle strutture da adibire ad uso stalla;
   se sia in grado di chiarire le tempistiche dell'arrivo delle strutture provvisorie e/o delle azioni di intervento per rendere agibili le stalle danneggiate nelle aree del cratere segnalate in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di evitare che le avverse condizioni meteorologiche, che si protrarranno prevedibilmente per l'intera stagione invernale, siano ulteriore causa di deperimento di capi di bestiame e di gravi perdite per gli allevatori che, tenacemente e a costo di significativi sacrifici, stanno tentando di mantenere in vita le proprie attività, anche in vista della prossima ricostruzione.
(2-01574) «Ricciatti, Fratoianni, Melilla, Zaratti, Gregori, Fassina, D'Attorre, Scotto, Costantino, Nicchi, Pellegrino, Franco Bordo, Duranti, Piras, Quaranta, Pannarale, Placido, Airaudo, Ferrara».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in data 29 gennaio 2010 la Confederazione nazionale delle associazioni per la coscienza di Krishna, avente sede a Roma, in via Sardegna n. 55 – presentava al Ministero dell'interno una formale e documentata istanza, volta ad ottenere riconoscimento come ente religioso, ai sensi dell'articolo 2 della legge 1159 del 1929 e degli articoli 10 e 11 del regio decreto 289 del 1930, con la denominazione di «Congregazione Italiana per la Coscienza di Krishna». Dopo una lunga istruttoria, durata oltre 4 anni, ad ottobre 2014 il Consiglio di Stato esprimeva parere favorevole all'invocato provvedimento e la direzione centrale dei culti presso il Ministero dell'interno predisponeva lo schema del decreto del Presidente della Repubblica, finalizzato al richiesto riconoscimento, su proposta del Ministro dell'interno. Detto schema di decreto del Presidente della Repubblica veniva trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri – e, in particolare, al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL). Il 3 giugno 2015, in assenza di notizie, la Congregazione formulava una richiesta di aggiornamento alla direzione centrale dei culti del Ministero dell'interno, che, a quanto consta agli interroganti confermava la giacenza attuale dello schema di decreto del Presidente della Repubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, evidentemente per un rallentamento delle procedure;
   gli Hare Krishna sono il ramo monoteista dell'Induismo, con decine di milioni di fedeli i India, in Bangladesh e in Indonesia, trapiantato cinquant'anni orsono in Occidente e oggi punto di riferimento e ponte culturale tra le comunità indiane e bengalesi del nostro Paese e l'Italia. Considerando che i ministri di culto sono tutti italiani, questo rende naturale lo scambio, la comprensione tra culture e tradizioni religiose diverse. Nel 1997, vista l'espansione del Movimento Hare Krishna in Italia, fu deciso di riunire le associazioni locali in una confederazione nazionale che fungesse da coordinamento e che rappresentasse il Movimento Hare Krishna, con i suoi valori, presso lo Stato italiano. Pertanto, il 10 settembre 1998, con decreto del Ministero dell'interno, la confederazione nazionale delle associazioni per la coscienza di Krishna è stata riconosciuta come ente morale. Al momento attuale si contano più di 400 templi nel mondo, con circa 50.000 devoti iniziati e consacrati alla missione, e milioni di devoti/fedeli che frequentano i templi. In Europa, in particolare, vi sono centri di Krishna in ogni grande città. Negli ultimi vent'anni le comunità indiana, mauriziana e del Bangladesh sono salite in Italia dalle 30.000 unità, alle 90.000 e, tra i membri di queste comunità, almeno il 30 per cento sono hindu di fede Vaishnava- Krishnaita; questo ha contribuito largamente allo sviluppo del movimento Hare Krishna in Italia ed al conseguente incremento dei devoti che partecipano alle attività nei centri della Confederazione, i quali ad oggi possono essere valutati in alcune migliaia, senza contare coloro che partecipano alle feste e alle processioni dei carri che si svolgono da anni a Milano, Viareggio e Roma –:
   se il Governo non ritenga sia giunto il momento di assumere tutte le iniziative di competenza per procedere al riconoscimento come ente religioso, dopo anni di attesa e dopo che la Congregazione ha ottemperato a tutte le richieste di chiarimento secondo la legge italiana e le sue procedure.
(2-01575) «Quartapelle Procopio, Sereni, Capozzolo, Carloni, Chaouki, Tullo, Rossi, Venittelli, Causi, Cassano, Cominelli, Carella, Lodolini, Rostellato, Schirò, Grassi, Garavini, Di Salvo, Lacquaniti, Fedi, Rampi, Raciti, Minnucci, Porta, Piazzoni, Tino Iannuzzi, Carrozza, Giachetti, Nardi, Censore, Stella Bianchi».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nel fine settimana iniziato il 6 gennaio 2017, l'Italia è stata interessata da una ondata straordinaria di freddo con precipitazioni nevose anche a basse quote;
   particolari disagi si sono avvertiti nelle regioni meridionali, solitamente non interessate da fenomeni di tale entità;
   come ampiamente riferito dagli organi di informazione in alcune regioni, ed in particolare in Puglia, si sono verificate condizioni di particolare difficoltà dovute essenzialmente alla impreparazione complessiva del sistema di fronte a fenomeni certamente inattesi, ma in ogni caso preannunciati con sufficiente anticipo;
   a seguito delle precipitazioni nevose e del vento sono stati chiusi per lungo tempo i due principali aeroporti della regione Puglia, quello di Bari e quello di Brindisi, senza peraltro attivare l'aeroporto di Taranto-Grottaglie, unico in condizioni di operare. Si sono registrate difficoltà anche per il trasporto ferroviario, mentre molti tratti di strade provinciali sono state inibite alla circolazione, anche per veicoli muniti di catene o pneumatici da neve;
   alcuni ospedali, centri di cura, case di riposo, sono rimasti isolate e in alcuni casi è dovuto intervenire l'Esercito per garantire i soccorsi e consentire l'esecuzione di terapie, come nel caso di alcuni dializzati;
   quasi tutte le scuole di ogni ordine e grado restano chiuse nei giorni 9 e 10 gennaio, salvo ulteriori provvedimenti;
   ai grandi disagi per la popolazione si sommano ingenti da economici, in particolare per l'agricoltura, ancora una volta fortemente colpita –:
   se il Governo abbia piena cognizione dell'accaduto, in particolare delle carenze del sistema di prevenzione e degli interventi di soccorso;
   se sia stata disposta una valutazione dei danni subiti;
   quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di prevenire possibili nuove emergenze meteorologiche nelle aree oggetto dei recenti fenomeni;
   se non ritengano di dover assumere iniziative per prevedere sostegni finanziari e l'adozione di urgenti e straordinarie misure da parte dello Stato.
(2-01570) «Chiarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FASSINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Disposizioni urgenti per Roma capitale», ha previsto il subentro dello Stato, per il tramite di un commissario straordinario – quale organo di governo – nella gestione delle passività del comune di Roma, risalenti fino alla data del 28 aprile 2008, con l'impegno di ripianarle senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato;
   l'ultima «Relazione concernente la rendicontazione delle attività svolte dalla gestione commissariale per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale», presentata dall'ex commissario straordinario Varazzani, è stata trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 7 maggio 2015;
   secondo dettagliate notizia riportate dalla stampa e non smentite, l'attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale, Silvia Scozzese, ha presentato al Governo, nei primi mesi del 2016, una Relazione dai contenuti estremamente preoccupanti a giudizio dell'interrogante, in riferimento a un debito residuo di circa 12 miliardi di euro a carico della suddetta gestione commissariale;
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-02074, presentata nel mese di marzo 2016, l'ex Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, in merito alla richiesta specifica del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana di trasmettere senza indugio al Parlamento la relazione di cui al paragrafo precedente anche in relazione all'evidente impatto pubblico, dichiarava che: «La cosiddetta relazione è dunque un atto istruttorio a carattere interno, che diventa conoscibile al Parlamento e alla generalità dei cittadini con l'adozione del Decreto del presidente del Consiglio»;
   anche in occasione di un'audizione presso la Commissione bilancio della Camera dei deputati, nel mese di aprile 2016, l'attuale commissario straordinario era stato invitato a trasmettere al Parlamento la suddetta relazione;
   ad oggi, la relazione non risulta trasmessa a nessun organo parlamentare, fatto, a giudizio dell'interrogante, alquanto grave, anche in considerazione degli impegni debitori che il comune della città di Roma dovrà onorare entro breve termine –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella trasmissione della relazione di cui in premessa e se s'intenda procedere all'immediata trasmissione della suddetta al Parlamento. (5-10202)

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per le adozioni internazionali, essendo l'unico organismo titolato ad autorizzare in Italia l'ingresso di minori adottati all'estero, svolge un ruolo di primario interesse per le famiglie in attesa di vedere completato il percorso di adozione;
   stando alle notizie pubblicate dagli organi di stampa, le famiglie adottanti, in questi giorni, si sono riunite in associazioni spontanee per manifestare contro il Governo che, ad oggi, non ha provveduto ancora ad assegnare la delega politica di presidente della commissione;
   secondo indiscrezioni pubblicate, dalla stampa sembrerebbe che la mancata nomina del presidente sia dovuta anche ad uno scontro politico istituzionale tra l'ex presidente della commissione, il Ministro Boschi pro tempore e la vice presidente attuale;
   è intollerabile questo ritardo nel nominare il presidente della commissione, quando il tema meriterebbe una particolare attenzione finalizzata ad individuare una linea programmatico-politica mirata a ridurre i tempi di attesa e a semplificare e razionalizzare i costi legati alla procedura –:
   per quali ragioni non si sia ancora proceduto a nominare il nuovo presidente della Commissione per le adozioni internazionali e quale sia la linea programmatico-politica del Governo in materia di adozioni al fine di velocizzare i tempi, semplificare le procedure e razionalizzare i costi a carico delle famiglie. (4-15111)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, DEL GROSSO, GRANDE, SCAGLIUSI e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a parere degli interroganti la situazione dei dipendenti a contratto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, soprattutto quella negli Stati Uniti, rappresenta uno dei tanti esempi di cattiva gestione, clientelismo, omertà e arroganza di un'amministrazione completamente slegata dal «sistema Italia» che rappresenta solo il fallimento di una classe dirigente impreparata;
   negli atti di sindacato ispettivo n. 5-09655 e 5-09972, presentati negli scorsi mesi dagli interroganti, è stato evidenziato che gli stipendi riconosciuti al personale a contratto a tempo indeterminato non sono in linea con i salari offerti dai partner europei e neanche in linea con le retribuzioni pagate dal Governo federale americano, tutto ciò in palese contraddizione dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 («La retribuzione annua base è fissata dal contratto individuale tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro locale, del costo della vita e, principalmente, delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi (...)»); peraltro, dagli atti relativi alle selezioni degli altri partner europei non si rileva alcun riferimento a future progressioni salariali o di carriera;
   nelle rispettive risposte fornite dal sottosegretario pro-tempore Della Vedova prima e dal viceministro pro-tempore Giro poi, si continua a negare che il regime fiscale del citato personale è quello di lavoratore autonomo (pur apparendo nella realtà il contratto come quello di lavoro subordinato), godendo essi, quindi, di tutti i privilegi e sgravi fiscali connessi a tale posizione, tra i quali spicca un ridotto regime orario (36 ore invece di 40 o 45), lo stipendio già dall'inizio con il massimo (in quanto non è prevedibile la progressione e l'avanzamento di carriera nell'ordinamento del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale), l'orario minimo e il numero maggiore di giorni di congedo (32 giorni mentre quelli concessi sia negli Stati Uniti che dalle amministrazioni dei partner europei ammontano a 15 giorni l'anno, per i primi anni di servizio, fino a un tetto massimo di 20 giorni annui, per chi ha prestato servizio per più di 20 anni); infine, copertura di tutte le spese mediche (100 per cento spese ospedaliere e 80 per cento specialistiche);
   il Sottosegretario e il Viceministro citati hanno, nelle loro risposte, anche pervicacemente difeso gli «studi» dell'Ambasciata in Washington per giustificare una generosità nei riguardi di questo personale assunto che, tuttavia, collide con le decisioni dell'ultimo biennio prese dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale; ancora più insulsa, a parere degli interroganti, appare essere la giustificazione a tale livello retributivo e cioè quella di attrarre personale altamente qualificato, le cosiddette «eccellenze» –:
   quali iniziative intenda adottare per sanare la sperequazione stipendiale già sottolineata in altri atti di sindacato ispettivo e se non ritenga necessaria una revisione della retribuzione del personale a contratto operante nelle sedi diplomatiche italiane negli Stati Uniti con una riduzione nella misura del 30 per cento. (5-10198)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   MICILLO, DE ROSA, BUSTO, DAGA, ZOLEZZI, TERZONI, VIGNAROLI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 dicembre 2016 Il Fatto quotidiano pubblicava un editoriale a firma del medico-oncologo Antonio Marfella, vicepresidente dell'associazione medici per l'ambiente Napoli (Isde), che segnala come nel report Ispra 2016 sulla gestione dei rifiuti urbani in Italia non siano comprese nella loro adeguata rilevazione l'esatta quantità di ceneri prodotte dall'inceneritore di Acerra (Napoli);
   Marfella solleva alcune perplessità: «l'incenerimento dei rifiuti, oltre alle emissioni tossiche gassose, produce residui solidi. Questi ultimi si differenziano in:
    a) scorie o ceneri pesanti, costituite dal residuo non combustibile dei rifiuti; rappresentano la frazione più rilevante degli scarti prodotti dal processo di incenerimento (da 200 a 300 chilogrammi per ogni tonnellata di rifiuto). Sono rifiuti speciali non pericolosi;
    b) ceneri leggere o volanti, che derivano dai trattamenti di depurazione dei reflui gassosi e ceneri di caldaia; sono prodotte in quantità variabili tra 30 e 60 chilogrammi per tonnellata di rifiuto. Sono rifiuti pericolosi e vengono generalmente smaltite in discarica» (fonte Arpa Piemonte);
   il report ISPRA è il documento ufficiale con il quale il Governo italiano certifica l'andamento della gestione dei rifiuti urbani;
   l'inceneritore di Acerra dovrebbe quindi produrre non meno di 150 mila tonnellate l'anno di ceneri pesanti e non meno di 22 mila tonnellate l'anno di ceneri leggere, per un totale complessivo non inferiore alle 172 mila tonnellate l'anno, a fronte di un trattamento di 714.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani conferiti nel 2015, mentre nella tabella 3.3.6 del rapporto Ispra 2016 la quantità dichiarata di ceneri prodotte dai nove inceneritori riuniti in Acerra non è superiore a 36.000 tonnellate l'anno;
   emerge, pertanto, dal predetto Ispra che Acerra è diventato il più grande impianto di Italia; incenerisce il 28 per cento dei propri rifiuti solidi urbani rispetto alla media italiana del 19 per cento ed europea del 24 per cento. Risulta, inoltre, che la Campania non dispone di impianti specifici di trattamento per rifiuti speciali, come le ceneri da impianti di incenerimento –:
   se il Ministro interrogato, anche al fine di promuovere la modifica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016, che ha individuato la capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, intenda spiegare l'evidente difformità dei dati relativi alle scorie che sarebbero prodotte dall'impianto di Acerra rispetto al quantitativo registrato nel citato rapporto Ispra, contestualmente comunicando gli impianti ove siano conferiti per trattamento e smaltimento finale le ceneri prodotte. (3-02680)

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Cisma con una capienza di circa 550 mila metri cubi, ubicata a metà strada tra i territori di Augusta e Melilli, in provincia di Siracusa, risulta essere tra le più grande del meridione. Nonostante le prescrizioni imposte dalla regione (dall'assessorato regionale territorio ambiente, dall'ufficio speciale aree ad elevato rischio di crisi ambientale – Aerca), confermate nella valutazione di impatto ambientale e nell'autorizzazione integrata ambientale disponevano che «occorresse dare priorità di trattamento/smaltimento a quei rifiuti provenienti dal territorio dei comuni di Augusta, Floridia, Melilli, Priolo Gargallo, Siracusa e Solarino», in quanto l'area è considerato già «ad elevato rischio ambientale», sono stati smaltiti in tale discarica ben 9.142 tonnellate di rifiuti speciali costituiti da polverino ottenuto come residuo trattenuto dagli elettrofiltri utilizzati nella depurazione dei fumi dell'altoforno dell'acciaieria dell'Ilva di Taranto. Inoltre, il polverino viene trasportato sui cassonetti dei tir come fosse sabbia e non in dei contenitori ermetici come predisposto in conferenza di servizi;
   la magistratura di Siracusa sta indagando in merito alla regolarità dello smaltimento dei rifiuti dell'Ilva e da fonti di stampa («Corriere TV» del 23 settembre 2015) si apprende che nei confronti della società Cisma Ambiente spa, proprietaria della discarica «sussiste pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata»;
   il Ministro Galletti, rispondendo ad una interrogazione in merito a tale questione, affermava che «che i rifiuti sono stati classificati e caratterizzati dal produttore, così come prescrive la legge, con codice CER 10.02.08, cioè rifiuti non pericolosi» e che «lo stesso commissario Ilva ha precisato che tale materiale è stato inviato altrove solo in questa fase transitoria, ove non vi è ancora possibilità di utilizzo o smaltimento quale rifiuto in situ Ilva di Taranto, essendo infatti previsto nella programmazione di Ilva che esso sia gestito in house una volta attuato il Piano di gestione dei rifiuti aziendale»;
   in considerazione anche delle indagini della magistratura, risulta inammissibile, a giudizio degli interroganti, che un dicastero si possa affidare, specialmente per questione di vitale rilevanza ambientale, alla classificazione di rifiuto fornita dal produttore, invece di rivolgersi alle autorità di controllo competenti –:
   se il Ministro, non ritenga di assumere, nell'ambito delle proprie competenze e fatte salve le specifiche attribuzioni regionali, le opportune iniziative volte, ad appurare l'effettiva pericolosità dei rifiuti provenienti dall'Ilva, nonché la conformità alla normativa vigente dell'intera operazione, anche in relazione al supposto carattere temporaneo e transitorio e, conseguentemente, se non ritenga opportuno avvalersi della collaborazione dell'Ispra per verificare attentamente a quale tipo di classificazione sia assoggettabile questo tipo di rifiuti;
   quali siano stati i criteri della scelta di operare il trasferimento dei predetti rifiuti dalla Puglia alla Sicilia;
   quando terminerà il trasferimento dei predetti rifiuti che doveva considerarsi «in via transitoria», visto che ad oggi il polverino non è stato rimosso e continuano ancora le spedizioni di questo materiale;
   se non si ritenga necessario porre in essere, nei limiti delle proprie competenze in riferimento agli impianti della Cisma Ambiente spa, un approfondito monitoraggio della situazione epidemiologica e ambientale dell'area circostante;
   se abbia adottato o intenda adottare le iniziative di competenza, anche normative, che evitino la sistematica violazione delle vigenti norme in materia ambientale, di tutela del territorio, di trattamento e trasporto dei rifiuti da parte dei gestori degli impianti. (4-15109)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   VEZZALI, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, PARISI e LAINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il bonus per i diciottenni ha favorito l'utilizzo di risorse per promuovere cinema, teatro, mostre, acquisto di libri e musica a tutto vantaggio di una formazione più moderna e per sensibilizzare i ragazzi verso l'interazione fra istruzione e cultura;
   si apprende dal web che sarebbe in atto un uso distorto di questi bonus: destinati ad essere utilizzati per l'acquisto di libri e cd, i bonus sarebbero invece rivenduti, dagli stessi beneficiari, su piattaforme on line a prezzi scontati come se fossero di seconda mano, al solo fine di ricavarne denaro da utilizzare senza vincoli –:
   se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo abbia predisposto forme di monitoraggio che consentano di tracciare e verificare il corretto utilizzo del bonus, destinato esclusivamente all'acquisto di beni e materiale culturale, al fine di riscontrarne l'eventuale uso distorto, e come intenda contenere questo fenomeno.
(3-02681)


