Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 6 dicembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel mondo, «sono circa diciotto milioni le persone che muoiono ogni anno per malattie cardiovascolari, i cui maggiori fattori predisponenti sono il diabete e l'ipertensione dovuti soprattutto alla crescente prevalenza di sovrappeso e obesità, che insieme al sottopeso, la malnutrizione e le malattie infettive, rappresentano i maggiori problemi di salute per i paesi in via di sviluppo». Ciò secondo gli studi pubblicati da P. Hossain, B. Kawar, M. El Nahas, nel documento Obesity and Diabetes in the Developing World;
    difatti, dal secondo dopoguerra, la tradizione e la cultura alimentare dei paesi industrializzati ha subito un profondo cambiamento. Fra i bambini dai due ai diciotto anni, la principale fonte delle calorie provenienti dall'assunzione di bevande era il latte, mentre oggi, con la maggiore disponibilità di cibo, si è progressivamente diffuso il consumo di cibi pronti, spesso poveri di fibre e ricchi di grassi, ad alta densità calorica e di bevande zuccherate;
    il progressivo cambiamento dello stile della vita e dei ritmi lavorativi ha portato a profonde modificazioni delle abitudini alimentari familiari, con la diffusione nella popolazione infantile di un'alimentazione scorretta, con eccessivo consumo di calorie, proteine di origine animale, grassi saturi, sodio e carenza di glucidi complessi, fibra, vitamine e sali minerali;
    anche nel nostro Paese il fenomeno dell'obesità rappresenta un problema di salute dei singoli individui e in termini di spesa sanitaria pubblica. L'obesità, oltre a ridurre la qualità della vita, rappresenta un fattore di rischio per molte malattie croniche, come ipertensione, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, il cui trattamento richiede un notevole impiego di risorse: si calcola che in Italia siano 5,5 milioni le persone obese con un costo annuo stimato in 9 miliardi di euro in spesa sanitaria, calo di produttività e assenteismo dal lavoro per le persone adulte, e mortalità precoce;
    più del sessanta per cento dei suddetti costi, si stima che siano dovuti a ricoveri ospedalieri e ciò indica quanto l'obesità sia la reale responsabile di una serie di gravi patologie che comportano una ridotta aspettativa di vita e un notevole aggravio per il servizio sanitario nazionale;
    devono inoltre essere considerati tra i costi attribuibili all'obesità, il minor rendimento scolastico, la futura discriminazione lavorativa, i problemi psicosociali e la scarsa qualità della vita nei bambini e negli adolescenti;
    infatti, è preoccupante il dato sull'obesità infantile, essendo l'Italia, uno dei Paesi più colpiti da questo fenomeno: un bambino su tre ha problemi di sovrappeso, con percentuali maggiori nelle regioni del Sud;
    è accertato che un bambino obeso ha un rischio elevato di sviluppare malattie croniche in età adulta. Le statistiche sulla prevalenza di obesi e in sovrappeso in Italia sono rilevate da vari studi con metodologie diverse. In Italia, il sistema di monitoraggio «Okkio alla Salute» del Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della salute (raccolta dati antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età,) ha riportato che il 22,9 per cento dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l'11,1 per cento in condizioni di obesità (dati relativi all'anno 2010);
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un appello, invitando i Governi ad assumere un ruolo attivo nel monitoraggio e nell'introduzione di sanzioni contro la produzione, la distribuzione e la promozione del così detto «cibo spazzatura»; 
    il documento fa emergere una situazione allarmante: le grandi industrie del settore alimentare sfruttano il marketing e il web attraverso i social media, per proporre i propri prodotti per lo più ipercalorici (ricchi di zuccheri, sale e grassi). Dunque, si evidenzia un preciso legame tra marketing di alimenti e bevande ipercaloriche e obesità di bambini e adolescenti e si segnala la negativa pratica degli «advergames», ossia i giochi con protagonisti gli alimenti stessi. A tale proposito l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un appello con un documento per far cessare le campagne marketing e pubblicitarie rivolte ai bambini via internet;
    allo scopo di ridurre il rischio di sovrappeso e obesità, è dunque necessario che il Ministero della salute metta in atto un accurato studio per considerare l'impegno, da parte delle aziende che immettono sul mercato bevande e cibi molto zuccherati, all'inserimento di pubblicità riportante l'avvertenza sui rischi per la salute, al fine di rendere informati e consapevoli i consumatori;
    il capo direttore della divisione malattie non trasmissibili e promozione della salute all'Organizzazione mondiale della sanità Europa, spiega: «Più del 60 per cento dei bambini che è in sovrappeso prima della pubertà, resterà in sovrappeso anche da giovane e si stima che in Europa circa il 25 per cento dei bambini in età scolare sia già sovrappeso o obeso. Un fattore chiave per malattie cardiovascolari, cancro e diabete»;
    se da una parte è vero che l'insegnamento delle regole per una corretta alimentazione è in capo ai genitori, si ritiene fondamentale educare i bambini a una corretta ed equilibrata alimentazione attraverso la scuola, poiché in età scolare s'impostano e consolidano le abitudini alimentari del bambino. Pertanto, è in questa fase della vita che la famiglia e la scuola devono contribuire allo sviluppo di uno stile alimentare salutare, che permanga nell'età adulta;
    il 7 febbraio 2015, nell'ambito di Expo 2015, «Verso la Carta di Milano», il Governo italiano, la direzione generale per lo studente, l'integrazione e la partecipazione del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha organizzato e coordinato il tavolo «Educazione alimentare: un investimento per il futuro», promuovendo la definizione degli obiettivi propri dell'educazione alimentare, dei contenuti che la caratterizzano e delle metodologie didattiche più adeguate alle quali far corrispondere una serie d'impegni che avrebbero dovuto essere assunti;
    tuttavia, nonostante le «linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana» emanate nel 2011 e riaffermate a Expo 2015, gli obiettivi non solo non sono stati raggiunti, ma non è dato sapere quali siano state ad oggi le scuole che abbiano realizzato attività all'interno del piano di offerta formativa, permettendo ai giovani di acquisire competenze chiave sulle quali fondare uno stile di vita sano;
    l'educazione alimentare in ambito scolastico ha un ruolo importante nella promozione della corretta alimentazione. Inoltre, è importante sottolineare che nei bambini e ragazzi in età scolare, oltre alle scorrette abitudini alimentari c’è una componente che non va sottovalutata, come l'eccessiva sedentarietà;
    sia la classe medica che gli studi internazionali più accreditati ritengono che la corretta alimentazione e l'attività fisica sportiva o ricreativa siano da considerarsi la prevenzione primaria rispetto al rischio di sviluppare in età adulta malattie cronico-degenerative, cioè malattie legate al sovrappeso e obesità;
    la promozione di una dieta salutare e dell'attività fisica durante l'infanzia e nell'età scolare non solo contribuisce a una migliore salute mentale, fisica e sociale, ma fornisce maggiori capacità di svolgere le attività quotidiane, gettando le basi per una migliore salute per il corso della vita,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto, con gli strumenti di competenza, interventi di sensibilizzazione mirati a modificare sia gli stili alimentari che i livelli di attività fisica della popolazione;

2) a promuovere campagne di sensibilizzazione, finalizzate a una sana e corretta alimentazione con lo scopo di informare la popolazione sui rischi dell'obesità;

3) ad individuare criteri volti a introdurre limitazioni alla pubblicità televisiva, radiofonica e via web relativa a cibo e bevande con elevato quantitativo di zucchero;

4) a dare piena applicazione al regolamento europeo (CE) n. 1169/2011, in materia di informazione sugli alimenti ai consumatori;

5) ad assumere iniziative volte al consumo consapevole, facendo sì che le aziende – produttrici di alimenti ad alto contenuto di grassi e basso valore nutrizionale e di bevande ricche di zuccheri e anidride carbonica –, adottino una specifica etichettatura riportante la dicitura «può essere dannoso per la salute» con l'obiettivo di contribuire a ridurne il consumo, in particolar modo da parte dei minori, e con lo scopo di contrastare eventuali malattie legate all'obesità e al sovrappeso;

6) ad assumere iniziative per il finanziamento di progetti per le scuole volti a garantire un'ampia scelta di attività sportive, anche pomeridiane e aggiuntive rispetto a quelle previste dal piano dell'offerta formativa, con l'obiettivo di stimolare il valore educativo per gli effetti positivi sulla salute, di una costante attività fisica unita a una buona e sana alimentazione;

7) ad assumere iniziative – ferma restando l'autonomia delle scuole nella definizione dei piani dell'offerta formativa – volte a promuovere l'educazione alimentare presso le scuole di ogni ordine e grado, fornendo ai docenti gli strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi legati a sani stili di vita attraverso programmi mirati di sana e corretta alimentazione e i benefici dell'attività fisica nonché all'apprendimento dei problemi legati al disordine alimentare, quali anoressia e bulimia;

8) ad assumere un ruolo attivo nel monitoraggio di interventi e progetti scolastici legati all'educazione alimentare;

9) ad assumere iniziative volte a promuovere e incentivare la cultura sportiva extrascolastica, quale valore educativo/sociale, con l'obiettivo di sensibilizzare i più giovani a un sano e completo sviluppo di corretti stili di vita, mediante la corretta alimentazione e lo sport, valutando l'erogazione di un contributo finanziario annuale, rivolto alle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli che intendono far praticare uno sport ai propri figli, tra i tre e i diciotto anni.
(1-01440) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo rapporto predisposto dalla commissione incaricata dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di formulare proposte per fermare l'obesità infantile viene sottolineato che molti bambini oggi crescono in ambienti sempre più insalubri, che favoriscono l'aumento di peso, grazie alla globalizzazione e all'urbanizzazione. Si tratta di una tendenza che riguarda tutte le fasce sociali sia nelle nazioni povere sia in quelle ricche. Il fattore che più incide nei Paesi in via di sviluppo è la diffusione dai cibi malsani e di bevande analcoliche;
    secondo i dati, tra il 1990 e il 2014, la percentuale di bambini di età inferiore ai cinque anni in sovrappeso è passata dal 4,8 per cento al 6,1 per cento, il che significa, in numeri assoluti, da 31 a 41 milioni. Durante lo stesso periodo, nei paesi a basso o medio reddito il numero di bambini in sovrappeso è più che raddoppiato, passando da 7,5 milioni a 15,5 milioni. Sulla base dei dati 2014, quasi la metà (48 per cento) di tutti i bambini con meno di cinque anni in sovrappeso e obesi vive in Asia e un quarto in Africa (il numero è quasi raddoppiato, rispetto al 1990, passando da 5,4 milioni a 10,3 milioni);
    il rapporto dell'Oms formula una serie di raccomandazioni rivolte ai Governi, per invertire la tendenza. Si tratta di promuovere l'assunzione di cibi sani e di scoraggiare il junk food mediante una tassazione efficace sulle bevande zuccherate, predisponendo anche dei limiti anche al marketing;
    in merito all'educazione e all'informazione delle persone, l'Oms afferma che la cultura della nutrizione e della salute dovrebbero far parte dell'istruzione scolastica, facendo in modo che le informazioni e le linee guida nutrizionali siano diffuse in modo semplice, comprensibile e accessibile a tutti i gruppi sociali. Un supporto agli sforzi di alfabetizzazione in materia di nutrizione e salute potrebbe venire dall'adozione di un sistema standardizzato di etichetta nutrizionale, obbligatoria per alimenti confezionati e bevande. Un sistema di etichettatura facile da capire, come quello basato sui colori del semaforo o sulla classificazione a stelle, viene ritenuto un aiuto, seppur di per sé non sufficiente, all'educazione nutrizionale;
    per i bambini delle scuole primarie (6-10 anni), si stima un 24 per cento di bimbi in sovrappeso e un 12 per cento obeso. Fra gli aspetti più critici rilevati vale la pena citare che l'11 per cento dei bambini non fa la prima colazione e il 28 per cento la fa in maniera non adeguata, l'82 per cento fa una merenda a scuola qualitativamente non corretta, il 23 per cento dei genitori dichiara che i propri figli non consumano giornalmente frutta e verdura (solo il 2 per cento dei bambini ne mangia più di 4 porzioni al giorno), il 41 per cento dei bambini beve ogni giorno bevande zuccherate (il 17 per cento più di una volta al giorno), solo 1 bambino su 10 ha un livello di attività fisica raccomandato per la sua età, mentre 1 su 2 trascorre più di due ore al giorno davanti al televisore o a videogiochi e ha un televisore in camera. Infine, circa 4 madri su 10 di bambini con sovrappeso/obesità non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo;
    come riportato in uno studio pubblicato sull’International Journal of Food Science and Nutrition, i bambini (in media) traggono oltre il 40 per cento dell'energia quotidiana dai grassi e, consumano una quantità di frutta e verdura più bassa rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida. Come riportato dagli studi «la dieta poco sana comincia già nei primi anni di vita, con un eccesso di proteine, carboidrati semplici, grassi saturi e sodio, e un basso consumo di ferro e fibra alimentare. Se si compara la prevalenza del sovrappeso tra i bambini di sette anni in 17 Paesi europei, l'Italia, assieme alla Grecia e alla Spagna, ha i valori più alti»;
    un problema particolarmente grave è quello dell'insorgenza dell'obesità tra bambini e adolescenti, esposti fin dall'età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico;
    dai dati pubblicati emerge che chi è obeso in età infantile lo è spesso anche da adulto; aumenta quindi il rischio di sviluppare precocemente fattori di rischio di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronariche, tendenza all'infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l'ipercolesterolemia;
    il problema dell'obesità in pediatria è stato molto studiato, ma gli studi controllati (EBM) sugli interventi esclusivamente medici, come ad esempio le diete, sono stati un fallimento soprattutto nella valutazione delle recidive dopo 3 e 5 anni;
    il problema dell'obesità cosiddetta essenziale, cioè senza cause endocrine evidenti, si evidenzia fra i 3 e i 7-8 anni, cioè quando i bimbi sono in carico al pediatra di famiglia, che rileva sistematicamente con le visite filtro il discostamento dalle linee di crescita corrette;
    gli studi dimostrano come sia molto importante, se non fondamentale, l'allattamento al seno, ma è necessario che i piccoli pazienti siano seguiti in maniera, corretta nel «periodo critico» (3-8 anni) dai pediatri di famiglia, che devono poter avere facile accesso ad accertamenti di II livello in maniera rapida e diretta, evitando i cronici tempi di latenza di 6 mesi,

impegna il Governo:

1) a predisporre iniziative affinché siano mantenute e potenziate le visite «filtro» effettuate dai pediatri per tutti i bambini (0-14) e siano predisposti protocolli che prevedano contatti con gli specialisti ospedalieri, con gli insegnanti, al fine di programmi condivisi di educazione alimentare e di avvio all'attività motoria, e con le società sportive per offrire strumenti di intervento anche mirato;
2) a predisporre strumenti normativi che facilitino la presa in carico del bambino obeso o in sovrappeso che necessiti di cure primarie-cure ospedaliere come previsto dalla legge della regione Lombardia di evoluzione del sistema socio sanitario lombardo n. 23 del 2015;
3) a promuovere, attraverso strumenti divulgativi, uno stile alimentare più corretto finalizzato ad una concreta essenzialità, al fine di rendere l'opzione dell'alimentazione più sana la più semplice.
(1-01441) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità rappresenta di per sé stessa una «condizione patologica» che richiede un trattamento terapeutico. Già nel secolo scorso le compagnie americane di life insurance avevano calcolato con precisione la riduzione di aspettativa di vita dei pazienti sovrappeso e l'avevano correlata all'entità del sovrappeso stesso, modificando in tal modo i premi assicurativi individuali;
    le società scientifiche internazionali hanno ormai da tempo trovato una metodica standard di valutazione del sovrappeso, basata sull'eccedenza del BMI (Body mass index) rispetto alla norma. In relazione all'entità dell'eccedenza, il paziente viene classificato «sovrappeso (+10-20 per cento)» o «francamente obeso (sopra il 20 per cento di scostamento)»;
    le obesità rappresentano una patologia che determina grave e crescente allarme sociale: la loro diffusione tra la popolazione incrementa l'incidenza di una ampia gamma di patologie: da quelle cardiache, vascolari e respiratorie, a quelle oste-articolari, a quelle dismetaboliche, a quelle tumorali;
    in alcuni Paesi del mondo (ad esempio, in USA), la diffusione delle obesità sta raggiungendo livelli di guardia sempre più preoccupanti e tali da indurre le autorità sanitarie al lancio di grandi campagne per la prevenzione e l'educazione alla corretta alimentazione;
    nella sanità occidentale, i costi sanitari/anno di un gruppo di pazienti obesi sarebbero di circa il 25 per cento superiori rispetto a quelli di un corrispondente gruppo di riferimento normopeso, con carichi economici drammatici per i sistemi di Welfare occidentali (solo in Italia, il numero dei pazienti obesi, sfiorerebbe la cifra di 5 milioni);
    l'Italia ha vissuto a lungo una situazione di privilegio legata alle abitudini alimentari storiche. In Italia sino agli anni sessanta era diffusissima la cosiddetta «dieta mediterranea», considerata tra le forme più equilibrate di alimentazione, come confermato dal famoso «Seven Countries Study» dell'americano Keys (1969), che ha rappresentato una pietra miliare nello studio della corretta alimentazione mondiale;
    negli ultimi decenni, anche in Italia, si è verificato un radicale mutamento delle abitudini alimentari generali della popolazione, con progressivo abbandono della classica dieta «mediterranea» e viraggio verso apporti alimentari ipercalorici, poveri di scorie e squilibrati nei rapporti tra zuccheri, grassi e proteine;
    la conseguenza è che oggi, anche in Italia è esploso il dramma delle obesità infantili, con indici di prevalenza del sovrappeso nell'età scolare primaria (6-10 anni) che sfiorano il 25 per cento e sfondano il muro del 10 per cento per l'obesità franca;
    tali modifiche delle abitudini alimentari sono in parte figlie di complessive modifiche delle abitudini di vita della popolazione, con ricorso sempre più frequente a prodotti preconfezionati o pasti tipo « fast food», associati ad uso di bevande gassate zuccherate e a diete molto povere di scorie per la tendenza ad escludere frutta e verdura dalla dieta;
    assai spesso il «bambino che mangia male» ha poi complessivi stili di vita non equilibrati: fa poco sport e, oltre alla sedentarietà dell'attività scolastica, trascorre diverse ore al giorno davanti al computer, al televisore e ai videogiochi. Sempre più spesso è figlio di genitori «sovrappeso o obesi», che danno poca o nessuna importanza alla situazione di sovrappeso del figlio;
    la conseguenza dell'abbandono della dieta mediterranea e del mutamento degli stili di vita è facilmente visibile per le strade italiane dove ormai è sempre più diffuso il «paesaggio antropico americano» rappresentato dalle famiglie con genitori obesi che portano a spasso figli altrettanto sovrappeso;
    sarebbe davvero difficile (e ingiusto) individuare un «responsabile unico» del peggioramento delle abitudini alimentari nel nostro Paese: la stessa industria alimentare tende ad «assecondare» le nuove richieste del mercato, restando, tuttavia, sempre sensibile a tutti gli «allarmi sanitari», anche a quelli che appaiono meno giustificati;
    le stesse «campagne contro» che ciclicamente vengono scatenate per «impallinare» qualche ingrediente alimentare (l'ultima in ordine di tempo è stata quella, contro l'utilizzo dell'olio di palma) certificano in realtà l'atteggiamento dell'opinione pubblica italiana, talora più propenso ad individuare «nemici mortali», da inserire in improbabili liste di proscrizione, che risolvano miracolosamente tutti i problemi, piuttosto che ad accettare un'analisi ragionata della situazione, che suggerisca rimedi assai meno immediati e semplici, ma sicuramente più efficaci;
    tutte le indicazioni delle società scientifiche concordano invece – come si è già spiegato – nell'indicare la genesi «plurifattoriale» dell'obesità che, pertanto, non può essere trattata e liquidata come un fenomeno facilmente aggredibile, ma deve invece essere trattata culturalmente, socialmente, e sotto il profilo sanitario con la piena consapevolezza del necessario approccio multifattoriale;
    al netto delle obesità correlate a patologie disfunzionali della sfera, endocrina o comunque conseguenza diretta o indiretta di condizioni fisiche particolari, è del tutto evidente come le motivazioni psico-comportamentali rappresentino il trigger più frequente della patologia da accumulo di peso;
    è indubbio che le azioni di «educazione alimentare» abbiano una grande importanza, in particolar modo se rivolte alla corretta alimentazione dell'età perinatale e pediatrica, che è quella in cui maggiormente pesa l'atteggiamento culturale delle famiglie;
    alla «cultura nutrizionale» deve peraltro essere associato una altrettanto ottimale cultura «della salute corporea» che indichi un « goal standard» nel mantenimento del corretto peso corporeo a tutte le età anagrafiche, ma in modo particolare in quella infantile, dove è alto il rischio dello sviluppo della obesità un tempo definita, iperplastica, quella più difficile da trattare;
    ciò significa che la cultura dell'apporto calorico quantitativo e qualitativo equilibrato in età infantile deve andare di pari passo con la cultura dello sport e del movimento, che già nelle scuole dell'infanzia e nelle alimentari dovrebbe costituire un elemento fondamentale del background educativo;
    il sovrappeso in età infantile rischia infatti assai spesso di innescare un ulteriore «circolo vizioso» per cui il bambino che si sente «inadatto» alla socializzazione con i propri coetanei, sceglie comportamenti di autoesclusione, dedicando il proprio tempo ad attività isolate e sedentarie che riducono i consumi calorici e stimolano il ricorso «consolatorio» all'importo smodato di cibo;
    l'indirizzo organizzativo verso il tempo prolungato della scuola italiana comporta il sempre più frequente ricorso alla refezione scolastica, che dovrebbe pertanto rappresentare un momento di collaborazione e di integrazione tra le famiglie e il sistema dell'istruzione, rivolto a garantire apporti alimentari bilanciati ed equilibrati con gli introiti della restante giornata;
    non può certo essere trascurato l'intervento psicologico di supporto; prescindendo dai non rari casi in cui i disturbi dell'alimentazione configurano vere e proprie patologie psichiche, è del tutto evidente come l'orientamento ad un adeguato percorso dietetico e di nutrizione passa sempre attraverso una crescita di consapevolezza delle famiglie e dei bambini, sostenuta da momenti collettivi ed individuali di supporto psicologico finalizzati alla creazione di «modelli complessivi» di nuovi stili di vita accettati (e talora controdeduttivi) e di percorsi individuali di consolidamento;
    molto spesso l'obesità diventa una patologia sociale che non coinvolge soltanto il bambino (o l'adulto) che ne viene colpito, ma l'intero ambiente familiare e sociale di riferimento;
    in definitiva, la sconfitta dell'obesità non è mai in un trattamento terapeutico e dietetico «temporaneo», ma è nell'acquisizione di regole esistenziali ed alimentari destinate a durare nel tempo, proteggendo il bambino e l'adulto dal rischio di altalene di peso; nocive sotto tutti i punti di vista,

impegna il Governo:

1) ad attivare tutte le possibili azioni di prevenzione contro il sovrappeso, in particolare verso quello che colpisce le età infantili;
2) a promuovere campagne di sensibilizzazione delle famiglie sui rischi del sovrappeso e sui corretti stili alimentari e di vita, in particolare insistendo sull'adeguatezza degli apporti alimentari qualitativi e quantitativi in età prescolare;
3) ad assumere iniziative per introdurre nelle scuole l'insegnamento dei corretti stili di vita che consenta di orientare i bambini e i giovani verso abitudini coerenti con la difesa della salute fisica e psichica;
4) a promuovere l'attivazione di ogni possibile rapporto di collaborazione tra le scuole e le famiglie, orientato ad integrare l'alimentazione offerta dalla refezione scolastica nella dieta quotidiana equilibrata del bambino;
5) a garantire attività motorie e sportive scolastiche degne di tal norme, combattendo la esagerata tendenza alla sedentarietà degli stili di vita in età infantile;
6) a garantire servizi scolastici sanitari e di supporto psicosociale che consentano il monitoraggio complessivo e l'intercettamento precoce della patologia da sovrappeso e il conseguente indirizzo verso stili comportamentali alimentari ed esistenziali che abbassino il rischio;
7) a potenziare le azioni di «presa in carico» complessiva delle famiglie a rischio di obesità per monitorarne i comportamenti e per supportarne i percorsi di rieducazione.

(1-01442) «Vargiu, Monchiero, Quintarelli, Librandi, Matarrese, Catania, Menorello, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    è già da molto tempo che le autorità sanitarie di molti Paesi, evidenziano la «pericolosità» dello zucchero che viene aggiunto ai cibi, e in particolare nelle merendine, biscotti e bibite gassate, ossia alimenti e bevande destinate soprattutto ai più giovani;
    l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rivisto le sue linee guida sull'assunzione dello zucchero presente negli alimenti. Le raccomandazioni dell'Oms riguardano in particolare l'assunzione di monosaccaridi (glucosio e fruttosio) e disaccaridi (saccarosio), aggiunti ad alimenti e bevande, e di zuccheri naturalmente presenti in molti alimenti e sopratutto bevande, e prevedono la limitazione dell'assunzione di zuccheri semplici (quali quelli tipici delle merendine) al 10 per cento del fabbisogno calorico giornaliero, con l'esortazione a ridurre ulteriormente questa soglia a meno del 5 per cento. E questo con particolare attenzione ai più giovani;
    a queste linee guida dell'Oms, sono seguite le raccomandazioni della «Food and Drug Administration» americana, che ha portato in riduzione anche le sue indicazioni;
    nonostante questo, e in controtendenza, il Ministero della salute ha dichiarato che le linee guida dell'Oms appaiono eccessivamente restrittive soprattutto allorché propongono una riduzione del consumo di zuccheri semplici al di sotto del 5 per cento, facendo così risultare l'Italia come l'unico Paese dell'Unione europea ad essersi dichiarato in disaccordo con le suddette raccomandazioni;
    il 19 novembre 2014, come riportato anche dalle agenzie di stampa, la ministra Lorenzin, parlando a margine della seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione, dichiarava riguardo alle citate nuove raccomandazioni dell'Oms sullo zucchero: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie (...) Dobbiamo fare esattamente l'opposto, cioè proporre il modello della dieta mediterranea, educare famiglie e bambini in età scolare a mangiare bene e anche a fare una giusta attività fisica. Ma non è facendo questo tipo di divieto che noi costruiamo la cultura dell'alimentazione»;
    è di questi giorni il Rapporto Food Sustainability Index (Fsi), voluto dalla Fondazione Barilla e realizzato da The Economist Intelligence Unit. Si tratta di un indice che analizza le scelte alimentari nei vari Paesi, non tanto sulla base del gusto, quanto della sostenibilità dell'intero sistema, con l'analisi di 58 parametri che consentono di capire dove si mangi «meglio». Per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali, siamo il terzo Paese per ipernutrizione e al secondo posto per sovrappeso e obesità nella fascia di età tra i 2 e i 18 anni;
    secondo un rapporto dell'Osservatorio del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dall'università Milano Bicocca, un bambino su 4 in Italia è sovrappeso, e uno su 10 obeso. La prevalenza di sovrappeso in età pediatrica in Italia supera la media europea, con un tasso di crescita annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti;
    secondo il Rapporto «Fiscal policies for Diet and Prevention of Noncommunicable Diseases (Ncds)» dell'Oms, indagini alimentari nazionali indicano che le bevande e gli alimenti ad alto contenuto di zuccheri liberi possono essere una delle principali fonti di calorie inutili nella dieta, in particolare nel caso di bambini, adolescenti e giovani adulti;
    il medesimo rapporto mostra come un aumento di almeno il 20 per cento del prezzo di vendita al dettaglio di bevande zuccherate si tradurrebbe in una riduzione proporzionale dei consumi. E un calo del consumo significherebbe minore assunzione di zuccheri «liberi» e calorie complessive, una migliore nutrizione e un minor numero di persone che soffrono di sovrappeso, obesità, diabete e carie. Vale la pena ricordare che il consumo dei suddetti zuccheri liberi incide molto sull'aumento globale delle persone che soffrono di obesità e diabete;
    un certo numero di Paesi ha già adottato misure fiscali sui prodotti non salutari, tra cui il Messico, che ha imposto una tassa sulle bevande non alcoliche con aggiunta di zucchero, e l'Ungheria, che l'ha impostata sui prodotti confezionati con elevata percentuale di zuccheri, sale o livelli di caffeina. Il Regno Unito e l'Irlanda del Nord hanno annunciato l'intenzione di applicare le tasse sulle bevande zuccherate;
    un ulteriore aspetto importante è quello che inevitabilmente lega l'alimentazione al disagio sociale ed economico. Proprio due anni fa la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile, dove si segnalava la diffusione di due fattori di rischio molto significativi per la salute dei minori: l'obesità e il sovrappeso, e come questi fattori di rischio risultassero strettamente correlati al concetto di povertà come assenza o carenza di opportunità. Ciò comporta, tra l'altro, che il divario sociale si traduce in un divario di salute;
    una criticità, emersa nel corso dell'indagine conoscitiva sopra citata, ha riguardato le mense scolastiche, che spesso risultano scarsamente accessibili ai minori che vivono in nuclei familiari con difficoltà economiche. Sotto questo aspetto è stata sottolineata l'opportunità di offrire un servizio gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata;
    il documento conclusivo della commissione parlamentare, ha quindi evidenziato come le regioni del Sud hanno una quota decisamente più alta di cittadini e bambini obesi o in sovrappeso, quindi a rischio di ammalarsi di diabete. Il documento conclusivo ricorda come «nelle regioni del Sud, quindi, tende ad affermarsi un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di un consumo eccessivo dal cosiddetto funk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso»;
    proprio con riferimento ai cibi «spazzatura» (junkfood), non può non rilevarsi come la pubblicità di detti cibi «spazzatura», rivolta anche ai bambini, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalla grandi aziende multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato;
    sarebbe invece necessario incentivare l'alimentazione di qualità e a minor impatto ambientale;
    per ottenere cambiamenti durevoli è necessario anche un approccio finalizzato all'adozione di comportamenti alimentari corretti e al cambiamento degli stili di vita. E sotto questo aspetto un ruolo decisivo può e deve essere svolto dalla scuola;
    vale ricordare che circa l'11 per cento dei bambini non fa la prima colazione e il 28 per cento la fa in maniera non adeguata, l'82 per cento fa una merenda a scuola qualitativamente non corretta, il 41 per cento dei bambini beve ogni giorno bevande zuccherate. Così come è importante educare i bambini fin da piccoli alla pratica dello sport;
    è peraltro indispensabile prestare maggiore attenzione ai crescenti disturbi del comportamento alimentare. Spesso i primi sintomi di questi disturbi insorgono proprio in età evolutiva. In questi anni si è registrato un aumento del tasso di incidenza e, contemporaneamente, un abbassamento dell'età di insorgenza di questi fenomeni. Anche in questo caso è fondamentale il ruolo che può essere svolto dalle scuole, anche alla luce del fatto che questi disturbi non riguardano più solo gli adolescenti, ma che si stiano diffondendo anche in età pre-adolescenziale;
    una corretta educazione alimentare attraverso un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo, aiuterebbe i ragazzi a sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza, e li accompagnerebbe verso un equilibrato sviluppo e un benessere psico-fisico. Mirati progetti nelle scuole e campagne di sensibilizzazione servirebbero a prevenire anche queste patologie sempre più diffuse,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per recepire le raccomandazioni contenute nelle linee guida emanate dall'Organizzazione mondiale della sanità di cui in premessa, sulla riduzione dello zucchero presente negli alimenti, con particolare riferimento ai consumatori più giovani;
2) ad avviare tutte le iniziative utili volte a prevedere la gratuità dei percorsi e degli approfondimenti diagnostici e di prevenzione dell'obesità a favore dei minori;
3) ad assumere le opportune iniziative al fine di migliorare l'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari, rendendo più facile la lettura delle etichette e più intelligibili le informazioni, con particolare riguardo ai contenuti in grassi, grassi saturi, zuccheri, sale;
4) a prevedere l'avvio di campagne di educazione alimentare e di informazione sull'importanza dei comportamenti alimentari corretti e di una alimentazione di qualità, nonché sul tema degli sprechi alimentari;
5) ad assumere iniziative per prevedere opportune forme di disincentivazione, anche attraverso il ricorso alla leve fiscale, del cosiddetto junk food, o cibo «spazzatura»;
6) ad avviare le iniziative necessarie, anche prevedendo lo stanziamento di risorse finanziarie quale contributo a favore degli enti locali, volte a favorire l'utilizzo di alimenti di qualità, di prodotti biologici e degli alimenti a filiera corta nelle mense scolastiche, in conseguenza della loro migliore qualità e dei loro maggiori benefici ambientali;
7) a predisporre più efficaci iniziative per la lotta alla deprivazione alimentare, e per il diritto al cibo di qualità, anche attivandosi, d'intesa con gli enti territoriali, al fine di garantire il servizio della mensa scolastica gratuita per le famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata;
8) ad avviare opportuni progetti di sensibilizzazione nelle scuole, per favorire un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo, nonché per sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza, e che possono favorire i disturbi del comportamento alimentare.
(1-01443) «Nicchi, Gregori, Pannarale, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità infantile (OI) può essere considerata a buon diritto come una piaga del 21o secolo, che si è manifestata in un solo cambio generazionale. Stando alle cifre, l'obesità infantile rappresenta il paradosso dei nostri tempi: 60 miliardi di euro per ipernutrirci, 30 miliardi di euro in messaggi dei mass media per convincerci a mangiare cibo ipercalorico e 45 miliardi di euro in attività fisiche o diete per ridurne i guasti. Il cambio di abitudini alimentari rappresenta la più radicale trasformazione ambientale degli ultimi 50 anni;
    in Italia, l'elevato incremento del fenomeno dell'obesità nei fanciulli attorno ai 6 anni impone l'adozione di programmi di prevenzione precoce. Urge un'attività di sensibilizzazione dei genitori attraverso semplici azioni preventive per ridurre la prevalenza di eccesso ponderale, azioni basate ovviamente su evidenze scientifiche. La Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) insieme al Ministero della Salute con il Progetto «MiVoglioBene» hanno da tempo individuato dieci azioni di prevenzione primaria, da attuare in sinergia tra genitori e pediatri sin dai primi giorni di vita del bambino: 6 azioni riguardano la nutrizione (allattamento al seno esclusivo per almeno 6 mesi, svezzamento a partire dai 6 mesi, apporto proteico controllato nei primi 2 anni, esclusione di bevande contenenti calorie, eliminazione del biberon dai 24 mesi, uso di un atlante fotografico delle porzioni alimentari corrette), 3 riguardano lo stile di vita (mezzi di trasporto, giochi di movimento, controllo della sedentarietà), solo 1 riguarda l'identificazione preventiva dell'insorgenza di un «precoce aumento dell'adiposità (early adiposity rebound)» tramite il controllo della curva della crescita e dell'indice della massa corporea (curva del BMI: body mass index);
    dal punto di vista epidemiologico l'obesità è il disturbo nutrizionale più frequente nei Paesi occidentali. 41 milioni di bambini sotto i 5 anni in sovrappeso e obesi. In Asia quasi la metà, il 25 per cento in Africa. Ma anche i paesi ad alto reddito non se la passano meglio. Il rapporto della commissione ECHO (Ending Childhood Obesity) dell'Organizzazione mondiale della sanità, frutto di due anni di lavoro e presentato in gennaio 2016, disegna uno scenario inquietante, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: dal 1990 al 2014, infatti, il numero di bambini in sovrappeso è raddoppiato da 7,5 a 15,5 milioni;
    in una recente indagine statistica condotta in Italia dall'istituto nazionale della nutrizione e dall'ISTAT, si rileva che circa il 25 per cento della popolazione infantile italiana è in sovrappeso. La prevalenza del sovrappeso infantile ha mostrato un lento e progressivo incremento negli anni. Si è passati dal 6 per cento degli anni ’60 al 15 per cento degli anni ’80, al 20 per cento degli anni ’90, al 25 per cento degli anni dopo il 2000. Si rileva un continuo incremento di questa percentuale: il dato più allarmante è che l'obesità comparsa nell'età evolutiva persista nell'età adulta in una percentuale variabile dal 40 per cento al 60 per cento. La persistenza di obesità nell'età adulta dipende da diversi fattori che includono età d'insorgenza, grado di obesità e presenza di obesità in almeno uno dei genitori;
    quanto ai fattori di rischio, attualmente, la prevalenza di sovrappeso e obesità infantile a 6 anni in Italia è paragonabile a quella delle età successive (circa il 25 per cento); non ci sono differenze significative tra i sessi, mentre invece ci sono variazioni significative tra le diverse aree geografiche. La prevenzione, per essere efficace, è bene che cominci nei primissimi anni di vita, se non già dalla nascita;
    i principali fattori di rischio per l'obesità infantile sono stati identificati dagli studi scientifici e sono classificabili in fattori familiari e individuali. Tra i fattori familiari, i più importanti sono la presenza di obesità nei genitori e lo stile di vita familiare. Tra quelli individuali, c’è una scorretta alimentazione nei primissimi anni (ipercalorica, eccesso di proteine, grassi e zuccheri semplici) e un eccesso di attività sedentaria associato a una riduzione dell'attività motoria;
    quanto alla prevenzione primaria i programmi preventivi adottati hanno avuto scarso successo in quanto, indirizzati prevalentemente o unicamente alla classe medica, sono riusciti a coinvolgere minimamente le altre componenti sociali (famiglia, scuola, media, istituzioni, aziende commerciali). Solo azioni coordinate, nell'ambito di campagne a largo raggio, possono avere chance di successo. Senza però dimenticare che i giovani oggi sono circondati da un ambiente che è stato definito: «tossico ed obesigenico», per cui non è sufficiente un intervento sul singolo bambino, ma occorre innestare un processo positivo di ecologia alimentare, che generi comportamenti corretti ad ampio raggio e favorisca stili di vita più sani, in cui i bambini recuperino il gusto del gioco di movimento, quasi completamente soppiantato dai giochi elettronici;
    nella realtà italiana, il pediatra di libera scelta (PLS) può essere una figura cruciale della prevenzione dell'obesità, poiché il suo ruolo è fondamentale nell'acquisizione precoce di corrette abitudini alimentari e stili di vita. Pertanto, rappresenta la figura professionale che possiede i migliori requisiti in questo contesto: in genere conosce bene la famiglia, segue il bambino dalla nascita fino almeno ai 6 anni di vita (età di esclusiva) utilizzando al riguardo i bilanci di salute (8 visite di controllo a tempi codificati nei primi 6 anni di vita), vale a dire momenti istituzionalmente dedicati alla prevenzione. Inoltre, ha ulteriori frequenti occasioni di contatto con il bambino e la sua famiglia per rafforzare il suo ruolo educativo e per interpretare il pattern di crescita del bambino, comunicandone ai genitori eventuali deviazioni dalla norma. Il pediatra di libera scelta può diventare con la sua insostituibile presenza l'attore principale nella prevenzione della patologia cronica. Perché ciò si realizzi serve il completamento della «rivoluzione del ruolo», peraltro già in atto negli ultimi anni, che vada oltre la pur indispensabile gestione e cura della patologia acuta e il mero regime dei controlli di routine;
    sebbene siano noti alla comunità scientifica internazionale i pilastri della prevenzione precoce dell'obesità, ad oggi nessun progetto è stato applicato su vasta scala ai giovani italiani. Ciò può dipendere anche da lacune organizzative, e la pediatria di libera scelta nel nostro Paese può rappresentare una risorsa non comune. È indubitabile che alcuni pediatri di libera scelta, e forse molti, siano già sensibilizzati al problema e si adoperino attivamente nella pratica quotidiana, in base alle loro conoscenze e abilità individuali. La novità del progetto sussiste nel definire una «finestra» di presunta maggiore efficacia per le singole azioni, differente per ognuna di esse;
    dal punto di vista dell'eziopatogenesi, considerando l'alta percentuale di insuccesso a lungo termine nel trattamento dell'obesità in età adulta, è necessario intervenire sui fattori di rischio eziopatogenetici dell'obesità, già nella prima infanzia. Fisiologicamente il bambino mostra una grande stabilità di accrescimento ponderale, staturale e della massa adiposa. Il rapporto dinamico evolutivo tra massa magra e massa grassa è finemente regolato da un sistema integrato di relazioni psico-neuro-endocrino-immunitarie (PNEI), influenzate da: familiarità, scelte alimentari, dispendio energetico e relazioni psico-affettive;
    sul piano della familiarità, solo nell'1 per cento dei bambini l'obesità è dipendente da sindrome genetica in senso stretto. Nel 99 per cento dei casi l'obesità infantile è primitiva o essenziale. Per familiarità, si deve intendere l'insieme dei fattori interagenti nell'ambiente familiare, spesso dipendenti dalla presenza di obesità parentale. I dati riportati in letteratura forniscono prove consistenti sul ruolo delle abitudini nutrizionali della famiglia obesa, in relazione all'influenza esercitata dai genitori sull'entità dell'apporto alimentare e sulle scelte alimentari dei figli. L'evenienza di uno o più genitori con eccesso ponderale rappresenta un rischio maggiore di obesità nei figli. La percentuale è del 34 per cento se entrambi i genitori sono obesi; è del 25 per cento se solo uno dei genitori è obeso; scende al 18 per cento se nessuno dei due genitori presenta eccesso ponderale;
    l'analisi delle preferenze alimentari del bambino obeso mostra la tendenza ad assumere una quota eccessiva di lipidi, proporzionale al proprio livello di adiposità ed al grado di adiposità riscontrato nella madre. Lo stretto legame che unisce metabolicamente il bambino alla madre inizia già nella vita fetale. La formazione dei centri ipotalamici responsabili della regolazione della fame e sazietà inizia, nel feto, nel 1o-2o trimestre di gravidanza. Nel 3o trimestre il numero degli adipociti aumenta. L'evoluzione embrionale è, quindi, significativamente influenzata dalla situazione nutrizionale ed endocrino-metabolica della madre, che costituisce un fattore associato alla comparsa di obesità nel bambino. La correzione degli errori alimentari materni durante la gravidanza è il primo «step» preventivo dell'obesità infantile;
    dal punto di vista dell'alimentazione in gravidanza numerose evidenze scientifiche hanno ripetutamente evidenziato come il diabete non insulino-dipendente e l'obesità durante la gravidanza rappresentino fattori favorenti la comparsa di obesità infantile. Nella donna normopeso in gravidanza, un aumento medio di 9-11 chilogrammi rispetto al peso iniziale (qualunque esso sia), ha sicuramente un ruolo protettivo nei confronti del successivo sviluppo di obesità. Viceversa, l'incremento di peso oltre questo valore e l'ipernutrizione nel 3o trimestre di gravidanza, sono adipo-genetici. È opportuno, quindi, programmare una dieta ipocalorica bilanciata durante l'intera gravidanza delle donne obese e prescrivere una dieta normo-calorica nel 3o trimestre di gestazione delle donne normopeso; ulteriori fattori di rischio in gravidanza sono, a parere dei presentatori del presente atto di indirizzo, i tossici assunti con gli alimenti. Tuttavia, pochi sono gli studi sulla correlazione tra tossici alimentari, nutrizione in gravidanza e possibili effetti sul sistema nervoso immunitario ed endocrino fetale;
    l'ipotesi è che il feto subisca effetti disregolativi da carico tossico alimentare e da carenze qualitative presenti nella dieta materna, soprattutto se contiene cibo manipolato industrialmente. Ulteriori fattori materni di rischio sono rappresentati dai disturbi flogistici cronici intestinali, in particolare da disbiosi putrefattiva, stipsi ed intolleranze alimentari. Le recenti ricerche in ambito psico-neuro-endocrino-immunitario evidenziano come le citochine pro infiammatorie, la leptina ed altri neuro-ormoni possano svolgere un ruolo centrale nella modulazione del metabolismo della cellula adiposa; è la qualità del rapporto madre-figlio ad operare questa diversificazione. La lentezza di sviluppo e la prolungata dipendenza materna, programmata naturalmente, è giustificata dal vantaggio che ne deriva nell'apprendimento e nella maturazione psico-comportamentale. Il bambino allattato su sua richiesta, prende ogni volta piccole quantità di latte. Non ha, quindi, bisogno di riserve;
    le esigenze nutrizionali del bambino nella seconda infanzia sono differenti da quelle del lattante. In natura, nessun mammifero consuma in nessuna epoca della vita il latte di un'altra specie. Nel caso dell'uomo, il consumo di latte di altra specie (mucca in particolare) sin dai primissimi anni di vita è considerato fisiologico e raccomandato dall'industria alimentare nonostante il latte vaccino sia previsto in natura per la crescita del vitello e sia molto diverso per composizione da quello umano;
    sul piano dell'allattamento artificiale il latte vaccino contiene una quantità eccessiva di proteine. L'allattamento al seno appartiene a questo progetto naturale e fornisce al bambino un alimento adeguato alle proprie esigenze nutrizionali, immunitarie e di sviluppo. Il latte umano è molto ricco di acqua e povero di grassi e proteine. Contiene in prevalenza caseina, piuttosto che lattoglobuline. La caseina, in presenza dei succhi gastrici, può formare nello stomaco grossi coaguli (latte cagliato) che inducono sazietà per circa 4 ore dopo la poppata. Contiene lipidi in quantità lievemente superiore al latte umano rappresentati prevalentemente da grassi saturi; un ulteriore fattore di rischio per il lattante nutrito con latte vaccino deriva dalla carenza del mix vitaminico essenziale, tipica del latte vaccino, che contiene dal 50 all'80 per cento in meno rispetto al fabbisogno. Il maggior apporto calorico, l'eccesso di proteine e grassi saturi, le difficoltà digestive indotte e lo stress immunitario da intolleranza squilibrano l'asse neuro-immuno-endocrino di regolazione dell'adipogenesi normalmente presente fino ai 2 anni di vita. L'indispensabile ricorso al biberon, caratteristico dell'allattamento artificiale, provoca una riduzione del dispendio energetico neonatale rappresentando un'ulteriore fattore di rischio adipogenetico;
    per quanto concerne l'allattamento al seno il neonato sfrutta al 100 per cento il minor contenuto di proteine del latte materno, caratterizzato dalla prevalenza di lattoglobuline rispetto alla caseina. La maggior presenza in glicidi (in particolare lattosio) facilmente digeribili, migliora l'utilizzazione proteica e l'assorbimento del calcio. Il ridotto contenuto in lipidi modula, invece, la durata della poppata. Il minor valore calorico viene compensato dal lattante, che succhia più a lungo il seno materno, soprattutto nella parte finale della poppata, più ricca in lipidi, per ottenere il desiderato apporto calorico. Mentre il latte vaccino è caratterizzato da una composizione fissa di nutrienti, la composizione del latte materno cambia in progressione con la crescita del neonato, adattandosi alle sue esigenze. È evidente che solo con un allattamento a richiesta e non ad orari fissi il bambino può autoregolarsi, imparando a modulare il meccanismo fame/sazietà. Impegnerà, inoltre, uno sforzo importante nell'atto di suzione regolando il dispendio energetico;
    l'allattamento a richiesta e lo sforzo della suzione vengono indicati come protettivi nei confronti dell'insorgenza di obesità infantile. L'esperienza suggerisce che il prezioso contributo in simbionti di specie e in IgA secretorie fornite al lattante con il colostro e successivamente con il latte materno, svolga un ruolo fondamentale nella maturazione del sistema immunitario intestinale (GALT). Si ritiene che durante lo svezzamento la mucosa intestinale del neonato, mantenutasi integra grazie a queste preziose componenti, consenta la graduale introduzione di antigeni alimentari;
    vi sono quattro errori più frequenti nella dieta dei bambini obesi; è stato posto l'accento su alcuni indicatori specifici degli stili alimentari dei bambini obesi per comprendere il legame tra stile di alimentazione e salute. In particolare sono stati esaminati i dati su:
     colazione non adeguata; nel 2012 la quota di bambini e ragazzi di 3-17 anni che fa una colazione non adeguata era pari al 9,9 per cento sono soprattutto i ragazzi di 11-17 anni a caratterizzarsi per questo comportamento alimentare (16,7 per cento), mentre tra i più piccoli di 3-10 anni tale quota scende al 3,9 per cento;
     consumo di snack almeno una volta al giorno; riguarda il 14,2 per cento dei 3-17enni, con quote più elevate registrate anche in questo caso tra i più grandi (11,4 per cento 3-10 anni contro 17,4 per cento 11-17 anni). Anche per il consumo giornaliero di snack si ripropone la stessa associazione inversa, con il titolo di studio delle madri: la percentuale di consumo di snack aumenta man mano che si abbassa il livello di istruzione;
     consumo giornaliero di verdura, ortaggi e frutta: la quota di bambini e ragazzi che consuma 4 o più porzioni di frutta e verdura al giorno è pari al 12 per cento mentre il 63,2 per cento si caratterizza per un consumo più basso, cioè fino a 3 porzioni;
     consumo di più di mezzo litro di bevande gassate al giorno: i dati del 2012 rilevano la relazione con il titolo di studio delle madri; la quota di consumatori quotidiani di più di mezzo litro di bevande gassate tra i ragazzi di 11-17 anni è pari al 4,7 per cento se le madri sono laureate, al 10,4 per cento se hanno il diploma di scuola superiore all'8,6 per cento se completato solo la scuola dell'obbligo;
    va poi tenuto conto del ruolo degli zuccheri nella dieta del bambino obeso; lo zucchero per molti secoli non ha fatto parte dell'alimentazione abituale dell'uomo, al suo posto si usava soprattutto il miele. Rientrava tra le spezie importate dall'oriente e rivendute a caro prezzo. Tentativi di coltivare la canna da zucchero anche in Europa, in particolare in Sicilia non dettero buoni risultati, solo grazie alla coltivazione della barbabietola da zucchero si svilupparono gli zuccherifici in Europa, con l'ovvia diminuzione dei prezzi dello zucchero e l'aumento del suo consumo, divenuto più accessibile;
    dopo l'avvento delle bibite zuccherate e gassate (e dei distributori automatici), si è passati al consumo quotidiano e di massa; oggigiorno è acclarato come il consumo incontrollato delle «bevande di fantasia zuccherate» sia una delle cause principali dell'obesità infantile e dell'età adulta, mentre fino a pochi decenni fa il mondo scientifico ancora dibatteva per la mancanza di prove scientifiche decisive. Grazie ad uno studio pubblicato nel 2001, è stato dimostrato che la prima causa di obesità dei bambini americani è il consumo abituale di bevande gassate e zuccherate, mentre altri studi confermano le osservazioni anche negli adulti ed evidenziano che causa importante di obesità è la frequentazione dei fast-food;
    l'organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha diffuso la raccomandazione di contenere il consumo di zucchero entro il 10 per cento delle calorie totali (circa 50 grammi di zucchero al giorno per un uomo che consumi 2.000-2.500 chilocalorie), mentre i nuovi livelli di assunzione di riferimento dei nutrienti ed energia – LARN – (le raccomandazioni italiane) raccomandano di contenere il consumo di zuccheri semplici, siano essi naturalmente presenti negli alimenti, come in frutta, latte, siano essi aggiunti, nell'ambito del 15 per cento del fabbisogno, specificando però che un consumo «potenzialmente legato a eventi avversi» riguarda valori superiori al 25 per cento del fabbisogno. Nell'aprile 2014, l'obesità infantile rivisto al ribasso la percentuale di consumo di zucchero dal 10 per cento al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente;
    le raccomandazioni dell'Oms sono state osteggiate dalle grandi corporation alimentari, che le ritengono prive di prove scientifiche;
    vanno anche considerate le conseguenze dell'obesità infantile sul piano della salute fisica; l'obesità infantile preoccupa in quanto i bambini obesi hanno maggiori possibilità di divenire adulti obesi e di conseguenza di avere un maggior rischio di sviluppare una serie di condizioni patologiche, quali i tumori (in particolare al seno, al corpo dell'utero e al colon-retto), diverse patologie croniche come le malattie cardiovascolari (ischemie, ictus), l'ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, problemi muscolo-scheletrici e respiratori;
    è necessario tenere conto del fatto che circa il 50 per cento degli adolescenti obesi (con indici di massa corporea pari o superiore al 95o percentile) tende a diventare un adulto obeso. Inoltre, i fattori di rischio per le malattie degli adulti che sono associati con l'obesità nei bambini e negli adolescenti persistono in età adulta o aumentano in termini di prevalenza all'aumentare del peso. Non vanno dimenticate le conseguenze sul piano emotivo e sociale dell'obesità, tra cui bassa autostima e ridotte relazioni sociali. I bambini obesi sono a rischio di stigmatizzazione ed esclusione sociale, con conseguente maggiore rischio di abbandono scolastico, più basso rendimento scolastico, ridotta stabilità occupazionale e più basso livello di retribuzione salariale. Peraltro, i bambini obesi sperimentano peggiori condizioni di salute mentale e fisica, infatti sono comuni tra loro i problemi respiratori, l'ipertensione, la resistenza all'insulina e problemi osteo-articolari;
    si rilevano inoltre complicanze immediate: sul piano psicologico, si notano disturbi del comportamento correlati al peso corporeo. Le immagini fisiche che i mass inedia trasmettono come modelli estetici da emulare non hanno nulla che faccia pensare ad una forma fisica che una volta sarebbe stata identificata come quella di un bambino sano, magari appena un po’ «rotondetto». Oggi l'immagine prevalente della perfetta forma fisica ha tratti quasi anoressici, per cui è facile immaginare il disagio del ragazzo rispetto ai modelli di successo vincente. Il bambino obeso diventa così un caso emblematico di esposizione alla emarginazione, per incapacità di rispondere ai canoni estetici del momento. Si espone alle ironie dei compagni, a forme di bullismo da non sottovalutare, a complessi di inferiorità che appaiono come vere e proprie forme di depressione infantile, che paradossalmente inducono i bambini a cercare ancor più nel cibo la loro soddisfazione;
    vanno considerati altresì i problemi ortopedici: le alterazioni scheletriche sono dovute all'eccessivo sovraccarico sulle cartilagini di crescita non ancora saldate degli arti inferiori. Esse riguardano con maggior frequenza il ginocchio valgo e il piede piatto funzionale o piede piatto valgo essenziale. Sotto il peso eccessivo, la volta plantare appare appiattita e slargata; la testa dell'astragalo e lo scafoide sporgono medialmente ed il tallone è in valgo. Il cedimento dell'arco plantare, a volte più accentuato in un piede, può determinare lievi asimmetrie delle anche (triangoli della taglia) e risultare in atteggiamenti scoliotici. Altre alterazioni scheletriche possono essere rappresentate dalla malattia di Blount e dalla epifisiolisi dell'anca;
    si rilevano anche i problemi respiratori: la maggior parte dei bambini obesi non presenta disturbi respiratori clinicamente evidenti. La dispnea dopo esercizio fisico è causata da un aumentato lavoro cardiaco dovuto al sovraccarico e ad una limitazione funzionale respiratoria dovuta al maggior lavoro dei muscoli respiratori. Infatti, la parete toracica offre più resistenza ed il diaframma deve muoversi contro una aumentata pressione addominale. D'altra parte, l'ipossia e l'ipercapnia dopo sforzo riducono la contrattilità muscolare ed accelerano l'insorgenza di fatica muscolare;
    va inoltre tenuto conto dei problemi gastroenterologici: in età evolutiva l'obesità avrebbe un ruolo determinante nella formazione di calcoli biliari nell'8-33 per cento dei casi. Si stima che adolescenti obesi abbiano un rischio quadruplicato di sviluppare calcolosi rispetto ad adolescenti normopeso. L'aumentata attività lipolitica nei soggetti obesi conduce ad alterazioni epatiche. Circa il 20-25 per cento dei bambini obesi presenta iper-transaminasemia e sono riscontrabili segni ecografici di steatosi epatica. Il peggioramento dello stato di obesità, la sua durata, ed il sesso maschile favoriscono la progressione della steatosi verso una fibrosi. Sia l'ipertransaminasemia che la steatosi sono condizioni reversibili con il calo ponderale;
    si rilevano altresì i problemi neurologici: lo pseudotumor cerebri è caratterizzato da cefalea, vomito e disturbi della visione. L'aumentata pressione intra-addominale causa aumento della pressione polmonare che si ripercuote sulla emodinamica cerebrale per una aumentata resistenza al ritorno venoso. L'obesità è presente nel 30-80 per cento dei bambini con pseudotumor cerebri. Si evidenziano anche alterazioni dell'accrescimento. L'obesità semplice in età pediatrica comporta quasi sempre un aumento staturale per l'età cronologica ed una avanzata maturazione ossea. Tant’è che, in presenza di un bambino con obesità di grado elevato e ritardo staturale, una volta esclusa una bassa statura familiare, devono essere sempre ricercati altri segni e caratteristiche tali da porre correttamente una diagnosi differenziale tra obesità primaria e secondaria a patologia endocrina o sindromica. Spesso, soprattutto nelle femmine, è presente uno sviluppo sessuale anticipato. Le carte di crescita del bambino obeso mostrano che durante la prepubertà, i soggetti obesi, sia maschi che femmine, presentano una statura superiore a quella della popolazione normopeso. A partire dall'età di 13 e 12.5 anni, rispettivamente per i maschi e per le femmine, il vantaggio staturale viene gradatamente perduto fino all'età adulta in cui i soggetti obesi vedono pareggiare la loro statura definitiva con quella della popolazione normale;
    vanno anche considerate le conseguenze a medio e lungo termine: le complicanze metaboliche sono strettamente collegate alla insulino-resistenza (IR) ed alla topografia del grasso. Questa associazione predispone precocemente alla intolleranza ai carboidrati ed al diabete tipo II (DB2). L'obesità nel periodo adolescenziale presenta un maggior rischio metabolico in quanto, in questo periodo della vita, come è noto, esiste una resistenza all'insulina «fisiologica»;
    si evidenziano altresì i fattori di rischio per la patologia cardiovascolare. Alle luce di nuove acquisizioni, oggi l'obesità può essere intesa come una vera e propria patologia flogogena innescante processi aterosclerotici precoci sganciati dai tradizionali fattori di rischio aterogeno che nel tempo conducono alla patologia cardio e cerebrovascolare. È oramai dimostrato che il tessuto adiposo produce TNF-alfa, IL-6 ed IL-1beta. Il TNF-alfa è un potente stimolatore della espressione di adesine endoteliali. La IL-6 induce la riduzione di NO, il recruitment dei leucociti, agisce come un co-stimolatore della produzione sia di fibrinogeno che di PAI-1. L'endotelio, così attivato, risponde con l'espressione di molecole specifiche, definite adesine o molecole di adesione endoteliale che permettono il contenimento e la successiva eliminazione dello stimolo stesso;
    sul piano della spesa pubblica, l'obesità comporta elevati costi per la società: costi diretti, costituiti dalle risorse spese per la diagnosi ed il trattamento dell'obesità in se stessa e delle patologie ad esso correlate, e costi indiretti, dovuti alla perdita di produttività causata dalle maggiori assenze dal lavoro delle persone obese e dalla loro morte prematura. Secondo le ultime stime, l'Oms, circa il 7 per cento del budget sanitario dei Paesi europei viene speso per malattie legate all'obesità;
    un paziente obeso ha un impatto sulle casse del sistema sanitario nazionale fino al 51 per cento in più rispetto a uno normopeso. E in Italia, dove la percentuale di obesi supera il 20 per cento della popolazione, i chili in eccesso hanno un costo sanitario di 2,5 miliardi di euro all'anno. In assenza di una chiara azione dei policy maker, il fenomeno è destinato a crescere, rischiando di mettere a dura prova non solo la salute degli italiani, ma anche la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario;
    le questioni sottese al sovrappeso e all'obesità sono, quindi, un problema di massima importanza per i sistemi sanitari, specialmente in un Paese come l'Italia che, insieme a Grecia e Stati Uniti, vince il primato dell'eccesso ponderale tra le generazioni più giovani, dove un bambino su tre è sovrappeso o obeso. L'obesità è fortemente legata alle condizioni socio-economiche, specialmente nelle donne. Problema ancor più grande se si considera l'importanza del ruolo femminile sulle generazioni future, nell’imprinting metabolico e nella formazione delle abitudini alimentari;
    la recente crisi economica ha ulteriormente pesato sulle abitudini alimentari, aumentando il consumo di cibo spazzatura e il ricorso ai prodotti discount, spesso pre-cotti, fortemente processati, abbondanti in grassi saturi, zuccheri aggiusti e sale. Numerosi studi evidenziano che durante le crisi economiche il prezzo per chilocaloria scende in relazione all'aumento della densità calorica dei cibi consumati e contemporaneamente diminuisce il consumo di frutta e verdura, secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), dal 2008 in Italia e in altri Paesi colpiti dalla crisi questo fenomeno è stato molto marcato. Questo ha comportato una totale inversione rispetto alla situazione del passato: mentre nei secoli precedenti i poveri erano magri a causa della scarsità di cibo assunto e i ricchi frequentemente erano obesi a causa dell'eccesso di cibo assunto, oggi i poveri sono obesi a causa del cibo spazzatura, mentre i ricchi sono magri perché controllano la propria alimentazione, che è comunque di qualità più elevata e meglio bilanciata;
    per quanto concerne la cura, vanno evidenziati:
     a) l'approccio educazionale, in quanto secondo molti esperti, questo è fondamentale per ottenere risultati concreti e duraturi perché solo la consapevolezza può spingere i consumatori a fare scelte razionali ogni giorno respingendo l'assalto del marketing della malnutrizione. Gli alimenti altamente processati dell'industria alimentare sono progettati per ingannare i meccanismi biologici che stanno alla base della nostra fame/sazietà e sono quindi parte integrante dell'ambiente «obesogeno» che ha causato l'esplosione dell'obesità nel mondo. Molti alimenti indirizzati dal mercato alla colazione o merenda dei ragazzi sono spesso accompagnati da «regalini», «sorpresine» e più in generale da una serie di gadget che non hanno nulla a che vedere con la qualità dell'alimento ma che di fatto finiscono per condizionare molto le scelte dei ragazzi e delle famiglie, mentre non è altrettanto facile accostare la frutta ed alimenti affini a gadgetistica, sfavorendo l'alimento di qualità rispetto a quello meno indicato per una sana alimentazione;
     b) la terapia dietetica poiché il metodo classico di trattamento dell'obesità infantile prevede, come nell'adulto, l'impostazione di un regime dietetico con apporto calorico ridotto rispetto al fabbisogno energetico per età sesso ed attività fisica. È raccomandata una dieta bilanciata, moderatamente ipocalorica, costruita sulla base delle tavole relative al dispendio energetico a riposo (REE) stabilita dalla Fao/Oms. Il ridotto apporto calorico si basa fondamentalmente sulla diminuzione della percentuale lipidica. Nel lattante e nel bambino in rapida crescita, fino a 2 anni, tuttavia, non è consigliabile abbassare la quota lipidica sotto il 30 per cento delle calorie totali;
     c) è dimostrato che il ricorso al «cibo spazzatura» da parte dei bambini dipende anche dalla quantità di ore passate davanti alla televisione ed alla scarsa cultura alimentare della famiglia. Il maggior carico tossico alimentare ed il progressivo instaurarsi di carenze in micronutrienti provoca e sostiene l'obesità infantile. Si può definire il bambino obeso come ipernutrito in macronutrienti ed iponutrito in micronutrienti. Per questa ragione l'intervento dietetico deve estendersi all'ambiente familiare attraverso una corretta informazione ed educazione alimentare dell'intero gruppo parentale e degli insegnanti. È auspicabile che siano i genitori in primis ad introdurre gradualmente le modificazioni dello stile alimentare consigliate dal pediatra e/o dal dietologo. È ovviamente necessario che i cibi sconsigliati al bambino non siano facilmente accessibili e che tutta la famiglia si adegui alle indicazioni dietetiche previste;
     d) la terapia farmacologica in quanto l'approccio farmacologico con anoressizzanti centrali è sconsigliato in età evolutiva,

impegna il Governo:

1) ad aggiornare e a prevedere un'applicazione estesa, obbligatoria e permanente in ambito scolastico del progetto «MiVoglioBene» predisposto dal Ministero della salute assieme alla Società italiana di pediatria (SIP) e la Società di pediatria preventiva e sociale (SIPPS) con il quale sono state individuate dieci azioni di prevenzione primaria, attuate in sinergia da genitori e pediatra sin dai primi giorni di vita del bambino;
2) ad assumere iniziative per riconsiderare la composizione dei menù delle scuole per garantire qualità dei prodotti tenendo conto delle esigenze dei bambini, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche sull'argomento;
3) ad assumere iniziative per accrescere il ruolo e i compiti del pediatra di libera scelta (PLS) quale attore principale nella prevenzione della patologia dell'obesità infantile in ambito familiare, introducendo l'obbligatorietà del controllo della curva della crescita e dell'indice della massa corporea;
4) a rilanciare l'attività fisica nelle scuole, quale obbligo necessario allo sviluppo equilibrato dei minori e a favorirla anche in ambito extrascolastico, eventualmente valutando l'ampliamento delle agevolazioni fiscali ed economiche volte a favorire la pratica sportiva;
5) a promuovere una campagna di sensibilizzazione, per mezzo di specifici spot sui principali organi di stampa e/o con pubblicità progresso in tv, per indicare i valori di una sana alimentazione, con l'obiettivo di evitare che la piaga dell'obesità si estenda in modo irreversibile;
6) a collaborare con le industrie alimentari per un miglioramento della qualità nutrizionale dei prodotti confezionati, anche assumendo iniziative affinché da parte dei produttori ci sia una significativa riduzione della quota di zucchero saccarosio contenuto negli alimenti messi in commercio e ridimensionando l'utilizzo di farine e cereali raffinati, oltre che di grassi saturi, nonché di lieviti non naturali, con particolare riferimento agli alimenti per la colazione e la merenda dei minori;
7) ad assumere iniziative normative affinché nelle confezioni dei prodotti destinati ai più giovani e nelle bevande gassate zuccherate siano riportate etichette o scritte che indichino il rischio di obesità associato al consumo squilibrato dello zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) in esso contenuto;
8) ad assumere iniziative normative per limitare l'associazione di gadget agli alimenti per colazione e merende chiaramente riservate ai più piccoli;
9) a dare piena ed esaustiva applicazione al regolamento (UE) n. 1169/2011 al fine di garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano.
(1-01444) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    la dichiarazione universale di diritti umani adottata dall'Onu il 10 dicembre 1948 all'articolo 25 sancisce che ogni individuo ha diritto, tra l'altro, ad una sana e adeguata alimentazione;
    l'Organizzazione mondiale della sanità e la Fao – Food and Agricolture Organization – hanno dato una precisa definizione di educazione alimentare come «processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale miglioramento dello stato di nutrizione degli individui attraverso la promozione di adeguate abitudini alimentari, l'eliminazione dei comportamenti alimentari scorretti, l'utilizzazione di manipolazioni più igieniche degli alimenti ed un efficiente utilizzo delle risorse alimentari»;
    affrontare le tematiche legate alla produzione, all'uso e al consumo del cibo è considerato, ormai da tempo, fondamentale anche al livello delle istituzioni europee, al fine di accrescere competenze e consapevolezza in materia di sana alimentazione e per contribuire all'individuazione di strategie volte a garantire Food safety e Food Security per le popolazioni del pianeta;
    lo sviluppo delle società tecnologicamente avanzate ha determinato l'affermarsi di stili di vita caratterizzati dal progressivo aumento delle attività sedentarie e da una conseguente minore riduzione del consumo energetico e del fabbisogno di apporto di cibo; gli stessi cambiamenti culturali non sono rilevabili nei consumi alimentari che, in alcuni casi, rimangono invariati, ove non aumentano;
    la diffusione di pratiche negative legate all'alimentazione ha determinato una diffusione di sovrappeso e obesità tra la popolazione dei Paesi sviluppati e ha portato, in particolar modo nella fascia adolescenziale, alla diffusione dei disturbi dell'alimentazione – quali bulimia e anoressia;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) i bambini in eccesso ponderale nel mondo sono 44 milioni;
    in Italia, il fenomeno dell'obesità infantile sta assumendo dimensioni preoccupanti; si stima che i bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di eccesso ponderale, in Italia, siano ben 1.100.000. Il 12 per cento dei bambini risulta obeso, mentre il 24 per cento è in sovrappeso: più di un bambino su tre, quindi, ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età;
    nel rapporto «Obesità in bambini e giovani: Una crisi nella sanità pubblica» scritto da un gruppo di esperti internazionali (IOTF) facente capo alla Who (World Health Organization), ed in collaborazione con la Iaso (l'Associazione internazionale per lo studio sull'obesità), sono state identificate le principali tendenze sociali che contribuiscono all'aumento dell'obesità infantile, evidenziando che questa è il risultato di diverse cause che interagiscono tra loro tra le quali si possono individuare in via principale sedentarietà, cattiva alimentazione e fattori genetici;
    in Italia, il tasso di sedentarietà è tre volte superiore a quello degli altri Paesi europei. Secondo i pediatri il dato allarmante riguarda in particolare i sedentari assoluti, ovvero coloro che non praticano né sport né qualunque tipo di attività fisica. I bambini tendono ormai a muoversi poco, non giocano nei parchi o nei cortili, passano la maggior parte del loro tempo libero davanti alla tv o a un tablet, si rileva un aumento dell'uso del trasporto motorizzato. Al contrario, l'attività fisica l'esercizio fisico per i bambini è di fondamentale importanza non solo ai fini del dimagrimento, ma soprattutto in rapporto agli effetti che questa determina sulla redistribuzione delle proporzioni tra massa grassa (tessuto adiposo) e massa magra (tessuto muscolare);
    nelle abitudini alimentari dei bambini si registra un aumento della quantità e varietà degli alimenti grassi ed energetici, l'aumento dell'uso di ristoranti e fast-food per pranzare e cenare, un incremento dell'uso di bibite analcoliche dolci e gasate come sostituto dell'acqua; il tutto sostenuto da una crescente invasività delle campagne pubblicitarie destinate all'infanzia e all'adolescenza che esortano al consumo di questi prodotti;
    sovrappeso e obesità rappresentano fattori di rischio dell'insorgenza di malattie croniche quali: malattie cardiache e respiratorie, diabete mellito non-insulino dipendente o diabete di Tipo 2, ipertensione e alcune forme di cancro, come anche il rischio di morte precoce;
    nell'ambito delle strategie europee di contrasto delle malattie croniche una alimentazione non corretta è stata individuata tra i quattro principali fattori di rischio all'insorgenza di malattie cronico-degenerative;
    le nuove grandi patologie sociali quali obesità, malattie cardiovascolari, tumori, sono caratteristiche delle moderne società e sono strettamente connesse alle abitudini alimentari;
    l'osservazione delle dinamiche sociali ha dimostrato come la salute fisica e l'educazione del singolo contribuiscano fortemente alla salute anche della comunità: a tal fine, appare di rilevante importanza tener presente che una sana educazione alimentare determina rapporti con il cibo costruttivi e sereni e non distruttivi e che una sana e corretta alimentazione, un corretto rapporto con il cibo, a partire già dall'età infantile, producono i loro effetti in età adulta;
    l'iperalimentazione nei primi due anni di vita, oltre a causare un aumento di volume delle cellule adipose (ipertrofia), determina anche un aumento del loro numero (iperplasia): da adulti, pertanto, si avrà una maggiore predisposizione all'obesità ed una difficoltà a scendere di peso o a mantenerlo nei limiti, perché sarà possibile ridurre le dimensioni delle cellule, ma non sarà possibile eliminarle. Intervenire durante l'età evolutiva è quindi di fondamentale importanza, perché dà la garanzia di risultati migliori e duraturi; vi sono poi conseguenze più gravi cui è associata l'obesità infantile, alcune ad insorgenza precoce come i problemi di tipo respiratorio, articolare, disturbi dell'apparato digerente, e altre di natura psicologica, come la perdita di autostima e la non accettazione di sé, altre ancora ad insorgenza tardiva come le disfunzioni di natura cardiocircolatoria, muscoloscheletrica, metabolica e disturbi alimentari, fino allo sviluppo di tumori del tratto gastroenterico;
    in questo contesto si impone la necessità di approfondire l'analisi delle tematiche legate al cibo a partire da quelle fisiologiche, immediatamente individuabili, ma anche in relazione all'idea di cibo come portatore di significati psicologici, sociali e culturali;
    risulta di fondamentale importanza che, ad una corretta e attenta educazione all'alimentazione, si affianchi anche l'educazione alla attività fisica, motoria nella scuola e sportiva in generale, per il mantenimento di un equilibrato consumo energetico e di un buon stato di salute;
    la scuola, nell'ambito del suo ruolo istituzionale di agenzia educativa e formativa, deve assumere il compito di agente propulsore di progetti e iniziative volte ad approfondire la sensibilità verso le tematiche della salute e della sana alimentazione e della riduzione degli sprechi;
    da anni, sono attivati progetti di educazione alimentare nelle istituzioni scolastiche, a livello territoriale in collaborazione con gli enti locali, ma soprattutto a livello nazionale, europeo e internazionale, collaborando con agenzie quali l'Oms;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca partecipa in accordo con il Ministero della salute, al progetto «OKKIO alla salute» finalizzato alla raccolta di dati sulla prevalenza di eccesso ponderale, esercizio fisico e sedentarietà dei bambini della terza classe della scuola primaria nel contesto scolastico e in quello familiare; dati con i quali l'Italia partecipa all'iniziativa della regione europea dell'Oms denominata «COSI – Childhood Obesity Surveilance Initiative »;
    in materia di educazione alimentare è stato avviato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra il 2009 e il 2012, il Programma Nazionale Pluriennale «Scuola e Cibo – Piani di educazione Scolastica Alimentare», volto ad inserire l'educazione alimentare come materia trasversale e interdisciplinare, con l'intento di sviluppare temi sia dell'educazione alimentare che dell'educazione al movimento e allo sport, anche nell'ambito del tema dell'interculturalità e dell'educazione allo sviluppo sostenibile;
    il sistema scolastico rappresenta il naturale soggetto che può farsi portatore delle istanze di innovazione e riappropriazione emotiva e culturale del patrimonio alimentare del Paese inteso non solo come valorizzazione dei singoli prodotti, ma anche delle relazioni che legano questi alle persone, alle tradizioni, allo sviluppo economico e all'industria;
    nel corso degli anni, l'esperienza ha mostrato l'importanza di far convergere i molteplici progetti che sono stati messi in atto localmente al fine di non disperderne la ricchezza ma anche la capacità di incidenza;
    una corretta educazione alle scelte alimentari consapevoli è una scommessa educativa da cui non si può prescindere: l'educazione alimentare non rappresenta soltanto una risorsa legata alle modalità di assunzione del cibo ma, tanto più in un Paese come l'Italia, attraversato da tradizioni culinarie così variegate e numerose, un tratto di appartenenza alla comunità, un motivo e una causa di identità, un legame forte con la terra e la cultura, con il proprio linguaggio, con le tradizioni; in particolare, è importante che il rapporto dei bambini con il cibo rafforzi in loro il senso della memoria e porti la comunità a mantenere, confermare, e tenere vive le nostre tradizioni;
    la dieta mediterranea non a caso è stata dichiarata patrimonio immateriale dell'umanità dall'Unesco proprio in quanto frutto di tradizioni radicate in un tempo lontano, fondate sulla grande biodiversità che caratterizza il nostro territorio; nel volume «The mediterranean Diet – An evidence Based Approach» edito da Elsevier, curato dagli scienziati in nutrizione del prestigioso King's College di Londra, redatto con la collaborazione di scienziati di tutto il mondo, la dieta mediterranea, viene individuata come strumento essenziale per la promozione della salute capace di cogliere le nuove esigenze della società odierna e delle modifiche dello stile di vita, tra cui certamente troviamo la riduzione della spesa calorica;
    la valorizzazione delle tradizioni ha importanti ricadute anche sul piano economico: non va dimenticato che gli italiani esportano all'estero, oltre i prodotti, anche la propria competenza e le proprie conoscenze nel settore agroalimentare;
    la specificità del sistema italiano, capace di rispettare la tradizione, ma anche di introdurre innovazioni, ha dato vita ad un sistema culturale alimentare ed enogastronomico di alta qualità diffuso tra la popolazione italiana e storicamente molto apprezzata all'estero, che rappresenta per il sistema Paese e per i singoli un ingente patrimonio di inestimabile valore;
    gli importanti cambiamenti che i consumi alimentari stanno subendo, per cui da consumi quantitativamente caratterizzati stanno diventando sempre di più connotati qualitativamente, hanno influito sui metodi di coltivazione, di preparazione e conservazione dei cibi;
    l'obiettivo dell'educazione alimentare, oltre a quello di informare in merito alle abitudini alimentari affinché queste migliorino e si conformino a stili di vita più sane ed equilibrate, non può prescindere dall'approfondimento dello studio e della conoscenza dei sistemi di coltivazione delle materie prime e di produzione, preparazione e conservazione dei cibi;
    non è possibile ignorare le ricadute economiche, ambientali e sociali determinate dall'impatto che le produzioni agroalimentari hanno sull'ambiente, sui territori, sull'organizzazione sociale e sulle abitudini culturali;
    in questo senso, la produzione agroalimentare, così come tutta la filiera produttiva legata all'alimentazione e al cibo, non può prescindere dall'ispirare la propria azione ai concetti di sostenibilità, sicurezza, valori etici, valori nutritivi, valorizzazione del territorio;
    non si devono trascurare inoltre gli aspetti connessi alla legalità, sia nella fase della produzione delle materie prime, che nella fase di lavorazione delle stesse per la produzione di alimenti che in quella della distribuzione;
    non sono da sottovalutare gli aspetti connessi alla conoscenza delle caratteristiche specifiche legate alla conservabilità dei cibi e alla stretta connessione con le tematiche dello spreco alimentare;
    un ruolo importante nel momento informativo e formativo lo rivestono sicuramente le agenzie educative – quali scuola e famiglia, ma anche i servizi sanitari presenti sui territori – ma non si può ignorare il ruolo fondamentale degli operatori professionali del settore agroalimentare e, non ultimo, il mondo dei media e della comunicazione, tanto più nell'epoca dei social network;
    a lanciare l'allarme in tal senso è l'Organizzazione mondiale della sanità e la conferma arriva anche da uno studio condotto presso Health Promotion Research Center a Dartmouth, pubblicato sulla rivista Pediatrics, dal quale si evince che per quanto riguarda il problema della pubblicità, è inconfutabile che bambini e adolescenti siano continuamente bombardati da messaggi che invitano al consumo di alimenti ricchi di grassi e zuccheri, promossi sempre più anche sui media digitali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere, al fine di favorire un miglioramento delle capacità di discernimento e di scelta del consumatore, un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari che riporti l'indicazione dell'origine del prodotto, soprattutto per quanto riguarda i cibi destinati all'infanzia;
2) a prevedere campagne di rilevazione e di prevenzione del rischio di obesità infantile mediante l'avvio di procedure di screening, rivolte ai bambini dai 0 ai 3 anni;
3) a predisporre indagini volte a verificare le abitudini alimentari delle donne in stato di gravidanza e dei bambini in età prescolare al fine di promuovere un consumo alimentare sano e consapevole;
4) ad assumere iniziative per prevedere finanziamenti adeguati finalizzati alla implementazione del programma europeo «Frutta nelle scuole», introdotto dal regolamento (CE) n.1234 del Consiglio del 22 ottobre 2007 e dal regolamento (CE) n. 288 della Commissione del 7 aprile 2009, volto ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini tra i 6 e gli 11 anni di età, e a promuovere iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata, nella fase in cui si formano le loro abitudini alimentari;
5) a favorire la realizzazione, da parte delle istituzioni scolastiche, di programmi di formazione e aggiornamento dei docenti in materia di educazione alimentare, garantendo un approfondimento nel campo delle scienze alimentari e nella pedagogia alimentare e un approccio integrato tra alimentazione e ambiente e la dieta mediterranea;
6) ad assumere iniziative volte a favorire la collaborazione tra enti locali, agenzie sanitarie e istituzioni scolastiche al fine di promuovere le «buone pratiche», in cui vengano coinvolte anche le famiglie, al fine di intervenire sul comportamento alimentare dei bambini e degli adolescenti;
7) ad adottare un piano nazionale per la prevenzione e la cura dell'obesità che preveda attività di controllo e repressione per la pubblicità rivolta ai bambini, l'introduzione di imposte su bevande zuccherate e merendine confezionate, il divieto della loro vendita negli istituti scolastici e campagne di comunicazione sociale che promuovano la dieta mediterranea.
(1-01445) «Russo, Elvira Savino, Occhiuto, Gullo, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità infantile rappresenta un problema sociale e sanitario estremamente diffuso che colpisce circa un quarto dei bambini italiani, collocando l'Italia ai vertici mondiali di questa negativa classifica, vicino agli Usa;
    le cause del fenomeno sono molteplici, di tipo sia culturale che sociale e riguardano il permanere di una cultura in cui l'abbondanza dell'alimentazione è sinonimo di benessere, così come la sussistenza di un'insufficiente informazione sulle proprietà alimentari dei cibi, il diffondersi di costumi di importazione relativi in particolare al consumo di bevande zuccherate, di merendine e di alimenti conservati ad alto contenuto zuccherino, oltreché la diffusione di stili alimentari legati ai fast food, la riduzione dell'attività fisica e della vita all'aria aperta dei bambini;
    il fenomeno è causa di importanti problemi sanitari già in età infantile, quali problemi osteo-articolari e respiratori, oltreché problemi comportamentali legati all'esclusione e alla riduzione delle prestazioni cognitive che può determinarsi a causa della sonnolenza diurna associata alle apnee in sonno degli obesi e che porta ad una diminuzione del rendimento scolastico;
    a causa del condizionamento che si produce in età infantile sul numero degli adipociti, le cellule che immagazzinano il grasso, l'obesità infantile è anche strettamente legata all'obesità dell'adulto, causa a sua volta di importanti patologie, quali l'ipertensione arteriosa, il diabete di tipo 2, le malattie cardio-vascolari e cerebro-vascolari, le alterazioni dell'apparato osteo-articolare, i disturbi respiratori, le apnee nel sonno, la sonnolenza diurna, l'aumento degli incidenti alla guida e sul lavoro, la riduzione delle funzioni cognitive e, non da ultimo una maggiore tendenza allo sviluppo di alcuni tumori;
    i costi diretti e indiretti per la sanità e per il welfare sono di enorme rilievo e riguardano la cura delle patologie legate all'obesità, la riduzione delle ore lavorative, il calo delle prestazioni scolastiche, gli incidenti alla guida e sul lavoro prodotti dalla sonnolenza;
    l'alto consumo di zuccheri, tuttavia, pur non essendo assimilabile ad altri comportamenti patologici quali l'abuso di determinate sostanze e l'alcol o ai comportamenti a rischio che riguardano la sfera sessuale, è causa non di minore allarme per il sistema sanitario e sociale e richiede, al pari di questi altri costumi, l'individuazione di strumenti per correggere i comportamenti alimentari a rischio, anche se, come per le tossicodipendenze e i comportamenti sessuali, il tema rischia di entrare in conflitto con l'esercizio libero dei comportamenti e la soddisfazione di desideri primari;
    occorre pertanto intervenire soprattutto attraverso l'educazione sanitaria dei genitori, ma non escludendo meccanismi disincentivanti;
    occorre anche favorire la prevenzione dei comportamenti alimentari patologici e la cura dell'obesità infantile attraverso percorsi sanitari finalizzati,

impegna il Governo:

1) a condurre un'indagine nazionale all'interno del sistema scolastico della scuola primaria per la rilevazione dello stato nutrizionale dei bambini;
2) a promuovere un'indagine epidemiologica su campioni larghi e rappresentativi nella popolazione sotto i tre anni d'età, al di fuori ancora del sistema scolastico;
3) a predisporre campagne di informazione nei consultori familiari e nei reparti ostetrico-ginecologici, neonatologici e pediatrici per incentivare l'allattamento al seno e per educare le nuove mamme a corretti stili di vita alimentare per se stesse e nei loro bambini;
4) ad assumere iniziative per disincentivare l'uso di bevande a contenuto zuccherino, merendine e cibi confezionati attraverso un sistema di etichettatura da cui risalti in modo evidente il contenuto in zuccheri dell'alimento e che preveda messaggi dissuasivi simili a quelli imposti alle aziende produttrici di tabacco;
5) a prevedere campagne di «pubblicità progresso» di sensibilizzazione tramite gli organi di stampa e le televisioni per promuovere i valori di una sana alimentazione;
6) ad attivare tavoli di concertazione con le principali aziende produttrici del settore per promuovere la riduzione coordinata del contenuto zuccherino degli alimenti per bambini;
7) a valutare la possibilità di assumere iniziative per definire standard indicanti i limiti massimi di contenuto zuccherino negli alimenti validi per la vendita in Italia dei prodotti di tutte le aziende, sia nazionali che estere;
8) a promuovere, nell'ambito della Conferenza Stato-regioni, l'individuazione di protocolli sanitari a favore dei bambini in età scolare tali da prevedere la gratuità dei percorsi diagnostici per la prevenzione dell'obesità e delle terapie conseguenti.
(1-01446) «Gigli, Dellai, Baradello, Fauttilli, Sberna».