   COSCIA, BONACCORSI, PICCOLI NARDELLI, ASCANI, BLAZINA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, IORI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, RAMPI, ROCCHI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   al fine di garantire una razionalizzazione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e maggiore efficienza delle modalità di bigliettazione – in linea con quanto disposto dall'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge luglio 2014, n. 106 – l'articolo 1, comma 432, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, (legge di bilancio 2017) ha previsto l'adeguamento delle soprintendenze speciali agli standard internazionali di organizzazione e gestione applicati ai musei autonomi;
   la norma citata ha stabilito, inoltre, che, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, siano apportate necessarie modifiche al decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 23 gennaio 2016, «Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015»;
   alcuni organi di stampa hanno segnalato possibili criticità derivanti dall'attuazione della norma, con particolare riferimento al finanziamento, a valere sugli introiti della bigliettazione, dell'attività di tutela nelle aree interessate –:
   quali modifiche il Ministro interrogato intenda apportare al decreto ministeriale 23 gennaio 2016, «Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015», al fine di dare attuazione all'articolo 1, comma 432, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, in modo da continuare ad assicurare il pieno svolgimento delle attività di tutela del patrimonio culturale. (3-02682)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   recentemente si è appreso che circa la metà dei detenuti islamici presenti in Italia accusati di terrorismo internazionale e inserita nei circuiti di alta sicurezza è detenuta in due carceri della Sardegna (20 su un totale di 44) e che sono 373 i detenuti stranieri nelle carceri italiane che risultano sotto sorveglianza per rischio radicalizzazione;
   il sindacato di polizia lamenta, in Sardegna, una carenza di organico rispetto al numero di detenuti presenti nelle carceri isolane e una situazione di disagio, tenuto conto che, rispetto al passato, la tipologia dei detenuti presenti in Sardegna è cambiata;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Gentiloni, in una conferenza stampa con il Ministro dell'interno, Marco Minniti, al termine dell'incontro con la Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista, ha dichiarato che il percorso di radicalizzazione si sviluppa soprattutto in alcuni luoghi: nelle carceri da un lato e nella rete dall'altro;
   risulta all'interrogante che tra gli strumenti di prevenzione tesi alla de-radicalizzazione dei soggetti a rischio possa essere prevista anche la misura del trasferimento dei detenuti islamici definiti di bassa pericolosità nelle vecchie colonie agricole penali, dove potrebbero godere di un regime più aperto che gli consenta di orientarsi ad abbandonare propositi di aggressione;
   ferma restando la convinzione dell'utilità dei regimi alternativi alla detenzione, desta stupore immaginare questa ultima misura per il caso in questione;
   infatti, ad oggi, le colonie agricole penali risultano ubicate unicamente in Sardegna e, pertanto, ai detenuti già presenti sull'isola, verrebbe ad aggiungersene un numero imprecisato;
   come accaduto anche in passato per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis del codice di procedura penale, l'isola diventerebbe di fatto l'unica regione a farsi carico del problema, in spregio al principio dell'equa distribuzione sul territorio nazionale dei detenuti;
   sarebbe necessario conoscere il numero esatto dei detenuti islamici accusati di terrorismo internazionale già inseriti nei circuiti di alta sicurezza della Sardegna e la loro destinazione, in modo da comprendere quali misure di controllo e monitoraggio siano attualmente previste nei loro confronti e se essi possano in qualche modo interagire con detenuti comuni o appartenenti alla criminalità organizzata –:
   se corrisponda al vero la notizia secondo la quale è in corso di studio l'ipotesi di trasferire i detenuti islamici individuati di bassa pericolosità presso le colonie agricole penali e, in caso positivo, quale sia il numero dei soggetti potenzialmente interessati al trasferimento.
(3-02685)


   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da articoli apparsi sulla stampa, pare che l'attuale Governo stia predisponendo una serie di nuove misure, a cui stanno lavorando tecnici dei Ministeri della giustizia e dell'interno, con cui si procederà finalmente all'adeguamento dell'attuale normativa nazionale a quella comunitaria, tra cui la previsione di una nuova procedura per le domande di asilo e di un unico grado di appello avverso il diniego della domanda di protezione internazionale, come già disposto dalla direttiva 2013/32/UE, contro gli attuali tre gradi di giudizio previsti attualmente in Italia;
   inoltre, sempre secondo quanto dichiarato anche dal Capo della polizia, Franco Gabrielli, tra le misure necessarie a scongiurare il pericolo di infiltrazioni e attacchi terroristici e a garantire il rimpatrio effettivo di irregolari e clandestini, sarà prevista l'istituzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione, risultandone operativi solo quattro per la loro progressiva chiusura, ed il prolungamento del periodo di permanenza fino a un anno dagli attuali 3 mesi, termine così ridotto drasticamente nel 2014 dalla maggioranza di Governo dagli originari 18 mesi, secondo quanto prescritto dalla direttiva 2008/115/UE;
   recentemente il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche sottolineato la necessità di porre adeguate misure per prevenire l'estremismo islamico jihadista, sempre più pericoloso e proliferante nelle carceri italiane, come dimostra anche il caso di Anis Amri, autore della strage di Berlino del 23 dicembre 2016, dal 2011 al 2015 detenuto in Italia;
   già in passato, più volte, come riportato dalla stampa, i servizi di intelligence hanno lanciato l'allarme sul rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori ed altresì diverse organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria hanno segnalato il proliferare di pericolose forme di proselitismo del fondamentalismo islamico negli istituti penitenziari;
   alla luce dei dati resi noti dall'agenzia europea Frontex, l'Italia resta uno dei fronti più esposti ai flussi immigratori con un record di arrivi nel 2016 pari a 181.000 immigranti solo dalla rotta centro mediterranea, il 20 per cento in più rispetto al 2015;
   benché siano resi noti circa 39 detenuti radicalizzati ed almeno 300 ritenuti a rischio di radicalizzazione islamica, le organizzazioni rappresentative della polizia penitenziaria hanno segnalato il fenomeno maggiormente diffuso –:
   quali provvedimenti intenda assumere rispetto alle misure già annunciate sulla stampa dal Capo della polizia, anche con riguardo alla prevenzione e alla lotta al radicalismo islamico negli istituti detentivi, ed i tempi in cui tali iniziative verranno realizzate. (3-02686)


   BUTTIGLIONE, BINETTI, CERA e DE MITA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i valori cattolici conducono ad un atteggiamento positivo verso chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Nello stesso tempo i governanti devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve anche integrare;
   risulta pacifica l'impossibilità di accogliere ed integrare tutti coloro che fanno richiesta di soggiorno o di riconoscimento di protezione internazionale che necessariamente dovranno essere rimandati nei Paesi d'origine;
   l'Italia accoglie, conformemente al diritto internazionale ed alla Costituzione, i perseguitati ma rimanda a casa loro gli immigrati illegali;
   moltissimi emigrati illegali si sottraggono al rimpatrio proponendo domande di asilo evidentemente pretestuose, facendo appello contro i decreti di espulsione davanti ai tribunali ordinari ed entrando in clandestinità nei tempi lunghi richiesti dal susseguente processo;
   è stata ventilata la proposta di istituire sezioni speciali con magistrati specializzati nell'affrontare questi problemi al fine di:
    a) accelerare il riconoscimento del diritto di asilo per coloro a cui eventualmente le commissioni competenti lo avessero ingiustamente negato;
    b) facilitare i rimpatri di coloro che tale diritto non hanno, impedendo che essi si trasformino in immigrati clandestini;
   in Italia l'articolo 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 prevede il reato di immigrazione clandestina, che non ha aiutato a ridurre il traffico di essere umani;
   la legge 28 aprile 2014, n. 67, ha affidato al Governo una specifica delega per la depenalizzazione di una serie di reati, tra cui quello di immigrazione clandestina, trasformandolo in illecito amministrativo, ma il Governo, in sede di attuazione della delega, non ha ritenuto di dover procedere all'abrogazione –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover adottare iniziative volte all'abrogazione del reato di immigrazione clandestina e cosa intenda fare per accelerare il riconoscimento del diritto per i meritevoli ed il rimpatrio per i non aventi diritto.
(3-02687)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAN e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Etra s.p.a. è una società multiutility a controllo pubblico, operante in regime di diritto privato, che si occupa prevalentemente di servizi ambientali attraverso la raccolta e il trasporto dei rifiuti, di sistemi idrici integrati, con la gestione della rete dell'acquedotto e di quella fognaria, e, infine, di servizi energetici producendo energia da fonti rinnovabili attraverso impianti a biogas, idroelettrici e fotovoltaici;
   Etra s.p.a. è posseduta da 75 comuni insistenti nelle province di Padova, Vicenza e Treviso e serve un bacino di oltre 600.000 abitanti, fattura annualmente circa 160 milioni di euro ed opera con oltre 800 dipendenti distribuiti tra le diverse sedi operative. È retta da un sistema duale che si articola in un consiglio di sorveglianza con funzioni di indirizzo e controllo e in un consiglio di gestione con funzioni di gestione e amministrazione, entrambi nominati dall'assemblea dei soci formata dai 75 comuni del bacino che usufruiscono dei suoi servizi;
   la società gestisce direttamente circa il 65 per cento dei servizi ed affida la quota restante ad aziende o cooperative sociali attraverso gare d'appalto;
   da oltre un anno la procura della Repubblica di Padova ha aperto un'indagine affidata alla squadra mobile per far luce sul sistema impiegato da Etra s.p.a. per l'affidamento dei servizi ed, in particolare, sull'abuso della proroga degli affidamenti dovuto al rinvio ingiustificato e quindi alla mancata pubblicazione in tempo utile dei relativi bandi di gara, indagine che riguarda la condotta del vertice direttivo;
   contemporaneamente, anche la Corte dei conti del Veneto ha aperto un fascicolo per valutare l'ipotesi di danno erariale prodotto dalla stessa condotta nella gestione degli appalti ed ha affidato le indagini ai carabinieri del Noe e alla Guardia di finanza;
   dalle notizie apparse sulla stampa risulta iscritto nel registro degli indagati il direttore generale di Etra s.p.a. accusato di turbativa d'asta –:
   se il Governo sia a conoscenza degli atti esposti in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere per garantire la massima trasparenza e correttezza nelle gare d'appalto indette dalle multiutility pubbliche, a partire da quella veneta;
   se il Governo, in raccordo con l'Anac, intenda promuovere iniziative mirate al contrasto del fenomeno della turbativa nelle gare e nelle procedure di gara.
(5-10195)


   AGOSTINELLI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonte stampa di fine dicembre 2016, si è appreso che per il concorso a 300 posti di notaio, indetto con decreto del 26 settembre 2014, i cui esami orali sono terminati da circa un mese, è stato presentato un esposto alla Procura della Repubblica;
   l'autore dell'esposto, avendo esercitato il diritto di accesso agli atti e, dunque, avendo avuto modo di leggere gli elaborati dei candidati vincitori, ha riscontrato che molti degli stessi, almeno una decina, presentano imprecisioni tali da rendere nulli, secondo la legge, gli atti pubblici stipulati e che, ciononostante, detti compiti hanno conseguito una votazione sufficiente al superamento della prova scritta. Altri settanta elaborati presenterebbero insufficienze meno gravi, ma comunque rilevabili. Gli stessi errori ed imprecisioni, invece, sembrerebbero essere stati ritenuti dalla medesima commissione di concorso talmente gravi da impedire la promozione di altri candidati, che, quindi, non hanno potuto accedere alla successiva prova orale;
   sulla denuncia è stata avviata un'indagine durante la quale è stato interrogato il vicepresidente della commissione esaminatrice, un consigliere della Corte d'appello, che alle domande sugli errori evidenziati nell'esposto ha risposto: «Non posso escludere che possano esservi state sviste, o interpretazioni non perfettamente collimanti, ma sulla valutazione delle stesse andrebbe sentito un notaio, e io non lo sono». L'indagine viene chiusa, forse in modo troppo rapido, senza che nessun notaio sia stato sentito e viene presentata una richiesta di archiviazione, che a parere degli interroganti, appare quantomeno frettolosa. Risulta, poi, dalla stessa fonte stampa che uno dei notai in commissione abbia addirittura dichiarato: «Siamo stati tutti molto attenti a che non ci fossero pressioni su eventuali favoritismi. Sono andata proprio per verificare questo», aggiunge, «certo, può capitare che qualcuno ce l'abbia fatta e qualcun altro no, pur con lo stesso errore, magari... ma se è successo è stato per stanchezza e per stress: ci hanno messo molta pressione sul far presto. Io sono stata accurata al massimo, ma non sempre alla fine della giornata riesci ad avere la stessa lucidità»;
   alla decisione della Procura è stata presentata opposizione, dove si evidenziano anche almeno altre otto «nullità». Intanto, i praticanti promossi stanno per diventare notai. I candidati che non avrebbero avuto la sufficienza, sembrerebbe, a causa degli stessi errori, non hanno la possibilità di presentare ricorso comparativo al Tar, in quanto detti ricorsi possono giustificare una revisione della decisione della commissione solo a parità di soluzioni valide, mentre, nel caso in oggetto, così non è;
   la disciplina di accesso alla professione di notaio è stata anche recentemente oggetto di modifica in quanto viene limitato il numero delle consegne da parte dei candidati, che non può essere superiore a tre inidoneità. Pertanto, la valutazione sulla bocciatura del candidato ha conseguenze che vanno al di là del singolo concorso e che, talvolta, può comportare l'impossibilità di accedere al successivo bando di concorso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritenga grave quanto dichiarato dai commissari di cui in premessa che, a giudizio degli interroganti, lungi dal formulare una difesa del proprio operato sembrano piuttosto esprimere una ammissione di colpa e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito;
   se non ritenga opportuno promuovere non solo una revisione della modalità di accesso alla professione notarile, sopprimendo il limite delle consegne delle prove d'esame da parte dei candidati, tenuto conto del fatto che, ad avviso degli interroganti, tale professione può ancora vantare privilegi, se la prova di concorso garantisce l'effettiva selezione delle persone più preparate, ma anche la trasparenza e la stabilità nei criteri di correzione, riducendo al minimo l'alea concorsuale. (5-10203)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni del mese di gennaio del 2017 numerosi organi di stampa hanno riportato l'allarme lanciato dai sindacati di polizia penitenziaria della Sardegna a causa della scarsa presenza di personale in organico nelle strutture penitenziarie dell'isola e della carenza di mezzi e risorse adeguati per lo svolgimento del lavoro. La grave situazione, già in diverse occasioni sottolineata, risulta ancora più preoccupante anche in riferimento al recente trasferimento nelle carceri di Sassari-Bancali e Nuoro Badd'e Carros di numerosi detenuti accusati di terrorismo internazionale nonché per l'alta concentrazione di popolazione islamica nelle colonie penali;
   «la situazione generale in cui versano gli istituti della Sardegna, in relazione alla tipologia della popolazione detenuta, rapportata alla gravissima carenza di poliziotti in servizio», secondo quanto denunciato da Alessandro Cara, segretario regionale della Sardegna dell'Uspp (Unione sindacale polizia penitenziaria), desta forte preoccupazione. L'istituto di massima sicurezza di Sassari, infatti, dovrebbe avere in servizio 415 poliziotti, ma al 15 dicembre 2016, secondo i dati del provveditorato della Sardegna riportati dall'Uspp, figuravano soltanto 243 poliziotti e risultavano assenti per malattia 38 unità. Gli istituti di Oristano e Tempio, molto simili tra loro, ospitano i detenuti AS1 e AS3 e i poliziotti in servizio dovrebbero essere rispettivamente 210 e 158 ed invece sono 142 ad Oristano e 88 a Tempio Pausania. A Badd'e Carros (Nuoro), che oltre agli AS1 ospita «8 jihadisti altamente pericolosi, o perlomeno quanto quelli sassaresi in regime di AS2», si registra una carenza di personale operante del 35 per cento;
   il quadro, secondo la denuncia del segretario regionale Uspp, «è completato dalla carenza di agenti nelle colonie penali, istituti che sono sottovalutati come eventuale pericolo di presenza di potenziali jihadisti e di “radicalizzazione” ma che invece, vista l'alta concentrazione di popolazione islamica, dovrebbero essere sotto osservazione alla pari degli altri istituti». Nelle colonie penali, infatti, si registra una carenza di personale che si aggira attorno al 30 per cento;
   preoccupa inoltre, secondo quanto riportato dal garante dei detenuti di Nuoro, Gianfranco Oppo, la rete di rapporti esterni alle carceri che potrebbero crearsi nell'isola con i parenti o gli amici degli jihadisti reclusi con l'accusa di terrorismo internazionale;
   la pianta organica attuale, come sottolineato da Salvatore Argiolas, segretario della Ugl polizia penitenziaria, non tiene conto delle nuove esigenze di custodia dettate dal «41-bis» e dal terrorismo islamico, sorte anche in seguito alla chiusura di istituti specializzati come quello di Macomer –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire in tempi celeri e certi per giungere alla soluzione della gravissima situazione esposta in premessa, prevedendo un incremento delle forze di polizia penitenziaria destinate alle carceri della Sardegna e la presenza tra le risorse umane in organico, anche alla luce del citato trasferimento dei detenuti accusati di terrorismo internazionale, di figure professionali come interpreti e traduttori di lingua araba. (4-15103)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo pubblicato in data 3 gennaio 2017 sul sito www.ilfattoquotidiano.it, dal 1o gennaio 2017 si è verificato un rincaro dei pedaggi autostradali medio del 0,77 per cento;
   il tratto autostradale che ha subito uno degli aumenti più significativi sarebbe l'A4 Torino-Milano, dove SATAP S.p.A. avrebbe incrementato i pedaggi del 4,60 per cento;
   lo stesso tratto ha avuto un aumento dell'6,5 per cento nell'anno 2016;
   dal sito satapweb.it, all'interno della sezione riferita al tratto autostradale A4, risultano al momento attivi diversi cantieri in entrambe le direzioni;
   inutile dire che questo gran numero di cantieri aperti crei nelle ore di maggiore congestione diversi ingorghi e disagi per l'utenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se si ritenga opportuno assumere iniziative per evitare che il pedaggio del tratto A4 possa subire rincari ogni anno, considerando il numero di cantieri aperti e oggettivamente mai chiusi;
   tenendo conto dei perenni cantieri che limitano nettamente la velocità di crociera lungo l'autostrada A4, e che contribuiscono inevitabilmente ad aumentarne sensibilmente i tempi di percorrenza, come si giustifichino gli aumenti citati in premessa alla luce dei continui disagi subiti dall'utenza. (4-15106)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI, RIZZETTO, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già nel settembre 2016 gli interroganti avevano presentato un atto di sindacato ispettivo urgente per segnalare le gravi inefficienze nel sistema di distribuzione dei migranti sul territorio nazionale, con particolare riferimento al Veneto e ai comuni di Bagnoli di Sopra, Cona e Agna nella provincia di Venezia, nei quali sono presenti duemilacinquecento immigrati a fronte di una popolazione residente di appena novemilaseicento persone;
   in risposta al citato atto il Ministro dell'interno pro tempore aveva affermato che «l'onorevole interrogante dice una cosa molto vera, ossia il fatto che in quei due comuni da lui citati vi è un sovraffollamento, che è una condizione ingiusta che noi intendiamo rimuovere», ribadendo, in sostanza, le promesse già fatte nel corso dell'estate 2016 ai sindaci dei comuni interessati di redistribuire i migranti presenti al fine di ridurre il numero di quelli che sarebbero rimasti nelle strutture fino alla capienza originaria delle stesse;
   tali promesse non solo non hanno avuto seguito, ma il numero dei migranti ospitati nei due hub, allestiti, rispettivamente, nelle frazioni di San Siro e di Conetta e che si trovano ad una distanza di appena cinque chilometri l'uno dall'altro, ha continuato ad aumentare: da 800 a 900 nel primo e addirittura da 1.000 a 1.500 nel secondo;
   il 2 gennaio 2017 nella struttura di Conetta è deceduta una giovane donna ivoriana, fatto in seguito al quale si è scatenata una vera e propria rivolta dei migranti all'interno del centro, sedata solo nella notte dopo l'intervento di polizia e carabinieri;
   in seguito alla rivolta circa un centinaio di migranti del centro di Conetta sono stati trasferiti ad altra sede, ma non sembra essere prevista alcuna ulteriore iniziativa per riportare la situazione alla normalità nelle strutture e nei comuni interessati;
   la sistematica e prolungata disattenzione del Governo alla difficile situazione che si sta registrando a causa dei fatti di cui in premessa sta generando numerosi problemi nella vita delle comunità locali, con i residenti costretti a subire la presenza di centinaia di migranti, che girovagano e bighellonano per il paese o bivaccano in piazza o nei giardini pubblici, e i sindaci che devono gestire l'ordine pubblico in una condizione perennemente al limite dell'emergenza;
   tale stato di cose, purtroppo, non interessa solo i comuni che ospitano una struttura di accoglienza ma anche quelli immediatamente limitrofi, i quali, tuttavia, sono stati esclusi dalla concessione del bonus economico previsto dal decreto-legge n. 193 del 2016 in favore dei comuni che accolgono le persone richiedenti la protezione internazionale –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere in merito ai fatti di cui in premessa.
(3-02689)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, QUARANTA, COSTANTINO, FAVA, NICCHI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, DURANTI, MELILLA e PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 dicembre 2016 la testata AnconaToday.it ha riportato la notizia di un importante sequestro di beni, del valore di 1,5 milioni di euro, appartenenti ad un affiliato di spicco alla `Ndrangheta;
   l'operazione, denominata «Goldwing», è stata condotta dal gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata della guardia di finanza di Ancona e dal nucleo della polizia tributaria di Perugia;
   il soggetto in questione, nato e residente ad Ancona, sarebbe stato, secondo quanto riporta l'articolo richiamato, il referente per Ancona e le Marche delle più importanti cosche calabresi;
   l'ingente quantità di beni, posti sotto sequestro, sarebbero il frutto di una intensa attività di traffico internazionale di cocaina, che ha consentito l'acquisto di immobili siti ad Ancona ed in Bulgaria, e di beni mobili di varia natura;
   l'episodio è l'ennesimo che racconta una significativa penetrazione di organizzazioni criminali di stampo mafioso nelle Marche;
   nonostante i numerosi atti di sindacato ispettivo depositati dall'interrogante per chiedere al titolare del Dicastero dell'interno pro tempore chiarimenti sull'entità di tale fenomeno, non vi sono state risposte –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire elementi in merito alla portata del fenomeno delle infiltrazioni di organizzazioni criminali di stampo mafioso nelle Marche;
   se non intenda fornire elementi in ordine alle misure di contrasto a tale fenomeno, adottate o che si intendano adottare. (4-15105)


   RICCIATTI, QUARANTA, COSTANTINO, FAVA, NICCHI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, DURANTI, MELILLA e PIRAS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 dicembre 2016 gli agenti del gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza di Ancona hanno dato esecuzione ad una misura di prevenzione a carattere patrimoniale disposta dal tribunale di Ancona ai sensi dei testo unico antimafia, sequestrando beni immobili per un valore complessivo di un milione e cinquecento mila euro circa;
   i beni, fabbricati e terreni siti nelle province di Ancona e di Pesaro, apparterrebbero ad un soggetto pluripregiudicato, più volte condannato in via definitiva per il reato di usura è «attivo» da circa 40 anni;
   l'indagine della guardia di finanza, denominata «Echidna», ha riscontrato l'incongruenza con il tenore di vita del soggetto pregiudicato e della sua famiglia, rispetto alle dichiarazioni fatte al fisco;
   secondo gli inquirenti il soggetto in questione nel corso degli anni si sarebbe «specializzato» in prestiti a tassi usurari, fino al 900 per cento delle somme prestate (Ansa, 19 dicembre 2016);
   nonostante le condanne subite nel corso di 40 anni, anche per reati di usura, il soggetto pregiudicato è riuscito a svolgere ugualmente una intensa attività usuraria, riuscendo ad accumulare un patrimonio immobiliare ammontante almeno a 1,5 milioni di euro –:
   se il Governo intenda illustrare le misure di vigilanza e contrasto alla diffusione dell'usura poste in essere nella regione Marche dagli organi di polizia preposti. (4-15108)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la sicurezza della navigazione sulla sponda veronese del lago di Garda è attualmente garantita dalla presenza della Polizia nautica dislocata a Peschiera (Verona) e da una motovedetta dell'Arma dei Carabinieri dislocata a Torri del Benaco (Verona), circa 30 chilometri più a nord;
   l'amministrazione comunale di Torri del Benaco nei mesi scorsi ha inviato alla prefettura di Verona una richiesta di spostamento della motovedetta dei carabinieri nautici del Veneto da Torri del Benaco (VR) per utilizzare lo spazio acqueo occupato nel porto con nuovi posti barca;
   il decreto legislativo n. 177 del 19 agosto 2016 recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo Forestale dello Stato» non ha interessato il presidio dei Carabinieri sul lago di Garda e, inoltre, il recentissimo provvedimento del comando generale dell'Arma dei Carabinieri, del 21 dicembre 2016, Prot. numero 635/220-220-1959, ha confermato la motovedetta «605» dei Carabinieri nel sito di Torri del Benaco (Verona), riconoscendone l'indispensabilità e l'utilità proprio in quel sito, centrale rispetto alle esigenze logistiche e di sicurezza del medio ed alto lago di Garda;
   la sicurezza del Garda, con particolare riferimento agli interventi per prevenire incendi, è già ad elevatissimo rischio; visto il trasferimento della motovedetta dei Vigili del fuoco di Bardolino (Verona) ad altra destinazione e la sua mancata sostituzione con un mezzo idoneo;
   il lago di Garda, specialmente sulla sponda veronese nel tratto più a nord, non può fare a meno di un presidio qual è quello della motovedetta dei carabinieri di Torri del Benaco, che garantisca le operazioni di pubblica sicurezza, i controlli sotto costa e le repressioni delle violazioni al codice della navigazione, anche in ragione della presenza di milioni di turisti nel periodo estivo;
   i sindaci di Brenzone sul Garda e di Malcesine (Verona), a quanto consta all'interrogante, hanno scritto alla prefettura di Verona e al comando provinciale dei Carabinieri di Verona una lettera con cui dichiarano la forte contrarietà all'ipotesi di spostamento della motovedetta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione sopra rappresentata e, in particolare, della esistenza della richiesta di trasferire altrove la motovedetta dei carabinieri nautici rispetto alla attuale sede di Torri del Benaco;
   se, il Governo non ritenga di rigettare la richiesta del comune di Torri del Benaco in quanto l'attuale dislocazione appare all'interrogante la più consona a garantire i controlli sotto costa e la sicurezza della navigazione sul Garda, nonché la repressione di eventuali violazioni al codice della navigazione nella parte medio-alta del lago di Garda veneto;
   se, intenda confermare la linea in materia già stabilita con il provvedimento con numero Prot. 635/220-220-1959 del comando generale dell'Arma dei Carabinieri per la parte concernente la motovedetta «605» dei Carabinieri nel sito di Torri del Benaco (Verona). (4-15110)


   D'ALIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (UICI) è una Onlus con personalità giuridica di diritto privato, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'interno;
   a seguito del commissariamento, avvenuto nel marzo 2016, dell'intero gruppo Uici siciliano (26 componenti) da parte del consiglio nazionale, il nuovo garante regionale ha commissariato la sede di Messina a causa della presenza di sofferenze finanziarie in un quadro di bilancio negativo. Le sezioni di Trapani e Catania avevano già subito lo stesso provvedimento di commissariamento;
   da quanto risulta all'interrogante, gli ultimi due anni di passività di bilanci della sezione di Messina scontano pesantemente il dimezzamento del contributo della regione a favore dell'Unione italiana ciechi, che da svariati mesi non riesce a pagare gli stipendi agli impiegati;
   le determinazioni di commissariamento hanno provocato sia al livello regionale sia a quello provinciale dei ricorsi di fronte al giudice ordinario per una sproporzione tra le contestazioni formulate e il tipo di provvedimenti adottati;
   per quanto riguarda la sede di Messina, la decisione del commissario regionale ha causato uno sconvolgimento improvviso nella vita associativa dell'ente ed una reazione di assoluto sgomento per i soci della provincia Uici di Messina e per i molti cittadini frequentatori dell'associazione. Tali sentimenti di sorpresa e rammarico sono stati canalizzati in una assemblea straordinaria permanente durante la quale si sono registrati anche momenti di tensione, con conseguente intervento delle forze dell'ordine;
   i servizi e le attività della sede di Messina, al pari di quelle di Trapani e Catania, come l'integrazione scolastica e lavorativa dei non vedenti e degli ipovedenti, la distribuzione di libri in braille, l'accompagnamento con personale specializzato che segue i bisognosi del trattamento e le visite oculistiche gratuite ai cittadini per monitorare continuamente lo stato della propria vista, rischiano di subire un forte ridimensionamento qualitativo e quantitativo. Infatti, i commissariamenti, sia a livello regionale che provinciale, implicano una gestione verticistica da parte di un funzionario esterno, che per l'interrogante non può conoscere nel dettaglio ed affrontare con contezza di causa e piena efficacia le situazioni concrete e le storie particolari dei territori siciliani e le peculiari esigenze dei singoli cittadini;
   il compito di vigilanza sull'Uici, che pure si esplica nel rispetto dell'autonomia statutaria, non comporta la facoltà di incidere sulle delibere e contempla il potere di commissariamento governativo ex articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 solo nei casi in cui il bilancio non venga deliberato o si verifichino disavanzi per due esercizi consecutivi, è attribuito dalla legge all'Amministrazione dell'interno;
   la questione dei commissariamenti delle articolazioni territoriali dell'Uici in Sicilia ha assunto proporzioni non più trascurabili dall'amministrazione statale, investendo direttamente la politica regionale, il mondo sindacale e quello del libero associazionismo dei cittadini, con specifico riguardo alle province di Catania, Trapani e Messina –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere tutte le iniziative di competenza ritenute più rapide ed efficaci, nel quadro e con i limiti sopra ricordati relativamente ai propri poteri di vigilanza, per garantire che i rapporti tra i differenti livelli associativi dell'Unione italiana ciechi e degli ipovedenti (Uici) siano effettivamente ispirati ai principi costituzionali e statutari di democrazia, equa partecipazione e diritto al contraddittorio e che i provvedimenti adottati dai vertici dell'associazione non pregiudichino lo svolgimento delle iniziative e l'erogazione dei servizi che le sezioni territoriali siciliane dell'Uici quotidianamente hanno garantito e garantiscono ai soci e alla cittadinanza in generale. (4-15112)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONETTI e SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: 
   proprio durante le festività natalizie sono stati licenziati 90 lavoratori della Ecotech, società operante nel settore delle pulizie di bordo all'interno dell'aeroporto di Fiumicino, avvenuto dopo la cessione di un ramo di azienda effettuata dalla National Cleanness srl;
   l'azienda avrebbe motivato i licenziamenti con la perdita di appalti da parte delle aziende Avia partner e Aviation Services, entrambe handling aeroportuali;
   tale licenziamento in tronco rappresenta l'ennesimo caso di grave crisi occupazionale all'interno dello scalo di Fiumicino e denuncia la oramai insostenibile situazione in cui gli avvicendamenti societari inerenti l'Aeroporto si compiono a scapito di chi presta servizio al suo interno;
   altra causa è da rinvenirsi nella liberalizzazione selvaggia del mercato aeroportuale, frutto dell'assurda normativa Bolkestein definita dall'Unione europea, che ha portato ad una vera e propria deregolamentazione del sistema aeroportuale di Fiumicino;
   la vicenda dei 90 lavoratori della Ecotech si accompagna a quella dei 240 lavoratori di AMS (Alitalia Maintenance Systems), la cui indennità di mobilità è oramai esaurita ed a quella dei 60 lavoratori di Caffè Colonna, già percettori di ammortizzatore sociale –:
   se e quali iniziative, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda assumere per scongiurare la definitiva perdita occupazionale dei lavoratori interessati dalla vicenda richiamata in premessa e favorire la loro eventuale ricollocazione presso le aziende subentranti;
   se e quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare per porre fine all'agonia indotta delle aziende che operano negli aeroporti italiani.
(5-10196)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di stampa che alcuni giorni fa, a Ostia (Roma), un uomo abbandonava durante la notte in auto a temperatura esterna sotto lo zero, il proprio figlio di soli tre anni per recarsi in un locale a giocare alle slot machine;
   il bambino, intirizzito dal freddo e preso dalla paura, riusciva – verso le quattro di notte – a richiamare l'attenzione di alcuni passanti che fermavano una pattuglia di carabinieri;
   i militari alla vista di quanto succedeva, riuscivano a salvare il bambino facendolo uscire dall'auto e affidandolo alle cure del 118;
   nel frattempo, i carabinieri della compagnia di Ostia rintracciavano il padre del bambino mentre giocava a videopoker all'interno di una sala distante un centinaio di metri dal punto in cui aveva parcheggiato la sua macchina;
   il padre, sottoposto ad alcune domande da parte dei Carabinieri, non si sarebbe capacitato di quanto succedeva, poiché non vedeva nulla di male nell'aver lasciato il figlio in auto per ore al freddo e quindi quasi inconsapevole della gravità del suo comportamento negligente;
   una volta accertato lo stato di salute, il bambino è stato affidato alla madre e il padre arrestato per abbandono di minore;
   tale atteggiamento, purtroppo, è spesso riscontrato nei soggetti affetti da ludopatia poiché l'incapacità di resistere all'impulso del gioco è più forte che qualsiasi altro interesse o responsabilità, sino ad arrivare a distruggere la propria vita e quella dei familiari;
   nel 2016, il numero delle slot machine autorizzate in Italia è aumentato di 40 mila unità, passando da 378 mila a 418 mila macchinette;
   l'ultima legge di stabilità prevede una riduzione delle macchinette, nell'ordine del 30 per cento in quattro anni, ma, di fatto, gli apparecchi sono aumentati del 10 per cento in quattro mesi;
   la riduzione dovrebbe essere in vigore dal 1o gennaio 2017, tuttavia, le concessioni scadute non saranno cancellate, con il risultato che le 418 mila macchinette esistenti, rimarranno;
   si ritiene che, in base alla circolare delle dogane e dei monopoli, in cui si precisa che la legge di stabilità fissa un tetto oltre il quale «è precluso il rilascio di nuove autorizzazioni» – ma il tetto fa riferimento non più alle macchine operanti al 31 luglio, bensì al 31 dicembre 2015 –, stabilendo inoltre che le concessioni scadute non saranno cancellate, sia difficoltoso mettere in atto quanto previsto dalla legge di stabilità se non vi saranno nuovi e ulteriori interventi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritengano di dover assumere urgenti iniziative per contrastare definitivamente il gioco d'azzardo, le scommesse e i giochi in generale che comportano esborso di danaro;
   se intendano assumere iniziative in tale ambito mediante campagne di sensibilizzazione e interventi al fine di ampliare i centri di recupero per persone affette da ludopatia;
   se intendano istituire un tavolo di lavoro finalizzato al censimento dei centri di recupero al fine di acquisire una mappatura della popolazione coinvolta dalla ludopatia;
   alla luce di quanto previsto nella legge di bilancio 2016, se non intendano assumere una posizione netta affinché sia davvero attuata l'annunciata riduzione delle macchinette da gioco che, ad oggi, non è ancora stata messa in atto.
(4-15104)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la straordinaria ondata di maltempo che sta attraversando la Penisola con abbondanti nevicate sta causando ingenti danni e disagi per l'agricoltura Italiana;
   da una prima stima la perdita del settore agricolo per gli effetti dell'eccezionale ondata di maltempo potrebbe aggirarsi già intorno a 700 milioni di euro;
   per l'agroalimentare nazionale, ma soprattutto per l'agricoltura, è scattata così una nuova drammatica emergenza che si aggiunge alla difficile situazione che sta colpendo gli agricoltori italiani alle prese con costi produttivi sempre più onerosi;
   la situazione nelle aree colpite dagli eventi sismici è drammatica e nel resto della penisola è emergenza praticamente ovunque, con situazioni critiche in Puglia, Sicilia, Basilicata, Calabria e Campania;
   il maltempo ed il gelo hanno causato non solo danni alla produzione per centinaia di milioni di euro ma anche ingenti danni a beni strumentali, oltre ai problemi per il reperimento del foraggio con danni conseguenti per gli allevamenti;
   inoltre, il freddo rigido sta facendo lievitare anche consumi di gasolio agricolo, soprattutto per il riscaldamento delle serre e delle strutture aziendali e questo costringe gli agricoltori a sostenere ulteriori costi;
   le criticità maggiori sono nelle regioni del Sud soprattutto in Puglia ed in Sicilia dove si rischia di perdere buona parte degli agrumeti e dove si registrano danni per svariati milioni di euro;
   nei prossimi giorni si prevede un aumento del costo di diversi prodotti ortofrutticoli a causa dei danni prodotti dal maltempo di queste ore;
   il maltempo ha reso impraticabili moltissime strade di campagna e tanti agricoltori sono rimasti isolati per giorni, senza luce e acqua;
   le gelate si innescano in una già critica situazione del comparto agricolo, con rischio di forti perdite di reddito per gli agricoltori –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda assumere in seguito alla situazione di emergenza atmosferica e di grave danno per il settore agricolo;
   se non ritenga opportuno, vista l'importanza del comparto e lo stato di crisi in cui versa da tempo, convocare con urgenza un tavolo di confronto con le associazioni degli agricoltori, al fine di individuare misure condivise per garantire un sostegno economico al settore agricolo, danneggiato sia dalla crisi economica sia dalla situazione climatica, che in questi ultimi giorni ha causato ingenti danni al settore medesimo. (5-10197)