   La Camera,
   premesso che:
    nei due ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, che nel nostro Paese coincisero con lo svolgersi di un aspro conflitto civile, gli occupanti tedeschi si macchiarono di gravissimi crimini;
    tra i crimini tedeschi sono tristemente noti le stragi delle Fosse Ardeatine, i massacri compiuti nella zona di Marzabotto, la tragedia della Divisione Aqui, sterminata a Cefalonia, e il destino dei cosiddetti «internati militari» nel Terzo Reich;
    il Terzo Reich definì «internati militari» i soldati italiani catturati dopo l'8 settembre 1943, intendendo in questo modo privarli anche formalmente delle garanzie giuridiche previste dalla Convenzione di Ginevra a favore dei prigionieri di guerra, peraltro notoriamente ignorate nei confronti di tanti altri avversari caduti nelle mani della Wehrmacht, quelli russi in particolar modo;
    agli occhi dei tedeschi, del tempo, in effetti, il nostro Paese aveva tradito l'alleanza politico-militare che a loro legava il Regno d'Italia, come se il Governo italiano non avesse il diritto sovrano a determinare il proprio destino di fronte all'evidenza della sconfitta;
    contro i responsabili dei crimini nazisti in Italia sono stati intentati vari processi, alcuni dei quali sfociati in sentenze di condanna scontate nelle prigioni del nostro Paese, seppure vi siano stati casi di fuga ai quali non ha fatto seguito l'estradizione verso la Repubblica di coloro che erano riusciti a rientrare nel proprio Stato, in primo luogo quello concernente Herbert Kappler;
    tuttavia, nei primi anni del dopoguerra la sfida rappresentata dall'Unione Sovietica e la necessità di fronteggiarla compattando l'Occidente e l'Europa imposero di rinunciare al perseguimento dei responsabili di molti altri crimini, effettivamente rimasti impuniti;
    gli Stati Uniti svolsero un ruolo politicamente molto importante in questa operazione, che venne condotta mentre venivano ricostituite per la Nato le forze armate della Repubblica Federale Tedesca e non si esitava a ricorrere a personale di provati trascorsi nazisti per creare i nuovi servizi segreti della Germania Occidentale;
    queste cause storiche sono tuttavia ormai da tempo venute meno e non sembra più tollerabile il rifiuto opposto della Repubblica Federale Tedesca a riparare, almeno moralmente, alcuni dei torti subiti dal nostro Paese e dai cittadini italiani durante il tragico biennio 1943-1945;
    anzi, nel momento in cui riemergono fra gli europei gravi tensioni e si riaffacciano antichi stereotipi, sembra di particolare importanza pervenire ad una più ampia riconciliazione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative in tutte le sedi competenti affinché vi siano degli atti di riparazione morale di più alto profilo da parte della Repubblica Federale Tedesca, anche quale presupposto per l'eventuale ristoro materiale dei danni subiti dai nostri concittadini detenuti nel Terzo Reich in qualità di «Internati militari»;
2) ad assumere iniziative per sviluppare un progetto di ricostruzione storica condivisa di quanto accadde nel periodo 1943-45, riconoscendo in primo luogo il diritto sovrano del Regno d'Italia a cambiare alleanze in seguito alla sconfitta patita per mano degli alleati, soprattutto a beneficio della formazione delle generazioni future, ed eventualmente prevedendo anche la costruzione di monumenti in Germania alla memoria di coloro che, soldati del Regno d'Italia, vennero internati nei campi di concentramento;
3) ad assumere iniziative per rimuovere, con tutte le possibili iniziative pedagogiche collettive, la memoria di un «tradimento» italiano che non c’è mai stato, non almeno nei termini sostenuti della narrativa tedesca sulla seconda guerra mondiale, e che invece costituisce la base del persistente rifiuto da parte della Germania di riconoscere agli internati militari italiani lo status di prigionieri di guerra.
(1-01447) «Invernizzi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    il 25 agosto 2016 il Consiglio dei ministri ha esaminato in via preliminare lo schema di decreto legislativo recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in ottemperanza alla delega di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124;
    lo schema di decreto legislativo ha ricevuto il parere definitivo delle Commissioni attività produttive e bilancio della Camera il 3 novembre 2016; successivamente, il decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2016;
    l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha delegato il Governo, tra l'altro: 1) alla ridefinizione delle circoscrizioni territoriali con riduzione del numero delle attuali 105 a non oltre 60; 2) all'introduzione di una disciplina transitoria che assicuri non solo la sostenibilità finanziaria ma anche il mantenimento dei livelli occupazionali;
    l'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, dispone che l'Unioncamere trasmetta, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, al Ministero dello sviluppo economico una proposta che:
     1) ridetermini le circoscrizioni territoriali entro il limite di 60 attraverso vari interventi elencati;
     2) definisca un piano di razionalizzazione delle sedi delle singole camere di commercio, nonché delle Unioni regionali e di razionalizzazione delle sedi secondarie e distaccate;
     3) definisca un piano complessivo di razionalizzazione che determini il riassetto degli uffici e dei contingenti di personale; la razionale distribuzione del personale dipendente delle camere di commercio con possibilità di processi di mobilità tra le camere di commercio; i criteri per l'individuazione del personale soggetto ai processi di mobilità e quello in soprannumero non ricollocabile nelle camere di commercio;
    l'articolo 10 della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, tra i princìpi e i criteri direttivi, non prevede che sia Unioncamere a predisporre il piano di riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria artigianato e agricoltura;
    il comma 6 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dispone che il personale in soprannumero inserito nell'elenco predisposto dalle camere di commercio, sia ricollocato nelle amministrazioni nel limite del dieci per cento delle facoltà di assunzione per gli anni 2017 e 2018;
    il dipartimento della funzione pubblica, ai sensi del comma 7 dell'articolo 3, del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, effettua presso le amministrazioni pubbliche una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale in soprannumero;
    il comma 8 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, prevede che al 31 dicembre 2019 nel caso in cui il personale in soprannumero non sia stato completamente ricollocato questi restano alle dipendenze delle camere di commercio, ai sensi dei commi 7 e 8 dell'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, con uno stipendio pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo, ma per la durata di soli ventiquattro mesi;
    di fatto con il comma 8 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ai lavoratori in soprannumero non ricollocati viene garantito il posto di lavoro con stipendio decurtato solo fino al 31 dicembre 2021, venendo meno così meno alla previsione della legge delega circa il mantenimento dei livelli occupazionali;
    con quanto previsto dal decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016 recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, per migliaia di lavoratori dipendenti delle camere di commercio si apre un periodo di incertezza senza alcuna previsione circa uno strumento di integrazione al reddito;
    i sindacati dei lavoratori hanno dichiarato, fin dall'avvio della discussione sullo schema di decreto legislativo, che qualora quanto ivi previsto fosse stato approvato senza modifiche migliorative, si sarebbe aperta la strada per la messa in liquidazione di una delle poche esperienze consolidate al servizio dello sviluppo e di sostegno all'economia reale a livello territoriale e per tali motivi hanno promosso nei mesi scorsi mobilitazioni e una manifestazione nazionale a Roma il 29 settembre 2016;
    appare evidente che una riforma delle camere di commercio di tale portata come definita dal decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, non può avvenire senza la condivisione delle organizzazioni sindacali, condivisione finalizzata alla garanzia dei livelli occupazionali e della continuità lavorativa, nonché alla valorizzazione delle professionalità dei lavoratori,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a garantire, anche attraverso specifiche modifiche al decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, il mantenimento dei livelli occupazionali e la continuità lavorativa dei dipendenti delle camere di commercio, delle unioni camerali e delle aziende speciali, in particolare di coloro che risulteranno in soprannumero e non completamente ricollocati a seguito delle procedure di mobilità di cui al comma 7 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 del 25 novembre 2016, recante il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
   ad assumere le iniziative di competenza affinché nella predisposizione della proposta di piano di rideterminazione delle circoscrizioni territoriali da parte di Unioncamere vi siano il coinvolgimento e la condivisione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, al fine di garantire i livelli occupazionali e la valorizzazione delle professionalità nella filiera delle camere di commercio.
(7-01149) «Ricciatti, Ferrara, D'Attorre, Quaranta, Costantino, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Sannicandro, Scotto, Zaratti».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'azienda Cameron Italy Srl di Voghera, società del gruppo Cameron International Corporation, è una storica industria metalmeccanica siderurgica specializzata in gasdotti;
    ad aprile 2016, la Cameron International è stata acquisita, per un valore complessivo di circa 13 miliardi di euro, dalla multinazionale americana Schlumberger Limited, la più grande società per servizi petroliferi al mondo, con oltre 100 sedi sparse in tutti i continenti, 20 delle quali in Europa;
    prima della fusione fra Schlumberger e Cameron, non sono mancate forti preoccupazioni da parte dei lavoratori e delle sigle sindacali sul mantenimento dei livelli occupazionali e sull'alta probabilità di una delocalizzazione all'estero dell'attività produttiva. Ad alimentare il loro stato di apprensione, la crisi del mercato petrolifero, la conseguente frenata produttiva che l'azienda ha affrontato, attraverso il massiccio ricorso alla cassa integrazione e all'assenza di un piano industriale che garantisca investimenti sul territorio;
    dal 16 settembre 2016 è stata avviata dalla Cameron Italy una procedura di mobilità per 160 lavoratori occupati nei due siti produttivi di Voghera (154 della Cameron Grove e 6 della consociata Ledeen);
    in data 25 ottobre 2016, veniva approvata all'unanimità dal consiglio della regione Lombardia la mozione n. X/1282, concernente la richiesta di intervento per la risoluzione della vertenza Cameron Italy Srl di Voghera e per lo sviluppo del sistema economico del territorio pavese;
    nelle date del 6 ottobre 2016 e del 21 ottobre 2016 si sono svolti presso la sede del Ministero dello sviluppo economico dei tavoli di confronto tra le parti, per una verifica in merito alla possibile adozione da parte dell'azienda di un piano industriale per il rilancio produttivo dell'attività in Italia e ai margini di utilizzo degli ammortizzatori sociali per i lavoratori a rischio licenziamento;
    secondo quanto appreso in occasione dell'incontro svoltosi il 6 ottobre 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico, si è appreso che i 160 licenziamenti annunciati dall'azienda rientrerebbero in un progetto di riorganizzazione globale della multinazionale Schlumberger;
    tale azienda, peraltro, non avrebbe previsto, né considerato, a quanto consta ai presentatori del presente atto di indirizzo, alcun piano industriale di redistribuzione delle commesse finalizzato a salvaguardare l'occupazione dei lavoratori degli stabilimenti italiani, con le conseguenti gravi ricadute sull'indotto dell'intera provincia di Pavia;
    in occasione del citato incontro, è emersa la consapevolezza dell'assoluta necessità di un impegno congiunto di tutte le forze politiche finalizzato a richiedere un intervento incisivo ed autorevole di regione Lombardia, sia come mediatore attivo per la risoluzione della vertenza in atto, sia al fine di attivare tutti gli strumenti che le leggi regionali e nazionali prevedono per garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli investimenti necessari al rilancio dell'attività produttiva nelle due unità vogheresi come, ad esempio, la sottoscrizione con l'azienda di accordi regionali per la competitività, nonché l'eventuale avvio della procedura per il riconoscimento ministeriale di un'area di crisi;
    in data 14 e 24 novembre 2016 si sono tenuti «confronti fiume» con le organizzazioni sindacali e l'azienda finalizzati a raggiungere un'intesa prima che, a inizio dicembre, scada il termine dei 75 giorni per l'avvio della procedura di mobilità per 160 dipendenti dei due siti produttivi Grove e Ledeen;
    allo stato attuale, l'azienda ha annunciato l'impegno a voler ridurre gli esuberi da 160 a circa 100 dipendenti e ad affrontare il problema con le uscite volontarie incentivate. Le organizzazioni sindacali hanno chiesto che questo strumento sia affiancato dal ricorso agli ammortizzatori sociali. Su questo tema era stato fissato un incontro al Ministero dello sviluppo economico in data 28 novembre 2016;
    in data 1o dicembre 2016, sempre al riguardo, è stato fissato un incontro in regione Lombardia,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e, nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei lavoratori dei due siti produttivi di Voghera della sopraindicata Cameron Italy Srl, a favorire un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati.
(7-01148) «Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Dall'Osso, Lombardi, Chimienti, Pesco, Alberti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   un deputato siciliano dell'Assemblea regionale siciliana ha ricevuto da circa un mese e mezzo una condanna: si è verificata una condanna a due anni e otto mesi per corruzione nei confronti di Francesco Cascio, la condanna ha riguardato i lavori di sistemazione della villetta di sua proprietà a Collesano, vicino ad un resort con campi da golf. I titolari della società che gestisce la struttura turistica sarebbero stati favoriti nell'accesso ad alcuni finanziamenti europei;
   secondo quanto stabilito dalla legge n. 190 del 2012, cosiddetta legge Severino, articolo 8 comma 4 si prevede: «A cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 sono comunicati al prefetto del capoluogo della Regione che ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri il quale, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione. Tale provvedimento è notificato, a cura del prefetto del capoluogo della Regione, al competente consiglio regionale per l'adozione dei conseguenti adempimenti di legge. Per la regione siciliana e la regione Valle d'Aosta le competenze di cui al presente articolo sono esercitate, rispettivamente, dal commissario dello Stato e dal presidente della commissione di coordinamento»; il provvedimento di specie è la sospensione dalla carica per 18 mesi;
   il Ministro dell'interno Alfano, che è anche il presidente dell'NCD, ha rilasciato delle dichiarazioni, riportate da LiveSicilia del 25 novembre 2016, di accalorata solidarietà a Francesco Cascio: «Alfano, da capo dell'Ncd, sul tema si era espresso, ribadendo “amicizia, stima e fiducia” a Cascio e dicendosi certo della “sua innocenza che sono convinto riuscirà a provare in appello. L'articolo 27 della Costituzione – ha aggiunto – è tuttora in vigore e ci consente, e al tempo stesso impone, di considerarlo innocente”. Il Ministro ha poi annunciato di aver “convintamente respinto” le dimissioni del deputato siciliano da coordinatore regionale di Ncd» –:
   quali siano le motivazioni del notevole ritardo con cui si procede da parte della Presidenza del Consiglio all'adozione del provvedimento che accerta la sospensione nei confronti del deputato siciliano Cascio ovvero se la cancelleria del tribunale di Palermo non abbia ancora notificato al commissario dello Stato l'avvenuta sentenza relativa al deputato regionale Cascio ovvero se il commissario dello Stato abbia ritardato la comunicazione alla Presidenza del Consiglio;
   una volta superati i ritardi ed eventuali «anomali» dubbi non ritenga di adottare immediatamente il provvedimento che accerta la sospensione del deputato siciliano Cascio, in ossequio alla legge e nel rispetto dei cittadini italiani.
(2-01558) «Cancelleri, Lorefice».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ristrutturazione recentemente preannunciata dall'editore de « il Resto del Carlino» colpirà in particolar modo la redazione locale del quotidiano di Rovigo;
   si ricorda che il quotidiano è presente a Rovigo fin dal dopoguerra: il drastico ridimensionamento della redazione (a due giornalisti) e la foliazione ridotta a dieci pagine del quotidiano sembrano celare, neanche troppo velatamente, la volontà di arrivare in tempi rapidi, da parte dell'editore, a una chiusura definitiva della redazione polesana del giornale;
   con la chiusura della redazione locale verrebbe meno uno storico punto di riferimento per l'intera provincia di Rovigo, realtà dotata di una propria specifica identità territoriale e istituzionale e già caratterizzata da una sostanziale carenza di voci consolidate e radicate nell'ambito dell'informazione;
   in questi stessi giorni il sindacato giornalisti del Veneto e l'associazione polesana della stampa si sono schierati a fianco del comitato di redazione e dei colleghi de « il Resto del Carlino», appellandosi alle istituzioni e all'opinione pubblica per difendere un presidio storico dell'informazione in provincia di Rovigo e per rilanciare le ragioni del pluralismo informativo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, considerato che l'editore avrebbe disatteso, a giudizio dell'interrogante, gli accordi già sottoscritti dalle parti e, nello specifico, quali iniziative si intendano porre in essere per scongiurare la chiusura della redazione di Rovigo. (5-10074)


   TRIPIEDI, LUIGI DI MAIO, COMINARDI, ALBERTI, PESCO, VILLAROSA, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, CARINELLI, DE ROSA, CASO, DAGA, BUSTO, GAGNARLI, DELL'ORCO, MANTERO, DALL'OSSO, TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, TONINELLI, CRIPPA, BRUGNEROTTO, BRESCIA, FRUSONE, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE, NICOLA BIANCHI, SPADONI, SILVIA GIORDANO, MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, L'ABBATE, PAOLO BERNINI e AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i dati del rapporto «Qualità dell'aria in Europa 2016» dell'Agenzia europea per l'ambiente (European Environment Agency – Eea –), hanno evidenziato lo sconcertante dato di 467 mila morti premature all'anno causate dallo smog;
   dal rapporto risulta che, nel 2014, circa l'85 per cento della popolazione urbana dell'Unione europea è stato esposto al PM2.5 a livelli ritenuti dannosi per la salute dall'Organizzazione mondiale della sanità. Proprio il particolato, di qualsiasi dimensione, è il primo tra gli inquinanti ad aver causato in Europa il maggior numero di morti premature, mentre le vittime del biossido di azoto sono 71 mila e quelle dell'ozono 17 mila;
   secondo il rapporto diffuso, nel 2015, l'Italia è stato il secondo tra i Paesi dell'Unione europea (dopo la Germania che conta però più di 80 milioni di abitanti) che ha registrato più morti premature a causa dell'inquinamento dell'aria attribuibili soprattutto al biossido di azoto dovuto agli scarichi delle auto, in particolare dei veicoli diesel, agli impianti di riscaldamento, alle centrali per la produzione di energia e a un ampio spettro di processi industriali. Nel nostro Paese sono 66.630 le vittime del PM2.5, 21.040 del biossido di azoto e 3.380 dell'ozono;
   i ricercatori hanno indicato che i risultati del rapporto potrebbero sottostimare la reale situazione dato che non sempre gli Stati membri hanno fornito dati completi;
   nella relazione, European Environment Agency (Eea) che l'inquinamento atmosferico resta il principale fattore ambientale di rischio per la salute umana ed abbassa la qualità della vita;
   il direttore dell'Eea, Hans Bruynicks, ha affermato che è vero che si è registrata una riduzione delle emissioni che ha portato a miglioramenti della qualità dell'aria, ma non sufficiente per evitare danni accettabili per la salute umana e l'ambiente e che per migliorare la situazione sono necessari maggiori sforzi da parte delle autorità pubbliche, delle imprese, dei cittadini e dei ricercatori;
   il rapporto è stato redatto a poche ore dalla direttiva approvata dal Parlamento europeo con l'obiettivo di ridurre l'impatto dell'inquinamento di circa il 50 per cento entro il 2030. Rispetto al 2005, per l'Italia, i nuovi limiti di riduzione stabiliti sono del 71 per cento l'SO2, del 65 per cento per il NOx, del 46 per cento per il COVNM, del 16 per cento per l'NH3 e del 40 per cento per i particolati;
   nella relazione non venivano considerate le nanoparticelle, inquinanti difficilmente rinvenibili a causa delle ridotte dimensioni inferiori ai 2,5μµm, molto più dannosi rispetto al particolato di dimensioni maggiori. Le nanoparticelle vengono prodotte in grandi quantità anche in uscita dai camini degli inceneritori, soprattutto di nuova generazione;
   in ambito sanitario, i fattori inquinanti hanno una ricaduta economicamente molto onerosa per la collettività;
   nonostante quanto esposto in premessa, il Governo italiano persegue, a giudizio degli interroganti, con sin troppo elevata frequenza, nella direzione di promuovere politiche che portano alla creazione di inquinanti. Si cita, come esempio, il decreto-legge n. 133 del 2014, convertito dalla legge n. 164 del 2014 (cosiddetta «Sblocca Italia»), con cui sono state promosse politiche ad alto impatto ambientale rispetto a quelle alternative molto meno inquinanti come, esempio, l'incentivo all'incenerimento dei rifiuti rispetto alla strategia rifiuti zero, l'ampliamento delle reti stradali che promuovono l'utilizzo dello spostamento su gomma invece di preferire una più ampia politica dell'utilizzo dei mezzi di trasporto collettivi, il continuo utilizzo di energie fossili invece della creazione di impianti per la produzione e distribuzione di energie sostenibili –:
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere, nell'immediato, per promuovere politiche che possano realmente portare ad un serio cambiamento volto a favorire la green economy, punto nodale per ottenere una conseguente rapida riduzione della produzione di inquinanti. (5-10075)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 251, depositata il 25 novembre 2016, ha deciso in merito all'impugnazione della legge n. 124 del 2015, cosiddetta «riforma Madia», in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, a seguito del ricorso della regione Veneto, che ha impugnato le disposizioni che delegano il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria e, dunque, incidendo su una moltitudine di materie, che coinvolgono interessi e competenze sia statali, sia regionali e, in alcuni casi, degli enti locali;
   la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11 della legge in questione, in materia di: dirigenza pubblica; norme contenenti le deleghe al Governo per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e servizi pubblici locali di interesse economico generale che incidono su una pluralità di materie e di interessi, inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale);
   in particolare, i magistrati costituzionali ritengono illegittima la parte della norma in cui è previsto che i decreti attuativi siano assunti previo parere anziché previa intesa nella Conferenza Stato-regioni;
   tra gli articoli dichiarati illegittimi, come predetto, c’è anche quello che riguarda la riforma della dirigenza pubblica, il cui decreto attuativo è stato recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, senza aver raggiunto alcuna intesa con le regioni. Pertanto, tale decreto se venisse pubblicato in Gazzetta Ufficiale potrebbe essere immediatamente impugnato e dichiarato incostituzionale;
   è evidente che la decisione dei giudici costituzionali mette in rilievo i gravi limiti, anche tecnici, della «riforma Madia» che richiedono, conseguentemente, urgenti misure correttive –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti esposti in premessa e se quali iniziative intenda adottare a seguito della pronuncia di illegittimità emessa dalla Corte costituzionale in relazione a specifiche disposizioni della legge n. 124 del 2015. (5-10076)


   MASSIMILIANO BERNINI e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 177 del 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 12 settembre 2016 ed entrato in vigore il 13 settembre 2016, attuativo della legge n. 124 del 2015, «legge Madia» di riforma della pubblica amministrazione, il Corpo forestale dello Stato è assorbito nell'Arma dei carabinieri;
   all'articolo 18, comma 16, del decreto legislativo n. 177 è riportato che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta dei Ministri della difesa e delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, sono emanate le disposizioni in merito all'inquadramento, a decorrere dal 1o gennaio 2017;
   secondo l'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 177, il personale del Corpo forestale dello Stato, nei 20 giorni successivi alla pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, può presentare domanda per il transito in altra amministrazione statale tra quelle individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   al personale di cui all'articolo 18, comma 9, del decreto legislativo 177, inserito d'ufficio nel contingente collocabile presso le amministrazioni statali individuate ai sensi dell'articolo 12, comma 3, per l'assegnazione preferibilmente nei ruoli del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non è stato mai comunicato l'avvio del procedimento, così come previsto dall'articolo 7 della legge n. 241 del 1990, così come non è mai stata formalizzata la loro inclusione in detto contingente;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cui sopra è stato approvato il 21 novembre 2016 e risulta in attesa di registrazione pressa la Corte dei Conti, ma le uniche forme di notifica legale, ovvero la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul Bollettino ufficiale del Corpo forestale dello Stato, così come la notifica personale agli interessati, non sono state espletate; quindi, è improprio stabilire un termine finale di presentazione delle domande;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato pubblicato sul www.mobilità.gov.it, in data 23 novembre 2016 col termine perentorio di 20 giorni per esercitare la facoltà d'opzione al transito in altre amministrazioni, benché il sito non abbia connotazione giuridica sostitutiva della notifica legale;
   la procedura, definita sul sito non più modificabile, può essere attivata da chiunque visto che è sufficiente inserire un indirizzo mail registrato su un qualsiasi dominio, il codice fiscale e il numero di matricola;
   il comma 6 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 177 prevede che nel caso in cui, alla data del 15 novembre 2016, il personale che ha presentato la domanda di cui al comma 4, non sia stato ricollocato in altra amministrazione statale tra quelle individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 3, primo periodo, e non abbia optato per la riassegnazione ai sensi del comma 4, secondo periodo, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, a definire altre forme di ricollocazione;
   il 25 novembre 2016 i sindacati SAPAF e UGL hanno presentato un atto formale di diffida nei confronti del Governo, del Presidente del Consiglio e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per chiedere il differimento del termine di presentazione delle domande di transito ad altre amministrazioni;
   alla luce di ciò appare leso il diritto al ricollocamento in altra amministrazione di quanti non vogliano subire la militarizzazione –:
   se non ritengano che l'inosservanza delle corrette procedure di notifica legale nonché il mancato coinvolgimento nel procedimento di una parte del personale, vizino « ab origine» l'intera procedura di transito in altre amministrazioni;
   se ritengano necessaria la sospensione immediata del termine perentorio di 20 giorni a partire dalla pubblicazione sul sito www.mobilità.gov.it del 23 novembre 2016, ai fini dell'esercizio della facoltà d'opzione al transito in altre amministrazioni;
   dato il superamento del termine del 15 novembre 2016, quali iniziative intendano adottare al fine di non cagionare nocumento al personale escluso dalle procedure di ricollocazione previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2016. (5-10104)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, DA VILLA, D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la presenza attiva della criminalità organizzata a Caorle (VE) e nel Veneto orientale è stata al centro di una recente informativa dei carabinieri di Fiorenzuola d'Arda (Piacenza), che ha ricostruito la presenza di una cosca legata alla ‘ndrangheta calabrese nelle regioni Veneto e Emilia Romagna;
   le indagini hanno evidenziato interessi criminali di soggetti collegati alla ‘ndrangheta in diverse imprese edili, in particolare sui cantieri di Caorle dove avrebbe messo le mani Raffaele Oppido, interlocutore di Claudio Casella, titolare quest'ultimo della Caorle Investimenti srl;
   tale società è stata incaricata di realizzare il cosiddetto «Villaggio le terme di Caorle», un progetto da 200 milioni di euro, sottoscritto nel 2007 tra l'amministrazione comunale e la Caorle Investimenti srl, e recentemente sottoposto a rinnovo il 14 novembre 2016 con l'approvazione dell'accordo urbanistico da parte del consiglio comunale di Caorle;
   nel dicembre 2013, è stato eliminato dal programma della giunta di Caorle il punto che stabiliva la possibilità di rivedere le previsioni urbanistiche del progetto del Villaggio delle Terme;
   secondo alcuni consiglieri comunali, che avevano promosso quel punto nel programma della giunta, tale cambio di rotta da parte dell'esecutivo si spiegherebbe con le pesanti minacce, anche di morte, indirizzate al sindaco e agli stessi consiglieri, per stralciare dal programma della giunta il punto relativo alla revisione urbanistica del Villaggio;
   in seguito alla denuncia dei consiglieri comunali il prefetto di Venezia a sollecitato le forze dell'ordine ad aumentare l'attenzione e i controlli per prevenire le intimidazioni della criminalità organizzata nel territorio del Veneto orientale;
   la vicenda di Caorle non è un episodio isolato e richiama alla memoria altri fatti molto preoccupanti, accaduti sempre nella cittadina veneziana, come l'attentato incendiario a due auto della polizia municipale nel giugno del 2013 e nell'ottobre dello stesso anno il lancio di una molotov contro lato di un residente;
   più in generale, la zona costiera del Veneto orientale è stata teatro di diversi raid malavitosi che hanno colpito i cantieri della zona e sono numerose le inchieste che hanno evidenziato il radicamento delle organizzazioni mafiose in Veneto e l'intensa attività, in particolare di derivazione camorrista, nella zona del litorale, spesso favorita dalla sottovalutazione del fenomeno da parte delle istituzioni politiche e dall'assenza di efficaci azioni di prevenzione e contrasto da parte delle autorità competenti;
   anche Legambiente e l'Osservatorio ambiente e legalità hanno di recente pubblicato un dossier, sottolineando come la spregiudicata cementificazione del litorale veneto si sia intrecciata con l'operatività di organizzazioni criminali, soprattutto camorriste –:
   se siano a conoscenza della vicenda esposta in premessa e quali iniziative urgenti intendano assumere, per quanto di competenza, per escludere il pericolo di infiltrazioni mafiose nel progetto «Villaggio le terme di Caorle»;
   se, alla luce dei dati che confermano il preoccupante fenomeno di infiltrazione mafiosa nella regione Veneto, non ritengano sussistere un vero e proprio rischio per la tenuta delle istituzioni democratiche derivante dal radicamento delle organizzazioni criminali nel settore delle grandi opere in questa regione;
   se il Governo non ritenga che il ricorso alle interdittive dei prefetti potrebbe dimostrarsi uno strumento utile per contrastare il fenomeno di inserimento dei gruppi mafiosi in importanti appalti pubblici, prestando particolare attenzione a quanto accaduto in relazione al Villaggio termale di Caorle, e come mai non si sia fatto ricorso a questo strumento anche per il Veneto. (4-14916)


   PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 ottobre 2016 il tribunale di Palermo ha emesso sentenza di condanna nei confronti – tra gli altri – dell'avvocato Francesco Riggio, all'epoca dei fatti direttore del Ciapi operante nell'ambito della formazione professionale in Sicilia, e successivamente, dal luglio 2015, componente dell'assemblea regionale siciliana;
   in data 21 ottobre 2016 sempre il tribunale di Palermo ha emesso altra sentenza di colpevolezza per corruzione nei confronti del dottor Francesco Cascio, anch'egli deputato presso l'assemblea regionale siciliana, nell'ambito di un procedimento giudiziario relativo all'uso di fondi europei;
   sia per Riggio che per Cascio sono da applicarsi gli effetti della legge 6 novembre 2012, n. 190, la cosiddetta «Legge Severino» relativamente alla sospensione dei condannati per la durata di mesi 18 e il subentro, al posto dei condannati, dei candidati risultati non eletti nelle rispettive liste di elezione;
   l'articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012 assegna al commissario dello Stato le competenze relative alle disposizioni di legge;
   risultano, al momento, trascorsi oltre 30 giorni dalla sentenza di condanna emanata nei confronti dell'avvocato Riggio e dell'avvocato Cascio;
   in mancanza dei necessari atti da parte del commissario dello Stato e del Ministro dell'interno ad oggi tanto l'avvocato Riggio, quanto l'avvocato Cascio risultano, a tutti gli effetti, componenti dell'assemblea regionale siciliana;
   il presidente dell'assemblea regionale, rispondendo sulla stampa, su sollecitazione, in merito alla situazione descritta, ha ribadito come l'assemblea sia impossibilitata a prendere misure e provvedimenti sul caso in mancanza di comunicazione da parte degli organi di governo nazionali –:
   quali siano i motivi che abbiano, ad oggi, impedito un sollecito intervento da parte del Governo relativamente all'applicazione delle norme contenute nella cosiddetta legge Severino, considerato che appare grave il ritardo in merito agli adempimenti di legge con il conseguente mantenimento nella sede legislativa, comprese prerogative di carica e indennità spettanti, dei due deputati regionali oggetto di condanna penale;
   in quali tempi il Governo intenda procedere alla comunicazione alla presidenza dell'assemblea regionale siciliana del provvedimento che accerta la sospensione dei deputati Riggio e Cascio.
(4-14931)


   MASSIMILIANO BERNINI, RIZZO e BASILIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2016 con un articolo pubblicato su Tiscali.it a firma di Luca Marco Comellini veniva riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica il problema degli stipendi dei cappellani militari con particolare riferimento alle dichiarazioni rilasciate a Radio Vaticana dal vicario generale dell'Ordinario militare, don Angelo Frigerio;
   nell'articolo si evidenzia che «Nonostante le buone intenzioni anche per 2017 le parole dell'altro prelato militare sono smentite dai numeri della legge di bilancio. Infatti, le Tabelle (2 e 11) allegate, riferite alle spese dei singoli ministeri che riportano i seguenti numeri: la spesa prevista per il 2017 sarà di 9.579.962 euro e i preti con le stellette saranno ancora 200 di cui 9 dirigenti, 94 con trattamento superiore (generale o colonnello), 97 ufficiali»;
   la questione dei cappellani militari da anni è oggetto del dibattito politico e numerose sono state le iniziative parlamentari volte a cancellare l'istituto che opera all'interno delle Forze armate senza la formale intesa prevista all'articolo 11, comma 2, dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121 –:
   quali immediate iniziative di competenza intendano porre in essere affinché le spese per mantenimento dell'Ordinariato militare e per il trattamento economico dei cappellani militari siano interamente posto a carico della Chiesa e quali immediate iniziative intendano adottare affinché sia garantita l'assistenza spirituale ai militari che professano religioni diverse da quella cattolica. (4-14932)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 1o dicembre 2016, un noto quotidiano nazionale pubblicava la notizia che il Presidente del Consiglio, il 19 novembre 2016, avrebbe utilizzato l'elisoccorso di turno dell'Aeronautica militare Sar (Search and rescue) – destinato alle emergenze – per fare propaganda elettorale in vista del voto referendario del 4 dicembre;
   stando al racconto del quotidiano, quel giorno, Matteo Renzi, non poté utilizzare il velivolo presidenziale a causa delle condizioni meteorologiche;
   parrebbe che l'uso del velivolo di soccorso pubblico sia stato usato per raggiungere più velocemente alcune città del Centrosud, non per motivi istituzionali, bensì per scopi elettorali in favore del «SI», in vista del voto del 4 dicembre 2016, con una spesa in soli due giorni pari a 71.500 euro;
   per il motivo suddetto, avrebbe deciso di usufruire del velivolo di soccorso Sar, destinato in quei giorni alle emergenze per l'area da Roma al sud Italia, per il percorso che da Potenza lo portava a Matera, peraltro, si deve ritenere, a parere dell'interrogante, più da segretario del PD che non da Presidente del Consiglio;
   in seguito, l'elisoccorso lo avrebbe portato da Matera a Caserta e da Caserta a Grazzanise, dove era atteso per un altro comizio elettorale referendario. Infine, a Grazzanise, si imbarcava sull'Airbus di Stato per altra destinazione sempre per motivi di campagna per il «SI»;
   sempre il quotidiano, rileva che quanto occorso il 19 novembre, non sia stata la prima volta che il Presidente del Consiglio utilizzasse un velivolo pubblico per la campagna referendaria;
   infatti, denuncia che sarebbe accaduto anche il 22 ottobre 2016, quando l'elicottero di Stato lo avrebbe accompagnato da Messina a Reggio Calabria con voli autorizzati – scrive il quotidiano – dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti;
   è noto che i velivoli utilizzati sono destinati a intervenire in caso di emergenza, poiché impiegati per operazioni di salvataggio allo scopo di salvaguardare la vita delle persone in particolari situazioni di pericolo e ambienti ostili, per il trasporto sanitario d'urgenza di persone in pericolo di vita e per la ricerca di dispersi in mare e in montagna;
   l'interrogante non ritiene responsabile nel ruolo che riveste il Presidente del Consiglio, usufruire di mezzi di soccorso pubblico destinato a emergenze di soccorso, unicamente ed esclusivamente per scopi legati alla campagna elettorale dell'appuntamento elettorale referendario –:
   se corrisponda al vero quanto denunciato dal quotidiano nazionale che riportava l'articolo di cui in premessa;
   ove quanto detto corrispondesse al vero, considerata la necessità di economizzare e di limitare i privilegi alla «casta politica» – così come ha potuto più volte dichiarare il Presidente del Consiglio –, se non ritenga di assumere iniziative volte a evitare l'uso eticamente non corretto e improprio di mezzi destinati a soccorso di emergenza, non per fini istituzionali, bensì per scopi di campagne elettorale;
   se trovi conferma che i costi a carico dei contribuenti per gli spostamenti dei viaggi sull'elisoccorso usato il 19 novembre 2016 per la propaganda elettorale siano di euro 71.500;
   se, in merito agli spostamenti con elicottero di Stato del 22 ottobre 2016, il costo a carico dei cittadini fosse di circa 32.500 euro. (4-14933)


   PESCO, ALBERTI, CRIPPA, GAGNARLI, LOMBARDI, COMINARDI, TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, TRIPIEDI e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   La Verità il 27 novembre 2016 titola «Il giallo della licenza di Banca Etruria – l'istituto salvato dal Governo può esercitare ? Il giudice lo chiede per ben tre volte, ma Bankitalia oppone il segreto. Il sospetto è che il documento non sia stato rilasciato: sarebbe un guaio grosso per il premier – Un giudice chiede alla Nuova Etruria avete la licenza ? L'istituto di Arezzo non esibisce il permesso per operare – La Corte così si rivolge a Visco che però oppone il segreto». Nell'articolo a firma Giacomo Amadori in toto richiamato, si legge «(...) “Il governo quando ha autorizzato Nuova Etruria Banca Etruria ha istituito non una banca, ma una società che in un secondo momento avrebbe dovuto chiedere la licenza. Ma secondo me questo non è stato fatto. (...) È davvero strano che in tre udienze in cui è stata interpellata anche la Banca d'Italia questo documento non sia venuto a galla”. Se De Marchis dovesse avere ragione i vertici della banca rischierebbero, tra le altre, l'accusa di esercizio abusivo dell'attività bancaria. Un possibile nuovo grosso guaio per il Governo che vedrebbe annullati tutti gli effetti del Salvabanche e gli atti delle nuove società»;
   stesso giorno, La Verità pubblica intervista a Roberto Bertola, amministratore delegato della Nuova Banca Etruria: «La licenza ce l'abbiamo, ma non so ancora se la porteremo in aula», ove si apprende «(...) Quindi a dicembre presenterete la licenza in Tribunale ? L'AD Roberto Bertola “Stiamo lavorando per quello” (...) Scusi se insisto: quindi porterete fisicamente la copia della licenza ? “Noi porteremo la documentazione relativa alla licenza. Più di un documento...”. La licenza no ? “Ci stiamo lavorando. Presenteremo o la licenza fisica o la documentazione relativa”. (...) Quindi la porterete giovedì in aula ? Posso scriverlo ? “Lei scriva che ha saputo in via informale dalla banca che si sta lavorando per fornire tutta la documentazione atta a dimostrare l'esistenza della licenza”. Posso dire che a dicembre verrà presentata la licenza ? “Verrà portata la documentazione relativa alla licenza, non so ancora quale documento fisico. Stiamo predisponendo la comunicazione insieme con Roma, perché Via Nazionale è socio unico...”» –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze, come presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, confermi e possa esibire la licenza bancaria per Nuova Banca Etruria e, in caso negativo, quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione all'eventuale esercizio abusivo del credito da parte di Nuova Banca Etruria. (4-14934)


   LAFFRANCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la valvola termostatica è un dispositivo composto da uno stabilizzatore autoregolante al quale è associato un termostato. Quest'ultimo ha lo scopo di regolare l'apertura della predetta valvola, tenendo in considerazione la temperatura dell'ambiente circostante;
   negli impianti di riscaldamento, le valvole termostatiche vengono usate nei caloriferi per regolare il flusso dell'acqua calda negli stessi in base alla temperatura richiesta dall'ambiente allo scopo di ridurre i consumi di energia (di circa il 17 per cento annuo) e le emissioni di anidride carbonica (di almeno 280 kg/anno) e migliorare il comfort stabilizzando la temperatura a livelli diversi nei vari locali a seconda delle necessità;
   nel nostro Paese, a partire dal 2007, è richiesta l'installazione di valvole termostatiche a bassa inerzia tecnica su tutti i radiatori, per poter usufruire dell’ecobonus del 65 per cento nel caso di riqualificazione dell'impianto termico, in abbinamento ad una caldaia a condensazione;
   a seguito dell'introduzione dell'obbligatorietà della dotazione della carta d'identità per le caldaie, i sistemi di riscaldamento e di climatizzazione, gli impianti solari e le pompe di calore, avvenuta in data 15 ottobre 2014, che ha creato molte problematiche in sede di applicazione per le famiglie, le imprese e i negozi, entro il 31 dicembre 2016, così come previsto dal decreto di recepimento della direttiva 2012/27/Ue sull'efficienza energetica, per tutti gli italiani che risiedono in condomini con riscaldamento centralizzato scatterà l'obbligo di installare su ciascun termosifone del proprio appartamento le valvole termostatiche con i contabilizzatori di calore;
   lo scopo della termoregolazione è quello di contenere la spesa energetica delle abitazioni. Si tratta, cioè, del cosiddetto «Protocollo 20-20-20» che prevede per il 2020 di diminuire del 20 per cento le emissioni di CO2, incrementando nella stessa percentuale le fonti rinnovabili di energia;
   a detta della Unione europea, questo ennesimo intervento di risparmio energetico dovrebbe consentire, anche, un risparmio medio annuale tra il 10 per cento e il 30 per cento del totale del combustibile utilizzato da ogni condominio. Tale parametro, però, è aleatorio se si analizza non solo l'efficacia in termini di risparmio energetico, ma anche l'ingente spesa per i proprietari degli immobili per l'installazione delle valvole termostatiche;
   infatti, secondo una simulazione del quotidiano « Sole 24 Ore», per un appartamento di 80 metri quadrati dotato di 6 caloriferi servirebbero circa 1.055 euro di spesa per installare le valvole termostatiche, compresi i costi per adeguare le pompe di circolazione dell'impianto condominiale da portata fissa a variabile. Importo che già ricomprende lo sconto fiscale del 65 per cento;
   da notizie in possesso dell'interrogante, un'altra disparità è rappresentata da coloro che sono esclusi dagli adeguamenti; oltre che nel caso di detentori di impianti autonomi, l'obbligo dell'installazione delle valvole termostatiche e dei contabilizzatori di calore viene meno quando si verificano «impedimenti di natura tecnica»;
   a giudizio dell'interrogante, anche a voler prescindere dai dubbi sulla legittimità costituzionale della norma che sancisce l'obbligo dell'installazione nei condomini delle valvole termoregolatrici del calore, deve tenersi conto da un lato delle ampie zone dove si sono verificate le scosse sismiche e delle zone del Centro-nord caratterizzate da una forte riduzione della temperatura che non consente l'adeguamento degli impianti operanti, dall'altro del progressivo esaurimento, da più parti denunciato, delle disponibilità delle valvole medesime e dei costi non indifferenti –:
   se si intenda verificare se l'obbligatorietà, a partire dal 1o gennaio 2017, della dotazione di valvole termostatiche per gli immobili siti in condomini con riscaldamento centralizzato, comporti realmente la diminuzione di agenti inquinanti immessi in atmosfera, il risparmio economico da parte dei contribuenti e il miglioramento energetico sancito dal «Protocollo 20-20-20»;
   se non ritengano doveroso assumere iniziative per prevedere un differimento dei termini dell'entrata in vigore, attualmente fissata per il 1o gennaio 2017, al fine di sollevare gli interessati da un adempimento al momento impossibile in larga misura;
   in caso contrario, se non intendano assumere iniziative per prevedere una sospensione dell'efficacia del provvedimento summenzionato almeno per i territori colpiti dagli eventi sismici dell'agosto e dell'ottobre 2016, nonché per i comuni del Centro-nord ove le temperature sono oramai rigide ed inferiori alla media per il periodo;
   se, alla luce dell'indagine compiuta dal « Sole 24 Ore», non ritengano di dover assumere iniziative per rivedere l'obbligatorietà della dotazione di valvole termostatiche;
   se siano a conoscenza di come vengano rilevati gli «impedimenti di natura tecnica» e se non ritengano che in detta maniera si creino delle ingiuste disparità. (4-14936)


   CIRACÌ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 150 del 2015 sul riordino della normativa in materia di servizi per lavoro e politiche attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), con funzioni in materia di coordinamento della rete nazionale dei servizi per il lavoro che avrebbe dovuto iniziare le attività il 1o gennaio 2016;
   l'articolo 13 del decreto legislativo n. 150 del 2015 prevede la costruzione di un sistema informativo unico di suddette politiche, in grado di garantire la necessaria comunicazione tra attori della rete nazionale. Attraverso il portale, l'utente dovrebbe poter autocertificare il proprio stato occupazionale e dichiarare telematicamente l'immediata disponibilità al lavoro, senza recarsi fisicamente al centro per l'impiego;
   l'articolo 23 del decreto legislativo n. 150 del 2015 introduce il cosiddetto assegno di ricollocazione (l'Anpal ne definisce requisiti e, criteri): voucher per i percettori di «Naspi», disoccupati da oltre quattro mesi, spendibile presso i centri per l'impiego o gli operatori privati accreditati, per ottenere servizi di assistenza intensiva alla ricollocazione. Il mancato rispetto degli obblighi derivanti in capo al beneficiario può portare alla perdita della «Naspi»;
   Governo e presidente dell'Anpal hanno annunciato di voler avviare una sperimentazione della misura che coinvolgerebbe tra i 20.000 e i 40.000 beneficiari. Essa non riprodurrebbe fedelmente i caratteri propri dell'assegno di ricollocazione, rappresentandone un modello con aspetti in deroga all'assegno di ricollocazione «ordinario»;
   la procedura relativa alla sperimentazione dell'assegno di ricollocazione, a detta degli organi di stampa che ne descrivono il funzionamento, dovrebbe essere gestita tramite il portale dell'Anpal non ancora online; i partecipanti dovrebbero essere estratti tramite un metodo stocastico di campionatura random e contattati tramite posta elettronica o ordinaria per l'adesione. Dopo l'accettazione, i partecipanti dovrebbero prendere appuntamento e recarsi presso il centro per l'impiego che dovrà erogare l'assegno, e decidere se farsi assistere nel percorso di ricollocazione dallo stesso centro per l'impiego ovvero da un privato accreditato;
   a parere dell'interrogante, sebbene non sia a conoscenza del contenuto della nota indirizzata ai potenziali partecipanti, sussiste il rischio che possa essere fraintesa la natura dell'assegno, scambiandolo per un incremento monetario della «Naspi»;
   il Governo ha annunciato che la sperimentazione inizierà entro fine mese, sebbene molti aspetti non siano ancorai chiariti e non sia ancora stato pubblicato l'atto dell'Anpal che definisce modalità operative e gestionali;
   ad avviso dell'interrogante la sperimentazione è una modalità per ridurre la platea, predeterminando un risultato positivo che altrimenti la misura non avrebbe potuto raggiungere a condizioni date, considerata la ripresa economica lenta che rende difficile la ricollocazione e le difficoltà gestionali dei centri per l'impiego travolti dal processo di riordino delle province;
   la scelta dei centri per l'impiego chiamati a gestire la sperimentazione appare all'interrogante un'ammissione dell'incapacità di alcune parti del sistema di garantire la gestione della misura che a regime interesserà 200.000 disoccupati –:
   quali siano le ragioni:
    a) del ritardo nell'attuare le disposizioni del decreto legislativo n. 150 del 2015 che avrebbe dovuto equilibrare l'aumento della flessibilità in uscita introdotta con il contratto a tutele crescenti;
    b) della costruzione del sistema informativo unitario;
    c) della mancata implementazione del sistema di cooperazione applicativa sperimentato col programma «Garanzia Giovani»;
   se il portale informatica garantirà le funzionalità previste dalla legge e quale garanzia di pubblicità verrà data agli atti dell'Anpal nelle more della costruzione del portale;
   quali motivazioni abbiano indotto a scegliere la sperimentazione 15 mesi dopo l'entrata in vigore dell'assegno di ricollocazione, individuato come livello essenziale delle prestazioni (LEP) dal decreto legislativo n. 150 del 2015;
   quali ragioni abbiano determinato l'accelerazione dell'avvio della sperimentazione in prossimità della scadenza elettorale referendaria;
   quali iniziative intendano assumere per chiarire inequivocabilmente che si tratta di voucher che andranno agli operatori, pubblici o privati;
   quali iniziative intendano promuovere per garantire il principio di non disparità di trattamento tra soggetti che avrebbero gli stessi diritti in termini normativi ma che invece sono trattati diversamente a seconda che siano o meno estratti per la sperimentazione;
   se non ritengano che vadano definiti nel dettaglio gli aspetti operativi e gestionali prima di procedere a una sperimentazione;
   quale durata avrà la sperimentazione e come verranno monitorati i suoi esiti. (4-14937)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, il 24 novembre 2016, ha approvato due decreti legislativi che apportano modifiche e integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica n. 279 del 1974, riguardante l'esercizio del prelievo venatorio in Trentino-Alto Adige e che in sostanza ripristinano, e rafforzano le competenze legislative esclusive in materia di caccia delle province di Trento e Bolzano;
   in particolare, il decreto legislativo specifica «le funzioni di pianificazione, regolazione e controllo spettante alle Province autonome per l'esercizio della competenza legislativa riconosciuta ai sensi dello Statuto di autonomia, quali la disciplina delle forme di caccia esercitabili nel territorio provinciale e la possibilità di prelievo di selezione degli ungulati»;
   il decreto demanda alla legge provinciale le modalità e le procedure con le quali può essere consentita ed esercitata l'attività venatoria all'interno dei parchi naturali istituiti dalla provincia;
   inoltre, il decreto legislativo prevede che il presidente della provincia autonoma, possa disporre temporanee variazioni dell'elenco delle specie cacciabili – stabilito dall'articolo 1 della legge n. 157 del 1992, che recita «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile della Stato», dopo aver effettuato la consistenza della specie in rapporto allo specifico territorio considerato, al fine di garantire la tutela degli interessi ambientali;
   numerose specie, tra le quali marmotte, stambecchi, tassi, faine e orsi, nonostante la legge nazionale lo vieti, potranno essere cacciate e uccise in deroga, con il beneplacito di amministratori locali;
   il Governo permette quindi ai presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano di consentire la caccia anche a specie protette e proprio nelle aree protette. Si tratta di un atto contrario al più elementare principio di rispetto degli equilibri ambientali, che legittimerà l'uccisione di migliaia di animali protetti del nostro Paese;
   tale disposizione appare agli interroganti gravemente lesiva della Costituzione, delle norme internazionali ed europee a tutela della fauna selvatica e in palese violazione del quadro normativo nazionale;
   l'approvazione del decreto legislativo da parte del Consiglio dei ministri, con cui si autorizza ai cacciatori delle province autonome di Trento e Bolzano la facoltà di uccidere la fauna selvatica protetta nei parchi, è avvenuta peraltro una settimana prima al voto referendario del 4 dicembre 2016 –:
   come si intenda evitare, che quanto approvato in materia di caccia al Consiglio dei ministri, non risulti gravoso anche sotto un profilo economico pubblico, poiché ad avviso degli interroganti verosimilmente l'Unione europea potrà avviare nei confronti dell'Italia delle procedure d'infrazione in materia di caccia;
   se il Governo non ritenga doveroso assumersi la responsabilità di tutelare la fauna selvatica, quale patrimonio indisponibile dello Stato, assumere le iniziative di competenza al fine di abrogare i pieni poteri demandati ai presidenti di provincia in materia di attività venatoria, così come stabilito dai decreti legislativi approvati il 24 novembre 2016. (4-14942)


   MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sistema pubblico di identità digitale (SPID), operativo dal 15 marzo 2016, è un sistema che dovrebbe consentire, attraverso identità digitali garantite e sicure, di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione, come ad esempio la dichiarazione dei redditi, l'Isee, i referti, le visite mediche, la situazione previdenziale, le denunce di infortuni all'Inail, l'iscrizione all'asilo nido, i congedi di maternità, il pagamento di tasse e bolli, le proprietà immobiliari, le dichiarazioni di successione e molto altro ancora;
   il sistema si impernia su requisiti di identità digitale, organizzati su tre livelli e rilasciati da soggetti denominati identity provider, che sono soggetti ad una procedura di accreditamento presso la stessa Agenzia per l'Italia digitale (Agid);
   tale procedura di accreditamento (operativo dal 15 dicembre 2015), incentrata su requisiti di sicurezza molto stringenti, è vigilata e controllata dalla medesima Agid;
   ad oggi, accreditati dall'Agid sono quattro operatori: Infocert Spa, Poste Italiane Spa, Sielte Spa, TI Trust Technologies S.r.l.;
   in un recente articolo di stampa viene mostrato un video, nel quale si vede un soggetto esibire un documento di identità cartaceo grossolanamente contraffatto, alla webcam dell'operatore dell’identity provider, al fine di essere riconosciuto ed ottenere credenziali di accesso perfettamente valide;
   il principale problema è dato, quindi, dai meccanismi di identificazione, delegati a soggetti che, in alcuni casi, usano una webcam – strumento facilmente ingannabile – per accertare l'identità del cittadino richiedente il servizio, senza peraltro che il cittadino sia adeguatamente informato e responsabilizzato (anche penalmente) per le dichiarazioni e attestazioni rese al gestore di Spid (come invece previsto nell'ipotesi di illecito di cui all'articolo 495-bis del codice penale, rubricato «Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull'identità o su qualità personali proprie o di altri»);
   a ciò si aggiunge il fatto che, in base alle norme che regolano lo Spid, ogni cittadino può astrattamente avere più identità digitali acquisite da identity provider diversi, senza aver modo di conoscere quante identità a suo carico siano state attivate;
   alla luce di quanto narrato, appare dunque necessario migliorare la normativa, nonché la procedura di identificazione dell'identità del richiedente il servizio, magari inserendo controlli incrociati con altre banche dati;
   ciò è necessario per garantire un'assoluta fiducia da parte del cittadino nel sistema Spid, e consentire dunque una maggiore diffusione nell'uso del sistema stesso, a partire dal numero ad oggi esiguo (poco più di 180.000) di identità digitali rilasciate, e da un incremento dei servizi forniti dalle pubbliche amministrazioni attraverso lo Spid –:
   se i fatti esposti corrispondono al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere al fine di rendere più sicuro dal punto di vista della sicurezza, il processo di attribuzione dell'identità digitale;
   se il metodo di identificazione attraverso webcam sia consentito dalle regole tecniche di AgID;
   se il Garante per la protezione dei dati personali sia stato preventivamente coinvolte in fase di definizione dei processi di identificazione, prima della loro messa in funzione;
   quanti dei 180 mila accreditamenti già rilasciati abbiano utilizzato il meccanismo di identificazione tramite webcam;
   se, qualora si usi un meccanismo di identificazione dell'utente tramite webcam, si intendano assumere iniziative per integrare la verifica con informazioni derivanti da altre banche dati;
   quante risultino essere le identità non rilasciate o rifiutate dall’identity provider, per problemi nella procedura di registrazione;
   se, al fine di accelerare la crescita nelle credenziali rilasciate, si intendano in futuro assumere iniziative per adottare procedure di identificazione «forte» già in esercizio nel sistema bancario.
(4-14943)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da fonti di stampa (articolo «La lettera agli italiani all'estero pagata dal Governo ? Se 3 indizi fanno una prova», sul sito de Il Giornale) sussisterebbero gravi indizi in base ai quali sarebbe dimostrabile che l'invio della lettera inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi (non è chiaro in quale veste) agli elettori italiani all'estero, per fini di propaganda politica nell'ambito della campagna per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, non sarebbe stata sostenuta con risorse di associazioni private, ma con risorse pubbliche;
   milita in questo senso quanto ricavabile dal codice di affrancatura presente sulle missive: Aut. SMA: GIPA/CN/ER/0002/2013. La sigla SMA indica infatti un servizio di Poste Italiane s.p.a. («Postatarget») per invii massivi di posta «senza materiale affrancatura», utilizzato per spedizioni contestuali a un numero elevato di indirizzi;
   la sigla GIPA significa «grandi imprese» e «pubblica amministrazione» ed indica che Poste Italiane sottoscrive la convenzione per questo tipo di invii con queste tipologie di soggetti, tra i quali non sembra potersi far rientrare il comitato referendario per il «Sì», al quale è stato attribuito l'invio di tali missive. Si rileva, inoltre, che la convenzione utilizzata per la spedizione è chiaramente indicata ed è la n. 0002 dell'anno 2013, quindi stipulata in un momento di molto antecedente alla costituzione dei comitati referendari e dello stesso avvio della procedura che ha condotto alla consultazione referendaria del 4 dicembre;
   all'enorme quantitativo di denaro utilizzato per il tipo di propaganda in questione e a convenzioni come quelle indicate, ad avviso dell'interrogante, potrebbe essere quindi stato fatto ricorso secondo modalità non conformi a quanto riportato dal comitato referendario o, addirittura, potrebbe esservi stato fatto ricorso attraverso risorse pubbliche o convenzioni imputabili a pubbliche amministrazioni. Se così fosse, ci si troverebbe chiaramente innanzi ad una gravissima violazione delle condizioni di par condicio e delle regole minime per le campagne referendarie, violazione vieppiù intollerabile per le più essenziali libertà politiche dei cittadini, dato che l'oggetto della consultazione popolare è una legge di revisione costituzionale che incide pesantemente sull'assetto costituzionale della Repubblica –:
   se vi sia una relazione di qualsiasi tipo tra pubbliche amministrazioni e invio delle missive propagandistiche all'estero e, in caso di risposta negativa, in che modo si spieghino le circostanze indicate in premessa. (4-14945)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOFALO, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, GRANDE, SCAGLIUSI, RIZZO, BASILIO, SPADONI, DI BATTISTA, CORDA, PAOLO BERNINI, SIBILIA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Verità del 27 novembre 2016 ha pubblicato un'intervista a Mohammed Khalifa Al Ghwell, presidente del governo di salvezza nazionale libico. Nell'intervista sono riportate affermazioni molto delicate in merito ai contatti dello stesso Al Ghwell con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano in merito al contenimento dei flussi migratori e sui potenziali rischi a cui sarebbe sottoposto il contingente militare italiano della operazione «Ippocrate»;
   nell'intervista l'esponente libico afferma, inoltre: «L'immigrazione clandestina non rientra tra le priorità del governo Renzi. Noi abbiamo dato delle indicazioni al vostro esecutivo ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta di collaborazione. Abbiamo avuto contatti con i governi italiano e francese e gli abbiamo spiegato come affrontare il problema per porre fine all'immigrazione clandestina verso l'Europa, creando occasioni di sviluppo nel sud della Libia che vadano a beneficio di questi migranti, che si potrebbero stabilizzare nel sud del nostro Paese se venissero impiantate fabbriche o create altre opportunità di lavoro»;
   Khalifa Al Ghwell afferma anche di essere andato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dove «abbiamo incontrato dei funzionari italiani, ma non abbiamo avuto a loro collaborazione. L'immigrazione clandestina non è una priorità»;
   nel corso dell'incontro la delegazione guidata da Khalifa Al Ghwell avrebbe richiesto finanziamenti «la metà di quelli che avete dato a Gheddafi» che avrebbero consentito di tenere l'Italia «a riparo da questi flussi migratori clandestini... Con questi soldi noi avremmo costruito le infrastrutture necessarie e avremmo garantito una vita dignitosa alla povera gente africana che passa dalla Libia e arriva da Ciad, Niger, Mali e Sudan in cerca di una vita migliore. Perché sia chiaro non ci sono libici tra i clandestini perché i libici non sono desiderosi di migrare in Europa»;
   Khalifa Al Ghwell parla negativamente del rapporto tra il Governo italiano e quello di al Sarraj criticando l'accordo che «ha portato a Misurata circa 300 militari armati fino ai denti con la scusa d'intervenire per la questione sanitaria e difendere l'ospedale mobile». «Ma si tratta di una grande menzogna – prosegue Khalifa Al Ghwell – e il popolo di Misurata non è affatto soddisfatto dell'operazione. I vostri militari se ne devono andare via immediatamente. Qui sono indesiderati. Loro credono di aver portato la pace, invece hanno portato problemi a questa città»;
   Khalifa Al Ghwell afferma, infine, di aver ripreso possesso dei Ministeri a Tripoli abbandonati in seguito all'arrivo in città di Al Sarraj a bordo di una fregata inglese;
   proprio l'arrivo di Al Serraj avrebbe destabilizzato la Libia e in particolare Tripoli, tanto che si erano diffusi gli episodi di criminalità e di rapimento delle persone –:
   se trovi conferma che l'incontro con i libici di cui parla Khalifa Al Ghwell sia effettivamente avvenuto e, in caso di risposta affermativa, quali esiti abbia prodotto e perché si sia rifiutato il piano proposto alle autorità italiane per affrontare i flussi clandestini d'immigrazione;
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere in relazione all'intervista del presidente Khalifa Al Ghwell e se non reputi che dalla stessa emergano problematicità sulla permanenza a Misurata del contingente militare italiano e in particolare circa l'incolumità fisica dei militari italiani;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per rivedere l'asse costruito intorno a Al Serraj, visto che lo stesso sta perdendo ogni residuo prestigio e che rischia di rappresentare un oggettivo ostacolo al percorso di riconciliazione nazionale della Libia. (5-10088)

Interrogazione a risposta scritta:


   PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo una non divulgata circolare della Farnesina, non è stato diffuso alcun dato, anche parziale, sulla partecipazione al voto dei cittadini italiani residenti all'estero;
   le operazioni sono cominciate martedì scorso, data a partire dalla quale sono stati affidati gli incarichi per la distribuzione dei plichi elettorali della circoscrizione estero;
   rendendo il processo, a giudizio dell'interrogante, meno trasparente e garantito, è stato scelto che la stampa e la spedizione dei plichi elettorali sarebbero avvenute senza bandi di gara, ma con affidamento diretto, aumentando il rischio di possibili abusi in quelle circoscrizioni consolari più periferiche o con standard non europei;
   sono cioè ambasciate e consolati (dunque il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale) a scegliere chi stampa e chi consegna le schede agli elettori; quindi, in ogni Paese, i rappresentanti diplomatici italiani decidono tipografici e «postini»;
   le stamperie producono il materiale, composto da un certificato elettorale, una scheda, due buste e un foglio informativo;
   il tutto, nella stragrande maggioranza dei casi, viaggia per corrispondenza ordinaria per arrivare – se arriva – nelle case degli elettori attraverso il sistema postale nazionale o (è il caso del Sudamerica) attraverso corrieri privati;
   una volta espressa la sua preferenza di voto, l'elettore rispedisce il plico, tramite lo stesso canale, al consolato o all'ambasciata di riferimento (ora di arrivo entro le ore 16 del dicembre 2016) e solo da questa data in poi i plichi viaggiano in «valigia diplomatica»;
   il costo di ogni invio sarebbe stato di circa 4 euro a scheda, portando il costo complessivo ad oltre 16 milioni di euro per tutto il voto estero;
   se il costo complessivo per la stampa e la spedizione delle schede elettorali riportato in premessa trovi conferma e quali siano le motivazioni alla base dell'affidamento diretto della stampa e della consegna dei plichi elettorali. (4-14925)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 luglio 2015, sono stati presentati i dati relativi ad un'indagine di microscopia elettronica effettuata su alcuni campioni di polvere depositatasi in due diverse zone del rione di Servola (Trieste) in prossimità dell'omonima Ferriera. La dottoressa Gatti, nel presentare i risultati, ha affermato che «Non ci sono dubbi che le particelle rilevate a Servola abbiano origine dalla Ferriera. La loro composizione è piuttosto costante e gli elementi chimici che compaiono sono del tutto compatibili con i minerali trattati nell'impianto»;
   alla luce dell'acclarata pericolosità delle polveri, il Comune di Trieste, con il documento «Deposizioni di polveri. Norme comportamentali nelle operazioni di pulizia domestica» del 29 dicembre 2015 ha comunicato che «(..) vanno adottate, nelle operazioni di pulizia domestica precauzioni analoghe a quelle già indicate dall'A.A.S. n. 1 Triestina nella nota dell'1.9.2015. Si raccomanda pertanto vengano utilizzati idonei sistemi aspiranti (...) dotati di filtro HEPA e (...) l'utilizzo di guanti in gomma e maschere per polveri di tipo uso e getta»;
   dai dati sulle Pm10 pubblicati dal sito dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia relativi alla rete di monitoraggio si evince come le centraline posizionate in Via Svevo e Via Carpineto, nel 2015 hanno misurato il superamento dei valori medi giornalieri consentiti per più di 35 giornate, mentre la centralina più prossima all'impianto siderurgico, posta in via S. Lorenzo in Selva, ha raggiunto le 142 giornate di superamento dei limiti;
   il Piccolo di Trieste, nell'articolo del 23 gennaio 2016 ha riportato che «da agosto il benzo(a)pirene rilevato dalla centralina di via San Lorenzo in Selva si è mantenuto sotto il limite di un nanogrammo per metro cubo». Tuttavia, «a causa delle concentrazioni dei primi mesi fino a tutto novembre la media annuale ha superato il limite di legge, attestandosi a 1,2 nanogrammi»;
   a seguito dei risultati di due diverse campagne di analisi dei terreni superficiali in diverse aree pubbliche, il comune di Trieste ha disposto, attraverso due distinte ordinanze sindacali di aprile e giugno 2016, la precauzionale limitazione all'accesso di alcuni spazi verdi pubblici, tra cui i giardini di due scuole;
   il 2 agosto 2016 il commissario europeo per l'ambiente, Vella, nella risposta all'atto n. E-004494/2016 ha dichiarato che «in riferimento alla concentrazione di inquinanti registrata nel 2015, gli Stati membri hanno l'obbligo di informare la Commissione entro la fine di settembre 2016 e pertanto la Commissione non è ancora in grado di verificare i fatti in questione relativi al 2015 sulla base delle relazioni ufficiali redatte dallo Stato membro. Per il 2014, le autorità italiane hanno riferito di non aver superato il valore limite di PM10, né il valore-obiettivo B(a) nella zona di qualità dell'aria pertinente, mentre il PM2,5 era ancora oggetto di un valore-obiettivo. La Commissione riesaminerà la situazione alla luce della relazione annuale 2015, attesa per settembre 2016»;
   il 22 novembre 2016 il sito online del comune di Trieste ha riportato la presentazione del report «Servola: cosa ci dicono le segnalazioni dei cittadini e primi riscontri oggettivi» elaborato dal professor Barbieri per conto del comune di Trieste. «Il prof. Barbieri ha esposto l'analisi approfondita effettuata sui dati relativi alle segnalazioni pervenute dalla popolazione all'Amministrazione, (...) su alterazioni e impatti ambientali, attraverso vari canali (email, telefono, a voce). Dati che sono stati riportati, per tramite del Servizio Ambiente ed Energia del Comune, anche dalle raccolte mensili delle segnalazioni ambientali giunte alla Polizia Municipale da gennaio 2009 a settembre 2016, per un totale complessivo di 4716 segnalazioni ambientali»;
   dall'elaborato è stato rilevato che «le molestie olfattive sono la tipologia di odori più indicati in tutti gli anni, in particolare nel 2015, l'anno con il maggior numero di segnalazioni come «irritazioni, difficoltà, malessere, nonché deposizioni e impatto acustico (...)» –:
   se il Governo intenda pubblicizzare la relazione annuale relativa alla concentrazione di inquinanti sul territorio nazionale inoltrata alla Commissione europea;
   quali iniziative di competenza, alla luce delle criticità emerse, il Governo intenda adottare a tutela della salute pubblica. (5-10080)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, è situata ad un centinaio di chilometri dalla regione Friuli Venezia Giulia, in direzione del vento di Bora. Dopo la sua costruzione, gli studi effettuati hanno accertato che l'area risulta essere una delle più sismiche della Slovenia. Il sito è stato infatti epicentro di diversi terremoti: magnitudo Richter tra 5 e 5,5 nel 1628 e nel 1924, magnitudo 6 nel 1917, magnitudo 4,2 nel 2015. Nel 1989 un terremoto di magnitudo 3,9 ha impresso alla centrale una accelerazione già superiore a quella di progetto. L'attività sismica, quindi, è continua, in tutta l'area interessata;
   da anni l'associazionismo ambientalista e diversi esperti segnalano come l'inquietante presenza del sito nucleare possa costituire un pericolo per le popolazioni e per l'ambiente, dovuto alla sua localizzazione in zona sismica ed alla vetustà dell'impianto, già interessato da fuoriuscite di materiale radioattivo;
   gli interroganti si sono più volte interessati alla questione con numerosi atti di sindacato ispettivo. Il Ministro interrogato nelle risposte agli atti n. 4-00417, n. 4-01177 e n. 4-06140 del 22 giugno 2016, ha affermato che «(...) secondo l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare, gli stress test confermano che la centrale di Krsko è tra le più sicure d'Europa e che le misure adottate sono già adeguate per fronteggiare la maggior parte dei possibili disastri naturali (...)»;
   il 13 maggio 2016, il Ministro interrogato, in risposta all'atto n. 2-01368, ha dichiarato che «sono in corso di realizzazione interventi per fronteggiare eventi estremi quali un sisma d'intensità doppia (accelerazione 0,6) rispetto a quella di progetto»;
   l'11 ottobre 2016, nell'audizione presso la commissione 13o del Senato della Repubblica sulla pericolosità sismica di Krsko, il dottor Decker, il dottor Sirovich e il professore Suhadolc hanno affermato che «(...) a Krsko possono ripresentarsi terremoti forti almeno quanto quello già verificatosi nel 1917, ma probabilmente anche ben più forti e potrebbero avere conseguenze gravissime (...). Non esiste comunque un'autorità scientifica super partes, che controlli i progetti; quindi essi rimangono affidati quasi esclusivamente ai consulenti che, ovviamente, tendono ad assecondare la committenza. Ci sembra di avere capito che i Paesi aderenti all'Unione europea possono sottoporre i propri eventuali dubbi in fatto di normative nucleari, siti specifici, stress test etc. alla conferenza europea ENSREG. In tale sede, l'Italia è rappresentata dall'ISPRA che ha il compito di veicolare anche le eventuali osservazioni dei cosiddetti portatori di interessi o di competenze (...)»;
   i tre esperti hanno, inoltre, affermato che «(..) la differenza tra PGA 0,6 (valore ottimisticamente considerato di sicurezza) e il valore 0,8 (rottura del nocciolo, secondo gli stress test); non dà nessuna garanzia. Se si adotta come valore medio 0,6, c’è un'alta probabilità che si superi il valore di 0,8 (...)»;
   un articolo del 19 ottobre 2016 di TriestePrima ha riportato le dichiarazioni dell'assessore Friuli Venezia Vito, che ha ricordato come l'impianto termonucleare di Krsko è tenuto ad ottemperare tutti gli accordi internazionali in materia di sicurezza degli impianti nucleari che prevedono precisi obblighi per l'ente gestore come quello di fornire puntuali informazioni, tramite l'ISPRA, sullo stato degli impianti a Stati e regioni limitrofe. L'articolo riporta, inoltre, che «le più recenti informazioni fornite dall'ISPRA consentono di affermare che l'impianto risponde agli standard di sicurezza vigenti a livello internazionali, anche per quanto riguarda il rischio sismico»;
   Il commissario europeo per l'azione per il clima e l'energia Canete, il 24 ottobre 2016 nella risposta ad una interrogazione che chiedeva alla Commissione europea un approfondimento per rassicurare i cittadini sul rischio sismico della generale nucleare, ha riferito che gli stress test effettuati nel periodo 2011-2012 nell'ambito dell'ENSREG per valutare la resistenza delle centrali nucleari a eventi esterni, hanno dimostrato che i margini di sicurezza sismica della centrale di Krsko erano «sufficienti» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per chiarire la preoccupante situazione e a quali esperti e istituzioni scientifiche intenda ricorrere per chiarire definitivamente la pericolosità sismica dell'area in questione;
   quali iniziative intenda intraprendere, di concerto con le autorità slovene, nella valutazione del rischio ambientale;
   se ritenga opportuno attivare, in accordo con le autorità slovene e gli organi competenti europei, iniziative mirate a far luce sulla situazione citata in premessa;
   se, ed in quale modalità, intenda tener conto delle evidenze emerse dall'analisi dei ricercatori citati in premessa.
   (5-10087)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   qualche giorno fa il programma di Italia 1 « Le iene» ha messo in evidenza il potenziale e gravissimo pericolo collegato alla radioattività del terreno del letto del fiume Franco. Nel servizio, il giornalista «iena» Giulio Golia segue le tracce indicate da un vecchio articolo de L'Unità che fa riferimento a fatti avvenuti negli anni ‘90 in cui si racconta di avvistamenti di strani fusti gialli o arancioni con l'inequivocabile simbolo della radioattività, trovati sulle spiagge catanzaresi. Con l'ausilio di un contatore Geiger la «iena» scopre che in alcuni punti nei pressi del torrente Franco i livelli di radiazioni rilevati fino ad appena un paio di metri di profondità sarebbero fino a 15 volte più alti dei valori normali;
   sulla presunta presenza di rifiuti radioattivi in Calabria Legambiente aveva ricostruito i casi nel dossier del 1995 «Rifiuti radioattivi: Il caso Italia», a seguito delle denunce che i circoli locali avevano presentato alla magistratura nel marzo del 1994. Con un esposto alla procura, presso la pretura di Reggio Calabria, erano state riportate notizie circa la presenza di discariche di rifiuti abusive in Aspromonte, in particolare nella zona tra la Limina e Cinquefrondi. Relativamente alla vicenda sulle «navi dei veleni», invece, Legambiente aveva segnalato anche le due testimonianze, riportate dal settimanale Cuore e raccolte dalla procura della Repubblica di Catanzaro, che riguardavano il caso dei due pescatori di Montauro, in località Calalunga (Catanzaro), e quella relativa allo spiaggiamento di alcuni fusti, di color giallo, immediatamente recuperati da due battelli (Isola Gialla e Corona). All'epoca dei fatti sia il prefetto di Catanzaro che la protezione civile avevano smentito, a più riprese, l'esistenza di dati preoccupanti da un punto di vista sanitario. Legambiente aveva chiesto che venissero resi pubblici, immediatamente, i risultati delle analisi. Le informazioni fornite furono parziali, perché alcune delle analisi eseguite erano coperte da segreto istruttorio. Secondo informazioni che Legambiente aveva acquisito, esistevano perizie discordanti. Sempre nello stesso dossier, l'Associazione aveva ripreso anche le denunce fatte sugli strani spostamenti di navi sulle coste calabresi. Di queste vicende si occupò la pretura di Reggio Calabria, da cui nacque la collaborazione con il capitano Natale De Grazia, morto, per cause misteriose, durante le sue indagini;
   interpellata sull'argomento, l'agenzia regionale Arpacal ha spiegato: «Già molti anni prima che questa agenzia nascesse, l'Anpa, quindi il ministero, avevano condotto scrupolose indagini su tutto il territorio nazionale con particolare attenzione alle coste. Nel 1996, nel 1998 e nel 2002 si analizzarono non solo le sabbie, ma anche il mare e il pescato, anche nelle zone interessate dal servizio de “Le Iene”, pur senza riscontrare valori fuori norma o preoccupanti. C’è da segnalare – aggiungono – che la provincia di Catanzaro ha uno dei registri tumori più avanzati d'Italia e i dati in esso contenuti ci dicono che in quella zona non c’è alcuna incidenza anomala di tumori sulla popolazione»;
   il danno all'immagine della Calabria, che siano confermate o meno le conclusioni di Golia, appare già ingente. Le zone interessate, vivendo solo d'estate di turismo e commercio legati alla bella stagione, rischiano di risentire della pubblicità negativa ottenuta con il servizio –:
   se non intenda intraprendere, con urgenza, ogni iniziativa utile di competenza per scandagliare le coste calabresi ed i tratti di mare antistanti alla ricerca di eventuali scorie tossiche. (5-10090)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2016 l'azienda Ondulato Santerno ha presentato un progetto per una centrale cogenerativa termo elettrica alimentata da fonti rinnovabili, precisamente olio di palma, da 1 megawatt, finalizzato a produrre energia elettrica per i propri impianti industriali nella Vallata del Santerno;
   l'impianto ha già ricevuto l'autorizzazione dell'Arpae e l'Autorizzazione unica ambientale (AUA) ma non lo screening di valutazioni di impatto ambientale, opportuna ai fini di saggiare la sostenibilità dell'impianto; il Consiglio di Stato, tramite le sentenze 04729/2014, n. 04727/2014, n. 04730/2014, ha ritenuto illegittime le autorizzazioni rilasciate senza la preventiva sottoposizione a screening di valutazioni di impatto ambientale ed escluse da tale procedura sulla base della sola soglia dimensionale;
   l'impianto dovrebbe sorgere a ridosso di una zona sottoposta a vincolo ambientale, il parco regionale della Vena del Gesso;
   gli alti livelli di inquinanti dell'Emilia Romagna, così come emerso dal rapporto dell'Arpa sulla qualità dell'aria, sono tali da indicare un percorso di salvaguardia della popolazione da fonti inquinanti, escludendo l'installazione di nuovi impianti potenzialmente inquinanti;
   la pressione della società civile e delle associazioni ambientaliste, riportata da diversi atti politici del M5S in sede regionale e locale (Casalfiumanese) tesi a chiedere spiegazioni sull'impianto i con particolare attenzione alle valutazioni di impatto ambientale e all'insostenibilità dell'olio di palma usato come biomassa;
   molti dubbi riguardano la sostenibilità dell'olio tropicale a fronte dell'impatto ambientale della sua produzione in termini di deforestazioni in zone ad alta biodiversità, con conseguente drenaggio della torba. La deforestazione del sud-est asiatico, negli ultimi 30 anni, ha comportato la perdita di un'area di foresta pari ai territori di Italia, Svizzera e Austria, convertendo depositi di carbonio organico in fonti di emissione climalteranti. Le emissioni prodotte hanno reso l'Indonesia il terzo Paese per emissioni di gas serra, subito dopo USA e Cina. Tonnellate di torba bruciano sottotraccia, e ributtano in atmosfera tutto il carbonio catturato dal suolo, fino a 300 tonnellate per ettaro;
   per ottenere 1 tonnellata di olio di palma vengono prodotte infatti dalle 10 alle 30 tonnellate di CO2, senza considerare la gran quantità di combustibili i fossili usati per i macchinari, per arare e seminare i campi, applicare fertilizzanti e pesticidi, raccogliere, trasportare, immagazzinare ed elaborare i raccolti. Si tratta di fertilizzanti che, tra l'altro, rilasciano una considerevole quantità di protossido di azoto (N20), un gas serra quasi 300 volte più potente della CO2;
   secondo gli studi commissionati dalla Unione europea, per raggiungere gli obiettivi della direttiva 2009/28/CE si è prodotto un cambiamento d'uso del suolo che ha coinvolto 8,8 milioni di ettari. Tra questi, vi sono 2,1 milioni di ettari impiegati per l'espansione delle piantagioni di palma a discapito delle foreste pluviali e delle torbiere nel Sudest asiatico. A ciò si aggiunge il fallimento degli stessi sistemi di certificazioni, quali la RSPO, che non è riuscito a garantire una reale riduzione del tasso di deforestazione e delle emissioni di gas serra a causa dell'illegalità diffusa in cui operano moltissimi operatori del settore –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative ai fini di una rivalutazione, in sede comunitaria, degli incentivi concessi agli impianti utilizzanti bioliquidi derivanti dalla palma, in considerazione dell'impatto ambientale della produzione di olio di palma e delle indicazioni della direttiva 2009/28/EC sulla provenienza sostenibile delle fonti rinnovabili;
   a intraprendere opportune iniziative normative volte ad introdurre il divieto dell'utilizzo di olio di palma (in ogni sua forma) per la produzione di energia elettrica (anche in assetto cogenerativo).
   (5-10099)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   solo dopo numerosi atti di sindacato ispettivo riguardanti scandali di corruzione e nomine sospette che hanno interessato la passata commissione VIA, il Ministro interrogato, il 7 maggio 2015, ha emanato un avviso pubblico per l'acquisizione di manifestazioni di interesse dei componenti della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale;
   con decreto ministeriale n. 81 del 6 maggio 2016, il Ministro ha fissato i criteri di nomina, professionalità, requisiti e incompatibilità;
   una volta individuati i soggetti meritevoli di essere nominati, i relativi atti sono stati trasmessi alla Corte dei conti per la verifica di legittimità;
   con deliberazione 3 agosto 2016, la Corte ricusava il visto e la registrazione degli atti, evidenziando numerose criticità;
   la Corte dei conti ha evidenziato che la scelta sarebbe dovuta avvenire attraverso una procedura pubblica con chiari criteri di selezione;
   tra i nominativi emergono nomi di rappresentanti politici – o loro congiunti – o di persone prive delle necessarie competenze specifiche, tra cui: Carlo Salatino, già assessore del PD al comune di Cosenza; Bruno Villella, già coordinatore provinciale del Pd Cosenza; Domenico Mariani, ex amministratore delegato Amgas Bari, fratello dell'allora consigliere comunale di Bari e membro del consiglio direttivo di Ferrovie Sud-est; Simone Vigni, PD, presidente della commissione per l'assetto del territorio consiglio comunale di Siena; Antonio Scurria, geologo, presidente del consiglio comunale di S. Agata di Militello; Luciano Taranto, ingegnere, ex amministratore delegato di ATOME3, UDC, condannato dalla Corte dei conti per danno erariale; Barbara Barattolo, architetto; Stefano Bettarini, ingegnere; Antonio Gatto, architetto; Biagio Bisignani, ingegnere;
   il Ministro, con avviso pubblico del 28 settembre 2016, ha revocato l'avviso del 7 maggio 2015 alla luce dei rilievi della Corte dei conti;
   in data 30 settembre 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato un nuovo avviso pubblico per l'acquisizione di manifestazioni di interesse alla nomina dei componenti della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS;
   a giudizio degli interroganti, l'avviso del 30 settembre 2016 non sanerebbe i rilievi evidenziati dalla Corte dei conti in merito al rispetto dei princìpi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa;
   in particolare, si rileva che l'avviso del 30 settembre 2016 rimanda l'indicazione di criteri e parametri di valutazione all'atto di insediamento della Commissione di valutazione istituita con decreto ministeriale n. 280 del 14 ottobre 2016 recante disposizioni per l'istituzione della Commissione per la valutazione delle istanze per la nomina dei componenti della Commissione VIA-VAS, e cioè successivamente alla raccolta delle manifestazioni di interesse dei candidati. Tale procedura appare agli interroganti ancora una volta in contrasto con i rilievi effettuati in precedenza dalla Corte dei conti –:
   quali siano i motivi di quello che gli interroganti giudicano un mancato recepimento dei rilievi della Corte dei conti, soprattutto in merito al rispetto dei princìpi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa, all'inadeguatezza dei requisiti richiesti e alla palese lesione del principio della parità di genere;
   se il Ministro non intenda, attraverso la predisposizione di un ulteriore avviso sostitutivo del precedente del 30 settembre 2016, precisare fin da subito i criteri di selezione con relativi punteggi, fornire l'indicazione di una procedura chiara e tracciabile e garantire la pubblicità dei curricula dei soggetti individuati;
   se intenda chiarire nel dettaglio le procedure di selezione all'interno del Ministero e a che tipologie di controllo siano state sottoposte le dichiarazioni e i curricula dei nominativi selezionati.
(4-14918)