SALUTE

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, CARFAGNA, LUIGI CESARO, DE GIROLAMO e SARRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le foto rilanciate dalla rete nei giorni scorsi, che vedono protagonista l'ospedale Santa Maria della pietà di Nola, in provincia di Napoli, lasciano davvero poco spazio ai commenti: a partire dal 5 gennaio 2017 alcune persone sono state curate per terra e nei corridoi;
   immagini che sembrano quelle di un ospedale allestito in un'area di conflitto, con persone sul pavimento e coperte utilizzate come giacigli. Il picco di influenza, la psicosi meningite, il ponte dell'Epifania con gli studi dei medici di medicina di base chiusi e l'impossibilità, causa neve, di raggiungere altri ospedali, come quello di Avellino, hanno acuito una situazione già al limite: in 48 ore sono arrivati al pronto soccorso 452 pazienti; 225 persone al giorno: un record per un nosocomio che, già tra mille difficoltà, conta in media 165 prestazioni giornaliere. Quasi tutte patologie a carico dell'apparato respiratorio che hanno colpito, soprattutto, anziani. La sequenza è andata in scena tra urla e crisi di panico in un presidio di emergenza al servizio di 600 mila persone;
   situazione straordinaria senza dubbio, eppure prevedibile se un reparto di medicina con soli 24 posti letto deve far fronte ad un numero così elevato di utenti. In pronto soccorso le barelle sono 11 in tutto ed i 4 letti sistemati nel reparto di osservazione breve sono, quasi sempre, occupati dagli «esuberi» della medicina;
   a rimanere ostaggio dell'emergenza sono state anche le lettighe delle ambulanze del 118, rimaste inevitabilmente ferme a Nola. Bloccate anche le sale operatorie, con i medici costretti a trasferire a Castellammare di Stabia una donna che stava per partorire: delle due sale attualmente disponibili, una era occupata da un malato in attesa della rianimazione e l'altra era in preparazione per una appendicectomia acuta;
   prima di pensare di affidare l'incarico di commissario al governatore De Luca, è necessario pensare a come restituire dignità ai cittadini e al sistema sanitario nella regione –:
   quali iniziative siano state portate avanti dal Ministero della salute per verificare i fatti riportati in premessa e le responsabilità di quanto accaduto, quali i riscontri ottenuti e quali azioni si intendano mettere in atto per restituire il diritto alla salute in un'area che conta 600 mila abitanti, evitando la beffa che a pagare possano essere i medici al fronte che con dedizione e spirito di abnegazione hanno prestato soccorso e cure alle centinaia di pazienti in condizioni da ospedale da campo. (3-02688)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, GRILLO, BARONI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 settembre 2016 è stata data risposta all'interrogazione in Commissione del deputato Carra n. 5/09291 in merito alla situazione della struttura complessa (S.C.) di oncologia dell'ASST «Carlo Poma» di Mantova, situazione attenzionata anche dall'interrogazione a risposta scritta n. 4/13952 presentata dall'interrogante sullo stesso tema e pubblicata lo stesso giorno, 27 luglio 2016;
   entrambe le interrogazioni richiedevano, fra l'altro, un'ispezione presso tale ASST. Nella risposta scritta il Ministero della salute ha informato della procedura per l'acquisizione di informazioni e dati dalla regione Lombardia e di aver disposto l'ispezione ministeriale per accertare il corretto funzionamento della struttura ospedaliera, ispezione avvenuta in data 12 e 13 settembre 2016, di cui si attendono gli esiti;
   è emerso altresì che la procura di Mantova ha avviato un'indagine sulla base di un esposto presentato in procura dalle dottoresse Pisanelli e Adami; da notizie di stampa il primario della S.C. Cantore è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo e altre imputazioni;
   per quanto concerne altri dati emersi da notizie di stampa, in particolare a riguardo della riduzione della spesa sanitaria relativa a farmaci oncologici codificati da linee guida internazionale (come pemetrexed, lenalidomide, capecitabina e altri) si attendono specifiche, ma si presuppone che l'utilizzo di tali farmaci sia stato ridotto in maniera drastica nel primo periodo di conduzione del reparto da parte del dottor Cantore per poi risalire dopo le segnalazioni delle due dottoresse alla direzione aziendale;
   il dottor Cantore già nel reparto di precedente conduzione, l'oncologia di Massa Carrara, ha stimolato l'utilizzo di una pratica definita «terapia locoregionale», di somministrazione di farmaci oncologici che agli interroganti appaiono di vecchia generazione per via vascolare locale relativamente all'organo bersaglio (fegato, mammella e altri);
   sulla piattaforma Talete, sono state pubblicate le linee guida, seguite dalla S.C. di oncologia di Mantova per quanto riguarda il trattamento del cancro del pancreas. La bibliografia appare agli interroganti autoreferenziale e non aggiornata e comprende articoli di vario tipo: studi osservazionali secondo gli interroganti non controllati, revisioni limitate, studi di fase 1 e uno di fase 3 non in cieco e che parrebbero in contrasto con la metodologia internazionale CONSORT, su riviste per lo più di basso impact factor, e addirittura una lettera ad editore. Nessuna delle voci riportate compare nelle linee guida ASCO (American society of clinical oncology);
   nella comunità medica internazionale da tempo per linee guida si intendono delle raccomandazioni, relative a diagnosi, trattamento e monitoraggio, la cui «forza» si basa su una gerarchia di prove scientifiche che sono costituite, in linea generale, dai RCT, trials randomizzati e controllati, e metanalisi di questi trials;
   sia nel caso del cancro del pancreas localmente avanzato, che per il cancro del pancreas metastatico il Journal of clinical oncology (JCO) dell'agosto 2016 non fa alcun riferimento a terapia locoregionali, in arteria, Gli interroganti segnalano che tale procedura da un punto di vista economico presenta caratteri particolari, un importante guadagno per la struttura che la pratichi (per il rimborso delle procedure invasive e di radiologia interventistica eseguite) e una scarsa spesa relativa ai farmaci da somministrare –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noti gli esiti dell'ispezione eseguita presso la SC oncologia dell'ASST di Mantova;
   se il Ministro interrogato ritenga utile verificare, per quanto di competenza, che la terapia locoregionale, non inserita in linee guida internazionali, in corso in taluni casi presso l'ASST «Carlo Poma» di Mantova, sia inserita in un trial registrato, ovvero se ritenga utile l'esecuzione di studi sulla somministrazione di farmaci oncologici per via locoregionale, in modo da valutare in maniera autorevole tali procedure mediche in corso presso l'ASST «Carlo Poma» di Mantova e chiarire dal punto di vista strettamente sanitario tutte le questioni relative alla citata S.C., con possibili risvolti positivi anche di livello nazionale. (5-10199)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


  GALGANO, MOLEA e PALLADINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la misurazione della soddisfazione dei cittadini rispetto al godimento dei servizi pubblici offerti rappresenta uno degli strumenti utili a migliorarne la qualità, ponendo l'utente al centro del processo di riorganizzazione dei servizi stessi;
   dalla cosiddetta direttiva Ciampi-Cassese del 1994, fino ad arrivare al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e al decreto legislativo n. 33 del 2013, i comuni italiani sono obbligati alla redazione e alla pubblicazione delle indagini di soddisfazione degli utenti sui servizi erogati, acquisendo periodicamente la valutazione circa la qualità degli stessi;
   le normative fanno riferimento a tutti i servizi erogati, quindi anche quelli tramite società partecipate, e prevedono l'obbligo della pubblicazione delle indagini sui siti istituzionali dei comuni o delle società erogatrici;
   Radicali Italiani ha condotto un'indagine (dalla quale emerge un quadro negativo tranne per poche eccezioni) sull'applicazione del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e del decreto legislativo n. 33 del 2013 nei 40 comuni più popolosi in Italia;
   i comuni, infatti, interrogano i cittadini e informano pubblicando le indagini solo su pochi servizi, tralasciando, il più delle volte, quelli importanti rispetto al numero degli utenti, quali, ad esempio, i trasporti pubblici locali e la raccolta dei rifiuti. Quando, invece, sono i comuni ad essere virtuosi nel produrre indagini, sono le società partecipate ad essere carenti nell'assicurare le misurazioni;
   dall'inchiesta, condotta, tra l'altro, sui soli servizi essenziali di interesse generale, emerge che esclusivamente 4 comuni su 40 hanno prodotto indagini su trasporti urbani, rifiuti, acqua, energia e asili nido;
   anche dal punto di vista della pubblicazione degli esiti, il quadro risulta critico, perché, quando presenti, le rilevazioni sono di accessibilità modesta e non si trovano facilmente nei siti;
   la diffusa mancata applicazione delle previsioni del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e del decreto legislativo n. 33 del 2013 da parte delle pubbliche amministrazioni rappresenta un danno per i cittadini, perché non consente loro di poter essere a conoscenza della qualità dei servizi pubblici erogati e di verificare l'efficacia ultima delle procedure di affidamento o della gestione interna dei servizi stessi –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la piena applicazione delle norme giuridiche violate, tutelando i cittadini anche in termini di garanzia di concorrenzialità ed efficienza dei servizi stessi.
(3-02679)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Aeroporti di Puglia s.p.a. (AdP) è una società per azioni che gestisce i principali aeroporti della Puglia. La maggiore quota azionaria è detenuta dalla Regione Puglia (pari al 99,414 per cento), seguita da altri enti pubblici come la Camera di commercio di Taranto, la Camera di commercio di Bari, l'amministrazione provinciale di Bari, il comune di Bari, il comune di Brindisi, l'amministrazione provinciale di Foggia, la Camera di commercio di Brindisi e la Camera di commercio di Lecce;
   il Distretto Tecnologico Aerospaziale scarl (DTA) è una società senza scopo di lucro, le cui finalità sono la ricerca e il trasferimento tecnologico nel settore aerospaziale. Il 54 per cento è detenuto da soggetti pubblici: università del Salento, università degli studi di Bari, politecnico di Bari, CNR, ENEA;
   il manager Giuseppe Acierno, in qualità di amministratore unico di Adp e presidente-amministratore del DTA, ha ottenuto uno stipendio totale di poco inferiore ai 300 mila euro. Il direttore generale di AdP Marco Franchini, invece, ha visto ridursi i propri emolumenti da 326 mila euro lordi (percepiti nel 2015) a 243 mila euro più 20 mila euro per premio di produzione nel 2016;
   il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica all'articolo 11, comma 6, prevede che «il trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti» [...] «non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico»;
   il Decreto legislativo n. 165 del 2001, all'articolo 1, comma 2, prevede che «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale»;
   il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica all'articolo 2, comma 1, definisce le «società a controllo pubblico» come «le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)», ovvero con «controllo» si definisce «la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo» –:
   se il tetto dei 240 mila euro lordi onnicomprensivo previsto per gli amministratori pubblici includa, anche le società di diritto privato partecipate da soci industriali e pubblici, quali la DTA;
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché vengano rispettate le disposizioni previste dalla normativa sulle società a partecipazione pubblica per gli amministratori delle stesse.
(4-15107)

SPORT

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COVA, SCANU, ZANIN, AMATO, PAOLA BOLDRINI e MIOTTO. — Al Ministro per lo sport, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le commissioni cultura e affari sociali della Camera dei deputati stanno esaminando una risoluzione a prima firma Coccia, sull'istituzione di un'Agenzia nazionale antidoping; nel corso dell'esame della risoluzione è stato audito, tra gli altri, il dottor Gualtiero Ricciardi, direttore dell'Istituto superiore di sanità, il quale ha affermato che il doping in Italia è ormai un problema di salute pubblica;
   il dottor Ricciardi, senza mezzi termini, ha sostenuto che non vi sono argini alla diffusione delle sostanze dopanti nello sport, a livello sia giovanile e dilettantistico, sia professionistico. Persino i genitori degli adolescenti impegnati nello sport, a quanto ha affermato il dottor Ricciardi, spingono i figli ad accrescere le proprie potenzialità facendo ricorso a tali sostanze, tanto che il doping costituisce la prima causa di morte infantile e giovanile;
   nel corso della seduta delle commissioni riunite del 2 agosto 2016 è, poi, stato audito il professor Alessandro Donati, il quale non solo ha confermato quanto esposto dal dottor Ricciardi, ma ha chiamato in causa precise responsabilità degli enti nazionali preposti. Oltre alle affermazioni che il professor Donati ha fatto nella strenua difesa di Alex Schwazer (si vedano al riguardo le cronache del 12 agosto 2016 di Repubblica, Emanuela Audisio, pagina 42, e del Fatto Quotidiano, Luca Pisapia, pagina 20), basta del resto constatare quanto emerso poche settimane fa circa sostegno della Federazione russa a queste pratiche (si veda Il Messaggero, versione online del 10 novembre 2016, «Doping di Stato, choc olimpico: via la Russia dai Giochi di Rio», e Repubblica sport, pagina web, 9 dicembre 2016, «Doping, rapporto WADA, coinvolti 1.000 atleti russi»);
   il primo firmatario del presente atto, del resto, aveva presentato due interpellanze urgenti su questo tema, rispettivamente l'8 gennaio e il 4 giugno 2015;
   nonostante gli impegni assunti dal Governo in occasione delle risposte fornite a tali interpellanze, risulta che il fenomeno in Italia non stia arretrando e l'esposto, presentato dal Coordinamento dei gruppi sportivi militari e di Stato nei confronti del professor Donati per contenuto dell'audizione resa innanzi alle commissioni riunite della Camera, e l'annessa richiesta alla procura della Federazione italiana di atletica leggera di deferimento al Tribunale federale, sono un'evidente ammissione di incapacità di cogliere la gravità del problema; tanto ciò è vero che tali segnalazioni sono state archiviate;
   il primo firmatario del presente atto ritiene – a ogni modo – che tale iniziativa è di sicura gravità, giacché invece di preoccuparsi di aggredire in modo efficace il fenomeno del doping e le modalità di diffusione dei farmaci dopanti presso ogni categoria di atleti, il Coordinamento dei gruppi sportivi non trova di meglio che adoperarsi per la tutela di un malinteso senso dell'onore dello sport organizzato –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per promuovere un'effettiva separazione e terzietà dell'organismo antidoping dal Coni e dalle federazioni sportive;
   se non intenda adoperarsi con tempestività, per quanto di competenza, affinché il Coordinamento dei gruppi sportivi e militari di Stato possa intervenire in relazione alle criticità sul doping documentate dal professor Donati;
   quali iniziative di coordinamento e di prevenzione intenda attuare, per quanto di competenza, sul piano internazionale, per sensibilizzare gli altri Paesi sulle necessità della lotta al doping. (5-10200)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   vendute, ricomprate, spesso passate da una parte all'altra, da un Paese all'altro. È la storia di molti marchi d'eccellenza nati in Italia, ma che di italiano oggi hanno ben poco;
   molte delle migliori realtà imprenditoriali italiane sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, unita all'iperburocratizzazione della macchina amministrativa, a una tassazione iniqua, alla mancanza di aiuti e di tutele e all'impossibilità di accesso al credito bancario;
   l'intreccio di tali fattori ha inciso sulla mortalità delle imprese creando una sorta di mercato «malato», all'interno del quale si registra la chiusura di realtà imprenditoriali importanti per tipologia di produzione;
   l'afflusso di capitali esteri nel nostro Paese non è quindi avvenuto secondo le normali regole di mercato e le aziende si sono dovute piegare a una vendita «sottocosto» rispetto al loro reale valore;
   tutto questo è avvenuto per l'assenza dello Stato e della politica e, insieme, di quella classe dirigente generale che non ha prezzo una posizione forte rispetto al progressivo sfaldamento dell'economia italiana preferendo un atteggiamento silenzioso, e per questo in qualche modo complice. Nonostante si parli ormai da anni della vendita a prezzi stracciati del «prodotto Italia», infatti, nessuno ha mai voluto davvero dire la verità e cioè che nulla è stato fatto per contrastare lo stato delle cose;
   spesso le aziende italiane vengono acquistate da altre aziende di Paesi stranieri, vengono svuotate dei macchinari e del know-how, e mai riaperte. Un'azienda può vivere la strana condizione di soggetto «perennemente sul mercato» poiché la proprietà passa da un'azienda all'altra, da società all'altra, da un Paese all'altro, in un giro vorticoso che lascia quanto meno perplessi dal punto di vista della trasparenza. D'altra parte, in un mercato globalizzato all'interno del quale diventa ogni giorno più dura e senza esclusione di colpi, la concorrenza non si fa più solo attraverso l'innovazione di processo e di prodotto, ma anche o forse soprattutto, attraverso l'eliminazione dell'avversario diretto acquistandone l'azienda e dismettendone la produzione;
   all'interno di un sistema finanziario sempre più immateriale e senza patria diventa ancora più arduo ricostruire l'origine e i percorsi dei capitali impiegati così con vari interessi a essi riconducibili. È certo però che questi interessi, il più delle volte, non corrispondano a vere vocazioni imprenditoriali, ma siano organizzati secondo la logica del massimo profitto;
   la svendita della rete produttiva italiana quindi impoverisce il Paese sia dal lato economico sia per la perdita di asset immateriali, a volte di difficile quantificazione economica, perché vengono meno la tradizione, l'esperienza e la storia insita in ciascuna delle aziende di cui ci si priva. In questo senso, va ricordato che l'imprenditoria italiana è fatta di imprese, costruite nel corso degli anni esaltando il concetto di qualità. Non solo. Accanto a questi problemi non si può tacere della condizione nella quale versano migliaia di lavoratori che si ritrovano in cassa integrazione e, probabilmente invano, attendono la possibilità di un reintegro a ogni nuovo cambio di proprietà;
   quello che può accadere è purtroppo che, rilevata un'azienda che prima produceva in Italia, si trovi più conveniente delocalizzare la produzione in Paesi con minor costo del lavoro, meno barriere burocratiche, ma anche normative assai diverse da quella italiana sia sul piano i sicurezza sul lavoro sia su quello della tutela consumatori;
   elementi di distinzione del nostro Paese nello scenario globale sono quindi il valore del made in Italy, la posizione strategica per i flussi nel Mediterraneo e la rete dei distretti industriali che continuano ad essere oggetto di attrazione da parte di investitori esteri. In questo scenario si inserisce il fenomeno delle acquisizioni di rinomate imprese italiane, mentre continua l'investimento sull'Italia Italia di numerose multinazionali;
   si possono aprire le frontiere, ma vanno create le condizioni per fare bene impresa in Italia in modo che dall'estero arrivino capitale e competenze che l'Italia non ha, ma ci sia allo stesso tempo l'interesse degli stranieri a conservare il business nel nostro Paese;
   negli ultimi anni, con modalità e interessi differenti, imprenditori francesi, cinesi, giapponesi, arabi e americani si presentano in Italia affascinati dalle competenze e dalle capacità degli ingegneri, dei designer e degli operai, cogliendo rinnovate opportunità di investimento e di business per il futuro. Infatti, nonostante l'insieme delle statistiche a una prima lettura definisca un'immagine spesso negativa o perlomeno in chiaro-scuro dell'economia italiana, ancora oggi il nostro Paese è in grado di «fare la differenza» quando si tratta di realizzare non solo abiti e gioielli di lusso, ma anche tutti quei prodotti che dalla rubinetteria, agli arredi della cucina, ai giocattoli sino ai componenti per gli aerei, vengono apprezzati in tutto il mondo; le aziende devono necessariamente individuare la strategia di impresa e la struttura del management per poter crescere e trovare spazio nei mercati internazionali. È questo un passaggio affrontato dalle aziende italiane con modalità differenti, tra le quali vi è la partecipazione a un grande gruppo estero che ha acquisito nel tempo capitali finanziari e capacità imprenditoriali tali da possedere una buona distribuzione nei diversi Paesi del mondo. Nello scenario italiano vi sono imprenditori, come Versace o Luxottica, che confermano la volontà e l'impegno a mantenere proprietà e la gestione dell'azienda pur affrontando continui cambiamenti del mercato e le difficoltà del sistema produttivo italiano. La crisi economica è tale da mettere in pericolo anche le aziende più forti e rinomate, ma vi sono altre strade alternative oltre a quella della vendita a fronte di una buona offerta –:
   di quali informazioni, sui fatti sopra descritti, sia in possesso il Governo;
   quali iniziative, anche normative, intenda adottare al fine di tutelare le imprese italiane da acquisti speculativi di aziende straniere con la conseguenza di perdita di posti di lavoro, di personale specializzato e, inevitabilmente, di abbandono degli standard di qualità del prodotto;
   se non ritenga di individuare degli asset strategici industriali italiani da sviluppare ed investire.
(2-01572) «Fantinati, Vallascas, Cancelleri, Crippa, Da Villa, Della Valle, Corda, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, D'Incà, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l'industria aerospaziale riveste carattere strategico per le economie avanzate, in quanto generatrice di ricchezza e di alte tecnologie, con innumerevoli ricadute in settori direttamente o indirettamente connessi, quali i trasporti, la sicurezza nazionale, le telecomunicazioni, l'ambiente;
   i prodotti dell'industria aerospaziale sono di grande complessità, con cicli di ricerca, sviluppo ed industrializzazione che hanno un'estensione media di 30 anni nel settore civile e 50 anni nel militare;
   a fronte dell'incertezza registratasi nel comparto negli ultimi anni, la strategia messa in atto dal principale gruppo italiano, la Leonardo Finmeccanica, con la costituzione di tre distinti gruppi industriali (Leonardo-Divisione aerostrutture, Leonardo-Divisione velivoli e Leonardo-Divisione elicotteri) e di internalizzazione di diverse fasi produttive, sta determinando notevoli preoccupazioni nelle aree a maggiore vocazione aerospaziale come la Puglia e, in particolare, nel brindisino;
   i primi effetti negativi sul piano occupazionale di tali scelte organizzative si sono già registrati in molte imprese dell'indotto, ma anche negli impianti di Foggia e della divisione elicotteri di Brindisi; non sono da escludere, a breve, possibili perdite di posti di lavoro;
   tali timori appaiono rafforzati dalla constatazione che il gruppo Leonardo Fimeccanica, al netto degli stanziamenti appositamente finalizzati da parte delle istituzioni europee, nazionali e regionali, negli ultimi tre anni, ha costantemente ridotto i propri investimenti sul territorio pugliese, così come si registra un vistoso ridimensionamento di risorse e commesse per lo stabilimento elicotteristico di Brindisi, a tutto vantaggio degli impianti polacchi della controllata PZL;
   pur a fronte delle rassicurazioni rivolte alla regione Puglia da parte dell'amministratore delegato Moretti, secondo cui Leonardo-Finmeccanica continuerà ad investire nelle infrastrutture e nelle attrezzature funzionali alla prosecuzione dei programmi in corso e dei nuovi, con un volume di iniziative, tra il 2015 e il 2019, di circa 400 milioni di euro, prevalentemente nel sito di Grottaglie, oltre che di Foggia e Brindisi;
   le organizzazioni sindacali, così come le amministrazioni locali, infatti, continuano a denunciare la riduzione di commesse, la riduzione (o il mancato turn over) del numero dei dipendenti diretti e dell'indotto, quali gravi conseguenze in uno dei pochi settori industriali del Mezzogiorno e della Puglia ad alta componente tecnologica;
   ad oggi, nessuna misura di salvaguardia dei livelli occupazionali e tecnologici è stata essa in campo; e nel solo polo brindisino i posti di lavoro persi nell'indotto sono già 320 e ben 600 sono quelli a rischio;
   secondo l'ultimo report dell'Agenzia regionale per la tecnologia e l'innovazione (Arti) sull'industria aerospaziale pugliese, del gennaio 2015, su dati 2014, risultano operanti 38 imprese e 5.198 addetti, di cui rispettivamente 18 imprese e 2.419 addetti nella sola provincia di Brindisi;
   per assicurare la coordinata e razionale applicazione degli interventi per lo sviluppo e l'accrescimento di competitività delle industrie operanti nel settore aeronautico, ai sensi dell'articolo 2, della legge 24 dicembre 1985, n. 808, in data 16 maggio 2014, si è provveduto, per il triennio 2014-2016, alla ricostituzione del Comitato per lo sviluppo dell'industria aeronautica, la cui ultima riunione, a quanto risulta all'interpellante, sembra essersi tenuta nel luglio 2015 –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle circostanze sommariamente indicate in premessa ed, in particolare, quali siano le prospettive del settore aerospaziale italiano e dei suoi poli produttivi del Mezzogiorno, della Puglia ed, in particolar modo, di Brindisi;
   se il Governo non ritenga opportuno istituire un tavolo tecnico di confronto con le organizzazioni sindacali e le imprese del settore, in particolar modo il gruppo Leonardo Finmeccanica, e le amministrazioni locali, al fine di accertare la reale situazione del comparto nell'intera regione ed, in particolare, nella provincia di Brindisi, dove si registra la crisi più grave, al fine di scongiurare la perdita di posti di lavoro in un territorio già martoriato da alti tassi di disoccupazione e salvaguardare un comparto strategico per l'intero Mezzogiorno e per l'Italia.
(2-01571) «Mariano».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GAROFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati forniti dall'Euipo dimostrano come il nostro Paese, che costituisce un polo manifatturiero di eccellenza a livello mondiale, perda competitività ed occupati per la continua crescita del fenomeno legato alla contraffazione;
   il cosiddetto made in Italy, infatti, «perde» ogni anno circa 4,5 miliardi di euro nei settori di abbigliamento e calzature, 624 milioni di euro nella cosmetica, 520 milioni di euro sul fronte delle borse e delle valigie. Considerando poi la contraffazione alimentare, l'Italia subisce un danno enorme con una perdita economica pesantissima;
   questo fenomeno, che deriva dalla fabbricazione in Italia di prodotti contraffatti ma sempre più come assemblaggio di componenti contraffatte provenienti dall'estero, è diffuso su tutto il territorio del nostro Paese, con punte particolarmente elevate in Campania, Toscana, Lazio e Marche;
   la contraffazione causa danni ingenti sia alle aziende titolari dei diritti di proprietà industriale, sia ai lavoratori, perché toglie posti di lavoro e determina spesso lo sfruttamento del lavoro in nero, sia allo Stato per i danni erariali collegati all'evasione fiscale, sia ai consumatori, per i danni alla salute che prodotti confezionati con sostanze nocive spesso causano;
   tra l'altro, la contraffazione, oltre ad avere impatti negativi sotto il profilo macro e microeconomico, in quanto crea evidenti ostacoli allo sviluppo dell'economia italiana e alla crescita dell'occupazione, costituisce uno dei nuovi settori di attività illecite strettamente legati alla criminalità organizzata, sia internazionale che nazionale, che investe massicciamente in essa, attratta dai forti profitti e dai rischi limitati rispetto ad altri settori criminali, perché la consapevolezza presso l'opinione pubblica e le istituzioni della dannosità del fenomeno non è ancora adeguata; è quindi necessaria una ferma risposta sotto il profilo della prevenzione e della repressione;
   è, pertanto, necessario intervenire a livello interno ed europeo per sollecitare una risposta credibile e per affrontare il problema della contraffazione con la massima celerità, in modo da fornire adeguate risposte ai produttori ed ai consumatori, non tralasciando di intervenire anche attraverso azioni di educazione alla legalità, che deve partire dalla formazione dei giovani nelle scuole e dei consumatori –:
   quali iniziative intenda adottare, anche a livello europeo, per contrastare un fenomeno che colpisce in termini rilevanti l'Europa e, al suo interno, in maniera particolare il nostro Paese. (3-02683)


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi industriale che sta attraversando il sistema produttivo italiano rappresenta, senza alcun dubbio, quella più profonda che ha investito il nostro Paese dal dopoguerra ad oggi, coinvolgendo centinaia di aziende di tutti settori e dimensioni;
   sul tavolo del Ministero dello sviluppo economico sono aperte circa 150 vertenze che perdurano drammaticamente, risultano, ad oggi, in massima parte irrisolte e coinvolgono almeno 120.000 lavoratori, senza contare quelli dell'indotto per cui si arriva al coinvolgimento totale di circa 200.000 persone;
   secondo il terzo rapporto sulla gestione delle crisi aziendali dell'Ugv (Unità per gestione delle vertenze delle imprese in crisi) del Ministero dello sviluppo economico, a marzo del 2016 erano attivi 148 tavoli, che nel 2015 hanno viste coinvolte 151 società. Le regioni più interessate a questi confronti sono state Lombardia, Lazio, Veneto, Campania ed Emilia-Romagna. Sul sito del Ministero dello sviluppo economico la mappa dei tavoli è stata poi aggiornata a giugno 2016: 145 i tavoli aperti. Il settore maggiormente in crisi è quello dell'industria pesante, seguono quello delle telecomunicazioni, dell'elettronica e del tessile; ma anche l'agroalimentare, la chimica, la petrolchimica, l'edilizia e l'energia;
   esistono poi altre migliaia di posti a rischio in vertenze che non arrivano neanche ad esser trattate dal Ministero dello sviluppo economico, come quelle del settore tessile;
   tra le crisi industriali figurano, tra le altre, Almaviva di cui si è assistito recentissimamente al licenziamento di 1666 persone e alla chiusura della sede romana, ma anche Gepin e Uptime, Alcoa, Belleli ed ex area IES, le ex Acciaierie Lucchini, Mercatone Uno, il Gruppo Novelli, Selcom, Vesuvius, il sistema bancario, Italcementi, Irisbus di Avellino, per non parlare di Alitalia e Poste italiane s.p.a., di cui si è parlato molto sulla stampa nazionale in questi ultimi giorni;
   a ciò si aggiunga che dal 1o gennaio 2017, infatti, secondo quanto previsto dalla «legge Fornero» sul lavoro del 2012, l'indennità che spettava ai lavoratori licenziati da imprese industriali con più di 15 dipendenti o commerciali con più di 50 è abrogata. Dopo 25 anni dall'istituzione del sussidio, che in alcuni casi (mobilità lunga verso la pensione) poteva durare fino a 7 anni in caso di lavoratore anziano licenziato al Sud, l'unico assegno di disoccupazione resta la Naspi –:
   quali iniziative urgenti di politica industriale il Governo intenda assumere per far fronte a una situazione che rischia di sfociare in un vero e proprio collasso sociale, rischiando di andare ben oltre i 150 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello sviluppo economico. (3-02684)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il CIPE, nella seduta del 28 gennaio 2015, ha approvato il completamento del programma generale di metanizzazione del Mezzogiorno, che riguarda in particolare il territorio del Cilento in provincia di Salerno;
   tale programma è finanziato con una quota, pari a 140 milioni di euro, del Fondo Coesione e Sviluppo (FSC), destinata alla realizzazione delle reti urbane di distribuzione del gas ed assegnata con 20 milioni di euro annui per il periodo 2014-2020, ai sensi dell'articolo 1, comma 202 delle legge di stabilità per il 2014;
   ai Comuni ed ai loro consorzi sono erogati contributi in conto capitale sino ad un massimo del 54 per cento del costo complessivo dell'investimento previsto;
   è urgente e di vitale importanza, per lo sviluppo, la crescita e la vivibilità di quei territori, la rapida ed integrale realizzazione degli interventi e dei lavori previsti –:
   quale sia lo stato attuale ed aggiornato del programma di metanizzazione per il Cilento e la provincia di Salerno, con il quadro dettagliato e specifico dei finanziamenti, dei progetti e dei lavori in corso per i singoli comuni interessati. (5-10201)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-01249, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gregorio Fontana.

Apposizione di firma ad una mozione ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Rosato e altri n. 1-01456, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paola Boldrini, Bratti, Cenni, Lupi, Tancredi, Cinzia Maria Fontana, Donati, Parrini, Morani, Carrescia, Ascani.
  Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: «Rosato, Lupi, Pelillo, Tancredi, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Cenni, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Petrini, Pinna, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Paola Boldrini, Bratti, Cinzia Maria Fontana, Donati, Parrini, Morani, Carrescia, Ascani».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Russo e altri n. 7-01154, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Riccardo Gallo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cristian Iannuzzi n. 5-10070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Massimiliano Bernini.