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Eni, acronimo di Ente nazionale idrocarburi, è un'azienda multinazionale creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953, presente in circa 90 Paesi con più di 78.000 dipendenti nel 2013, attiva nei settori del petrolio, del gas naturale, della petrolchimica, della produzione di energia elettrica, dell'ingegneria e costruzioni. È il sesto gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari, dietro a Exxon Mobil, Shell, BP, Total e Chevron;
   il 1o dicembre 2016, alla raffineria Eni di Sannazzaro de Burgundi (Pavia), un rogo è divampato intorno alle 15,40 nel polo industriale del paese della Bassa Lomellina. Le fiamme si sono levate con violenza in una zona denominata Cantiere est 2, una parte dell'impianto di recente realizzazione. Secondo quanto riferito da testimoni, si è generata una «palla di fuoco» alta decine di metri, causando danni ingentissimi;
   sembra che l'incidente sia stato causato dallo scoppio di una pompa che porta il carburante in una torre di raffinazione della parte est della raffineria;
   da quanto si apprende, ci sarebbero due addetti intossicati, un paio di malori in paese per il panico e tre persone portate all'ospedale di Vigevano con bruciori agli occhi e alla gola;
   l'incendio ha tenuto in apprensione anche tutta la Bassa Valle Scrivia, in provincia di Alessandria, dove i sindaci per precauzione hanno invitato la popolazione a restare in ambienti chiusi e a uscire solo in caso di necessità;
   ci sono volute ben quattro ore per spegnere l'incendio scoppiato, per cause da accertare, all'interno dell'impianto di desolforizzazione. Soltanto alle 20 il rogo si è placato;
   inoltre, ci fu un precedente solo 5 mesi fa, sempre a Sannazzaro, quando un operaio di 30 anni rimase ustionato in seguito a esplosione nell'Isola 6, parte vecchia dell'impianto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intendano intervenire, per quanto di competenza, per evitare nuovi incidenti alla raffineria, per capire le cause dell'incidente, se l'azienda abbia tempestivamente avvertito le autorità competenti o se vi siano stati in questa operazione ritardi e se si intendano acquisire da ENI informazioni circa i danni che ne sono derivati o possono derivare alla salute della popolazione e dell'ambiente. (4-14940)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI, CARRESCIA e LODOLINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sull'ex deposito militare sito in località Torre del Parco a Camerino, comunemente denominato «Le Casermette», vige, da anni, un vincolo per cui tale area è stata dichiarata, nel 2008, dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche «zona di interesse storico-architettonico»;
   suddetto provvedimento è stato emanato a seguito dell'istruttoria, con sopralluogo, esperita dalla competente soprintendenza che, nella propria relazione, ha evidenziato come il complesso militare, costruito prima della seconda guerra mondiale, anche se privo di elementi di particolare valore storico-artistico, avesse nel suo complesso un valore storico documentario rilevante, sia perché materialmente rappresentativo di un'epoca, sia in quanto elemento identitario a livello territoriale;
   il tempo continua ad usurare i capannoni, gli alloggi e le recinzioni dell'ex deposito militare e ciò che rimane della struttura versa in uno stato di totale degrado, con i capannoni coperti da un fitto intreccio di erba e sterpaglie, i cui tetti mostrano preoccupanti segni di cedimento;
   la struttura presenta inoltre vetri frantumati, fili della luce che penzolano pericolosamente e saracinesche divelte o sollevate;
   in risposta ad un'interrogazione presentata nella scorsa legislatura dall'onorevole Mario Cavallaro, l'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, ha precisato che: «la dichiarazione di interesse storico-architettonico non impedisce usi compatibili con le prescrizioni di tutela previste dal codice dei beni culturali per gli immobili sottoposti a vincoli»;
   risulta agli interroganti che negli anni siano state avanzate diverse proposte di recupero dell'area, attualmente di proprietà del Demanio, tra le quali quella di farne un polo tecnologico per lo sviluppo di imprese innovative, in collaborazione con l'università di Camerino, ma purtroppo nessuna è andata a buon fine;
   la cessione dell'ex deposito militare in questione costituirebbe, in un momento particolarmente difficile per l'università ed il territorio di Camerino, duramente colpiti dai recenti eventi sismici che hanno interessato il centro Italia, un'importante ed ulteriore opportunità di sviluppo per l'ateneo e per la città –:
   se i Ministri interrogati, alla luce dei fatti descritti, intendano porre in essere iniziative utili all'effettiva ed urgente riqualificazione dell'ex deposito militare di Torre del Parco, denominato «Le Casermette», attraverso la cessione a titolo definitivo e non oneroso dello stesso, all'università di Camerino per la creazione di un polo scientifico-tecnologico.
(5-10085)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa, in particolare dall'agenzie Ansa del 28 novembre 2016 (lanci delle ore 12,10,33 e successivi) che la procura militare di Roma avrebbe notificato un avviso di chiusura delle indagini a sei ufficiali dell'Esercito italiano in relazione a una presunta truffa nella fornitura di veicoli blindati al contingente italiano di stanza in Afghanistan;
   la stessa agenzia precisa che «le indagini coordinate dal procuratore militare di Roma Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala hanno portato alla luce un presunto giro truffaldino messo in atto da alcuni ufficiali che, con i loro comportamenti, non avrebbero esitato ad esporre a rischio i loro colleghi. In particolare, i sei ufficiali avrebbero taciuto il dato della difformità del livello di blindatura di tre veicoli commerciali destinati al generale Italian Senior Officer, cioè l'ufficiale italiano più alto in grado in Afghanistan, rispetto alle caratteristiche pattuite nel contratto di noleggio con una ditta afghana.(...) I fatti risalgono al maggio del 2010, quando gli uffici amministrativi del contingente italiano contestarono formalmente alla ditta di noleggio afghana il carente livello di blindatura dei tre mezzi. Nonostante ciò, qualche tempo dopo dagli stessi uffici arrivò il via libera al pagamento delle fatture per il noleggio delle tre vetture: quasi centomila euro per cinque mesi, dall'1o marzo al 31 luglio 2010. Così facendo gli indagati avrebbero procurato alla ditta afgana l'ingiusto profitto di 35.000 euro, pari al maggior canone pagato per il noleggio di tre veicoli meno blindati del pattuito, provocando un danno corrispondente all'amministrazione militare»;
   le indagini avrebbero preso il via dopo la morte, classificata come suicidio, avvenuta a Kabul il 25 luglio 2010, del capitano Marco Callegaro e le evidenze emerse lasciano intravvedere un sistema di corruttela difficilmente immaginabile in un contesto quale quello del teatro afghano;
   la moglie Beatrice Ciaramella e il padre Marino Callegaro hanno sempre contestato la versione del suicidio dell'ufficiale italiano;
   i comportamenti venuti alla luce, al di là dell'eventuale truffa militare per cui si sta procedendo, potrebbero aver gravemente compromesso la sicurezza del contingente militare italiano in Afghanistan, dei suoi massimi responsabili e delle personalità militari e civili italiane e straniere che si recavano nel teatro afghano per ragioni istituzionali –:
   se il Ministero della difesa abbia avviato un'indagine interna per far luce sulle conseguenze della vicenda, anche perché secondo l'Ansa, la magistratura avrebbe disposto il sequestro di 28 veicoli blindati destinati alla protezione dei vertici militari e civili della missione italiana, nonché delle personalità in visita al contingente;
   quali iniziative il Ministro abbia assunto a seguito del sequestro dei veicoli blindati e quali siano stati gli esiti dell'eventuale indagine interna e, nel caso non sia stata disposta, quali siano le ragioni per le quali si sia ritenuto di non istituirla;
   se si sia provveduto a sospendere dal servizio i 6 militari indagati e se il Ministro non reputi, anche a tutela del buon nome delle Forze armate, di assumere le iniziative di competenza per la tempestiva costituzione di parte civile nel procedimento in corso, a prescindere dalle eventuali misure amministrative o disciplinari attivate. (5-10095)


   CAUSIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2005, n. 266 ha sancito, all'articolo 1, comma 563, il principio di progressiva estensione alle vittime del dovere e loro equiparati, dei benefici già previsti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;
   tale disposizione ha colmato, sotto il profilo dei principi, un vuoto normativo i cui effetti pratici si traducevano in una ingiusta disparità di trattamento tra categorie di vittime, nell'ambito del loro servizio allo Stato;
   sebbene negli anni si siano introdotte norme sempre più favorevoli di garanzia ed assistenza alle vittime della criminalità e del dovere, spesso queste o i propri superstiti soccombono in decoroso silenzio agli infausti meccanismi di una macchina lenta e sin troppo burocratica;
   i tempi di attesa per chi si deve sottoporre alla valutazione della Commissione competente in materia di benefici per le vittime del dovere inquadrata nel dipartimento militare di medicina legale di Roma possono superare anche un anno di attesa;
   diversi i casi che potrebbero essere citati tra i quali, ad esempio, quello di Vincenzo Cinque, luogotenente della polizia municipale di Napoli, deceduto dopo due mesi di ricovero in ospedale a seguito di una sparatoria a Secondigliano, dove morirono 5 persone;
   ad oggi, la famiglia, a quanto consta all'interrogante, è in attesa del parere della commissione citata che si deve ancora esprimere a distanza di un anno dal decesso –:
   quale iniziative risolutive il Governo intenda assumere per far sì che gli accertamenti della Commissione citata in premessa possano offrire risposte celeri ai famigliari e a coloro che restano invalidi durante l'attività di servizio alla Patria. (5-10105)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PESCO, CRIPPA, CASO, BRUGNEROTTO, CANCELLERI, VALLASCAS, CARIELLO, D'INCÀ, ALBERTI, LOMBARDI, COMINARDI, TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI e L'ABBATE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'inizio dell'anno 2016, la trasmissione Striscia la Notizia di Canale 5 ha lanciato una serie di servizi, intitolati eloquentemente «rapine in corso», riguardanti degli accertamenti immobiliari ai fini dell'imposta di registro, in cui sono stati contestati i valori della vendita di alcuni immobili, definendo l'operato dell'Agenzia delle entrate come «estorsioni legalizzate», che in alcuni casi hanno portato i tartassati e maltrattati contribuenti a gesti sconsiderati non emulabili;
   in tale contesto, in data 17 novembre 2016, Striscia la Notizia ha mandato in onda un servizio sulle evidenti incongruità di un edificio in Via Costi a Roma, di proprietà di Polis Fondi Immobiliari di Banche Popolari S.G.R.p.A. affittato all'Agenzia delle entrate ad un canone annuo di 1.508.750 euro, per una spesa complessiva per il sessennio 2016-2022 di euro 8.592.331,15 oltre IVA (euro 10.482.644,00 IVA compresa);
   dall'inchiesta del Tg satirico è emerso che l'immobile, acquistato al prezzo di 13 milioni di euro e con un rendimento superiore al 10 per cento, avrebbe in realtà un valore ben più alto del 6 per cento rispetto ai valori della zona; in pratica, secondo le stime di un esperto intervistato, l'immobile sarebbe stato acquistato ad un valore di 920 euro al metro quadro, contro un prezzo congruo della camera di commercio, fissato in 1.400/1.500 euro al metro quadrato, che porta la valutazione dell'immobile a 22 milioni invece dei 13 milioni di euro. Di contro, il canone di locazione praticato all'Agenzia sarebbe più elevato di circa 600.000 euro l'anno;
   in altre parole, contrariamente all'atteggiamento vessatorio avuto in questi anni nei confronti dei comuni cittadini, nel caso dell'immobile in Via Costi, sarebbero state evase le imposte con una differenza, sul valore dell'immobile, di 9 milioni, tra il costo di 13 milioni e la valutazione congrua di circa 22 milioni di euro;
   nel comunicato di risposta del 18 novembre 2016, al servizio di Striscia la Notizia del 17 novembre 2016 sulla nuova sede dell'ufficio di Roma, l'Agenzia delle entrate, ha fornito alcune precisazioni, senza rispondere ai rilievi più importanti riguardanti la congruità del prezzo dell'immobile di proprietà di Polis Fondi Immobiliari SGR p.a., molto più basso del valore di mercato, come del relativo fitto, molto più elevato (che consentirebbe alla Locatrice di ammortizzare in soli 6 anni quasi il 90 per cento del costo complessivo dell'immobile), con un vero e proprio sperpero di pubblico denaro;
   peraltro, come emerso in una nota dell'UGL dell'11 novembre 2016, il detto immobile, che dal 10 ottobre 2016 ospiterà la sede dell'ufficio di Roma dell'Agenzia delle entrate prima ubicato in viale Ciamarra, è sito in un luogo altrettanto disagiato, desertico e fuori mano per i collegamenti tanto da non essere conosciuto alla gran parte dei cittadini romani, oltre che risultare poco sicuro, essendo adiacente a campi nomadi e accampamenti fortuiti –:
   quali siano stati i criteri di efficientamento e di riduzione della spesa pubblica in base ai quali l'Agenzia delle entrate ha stipulato il contratto di affitto per la sede di via Raffaele Costi a Roma, offrendo un rendimento di oltre 1,5 milioni di euro l'anno, rispetto ad un valore di mercato inferiore di circa 600 mila euro;
   se siano state eseguite verifiche sulla congruità del valore di 13 milioni di euro, rispetto ai 22 milioni richiesti nella zona, e se in relazione all'eventuale negligenza non si intendano assumere iniziative volte a far valere le relative responsabilità;
   quali iniziative intenda adottare per arginare l'arbitrarietà delle rettifiche in materia di valori immobiliari. (5-10092)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 206 del 2005, agli articoli dal 50 al 61, illustra i requisiti per stabilire, tra un operatore e un utente, un contratto a distanza, ossia quell'accordo che viene definito via telefono, ad esempio con compagnie telefoniche, gestori elettrici e altri. L'operatore deve fornire all'utente le informazioni in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato, utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile e, nella misura in cui le informazioni sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili. La normativa prevede che siano forniti telefonicamente tutti gli elementi essenziali del contratto, tra cui le modalità del diritto di recesso;
   il sito clientiesperti.it, il 6 novembre 2011, ha spiegato che «i contratti stipulati secondo la norma sono validi a tutti gli effetti, peccato che molto spesso i contratti telefonici che riceviamo non rispettano tutti i requisiti previsti. I termini vengono spiegati a voce e solo in generale, non c’è molta possibilità di dialogo e di addentrarsi nelle specifiche, si perfeziona con un semplice assenso a voce. Questa vaghezza delle norme contrattuali molto spesso porta ad incomprensioni ed alla sottoscrizione di contratti di cui non si sa nulla». Da notizie di stampa si evince come le truffe telefoniche colpiscano frequentemente persone anziane, ma anche giovani, disabili e perfino persone defunte. La Repubblica del 28 ottobre 2016 ha evidenziato come, secondo l'Adoc, siano state registrate 900 segnalazioni di truffe telefoniche riguardanti le bollette di luce e gas e che entro la fine dell'anno ne siano previste 1200. «Tre volte di più rispetto a quelle registrate nel 2015»;
   il Piccolo del 2 novembre 2016 ha riportato della denuncia dell'Otc in relazione a dei contratti eseguiti per la fornitura del gas siglati sia con persone defunte sia nei confronti di professionisti e persone anziane, registrando centinaia di casi solo nella città di Trieste;
   l'articolo ha informato dell'invio di un esposto dell'Otc all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nei confronti di alcuni casi irregolari segnalando comportamenti scorretti da parte, in particolare, di tre società. «In realtà, a combinarla grossa non sono direttamente le società che poi erogano il servizio, bensì le centinaia di agenti che operano nella nostra provincia, anche in maniera autonoma (...) in alcuni casi con mezzi tutt'altro che leciti»;
   la Società Green Network ha replicato spiegando che «le pratiche commerciali scorrette denunciate da Otc dipendono dall'attività di società terze, estranee a Green Network. Si tratta di agenzie che (...) hanno operato a loro discrezione, in maniera non conforme alle prescrizioni normative. Green Network (...) ha avviato azioni legali nei confronti di queste agenzie, dopo aver interrotto i rapporti con loro. (...) Auspichiamo un intervento del legislatore per disciplinare questa materia, ad esempio istituendo un albo delle agenzie, in modo da dare certezza a tutti gli operatori del settore»;
   il Piccolo ha anche riportato le dichiarazioni di Luisa Nemez, presidente dell'Otc di Trieste, la quale consiglia di «non fornire mai dati a sconosciuti e per siglare un nuovo contatto rivolgersi preferibilmente a chi in provincia di Trieste ha aperto almeno uno sportello che consente, anche in caso di reclami, un contatto diretto con un addetto della società»;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha il compito di vigilare sull'applicazione delle norme e sanzionare le eventuali pratiche commerciali scorrette, in merito alla lacunosità della norma ha emanato il «Regolamento recante disposizioni a tutela degli utenti in materia di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche». L'articolo 3, comma 3, riporta che «gli operatori adottano tutte le misure necessarie ad evitare la fornitura di servizi in assenza di un contratto consapevolmente e liberamente concluso dall'utente, in particolare nel caso in cui il contratto comporti il passaggio ad altro operatore e la portabilità del numero. Se il cambiamento di operatore avviene contro la volontà dell'utente, l'operatore responsabile non pretende alcun corrispettivo per le prestazioni erogate e provvede in favore dell'utente, oltre alla corresponsione degli indennizzi dovuti, al rimborso delle somme da questi indebitamente corrisposte in ragione del trasferimento, ivi incluse quelle necessarie al ripristino delle condizioni tecniche e contrattuali preesistenti» –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere le iniziative di competenza per rivedere la regolamentazione in materia di contratti per la fornitura di acqua, gas ed elettricità e se intenda valutare la possibilità di istituire un albo delle agenzie citate in premessa, in modo da dare certezza a tutti gli operatori del settore;
   quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere per inasprire le sanzioni, così da evitare il più possibile le pratiche scorrette evidenziate e tutelare maggiormente i consumatori. (5-10100)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa riferiscono che per il concerto di Robbie Williams, previsto per il 14 luglio 2017 allo stadio Bentegodi di Verona, i costi dei biglietti sono lievitati in maniera esponenziale, sino a raggiungere i 2.695 euro per un solo tagliando;
   sulla vicenda, il Codacons ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Verona e alla polizia postale in cui chiede il sequestro e l'oscuramento dei siti web che riescono, grazie a software sofisticati, ad aggirare le limitazioni imposte alle piattaforme autorizzate alla vendita dei biglietti dei concerti (di norma 4 per ogni utente) e ad acquistare velocemente i tagliandi, accelerando il «tutto esaurito» sui canali ufficiali, per rimetterli in vendita a prezzi maggiorati (anche 10 volte) su un mercato parallelo a quello autorizzato, il cosiddetto secondary ticketing;
   quello del secondary ticketing è un fenomeno in rapida espansione in tutto il mondo e anche nel nostro Paese sta raggiungendo preoccupanti livelli di guardia. In assenza di precise legislazioni in materia, il business del secondary ticketing continua a crescere, generando guadagni spropositati a danno degli utenti;
   secondo un'indagine condotta dal procuratore generale di New York, Eric Schneiderman, nel dicembre 2015, i margini di guadagno medio per il mercato del secondary ticketing, sono del 49 per cento a tagliando;
   in Italia, secondo stime autorevoli, il volume d'affari del secondary ticketing dello scorso anno potrebbe essersi attestato su un valore che si avvicina ai 40 milioni di euro;
   è evidente come questo fenomeno rappresenti anche una fonte di pesanti perdite per la finanza pubblica considerato che i ricavi ottenuti dalla vendita dei biglietti sui «canali alternativi» non sono denunciati come reddito, risultando, quindi, completamente esentasse –:
   quali iniziative di carattere normativo i Ministri interrogati intendano porre in essere per contrastare adeguatamente e con tempestività il fenomeno del secondary ticketing, avendo come obiettivo la tutela dei consumatori e una efficace lotta all'evasione fiscale;
   se si ritenga applicabile anche al settore degli spettacoli dal vivo e, più segnatamente a quello dei grandi concerti di musica, quanto previsto dal decreto del Ministero dell'interno 6 giugno 2005 circa le modalità per l'emissione, la distribuzione e la vendita dei titoli di accesso agli impianti sportivi superiori alle diecimila unità, in occasione di competizioni calcistiche. (4-14914)


   BARGERO e MISIANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in migliaia di comuni italiani sono presenti le case dell'acqua, cioè unità distributive aperte al pubblico di acque derivate dall'acquedotto e variamente trattate, destinate al consumo del pubblico. Si stimano in circa tremila gli impianti funzionanti nel Paese, che rappresentano un servizio offerto ai cittadini dai vari soggetti incaricati (aziende idriche, comuni, consorzi e altro) che gestiscono la risorsa idrica. Oltre il 75 per cento è gestito da soggetti facenti parte della pubblica amministrazione ed il servizio fornito è particolarmente apprezzato dalla popolazione soprattutto nelle aree ove sussistono criticità circa la potabilità dell'acqua (si pensi, ad esempio, alle zone dove la concentrazione di arsenico e/o floruri nell'acqua è talvolta superiore a quella consentita dalla legge);
   le case dell'acqua – in attuazione delle direttive dell'Unione europea (ad esempio, la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE) e delle norme nazionali (articolo 180 del decreto legislativo n. 152 del 2006) sull'ordine alla riduzione della produzione dei rifiuti – costituiscono inoltre un servizio volto a ridurre e limitare le emissioni di gas serra ed orientato a modificare gli attuali modelli di consumo nell'ambito della prevenzione dei rifiuti, oltre ad essere un'attività finalizzata all'attuazione del principio dello sviluppo sostenibile. Proprio al fine di promuovere la valorizzazione di tali strumenti, il 9 ottobre 2013 è stato sottoscritto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle associazioni dei produttori un protocollo di intesa per la valorizzazione dell'acqua di rete e la riduzione dei rifiuti, che fa leva sul ruolo delle case dell'acqua nella riduzione delle emissioni inquinanti;
   l'articolo 2 del decreto legislativo n. 127 del 2015, così come modificato dall'articolo 4 del decreto-legge n. 193 del 2016, dispone che a partire dal giorno 1o aprile 2017 la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi di cui al comma 1 (del medesimo articolo 2 del decreto legislativo n. 127 del 2015) siano obbligatorie per i soggetti passivi che effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi tramite distributori automatici –:
   se non ritenga che il nuovo regime telematico nel caso delle case dell'acqua, comportando adempimenti burocratici per le amministrazioni ed obblighi esorbitanti rispetto all'effettiva entità delle transazioni, rischi di penalizzare – senza alcun concreto vantaggio per l'erario vista la natura pubblica del servizio – un servizio di pubblica utilità per i cittadini;
   se il Ministro interrogato in base alle considerazioni esposte, non ritenga di assumere iniziative per escludere le case dell'acqua dall'applicazione della nuova normativa, considerata sia la modestia delle transazioni sia i costi vivi periodici connessi alla trasmissione telematica dei corrispettivi. (4-14926)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere –premesso che:
   i comuni di Cuvio e Cuveglio, in provincia di Varese, ricevono dallo Stato centrale il ristorno dei frontalieri;
   per Cuvio, che presenta un rapporto residenti/frontalieri minimo, l'importo da ricevere dovrebbe essere intorno agli 80.000 euro; per Cuveglio, invece, che presenta tra i residenti una percentuale di frontalieri significativamente più alta, la cifra si attesta oltre i 200.000 euro;
   ad oggi, però, le risorse del ristorno non sarebbero ancora state riassegnate, né sarebbe arrivata alcuna comunicazione ufficiale dal Ministero dell'economia e delle finanze sulla cifra attribuita ad ogni comune;
   ad oggi, in assenza di comunicazioni e dati ufficiali e tenuto conto che si tratta di un contributo, suddetti comuni, come altri nella stessa situazione, non potrebbero, secondo i termini di legge, iscrivere alcuna somma in bilancio;
   i comuni interessati, per il momento, possono quindi indicare semplicemente un importo prudenziale, come stanziamento, ma certamente non possono fare nessun impegno di spesa finanziata dal ristorno frontalieri sino a quando non sarà incassata la somma, o almeno, fino a quando non si riceverà la comunicazione ufficiale che assicuri l'erogazione del ristorno e il conseguente importo;
   a ciò si aggiunge il fatto che per impegnare la somma, i comuni in questione dovrebbero avere il tempo di iscriverla in bilancio, operando la necessaria variazione, per poi approvare i progetti ed appaltarli, al fine di generare il fondo pluriennale vincolato che nel 2017 dovrà finanziare la spesa dei lavori che si vorrebbero svolgere il prossimo anno;
   le comunicazioni che ad oggi questi comuni hanno ricevuto dal Ministero dell'economia e delle finanze sarebbero, a quanto consta all'interrogante, esclusivamente di natura telefonica ed assolutamente non ufficiali: sembrerebbe infatti che il decreto non sia stato ancora firmato e gli importi comunicati, di volta in volta diversi, non ha o alcun carattere di certezza;
   mentre gli scorsi anni, le somme del ristorno sono state erogate tra settembre e ottobre e una sola volta, con carattere di eccezionalità, i primi di novembre, quest'anno – stando sempre alle comunicazioni non ufficiali del Ministero – le somme, che risulterebbero pari a 1050 euro per ogni frontaliero, dovrebbero invece essere assegnate tra il 5 e il 15 dicembre;
   dunque, i comuni in questione, quando incasseranno il contributo del ristorno, dovranno iscriverlo direttamente in avanzo di amministrazione perché non ci sarà tempo di iscriverli in bilancio e, in ogni modo, non ci sarà tempo di programmare un'opera, progettarla e appaltarla al fine di impegnare la somma;
   il ritardo di quest'anno arrecherà quindi un notevole pregiudizio agli enti locali che godono del ristorno e, in particolar modo, ai comuni in questione che finanziano con queste somme fino al 30 per cento della spesa corrente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente assumere iniziative per procedere con l'erogazione, ai comuni beneficiari, delle somme del ristorno dovuto per i residenti lavoratori frontalieri o, quantomeno, non ritenga necessario informare ciascun comune interessato, con veste di ufficialità, delle somme loro spettanti per ciascun residente lavoratore frontaliero;
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per prevedere una deroga per i comuni in questione che riceveranno le somme del ristorno a dicembre 2016, al fine di permettere l'iscrizione delle suddette somme in bilancio con variazione sino al 31 dicembre 2016 e di considerarle impegnate all'esercizio 2016 qualora l'appalto si perfezioni entro il 28 febbraio 2017 e al fine di permettere, per il 2017, l'utilizzo degli importi del ristorno confluiti nell'avanzo di amministrazione per il finanziamento di investimenti e, nel limite del 30 per cento delle spese correnti. (4-14929)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 22 novembre 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 92, il concorso per 800 cancellieri per nuove assunzioni a tempo indeterminato al Ministero della giustizia. Per la partecipazione al bando, oltre ai normali requisiti relativi ai concorsi pubblici (cittadinanza italiana, godimento diritti civili e politici, idoneità fisica), si deve possedere il diploma di istruzione secondaria di secondo grado quinquennale, oppure un titolo di studio superiore, riconosciuto ai sensi della normativa vigente;
   le prove selettive del concorso concernono esclusivamente materie giuridiche e un colloquio su una lingua straniera prescelta dal candidato;
   ebbene, a pochi giorni dalla pubblicazione del bando, sono subito sorti rilevanti dubbi sulla legittimità dello stesso, poiché prevede punteggi «extra» a prescindere dal risultato raggiunto alle prove di selezione. Al riguardo, vengono attribuiti: sei punti per coloro che abbiano svolto, per 12 mesi, un periodo di perfezionamento con la procedura indetta nell'anno 2015 dal Ministero della giustizia, per 1502 tirocinanti, per il cosiddetto ufficio del processo; un punto per coloro che abbiano svolto per 18 mesi un tirocinio ai sensi dell'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013; un punto per coloro che abbiano svolto uno stage (ex articolo 37, comma 11, del decreto-legge n. 98 del 2011) di 12 mesi negli uffici giudiziari, a seguito di convenzione stipulata fra l'ufficio stesso e il COA locale, SSPL, l'università o le regioni;
   nessun punto aggiuntivo viene, invece, attribuito per i titoli di lauree in materie giuridiche e per chi è abilitato all'esercizio della professione forense, ossia per chi ha specificamente un profilo professionale giuridico, né per i tirocini di 6 mesi nell'ambito delle SSPL e delle regioni;
   è evidente, a giudizio dell'interrogante, che ciò che offre maggiori profili di illegittimità è il riconoscimento di punti aggiuntivi, addirittura sei, ai 1502 ex-tirocinanti, che hanno una posizione di vantaggio per l'assegnazione degli 800 posti a tempo indeterminato;
   il bando prevede criteri secondo l'interrogante discriminanti che lo rendono illegittimo poiché la procedura selettiva è destinata, almeno formalmente, anche ai diplomati. Invece il « bonus» di sei punti è attribuito a titoli (tirocini) per conseguire i quali era necessaria la laurea con voto non inferiore a 105/110. Di conseguenza, un diplomato non avrebbe mai potuto partecipare a quei tirocini e pertanto concorrere «ad armi pari» a questo «concorso»;
   i sei punti aggiuntivi vengono attribuiti a prescindere dal raggiungimento della sufficienza alle previste prove scritte. Ciò determina una grave ingiustizia, poiché anche se gli ex-tirocinanti risultassero avere un punteggio insufficiente alle prove, potrebbero essere ugualmente ammessi alle successive prove orali, con il riconoscimento degli ulteriori sei punti che consentirebbero di raggiungere il punteggio ritenuto sufficiente. Sicché, verrebbero ammessi alle prove orali, ossia l'ultima prova selettiva della procedura, anche soggetti di fatto impreparati, in quanto privi della sufficienza alle prove scritte;
   si ritiene assurdo che il Ministero della giustizia abbia predisposto il bando in questione in base a criteri di dubbia legittimità, che di fatto favoriscono ingiustamente una determinata categoria di soggetti;
   si ricorda che i candidati che partecipano ad un concorso pubblico, oltre a sopportare ingenti spese per i manuali che consentono la preparazione e gli spostamenti logistici dovuti allo svolgimento delle prove selettive, sono sottoposti a stress fisico e psicologico. Pertanto, è inaccettabile che vengano predisposti dei concorsi che palesemente avvantaggiano alcuni candidati in base a criteri fortemente dubbi sul piano della legittimità. Tra l'altro, i partecipanti al concorso che ricevono un danno potrebbero legittimamente impugnarlo, il che comporterebbe anche dei costi per l'erario –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato su quanto esposto in premessa e se e quali urgenti iniziative intenda assumere, per riparare agli evidenti profili di dubbia legittimità del bando di concorso per 800 assistenti giudiziari pubblicato il 22 novembre 2016 sulla Gazzetta Ufficiale, n. 92.
(5-10094)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze per sapere – premesso che:
   il servizio dei treni intercity rappresenta, per un'ampia e diversificata fascia di utenza su tutto il territorio nazionale, un mezzo di trasporto pubblico fondamentale per garantire il diritto alla mobilità ai cittadini che sono costretti quotidianamente ad affrontare spostamenti, per motivi di lavoro, studio o salute;
   nonostante ciò, sono molti i disservizi, a cui sono sottoposti giornalmente i passeggeri che viaggiano sui treni intercity, tra cui: lunghi tempi di percorrenza; mancanza di puntualità; soppressione senza preavviso delle corse; carenza di informazione, mancanza di garanzia di partenza delle coincidenze; guasti tecnici; carrozze non adeguate e poco pulite; sovraffollamento dei convogli; condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie; aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione generalizzata dei servizi offerti;
   va rimarcato, d'altro canto, che, parallelamente alla crescita delle criticità e delle riduzioni del trasporto ferroviario intercity e regionale è stata elevata esponenzialmente l'offerta dei collegamenti dell'alta velocità (AV);
   da quanto emerso da organi di stampa, Trenitalia avrebbe intenzione di tagliare, dal 15 gennaio 2017, 7 coppie di intercity in tutta Italia, di cui 4 nella sola Toscana ed, in particolare, due coppie di treni sulla tratta Napoli – Milano che vengono utilizzati dai pendolari per collegare le città di Prato, Firenze, Arezzo e Chiusi;
   i servizi garantiti dai treni Intercity sono essenziali per l'utenza interregionale che non può accedere all'alta velocità, ma anche per i tanti pendolari che li utilizzano nei loro spostamenti quotidiani. Togliere questi servizi rappresenterebbe un danno gravissimo al servizio regionale, soprattutto per quelle regioni come la Toscana che stanno investendo convintamente su questo tipo di trasporto;
   la soppressione di treni intercity in Toscana era già stata ventilata negli scorsi anni, poi sospesa anche a seguito delle richieste delle regioni e degli enti locali e degli interventi delle rappresentanze politiche parlamentari;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, sostiene da tempo la necessità di rilanciare il trasporto pubblico regionale su rotaia ed ha annunciato, nei mesi scorsi, ulteriori 1,8 miliardi di euro di investimenti mirati per tale comparto;
   emerge quindi con chiarezza che la soppressione delle 7 coppie di intercity sopracitata rappresenta, in ogni caso, una decisione non concertata, causata da esclusive ragioni di carattere economico, e che (per qualità e quantità dei servizi cancellati non adeguatamente sostituiti ed integrati) non può comunque essere frutto di una programmazione efficace ed a sostegno dei pendolari;
   tale soppressione causerebbe, infatti, gravi ed ulteriori disagi nei confronti di migliaia di utenti, su tutto il territorio nazionale, che vedrebbero scomparire un servizio spesso unico per poter svolgere le attività quotidiane;
   in questo contesto appare altrettanto auspicabile, al fine di migliorare l'offerta ai pendolari dell'intero Centro Italia, approfondire l'ipotesi di realizzare una stazione per i treni ad alta velocità situata nel sud della Toscana che possa interessare un ampio bacino di utenza attualmente non raggiunto da questa tipologia di trasporto –:
   se i ministri interpellati siano a conoscenza delle reali intenzioni di Trenitalia di sopprimere i collegamenti intercity citati in premessa e, nello specifico, quali tratte e quali bacini di utenza coinvolgerebbero tali riduzioni di servizio;
   se ritengano conseguentemente necessario assumere iniziative urgenti di competenza per evitare tali riduzioni di servizio insostenibili e per garantire il diritto alla mobilità ai cittadini;
   se la realizzazione di una stazione per i treni ad alta velocità nel sud della Toscana, integrandosi con l'offerta del trasporto pubblico regionale, sia economicamente sostenibile.
(2-01559) «Dallai, Donati, Ascani, Di Lello, Cenni, Sani, Manciulli, Miccoli, Nardi, Lattuca, Albini, Manzi, Crimì, Rocchi, Carocci, Becattini, Mariani, Fragomeli, Giuseppe Guerini, Di Salvo, Coppola, Bratti, D'Ottavio, Bonaccorsi, Zardini, Arlotti, Benamati, Bargero, Berlinghieri, Marco Di Maio, Covello, Zanin».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il progetto esecutivo della «Superstrada a pedaggio Pedemontana veneta» approvato nel dicembre 2013 dal commissario delegato ingegnere silvano Vernizzi, è da tempo oggetto di un'inchiesta da parte della Corte dei conti e di una procedura aperta dall'Autorità nazionale anticorruzione;
   tra gli aspetti oggetto dell'istruttoria dell'Anac, avviata nell'aprile del 2015, vi sono l'aumento del costo totale dell'infrastruttura, la corretta allocazione dei rischi tra pubblici e privato a seguito delle modifiche apportate al piano economico-finanziario (pef) dell'opera, lo stato di avanzamento della progettazione e il rispetto del cronoprogramma;
   il sistema di realizzazione dell'opera, i cui costi sono lievitati fino a raggiungere la cifra record di 3 miliardi di euro, è quello della finanza di progetto, e la percentuale di investimenti pubblici finora garantita in nella superstrada pedemontana veneta, i cui lavori sono stati ultimati solo per il 19,89 per cento, è quasi del 100 per cento;
   la sezione centrale di controllo della Corte dei Conti, ha reso pubblica, l'11 novembre 2016, la relazione sullo stato di avanzamento della Pedemontana Veneta, in cui viene confermato permanere delle criticità già riscontrate per la superstrada a pedaggio nella precedente relazione della Corte n. 18/2015/G del 30 dicembre 2015;
   tra le gravi criticità riscontrate dalla Corte vi sono: le carenze progettuali dell'opera; le difficoltà inerenti alla sua esecuzione; l'estrema lentezza dell’iter dell'opera; la determinazione del computo degli espropri; l'esistenza di clausole contrattuali troppo favorevoli al concessionario; le problematiche ambientali rilevate dal Ministero competente;
   la Corte sottolinea poi la situazione di grave incertezza che interessa l'opera – sia sul piano organizzativo, sia su quello delle azioni necessarie alla compiuta realizzazione dell'intervento «che non risponde ai canoni di una efficiente programmazione e contrasta, pertanto, con il canone di buon andamento dell'agire amministrativo»;
   inoltre, la Corte rileva come il ricorso al partenariato pubblico-privato non solo non abbia portato ai vantaggi propri di tale forma di finanziamento, ma abbia reso precaria ed incerta la fattibilità dell'opera stessa, ricorrendosi, in contrasto con i principi ispiratori della finanza di progetto, all'intervento di organismi pubblici, al fine di superare le criticità dell'operazione, con la manifesta «traslazione del rischio di mercato sul concedente, fatto anch'esso in contraddizione con la ratio del ricorso alla finanza di progetto»;
   è noto come sia la BEI che Cassa depositi e prestiti (CDP) abbiano attestato l'inadeguatezza del beneficio sociale della strada Pedemontana veneta, sostenendo come «il ritorno economico e sociale del progetto risulta notevolmente inferiore rispetto ai livelli accettabili per la finanziabilità di questo tipo di interventi»;
   in particolare, un recente studio redatto a cura della Cassa depositi prestiti avrebbe, ritenuto le stime relative al volume di traffico atteso per Pedemontana veneta «molto peggiorative» rispetto a quelle associate al progetto, con conseguente rischio per le casse pubbliche di dover far fronte agli ingenti costi previsti dal contratto di concessione;
   dalla relazione della Corte dei conti, emergono delle irregolarità in materia di rendicontazione segnalate dalla Ragioneria territoriale dello Stato di Venezia;
   aggiunge la Corte: il fatto che il concessionario privato non abbia sottoscritto la sua quota di finanziamento «ha prodotto conseguenze rilevanti, quali l'utilizzo di risorse pubbliche per l'avvio dell'opera, senza le quali non si sarebbe giunti all'attuale stato di avanzamento» –:
   se, alla luce delle considerazioni sopra esposte e delle funzioni di verifica e sorveglianza sulla strada Pedemontana attribuite al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la progettazione dell'opera risulti compatibile con quanto disposto dall'articolo 23, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e se non si intenda promuovere una revisione del progetto;
   se, considerati i recenti rilievi della Corte dei Conti da cui emerge l'assenza di un'efficiente programmazione e l'incerta sostenibilità finanziaria dell'opera, tenuto conto del rischio che gli insufficienti flussi di cassa generati possano produrre ulteriori esborsi pubblici, non si intenda, fare chiarezza sulla convenzione economico-finanziaria la relativa all'opera e sue misure da adottarsi per porre termine all'inadempimento contrattuale del contraente generale riguardante il closing finanziario, al fine di scongiurare il rischio che ulteriori oneri finiscano a carico dei soggetti pubblici;
   sulla base di quali presupposti giuridici sia possibile autorizzare la continuazione dei lavori per la Pedemontana veneta, in assenza del closing finanziario dell'opera da parte del concessionario e quindi della garanzia di proseguimenti dell'opera stessa, e se non si intenda promuovere una nuova indagine sull'effettivo rapporto costi-benefici per la collettività, alla luce delle mutate previsioni di traffico per la strada Pedemontana.
(2-01557) «Spessotto, Da Villa, D'Incà, Brugnerotto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, alcuni organi di stampa della Sardegna – tra i quali l'Unione sarda online del 24 novembre 2016, cronaca di Iglesias – hanno pubblicato immagini degli interni di alcuni autobus dedicati prevalentemente al trasporto extraurbano degli studenti, che raffiguravano, in occasione di una giornata particolarmente piovosa, i passeggeri costretti a viaggiare con il parapioggia aperto perché «pioverebbe sui sedili»;
   è il caso di riferire che immagini analoghe sarebbero state pubblicate sui social network e che molteplici segnalazioni in merito sarebbero pervenute agli organi di stampa da familiari di studenti, presumibilmente preoccupati per le condizioni in cui viaggiano i propri figli;
   nello specifico, gli autobus in parola sarebbero dell'Arst spa (già Azienda regionale sarda trasporti), maggiore società di trasporto nell'isola e una delle principali in Italia, partecipata al 100 per cento dalla regione autonoma della Sardegna;
   secondo alcune segnalazioni, gli autobus impiegati nei collegamenti e negli orari maggiormente frequentati dagli studenti – autobus come quelli raffigurati nelle immagini pubblicate dagli organi di stampa – sarebbero addirittura veicoli di vecchia concezione che l'Arst non utilizzerebbe più per i collegamenti ordinari, ma che appunto destinerebbe prevalentemente agli studenti;
   la vicenda desterebbe profonda inquietudine per le condizioni generali dei mezzi di trasporto pubblico in un territorio in cui la rete viaria secondaria, proprio quella maggiormente interessata dai collegamenti Arst, sarebbe in condizioni di particolare criticità e pericolosità;
   nel contempo, le immagini pubblicate susciterebbero legittime perplessità circa la qualità, la tipologia e l'accuratezza dei controlli periodici cui sono sottoposti i veicoli da parte degli organismi competenti quali le articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   è il caso di rilevare inoltre che il sistema tariffario risulterebbe oneroso a fronte di un servizio che, da quanto sopra esposto, sarebbe inadeguato a garantire qualità e sicurezza: il costo mensile di un abbonamento per studenti, per una tratta di 30 chilometri, ad esempio, si aggirerebbe tra i 55-60 euro;
   da quanto esposto, risulterebbe che ci siano in circolazione ancora veicoli di vecchia concezione, non in grado di garantire la sicurezza dei passeggeri e, spesso, inquinanti: circostanza che li renderebbe oltremodo pericolosi per la salute delle persone e la qualità dell'ambiente;
   in tal senso, è il caso di ricordare gli orientamenti e le disposizioni dell'Unione europea volti a promuovere la mobilità sostenibile e a ridurre le emissioni nocive proprio nell'articolato sistema dei trasporti;
   tra le diverse disposizioni in materia, in Italia è in fase di definizione la disciplina attuativa della direttiva 2014/94/UE, direttiva DAFI (Deployment of Alternative Fuels Infrastrutture) che, nel complesso, è volta a promuovere la mobilità sostenibile, grazie alla realizzazione di infrastrutture per la distribuzione di combustibili alternativi che dovrebbero facilitare la riconversione del parco auto in circolazione;
   nel complesso, questo stato di cose dovrebbe suggerire la necessità di adottare misure per favorire, anche attraverso un articolato sistema di incentivi e disincentivi, l'ammodernamento del parco auto, in generale, e dei veicoli adibiti al servizio di trasporto pubblico, in particolare –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare se i pullman di cui in premessa sono stati sottoposti ai controlli periodici di legge e se abbiano i requisiti per continuare ad essere adibiti al servizio di trasporto pubblico;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per evitare che in Italia possano essere adibiti al trasporto pubblico veicoli vetusti come quelli descritti in premessa;
   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di competenza, per promuovere la riconversione del parco auto anche in ottemperanza alle direttive dell'Unione europee in materia di mobilità sostenibile, abbattimento delle emissioni nocive e diffusione dei combustibili alternativi. (5-10078)


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il raddoppio ferroviario della tratta Catania-Palermo rischia di diventare l'ennesima opera incompiuta della Sicilia. La notizia, che l'amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana ha formalizzato alla regione, di limitare i lavori di riammodernamento ad un solo binario nella tratta Catenanuova-Enna-Fiumetorto equivale a dire che tutto rimarrà come prima: il raddoppio, infatti, si fermerà a Raddusa, in provincia di Enna;
   è preoccupante il fatto che ad un territorio possano essere sottratte occasioni di sviluppo e di collegamento in nome di una razionalizzazione delle spese; ciò di fatto significherebbe l'esclusione dell'attraversamento ferroviario di un bacino di utenza di circa un milione di persone, considerando che la provincia di Enna conta circa 180.000 abitanti, Caltanissetta ne conta 280.000, Agrigento oltre 400.000 abitanti, senza contare i circa 70.000 abitanti che insistono nella parte meridionale della provincia di Palermo –:
   se non ritenga, sulla base delle considerazioni espresse, di manifestare il proprio orientamento al riguardo e di assumere ogni conseguente iniziativa di competenza per favorire il raddoppio e l'ammodernamento della linea esistente anche per la tratta Catenanuova-Enna-Fiumetorto. (5-10084)


   TULLO, CAROCCI e BASSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 è stata annunciata la realizzazione del progetto di miglioramento del trasporto ferroviario in Liguria, con particolare riguardo al potenziamento del nodo ferroviario di Genova, opera strategica per separare il traffico dei treni regionali e metropolitani da quello dei convogli a lunga percorrenza, con benefici diretti per i pendolari e indiretti per tutti i genovesi;
   sono passati sette anni e dell'opera, interamente finanziata con 622,4 milioni di euro, è stato realizzato solo il 35/40 per cento, a causa del susseguirsi di varianti e ritardi, che hanno fatto slitte e al 2021 la data prevista per la fine dei lavori;
   il futuro dell'opera e dei lavoratori, intanto, sono divenuti del tutto incerti, soprattutto a causa delle note difficoltà economiche del consorzio Eureca-Fergen, emanazione del consorzio Eureca che, nel 2009, aveva vinto l'appalto con ribasso d'asta del 25,77 per cento, considerato eccessivo in rapporto alla complessità dell'opera e, probabilmente, all'origine di gran parte dei problemi accumulatisi negli anni;
   tali difficoltà hanno creato un rapporto difficile tra Rete ferroviaria italiana e il consorzio Fergen, caratterizzato da richieste di varianti in corso d'opera e di riconoscimento di costi aggiuntivi per difficoltà o lavori imprevisti;
   sarebbero queste le ragioni per cui i lavori sono avanzati così lentamente, tanto che il 35-40 per cento del lavoro compiuto riguarda la galleria tra Voltri e Fegino, e quelle non completate fra Voltri e Borzoli e fra Principe e Brignole;
   la situazione si è talmente deteriorata che i sindacati dei lavoratori edili impegnati nei cantieri del nodo ferroviario, hanno deciso di indire a manifestazione per chiedere la salvaguardia degli oltre 100 posti di lavoro, a rischio già dal prossimo 7 dicembre;
   dopo mesi di cassa integrazione ordinaria, i predetti lavoratori rischiano di perdere il posto a fronte di un'opera già finanziata e con prospettive di lavoro per altri 5 anni;
   nei giorni scorsi, durante incontro tra i rappresentanti di FilleaCGIL, FILCACISL, FenealUIL e i rappresentanti del consorzio Fergen, questi ultimi hanno ventilato l'ipotesi del licenziamento dei lavoratori a causa della rottura del contratto con Rete ferroviaria italiana;
   Rete ferroviaria italiana, a sua volta, ha ribadito in a nota che nessun contratto è stato rescisso da parte sua per i lavori di potenziamento infrastrutturale e tecnologico del nodo ferroviario di Genova, ed ha chiarito che il Consorzio Feragen ha adottato provvedimento unilaterale, annunciando l'intenzione di convocare il predetto consorzio la prossima settimana;
   se si dovesse arrivare alla rescissione del contratto il futuro dei lavoratori sarebbe segnato, per tale ragione l'eventuale uscita di scena del consorzio Fergen non può comportare, di per sé, il blocco dei lavori e l'indizione di una nuova gara –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la prosecuzione dei lavori e gli attuali livelli occupazionali, in considerazione della rilevanza dell'opera, non solo per la connessione con il progetto del Terzo Valico, ma anche per la mobilità genovese e per l'integrazione ferro-gomma;
   se non si ritenga indispensabile convocare Italfer/Rete ferroviaria italiana e il Consorzio Fergen per chiarire la situazione venutasi a creare, valutando la possibilità di evitare una nuova gara in caso di rescissione del contratto attraverso l'eventuale applicazione della clausola di subentro in relazione alla graduatoria della vecchia gara d'appalto, prevedendo, in ogni caso, il reimpiego dei lavoratori attualmente impegnati nei cantieri.
(5-10091)


   FRUSONE e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sostituto procuratore di Roma, Mario Palazzi, ha concluso le indagini sulla «Cricca degli aeroporti» accusando l'ex-direttore dell'aeroporto di Ciampino, Sergio Legnante, l'imprenditore Massimiliano Mantovano ed i suoi collaboratori Adriano Revelant e Luigi Guerrini (ex-dipendente dell'Enac, Ente nazionale aviazione civile) e l'ingegner Alfonso Mele sempre dell'Enac. Secondo la procura di Roma, come riporta un quotidiano romano, gli indagati «Al fine di ottenere il sostanziale monopolio di tutti i lavori di manutenzione, ristrutturazione e modificazione degli aeroporti di Ciampino, Aquino, e degli altri aeroporti minori (Rieti e Viterbo) alteravano le procedure di gara di appalto indette dall'Enac, gonfiando fraudolentemente i costi dei lavori eseguiti ed assicurandosi i debiti profitti da dividere assieme ai pubblici funzionari infedeli»;
   un importante contributo alle indagini sarebbe venuto anche dall'ufficio di polizia aerea dell'aeroporto di Ciampino-Urbe;
   le accuse di cui dovranno rispondere sono associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d'asta, corruzione, frode nelle pubbliche forniture falso ideologico, emissione di fatture per operazioni inesistenti;
   secondo quanto riportato da un articolo pubblicato on line qualche giorno fa (http://www.avionews.it) sembrerebbe che l'ex-direttore Sergio Legnante, dopo gli arresti e a seguire i domiciliari, abbia ottenuto da un tribunale del lavoro, il reintegro nell'ente. Questo avrebbe comportato il pagamento degli stipendi non percepiti durante il periodo di allontanamento dal luogo –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e se il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, in relazione ai fatti medesimi;
   se intenda assumere iniziative normative volte a modificare e rendere più stringente la normativa in tema di appalti inasprendo il quadro sanzionatorio, in modo da evitare che vicende come quella descritta in premessa possano ripetersi. (5-10093)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Cipe, con propria deliberazione n. 91 del 6 dicembre 2011, «Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa», ha approvato il «Piano di riparto delle risorse stanziate dall'articolo 63, commi 12 e 13, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008», che vede al primo posto della graduatoria degli interventi da finanziare quello relativo alla «Riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale Milano Comasina-deposito Varedo», prevedendo un finanziamento erogabile pari a 58.934.983,20 euro;
   oltre al Cipe, anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha considerato fortemente strategico e valutato meritevole di finanziamento il progetto, rispondendo inoltre favorevolmente a tre interpellanze nelle quali si chiedeva conferma dello stanziamento dei fondi governativi;
   nel documento condiviso di Anci e regione Lombardia presentato al Governo, tra gli interventi strutturali previsti si evidenziano quelli contenuti al punto 8: «Finanziare prioritariamente e realizzare le infrastrutture del trasporto pubblico locale previste dalla pianificazione regionale (Piano regionale mobilità e trasporti, dicembre 2015) e dalla programmazione locale e spostare progressivamente gli incentivi del trasporto merci su gomma al trasporto merci su ferrovia»;
   l'articolo 5, comma 5, del decreto-legge n. 185 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2016, n. 9, ha disposto la revoca delle risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale, e la loro destinazione, al fine di accelerarne la messa a disposizione e l'effettiva utilizzabilità, anche in attuazione dell'articolo 1, comma 101, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, alla società Expo s.p.a. per fare fronte al mancato contributo della provincia di Milano;
   l'intervento infrastrutturale è inserito in un'area ad elevata domanda di mobilità e rientra nel programma di potenziamento del complessivo sistema di trasporto pubblico locale in sede protetta (metropolitane, tranvia o mezzi che viaggiano su corsie dedicate);
   Milano è la città italiana con la peggiore qualità dell'aria. Nel 2015, per 86 giorni la concentrazione di particolato nell'aria (Pm10) ha fatto registrare livelli due volte superiori ai limiti di legge (50 microgrammi per metro cubo) –:
   se e con quali tempistiche, anche in ottemperanza all'ordine del giorno in Assemblea n. 9/03495/031 accolto dal Governo, si intendano adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare le risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate. (4-14911)


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   continuano a persistere forti incertezze sulla realizzazione del collegamento viario ad elevata capacità di traffico tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla strada statale 16 (la cosiddetta «uscita ad ovest»), da parte della società Passante dorico, aggiudicataria del project financing;
   come risulta dagli atti di sindacato ispettivo a prima firma dell'interrogante (nn. 5-08467 e 5-09229) e dalle risposte del Governo, la società ha infatti presentato solo piani economici finanziari dell'opera ritenuti inadeguati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in quanto elaborati prevedendo un contributo in conto capitale o in alternativa in conto gestione;
   a seguito della richiesta avanzata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la Passante Dorico s.p.a. aveva da ultimo presentato una riformulazione delle ipotesi di piano economico e finanziario in data 11 maggio 2016, in relazione al quale però erano rimaste confermate le criticità già precedentemente rappresentate alla società medesima;
   il 5 luglio 2016 è stata rinnovata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in via ultimativa, la richiesta di un nuovo piano economico e finanziario coerente con le indicazioni già in precedenza manifestate, da presentare durante un incontro fissato per il 19 luglio;
   all'esito del confronto del 19 luglio 2016, a quanto consta all'interrogante la società Passante Dorico s.p.a., pur non avendo presentato il nuovo piano economico e finanziario richiesto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti il 5 luglio, si è impegnata a trasmettere una nuova proposta di piano coerente con le indicazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se la Passante Dorico s.p.a. abbia trasmesso e, in caso affermativo quando, il nuovo piano economico e finanziario e, in caso negativo, se ed entro quale termine il Ministro interrogato intenda finalmente concludere un procedimento le cui lungaggini stanno paralizzando la possibilità di soluzioni alternative, come può essere il collegamento fra il cosiddetto «lungomare nord di Ancona» con la strada statale 16 e tramite essa con la viabilità autostradale. (4-14919)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Rimini, a Morciano di Romagna in provincia di Rimini ed in altre scuole del territorio, la CGIL scuola ha indetto assemblee, retribuite, per sostenere le ragioni del «NO» rispetto al referendum costituzionale che si terrà domenica 4 dicembre;
   tale decisione è stata sostanzialmente avallata dal dirigente scolastico regionale il quale ha sostenuto che il contratto di lavoro prevede che nelle assemblee si possano affrontare argomenti di qualsiasi natura;
   giustamente ed opportunamente il dirigente scolastico di Rimini ha chiesto al prefetto un parere su una materia tanto delicata;
   lo stesso prefetto, ritenendo che le assemblee in questione rivestissero carattere di propaganda politica, ha sostenuto che non potevano assolutamente aver luogo all'interno degli istituti scolastici;
   tale assemblea si è comunque svolta al di fuori del complesso scolastico;
   il dirigente scolastico di Morciano di Romagna ha inviato una circolare (la n. 109) su carta intestata del proprio istituto ai docenti, al personale ATA, agli studenti ed ai genitori sul tema «Referendum Costituzionale: le ragioni per votare NO – riduzione degli spazi di democrazia e ricadute sul mondo del lavoro»;
   la CGIL ha inteso ribadire il diritto ad organizzare tali assemblee esprimendo altresì l'intenzione di dare battaglia in tutte le sedi legali per l'affermazione di tale diritto, diffidando persino i dirigenti scolastici che non avessero voluto concedere le autorizzazioni;
   l'atteggiamento della CGIL, al di là delle prerogative e delle competenze del sindacato, sembra all'interrogante costituire un elemento di «forzatura», che interviene in maniera impropria in un momento tanto delicato per la vita del Paese;
   i dipendenti pubblici dovrebbero astenersi dall'assecondare indicazioni, pressioni, interessi di forze politiche, sindacali e dirigenti scolastici nell'ambito delle strutture nelle quali operano;
   al di là di qualsiasi altra considerazione, appare gravissimo e riprovevole il verificarsi di una situazione del genere in una fase in cui le tensioni e le difficoltà sociali del Paese richiederebbero comportamenti più composti, adeguati, responsabili rispetto alle stesse scelte che i cittadini debbono compiere –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sull'intera vicenda;
   quali siano gli orientamenti, per quanto di competenza, circa il comportamento del dirigente scolastico di Morciano di Romagna;
   quale sia la corretta interpretazione delle norme previste dal contratto nazionale di lavoro che il dirigente regionale in questione ritiene consentano di affrontare «qualsiasi argomento»;
   quali iniziative intendano adottare in relazione alla vicenda segnalata ed ai comportamenti sia dei dirigenti scolastici regionali che dei dirigenti degli istituti scolastici. (3-02649)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Tolmezzo opera ininterrottamente dal 1948 un distaccamento della polizia stradale che pattuglia la viabilità a nord della linea Udine-San Daniele, percorsa da intenso traffico anche internazionale, legato alle intense attività industriali ed artigianali locali;
   il distaccamento della polizia stradale di Tolmezzo opera peraltro anche al di là della sopra menzionata zona di competenza, vigilando spesso su tutta la viabilità ordinaria della provincia di Udine e raggiungendo località situate anche a cento chilometri di distanza dalla propria sede;
   a dispetto delle sue onerose attività, il distaccamento della polizia stradale di Tolmezzo ha in organico solo 11 unità, compreso il suo comandante, che movimentano due pattuglie giornaliere;
   circolano da tempo indiscrezioni relative all'accorpamento del distaccamento della polizia stradale di Tolmezzo con la sottosezione autostradale di Amaro, sull'A 23, ampiamente raccolte dalla stampa locale;
   a riprova della credibilità delle indiscrezioni al riguardo, nel mese di agosto 2016 al distaccamento di Tolmezzo vennero sottratte 4 unità, allo scopo di aggregarle alla sottosezione di Amaro;
   se davvero si procedesse all'accorpamento con la sottosezione di Amaro, di fatto il distaccamento della polizia stradale di Tolmezzo verrebbe chiuso, privando di sorveglianza tutta la viabilità ordinaria del medio ed alto Friuli, nella Carnia e nella Val Canale;
   nel contempo, la sottosezione di Amaro non riuscirà neppure accorpando il distaccamento di Tolmezzo ad assicurare le 8 pattuglie giornaliere pattuite nella convenzione tra Ministero dell'interno e società Autostrade;
   una soluzione alternativa all'accorpamento che starebbe prendendo corpo è quella di trasferire il personale in entrata nella polizia stradale verso entrambe le strutture, il distaccamento di Tolmezzo e la sottosezione di Amara –:
   quali ragioni spingano il Governo nella direzione dell'accorpamento del distaccamento di Tolmezzo alla sottosezione di Amaro della polizia stradale e per quale motivo non trovino considerazione istanze che puntano al rilancio di entrambi.
   (4-14910)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di visita del 16 novembre 2016 presso l’hub per migranti collocato nell'ex base militare di Conetta (Venezia), l'interrogante ha potuto personalmente riscontrare, anche tramite dialogo con gli operatori e il funzionario di prefettura, condizioni di soggiorno difficilmente compatibili con la parola accoglienza;
   il numero dei richiedenti asilo attualmente ospitati nell'ex base militare è ormai giunto a 1256 unità;
   le condizioni di alloggio, limitate di fatto a tende di diverse dimensioni, sono caratterizzate da sovraffollamento e condizioni ambientali estremamente disagiate. Le sette tende circondano l'intera base. Si va dalla tensostruttura più grande di 1.500 metri quadrati a quella più piccola da 340. Nella prima ci vivono in 400, la situazione più problematica è in una di quelle da 500 che accoglie 340 persone;
   si registra l'inadeguatezza dei servizi di mensa, che, ad un costo di euro 13 per persona al giorno, non prevedono nemmeno la possibilità di consumare i pasti seduti, data l'assenza di spazi dedicati al consumo;
   si segnalano altresì il numero risibile di tirocini formativi, attualmente attivi in numero di 73, e l'oggettiva impossibilità di garantire effettivamente corsi di lingua e di formazione;
   si fa presente a questo proposito che il 50 per cento circa degli ospiti è analfabeta e non conosce la lingua italiana;
   si evidenziano inoltre:
    la presenza di donne in numero di 40, all'interno di una struttura che originariamente non era pensata per ospitarne, senza che si siano adottati provvedimenti strutturali per garantirne degnamente la permanenza;
    la difficoltà di garantire assistenza sanitaria adeguata, considerando che gli ospiti sono assegnati di fatto ai medici di base del comune di Cona, che vede così aumentare del +50 per cento gli assistiti, con ovvi disagi per residenti e richiedenti asilo;
    l'impossibilità di considerare un hub di transito una struttura dove risiedono attualmente persone da oltre 12 mesi consecutivi;
    c’è il rischio che una simile situazione possa degenerare in qualsiasi momento, anche in considerazione di condizioni climatiche in peggioramento e del riverbero che queste avrebbero su persone costrette a vivere in tende di grandi dimensioni;
    ci si chiede se questo sia il modello di accoglienza e integrazione che il Governo ha in programma –:
   come una simile situazione si concili con la retorica ufficiale dell'Italia generosa e impegnata nella solidarietà con i richiedenti asilo;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che Conetta diventi un modello di gestione, anziché una realtà da superare. (4-14912)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio territoriale del Governo, prefettura di Rimini, ha inviato una comunicazione ai dirigenti scolastici del circolo didattico 6 Rimini, dell'istituto comprensivo statale «Centro storico» di Rimini, in cui si esprime perplessità in ordine alla convocazione di un'assemblea sindacale indetta dalla FLC CGIL, in data 28 novembre 2016 avente al 1o punto dell'ordine del giorno «Referendum costituzionale: le ragioni per votare no – riduzione degli spazi di democrazia e ricaduta sul mondo del lavoro»;
   nella stessa si ritiene non opportuno, per le ragioni esposte, lo svolgimento della riunione sindacale all'interno del plesso scolastico indicato;
   attraverso l'assemblea sindacale la rappresentanza sindacale unitaria e i sindacati rappresentativi si confrontano e prendono decisioni con i lavoratori;
   il diritto di assemblea è regolato dal contratto collettivo nazionale 2006/09, articolo 8, e dal contratto collettivo nazionale quadro del 7 agosto 1998, articolo 2;
   alla convocazione va unito l'ordine del giorno che deve riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro (articolo 20 dello Statuto dei diritti dei lavoratori). La seconda parte dello statuto è dedicata ai diritti del sindacato sul luogo di lavoro, ad esempio fare proselitismo e propaganda per il sindacato, purché non sia pregiudicata la normale attività;
   se la rappresentanza sindacale unitaria o i sindacati rappresentativi presentano una convocazione con una irregolarità, il dirigente non può solo per questo rifiutarsi di attivare la procedura, ma deve segnalarla;
   l'interrogante ritiene altresì che l'assemblea sia uno spazio autogestito, così come coerentemente stabilito dal contratto collettivo nazionale vigente e che il tema citato abbia un notevole interesse per le lavoratrici e i lavoratori partecipanti –:
   se i Ministri interrogati non intendano, per quanto di competenza, appurare i fatti esposti in premessa e assumere ogni iniziativa di competenza per garantire l'esercizio dei normali diritti sindacali.
(4-14915)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   un cittadino italiano residente in Ecuador a Santo Domingo de los Tsachillas, tal L. R., scrivendo un'apposita email il 19 novembre 2016, ha lamentato di non aver ancora ricevuto la scheda con la quale esprimere la propria volontà in relazione alla consultazione referendaria del 4 dicembre 2016;
   il 19 novembre scadeva il termine entro il quale tutti i cittadini italiani residenti all'estero e regolarmente iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero avrebbero dovuto ricevere le schede loro spettanti per poter votare;
   la consegna della scheda era incombenza del consolato d'Italia basato a Quito;
   per effetto del disservizio sopra generalizzato, al signor L. R. verrà di fatto negato l'esercizio del diritto di voto –:
   se il Governo disponga di dati concernenti il numero degli italiani residenti all'estero che non hanno ricevuto le schede per partecipare al referendum del 4 dicembre;
   quali consolati abbiano registrato il maggior numero di mancate consegne;
   quali iniziative si intendano adottare per garantire l'eguaglianza dei cittadini italiani residenti all'estero e regolarmente iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, rispetto all'esercizio del diritto di voto loro riconosciuto.
(4-14917)


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante evidenzia che in numerosi articoli di stampa nazionale, in cui il Ministro interrogato, ha trattato la questione delle misure legate alla sicurezza e alla presenza di immigrati irregolari a Milano, non ha fatto riferimento ad altre città limitrofe, sia della Lombardia, che del Piemonte, come Novara, la cui comunità locale da anni affronta gravissimi problemi di ordine sociale ed in particolare connessi al sovraffollamento, nelle strutture dedicate all'accoglienza di profughi e richiedenti asilo;
   al riguardo, rileva altresì l'interrogante, che la suesposta città piemontese ospita attualmente oltre 5 immigrati ogni 1000 abitanti; il dato complessivo di immigrati ospitati è di 550 richiedenti asilo, da sommare inoltre ai circa 100 minori stranieri non accompagnati;
   evidenzia ancora l'interrogante che, sebbene l'Anci avesse concertato con il Governo che i comuni dovessero accogliere un massimo di 2,5 migranti ogni 1000 abitanti, risulta irragionevole che Novara superi più del doppio la quota prestabilita, determinando una situazione distopica rispetto alla media nazionale;
   sarebbero opportuni, pertanto, urgenti chiarimenti e rapide iniziative, ad avviso dell'interrogante, da parte del Ministro dell'interno, al fine di stabilire il blocco immediato del flusso migratorio anche per la città di Novara, come è stato deciso ultimamente a Milano e al fine di ridistribuire la quota di richiedenti asilo, per il numero eccedente, in altri territori, riportando la situazione in media con tutte le altre città italiane che hanno ottenuto la quota prestabilita dall'Anci –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non reputi opportuno assumere iniziative per quanto concerne la città di Novara, al fine di verificare quale sia la situazione attuale degli immigrati ospitati e quali siano i livelli di sicurezza del territorio e di presidio da parte delle forze dell'ordine, alla luce delle misure adottate al riguardo;
   se non ritenga opportuno fornire elementi chiarificatori in ordine alle decisioni concordate tra l'Anci e il Governo in merito alla suddivisione delle quote di immigrati da accogliere, considerato che calcoli effettuati, secondo quanto riportato in premessa, evidenziano, a parere dell'interrogante, gravissime disparità a danno della città piemontese. (4-14921)


   PILOZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, nei territori dei comuni di Arce, San Donato, Arpino e sicuramente anche in altri comuni limitrofi, tutti in provincia di Frosinone, all'interno degli spazi adibiti alla propaganda elettorale in vista del referendum del 4 dicembre 2016, sono state affisse copie di un manifesto a firma del signor Gianluca Quadrini, attualmente consigliere provinciale eletto nelle fila di Forza Italia e consigliere comunale presso il comune di Arpino e presidente della XV comunità montana del Lazio;
   all'interno del citato manifesto, nell'illustrare (legittimamente) le ragioni a sostegno del voto contrario alla riforma approvata dal Parlamento, oltre al logo del «Comitato per il NO» e a quello di Forza Italia, sono stati inseriti i loghi istituzionali della «Provincia di Frosinone», della «Città di Arpino» e della «XV Comunità Montana»;
   l'inserimento dei loghi di una pubblica amministrazione all'interno di un manifesto elettorale, costituisce, ad avviso dell'interrogante, una gravissima violazione delle norme a tutela della propaganda elettorale nonché dei principi costituzionali in materia di pubblica amministrazione;
   in particolare, l'articolo 9 della legge n. 28 del 22 febbraio 2000, recita testualmente che «a far data dalla convocazione dei comizi, è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni»;
   è di tutta evidenza, secondo l'interrogante, che il signor Gianluca Quadrini, nell'inserire i loghi delle citate pubbliche amministrazioni, nelle quali lo stesso svolge un ruolo elettivo di rappresentanza legale, come nel caso della comunità montana, ha palesemente agito in contrasto con l'articolo 9 della citata legge 28 del 2000, come del resto si evince anche dalla circolare n. 5 del 26 febbraio 2016 del Ministero dell'interno a chiarimento delle iniziative, ammissibili in campagna elettorale;
   il signor Quadrini, ad avviso dell'interrogante, ha dunque ritenuto, con modalità di dubbia legittimità, di poter utilizzare i loghi delle amministrazioni pubbliche nelle quali svolge funzioni elettive o di rappresentanza in spregio alle più elementari norme di comportamento palesando altresì un atteggiamento profondamente irrispettoso delle istituzioni pubbliche, dei cittadini e degli elettori di quelle stesse amministrazioni –:
   se sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e se, conseguentemente, non ritenga opportuno, assumere iniziative per rendere più stringente la normativa in materia di propaganda elettorale da parte degli amministratori pubblici, ove necessario anche inasprendo il sistema sanzionatorio. (4-14923)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   P.D.M. è un ex docente universitario di economia politica internazionale, particolarmente attivo nella critica al sistema capitalistico dominante, come dimostrano le sue pubblicazioni contenute sul sito http://www.la-commune-paraclet.com, che ha una sezione specificamente dedicata ai testi del citato professore, peraltro scaricabili gratuitamente;
   in particolare, nel suo «Legge del valore, riproduzione e pianificazione socialista», D. M. fornisce con chiarezza gli elementi del suo pensiero economico e politico, scrivendo: «Quando i beni e i servizi sono prodotti socialmente da tutti per tutti, allora l'Uomo smette essere reificato come una semplice merce: sottomettendosi al lavoro collettivo, non perde per niente il controllo del sovrappiù che produce. Questa disciplina individuale e collettiva, con un tempo d lavoro secolarmente in decrescita per mezzo della produttività, si esercita nella Sfera della Necessità economica. Questa è la fondazione materiale dello sviluppo della Sfera della Libertà nel seno della quale il cittadino-lavoratore può fare sbocciare la sua personalità. In effetti, sopprimendo le limitazioni capitaliste, che costringono le forze produttive ed i rapporti di produzione per il profitto della sola accumulazione privata, la pianificazione socialista tende a ridurre in permanenza l'importanza della Sfera della Necessità a favore della Sfera della Libertà, particolarmente tramite la crescita della produttività e la spartizione dei suoi guadagni. Questo processo va di pari passo con l'allargamento secolare degli “spazi di libertà” individuali e collettivi, di gramsciana memoria. Al contrario delle pretese di certi marxisti, la Legge del Valore di Karl Marx è una legge universale perché fondata sul suo “concreto concettuale” perfettamente delucidato»;
   a quanto risulta all'interrogante in una mail al procuratore della Repubblica di Cosenza, datata 26 ottobre 2016, D. M. – originario di San Giovanni in Fiore, dove è tornato a vivere da qualche anno, ma di lingua madre francese per aver vissuto a lungo all'estero – ha riferito dell'avvenuta violazione del suo domicilio e perfino di tentativi di avvelenamento del suo cibo, anche nominando un vicino di casa propria, che a suo avviso sembrerebbe essere l'autore materiale di simili azioni;
   lo stesso D. M. ha, nel contesto precisato, poi usando toni comprensibilmente alterati e indignati, che la riferita violazione è l'ennesima di altre dello stesso genere, lasciando intendere che sue precedenti denunce in ordine a simili episodi sono cadute nel vuoto, senza alcun seguito –:
   di quali elementi dispongano in ordine a quanto riassunto in premessa;
   se siano state avviate indagini a seguito delle denunce di cui il professore ha riferito nella mail citata;
   quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere a tutela dell'incolumità e della sicurezza del suddetto professore. (4-14927)


   SPESSOTTO, DA VILLA, D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo parlamentare del MoVimento Cinque Stelle ha fatto richiesta di occupazione temporanea di suolo pubblico per lo svolgimento, il 16 agosto 2016, di un comizio politico del deputato Alessandro Di Battista, nell'ambito del tour «IO DICO NO», richiesta inviata al sindaco di Jesolo (Venezia) Valerio Zoggia il 22 luglio 2016;
   con la suddetta domanda, si richiedeva da parte del MoVimento Cinque Stelle la messa a disposizione di una piazza libera e munita di palco al Lido di Jesolo, proponendo 4 piazze tra quelle utilizzabili a questi fini al Lido: piazza Mazzini, piazza Aurora, piazza Marconi e piazza Milano;
   con preavviso di diniego dell'8 agosto 2016, l'amministrazione comunale di Jesolo ha espresso parere contrario al rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento del comizio con le seguenti motivazioni: «per ragioni connesse alle finalità turistiche, prevalenti nel periodo estivo, data la vocazione della località»;
   l'articolo 5, comma 4, del regolamento Comunale di Jesolo per l'applicazione del canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, cui si fa riferimento nel preavviso di diniego, riporta solo che: «su proposta del Dirigente, il rilascio dell'atto di concessione può essere subordinato al rilascio di parere favorevole della Giunta Comunale, qualora lo richiedano l'importanza e la durata dell'occupazione», senza fare nessuna menzione di un ipotetico divieto di svolgere manifestazioni nel periodo estivo, come sembrerebbe sottointeso nella comunicazione di diniego dell'amministrazione comunale;
   con la sentenza n. 603 del 5 aprile 2011, il TAR della Puglia ha evidenziato che «tra le libertà fondamentali è da ricordare appunto quella di riunirsi liberamente e pacificamente garantita e protetta dall'articolo 17 della Costituzione repubblicana, anche in luogo pubblico, la quale può essere esercitata mediante preavviso alla autorità di pubblica sicurezza e può essere vietata solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica;
   nella medesima sentenza viene inoltre evidenziato che «la libertà di riunione e, nello specifico, la libertà di svolgimento di un comizio pubblico contiene in sé la scelta del luogo pubblico da destinare all'evento. Siffatta scelta non può subire alcuna restrizione indebita da parte del potere pubblico perché la individuazione di un sito per tenere un comizio, mentre rintraccia la sua ragion d'essere nella necessità di assicurare alla manifestazione il maggior successo possibile in termini di richiamo della pubblica opinione, attiene al campo delle valutazioni totalmente libere, insindacabili, incomprimibili e non negoziabili dal potere locale, se non quando e nella misura in cui ricorrano motivi comprovati di sicurezza e di pubblica incolumità»;
   la libertà di riunione e, nello specifico, la libertà di svolgimento di un comizio pubblico, non può quindi subire restrizioni, se non per motivi comprovati di sicurezza e di pubblica incolumità;
   il diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione comunale di Jesolo allo svolgimento del comizio, di cui in premessa, appare agli interroganti contrario e lesivo della libertà di riunione, tutelata dall'articolo 17 della Costituzione –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire pienamente il diritto di propaganda e la libertà di riunione in luogo pubblico, in occasione di campagne elettorali, così da evitare il ripetersi, in futuro, di simili episodi. (4-14941)


   RAMPELLI, RIZZETTO, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 settembre gli interroganti hanno presentato un question time sulle inefficienze nel sistema di distribuzione sul territorio nazionale dei migranti, con particolare riferimento al Veneto e alla provincia di Venezia, che da ormai oltre un anno ospita la più alta concentrazione, oltre il dieci per cento, di migranti e richiedenti asilo della regione;
   l'elevato numero di immigrati è, peraltro, interamente concentrato in un triangolo di territorio compreso tra i comuni di Agna, Bagnoli di Sopra e di Cona, nei quali risiedono complessivamente circa novemilaseicento persone, alle quali si aggiungono quasi duemilacinquecento immigrati;
   in risposta all'interrogazione il Ministro interrogato aveva affermato che «l'onorevole interrogante dice una cosa molto vera, ossia il fatto che in quei due comuni da lui citati vi è un sovraffollamento, che è una condizione ingiusta che noi intendiamo rimuovere»;
   tale promessa non solo non ha avuto seguito ma i migranti ospitati nei due hub di Bagnoli di Sopra e di Cona, allestiti, rispettivamente, nelle frazioni di San Siro e di Conetta, e che si trovano ad una distanza di appena cinque chilometri l'uno dall'altro, sono aumentati da 800 a 900 nel primo e addirittura da 1000 a 1500 nel secondo;
   già ad agosto 2016 il Governo aveva fornito rassicurazioni ai sindaci dei comuni coinvolti che entro l'estate il numero dei migranti ospitati negli hub sarebbe diminuito fino a riportare le strutture alla capienza originaria, mentre gli altri sarebbero stati distribuiti in altre strutture, micro hub diffusi nella regione e realizzati sfruttando strutture demaniali e statali già esistenti e in disuso;
   la sistematica e prolungata disattenzione del Governo alla difficile situazione che si sta registrando a causa dei fatti di cui in premessa sta generando numerosi problemi nella vita delle comunità locali, con i residenti costretti a subire la presenza di centinaia di migranti che girovagano e bighellonano per il paese o bivaccano in piazza o nei giardini pubblici, e i sindaci che devono gestire l'ordine pubblico in una condizione perennemente al limite dell'emergenza –:
   se non ritenga che sia arrivato il momento di risolvere con urgenza la drammatica situazione di cui in premessa. (4-14946)


   MOLTENI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando ai dati più recentemente forniti dal Ministero dell'interno dal 1o gennaio al 1o dicembre del 2016 il numero degli immigrati giunti illegalmente sulle coste del nostro Paese sarebbe arrivato a 173.188;
   tale cifra rappresenta un vero e proprio record se confrontata con il dato riferito allo stesso periodo del 2015 anno, mostrando un incremento del 20,10 per cento rispetto al 2015 e del 5,67 per cento rispetto al 2014, anno nel quale era stato registrato finora il maggiore numero di sbarchi in assoluto;
   tra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, al primo posto vi è la Nigeria, con 35.100 arrivi, seguita dall'Eritrea (con 19.331), dalla Guinea (con 11.793) e dalla Costa d'Avorio (con 11.036);
   secondo i dati forniti dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, le richieste di protezione internazionale sono state 110.129, ma solo nel 5 per cento dei casi la procedura si è conclusa con la concessione dello status di rifugiato, percentuale che si riduce al 3 per cento relativamente alla nazionalità del maggior numero di immigrati sbarcati sulle coste italiane, la Nigeria;
   alla data del 1o dicembre 2016 gli immigrati presenti nei diversi centri di accoglienza hanno raggiunto la cifra record di 176.257, rispetto ai 22.118 del 2013, ai 66.066 del 2014 ed ai 103.792 del 2015;
   al fine di reperire ulteriori strutture ove allocare gli immigrati che continuano a giungere nel territorio italiano, su indicazione del Ministero dell'interno le prefetture hanno requisito in diverse occasioni e sempre più spesso immobili privati facendo ricorso all'articolo 7 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E;
   nel frattempo, gli organici a disposizione delle forze dell'ordine sono diminuiti, i loro equipaggiamenti hanno continuato ad invecchiare ed è stato varato un piano di riduzione dei presidi territoriali della Polizia di Stato;
   sono, inoltre, numerose le zone del Paese nelle quali il tasso di criminalità è significativamente cresciuto, specialmente per ciò che concerne i reati contro il patrimonio –:
   come il Governo intenda ovviare a quello che appare agli interroganti un palese fallimento dell'azione di contrasto al crimine e all'immigrazione irregolare condotta dal 2014 ad oggi. (4-14948)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la situazione lavorativa in cui versano i dirigenti scolastici italiani è sempre più difficile visto l'enorme carico di lavoro e di responsabilità che incombe quotidianamente su ciascuno di loro nello svolgimento delle proprie funzioni consistenti principalmente nella gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'istituto di cui è rappresentante legale;
   l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che assimila le scuole a tutte le pubbliche amministrazioni, senza però fornirle delle stesse adeguate strutture né equipara la condizione economica dei dirigenti, ha tuttavia incrementato la mole di lavoro dei dirigenti scolastici;
   il dirigente scolastico ha la responsabilità e la gestione delle attività negoziali e delle gare d'appalto con la stazione appaltante operativa a tutti gli effetti a fronte di una possibilità di delega pressoché nulla o limitata a singoli atti e la rappresentanza dell'istituto nel giudizio di I grado per contenziosi in materia civile, cui si aggiunge quella relativa alla sicurezza degli edifici scolastici, per la quale non può delegare competenze ai suoi collaboratori; inoltre, ha la competenza sulla trasparenza consistente in continui aggiornamenti delle comunicazioni sul sito web e la responsabilità sulla gestione previdenziale in qualità di sostituto d'imposta;
   si devono inoltre ricordare le competenze e le responsabilità previste dalla legge n. 107 del 2015 tra le quali si ricorda la «chiamata diretta» e l'attribuzione del bonus sulla valorizzazione del merito dei docenti;
   la maggior parte delle elencate competenze e responsabilità non sussistono per gli altri dirigenti statali di seconda fascia ai quali lo Stato riconosce una retribuzione pari a circa il doppio rispetto a quella di un dirigente scolastico;
   un dirigente scolastico percepisce oggi per l'incarico di titolarità in una scuola mediamente una retribuzione netta di 2.300-2.500 euro al mese, pari a circa la metà dello stipendio del dirigente amministrativo statale di II fascia, mentre una reggenza, che non è consentito rifiutare, comporta la dirigenza di una seconda scuola a tutti gli effetti a fronte di una retribuzione di 350-450 euro;
   i dirigenti scolastici sono costretti ad assumere la reggenza di altre scuole prive di titolare a causa dell'esaurimento delle graduatorie dell'ultimo concorso per dirigenti scolastici (tenutosi nel 2011-12) –:
   se il Ministro interrogato intenda prevedere l'adozione del bando per un nuovo concorso e, in caso positivo, se possa fornire una data per il suo svolgimento. (3-02651)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il programma operativo nazionale (PON) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, intitolato «Per la Scuola – competenze e ambienti per l'apprendimento», finanziato dai Fondi strutturali europei contiene le priorità strategiche del settore istruzione e ha una durata settennale, dal 2014 al 2020, durante il quale le risorse previste da questi fondi vengono assegnate;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, già coinvolto nella gestione dei fondi strutturali durante i cicli di programmazione 1994-1999, 2000-2006, 2007-2013 lo è anche nel 2014-2020 e ha puntato a creare un sistema d'istruzione e di formazione di elevata qualità, efficace ed equo, offrendo alle scuole l'opportunità di accedere a risorse comunitarie;
   gli obiettivi di «Europa 2020» sono l'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione (per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni); l'aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo al 3 per cento del Prodotto interno lordo dell'Unione europea; la riduzione delle emissioni di gas serra del 20 per cento rispetto al 1990; il raggiungimento del 20 per cento del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili; l'aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica; la riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del 10 per cento; l'aumento al 40 per cento dei 30-34enni con un'istruzione universitaria; il raggiungimento dell'obiettivo di avere almeno 20 milioni di persone in meno a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione;
   per la programmazione 2014-2020 è disponibile un budget complessivo di poco più di 3 miliardi di euro suddivisi in 2,2 miliardi di euro circa stanziati dal Fondo sociale europeo (Fse) per la formazione di alunni, docenti e adulti; 800 Milioni di euro dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) per laboratori, attrezzature digitali per la scuola e per interventi di edilizia;
   il PON «Per la scuola» è rivolto alle scuole dell'infanzia e alle scuole del I e del II ciclo di istruzione di tutto il territorio nazionale ed è articolato in 4 assi ciascuno con i propri obiettivi specifici:
    «L'Asse 1 – Istruzione»,
    «L'Asse 2 – Infrastrutture per l'istruzione»,
    «L'Asse 3 – Capacità istituzionale e amministrativa»,
    «L'Asse 4 – Assistenza tecnica»;
   riguardo alla procedura aperta per l'affidamento dei servizi riguardanti l'assistenza tecnica alla programmazione, attuazione, sorveglianza e monitoraggio degli interventi previsti dal PON 2014-2020 «Per la scuola – Competenze e ambienti per l'apprendimento» hanno presentato l'offerta, entro il giorno 11 settembre 2015, 4 società;
   il lavoro della commissione, a quanto consta all'interrogante, si sarebbe concluso con l'aggiudicazione provvisoria;
   a oggi, l'aggiudicazione definitiva non è stata ancora pubblicata e ciò ha come conseguenze il ritardo nella conclusione dei contratti che interesserebbero circa 100 persone previste dal bando;
   in un anno, l'amministrazione non è stata in grado di chiudere un bando di gara con grave nocumento alla realizzazione del programma operativo nazionale che è stato avviato. Il ritardo accumulato potrebbe comportare, se la spesa non raggiungerà il livello previsto dal Programma, il taglio automatico al finanziamento autorizzato dall'Unione europea –:
   quali siano le cause dei ritardi accumulati dalla direzione generale competente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   se si intenda agire affinché si possa procedere con il normale iter di assegnazione definitiva della gara. (5-10081)


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 4 novembre 2016 il Ministro interrogato ha annunciato che stava per firmare il decreto che darà il via alla sperimentazione dalla «scuola breve»;
   cento istituti superiori, in prevalenza licei ma anche tecnici e professionali, abbrevieranno l’iter in 4 anni e non più 5, nell'ottica di una vera e propria riforma ordinamentale per tutte le scuole superiori di secondo grado che le equiparerà a quelle degli altri Paesi europei;
   le scuole dovranno essere selezionate attraverso un bando di gara, ma dato che si partirà dal mese di settembre 2017, il bando dovrà essere pronto entro la fine di dicembre 2016, posto che a gennaio 2017 già le famiglie dovranno scegliere ed iscrivere i propri figli;
   ad oggi il decreto non risulta adottato; da notizie provenienti da fonti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca risulterebbe, a quanto consta all'interrogante, che il decreto è all'esame della Corte dei conti dalla quale, tuttavia, la notizia non sarebbe stata confermata;
   trattasi per le famiglie di una scelta importante, che incide sulla formazione culturale e scolastica dei propri figli ed anche la perdita – ovvero il guadagno – di un anno di superiori rispetto all'ingresso anticipato nel percorso universitario, ovvero lavorativo, non è irrilevante;
   «giocare» con gli annunci, pertanto, è ad avviso dell'interrogante oltremodo scorretto e riprovevole, posto che a pagarne le spese sono gli studenti –:
   se il Ministro intenda rispettare i termini per l'adozione del decreto di cui in premessa e, di conseguenza, se intenda confermare l'avvio della sperimentazione per del percorso quadriennale per cento istituti, consentendo alle famiglie di conoscere i medesimi istituti prima della scadenza dell'iscrizione. (5-10089)