  L'interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-15093, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marcon, Fratoianni, Palazzotto, Costantino.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rosato n. 1-01456, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 720 del 9 gennaio 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    la stabilità finanziaria, la solidità del sistema bancario e la piena tutela del risparmio sono condizioni essenziali affinché il sistema finanziario possa assolvere alla sua principale funzione: trasmettere credito a cittadini e imprese, sostenendo l'attività economica e l'occupazione;
    tuttavia, la vulnerabilità del sistema finanziario europeo, che deriva dallo stretto intreccio tra gli effetti prodotti dalla crisi iniziata nel 2007 in termini di aumento delle sofferenze per la crescita delle insolvenze e le difficoltà emerse nella gestione del debito pubblico di alcuni Paesi membri i cui titoli erano detenuti, per importi consistenti, dalle banche europee, hanno reso necessario rafforzare il sistema su due livelli: uno europeo, con la definizione di una disciplina comune in materia creditizia, e uno nazionale, attraverso la produzione normativa volta a definire un assetto più moderno e competitivo del settore bancario italiano;
    l'Unione europea ha anzitutto approvato una serie di interventi volti a definire una disciplina più rigorosa per quanto concerne i requisiti patrimoniali richiesti alle banche, in modo da garantirne la solvibilità, e ha gradualmente costruito l'architettura dell'Unione bancaria, realizzando un sistema unico di vigilanza, e un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e definendo i principi per un prossimo sistema europeo di garanzia di depositi;
    il nuovo sistema di vigilanza, seppure con alcuni aspetti problematici relativi alla compressione degli spazi di discrezionalità tecnica in capo alle autorità nazionali e dell'autonomia contrattuale delle banche, ha consentito l'armonizzazione dei criteri precedentemente rimessi alle singole autorità nazionali; per quanto concerne la risoluzione delle crisi bancarie, è stata definita una disciplina che possa contrastare gli effetti distorsivi legati a massicci salvataggi a carico dei bilanci pubblici, dapprima con la «Comunicazione» della Commissione europea del 2013, che ha disposto l'applicazione del regime di burden sharing e, nel 2014, con la Bank Recovery and Resolution Direttive (BRRD), a seguito del quale è entrato in vigore dal 1o gennaio 2016 il regime del bail in;
    è stato imposto che, in caso di crisi di una banca, l'intervento pubblico vada come precondizione necessaria il coinvolgimento degli investitori dell'istituto, con perdite su azioni e obbligazioni subordinate, e, dal 1o gennaio 2016, anche su obbligazioni ordinarie ed, eventualmente, sui depositi superiori a 100.000 euro, nel rispetto dell'ordine della gerarchia concorsuale, con una particolare tutela per i depositi delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese; al contempo, è stata prevista l'istituzione di un fondo unico finanziato con contributi a carico delle banche, risorse che, assieme a quelle pubbliche, svolgono un ruolo essenziale per la tutela del risparmio nella gestione delle procedure di risoluzione;
    tali regole di condivisione delle perdite, recepite a livello nazionale dai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015, sono quindi volte ad evitare la creazione di un circolo vizioso tra banche e settore pubblico, garantire un corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali e non far ricadere in modo eccessivo e incontrollato i costi delle crisi sui cittadini tutti;
    nell'ambito del regime di burden sharing e secondo le procedure di risoluzione definite dalla BRRD, il Governo italiano e la Banca d'Italia hanno proceduto nel novembre 2015 ad attuare gli interventi di risoluzione delle crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, così salvaguardando totalmente i depositi, l'occupazione delle banche e i crediti verso un numero molto elevato di imprese; a seguito di complesse interlocuzioni con le istituzioni europee, è stata inoltre trovata una via compatibile con la normativa vigente in materia di aiuti di Stato per assicurare una forma di tutela verso gli investitori in obbligazioni subordinate, attraverso l'istituzione di un fondo di solidarietà e la definizione di procedure di indennizzo, automatico e di natura arbitrale;
    la tutela degli investitori in obbligazioni subordinate è stata prevista per tenere conto del fatto che alcuni fra loro presentavano un profilo di investimento non compatibile con l'elevato livello di rischiosità dei titoli, che la vendita di tali prodotti a clienti non professionali fosse spesso stata effettuata in relazione ad altri servizi prestati dalle quattro banche agli stessi clienti, e quindi con il possibile condizionamento di questi ultimi all'acquisto, ma, in ultima istanza, per ottemperare al più generale principio della tutela del risparmio, che rappresenta una priorità fra i fattori strategici per lo sviluppo e la stabilità economica;
    la fiducia degli investitori, fortemente correlata con il grado di tutela del risparmio che caratterizza il sistema finanziario, costituisce l'essenza dell'attività bancaria; in caso di applicazione dei richiamati regimi di condivisione delle perdite e, in particolare, del bail in, risultano però alimentati i rischi di instabilità sistematica provocati dalla crisi di singole banche;
    appare dunque opportuno da un lato, nella gestione dei casi particolari, dare la priorità ad interventi con finalità precauzionali in fasi in cui si è ancora in grado di prevenire eventuali procedimenti di risoluzione; dall'altro, anche alla luce degli esiti delle procedure di risoluzione in corso (seppure con il precedente regime di burden sharing) favorire la più efficace revisione della direttiva 2014/59/UE, ipotesi contemplata dalla medesima direttiva, da avviare entro giugno 2018, e che sarà l'occasione per migliorare il meccanismo vigente e per armonizzare le discipline dei diversi Stati membri;
    ancor più in generale, la realizzazione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo al sistema unico di assicurazione dei depositi presso tutte le banche dei paesi coinvolti, che sta scontando alcune difficoltà legate alla perplessità di fronte alla prospettiva di mutualizzazione del rischio da parte di alcuni Stati membri, i quali temono che i propri sistemi bancari siano chiamati a finanziare interventi a favore di depositanti di altri Paesi per l'insolvenza di banche straniere, risulta più che mai un passaggio necessario per rinforzare, a livello europeo, il grado di tutela del risparmio;
    a livello nazionale, nel corso della presente legislatura, è stato portato avanti un ampio e unitario disegno di ristrutturazione del sistema, comprensivo di riforme attese da lungo tempo e necessarie per consentire alle banche di rafforzarsi e rispettare gli elevati requisiti patrimoniali derivanti dalla disciplina europea fra cui la trasformazione delle maggiori banche popolari in società per azioni, l'autoriforma delle fondazioni di origine bancaria, la semplificazione e la riduzione dei tempi delle procedure di insolvenza e di recupero dei crediti, la riforma delle banche di credito cooperativo, l'allineamento agli standard europei delle regole fiscali applicabili alla svalutazione dei crediti nei bilanci delle banche, l'introduzione di un sistema di garanzie pubbliche per la dismissione e cartolarizzazione delle sofferenze bancarie;
    tali misure, molte delle quali ad oggi in fase di attuazione, stanno contribuendo a rafforzare il sistema bancario nazionale, benché l'elevata consistenza dei crediti in sofferenza e le ricadute dell'introduzione delle richiamate normative europee in tema di risoluzione delle istituzioni finanziarie rendano necessario accrescerne la resilienza, rispettivamente, effettiva e percepita;
    le Camere hanno autorizzato lo scorso 21 dicembre, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, il Governo a emettere titoli del debito pubblico, fino a un massimo di 20 miliardi di euro per l'anno 2017, allo scopo precauzionale di ripatrimonializzare, ove necessario, istituti che, diversamente da quelli sottoposti al burden sharing tra il 2015 e 2016, non presentano problemi di solvibilità, ma che non hanno superato i test di resistenza a ipotetici scenari avversi operati sulla base dell'attuale assetto della vigilanza prudenziale dell'Unione europea, anche al fine di rafforzare il grado di fiducia degli operatori dell'intero sistema bancario;
    è all'esame del Senato il disegno di legge di conversione del decreto legge 23 dicembre 2016, n. 237, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, che dispone la creazione di un fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro, al quale il Governo potrà attingere per i singoli interventi sul capitale e sulla liquidità degli istituti bancari;
    le misure, in conformità al quadro normativo europeo sulla gestione delle crisi e sugli aiuti di Stato, non comportano l'avvio di alcuna procedura di risoluzione, né l'applicazione delle disposizioni sul bail-in;
    l'intervento pubblico non prevede, infatti, alcun azzeramento del valore nominale degli strumenti finanziari posseduti dagli investitori: comporta la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni della banca, consentendo altresì che lo Stato possa offrire obbligazioni non subordinate di nuova emissione in cambio delle azioni frutto della conversione, con una procedura di compensazione orientata alla massima tutela dei risparmiatori,

impegna il Governo:

1) per quanto concerne la disciplina europea e la tutela del risparmio:
   a) ad assumere iniziative per garantire la massima tutela dei risparmiatori, in ogni ambito, anche rafforzando, con il coinvolgimento delle autorità nazionali di vigilanza, la prevenzione e il contrasto delle condotte scorrette da parte degli amministratori degli istituti bancari nazionali, rinforzando i presidi normativi e regolamentari e l'incisività dei controlli, nonché favorendo la corretta applicazione delle regole finalizzate a impedire il collocamento degli strumenti più rischiosi presso clienti al dettaglio non in grado di comprenderne l'effettivo rischio, e al contempo di meccanismi finalizzati ad assicurare una piena e consapevole informazione dei risparmiatori;
   b) a promuovere nelle sedi europee la revisione della direttiva 2014/59/UE in base a quanto previsto dall'articolo 129 della medesima, al fine di apportare, entro il 1o giugno 2018, le opportune modifiche al regime del bail in;
   c) a sostenere nelle sedi negoziali europee la più rapida introduzione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo alla tutela dei depositi, nel rispetto di un principio di equilibrio fra i Paesi membri tra la condivisione del rischio e la sua riduzione;
   d) a proseguire nell'azione negoziale volta ad ampliare gli spazi di compatibilità con la disciplina europea degli aiuti di Stato, in particolare relativi alle vie alternative alle procedure di risoluzione attraverso l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi in caso di istituti in crisi;
   e) a promuovere la diffusione dell'educazione finanziaria per aumentare la consapevolezza da parte dei cittadini degli strumenti e dei servizi finanziari e la capacità di misurazione dei profili di rischio e di rendimento associati con diverse tipologie di prodotti offerti;

2) relativamente al sostegno del sistema bancario nazionale:
   a) a garantire il più alto grado di tutela dei risparmiatori coinvolti in procedimenti di ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, attraverso procedure chiare e trasparenti e offrendo il massimo sostegno nella comprensione delle stesse;
   b) ad assumere iniziative per assicurare un adeguato livello di liquidità del sistema bancario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine, anche prevedendo la concessione delle garanzie dello Stato su passività delle banche italiane;
   c) a mettere in atto un programma di rafforzamento patrimoniale delle banche italiane mediante interventi per la ricapitalizzazione, che prevedano anche la sottoscrizione di nuove azioni, allo scopo precauzionale di ripatrimonializzare gli istituti in difficoltà e di garantire l'adeguato accesso alla liquidità in caso di tensioni;
   d) a discutere ed approvare le misure di intervento nel quadro della massima condivisione con il Parlamento.