   BARGERO e BENAMATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Divertor Tokamak Test (DTT) facility è un'iniziativa di ricerca finalizzata alla progettazione e alla realizzazione di una infrastruttura destinata a risolvere il problema più critico dell'energia da fusione, il controllo dello smaltimento del calore generato. Tale infrastruttura è essenziale per la realizzazione di DEMO (Demonstration Fusion Power Reactor), così come testimoniato dalla road map europea sulla fusione. Questo perché la DTT è in grado di riprodurre, seppur in scala ridotta, i parametri operativi di un reattore;
   l'investimento complessivo risulterebbe essere di circa 500 milioni di euro senza aggravio per il debito pubblico, con ricaduta occupazionale di 270 persone per la costruzione e 500 per la sperimentazione, a cui se ne aggiungeranno altre nell'indotto per la gestione dell'impianto, per almeno 25 anni;
   scopo principale del progetto del reattore DTT è dimostrare la possibilità di generare energia elettrica tramite la reazione di fusione nucleare a costi competitivi;
   la DTT non risulta essere presente nella lista dei finanziamenti del programma nazionale per le infrastrutture di ricerca (PNIR), redatto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: pur essendo inclusa, come IR (infrastruttura di ricerca), nella lista di 97 IR riconosciute come tali tra le oltre 200 manifestazioni di interesse ricevute dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la DTT non è inserita nel PNIR fra le 56 IR prioritarie per il Paese perché non fa parte della road map 2016 dell’European Strategy Forum on Research Infrastructures – ESFRI (garanzia d'eccellenza scientifica), non è programmato che si strutturi come ERIC (forma giuridica European Research Infrastructure Consortium, con i conseguenti vantaggi sia a livello scientifico, di governance che di agevolazioni fiscali), non ha ricevuto finanziamenti precedenti da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a valere sul FOE (mentre il Ministero, nella sua strategia, ha ritenuto necessario valorizzare gli investimenti già effettuati) ed, infine, perché non è stata segnalata da alcuna regione italiana (in un'ottica di accesso ai fondi ESIF);
   nel campo degli studi e delle ricerche condotti in Italia sulla fusione termonucleare controllata, il Ministero dello sviluppo economico negli ultimi anni ha già finanziato il progetto « Broader Approach» che consiste nella progettazione e nella costruzione di componenti ad alto contenuto tecnologico, per un importo di 90 milioni di euro, somma per la quale il Ministero dello sviluppo economico ha garantito e completato la parte di finanziamento di propria spettanza per un importo di 50 milioni di euro;
   la DTT viene considerata dall'industria italiana un progetto di alto valore strategico nel percorso virtuoso intrapreso che ha permesso di ottenere grandi successi nella realizzazione di ITER – è il caso di ricordare che si sono ottenuti, ad oggi, contratti per quasi un miliardo di euro pari a oltre il 55 per cento di quanto assegnato – oltre che un progetto essenziale per non disperdere, per l'ennesima volta in Italia, un prezioso patrimonio di know-how –:
   quali siano gli intendimenti dei Ministri interrogati sullo sviluppo specifico di questo progetto e, in generale, di questo settore della ricerca considerato che il progetto è sostenuto dalle più importanti istituzioni di ricerca e università, dalle industrie italiane e da prestigiosi laboratori europei, è pienamente inserito nel programma europeo approvato dall'Euratom, rappresenta un importante volano per attivare, attorno ad una realizzazione di alto valore scientifico e tecnologico, formidabili sinergie in campo economico e sociale, è un progetto cantierabile in tempi brevissimi e il suo finanziamento non prevede aggravi sul bilancio dello Stato;
   per quale motivo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca continui ad immobilizzare risorse sul progetto Ignitor – risalente a oltre 40 anni fa – che da oltre due decenni è fuori dalla linea strategica e programmatica dell'Europa e sul quale risulta non esserci alcun interesse da parte della comunità scientifica italiana impegnata sulla fusione.
(5-10097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto professionale per l'agricoltura «Ipsars S. Solari» di Fidenza (Parma) dal 1997 fa parte del Polo scolastico agroindustriale, composto, oltre che dallo stesso Solari, dall'Itis «G. Galilei» di San Secondo (Parma) e dall'Itas «F.Bocchialini» di Parma. Il polo si caratterizza come scuola superiore di formazione, che offre diversi profili professionali nel campo agricolo, agroindustriale, agroambientale e dei servizi all'impresa creando figure coerenti con le esigenze del territorio. Conta nel suo complesso 1.600 studenti, con un trend in continua crescita, con dati sull'occupazione lavorativa post diploma molto elevati ed è considerato economicamente sano e sostenibile;
   l'istituto superiore «G. Magnaghi», con sede a Salsomaggiore Terme, si caratterizza come scuola superiore di formazione che offre diversi profili professionali nei settori dell'enogastronomia, dell'accoglienza turistica e dei servizi di sala e vendita;
   il consiglio provinciale di Parma, il 28 novembre 2016, ha deliberato l'aggregazione dei due istituti, Magnaghi e Solari, stabilendo di conseguenza il distaccamento del Solari dal Polo scolastico agroindustriale della provincia di Parma; in precedenza erano stati i consigli comunali di Fidenza e Salsomaggiore Terme a deliberare in tal senso, senza comunque consultare le istituzioni scolastiche del Solari e del Polo agroindustriale;
   successivamente, i collegi dei docenti del Solari e quello dell'intero Polo agroindustriale hanno criticato la nuova aggregazione;
   docenti, genitori e studenti del Solari hanno manifestato reiteratamente la loro contrarietà alla nuova aggregazione con raccolte di firme e altre forme di protesta;
   anche il responsabile dell'ufficio scolastico provinciale di Parma, con nota del 18 novembre 2016, ha espresso netto e motivato parere negativo rispetto all'aggregazione;
   diverse amministrazioni comunali del territorio della Bassa ovest nella provincia di Parma, hanno espresso contrarietà;
   il motivo di fondo di questa diffusa contrarietà all'aggregazione tra Magnaghi e Solari è che essa farebbe venire meno la forza del progetto ventennale di aggregazione, iniziato nel 1997, tra Solari, Galilei e Bocchialini, che continua a dare ottimi risultati sia in termini di aumento delle iscrizioni (soprattutto per il Solari dove sono aumentate negli ultimi quattro anni del 164 per cento) sia per i continui apprezzamenti da parte del mondo delle imprese locali;
   va inoltre tenuto in considerazione che il distaccamento del Solari dal Polo agroindustriale lo impoverirebbe di quelle competenze professionali specifiche del settore dell'agroindustria, di docenti e di tecnici, di attrezzature, di automezzi e di macchine agricole, che sono presenti solo all'interno del Polo, e impedirebbe la partecipazione a progetti nazionali ed internazionali specifici del settore; in particolare, modificando la struttura, potrebbero essere persi i 750.000 euro di finanziamento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca derivanti dal progetto FABLAB «Dalla terra alla Tavola», in quanto risulterebbero variati alcuni parametri che hanno permesso di vincere il progetto;
   in realtà l'aggregazione tra Magnaghi e Solari rientrerebbe in un progetto politico di fusione tra i comuni di Salsomaggiore Terme e Fidenza fortemente voluto dai due attuali sindaci e che necessita del rafforzamento dell'istituto professionale presente a Salsomaggiore Terme, anche se a discapito dell'offerta scolastica complessiva provinciale;
   ad avviso dell'interrogante si sta procedendo forzatamente all'aggregazione di due istituti scolastici superiori, con conseguente impoverimento di un polo scolastico funzionante e bene gestito per motivi che paiono più che altro di convenienza politica e non di miglioramento dell'offerta scolastica e nonostante i diffusi pareri contrari di varie istituzioni interessate –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza perché possano essere valutate soluzioni alternative rispetto all'aggregazione tra Magnaghi e Solari, che consentano di mantenere quest'ultimo istituto all'interno del Polo agroindustriale, aprendo un confronto con docenti, studenti e famiglie. (4-14924)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in una mail inviata il 7 settembre 2016 all'Anac, una dipendente statale profetizzava la vittoria nel concorso per un ricercatore senior, settore patologia generale e patologia clinica presso l'università di Pisa, del dottor Iacopo Petrini, figlio del professore Mario Petrini, ultimo preside della facoltà di medicina dell'università Pisa, attuale direttore del dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Pisa, nonché direttore del dipartimento assistenziale integrato oncologia, trapianti e nuove tecnologie in medicina dell'azienda ospedaliero-universitaria Pisana, e della unità operativa ematologia della stessa azienda;
   l'esito della procedura concorsuale, pubblicato il 19 ottobre 2016, dimostra l'effettiva vittoria, con graduatoria compose, da unico candidato, del dottor Iacopo Petrini, del quale peraltro non risulta pubblicato il curriculum vitae sul sito dell'A.O.U.P. e su quello dell'università di Pisa, in contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo n. 33 del 2013;
   il dottor Iacopo Petrini, specialista in oncologia dal novembre 2008, dottore di ricerca in oncologia molecolare dal marzo 2012, poi divenuto dal 1o febbraio 2015 ricercatore junior nel settore concorsuale «Patologia generale e patologia clinica» presso l'Università di Pisa, alla scadenza del bando per ricercatore senior, risultava autore di una trentina di pubblicazioni, alcune delle quali aventi come co-autore il padre;
   l'articolo 3 (punto 17) del regolamento del suddetto concorso precisa che non può essere stipulato il contratto con coloro che abbiano un grado di parentela, di affinità fino al IV grado o di coniugio con un professore afferente al dipartimento o alla struttura che propone l'attivazione del contratto, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione. Il professor Mario Petrini è attualmente direttore del dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Pisa, mentre il figlio ha vinto un posto nel dipartimento di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia della stessa università. Entrambi i dipartimenti sono parte della stessa struttura, che propone l'attivazione del contratto da ricercatore;
   in un caso simile, verificatosi presso l'università di Sassari, la sentenza del TAR Sardegna 00271/2014 ha ritenuto illegittima l'ammissione alla procedura in esame della concorrente, figlia del precedente vicepreside di facoltà, pur se afferente ad altro dipartimento;
   secondo una sentenza del TAR Lombardia le attuali disposizioni sono chiare nel vincolare le università, in sede di procedure per la chiamata dei professori, a specificare il settore concorsuale ed un eventuale profilo «esclusivamente» tramite l'indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, non potendosi ammettere la specificazione attraverso ulteriori elementi che limitino la platea degli aventi titolo. Nel caso dell'università di Pisa, appare come una forzatura aver introdotto come requisito nel bando per ricercatore senior avente a oggetto lo «svolgimento di attività di ricerca e di attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti» il possesso del requisito della «specializzazione in oncologia medica o discipline equipollenti e affini», invece ritenuta «non attinente» nel verbale del concorso per ricercatore junior vinto dal dottor Iacono Petrini;
   il dottor Iacopo Petrini dichiara inoltre nel curriculum, di aver maturato, oltre ai 18 mesi da ricercatore junior, un'ulteriore esperienza sotto forma di contratti analoghi a borse post-dottorato in atenei stranieri. Tale periodo decorrerebbe dal 31 marzo 2012 al 30 giugno 2013, per un totale di 15 mesi. In totale il candidato avrebbe quindi solo 33 dei 36 mesi minimi di esperienza, post-dottorato necessari per presentare la domanda al concorso da ricercatore senior;
   uno dei commissari del concorso per ricercatore senior, professor Alfonso Pompella, già presidente della commissione di valutazione nel concorso per ricercatore junior vinto dal dottor Iacopo Petrini, è stato nel 2008 presidente di commissione in altra procedura di valutazione comparativa il cui esito è stato annullato dal Consiglio di Stato ad aprile 2016 per inopportuna valutazione sulle pubblicazioni e sui titoli;
   alla luce delle sentenze dei TAR, l'interrogante non ritiene legittima l'impostazione del bando concorsuale per ricercatore senior e il dottor Iacopo Petrini appare in conflitto di interesse con l'università di Pisa –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga di assumere iniziative normative, nel rispetto dell'autonomia dell'ordinamento universitario, per promuovere il merito ed escludere possibili conflitti di interessi nelle procedure di selezione di docenti e ricercatori universitari ed evitare che possano prodursi situazioni come quelle descritte che appaiono all'interrogante a dir poco inopportune;
   sulla base di quali valutazioni il professor Pompella e il professor Mario Petrini, siano stati nominati commissari dell'abilitazione scientifica nazionale rispettivamente, nei settori scientifico disciplinari 06/A2 e 06/D3, quindi nella posizione di selezionare la futura classe docente per prossimi decenni. (4-14930)


   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Festival della vita di Caserta ha organizzato l'8 ottobre 2016 la quinta edizione del Corteo per la vita, al quale è intervenuto anche Padre Maurizio Patricello, figura simbolo della lotta contro l'inquinamento che avvelena la vita degli abitanti nella Terra dei Fuochi;
   il corteo aveva come unico scopo quello di sensibilizzare nei confronti dei temi relativi alla vita, ivi inclusa – esplicitamente – la prevenzione delle tossicodipendenze e dei reati ambientali;
   al corteo citato hanno aderito varie associazioni, e otto scuole superiori, per un totale di circa 1500 studenti;
   il corteo silenzioso non ha visto la distribuzione di alcun volantino contro la legge n. 194;
   la partecipazione degli studenti, come da circolare del dirigente scolastico, è stata su basa volontaria, previa autorizzazione da parte dei genitori, anche per quel che riguardava i ragazzi maggiorenni;
   tutti i docenti accompagnatori, inoltre, hanno chiesto liberamente di poter partecipare al corteo, accompagnando gli studenti;
   il corteo ricordato era già stato svolto il precedente 4 febbraio, sempre con la partecipazione di varie scuole casertane, senza che vi fosse nessuna polemica;
   al contrario, questa volta, a seguito di un intervento di associazioni contrarie all'evento, tra le quali la CGIL, si sono mosse accuse, in particolare al dirigente scolastico dell'Istituto Ugo Foscolo di Teano e Sparanise, accusato di fare propaganda contro l'aborto nella sua scuola;
   in realtà, come sopra ricordato, il corteo per la vita nulla ha a che vedere con la «propaganda anti-abortista»; ma, se anche questa ne fosse stata la finalità, preoccupa il fatto che qualunque riferimento alla difesa della vita, in tutte le sue forme, venga immediatamente posto all'indice da parte di gruppi che si arrogano il diritto di stabilire cosa sia giusto e cosa non lo sia;
   stupisce anche la decisione del Ministro interrogato di inviare ispettori alla scuola sopra ricordata, ispettori che avrebbero aperto, per quanto consta agli interroganti, un procedimento disciplinare contro il dirigente scolastico dell'istituto Foscolo –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per garantire che sia ancora consentita nelle scuole della Repubblica la libera espressione del pensiero, compreso il fatto di partecipare ad eventi che non hanno alcuna valenza propagandistica, ma che parlano della vita e che mirano a sensibilizzare i giovani alla prevenzione di tutto ciò che fa violenza alla vita umana, aborto compreso. (4-14947)


   VEZZALI e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha lanciato il Programma sperimentale di formazione studenti-atleti di alto livello iscritti negli istituti secondari di secondo grado statali e paritari del territorio nazionale;
   con una circolare il Ministero ha spiegato che è possibile accedere a un percorso formativo personalizzato per quegli atleti che figurino al top in Italia nella propria disciplina, con la possibilità di affrontare una parte del carico delle lezioni attraverso e-learning (esami e verifiche andranno comunque svolti in classe), seguiti da un tutor scolastico e un tutor sportivo;
   il programma è coerente con la legge n. 107 del 2015 (articolo 1, comma 7, lettera g) che individua, tra gli obiettivi formativi prioritari, l'attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica;
   per l'atletica leggera il programma riguarda i primi 12 atleti delle graduatorie nazionali di categoria;
   le scuole riceveranno le domande delle famiglie (complete di attestazione da parte della federazione) e invieranno le richieste entro venerdì 16 dicembre 2016, data limite per entrare nel percorso formativo per gli studenti-atleti;
   potranno richiedere l'ammissione alla sperimentazione:
    a) rappresentanti delle nazionali partecipanti a competizioni internazionali;
    b) per gli sport individuali atleti compresi tra i primi 12 posti della classifica nazionale di categoria giovanile all'inizio dell'anno scolastico di riferimento;
    c) studenti coinvolti nella preparazione ai Giochi olimpici invernali e paraolimpici di Pyeongchang 2018, ai Giochi olimpici estivi di Tokio 2020, ai Giochi olimpici e paralimpici giovanili estivi di Buenos Aires 2018, ai Giochi olimpici e paralimpici giovanili invernali di Losanna 2020;
   la partecipazione al programma sarà possibile previa approvazione del progetto formativo personalizzato (PFP) da parte del Consiglio di classe e/o con una modalità avanzata di partecipazione con richiesta di utilizzo della piattaforma digitale;
   si evidenzia che l'alternanza scuola lavoro costituisce un impegno che viene richiesto nelle ore pomeridiane e che mal si concilia con le ore di allenamento, i ritiri e le gare. In alternanza scuola lavoro, le assenze, a differenza di quelle per la frequenza in classe, che sono giustificate, devono essere recuperate con evidente penalizzazione per i giovani atleti –:
   se il Programma tenga conto e in quale modo dei disagi che crea l'alternanza scuola lavoro tenendo conto che si tratta di un obbligo per i ragazzi che frequentano il triennio superiore.
(4-14949)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Electa s.p.a. con sede legale a Roma e sedi operative a Milano e Sassari ha cominciato a non pagare gli stipendi a dicembre 2008. Nel 2009 con le regioni Lombardia e Sardegna i dipendenti sono stati messi in cassa integrazione straordinaria in deroga fino a dicembre 2009, poiché il 10 dicembre 2009 l'azienda è stata dichiarata fallita dal tribunale di Roma (sentenza n. 506);
   dopo il licenziamento i lavoratori hanno fruito diversi periodi di mobilità deroga e il 9 dicembre 2014, grazie alla legge n. 92 del 2012, alla legge stabilità 2014 (articolo 1, comma 183) ed al decreto interministeriale n. 83473 del 1o agosto 2014, è stata approvata una proroga per altri 7 mesi (dal 1o gennaio al 31 luglio 2014) per 113 lavoratori della sede di Milano e per 10 mesi (dal 1o gennaio 2014 al 31 ottobre 2014) per 141 lavoratori della sede di Sassari;
   a seguito della emanazione della circolare n. 19 dell'11 settembre 2014 ed alla nota esplicativa numero 5425 del 24 novembre 2014, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il 6 febbraio 2015 viene firmato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'ultimo verbale per un'ultima proroga di mobilità in deroga dal 1o gennaio 2015 al 30 giugno 2015 per 254 lavoratori;
   il 23 maggio 2016 viene finalmente emanato il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n. 1600049 con il quale è stata autorizzata la concessione della proroga del trattamento di mobilità in deroga alla normativa vigente in favore di un numero massimo di 254 unità lavorative della società ELECTA s.p.a. in fallimento, per il periodo dal 1o gennaio 2015 al 30 giugno 2015;
   dopo una comunicazione dell'Inps, seguita da una nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con prot. n. 14126 del 27 giugno 2016, che evidenzia l'assenza di continuità nei trattamenti di mobilità in deroga in questione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 4 novembre 2016, dopo aver respinto la richiesta di sospensione del procedimento di annullamento da parte del responsabile della procedura ha annullato «il decreto interministeriale n. 1600049 del 23 maggio 2016, con il quale è stata autorizzata la proroga della concessione del trattamento di mobilità in deroga alla normativa vigente in favore di un numero massimo di 254 unità lavorative della Electa S.p.A. in fallimento, per il periodo dal 01.01.2015 0130.06.2015, per mancanza del requisito essenziale della continuità nella fruizione del trattamento di mobilità in deroga»;
   l'annullamento del decreto ha lasciato nello sconforto e nella disperazione i lavoratori interessati, già fortemente spossati dalla lunga attesa, essendo senza alcuna forma di sostegno al reddito dal 1o gennaio 2015 e convinti di poter fruire dell'ammortizzatore dopo l'accordo firmato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 6 febbraio 2015;
   è assolutamente inconcepibile che venga sottoscritto un accordo in sede ministeriale e poi emanato il relativo decreto di concessione senza che siano state effettuate le opportune verifiche, illudendo lavoratori e lavoratrici che hanno serissimi problemi economici –:
   a quante imprese interessate da fallimenti o da accordi per la gestione di esuberi occupazionali sia stata negata la concessione della mobilità in deroga e come intenda intervenire per sanare l'assurda situazione che ha interessato incolpevolmente gli ex lavoratori della società Electa spa. (5-10079)


   FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Telecom Italia ha deciso di revocare, a partire da febbraio 2017, il contratto di secondo livello, senza un confronto con le organizzazioni sindacali e senza alcun margine di trattativa con i lavoratori, al solo scopo di risparmiare circa 2 miliardi di euro;
   si tratta di una misura che appare critica e sembra essere diretta ad incidere in maniera negativa su tutti i dipendenti, tale misura, infatti, significherà un taglio netto in busta paga, straordinari non adeguatamente retribuiti, demansionamento e introduzione del controllo a distanza;
   la revoca del contratto rischia dunque di avere effetti gravissimi su tutti i livelli occupazionali del settore delle telecomunicazioni, creando un pericoloso precedente che potrà spingere le altre compagnie telefoniche a seguire lo stesso metodo, abbassando ulteriormente gli standard in termini di diritti dei lavoratori –:
   quale iniziative urgenti si intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e i profili salariali dei lavoratori del settore delle telecomunicazioni a seguito della revoca del contratto di secondo livello. (5-10082)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la raffineria dell'Eni più grande d'Europa, a Sannazzaro (Pavia), copre un'area di 320 ettari a circa un chilometro dal centro abitato. La stessa è stata oggetto dell'attenzione degli interroganti, tramite atti di sindacato ispettivo quale l'interrogazione n. 4-10945 a prima firma Zolezzi, a fronte del rischio ambientale di tali impianti che si vanno ad inserire in un contesto della Pianura Padana, fortemente compromesso in termini di inquinamento dell'aria;
   il 1o dicembre si è verificato un ennesimo incendio nell'impianto suddetto, già colpito da un'esplosione nel 2012 e da due incidenti il 2 e il 6 luglio 2016, che hanno visto il coinvolgimento di due operai. L'ultimo, quello del 1o dicembre, si sarebbe verificato nel Progetto EST riportando il coinvolgimento di un operaio;
   la raffineria presenta un settore (Progetto EST, EST II) in cui Eni ha iniziato ad adottare come proprietaria una nuova tecnologia che fa uso di idrogeno, ai fini della conversione quasi totale dei combustibili pesanti in benzina e gasolio. Tale progetto solleva, a detta degli interroganti, diverse preoccupazioni, alla luce degli incidenti trascorsi e della pericolosità dell'idrogeno stesso;
   si registra l'indignazione dei cittadini e dei lavoratori i quali richiedono, tramite i loro sindacati, risposte in merito alla carenza di organico;
   Nicola Pirrone, direttore dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico del CNR ha dichiarato che «la combustione non controllata di questi idrocarburi scarica nell'atmosfera il peggio del peggio; particolato, polveri, inquinanti gassosi come l'ossido di azoto e lo zolfo. E poi, se l'incendio ha riguardato e toccato anche le infrastrutture industriali nella nuvola ci sono materie plastiche che possono generare diossina, metalli pesanti, composti organici, ed inorganici»;
   l'impianto EST di ENI andato a fuoco era stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale nazionale, ricevendo all'inizio un parere sfavorevole con preavviso di rigetto (a causa dell'inquinamento in PM10 che avrebbe comportato), cambiato in parere favorevole dopo delle modifiche progettuali;
   la prescrizione 3.1 contenuta nel decreto e proposta dalla regione Lombardia richiedeva una serie di interventi volti a prevenire l'incidentalità;
   almeno a stare a quanto riporta il sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulle decine di prescrizioni contenute nel decreto, è stata fatta dal Ministero la verifica di ottemperanza solo per una di esse –:
   se il Governo non ritenga opportuna, per quanto di competenza, una verifica degli impianti esistenti in merito all'applicazione della direttiva «Seveso», del corretto funzionamento degli impianti e delle autorizzazioni di cui risultano essere in possesso;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per verificare, i danni ad ambiente e persone, in aggiunta ai dati che l'Eni trasmetterà alle autorità competenti;
   quali programmi di prevenzione intenda avviare, per quanto di competenza per scongiurare ulteriori danni, incluse la dispersione di veleni sui terreni agricoli e la possibilità che entrino nella catena alimentare;
   se, quando e con quali risultati siano state svolte le verifiche di ottemperanza per le prescrizioni inserite nel decreto di compatibilità ambientale;
   se, quando e con quali risultati il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia verificato che la costruzione dell'impianto corrispondesse a quanto risulta dalla documentazione depositata presso il Ministero;
   su quale parte del sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare siano pubblicati, secondo quanto previsto dall'articolo 28, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, i risultati dei monitoraggi ambientali prescritti nel decreto;
   se il Governo sia a conoscenza del piano di emergenza esterna (PEE) utilizzato da ENI a Sannazzaro e dunque delle misure preventive avviate ai fini della tutela dei lavoratori e della corretta istruzione degli stessi in caso di incidente.
   (4-14938)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COVA, PALMA, LATTUCA, FONTANELLI, FANUCCI, TERROSI e ROMANINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 681 del 2016 è stata ridefinita la nuova classificazione degli ippodromi italiani, redatta sulla base dei criteri individuati circa un anno fa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; tali criteri non furono sottoscritti dalle associazioni di categoria e dalle società di corse, mentre alcuni comuni, proprietari degli ippodromi, presentarono anche ricorso al tar di Roma;
   con l'articolo 15 della legge 28 luglio 2016, n. 154, il Parlamento ha conferito una delega al Governo per il riassetto del settore ippico da attuare entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, ossia entro il 25 agosto 2017;
   la nuova classificazione potrebbe, pertanto, inficiare il lavoro svolto dal Parlamento stabilendo criteri che sarebbero vincolanti anche dopo l'attuazione della delega sulla riforma del settore ippico e penalizzerebbe diversi ippodromi in termini economici ed occupazionali anche dopo l'attuazione della delega;
   numerose associazioni di categoria hanno sollevato rilievi e proteste su quella che si prospetta come una classificazione penalizzante in particolare per gli ippodromi che fino ad ora hanno avuto una buona partecipazione di pubblico e una partecipazione qualificata nelle corse in programma; tale classificazione non offre risposte alla richiesta del mondo dell'ippica di un intervento mirato e tempestivo del Governo sulla questione:
   al contrario la soluzione prospettata rischia di mettere una ipoteca sull'intera filiera produttiva, non tenendo in alcun conto l'indotto di alcuni dei più rinomati ippodromi –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato sulle questioni esposte in premessa e se ritenga opportuno assumere iniziative per modificare i criteri e il contenuto della nuova classificazione degli ippodromi nazionali, affinché ne scaturisca una nuova definizione che consenta di arrivare alla corretta applicazione della riforma del settore ippico italiano.
(5-10098)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 aprile 2010 è stato sottoscritto a Verona il Protocollo d'intesa per la valorizzazione della nuova DOC Interregionale «Prosecco», tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, le organizzazioni agricole (Associazione agricoltori – Kmečka zveza, Federazione Coldiretti Friuli Venezia Giulia, Confagricoltura Friuli Venezia Giulia, Confederazione italiana agricoltori), ed il Consorzio tutela vini Collio e Carso;
   il 12 aprile 2016, il primo firmatario del presente atto ha depositato l'interrogazione n. 5-08380, sollecitata in data 17 giugno e 3 agosto 2016, ancora senza risposta, nella quale ha ricordato come «(...) a distanza di sei anni dalla firma del Protocollo ed in vista della sua scadenza, la Regione Fvg ha promosso un incontro con i rappresentanti del mondo vitivinicolo del Carso, dal quale è emersa la necessità di prolungare il Protocollo, aggiornandone i contenuti e coinvolgendo tutti i soggetti interessati». A tal fine, al Ministro Maurizio Martina ha chiesto se intendesse attuare «una ricognizione, con il coinvolgimento della Regione Fvg e delle associazioni vitivinicole interessate, degli impegni assunti con il Protocollo del 2010 “e se intendesse” procedere, di concerto con la Regione Fvg, ad un rapido aggiornamento e prolungamento, insieme agli altri soggetti coinvolti, del Protocollo sul Prosecco Doc, venendo incontro alle esigenze ed alle necessità degli operatori del settore del Friuli Venezia Giulia»;
   sul Piccolo di Trieste, dopo la messa in onda di un'inchiesta televisiva sulla produzione del prosecco in una puntata della trasmissione Report, è stato pubblicato un articolo: «Report infiamma la guerra del Prosecco», il 15 novembre 2016 in cui è spiegato che «l'inchiesta televisiva ha messo l'accento sull'accordo, quando cioè Ministero e Regione si impegnarono ad avviare una serie di iniziative per lo sviluppo agricolo delle aree del Carso triestino, corre la sistemazione dei costoni e dei pastini e la promozione dei prodotti agricoli tipici della zona»;
   Franc Fabec, presidente dell'Associazione agricoltori-Kmečka Zveza, ha dichiarato che «(...) quel protocollo, ci ha detto il ministro Martina, è scaduto ad aprile 2016 e non sarà rinnovato ma in tutti questi anni quel protocollo è rimasto praticamente lettera morta. Non è stato fatto quasi nulla di quello che ci era stato promesso. Solo la Regione Friuli Venezia Giulia, e bisogna dargliene atto, ha finanziato, per la sua parte, il Centro per la promozione dei prodotti del Carso in corso di realizzazione nella frazione di Prosecco. Ci sentiamo presi in giro diamo il nome del nostro territorio per tutelare e difendere un vino che vale miliardi e noi siamo rimasti a bocca asciutta. In tutti questi anni, sul Carso non è stato piantato un solo ettaro di Prosecco. Il nostro vino è stato e continua a essere la Glera»;
   secondo quanto si è appreso dal programma Report 2015 ben 15 mila aziende e 527 cantine presenti nelle province di Treviso, Padova, Vicenza, Belluno, Venezia, Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste hanno prodotto 438.698.000 bottiglie per un fatturato di due miliardi e 100 milioni di euro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, di concerto con la regione Friuli Venezia Giulia, intenda assumere per lo sviluppo del settore vinicolo di cui in premessa e con quali modalità intenda far fronte alle esigenze e alle necessità degli operatori vitivinicoli del Friuli Venezia Giulia ed, in particolare, del territorio triestino. (4-14913)


   LUPO, GALLINELLA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, attraverso specifiche risorse assegnate allo stesso annualmente dalla legge di bilancio, finanzia iniziative di ricerca applicata sia promuovendo la libera espressione da parte dei ricercatori sia individuando priorità tematiche;
   così come espresso nel piano strategico per l'innovazione e la ricerca nel settore agricolo alimentare e forestale (2014-2020), le politiche per l'innovazione in ambito agricolo si collocano nella strategia per una crescita intelligente ed inclusiva e costituiscono un ponte tra le politiche di ricerca e quelle di sviluppo rurale;
   come previsto dal comma 381 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014: «(...) l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) è incorporato nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (...)» (CREA);
   sia l'INEA che il CRA negli anni hanno ampiamente usufruito, per la selezione del loro personale di ricerca, di contratti a tempo determinato e di collaborazione tanto che, ad oggi, il nuovo ente (CREA) conta nel proprio organico circa 450 ricercatori, che versano in condizioni di precariato;
   l'eccessivo ricorso a contratti a tempo determinato e di collaborazione è facilmente riscontrabile in diverse sedi dislocate sul territorio nazionale del CREA, dove i ricercatori con contratti di precariato ricoprono l'intera pianta organica del personale; a titolo esemplificativo e per quanto risulta agli interroganti, si citano alcune delle sedi: il «Centro di politiche e Bioeconomia» del Friuli Venezia Giulia con il 100 per cento di ricercatori con contratti di precariato o il «CREA-PB» di Palermo, dove i ricercatori precari ricoprono l'87,5 per cento della pianta organica –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, ritenga di dover porre in essere al fine di stabilizzare la posizione contrattuale dei ricercatori del settore agro-alimentare. (4-14928)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ha suscitato molto scalpore la notizia, che ha avuto anche larga eco sugli organi di informazione anche nazionali, di una palazzina presente nel comune di Bari dove, dal 1990 a 2016, si sono registrati ben 27 casi di tumore;
   si tratta di un immobile sito in via Archimede n. 16 presso il quartiere «japigia» di Bari;
   in 26 anni si sono registrati 18 decessi a cui vanno ad aggiungersi 9 diagnosi di malattia;
   i condomini, in relazione a tale incidenza di tumori, hanno inviato una serie di richieste sia all'Agenzia regionale per la casa, che all'Agenzia regionale per la protezione ambientale, chiedendo semplicemente di avere chiarezza in merito ad eventuali esposizioni o fattori di rischio poiché finora siamo nel caso delle ipotesi senza alcuna base scientifica;
   non vi è alcun dubbio che occorra fare al più presto chiarezza e verificare la salubrità dell'immobile e dell'area in cui esso ricade –:
   se il Ministro, in relazione a quanto esposto in premessa, non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, promuovere in tempi rapidi un'indagine epidemiologica dell'Istituto superiore di sanità al fine di avere il massimo supporto scientifico nella ricerca di eventuali fattori che hanno determinato una così rilevante incidenza di tumori, nonché sulla presenza di ulteriori elementi che porrebbero a rischio la salute dei cittadini di cui sopra. (3-02650)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, LOREFICE, NESCI e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'11 novembre 2016 è stato pubblicato il testo definitivo dell'atto aziendale dell'Asl Salerno alla luce del riassetto della rete ospedaliera di cui al decreto del commissario ad acta n. 33 del 17 maggio 2016 della regione Campania;
   in particolare, è stata disposta la chiusura dei reparti di ortopedia, cardiologia e chirurgia del presidio ospedaliero di Roccadaspide (Salerno), e la riduzione dei posti letto dagli attuali 70 a 20;
   il presidio ospedaliero di Roccadaspide (SA) è struttura di riferimento per un bacino di ben 22 comuni con un'estensione territoriale di 822,58 chilometri quadrati;
   la soppressione dei reparti e dei posti letto produrrà maggiori disservizi ed inevitabili disagi per gli utenti del comprensorio, già penalizzati da un territorio con una viabilità tortuosa e lontani dagli altri presidi ospedalieri –:
   se la riduzione dei posti letto e delle unità operative programmate per il presidio ospedaliero di Roccadaspide garantisca il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e la tutela del diritto alla salute di migliaia di cittadini;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a definire dei correttivi al piano di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018 della regione Campania, al fine di impedire che il presidio ospedaliero sia posto in condizione di non poter più erogare servizi per la salute dei cittadini a causa della soppressione dei reparti.
   (5-10073)


   MURER e MOGNATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il termine disturbi specifici dell'apprendimento (Dsa) ci si riferisce ad un gruppo di disturbi che si manifestano con difficoltà nell'acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, aspersione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento, matematica;
   in tale categoria rientrano la dislessia, la disortografia, la disgrafia, e la discalculia;
   per sua stessa natura, avviene di frequente che la dislessia sia non individuata, sia sottovalutata, sia diagnosticata tardi, ritardando quindi anche gli interventi idonei;
   la legge 8 ottobre 2010, n. 179, recante «Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico», riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana;
   la legge sopra richiamata persegue, per le persone con Dsa, varie finalità tra cui favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto e favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi;
   la legge stessa, all'articolo 3, dice che la diagnosi è effettuata nell'ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal servizio sanitario nazionale; le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell'ambito dei trattamenti specialistici erogati dal servizio sanitario nazionale possono prevedere che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate;
   l'accordo Stato-regioni del 25 luglio 2012 recante «Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi specifici di apprendimento (DSA)», dice, all'articolo 1, comma 4, che «nel caso in cui i servizi pubblici o accreditati dal SSN non siano in grado di garantire il rilascio delle certificazioni in tempi utili per l'attivazione delle misure didattiche e delle modalità di valutazione previste e, comunque, quando il tempo richiesto per il completamento dell'iter diagnostico superi i sei mesi, con riferimento agli alunni del primo ciclo di istruzione, le Regioni possono prevedere percorsi specifici per l'accreditamento di ulteriori soggetti privati»;
   la regione Veneto, con atti successivi, fino alla deliberazione della giunta regionale n. 2315 del 9 dicembre 2014 (recante indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei disturbi specifici dell'apprendimento) ha fissato nuovi criteri di accreditamento;
   secondo questi, le diagnosi di Dsa potranno essere rilasciate solo da strutture accreditate per la branca specialistica di neurologia o psichiatria con specializzazione in neuropsichiatria infantile;
   gli psicologi – liberi professionisti e non impiegati in struttura pubblica – non possono chiedere l'accreditamento e non possono rilasciare una diagnosi riconosciuta dalle strutture scolastiche come certificazione, pur se legalmente valida;
   si unifica il concetto di diagnosi e quello di certificazione; si discrimina la professione di psicologo e si danno poche possibilità alle famiglie e agli utenti, costretti a tempi di attesa lunghi, superiori a quelli fissati dalla legge e dall'accordo Stato-regioni citati;
   trenta psicologi hanno sottoscritto un ricorso al tribunale amministrativo regionale del Veneto chiedendo l'annullamento degli atti;
   una protesta arriva anche dalle famiglie e dall'associazione Di.re-Fa.re, che, con un documento, hanno denunciato i tempi lunghi di attesa delle strutture pubbliche con il rischio che i bambini comincino l'anno scolastico senza diagnosi, senza certificazione e quindi senza i piani didattici personalizzati previsti dalla legge –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e cosa intenda fare, nell'ambito delle sue competenze e nel rispetto di quelle regionali, per garantire quanto previsto dalla legge n. 170 del 2010 e dall'accordo Stato-regioni del 25 luglio 2012, con riferimento alla diagnosi precoce e alla necessità di assicurare il rilascio delle certificazioni in tempi utili per l'attivazione delle misure didattiche. (5-10077)


   RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, MARTELLI, NICCHI, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 novembre 2016 la testata www.informazione.tv, quotidiano on line della provincia di Fermo, ha pubblicato una intervista (intitolata «A Fermo non è possibile abortire. Intervista esclusiva all'unico medico non obiettore della provincia fermana») alla dottoressa Lucia Tossichetti, specialista ambulatoriale titolare nella branca di ostetricia e ginecologia, unico medico non obiettore di coscienza in materia di interruzione volontaria di gravidanza operante nell'area vasta 4 (livello amministrativo sanitario che copre i confini della provincia di Fermo, da Sant'Elpidio a Mare, Pedaso, sino a Montefortino);
   secondo quanto afferma nell'intervista citata la dottoressa – che esercita presso il consultorio ginecologico di Porto San Giorgio e di Montegiorgio: «Molti si professano obiettori, ma in realtà non hanno rilasciato alcuna dichiarazione di obiezione di coscienza nei loro posti di lavoro, quindi il numero reale di obiettori potrebbe essere ancora più alto di quello ufficialmente rilasciato»;
   la dottoressa Tossichetti, peraltro, non effettua fisicamente l'interruzione volontaria di gravidanza, ma svolge una funzione preliminare, preparando le donne che fanno richiesta di interruzione di gravidanza ad effettuare la procedura fuori provincia. Il consultorio di Porto San Giorgio si limita, in sostanza, a rilasciare il certificato medico necessario, la prescrizione degli esami che servono per l'anestesia, l'ecografia con la datazione della gravidanza, indirizzando le richiedenti al centro più vicino dove effettuare l'aborto;
   pertanto non sarebbe possibile effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza a Fermo;
   il documento redatto dalla CGIL «Marche: Interruzioni di gravidanza in calo ma troppi obiettori di coscienza mettono a rischio l'attuazione della Legge», basato – come riporta l'articolo stampa richiamato – sull'ultima relazione del Ministero della salute sull'attuazione della legge 194 del 1978, nonché sui dati forniti dalla, regione Marche, riporta, infatti, livelli di obiezione di coscienza per l'ospedale di Fermo, già nel 2013, pari al 90 per cento dei medici, il 42,9 per cento degli anestesisti e il 3,9 per cento dei paramedici;
   l'obiezione di coscienza è un diritto che andrebbe bilanciato con il diritto delle donne alla interruzione volontaria di gravidanza, così come previsto dalla legge n. 194 del 1978, e spetta allo Stato ed alle regioni, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, garantire che il diritto degli uni non vanifichi quello degli altri;
   gli interroganti hanno più volte sollevato l'allarme su come nella regione Marche di fatto vi sia una non applicazione della legge n. 194 del 1978, in ordine alla scelta di interrompere volontariamente la gravidanza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti richiamati in premessa e se non intenda promuovere una verifica al riguardo;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare affinché il sistema sanitario offra un servizio omogeneo sul territorio nazionale, garantendo la piena applicazione della legge n. 194 del 1978. (5-10083)


   LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'ospedale Giovanni Paolo II di Sciacca, nell'agrigentino, è accaduto che sei pazienti malati di talassemia sono stati infettati dal virus dell'epatite C;
   la talassemia o anemia mediterranea è una malattia che coinvolge circa 7000 persone in Italia e costringe i pazienti a trasfusioni ogni 15-20 giorni;
   sull'episodio stanno svolgendo accertamenti i carabinieri del Nas di Palermo e la procura ha avviato un'inchiesta. Secondo le prime informazioni si è già risaliti ai donatori di sangue, risultati negativi al virus dell'epatite, ma l'attività va avanti per cercare di capire come mai sono avvenute sei infezioni in contemporanea, con la presunta conclusione che probabilmente qualcosa non ha funzionato nella catena della sterilizzazione;
   con le attenzioni di oggi e le verifiche imposte dalla legge 21 ottobre 2005, n. 219, per l'attività trasfusionale, la produzione degli emoderivati e per i macchinari utilizzati, a cominciare da un'attenta sterilizzazione, vicende come quelle a cavallo tra gli anni ’70 e ’90 in Italia non dovrebbero più ripetersi;
   per quello scandalo e per i ritardi con i quali i pazienti ottengono i risarcimenti, all'inizio del 2016 l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a risarcire i cittadini che già avevano subito il danno a causa di trasfusioni non controllate o utilizzo indiscriminato di emoderivati, immessi sul mercato senza le dovute verifiche;
   il rapporto annuale dell'Istituto di sanità 2015 vede al primo posto ancora oggi contagi durante esami invasivi o post operazioni, cure odontoiatriche e trattamenti estetici;
   ancora oggi migliaia di processi civili sono in corso per ottenere il risarcimento dal Ministero della salute per l'omessa farmaco vigilanza, mentre chi ha ottenuto giustizia spesso non viene pagato nonostante sentenze passate in giudicato;
   oltre la vicenda di Sciacca, nel 2011 tre talassemici sono stati contagiati ad Orbassano (TO) e un paziente in dialisi ha contratto l'epatite a Latina –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non intenda avviare iniziative, per quanto di competenza, al fine di accertare eventuali violazioni dei protocolli imposti dalla legge;
   quali iniziative intenda adottare affinché si vigili correttamente sul rispetto della legge 21 ottobre 2005, n. 219, e si eviti il verificarsi di situazioni analoghe.
   (5-10086)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, accogliendo la richiesta di pubblicazione dei test di sicurezza condotti dalle aziende chimiche per valutare i pericoli dei pesticidi presentata da Greenpeace e dal Pesticide Action Network (PAN) Europe ha riconosciuto, con sentenza del 23 novembre 2016, il diritto di conoscere gli effetti del rilascio di una sostanza nell'aria, nell'acqua e nel suolo;
   da oggi, come stabilito dal massimo organo di giustizia europeo, i cittadini europei potranno non solo chiedere studi, documenti o altre informazioni riguardo all'utilizzo di sostanze pericolose quali i diserbanti chimici, ma potranno contestualmente richiedere alla proprie autorità nazionali di rendere facilmente accessibile ogni dato significativo per la salute di ciascuno, trattandosi di «informazioni sulle emissioni nell'ambiente», come definito ai sensi della Convenzione di Aarhus e delle norme dell'Unione europea che hanno recepito questa convenzione;
   come è noto, fino ad oggi, cittadini, associazioni e comitati si sono visti opporre dall'industria fitosanitaria il «segreto industriale» e l'interesse commerciale alle loro richieste di dati e delucidazioni in ordine agli effetti di pesticidi segnatamente sul glifosato, con il risultato che le informazioni disponibili presso l'opinione pubblica, e tra gli operatori, sono risultate parziali e lacunose;
   tale intervento della Corte di giustizia dell'Unione europea, ad avviso degli interroganti, potrà risultare decisivo per il contrasto della commercializzazione, l'uso e la diffusione del glifosato, ovvero del pesticida più usato al mondo, il cui utilizzo è stato più volte messo in discussione, soprattutto dopo il parere dello Iarc, l'Agenzia per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, sulla sua probabile cancerogenicità;
   il primo effetto di questa vittoria sarà proprio la pubblicazione degli studi dell'Agenzia europea sulla sicurezza alimentare (Efsa) che, nel 2015, proprio riguardo al glifosato, smentiva lo Iarc. Finora, questi studi sono stati tenuti in gran parte segreti proprio perché «sensibili dal punto di vista commerciale». Da oggi, ad avviso degli interroganti, la situazione dovrebbe cambiare radicalmente;
   proprio sulla base degli studi dell'Efsa, a giugno 2016, l'Unione europea aveva deciso di prorogare per altri 18 mesi l'autorizzazione al pericoloso pesticida, con buona pace del principio di precauzione e della tutela della salute pubblica. Contro tale decisione il Movimento 5 Stelle si era opposto con tutte le forze, tuttavia senza successo;
   come è noto, il decreto dirigenziale del Ministero della salute del 16 agosto 2016 ha stabilito il ritiro dal commercio di 85 prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato, sospettata di essere cancerogena, disponendo altresì in ordine all'uso consentito (inter alia, divieto di utilizzo in parchi, giardini, campi sportivi, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, ex articolo 4 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, intendano porre in essere per garantire ai cittadini la massima trasparenza sugli effetti causati da ciascuna tipologia di pesticida, con particolare riguardo ai prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva del glifosato, alla luce della sentenza della Corte di giustizia del 23 novembre 2016;
   se i Ministri interrogati intendano effettuare, per quanto di competenza, una ricognizione sulle istanze di accesso presentate da cittadini, associazioni o comitati inerenti i test di sicurezza condotti dalle aziende chimiche richiedenti l'autorizzazione alla messa in commercio di pesticidi, con particolare riferimento ai prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato a cui gli stessi Dicasteri destinatari dell'accesso non abbiano dato risposta per motivazioni connesse al segreto commerciale o altro titolo di diniego, contestualmente illustrando le iniziative che intendono assumere per far sì che le risposte a tali richieste siano rese accessibili non soltanto ai richiedenti ma a tutti, con ogni mezzo a disposizione dei Dicasteri interessati. (5-10096)


   COLONNESE, GRILLO, DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dal dottor Valter Ricciardi, presidente dell'Istituto superiore di sanità, durante un congresso di pediatria tenutosi a Firenze nei giorni scorsi e riportato da fonti di stampa: «In Italia si è verificato un primo caso di insulto difterico, l'ho già detto pubblicamente, ma non posso dire dove»;
   la difterite è una malattia contagiosa, rara nei Paesi industrializzati, che resta endemica in altre zone del mondo. È provocata da un batterio gram-negativo, il Corynebacterium diphtheriae, che, una volta entrato nell'organismo, rilascia una tossina in grado di danneggiare o distruggere organi e tessuti. L'ultimo caso clinico in Italia risale al 1996; nel periodo 2000-2014, i casi di difterite, confermati microbiologicamente presso l'Istituto superiore della sanità, sono stati due, entrambi segnalati nel Nord Italia e causati da C. ulcerans. Il primo segnalato nel 2002 in un paziente di 14 anni, vaccinato, che presentava pseudomembrane nel faringe. Il secondo caso è stato diagnosticato a febbraio 2014 in una paziente di 70 anni non vaccinata che presentava pseudomembrane a livello rinofaringeo; nello stesso periodo sono stati segnalati anche cinque casi di infezioni dovuti a ceppi di C. diphtheriae non produttori di tossina e, tra questi, due sono stati particolarmente gravi. Quattro soggetti erano vaccinati, di uno non si conosce lo stato vaccinale;
   in Italia il vaccino singolo contro la difterite non è disponibile in commercio; esiste in diverse formulazioni, sia per bambini, sia per adulti: si può trovare in combinazione con l'antitetanica (tetano-difterite per adulti), ma non più nella formulazione pediatrica (è stata inspiegabilmente ritirata dal commercio alcuni anni fa). Formulazioni pediatriche sono: la trivalente (difterite-tetano e antipertosse acellulare DTap), la tetravalente (in aggiunta c’è la vaccinazione antipolio) o l'esavalente (difterite, tetano, pertosse acellulare, polio inattivato, haemophilus influenzae tipo b, epatite B). Non è in vendita in Italia un vaccino singolo contro la difterite, nonostante non esistano difficoltà tecniche nella sua realizzazione, e quindi chi vuole proteggersi da questa malattia è costretto a farsi iniettare l'esavalente, che contiene dei vaccini obbligatori e altri tre consigliati. Si tratta, secondo gli interroganti, di una violenza nei confronti dei cittadini e di un grande spreco a carico del servizio sanitario nazionale, determinato dall'impossibilità di scegliere i singoli vaccini cui sottoporsi; 
   gli individui che sviluppano la malattia vanno trattati immediatamente con l'antitossina e antibiotici (eritromicina o penicillina), quindi messi in isolamento per evitare che contagino altre persone. La quasi scomparsa della malattia in Europa ha indotto gli Stati a non prendere particolari precauzioni e anche per questo motivo ad oggi sono pochi gli Stati che posseggono dosi di antitossina difterica; l'antitossina difterica, DAT, rientra nella lista dei farmaci essenziali dell'Organizzazione mondiale della sanità, che dovrebbero essere disponibili in ogni momento, in quantità adeguate e in formulazioni appropriate di qualità garantita;
   nel 2015 un bambino di 6 anni è deceduto in Spagna in seguito all'indisponibilità del siero antidifterico DAT dopo che gli era stata diagnosticata difterite e tale siero era irreperibile anche in altri Stati membri della Unione europea, come risulta dall'interrogazione n. 5-06964 a prima firma dell'interrogante, ancora senza risposta –:
   quale sia il comune dove si è verificato il caso descritto in premessa e se possa fornire maggiori informazioni sulla vittima del contagio, in particolare circa sesso, età e stato vaccinale;
   se in Italia l'antitossina difterica, DAT, sia disponibile in quantità adeguate e in formulazioni appropriate di qualità garantita, onde instaurare in tempi utili una terapia efficace;
   come intenda intervenire per prevedere e garantire la possibilità della somministrazione dei quattro vaccini obbligatori (tra i quali, anche il vaccino antidfterico) in età pediatrica in formato singolo o di vaccino tetravalente, oggi non disponibili in commercio;
   quali iniziative intenda assumere al fine di evitare che, per la mancanza di vaccini in dosi singole, onde proteggersi da specifiche malattie, si sia costretti a sottoporsi necessariamente a inoculazioni di vaccini in formato esavalente, vedendo così disattesi i principi costituzionali della libertà di scelta e di autodeterminazione. (5-10101)


   BUSINAROLO, LOREFICE e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa (vedasi «Il Mattino di Padova» dell'11 novembre 2016) riportano alcune dichiarazioni rilasciate dal direttore generale della sanità veneta, Domenico Mantoan, da cui si evince una drastica riduzione di spesa per la diagnostica in Veneto concernente, nello specifico, gli screening oncologici, sulla base di una delibera della giunta regionale del maggio 2015;
   nella lotta ai tumori esistono due strategie principali: una, la cosiddetta «prevenzione primaria», consiste nel prevenirne la comparsa attraverso uno stile di vita sano (con alimentazione controllata, abolizione del fumo e praticando attività sportiva), l'altra, la cosiddetta «prevenzione secondaria», consiste nel diagnosticare la malattia in maniera preventiva ed immediata, prima che si manifesti a livello clinico;
   la situazione preoccupa sia i medici di base che quelli impegnati nelle Breast Unit, centri di senologia istituiti dalla regione nel 2013, al fine di combattere le insorgenze del tumore al seno. In base alle nuove disposizioni il medico di base non può prescrivere il cosiddetto «esame polifasico» composto dalla visita senologica, dall'ecografia mammaria e dalla mammografia bilaterale, esami che permettono di individuare la malattia con immediatezza;
   secondo il capo dipartimento dell'area servizi dell'ulss 15 Alta Padovana, Ernesto Bissoli, i tagli sarebbero legati al numero eccessivo di richieste d'esame, con un allungamento delle liste d'attesa. Lo stesso ha fatto poi riferimento al cosiddetto «cancro di intervallo»: in particolare, nella ulss dallo stesso presieduta, hanno rilevato, lo scorso anno, 5 cancri ogni 1000 mammografie, per cui da ciò si può desumere che purtroppo si abbiano 2 cancri di intervallo ogni 1000 mammografie e di questi uno è un nuovo tumore e un altro si rileva spesso essere un errore;
   il Veneto, pur vantando un modello di sanità eccellente, presenta però alcuni punti deboli, tra cui la lungaggine delle liste di attesa, per gli esami strumentali e per le visite specialistiche. I dati diventano ancora più allarmanti se si aggiungono la carenza di personale medico, infermieristico e tecnico e degli strumenti di diagnostica e quelli rilevati dal tribunale del malato, che evidenziano gravi disagi e disservizi ed una burocrazia a volte eccessiva (casi di persone anziane o disabili dirottate dai cup verso poli ospedalieri molto distanti o richiesta di utilizzare gli strumenti informatici per la prenotazione o la cancellazione nelle liste di attesa nei confronti di persone molto anziane) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda assumere, in maniera, tempestiva, anche nell'ambito del piano oncologico nazionale, per affrontare le varie criticità riscontrate in materia di prevenzione secondaria dei tumori, con particolare riferimento alla situazione venutasi a creare in Veneto. (5-10102)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la signora C. B. madre e amministratore di sostegno di S. M., persona con gravissima disabilità, già assistito in assistenza domiciliare indiretta da oltre 10 anni sta sollecitando da mesi il presidente della commissione trasparenza del IV municipio del comune di Roma per dare seguito alle reiterate richieste di accesso agli atti;
   con istanza di accesso agli atti dell'8 luglio 2016 (rep. n. 11482, prot. CE/2016/57000) la signora C.B. chiedeva all'amministrazione di cui sopra accesso ai documenti concernenti i punteggi relativi al servizio SAVI con connessi importi del budget ed eventuali deroghe, le variazioni di bilancio SAISH e SAVI degli anni 2015/2016 e tutte le comunicazioni riguardanti il signor S. M. inerenti agli anni 2013/2014/2015/2016;
   in riferimento a tale istanza, in data 26 luglio 2016 l'amministrazione consegnava, senza fornire alcuna motivazione, solo alcune note e comunicazioni senza trasmettere i documenti relativi a punteggi, importi e budget degli utenti del servizio SAVI né quelli alle variazioni di bilancio SAISH e SAVI, espressamente chiesti;
   con ulteriore istanza di accesso del 5 agosto 2016 (rep. 13038, prot. CE/2016/67075) la signora C.B. reiterava la propria precedente richiesta con riguardo ai documenti non consegnati;
   tuttavia ad oggi, a quanto consta all'interrogante, pur essendo trascorsi più di 55 giorni dalla richiesta, i documenti in questione non risulterebbero ancora essere stati trasmessi al di là del caso specifico preme all'interrogante richiamare l'attenzione sulla questione dell'accesso agli atti amministrativi da parte dei cittadini, che in numerose occasioni si vedono sostanzialmente, se non formalmente, negato un diritto riconosciuto dall'ordinamento; appare pertanto necessaria e urgente una modifica della disciplina in materia in senso più garantista –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di rivedere la disciplina concernente l'accesso agli atti amministrativi in modo tale da garantire maggiormente il diritto dei cittadini che ne abbiano titolo a prendere visione di tali atti e da favorirne l'accesso in tempi rapidi. (4-14922)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 4-09397, l'interpellanza urgente n. 2-01306 e l'interrogazione n. 4-12969, tutte a prima firma Spessotto, sottoponeva al Ministro dello sviluppo economico la vicenda dei controlli di qualità falsati all'interno di Poste italiane spa;
   in particolare, si interpellava il Ministro sullo scandalo sui controlli di qualità all'interno di Poste, vicenda che ha ricevuto, a partire dal gennaio 2014, ampio risalto mediatico e che è attualmente al centro di un'indagine penale per truffa da parte della procura di Roma, oltre che di una inchiesta, avviata dalle stesse Poste attraverso un processo di audit interno;
   nell'ambito dei compiti di vigilanza sull'attività di Poste italiane affidati al Ministro interrogato, l'interrogante chiedeva quali fossero le iniziative assunte per contrastare lo scandalo sui controlli della qualità e per verificare se Poste avesse ancora la capacità di assicurare il servizio postale universale nel rispetto degli standard di qualità previsti dal contratto di programma;
   tenuto conto che con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, sono state trasferite dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le funzioni di regolazione e vigilanza del settore postale sul rispetto degli obblighi per i fornitori dei servizi postali, tra i quali Poste italiane, la prima firmataria del presente atto chiedeva chiarimenti sul fatto che ad aprile del 2016, non fosse ancora stata trasmessa al Parlamento la relazione predisposta a norma di legge, con riferimento alle attività svolte nell'anno 2014, nonostante siano giunti a scadenza i termini previsti dall'articolo 1, comma 6, lettera c), numero 12), della legge n. 249 del 1997;
   in riferimento alle risultanze emerse nel corso dell'ultima verifica effettuata dal Ministero dello sviluppo economico, da attuarsi con cadenza quinquennale, in merito all'affidamento a Poste italiane del servizio postale universale, l'interrogante chiedeva infine se il Ministro ritenesse che il servizio postale erogato da Poste italiane, fosse ancora da considerarsi rispondente ai criteri di efficienza ed efficacia previsti dal contratto di programma;
   nella risposta all'interpellanza n. 2-01306, il Sottosegretario di Stato Giacomelli comunicava che l'attività di audit condotta da Poste, sebbene ancora in corso di svolgimento, «ha potuto al momento escludere sia il coinvolgimento delle funzioni indirizzo e coordinamento centrali, sia l'eventualità che il sistema di incentivazione manageriale possa aver concretamente indotto i comportamenti critici complessivamente evidenziati dalle verifiche»;
   per quanto di conoscenza, quindi, l'attività di verifica condotta da Poste ha riguardato in via esclusiva l'acquisizione di file digitali e/o di corrispondenza elettronica, oltre che di dotazioni informatiche aziendali, con riferimento al solo personale dipendente presso le strutture operative territoriali, senza coinvolgere i vertici aziendali;
   come noto, la vicenda sulle lettere test ha interessato un periodo temporale che va dal 2006 al 2015 ed ha coinvolto tutte le strutture operative territoriali di Poste spa per cui, considerata la vastità dello scandalo, non sembrerebbe plausibile l'ipotesi che i vertici aziendali di Poste italiane fossero all'oscuro di tutta la vicenda –:
   se l'attività di verifica interna avviata da Poste italiane in relazione allo scandalo sulle lettere test abbia riguardato esclusivamente le strutture operative territoriali, coinvolte nel processo di monitoraggio della qualità del recapito, escludendo le funzioni di indirizzo e coordinamento centrali della divisione servizi postali e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, promuovere una verifica che coinvolga anche i suddetti vertici per escludere eventuali coinvolgimenti anche ai massimi livelli manageriali;
   se il Ministro interpellato sia stato informato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e con quali modalità in merito agli esiti dell'attività ispettiva e di vigilanza «Servizio universale postale: esigenze degli utenti e possibili scenari evolutivi», avviata con delibera 364/14/CONS e i cui termini di conclusione sono ampiamente giunti a scadenza;
   se il Ministro possa fornire, per quanto di competenza, informazioni aggiornate in merito all'attività svolta sulla vicenda delle «lettere test» utilizzate per il monitoraggio della qualità del servizio postale universale da parte della società IZI – incaricata di misurare i livelli di qualità di Poste italiane – considerato che nella relazione annuale del 2016 non viene chiarito se vi siano state delle alterazioni del livello di qualità addebitabili a Poste italiane spa;
   se il Ministro possa fornire informazioni aggiornate, in merito all'ultima verifica effettuata dal Ministero dello sviluppo economico, da attuarsi con cadenza quinquennale, relativamente alla rispondenza ai criteri di efficienza e di efficacia previsti dal contratto di programma del servizio postale universale erogato da Poste;
   se il Ministro sia al corrente che l'attività di audit di Poste italiane è stata avviata solo a giugno 2015 a seguito della presentazione da parte di un ex dipendente di Poste di un esposto presso la procura di Roma contro l'azienda Poste italiane, nonostante fin dal gennaio del 2014 siano stati presentati numerosi atti parlamentari – oltre alla pubblicazione di articoli di stampa – sulla vicenda delle «lettere test».
(2-01556) «Spessotto, Nicola Bianchi, Carinelli».

Interrogazione a risposta orale:


   GIAMMANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   attraverso l'agenzia Invitalia lo Stato ha corrisposto alla società Blutec, azienda specializzata nella produzione della componentistica per le auto, 75 milioni di euro;
   l'intesa, portata a termine dagli amministratori delegati di invitalia e di Blutec rispettivamente Domenico Arcuri e Cosimo Di Cursi, prevedeva che entro i primi mesi del 2016 Blutec assumesse almeno 250 operai ex Fiat e che entro il 2017 ne assumesse altri 150. Ad oggi sono stati assorbiti soltanto 90 dipendenti (tra cui vari custodi, metronotte e giardinieri, personale dunque estraneo al mondo della catena di montaggio);
   la stessa Blutec fa sapere, dopo lo sblocco di una tranche di circa 22 milioni di euro da Invitalia, che spera addirittura di poter assumere entro agosto 2017 massimo 120 ex tute blu;
   quindi si passa dall'iniziale promessa di ricollocamento di 400 addetti ai lavori entro la fine del 2017 a un ben più scarno numero: a stento 200 unità o poco più entro la fine dell'anno prossimo;
   il 4 ottobre 2016 si è svolto anche un incontro tra il viceministro Bellanova e rappresentanti di Blutec, di Invitalia, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali della regione siciliana e del mondo sindacale che hanno affrontato proprio la questione del ritardo in atto circa il riassorbimento degli ex metalmeccanici di Termini Imerese;
   come emerge dallo stesso verbale, presente sul sito web del Ministero dello sviluppo economico, le unità assunte entro marzo 2017 saranno 30 al massimo e quelle entro agosto 2017, nella migliore delle ipotesi 130;
   verrebbe quindi meno l'impegno assunto inizialmente dalla Blutec di riassumere 400 operai entro la fine del 2017 e ribadito dall'onorevole Serracchiani, vicesegretario del PD, e il Sottosegretario Faraone, che in occasione della campagna referendaria del 4 dicembre, in un comizio a Termini Imerese giorno 20 novembre 2016 hanno a giudizio degli interroganti letteralmente «venduto» come un successo il risultato Blutec-invitalia, gettando «fumo negli occhi» delle famiglie e dei lavoratori coinvolti –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di favorire, al più presto, il pieno riassorbimento, da parte di Blutec, delle unità lavorative ex Fiat (in toto 400 addetti), anche attraverso la costituzione di un tavolo istituzionale presso il Ministero che ricomprenda anche le parti sociali. (3-02652)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA, VALLASCAS, CANCELLERI, DA VILLA, DELLA VALLE e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo il testo proposto dalla X Commissione del Senato per l'Atto Senato 2085-A «legge annuale sulla concorrenza e la concorrenza» a decorrere dal 1o luglio 2018, il terzo periodo del comma 2 dell'articolo 22 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e successive modificazioni, è soppresso; 
   ciò comporterà secondo gli interroganti la cessazione del regime di maggior tutela, il servizio di fornitura di elettricità a condizioni economiche e contrattuali stabilite dall'Autorità per l'energia, ad oggi ancora la più diffusa tra i clienti domestici e le imprese con meno di 50 addetti ed un fatturato annuo non superiore a 10 milioni di euro alimentata in bassa tensione;
   la proposta di legge prevede una serie di condizioni che dovranno essere soddisfatte per rendere effettiva tale abolizione ma non un vincolo rispetto all'esistenza di comportamenti collusivi tra imprese o di un eccesso di concentrazione su un singolo operatore;
   il rapporto dell'Autorità sugli esiti del monitoraggio retail riporta che «nel 2013 quasi il 60 per cento dei clienti domestici che escono dal servizio di maggior tutela sceglie il fornitore collegato al distributore come fornitore alle condizioni di mercato libero» e «questo confermerebbe l'esistenza di un vantaggio per i fornitori preesistenti nell'acquisizione dei clienti da fornire alle condizioni di mercato libero» con numeri analoghi per il servizio di salvaguardia;
   questo dato sembrerebbe confermato dalla recente pubblicazione del report sui dati operativi del gruppo Enel dei primi nove mesi 2016, dove si riportano per il retail regolato 0,8 milioni di clienti nel 2015 e 19,8 nel 2016 contro 6,2 e 6,9 milioni nel mercato libero; circa il 70 per cento di chi è uscito dal mercato vincolato sembra essere rimasto legato allo stesso operatore;
   in assenza di interventi, anche considerando la recente iniziativa della «Tutela simile», Enel arriverebbe a una quota di mercato liberalizzato intorno al 70 per cento del totale dei domestici;
   tale situazione non appare agli interroganti in linea con le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99 –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per favorire la concorrenza nel mercato dell'energia elettrica a vantaggio dei consumatori finali. (5-10103)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la J.P. lndustries di Giovanni Porcarelli è l'azienda che ha acquisito la ex Merloni, avviando la procedura di mobilità per gran parte dei lavoratori coinvolti;
   la situazione dell'area tra Marche ed Umbria interessata dalla crisi della Antonio Merloni spa, individuata dall'accordo di programma sottoscritto a marzo 2010 tra le regioni e il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2, della legge n. 99 del 2009, desta forti preoccupazioni tra lavoratori e sindacati;
   la vertenza ex Merloni si colloca, infatti, per numero di addetti diretti e indiretti, fra le crisi industriali più rilevanti del Paese; per i lavoratori interessati, si configura una situazione di duplice difficoltà, tuttora irrisolta; infatti 350 lavoratori sono tuttora senza reddito e hanno esaurito il beneficio degli ammortizzatori sociali (150 ad ottobre 2015 e 200 il 12 ottobre 2016); sono 350 invece i lavoratori riassorbiti sul versante umbro dalla J.P. lndustries ed altrettanti gli addetti sul versante marchigiano, ma una serie di contenzioni ha impedito di fatto agli assunti di lavorare, tanto che ad oggi sono in regime di ammortizzatori sociali;
   è sempre più necessario l'intervento del Governo che si realizzi attraverso un doppio versante; i lavoratori ormai licenziati, e senza alcun sostegno al reddito vivono una situazione drammatica; occorrono pertanto misure che dettino tempi e risorse certe per la riconversione industriale del territorio e diano al contempo strumenti snelli che consentano alle imprese che vogliano investire di poterlo fare; l'accordo di programma siglato nel 2010 non ha prodotto investimenti, né nuova occupazione;
   sull'altro versante, è tuttora in fase di stallo il contenzioso tra gli istituti di credito e la J.P. di Giovanni Porcarelli che rischia di mettere a repentaglio il possibile futuro industriale; in tale contesto, è necessaria un'azione puntuale nei confronti delle banche e dei vertici aziendali che non hanno ancora reso noto il piano industriale;
   gli amministratori dei territori coinvolti registrano le forti difficoltà economiche e sociali in cui versano le famiglie interessate, come già segnalato dagli stessi sindaci del territorio nella lettera del 15 novembre 2016 inviata al Ministero dello sviluppo economico alla quale non è stato ancora dato un riscontro –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato e se non ritenga necessario convocare, con urgenza, un tavolo istituzionale presso il Ministero dello sviluppo economico, che doveva in effetti essere già stato istituito, aperto agli amministratori e alle associazioni sindacali dei territori umbri e marchigiani coinvolti. (4-14920)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuta la conferenza dei servizi relativa all'ampliamento del deposito costiero di prodotti petroliferi sito a Chioggia – loc. Val di Rio, gestito dalla Società Costa Bioenergie S.r.L.;
   in merito all'ampliamento dello stabilimento, che si trova a poche centinaia di metri dal centro abitato, si ricorda, in via preliminare, che con il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», agli articoli 57 e 57-bis, sono state individuate le infrastrutture e gli insediamenti strategici per i quali, fatte salve le normative in materia ambientale, le autorizzazioni previste all'articolo 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n. 239, sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per gli impianti definiti costieri, d'intesa con le regioni interessate;
   la società Costa Bioenergie s.r.l., subentrata nella titolarità dell'autorizzazione per l'installazione di un deposito costiero di gasolio ed oli lubrificanti destinati al servizio di bunkeraggio per la flotta peschereccia ed il naviglio locale della capacità di 1.350 metri cubi, da realizzarsi su terreno privato ricadente in area portuale del comune di Chioggia, già rilasciata alla società Costa Petroli con il decreto ministeriale n. 17369 del 21 maggio 2013, con istanza in data 8 aprile 2014 ha chiesto di essere autorizzata a modificare il deposito portando la capacità complessiva a 10.350 metri cubi di oli minerali mediante l'installazione di n. 3 serbatoi tumulati da 3.000 metri cubi ciascuno per Gpl;
   le quantità di sostanze pericolose trattate in tale stabilimento sono davvero notevoli, per questo è stato classificato come stabilimento soggetto agli adempimenti di cui agli articoli 6, 7 ed 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999 (la cosiddetta normativa «Seveso», le cui finalità sono quelle di fissare azioni, misure e controlli per prevenire i cosiddetti «incidenti rilevanti» e ridurne gli eventuali effetti in modo tale da limitarne gli impatti);
   con riferimento alla pericolosità potenziale dell'impianto, proprio in questi giorni, su diversi articoli della stampa locale, viene espressa tutta la preoccupazione della collettività che, attraverso manifestazioni e comitati, intende tutelare la salute e l'ambiente;
   la conferenza di cui sopra si conclude, comunque, positivamente e viene concessa l'autorizzazione all'ampliamento del deposito costiero: tuttavia, avverso il decreto interministeriale n. 17407 del 16 maggio 2015, che ha autorizzato la società Costa Bioenergie all'aumento della capacità di stoccaggio, il comune di Chioggia ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, datato 15 gennaio 2016, per ottenere l'annullamento del provvedimento, in relazione al quale il Consiglio di Stato ha espresso il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto la materia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo –:
   se il Ministro interrogato, alla luce anche dell'ultimo ricorso presentato dal comune di Chioggia, non intenda verificare la legittimità di tutto l’iter autorizzativo dell'impianto di stoccaggio di Gpl in Val Da Rio, al fine di verificare innanzitutto, vista l'estrema vicinanza con il centro abitato, se esso non pregiudichi effettivamente la sicurezza pubblica per tutto l'abitato di Chioggia. (4-14935)


   CAPARINI, ALLASIA, GUIDESI, INVERNIZZI, GRIMOLDI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con la delibera n. 465/15/CONS, ha suddiviso il territorio nazionale in 39 bacini di servizio, costituiti da aggregazioni di province, per la radiodiffusione sonora in tecnica digitale con standard DAB+;
   ad oggi sono stati già pianificati 16 di tali 39 bacini e sono stati assegnati i diritti di uso delle frequenze in 8 bacini tra i 16 pianificati;
   in particolare, sono stati pianificati i seguenti bacini (per ogni bacino pianificato vengono indicati il relativo numero e le province che lo compongono):1) Torino-Cuneo; 4) Aosta; 8) Trento; 9) Bolzano; 20) Firenze, Arezzo, Pistoia, Prato, Siena; 22) Roma, Frosinone, Latina, Rieti; 23) Perugia, Terni; 25) L'Aquila; 28) Avellino, Benevento; 29) Napoli, Caserta; 30) Salerno; 33) Potenza, Matera; 34) Catanzaro, Cosenza, Crotone; 35) Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catania, Messina, Siracusa; 37) Palermo, Trapani; 39) Cagliari, Carbonia-Iglesias, Nuoro, Ogliastra;
   la Direzione generale servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali del Ministero dello sviluppo economico ha già assegnato i diritti di uso delle frequenze a operatori di rete realizzati da società consortili costituite secondo le previsioni della delibera Agcom n. 664/09/CONS (Regolamento per il digitale radiofonico) nei sopracitati bacini numeri 1, 4, 8, 9, 20, 23, 25 e 39;
   devono essere ancora assegnati i diritti di uso delle frequenze nei sopracitati bacini, numeri 2, 28, 29, 30, 33, 34, 35 e 37; devono, inoltre, essere ancora pianificati gli altri 23 bacini definiti dall'Agcom (dopo la pianificazione, la Direzione generale servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali dovrà, inoltre, assegnare i diritti di uso delle frequenze anche in tali 23 bacini);
   gli operatori di rete nazionali (Rai e società consortili costituite da reti radiofoniche nazionali private) stanno operando in virtù di autorizzazioni sperimentali in ampie zone del territorio nazionale e il mercato dei ricevitori sta cominciando a svilupparsi (molte case automobilistiche stanno installando sulle vetture autoradio dotate, tra l'altro, della funzionalità di ricezione DAB+);
   allo stato attuale, l'avvio del digitale radiofonico DAB+, per l'emittenza locale, nelle aree del Paese diverse dai sopracitati bacini 1, 4, 8, 9, 20, 22, 23, 25, 28, 29, 30, 33, 34, 35, 37 e 39, a quanto consta agli interroganti, non risulta tecnicamente possibile, per mancanza di risorse frequenziali pianificabili;
   per risolvere la problematica, evitando che il digitale radiofonico si sviluppi senza la partecipazione dell'emittenza locale in tutto il territorio nazionale, è assolutamente indispensabile che vengano attribuite nuove risorse frequenziali al DAB+ come il canale 13 VHF, attualmente attribuito al Ministero della difesa, ma che non risulterebbe, a quanto consta agli interroganti, utilizzato;
   in particolare, è necessario che il Ministero dello sviluppo economico aggiorni il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze ai sensi dell'articolo 42, comma 4 del decreto legislativo n. 177 del 2005 e successive modificazioni (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), destinando i 6 blocchi di frequenze del canale 13 VHF alla radiodiffusione sonora digitale DAB+;
   è, inoltre, necessario che l'Agcom pianifichi i 23 bacini residui, destinando all'emittenza locale una adeguata quantità di risorse frequenziali;
   è altresì necessario che la Direzione generale servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali del Ministero dello sviluppo economico proceda all'assegnazione dei diritti di uso delle frequenze per le trasmissioni digitali radiofoniche DAB+ nei sopracitati bacini numero 22, 28, 29, 30, 33, 34, 35 e 37 –:
   come intenda procedere, per quanto di competenza, per trovare una soluzione a quanto sopra evidenziato e per garantire conseguentemente un equilibrato avvio delle trasmissioni radiofoniche digitali terrestri DAB+ sull'intero territorio nazionale. (4-14939)


   NACCARATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   Etra è una società per azioni a capitale pubblico, formata da 75 comuni veneti, che si occupa dei servizi di igiene ambientale e idrici;
   Etra è governata da un consiglio di sorveglianza e da un consiglio di gestione;
   la gestione della società è oggetto di inchieste della magistratura penale e contabile;
   sono contestati affidamenti di servizi in contrasto con le normative sulla concorrenza e il ricorso artificioso alla proroga dei contratti;
   si evidenzia che il 31 dicembre 2015 è scaduto il servizio di raccolta e trasporto rifiuti in vari comuni;
   il consiglio di gestione ha deliberato il 20 luglio 2015 di approvare la gara per l'affidamento del servizio in scadenza per un importo di 42 milioni di euro, prevedendo il criterio di aggiudicazione del massimo ribasso con obbligo di motivazione e disponendo che i bandi fossero pubblicati entro un termine tale da consentire il completamento degli affidamenti contrattuali entro il 31 dicembre 2015;
   il consiglio di sorveglianza il 5 ottobre 2015 ha modificato il criterio di aggiudicazione, preferendo l'offerta economicamente più vantaggiosa con clausole sociali per l'inserimento di persone svantaggiate;
   il bando è stato pubblicato il primo luglio 2016 in linea con le decisioni del consiglio di sorveglianza;
   il 29 luglio il direttore generale di Etra ha revocato in autotutela il bando e il servizio è stato prorogato;
   la proroga appare all'interrogante immotivata perché i ritardi nella predisposizione e nella revoca del bando hanno consentito alle aziende che stanno gestendo il servizio di proseguire l'attività senza gara;
   a metà novembre 2016 le autorità giudiziarie hanno acquisito documenti presso la società rendendo note le inchieste in corso;
   nonostante ciò, il 17 novembre è stato pubblicato il bando per il servizio descritto, nel frattempo, aumentato a più di 64 milioni di euro;
   il consiglio di sorveglianza, composto per la stragrande maggioranza da sindaci assessori di comuni soci di Etra è intervenuto nella redazione del bando per l'affidamento del servizio, ad avviso dell'interrogante in contrasto con le norme sugli appalti che vietano un ruolo diretto degli amministratori con cariche elettive;
   inoltre, Etra, mediante altre società, partecipa in alcuni comuni soci alla gestione di servizi di rilevanza economica che sono sottratti alla concorrenza e al mercato;
   è il caso di Asi, di proprietà per il 40 per cento di Etra e per il 60 per cento dei comuni della zona di Camposampiero, che si occupa di contabilità, sanzioni al codice della strade, sistemi informatici e che ha totalizzato un passivo di 185 mila euro;
   sarebbe opportuno che l'Anac esamini prontamente le proroghe e i bandi di gara in cui in premessa, al fine di verificarne la regolarità –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti descritti;
   se e in che modo il Governo nell'ambito delle proprie competenze, intenda intervenire per rendere più stringenti le norme sugli appalti di servizi pubblici e sulla concorrenza; in modo da evitare il ripetersi di casi come quello riportato in premessa. (4-14944)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Massimiliano Bernini e altri n. 1-00744, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cristian Iannuzzi, Busto.

  La mozione Tartaglione e altri n. 1-01296, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Capone, Paola Bragantini, Casati, Miotto, Sbrollini.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dambruoso.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Realacci e altri n. 7-01147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pastorelli, Zaratti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zoggia e altri n. 5-07236, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lattuca.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Grillo e altri n. 5-09533, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cozzolino.

Pubblicazione di testi ulteriormente riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Massimiliano Bernini n. 1-00744, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 382 del 26 febbraio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità infantile è un problema di notevole rilevanza sociale che in Italia colpisce un bambino su quattro ed è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo causato dall'ingestione di più calorie di quante se ne consumino;
    secondo i dati dell'Istituto superiore della sanità, l'Italia detiene il triste primato europeo del numero di bambini sovrappeso o obesi e secondo il recente rapporto dell'osservatorio del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'Università Milano Bicocca, un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso. In Italia la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica supera di circa 3 punti percentuali la media europea, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti;
    la definizione di sovrappeso e di obesità infantile è più complessa rispetto all'adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al bmi (body mass index o indice di massa corporea) che è uguale al peso in chilogrammi diviso l'altezza in metri elevata al quadrato (Confalone, 2002);
    pur avendo basso errore di osservazione, basso errore di misurazione, buona affidabilità e validità, il body mass index non può essere una misura sensibile dell'obesità in persone molto alte e basse ed in persone che hanno insolite composizioni di massa magra e massa grassa (Sardina, 1999);
    un comitato competente, convenuto nell’International obesity task force nel 1999, ha determinato che, sebbene il body mass index non fosse una misura ideale, era comunque il più valido tra tutte le formule che calcolano l'adiposità in un individuo e perciò poteva essere usato per definire il sovrappeso e l'obesità in bambini ed adolescenti (Bellizzi, 1999);
    in base a queste conclusioni, l'Organizzazione mondiale della sanità, per definire sovrappeso ed obeso un bambino, utilizza i «punti» di body mass index realizzati da uno studio di Cole nel 2000 e sviluppati usando diversi dati mondiali, che rappresentano, perciò, una referenza internazionale che può essere usata per comparare le diverse popolazioni mondiali;
    il Ministero della salute definisce obeso un bambino il cui peso supera del 20 per cento quello ideale e in sovrappeso se lo supera del 10-20 per cento; in alternativa, lo definisce tale quando il suo body mass index è maggiore del previsto;
    la crescita ponderale del bambino viene calcolata facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età (Confalone, 2002) e che, secondo recenti studi effettuati nel 2000 dal Nchs (Centro nazionale di statistiche per la salute statunitense), la crescita è nella norma se si pone intorno al 50o percentile, mentre, coll'allontanamento dal valore medio, aumenta il rischio di obesità: tra 1'85o al 95o percentile il bambino viene definito sovrappeso, mentre dal 95o percentile viene definito obeso (Kuczmarski, 2000);
    diversi ed autorevoli esponenti del mondo scientifico, come il professor Franco Berrino, già direttore di dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell'Istituto nazionale dei minori di Milano e direttore scientifico del mensile Vita&Salute, dichiarano che: «Gli alimenti ad alta densità calorica sono quelli che contengono molto grasso e zucchero. Questi alimenti, come merendine, biscotti da colazione, fiocchi di cereali zuccherati, e così anche le bevande zuccherate, fanno ingrassare e alterano il nostro ambiente endocrino facendo aumentare l'insulina. Queste alterazioni alla lunga fanno aumentare il rischio di ammalarsi di tumore e di varie altre malattie croniche che affliggono le popolazioni ricche»;
    l'obesità infantile preoccupa in quanto i bambini obesi hanno maggiori possibilità di divenire adulti obesi e, di conseguenza, di avere un maggior rischio di sviluppare una serie di condizioni patologiche, quali i tumori (in particolare al seno, al corpo dell'utero e al colon-retto), diverse patologie croniche come le malattie cardiovascolari (ischemie, l'ictus), l'ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, problemi muscolo-scheletrici e respiratori;
    oltre a quanto riportato nel capoverso precedente, i bambini obesi sperimentano peggiori condizioni di salute mentale e fisica; infatti, sono comuni tra loro i problemi respiratori, l'ipertensione, la resistenza all'insulina e problemi osteo-articolari;
    l'obesità comporta elevati costi per la società: costi diretti, costituiti dalle risorse spese per la diagnosi ed il trattamento dell'obesità in se stessa e delle patologie ad esso correlate, e costi indiretti, dovuti alla perdita di produttività causata dalle maggiori assenze dal lavoro delle persone obese e dalla loro morte prematura (Organizzazione mondiale della sanità 2000; Yach et al. 2006; Hu 2008);
    secondo le ultime stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, circa il 7 per cento del budget sanitario dei Paesi europei viene speso per malattie legate all'obesità (EU action plan on childhood obesity 2014-2020);
    fino a due o trecento anni fa lo zucchero non faceva parte dell'alimentazione abituale dell'uomo, bensì faceva parte delle preziose spezie importate dall'oriente, dove cresceva la canna da zucchero che i mercanti veneziani vendevano a caro prezzo, soprattutto per scopi medici, o appannaggio solo delle classi più abbienti;
    ci furono tentativi di coltivare la canna da zucchero anche in Europa, in particolare in Sicilia e a Madeira, ma non ebbero successo mentre la canna cresceva bene nelle terre del nuovo mondo e subito si prospettarono grandi potenzialità commerciali, a spese però delle popolazioni indigene soggiogate per la sua coltivazione o importando schiavi dall'Africa;
    solo in epoca napoleonica, grazie alla coltivazione della barbabietola da zucchero, coltivabile alle nostre latitudini, si svilupparono gli zuccherifici in Europa, comportando la progressiva diminuzione dei prezzi dello zucchero che divenne alimento di tutti e di tutti i giorni, ma che fu la nemesi della schiavitù nei confronti dello stesso;
    negli anni ’50, grazie alle «bevande di fantasia» e agli altri beni di consumo provenienti dagli Usa, lo zucchero divenne simbolo di modernità e di emancipazione, conquistando l'immaginario giovanile e parte delle loro abitudini alimentari;
    le bevande zuccherate prima di allora venivano consumate saltuariamente (la gassosa che gli operai mescolavano al vino o alla birra, l'aranciata consumata solamente in occasione delle feste o delle vacanze), ma è stato dopo l'avvento della Coca-Cola e dei suoi distributori automatici che venne segnato il passaggio da un consumo eccezionale al consumo quotidiano e di massa;
    oggigiorno è acclarato come il consumo incontrollato delle «bevande di fantasia zuccherate» sia una delle cause principali dell'obesità infantile e dell'età adulta, mentre fino a pochi decenni fa il mondo scientifico ancora dibatteva per la mancanza di prove scientifiche decisive, visto che i grandi studi che indagavano sul consumo alimentare, intervistando un campione della popolazione, riscontravano generalmente che le persone sovrappeso mangiassero meno zucchero delle magre, dimentichi del fatto che questi soggetti tendano a rispondere ai questionari alimentari dichiarando quello che dovrebbero mangiare, piuttosto di quello che mangiano effettivamente;
    solo grazie ad uno studio pubblicato nel 2001 venne dimostrato che la prima causa di obesità dei bambini americani è il consumo abituale di bevande gassate e zuccherate, mentre altri studi confermarono le osservazioni anche negli adulti ed evidenziarono inoltre come causa importante di obesità è la frequentazione dei fast-food;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha diffuso la raccomandazione di contenere il consumo di zucchero entro il 10 per cento delle calorie totali (circa 50 grammi di zucchero al giorno per un uomo che consumi 2.0002.500 calorie), mentre i nuovi larn (le raccomandazioni italiane) raccomandano di contenere il consumo di zuccheri semplici, siano essi naturalmente presenti negli alimenti, come in frutta, latte, siano essi aggiunti, nell'ambito del 15 per cento del fabbisogno, specificando, però, che un consumo «potenzialmente legato a eventi avversi» riguarda valori superiori al 25 per cento del fabbisogno;
    da agenzie stampa di aprile 2014, la stessa Organizzazione mondiale della sanità, presso la conferenza Onu di Ginevra, ha rivisto al ribasso la percentuale di consumo di zucchero dal 10 per cento al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente, a seguito di una consultazione popolare promossa «in rete», e tale raccomandazione non esonera le aziende produttrici di alimenti, che sarebbero costrette così a commercializzare prodotti privati di una buona parte della sostanza gradevole per il palato;
    le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità sono state fortemente osteggiate dalle grandi corporation alimentari, insinuando che fossero addotte senza prove scientifiche e che lo stesso Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, nel corso della presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea recentemente trascorsa e prima della sua partecipazione alla seconda conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao, dall'Organizzazione mondiale della sanità e con la partecipazione di 190 Paesi, dichiarava: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie. Poi però viene ammessa l'invasione di biscotti, barrette e cose simili con aspartame (un edulcorante artificiale)»;
    il 4 novembre 2014 presso Palazzo Chigi diversi produttori del settore alimentare hanno incontrato il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ed il Ministro Lorenzin; durante tale riunione si è discusso anche di zucchero ed è stato affermato che «è un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell'obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore» e tra queste ultime l'educazione alimentare a partire dalla scuola, alla scelta corretta dei cibi (freschi anziché confezionati), alla promozione dell'attività fisica, al sostegno della dieta mediterranea;
    i limiti proposti dall'Organizzazione mondiale della sanità corrispondono a 10-12 cucchiaini al giorno di zucchero successivamente ridotto ad un massimo di 5-6, il che comporta il superamento di tali valori anche a seguito del consumo di pochi millilitri di bevande di fantasia al giorno;
    il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro dichiara che «limitare il consumo di cibi ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate» è la prima raccomandazione alimentare a cui è giunto il comitato di esperti dopo aver esaminato tutti gli studi scientifici su dieta e cancro;
    lo zucchero è presente in molti alimenti di consumo dove normalmente il consumatore generico non penserebbe di trovarlo, ad esempio in diversi prodotti in scatola, nei sughi pronti, nella maionese, nelle fette biscottate, nel pane, nello yogurt, nei succhi di frutta, e altro e probabilmente è utilizzato come edulcorante per camuffare il gusto di alimenti di qualità scadente che altrimenti sarebbero sgradevoli;
    è acclarato che una riduzione degli zuccheri significherebbe, quindi, non solo migliorare la nostra salute, ma anche contribuire indirettamente ad offrire alimenti di maggior qualità, con particolare riguardo ai più giovani verso un futuro più sano quando saranno adulti e di ridurre significativamente la spesa sanitaria legata ai fenomeni dell'obesità;
    diverse grandi aziende stanno sostituendo lo zucchero con gli edulcoranti, sostanze chimiche che possiedono un alto potere dolcificante e le molecole che li compongono non appartengono alla famiglia degli zuccheri. A causa del loro potere altamente dolcificante vengono anche designati con l'aggettivo di intensi, in quanto possiedono un potere edulcorante molto più pronunciato rispetto a quello dello zucchero;
    come riportato dagli organi di stampa, in Inghilterra il Public health England, ramo del Ministero della salute britannico, ha lanciato una nuova campagna per il cambiamento delle abitudini alimentari dei bambini in merito al consumo di zucchero, seguendo alcuni semplici consigli e coinvolgendo i genitori ad aiutare i propri figli a dimezzare l'apporto quotidiano di zuccheri semplici;
    dall'iniziativa «Change4Life», a seguito di un sondaggio on line condotto da Netmums (un portale di genitori), emerge che circa la metà (il 47 per cento) delle mamme intervistate si è detta preoccupata per gli zuccheri assunti dai figli, e un numero superiore (il 67 per cento) ha affermato che siano comunque troppi e che dalle risposte di quasi 700 madri di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni è risultato che i due terzi di esse non sanno quante sono le calorie medie consigliate ogni giorno e ignorano la differenza delle necessità caloriche tra maschi e femmine;
    è la mancanza della consapevolezza di cui al capoverso precedente che determina i valori antropometrici dei bambini che sono sotto gli occhi di tutti: secondo le ultime statistiche un bambino su cinque tra 1 e 5 anni e uno su 3 tra i 10 e gli 11 anni è in sovrappeso od obeso; inoltre, tra i 5 e i 9 anni la prima causa di visita in pronto soccorso è per il dolore associato a una carie; 28 per cento dei bambini di cinque anni ha una carie e, di questi, uno su quattro ne ha più di cinque;
    un report statunitense, ove l'obesità è un problema molto serio, evidenzia che le calorie assunte tramite bevande ammontano a circa il 19 per cento delle calorie totali giornaliere, vale a dire circa 400-600 calorie al giorno in una dieta rispettivamente di 2.000 e 3.000 calorie, di queste una fonte importante è rappresentata dalle bevande zuccherate di fantasia (circa 150 calorie die o più a seconda degli studi pubblicati), mentre una parte minore è rappresentato dal latte o bevande a base di latte e succhi di frutta al 100 per cento;
    secondo le raccomandazioni più diffuse, peraltro giudicate troppo permissive, i bambini dovrebbero assumere circa il 10 per cento delle calorie dagli zuccheri, ma tra i 4 e i 10 anni i piccoli britannici ricavano da dolciumi e bibite più del 50 per cento, in media così suddivise: 17 per cento, da bevande dolci, 17 per cento da dolci, biscotti, merendine e torte alla frutta, 14 per cento da caramelle, 13 per cento da succhi di frutta, 8 per cento da cereali da colazione;
    il progetto «Change4Life», volto a modificare le abitudini, è basato su semplici consigli che ogni genitore può fare propri, tra i quali: sostituire i cereali per la colazione zuccherati con quelli privi di zuccheri aggiunti, meglio se integrali; sostituire le bevande zuccherate con acqua, latte scremato, bibite prive di zuccheri; sostituire le merendine industriali con torte fatte in casa, frutta, verdure crude o frutta secca; sostituire il gelato con yogurt o frutta;
    gli unici zuccheri semplici desiderabili sono quelli contenuti nella frutta o in altri prodotti naturali, mentre gli zuccheri complessi o carboidrati, come l'amido di pasta, riso, pane, legumi e altro, devono essere presenti in abbondanza nella dieta sino a coprire una quota del 55/75 per cento (di cui zuccheri semplici meno del 10 per cento) delle calorie giornaliere;
    la sponsorizzazione della campagna di cui al capoverso precedente (lanciata il 5 gennaio 2015) pone la questione che le aziende coinvolte sono le stesse che dovrebbero rinunciare a una parte del profitto in seguito al calo di vendite, tra queste: Asda, Tesco, Co-op, Aldi, Coca-Cola (Diet Coke e Coke Zero), Morrisons, mySupermarket e Lead Association for catering in education (Laca);
    è opinione dei firmatari del presente atto di indirizzo che le campagne di promozione di una corretta alimentazione siano credibili ed efficaci solo se promosse dall'autorità sanitaria pubblica, quindi finanziata con denaro al di sopra di ogni sospetto;
    rimane comunque il concetto che l'approccio educazionale, secondo molti esperti, è fondamentale per ottenere risultati concreti e duraturi perché solo la consapevolezza può spingere i consumatori a fare scelte razionali ogni giorno, respingendo l'assalto del marketing della malnutrizione;
    diversi studi e ricerche di settore hanno evidenziato come molti produttori preparino i loro alimenti/bevande al pari di veri e propri irresistibili cocktail, che ossia abbiano quel mix ideale di componenti per raggiungere il «bliss point» (il punto di massima «beatitudine» o piacere) e che vengano consumati in grande quantità, in particolare dai ragazzi, visto che è dimostrato come lo zucchero sia in grado di stimolare le stesse aree del cervello che sono stimolate dalla cocaina;
    gli alimenti altamente processati dell'industria alimentare sono progettati per ingannare i meccanismi biologici che stanno alla base della nostra fame/sazietà e sono quindi parte integrante dell'ambiente «obesogeno», che ha causato l'esplosione dell'obesità nel mondo;
    molti alimenti indirizzati dal mercato alla colazione o merenda dei ragazzi sono spesso accompagnati da «regalini», «sorpresine» e, più in generale, da una serie di gadget che non hanno nulla a che vedere con la qualità dell'alimento, ma che di fatto finiscono per condizionare molto le scelte dei ragazzi e delle famiglie, mentre non è altrettanto facile accostare la frutta ed alimenti affini a gadgetistica, sfavorendo l'alimento di qualità rispetto a quello meno indicato per una sana alimentazione;
    i grassi saturi, oltre allo zucchero, risultano essere tra i maggiori indiziati dell'obesità infantile. Tra di essi, l'olio di palma, la cui composizione risulta essere, per percentuale di grassi saturi contenuti, simile a quella del burro e del lardo. Al contrario, infatti, di altri oli vegetali (olio d'oliva, olio di semi), quelli tropicali contengono un'elevata percentuale di acidi grassi saturi (92 per cento nell'olio di cocco, 82 per cento nell'olio di palmisto e 49 per cento in quello di palma), prerogativa che conferisce all'olio consistenza solida o semi-solida a temperatura ambiente, ma che solleva non pochi dubbi sui rischi per la salute umana legati alla sua assunzione;
    è risaputo che gli acidi grassi trans (TFA), insieme a quelli saturi, rappresentano un fattore di rischio per la popolazione, soprattutto infantile. Gli acidi grassi trans sono grassi insaturi presenti negli alimenti ottenuti da ruminanti e negli oli vegetali parzialmente idrogenati utilizzati nei biscotti, nelle torte, nei popcorn, nei cracker, nelle margarine e in molti altri prodotti da supermercato. Tutti cibi, insomma, che vengono mangiati principalmente dai bambini. Il loro consumo è stato associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. L'elevata assunzione di TFA rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di cardiopatie coronariche che, secondo le stime della Commissione europea, causano ogni anno circa 660.000 decessi nell'Unione europea, ossia circa il 14 per cento della mortalità complessiva;
    l'olio di palma sembrerebbe inoltre collegato, da diversi studi scientifici, a molteplici fattori di rischio sanitario: uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità ( Diet Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases (Report), World Health Organization, 2003, p. 82,88, retrieved 13 febbraio 2013), dimostra come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l'acido miristico e l'acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari; uno studio del Center for Science in the Public Interest (CSPI) (Palm oil threathening endangered species (PDF), Center for Science in the Public Interest, maggio 2005. Vessby, B. 1994. INFORM 5(2): pages 182-185.) conferma il fatto che l'olio di palma aumenti i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l'acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie; recenti studi (http://link.springer.com/article/10.1023/A:1008089715153), che dimostrano che l'acido palmitico infiamma le membrane cellulari, induce l'aterosclerosi e ha un ruolo chiave nella produzione di un fattore necrotico che è all'origine di tumori; uno studio dell'American Heart Association che consiglia di limitarne l'uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo. Molto importate, infine, il recentissimo studio dell'EFSA (https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/160503a) in cui viene denunciato come nell'olio di palma siano contenute tre sostanze tossiche: glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e relativi esteri degli acidi grassi, una delle quali genotossica e cancerogena, il glicidiolo (GE), formatesi durante la raffinazione degli oli vegetali;
    i bambini italiani, con il loro alto consumo di carni (soprattutto lavorate) e dunque di grassi saturi, alimenti di origine industriale e dolciumi, risultano ai primi posti in Europa per obesità, con il 20,9 per cento di bambini in sovrappeso e il 9,8 per cento obesi. Secondo il professor Franco Berrino sono proprio le proteine ad essere uno dei principali fattori di esposizione al rischio di obesità, insieme al consumo di dolciumi, cibo «spazzatura», e bevande zuccherate. L'indagine «La salute digestiva pediatrica in Europa», elaborata dalla United European Gastroenterology ha rilevato nei bambini europei un alto consumo di grassi saturi e trans, di zucchero e sale e un basso consumo di frutta, verdura e cereali integrali. Secondo i ricercatori dello United European Gastroenterology, l'obesità è un fattore di rischio per patologie epatiche, sempre più comuni nei bambini. La steopatite non alcolica è una di queste e colpisce, stando alle stime, il 10 per cento dei bambini europei diventando la causa di malattia epatica cronica più comune nei bambini e negli adolescenti. Patologie infantili in continuo aumento, che potrebbero essere prevenute attraverso il consumo di alimenti a base prevalentemente vegetale ed una corretta educazione alimentare,

impegna il Governo:

1) a promuovere una campagna di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot sui principali organi di stampa e/o con pubblicità progresso in tv per indicare i valori di una sana alimentazione, ossia di un'alimentazione che fornisca in abbondanza tutto quello di cui si ha bisogno ma al contempo riduca le calorie, con minor presenza di grassi e zuccheri, con l'obiettivo di evitare che la piaga dell'obesità si estenda in modo irreversibile;
2) a chiedere ai grandi produttori di alimenti per la colazione e merenda di collaborare alla significativa riduzione della quota di zucchero saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio contenuto negli alimenti messi in commercio, ridimensionando l'utilizzo di farine e cereali raffinati, oltre che di grassi saturi;
3) ad intervenire, anche assumendo iniziative a livello normativo, per porre dei limiti all'utilizzo di zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) contenuto negli alimenti messi in commercio nel territorio italiano;
4) ad assumere iniziative normative affinché nelle confezioni dei prodotti destinati ai più giovani e nelle bevande zuccherate siano riportate etichette o scritte che indichino il rischio di obesità associato al consumo squilibrato dello zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) in esso contenute;
5) ad assumere iniziative normative per limitare l'associazione di gadget agli alimenti per colazione e merende chiaramente riservate ai più piccoli;
6)  a dare piena ed esaustiva applicazione al regolamento (UE) n. 1169/2011 al fine di garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano;
7) ad intraprendere iniziative di carattere informativo, oltre che normative, volte a disincentivare presso i produttori l'utilizzo dell'olio di palma o palmisto come ingrediente nelle preparazioni alimentari, in vista di una sostituzione con oli che non siano nocivi per la salute e per l'ambiente e che incentivino altresì le economie nazionali e i settori agricoli interessati (olio di semi di girasole, olio d'oliva, e altro);
8) a sostenere e a promuovere presso le competenti sedi unionali proposte normative finalizzate a eliminare a lungo termine i TFA (trans fats) dalla filiera alimentare dell'Unione europea, tramite l'introduzione di un'etichettatura obbligatoria relativa al contenuto di TFA o tramite un limite giuridico imposto sul contenuto dei TFA industriali in tutti i prodotti alimentari;
9) a sostenere e a incoraggiare, presso le scuole e gli istituti di formazione, nell'ambito della sfera di propria competenza, progetti didattici legati all'educazione alimentare, intesa come conoscenza dei prodotti, delle etichette, della provenienza degli alimenti, della pericolosità del cibo e delle bevande con scarso apporto nutrizionale, del corretto consumo, del contrasto allo spreco, dello stile di vita attivo, nonché dell'importanza dei prodotti tipici, biologici, a «chilometro zero», e «chilometro utile», per accrescere negli studenti il senso di responsabilità sociale, verso la propria salute e l'ambiente, nonché il rispetto della biodiversità, in quanto conoscenze imprescindibili;
10) ad assumere iniziative per garantire, in tutte le mense pubbliche o convenzionate – la cui gestione ricade nelle competenze dello Stato, comprese quelle scolastiche – un'adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale, al fine di tutelare coloro i quali assumono questa scelta alimentare e potrebbero essere esclusi dalla fruizione del servizio pubblico;
11) ad adottare iniziative per incentivare, nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi e forniture di prodotti destinati alla ristorazione collettiva, I'utilizzo dei prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici, provenienti, ove possibile, da filiera corta a «chilometro utile».
(1-00744)
(Ulteriore nuova formulazione) «Massimiliano Bernini, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Parentela, Benedetti, Mantero, Silvia Giordano, Grillo, Cariello, Cristian Iannuzzi, Busto».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione De Maria n. 1-01375, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 683 del 30 settembre 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    nella fase finale della seconda guerra mondiale, in particolare nel triennio 1943-1945, l'Italia si è liberata dalla dittatura e dall'occupazione straniera e ha riconquistato pace, libertà, indipendenza e unità nazionale e della Patria. Ciò è stato anche possibile grazie alla Resistenza, alla Guerra di liberazione e al sacrificio di migliaia di donne e uomini, civili e militari;
    i testimoni e gli eredi di quelle esperienze fondative della Repubblica, le associazioni combattentistiche e partigiane, così come le istituzioni e tutti i poteri pubblici, hanno il dovere di coltivare e favorire la memoria e l'educazione delle nuove generazioni ai valori, ai principi e ai propositi della Costituzione della Repubblica;
    non meno fondativo è il sacrificio di decine di migliaia di italiani, civili e militari, trucidati dagli occupanti nazisti e dai militi della Repubblica sociale italiana in Italia e all'estero, in particolare nel corso della fase finale della seconda guerra mondiale e di cui ancora poco diffusa è la conoscenza e la memoria;
    oltre 2.300 fascicoli riguardanti tali eccidi, che hanno causato dai 15 ai 20 mila morti per gran parte anziani, donne e bambini, nonché militari, nell'immediato dopoguerra furono sottratti ai magistrati militari territoriali e oggetto poi di occultamento, come dimostra il rinvenimento, nel 1994, nelle stanze della procura generale militare, di 695 fascicoli «archiviati provvisoriamente» nel 1960, ciò in contrasto con la Costituzione e con l'ordinamento, relativi a centinaia di processi riguardanti appunto tali fatti criminosi;
    a partire dal 1994 alcuni processi sono stati celebrati e numerose condanne all'ergastolo comminate, anche se nessun condannato ha poi, nei fatti, scontato un solo giorno di prigione, soprattutto per il rifiuto del Governo della Germania ad applicare l'esecuzione delle pene comminate;
    studi recenti evidenziano come gran parte dei detti fascicoli durante gli anni della loro giacenza a Roma presso la procura generale militare furono aperti e richiusi rapidamente, senza eseguire reali indagini. E solo tra il 1994 e il 1995, allorché essi vennero trasmessi alle procure militari territoriali competenti, che i processi sono stati istruiti e celebrati, per lo più a partire dal 2003, e ancora ve ne sono in corso;
    su 695 fascicoli rinvenuti, delle oltre 300 indagini istruite e portate a compimento, sono state effettuate pressoché tutte dalle procure militari di: La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010, oltre che da quella di Roma dal 2010 in poi;
    non vi è dubbio sull'impegno encomiabile delle magistrature militari territoriali, che ovviamente non hanno potuto evitare le nefaste conseguenze dell'occultamento dei fascicoli;
    particolarmente gravi appaiono i casi relativi agli eccidi di militari italiani compiuti in territorio estero all'indomani dell'8 settembre 1943, soprattutto nelle isole greche (Cefalonia), nei Balcani, nei campi di prigionia;
    con legge 15 maggio 2003, n. 107, è stata istituita la Commissione bicamerale di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti che ha concluso i propri lavori nel 2006 con la votazione di due relazioni (una di maggioranza e una di minoranza);
    il 15 febbraio 2016 i materiali relativi ai 695 fascicoli occultati sono stati desecretati e resi disponibili sul sito web della Camera dei deputati insieme alla documentazione prodotta dalla Commissione bicamerale d'inchiesta;
    il dovere della memoria è imposto dall'esigenza di chiudere la vicenda delle stragi ’43-’45 con l'attenzione che esse meritano, con l'accertamento della verità e col risarcimento, almeno morale, ai pochissimi superstiti ed ai loro familiari e con adeguate «riparazioni». Per altro verso, la memoria ragionata delle stragi è indispensabile oggi, in un contesto in cui i rigurgiti neofascisti in tutta Europa trovano il proprio humus anche nell'ambiguo e pericoloso revisionismo storiografico, che da decenni ormai viene ad evidenziarsi sempre di più, sino a posizioni di vero e proprio negazionismo;
    il ripetersi, in Italia come in Europa, di manifestazioni, che rievocano un passato davvero tragico, rende necessario rafforzare la conoscenza dei fatti e delle barbarie compiute dal fascismo e dal nazismo occupante, in modo da creare gli antidoti necessari perché fatti del genere non accadano mai più;
    occorre chiudere definitivamente in modo dignitoso una pagina tremenda della storia del Paese. Ciò non per spirito vendicativo ma con intenti di collaborazione, quali quelli già in essere tra Italia e Germania per il chiarimento e la condanna unanime delle atrocità compiute in danno dei diritti umani, così come ribadito dal Presidente Gauck e dal Presidente del Parlamento europeo Shultz, in alcune visite a Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema, oltre che dal Ministro della giustizia tedesco, in altra occasione, a Civitella;
    in una di queste circostanze, del 2002 a Marzabotto, a cui era presente anche il Presidente della Repubblica italiana pro tempore; il Presidente della Germania ha avuto modo di sottolineare significativamente, come la «conciliazione non possa essere oblio». E proprio a questo fine è stato raggiunto negli anni scorsi, un accordo tra i Ministri degli affari esteri di Italia e Germania e l'Anpi (Associazione nazionale partigiani d'Italia), integrato poi successivamente dall'apporto dell'Insmli (Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia) per la creazione di un completo «Atlante delle stragi compiute in Italia negli anni dal 1943 al 1945, dai nazisti tedeschi e dai fascisti». Il progetto, già realizzato, ha richiesto tre anni di lavoro. È stato finanziato dalla Germania ed è ora a disposizione degli storici, degli studiosi e dei politici su internet al sito www.straginazifasciste.it. Per il suo completamento ha concorso un contributo italiano reso possibile da un progetto dell'Anpi, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione del 70o della Liberazione;
    stesso accordo è stato raggiunto tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano e della Repubblica federale di Germania e l'Anrp (Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall'internamento, dalla guerra di Liberazione e loro familiari) che, nell'ambito delle proprie finalità statutarie, ha portato avanti un articolato progetto sugli Imi – Internati militari italiani che è rappresentato dal LeBI – Lessico biografico degli Imi, un portale on line costituito da una complessa banca dati in cui sono inseriti elementi anagrafici e biografici dei 50 mila internati militari italiani deceduti nei lager e del maggior numero possibile degli oltre 600 mila militari italiani deportati ed internati nei lager del Terzo Reich tra il 1943 e il 1945. L'imponente mole di dati deriva dalla ricerca iniziata nel 2014 e ancora in corso presso numerosi archivi, principalmente in Italia e in Germania;
    peraltro, con la sentenza del 3 febbraio 2012 la Corte internazionale dell'Aja purtroppo ha accolto il ricorso della Germania contro le sentenze dei tribunali militari italiani, che condannavano la Repubblica federale di Germania, come responsabile civile, a risarcire le vittime delle stragi e gli altri danni cagionati; la motivazione dei giudici della Corte internazionale dell'Aja si basa purtroppo sui principi del diritto internazionale consuetudinario, per cui uno Stato sovrano non può essere soggetto alla giurisdizione di un tribunale straniero, senza possibilità di deroghe. Tesi che, in concreto, finisce per equiparare quelli che vanno intesi a tutti gli effetti come «crimini contro l'umanità» a mere azioni belliche. Questi eventi, invece, vanno ben al di là delle atrocità connaturate con ogni guerra e, dunque, dovrebbero essere perseguibili sempre ed ovunque;
    la sentenza della Corte dell'Aja ha lasciato aperta la via della conciliazione tra i due Stati, per addivenire ad un accordo per l'attuazione delle pene;
    è stata istituita una commissione di storici italo-tedeschi, che ha depositato la sua relazione conclusiva nel 2013, formulando anche una serie di «raccomandazioni» perché si realizzino gli obiettivi della verità e della giustizia, a partire dalla presentazione del rapporto della commissione di storici, i Ministeri degli affari esteri di Italia e Germania hanno impo-stato un programma di lavoro congiunto, con l'istituzione del Fondo per il futuro, alimentato da parte tedesca con 4 milioni di euro per il quadriennio 2013-2017, per la realizzazione di progetti volti a creare una memoria condivisa del tragico passato di guerra degli anni 1943-45;
    i firmatari del presente atto di indirizzo sono convinti che fare i conti anche con le pagine più drammatiche della propria storia, oltre che essere monito affinché le tragedie non si ripetano, significa rafforzare la democrazia e la libertà. Necessita, dunque, chiudere con dignità la dolorosa vicenda delle stragi nazifasciste ’43-’45 con una forte assunzione di responsabilità da parte dello Stato ed esprimere, nel contempo, sentimenti di rammarico verso i familiari delle vittime e le comunità territoriali che ne furono teatri alle quali purtroppo non è stata resa verità e giustizia, anche a causa dell'illegale e pluridecennale occultamento dei fascicoli,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, per quanto di competenza, perché sia assicurata l'esecuzione anche in Germania, sotto il profilo civile e penale, delle sentenze di condanna dei criminali tedeschi, emesse dai tribunali italiani in relazione alle stragi del 1943-45;
2) ad assumere iniziative presso la Repubblica federale tedesca per far sì che ai primi atti di riparazione compiuti facciano seguito iniziative concrete e consistenti volte alla ricostruzione di una memoria storica condivisa e alla riparazione morale per le vittime da parte della Germania, secondo le richieste formulate da molte associazioni e dall'Anpi e depositate al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
3) ad assumere iniziative per continuare a sostenere, attraverso il Fondo per il futuro, l'attuazione dei progetti promossi da enti e associazioni competenti volti a creare una memoria condivisa del tragico passato di guerra degli anni 1943-45 e a richiedere al Governo tedesco il rinnovo del fondo per il quadriennio 2018-2021;
4) ad attivare, nell'ambito delle proprie competenze, tutti gli strumenti volti a favorire la conoscenza e lo studio delle vicende sopra richiamate, anche al fine di contribuire all'approfondimento delle cause e degli effetti;
5) ad adottare iniziative atte a facilitare, sostenere e promuovere studi e ricerche storiche, anche a livello territoriale, in merito ai tragici effetti delle stragi e alla storia degli internati militari italiani nei lager tedeschi, nonché a promuovere e sostenere tutte le misure necessarie per la conservazione dei luoghi di memoria, con particolare riferimento alla seconda guerra mondiale, alla lotta partigiana, alla Resistenza senz'armi degli internati militari italiani ed a tutto ciò che può essere utile per impedire che sulle tragiche vicende di quegli anni finisca per cadere l'oblio, contribuendo così non solo all'accertamento della verità, ma anche alla diffusa conoscenza dei fatti ai fini di un'efficace prevenzione per il futuro e della formazione di una vera memoria collettiva;
6) a informare con continuità il Parlamento in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate e agli eventuali risultati conseguiti.
(1-01375)
(Ulteriore nuova formulazione) «De Maria, Villecco Calipari, Gribaudo, Quartapelle Procopio, Montroni, Fabbri, Gnecchi, Baruffi, Incerti, Patrizia Maestri, Locatelli, Pastorelli, Cinzia Maria Fontana, Fassina, Schirò, Lenzi, Benamati, Palese, Bolognesi, Scotto, Damiano, Fedi, Cimbro, Carlo Galli, Naccarato, Albini, Amato, Basso, Beni, Bergonzi, Blazina, Boccuzzi, Paola Boldrini, Borghi, Brandolin, Bratti, Capozzolo, Carloni, Carnevali, Carra, Carrozza, Crivellari, Coccia, Culotta, Marco Di Maio, D'Ottavio, Fiano, Fontanelli, Fossati, Fragomeli, Garavini, Gasparini, Ghizzoni, Giacobbe, Giorgis, Grassi, Iori, Laforgia, Lodolini, Magorno, Malisani, Marantelli, Marchi, Meta, Minnucci, Mongiello, Narduolo, Petrini, Pollastrini, Rubinato, Giovanna Sanna, Scuvera, Taricco, Terrosi, Valiante, Verini, Vico, Zardini, Andrea Maestri, Lattuca, Pizzolante, Dambruoso».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione De Lorenzis n. 7-00526, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 332 del 14 novembre 2014.

   La VIII e IX Commissione,
   premesso che:
    la politica di coesione territoriale, trae fondamento dalla Costituzione italiana la quale dichiara all'articolo 119, quinto comma, che «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.» restando pertanto coerente con l'articolo 3, secondo comma, che recita «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la politica di coesione territoriale, è altresì fondata nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea il quale all'articolo 174, stabilisce che essa ha lo scopo di promuovere uno «sviluppo armonico» incrementando le opportunità di relazione umana, sociale ed economica dei cittadini, indipendentemente dal luogo in cui vivono e che tale obiettivo viene perseguito promuovendo quantità e qualità dei servizi pubblici fondamentali in modo che tengano in adeguato conto le specifiche esigenze e le caratteristiche dei diversi territori;
    per quanto concerne il settore trasporti, la Commissione europea, il 28 marzo 2011, ha delineato strategia Trasporti 2050, volta ad incrementare la mobilità, favorire la crescita e l'occupazione e rimuovere gli ostacoli nelle aree di maggiore flusso: tale libro bianco stabilisce ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2050 al fine di rendere l'Unione europea un leader mondiale in materia di trasporto sostenibile;
    al punto 40, il su citato libro bianco prevede, tra l'altro, che sia triplicata, entro il 2030, in tutti gli Stati membri, sia funzionante una fitta rete ferroviaria: si prevede infine che entro il 2050 la maggior parte del trasporto di passeggeri sulle medie distanze debba avvenire per ferrovia;
    il settore dei trasporti riveste un ruolo fondamentale in termini civili e sociali, essendo volto al soddisfacimento di interessi pubblici di carattere generale: in particolare, la mobilità su ferro risulta essenziale non soltanto per garantire un servizio ai cittadini passeggeri ed un celere trasporto di merci, ma soprattutto quale strumento di coesione territoriale, crescita e competitività;
    un sistema di trasporto pubblico ferroviario efficiente, inoltre, come peraltro sottolineato in importanti documenti europei sopra citati, rappresenta un obiettivo prioritario per la realizzazione di politiche tese alla promozione di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale, nonché potenzialmente fattore di crescita economica e di progresso sociale;
    la provincia di Lecce è già la più stradalizzata d'Italia (1,5 chilometri per 1 Kmq di territorio), che a sua volta è la prima in Europa (1,0 chilometri per 1 Kmq);
    nel Salento l'ultima opera ferroviaria risale a 101 anni fa è stata realizzata nel 1913: da allora non solo non ne sono state costruite altre, ma le linee non hanno beneficiato di alcun ammodernamento e addirittura, da alcuni anni, sono state ridotte le corse ed il servizio è sospeso nei giorni festivi e la domenica;
    il decreto-legge n. 133 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 all'articolo 3, comma 6, prevede che le risorse revocate in caso di mancato rispetto dei termini, di cui al comma 2, lettere a), b) e c) dello stesso articolo, per l'appaltabilità e la cantierabilità delle opere, vadano a confluire nel «Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali» istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011;
    nel testo relativo alla conversione in legge del predetto decreto-legge, all'articolo 3, comma 6, è stata aggiunta la lettera d-bis), la quale prescrive che tali risorse siano impiegate anche per l'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo;
    la suddetta tratta ferroviaria è di competenza della società Ferrovie del Sud Est e servizi automobilistici, società di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e che la sua elettrificazione è un'opera individuata come finanziabile e immediatamente cantierabile ai sensi del già citato articolo 3, comma 6, lettera d-bis), del testo relativo alla conversione in legge del decreto-legge 133 del 2014;
    l'area di Otranto, quella di Martina Franca, di Lecce e del Capo di Leuca presentano caratteristiche molto favorevoli per poter incrementare notevolmente il turismo e contano per questa ragione nei mesi estivi incrementi esponenziali della popolazione;
    si prevede la realizzazione dell'Opera strategica di interesse nazionale denominata «Ammodernamento della strada statale 275» (CUP: F32C04000070002), relativa alla costruzione di un asse viario tra i centri abitati di Maglie e Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce;
    a seguito dell'approvazione del progetto preliminare con delibera CIPE n. 92/2004, l'Anas ha affidato la progettazione al Sisri di Lecce (consorzio per lo sviluppo industriale e dei servizi reali alle imprese), ai sensi dell'articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317, con convenzione stipulata in data 30 gennaio 2002 e successivo atto integrativo del 21 gennaio 2005;
    il consorzio Sisri avrebbe stipulato nel febbraio 2002 la convenzione con la ProSal srl (Progettazioni Salentine), società di professionisti con capitale sociale 10.400,00 di euro, senza aver effettuato un bando di gara e quindi, in affidamento diretto, conferiva alla ProSal srl l'incarico di progettazione senza alcuna forma di pubblicità nonché in violazione della normativa di derivazione comunitaria e statale in materia di progettazione di opere pubbliche;
    la ditta ProSal risulterebbe carente delle necessarie abilitazioni di legge in materia geologica, geoidrologica, paesaggistica, archeologica, ambientale: a conferma, le tavole progettuali presentate da ProSal non risulterebbero firmate, ma ciò nonostante il progetto preliminare e quello definitivo risultano approvati dal Cipe rispettivamente con le deliberazioni n. 92 del 20 dicembre 2004 e n. 76 del 31 luglio 2009;
    non si comprende, pertanto, in quale sede siano state effettuate le normali procedure di verifica dei requisiti di competenza e delle necessarie abilitazioni di legge in materia geologica, geo-idrologica, paesaggistica, archeologica, ambientale delle aziende coinvolte, situazione che si è creata in mancanza di procedure di verifica dei requisiti soggettivi e oggettivi dei professionisti componenti la società privata e all'interno di quantomeno inconsueti rapporti contrattuali trilaterali tra Anas, consorzio Sisri e ProSal;
    Anas, con nota prot. n. 3006/2005, autorizzava il pagamento degli oneri di progettazione in favore del consorzio Sisri di Lecce per complessivi 1.021.935,62 euro di cui 567.742,01 euro, quale prima tranche (0,5 per cento dell'importo lavori pari a 113.548.401,82 euro) e 454.193,61 euro per attività cartografiche ed indagini geognostiche ed ambientali (0,4 per cento dell'importo di 113.548.401,82 euro) richieste alla ProSal, sebbene non risultasse essere in possesso dei requisiti e delle abilitazioni di legge;
    con deliberazione n. 83/2005 il Sisri di Lecce conferiva a beneficio di ProSal, la somma di 1.021.935,62 euro per attività di progettazione e studi geognostici e ambientali;
    il Consorzio Sisri di Lecce, con deliberazione n. 157/2009, trasmetteva ad Anas la fattura ricevuta da ProSal n. 13/2009 ed emetteva a sua volta fattura all'Anas per l'importo di 3.372.154,66 euro, come saldo di progettazione definitiva, incassando da Anas la detta somma e girandola a sua volta a ProSal;
    la subappaltatrice ProSal avrebbe quindi ricevuto senza titolo ingenti somme di danaro pubblico per prestazioni progettuali specialistiche (in materia geologica, idrogeologica, ambientale, archeologica, paesaggistica, e altro) dalla stessa difficilmente eseguibili, vista la sua originaria carenza di titoli abilitativi;
    con delibera n. 247/2010, il consiglio di amministrazione del consorzio Sisri, premesso «[..] Il raccordo tra il Consorzio, l'ANAS e la PRO.SAL. Progettazioni Salentine srl [...]», autorizzava l'emissione nei confronti di Anas di fattura pro forma in acconto per la sola parte relativa alla progettazione nella misura di 2.366.326,11 euro;
    il presidente di Anas, con disposizione cdgt/dcp ba/up/8 prot. n. 0043101-p del 28 marzo 2011, autorizzava l'accreditamento dell'ulteriore importo di 1.933.272,97 euro per il pagamento del progetto definitivo;
    Anas, tramite il consorzio Sisri, ad avviso dell'interrogante sembrerebbe aver arrecato vantaggio patrimoniale alla ditta ProSal, pur nella consapevolezza della mancanza in capo a quest'ultima dei requisiti di legge, per progettazione e realizzazione di un'opera stradale di valore pari a oltre 287 milioni di euro, destinata altresì ad attraversare 15 territori comunali con altissimo impatto sugli assetti idraulici, idrogeologici, geomorfologici, ambientali del territorio e con molteplici interferenze con beni archeologici;
    nei territori dei comuni di Tricase e Alessano, situati in corrispondenza del tracciato della futura strada statale 275 «Maglie-Leuca», sono state scoperte nel 2014 dagli uomini della Guardia di finanza alcune discariche e depositi di rifiuti in esercizio tra gli anni ottanta e novanta, attualmente esaurite e mai bonificate, ricoperte solamente da terriccio, nelle quali potrebbe essere stato smaltito illecitamente anche materiale pericoloso; l'intervento della guardia di finanza è giunto dopo l'apertura di un fascicolo da parte della procura di Lecce, a seguito di una segnalazione della Corte dei conti che sta svolgendo indagini di natura contabile sulla strada statale 275;
    il 15 novembre 2016 la procura di Lecce ha chiuso le indagini penali sulle procedure di affidamento della progettazione della strada statale 275, per il reato di truffa di cui sono accusati Rosa Palma (legale rappresentante della Prosal), Antonio Fitto (attuale direttore generale del Consorzio Asi di Lecce e all'epoca dei fatti componente del consiglio d'amministrazione), Paola Tana (in qualità di direttore generale dell'Asi dal 2008 al 2011), Carmine Caputo. A questo filo investigativo se ne aggiunge un altro di stampo ambientale relativo alle discariche rinvenute lungo il tracciato che vedrebbe altri indagati e alla contestazione della richiesta di compensi per il «Piano di monitoraggio ambientale», mai effettuato;
    sulla vicenda la competente procura contabile, sulla scorta di una relazione del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Roma, indaga sulla sussistenza di un danno alle casse erariali;
    da diverso tempo alcuni comitati cittadini, approfondendo la documentazione inerente i lavori per la strada statale 275, constatando diversi aspetti da cui scaturiscono legittimi e giustificati dubbi e perplessità in merito all'assegnazione ed esecuzione dell'opera, nonché per diversi problemi ambientali, chiedono l'azzeramento definitivo dell'intero progetto, in quanto apertamente viziato sin dalle sue origini, in quanto conferito come incarico in sub appalto senza gara a soggetto privo di titoli;
    il 31 agosto 2016, l'Autorità nazionale anticorruzione, cui si erano rivolte le associazioni, con provvedimento n. 909, ha concluso l'attività ispettiva, accertando «comportamenti non conformi» alla normativa vigente, fra cui il mancato espletamento della procedura di evidenza pubblica per l'affidamento, la mancata vigilanza degli organi preposti. In particolare, l'Autorità ha affermato che, a fronte dell'importanza dell'opera e dell'interesse pubblico alla sua realizzazione, è emerso, tuttavia, che il procedimento di attuazione ha mostrato tutti i suoi limiti in relazione agli ostacoli che di volta in volta si sono presentati, determinati dal prevalere di scelte dettate da interessi di parte e dalla mancanza di un adeguato coordinamento fra tutte le istituzioni coinvolte. L'Autorità anticorruzione, infatti, ha accertato «comportamenti non conformi», in ordine alla responsabilità per omessa vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, oltre alla corresponsabilità della Struttura tecnica di Missione nella gestione del procedimento tecnico-amministrativo, della Regione Puglia e di ANAS, sotto molteplici aspetti, e conclude testualmente che «il progetto definitivo posto a base di gara può non essere più attuale», (pag. 69), enunciando le motivazioni a sostegno: dal decorso del tempo al rinvenimento delle discariche abusive a possibili intervenute modifiche delle aree interessate, con necessaria rivalutazione degli elaborati espropriabili e via di seguito;
    la progettazione della strada, oggi accertata come illegittima perché priva della doverosa procedura di evidenza pubblica, era stata assegnata proprio alla Pro.sal spa di cui l'ingegnere Angelo Sticchi Damiani, oggi alla presidenza dell'Automobile Club, era socio di maggioranza e direttore tecnico;
    a detta dell'interrogante, la scoperta delle discariche di cui sopra, da una parte confermano la carenza di titoli del soggetto titolare del subappalto relativo alla progettazione, Prosal s.r.l., e, per altro verso, la totale carenza di valutazioni idrogeologiche in fase di progettazione preliminare e definitiva;
    il Consiglio di Stato si è pronunciato con sentenza del 3 luglio 2014 n. 3344 in merito al ricorso presentato dalla società Salvatore Matarrese spa contro Rti-Consorzio cooperative Costruzioni di Produzione e Anas spa;
    la strada statale è inserita tra le opere previste nella cosiddetta «legge obiettivo», assumendo quindi il carattere di opera di interesse nazionale;
    il Codice del processo amministrativo stabilisce che non si possano annullare i contratti d'appalto relativi ad opere di interesse nazionale;
    nell'ipotesi che Anas confermi l'accordo già firmato e che il Consiglio di Stato non ha potuto depennare, ci sarà un esborso cospicuo per il risarcimento alla Matarrese nella misura di 10 milioni di euro a carico della collettività;
    nell'ipotesi in cui Anas, come previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato, in relazione alla macroscopicità delle illegittimità rilevate, faccia luogo ad eventuale annullamento in autotutela dell'aggiudicazione ed alla conseguente risoluzione del contratto, l'offerta dell'impresa Matarrese risulta di circa 20 milioni di euro superiore a quella dell'accordo firmato con CCC;
    il 25 ottobre 2016, con una nota l'Anas ha proceduto alla revoca, in via di autotutela, di tutti gli atti del procedimento concorsuale per l'affidamento dei lavori di ammodernamento e adeguamento della strada statale 275 Maglie-S. Maria di Leuca, previo annullamento dell'aggiudicazione all'ATI CCC-Aleandri-Igeco ed esclusione dell'ATI Matarrese Coedisal per le motivazioni contenute nei relativi provvedimenti;
    da fonti di stampa si apprende di incontri riservati a Roma tra la ditta Matarrese e vertici della società del Ministero dell'economia e delle finanze che lasciano presumere l'annullamento del contratto, come dichiarato dal legale difensore del gruppo barese, poiché oggetto dell'appalto non era solo l'offerta economica ma anche la progettazione esecutiva; nel medesimo articolo di stampa si dichiara che la ditta vincitrice dell'appalto CCC ha tardivamente depositato il progetto esecutivo e che pertanto non è stato approvato; ancora si suppone che in virtù delle illegittimità rilevate che potrebbero riguardare anche il computo metrico che ha condizionato il sostanzioso ribasso d'asta, il progetto esecutivo potrebbe non essere approvato;
    l'assolvimento degli obblighi previdenziali e assistenziali, è una caratteristica richiesta dalla normativa vigente, fin dalla presentazione dell'offerta e per tutta la durata della procedura, e il gruppo Matarrese, come emerso il 9 ottobre da un'ordinanza del Tar di Lecce, non possiede tale indispensabile requisito. Al riguardo, come risulta da una segnalazione della direzione investigativa antimafia di Brescia, le fidejussioni che il gruppo Matarrese ha prodotto per poter partecipare alla gara risultano false;
    in una delibera della regione Puglia n. 102 del 2007, è stato chiesto ad Anas la valutazione economica di un progetto alternativo che consisterebbe nella messa in sicurezza dell'esistente e la realizzazione di una strada a 4 corsie soltanto fino al comune di Montesano e che a tale richiesta Anas ha risposto dichiarando che per tali interventi sarebbe sufficiente una dotazione di 111 milioni di euro;
    la regione Puglia ha finanziato il progetto oggetto di contenzioso per circa 152 milioni;
    per giungere al Capo di Leuca, è già realizzata la strada statale 274 da Gallipoli,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per cancellare questa opera tra quelle di interesse nazionale come previsto dalla legge n. 433 del 2001 cosiddetta «legge obiettivo»;
   a non istituire un commissario straordinario per il completamento e la realizzazione dell'opera medesima;
   a non assumere iniziative normative, che deroghino alla disciplina esistente, con la finalità della realizzazione dell'opera;
   a intraprendere tutte le iniziative al fine di operare riallocare le risorse economiche previste per la progettazione e realizzazione dell'opera, del Cipe e della regione, al fine di assegnarle per l'ammodernamento, il potenziamento e l'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo e del relativo servizio, giacché essa rappresenta un'opera utile per la collettività, auspicata dalla cittadinanza e sostenibile dal punto di vista ambientale alla messa in sicurezza dell'esistente e alla realizzazione di una strada a 4 corsie soltanto fino al comune di Montesano;
   ad assumere iniziative normative dirette a individuare e destinare adeguate risorse perché si possa giungere ad affrontare in via subordinata la problematica delle discariche abusive sul territorio nazionale anche al fine di non incorrere in sanzioni da parte dell'Unione europea in merito al mancato rispetto della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti;
   ad adottare, nel più breve tempo possibile, iniziative normative volte ad estendere l'arco temporale della decorrenza della prescrizione in relazione a reati di tipo ambientale di modo che si possa garantire l'accertamento processuale dei fatti e delle responsabilità;
   a valutare se sussistano i presupposti per assumere le iniziative di competenza volte alla rimozione dell'ingegnere Angelo Sticchi Damiani dalla presidenza dell'Automobile Club d'Italia;
   ad assumere tutte le iniziative di competenza perché la nuova progettazione sia partecipata dalla cittadinanza dei territori interessati.
(7-00526)
«De Lorenzis, Mannino, Petraroli, Brescia, Nicola Bianchi, Spessotto, Cristian Iannuzzi».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Tartaglione n. 1-01296, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 634 dell'8 giugno 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità e il sovrappeso, prima considerati problemi dei soli Paesi ricchi, sono oggi in aumento anche nei Paesi a basso e medio reddito, specialmente negli insediamenti urbani, e sono ormai riconosciuti come veri e propri problemi di salute pubblica a livello mondiale;
    l'eccesso ponderale è infatti un fattore di rischio per i decessi: il 65 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi in cui sovrappeso e obesità uccidono più che il sottopeso. L'obesità è un problema sociale oltre che clinico;
    secondo i dati forniti dal rapporto Eurostat, pubblicato il 20 ottobre 2016, in Europa la percentuale di adulti con obesità, che circa 10 anni fa era del 10-14 per cento, oggi arriva quasi al 16 per cento (BMI: 15,9 per cento obesi; 35,7 per cento sovrappeso; 46,1 per cento normopeso; 2,3 per cento sottopeso) con un deterioramento della salute evidenziabile in un aumento del diabete (che in Italia affligge il 10 per cento della popolazione), dell'ipertensione, della dislipidemia, dei disturbi cardiovascolari e dell'infarto, come pure del cancro e di molte altre patologie degenerative;
    in questo scenario di vera e propria epidemia di obesità, particolarmente preoccupante è il fenomeno dell'insorgenza della obesità infantile che predispone alla obesità in età adulta e che si accompagna sempre di più a patologie in età pediatrica come l'aumentata insorgenza di diabete e ipertensione; secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) i bambini in eccesso ponderale nel mondo sono quarantaquattro milioni;
    lo stato di nutrizione dipende sostanzialmente dall'interazione di tre elementi: la costituzione fisica, l'ambiente culturale, lo stato economico;
    emerge chiaramente il ruolo centrale dell'alimentazione e dell'assunzione dei costituenti essenziali per assicurare un equilibrato metabolismo organico, per prevenire l'insorgenza di patologie da eccesso o carenziali degli elementi essenziali e per favorire una longevità qualitativamente migliore;
    per questo è indispensabile che l'alimentazione poggi non solo su una semplicistica riduzione calorica ma sia programmata su basi razionali e scientifiche che tengano conto delle diverse necessità nutritive, non solo quantitative ma soprattutto qualitative, dei nutrienti, richieste dalla continua trasformazione nelle varie fasi della crescita e dall'attività mentale e fisica svolta. È evidente che le esigenze nutritive di un neonato o di un lattante non sono le stesse di un bambino di 10-11 anni;
    l'impatto dell'obesità e le conseguenti ripercussioni dirette sulla salute sottolineano come sia prioritario e necessario contrastare tempestivamente tale fenomeno. L’Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020 dell'Unione europea si inserisce proprio in quest'ottica di prevenzione e contrasto;
    il sistema di sorveglianza nazionale «OKkio alla salute», promosso e finanziato dal Ministero della salute/CCM (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie), coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità e condotto in collaborazione con tutte le regioni italiane e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal 2007 costituisce una solida fonte di dati epidemiologici sugli stili di vita dei bambini della scuola primaria e rappresenta la risposta istituzionale italiana al bisogno conoscitivo del problema del sovrappeso e dell'obesità nella popolazione infantile;
    lo sviluppo di sistemi di sorveglianza è alla base delle strategie italiane in materia di prevenzione e promozione della salute, quali il programma governativo «Guadagnare salute» e il piano nazionale della prevenzione. L'Italia con i dati di «OKkio alla salute» partecipa, inoltre, all'iniziativa della regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità denominata Cosi Childhood obesity surveillance initiative;
    dall'ultimo report del 2014 di OKkio si desume che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e i bambini obesi sono il 9,8 per cento, compresi i bambini severamente obesi che da soli sono il 2,2 per cento. Si registrano prevalenze più alte nelle regioni del Sud e del Centro; in particolare, il dato in Campania resta preoccupante nell'ultimo report del 2014; certamente i programmi di prevenzione sono fondamentali per il contenimento del fenomeno, ma risulta altrettanto importante offrire un percorso di diagnosi e cura per i bambini che già presentano obesità spesso già con le complicazioni di tale malattia;
    un dato importante che emerge dalle indagini epidemiologiche è che tale patologia si associa a condizioni sociali di fragilità, quali scarsa istruzione materna, che non riconoscono la condizione o la sottovalutano, ed è quindi un elemento di diseguaglianza in sanità;
    è importante invece che tali bambini abbiano un'offerta di presa in carico del servizio sanitario nazionale che consenta loro di potere eseguire gratuitamente anche oltre i 6 anni un percorso di diagnosi e cura presso centri appositamente dedicati, individuando secondo le linee guida delle società scientifiche i parametri clinici e le correlate indagini di laboratorio e strumentali e visite specialistiche necessarie;
    un approccio fondamentale è quello della prevenzione che bisogna sostenere attivando e incentivando programmi di prevenzione nelle scuole. La letteratura in tema di evidenze di efficacia (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che la promozione di stili di vita e ambienti favorevoli alla salute (in passato considerata attività esclusiva del settore sanitario attraverso interventi di educazione sanitaria) richiede un approccio globale di sistema che coinvolga tutti i settori che con le loro politiche interagiscono sui vari determinanti di salute. In quest'ottica, «fare salute con la scuola» vuol dire quindi rimettere in discussione bisogni di salute, modelli di consumo e di spreco, attivare consapevolezza critica, ragionare sulla cultura dello «star bene», e non solo su quella del rischio. In tal modo, ragionare e progettare in tema di alimentazione, attività fisica, prevenzione dell'obesità, del tabagismo e altre dipendenze, significa parlare della promozione di una nuova «economia», parlare della appropriatezza della domanda di salute, parlare di partecipazione e di ricerca delle corresponsabilità per la salute;
    per il miglioramento dello stile alimentare dei bambini, la refezione scolastica attuata secondo le linee guida nazionali del Ministero della salute costituisce un momento importante di promozione alla salute;
    il piano nazionale della prevenzione 2014-2018 (intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sancita nella seduta della Conferenza Stato-regioni del 13 novembre 2014), evidenzia l'importanza di:
     adottare un approccio intersettoriale e di configurare interventi per contesto di appartenenza (esempio setting scolastico, di comunità);
     sviluppare programmi integrati tra servizi sanitari e istituzioni educative;
     attivare le azioni nel contesto scolastico nell'ambito del modello delle «Scuole promotrici di salute»;
     prestare attenzione all'equità e contrastare le diseguaglianze di salute;
     promuovere il potenziamento dei fattori di protezione: life skill, empowerment;
     assicurare azioni di promozione della salute, volte a favorire l'adozione di comportamenti sani, su diverse tematiche,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto, entro sei mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, concrete iniziative di intervento che consentano la gratuità dei percorsi diagnostici e di prevenzione dell'obesità per i minori di età inferiore ai dodici anni;
2) a predisporre un'attività di monitoraggio uniforme a livello nazionale per misurare il tasso di allattamento al seno in termini di percentuale delle mamme italiane che allattano e in termini di durata del periodo di allattamento e di modalità perseguite (allattamento esclusivo o misto);
3) a predisporre apposite iniziative di lunga prospettiva per la prevenzione e la cura dell'obesità infantile che riguardino i primissimi momenti di vita dell'individuo, in quanto è ormai scientificamente dimostrato e sostenuto dall'Organizzazione mondiale della sanità che lo stato di salute da adulti deriva anche dal tipo di nutrizione che si è portato avanti nei primi 1.000 giorni, dal concepimento ai primi due anni di vita, per cui risulta fondamentale che la donna incinta segua un'alimentazione equilibrata per garantire un migliore apporto di nutrienti al feto, che, ove possibile, il neonato venga alimentato con l'allattamento esclusivo al seno fino ai 6 mesi e che si prosegua con una dieta specifica per i bambini che consenta il giusto apporto di micro e macro nutrienti;
4) ad attivarsi, quanto prima, per una rapida adozione di specifiche linee guida in materia, sul modello di altri Paesi europei, che rappresenteranno un primo passo per dare indicazioni pratiche volte ad indirizzare in maniera uniforme la pediatria italiana, per prima, e le famiglie nella corretta alimentazione da fornire ai bambini nella fascia d'età da 0 a 3 anni, con particolare riferimento all'allattamento al seno e al corretto svezzamento, e su cui è stato convocato un apposito tavolo di lavoro al Ministero della salute, il cui mandato risulta ormai scaduto;
5) a promuovere politiche per una sana alimentazione tra bambini e adolescenti, riducendo l'assunzione di alimenti non salutari e bevande zuccherate;
6) ad implementare le iniziative finalizzate a incentivare l'attività fisica e a ridurre comportamenti sedentari tra bambini e adolescenti;
7) a promuovere la cultura della nutrizione e della salute, anche attraverso le istituzioni scolastiche.
(1-01296)
(Nuova formulazione) «Tartaglione, D'Incecco, Grassi, Piccione, Carnevali, Fossati, Amato, Burtone, Antezza, Cardinale, Carloni, Di Salvo, Fedi, Ferranti, Gandolfi, Giuliani, Tino Iannuzzi, Lenzi, Manfredi, Minnucci, Mongiello, Morani, Patriarca, Realacci, Ribaudo, Paolo Rossi, Sgambato, Tullo, Valiante, Venittelli, Zampa, Zoggia, Iori, Paola Bragantini, Casati, Miotto, Sbrollini».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione D'incà n. 5-09996, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 704 del 9 novembre 2016.

   D'INCÀ, PESCO, RUOCCO, VILLAROSA e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che Veneto Banca, il 13 gennaio 2015, delibera l'acquisto di un portafoglio di 1.200 prestiti ipotecari vitalizi (PIV) della banca JP Morgan per un valore di circa 205 milioni di euro. La tipologia di prestito risulta essere poco diffusa e particolarmente rischiosa ed un'operazione del genere posta in essere da un istituto di credito in difficoltà desta qualche perplessità;
   successivamente a detta operazione finanziaria la banca JP Morgan provvede all'acquisto di 900 mila azioni di Veneto Banca appartenenti a determinati soci per un valore di 39,50 euro (pari ad un valore complessivo di 35,55 milioni di euro). Pochi mesi dopo il valore delle azioni di Veneto Banca viene rideterminato al ribasso per un valore di 7,30 euro ad azione fino ad una tendenziale valutazione pari a zero in seguito all'infruttuoso tentativo di quotazione in borsa;
   da un report pubblicato dalla Banca centrale europea si evince che l'operazione di acquisto di 205 milioni euro di prestiti ipotecari vitalizi non sia stata corredata da adeguate valutazioni del rischio e sembrerebbe essere priva di specifiche motivazioni. L'operazione ha influito altresì negativamente per 5 punti base sul Cet1. Infine, così come si apprende dal report, l'operazione sembrerebbe esser stata posta in essere «(...) senza il coinvolgimento della funzione di compliance». L'operazione nel suo complesso ha implicato anche il pagamento di consulenze pari all'1 per cento del valore nominale dell'operazione alla centrale attività finanziarie e 450 mila euro ad Eidos Partners;
   a dicembre 2015 si è assistito ai primi effetti negativi dell'operazione; infatti, al fine di coprire il mancato recupero di somme relative ai prestiti ipotecari vitalizi acquistati, è stato effettuato un accantonamento di 4,5 milioni di euro;
   da fonti stampa si apprende che l'assemblea degli azionisti di Veneto Banca abbia deliberato un'azione di responsabilità nei confronti dei membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale in carica fino al 26 aprile 2014 per i danni relativi alla diminuzione del patrimonio dovuti ad eventuali condotte e decisioni illecite; per i circa 88 mila soci di Veneto Banca che sono stati danneggiati dalla svalutazione quasi totale delle azioni – il cui valore in soli due anni è passato da 39,50 euro a 1,10 euro – potrebbe essere esperibile una conciliazione la quale, però, non dovrebbe esser superiore al 20 per cento del valore delle medesime azioni;
   sarebbe opportuno verificare se le eventuali condotte e decisioni illecite siano connesse ad un eventuale mancato esercizio dei compiti di vigilanza da parte della Banca d'Italia e siano da ricondurre a gravi mancanze dello stesso governatore –:
   se risulti al Governo quali siano gli azionisti di Veneto Banca le cui azioni siano state acquistate, in modo diretto o indiretto, da JP Morgan;
   ove i danni subiti dagli azionisti di Veneto Banca dovessero essere connessi a un eventuale mancato corretto esercizio dei compiti di vigilanza da parte della Banca d'Italia, se non si intendano avviare le procedure per la revoca del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ai sensi del comma 8 dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005. (5-09996)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Marco Di Stefano n. 4-14904 del 28 novembre 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Carrescia n. 5-10021 del 16 novembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-14919.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Parentela e altri n. 7-01059 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 660 del 22 luglio 2016, alla pagina 40007, prima colonna, dopo la riga quarantasettesima inserire le parole: «impegna il Governo».

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AGOSTINELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il 27 gennaio 2015 si sono chiuse le indagini preliminari sui presunti casi di assenteismo nel comando dei vigili urbani del comune di Ancona;
   le indagini sono state condotte dal pubblico ministero Paolo Gubinelli;
   i vigili raggiunti da avviso di garanzia sono 6, cinque dei quali accusati di essersi assentati ingiustificatamente: si tratta del tenente Mauro Mancini (arrestato il 25 settembre 2014, perché sorpreso a casa mentre un collega timbrava il cartellino per lui), dell'agente Alessandro Tesei (che avrebbe coperto Mancini e che, a sua volta, si sarebbe assentato dal lavoro durante l'orario di servizio), del capitano Daniele Mentrasti, dell'agente Giovanni Mellino e del tenente Luca Martelli (Il Resto del Carlino del 1° febbraio 2015);
   l'accusa nei loro confronti è di truffa e di violazione dell'articolo 55-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001 (cosiddetto «Legge Brunetta»), che prevede anche il licenziamento per i dipendenti pubblici assenteisti. Per l'agente Samuele Santilli, accusato di aver percepito illegittimamente 4 ore di straordinario, invece, l'accusa è stata di truffa aggravata in concorso con il tenente Mancini (Il Resto del Carlino del 1° febbraio 2015; Il Messaggero del 3 febbraio 2015);
   Assenteismo durante i turni di lavoro, è questo l'addebito principale mosso nei confronti degli indagati;
   tutto è partito da una lettera anonima del 3 ottobre 2013, recapitata all'ufficio di polizia giudiziaria dello stesso Corpo di polizia municipale del comune di Ancona, che evidenziava una totale anarchia in fatto di controlli sulle entrate e le uscite dal lavoro (http://www.corriereadriatico.it);
   dalle carte dell'inchiesta emergerebbe l'esistenza di «una cupola» all'interno del comando della polizia municipale di Ancona, «un gruppo ben affiatato di ufficiali e agenti che, nel tempo, si muovevano con forza all'interno del comando, mettendo in piedi una sorta di consorteria con l'obiettivo di ottenere benefici personali in cambio» (Il Resto del Carlino del 6 febbraio 2015, «una cupola all'interno del comando»);
   le indagini, portate avanti dallo stesso nucleo di polizia giudiziaria del comando di Ancona, hanno svelato pesanti irregolarità nella gestione del dispositivo marcatempo (http://www.corriereadriatico.it) Tutte le intercettazioni ambientali e videofotografiche sono avvenute a cavallo tra la fine di agosto e settembre 2014 (Il Resto del Carlino del 6 febbraio 2015, «una cupola all'interno del comando»);
   dalle intercettazioni è emerso un quadro di «contatti non sempre professionali in chat, intrighi, minacce e giochi di potere»; le indagini nei confronti del tenente Mancini hanno permesso di appurare, attraverso una serie di riscontri incrociati, tecnici e ambientali, un «modus operandi» ben congegnato, consolidato e reiterato nel tempo. In una intercettazione del 23 agosto 2014, ad esempio, il Tenente Mancini rassicurava un collega circa la successiva presentazione di un certificato medico per ottenere dei giorni di riposo non dovuti, mentre, il giorno prima, sempre in una intercettazione, lo stesso Mancini negava, per motivi di personale antipatia, alcune ore di straordinario ad un responsabile della sezione commercio che aveva presentato richiesta per un agente;
   secondo la procura i sei indagati erano capaci di muoversi dentro e fuori il palazzo con una semplicità disarmante (Corriere adriatico del 29 gennaio 2015, «Quei sindacalisti meritano una lezione»);
   in più occasioni i rappresentanti sindacali di alcune sigle si sono rivolti al comandante del corpo al fine di evidenziare le irregolarità all'interno del comando e, per tale motivo, gli stessi sono stati oggetto, in più occasioni, durante le conversazioni tra alcuni degli indagati, di veri e propri insulti e tentativi di trovare il sistema, grazie al ruolo di funzionario dell'ufficio servizi del Mancini, di atti di prevaricazione nei loro confronti (Corriere adriatico del 29 gennaio 2015, «Quei sindacalisti meritano una lezione»);
   al termine delle indagini, il 25 settembre 2014, il Tenente Mancini veniva arrestato in flagranza ad Osimo, mentre era nella sua abitazione privata, dai suoi stessi colleghi della sezione di polizia giudiziaria del comando dei vigili urbani di Ancona (Corriere Adriatico del 27 settembre 2014, «il vigile torna libero ma sarà processato»;
   in data 26 settembre 2014, la misura preventiva dell'arresto veniva convalidata dal G.I.P. Ferma restando l'ipotesi di reato, la Corte di cassazione con sentenza n. 35099 del 21 settembre 2015, su ricorso del Mancini, ha disposto l'annullamento del provvedimento di convalida dell'arresto (Corriere Adriatico del 27 settembre 2014, «il vigile torna libero ma sarà processato»). Precedentemente al giudizio della Corte di cassazione, il Mancini Mauro, in data 23 gennaio 2015, a sua volta, ha proposto formale querela-denuncia nei confronti del Maggiore Caglioti, che si era occupato dell'indagine ed anche dell'arresto, per una serie di reati anche gravi, tra i quali l'abuso d'ufficio e la rivelazione di segreto istruttorio (Il Resto del Carlino del 5 aprile 2015, «Inchiesta sull'assenteismo. Sotto accusa il denunciante»;
   il pubblico ministero incaricato della questione ha archiviato la querela nei confronti del Maggiore Caglioti, ma il Mancini Mauro, forte della citata sentenza di annullamento del provvedimento di convalida dell'arresto, ha proposto opposizione al GIP il quale, a sua volta, in data 28 ottobre 2015, ha disposto l'archiviazione del procedimento penale a carico del Maggiore CAGLIOTI (Il Messaggero del 1° novembre 2015, «In tribunale archiviato procedimento su Marco Caglioti»);
   la stessa querela, nel frattempo, veniva trasmessa all'autorità anticorruzione del comune di Ancona e, poi, girata all'ufficio provvedimenti disciplinari, che apriva procedimento disciplinare nei confronti del Maggiore Caglioti (Il Resto del Carlino del 20 novembre 2015, «Indaga sugli assenteisti e rischia il posto: è rivolta»; cfr. contestazione di addebito disciplinare Prot. RIS n. 19476 del 19 febbraio 2015);
   peraltro, proprio in virtù della trasmissione della querela all'autorità anticorruzione, al Mancini venivano concesse le garanzie previste dalla cosiddetta legge Brunetta (ex articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001), con conseguente impossibilità di procedere in sede disciplinare nei suoi confronti; le stesse garanzie di cui all'articolo 54-bis, invece, a quanto risulta all'interrogante sono state paradossalmente negate a chi aveva denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, portandoli a conoscenza dell'amministrazione del comune di Ancona (Il Resto del Carlino del 5 aprile 2015, «Inchiesta sull'assenteismo. Sotto accusa il denunciante») e, ciò, nonostante l'istanza formale del Maggiore Caglioti di applicazione, anche nei propri confronti, delle guarentigie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 (cfr. «riscontro a nota iscitta al prot. RIS n. 19476 del 19 febbraio 2015», protocollo generale del comune di Ancona, 18 marzo 2015);
   lo stesso Caglioti, tra l'altro, nella sua qualità di funzionario della sezione di polizia giudiziaria del Comando di polizia giudiziaria municipale del comune di Ancona, con comunicazione del 9 novembre 2015, indirizzata al segretario generale ed al dirigente-ufficio provvedimenti disciplinari del comune di Ancona, avente ad oggetto «trasmissione atti provvedimento di archiviazione rgnr 639/15 e rg.gip 1158/15», prot. n. 138730-bis), provvedeva alla tempestiva trasmissione del provvedimento di archiviazione del gip di Ancona, richiedendo, pertanto, la chiusura del procedimento disciplinare attivato nei suoi confronti;
   eppure, in data 10 novembre 2015, sempre su segnalazione dell'Autorità anticorruzione e trasparenza del comune di Ancona, veniva notificato avviso di apertura di procedimento disciplinare anche nei confronti dell'agente Gambini Daniele, anch'egli appartenente alla sezione di polizia giudiziaria del comando di polizia municipale di Ancona e, anche lui, tra i partecipanti all'indagine sull'assenteismo nello stesso comando, per gli stessi fatti già contestati al Maggiore Caglioti, fatti per i quali quest'ultimo era già stato giudicato dal GIP con archiviazione del caso (cfr. contestazione di addebito disciplinare, Ufficio procedimenti disciplinari, prot. RIS n. 138492/III.13 del 9 novembre 2015);
   solo in data 10 dicembre 2015, finalmente, l'ufficio procedimenti disciplinari del comune di Ancona ha disposto la chiusura del procedimento disciplinare nei confronti del Maggiore Caglioti e dell'agente Gambini, in ragione della archiviazione del procedimento penale che li vedeva coinvolti (cfr. comunicazione dell'ufficio procedimenti disciplinari del comune di Ancona indirizzata all'agente Gambini, Prot. RIS n. 153471 del 10 dicembre 2015);
   appare paradossale che, sulla base di una semplice querela presentata dal Mancini, i principi che reggono le norme anticorruzione non possano essere applicati a coloro che sono indagati per reati gravissimi, come le indagini hanno dimostrato, e che, invece, gli stessi si vedano ampiamente tutelati dalla stessa Autorità che li dovrebbe perseguire. Allo stato attuale, quindi, tutti gli indagati continuano tranquillamente a svolgere la propria attività all'interno del comando, ad eccezione del Mancini Mauro e del Tesei Alessandro che, invece, sono stati trasferiti in altri uffici del comune (http://www.ilrestodelcarlino.it);
   appare altresì anomalo che nessun procedimento disciplinare, a quanto consta all'interrogante sia stato, invece, attivato nei confronti del dirigente della polizia municipale, dottor Massimo Fioranelli, tenuto a vigilare sul comportamento dei suoi sottoposti;
   da fonti stampa («Il Comune premia anche i vigili indagati», di Alessandra Caminetti, dal Corriere Adriatico del 4 novembre 2015 si apprende, inoltre, che ad entrambi gli agenti indagati risulta conferito il premio di produttività relativo all'anno 2014 (circa 700 euro) –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza in relazione alla vicenda dei vigili della sezione di polizia giudiziaria del comando del comune di Ancona, che hanno partecipato alle indagini nei confronti dei colleghi assenteisti, senza godere delle guarentigie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, soprattutto in considerazione dell'archiviazione del procedimento penale a loro carico, e se in particolare ritenga che sussistano i presupposti per l'avvio di iniziative ispettive anche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del medesimo decreto legislativo. (4-14364)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con le quali si chiede di conoscere le iniziative normative e regolamentari che il Governo intende adottare per rafforzare i meccanismi di controllo dei fenomeni di assenteismo e di violazione dei doveri d'ufficio dei dipendenti pubblici.
  Anzitutto, mi preme evidenziare che, a seguito della segnalazione pervenuta dall'interrogante, l'ispettorato per la funzione pubblica ha avviato un'apposita attività istruttoria, con la quale ha acquisito gli elementi dell'amministrazione interessata al caso specifico.
  All'esito della predetta attività istruttoria, il comune di Ancona ha comunicato di aver tempestivamente attivato i procedimenti disciplinari di propria competenza, tuttora in itinere. È fatta salva, naturalmente, la competenza degli organi giurisdizionali nell'accertamento delle eventuali responsabilità penali, civili e contabili.
  Più in generale, il ripetersi di episodi di assenteismo come quello evidenziato nell'interrogazione in esame, hanno reso necessaria l'adozione di una serie di misure volte a rafforzare la tutela della pubblica amministrazione, abbreviando e rendendo più efficace l’iter per procedere a licenziamento del dipendente che si renda responsabile di gravi irregolarità, quale sicuramente è la falsità dell'attestazione della presenza in servizio.
  Per tale motivo il Governo, con il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, successivo agli episodi segnalati, è intervenuto proprio sul tema del licenziamento disciplinare, prevedendo un nuovo strumento di immediato allontanamento del lavoratore che sia venuto meno ai propri doveri d'ufficio, attestando falsamente la sua presenza. Tale condotta, se rilevata in flagranza attraverso gli ordinari strumenti di controllo della presenza in ufficio, comporterà la sospensione cautelare immediata senza stipendio del dipendente entro quarantotto ore, e, se confermata, all'esito del procedimento disciplinare, dovrà portare al licenziamento del dipendente ritenuto colpevole entro trenta giorni.
  L'intervento normativo permette, per la prima volta, di sanzionare immediatamente e più efficacemente i dipendenti che tradiscono la fiducia dei cittadini e dei colleghi, estendendo la responsabilità anche al dirigente che ometta, appunto, di attivarsi per punire questo genere di condotta.
  Oltre alla responsabilizzazione del dirigente, è prevista l'immediata segnalazione degli episodi in questione alle competenti autorità per l'accertamento di eventuali responsabilità penale e contabili.
  L'intervento del Governo si è reso necessario per superare un meccanismo lento, farraginoso e inefficace: basti pensare che, secondo i dati riguardanti il vecchio regime, occorrevano 102 giorni per arrivare alla fine di un procedimento di licenziamento (salvo impugnativa presso il giudice); inoltre, su 7000 procedimenti disciplinari, sono stati registrati appena 100 casi di licenziamento per assenteismo. In questa ottica, la previsione di una misura cautelare di sospensione immediata del dipendente infedele, entro 48 ore dal fatto accertato in flagranza, e la previsione del licenziamento attraverso un procedimento accelerato, della durata di 30 giorni, restituisce dignità alla funzione pubblica e alla immagine della pubblica amministrazione, favorendo comportamenti virtuosi.
  La misura sanzionatoria introdotta con il decreto citato è, quindi, utile oltre che per punire anche per prevenire il diffondersi di comportamenti scorretti e inaccettabili e per salvaguardare, insieme all'efficienza della pubblica amministrazione, tutti quei dipendenti pubblici che ogni giorno svolgono con dedizione e competenza il proprio lavoro.
La Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   BASILIO, ALBERTI, SORIAL e COMINARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Villa Zanardelli, situata nel territorio del comune di Toscolano Maderno, lungo le rive del Lago di Garda, rappresenta un complesso immobiliare di notevole pregio e prende il nome dal suo fondatore, l'insigne giurista e patriota Giuseppe Zanardelli, che nel 1888 la edificò e la adibì a sua dimora negli ultimi anni di vita;
   la struttura, dall'indiscusso valore storico ed architettonico, è costituita da una villa ottocentesca, ricca di affreschi, statue ed arredi e da un grande parco, area posta in zona protetta da vincolo paesaggistico ed a sua volta assoggettata ad ulteriore vincolo monumentale, con diritto per lo Stato di prelazione in caso di vendita;
   attualmente la Villa, di proprietà della Fondazione Villa Paradiso ONLUS, ente con finalità non lucrative, è adibita a residenza sanitaria per disabili gestita dalla Fobap-Anffas ed ospita circa cinquanta persone tra personale sanitario e degenti;
   da recenti notizie provenienti da organi di stampa locale e nazionale, sembrerebbe che la predetta Fondazione sia intenzionata a vendere la proprietà della Villa ad una società privata, denominata «Società del Lago Srl», costituita in data 5 dicembre 2014 e con capitale sociale di euro 40.000,00 e, quindi, notevolmente inferiore rispetto alla stima di valore del complesso monumentale;
   talune notizie riferiscono, inoltre, di una cordata di imprenditori provenienti dall'Europa dell'Est, interessati all'acquisto del complesso ottocentesco, con finalità di riqualificazione della residenza privata e dell'adiacente parco;
   una volta conclusa la compravendita, i servizi e le strutture ANFFAS per i disabili dovrebbero essere trasferiti presso una nuova sede, che il comune di Toscolano Maderno avrebbe già individuato nella zona della piana di Gaino;
   il complesso immobiliare Villa Zanardelli è di inestimabile valore storico, culturale ed ambientale per i cittadini ed il territorio di Toscolano Maderno e tale compravendita, con il passaggio da una proprietà «pubblica» a proprietà privata, determinerebbe il rischio della perdita della fruibilità da parte del pubblico di un simile complesso monumentale, oltre che il rischio di mettere in pericolo la conservazione e la manutenzione di statue, arredi ed affreschi contenuti al suo interno;
   tali notizie hanno destato clamore e preoccupazione nella comunità locale, al punto da che è stato creato un gruppo di un noto social network contro la vendita ed a sostegno della natura «pubblica» di Villa Zanardelli, ritenuta da molti estimatori simbolo di identità bresciana e nazionale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se le trattative di compravendita privata di Villa Zanardelli trovino conferma;
   se non ritengano opportuno, previa dichiarazione dell'interesse culturale di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, destinare la Villa ed il suo parco a complesso museale, al fine di salvaguardare il patrimonio storico, culturale ed architettonico ivi contenuto;
   se risultino quali siano i criteri adottati per la scelta del contraente nell'ambito del procedimento avente ad oggetto la compravendita di Villa Zanardelli.
(4-11268)