  Impegna se stessa e i propri organi, per quanto di sua competenza, ad adottare ogni iniziativa utile volta ad addivenire all'istituzione di una Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta in merito al funzionamento del sistema bancario italiano e ai casi di crisi finanziaria che hanno coinvolto alcuni istituti negli ultimi anni, con particolare riguardo all'individuazione delle eventuali responsabilità degli amministratori, al corretto ed efficace esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo, nonché all'analisi delle insolvenze che hanno contribuito a determinare tali crisi.
(1-01456)
(Nuova formulazione) «Rosato, Lupi, Pelillo, Tancredi, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Cenni, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Petrini, Pinna, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Paola Boldrini, Bratti, Cinzia Maria Fontana, Donati, Parrini, Morani, Carrescia, Ascani».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Paglia n. 1-01457, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 720 del 9 gennaio 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    a dispetto delle dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze professor Padoan sulle presunte capacità di resilienza del sistema bancario italiano, il perdurante stato comatoso in cui versano i principali istituti di credito italiani che non accenna a placarsi preoccupa non solo gli italiani ma anche gli osservatori di oltre confine per i quali, stante il rischio altissimo di un avvitamento sistemico, rappresenterebbe una minaccia finanziaria potenzialmente persino più pericolosa della cosiddetta Brexit;
    la genesi della situazione ha radici lontane che affondano nella crisi finanziaria dei mutui subprime propagatasi dagli Stati Uniti a partire dal 2006 e che ha travolto numerosi istituti di credito europei salvati a loro volta dall'intervento pubblico;
    il problema principale che da anni affligge il sistema bancario italiano, emerso con sempre più chiarezza anche grazie alle ispezioni ed agli stress test imposti dalla BCE, è rappresentato da quella imponente massa di crediti deteriorati o incagliati (cosiddetti NPL) detenuta dalle banche italiane, che pesando sui loro bilanci rende difficile l'erogazione di nuovi prestiti e quindi il finanziamento dell'economia reale;
    secondo i dati riportati da una recente analisi e che rappresentano quanto la dimensione macroscopica del fenomeno sia strutturalmente più grave in Italia rispetto al resto d'Europa, sul totale dei 1.014 miliardi di euro di crediti contabilizzati e detenuti nell'aprile del 2016 da tutte le banche dell'Eurozona, circa 324 risultavano «ad appannaggio» del sistema bancario italiano, contro i 68 di quello tedesco ed i 150 dei sistemi bancari francese e spagnolo;
    nonostante il suddetto contesto preconizzasse il rischio di una crisi sistemica del settore, il Governo pro tempore, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ne ha colpevolmente ed irresponsabilmente sottovalutato la portata, gestendola con logica emergenziale, come, ad esempio, per fronteggiare il default di quattro istituti di credito (Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio di Chieti) per il quale ha forzatamente ed a mezzo di decreto-legge anticipato nel nostro Paese l'entrata in vigore del nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie (cosiddetto bail-in). Stessa logica ha seguito per riaccendere l'interesse ad investire nelle attività deterioriate delle banche italiane, deliberando una serie di misure urgenti per ridurre i tempi di recupero dei crediti;
    invero il Governo pro tempore negli ultimi tre anni ha disposto una serie di interventi presentandoli come una riforma complessiva e organica del settore, che sostanzialmente hanno lasciata invariata l'incidenza dei NPL sui bilanci delle banche italiane ed alterato significativamente, compromettendolo, il quadro di tutele giuridiche e costituzionali di riferimento, con immaginabili e deleterie ricadute per i risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema;
    con un primo provvedimento, il decreto-legge n. 3 del 2015, il Governo pro tempore, con il dichiarato obiettivo di voler «rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo e garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti», ha in realtà inteso avviare una inopportuna quanto pervasiva riforma dell'assetto normativo delle banche popolari, sulla scia, delle numerose sollecitazioni pervenutegli dal Fondo monetario internazionale, dalla Commissione europea e dalla Banca d'Italia, che lo invitavano ad intervenire con urgenza sulla struttura cooperativistica delle banche popolari maggiori, rea di determinare rischi per la loro sussistenza sul mercato, disvelando in tal modo da un lato una totale subalternità rispetto alle istituzioni europee ed ai dettami dei mercati finanziari speculativi, e dall'altro la volontà di voler definitivamente spianare la strada ad una fase di fusioni ed acquisizioni bancarie;
    con un secondo provvedimento, il decreto-legge n. 18 del 2016, il Governo pro tempore, nel duplice tentativo di fronteggiare il fenomeno del graduale deterioramento dei crediti concessi negli anni dalle banche di credito cooperativo a sostegno dell'economia reale dei loro territori e di adeguarsi ad una evoluzione normativa prudenziale ed alla contestuale nascita dei meccanismi europei di vigilanza e di risoluzione delle crisi bancarie che nel frattempo andavano accrescendo, a loro volta, l'importanza del capitale come primo presidio di stabilità delle banche, ha introdotto nel sistema giuridico alcune previsioni (prima fra tutte la clausola di non adesione cosiddetta way out, che consente ad una banca di credito cooperativo, a fronte di una dote patrimoniale superiore a 200 milioni di euro di capitale, di sottrarsi all'egemonia di una holding), che rischiano, nella realtà di snaturare quegli stessi meccanismi posti fino ad oggi a presidio della mutualità. A tal proposito il gruppo Sinistra Italiana-SEL, presentando il 23 febbraio 2016 in Aula la questione pregiudiziale, è stato il primo a denunciare e disvelare in Parlamento come dietro il tentativo del Governo di voler riformare la governance delle banche di credito cooperativo, attraverso un differente sistema interno di allocazione delle risorse o di tempestivo reperimento di capitale in caso di tensioni patrimoniali, si celasse il pericolo di minare quella tutela costituzionale della funzione sociale della cooperazione statuita dall'articolo 45 della Costituzione, aprendo un irreparabile vulnus capace di intaccare l'intero sistema cooperativo italiano;
    con un terzo provvedimento, il decreto-legge n. 59 del 2016, sono state introdotte misure che al fine di accelerare il recupero dei crediti e ridurre i tempi delle procedure esecutive, di fatto finiscono con il penalizzare il debitore, aggravando la sua posizione di contraente debole rispetto agli istituti di credito: la previsione di cui all'articolo 1 ha introdotto nell'ordinamento giuridico un nuovo strumento di garanzia dei crediti delle banche, attraverso la costituzione del pegno non possessorio sui beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa, che se da una parte consente un impiego produttivo del bene e quindi favorisce la continuità produttiva, dall'altra, potrebbe indurre la banca ad ingiustificate e continue richieste di adeguamento delle garanzie sui finanziamenti già in essere e per linee di credito anche a breve termine per il finanziamento del capitale circolante, mettendo così a rischio il ragionevole affidamento e la garanzia della certezza di diritti anche acquisiti ed innescando un circolo vizioso che finirebbe col rendere inefficace lo stesso nuovo istituto, quale acceleratore di sviluppo economico in tutti i casi in cui lo stesso non fosse finalizzato al finanziamento degli investimenti produttivi. Altrettanto penalizzante è la previsione di cui all'articolo 2 del medesimo decreto-legge che, al fine di assicurare alle banche e agli altri soggetti autorizzati a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico, strumenti particolarmente incisivi a tutela delle loro posizioni creditorie, consente, in caso di inadempimento, ovvero quando il mancato rimborso del finanziamento si protrae per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, in caso di rimborso mensile, (elevati a dodici nel caso in cui il debitore abbia già rimborsato almeno l'85 per cento del finanziamento), il trasferimento alla banca della proprietà di un bene immobile dell'imprenditore o di un terzo, per effetto del cosiddetto patto marciano, uno strumento particolarmente incisivo ed incompatibile con un'adeguata tutela delle ragioni della parte contraente più debole;
    diversamente dall'attivazione di procedure, come quelle introdotte dal suddetto decreto-legge, che possono mettere in pericolo il patrimonio e la continuità aziendale e quindi l'esistenza stessa dell'impresa, con conseguente perdita di posti di lavoro, per ricostruire un tessuto produttivo indebolito e sfiancato, occorrerebbe aiutare quegli imprenditori che quotidianamente, pur nella difficoltà, continuano a svolgere la propria attività nel rispetto delle regole, coinvolgendo il sistema bancario in una forte azione di supporto all'economia reale;
    a fronte di una massa indistinta di crediti deteriorati che rischiano di far collassare il sistema creditizio italiano, di contro sul mercato immobiliare si registra l'esclusione di quote crescenti della popolazione dall'accessibilità alle locazioni o all'acquisto della prima casa, in un quadro che vede l'assoluta inefficienza delle politiche abitative pubbliche e l'insufficienza dell'offerta di patrimonio residenziale pubblico. L'istituzione presso la Cassa depositi e prestiti di un apposito fondo destinato ad acquisire dal sistema bancario i crediti immobiliari, assistiti da ipoteca di primo grado, in sofferenza, fino a un valore massimo del 50 per cento del valore residuo iscritto a bilancio, contribuirebbe, da una parte a liberare il sistema bancario da una quota cospicua di crediti in sofferenza e, dall'altra, ad aumentare a favore dei ceti meno abbienti l'offerta residenziale pubblica. È del tutto evidente l'interesse pubblico all'operazione, che potrebbe risolversi nell'acquisizione, a fini sociali, di immobili residenziali ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato, o, in caso di rispetto del piano di ammortamento, in una significativa plusvalenza, mentre l'interesse del sistema bancario a partecipare all'operazione potrebbe ravvisarsi nella necessità di liberarsi di una buona quota di crediti in sofferenza;
    l'oramai nota vicenda del dissesto e del successivo tentativo di salvataggio della Cassa di risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti si è avvitata su se stessa, in una girandola di accuse e scarico di responsabilità, svelando un quadro a tinte fosche dal quale sembrerebbe emerso un confine poco definito tra la responsabilità di chi non ha debitamente informato la clientela sui rischi a cui andava incontro e quella di chi, invece, avrebbe dovuto e potuto, per dovere istituzionale, evitare ed impedire, attraverso la propria vigilanza, il tracollo finanziario delle stesse, e disvelare il groviglio di connivenze e di conflitto di interessi che caratterizzava la loro gestione. I quattro istituti, infatti, pur essendo particolarmente radicati nel territorio ove operavano quali motori dell'economia locale, avevano iniziato a manifestare problemi di solvibilità già da diversi anni, divenendo così l'obiettivo di frequenti ispezioni da parte della Banca d'Italia e subendo fasi di commissariamento fino a raggiungere l'attuale configurazione di good bank. La problematicità di questa situazione nasce in tempi lontani ma, secondo i particolari che si vanno di giorno in giorno disvelando, poteva essere dominata o fortemente ridimensionata da un'adeguata azione di vigilanza da parte delle autorità di controllo all'uopo preposte;
    la vigilanza sul sistema bancario si sostanzia oggi nell'emanazione di regole prudenziali e di criteri di affidabilità e correttezza delle gestioni, in linea con le disposizioni dell'Unione europea e con le indicazioni elaborate in altre sedi internazionali, nell'esercizio di poteri autorizzativi concernenti le vicende e i momenti fondamentali della vita delle banche (costituzione, fusioni, e altro), nella verifica della qualità della loro gestione, negli interventi sulle situazioni aziendali per impedire il deteriorarsi dei profili tecnici, nella gestione delle crisi in caso di situazioni di patologia conclamata, nell'interazione con gli esponenti aziendali, e più in generale, con i destinatari delle norme attraverso il ricorso alla consultazione pubblica e a forme di dialogo prima della definizione degli atti normativi. Difficile è, pertanto, immaginare che non si sarebbe potuto riparare all'irreparabile;
    le tragedie personali (come i suicidi che ne sono derivati) hanno sempre un forte peso mediatico che spesso esula dalla realtà oggettiva dei fatti, realtà dietro la quale, escluse presunte azioni di circonvenzione da parte di promotori finanziari, spesso si nascondono la scarsa trasparenza degli istituti bancari e la poca consapevolezza del reale rischio da parte dei risparmiatori; una variabile, quest'ultima, che pur avendo una sua importanza, non può essere giustificata aprioristicamente. I disastri finanziari della società Lehman Brothers, dei titoli di Stato argentini e delle società Cirio e Parmalat insegnano che si tratta di uno scenario tristemente ricorrente, che, purtroppo, finisce col penalizzare quasi sempre l'inconsapevole ignoranza dei cittadini;
    l'organizzazione attuale del lavoro nelle imprese bancarie e assicurative continua ad apparire finalizzata a esercitare pressione sul lavoratore per la vendita di prodotti, polizze, certificati di investimento e qualunque altra invenzione finanziaria altamente rischiosa, anche a clienti con un profilo di rischio non adeguato;
    nei fatti, le banche continuano ad agire seguendo strategie improntate alla centralità del profitto, anche se proclamano la centralità del cliente quale elemento fondante ed essenziale, mentre andrebbe rispettato il dettato costituzionale che tutela il risparmio, il mercato e i diritti dei lavoratori;
    un perverso intreccio di inchieste giudiziarie, perdite camuffate con abili operazioni finanziarie, operazioni di acquisizione azzardate e rapporti poco trasparenti con il mondo politico, ha anche contaminato, mettendolo in crisi, il Monte dei Paschi di Siena, il cui tracollo sfiora il 60 per cento del suo valore azionario, con il risultato che, oggi, la capitalizzazione al valore di mercato dell'istituto sfiora il miliardo di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a circa dieci miliardi di euro e di sofferenze nette, ossia di crediti deteriorati che non riuscirà a recuperare, pari a ventiquattro miliardi di euro;
    a queste cifre si è giunti dopo che la parte peggiore delle suddette sofferenze, che hanno un valore nominale di 27 miliardi di euro (su un totale crediti deteriorati di 47 miliardi), è già stata svalutata per 17 miliardi, portando così il residuo valore netto di bilancio a 10 miliardi di euro; valore su cui si è inevitabilmente concentrato lo scetticismo dei mercati che ha poi portato al fallimento della soluzione di mercato tentata in extremis a fine anno 2016 e che ha determinato il Ministero dell'economia ad intervenire attraverso una ricapitalizzazione precauzionale con un sostegno finanziario straordinario pari a 8,8 miliardi di euro, importo necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che ne è derivato dallo scenario avverso della prova di stress-test resa pubblica nel luglio 2016 dall'Autorità bancaria europea (EBA);
   sarebbe a questo punto opportuno a parere dei firmatari del presente atto ravvisare come soluzione il ricorso ad un processo di nazionalizzazione del Monte dei Paschi di Siena e di trasformazione in banca pubblica, finalizzato al rilancio del credito per gli investimenti, nonché l'estensione agli obbligazionisti del Monte dei Paschi del trattamento già previsto riservato dalla normativa agli obbligazionisti di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti;
    a partire dagli anni ottanta si è assistito ad una costante deregolamentazione del sistema bancario che, iniziata negli Stati Uniti, ha finito con il contaminare l'intero settore creditizio europeo e che ha portato all'unificazione dei due tipi d'istituto di credito operanti allora, le banche commerciali, che fino a quel momento gestivano il risparmio ed erogavano i crediti ipotecari e le banche d'investimento, che si occupavano esclusivamente di investire in borsa il denaro affidatogli dai propri clienti, sull'assunto che un minor numero di regole avrebbe portato ad una maggiore concorrenza, ad una maggiore efficienza e quindi ad un contenimento dei costi. L'unificazione dei due tipi d'istituto ha però progressivamente permesso alla finanza di poter operare con somme sempre più consistenti, perché derivanti dalla fusione, perseguendo di fatto – esponendosi a grandi rischi e a tutto discapito della tutela del risparmio – il solo profitto finanziario;
    la suddetta commistione dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale con quella delle banche d'affari e del trading speculativo, avendo determinato una finanziarizzazione sempre più spinta dell'economia, ha indubbiamente contribuito in maniera significativa allo sviluppo della cosiddetta «stagnazione secolare» e della crisi del settore bancario;
    sarebbe pertanto auspicabile un ritorno alla separazione tra i due tipi di banche da cui discenderebbero, tra l'altro, un aumento della «biodiversità» e la resilienza dei sistemi finanziari: secondo una vasta letteratura condivisa dalle autorità di regolamentazione, i sistemi finanziari, proprio come gli ecosistemi, sono più resilienti quanto più abitati da operatori con caratteristiche diverse (banche d'affari, banche commerciali, banche cooperative o rurali, banche etiche);
    tra le ragioni che hanno determinato l'intera situazione occorre chiamare in causa anche la normativa sui salvataggi bancari e cioè la direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), il cui recepimento nell'ordinamento giuridico italiano è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015, che fa parte dell'ampio complesso normativo che regola la Banking Union e si inscrive nell'ambito di un profondo ripensamento dell'assetto regolamentare del sistema finanziario volto ad orientare la vigilanza verso obiettivi macro-prudenziali di gestione del rischio sistemico, attraverso l'introduzione di un regime armonizzato per la gestione delle crisi bancarie finalizzato al tempestivo fronteggiamento dei dissesti, al fine di garantire la continuità delle funzioni essenziali degli istituti di credito e delle imprese d'investimento;
    la direttiva, spezzando quel legame intercorso fino ad oggi fra rischio bancario e rischio sovrano e riallocando i rischi dal settore pubblico al settore privato, stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2016, gli Stati membri possano ricapitalizzare una banca in crisi solo previa condivisione dei relativi oneri da parte degli azionisti, degli obbligazionisti, nonché dei titolari di depositi non protetti dal vigente sistema di garanzia, e quindi di importo superiore a 100.000 euro (cosiddetto bail-in, dall'inglese «cauzione interna»). Da ciò ne deriva l'esigenza di assicurare il contemperamento tra l'esigenza di stabilità del sistema creditizio e la doverosa tutela del risparmio; secondo una gerarchia prestabilita si procede, nei riguardi degli azionisti e dei possessori di obbligazioni emesse dalla banca, con la riduzione del valore delle loro azioni od obbligazioni, correlata con l'azzeramento del capitale e, successivamente, con la conversione delle stesse in nuove azioni, che, dopo aver assorbito le perdite, dovrebbero assicurare un'adeguata ricapitalizzazione dell'istituto in crisi che sia sufficiente a mantenere la fiducia del mercato e quindi a far riprendere la sua attività. In caso di insufficienza delle predette operazioni, si fa ricorso ai depositi di importo superiore a 100.000 euro, destinando gli importi eccedenti tale limite all'assorbimento delle perdite residue e quindi al capitale (ora costituito da vecchi e nuovi azionisti), dopo aver spossessato i titolari dei depositi;
    invero, risulta per i presentatori del presente atto poco ragionevole e di dubbia legittimità costituzionale l'applicazione retroattiva di misure in peius per i clienti ed i risparmiatori della banca (peraltro gli stessi soggetti sui quali si fondano i presupposti di prosperità economica del nostro Paese ed i cui risparmi costituiscono la principale provvista del sistema creditizio), i quali dovranno farsi carico di passività emesse antecedentemente rispetto al momento in cui hanno maturato il proprio risparmio ovvero abbiano sottoscritto strumenti finanziari, utilizzati dal nuovo sistema per gestire e risolvere le crisi. Di contro, per il principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle cosiddette preleggi, una nuova legge non può modificare quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente; essa è ammessa dall'impianto costituzionale italiano solo in campo penale e solo se introduce un favor rei (ossia un vantaggio per il colpevole);
    il coinvolgimento nelle crisi bancarie di obbligazionisti e depositanti presuppone, inoltre, che gli stessi possiedano una cultura finanziaria in grado di comprendere appieno l'affidabilità di una banca, la sua solidità, il reale livello di rischio dei titoli che emette, tutti presupposti che dovrebbero assicurare loro di poter disporre sempre e comunque del denaro che le affidano;
    di più; l'origine di questa soluzione di salvataggio, sorta in ambiti e circostanze distanti dalle realtà bancarie, finanziarie e giuridiche dei singoli Stati e risultato di una costante pressione esercitata a livello legislativo dalle istituzioni comunitarie e che tende alla costruzione di un corpus iuris europeo, costituisce l'ennesimo esempio di come, in questi anni, numerose fattispecie e configurazioni astratte abbiano assunto una fattispecie regolamentare vincolante per i Paesi membri che spesso genera non pochi e prevedibili conflitti normativi tra le norme comunitarie ed i principi costituzionali degli ordinamenti giuridici «domestici»;
    con riferimento ai suddetti decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015, si appalesano ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo aspetti più che sufficienti per ipotizzare, come peraltro evidenziato sin dalla loro entrata in vigore dalle censure di esimi giuristi, magistrati e perfino della stessa Abi, la violazione di alcune disposizioni costituzionali, prima fra tutte l'articolo 47, laddove si affida alla Repubblica l'incoraggiamento e la tutela del risparmio in tutte le sue forme e la disciplina, il coordinamento ed il controllo dell'esercizio del credito. È infatti più che manifesta l'incostituzionalità di una norma che imponendo, ai possessori di azioni o di obbligazioni non rischiose, la conversione forzosa in azioni di minor valore ed un prelievo forzoso senza contropartita a tutti i titolari di conti di deposito che superano l'importo di 100.000 euro (limite, peraltro, riducibile dal legislatore comunitario), di fatto non incoraggia, né tutela il risparmio;
    così come è palese a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo che la norma a carico dei depositanti viola anche l'articolo 3 della Costituzione, poiché riserva a questi una disparità di trattamento rispetto agli azionisti ed agli obbligazionisti, ai quali, sia pure in perdita, viene riconosciuta una contropartita;
    altrettanto può dirsi con riferimento al vero e proprio esproprio in danno dei risparmiatori, senza che venga garantita una qualche forma di indennizzo futuro e senza che esso sia motivato da un interesse generale, quanto piuttosto dal dichiarato fine di soccorrere specifici soggetti privati (le banche), e per questo a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo in stridente contrasto con l'articolo 42 della Costituzione, in base al quale la proprietà privata può essere espropriata salvo indennizzo e solo per motivi di interesse generale;
    la disciplina del bail-in interviene direttamente nei rapporti fra privati (banche e risparmiatori) prevedendo modifiche in corsa delle condizioni contrattuali ed economiche alle quali sono stati sottoscritti i prodotti di investimento e di risparmio. Anche in questo caso risalta l'incompatibilità con un altro principio costituzionale, quello di cui all'articolo 41, che riconosce e protegge la libertà di iniziativa economica privata;
    l'articolo 17 del decreto legislativo n. 180 del 16 novembre 2015 stabilisce la possibilità di «ridurre o convertire» i diritti soggettivi in specie degli obbligazionisti e dei depositanti a fronte di un semplice «rischio» di dissesto di una banca, la cui sussistenza può essere rimandata ad una valutazione dell'autorità competente alla quale viene riconosciuto un arbitrario ed eccessivo margine di discrezionalità. Infatti, lo stesso articolo, al comma 2, lettera e), stabilisce che il rischio di dissesto può essere dedotto da «elementi oggettivi» che «indicherebbero» la possibilità del verificarsi di alcune situazioni, le quali, a loro volta, manifesterebbero un rischio di dissesto. Ciò dimostra che l'affermazione a difesa del meccanismo, per cui in caso di dissesto obbligazionisti e depositanti avrebbero perso comunque i propri diritti, non ha valore giuridico: non è infatti il dissesto, ma il semplice «rischio» di dissesto a determinare l'attivazione di una procedura che, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, viola la garanzia costituzionale del citato diritto di proprietà, entro cui, come insegna un consolidato indirizzo costituzionale, si riassume l'insieme dei diritti patrimoniali imputabili ad un soggetto privato;
    a pochi giorni dalla loro pubblicazione il 9 dicembre 2015, il dottor Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, nel corso di un'audizione parlamentare, affermava che il bail-in avrebbe potuto aumentare i rischi sistemici, minando la fiducia alla base dell'attività bancaria, trattandosi in realtà, come lo stesso lo ha definito, di «un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti ad una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela dei piccoli risparmiatori, pensionati ed altri – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche». Lo stesso Barbagallo ha poi rivelato come anche la Banca d'Italia avesse chiesto, in sede di trattativa europea sulla direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), che fossero introdotte due condizioni, poi non accolte dal Governo in sede di emanazione dei relativi decreti attuativi, riguardanti:
     a) «un approccio alternativo al bail-in, in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione»;
     b) il rinvio dell'applicazione del bail-in al 2018, «così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro, quindi con maggiore consapevolezza dei nuovi rischi assunti»;
    simili considerazioni erano, quindi, già in possesso del Governo pro tempore che, in maniera frettolosa ed avventata, ha comunque deciso di procedere con l'emanazione del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi recepito dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 842 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208), con cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario e contestualmente recepite con il suddetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
    analoghe riserve venivano manifestate qualche giorno più tardi, nel mese di gennaio 2016, dal Governatore della Banca d'Italia, dottor Ignazio Visco, che nel corso di un intervento tenuto al congresso del Forex di Torino, ha precisato di aver chiesto invano al Governo, in sede di definizione della norma, di non applicarla retroattivamente ma solo dopo un «passaggio graduale e meno traumatico» e nello stesso contesto ha poi lanciato un appello ai rappresentanti italiani affinché sollecitino in sede europea l'opportunità di avvalersi con largo anticipo della clausola contenuta nella stessa direttiva all'articolo 129, che ne prevede la rivedibilità entro giugno del 2018 (senza, peraltro, escluderla anche prima di tale termine), perché preoccupato da un'applicazione immediata e retroattiva dei meccanismi di salvataggio che avrebbe potuto comportare, oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia, anche rischi per la stabilità finanziaria, anche in relazione al trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritto anni addietro;
    pur se il processo di adeguamento del diritto italiano alle norme comunitarie, caratterizzato dalla continua ricerca di un equilibrio dinamico, è inevitabile, anche alla luce del combinato disposto degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questo non può esimersi da una necessaria ed efficace valutazione delle stesse norme rispetto a quei principi fondanti su cui si è modellato per oltre sessant'anni l'ordinamento giuridico del nostro Paese. Pertanto, se l'adattamento del diritto interno alle previsioni comunitarie appare, sulla base di cessioni di sovranità, un fenomeno difficilmente eludibile, è anche vero che tale processo di transfer normativo merita di essere sempre valutato alla luce e sulla base dei richiamati principi;
    le normative europee ed internazionali devono essere sempre e comunque compatibili con i principi costituzionali, nonché con tutte le altre norme che di detti principi costituiscono diretta promanazione, principi fondamentali che, tra l'altro, rappresentando indiscutibilmente gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale, in quanto tali, si sottraggono a qualsiasi revisione. Tale limite è stato più volte ribadito dalla Corte costituzionale che a più riprese (si confronti la sentenza n. 238 del 2014) ha sancito che i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite esplicito ed implicito all'ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l'ordinamento giuridico italiano si conforma ex articolo 10, primo comma, della Costituzione (si confrontino ex multis le sentenze della Corte costituzionale n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001), operando, addirittura, quali controlimiti all'ingresso delle norme dell'Unione europea (si confrontino ex plurimis le sentenze della Corte costituzionale n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991 e n. 284 del 2007);
    ad abundantiam si può sottolineare che la normativa del salvataggio interno di cui alla direttiva, oltre che a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo costituzionalmente illegittima, per quanto sin qui evidenziato, appare altresì in contrasto con l'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sostanzialmente replica quanto previsto in tema di diritto di proprietà dal sopra citato articolo 42 della Costituzione italiana, con l'articolo 1 del protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che ha vincolato il legislatore italiano ad ampliare in maniera esponenziale e significativa il livello di tutela del diritto di proprietà assicurando, nella materia ablativa, al soggetto inciso che l'indennizzo riconosciuto dall'ordinamento interno non vada a sostanziarsi come meramente figurativo, bensì quale ineludibile paradigma di riferimento per il sacrificio imposto e, pertanto, ragguagliato al valore venale di mercato, ed infine con l'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea laddove dispone che: «I Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri»;
    da tutto ciò ne deriva che qualsiasi intervento normativo o amministrativo, che miri a degradare un diritto soggettivo ad un mero interesse legittimo, trova sempre un limite invalicabile nei principi fondamentali della Costituzione e in quelli dell'Unione europea, nonché dei trattati internazionali, come la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    giova in conclusione riportare le eloquenti parole del dottor Claudio De Rose, presidente onorario e procuratore generale emerito della Corte dei conti, per il quale «è sicuramente errato e sommamente ingiusto lasciare ora il sistema bancario nel suo complesso del tutto immune da obblighi od oneri nei riguardi delle singole banche e soprattutto nei riguardi di chi, come ad esempio i depositanti, non hanno alcuna colpa di quanto accaduto ed hanno avuto solo la sfortuna di avere aperto un conto corrente presso una banca, più sregolata o meno scaltra di altre, oppure meno protetta dal sistema»;
    dopo quanto premesso è lecito domandarsi a quali condizioni sia legittimo scaricare il soddisfacimento di un interesse riconducibile ad una tipologia d'impresa, pur se funzionale all'economia, su inconsapevoli correntisti che in forza del bail-in si vedono trattati come investitori chiamati a partecipare al rischio d'impresa di una banca a cui hanno avuto la sfortuna di affidare i loro risparmi;
    quello che appare un così stridente e profondo vulnus alla Costituzione dovrebbe indurre il Governo a proporre in sede europea l'anticipata revisione della direttiva unita ad una profonda riforma del sistema bancario che lo riconduca alla sua originaria e preminente funzione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali;
    al fine di rafforzare ulteriormente il sistema dei presidi a fronte dei rischi bancari, le autorità internazionali di regolamentazione del credito hanno deliberato ed imposto, a decorrere dal 2017, una nuova stretta regolamentare denominata «Basilea 4», volta ad imporre requisiti patrimoniali e modelli di valutazione dell'affidabilità di chi chiede il credito ancora più stringenti, che, penalizzando soprattutto le piccole e medie imprese finirebbero con l'annullare l'azione della Bce per la crescita;
    la complessità e le continue revisioni delle regole rischiano di rendere la compliance sempre più onerosa per tutte le banche europee, in particolare per le piccole, creando uno svantaggio competitivo artificiale che non troverebbe giustificazioni nel perseguimento della stabilità finanziaria;
    alle forti perplessità del presidente della BCE, Mario Draghi, nei confronti della nuova stretta regolamentare esternate nel corso del recente European Banking Congress svoltosi a Francoforte, si sono aggiunte quelle di 17 mila banche internazionali (tra cui le italiane) che hanno recapitato al segretario generale del Financial Stability Board, Svein Andresen, ed al G20 una missiva con la quale chiedono di fermare l'avanzamento del programma «Basilea 4» e di aprire un nuovo confronto con l'industria bancaria sulle modifiche necessarie per evitare il rischio di una paralisi del credito e di gravi ripercussioni sui diversi sistemi economici nazionali, soprattutto i più deboli, generate da altre ricapitalizzazioni forzate e da regole che, piuttosto, dovrebbero avere come punto di riferimento non solo la riduzione dei rischi sistemici sul mercato, ma soprattutto il sostegno delle economie nazionali, il rilancio della crescita, le necessità di investimento delle imprese e i bisogni delle famiglie;
    il 16 febbraio 2016 l'Assemblea, preso atto di alcune delle suddette considerazioni, ha approvato alcune mozioni in relazione allo strumento del bail-in,