   BASILIO, ALBERTI, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con un'interrogazione parlamentare datata 25 novembre 2015 (n. 4-11268), i sottoscritti interrogavano il Ministro dell'interno ed il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in merito alla presunta compravendita privata di Villa Zanardelli, complesso immobiliare di notevole pregio sito nel territorio del comune di Toscolano Maderno, lungo le rive del Lago di Garda;
   come è noto, infatti, la predetta struttura, che prende il nome dal suo fondatore (l'insigne giurista e patriota Giuseppe Zanardelli), è costituita da una villa ottocentesca, ricca di affreschi, statue ed arredi e da un grande parco, area posta in zona protetta da vincolo paesaggistico ed a sua volta assoggettata ad ulteriore vincolo monumentale, con diritto per lo Stato di prelazione in caso di vendita;
   in particolare, con il predetto atto di sindacato ispettivo, il ancora senza risposta si chiedeva «- Se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se le trattative di compravendita privata di villa Zanardelli trovino conferma;
   se non ritengano opportuno, previa dichiarazione dell'interesse culturale di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, destinare la Villa ed il suo parco a complesso museale, al fine di salvaguardarne il patrimonio storico, culturale ed architettonico ivi contenuto;
   se risultino quali siano i criteri adottati per la scelta del contraente nell'ambito del procedimento avente ad oggetto la compravendita di Villa Zanardelli»;
   a seguito di un incontro svoltosi nel mese di febbraio 2016 presso la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova, gli interroganti apprendevano che nonostante la Villa fosse di pregevole livello architettonico, sussisteva in capo alla stessa un generico vincolo «ambientale»;
   viceversa, la sola casa del custode della Villa, manufatto pressoché irrilevante rispetto al restante complesso monumentale, risulterebbe vincolata, con specifico provvedimento (decreto del Ministero direzione regionale della Lombardia del 12 dicembre 2007, rep. 17489/07 trascritto alla C.R.R.I.I. di Salò il 27 febbraio 2008 n. 1018 Particolo 1535 Gen. All. 2);
   nonostante le «rassicurazioni» ricevute dal soprintendente di Brescia, secondo cui su richiesta dell'ente proprietario della Villa (Fondazione Villa Paradiso) era già in corso il procedimento di vincolo, ad oggi non risulta ancora trascritto alcun vincolo o dichiarazione di interesse culturale, nemmeno di natura cautelare-provvisoria, a tutela di Villa Zanardelli, del suo parco e delle sue pertinenze, come risulta da un'ispezione ipotecaria del 17 maggio 2016;
   risulta, invece, già trascritto fin dal 2014 il contratto preliminare di compravendita tra la Fondazione Villa Paradiso ed una ignota società privata, operazione rispetto alla quale ogni futuro vincolo pubblicistico risulterà confliggente;
   è di tutta evidenza che una simile operazione, a vantaggio dello scopo di lucro privato, rischia di mortificare il valore, anche simbolico, di un complesso monumentale come Villa Zanardelli e di pregiudicare gli interessi di fruibilità di un bene di valore storico, architettonico e culturale per l'intera collettività –:
   se i Ministri interrogati intendano fornire risposte chiare, esaurienti ed immediate rispetto alla questione già posta con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-11268 del 25 novembre 2015;
   se sia in corso il procedimento amministrativo per la dichiarazione di interesse culturale di Villa Zanardelli e del suo parco ex articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e quali siano i tempi per la sua conclusione;
   se si ravvisino colpevoli ritardi ed omissioni, anche rispetto all'insussistenza di vincoli cautelari provvisori, in ordine alle tempistiche per la conclusione del predetto procedimento. (4-13480)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente agli atti di sindacato ispettivo in esame, nei quali l'interrogante, insieme agli altri deputati, in tempi successivi e dando conto dell'evoluzione della vicenda, a suo avviso suscettibile di mettere a rischio un bene di rilevante interesse culturale, chiede di sapere in particolare se sia in corso il procedimento amministrativo per la dichiarazione di interesse culturale di Villa Zanardelli e del suo parco ex articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), e quali siano i tempi per la sua conclusione.
  A tal proposito si comunica quanto segue, anche assunti elementi da parte degli uffici periferici competenti.
  Il complesso architettonico della Villa Zanardelli è stato da sempre all'attenzione di questa Amministrazione, come meritevole di tutela e di conservazione e quale esempio particolarmente significativo di dimora signorile gardesana di inizio Novecento, pervenuta ai giorni nostri in buono stato conservativo e manutentivo.
  Innanzitutto si conferma quanto correttamente riferito dall'interrogante, circa il fatto che la «Casa del custode», facente parte del complesso, è stata già sottoposta a tutela da parte di questa Amministrazione con decreto del dirigente regionale 12 dicembre 2007.
  Recentemente poi, a seguito della procedura di verifica dell'interesse culturale, discussa in sede di commissione regionale per il patrimonio culturale con esito favorevole il 1o agosto 2016, il complesso architettonico della Villa Zanardelli con giardino, parco ed ex limonaia è stato dichiarato d'interesse culturale con decreto del 23 settembre 2016 ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale dichiarazione comporta, come è noto, la sottoposizione del bene alle penetranti norme di tutela recate dal Codice.
  In particolare, per ciò che attiene alla prospettata alienazione, si fa presente che, successivamente all'adozione del suddetto decreto, non risulta ancora presentata agli organi del Ministero la prescritta richiesta di autorizzazione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2013 veniva depositata l'interrogazione a risposta scritta 4-00928 riguardante gli affreschi rinvenuti nel 1857 nella tomba François a Vulci e il loro trasferimento effettuato da Torlonia, allora proprietari del fondo, in una delle sedi della famiglia a Roma;
   con risposta scritta pubblicata giovedì 3 ottobre 2013 nell'allegato B della seduta n. 90, il Ministro interrogato ha chiarito alcune parti della vicenda;
   in particolare il Ministro ha risposto che: «Nel mese di maggio 2013 è stato eseguito un sopralluogo da parte di funzionari responsabili dell’“Istituto superiore per la conservazione e il restauro”, che ha tra i suoi fini istituzionali la promozione e l'espletamento di attività di ricerca, la progettazione, la sperimentazione e la verifica nel campo della tutela dei beni culturali». E che «hanno verificato che le condizioni ambientali del locale non sembrano determinare situazioni di rischio e che il luogo di conservazione, per quanto riguarda l'umidità e la temperatura, risulta controllato attraverso l'uso di un termoigrografo.»;
   il termoigrografo o «igrotermografo» è uno strumento che registra la temperatura e l'umidità relativa della massa d'aria circostante e non per forza uno strumento che ne regola i valori;
   il Ministro ha affermato che «Le raccomandazioni relative alla conservazione, emanate dal suddetto istituto, di concerto con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, sono state, pertanto, recepite e attuate dagli attuali detentori e proprietari delle opere» –:
   se il sopralluogo da parte di funzionari responsabili dell’«Istituto superiore per la conservazione e il restauro» avvenuto nel maggio del 2013 sia stato l'unico sopralluogo effettuato e se, in caso, intenda fornire i dati relativi al numero di sopralluoghi effettuati negli anni;
   se sia stato redatto, da parte dei funzionari responsabili dell’«Istituto superiore per la conservazione e il restauro», un verbale del sopracitato sopralluogo e se intenda rendere disponibile una copia;
   se, vista la tortuosità dell'intera vicenda che costringe l'istituto superiore per la conservazione e il restauro ad effettuare sopralluoghi in struttura privata intenda comunicare gli eventuali costi dei sopralluoghi;
   se non ritenga opportuno addossare gli eventuali costi dei sopralluoghi all'amministrazione Principe Torlonia;
   se il termoigrografo citato dal Ministro in risposta all'interrogazione 4-00928 di cui in premessa, abbia capacità di solo controllo o se sia implementato da uno strumento di regolazione dei valori di umidità e temperatura dell'aria;
   se intenda rendere disponibili, in caso il termoigrografo di cui al quesito precedente sia implementato di strumento di controllo dei valori di umidità e temperatura dell'aria, gli eventuali documenti e certificazioni che ne attestino la reale capacità di regolazione dei suddetti valori.
(4-05638)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato in esame, nel quale l'interrogante, facendo seguito alla risposta avuta alla precedente interrogazione 4-00928, riguardante sempre la conservazione degli affreschi della tomba François di Vulci, chiede alcune integrazioni e ulteriori precisazioni.
  L'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (di seguito ISCR) ha precisato che, al sopralluogo del maggio 2013, «mirato alla definizione di azioni preliminari allo spostamento degli affreschi presso il casale di Monte Giulio a Fiumicino», ne è seguito un secondo nel settembre dello stesso anno, presso il casale di Fiumicino «per valutare la fattibilità della sua trasformazione in sede espositiva».
  I sopralluoghi, effettuati da funzionari dell'ISCR, insieme a funzionari della soprintendenza speciale per il Colosseo, il museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma, competente per territorio e materia, sono avvenuti nell'ambito della continua attività di consulenza scientifica che l'istituto presta alla soprintendenza speciale, così come agli altri istituti del Ministero preposti alla tutela, con riguardo alla conservazione del patrimonio culturale in generale e, nel caso specifico, con riguardo ai dipinti murali della tomba François, di proprietà dei Torlonia e soggetti alle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali.
  In merito ai costi sostenuti per tali attività, l'ISCR ha precisato che, in ottemperanza allo statuto dell'istituto stesso, organo di consulenza tecnico-scientifica del Ministero, tali attività rientrano fra le attività istituzionali dei funzionari dell'istituto, in quanto si tratta, nello specifico, di «consulenze tecniche», fornite a supporto degli uffici preposti alla tutela, riguardanti manufatti di proprietà privata, sottoposti a vincolo, quali sono i dipinti murali della tomba François.
  Tutte le consulenze tecnico-scientifiche prestate dai funzionari dell'istituto, relativamente a beni sotto la tutela dello Stato, non sono soggette a rimborso di costi. Nel caso specifico, inoltre, non sono stati sostenuti costi aggiuntivi a carico dell'amministrazione.
  La soprintendenza speciale per il Colosseo, il museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma ha confermato il proprio «parere positivo alla permanenza degli affreschi provenienti dalla tomba François all'interno dei locali di proprietà della famiglia Torlonia, dove sono risultati sistemati adeguatamente e in buono stato di conservazione».
  Nel sopralluogo effettuato dall'istituto superiore per la conservazione e il restauro, infatti, si è potuto constatare che «i manufatti sono opportunamente protetti, collocati su strutture predisposte ad hoc e che il controllo del microclima avviene mediante l'uso di un termoigrografo, i cui dati vengono raccolti da un restauratore di fiducia dei due Istituti coinvolti, pronto a intervenire se necessario».
  È sicuramente condivisibile che gli affreschi della tomba François possano essere fruibili dal pubblico, in condizioni che ne consentano comunque la conservazione. In questo senso, è stato accolto, nella seduta della Camera dei deputati n. 508 del 22 ottobre 2015, l'ordine del giorno 9/03315-A/044, proposto dall'interrogante, col quale si impegna il Governo «ad intraprendere ogni utile azione affinché l'inestimabile opera d'arte sia non soltanto resa pienamente fruibile da parte di tutti i cittadini ma sia conservata in modo adeguato e opportunamente valorizzata».
  L'amministrazione, che ha stipulato, in data 15 marzo 2016, un accordo con la fondazione Torlonia di reciproca collaborazione per la piena valorizzazione della collezione di marmi antichi della Fondazione, auspica di poter, in futuro, giungere a ulteriori accordi in modo da consentire una fruizione pubblica di altre importanti opere, tra cui gli affreschi della tomba François e i circa duecento vasi provenienti da Vulci che, essendo attualmente oggetto di proprietà indivisa tra gli eredi del principe Giovanni Torlonia e di contenzioso, non hanno potuto essere compresi nell'accordo citato.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, DAGA, MANLIO DI STEFANO e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che il corpo di Lesbia Janeth Urquia, che era stata in precedenza rapita, è stato ritrovato il 6 luglio 2016 nei pressi di una discarica di spazzatura a Marcala, nella regione di La Paz in Honduras a circa cento chilometri da Tegucigalpa. La donna è stata uccisa con un colpo di machete alla testa;
   Urquia apparteneva alla organizzazione non governativa Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene, dell'Honduras (Copinh), l'organismo fondato da Beta Caceres, l'attivista assassinata nel marzo 2016. Il Copinh lotta contro la costruzione di centrali idroelettriche in territori popolati da indigeni;
   per l'omicidio di Berta Caceres sono state arrestate 4 persone, fra le quali dei militari. Un altro attivista del gruppo, Tomas Garcia, era stato ucciso pochi giorni dopo l'omicidio di Caceres in circostanze poco chiare;
   Quarantanove anni, Urquia, lottava contro la costruzione della diga sul fiume Chinacla, che inonderebbe ettari ed ettari di territorio su cui vive il popolo indigeno dei Lenca, nell'Honduras occidentale. Madre di quattro figli, possedeva due alberghi e un mercatino dell'usato;
   «La morte di Lesbia Yaneth costituisce un femminicidio politico che cerca di far tacere le voci delle donne che con coraggio e valore difendono i propri diritti contro il sistema patriarcale, razzista e capitalista», dice il comunicato del Copinh. Dal 3 marzo, quando venne ammazzata Berta Caceres, il Copinh chiede giustizia per l'attivista, che pochi mesi prima aveva ricevuto il Premio Goldman, il massimo riconoscimento mondiale per i difensori dell'ambiente. Urquia organizzava la resistenza indigena e contadina contro la costruzione di un'impresa idroelettrica nel dipartimento di La Paz;
   quest'ultimo crimine si somma a una lunga fila di morti dello stesso tipo. L'organizzazione Global Witness ricorda che in Honduras sono stati uccisi 114 ambientalisti in poco meno di dieci anni;
   «Nel 2015, più di tre persone alla settimana sono morte assassinate per difendere la loro terra, i loro boschi e il loro fiumi delle industrie distruttive». A dirlo è il nuovo rapporto « On Dangerous Ground» pubblicato da Global Witness che documenta 185 morti di cui si è a conoscenza che sono avvenute l'anno scorso in tutto il mondo, che sarebbero solo una parte degli omicidi di difensori dell'ambiente ma che sono già il triste record delle vittime ambientaliste mai registrate, con un aumento del 59 per cento rispetto al 2014. Come spiegano a Global Witness, «Le gravi restrizioni informative esistenti comportano senza dubbio una cifra reale maggiore»;
   nel 2015 i Paesi più mortali per gli attivisti della terra e dell'ambiente sono stati: Brasile (50 morti); Filippine (33), mai così tanti in questo Paese asiatico; Colombia (26); Perù (12), Nicaragua (12) Repubblica democratica del Congo — Rdc (11). Tra le principali cause di questi assassinii ci sono: le miniere (42 casi), l'agroindustria (20), il disboscamento (15) e i progetti idroelettrici (15);
   Billy Kyte, responsabile champagne di Global Witness, evidenzia che «Con la continua richiesta di prodotti come minerali, legname e olio di palma, governi, imprese e bande criminali si stanno appropriando della terra ignorando la gente che ci vive. È sempre più comune che le comunità che vivono in questi territori si trovino nel mirino della sicurezza privata delle imprese, della forze statali e di un mercato fiorente che assolda i killer. Per ogni assassinato che documentiamo, ce ne sono molti altri che non vengono denunciati»;
   Kyte ricorda a tutti noi che «Gli assassinii che avvengono in aree in aree minerarie remote, in villaggi nel cuore delle selve tropicali e restano impuniti, sono il frutto delle decisioni che prendono i consumatori dall'altra parte del mondo. Le companies e gli investitori devono tagliare i loro legami con quei progetti che opprimono i diritti che hanno le comunità sulla loro terra. Il riscaldamento climatico e la crescita della popolazione implicano che ci sarà un aumento della domanda di terra e risorse naturali. Senza un intervento urgente, il numero di morti al quale stiamo assistendo attualmente sarà da considerarsi una minuzia in paragone con quel che sta per avvenire»;
   Global Witness chiede ai Governi dei Paesi più colpiti di: aumentare la protezione degli attivisti della terra e dell'ambiente che sono a rischio di subire atti violenti, intimidazioni e minacce; indagare sui delitti, comprese le menti corporative e politiche che sono dietro gli assassini, e portare gli autori davanti alla giustizia; difendere il diritto degli attivisti ad opporsi alla realizzazione di progetti nella loro terra e a garantire che le companies siano proattive nella ricerca del consenso delle comunità; risolvere le cause alla base della violenza contro i difensori, riconoscendo ufficialmente i diritti delle comunità sulla terra e combattendo la corruzione e le attività illegali che affliggono i settori delle risorse naturali;
   la complessità politica ed economica dei tempi attuali ci sovrasta. La globalizzazione ha in parte inglobato la precedente griglia geopolitica, sostituendola con un campo planetario aperto ai movimenti dei grandi capitali. In questo nuovo scacchiere l'Italia è parte del contesto europeo e come tale partecipa nel bene e nel male degli accordi commerciali firmati dall'Unione con altri partner. Spesso questi accordi vengono presi alle spalle e all'insaputa dei cittadini, ai quali non rimane che il ruolo di consumatori finali di prodotti sempre più globali. Il caso più eclatante è il TTIP, l'accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato dal 2013 tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, contro il quale si stanno mobilitando milioni di persone in tutto il continente;
   parallelamente l'Unione europea firma accordi commerciali analoghi con altre aree del pianeta — in particolare: con il Centro-America – in un percorso inarrestabile che vede sempre più minata la sovranità degli Stati e dei cittadini. Tecnicamente questi accordi mirano ad integrare i mercati, riducendo i dazi doganali e rendendo così possibile la libera circolazione delle merci, e a facilitare il flusso degli investimenti e l'accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti. Di fatto questi accordi ridisegnano le aree di produzione, distribuzione e consumo delle merci andando spesso a distruggere aree economico-sociali nonché intere comunità e culture. Gli interroganti trovano ingiusto che l'Europa e quindi l'Italia debbano trovare e mantenere accordi commerciali con Paesi che non riescono a garantire al proprio interno i diritti fondamentali della persona e del lavoro;
   il 28 giugno 2016 il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva l'autorizzazione alla ratifica ed esecuzione dell'Accordo di associazione fra l'Unione europea ed i sei Stati centro-americani (Costarica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama), considerati come un'entità regionale integrata, fatto a Tegucigalpa il 29 giugno 2012 (Il Parlamento europeo ha dato il suo assenso per la ratifica nella sessione plenaria dell'11 dicembre 2012);
   l'Accordo in esame presenta un'ampiezza notevole, contando oltre al preambolo 363 articoli, e inoltre 21 allegati, alcune dichiarazioni e un protocollo relativo alla cooperazione culturale. Si rileva, in particolare, la mole dell'allegato I, dedicato alla soppressione dei dazi doganali, che da solo occupa quasi 1.700 pagine. Gli articoli dell'Accordo sono raggruppati in cinque parti: la parte prima è dedicata alle disposizioni generali e istituzionali, la parte seconda riguarda i profili del dialogo politico tra Unione europea e America centrale e pone fra gli obiettivi di esso l'istituzione di un partenariato politico privilegiato fondato sul rispetto e la promozione della democrazia, della pace, dei diritti umani. La parte terza riguarda i molteplici risvolti della cooperazione tra l'Unione europea e l'America centrale. Oltre a ribadire l'obiettivo del rafforzamento dello Stato di diritto, del buon governo e del rispetto dei diritti umani, nel settore della giustizia e della sicurezza si dà rilievo alla cooperazione per elevare il livello di protezione dei dati personali ai più rigorosi standard internazionali;
   per quanto concerne lo sviluppo e la coesione sociale si afferma la necessità che si accompagnino in parallelo allo sviluppo economico, e a tale scopo particolare rilievo assumono l'azione per la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale, nonché le azioni positive nel campo dell'occupazione, della protezione sociale, dell'istruzione, della sanità, delle pari opportunità e, di particolare rilievo per la zona centroamericana, quelle a favore dei diritti e delle libertà fondamentali dei popoli indigeni;
   in più parti dell'accordo si ribadisce che a base dell'accordo stesso vi deve essere il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, enunciati nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; il principio dello Stato di diritto è alla base delle politiche interne e internazionali di entrambe le parti e costituisce un elemento essenziale dell'accordo;
   tra gli obiettivi perseguiti dalle parti vi è: a) rafforzare e consolidare i rapporti tra le parti attraverso un'associazione fondata su tre parti fondamentali dell'accordo tra loro interdipendenti: il dialogo politico, la cooperazione e gli scambi commerciali, sulla base del rispetto reciproco, della reciprocità e dell'interesse comune. L'attuazione dell'accordo utilizza appieno le disposizioni e i meccanismi istituzionali concordati dalle parti; b) sviluppare un partenariato politico privilegiato fondato su valori, principi e obiettivi comuni, in particolare sul rispetto e sulla promozione della democrazia e dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, del buon governo e dello Stato di diritto, con l'impegno a promuovere e proteggere questi valori e questi principi su scala mondiale, in modo da contribuire al rafforzamento del multilateralismo;
   il dialogo politico tra le parti crea le condizioni per varare nuove iniziative volte al perseguimento di obiettivi comuni e alla creazione di un terreno comune in ambiti quali: l'integrazione regionale, lo Stato di diritto, il buon governo, la democrazia, i diritti umani, la promozione e la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dei popoli e degli individui indigeni, quali sanciti dalla dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, le pari opportunità e l'uguaglianza di genere, la struttura e l'orientamento della cooperazione internazionale, le migrazioni, la riduzione della povertà e la coesione sociale, le norme fondamentali del lavoro, la tutela dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali, la sicurezza e la stabilità regionale (compresa la lotta contro l'insicurezza dei cittadini), la corruzione, la droga, la criminalità organizzata transnazionale, il traffico di armi leggere e di piccolo calibro e delle relative munizioni, la lotta al terrorismo, la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti;
   se dunque l'accordo è vincolato essenzialmente al rispetto dei diritti umani gli interroganti sono dell'opinione che le morti degli ambientalisti sopra riportate ledano la rispettabilità dell'accordo e della posizione delle parti, a tal punto da augurare una revisione dell'accordo stesso;
   la durata dell'Accordo è illimitata, ma ciascuna delle Parti (articolo 354) può notificare per iscritto l'intenzione di denunciarlo: il Consiglio di associazione decide le eventuali misure transitorie necessarie, e la denuncia ha effetto trascorsi sei mesi dalla notifica. L'articolo 355 riguarda le misure che le Parti possono adottare affinché un'altra Parte adempia agli obblighi connessi all'Accordo in esame: è considerata violazione sostanziale dell'Accordo una denuncia dello stesso non autorizzata dalle norme generali di diritto internazionale, ovvero una violazione di elementi essenziali dell'Accordo medesimo;
   i movimenti sociali e popolari dell'America centrale hanno fortemente criticato e protestato contro questa tipologia di accordo che finisce per sostenere una logica neoliberista di saccheggio delle risorse naturali di quei Paesi, che già fortemente e per molti decenni, hanno subito diverse forme di colonialismo. Gli interroganti temono che questo tipo di logica neoliberista possa favorire le multinazionali, non solamente americane ma, in questo caso, anche europee, a discapito dell'ambiente e delle popolazioni locali dell'America centrale, nonché della qualità e degli standard dei beni e servizi europei;
   l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è un programma d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell'ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Uno degli obiettivi dell'agenda è quello di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo incoraggiando le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e ad integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali;
   in data 29 giugno 2016 è stata approvata la risoluzione in Commissione affari esteri e comunitari n. 8-00188 prima firma Spadoni sul fenomeno chiamato « land grabbing», con la quale si è impegnato il Governo ad adoperarsi affinché nell'ambito del Comitato per la sicurezza alimentare (CFS) sugli investimenti responsabili in agricoltura (Responsible Agricultural Investment – RAI) venga valutato l'obbligo, per gli investitori, di rispettare i diritti alla terra legittimi delle donne, dei piccoli agricoltori e delle popolazioni indigene, facendo si che sia riconosciuto il principio del consenso previo, libero e informato per le forme tradizionali di uso della terra e sia prevista l'introduzione di misure atte a proibire le acquisizioni di terra su larga scala, compreso l'accaparramento di acqua e altre risorse naturali;
   è altresì opinione degli interroganti che sarebbe bene istituire una commissione internazionale imparziale per l'investigazione dei crimini esposti in premessa, cui possano partecipare la Commissione interamericana per i diritti umani, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e gli organi governativi competenti –:
   quali iniziative efficaci di competenza intenda adottare affinché venga istituita la commissione internazionale per l'investigazione dei crimini evidenziati in premessa;
   se non ritenga opportuno adoperarsi in ogni sede competente al fine di evitare il ripetersi di certi eventi delittuosi;
    a seguito dei fatti esposti in premessa, se non ritenga opportuno farsi promotore in sede unionale della iniziativa di avviare una procedura di revisione dell'accordo di associazione fra l'Unione europea ed i sei Stati centro-americani che miri a rafforzare ulteriormente la promozione della sicurezza delle persone, dell'assetto democratico, della pace e dei diritti umani, così come previsto dall'accordo, pena la denuncia, dell'accordo stesso e la sua sospensione. (4-13837)

  Risposta. — Il tema della sicurezza è considerato uno dei settori qualificanti della cooperazione fra l'Italia e i suoi partner centro-americani soprattutto dal 2010, quando fu indetta a Roma una riunione con i Ministri della giustizia e degli interni dei Paesi SICA (Sistema di integrazione centroamericana) e del Messico. Questo appuntamento ha costituito la prima tappa di un dialogo che negli anni si è concentrato sulle urgenze di una regione in cui la presenza delle organizzazioni criminali è pervasiva e ramificata e che molto risente della capacità e della forza espansiva dei cartelli messicani del narcotraffico.
  Honduras, Guatemala e El Salvador, Paesi del cosiddetto Triangolo Nord, registrano uno dei tassi di omicidi più elevati al mondo, principalmente ad opera delle cosiddette «maras» organizzazioni criminali legate al narcotraffico.
  Nei primi sette mesi del 2016 – dopo il fallimento della cosiddetta «tregua Stato-maras», che aveva in effetti prodotto una drastica riduzione nei tassi di mortalità per omicidi – le Autorità del Salvador hanno registrato 3.487 omicidi, in aumento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. I dati relativi agli omicidi in Honduras e Guatemala si mantengono ogni anno costanti. Alla base delle conflittualità rimangono le fortissime diseguaglianze sociali e lo scarso rispetto dei diritti delle popolazioni indigene, in primo luogo del diritto alla terra. A fronte del deterioramento della cornice di sicurezza, le autorità dei tre Paesi hanno avviato iniziative congiunte per intensificare la lotta alla criminalità organizzata e la cooperazione giudiziaria transnazionale e, ad agosto, i rispettivi presidenti si sono incontrati a San Salvador per discutere della creazione di una forza congiunta anticrimine.
  In tale contesto il Governo italiano continua, da un lato, a monitorare la situazione dei diritti umani in coordinamento con l'Unione europea e, dall'altro, a sostenere iniziative concrete, dettagliate di seguito, per migliorare il contesto generale della sicurezza e garantire certezza nell'applicazione del diritto, specie quello penale, dato il perdurare di un elevato livello di impunità dei reati (che giunge a toccare picchi del 99 per cento).
  Per quanto riguarda in particolare l'Honduras, il Governo italiano segue con attenzione gli sviluppi dei casi relativi alle attiviste Berta Caceres e Lesbia Yaneth Urquìa, in stretto raccordo con la delegazione Unione europea a Tegucigalpa e con le ambasciate degli altri Stati membri accreditate nel Paese. Dopo l'arresto degli esecutori materiali dei delitti, continueremo a sollecitare le autorità locali a portare avanti in modo accurato e trasparente le indagini in corso al fine di assicurare alla giustizia anche i mandanti morali di questi omicidi.
  Al contempo, sempre in Honduras il Governo italiano sostiene, con un contributo di 50.000 euro per il 2016, il programma di lotta contro la corruzione e l'impunità nel quadro della missione di appoggio ad hoc istituita (MACCIH), il cui accordo istitutivo è stato firmato ad inizio 2016 dal presidente Hernandez e dal Segretario generale dell'organizzazione degli Stati americani (OSA), Luis Almagro. Obiettivo di tale missione è quello di migliorare la funzionalità del sistema giudiziario, civile e penale dell'Honduras, con particolare riguardo alla prevenzione e alla lotta contro la corruzione e l'impunità. La missione, composta da una squadra internazionale e multidisciplinare di procuratori, giudici ed esperti, collabora con un gruppo di procuratori e giudici honduregni per sviluppare le capacità e le expertise locali e assistere la società civile nell'istituzione di un osservatorio per il monitoraggio sul funzionamento del sistema giudiziario nazionale.
  Il Governo italiano sostiene anche il programma interno lanciato dal presidente Hernandez di lotta contro la corruzione e l'impunità, frutto di un importante e innovativo dialogo avviato con le organizzazioni politiche e sociali honduregne per rafforzare lo stato di diritto e l'azione della magistratura, per un'effettiva promozione e protezione dei diritti umani. Al riguardo il presidente Hernandez, che conta sul tradizionale appoggio statunitense e dell'Unione europea, sta portando avanti un programma di modernizzazione della polizia nazionale civile attraverso l'istituzione di una « Comision de Epuracion», che intende allontanare dal corpo centinaia di agenti considerati notoramente collusi e vicini alla criminalità organizzata.
  Per quanto riguarda il Guatemala, il sostegno dell'Italia alla Commissione internazionale contro l'impunità in Guatemala (CICIG) si concretizza da alcuni anni in attività di formazione per gli operatori del settore giustizia (magistrati in particolare, data la intrinseca fragilità del sistema giudiziario guatemalteco), in particolare sui temi della lotta all'impunità dei membri delle organizzazioni criminali e dei soggetti titolari di responsabilità istituzionali ed amministrative, conniventi con le predette organizzazioni. Tali seminari e corsi di formazione sono tenuti da magistrati italiani che illustrano le esperienze positive del nostro Paese nella lotta alla criminalità mafiosa e gli strumenti legislativi ed investigativi a disposizione della magistratura italiana. Il contributo italiano alla CICIG ammonta nel 2016 a 100.000 euro.
  Infine sempre nel 2016 sono stati stanziati i fondi per la continuazione del programma Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale-IILA di sostegno alla strategia di sicurezza centroamericana del SICA con un contributo di 200.000 euro. Il programma in questione – che coprirà la fine di quest'anno e tutto il 2017 – trae ispirazione dal Plan de Apoyo 2011-2013, un articolato programma di corsi di formazione per magistrati e operatori della pubblica sicurezza in America Centrale, incentrati sui temi del sequestro e della confisca dei beni derivanti da attività illecite e del loro reimpiego sociale, specialmente in attività economiche «pulite». In tale contesto, si svolgerà il prossimo dicembre a Roma una grande conferenza internazionale organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in collaborazione con IILA alla quale parteciperanno i rappresentanti dei Paesi centro-americani per fare il bilancio di un quinquennio di collaborazione operativa con il SICA e i Paesi dell'area e delineare possibili estensioni dei progetti in tale ambito ad altri Paesi sudamericani che presentano criticità simili nel settore della sicurezza.
  Sul piano più generale, l'Italia contribuisce attivamente alle iniziative promosse in ambito europeo e internazionale in materia di promozione dei diritti economici, sociali e culturali, come previsto dal piano d'azione Unione europea per i diritti umani e la democrazia 2015-2019. Una particolare attenzione è dedicata alla protezione dei soggetti impegnati sul fronte della difesa dei diritti dei lavoratori, dei diritti relativi alla proprietà dei terreni e a quelli dei popoli indigeni, minacciati dalle ricorrenti espropriazioni dei terreni e dai fenomeni legati ai cambiamenti climatici.
  Il Governo italiano ritiene infine che l'accordo di associazione tra l'Unione europea e i sei Stati centro-americani (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama), recentemente ratificato anche dal Parlamento italiano, costituisca un importante impegno formale per poter chiedere ai Paesi centroamericani il rispetto di diritti e principi concordati.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   PAOLO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli anni ’70 la sottospecie italica – Canis lupus italicus – era giunta sull'orlo dell'estinzione; un censimento effettuato nel 1976 stimò in soli 100 esemplari il numero di lupi presenti sul territorio nazionale. La consistenza numerica nel 2004, dopo oltre trent'anni di protezione legale e nonostante il persistente bracconaggio, era stimabile in circa 1500/1900 esemplari, distribuiti stabilmente dalla Val d'Aosta alla Calabria (fonte professor Carlo Consiglio http://www.abolizionecaccia.it);
   attualmente la Commissione europea nel documento « Carnivore key actions for large populations in Europe» (sezione III, parte I, paragrafo 1.1) del gennaio 2015, stima in circa 800 esemplari la popolazione di lupi presente nel territorio in Italia ed include la specie nella categoria VU (vulnerabile);
   a parere degli interroganti, il precedente piano di gestione e tutela dei lupi non è stato rispettato e non si è dato seguito, soprattutto, ad un sistema armonico e coordinato di ricerca ed indagine su tutto il territorio italiano teso a rilevare l'effettiva consistenza della popolazione della specie con l'utilizzo di metodi efficaci, affidabili e standardizzati di ricerca e monitoraggio della specie;
   la presenza del lupo è favorita dalla scarsa presenza antropica, dalle reintroduzioni degli ungulati e altre specie selvatiche per la caccia che hanno portato all'incremento della presenza del lupo, in particolar modo alcuni distretti della Toscana;
   a partire dalla metà degli anni 2000 in alcuni areali della Toscana c’è stato un incremento dei danni da predatore a carico del bestiame domestico. Come refertato dai medici veterinari forensi, i rilievi necroscopici hanno evidenziato che sono da attribuirsi a cani vaganti, sia padronali che ferali, e a lupi; (fonte: dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico» Centro per lo studio e la documentazione sul lupo; dottor Rosario Fico medico veterinario forense, Istituto zooprofilattico Lazio e Toscana);
   ciò ha causato inevitabili conflitti, soprattutto in ambito zootecnico e in zone come quelle della Maremma dove è consuetudine non utilizzare sistemi idonei di deterrenza e si predilige l'allevamento ovino libero e brado, senza la presenza di un pastore né di cani da guardiania ed in prossimità di aree boschive;
   laddove sono state messe in pratica una serie di azioni «con l'uso di appropriati strumenti di prevenzione si riesce a minimizzare il conflitto tra predatori e zootecnia. L'amministrazione provinciale di Firenze è impegnata fin dal 2005 in un progetto di prevenzione che ha portato alla riduzione della predazione del 90 per cento» (fonte dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio-zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);
   secondo i dati raccolti nel progetto «LIFE Medwolf» (LIFE11 NAT/IT/069), realizzato in Toscana, tra le aziende che hanno denunciato danni da predazione da canidi nel 2014, il 98 per cento di queste possiede allevamenti e pascoli non vigilati da pastori, il 57 per cento non ha cani da pastore-guardiania e solo il 41 per cento ha due cani ogni 500 pecore, l'85 per cento per cento non ha recinzioni per prevenire l'attacco da parte di predatori;
   il medesimo progetto sopracitato, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, riporta che solo lo 0,3 per cento è la reale percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014, nell'ambito territoriale preso in considerazione dall'indagine scientifica;
   negli ultimi cinque anni si è assistito ad una inaccettabile recrudescenza degli abbattimenti dei lupi. Si rammenta che il lupo è patrimonio indisponibile dello stato (secondo la ratio della legge n. 968 del 27 dicembre 1977 che ha elevato la fauna selvatica da «res nullius» a «res communitatis», cioè «patrimonio indisponibile dello Stato») e si tratta quindi di una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali quali:
    la Convenzione di Berna (firmata nel 1979 e ratificata dall'Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981) inserisce il lupo nell'Allegato II che include le specie particolarmente protette e pertanto ne vieta la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio;
    la direttiva Habitat (92/43/CEE, recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 8 settembre 1997) inserisce il lupo nell'allegato D IV (protezione rigorosa) e ne proibisce il disturbo, la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio. La direttiva protegge il lupo a due livelli: a) gli Stati membri hanno l'obbligo di identificare siti di importanza comunitaria (SIC) nell'ambito della rete Natura 2000 per la protezione delle popolazioni di grandi carnivori di specie incluse nell'Allegato II. Inoltre, b) l'articolo 12 della direttiva obbliga gli Stati membri ad attivare sistemi di protezione per tutte le specie incluse nell'Allegato IV, sia all'interno che al di fuori dei siti di Natura 2000;
    la convenzione di Washington (1973) sul commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione (CITES; recepita dal nostro Paese con la legge n. 874 del 19 dicembre 1975) include la popolazione italiana di lupo nell'appendice II (specie potenzialmente minacciate). Il Consiglio d'Europa ha lanciato nel 1995 la Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE) allo scopo di «conservare, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di grandi carnivori». La LCIE ha prodotto documenti ed un piano d'azione europeo sul lupo (2000) che è stato adottato dal comitato permanente della Convenzione di Berna (raccomandazione n. 72 del 2 dicembre 1999). Più recentemente la LCIE ha prodotto le linee guida per i piani di gestione delle popolazioni di grandi carnivori (2008);
    l'Unione mondiale per la conservazione della natura (IUCN), attraverso l'inserimento nelle liste rosse, le ultime risalgono a dicembre 2008, (www.iucnredlist.org), classifica il lupo in Italia come specie criticamente in pericolo o vulnerabile come l'orso, la lince, la lontra, il camoscio d'Abruzzo;
   Lo status giuridico del lupo prevede che:
    il lupo sia specie protetta dal 23 luglio 1971 con decreto ministeriale che ne proibì la caccia;
    la legge n. 157 del 1992 inserì il lupo tra le specie particolarmente protette (articolo 2, comma 1);
    la «direttiva Habitat» recepita con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 inserì il lupo nell'allegato D, tra le specie di interesse comunitario che richiedono una rigorosa protezione;
    quindi è vietato catturare, cacciare, disturbare, possedere, trasportare, scambiare, commercializzare il lupo per il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992, articolo 8 commi 1-2;
    si prevede richiesta di autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito l'ISPRA per ogni intervento di immissione in natura (decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992 articolo 12);
    si prevede la creazione di un fondo regionale per la prevenzione e il risarcimento danni per la legge n. 157 del 1992 articolo 26;
    si prescrive il risarcimento dei danni nelle aree protette a carico dell'ente parco per la legge n. 394 del 1999 e successive modifiche;
    il lupo appartiene quindi al patrimonio indisponibile dello Stato, ed è considerata una specie particolarmente protetta in virtù della legge n. 157 del 1992;
    si prevede il monitoraggio delle popolazioni di lupi da parte delle regioni sulla base di linee guida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Ispra e del Mipaf, decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, articolo 7 comma 2;
   riguardo agli «ibridi» il regolamento (UE) 338/97 cosiddetto CITES stabilisce che fino alla quarta generazione (F4) ancorché ibridati con domestici, gli animali quali i Lupi (e le altre specie incluse nella lista) sono da considerarsi protetti e quindi: non catturabili, non detenibili in cattività, cacciabili e altro. Pertanto, i lupi, quanto gli esemplari che esitano dall'accoppiamento di cani e lupi (i quali appartengono alla stessa specie) definiti ibridi, sono tutelati dalla predetta normativa;
   inoltre, a tale riguardo, è chiara anche la pronuncia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, con nota del 18 ottobre 2012, ha evidenziato che esemplari di ibrido lupo-cane sono «assoggettabili alla disciplina relativa alle specie selvatiche: la categoria dell'ibrido cane-lupo che è nato e vive in stato di libertà naturale»;
   è quindi evidente che tali esemplari, a tutti gli effetti, rientrino nella categoria di fauna selvatica tutelata come previsto dalla legge n. 157 del 1992 che al 1° comma dell'articolo 1 dispone che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale»;
   la tutela di ogni specie animale la cui uccisione e maltrattamento sono considerati delitti ai sensi del codice penale dagli articoli: 544-bis e ter nonché l'abbandono secondo il 727 del codice penale, è atto dovuto;
   la presenza di cani vaganti e ferali, ritenuti responsabili del presunto problema della «ibridazione» è chiaramente dovuta non solo alla negligenza dei proprietari, ma soprattutto a quella istituzionale nel mancato rispetto dei doveri previsti dalla normativa vigente che tutela gli animali d'affezione (quindi i cani randagi, i cani vaganti di proprietà e quelli ferali) e interviene per la prevenzione del randagismo a partire dalla legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo». La legge n. 281 del 1991 sancisce: «lo Stato promuove la disciplina della tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, favorendo la corretta convivenza tra uomo e animale, tutelando la salute pubblica». Come tutte le leggi quadro prevedono, ogni regione, nell'ambito dei principi cardine della stessa, ha emanato leggi interne;
   le responsabilità ben precise del Ministero della salute, dei sindaci e dei comuni, delle asl e dei proprietari sono descritte e riassunte in un opuscolo del Ministero (http://www.salute.gov.it);
   le norme principali che stabiliscono ruoli e competenze in tale ambito sono:
    legge 14 agosto 1991, n. 281, «Legge quadro in materia di animali d'affezione e prevenzione del randagismo»;
    accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in materia di «benessere degli animali da compagnia e pet therapy» recepito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003;
    ordinanza 6 agosto 2008 (reiterata negli anni): «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l'identificazione e la registrazione della popolazione canina»;
    ordinanza 18 dicembre 2008 e successive modifiche: «Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati»;
    ordinanza 3 marzo 2009 (reiterata negli anni): «Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani»;
    il cane vagante padronale, è un animale di proprietà secondo le normative vigenti (n. 281 del 1991 e successive modifiche) che invece dovrebbe essere correttamente gestito, avere il microchip, essere inserito in anagrafe canina e altro e invece è anche lasciato libero di vagare e soprattutto nelle ore notturne;
    il cane randagio è il cane abbandonato o presente sul territorio per la mancata applicazione della legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo». Le responsabilità di tale condizione, non più giustificabile a distanza di ben 25 anni dalla sua emanazione e spesso della sua mancata o scorretta applicazione, sono molteplici: da chi abbandona in primis a quella del sindaco che è il responsabile civile e penale dei cani vaganti sul territorio nonché la massima autorità sanitaria, a quella della asl che ha il compito di cura, sterilizzazione, apposizione del microchip, iscrizione all'anagrafe canina e altro. La persistenza del fenomeno del randagismo esita quindi da una infinita serie di vere e proprie omissioni di atti di ufficio poiché la normativa vigente e i suoi chiari precetti non sono applicati;
    il cane ferale (o inselvatichito) esita dalla scorretta, perpetrata e negligente gestione umana, è frutto dell'abbandono e della mancata applicazione della legge n. 281 del 1991. I cani ferali sono animali che si mantengono in modo autonomo dall'uomo, interagiscono tra loro socialmente e manifestano comportamenti ancestrali;
    in virtù del mancato rispetto delle normative vigenti sopracitate, l'accoppiamento tra cane e lupo è un fenomeno osservato da sempre in tutte le aree di presenza di quest'ultimo. Trattandosi della stessa specie (il cane e il lupo), l'accoppiamento dà esito a prole fertile, pertanto anche definirli «ibridi», sottende a scorrette quanto errate interpretazioni;
    va altresì rammentato che importanti ricercatori ed esperti sostengono che: «dai dati attualmente disponibili sembra che la presenza di “ibridi” nel contesto toscano ed Italiano, sia un fenomeno molto limitato» (fonte Duccio Berzi). «I risultati hanno mostrato che i cani e lupi italiani sono geneticamente ben differenziati, suggerendo che l'introgressione dei geni dei domestici non ha inciso sul patrimonio genetico del lupo» e che «gli ibridi» possono essere non identificabili in base a criteri di osservazione, e la loro rimozione da una popolazione selvatica è un obiettivo probabilmente impossibile. Suggeriamo che la gestione e sforzi di conservazione devono essere concentrati sulle popolazioni di cani randagi, che sono la fonte primaria di ibridazione per il lupo». (fonte: «Wolf—dog crossbreeding: «Smelling a hybrid may not be easy» Rita Lorenzini, Rita Fanelli, Goffredo Grifoni, Francesco Scholl, Rosario Fico);
    nonostante le pubblicazioni e i pareri scientifici sopracitati si è promossa la psicosi «ibrido», causata anche da progetti sostenuti da fondi europei. Ad esempio, il progetto Ibriwolf (Life 10 NAT/IT/000265 IBRIWOLF) tra i suoi obiettivi annovera: «identificare e rimuovere tutti gli ibridi delle due aree pilota del progetto; attrezzare delle aree in cui gli ibridi catturati possano essere tenuti in cattività ed essere visti dal pubblico». Come appare evidente, tale progetto, ignora l'esistenza del sopracitato regolamento (CE) n. 338/97 e dei suoi chiari precetti normativi sopra elencati;
   non solo, il progetto prevede anche di diminuire la presenza di cani vaganti attraverso la loro rimozione ove possibile, sterilizzando e custodendo tutti gli individui catturati. A tal proposito, è d'obbligo rammentare che ancora una volta, tale compito è previsto dalla legge n. 281 del 1991 e dalle relative leggi regionali. Pertanto, la presenza di cani vaganti denuncia una condizione di pregresso e gravissimo inadempimento da parte delle asl e dei sindaci, a fronte di chiari strumenti normativi ed economici poiché si tratta di norma finanziata annualmente. Il compito di diminuire (posto che diminuendo non si risolverebbe il problema di base) la presenza di cani vaganti è preciso compito della asl e dei comuni. Inoltre, come riportato dai media, il predetto progetto non ha portato soluzioni al fenomeno della predazione e ha fomentato conflitti tra le categorie. L'esacerbarsi delle conflittualità ha raggiunto il massimo della sua manifestazione con l'uccisione, sia di lupi che di altri canidi, in particolar modo nella provincia di Grosseto e di Siena esattamente nei distretti in cui era in opera il progetto Ibriwolf, come i media in più occasioni riportano;
   anche in altri distretti territoriali la guerra al lupo non accenna a fermarsi. Si rileva anche nelle zone delle Alpi orientali in cui sono stati ritrovati bocconi avvelenati (fonte – http://www.lifewolfalps.eu) e altri lupi morti; tra la strada provinciale 43 che collega Cagnano Varano al comune di San Giovanni Rotondo è stato rinvenuto un lupo privo di vita appeso a testa in giù al chilometro 5 in località Coste di Manfredonia. Un animale particolarmente protetto che è stato oltraggiato e barbaramente vilipeso. (fonte – http://www.statoquotidiano.it);
   gli interroganti segnalano inoltre che numerosi canidi (lupi, ibridi, cani) sono stati catturati in modo, discutibile e con metodi certamente pericolosi tramite l'uso dei lacci come riportato da diverse fonti di stampa;
   gli interroganti evidenziano che cucciolate di canidi sono stati rimossi e allontanati dalla madre anzitempo (ben prima dei 60 giorni di età) e quindi costretti in cattività, come ad esempio nel caso dei sei cuccioli di ibrido affidati poi al Crase di Semproniano;
   tra le varie fondamentali criticità vi è inoltre da evidenziare che l'accertamento di un caso di predazione sul bestiame domestico è, di fatto, una perizia medico-legale che deve essere effettuata da medico veterinario con comprovata esperienza nel settore. Mentre, di prassi, ciò non avviene e pertanto le segnalazioni sulle predazioni non rappresentano dato scientifico inequivocabile e significativo. Si tratta quindi di dati empirici e che non sono in alcun modo significativi per poter agire sulla prevenzione. Sono dati usati in modo strumentale e spesso impreciso. Spesso la «predazione» stessa non viene descritta per come si dovrebbe, al fine di raccogliere dati collezionabili. Infatti, viene sommariamente descritta senza evidenziare i fondamentali riferimenti qui di seguito elencati:
    predazione: il predatore ha ucciso un capo di bestiame sano;
    pseudo-predazione: il predatore ha ucciso un capo di bestiame il cui precario stato di salute ha facilitato il successo dell'attacco;
    altre cause di morte;
   è altresì possibile, con la perizia medico legale del medico veterinario forense, stabilire quale animale ha effettuato la predazione poiché:
    il lupo quando morde esercita una forza pari a 106,2 kg per centimetro quadrato. È quindi in grado di troncare un femore;
    il cane (tarata sul pastore tedesco) quando morde esercita una forza di 53 kg per centimetro quadrato;
    il morso del lupo è molto stretto: distanza massima tra i canini superiori 4,2-4,5 cm, canini inferiori 3-3.5 cm;
    il morso del cane pastore tedesco: misura 5.5 cm;
   nell'attacco del lupo sugli ovi-caprini si registra il numero limitato di morsi, di cui un morso inferto nella regione retro-mandibolare con forza e precisione e che esercita una pressione improvvisa sull'arteria carotidea dove sono presenti i recettori (baro-recettori) che, compressi dal morso, attivano una reazione nervosa che porta a morte quasi immediata dell'animale per collasso cardio-circolatorio;
   il lupo preda nell'85 per cento di notte o nelle primissime ore dopo l'alba (fonte dottor Duccio Berzi);
   nella predazione è necessario distinguere due fasi:
    1) attacco con uccisione;
    2) consumo dell'animale;
   «Non è detto che il responsabile dell'attacco sia poi il responsabile del consumo e non è detto che l'animale consumato dai predatori selvatici o meno, sia effettivamente stato ucciso da questi o non sia magari morto per malattia o altre cause e poi successivamente consumato» (fonte dottor Duccio Berzi);
   oltre alla classificazione ed identificazione della predazione è di fondamentale importanza la modalità di risarcimento del danno causato da predazione. Relativamente al danno economico per esempio la regione Toscana tramite la legge regionale 4 febbraio 2005, n. 26, «Tutela del patrimonio zootecnico soggetto a predazione», concede contributi per la stipula di polizze assicurative contro i danni da predatori selvatici. Ma al momento non sono sufficienti i risarcimenti proposti anche in ragione del fatto che il danno subito non può estinguersi considerando solo il risarcimento del capo;
   il danno economico può essere così suddiviso:
    1) diretto – per la perdita diretta animali;
    2) indiretto – fenomeni di stress sul gregge riduzione/perdita produzione latte, aborti, ferite;
    3) gestionale – aumento di spese per le cure, alimentazione in ovile se gli animali impauriti si rifiutano di recarsi al pascolo e conseguente aumento di infezioni/parassitosi;
   in caso di attacco di predatore il danno economico può essere molto superiore rispetto al semplice risarcimento del valore degli animali predati:
    qui di seguito un esempio: danno stimato: 137,00 euro a capo; danno diretto + indiretto + gestionale: 2,587 euro a capo;
    per la prevenzione dei danni dai predatori, in considerazione del fatto che nel 2013 a Grosseto e provincia ci sono stati circa 600 ovini predati, la regione Toscana con la legge n. 26 del 2005 prevede i contributi per la realizzazione di opere di prevenzione. I contributi sono gestiti dalle amministrazioni provinciali o dalle comunità montane. Molte sarebbero però le soluzioni da pianificare e su cui investire: dissuasori faunistici, elettrificazione delle recinzioni, recinzioni tradizionali miste. Tali interventi, come dimostrato, sono gli unici in grado di garantire efficacia e risultati;
   per prevenire si intende: intervenire prima degli episodi di predazione. Metodo più economico ed efficace. Ad esempio, in più del 95 per cento dei casi documentati, la predazione è avvenuta di notte o in condizioni di tempo perturbato. In circa l'80 per cento dei casi di predazione, a seguito di una prima aggressione se ne verifica una seconda entro le due settimane;
   per protezione si intende: intervento successivo al primo attacco. Azioni dissuasive e di disturbo attivi anche per evitare la cronicizzazione degli attacchi;
   per garantire l'efficacia è necessario agire con azioni sinergiche sul territorio e sugli allevamenti, in grado di mitigare il danno. È imprescindibile studiare ed applicare soluzioni tecnico-gestionali che assicurino il miglior rapporto tra costi-gestione-risultati: determinazione del medico veterinario della tipologia di predazione; analisi delle caratteristiche da tecnici + veterinari; valutazione azienda per azienda; condivisione; sostenibilità; interventi gestionali; indennizzi vincolati alla prevenzione; logo dei prodotti «predator friendly»;
   «nell'ambito di uno studio effettuato con la collaborazione dell'Università degli Studi di Firenze sono stati analizzati i dati relativi all'efficacia di 11 recinzioni elettrificate realizzate nel territorio della provincia di Firenze tra il 2005/2009 per un periodo totale di circa 5000 giorni di funzionamento. La presenza del lupo nelle aree vicine agli impianti studiati è rimasta costante così come le predazioni negli allevamenti non protetti. I risultati indicano che con le recinzioni elettrificate le predazioni si sono ridotte drasticamente, passando da una media di circa 3 capi predati su 100 ad anno a 0.06, con una efficacia superiore al 97 per cento. I casi di violazione delle recinzioni sono da attribuire a casi di errato montaggio dei cavi o ad una progettazione discutibile» (fonte: dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);
   esistono altri sistemi per ridurre il conflitto tra i predatori ed attività zootecniche e sono:
    evitare l'incremento delle popolazioni di prede naturali con reintroduzioni: ungulati a fini venatori;
    controllo del randagismo canino, corretta applicazione delle norme vigenti da parte degli enti istituzionalmente preposti come previsto dalla legge n. 281 del 1991;
    finanziamenti agli allevatori per l'adozione di misure volte a prevenire gli attacchi o la concessione gratuita di tali strumenti di prevenzione come già praticato in Toscana, nelle zone appenniniche;
    miglioramento delle misure di prevenzione in un piano sinergico territoriale;
    sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed allevatori sul tema della conservazione dei grandi carnivori: la tutela della biodiversità è patrimonio del territorio;
    riconsiderazione dei sistemi di indennizzo, previa valutazione medico veterinaria forense della predazione;
   va rammentato che la presenza del lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di « top predator», di un ambiente ecologicamente sostenibile;
   anche in considerazione della diffusa sensibilità internazionale, nazionale e quindi dei turisti, come confermano recenti indagini di mercato e indagini scientifiche, un animale selvatico vale più da morto che da vivo poiché è da traino per il turismo stesso, in virtù dei sopracitati valori ambientali che incarna; (fonte: www.ncbi.nlm.nih.gov; http://wilderness-society.org);
   è infatti noto che, a fronte degli inaccettabili e vergognosi episodi di uccisione dei lupi, vi sia stato il giusto coinvolgimento e sollevamento delle associazioni a tutela degli animali quanto dell'ambiente e che queste abbiano richiamato l'esigenza di boicottare il turismo e il prodotto nelle zone in cui si sono realizzati questi crimini contro la natura (fonte: http://www.grossetonotizie.com);
   a fronte di discutibili dichiarazioni pubbliche di politici e responsabili istituzionali che rivestono importanti ruoli, è esecrabile secondo gli interroganti, la scarsa professionalità dimostrata, come nel caso del dirigente della asl di Grosseto dottor Madrucci e del presidente della provincia di Grosseto Marras, i quali richiedono di poter intervenire con modalità di dubbia legittimità su cani, lupi e altro e accusano i cani stessi della loro condizione di randagismo. Facendo ciò ad avviso degli interroganti non accusano, invece, altro che loro stessi in virtù degli obblighi normativi che avrebbero dovuto rispettare e di cui sono responsabili nell'esercizio della loro professione;
   il «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia», da quanto è dato sapere, è stato realizzato a titolo oneroso e senza alcun bando ma con affido diretto all'Unione zoologica italiana (e che per altro per suo statuto è una ONLUS http://www.uzionlus.it/) su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Questo dovrebbe essere lo strumento che dovrebbe rappresentare il fondamento per il prossimo quinquennio sulla base del quale applicare la strategia di gestione e conservazione del lupo. Si evidenzia, in primis, l'affido ad una ONLUS della realizzazione di un progetto a titolo oneroso e che, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997, dovrebbe essere realizzato dall'ISPRA anche in ragione del ruolo e della mission dell'ente che rappresenta il braccio tecnico scientifico ed operativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in merito all'Ispra gli interroganti evidenziano che il dottor G., funzionario dell'ente del servizio faunistica, che ricopre il ruolo di responsabile di questi procedimenti e pareri fondamentali, è stato impegnato in attività di eradicazione dello scoiattolo grigio che sono state ritenute illegittime da una sentenza della Corte di cassazione, benché tuttavia lo stesso sia stato assolto; (Fonte: http://www.ambientediritto.it); Corte di cassazione, penale sez. III – 31 gennaio 2003 (ud. 11 dicembre 2002) n. 4694;
   «... Sul ricorso proposto da Spagnesi e altro... omissis, avverso la sentenza in data 4.7.2000 della Corte di Appello di Torino, con la quale, in riforma di quella del Tribunale di Saluzzo in data 26 novembre 1999, vennero assolti dai reati: a) di cui all'articolo 30 lettera d) della legge n. 157-92; b) di cui all'articolo 30 lettera h) della legge n. 157-92, in quanto non punibili per aver agito nell'erronea supposizione della sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere; nonché dal reato; c) di cui all'articolo 727 c.p., perché il fatto non sussiste (...);
   Diritto: si deve affermare che l'attività posta in essere dagli imputati, diretta alla cattura e successiva eliminazione di numerosi esemplari di scoiattolo grigio, rientra nella nozione di caccia, secondo la definizione della legge n. 157-92, e risulta sanzionata penalmente, ai sensi dell'articolo 30 lettera d) ed h), per inosservanza degli specifici divieti, di cui alla contestazione, imposti dalla medesima legge. Peraltro, va conclusivamente rilevato che la natura stessa del programma di eradicazione dello scoiattolo grigio e la rilevante portata della sua attuazione esclude categoricamente che al fatto accertato possa essere attribuita la natura di attività di sperimentazione, rientrando, invece, nel concetto di controllo della fauna, che è di competenza della Regione. Del tutto inconferente è, infine, il rilievo in ordine alla natura statale dell'Ente cui appartengono gli imputati, non essendo riconducibili all'Ente stesso comportamenti che esorbitano dalle competenze ad esso attribuite dalla legge. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue a carico dei ricorrenti l'onere del pagamento delle spese processuali»;
   il «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» tra l'altro, come si legge, è stato realizzato con dati non ancora pubblicati, pertanto ancora non ammissibili né per modalità né per metodo quindi dati privi di valore e pressoché empirici;
   lo stesso piano riporta una infinita serie di dichiarazioni a giudizio degli interroganti pressapochiste e del tutto prive di riscontro oggettivo: dalla valutazione dei predatori realmente responsabili dei danni sugli ovini (l'accertamento della predazione non è avvenuto, in modo organico e scientificamente rilevate, su tutti gli episodi di predazione considerati, da parte di medico veterinario forense con pregressa esperienza), a presunti piani di mitigazione e di intervento dissuasivo che, soprattutto negli areale della provincia di Grosseto e Siena non hanno mai avuto un coordinamento e una organica applicazione;
   nel «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» si legge:
    «Oggettive condizioni di forte tensione sociale si possono verificare soprattutto in alcune parti dell'areale del lupo dove la specie ha fatto ritorno dopo decenni di assenza e dove si sono sviluppati metodi di allevamento che, per essere compatibili con la presenza del lupo, richiedono onerose misure di prevenzione. In queste condizioni, il prelievo di alcuni esemplari può costituire, presso i gruppi di interesse più colpiti, una forma di gestione che può coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione dei danni. Inoltre, può rappresentare un importante gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità che possono aiutare a superare il clima di contrapposizione che a volte sfocia in atti di bracconaggio incontrollabile. Può quindi contribuire ad instaurare quel clima di condivisione necessario ad attuare una più complessa strategia di coesistenza;
    obiettivo primario, quindi, di eventuali deroghe è di contribuire, insieme alla messa in opera, contemporanea ed effettiva, di molte altre azioni di gestione dei conflitti (vedi capitolo 3), alla riduzione a) di eventuali danni ripetuti e massicci su scala ristretta e b) del rischio percepito e alla mitigazione dei Conflitti sociali ed economici connessi alla coesistenza tra uomini e lupo». Tali affermazioni oltre ad essere ad avviso degli interroganti gravi e irricevibili, partono dalla conclusione, anziché considerare che, non solo perché la normativa lo prevede, ma anche per banale logica che prima fossero messi in atto contestualmente e coerentemente tutti i sistemi di dissuasione e tutte le azioni tese a prevenire ogni fenomeno di predazione (inclusa la corretta applicazione della legge n. 281 del 1991 per la prevenzione del randagismo) e che tali deduzioni, così come sono rappresentate, sono da considerarsi del tutto prive di fondamento tecnico scientifico e risultano altresì funzionali e demagogiche;
   si rammenta inoltre che l'avocata deroga per quelli che sono stati definiti eufemisticamente «prelievi» – leggasi abbattimenti – prevista dall'articolo 16 della direttiva Habitat, è concedibile solo quando sia stato dimostrato di aver messo in pratica tutta una serie di azioni preventive e previste dalla direttiva stessa;
   si è inoltre alimentata la fobia del lupo anche quale rischio per le persone, mentre dal Corpo forestale dello Stato, a fronte di tanto inutili quanto infondati allarmismi, presso il tavolo in provincia di Parma la Forestale dichiara: «Mai registrato un solo caso di aggressione all'uomo» (fonte http://www.parmatoday.it/cronaca/lupi-aggressioni-polemiche.html) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della chiara posizione della Commissione europea che nell'aprile 2014, in risposta all'europarlamentare italiano Zanoni alla sua interrogazione (E-002258-14) ha espresso la sua viva preoccupazione nei confronti degli atti di bracconaggio dei lupi come: «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva «Habitat» e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità»;
   se i Ministri interrogati abbiano contezza tecnico-scientifica di tutti i progetti relativi alla raccolta di dati su studi di popolazione e abbiano richiesto esaustive informazioni sui metodi utilizzati, ovvero se esista uno schema di monitoraggio nazionale e quindi un quadro univoco e condiviso della popolazione del lupo, in termini numerici e di distribuzione reale;
   se i Ministri interrogati considerino accettabili i presupposti operativi del «piano lupo» come quello realizzato, basato su dati non pubblicati, pertanto privi, al momento, di valore scientifico;
   se i Ministri interrogati abbiano acquisito i dettagli relativi a modalità, metodi di indagine, rilievi, esami necroscopici e refertazione/certificazione di medico veterinario forense e altro sui presunti danni causati dai canidi sugli ovini e su tutta l'attività che si ritiene danneggiata dalla presenza dei lupi e/o altri canidi, soprattutto nei territori in cui si sono rilevati i gravi atti di bracconaggio;
   posto che il progetto Ibriwolf (Life 10 NAT/IT/000265 IBRIWOLF) secondo gli interroganti non ha portato i risultati prefissati e ha piuttosto sollecitato l'esacerbarsi delle tensioni con evidenti effetti drammatici ed esecrabili quali gli abbattimenti illegali dei lupi nelle zone in cui il piano è operativo, come il presupposto base del progetto stesso si concili con il regolamento (CE) n. 338/97 che considera gli animali fino all'F4 (ovvero fino alla quarta generazione) come «specie» dal punto di Vista di «tutela Cites», anche in ibridazione, ancorché con domestici;
   se le catture dei canidi (siano essi lupi e ibridi) siano state realizzate con metodi legittimi (quali per esempio il laccio), e con finalità giustificabili;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati ritengano di dover assumere in relazione alle valutazioni, considerazioni e dichiarazioni espresse nei pubblici consessi sopracitati, con particolare riferimento alla dottoressa Zacchia, funzionario del Ministero della salute e al dottor Madrucci, responsabile dell'asl Grosseto, in ragione del codice deontologico dei medici veterinari e del codice di comportamento del Ministero della salute e altro;
   posto che i responsabili dei progetti e i funzionari dei Ministeri debbono in primo luogo agire quali pubblici funzionari ai fini della corretta applicazione delle normative vigenti quale obiettivo della loro attività professionale e tecnica per cui sono remunerati e che, invece, anziché agire in tale direzione, essi hanno manifestato pubblicamente la necessità di sopprimere i cani randagi e hanno richiesto poteri speciali per ricorrere all'abbattimento dei lupi, quali iniziative di competenza i Ministri intendano assumere;
   se i Ministri interrogati intendano agire e con quali modalità per la prevenzione di ulteriori e gravi atti di bracconaggio dei lupi, anche in considerazione della perdita di patrimonio indisponibile dello Stato e se, per questo, abbiano intenzione di richiedere il dovuto risarcimento e abbiano intenzione di costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti penali derivanti;
   se i Ministri interrogati abbiano considerato il grave danno causato dall'uccisione del gran numero dei lupi (considerato che gli esemplari rinvenuti rappresentano presumibilmente una minima parte di quelli uccisi realmente) e in che modo abbiano contribuito, per quanto di competenza, ad agevolare le indagini e la ricerca, con ogni mezzo, per identificare i responsabili di tali crimini e assicurarli alla giustizia, proprio in considerazione del grave danno causato al patrimonio indisponibile dello Stato, e quindi il danno alle casse pubbliche, in ragione della protezione speciale di cui gode la specie e anche del grave danno all'immagine – nazionale e internazionale – che ne è determinato;
   se il Ministro della salute abbia intenzione di monitorare, in collaborazione con le regioni e i comuni, l'operatività e i risultati, delle attività di contrasto ai fenomeni di cui in premessa, in particolare con riferimento ad atti di predazione in cui sia stato accertato coerentemente ed in modo scientifico il coinvolgimento di cani padronali senza controllo, di cani randagi o ferali garantendo il rispetto e la corretta applicazione delle normativa vigente nonché i ruoli e le competenze previste che non sono una opzione, ma un chiaro obbligo dato che si assiste alla ridicola manifestazione di denuncia del fenomeno del randagismo proprio da chi avrebbe in carico il compito di occuparsene seguendo rigorosamente i precetti contenuti nelle norme al riguardo;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia valutato e con quale criterio, di affidare il progetto «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» redatto a titolo oneroso e con affido diretto ad una ONLUS, anche in considerazione di quanto prescritto nel decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 articolo 7, comma 2, che fa riferimento alla previsione di monitoraggio delle popolazioni di lupi da parte delle regioni sulla base di linee guida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Ispra e del Mipaf;
   se a quali verifiche intenda operare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che dovrebbe avere il dovere di imparzialità, rigore, rispetto e applicazione delle normative vigenti, nazionali ed internazionali, nella piena attuazione di ogni precetto in esse contenuto, prima di utilizzare gli strumenti suggeriti da tali piani, i quali, per stessa ammissione di chi li ha redatti e da una attenta loro disamina, non contengono dati scientificamente validi e pubblicati, soprattutto in considerazione del fatto che si fa chiaro e specifico riferimento alla possibilità di ottenimento della deroga alla «direttiva Habitat» articolo 16 per ciò che viene definito «prelievo» (abbattimento) e che, certamente, non risponde ai princìpi cardine di tutela della specie in questione;
   se si consideri opportuno mantenere nell'incarico ricoperto il funzionario dell'Ispra sopra indicato nonostante i suoi chiari personali coinvolgimenti nella vicenda richiamata in premessa;
   se i Ministri interrogati siano in possesso dei dati relativi all'applicazione di un piano organico, coordinato e armonico di utilizzo di tutti i sistemi di dissuasione esistenti che, nei distretti territoriali in cui sono stati applicati, hanno prodotto la riduzione della predazione fino ad oltre il 90 per cento;
   se i Ministri interrogati non ritengano che sia opportuno assumere iniziative per vietare i ripopolamenti a fini venatori degli ungulati;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per ricondurre ad un livello di ragionevolezza e decenza le informazioni, spesso scorrette e infondate, che sono diffuse sul territorio anche a mezzo stampa tenuto conto che alcune dichiarazioni pubbliche da parte di funzionari dello Stato e responsabili dei progetti Life, hanno inevitabilmente scatenato una vera e propria psicosi dei canidi tutti (cani, lupi). (4-13595)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla conservazione e gestione del lupo in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La conservazione e la gestione del lupo costituiscono un argomento che catalizza l'attenzione dei portatori di interesse e della società civile suscitando ampio dibattito in tutte le sedi; inoltre, polarizza le posizioni su opposti schieramenti: da un lato, le ragioni di chi vede i danni provocati da questo predatore e, dall'altro, le ragioni di chi chiede la tutela ad oltranza di una specie protetta.
  In questo contesto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da sempre attento e informato riguardo alle tematiche connesse alla conservazione e gestione del lupo (come per i casi di bracconaggio citati dagli interroganti di cui all'interrogazione E-002258-14 e le relative posizioni della Commissione europea), si è attivato per aggiornare il piano d'azione del lupo, ormai superato in quanto datato al 2002. Questo anche grazie al fatto che, a seguito di anni di impegno e di risorse investite da parte delle amministrazioni pubbliche e di privati (non esiste alcuna specie protetta in Italia per la quale siano state investite più risorse), lo stato di conservazione del lupo è oggi notevolmente migliorato (tra 1.000 e 2.000 animali contro i poco più di 100 all'inizio degli anni 70). La più recente valutazione secondo le categorie della Iucn (Unione mondiale per la conservazione della natura) indica il lupo in Italia non più come specie «in pericolo di estinzione», ma solo «vulnerabile».
  L'aggiornamento del piano d'azione è basato sulle migliori conoscenze scientifiche, in quanto redatto da oltre 70 esperti e condiviso con l'Ispra determinando il riconoscimento da parte di tutti della solidità tecnico-scientifica della bozza di piano.
  La bozza di piano, frutto di un anno di istruttoria, prevede 22 azioni di conservazione, tra le quali vi sono azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupo-cane e azioni di informazione e sensibilizzazione, oltre a quella sulle deroghe che non si configura come un'azione in senso stretto, perché costituisce una possibilità già prevista per legge e la cui operatività è peraltro stata posposta alla realizzazione delle azioni relative a prevenzione e indennizzo dei danni. Le soglie indicate nel piano non rappresentano una quota ma solo un prudenziale tetto massimo. Le singole richieste di rimozione in deroga dovranno essere conformi alle prescrizioni nazionali e comunitarie, saranno valutate dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e, solo successivamente, potranno essere autorizzate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito del generale obiettivo di conservazione della specie.
  L’iter di predisposizione, concertazione e approvazione del piano si sta svolgendo attraverso un percorso condotto in assoluta trasparenza tramite incontri di tecnici, consultazione dei portatori di interesse (associazioni di tutela degli animali, allevatori, eccetera), lavori del comitato paritetico per la biodiversità (organismo di governance della strategia nazionale della biodiversità al quale partecipano i Ministeri interessati e le regioni), nonché discussione in sede di conferenza Stato-regioni per l'acquisizione di un accordo.
  Nell'ambito del quadro sopradescritto e in relazione alle richieste degli interroganti, si ribadisce che tutto l'operato nelle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si svolge nel totale rispetto della normativa vigente, per garantire la conservazione del lupo, il benessere degli animali e minimizzare i conflitti derivanti dalla presenza del lupo sul territorio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAMBILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come già ricordato nell'atto di sindacato ispettivo 3/02297, prevalentemente dedicato al «Festival della carne di cane» di Yulin (Repubblica popolare cinese), in molti Paesi dell'Estremo Oriente sono legali commercio e il consumo di carne di cane: in Corea del Sud si stima che ogni anno siano destinati all'alimentazione alcuni milioni di animali, generalmente dopo aver subito terribili abusi;
   il consumo di carne canina è massimo durante i « bok nal», «giorni del cane», espressione con cui i coreani designano le giornate più calde dell'anno secondo il calendario lunare. Quest'anno il primo giorno cade il 17 luglio, l'ultimo il 16 agosto. In tale periodo è usanza, diffusa soprattutto tra gli anziani, consumare il « boshitang», la zuppa di carne di cane che si ritiene rinfreschi e rinvigorisca il corpo. L'ossequio alla tradizione costa la vita ad almeno un milione di cani l'anno;
   la Corea del Sud è uno dei pochi Paesi al mondo, se non l'unico, dove si allevano cani a scopo alimentare, specialmente della razza «da carne» Nureongi. Non sono però fissati standard di benessere negli allevamenti: gli animali, fino a quando saranno macellati, vegetano in gabbie piccolissime e sporche, nutriti con gli scarti dei ristoranti o i rifiuti delle case. Altri sono sottratti alle famiglie, catturati per strada, trasportati dai villaggi in condizioni spaventose, spesso torturati (alcuni pensano che la carne così diventi più tenera), uccisi a colpi di mazza o con scariche elettriche;
   l'usanza di consumare carne canina, considerata con disgusto in Occidente, è talora fonte di imbarazzo per le autorità coreane: durante le Olimpiadi di Seul, nel 1988, il Governo sudcoreano tentò di nascondere alla vista degli ospiti stranieri tutti i ristoranti che servivano carne di cane;
   a quasi trent'anni di distanza, poco è cambiato. Senza approfondire adeguatamente la questione, il Comitato internazionale olimpico ha assegnato alla Corea del Sud l'organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2018 a Pyeongcheang;
   in vista dell'importante appuntamento sportivo, si è intensificata, soprattutto su internet, la mobilitazione internazionale contro il consumo di carne di cane in Corea, che raggiunge il culmine durante i bok nal. In prima linea è schierata la World Dog Alliance, di cui la Lega italiana per la difesa degli animali e dell'ambiente è portavoce per l'Italia. Proprio al presidente di WDA, l'imprenditore e regista Genlin, si deve lo sconvolgente documentario di 90 minuti sul fenomeno del traffico e del consumo di carne di cane in Asia: « Eating happiness», del 2015. Secondo la WDA, 30 milioni di cani all'anno sono macellati, cotti e mangiati in Asia. Circa 70 su cento sono animali da compagnia rapiti –:
   se il Governo eventualmente coinvolgendo i partner europei, l'Alto commissario per la politica estera e la sicurezza dell'Unione europea il Comitato internazionale olimpico, intenda prendere posizione sulla questione e chiedere alle autorità coreane a vietare il consumo e il commercio di carne di cane;
   in caso di risposte insoddisfacenti o evasive da parte delle autorità coreane, se il Governo intenda valutare l'ipotesi di proporre, nelle appropriate sedi internazionali, un'azione di boicottaggio delle olimpiadi invernali del 2018.
(4-13823)

  Risposta. — Si assicura innanzitutto che il tema è all'attenzione del Governo il quale è consapevole che la reazione di profondo disagio che la pratica del consumo di carne di cane provoca presso larga parte dell'opinione pubblica in Italia, come anche altrove nel mondo.
  Come già ricordato l'8 giugno 2016 in Aula Camera in risposta ad un'interrogazione orale dell'interrogante, il consumo di carne di cane è caratteristico di alcune minoranze delle popolazioni del Nord-Est asiatico ed è generalmente circoscritto in contesti rurali.
  Nella Repubblica di Corea, l'usanza è essenzialmente concentrata in specifici momenti dell'anno (in particolare i « bok nal», tre giorni tra luglio e agosto). Tuttavia si è rilevato negli anni un costante e significativo calo del consumo della carne di cane nel Paese, specie presso le nuove generazioni, anche a motivo della crescente globalizzazione dei gusti e delle abitudini alimentari, nonché dell'azione di contrasto e sensibilizzazione svolta dalle organizzazioni non governative sia locali che internazionali. Un recente sondaggio (Gallup Korea, 11-13 agosto 2015) ha rilevato infatti che nella fascia d'età dai 19 ai 39 anni il consumo di carne di cane si attesta al solo 17 per cento a fronte del 33 per cento degli intervistati aventi età superiore ai 60 anni.
  La Farnesina continua a seguire con attenzione il tema e gli sviluppi del dibattito interno in Corea, tenendo presente le differenze culturali e le sensibilità alla base della questione. Proprio nelle scorse settimane, sul tema è stato sensibilizzato, in un incontro di lavoro, l'ambasciatore della Repubblica di Corea in Italia.
  In ambito multilaterale, l'Italia ha fortemente sostenuto – e continuerà a farlo anche in futuro – l'azione delle delegazioni dell'Unione europea presenti nei Paesi asiatici interessati, volta a rappresentare la preoccupazione e la sensibilità con cui l'opinione pubblica europea segue questo tema, unitamente al vivo auspicio che si possa giungere ad un'urgente riconsiderazione di tale controversa pratica.
  La Farnesina, tramite il costante interessamento dei nostri ambasciatori, sia nella Repubblica di Corea, sia in altri Paesi asiatici dell'Unione europea coinvolti, continuerà a prestare adeguata attenzione alla questione, muovendosi in collegamento con i partner dell'Unione europea con gli altri attori internazionali che condividono la nostra posizione, anche per quanto riguarda eventuali segnali più incisivi in vista di prossimi appuntamenti di grande visibilità mondiale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio Renzi, durante la trasmissione «Che tempo che fa» messa in onda su Rai 3, aveva invitato i cittadini a scrivere a bellezza@governo.it;
   il sito della Presidenza del Consiglio dei ministri riportava la seguente frase: «Il Governo ha messo a disposizione 150 milioni di euro per recuperare i luoghi culturali da recuperare, ristrutturare o reinventare per il bene della collettività o un progetto culturale da finanziare»;
   a seguito dell'invito da parte del Presidente Renzi, sono stati migliaia i cittadini che hanno inviato all'indirizzo bellezza@governo.it, osservazioni e suggerimenti o hanno sollecitato risposte in relazione al progetto «bellezza» messo in campo dal Governo;
   di fatto, dopo poche settimane dal sopra indicato invito, l'indirizzo non era più abilitato a ricevere mail;
   infatti, il sito http://www.governo.it/approfondimento/bellezzagovernoit/4793 è fermo al 5 di agosto con la semplice dicitura «aggiornamento»;
   pertanto a oggi non è dato sapere quali siano le opere selezionate e la quantificazione loro concessa, quali siano i membri della commissione che ha operato le scelte, quali siano i criteri di scelta usati per ognuna di loro –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritengano di dover dare spiegazioni sul «blocco» per interventi di aggiornamento dell'indirizzo internet bellezza@governo.it fermo ormai al 5 agosto 2016;
   se non si ritenga opportuno – soprattutto in funzione del principio di trasparenza – informare i cittadini sulla motivazione della sospensione del servizio messo in atto dal Governo e interrotto solo dopo poche settimane;
   quali siano stati gli eventuali criteri già messi in atto per la selezione delle opere, e le sovvenzioni messe a disposizione per ogni opera e quali siano i nomi dei membri della commissione atta a selezionare e scegliere i singoli interventi. (4-14187)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante, premesso che con l'iniziativa «bellezza@governo», deliberata nel maggio 2016, il Governo ha messo a disposizione 150 milioni di euro per recuperare e ristrutturare i beni culturali dimenticati, chiede di sapere i motivi della sospensione dell'aggiornamento del sito internet dedicato all'iniziativa nonché di conoscerne lo stato di attuazione.
  A tal proposito si comunica quanto segue.
  Il piano stralcio cultura e turismo, finanziato, come noto, dal fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, complessivamente ammonta ad 1 miliardo di euro ed è finalizzato ad un'azione di rafforzamento dell'offerta culturale del nostro Paese e di potenziamento della fruizione turistica, con interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e per la messa in rete delle risorse culturali materiali e immateriali, con particolare riguardo al sistema museale italiano. Sono altresì previsti interventi per il consolidamento di sistemi territoriali turistico-culturali.
  Nell'ambito di tale programma di interventi il Cipe ha ravvisato anche l'esigenza di riservare 150 milioni al progetto «Bellezz@ – Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati», per il recupero dei tanti luoghi culturali dimenticati che, pur meno noti, fanno parte del patrimonio identitario e culturale diffuso del nostro Paese.
  A tal fine è stato possibile candidare interventi (sia da parte di amministrazioni che di singoli cittadini) segnalandoli, entro il 31 maggio, sul sito del Governo bellezza@governo.it (e non sul sito del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo), pur essendo il finanziamento in capo al Ministero stesso, in quanto tale procedura è stata interamente gestita dalla Presidenza del Consiglio.
  Sono state raccolte quasi 140 mila segnalazioni di cittadini, i quali hanno indicato poco più di 7540 luoghi in cui esiste un bene culturale da ristrutturare o recuperare alla fruizione collettiva.
  Gli uffici della Presidenza del Consiglio hanno segnalato che la fase istruttoria ha dovuto confrontarsi con l'elevatissimo numeri di proposte pervenute e la loro eterogeneità.
  Sempre a livello istruttorio, è allo studio l'ipotesi di selezionare un solo sito per comune, ricordando le condizioni di procedibilità che la delibera detta per il finanziamento:
   a) che il luogo segnalato rientri tra le tipologie indicate dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio);
   b) che l'oggetto dell'intervento sia la valorizzazione, la tutela o il recupero del luogo indicato;
   c) che l'ente attuatore sia pubblico.

  Nell'eventualità che le risorse disponibili risultassero insufficienti, la delibera adottata dal Cipe prescrive espressamente che si dia luogo ad una selezione da parte di un'apposita commissione, nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale dovrà individuare gli interventi da finanziare assicurandone la diffusione territoriale.
  Dopo l'espletamento della predetta selezione, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri saranno individuati gli interventi finanziabili.
  Sempre in via di ipotesi istruttoria, la commissione che sarà nominata:
   potrà definire, per ciascuna regione e provincia autonoma, una quota delle risorse disponibili in proporzione al numero di luoghi segnalati;
   potrà individuare interventi effettivamente realizzabili in relazione a un limite di contributo massimo;
   potrà collocare le richieste di finanziamento secondo un ordine crescente, così da privilegiare le richieste di minore importo;
   potrà selezionare gli interventi privilegiando quelli che, in relazione allo stato di maturazione progettuale, possano ritenersi di immediata realizzabilità.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è in attesa della emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per poter fornire tutta l'assistenza tecnica che verrà richiesta al riguardo.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Infiltrato.it in data 3 febbraio 2013, pubblica «IL CASO/Il calvario del professor Emmanuel Zagbla, da 30 anni sposato in Italia, cittadino non riconosciuto»;
   come si legge nell'articolo «all'uomo, di origini ivoriane, da trenta anni in Italia e sposato con un'italiana, non solo non è mai stata riconosciuta la cittadinanza ma ha dovuto subire una serie di terribili ingiustizie. La prima è la mancata discussione della tesi di dottorato di ricerca nei 1995; poi la proclamazione a dottore – tra il 2001 e il 2002 – senza ricevere un centesimo per il lavoro svolto. Nel 2007 l'Università di Padova tenta di farlo ricoverare al Reparto di Psichiatria patavino. (...) Ecco l'assurda storia di razzismo e menefreghismo di cui è vittima il Professor Il signor Zagbla, simbolo di una generazione di migranti i cui diritti in Italia non vengono ancora riconosciuti, dopo anni spesi a sudare per il Belpaese»;
   il dottor Zagbla, cittadino della Costa D'Avorio, è in Italia dal 1981 e dopo trent'anni di residenza legale, nonostante abbia moglie e figlia italiane, non ha ancora ottenuto la cittadinanza italiana; e come dichiara «Per un motivo assurdo quanto incredibile. Non si può chiedere infatti, stando alla legge, la cittadinanza italiana per motivi di carriera»;
   si laurea in scienze politiche il 27 novembre 1990 presso l'università di Padova. Subito dopo ha partecipato al concorso per il dottorato di ricerca in relazioni internazionali; nel 1992 gli viene assegnato come tutor il dottor Antonio Papisca, il quale però si rifiuta di riceverlo. Da qui sono iniziate le segnalazioni al preside della facoltà di scienze politiche Giuseppe Zaccaria ma la situazione non cambia: il tutor continua a rifiutarsi di riceverlo, mentre il signor Zagbla continua a seguire le lezioni; e tre anni più tardi, nel 1995, presenta una tesi di dottorato dal titolo «Le implicazioni delle politica internazionale nei processi migratori in Africa»;
   quando il signor Zagbla chiede al tutor di esprimersi sulla qualità del suo lavoro, ottiene la risposta: «Lo saprà il 4 dicembre», cioè il giorno stesso della discussione; e in quella data, seduto di fronte alla commissione conosce il verdetto: «Lei non passa perché il titolo non coincide con il contenuto»; e viene quindi bocciato;
   nello stesso anno, qualche mese prima della discussione della tesi, il signor Zagbla si iscrive regolarmente al bando di concorso post dottorato, con alcuni posti riservati a cittadini stranieri; ovviamente essendo stato bocciato «a sorpresa» all'esame non ha potuto partecipare, perdendo la possibilità di lavorare come ricercatore;
   un mese prima della discussione, il Mattino di Padova pubblica un articolo dal titolo: «Un Africano a un passo dalla docenza universitaria in città»;
   il 5 luglio del 2001, il signor Zagbla ha avuto la possibilità di superare l'esame e di diventare dottore di ricerca in relazione internazionali;
   come si legge nell'articolo di Infiltrato.it l'allora rettore promise al signor Zagbla una ricompensa per il danno subito a seguito dell'ingiusta bocciatura e per la conseguente perdita di opportunità di lavoro come ricercatore; il giorno della vigilia della proclamazione ufficiale infatti il rettore lo invita nel suo ufficio, dove il signor Zagbla si presenta accompagnato da un amico italiano; il rettore invita il signor Zagbla a prendere contatti con un certo professore che si occupa di cooperazione allo sviluppo perché potrebbe offrire una opportunità lavorativa, e per quanto riguarda «il danno subito» lo tranquillizza dicendo che «avrebbe pensato ad una soluzione»; a proclamazione avvenuta il signor Zagbla fa visita al professore di cooperazione allo sviluppo, il quale reagisce stupito, non avendo avuto alcuna notizia del suo caso dal rettore;
   così commenta Infiltrato.it «Perché allora il Rettore promise e non mantenne? Semplicemente per cautelarsi da un'eventuale reazione negativa da parte di Emmanuel durante la cerimonia davanti alle autorità cittadine e alla stampa. Il giorno successivo infatti era come se non fosse accaduto nulla»;
   successivamente il signor Zagbla avrebbe tentato più volte di avvicinare il rettore per chiedere spiegazioni, ma non riuscirà mai più ad incontrarlo;
   nel mese di agosto 2004 il signor Zagbla si reca in Costa d'Avorio in occasione di una conferenza nella quale dovrà parlare della diaspora ad Abidjan. È allora che un collega ivoriano del signor Zagbla cerca i documenti che attestano il titolo di dottore di ricerca a Padova, non trovandoli; cioè il dottorato ottenuto dopo tanti sacrifici, per più di tre anni, vale a dire dal 5 luglio 2001 fino al 15 settembre 2004, è rimasto in qualche cassetto, fuori dell'archivio elettronico ufficiale del sito dell'università di Padova dove erano invece presenti tutti gli altri dottorati, con i titoli e gli anni di conseguimento;
   come riportato da Infiltrato.it il signor Zagbla «chiede i verbali della Commissione del 4 dicembre 1995 per scoprire una cosa che lui stesso ha definito “rivoltante”: la Commissione ha scritto che durante la discussione dell'elaborato non sono stato all'altezza; che le argomentazioni sollevate non corrispondevano al tema assegnatomi. Un giudizio totalmente fasullo perché il nostro dottore ivoriano non ebbe nemmeno la possibilità di discutere la sua tesi davanti alla Commissione»;
   il signor Zagbla si reca al commissariato di Padova e sporge denuncia agli autori delle ingiustizie subite; la prima volta lo fa nel 2004, e viene invitato a non proseguire nella stessa;
   uno studente ruandese che aveva assistito a tutte le fasi dell'inadempienza del professore Papisca si sarebbe detto disposto ad aiutarlo al 75 per cento perché aveva problemi con la sua posizione di rifugiato; ma al momento della deposizione in tribunale lo studente ruandese avrebbe dato una versione dei fatti diversa, da quel momento viene archiviata la denuncia nei confronti del professor Papisca;
   nel 2007 succede qualcosa che segnerà in maniera irreversibile la vita del signor Zagbla; come dichiara su Infiltrato.it: «Il 5 marzo 2007 alla vigilia dell'apertura dell'anno accademico, mi presentai al rettorato coi miei diplomi (Laurea in Scienze Politiche, conseguito presso questa università il 27 novembre 1990, Diploma di dottore di ricerca in Relazioni Internazionali). Il mio obiettivo era lo stesso: ottenere la compensazione economica promessa dall'università. Al posto della compensazione, l'Università fece chiamare due ambulanze per portarmi in psichiatria !»;
   il signor Zagbla scrive più volte alla Presidenza della Repubblica; la prima volta nel 1999 quando al vertice c'era Carlo Azeglio Ciampi e poi ancora quando la carica è passata nelle mani di Giorgio Napolitano;
   il signor Zagbla viene convocato dalla questura di Padova per l'acquisizione delle informazioni di rito. Una volta in questura, al Zagbla, venne detto che non si rilevava alcun reato;
   appare quantomeno discutibile, ad avviso degli interroganti, il comportamento della Prefettura di Padova, la quale avrebbe riferito che il signor Zagbla avrebbe avuto modo, in occasione della presenza del Capo dello Stato Padova il 27 marzo 2002, di partecipare alla cerimonia svoltasi nell'ateneo, assieme ad altri neoricercatori, su personale invito del Magnifico rettore;
   si dà il caso che il signor Zagbla non avrebbe mai ricevuto l'invito cui fa riferimento la prefettura;
   nel 2009 il procuratore di Padova chiude definitivamente le indagini sul caso;
   nel 2008 il signor Zagbla scrive l'ultima lettera all'ateneo per tentare in qualche modo di ottenere giustizia. Nel 2010 scrive al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed al dipartimento delle pari opportunità chiedendo l'invio di un ispettore all'ateneo padovano a verifica di quanto accaduto;
   il regolamento di tutorato dell'università di Padova all'articolo 1 descrive le finalità delle attività di tutorato, che hanno lo scopo di orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi;
   il regolamento di ateneo per i corsi di dottorato di ricerca dell'università di Padova l'articolo 13 «compiti del collegio» prevede che entro tre mesi dall'inizio dei corsi il collegio assegni a ciascun dottorando le attività da svolgere e individui tra i membri del collegio un supervisore;
   l'articolo 25 «cause di esclusione» prevede che:

«Art. 25.
(Cause di esclusione).

  1. Con motivata delibera il Collegio dei docenti, acquisito il parere del supervisore e sentito il dottorando, può proporre anche in corso d'anno al Rettore l'esclusione del dottorando dal proseguimento del corso nei seguenti casi:
   a) prestazioni di lavoro non autorizzate;
   b) prolungate assenze ingiustificate;
   c) valutazione insufficiente da parte del Collegio docenti»;
   l'articolo 30, comma 2, dispone che entro la fine dell'ultimo anno di corso il collegio docenti dovrà formulare un giudizio sull'attività di ricerca svolta dal dottorando e ammettere il dottorando alla valutazione della tesi da parte dei valutatori;
   il comma 4 dello stesso articolo dispone che:
  «4. Al fine di ottemperare a quanto previsto dall'articolo 8 del decreto ministeriale n. 45 del 2013, il competente Servizio di Ateneo coordina una procedura atta a raccogliere i corrispondenti giudizi dei due valutatori esterni e attivare la successiva valutazione di una commissione di esame finale salvaguardando la possibilità del dottorando di poter riformulare la tesi di dottorato in caso di rinvio richiesto dai valutatori».
   il comportamento del tutor affidato al signor Zagbla pare non conforme a quanto disposto dall'articolo 1 del regolamento di tutorato;
   il giudizio riportato nel verbale della commissione del 4 dicembre 1995 non pare giustificato in quanto non ci fu la possibilità di discutere la tesi davanti alla Commissione;
   non è stata salvaguardata la possibilità del dottorando di poter riformulare la tesi di dottorato, come previsto dal comma 4 dell'articolo 30 del regolamento di ateneo;
   l'ingiustificata bocciatura, ha determinato la perdita di opportunità per il signor Zagbla di accesso al concorso post dottorato –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda descritta in premessa e siano state assunte o si intendano assumere iniziative, anche per il tramite dell'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, volte a verificare eventuali comportamenti discriminatori a carico del signor Zagbla e a evitare che possano ripetersi in futuro casi analoghi;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere al fine di verificare l'anomalo comportamento della prefettura nonché della questura di Padova in relazione al caso sopra menzionato;
   se il Governo ritenga di assumere iniziative per verificare la sussistenza dei requisiti necessari affinché il signor Zagbla possa finalmente vedersi riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana, così come previsto dalla normativa vigente. (4-12473)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono notizie in merito alla vicenda del dottor Tano Emmanuel Zagbla, cittadino ivoriano residente a Padova unitamente alla moglie, cittadina italiana.
  La persona citata è in possesso di carta di soggiorno e dal 2004 lavora a Padova, dove è titolare di un'agenzia di consulenza « Migration Services International» che si occupa di «consulenza e servizi per l'immigrazione, informazioni per delocalizzazione industriale in Africa, assistenza all’export nei Paesi africani».
  Il dottor Zagbla ha conseguito la laurea in Scienze politiche presso l'università degli studi di Padova nel novembre del 1990 e successivamente ha partecipato al concorso per il dottorato di ricerca in Relazioni Internazionali ma, sebbene abbia frequentato regolarmente i corsi di dottorato, nel 1995 non ha superato l'esame finale, conseguendo il diploma di dottorato solamente nel 2001.
  In più occasioni ed in più sedi, il dottor Zagbla ha denunciato di essere stato oggetto di una serie di irregolarità da parte dell'università di Padova e precisamente:
   irregolarità nella discussione della tesi di dottorato avvenuta nella seduta del 4 dicembre 1995;
   mancato adempimento della promessa orale del rettore pro tempore di un'eventuale assunzione in un'attività di cooperazione come ricercatore in relazioni internazionali;
   mancato inserimento del proprio nominativo come dottore di ricerca nell'archivio elettronico dell'università, nel periodo compreso tra il 2001 e il 2004, a causa di un disguido nelle operazioni di trasferimento dei dati degli interessati.

  Nel marzo del 2005, a seguito di un articolato esposto prodotto dal dottor Zagbla, il difensore civico dell'università di Padova ha comunicato formalmente che, dall'esame del suo caso, non si riteneva sussistessero le condizioni per l'attivazione dell'ufficio del difensore civico dell'Ateneo.
  In particolare, in ordine ai punti di doglianza, è stato rappresentato che:
   il giudizio negativo riguardante l'esame di tesi di dottorato rientra nella libera sfera della determinazione della commissione, il cui giudizio può essere impugnato solo in sede giurisdizionale. Il dottor Zagbla, dopo aver avviato un ricorso al tribunale amministrativo regionale del Veneto, lo abbandonava dopo il rigetto della richiesta di gratuito patrocinio;
   la richiesta di trattamento economico equivalente allo stipendio medio di un ricercatore universitario, a titolo di indennizzo per il mancato adempimento della promessa dell'allora Rettore, è argomento che può solo formare oggetto di domanda giudiziale presso il giudice competente. In data 15 dicembre 2004 il rettore ha comunicato al predetto di non ravvisare alcun presupposto per poter dare corso alla sua richiesta di carattere economico. Inoltre gli è stato comunicato che il rettore pro tempore aveva negato di essersi assunto qualsivoglia impegno nei suoi confronti;
   per quanto riguarda, infine, il mancato inserimento del suo nominativo presso la banca dati, il difensore civico ha riferito di aver prontamente eliminato l'inconveniente dovuto ad un disguido nelle operazioni di trasferimento dei dati degli interessati e che, comunque, tale banca dati non ha alcuna rilevanza giuridica ma serve solo per consultazione.

  In merito al percorso di studi dell'interessato, si rende noto che, fino al 1995, lo stesso ha collaborato con un professore universitario nello svolgimento delle sessioni dell'esame di sociologia, per il corso di laurea in Scienze Politiche, in qualità di «cultore della materia».
  Non si esclude che l'aver condotto quest'attività, normalmente prevista nel sistema accademico a titolo gratuito e senza possibilità di far sorgere alcun diritto all'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, abbia ingenerato nel dottor Zagbla aspettative di una qualche collocazione nel corpo docente dell'Ateneo.
  Presso la locale procura della Repubblica si è accertato che, nel dicembre del 1997, il dottor Zagbla ha presentato un esposto contro un professore che lo affiancava come tutor nel dottorato di ricerca, procedimento archiviato nel novembre 1998.
  L'Ufficio legale dell'università di Padova ha comunicato di aver inviato diverse relazioni sulla vicenda al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, rappresentando di aver sempre considerato come totalmente infondate le pretese avanzate dal dottor Zagbla in ordine sia alla presunta discriminazione sia alla richiesta di compensazione economica, per la quale non sussistevano né sussistono i presupposti.
  Si riferisce che il dottor Zagbla, nel corso degli anni, ha sempre continuato a produrre copiosa documentazione, e-mail e comunicati, inviati a numerosi enti e ad alte cariche istituzionali, per rendere nota la propria vicenda di presunta «discriminazione» e per ottenere una definitiva soluzione del contenzioso economico con l'Università di Padova.
  Quanto al riconoscimento della cittadinanza italiana, si comunica che il dottor Zagbla ha presentato un'istanza il 29 febbraio 1996, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera f) della legge n. 91 del 1992.
  L'istanza è stata respinta con provvedimento del 22 maggio 1997, in considerazione del parere contrario espresso dal Ministero degli affari esteri e della cooperativa internazionale.
  Se in possesso dei requisiti di legge, il dottor Zagbla potrà presentare una nuova istanza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CAPELLI e PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da tempo è in corso un travagliato e spesso acceso dibattito sullo stato del sistema della giustizia in Italia;
   tale dibattito è stato attraversato, in molte circostanze, da considerazioni di ordine politico-partitico, sacrificando, così l'alto obiettivo, da più parti sollecitato, di una migliore organizzazione della giustizia, amministrativa, civile e penale, ai fini della più efficace tutela dei diritti del cittadino e delle comunità, a favore di un regolare sviluppo dell'intera società e del sistema economico del Paese;
   tale sollecitazione proviene, ormai, da ampi strati della società italiana e assume particolare valenza nell'ambito dell'iniziativa economica;
   proviene soprattutto da chi opera nel settore, a partire dalla magistratura e dagli appartenenti all'ordine forense;
   i dati resi noti dal Ministero risultano impressionanti e portano ad un razionale pessimismo sulla possibilità dell'apparato giudiziario nel suo complesso di far fronte, con gli attuali mezzi normativi, economici ed operativi, alle attuali emergenze di funzionamento e, in particolare, al tempestivo svolgimento dei procedimenti pendenti quantificati (al 30 giugno scorso) in 5.257.693 in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale;
   su questo il precedente Ministro della giustizia ha avuto modo di definire l'arretrato presente come «un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario, provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale, ma anche dalle trasformazioni della società», che di fatto confermano una crescente domanda di giustizia da parte dei cittadini a tutela dei propri diritti;
   i costi complessivi del «sistema giustizia» devono, certamente, essere resi sostenibili per lo Stato ma stando particolarmente attenti a non determinare nell'accesso al «servizio giustizia» una discriminazione di fatto per le categorie di cittadini economicamente e socialmente più deboli;
   quanto evidenziato nella delibera dell'assemblea straordinaria del 7 febbraio 2014 degli iscritti all'ordine degli avvocati di Cagliari, e dalle successive assemblee degli avvocati appartenenti agli ordini della Sardegna, appare del tutto condivisibile richiamando l'attenzione sui diritti costituzionalmente sanciti, a partire da quello di difesa per proseguire con tutti quelli direttamente indirettamente connessi alla possibilità di accesso alla giustizia messa a serio rischio da procedure ardite di semplificazione e da un incontrollato crescere dei costi a carico dei singoli cittadini;
   tali argomenti risultano anche oggetto di valutazione critica da parte della stessa ANM (associazione nazionale magistrati) che in un documento di pari data osserva che la «celerità della risposta giudiziaria e la deflazione della relativa domanda non possono in alcun modo sacrificare la piena tutela dei diritti, se non a costo della perdita della finalità della giurisdizione stessa»;
   allo stato appare proseguire ad oltranza l'azione di protesta adottata formalmente dagli avvocati sardi, i cui contenuti proposti hanno certamente alto valore civile e sociale, ma determinano comunque conseguenze che tutti vorrebbero evitare sul funzionamento del sistema giustizia in Sardegna;
   l'azione predetta pur non avendo per oggetto questioni solo locali, ma di valenza nazionale, è nata in una regione particolarmente colpita dalla crisi occupazionale, sociale ed economica che attraversa il Paese, tale da pretendere una giusta considerazione da parte del Ministro e del Ministero, anche per il tramite delle rappresentanze nazionali e regionali;
   si è certi della sensibilità sull'argomento da parte delle autorità politico-istituzionali a cui compete, in particolare, l'intervento di profonda revisione del progetto di legge in argomento –:
   se il Ministro abbia puntuale informazione sull'andamento dell'iniziativa di legittima protesta promossa dagli avvocati sardi e se intenda attivarsi con urgenza per organizzare una specifica interlocuzione finalizzata all'avvio dei necessari interventi dello Stato sul piano normativo, finanziario e operativo atti a garantire il diritto alla «giustizia», in tutto il territorio nazionale e per tutti i cittadini, a prescindere dalle loro condizioni economiche e sociali;
   se intenda infine intervenire per una preliminare revisione sostanziale del progetto normativo di riforma del processo civile alla luce delle innumerevoli critiche già espresse dagli avvocati e da autorevoli personalità interne al sistema della giustizia e del diritto in Italia. (4-04100)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante lamenta – nel contesto di iniziative di protesta della magistratura associata e dell'avvocatura – la eccessiva durata dei tempi di definizione delle controversie e la perdurante criticità dell'arretrato civile, chiedendo se il Governo intenda avviare una complessiva riforma del processo civile.
  Come noto, la risoluzione delle croniche criticità della giustizia civile ha costituito obiettivo prioritario dell'azione del mio Dicastero, sin dall'insediamento.
  Nell'avviare un complessivo piano strategico di riforme, finalizzato ad assicurare adeguati livelli di efficienza del sistema ed una idonea risposta alla domanda di giustizia, il metodo adottato ha inteso coinvolgere nei lavori l'avvocatura, nella consapevolezza del ruolo essenziale che la stessa svolge nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
  Il proficuo confronto avviato ha investito tanto l'aspetto normativo quanto l'assetto organizzativo e, grazie all'impegno ed alla collaborazione dimostrata dall'avvocatura, sono state varate importanti innovazioni e superate inevitabili criticità operative, come avvenuto nella fase di avvio del nuovo processo civile telematico, al cui definitivo ed efficace consolidamento gli avvocati hanno decisamente contribuito.
  Il percorso riformatore ha, difatti, preso avvio dall'informatizzazione del processo civile, nella prospettiva dell'incremento di efficienza, congiunto a risparmi della spesa e all'ottimizzazione delle risorse.
  In pochi anni, l'impatto dell'innovazione tecnologica sul processo civile ha progressivamente consolidato importanti risultati.
  Dopo l'introduzione del processo civile telematico per le cause civili ordinarie iscritte avanti ai tribunali, l'obbligatorietà del processo civile telematico è stata estesa ai procedimenti esecutivi fin dalla loro fase introduttiva, nonché – a partire dal 30 giugno 2015 – ai processi celebrati avanti alle Corti d'appello. Con l'introduzione generalizzata della facoltà di depositare l'atto introduttivo in via telematica, l'Italia può vantare oggi un processo civile di merito paperless in tutte le sue fasi.
  Inoltre, dallo scorso 15 febbraio, sono attive, anche presso la Corte di cassazione, le notificazioni e comunicazioni telematiche; contestualmente, è stata attivata sul portale dei servizi telematici la consultazione dei registri civili, oltre che penali, della Corte, nonché l'elenco delle comunicazioni e notificazioni effettuate in cancelleria a seguito della mancata consegna del messaggio di posta certificata.
  Si tratta del primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità.
  Sempre con riguardo all'essenziale supporto dello strumento telematico, con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, cosiddetto «decreto banche», è stato introdotto il registro elettronico con le informazioni afferenti le procedure esecutive e quelle concorsuali, anche concordate, quali i fallimenti, l'amministrazione straordinaia, i concordati preventivi, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, e così via, denominato Portale dei creditori.
  Sono in corso le attività prodromiche alla realizzazione di tale registro elettronico: si tratta di uno strumento fondamentale per favorire la creazione di un mercato per i crediti deteriorati (Non performing loans-NPL), che finora ha scontato la scarsità di adeguate informazioni, consentendo ai soggetti interessati l'accesso ad un adeguato set informativo, che consentirà la stima del valore dei crediti e l'identificazione dei titolari, da cui poterli eventualmente acquistare.
  In tale prospettiva, uno strumento fondamentale per i creditori sarà anche il cosiddetto Portale unico delle vendite giudiziarie, già in fase avanzata di realizzazione: si tratta di un marketplace unico nazionale per la pubblicazione dei beni di tutte le procedure, concorsuali ed esecutive, in Italia ove risulti fissata la vendita: un luogo virtuale in cui i beni sono resi visibili e le vendite più accessibili.
  Il portale, che entrerà in funzione entro il 31 dicembre prossimo, è uno strumento altamente innovativo, non tanto e non solo sotto il profilo tecnologico, quanto, piuttosto, per il mutamento di prospettiva che esso comporterà, superando il localismo delle singole procedure concorsuali per proporsi come strumento di trasparenza e di apertura al mercato.
  Il marketplace e il portale dei creditori costituiscono due dei pilastri del sistema Com. Mon. (Competition Money). Tale sistema, come concepito dalla commissione ministeriale istituita il 4 agosto 2014, si fonda sulla necessità di sbloccare la parte qualificata dell'enorme massa creditoria, calcolata in circa 200 miliardi di euro, che rallenta la ripresa economica di molte imprese.
  Con la messa in opera del sistema Com. Mon. si mira a fornire un ulteriore strumento di valorizzazione dei crediti deteriorati, che potrà fungere da volano al relativo mercato.
  Oggi, quindi, si può constatare con chiarezza come il percorso di progressiva informatizzazione della giustizia civile non sia finalizzato al mero risparmio di spesa o al mero incremento di produttività del sistema, ma a fornire servizi innovativi, che rechino vantaggi tangibili alla generalità dei cittadini e agli operatori economici.
  Si tratta di un percorso che vede la partecipazione convinta di tutti gli operatori della giustizia: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
  Ad oltre due anni dall'entrata in vigore dell'obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali, e ad oltre un anno dalla facoltà di deposito non cartaceo degli atti introduttivi, i dati sui depositi telematici sono ancora in decisa crescita, segno tangibile della bontà delle scelte compiute.
  Ciò è confermato dai dati sui depositi telematici: nel solo mese di luglio 2016 sono stati eseguiti 645.148 depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti, con un incremento del 15 per cento rispetto al luglio 2015, quando era già in vigore l'obbligo di deposito telematico.
  Notevole anche la crescita dei depositi telematici di atti introduttivi, pari al 53 per cento rispetto allo scorso anno, ancora più significativa in quanto per questa categoria di atti non esiste, a tutt'oggi, l'obbligo, bensì la mera facoltà di invio telematico. Complessivamente, nell'ultimo anno sono stati depositati, da parte di avvocati e professionisti, 7,6 milioni di atti.
  Estremamente positiva è stata anche la risposta dei magistrati.
  Nell'ultimo anno (statistica aggiornata ad agosto 2016) sono stati depositati oltre 4 milioni di provvedimenti nativi digitali (di cui 1.231.510 verbali, 417.723 decreti ingiuntivi, 273.273 sentenze), rispetto ai 2,8 milioni circa registrati nell'anno precedente. Qui il dato è ancor più significativo, perché solo una piccola parte di tali depositi (417.723, pari al 10 per cento del totale) si riferisce ai decreti ingiuntivi, che sono attualmente gli unici provvedimenti necessariamente nativi digitali.
  Questi numeri dimostrano una volta di più come la magistratura abbia spontaneamente aderito al processo civile telematico, comprendendone e sfruttandone le potenzialità, anche a prescindere da un obbligo in tal senso.
  I tempi di emissione dei decreti ingiuntivi si sono ulteriormente ridotti, raggiungendo punte di decremento, rispetto al periodo anteriore all'obbligatorietà del telematico, pari al 54 per cento per il tribunale di Roma.
  Ciò costituisce indice anche dell'evoluzione organizzativa degli uffici giudiziari, che hanno saputo incrementare la propria efficienza organizzativa, avvantaggiandosi in misura crescente delle possibilità offerte dalla tecnologia.
  Tali risultati spingono a guardare con fiducia alle prossime evoluzioni in termini di progressiva estensione del processo civile telematico a tutti i settori processuali, con la certezza che l'informatica giudiziaria possa costituire valido strumento di velocizzazione dei procedimenti giudiziari nel loro complesso, oltre che di miglioramento oggettivo delle modalità lavorative, in specie per le cancellerie e per l'avvocatura.
  La maggiore efficienza degli strumenti telematici rispetto a quelli tradizionali è immediatamente riscontrabile anche dai consistenti risparmi di spesa, conseguiti attraverso le comunicazioni telematiche. Basti pensare che, nell'ultimo anno, sono stati consegnate oltre 18 milioni di comunicazioni telematiche, con un risparmio stimato di circa 63 milioni di euro.
  Sulla scia dell'obbligatorietà del processo civile telematico, è notevolmente cresciuto il numero di pagamenti telematici relativi a spese di giustizia.
  Nell'ultimo anno, sono stati eseguiti 126.138 pagamenti telematici, più del doppio rispetto all'anno precedente, quando ci si era fermati a 66.705. Nel solo mese di luglio 2016 i pagamenti sono stati 12.734, laddove nel luglio 2015 ne erano stati eseguiti 9.675, con un incremento, quindi, superiore al 31 per cento.
  Questi dati inducono a guardare con particolare attenzione alla possibile ulteriore estensione dei pagamenti telematici, in vista di una digitalizzazione integrale del processo civile, dal primo atto del processo di cognizione fino all'acquisto all'asta dei beni nell'ambito del processo esecutivo.
  Non va trascurata, poi, l'informatizzazione del settore minorile, sia civile che penale, attraverso la diffusione dell'applicativo SIGMA, completata in pochi mesi su tutto il territorio nazionale, grazie anche all'esperienza maturata nell'evoluzione dei sistemi civili e penali.
  Tale sistema consentirà, peraltro, il pieno funzionamento della banca dati sulle adozioni.
  Inoltre, presso alcuni uffici è già attivo il servizio SIGM@Web, che consente a tutti, cittadini e avvocati, di attingere informazioni sullo stato dei procedimenti proposti innanzi al Tribunale per i Minorenni, attraverso un semplice collegamento internet che consente l'accesso alla banca dati del software ministeriale.
  Quanto allo sviluppo degli strumenti statistici, le potenzialità offerte dal datawarehouse civile costituiscono ormai un patrimonio acquisito, al quale si attinge costantemente anche ai fini della cooperazione istituzionale con il Consiglio superiore della magistratura. Il livello conoscitivo del contenzioso raggiunto, riguardo al settore civile, ha consentito un'accurata diagnosi delle cause dell'arretrato e l'individuazione di possibili rimedi organizzativi.
  Il processo di digitalizzazione dell'attività amministrativa e processuale è stato supportato anche per il 2016 con l'assegnazione di cospicue risorse, pari ad oltre 86 milioni di euro. Oltre a tali risorse, vanno considerate quelle provenienti dai fondi strutturali europei nell'ambito del Pon Governance per importanti progetti di informatizzazione quali il processo penale telematico e la digitalizzazione del processo innanzi ai giudici di pace, che troveranno compimento entro il 2020.
  Pertanto, dovrà essere assicurata la corretta distribuzione e utilizzazione di tali risorse per il dispiegamento degli interventi programmati conseguenti alle riforme normative introdotte quest'anno in tema di digitalizzazione integrale dell'amministrazione centrale, nonché di tutti quelli necessari allo sviluppo della informatizzazione avanzata degli uffici giudiziari.
  Al percorso di informatizzazione avanzata del processo civile sono state affiancate plurime misure, di tipo normativo ed organizzativo, finalizzate a migliorare il livello di efficienza dei servizi e la qualità della risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
  I risultati raggiunti nella giustizia civile in questi ultimi anni testimoniano l'efficacia degli strumenti messi in campo, a partire proprio dai programmi di riduzione dell'arretrato civile.
  Nonostante i magistrati italiani registrino costantemente una produttività tra le più alte in Europa ed in costante incremento, sia in termini di numeri assoluti, sia in termini di efficacia nello smaltimento dell'arretrato, al giugno 2013 erano circa 5 milioni e 200 mila le cause civili pendenti.
  L'impegno riformatore, sempre nella linea di necessaria complementarietà tra interventi di carattere normativo e di innovazione organizzativa, ha investito i fondamentali assetti del processo civile, con l'obiettivo di ridurre i carichi di lavoro e l'arretrato, nel contempo favorendo un'opportuna azione di diffusione nell'intera rete degli uffici giudiziari delle esperienze organizzative più virtuose.
  Oggi si può ragionevolmente ritenere, con il conforto delle statistiche a consuntivo, particolarmente capillari e attendibili anche grazie alla ormai completa possibilità di utilizzo per i dati del settore civile del datawarehouse che le misure normative ed organizzative adottate abbiano consentito il raggiungimento di importanti risultati.
  Alla data del 30 giugno 2016, il totale nazionale dei fascicoli pendenti – secondo l'analisi dei dati forniti dagli uffici, raccolti ed elaborati dalla direzione generale di statistica nell'ambito di un monitoraggio periodico pubblicato sul sito istituzionale – risulta, al netto dell'attività del giudice tutelare, pari a 3.886.285 procedimenti, confermando il trend decrescente degli anni precedenti.
  Positivo corollario della riduzione delle iscrizioni e delle pendenze è il contenimento dei tempi di durata delle cause civili.
  Per la prima volta, nell'agosto 2016, i tempi medi di definizione in primo grado sono scesi a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000.
  In particolare, i tempi medi di definizione dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese sono passati da 1.155 giorni del 2012 agli 870 giorni del 2015.
  La significativa diminuzione della tempistica di trattazione dei procedimenti civili è dato particolarmente significativo dal momento che rappresenta elemento qualitativo della risposta di giustizia per il cittadino, nonché indicatore chiave di valutazione per gli organismi internazionali.
  L'inversione di tendenza registrata è stata, infatti, recepita ed evidenziata positivamente anche dalla Banca mondiale nel suo ultimo rapporto annuale Doing Business 2016, nel quale l'Italia ha guadagnato, anche grazie al miglioramento dei tempi di trattazione del contenzioso commerciale, 36 posizioni nel ranking mondiale (dalla 147a posizione alla 111a).
  Anche per quanto riguarda l'arretrato civile, nel suo complesso, si registra una significativa riduzione, con un carico nazionale che, partendo dai quasi 6 milioni di procedimenti a fine 2009, nel 2014 è sceso a 4,9 milioni.
  I positivi risultati raggiunti anche in termini di riduzione dell'arretrato, testimoniano la efficacia dei numerosi interventi posti in essere, sia di carattere normativo sotto il profilo della deflazione delle cause in entrata, sia organizzativo, allo scopo di velocizzare i tempi di definizione.
  L'efficienza della giustizia civile è un fattore decisivo per la ripresa economica del Paese, oltre che fondamentale terreno di contatto quotidiano per rinnovare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni e la cultura della legalità.
  In tale prospettiva debbono essere inquadrati gli interventi normativi, con i quali sono state introdotte forme alternative di risoluzione delle controversie, in primo luogo attraverso il ricorso all'istituto della negoziazione assistita, complementare e non alternativa alla già avviata mediazione, istituti per i quali sono stati previsti anche meccanismi di incentivazione fiscale.
  Proprio al fine di armonizzare e razionalizzare il quadro normativo in materia e di elaborare una ipotesi di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato e di trovare strumenti per incentivare e costruire un sistema di maggiori convenienze all'utilizzo delle forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho voluto l'istituzione di una commissione di studio ministeriale per l'elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, presieduta dall'avvocato Guido Alpa, di cui a breve sono attesi gli esiti.
  Analogamente è da dirsi per la complessa ed organica revisione della disciplina dell'insolvenza, secondo linee progettuali definite attraverso il lavoro della commissione Rordorf e già trasfuse in uno schema di disegno di legge delega, nell'ovvia evidenza dei riflessi negativi che può produrre una gestione non adeguata della crisi di impresa, sia in termini strettamente economici, che di immagine del Paese rispetto ai competitor stranieri.
  In proposito, si può ragionevolmente ritenere che il deficit competitivo del Paese possa essere colmato, contestualmente creando le condizioni per una duratura crescita economica, anche per il tramite di un ripensamento complessivo del sistema processuale fallimentare.
  Il quadro delle riforme in itinere mira, infine, alla complessiva revisione delle regole processuali.
  Il disegno di riforma dei processo civile in discussione in Parlamento intende, difatti, migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, conferendo maggiore organicità alle competenze del tribunale delle imprese, consolidandone la specializzazione; rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona; realizzare un processo civile più lineare e comprensibile; assicurare la speditezza del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione.
  I dati statistici dei primi due anni di vita dei tribunali delle imprese sono estremamente positivi, con oltre il 90 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2013 giunti a definizione ed oltre il 73 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2014 definiti entro l'anno, con una media complessiva totale dalla nascita delle sezioni specializzate pari all'80 per cento di definizioni entro un anno, con sentenze di primo grado confermate quattro volte su cinque in sede di impugnazione.
  La positiva esperienza della concentrazione in pochissimi tribunali di questo tipo di contenzioso assume un valore importante per la reputazione anche internazionale del Paese, in quanto rappresenta la risposta, in termini di rapidità e prevedibilità della giurisprudenza, alle critiche che venivano dall'estero.
  Sul piano delle misure dirette ad ottimizzare l'organizzazione dei servizi si colloca, invece, la costituzione dell'ufficio per il processo, introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, m 90, che consente al giudice di avvalersi di una struttura di staff per la gestione delle controversie.
  Attraverso l'ufficio per il processo si vuole, infatti, favorire l'integrazione di diverse figure professionali, allo scopo di migliorare non soltanto la produttività della giustizia civile nel suo complesso, ma anche la qualità del lavoro giudiziario attraverso un più razionale impiego delle risorse disponibili e di quelle reperite con specifici meccanismi di incentivazione.
  Accanto all'azione riformatrice realizzata sul piano normativo, sono stati adottati specifici interventi di orientamento e sostegno agli uffici giudiziari, al fine di un coerente sviluppo di attività uniformi nella gestione dei flussi.
  Con il progetto «Piano Strasburgo 2», elaborato nel corso del 2015 dal dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei risultati del censimento speciale dell'arretrato civile iniziato nell'anno 2014, positivamente valutato anche dal Consiglio superiore della magistratura, sono stati messi a disposizione di tutti gli uffici giudiziari strumenti utili per abbattere l'arretrato, proponendo di adottare nell'impostazione del lavoro, quale criterio di calendarizzazione delle cause da decidere, quello della assoluta priorità per i procedimenti di più risalente iscrizione.
  Proprio per incrementare al massimo la comunicazione permanente tra Ministero e uffici giudiziari, nella prospettiva di accrescere i processi di responsabilizzazione di tutti gli attori del mondo della giustizia verso la massimizzazione del livello di servizio ai cittadini e creare un proficuo confronto, gli esiti del monitoraggio inerente la giustizia civile e penale, curato dal dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei dati forniti dagli uffici, viene pubblicato, con aggiornamenti trimestrali, sul sito istituzionale del Ministero.
  I risultati raggiunti si sono, in conclusione, senz'altro giovati della complessiva razionalizzazione del sistema, consentendo un più proficuo investimento delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della giustizia, come dimostrato dai dati statistici pubblicati e dagli osservatori internazionali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa si è appreso del rinvenimento di un vasto invaso, nel quale erano stati abbandonati negli ultimi tempi rifiuti di ogni tipo è stata sequestrata oggi dagli agenti della Polizia a Giugliano (Napoli), nella zona di via Ripuaria;
   nella discarica i poliziotti hanno trovato scarti di amianto, fusti contenenti liquidi (la cui natura deve essere accertata) e numerosi pneumatici di auto e camion. Le indagini, coordinate dal dirigente Pasquale Trocino, sono state avviate dopo la segnalazione di roghi tossici in zona;
   ancora una volta, il territorio campano si trova coinvolti in eventi delittuosi riguardanti le ecomafie. Peraltro numerosi studi, tra questi quello commissariato dal dipartimento della protezione civile e predisposto dall'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Istituto superiore di sanità, dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall'Osservatorio epidemiologico della regione Campania, o alcuni più recenti svolti dall'università di Napoli Federico II, hanno chiaramente stabilito il nesso che ci sarebbe tra l'incremento dei tumori in alcune aree della Campania e la presenza di discariche illegali e di rifiuti tossici interrati e bruciati illegalmente nella regione –:
   se i Ministri interrogati non intendano avviare con il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità e del Consiglio nazionale delle ricerche, nonché dei competenti organi ed enti territoriali, un'indagine accurata sulla salubrità dei terreni, delle falde acquifere e dell'aria nelle aree più direttamente interessate dallo sversamento illegale di rifiuti tossici e attualmente note, anche al fine di prevenire allarmismi generalizzati che possono danneggiare il settore agroalimentare campano, che rappresenta uno dei pilastri dell'economia regionale. (4-07054)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dai competenti soggetti istituzionali, si rappresenta quanto segue.
  Il 26 novembre 2014, nella zona di via Ripuaria nel comune di Giugliano, in provincia di Napoli, la polizia ha sequestrato un vasto invaso nel quale erano stati abbandonati negli ultimi tempi rifiuti di ogni tipo.
  A tale riguardo il Comando provinciale di Napoli del Corpo forestale dello Stato ha riferito di non avere informazioni, in quanto non ha preso parte alle attività correlate alla problematica in questione, così come il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, che ha comunicato di non essere intervenuto sul sito in oggetto.
  L'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (Arpac) ha invece riferito di aver effettuato in data 3 luglio 2014 sopralluoghi per l'identificazione dei rifiuti sversati abusivamente in diversi siti del comprensorio del comune di Giugliano (verbale 86/FR/14).
  Con particolare riferimento alla via Ripuaria, oggetto dell'interrogazione in parola, sono stati effettuati dei sopralluoghi nei pressi del IV circolo didattico in corrispondenza della ex isola ecologica e all'altezza del circolo didattico stesso.
  In quest'ultimo caso il sito si presentava chiuso e completamente recintato con inferriate metalliche e teli oscurati. Per quanto è stato possibile osservare, erano presenti diversi grossi sacchi neri del tipo utilizzato per i rifiuti solidi urbani (Rsu), di cui non è stato possibile accertare il contenuto.
  Nei pressi della ex isola ecologica, area chiusa con barriere new jersey di cemento con muri in cemento armato e reti metalliche, sono stati rinvenuti cumuli di rifiuti costituiti da ingombranti in diversi materiali (materassi, carcasse di frigoriferi privi di parte metallica, intelaiature in legno, pneumatici fuori uso, tubi catodici privi della componente di rame deflettore) e rifiuti urbani indifferenziati.
  La prefettura di Napoli ha comunicato che nel comune di Giugliano si sono verificati, all'inizio della stagione estiva 2015, frequenti eventi incendiari, alcuni dei quali in prossimità di siti già destinati a discarica. Tali episodi non appaiono riconducibili ad un'unica matrice e solo alcuni sarebbero causati dall'illegale smaltimento dei rifiuti urbani.
  A tale proposito, nel corso della riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 21 luglio 2015, alla quale hanno partecipato il sindaco di Giugliano e il Procuratore della Repubblica di Napoli Nord, è stato disposto un rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sui siti maggiormente interessati dagli incendi, anche con la rimodulazione del contingente militare già operante nell'area, che è stato in parte impiegato nella sorveglianza fissa di alcune zone del territorio di Giugliano, ritenute strategiche per il controllo delle strade di collegamento verso i siti di stoccaggio abusivo dei rifiuti.
  Infine, si evidenzia che si è in attesa di ricevere ulteriori elementi dal comune di Giugliano, interessato all'argomento con nota dei 18 novembre 2015, e che ad oggi non ha fornito i riscontri richiesti.
  In merito all'esigenza di coinvolgere l'Istituto superiore della sanità (Iss) e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) al fine di avviare un'indagine sulla salubrità dei terreni, delle falde acquifere e dell'aria nelle suddette aree, poiché, come sopra riportato, questo Ministero è in attesa di ricevere ulteriori elementi proprio dal comune di Giugliano, si ritiene opportuno attendere tali informazioni per una più approfondita disamina della questione, al fine di stabilire le eventuali iniziative da intraprendere a tutela della salute e dell'ambiente, anche attraverso il coinvolgimento di altre amministrazioni.
  Ad ogni modo, si segnala che le problematiche connesse alla cosiddetta Terra dei Fuochi rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della Regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita un'apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della Terra dei Fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla Cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro. Tali misure possono suddividersi in 6 macroaree d'intervento: misure per le bonifiche e il ripristino ambientale (le quali prevedono un fabbisogno economico pari a 38,5 milioni di euro); misure ricadenti sulla sicurezza (19,65 milioni di euro); area Ambiente e Salute (40,725 milioni di euro); rafforzamento delle misure di prevenzione antimafia e anticorruzione per le attività inerenti alla messa in sicurezza e la bonifica dei terreni (1,2 milioni di euro); misure relative alla comunicazione, sensibilizzazione e informazione della popolazione (250.000 euro); area rivitalizzazione economica del territorio (3,1 milioni di euro).
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal citato decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già predisposto lo schema di Regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Tale schema è stato trasmesso dalla competente direzione generale del Ministero all'Istituto superiore di sanità, all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ed al Centro ricerche agricoltura per il necessario confronto tecnico-scientifico con tali enti, funzionale all'ulteriore seguito dell’iter di approvazione del provvedimento. Al riguardo il Ministero è costantemente impegnato nell'attività di monitoraggio in ordine al predetto iter.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni ed enti, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'iniziativa bellezza@governo.it è stata annunciata dal Presidente del Consiglio durante un'intervista dell'8 maggio 2016;
   il Governo ha messo a disposizione 150 milioni di euro per i luoghi culturali da recuperare, ristrutturare o reinventare per il bene della collettività o un progetto culturale da finanziare;
   le email arrivate fino alla mezzanotte del 31 maggio 2016 sono state 139.759; il 22 giugno, terminato il lavoro di lettura delle email ricevute, i luoghi raccolti sono risultati circa 8000;
   una commissione doveva stabilire a quali progetti assegnare le risorse secondo le modalità individuate dalla deliberazione CIPE del 1° agosto 2016 ed il relativo decreto di stanziamento doveva essere emanato entro il 10 agosto 2016 –:
   a che punto siano i lavori della commissione, quando verranno conclusi e se ritenga opportuno il Governo dare priorità al finanziamento degli interventi nelle aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016.
(4-14205)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante, premesso che con l'iniziativa «bellezza@governo.it», deliberata nel maggio 2016, il Governo ha messo a disposizione 150 milioni di euro per recuperare e ristrutturare i beni culturali dimenticati, chiede di conoscerne lo stato di attuazione.
  A tal proposito si comunica quanto segue.
  Il piano stralcio cultura e turismo, finanziato, come noto, dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020, complessivamente ammonta ad 1 miliardo di euro ed è finalizzato ad un'azione di rafforzamento dell'offerta culturale del nostro Paese e di potenziamento della fruizione turistica, con interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e per la messa in rete delle risorse culturali materiali e immateriali, con particolare riguardo al sistema museale italiano. Sono altresì previsti interventi per il consolidamento di sistemi territoriali turistico-culturali.
  Nell'ambito di tale programma di interventi il Cipe ha ravvisato anche l'esigenza di riservare 150 milioni al progetto « bellezz@; – Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati», per il recupero dei tanti luoghi culturali dimenticati che, pur meno noti, fanno parte del patrimonio identitario e culturale diffuso del nostro Paese.
  A tal fine è stato possibile candidare interventi (sia da parte di amministrazioni che di singoli cittadini) segnalandoli, entro il 31 maggio, sul sito del Governo bellezz@governo.it (e non sul sito del Ministero dei beni e della attività culturali e del Turismo), pur essendo il finanziamento in capo al Ministero stesso, in quanto tale procedura è stata interamente gestita dalla Presidenza del Consiglio.
  Sono state raccolte quasi 140 mila segnalazioni di cittadini, i quali hanno indicato poco più di 7.540 luoghi in cui esiste un bene culturale da ristrutturare o recuperare alla fruizione collettiva.
  Gli uffici della Presidenza del Consiglio hanno segnalato che la fase istruttoria ha dovuto confrontarsi con l'elevatissimo numeri di proposte pervenute e la loro eterogeneità.
  Sempre a livello istruttorio, è allo studio l'ipotesi di selezionare un solo sito per comune, ricordando le condizioni di procedibilità che la delibera detta per il finanziamento:
   a) che il luogo segnalato rientri tra le tipologie indicate dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio);
   b) che l'oggetto dell'intervento sia la valorizzazione, la tutela o il recupero del luogo indicato;
   c) che l'ente attuatore sia pubblico.

  Nell'eventualità che le risorse disponibili risultassero insufficienti, la delibera adottata dal Cipe prescrive espressamente che si dia luogo ad una selezione da parte di un'apposita commissione, nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale dovrà individuare gli interventi da finanziare assicurandone la diffusione territoriale.
  Dopo l'espletamento della predetta selezione, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri saranno individuati gli interventi finanziabili.
  Sempre in via di ipotesi istruttoria, la commissione che sarà nominata:
   potrà definire, per ciascuna regione e provincia autonoma, una quota delle risorse disponibili in proporzione al numero di luoghi segnalati;
   potrà individuare interventi effettivamente realizzabili in relazione a un limite di contributo massimo;
   potrà collocare le richieste di finanziamento secondo un ordine crescente, così da privilegiare le richieste di minore importo;
   potrà selezionare gli interventi privilegiando quelli che, in relazione allo stato di maturazione progettuale, possano ritenersi di immediata realizzabilità.

  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è in attesa della emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per poter fornire tutta l'assistenza tecnica che verrà richiesta al riguardo.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   CHIARELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è nota la grave emergenza ambientale che interessa la provincia di Taranto, a causa del significativo impatto prodotto dalla grande industria, Ilva in primo luogo, ma anche Eni e Cementir;
   a seguito dell'azione giudiziaria promossa dalla procura di Taranto nel 2012, sono stati adottati vari provvedimenti, raccolti nell'ambito di otto decreti e successive conversioni in legge;
   i provvedimenti di cui sopra, tra cui la assunzione diretta della gestione da parte dello Stato, attraverso il commissariamento e la amministrazione straordinaria, puntano al rilancio del settore siderurgico e alla sua contestuale «ambientalizzazione», attraverso la piena attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale;
   lo stato dell'arte evidenzia un significativo ritardo nell'attuazione del piano di ristrutturazione, che ha ormai pregiudicato, sul piano del rilancio della produzione, le potenzialità di mercato dell'azienda, che continua a perdere importanti commesse e a maturare debiti;
   l'accentuarsi delle difficoltà di natura economico-finanziaria ha messo in ginocchio l'intero comparto dell'appalto industriale;
   a quanto consta all'interrogante le aziende dell'appalto Ilva sono aggredite dai creditori a causa della mancata liquidazione del credito vantato nei confronti dell'Ilva, e della riduzione delle commesse;
   all'emergenza di natura economica si associa quella ambientale che tarda ad essere risolta;
   in questi giorni l'ARPA Puglia ha scritto ai referenti istituzionali regionali e locali segnalando alcuni picchi di emissione nocive, raccomandando di adottare procedure specifiche per prevenire gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini, soprattutto in presenza di giornate particolarmente ventose (wind-days, fenomeno denunciato anche da associazioni locali);
   in questo contesto di emergenza totale si inserisce anche il perdurare di condizioni di lavoro che mettono a rischio la salute e la stessa vita dei lavoratori. Ancora oggi si registra, purtroppo, l'ennesimo incidente mortale che ha coinvolto un dipendente di una ditta dell'appalto che opera all'interno dello stabilimento siderurgico –:
   se siano a conoscenza dei gravi ritardi accumulati nella realizzazione del piano di rilancio ed «ambientalizzazione» dell'Ilva di Taranto;
   se siano a conoscenza dell'allarme lanciato dall'ARPA Puglia in relazione ai picchi di emissioni nocive registrate negli ultimi tempi, ed in particolare nelle giornate di vento;
   se siano a conoscenza della grave crisi che sta aggredendo l'appalto industriale, stretto nella morsa dei crediti non liquidati e dalla mancanza di nuove commesse;
   se siano a conoscenza delle condizioni di lavoro che sottopongono chi opera all'interno dello stabilimento siderurgico a gravi rischi, come conferma l'ennesimo incidente mortale;
   quali iniziative intendano adottare per affrontare tali gravi emergenze, e se ritengano di valutare la necessità di intervenire affinché i commissari e il management aziendale apportino ogni utile cambiamento, atteso l'evidente mancato raggiungimento degli obiettivi. (4-11160)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre innanzitutto premettere che l'esercizio dello stabilimento siderurgico Ilva Spa di Taranto è disciplinato dal decreto Aia dell'agosto 2011, che è stato parzialmente riesaminato ad ottobre 2012 per le emissioni in atmosfera delle aree di produzione e dei parchi di materie prime, ovvero le aree sequestrate dalla magistratura ad agosto 2012. Le prescrizioni dell'Aia del 2011 e del 2012 sono state ulteriormente integrate e modificate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che approva il Piano delle misure e delle attività per la tutela ambientale e sanitaria (cosiddetto Piano ambientale), il quale contiene anche ulteriori prescrizioni per il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.
  Oltre l'Aia e il Piano ambientale, l'esercizio dello stabilimento siderurgico (alcune aree del quale sono a tutt'oggi sotto sequestro con facoltà d'uso) è disciplinato dalla normativa speciale che dal dicembre 2012 ad oggi consta di ben 8 decreti legge, a loro volta oggetto di conversione.
  Le scadenze temporali previste dal Piano ambientale per l'attuazione di interventi ambientali, fermo restando il rispetto dei limiti emissivi stabiliti dall'Aia, sono state procrastinate una prima volta ai sensi dell'articolo 2, comma 3-
ter, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Tale disposizione – oggetto di modifica ad opera del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 4 marzo 2015, n. 20 – prevedeva per tutte le prescrizioni del piano esclusivamente due scadenze: il 31 luglio 2015 per l'attuazione dell'80 per cento del numero delle prescrizioni in scadenza a quella data, e il 4 agosto 2016 per tutte le rimanenti.
  Successivamente, con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'Aia dell'Ilva di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal Piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Con il decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (ed in particolare con il suo articolo 1, comma 7), convertito con modificazioni dalla Legge 1o febbraio 2016, n. 13, il termine ultimo per l'attuazione di tutte le restanti prescrizioni dell'Aia 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 è stato fissato al 30 giugno 2017.
  Ad ogni modo, nel luglio 2015 Ilva Spa in A.S. ha comunque provveduto a garantire il rispetto della soglia prevista dell'80 per cento del numero di prescrizioni del piano ambientale, come certificato da Ispra a valle dell'ispezione che ha avuto luogo a luglio 2015 e dai vigili del fuoco per le prescrizioni di pertinenza.
  Con riferimento allo stato di attuazione delle rimanenti prescrizioni, si segnala che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali Ispra, con la collaborazione di Arpa Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'Aia, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Dal 2012 al 2016 sono stati inoltre autorizzati dal Ministero interventi importanti che discendono dall'Aia e dal Piano ambientale, quali gli interventi per la copertura del parco minerali e dal parco fossile, nonché interventi di regimazione delle acque meteoriche nelle aree discariche e parco calcare.
  Sono inoltre attualmente in corso i lavori istruttori della Commissione Aia-Ippc per il riesame delle prescrizioni dell'Aia riguardanti le aree di stabilimento che non erano oggetto del riesame del 2012 (sostanzialmente le emissioni in atmosfera delle aree delle lavorazioni), nonché le prescrizioni riguardanti gli scarichi di sostanze pericolose degli impianti produttivi dell'intero stabilimento e l'efficienza energetica e i lavori istruttori da parte di Ispra per il riesame del Piano di monitoraggio e controllo (Pmc).
  Tanto premesso, si riporta di seguito lo stato di attuazione degli interventi relativi alla procedura di bonifica effettuati ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006:
   
a) piano di caratterizzazione: approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 17 dicembre 2003;
   
b) risultati della caratterizzazione: discussi in sede di conferenza di servizi del 19 ottobre 2006;
   
c) analisi di rischio (area di stabilimento): richiesta dalla conferenza di servizi del 19 ottobre 2006 e non ancora trasmessa;
   
d) piano di caratterizzazione integrativo (area parchi): approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 18 dicembre 2013;
   
e) risultati delle indagini integrative (area parchi) ed analisi di rischio (area di stabilimento): in fase di istruttoria per la prossima conferenza di servizi del 16 marzo 2016.

  Per quanto riguarda le emissioni nocive in atmosfera si segnala quanto segue.
  Arpa Puglia (con nota del 26 febbraio 2016 n. 12878, pervenuta il 29 febbraio 2016), comunicava tra gli altri al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, sulla base di documentazione ricevuta nelle vie brevi da Ilva, «nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine si riscontrano valori altissimi nella centralina di Via Orsini, quindi fuori dai confini dello stabilimento ILVA, per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento della letteratura».
  Contestualmente perveniva al Ministero, da parte del presidente della regione Puglia, la nota prot. n. 933 indirizzata all'Arpa Puglia e alla Asl, di Taranto, con la quale si leggeva quanto segue: «In data odierna mi è stato consegnato per le vie brevi dalla direttore di Arpa Puglia il documento “Ilva-stabilimento di Taranto-attività di monitoraggio ambientale relativo alle analisi dei risultati delle misure di deposizione di PCDD/F a firma del Prof Ing. Maurizio Onofrio” comunicando che dall'analisi del medesimo documento risultavano “valori deposimetrici di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti normalmente considerati come valori soglia sul suolo”.
  In conclusione la nota chiedeva ad Arpa e Ispra rispettivamente di:
   «ad ARPA Puglia di procedere ad una indagine diretta in sito, precisamente nelle aree esterne del quartiere Tamburi prossime al punto campionato dal Politecnico di Torino per conto di ILVA, effettuando campionamenti sul suolo e relative analisi di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like);
   ad ARPA Puglia di produrre i dati più recenti relativi ai monitoraggi e controlli delle emissioni in atmosfera (SME, Rapporti di prova relativi alle indagini a camino, Monitoraggi ambientali);
   al Dipartimento di Prevenzione ed allo SPESAL dell'Asl di Taranto di verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro, di attuare idonee campagne di monitoraggio e controllo avvalendosi di ARPA Puglia, tese ad accertare il livello di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like) e di Benzo(a)pirene;
   al Dipartimento di prevenzione dell'Asl di Taranto di accertare la eventuale presenza di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso i laboratori competenti».

  Alla luce delle citate note, il Ministero tempestivamente procedeva a sollecitare l'invio da parte di Ilva della documentazione citata dal presidente della regione Puglia, documentazione che veniva trasmessa nella medesima data del 29 febbraio da Ilva alla competente direzione e ad Ispra.
  Acquisiti gli atti, la direzione per le valutazioni e autorizzazioni ambientali provvedeva, nella medesima giornata del 29 febbraio, a richiedere formalmente ad Ispra, con l'urgenza che il caso richiedeva e richiede, un approfondimento specifico sulla questione ed in particolare sulla possibile relazione tra i dati rilevati e le attività industriali dell'aria.
  Delle note di Arpa Puglia e dell'Ilva, il giorno stesso del ricevimento è stata data compiuta pubblicità nel sito del Ministero.
  Infine, si evidenzia che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2016 su fonti di stampa l'interrogante ha appreso della triste vicenda di un concittadino di Mola di Bari, Stefano Tanzi 34 anni, vittima di violenza e ridotto in fin di vita da ignoti a Tilburg nel sud dell'Olanda;
   Stefano è stato trovato esanime nel mezzo di una strada da alcuni passanti, è stato ricoverato presso l'ospedale «Elisabeth» di Tilburg riportando pare profonde ferite alla testa, lividi sul volto e diverse fratture agli arti e alle costole ed ora è in terapia intensiva in coma farmacologico;
   i familiari della vittima, in una intervista, affermano di non aver ricevuto adeguata collaborazione dalla Polizia locale, per far luce sulla vicenda sulla quale pare siano state date versioni poco compatibili con le ferite riportante dalla vittima –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per far chiarezza sulla vicenda. (4-13963)

  Risposta. — Il connazionale Stefano Tanzi è stato ricoverato il 19 luglio 2016 presso il reparto di terapia intensiva dell'ospedale St. Elisabeth, a Tilburg, dopo essere stato rinvenuto in strada in stato di incoscienza, privo di documenti e con gravi ferite alla testa.
  L'ambasciata d'Italia a L'Aja, il 21 luglio 2016, non appena informata della vicenda dai parenti del signor Tanzi, ha prestato la massima assistenza inviando immediatamente due funzionari a Tilburg.
  L'intervento del personale dell'ambasciata – anche date le difficoltà linguistiche dei parenti nel frattempo giunti nei Paesi Bassi – ha garantito un immediato e costante contatto dei famigliari del connazionale con i medici dell'ospedale e con le autorità di Polizia intercedendo affinché la famiglia Tanzi usufruisse gratuitamente di un pasto al giorno fornito dall'ospedale e di una stanza all'interno della stessa struttura ospedaliera, in cui hanno pernottato dalla prima sera fino all'8 agosto. Le condizioni di salute del connazionale, nel frattempo, sono migliorate e dal 5 agosto è stato trasferito presso il reparto di neurologia del St. Elisabeth. In seguito al miglioramento del quadro clinico del ragazzo, che ha ripreso pienamente coscienza iniziando a camminare e a consumare i pasti autonomamente, l'ospedale ha consigliato alla famiglia il trasferimento in Italia per iniziare un percorso di riabilitazione fisica e psicologica. L'Ambasciata ha facilitato, anche in questo caso, le comunicazioni e lo scambio della documentazione tra l'ospedale di Tilburg e l'ospedale italiano.
  Il 19 agosto 2016 il connazionale è stato trasferito in ambulanza in Italia. Il viaggio attraverso la Germania e la Svizzera è stato monitorato dalla Sede fino all'arrivo e ricovero del connazionale presso l'ospedale «F. Miulli» di Acquaviva delle Fonti, dove i medici del reparto di neurochirurgia hanno potuto confermare le buone condizioni del paziente.
  Per quanto riguarda l'attività di indagine, l'ambasciata d'Italia a L'Aja, dopo aver sentito anche la versione dei fatti data dalla famiglia del connazionale, si è fatta interprete con la polizia di Tilburg, incaricata dell'attività investigativa, della ferma aspettativa dei familiari che non venga esclusa alcuna pista nella ricostruzione degli avvenimenti. La Polizia, che ha sin da subito fornito rassicurazioni in tal senso, ha garantito che le indagini sono tuttora in corso e terrà informata l'Ambasciata sugli sviluppi dell'inchiesta.
  L'ambasciata d'Italia a L'Aja e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale continueranno comunque a prestare la massima assistenza e a seguire da vicino tutti gli sviluppi, mantenendosi in contatto con la famiglia Tanzi, l'avvocato da loro incaricato e le autorità di Polizia di Tilburg.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato autonomo di polizia CONSAP ha segnalato all'interrogante un fatto piuttosto preoccupante;
   secondo ambienti vicini all'ufficio sanitario provinciale della questura di Palermo, l'attuale dirigente di detto ufficio avrebbe recentemente richiesto alla direzione centrale della sanità del dipartimento della pubblica sicurezza la fornitura di 1.000 mascherine con filtro, necessarie per evitare contagi di malattie trasmissibili per via aerea in occasione dell'accoglienza migranti;
   si tratta di un numero che, alla luce della mole di attività svolta dalla Polizia di Stato, sembra essere congruo per garantire a tutti gli operatori la giusta sicurezza;
   tali mascherine sono previste come dispositivo di protezione individuale (DPI) dai protocolli del Ministero della difesa e dalla stessa direzione centrale della sanità;
   tuttavia, sempre secondo le medesime fonti, sembra che le mascherine effettivamente inviate nel capoluogo siciliano siano state appena 200 circa a causa della mancanza di disponibilità del Ministero;
   sempre tramite il sindacato CONSAP, giungono da tutto il territorio nazionale segnalazioni sulla base delle quali anche i poliziotti impegnati in attività di scorta dei migranti non siano quasi mai dotati della tuta protettiva prevista dal dispositivo di protezione individuale e dai protocolli del Ministero della difesa –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato in merito ai fatti enunciati in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire affinché siano rispettati i protocolli a difesa della salute dei poliziotti, fornendo la strumentazione idonea, a tutela dell'incolumità non solo delle forze di polizia, ma anche della cittadinanza tutta stante il rischio concreto del diffondersi di epidemie. (4-06483)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato di polizia CONSAP ha segnalato all'interrogante che a Catania in data 13 ottobre 2014 sarebbe arrivata una nave mercantile, poi collocata alla fonda a circa un chilometro dal pontile di Porto Empedocle;
   grazie alla spola svolta dalla Guardia costiera tra pontile e imbarcazione, dal natante sarebbero scesi circa 150 migranti (somali, nigeriani, eritrei, sudanesi e namibiani), tra i quali vi erano circa 15 bambini e 40 donne;
   sempre secondo la medesima segnalazione, pare che non vi sia stato alcun controllo sanitario a bordo della nave e che il primo controllo sia avvenuto a terra, contrariamente a quanto invece prevede il protocollo del Ministero della salute (vedasi in merito la risposta del Ministro Lorenzin del 2 luglio 2014 all'interrogazione a risposta immediata n. 3-00913);
   risulta inoltre che i poliziotti che hanno scortato i 3 pullman contenenti i 150 migranti diretti all'aeroporto di Catania erano appena 12 (10 del reparto mobile di Catania e 2 della questura di Agrigento), quindi un numero assolutamente insufficiente ed erano privi delle tute previste dalle disposizioni del Ministero della salute come dispositivi di protezione individuale;
   risulta infine che l'aereo che ha trasportato i migranti a Verona sia stato scortato da appena 14 poliziotti, un numero insufficiente per garantire la sicurezza degli operatori e del volo stesso –:
   quali siano le informazioni dei Ministri interrogati in merito alle vicende illustrate in premessa;
   quali azioni intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di contenere al massimo il rischio che si diffondano tra le file dei poliziotti e successivamente dell'intera popolazione malattie ormai scomparse dal quadro epidemiologico italiano. (4-06484)

  Risposta. — Le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno e delle altre amministrazioni interessate.
  In generale, il Ministero della salute ha emanato apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, sulla gestione delle misure di prevenzione per la tubercolosi e sul rischio biologico da virus ebola.
  Tale dicastero ha poi fornito precise indicazioni agli Uffici di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo, nonché agli assessorati regionali alla sanità, che intervengono nelle fasi successive di permanenza degli stessi naufraghi nel territorio nazionale, per l'applicazione delle misure previste dal Regolamento sanitario internazionale del 2005 e delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Le procedure di controllo sanitario effettuate sui migranti alla luce dei predetti atti di indirizzo prevedono che questi siano sottoposti a visita medica già prima dello sbarco, da parte dei medici della Marina militare e del Ministero della salute, onde mettere in atto prioritariamente tutte le misure di profilassi che si richiedono in caso di malattia infettiva e contagiosa, prime tra tutte l'isolamento.
  Inoltre, a tutela della salute e della sicurezza a bordo, è previsto che siano adottate anche misure di ordine collettivo e, pertanto, indirizzate non solo al personale militare, quali la disinfezione delle aree di accoglienza e la gestione delle misure di isolamento.
  Gli ulteriori approfondimenti diagnostici sui migranti, possibili durante la permanenza nei centri, consentono poi di identificare i casi eventualmente sfuggiti al primo filtro sanitario.
  In caso di documentato e fortuito contatto con malati in fase contagiosa, le autorità sanitarie preposte provvedono a segnalare tempestivamente il caso a tutti i soggetti interessati (soccorritori volontari, personale militare e delle forze di polizia, delle Asl, della Croce rossa, dei centri di accoglienza) al fine di consentire l'adozione di una specifica profilassi post-esposizione.
  In assenza di segnalazione di casi di individui affetti da malattie infettive diffusive, appaiono pienamente in linea con le linee guida emanate in materia l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale di tipo generico (mascherine chirurgiche e guanti in lattice) e la mancata attivazione di specifiche misure di profilassi antimicrobica (con particolare riferimento alla profilassi antitubercolare) nel personale impiegato in operazioni di soccorso, assistenza e scorta.
  Si soggiunge che la direzione centrale di sanità del dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato più di una circolare
ad hoc, con l'indicazione delle misure operative di tutela e di profilassi che debbono essere adottate dal personale delle Forze di polizia impegnato nelle operazioni di soccorso dei migranti.
  In proposito, sono state fornite indicazioni quanto più esaustive (con pubblicazione anche sul sito istituzionale della Polizia di Stato) circa l'impiego dei dispositivi di protezione individuale, in grado di evitare il contatto con eventuali microrganismi, nei differenti possibili contesti operativi.
  La stessa direzione centrale è stata ed è tuttora in costante contatto con i medici della Polizia di Stato delle sedi ove avvengono gli sbarchi e di quelle dove sono trasferiti i migranti, attivando puntuali e reciproci scambi sulle eventuali criticità di carattere sanitario.
  Inoltre, di fronte a potenziali rischi di natura biologica, i questori delle sedi nelle quali vengono trasferiti i migranti possono impiegare i medici della Polizia di Stato per monitorare tempestivamente la situazione consentendo di attuare, laddove necessario, ogni misura di tutela nei confronti del personale, con particolare riguardo agli aspetti di informazione sanitaria, alla fornitura e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
  È stata anche prevista la distribuzione, a scopo prudenziale, di un
kit di protezione individuale al personale della Polizia di Stato in servizio negli scali aeroportuali interessati da voli internazionali extra-Schengen. Tale strumentazione potrà anche essere distribuita in caso di effettiva esigenza a personale di altri uffici o reparti.
  Peraltro, la Polizia di Stato, analogamente a quanto fatto dalla Marina militare, ha esteso le procedure di controllo per la malattia tubercolare a tutto il personale impiegato nei servizi di soccorso, assistenza e scorta a migranti che, indipendentemente dalla documentazione del contatto con soggetto bacillifero e contagioso, abbia comunque operato in particolari condizioni di rischio.
  Quanto al problema – segnalato nell'interrogazione n. 4-06483 – della fornitura di mascherine con filtro alla questura di Palermo nel corso del 2014, si rappresenta che, con circolare dell'aprile 2014, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha precisato che le procedure di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale da parte degli operatori della Polizia di Stato impiegati in servizi con migranti, prevedono l'impiego di facciali filtranti ad elevato potere di protezione (FFP3) solo in presenza di ben definite condizioni di rischio.
  In altri casi, laddove non si configurano significative condizioni di rischio di trasmissione di agenti patogeni per via respiratoria, può non essere necessario l'impiego di alcuna protezione per le vie aeree o, eventualmente, può essere consigliato l'utilizzo delle sole mascherine chirurgiche.
  Nel corso del 2014 sono state assegnate alla questura di Palermo e all'XI reparto mobile di Palermo, rispettivamente, 1.780 e 460 facciali filtranti P3.
  L'assegnazione di un numero di facciali inferiore a quello richiesto dalla citata questura, ma comunque adeguato a fronteggiare le esigenze di servizio, è stata determinata dalla necessità di dover garantire la distribuzione di tali dispositivi a tutte le questure e reparti coinvolti nell'effettuazione di servizi con migranti.
  Quanto alla vicenda segnalata nell'interrogazione n. 4-06484, il questore di Agrigento ha fatto sapere che il giorno 14 ottobre 2014 la nave mercantile liberiana
Humboldt Bay ha preso a bordo 218 persone di etnia sub-sahariana e, su disposizione delle autorità italiane, si è diretta verso lo scalo marittimo di Porto Empedocle, dove si è provveduto allo sbarco in banchina dei 218 migranti.
  Questi, al termine delle consuete procedure, sono stati condotti in numero di 200 presso il centro di accoglienza temporaneo di villa Sikania a Siculiana, in provincia di Agrigento, ed i restanti 18 in altre strutture.
  Gli aspetti che attengono ai controlli sanitari dei migranti giunti nello scalo sono stati curati dal competente servizio della struttura locale di sanità pubblica.
  Successivamente è stato disposto il trasferimento di 154 migranti dal citato centro di accoglienza a strutture temporanee nelle regioni Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia Romagna.
  Il servizio di accompagnamento fino scalo aeroportuale «Vincenzo Bellini» di Catania è stato assicurato dalla questura di Agrigento, con l'impiego di due unità della questura e dieci unità del reparto mobile di Catania, contingente senza dubbio sufficiente per una semplice attività di trasferimento.
  Si assicura, infine, che il Reparto mobile di Catania dispone di un adeguato quantitativo di camici monouso, utilizzabili nelle circostanze in questione.
  Il Questore ha, comunque, confermato che tutte le misure di tutela sanitaria del personale impiegato, con riguardo agli aspetti di formazione, fornitura e corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuali, sono state regolarmente adottate in conformità alle disposizioni ministeriali in materia.
  Appare anche utile evidenziare che il personale impegnato in questo tipo di servizio viaggia su mezzi dell'amministrazione, che precedono e seguono gli autobus destinati ai migranti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i comuni di Grumo Nevano, Casandrino, Sant'Antimo, Melito e Arzano appartenenti all'area nord della provincia di Napoli collocata ad una quota più bassa rispetto ai comuni limitrofi, sono interessati da frequenti e gravi allagamenti, che si verificano regolarmente nel periodo delle piogge e ogni qualvolta si verificano delle precipitazioni consistenti;
   le strade di questi paesi, in tali circostanze, si inondano completamente, diventando veri e propri fiumi in piena capaci di trascinare tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Sul web è possibile reperire numerosi video realizzati da alcuni cittadini per rendersi conto della gravità del fenomeno; in particolare, i locali commerciali posti al livello stradale puntualmente riportano danni gravissimi dovuti all'acqua e al fango che penetra rovinando merce e attrezzatura e determinando una condizione di pericolo costante all'incolumità dei cittadini;
   inoltre, il sistema fognario, sottodimensionato e inadeguato, non riesce ad assorbire un carico così potente di acqua finendo, nella migliore delle ipotesi, col saturarsi completamente. Nei casi più gravi, invece, la pressione dei liquidi meteorici comporta la rottura della continuità del sistema di condutture determinando anche smottamenti del primo banco di terreno, circostanza verificatasi più volte a Grumo Nevano;
   peraltro, nel comune di Grumo Nevano, a questo stato di cose se ne aggiunge un altro tale da rendere la situazione ancora più preoccupante dovuta alla presenza nel sottosuolo di cavità e percorsi sotterranei la cui origine, molto probabilmente, è da ricercare nell'antica tecnica di costruzione usata per realizzare gli edifici in tufo e consistente nel praticare uno sbancamento del terreno al fine di procurare, sul posto, il materiale tufaceo poi impiegato nell'erezione delle strutture portanti, con la conseguenza immediata di svuotare parte del sottosuolo di pertinenza;
   negli anni si sono verificati numerosi fenomeni di collasso stradale, sia procurati e sollecitati dalle piogge abbondanti sia improvvisi, cioè verificatisi in assenza di particolari condizioni meteoriche sfavorevoli;
   da ultimo, in seguito ad un episodio recente avvenuto alla via Pola del comune di Grumo Nevano, sono state sfollate 8 famiglie residenti nei fabbricati prospicienti la zona interessata: si era infatti venuta a creare una voragine tale da trascinare con sé un pezzo della muratura di una delle abitazioni. Anche dalla lettura della delibera di giunta comunale n. 98 del 6 novembre 2015, nella quale sono riportati, fra le altre cose, gli interventi urgenti intrapresi per fronteggiare la situazione di emergenza creatasi, è possibile rendersi conto quanto questa sia effettivamente grave;
   inoltre, nella relazione di intervento del comando, provinciale dei vigili del fuoco (n. 26406 del 29 ottobre 2015) possono leggersi le misure urgenti adottate e volte alla salvaguardia dell'incolumità, come il divieto al transito sulla via Pola, l'inibizione all'utilizzo di tutti gli edifici che danno su via Pola e di quelli in piazza Capasso ai civici 10 e 11, la chiusura parziale del corso Giureconsulto;
   lo sgombero, consequenziale, degli alloggi abitati dalle 8 famiglie, è stato poi disposto dal sindaco con propria «ordinanza contingibile e urgente» (EM n. 1 del 29 ottobre 2015) e dalla lettura della nota n. 03/EM del 29.10.2015, si evince come i suddetti nuclei familiari sono stati sistemati presso strutture religiose del comune;
   inoltre, con la citata deliberazione di giunta comunale n. 98/15, lo stanziamento, una tantum, da parte del comune è consistito nell'erogazione della cifra irrisoria di euro 20.000 (869,50 euro per componente familiare), servite a soccorrere solo in questa fase iniziale i nuclei familiari interessati;
   alla luce di quanto esposto, la popolazione di un piccolo comune di circa 18.000 abitati, tutti addensati in un territorio esiguo (2,88 chilometri quadrati), comincia a percepire giustamente una forte inquietudine dovuta al susseguirsi dei fenomeni sopra descritti;
   risulta di tutta evidenza l'urgenza di dare maggiore sicurezza alla popolazione del comune di Grumo Nevano –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative con la massima urgenza, per quanto di rispettiva competenza, al fine di predispone:
    a) un'adeguata gestione dell'ordine pubblico nelle situazioni emergenziali;
    b) una regolamentazione finalizzata ad impedire interventi edilizi rovinosi e potenzialmente catastrofici;
    c) un'indagine scrupolosa del sottosuolo grumese che possa consentire l'individuazione di punti critici e la redazione di una mappatura definita delle cavità sotterranee. (4-11602)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020.
  Il piano è stato definito in base alle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema
web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con Ispra (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Inoltre, nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il piano stralcio risulta composto di una sezione attuativa, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato, e di una sezione programmatica, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In relazione al piano nazionale 2015-2020, di seguito si riportano per ciascuna provincia della Campania le richieste di intervento avanzate e validate dalla regione fino al 20 ottobre 2016.
  Tutte le richieste avanzate e validate saranno valutate secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, qualora si rendano disponibili le necessarie risorse finanziarie.

Provincia Somma imp. tot. Somma imp. rich. Conteggio cod. istr.
Avellino euro 568.816.767,80 euro 546.615.068,56 227
Benevento euro 632.701.851,07 euro 630.516.851,07 232
Caserta euro 251.504.897,70 euro 251.504.897,70 62
Napoli euro 140.995.185,17 euro 139.002.641,17 26
Salerno euro 1.035.255.863,84 euro 882.685.879,54 200
Totale euro 2.629.274.565,58 euro 2.450.325.338,04 747

  Si segnala, altresì, che questo Ministero sta lavorando intensamente alle tematiche rappresentate dall'interrogante e sta seguendo l'iniziativa legislativa sul consumo del suolo.
  Il disegno di legge in materia di «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», attualmente in discussione, pone dei limiti al consumo del suolo, puntando in tal modo sulla trasformazione del tessuto urbano esistente, attraverso uno strumento normativo che unisca vincoli ed incentivi. Il Disegno di legge in questione persegue la finalità di contenere il consumo del suolo e valorizzare il suolo non edificato, nonché promuovere l'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, al fine di impedire che il suolo venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione. Il provvedimento riconosce espressamente il suolo come «bene comune» e «risorsa» non rinnovabile.
  Tuttavia, è indispensabile la collaborazione delle regioni e delle istituzioni locali che hanno il compito, dove necessario, di modificare, integrare ed aggiornare con sempre più attenzione la normativa a livello locale con l'obiettivo di stabilire le regole per un corretto uso del territorio.
  La difesa del suolo, infatti, è anzitutto un uso corretto del suolo secondo linee fondamentali che devono divenire patrimonio comune di tutte le amministrazioni, dal Governo centrale agli enti locali.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   29 settembre 2016, il Teatro romano di Verona — luogo pubblico e di grande valore storico artistico — ospiterà «Cinema on ice», «un evento privato aziendale, accessibile solo su invito» organizzato dalla ditta Antolini Luigi & C. spa, attiva nel settore del marmo — per festeggiare i 60 anni di attività;
   al posto del palco sarà realizzata una pista di circa 25 metri per 14, lungo la quale i pattinatori su ghiaccio danzeranno interpretando le più celebri colonne sonore di film di fama mondiale, preferibilmente vincitori di premi Oscar;
   l'evento in programma, rigorosamente su invito e quindi non aperto alla cittadinanza, si svolgerà durante il prossimo fine settimana, ma i lavori di allestimento sono iniziati già dal 14 settembre 2016, tanto che l'evento programmato in precedenza in occasione del Tocatì — il Festival internazionale dei giochi in strada —, una serata intitolata «Azzardopatia: il buco nero del gioco», «un happening contro un non gioco che umilia, rovina, uccide», condotto da Gian Antonio Stella, con Marco Paolini e Enzo Iachetti e con la partecipazione di numerosi esperti, giornalisti e testimonial, si è tenuto domenica 18 settembre nella sala della Gran Guardia;
   le polemiche relative alla concessione da parte del comune di Verona di quello che viene considerato il più importante teatro romano del nord Italia non sono mancate, sin dai mesi scorsi;
   la vicenda si trascina dal 7 aprile, quando la giunta, inizialmente, bocciò l'iniziativa proprio per «l'incompatibilità con gli eventi già autorizzati», ma a giugno la giunta del sindaco Tosi ha deciso di concedere ugualmente il sito e la possibilità di costruirvi una pista del ghiaccio, trascurando, ad avviso dell'interrogante, le delicate condizioni del monumento che avrebbe invece bisogno di urgente restauro;
   sul tema si era espressa la direzione dei musei d'arte e monumenti di Verona, che in una nota, chiedeva alla giunta di non concedere il teatro perché «la trasformazione in pista di ghiaccio di un sito archeologico così delicato» non sarebbe consona «al decoro del monumento»;
   il 1° settembre 2016 è arrivato, però, anche il nulla osta della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona, un parere, a giudizio dell'interrogante, redatto con eccessiva accondiscendenza — viene da chiedersi quanto il soprintendente Fabrizio Magani, storico dell'arte e già direttore generale del Ministero in Abruzzo, dove è stato impegnato per i restauri dopo il terremoto, finendo anche indagato dalla magistratura, abbia davvero a cuore la salvaguardia dei siti posti sotto la sua protezione — in cui ci si limita a indicare che «dovranno essere adottate tutte le cautele possibili affinché le installazioni sceniche non danneggino le strutture monumentali»;
   al comune, la ditta richiedente dovrà versare 9.200 euro per maggiori costi di smontaggio di impianti elettrici e strutture per la sicurezza. Il canone di concessione, invece, non è stato reso noto;
   sugli organi di stampa locale comincia a farsi strada anche l'ipotesi che il sindaco Tosi abbia concesso il Teatro romano a titolo gratuito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano le ragioni delle scelte operate dalla Soprintendenza di Verona e se intenda intervenire affinché le autorità statali preposte adempiano puntualmente allo svolgimento dei loro doveri. (4-14271)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, premesso che il 29 settembre 2016 si è svolta presso il Teatro romano di Verona una iniziativa denominata «Cinema on Ice», organizzata dalla ditta Antolini Luigi & C. spa, per festeggiare i 60 anni di attività, e che la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona ha emesso un parere di nulla osta al l'evento in cui ci si limita a indicare che «dovranno essere adottate tutte le cautele possibili affinché le installazioni sceniche non danneggino le strutture monumentali», chiede di sapere dal Ministero quali siano state le ragioni delle scelte operate dalla Soprintendenza di Verona.
  A tal proposito si comunica quanto segue, anche in base ad elementi acquisiti dalla soprintendenza stessa, competente per territorio.
  Giova premettere che il complesso monumentale del Teatro romano, emerso a seguito di scavi archeologici eseguiti nel XIX secolo, è di proprietà del comune di Verona ed è sottoposto alle disposizioni di tutela previste dal Codice dei beni culturali, per effetto del decreto di vincolo apposto il 25 ottobre del 1989.
  Da alcuni decenni vi si svolge un festival teatrale che si avvale di strutture temporanee, allestite nel periodo estivo, in relazione alle quali la
ex Soprintendenza archeologia (ex in quanto nel frattempo è intervenuta la riorganizzazione del Ministero che ha disposto l'accorpamento delle diverse competenze di settore in un'unica/soprintendenza) aveva segnalato la necessità di approntare adeguamenti e miglioramenti, affinché la valorizzazione del monumento, come luogo di creazione artistica contemporanea, avvenisse nel rispetto delle esigenze di fruizione culturale.
  Il comune di Verona e la soprintendenza suddetta hanno quindi sottoscritto, nel luglio del 2014, un protocollo d'intesa con l'obiettivo di formalizzare un rapporto di collaborazione per lo studio, la conservazione e la valorizzazione del teatro, scaturito sia dalle osservazioni sulla inadeguatezza delle strutture sceniche che da valutazioni concernenti le condizioni conservative del monumento.
  Già nel 2015 è stato possibile rivedere alcuni aspetti del palcoscenico e delle torri luci, nonché avviare la realizzazione di un progetto pilota per il restauro conservativo e il consolidamento delle strutture in alzato.
  Ed è su tali presupposti che l'attuale Soprintendenza ha esaminato la richiesta, trasmessa dal comune, riguardante la concessione temporanea e l'allestimento dello spettacolo denominato «Cinema on Ice by Antolini» (pattinaggio artistico sul tema di classiche colonne sonore del cinema, da realizzarsi in orario di chiusura del compendio), considerando sia gli aspetti artistici che le caratteristiche delle installazioni, che confermavano sostanzialmente l'allestimento in uso per il festival teatrale.
  Peraltro lo spettacolo proposto prevedeva un omaggio al grande maestro Ennio Morricone, con una selezione delle sue più celebri colonne sonore, e una seconda parte dedicata alle colonne sonore di film internazionali già insigniti da premio Oscar.
  Queste musiche costituivano il sottofondo delle performance artistiche dei pattinatori che riproponevano i momenti salienti dei medesimi film.
  A tale riguardo si segnala che uno spettacolo del tutto analogo si svolge, da qualche anno, nell'Anfiteatro dell'Arena, anch'esso di proprietà comunale e sottoposto alle disposizioni di tutela del decreto legislativo n. 42 del 2004 per effetto del decreto ministeriale 2 dicembre 1996.
  Si tratta di un evento denominato «Opera On Ice» (sempre di pattinaggio artistico) che richiede la realizzazione di una superficie ghiacciata sul palcoscenico che viene utilizzato per le rappresentazioni liriche nell'ambito del Festival Areniano.
  La rilevanza artistica di tale evento è stata sempre commisurata al notevole impatto derivante dalla complessità tecnica di siffatto allestimento e ha comportato, finora, l'adozione di provvedimenti autorizzativi subordinati a particolari prescrizioni.
  Pertanto, una valutazione negativa nei confronti dell'analogo spettacolo programmato al Teatro Romano avrebbe dovuto essere fortemente supportata da puntuali motivazioni riguardanti l'incompatibilità con la tutela delle strutture antiche e con la fruizione pubblica.
  Non ravvisando, in base alla documentazione allegata, rischi per le strutture, la soprintendenza competente autorizzava l'iniziativa ai sensi degli articoli 20, 21 comma 4 e articolo 106 comma 2-
bis del decreto legislativo n. 42 del 2004, subordinatamente all'osservanza di prescrizioni finalizzate a garantire sia la tutela che la fruizione pubblica del complesso monumentale.
  Alle raccomandazioni poste in sede autorizzatoria ha fatto seguito, anche a seguito di preoccupazioni espresse dalla Direzione generale musei di questo Ministero, un sopralluogo in sito da parte della stessa Soprintendenza nella fase di allestimento delle strutture sceniche, nell'intento di verificare l'effettivo rispetto delle condizioni, sia per gli aspetti riguardanti la fruizione pubblica che per quelli attinenti la corretta conservazione del Teatro, sopralluogo dal quale non sono emerse difformità da quanto autorizzato.
  La Soprintendenza ha dunque ritenuto di dover acquisire il parere della Direzione Musei in ordine al superamento delle stesse problematiche riportate dall'interrogante, riguardanti la compatibilità dell'evento con il decoro e la conservazione del Teatro, anche se la suddetta Direzione musei ha successivamente chiarito che l'iniziale obiezione era fondata su motivazioni legate all'anticipazione dei lavori di disallestimento del palcoscenico, utilizzato per il Festival teatrale estivo, e contestuale allestimento delle strutture sceniche del Galà, nonché a prospettate modifiche temporanee del percorso di accesso al Museo archeologico, problematiche in seguito superate.
  A tale proposito preme evidenziare che le installazioni sceniche in progetto non interferivano con le strutture antiche del Teatro, essendo appoggiate sul parterre in ghiaia dell'emiciclo, già peraltro utilizzato nell'ambito della manifestazione annuale denominata «Estate teatrale veronese»; è stata quindi raccomandata l'adozione di ogni cautela, ipotizzando movimentazioni di materiali complesse nell'introduzione di manufatti e tubazioni necessari alla formazione dello strato di ghiaccio.
  Per quel che concerne la fruizione pubblica, si è stabilito che dovesse essere garantita l'accessibilità al Teatro e all'adiacente Museo archeologico concordandone le modalità con le competenti direzioni comunali.
  Tutto ciò premesso e considerate le supposizioni espresse dall'interrogante in relazione al canone di concessione stabilito dall'Amministrazione comunale di Verona, si deve evidenziare che non rientra fra le competenze della Soprintendenza effettuare verifiche al riguardo.
  Si sottolinea l'istituzionale intendimento del Ministero e della Soprintendenza competente di garantire la propria vigilanza affinché le concessioni (come noto previste e disciplinate dal codice di settore) assicurino destinazioni d'uso conformi con il carattere storico-artistico del bene culturale e venga comunque preservata la fruizione pubblica, come è avvenuto nel caso in questione.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   GIANNI FARINA, FITZGERALD NISSOLI e VEZZALI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è nota da tempo la decisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di mettere in vendita beni dello Stato;
   già nel 1862, il Ministro delle finanze Quintino Sella, rilevato che il debito dello Stato cresceva ogni anno in maniera esponenziale, pensò a «disammortizzare» vaste proprietà dello Stato propriamente detti demaniali;
   fino ai tempi più recenti, la gestione del patrimonio immobiliare dello Stato era regolata da una normativa con scarsi riferimenti a obiettivi di carattere economico. Con gli anni Novanta si è però affermato un indirizzo politico-legislativo ispirato alla gestione produttiva del patrimonio immobiliare pubblico;
   il primo intervento legislativo in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato è rappresentato dalla legge n. 35 del 1992 che regolamentava la «Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica»;
   con la legge n. 448 del 1998 (legge finanziaria 1999), il legislatore ha inoltre previsto un ulteriore strumento normativo per agevolare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare statale: il conferimento o la vendita dei cespiti a società per azioni;
   con l'emanazione dell'articolo 4 della legge 23 dicembre 1999 n. 488 sono state apportate ulteriori modifiche e innovazioni di notevole rilevanza per quel che riguarda la disciplina delle alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato;
   il patrimonio immobiliare dello Stato ha un valore di libro di poco sotto i 60 miliardi di euro: oltre 47 mila beni censiti, 32.691 fabbricati e 14.351 aree, che valgono rispettivamente 54,1 e 4,78 miliardi di euro (sono i dati che emergono dalla piattaforma «OpenDemanio» che l'Agenzia ha lanciato online: una mappa dell'Italia con i dati consolidati annualmente nel conto patrimoniale dello Stato sulla base della tipologia, della categoria di appartenenza e della distribuzione degli immobili, aggregati per regione e provincia);
   per effetto delle modifiche introdotte dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è stato altresì assegnato all'Agenzia per il demanio il ruolo di centrale di committenza per l'individuazione degli operatori a cui affidare l'esecuzione di tutti gli interventi manutentivi sugli immobili, con la sola eccezione di quelli ubicati all'estero riguardanti il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   il patrimonio immobiliare dello Stato gestito dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale conta nel mondo oltre 280 immobili (aggiornati al 31 dicembre 2015), da quanto si ricava dall'elenco pubblicato sul sito del Ministero, la cui responsabilità gestionale è affidata ai Consolati italiani che sovrintendono nelle rispettive circoscrizioni consolari;
   mancando una stima del valore di mercato e del valore reale dell'insieme del patrimonio immobiliare italiano all'estero, l'alienazione di esso rischia di essere condotta senza regole, senza strategia ed obiettivi finali e senza la dovuta trasparenza;
   è il caso di alcuni immobili appartenenti allo Stato italiano messi in vendita in Svizzera attraverso le aste senza considerare adeguatamente la storia di essi;
   l'asta è sicuramente una procedura corretta, perché serve a tutelare diversi interessi: quello economico dell'amministrazione e quello alla parità di trattamento tra potenziali contraenti;
   l'asta, è uno strumento di prevenzione della corruzione, e in base alla normativa vigente l'Amministrazione con la procedura d'asta si riserva anche di annullare, sospendere o revocare, secondo la normativa vigente, la procedura d'asta i ogni fase;
   non si è voluto ricorrere a tale disciplina nel caso delle ex sedi della Casa d'Italia di Locarno e Bellinzona, sebbene la Casa d'Italia fosse stata costruita dall'emigrazione italiana e poi donata allo Stato e nonostante il municipio di Locarno avesse chiesto la sua sospensione per permettere all'autorità comunale di predisporne l'acquisto nel rispetto nelle normative locali;
   lo stesso caso di Locarno, a quanto risulta all'interrogante, si sta verificando con la messa in vendita della Casa d'Italia di Lucerna, ex sede dell'agenzia consolare, la cui proprietà dello Stato risale al 1939, grazie ad una partecipazione finanziaria della comunità italiana di ben oltre 60 mila franchi dei 158 mila totali;
   negli ultimi anni, dal 2008, è stata costituita una fondazione il cui scopo è quello di tenere in vita la Casa d'Italia al fine di assicurarne la fruibilità alla comunità italiana locale e alle sue numerose associazioni;
   come si legge sul sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la scadenza della concessione della Casa d'Italia di Lucerna è prevista per il 1° gennaio 2017, ragione per cui sembra volersi cogliere tale data per metterla in vendita onde evitare il rinnovo della concessione –:
   se si intenda rinnovare la concessione alla Fondazione della Casa d'Italia di Lucerna per permetterle di tenere fede agli impegni assunti con l'utenza, alle iniziative in calendario e ai programmi sociali allestiti, nel rispetto della missione per la quale è stata costituita;
   se il Governo intenda assumere iniziative per predisporre un piano di dismissione degli immobili al fine di permettere a soggetti italiani di organizzarsi per partecipare alle aste;
   se si intenda favorire la trattativa privata nell'eventuale vendita degli immobili – quelli di Lucerna in primis – favorendo gli attuali locatori in linea con quanto esposto in premessa, per assicurarne la continuità di pubblico servizio.
(4-14349)

  Risposta. — La legge di stabilità 2016 (n. 208 del 2015) all'articolo 1, comma 624, prescrive che le maggiori entrate derivanti dalle operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare ubicato all'estero, realizzate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), rimangono acquisite all'entrata per un ammontare di 20 milioni di euro per l'anno 2016 e di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Nel piano di dismissione sono stati inseriti alcuni degli immobili non più utilizzati a fini istituzionali o non più rispondenti alle esigenze di razionalizzazione degli spazi utilizzati dagli uffici della rete diplomatico consolare.
  I beni demaniali potenzialmente alienabili identificati – conseguentemente oggetto di decreti per consentire l'avvio delle procedure di alienazione – possono essere modificati a condizione che vengano raggiunti gli obiettivi stabiliti dalla legge di stabilità del 2016, individuando altri immobili alienabili a disposizione del patrimonio del MAECI.
  Al momento nell'edificio demaniale di Lucerna sono ospitati un asilo, l'associazione Colonia italiana ed una succursale dell'ente gestore Casli Zurigo (che utilizza gli spazi a disposizione soltanto in parte dal momento che i corsi di lingua italiana che dovrebbe gestirvi si tengono presso una scuola sita in un'altra parte della città). Risulta inoltre che alcuni locali sarebbero stati in passato subaffittati, in violazione delle clausole del contratto di concessione, al Comites (quando tale organismo era ancora operativo). La Fondazione «Casa d'Italia» ha proposto di prorogare la concessione in scadenza nel 2017, impegnandosi a realizzare importanti interventi di ristrutturazione.
  Considerato che l'attività scolastica ha già preso avvio, si consentirà intanto di proseguire – fino alla conclusione dell'anno scolastico – l'attività didattica presso l'asilo gestito dalle suore, nonostante non sia mai stato stipulato un formale atto di concessione per disciplinare detta attività.
  Nel precisare che non è stata finora adottata alcuna decisione sulla vendita, vorrei rassicurare che l'amministrazione – nel pieno rispetto delle prescrizioni normative vigenti – terrà conto anche degli interessi della comunità italiana di Lucerna, prima di assumere una decisione definitiva sul futuro dell'immobile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale», in applicazione dei principi comunitari di cui alla direttiva 2008/98/CE, stabilisce che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento;
   la gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, dell'articolo 179 del decreto legislativo sopra citato devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica;
   con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall'ordine di priorità di cui al comma 1, qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse;
   sempre il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che lo smaltimento dei rifiuti è effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica, da parte della competente autorità, della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero di cui all'articolo 181. A tal fine, la predetta verifica concerne la disponibilità di tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l'applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell'ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché vi si possa accedere a condizioni ragionevoli;
   il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 recante «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», all'articolo 6, comma 1, lettera p) recitava: «[Non sono ammessi in discarica i seguenti rifiuti]: i rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore)  Lf 13.000 kJ/kg a partire dal 31 dicembre 2010, ad eccezione dei rifiuti provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita e dei rottami ferrosi per i quali sono autorizzate discariche monodedicate che possono continuare ad operare nei limiti delle capacità autorizzate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225»;
   tale previsione è finalizzata al successivo recupero energetico di dette tipologie di rifiuto in ossequio alla gerarchia delle operazioni di gestione dei rifiuti di indicazione comunitaria;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221 recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», con l'articolo 46, dispone l'abrogazione dell'articolo 6, comma 1, lettera p), del decreto legislativo n. 36 del 2003 –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, anche normative, affinché siano chiarite le opzioni di utilizzo delle discariche autorizzate fino ad oggi al deposito dei rifiuti da rottamazione e, in particolare, se i gestori potranno smaltire anche altre tipologie di rifiuto, vanificando così l'obiettivo di destinare in via esclusiva la discarica allo smaltimento di rifiuti con elevato potere calorifico e per i quali sono ormai disponibili e ampiamente collaudate efficienti tecnologie di recupero energetico;
   se una eventuale autorizzazione che consenta di colmare le discariche ad oggi utilizzate in via esclusiva per i rifiuti da rottamazione anche con altre tipologie di rifiuto possa essere oggetto dell'avvio di una infrazione dell'Unione europea, visto il palese contrasto, ad avviso degli interroganti, con la «gerarchia di gestione» che relega lo smaltimento ad una fase esclusivamente residuale. (4-12109)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti ed all'utilizzo delle discariche, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre chiarire che il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31 /CE relativa alle discariche di rifiuti, costituisce il recepimento della specifica disciplina comunitaria inerente le misure e le procedure necessarie al fine di prevenire e ridurre le ripercussioni sull'ambiente e sulla salute umana dalle discariche di rifiuti durante l'intero ciclo di vita delle stesse.
  In ossequio alle disposizioni di cui all'articolo 7, comma 5, del predetto decreto, è stato conseguentemente emanato il decreto ministeriale 27 settembre 2010 relativo ai criteri e procedure per l'immissione dei rifiuti nelle discariche, successivamente modificato con decreto ministeriale 24 giugno 2015, al fine di recepire le osservazioni ed i rilievi della Commissione europea.
  Ciò premesso, con l'introduzione all'articolo 6 del decreto legislativo n. 36 del 2003 della previsione di cui al comma 1, lettera
p), relativa al divieto di conferire in discarica i rifiuti con un PCI (potere calorifico inferiore) maggiore di 13.000 kj/kg, il legislatore ha inteso promuovere il ricorso all'incenerimento, a fronte dello smaltimento dei rifiuti residuali non riciclabili in discarica, nel rispetto della gerarchia comunitaria, nonostante tale divieto non fosse espressamente previsto nella direttiva comunitaria 99/31/CE sulle discariche.
  Successivamente è stata introdotta con la legge n. 10 del 26 febbraio 2011 di conversione del decreto-legge n. 225 del 29 dicembre 2010, una modifica al citato articolo 6, lettera
p), prevedendo una deroga al divieto di conferimento in discarica, per quei rifiuti derivanti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita e dei rottami ferrosi, per i quali è stata prevista la possibilità di autorizzare specifiche discariche monodedicate.
  Sebbene l'intento del legislatore fosse quello di promuovere gestioni più virtuose dei rifiuti non riciclabili rispetto allo smaltimento, il ricorso ed il conseguente sviluppo dell'incenerimento per la valorizzazione energetica dei rifiuti non riciclabili non ha avuto, in Italia, lo stesso successo di altri Paesi europei.
  Le quantità di rifiuti urbani inviate agli impianti di incenerimento (comprensive della frazione secca e del combustibile solido secondario derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani) nel 2014 in Italia ammontavano a 5,1 milioni di tonnellate, a fronte di una quantità di rifiuti totale incenerita pari a 6,3 milioni di tonnellate comprensiva dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali. Rispetto alla produzione nazionale di rifiuti urbani (29.665.000 tonnellate nel 2014) l'incenerimento dei rifiuti urbani rappresenta solo il 17,4 per cento.
  Delle circa 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali avviati a incenerimento nell'impiantistica esistente, la maggior parte è costituita dai rifiuti sanitari.
  La carenza dell'impiantistica di trattamento e valorizzazione energetica necessaria per chiudere il ciclo dei rifiuti in Italia, ha condotto conseguentemente il legislatore nazionale a due azioni.
  La prima è stata quella di prorogare ripetutamente l'entrata in vigore del divieto di cui all'articolo 6, comma 1, lettera
p), in questione con i decreti «mille proroghe» adottati a fine anno.
  In particolare, l'articolo 8, comma 3, del decreto-legge n. 210 del 2015 ne aveva prorogato il termine al 29 febbraio 2016, fino all'entrata in vigore della legge 28 dicembre 2015, n. 221, che ne ha disposto, con l'articolo 46, la definitiva abrogazione.
  Risulta infatti evidente che l'abrogazione di tale divieto non si pone in contrasto con il principio comunitario della gerarchia sulla gestione dei rifiuti, ivi compresi quelli provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita, che stabilisce di procedere allo smaltimento dei rifiuti solo dopo aver rispettato la prevenzione nella produzione dei rifiuti stessi ed aver provveduto alle fasi di riciclaggio e recupero. Tale previsione risulta inoltre in linea con i contenuti di cui all'articolo 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che prevedono la possibilità di discostarsi dalla gerarchia sopraindicata qualora una diversa opzione garantisca, complessivamente, migliori risultati in termini di impatto sanitario, sociale ed economico, compresa anche la fattibilità tecnica e la praticabilità economica.
  La seconda è stata quella, in virtù dell'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni in legge 11 novembre 2014, n. 164, con il quale sono state introdotte nuove disposizioni attinenti alle «misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale», di affidare ad una regia di indirizzo di livello nazionale il compito di delineare nuove logiche di sistema in tema di valorizzazione dei rifiuti urbani e assimilati e di riorganizzazione dell'attività di gestione degli stessi.
  Inoltre, con i decreti recentemente emanati in attuazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 35 sopra menzionato, partendo da una minuziosa ricognizione della situazione impiantistica di incenerimento e compostaggio esistente, si è provveduto a stimare il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani e di trattamento della frazione organica di rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, rispettivamente su scala nazionale e regionale, necessari a chiudere il ciclo dei rifiuti. Nel fare ciò si è tenuto conto anche della prevenzione e degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio previsti dalla nuova proposta europea sull'economia circolare (riciclaggio al 65 per cento).
  In merito alla necessità di assumere, da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, specifiche iniziative al fine di definire le modalità di utilizzo delle discariche autorizzate allo smaltimento dei rifiuti di rottamazione, si evidenzia che spetta alle regioni e alle province autonome, nell'ambito delle specifiche competenze alle stesse attribuite sui procedimenti autorizzativi delle discariche, assicurare il rispetto dei criteri e delle procedure che trovano compiuta definizione nelle disposizioni normative nazionali e comunitarie previste dalla legislazione vigente in materia.
  In conclusione, si segnala che, nel rispetto delle disposizioni introdotte dall'articolo 48 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, Ispra ha recentemente emanato le linee guida recanti i criteri tecnici per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica. Tale documento costituisce ulteriore indirizzo per le regioni e le province autonome competenti, ai fini del rilascio o dell'adeguamento delle autorizzazioni esistenti, nonché ai fini delle verifiche da parte degli organi preposti al controllo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si fa presente che questo Ministero continuerà a monitorare l'impatto regolatorio delle normative in questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FURNARI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:

  alcune agenzie di stampa hanno riportato la notizia che, a seguito di alcune rilevazioni effettuale da Peacelink nella zone circostanti lo stabilimento dell'ILVA di Taranto, sembra si siano nuovamente superati i livelli degli ipa provenienti dalla predetta area industriale;

  dalle rilevazioni effettuate da Peacelink, sia in questi giorni che nel recente passato (gennaio ed agosto 2015), con la stessa attrezzatura dell'Arpa Puglia (Ecochem Pas 2000), gli ipa (idrocarburi policiclici aromatici) per via dei venti provenienti dall'area industriale (Nord-Nord ovest), hanno superano di tre volte la media 2009-2010;

  si ricorda che gli ipa (idrocarburi policiclici aromatici) sono una classe di composti generati dalla combustione incompleta di sostanze organiche durante processi industriali e civili, e sono tra i microinquinanti organici più diffusi nell'ambiente. Le principali sorgenti degli ipa sono i processi industriali (trasformazione di combustibili fossili, processi siderurgici, processi di incenerimento, produzione di energia termoelettrica, e altro), il traffico autoveicolare e navale, i sistemi di riscaldamento domestico. Il marker di questa classe di inquinanti è il benzo(a)pirene (BaP), classificato come cancerogeno per l'uomo (classe 1) dall'Agenzia per la ricerca sul cancro (IARC) e unico ipa normato dalla legislazione europea ed italiana;

  la normativa di riferimento è il decreto legislativo n. 155 del 2010 (recepimento della direttiva comunitaria 2008/50/CE) entrato in vigore il 13 agosto 2010 e modificato dal decreto legislativo n. 250 del 2012. Il decreto legislativo n. 155 del 2010 fissa valori obiettivo per la concentrazione di arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene nell'aria ambiente per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi di tali inquinanti sulla salute umana e sull'ambiente nel suo complesso. Il valore obiettivo del benzo(a)pirene viene usato come marker per il rischio cancerogeno degli idrocarburi policiclici aromatici. Per il piombo il decreto legislativo n. 155 del 2010 fissa un valore limite annuale per la protezione della salute umana;

  sembra, dunque, anche attraverso le parole dei rappresentanti dell'associazione ambientalista di cui sopra, che lo stabilimento industriale di Taranto continui ad inquinare oltre misura e a compromettere la salute dei cittadini –:

  di quali informazioni i Ministri interrogati siano a conoscenza con riferimento i fatti esposti in premessa;

  quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di assumere al fine di contrastare l'inquinamento dell'aria causato dallo stabilimento industriale dell'ILVA che espone la popolazione residente a gravi rischi per la salute e se siano state osservate tutte le prescrizioni in merito previste dalla legislazione nazionale.
(4-10964)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Occorre innanzitutto premettere che l'esercizio dello stabilimento siderurgico Ilva S.p.a. di Taranto è disciplinato dal decreto Aia dell'agosto 2011, che è stato parzialmente riesaminato ad ottobre 2012 per le emissioni in atmosfera delle aree di produzione e dei parchi di materie prime, ovvero le aree sequestrate dalla magistratura ad agosto 2012. Le prescrizioni dell'Aia del 2011 e del 2012 sono state ulteriormente integrate e modificate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che approva il Piano delle misure e delle attività per la tutela ambientale e sanitaria (cosiddetto Piano ambientale), il quale contiene anche ulteriori prescrizioni per il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.
  Oltre l'Aia e il Piano ambientale, l'esercizio dello stabilimento siderurgico (alcune aree del quale sono a tutt'oggi sotto sequestro con facoltà d'uso) è disciplinato dalla normativa speciale che dal dicembre 2012 ad oggi consta di ben 8 decreti-legge, a loro volta oggetto di conversione.
  Le scadenze temporali previste dal Piano ambientale per l'attuazione di interventi ambientali, fermo restando il rispetto dei limiti emissivi stabiliti dall'Aia, sono state procrastinate una prima volta ai sensi dell'articolo 2, comma 3-
ter, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Tale disposizione – oggetto di modifica ad opera del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 4 marzo 2015, n. 20 – prevedeva per tutte le prescrizioni del piano esclusivamente due scadenze: il 31 luglio 2015 per l'attuazione dell'80 per cento del numero delle prescrizioni in scadenza a quella data, e il 4 agosto 2016 per tutte le rimanenti.
  Successivamente, con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'Aia dell'Ilva di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Con il decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (ed in particolare con il suo articolo 1, comma 7), convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2016, n. 13, il termine ultimo per l'attuazione di tutte le restanti prescrizioni dell'Aia 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 è stato fissato al 30 giugno 2017.
  Ad ogni modo, nel luglio 2015 Ilva S.p.a. in a.s. ha comunque provveduto a garantire il rispetto della soglia prevista dell'80 per cento del numero di prescrizioni del piano ambientale, come certificato dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale a valle dell'ispezione che ha avuto luogo a luglio 2015 e dai Vigili del fuoco per le prescrizioni di pertinenza.
  Con riferimento allo stato di attuazione delle rimanenti prescrizioni, si segnala che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali Ispra, con la collaborazione di agenzia regionale per la protezione ambientale Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'Aia, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Dal 2012 al 2016 sono stati inoltre autorizzati dal Ministero interventi importanti che discendono dall'Aia e dal piano ambientale, quali gli interventi per la copertura del parco minerali e dal parco fossile, nonché interventi di regimazione delle acque meteoriche nelle aree discariche e parco calcare.
  Sono inoltre attualmente in corso i lavori istruttori della Commissione Aia-Ippc per il riesame delle prescrizioni dell'Aia riguardanti le aree di stabilimento che non erano oggetto del riesame del 2012 (sostanzialmente le emissioni in atmosfera delle aree delle lavorazioni), nonché le prescrizioni riguardanti gli scarichi di sostanze pericolose degli impianti produttivi dell'intero stabilimento e l'efficienza energetica e i lavori istruttori da parte di Ispra per il riesame del Piano di monitoraggio e controllo (Pmc).
  Tanto premesso, si riporta di seguito lo stato di attuazione degli interventi relativi alla procedura di bonifica effettuati ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006:
   
a) piano di caratterizzazione: approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 17 dicembre 2003;
   
b) risultati della caratterizzazione: discussi in sede di conferenza di servizi del 19 ottobre 2006;
   
c) analisi di rischio (area di stabilimento): richiesta dalla conferenza di servizi del 19 ottobre 2006 e non ancora trasmessa;
   
d) piano di caratterizzazione integrativo (area Parchi): approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 18 dicembre 2013;
   
e) risultati delle indagini integrative (area parchi) ed analisi di rischio (area di stabilimento): in fase di istruttoria per la prossima conferenza di servizi del 16 marzo 2016.