impegna il Governo:

1) ad adottare opportune iniziative, anche normative, volte a:
   a) stabilire la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, tutelando le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti all'economia reale, differenziandole da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali;
   b) favorire lo sviluppo del credito cooperativo, anche monitorando gli statuti e la governance dei nascenti gruppi, al fine di evitare che si mantenga l'autonomia gestionale delle singole banche aderenti;
   c) intervenire direttamente o tramite Cassa depositi e prestiti nel capitale delle banche in crisi, al fine di salvaguardare i risparmiatori, i lavoratori, l'erogazione del credito;
   d) assumere la piena responsabilità di indirizzo e di nomina degli amministratori, da individuare di concerto con le associazioni di consumatori e i sindacati, in caso di partecipazione maggioritaria dello Stato nell'azionariato di un istituto di credito;
   e) attivarsi in sede europea per addivenire a una moratoria del bail in e apportare modifiche alla relativa direttiva, al fine di ottenere la possibilità di una sospensione unilaterale della direttiva BRRD e delle norme da essa derivanti, l'esclusione delle passività bancarie emesse prima della sua entrata in vigore e l'attivazione immediata della garanzia comune sui depositi;
   f) adottare un piano di smaltimento dei non performing loans che si basi sull'acquisizione da parte di un fondo pubblico dei crediti deteriorati con garanzia reale, al fine di destinare ad uso sociale gli immobili sottostanti;
   g) innalzare le pene ed allungare sensibilmente i termini di prescrizione per quegli amministratori che si rendano responsabili e colpevoli di atti di mala gestione a danno dei piccoli azionisti;
   h) intervenire presso le autorità internazionali di regolamentazione del credito per evitare che i nuovi coefficienti patrimoniali previsti dalla nuova «stretta» regolamentare denominata «Basilea 4», riducano ulteriormente la capacità di erogare credito del sistema bancario italiano;
   i) salvaguardare la «biodiversità» del sistema bancario italiano, anche attraverso il sensibile innalzamento della soglia di attivi che la nuova normativa come introdotta dal decreto-legge n. 3 del 2015 rende obbligatoria la trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
   l) adottare norme che eliminino il fenomeno delle pressioni commerciali negli istituti di credito, al fine di rafforzare il presidio del rischio da parte degli operatori del settore, anziché il raggiungimento di obiettivi di vendita di prodotti finanziari;
   m) promuovere, anche per via legislativa, l'educazione finanziaria della popolazione italiana, in un regime che escluda alla radice possibili conflitti di interesse dei formatori, al fine di consentire un uso più consapevole da parte dei cittadini degli strumenti e dei servizi finanziari offerti dal mercato finanziario;
   n) estendere agli obbligazionisti di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti le modalità di ristoro riservate ad analoghe o simili operazione successive più favorevoli;

  impegna se stessa e i propri organi a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle vicende e sulle cause che hanno determinato la crisi di Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
(1-01457)
(Nuova formulazione) «Paglia, Fassina, Scotto».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Da Villa n. 5-08241, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 597 del 29 marzo 2016.

   DA VILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   prima dell'entrata in vigore delle riforme contenute nel «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, il regime delle professioni turistiche, per effetto delle varie leggi regionali, prevedeva una articolazione di tali figure professionali in guide turistiche, che operavano in ambiti territoriali limitati, perlopiù coincidenti con il territorio di una provincia, e in accompagnatori turistici. Gli accompagnatori turistici accoglievano e accompagnavano durante il viaggio un gruppo di turisti, fornendo i necessari servizi di assistenza, compresi «elementi significativi e notizie di interesse turistico culturale sulle zone di transito, al di fuori dell'ambito di competenza e nel rispetto delle guide turistiche» (riprendendo l'articolo 3 della legge regionale 19 aprile 1985, numero 50, della regione Lazio). Le guide turistiche invece si occupavano di accompagnare i turisti nelle singole località turistiche. L'integrazione tra le due figure, come previsto dalle varie leggi delle regioni, era quindi garantita da una ripartizione tra il ruolo dell'accompagnatore che accompagnava con informazioni culturali, artistiche e paesaggistiche i vari spostamenti sul territorio delle comitive, e «consegnava» di volta in volta i gruppi alle guide turistiche per le visite guidate a specifici siti e località d'interesse;
   con l'entrata in vigore della legge n. 97 del 6 agosto 2013 (legge comunitaria 2013), che, all'articolo 3, comma 1, prevede l'estensione a tutto il territorio nazionale dell'abilitazione all'attività di guida turistica, una delle principali distinzioni tra le due figure è venuta meno; inoltre, per disposizioni quali l'articolo 3 della citata legge regionale n. 50 del 1985 del Lazio, alla guida turistica non è impedita l'attività di accompagnamento, mentre all'accompagnatore sono inibite le mansioni di guida; in conseguenza di ciò, per tour operator e agenzie di viaggio di molte regioni, è diventato più conveniente affidarsi esclusivamente a guide turistiche che possono non solo illustrare i luoghi di maggiore interesse nei singoli siti turistici, come in passato, ma alle quali non è impedito di spiegare, né di fornire tutti gli altri servizi utili a perfezionare i collegamenti durante il transito da una località turistica all'altra; ciò ha portato molte agenzie di viaggio e molti tour operator a revocare i servizi già prenotati agli accompagnatori turistici o a non affidargliene di nuovi; l'accompagnatore turistico è infatti impossibilitato ad accettare incarichi che prevedano l'erogazione parallela dei servizi tipici dell'accompagnatore e di quelli consistenti in spiegazioni inerenti le città e i siti turistici di maggiore rilievo, perché con questa seconda attività eserciterebbe di fatto l'attività di guida turistica, travalicando limiti la cui osservanza permane solo a suo carico;
   attraverso l’«individuazione dei siti di particolare interesse storico, artistico e archeologico per i quali occorra una specifica abilitazione», prevista dall'articolo 3, comma 3, della citata legge n. 97 del 2013, rischia di determinarsi una suddivisione in due distinti livelli di specializzazione delle guide turistiche, determinando una ulteriore compressione dell'ambito specifico di attività della figura dell'accompagnatore turistico, tale da sopprimerla nei fatti;
   il già citato «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», di cui al decreto legislativo n. 79 del 2011, non contiene alcuna definizione della professione di «accompagnatore turistico» distinta da quella di «guida turistica»; l'articolo 6 in proposito recita: «Sono professioni turistiche quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati»; per come si articola il testo, l'accostamento dei sostantivi «accompagnamento e guida» determina, a parere dell'interrogante, una equiparazione tra le due figure professionali, soprattutto alla luce della specificazione finale «anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati», che sembrerebbe abilitare pure l'accompagnatore a diffondere la conoscenza di tali luoghi;
   in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 14 aprile 2006, sentenza ribadita da un orientamento costante della Consulta, spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nella materia concorrente delle «professioni» prevista dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, e tenuto conto, in particolare, di quello secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e i titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato; d'altro canto, la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 21 giugno 2013, numero 3410, recita: «successivamente alla riforma del Titolo V della Costituzione, nella materia delle professioni, rientrante nella competenza legislativa concorrente, costituiscono principi fondamentali (come tali riservati alla legge statale), la determinazione delle figure professionali e la definizione degli elementi costitutivi e delle modalità formative, per cui non spetta alla legge regionale creare nuove professioni o introdurre diversificazioni in seno all'unica figura professionale disciplinata dalla legge statale» (riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale Abruzzo L'Aquila, 5 giugno 2002, n. 311); in base a quest'attestazione della competenza statale sulla materia, è, a parere dell'interrogante, evidente che eventuali distinzioni tra figure professionali fissate con leggi regionali non dovrebbero reputarsi valide se non trovano conferma in previsioni contenute in leggi nazionali;
   gli accompagnatori e le guide turistiche cittadini di un altro Stato membro dell'Unione europea non residenti e non legalmente stabiliti in Italia, possono circolare liberamente sull'intero territorio nazionale prestandovi, in via temporanea e occasionale, la professione di guida turistica e unendola a quella di accompagnatore ove la relativa disciplina del loro paese non lo vieti; inoltre, in forza del decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007, anche gli operatori provenienti da Paesi comunitari che non contemplino alcuna regolamentazione delle professioni turistiche (come ad esempio la Germania) possono esercitare in Italia la professione di guida turistica, cumulando le attività di guida e accompagnatore;
   tali prestatori di servizi hanno facoltà di chiedere non solo di potersi stabilire in Italia, ma di poter esercitare in regime di temporaneità e occasionalità la professione di guida turistica, attraverso una semplice dichiarazione preventiva da presentarsi, a mezzo di raccomandata, al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; in tali casi, per i quali si parla di « tour chiusi», in cui il gruppo in visita in Italia parte dal paese di provenienza e vi fa ritorno insieme all'accompagnatore o guida che dir si voglia, l'attività può essere prestata su tutto il territorio nazionale, in assenza di qualsivoglia dichiarazione preventiva; in tal senso, ha inciso anche la giurisprudenza univoca della Corte di giustizia dell'Unione europea secondo cui l'avere in passato subordinato «la prestazione dei servizi di guide turistiche che viaggiano con un gruppo di turisti provenienti da un altro Stato membro al possesso di una licenza rilasciata a fronte di una determinata qualificazione professionale, accertata in base al previo superamento di un esame» ha fatto venir meno l'Italia «agli obblighi ad essa incombenti a norma dell'articolo 59 del trattato CEE» (Corte di Giustizia europea, 26 febbraio 1991, nella causa (180/89);
   per effetto della già citata legge comunitaria 2013, tale orientamento giurisprudenziale si è cristallizzato nell'ordinamento interno italiano; all'articolo 3, comma 2, essa recita infatti: «i cittadini dell'Unione europea abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico di un altro Stato membro operano in regime di libera prestazione dei servizi senza necessità di alcuna autorizzazione né abilitazione, sia essa generale o specifica»; riguardando le prestazioni occasionali e temporanee, cioè i cosiddetti « tour chiusi», con accompagnamento dalla partenza al ritorno nel Paese di provenienza dei gruppi, questa disposizione, pur riferendosi alle sole guide turistiche, si applica anche alle attività tipiche degli accompagnatori turistici, che si trovano quindi nella posizione di non poter svolgere le prestazioni di guida nel proprio Paese e di subire in esso anche la concorrenza di operatori comunitari, non necessariamente abilitati (quando la legislazione del loro Stato non lo preveda), che riuniscono in sé entrambi i ruoli;
   l'articolo 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 dispone che, «nei confronti dei cittadini italiani, non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea»; rafforza ulteriormente il concetto l'articolo 24 del decreto legislativo 26 marzo 2010, numero 59: «i cittadini italiani e i soggetti giuridici costituiti conformemente alla legislazione nazionale che sono stabiliti in Italia possono invocare l'applicazione delle disposizioni del presente titolo, nonché di quelle richiamate all'articolo 20, comma 3», il quale a sua volta dispone che «restano ferme le disposizioni di cui al titolo II del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, di recepimento della direttiva 2005/36/CE»; a parere dell'interrogante, questo significa che quanto sopra illustrato a proposito delle facoltà riconosciute in Italia agli operatori cittadini di altri Stati dell'Unione europea dev'essere consentito anche agli operatori stabiliti in Italia;
   le sopra esposte argomentazioni trovano oggi conforto in diverse pronunce del Tar Catania che, sul punto, ha così argomentato: «il Collegio ritiene che debba essere condiviso quanto sostenuto in ricorso in riferimento alla concreta abolizione della distinzione delle due figure per effetto del cosiddetto Codice del Turismo (decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79), il cui articolo 6 stabilisce che – sono professioni turistiche quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati –. Il nuovo indirizzo statale, quindi, è rivolto alla sussistenza di un'unica figura volta all'accompagnamento e alla guida». Precisano altresì le stesse sentenze: «la sostanziale abolizione della distinzione tra le due figure, già di per sé, in attesa di una riconfigurazione a livello nazionale dei (a questo punto, unici) requisiti non può non comportare che il possesso della qualifica abiliti all'esercizio delle due funzioni (guida e accompagnamento)». È stato molto evidenziato dal suddetto tribunale che: «considerato il nuovo quadro normativo, caratterizzato dall'abolizione di una sostanziale distinzione tra guide e accompagnatori, alla liberalizzazione dell'attività delle prime rispetto all'intero territorio nazionale, alla circostanza che alle guide straniere, sia pure con tutte le precisazioni e la temporaneità, è consentito di cumulare la funzione, appunto, di guida e di accompagnatori nel territorio nazionale e che tale facoltà non può non trovare attuazione anche per i cittadini italiani, è possibile concludere che non possa adottarsi la normativa regionale di riferimento, ma occorra consentire a coloro che sono abilitati, ad accompagnatore turistico di svolgere l'attività di guida». (Tar Catania, sentenze nn. 1926/2014 del 1o luglio 2014 e 2965 del 2014 del 14 novembre 2014);
   nel recente decreto 11 dicembre 2015 del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, recante «Individuazione dei requisiti necessari per l'abilitazione allo svolgimento della professione di guida turistica e procedimento di rilascio dell'abilitazione», non solo non vi è alcun riferimento alla professione dell'accompagnatore turistico, ma, a giudizio dell'interrogante, viene introdotto un doppio livello di specializzazione ed abilitazione territoriale della sola professione di guida turistica: una figura di guida turistica abilitata su tutto il territorio nazionale ed una guida turistica «specializzata», abilitata per i siti di maggiore interesse in ogni singola regione (per l'esattezza, munita della «abilitazione specifica per l'esercizio di guida turistica per i siti individuati col decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo»). L'effetto di questa regolamentazione sul mercato delle professioni turistiche sarebbe quello di non far più residuare alcuno spazio lavorativo per la professione dell'accompagnatore turistico. Nessun operatore del mercato turistico, per una evidente ragione di contenimento dei costi, avrebbe infatti interesse ad ingaggiare tre distinte figure professionali: un accompagnatore per tutta la durata del tour, una guida per i luoghi non ricompresi nei vari elenchi regionali dei siti di particolare interesse, e una guida specializzata per i siti di particolare interesse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa, e in particolare se non ritenga che la combinazione delle disposizioni normative citate determini un depauperamento dell'ambito professionale specifico dell'accompagnatore turistico talmente grave da far ritenere opportuno assumere iniziative volte a realizzare un intervento correttivo della disciplina nazionale in materia;
   se il Ministro interrogato convenga che gli indirizzi espressi dai citati pronunciamenti giurisdizionali in materia possano costituire un condiviso supporto giuridico per l'adozione di iniziative normative volte all'introduzione di una disciplina che fornisca l'appropriata organicità, su scala nazionale, alle soluzioni ivi accennate, tendenti all'equiparazione delle attività cui sono abilitate le figure professionali dell'accompagnatore turistico e della guida turistica, ferma restando la specifica abilitazione richiesta per l'esercizio di tali professioni nei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico;
   quali iniziative urgenti reputi il Ministro interrogato di assumere affinché le facoltà riconosciute dal nostro ordinamento ai cittadini di altri Stati dell'UE che svolgono professioni turistiche in Italia siano estese, senza maggiori limitazioni, obblighi e vincoli, anche agli operatori stabiliti in Italia di nazionalità italiana, ai sensi dell'articolo 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, e dell'articolo 24 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. (5-08241)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02419 del 22 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Dieni n. 4-14745 dell'8 novembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Quartapelle Procopio n. 4-14762 del 14 novembre 2016.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Airaudo e altri n. 1-01451, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2016: è stata ritirata la firma del deputato Gregori.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Zolezzi e altri n. 4-14371 del 30 settembre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-10199.