  Per quanto riguarda le emissioni nocive in atmosfera si segnala quanto segue.
  Arpa Puglia (con nota del 26 febbraio 2016 n. 12878, pervenuta il 29 febbraio 2016), comunicava tra gli altri al Ministero dell'ambiente che, sulla base di documentazione ricevuta nelle vie brevi da Ilva, «nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine si riscontrano valori altissimi nella centralina di Via Orsini, quindi fuori dai confini dello stabilimento ILVA, per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento della letteratura».
  Contestualmente perveniva al Ministero, da parte del Presidente della regione Puglia, la nota prot. n. 933 indirizzata all'Arpa Puglia e alla Asl di Taranto, con la quale si leggeva quanto segue: «In data odierna mi è stato consegnato per le vie brevi dalla direzione di ARPA Puglia il documento “Ilva – stabilimento di Taranto – attività di monitoraggio ambientale relativo alle analisi dei risultati delle misure di deposizione di PCDD/F a firma del Prof. Ing. Maurizio Onofrio” comunicando che dall'analisi del medesimo documento risultavano “valori deposimetrici di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti normalmente considerati come valori soglia sul suolo.”.»
  In conclusione la nota chiedeva ad Arpa e Ispra rispettivamente di:
   «ad ARPA Puglia di procedere ad una indagine diretta in sito, precisamente nelle aree esterne del quartiere Tamburi prossime al punto campionato dal Politecnico di Torino per conto di ILVA, effettuando campionamenti sul suolo e relative analisi di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like);
   ad ARPA Puglia di produrre i dati più recenti relativi ai monitoraggi e controlli delle emissioni in atmosfera (SME, Rapporti di prova relativi alle indagini a camino, Monitoraggi ambientali);
   al Dipartimento di Prevenzione ed allo SPESAL dell'ASL di Taranto di verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro, di attuare idonee campagne di monitoraggio e controllo avvalendosi di ARPA Puglia, tese ad accertare il livello di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like) e di Benzo(a)pirene;
   al Dipartimento di prevenzione dell'ASL di Taranto di accertare la eventuale presenza di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso i laboratori competenti».

  Alla luce delle citate note, il Ministero tempestivamente procedeva a sollecitare l'invio da parte di Ilva della documentazione citata dal Presidente della regione Puglia, documentazione che veniva trasmessa nella medesima data del 29 febbraio da Ilva alla competente direzione e ad Ispra.
  Acquisiti gli atti, la direzione per le valutazioni e autorizzazioni ambientali provvedeva, nella medesima giornata del 29 febbraio, a richiedere formalmente ad Ispra, con l'urgenza che il caso richiedeva e richiede, un approfondimento specifico sulla questione ed in particolare sulla possibile relazione tra i dati rilevati e le attività industriali dell'aria.
  Delle note di Arpa Puglia e dell'Ilva, il giorno stesso del ricevimento è stata data compiuta pubblicità nel sito del Ministero.
  Infine, si evidenzia che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 ottobre 2013 l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato – per la prima volta in maniera ufficiale – che lo smog è uno dei più importanti agenti cancerogeni, ed ha annunciato la decisione di inserire gli inquinanti dell'aria nel gruppo numero 1, quello dei sicuri cancerogeni, insieme a sostanze come amianto e benzene. Si stima che lo smog nel solo 2010 abbia causato 220 mila morti;
   l'Unione europea detta regole precise sulla qualità dell'aria e sui livelli di inquinamento sostenibili, tanto che la Corte di giustizia condanna quegli Stati che non rispettano i limiti imposti dall'Unione europea. L'Italia è stata condannata lo scorso anno perché molte regioni hanno violato i limiti imposti per la qualità dell'aria per gli anni 2005 e 2006 (sentenza 19 dicembre 2012, n. C-68/11);
   tra le regioni in violazione c’è l'Umbria i cui livelli di inquinamento atmosferico stanno aumentando in maniera esponenziale nel corso degli ultimi anni e il cui registro tumori segnala un aumento del cancro ai polmoni in tutta la regione, specialmente a carico della popolazione femminile;
   nella prima settimana di dicembre 2013 – come si evince da diverse segnalazioni dell'associazione Italia Nostra – lo smog ha soffocato tutta l'Umbria. Non solo Terni, città dell'acciaio e delle polveri, ma Perugia, Città di Castello, Foligno, Magione, Gubbio, Spoleto, Narni e perfino Torgiano hanno superato i limiti di legge per le polveri sottili;
   nella stessa settimana il consiglio regionale dell'Umbria ha discusso del nuovo piano della qualità dell'aria che però appare, agli occhi degli interroganti, poco incisivo per tutelare la salute dei cittadini, in quanto non prevede misure stringenti né per quanto riguarda l'obbligo di riduzione dell'inquinamento atmosferico per le imprese, né per la necessaria riduzione dell'inquinamento dovuto al traffico. Nel frattempo la regione continua a sostenere il progetto di trasformare la E45 in autostrada, che non farà certo diminuire l'inquinamento dell'aria;
   è importante segnalare che in Umbria continuano a sorgere centrali a biomasse, come, ad esempio, quella legnosa ad Umbertide, che contribuiscono ad accrescere i livelli di inquinamento dell'aria;
   nelle segnalazioni di Italia Nostra si evince inoltre che, grazie al posizionamento strategico dei rilevatori di inquinamento, il fenomeno sembra praticamente ed improvvisamente sparito in alcuni centri urbani: gli sforamenti a Perugia sono passati da 69 nel 2009 a 6 nel 2013 –:
   se i Ministri interrogati, in base a quanto esposto in premessa, specie in relazione alla recente comunicazione dell'organizzazione mondiale della sanità, non ritengano fondamentale prevedere dei piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, al fine di evitare una nuova condanna da parte dell'Unione europea, ma soprattutto per tutelare la salute pubblica;
   se non intendano avviare, avvalendosi eventualmente del supporto tecnico-scientifico dell'ISPRA e dell'Istituto superiore di sanità, studi dettagliati sulle modalità di misurazione dell'inquinamento atmosferico, valutando anche l'opportunità ed il corretto posizionamento dei sistemi di rilevamento dello stesso. (4-02959)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico della Regione Umbria e agli interventi su scala nazionale per la tutela della salute pubblica, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base della normativa nazionale di settore (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di gestione e valutazione della qualità dell'aria, tali amministrazioni sono pertanto competenti nella zonizzazione del territorio (con la relativa classificazione delle zone in funzione dei livelli di inquinamento registrati), nel monitoraggio della qualità dell'aria, nella valutazione annuale dei livelli di inquinamento e nella pianificazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria.
  Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti relativi all'adozione di piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, si evidenzia che lo scrivente Ministero ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza sui settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, il 18 dicembre 2013, è stato sottoscritto un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del Bacino padano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano), finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel Bacino padano. In particolare tale accordo ha previsto l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile, risparmio energetico, industria e agricoltura) e di individuare, per ogni settore, specifiche misure di intervento analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Inoltre si evidenzia, per l'adozione delle misure individuate, l'impegno delle regioni nell'ambito del citato accordo ad adeguare i propri vigenti piani regionali di qualità dell'aria.
  Contestualmente all'attuazione del citato accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì avviato una interlocuzione con le regioni del Centro e Sud Italia finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise, sul modello del suddetto accordo di programma delle regioni del Bacino Padano, per l'individuazione di misure congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria dei territori di tali regioni.
  Inoltre si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare tale protocollo prevede tra le misure urgenti, da attivare dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola 7 giorni) le seguenti: abbassamento dei limiti di velocità di 20 km/h nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  In relazione alla situazione della qualità dell'aria ambiente della Regione Umbria si rappresenta che, secondo quanto riferito dalla stessa, nell'anno 2013 si sono registrati in Umbria superamenti del limite di legge per il PM10 soltanto per le città di Foligno e Terni, dove le centraline della rete regionale di monitoraggio hanno rilevato più di 35 giornate con una concentrazione media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/m3.
  Il Piano regionale per la qualità dell'aria, recentemente approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 296 del 17 dicembre 2013, si pone come principale obiettivo proprio l'adozione di misure volte al contenimento delle emissioni dei principali nelle aree individuate come maggiormente critiche, corrispondenti ai territori dei comuni di Corciano, Perugia, Foligno e Terni, per portare le concentrazioni entro gli standard imposti dalla norma.
  Sulla base degli studi e delle simulazioni numeriche realizzati da Arpa Umbria, il piano ha individuato, quali principali misure di intervento nelle aree di superamento, la riduzione del traffico veicolare (leggero e pesante) e il controllo delle emissioni prodotte da sistemi di riscaldamento domestico alimentati a biomassa (stufe e caminetti a bassa efficienza). È anche presente una misura (PIF03) specificamente finalizzata alla limitazione delle emissioni prodotte da attività energetiche e produttive.
  In ogni caso si fa presente che l'attuazione del piano prevede l'istituzione di un «Comitato di gestione del piano» che, tra le sue funzioni, ha anche quella rimodulare le misure di risanamento introducendo ulteriori misure aggiuntive qualora, a seguito della costante attività di monitoraggio, si verifichi che non vengono raggiunti gli obiettivi di riduzione delle concentrazioni al suolo attesi.
  Infine, per quanto riguarda le modalità di misurazione dell'inquinamento atmosferico sul territorio nazionale, per la valutazione dell'opportunità e del corretto posizionamento dei sistemi di rilevamento esistenti, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 155 del 2010 ha previsto dalla sua entrata in vigore l'attivazione di un processo di revisione di tutte le reti regionali di monitoraggio. Tale processo, che attualmente è stato svolto da quasi tutte le regioni e province autonome, vede il coinvolgimento a vario titolo di istituti ed enti di ricerca quali Ispra, Enea e Cnr.
  Nello specifico la norma citata prevede che tutte le regioni e le province autonome siano tenute a riesaminare le preesistenti reti di monitoraggio della qualità dell'aria in conformità alla precisione legislativa ed agli indirizzi espressi dal coordinamento
ex articolo 20 del decreto legislativo n. 155 del 2010. A tal fine le regioni sono tenute a predisporre degli appositi progetti di revisione delle reti da trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per una preventiva valutazione, prima dell'adozione formale. Si precisa che la valutazione di tali progetti regionali viene svolta, come previsto dalla norma, dal Ministero dell'ambiente con il diretto supporto di Ispra ed Enea. Infine si evidenzia che il formato per la trasmissione dei citati progetti al Ministero all'Ispra ed all'Enea è stato individuato con il decreto ministeriale 22 febbraio 2013 che è basato direttamente sugli indirizzi maturati nel coordinamento ex articolo 20 del decreto legislativo n. 155 del 2010 a proposito delle attività di razionalizzazione delle reti regionali da condurre sul territorio nazionale. Tali indirizzi sono recepiti dalla «linea guida per l'individuazione della rete di monitoraggio della qualità dell'aria» elaborata tra il 2010 ed il 2011 con la partecipazione di esperti regionali, delle Arpa, di Ispra, Enea e Cnr.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giornale on line La Provincia pavese, del 12 luglio 2016 e dei giorni successivi, ha pubblicato notizie sul sequestro degli impianti di trattamento rifiuti «riconducibili alla società Centro ricerche ecologiche Spa (Cer) di Lomello, Maccastoma (Lodi) e Meleti (Lodi), per un valore di circa 5 milioni di euro, nonché sull'arresto a domicilio dell'amministratore unico della C.r.e. spa e di altre cinque persone;
   l'accusa formulata dal sostituto procuratore della Repubblica di Milano, che conduce l'indagine, è di traffico illecito di rifiuti; sembra che siano coinvolte e indagate, a vario titolo nel corso delle indagini, undici persone;
   l'operazione della magistratura arriva a conclusione di un'indagine svolta dalla Polizia provinciale di Lodi e coordinata dalla procura della Repubblica di Milano, in collaborazione con i comandi provinciali di Milano, Cremona, Lodi e Pavia e con il supporto delle polizie locali di Piacenza, Lodi e Crema;
   l'accusa è quella di smaltimento illecito, mediante spandimento al suolo, di ingenti quantità di fanghi da depurazione non trattati, oltre i limiti previsti dalla determina provinciale, con grave nocività per l'ambiente coinvolto. Secondo le notizie dei media, nel periodo d'indagine, dal 2012 al 2015, sono state sparse 110.000 tonnellate di rifiuti, prevalentemente nelle province di Lodi, Cremona e Pavia; alcuni controlli «a campione» nei terreni interessati dallo spandimento dei fanghi, avrebbero appurato le prime anomalie, soprattutto in materia di eccedenza dei carichi diretti ai terreni per lo spandimento;
   la possibilità di spandere maggiori quantità di fanghi sui terreni, oltre ai limiti consentiti, avrebbe permesso alla C.r.e. spa un ingiusto profitto pari a circa 4,5 milioni di euro in quattro anni, con conseguente risparmio sui costi di trattamento/condizionamento e trasporto del rifiuto;
   l'indagine è stata avviata nel febbraio 2011 grazie a una serie di segnalazioni di cittadini, indirizzate all'epoca alla Polizia provinciale di Lodi, riguardanti esalazioni maleodoranti provocate dalle operazioni di spandimento su terreni agricoli di fanghi biologici stabilizzati e igienizzati;
   con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 «Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura» lo Stato italiano ha recepito la direttiva 86/278/CEE riprendendo quasi fedelmente sia gli scopi sia i limiti previsti dalla stessa e specificando le procedure per l'utilizzo dei fanghi ed indicando puntualmente i divieti;
   il decreto in particolare fissa i valori limite di concentrazione per alcuni metalli pesanti che devono essere rispettati nei suoli e nei fanghi, le caratteristiche agronomiche e microbiologiche dei fanghi, i limiti inferiori di concentrazione di carbonio organico, fosforo e azoto totale, i valori massimi di salmonella, nonché le quantità massime dei fanghi che possono essere applicati sui terreni;
   alcune regioni hanno disciplinano ulteriormente la materia, in quanto non sempre l'uso di tali fanghi produce effetti positivi sulle produzioni agricole coltivate, potendosi riscontrare sulle colture residui o contaminanti che le rendono non commercializzabili o ad ogni modo con caratteristiche qualitative di scarso valore e ciò a danno degli agricoltori e dei consumatori;
   tra i metalli pesanti, il cadmio, ad esempio, ha effetti gravemente tossici per la salute dell'uomo, in quanto, assunto durante la dieta, incide negativamente sull'apparato scheletrico, genera osteoporosi e deformazioni della spina dorsale, oltre ad avere effetti tumorali sul sistema riproduttivo e attività di distruzione endocrina;
   in particolare, nel territorio di Lomello, vi sarebbero importanti appezzamenti a riso e proprio in tale territorio andrebbero accuratamente svolte attente valutazioni, anche ricordando che l'istituto Mario Negri di Milano ha riscontrato su questi suoli livelli elevati di metalli tossici con concentrazioni prossimi ai limiti ammessi per scopi agricoli;
   le notizie di stampa riportano anche di precedenti sequestri e inquisizioni della C.r.e spa per anomalie nelle attività di spandimento dei fanghi;
   la giunta regionale della Lombardia, in attuazione di specifici accordi definiti nell'aprile 2009 tra regione, province e comunità montane, ha approvato in data 29 luglio 2009, la delibera di giunta regionale n. 9953, con la quale sono state definite le modalità di blocco progressivo dello spandimento sui terreni agricoli dei fanghi provenienti dall'attività di depurazione delle acque reflue urbane e industriali, allo scopo di raggiungere un maggiore livello di protezione dei terreni e dei corpi idrici;
   i cittadini dei comuni della Lomellina sono preoccupati e contrariati per le ricadute che l'attività di trattamento fanghi comporta sul proprio territorio, denunciando il rischio per la salute e per l'integrità dell'ambiente –:
   se il Ministro abbia allo studio iniziative per la revisione delle norme che disciplinano l'uso dei fanghi di depurazione in agricoltura, con particolare riferimento alla fissazione di limiti armonizzati, validi per tutte le regioni, ai fini della sostenibilità ambientale ed agricola;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per una riduzione dei limiti di accettabilità e dei valori soglia dei metalli pesanti presenti nei fanghi spandibili in agricoltura, a garanzia della salute dei cittadini e della tutela dell'ambiente. (4-13953)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In linea generale si evidenzia che la normativa sull'utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue mira ad incoraggiare l'utilizzazione dei fanghi in agricoltura ed a regolare tale utilizzo in modo da prevenire effetti dannosi sul suolo, sulla flora e la fauna e sulla salute umana. Tale processo è disciplinato in Italia dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 che stabilisce le caratteristiche, le modalità e le condizioni in base alle quali i fanghi provenienti dal processo di depurazione delle acque reflue possono essere utilizzati in agricoltura, definendo tra l'altro i parametri da analizzare e le relative concentrazioni limite.
  Lo stesso decreto, oggi appare non adeguato alle più recenti acquisizioni tecnico- scientifiche, soprattutto per quanto attiene alla valutazione degli effetti a lungo termine dell'utilizzo dei fanghi sul suolo.
  Comunque la Commissione europea ha dato avvio ai lavori di aggiornamento della citata direttiva il 27 aprile 2000, presentando agli stati membri uno specifico documento di lavoro, nel quale erano definiti i codici del catalogo europeo dei rifiuti, indicati quali tra i fanghi industriali, oltre quelli civili, potevano rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva e segnalati una serie di trattamenti ai quali il fango deve essere sottoposto prima dello spandimento sul suolo, oltre a essere proposti valori limite più restrittivi per i metalli pesanti nei fanghi e nei suoli, nonché nuovi valori limite per i microinquinanti organici.
  Sebbene il suddetto documento lasciasse intendere che la revisione della disciplina europea circa l'utilizzo dei fanghi in agricoltura fosse prossima, ad oggi, la Commissione europea non ha ancora provveduto all'aggiornamento normativo.
  Gli stati membri, sulla base di nuove evidenze scientifiche circa gli effetti dell'utilizzo dei fanghi sul suolo, hanno pertanto emanato ed implementato, individualmente, misure più restrittive per quanto riguarda i valori limite dei metalli pesanti così come per alcuni contaminanti per i quali la direttiva non prevedeva limiti.
  Questa evoluzione generale ha indotto, a livello nazionale oltre che europeo, a limitare l'impiego di fanghi in agricoltura anche attraverso la fissazione di requisiti stringenti per il materiale da utilizzare (in termini di contenuto massimo di inquinanti ammessi). In provincia di Bolzano ad esempio, le direttive in materia di frutticoltura integrata vietano l'utilizzo come concime sia di fanghi di depurazione che di
compost da fanghi, che si possono utilizzare solamente per i rinverdimenti di scarpate o piste da sci. In Valle d'Aosta l'utilizzo dei fanghi è addirittura vietato e il loro smaltimento avviene attraverso il conferimento in discarica.
  A livello locale si sta dunque realizzando una disomogenea e differenziata applicazione della norma sul territorio nazionale, con limiti e requisiti diversi tra regione e regione.
  Alla luce di ciò, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto, già agli inizi del 2000, di intraprendere l'aggiornamento degli allegati del citato decreto legislativo n. 99 del 1992 per adeguarli al progresso delle conoscenze scientifiche in materia, soprattutto per quanto riguarda i limiti di concentrazione per determinati inquinanti organici quali idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, diossine e furani. I lavori di revisione del citato decreto legislativo, sono stati condotti congiuntamente a tutti gli istituti scientifici di rilevanza nazionale, basandosi sui dati analitici degli inquinanti presenti nei fanghi di depurazione delle acque reflue nonché nei fanghi trattati utilizzati per gli spandimenti controllati ai sensi della normativa vigente. Tale aggiornamento non è tuttavia culminato in una modifica normativa.
  Tenendo conto di quanto sopra rappresentato e di una recente proposta contenuta in un disegno di legge di iniziativa parlamentare, recentemente presentato al Ministero dell'ambiente, si potrà implementare parte del lavoro già svolto, introducendo ad esempio, il regime dei controlli sulle acque e, se necessario, anche ampliando i limiti di altri inquinanti organici contenuti nei fanghi come ad esempio i residui di farmaci.
  Coniugando l'esigenza di garantire la sicurezza nell'utilizzo dei fanghi in agricoltura con la necessità di favorire il riciclo della sostanza organica nonché dell'azoto, del fosforo e degli altri nutrienti contenuti nei fanghi, si ridurrà al contempo il ricorso a modalità di gestione quali la discarica o l'incenerimento che presentano impatti elevati dal punto di vista delle emissioni serra.
  Per quanto riguarda il caso di specie relativo alla regione Lombardia, l'utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dalla depurazione rappresenta una pratica ambientalmente sostenibile poiché garantisce il recupero di una risorsa che, in alternativa, avrebbe come destino ultimo, l'incenerimento o la discarica, senza valorizzazione della materia organica ancora presente. Proprio in questa prospettiva, tale recupero è incentivato dalla direttiva comunitaria 86/278/CEE che definisce anche i criteri di protezione del suolo da tale utilizzo, recepiti nel nostro Paese dal decreto legislativo n. 99 del 1992.
  Tale utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dalla depurazione consente inoltre di ridurre il ricorso ai concimi chimici e gli impatti ambientali derivanti dal loro processo di produzione ed è molto diffuso nella regione Lombardia, stante le caratteristiche del territorio, povero di materia organica e, di conseguenza, più necessitante di arricchimento.
  Al riguardo, secondo quanto riferito dalla regione Lombardia, si fa presente che è stata regolamentata la materia, ritenendo che vi fosse la necessità di garantire e verificare la qualità dei fanghi, attraverso la limitazione degli utilizzi ai soli fanghi di alta qualità e la realizzazione di idonei controlli.
  Nel 2009 la regione Lombardia ha approvato la deliberazione n. 9953 con cui è stata disposta la sospensione dell'attività di spandimento di fanghi in agricoltura prodotti dalla depurazione delle acque reflue, secondo il seguente calendario:
   dopo 2 anni (luglio 2011) nelle aree vulnerabili;
   dopo 4 anni (luglio 2013) nelle restanti aree del territorio regionale.

  Nel corso dello stesso 2009, sette aziende di recupero fanghi hanno presentato ricorso. Il TAR con sentenza n. 1228 del 3 maggio 2011 ha annullato l'impugnata deliberazione, determinandosi un vuoto normativo.
  Nel 2014 è intervenuta una nuova disciplina organica, supportata da studi tecnici e scientifici e condivisa con gli
stakeholder (delibera della giunta regionale n. 2031 del 2014 «Linee guida regionali per il trattamento e l'utilizzo, a beneficio dell'agricoltura, dei fanghi di depurazione delle acque reflue di impianti civili ed industriali»).
  Per quanto riguarda l'attuale disciplina regionale, la regolamentazione trae origine da un laborioso percorso tecnico-scientifico avuto inizio nell'anno 2011 che ha coinvolto un gruppo di lavoro interdirezionale (direzione generale ambiente e agricoltura, ARPA, università di Pavia) e comportato un confronto con le principali associazioni di categoria, mirante a colmare il vuoto normativi successivo all'annullamento della delibera della giunta regionale n. 9953 del 2009.
  Nelle proprie valutazioni il gruppo di lavoro ha tenuto in debito conto anche le linee guida in materia di utilizzo in agricoltura dei fanghi da depurazione predisposte da altre regioni (in particolar modo Emilia-Romagna e Veneto).
  Per la certezza della disciplina da applicare si è proceduto ad un riordino normativo della materia, giungendo ad una nuova e completa ridefinizione di modalità e criteri in materia di trattamento e utilizzo a beneficio dell'agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue di impianti civili ed industriali, in coerenza con la cornice normativa comunitaria e nazionale delineata in premessa.
  La nuova disciplina regolamenta, in particolare, modalità di trattamento dei fanghi, caratteristiche degli impianti di trattamento e categorie di fanghi prodotti, distinguendo tra fanghi di alta e scarsa qualità, questi ultimi obbligati a trovare destini alternativi all'uso in agricoltura.
  Le linee guida regionali per il trattamento e l'utilizzo, a beneficio dell'agricoltura, dei fanghi di depurazione delle acque reflue di impianti civili e industriali hanno:
   individuato le tipologie di fanghi ammissibili all'utilizzo con gli specifici codici del catalogo europeo dei rifiuti limitando peraltro le tipologie rispetto a quelle individuate con le precedenti linee guida del 2003;
   distinto i fanghi tra ammissibili all'utilizzo in agricoltura e non ammissibili e obbligando i secondi a trovare destini alternativi all'uso in agricoltura;
   individuato fra i fanghi ammissibili all'utilizzo in agricoltura, sulla base delle caratteristiche chimiche, quelli di alta qualità da sottoporre ad un regime privilegiato di utilizzo;
   amplificato il profilo analitico, ovvero i potenziali contaminanti da ricercare rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale;
   applicato limiti alle concentrazioni dei contaminanti ragionevolmente più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla normativa nazionale per i fanghi di alta qualità;
   imposto nel controllo dei fanghi in fase di accettazione agli impianti di trattamento (preventivo allo spandimento), l'applicazione di limiti più stringenti per tutti quei parametri, in particolar modo per i metalli pesanti, che il trattamento di stabilizzazione proprio di tali impianti non è tecnicamente in grado di abbattere;
   posto limitazioni temporali e gestionali all'utilizzo dei fanghi in agricoltura.

  Anche la delibera della giunta regionale 2031 del 2014 è stata impugnata avanti il TAR della Lombardia da parte di diverse aziende del settore ed è stata annullata parzialmente con due distinte sentenze, la n. 2434 del 2015 e la n. 195 del 2016.
  Il Consiglio di Stato, a cui la regione Lombardia ha ricorso per la riforma delle sopra richiamate sentenze, nei mesi scorsi, luglio ed agosto, ne ha cautelativamente sospeso gli effetti. Ciò, attualmente, in attesa delle udienze di merito che si terranno nei primi mesi del 2017, consente il mantenimento dei criteri restrittivi di controllo sui fanghi introdotti dalla deliberazione n. 2031 del 2014.
  In aggiunta, la regione Lombardia, con deliberazione n. 5269 del 6 giugno 2016, è intervenuta dettando prescrizioni integrative tipo per le autorizzazioni che comporteranno l'adeguamento dei provvedimenti autorizzativi da parte delle province.
  Tali prescrizioni hanno lo scopo di prevenire e/o limitare le problematiche emerse in ordine all'utilizzo dei fanghi, ovvero quelle riconducibili alla verifica ambientale della qualità dei suoli, alla necessità di controllo delle modalità di spandimento dei fanghi utilizzati, alle molestie olfattive derivanti da tali rifiuti, al fine di garantirne un uso efficiente sotto l'aspetto agronomico.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GULLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la conferenza Stato - regioni ha deciso la realizzazione di almeno due termovalorizzatori in Sicilia;
   da notizie di stampa l'interrogante apprende che si tratterà di ben 6 termovalorizzatori in tutta l'Isola, con il mantenimento delle discariche esistenti;
   in particolare, 3 più grandi per le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina e 3 a cavallo tra le province di Agrigento e Trapani, Caltanissetta ed Enna, Ragusa e Siracusa;
   la soluzione proposta di smaltimento tramite termovalorizzatori si presenta frutto di una vecchia logica che non è in grado di risolvere il problema dei rifiuti;
   regioni come la Lombardia e la Campania, che si sono opposte alla decisione, hanno puntato sulla raccolta differenziata;
   non vi è stata un'adeguata azione del Governo diretta a favorire la raccolta differenziata;
   ad oggi non esiste alcuna conferma scientifica che consenta di affermare che gli inceneritori di rifiuti siano in grado di eliminare efficacemente anche le emissioni delle nano particelle che risultano terribilmente dannose per la salute umana, anzi pare che quelle prodotte dagli inceneritori di rifiuti siano le più nocive;
   inoltre, la normativa parla chiaramente di «riconversione, ove possibile, di impiantistica esistente di diversa originaria natura produttiva»;
   vi è, quindi, non solo il pericolo di aumentare i rischi per la salute in generale, ma, persino, di infierire su aree già martoriate dalla presenza di altri impianti, storicamente dannosi per l'ambiente, come ad esempio le aree della Valle del Mela, di Termini Imerese e di Augusta –:
   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per verificare la pericolosità o meno della combustione dei termovalorizzatori, favorire la raccolta differenziata ed eliminare, comunque, i rischi per la salute di cittadini. (4-12094)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero si rappresenta quanto segue.
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili», in attuazione dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, come convertito in legge n. 164 del 2014, vengono indicati gli impianti necessari a coprire il fabbisogno residuo nazionale di incenerimento.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione è stato firmato in data 10 agosto 2016 ed è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale serie generale n. 233 del 5 ottobre 2016.
  Il decreto in esame, partendo da una minuziosa ricognizione della situazione impiantistica di incenerimento, con particolare riferimento alle diverse tipologie di rifiuti (urbani tal quali, frazione secca dei rifiuti urbani, Combustibile Solido Secondario, rifiuti sanitari, fanghi) trattate nei singoli impianti, ha individuato con precisione la capacità attuale di incenerimento dei rifiuti urbani. Ha quindi provveduto a stimare il fabbisogno di incenerimento nazionale necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti e nel farlo ha tenuto conto non solo della prevenzione e degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio della nuova proposta europea sull'economia circolare (riciclaggio al 65 per cento, ma anche delle quantità di rifiuti avviate a co-incenerimento nei cementifici e nelle centrali elettriche e del trattamento dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico tenendo conto inoltre degli scarti della raccolta differenziata.
  Infine il decreto ha provveduto a confrontare la capacità esistente con il fabbisogno stimato, derivandone il fabbisogno residuo di incenerimento per ciascuna regione. Una volta ottenuto il fabbisogno residuo di ciascuna regione, il decreto ha operato una compensazione tra macro aree al fine di evitare la realizzazione di impianti non necessari e consentendo ai rifiuti residui di una regione di essere inceneriti nella eventuale capacità residua presente nelle regioni limitrofe. In questa maniera, considerando cioè l'intero sistema Paese anziché l'autosufficienza delle singole regioni, è stato possibile limitare il fabbisogno residuo totale a sole 1.831.000 tonnellate per un totale di nuovi 8 impianti più il potenziamento dell'impianto della Regione Puglia.
  Per quanto concerne le quantità attualmente incenerite in Italia, come emerge tabella dal Rapporto rifiuti urbani Ispra 2015, le quantità di rifiuti urbani inviate agli impianti di incenerimento (comprensive della frazione secca e del combustibile solido secondario derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani) nel 2014 in Italia ammontavano a 5,1 milioni di tonnellate, a fronte di una quantità di rifiuti totale incenerita pari a 6,3 milioni di tonnellate comprensiva dei rifiuti urbani e dei rifiuti industriali. Rispetto alla produzione nazionale di rifiuti urbani (29.665.000 tonnellate nel 2014) l'incenerimento dei rifiuti urbani rappresenta solo il 17,4 per cento. La discrepanza dal valore Eurostat di incenerimento del 21 per cento dipende dal fatto che quest'ultimo non corrisponde alla percentuale di incenerimento rispetto alla produzione di rifiuti urbani ma rappresenta la quota percentuale dell'incenerimento rispetto alle forme di gestione dei rifiuti urbani (riciclaggio, compostaggio e discarica). La quantità di rifiuti inceneriti
pro-capite ammontava invece a 85 kg/abitante per anno ed è una delle più basse nei Paesi europei sia dell'EU28 che dell'EU15 le cui medie nel 2012 ammontavano rispettivamente a 113 e 140 kg/abitante per anno. Con la auspicata realizzazione delle ulteriori 1,8 milioni di tonnellate di incenerimento, l'Italia raggiungerebbe una percentuale di incenerimento rispetto al rifiuto urbano prodotto pari al 26 per cento perfettamente in linea con la nuova proposta legislativa della Commissione che prevede una percentuale di riciclaggio del 65 per cento, una percentuale di discarica pari al 10 per cento e quindi implicitamente una percentuale di incenerimento pari al 25 per cento. Anche lo Studio «Assessment of waste incineration capacities and waste shipments in Europe» presentato dalla Commissione Europea all'ultimo expert meeting dell'8 settembre 2016 sul «Waste to Energy» riporta una percentuale di incenerimento pro capite tra le più basse dell'EU15, nonostante le quantità riportate facciano riferimento alla totalità dei rifiuti inceneriti e non alla sola quota di rifiuti urbani.
  L'aumento contenuto (meno di 2 milioni di tonnellate) della capacità, previsto dal predetto schema di decreto, non ostacola in alcun modo lo sviluppo futuro delle misure di prevenzione, della raccolta differenziata né tantomeno il raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 2020 e degli obiettivi più ambiziosi posti dal nuovo pacchetto sull'economia circolare. Infatti tale limitato fabbisogno residuo è stato calcolato tenendo conto esclusivamente della frazione residua del rifiuto a valle di tutte le azioni di prevenzione e di una raccolta differenziata elevatissima (tra il 65 ed il 70 per cento a seconda delle regioni), idonea a supportare anche i futuri aumenti delle percentuali di riciclaggio dei rifiuti urbani. Infine la capacità di incenerimento risulta indispensabile a recuperare energeticamente i rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico biologico che altrimenti dovrebbero essere conferiti in discarica.
  Si ritiene, dunque, che le disposizioni relative all'incenerimento dei rifiuti, contenute nel nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri unitamente alle disposizioni relative all'individuazione della capacità di compostaggio, siano finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza della gestione dei rifiuti ed a dare piena attuazione alla normativa comunitaria, inoltre, costituiscono un elemento fondamentale per l'incremento della
circular economy in Italia e per il raggiungimento degli obiettivi più ambiziosi contenuti nel nuovo «pacchetto rifiuti» in esame attualmente presso il Consiglio ed il Parlamento europeo.
  Inoltre lo schema di decreto in esame rappresenta concreta attuazione della normativa europea in tema di gestione di rifiuti, secondo i criteri sanciti dall'articolo 4 della direttiva quadro 2008/98/CE, con il principale obiettivo di ridurre al minimo le forme di smaltimento in discarica dei rifiuti organici e assimilati.
  Sotto tale aspetto la direttiva 2008/98/CE ha introdotto nuovi elementi favorendo l'avvicinamento alla tematica del recupero e del riciclo, e alla conseguente limitazione della produzione dei rifiuti e al loro riutilizzo in qualità di risorsa per ridurre al minimo le conseguenze negative sulla salute umana e sull'ambiente, in linea con l'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  La gerarchia dei rifiuti, cui la direttiva quadro espressamente fa riferimento, definisce ciò che deve considerarsi, in linea di principio generale, la migliore opzione ambientale, anche se possono essere previsti discostamenti in relazione a flussi di rifiuti specifici, allorquando ciò sia giustificabile sotto il profilo della fattibilità tecnica, economica ed ambientale. In tal senso, viene stabilita la seguente gerarchia:
   prevenzione;
   preparazione per il riutilizzo;
   riciclaggio;
   recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
   smaltimento.

  In base al dispositivo di cui all'articolo 4 della citata direttiva quadro, la gerarchia dei rifiuti applicata alla politica di una corretta gestione dei rifiuti incardinata sul principio della sostenibilità, praticabilità e precauzionalità, pone al primo posto la prevenzione per ridurre la quantità dei rifiuti prodotti nonché le operazioni più idonee attraverso le quali i prodotti o i componenti di prodotto sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti (riutilizzo di prodotti e componenti).
  Segue poi la preparazione per il riutilizzo, ovvero quel complesso di operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui i prodotti o componenti di prodotti, diventati rifiuti, possono essere reimpiegati senza ulteriori trattamenti.
  Il terzo posto è occupato dal riciclaggio che, ai sensi della direttiva 2008/98/CE, comprende «...qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originari o per altri fini. Include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia, né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento...».
  Al quarto posto della scala gerarchica, l'articolo 4 richiama invece il recupero di altro tipo come «...qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere ad una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale...»,da intendersi come il recupero di energia o altre operazioni che abbiano come finalità quella di attribuire ai rifiuti un ruolo utile, in sostituzione di altri materiali.
  In questo contesto possono essere annoverati gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati cui il presente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si riferisce, purché gli stessi rispondano a determinati requisiti di efficienza energetica come stabilito dalla direttiva quadro.
  In Italia la disciplina della gestione dei rifiuti è stata recepita nella parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la quale stabilisce i principi, le finalità, i criteri di priorità e i requisiti minimi, nonché gli adempimenti e gli obblighi dei produttori di rifiuti e le funzioni della Pubblica Amministrazione per la gestione in sicurezza dei rifiuti prodotti.
  Per un maggior impulso alle azioni rivolte all'applicazione pratica della gerarchia di cui all'articolo 179 (Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti) del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, con il richiamato dal predetto articolo 35 del cosiddetto «Sblocca Italia», sono state introdotte nuove disposizioni attinenti alle «misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio».
  La menzionata disposizione legislativa, come già evidenziato, infatti, si pone quale strumento per l'adozione di nuove logiche di sistema in tema di valorizzazione dei rifiuti urbani e assimilati e di riorganizzazione dell'attività di gestione degli stessi, con particolare riferimento al trattamento sia dei rifiuti urbani e assimilati in impianti di incenerimento con recupero energetico, sia della frazione organica dei rifiuti urbani e assimilati in maniera differenziata in impianti di recupero.
  Sotto tale ultimo aspetto, il comma 1 del sopra citato articolo 35, attribuisce, come si è visto, al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'individuazione puntuale della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento già in esercizio o autorizzati a livello nazionale e dell'impiantistica necessaria per coprire il fabbisogno residuo di incenerimento, da determinarsi con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio, e tenendo conto della pianificazione regionale, con l'intento primario di realizzare e «governare» con il concorso delle amministrazioni territoriali, quel «sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti urbani e assimilati» che il legislatore ha comunque voluto affidare ad una regia di indirizzo di livello regionale. I fabbisogni contenuti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stati determinati in ipotesi del raggiungimento del 65 per cento di raccolta differenziata in ogni regione così come previsto dalla normativa vigente.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso presso la Regione Siciliana, che devono essere poste in essere nel pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria di riferimento.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LACQUANITI e CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   la Costituzione sancisce all'articolo 19, tra i diritti fondamentali dei cittadini, la libertà di professare «la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto» e, all'articolo 20, stabilisce che le associazioni religiose «non possono essere causa di speciali limitazioni legislative»;
   la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite all'articolo 18 indica come fondamentale la «libertà di religione» e tutela «la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   il consiglio regionale Veneto, nella seduta del 4 aprile 2016, ha approvato modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio) introducendo l'articolo 31-bis «Edifici e attrezzature di interesse comune per servi-religiosi» e l'articolo 31-ter «Realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi»;
   in particolare, si prevede che le nuove strutture religiose o di preghiera possono sorgere solo «nelle zone territoriali omogenee F» (comma 4, capoverso b), articolo 31-ter), classificate per infrastrutture e impianti di interesse pubblico, nella maggior parte dei comuni previste solo in periferia, e a patto che dispongano (comma 1, dell'articolo 31-ter) di «strade di collegamento, parcheggi e opere di urbanizzazione primaria, servizi igienici adeguati», e che «se assenti o inadeguate, ne prevede l'esecuzione o l'adeguamento con onere a carico dei richiedenti»;
   si applicano tali norme anche per (comma 2 articolo 31-ter) «le aree scoperte destinate o utilizzate per il culto, ancorché saltuario»;
   inoltre (comma 3 dell'articolo 31-ter) «il richiedente sottoscrive con il comune una convenzione contenente anche un impegno fideiussorio adeguato a copertura degli impegni assunti. Nella convenzione può, altresì, essere previsto l'impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto»;
   queste richieste di natura urbanistica si configurano chiaramente come una «speciale limitazione legislativa» alla libertà di culto; la norma rende di fatto irrealizzabile la previsione di nuovi luoghi di culto in grandi città densamente urbanizzate quali Verona, Vicenza, Padova, Venezia ove più forte si sente la necessità degli stessi; si scarica sui richiedenti l'obbligo di sostenere direttamente ed in toto a proprio onere opere di urbanizzazione a servizio dell'intera comunità; si prevede l'obbligo di sottoscrizione di una fidejussione anche per l'utilizzo saltuario di aree scoperte;
   ad avviso degli interroganti, non si può declassare una questione rilevante come la sfera religiosa delle persone a norma urbanistica. Non è corretto assimilare il luogo di culto a un centro commerciale o a un distributore di benzina. La religione si deve poter esprimere pubblicamente e la politica non può artificiosamente separare la vita della comunità religiosa dalle strutture di cui si serve;
   la nuova legge, tra l'altro, introduce, secondo gli interroganti, una inaccettabile discriminazione tra i centri di culto cattolici e quelli delle altre confessioni. Infatti, le norme (articolo 31) «non si applicano» agli edifici e alle attrezzature «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge», «nonché agli interventi di ampliamento delle predette attrezzature qualora lo stesso non superi il 30 per cento del volume o della superficie esistente». Riguarda gli edifici di culto comprese (comma 2 dell'articolo 31-bis) «l'area destinata a sagrato» delle chiese, le abitazioni dei ministri del culto o del personale di servizio, strutture adibite ad attività educative, culturali, sociali e ricreative. Insomma, le scuole paritarie e gli oratori;
   non possono godere della deroga (comma 2, lettera d), dell'articolo 31-bis) «gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone, in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all'esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali». Cioè le moschee che oggi, tra i divieti dei comuni, proliferano improvvisate in capannoni dismessi, sottoscala di condominio, garage riattati. E per lo stesso motivo sono state escluse le aree D (zone industriali) dall'ambito di applicazione della legge;
   per ultimo, non certo per importanza, viene introdotta (comma 2, dell'articolo 31-ter) «la facoltà per i Comuni di indire referendum nel rispetto delle previsioni statutarie e dell'ordinamento statale». Cioè si sottopone, ad avviso degli interroganti incredibilmente, il diritto di esercitare la libertà di culto in luoghi adeguati sancita dalla Costituzione, alla volontà di consultazioni popolari;
   la disciplina urbanistica, come modificata, anziché favorire l'esercizio di un diritto fondamentale dei cittadini, quale la professione pubblica del proprio culto e l'osservanza dei riti, sembra porre delle sostanziali limitazioni allo stesso, ad avviso degli interroganti senza che se ne ravvisi una reale necessità;
   in Veneto esiste una forte necessità di nuovi edifici da adibire al culto, in quanto molte sono le realtà religiose presenti sul territorio che attualmente celebrano i propri riti in sistemazioni necessariamente precarie, proprio in attesa di poter costruire adeguati luoghi di culto;
   il fanatismo religioso trova terreno fertile proprio nelle divisioni, nella strumentalizzazione, nelle contrapposizioni ideologiche e nelle situazioni irregolari, mentre lo strumento migliore per contrastarlo, a giudizio degli interroganti, risiede certamente nel dialogo, nel confronto e nella convivenza civile;
   il Veneto è caratterizzato da una società fortemente multiculturale e multireligiosa, sia per motivazioni storiche, sia per la forte attrattiva migratoria nonché per le mutate sensibilità della popolazione autoctona –:
   in ragione degli elementi riportati in premessa, se il Governo ritenga che sussistano i presupposti per impugnare la legge n. ... del ... della regione Veneto che ha apportato modificazioni alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per salvaguardare concretamente il diritto di libertà di religione e di culto sul territorio veneto, come sancito dagli articoli 19 e 29 della Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell'Onu;
   quali politiche intenda porre in essere per promuovere il dialogo inter-religioso, unico e vero antidoto ad un fanatico e violento estremismo religioso. (4-13765)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale si rappresenta al Governo l'opportunità di impugnare la legge regionale del Veneto n. 12 del 2016, recante «Modifica della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni», si fa presente che la legge regionale è stata esaminata dal Consiglio dei ministri dello scorso 31 maggio 2016. Il Governo, condividendo la proposta da me formulata, ha deliberato l'impugnativa di fronte alla Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, dell'articolo 2 della legge regionale in esame che inserisce nella legge regionale n. 11 del 2014 (norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio) gli articoli 31-bis (edifici e attrezzature di interesse comune per servizi religiosi) e 31-ter (realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi), prevedendo quanto segue.
  L'articolo 31-
bis prevede che la regione Veneto e i comuni della regione Veneto individuano i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della chiesa cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose.
  L'articolo 31-
ter prevede che lo strumento urbanistico comunale, per le aree e per gli immobili da destinarsi alla realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, garantisce: «a) la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, ne prevede l'esecuzione o l'adeguamento con onere a carico dei richiedenti; b) la presenza di opere di urbanizzazione primaria o, se assenti o inadeguate, ne prevede l'esecuzione o l'adeguamento con onere a carico dei richiedenti; c) la presenza di distanze adeguate tra le aree o gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose; d) spazi adeguati da destinare a parcheggio pubblico; e) la realizzazione di adeguati servizi igienici, nonché l'accessibilità alle strutture da parte di disabili; f) la conformità e la congruità con le previsioni degli strumenti territoriali sovraordinati ed in particolare con riferimento al loro inserimento nel contesto urbano e paesaggistico». Il comma 2 estende tale disciplina anche alle aree scoperte destinate o utilizzate per il culto, ancorché saltuario. Il comma 3 prevede che per la realizzazione delle attrezzature suddette, nonché per l'attuazione degli impegni assunti, il richiedente sottoscrive con il comune una convenzione contenente un impegno fideiussorio. Nella convenzione può essere previsto l'impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto.
  Le disposizioni sopra riportate sono state impugnate innanzi alla Corte costituzionale per i seguenti profili di incostituzionalità:
   1) l'articolo 31-
bis della legge regionale n. 11 del 2004, come introdotto dall'articolo 2 della legge regionale n. 12 del 2016, contrasta con gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione nella parte in cui riconosce alla regione e ai comuni del Veneto la potestà amministrativa di individuare i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi.
  Il Consiglio dei ministri ha ritenuto la disposizione regionale in contrasto con i suddetti parametri costituzionali in quanto richiamando con formula generica e ambigua ”i criteri e le modalità” da individuare per la realizzazione delle attrezzature di interessi: comune per i servizi religiosi, si presta ad applicazioni ampiamente discrezionali, potenzialmente discriminatorie nei confronti di alcuni enti religiosi. Sotto altro profilo, l'incostituzionalità sussiste in quanto la norma consente che la regione e i comuni effettuino una valutazione differenziata dei criteri e delle modalità di realizzazione delle suddette attrezzature per le diverse confessioni religiose. Ciò in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, secondo cui «il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o meno regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese» (sentenza n. 63 del 2016).
   2) l'articolo 31-
ter della legge regionale n. 11 del 2004, come introdotto dall'articolo 2 della legge in esame, contrasta con gli articoli 2, 3, 8, 19 e 117, comma 2, lettera c) ed h), della Costituzione.
  Il comma 3 dell'articolo 31-
ter prevede una convenzione tra il comune e il soggetto richiedente la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi e stabilisce che nelle convenzioni può essere previsto «l'impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto».
  Al riguardo, si osserva che le convenzioni dovrebbero rispondere alla finalità, tipicamente urbanistica, di assicurare lo sviluppo equilibrato e armonico dei centri abitati, pertanto, le stesse dovrebbero unicamente consentire la previsione in forma concordata e negoziale degli impegni strettamente connessi all'ottenimento da parte dell'ente interessato del rilascio delle necessarie autorizzazioni urbanistiche per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi. In questa prospettiva, appare irragionevole la previsione che consente di inserire, nel contesto pattizio della convenzione, l'impegno ad utilizzare la lingua italiana.
  La norma così formulata viola la competenza legislativa esclusiva statale in materia di rapporti tra la repubblica e le confessioni religiose, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera
c), della Costituzione. Si rileva, al riguardo, che spetta allo Stato il compito di garantire, sia ai singoli, sia alle formazioni sociali, il godimento effettivo e sostanziale del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, adottando le pertinenti misure per favorirne l'esercizio nel senso più ampio possibile, cioè non strettamente legato al solo svolgimento delle pratiche rituali di culto, bensì fino a ricomprendere anche le attività collaterali, come quelle ricreative, aggregative, culturali, sociali, educative, nell'ambito delle quali la libertà religiosa trova la sua pienezza di espressione.
  La disposizione regionale, inoltre, contrasta con il principio di libertà di associazione culturale e sociale e con la libertà di religione di cui agli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione. Da ultimo, il Consiglio dei ministri ha ritenuto che la norma regionale, nella parte in cui persegue una finalità di controllo delle modalità con cui in concreto è esercitata l'attività sociale e culturale svolta nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, invade la potestà legislativa esclusiva statale e viola l'articolo 117, comma 2, lettera
h) della Costituzione (cfr. la sentenza n. 55 del 2001).
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieEnrico Costa.


   MANNINO e DI BENEDETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal sito del sindaco di Roma (http://www.ignaziomarino.it/the-hidden-treasure-of-rome) si apprende dell'esistenza del progetto denominato The hidden treasure of Rome; progetto avviato lo scorso anno e finalizzato alla valorizzazione, all'estero, del patrimonio artistico e culturale dei Musei Capitolini;
   secondo la descrizione, un numero consistente di reperti archeologici inediti saranno trasferiti all'estero dove saranno sottoposti ad un accurato programma di ricerca ed analisi, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati. Si apprende inoltre che l'operazione è già in corso, infatti all'università del Missouri è già stato affidato un lotto di 249 reperti a garanzia dei quali vengono evidenziati «gli strumenti tecnologici all'avanguardia utilizzati in questi atenei grazie ai quali si realizzerà un repository – una banca dati punto di riferimento unico per gli studiosi»;
   nel medesimo sito internet si accenna si accenna al fatto che tali reperti verranno restituiti con un «valore culturale» del quale non è chiara la consistenza;
   l'articolo 9 della Costituzione assegna alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione;
   nel nostro Paese la ricerca antichistica rappresenta una delle punte più avanzate dell'intero sistema e nella stessa città di Roma insistono laboratori dedicati all'indagine archeometrica di eccellente qualità i cui risultati vengono accuratamente «processati» dal SITAR (sistema informativo territoriale archeologico) –:
   se questo spostamento di reperti archeologici, che deve essere presentato all'ufficio di esportazione, sia stato concordato o meno con la competente sopraintendenza archeologica di Roma e se tale trasferimento all'estero, sia pure a carattere temporaneo, sia il frutto di un accordo con il Ministro interrogato ovvero il prodotto di una iniziativa del sindaco pro-tempore della Capitale. (4-06896)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale, in relazione al progetto denominato The hidden treasure of Rome, si chiede di conoscere se lo spostamento all'estero dei reperti archeologici dei Musei capitolini di Roma, per essere sottoposti ad attività di ricerca di analisi, sia stata concordato con la competente Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e se sia frutto di accordo tra questa Amministrazione e il sindaco di Roma Capitale, si comunica quanto segue.
  Il progetto di cui all'oggetto è stato sottoposto alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma dalla Sovraintendenza capitolina ai beni culturali di Roma Capitale, con nota del 22 luglio 2014 (prot. n. 17748).
  La lettera della Sovrintendenza capitolina comprendeva la presentazione del progetto, il testo dell'accordo culturale intercorso tra la Sovrintendenza e l’
University of Missouri, College of arts and science, museum of art and archeology, stipulato il 1o agosto 2014, avente validità fino al 31 dicembre 2017 e rinnovabile, il facility report del Museum of art and archeology, la garanzia relativa al rientro delle opere e l'elenco dei reperti ceramici, completo di numero di inventario, fotografie, breve descrizione e valore assicurativo di ciascun oggetto (per un valore complessivo di euro 498.000,00).
  Il progetto riguarda il lavoro di ricerca, analisi e catalogazione, a titolo gratuito, di duecentoquarantanove reperti, seriali, in buona parte frammentari, provenienti da depositi, eseguito dagli studenti di archeologia della University of Missouri/Museum of art and archaeology. Il materiale scelto si presta ad una utile formazione per gli studenti.
  L'accordo di collaborazione culturale e scientifica, stipulato tra la Sovrintendenza capitolina e l'University of Missouri, rientra nel più ampio quadro di accordi culturali stipulati con istituzioni americane, nel pieno rispetto del
memorandum di Intesa Italia-USA sul traffico di reperti archeologici dell'età classica, preclassica e imperiale, accordo bilaterale stipulato tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica Italiana in data 19 gennaio 2001, ai sensi della convenzione Unesco del 1970 sulla lotta contro il traffico illecito dei beni culturali, e rinnovato il 19 gennaio 2011.
  Tale
memorandum, ampliato nel 2011 per comprendere anche alcune categorie di monete antiche, prevede in primo luogo un controllo alle dogane statunitensi delle importazioni di opere archeologiche di provenienza italiana; impegna inoltre la parte italiana a consentire l'interscambio di materiali archeologici con finalità culturali, espositive, educative e scientifiche per consentire un'ampia fruizione pubblica e un approccio legittimo al ricco patrimonio italiano, nella convinzione che una serie di iniziative di collaborazione, fondate sulla condivisione di programmi di studio ed esposizione, possa favorire la circolazione sostenibile di reperti archeologici di provenienza lecita, scoraggiando gli scavi abusivi e l'esportazione illecita di beni.
  La realizzazione del progetto
The hidden Treasure of Rome, con il supporto tecnico, economico e logistico di Enel Green Power spa, mira a valorizzare e far conoscere opere seriali (quindi prive di valore artistico individuo), non esposte (quindi tratte dai depositi) e a diffondere la conoscenza delle testimonianze archeologiche conservate presso il comune di Roma, senza, però, privare le istituzioni museali comunali di opere importanti e rappresentative.
  Il progetto consentirà, pertanto, di studiare e catalogare materiali inediti, che saranno restituiti al comune di Roma corredati di schede descrittive, di studio e documentazione grafica e fotografica, nonché dei risultati di analisi non distruttive, all'interno di specifici programmi accademici concordati tra le parti, senza alcun onere per la parte italiana.
  I 249 reperti, oggetto di questo primo invio, finora conservati nei depositi dell'Antiquarium comunale e quindi non fruibili dal pubblico, al termine delle attività di catalogazione, studio, documentazione e analisi, verranno esposti al pubblico.
  In considerazione degli elementi sopra descritti, la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha espresso parere favorevole, trasmettendo il progetto alla Direzione generale per le antichità, con nota prot. n. 26960 del 28 luglio 2014.
  La menzionata direzione generale ha concesso l'autorizzazione allo spostamento delle opere con nota n. 6288 del 6 agosto 2014 e l'autorizzazione all'esposizione presso il Museum of art and archaeology (Columbia, USA) con nota n. 6289 di pari data.
  Si tratta, quindi, di una iniziativa che porterà comunque dei risultati altrimenti non conseguibili, attentamente valutata e autorizzata sia dalla direzione generale per le antichità che dalla soprintendenza competente per territorio, che prenderà in esame di volta in volta i materiali che saranno proposti per il prosieguo della iniziativa e si esprimerà, preliminarmente alla autorizzazione finale della direzione generale, sulla base di elenchi dettagliati di oggetti conservati nell'Antiquarium comunale, sempre nell'ambito di una iniziativa finalizzata a valorizzare e far conoscere opere seriali, non esposte, e a diffondere la conoscenza delle testimonianze archeologiche conservate presso il comune di Roma, senza però privare le istituzioni museali capitoline di opere importanti e significative.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da una circolare del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, i comuni nei quali vi è la presenza di extracomunitari, sono obbligati a concedere la residenza agli extracomunitari dopo tre soli mesi di accoglienza;
   l'interrogazione segnala, al riguardo, che secondo quanto si evince dal documento suesposto le procedure per la permanenza nel nostro Paesi, si attivano subito dopo lo sbarco dei migranti i quali fanno richiesta di protezione internazionale e, in quel momento, viene concesso un permesso di soggiorno temporaneo (ovvero una ricevuta che dovrebbe durare il tempo necessario perché una apposita commissione ne valuti i requisiti);
   al contempo tuttavia, l'immigrato viene accolto nei vari centri di permanenza, all'interno di abitazioni private, negli alberghi, nelle case delle cooperative e l'insieme di queste due condizioni gli permette di ottenere la residenza;
   anche i richiedenti asilo hanno diritto all'iscrizione anagrafica in quanto titolari di questa ricevuta e per ottenere la residenza, si evidenzia nella circolare ministeriale, non sembrano esserci notevoli difficoltà, in quanto la permanenza in un centro di accoglienza di circa tre mesi costituisce dimora abituale e pertanto legittima la richiesta di iscrizione anagrafica;
   l'interrogante evidenzia, inoltre, che anche chi è stato inviato in un appartamento o in una struttura alberghiera ottiene ugualmente la residenza come un «normale cittadino italiano», anzi un cittadino italiano deve presentare della documentazione come ad esempio documento di identità, codice fiscale, patente, mail, numero di telefono del proprietario dell'appartamento o dichiarazione del proprietario;
   l'interrogante rileva, inoltre, come i vantaggi della residenza per gli extracomunitari siano enormi: dall'accesso all'assistenza sociale, alla concessione di sussidi, alle agevolazioni previste da ogni comune verificate mediante l'indicatore Isee, all'iscrizione al servizio sanitario nazionale, ai sussidi per i canoni di locazione, finanche alla richiesta per ottenere il conseguimento della patente di guida italiana;
   a giudizio dell'interrogante, pertanto, quanto suesposto rappresenta un problema grave di dimensioni rilevanti; desta evidenti preoccupazioni tale decisione del Ministero dell'interno, in quanto con la residenza si obbliga di fatto i comuni, come ad esempio quello di Novara, ad accollarsi i costi sociali dell’«accoglienza» –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, posto che la circolare ministeriale rischia di provocare gravissime ricadute sui territori comunali sia riferite all'ordine e alla sicurezza pubblica, sia sul piano amministrativo;
   se non ritenga urgente ed opportuno rivedere tale decisione, a giudizio dell'interrogante grave e sbagliata, in considerazione del fatto che tale scelta rischia di aggravare ulteriormente la situazione attuale nazionale in tema di sicurezza, a causa di politiche sulla immigrazione rivelatesi manifestamente fallimentari, che accrescono le difficoltà di mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza sul territorio italiano, anche e soprattutto a causa della presenza sempre più numerosa di extracomunitari i quali molto spesso svolgono attività criminali e delittuose.
   (4-14589)

  Risposta. — In relazione ai timori espressi con l'interrogazione in esame, si assicura innanzitutto che nessuna residenza anagrafica viene concessa agli stranieri irregolari.
  L'iscrizione e le variazioni nei registri anagrafici sono previste per i soli cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, in possesso di un regolare permesso di soggiorno, e per i richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza (Cas), per i quali il centro rappresenta il luogo di dimora abituale ai fini della predetta iscrizione.
  Ciò ai sensi dei due fonti primarie, cioè il Testo unico dell'immigrazione e il decreto legislativo n. 142 del 2015.
  Quindi, nessun carattere innovativo o cogente può essere attribuito alla circolare cui si fa riferimento nell'interrogazione, che peraltro non è una circolare, bensì una mera nota di chiarimenti forniti a una Prefettura in risposta ad uno specifico quesito sulla materia.
  Ovviamente, il Governo è consapevole dell'impatto che una significativa concentrazione di migranti sul territorio può determinare sul tessuto sociale delle comunità interessate.
  Perciò, in una logica di sostegno degli enti locali che accolgono richiedenti asilo, nel decreto legge n. 193 del 2016 (articolo 12, comma 2), è stata prevista in loro favore l'istituzione di un «Fondo di riconoscenza» di 100 milioni di euro. Il contributo consisterà in un'elargizione
una tantum nel limite massimo di 500 euro per ogni straniero ospitato nei centri di accoglienza. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, saranno definite le modalità di riparto di tali somme ai comuni interessati.
  Vanno ricordati anche gli sforzi che il Governo sta compiendo per far decollare il modello della cosiddetta accoglienza diffusa, attraverso il potenziamento della rete Sprar e la previsione di premialità per gli enti locali che vi aderiscono. In tal senso, nell'ottica di un'ottimale ed equa ripartizione dell'accoglienza oltreché in ambito regionale, anche tra i comuni, nei giorni scorsi il Ministro dell'interno ha diramato una direttiva ai Prefetti affinché tengano esenti da altre forme di accoglienza i comuni facenti parte dello Sprar.
  È stato inoltre disposto che i centri di accoglienza temporanea eventualmente già presenti sul territorio di tali comuni vengano gradualmente ridotti. Tutto ciò sul presupposto che lo Sprar rappresenti il percorso migliore per garantire una maggiore efficacia dei percorsi di integrazione e inclusione dei migranti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che recepisce la direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, la direttiva 91/686/CEE sui rifiuti pericolosi e la direttiva 194/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, prevede l'attuazione di norme specifiche anche in materia di bonifiche e stabilisce, in particolare, che i piani di bonifica debbano essere considerati come parte integrante dei piani di gestione dei rifiuti;
   l'articolo 22 del decreto legislativo n. 22 del 1997, al comma 5, precisa che i piani per la bonifica delle aree inquinate costituiscono parte integrante del Piano regionale e devono prevedere:
    l'ordine di priorità degli interventi;
    l'individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;
    le modalità degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l'impiego di materiali provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;
    la stima degli oneri finanziari;
    le modalità di smaltimento dei materiali da asportare;
   l'articolo 18, comma, 1), del decreto legislativo n. 22 del 1997 definisce le competenze dello Stato in ordine di bonifiche e prevede:
    «le funzioni di indirizzo e coordinamento necessarie all'attuazione del decreto»;
    «la determinazione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali ed il coordinamento dei piani stessi»;
    «la determinazione, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti inquinati, nonché la determinazione dei criteri per individuare gli interventi di bonifica che, in relazione al rilievo dell'impatto sull'ambiente connesso all'estensione dell'area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale»;
   l'indagine conoscitiva dei siti potenzialmente contaminati del territorio calabrese è stata effettuata nel giugno del 1999, per come esplicitato al paragrafo 10.7 del «Piano delle Bonifiche» recepito integralmente nel Piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato con ordinanza del Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria n. 1771 del 26 febbraio 2002, e successivamente aggiornato con ordinanza n. 6294 del 30 ottobre 2007;
   tra i 696 siti, al momento della redazione del Piano regionale, risultano: 58 discariche attive, 17 interessate da ampliamenti, adeguamenti o costruzione, 636 siti con necessità di messa in sicurezza e/o bonifica, di cui 300 rappresentati dalle discariche dismesse. Nella provincia di Catanzaro sono state censite 118 discariche (5 attive, e 113 dismesse), nella provincia di Cosenza 268 (26 attive, 242 dismesse), nella provincia di Crotone 36 (11 attive 25 dismesse), nella provincia di Reggio Calabria 190 (11 attive, 179 dismesse) e, nella provincia di Vibo Valentia, le discariche censite ammontano a 84 (4 rattive, 80 dismesse);
   una classificazione dei 696 siti censiti per tipologia di rifiuti smaltiti porta ad evidenziare che:
    240 sono rappresentati da discariche utilizzate solo per rsu (tra i quali non si esclude la presenza di rifiuti urbani pericolosi);
    4 da discariche di rifiuti speciali pericolosi;
    5 sono costituite da rifiuti ingombranti;
    4 da inerti e materiali da demolizione.
  Il resto è rappresentato da siti utilizzati per smaltire rifiuti di vario genere;
   dall'indagine, traspare la fotografia di un territorio fortemente deturpato dall'elevato numero di discariche attivate nella regione. Una miriade di piccole e grandi discariche che formano una commistione di inquinamento del suolo e delle acque oltre che, naturalmente, concorrere negativamente al degrado del paesaggio;
   il Corpo forestale dello Stato nel 2002 ha pubblicato il «Primo Rapporto sul 3° censimento delle discariche abusive» che individua su tutto il territorio nazionale un considerevole numero di siti oggetto di abbandono incontrollato di rifiuti. Sulla base del predetto censimento, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione 2003/2077 a carico dello Stato italiano;
   la Corte di giustizia europea, facendo proprie le argomentazioni presentate dalla Commissione europea, ha condannato l'Italia per violazione strutturale e generalizzata della normativa sui rifiuti con la sentenza del 27 aprile 2007, Causa C-135/05. La Commissione europea, conseguentemente, ha sollecitato l'adempimento della sentenza mediante l'identificazione di tutti i siti di smaltimento illegale e l'adozione di piani di azione per il loro ripristino;
   alla data del 9 gennaio 2012, su 40 dei 447 siti censiti dal Corpo forestale dello Stato e relativi alla regione Calabria, non era stata avviata alcuna azione per il superamento della criticità ambientale. Dei 40 siti, 9 necessitano di interventi di bonifica mentre sui restanti 31 è necessario avviare un Piano di caratterizzazione e, se necessario, l'intervento di bonifica;
   la regione Calabria, a seguito della verifica effettuata dall'Unità di verifica degli investimenti pubblici, è stata finanziata con le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Delibera CIPE 60 del 30 aprile 2012), avente ad oggetto «assegnazione di risorse e interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno, nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche», per un costo complessivo di euro 42.918.620,34 afferente alle bonifiche;
   nella succitata delibera si legge che «gli interventi che saranno completati entro il 2015 e che non ricadono nelle fattispecie previste dagli articoli 86 e 87 del regolamento (CE) n. 1083/2006, potranno essere rendicontati a valere sulla dotazione finanziaria 2007-2013 dei Fondi strutturali, se ammissibili, anche in applicazione della delibera di questo Comitato n. 166/2007, quinto capoverso della parte dispositiva, cui si fa rinvio» e che «il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica provvede ad attivare il trasferimento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, secondo quanto disposto dal punto 7 della richiamata delibera n. 166/2007»;
   il dipartimento  ambiente e territorio della regione Calabria ha approvato con la delibera della Giunta regionale n. 253 del 22 maggio 2012 un «Piano Stralcio del Piano operativo generale» degli interventi per la bonifica sui 18 siti definiti ad alto rischio, redatto con gli indirizzi di cui al documento «Descrizione dei Sistemi di Gestione e Controllo» (articolo 71 del Regolamento (CE) 1083/2006), nel quale era prevista la necessaria copertura finanziaria, ammontante a 45.128.750,00 euro, sulla linea di intervento 3.4.1.1 del Programma operativo regionale per la Calabria FESR 2007/2013. A gennaio 2013 è stato sottoscritto l'Accordo di programma quadro;
   l'assessore regionale all'ambiente, secondo quanto riportato in un articolo apparso il 21 marzo 2012 su «il Quotidiano della Calabria» ha affermato: «ai comuni si è inoltre voluto garantire il supporto tecnico specialistico per le procedure di gara che dovranno essere espletate, per utilizzare i 45 milioni di euro disponibili ed evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2006, con la perdita di 50 milioni di euro per le attività di bonifica». Sempre nell'articolo, di seguito, si legge: «i sindaci presenti all'incontro di ieri hanno apprezzato l'avvio di quella che è stata definita “una nuova stagione di confronto, concertazione e cooperazione interistituzionale”, chiedendo all'Assessorato ed al dipartimento Ambiente “la costituzione di una cabina di regia regionale che segua tutte le fasi di gara e realizzazione degli interventi di bonifica”»;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. La Corte di giustizia dell'Unione europea, di conseguenza, il 2 dicembre 2014, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42 milioni e 800 mila euro fino alla completa esecuzione della sentenza che riguarda 200 discariche. Datale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma nel corso del semestre;
   con la legge di stabilità 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, un Fondo «per il finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate dalle competenti Autorità statali in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007», con una dotazione finanziaria di circa 60 milioni di euro suddivisi negli esercizi finanziari 2014 e 2015 che, tuttavia, esclude dal riparto di tali risorse la regione Calabria, avendo già usufruito in precedenza di risorse economiche per le medesime finalità;
   il dipartimento n. 11 «ambiente e territorio» della regione Calabria, con decreto del 13 maggio 2015, prot. n. 275 ha concesso un differimento dei termini di attuazione di 9 interventi «non cantierabili» agli enti beneficiari del finanziamento fino alla data del 31 maggio 2016. I sopracitati interventi sono finalizzati al superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario;
   la Commissione europea, in data 18 agosto 2015, rispondendo ad un'interrogazione presentata dagli europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Ignazio Corrao, Eleonora Evi, Piernicola Pedicini e Marco Affronte ha fornito ai deputati citati l'elenco delle discariche abusive oggetto della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in data 2 dicembre 2014 (causa C-196/13) – Situazione allo scadere del primo semestre successivo alla sentenza (2 dicembre 2014-2 giugno 2015);
   dall'elenco si evince che esistono ancora 185 discariche non conformi alle direttive europee ossia inottemperanti a quanto stabilito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE, motivo per cui è stata inflitta all'Italia la multa semestrale di 39.800.000 euro;
   l'interrogante con lettera datata 6 ottobre 2015 ed inviata alla casella di posta certificata del Presidente della regione Calabria e del dipartimento «ambiente e territorio» ha richiesto la rendicontazione delle spese sostenute per gli interventi di bonifica per i quali sono stati utilizzati i fondi strutturali, come previsto dalla delibera CIPE e un report sui progressi compiuti nelle operazioni di bonifica dei siti calabresi non conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-135/05 del 2007. Nel secondo caso l'interrogante ha ricevuto risposta mentre, in merito alla prima questione sollevata, il dipartimento «ambiente e territorio» in data 12 ottobre 2015 ha risposto che: «è opportuno puntualizzare che le attività afferenti la bonifica di un sito contaminato, per come disposto dalla normativa nazionale, rientrano in un procedimento articolato, che passa anche per lo svolgimento della Conferenza dei Servizi, il cui iter istruttorio, con riferimento agli interventi implementati nella su indicata Delibera CIPE 60/2012, difficilmente avrebbe potuto concludersi entro la data di chiusura del Programma operativo regionale FESR 2007-2013, tanto più che i medesimi interventi contemplano anche le attività di riqualificazione ambientale»;
   alla luce della normativa ambientale e delle relative interpretazioni giurisprudenziali, gli obblighi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, ivi incluse le discariche abusive da dismettere, gravano in capo al comune territorialmente competente, ed in caso di inerzia di quest'ultimo, in capo alla regione, che è dunque il responsabile di ultima istanza per la realizzazione dell'opera di bonifica o messa in sicurezza;
   entro il 15 di ogni mese le regioni trasmettono un «report mensile», sui progressi compiuti nelle operazioni di bonifica. Il Governo, ove si renderà necessario, eserciterà nei confronti degli enti inadempienti i poteri sostitutivi previsti dalla normativa vigente, al fine di addivenire, nel più breve tempo possibile, al completo adempimento degli obblighi –:
   quali siano i progressi compiuti nelle operazioni di bonifica dei siti calabresi non conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-135/05 del 2007, aggiornati al giorno 15 del mese di ottobre 2015 e, se i progressi compiuti nelle operazioni di bonifica avvengano in modo tale da garantire l'auspicato superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario;
   se, nel caso fossero riscontrati inadempimenti da parte degli enti preposti, il Governo non intenda prendere in considerazione la possibilità di esercitare i poteri sostitutivi e al contempo di assumere le iniziative di competenza, ove ne sussistano i presupposti, per esercitare il diritto di rivalsa nei confronti degli enti inadempienti. (4-10851)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti si rappresenta quanto segue.
  A motivo della mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 per violazione della direttiva rifiuti 75/442/CE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), della direttiva 91/689 CEE, e della direttiva 1999/31 /CE, in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 Regioni italiane, il 2 dicembre 2014 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha condannato l'Italia al pagamento di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  La sentenza ha una determinazione degressiva della sanzione pecuniaria: si prevede, infatti, la riduzione di 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e di 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa UE in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  La Commissione europea, con due note del 14 dicembre 2014 e del 18 dicembre 2014, ha richiesto la trasmissione, entro il 2 giugno 2015, di specifiche informazioni sulle misure adottate in ottemperanza alla sentenza al fine di determinare l'entità della sanzione semestrale e decurtare dalla citata penalità semestrale la quota relativa agli interventi completati durante il primo semestre successivo alla sentenza.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta dalle regioni e trasmessa a giugno 2015 dalle autorità italiane, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche ed 1 errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 39.800.000,00.
  Alla data del 13 luglio 2015, rimanevano, pertanto, in procedura di infrazione ancora 185 discariche.
  A seguito della disamina della documentazione trasmessa dalle autorità italiane a dicembre 2015, in data 8 febbraio 2016 la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 29 discariche, nonché 1 errore di censimento, escludendo i relativi siti dal computo della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della seconda penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 33.400.000,00.
  Per le 155 discariche ancora oggetto della procedura d'infrazione a seguito delle predette valutazioni della Commissione europea, si segnala che gli enti territoriali competenti per 151 discariche sono stati destinatari di diffida ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e che per altri 4 casi di discariche che ricadono all'interno di Siti d'interesse nazionale di bonifica, sono in corso approfondimenti istruttori.
  Occorre segnalare che in molti casi i termini imposti con le diffide sono scaduti e le Amministrazioni interessate non hanno avviato o completato le attività prescritte. In tali casi, è senz'altro ipotizzabile l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato. Il Ministero dell'Ambiente ha pertanto comunicato le informazioni necessarie alla Presidenza del Consiglio dei ministri ai fini della valutazione dell'opportunità di procedere all'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti e al loro conseguente commissariamento. Sul punto merita di essere richiamata la nuova disciplina introdotta con l'articolo 1, comma 814 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), che si applica pienamente anche ai casi in esame.
  In effetti, proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità, di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi siti è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma prevista in legge di stabilità consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione dell'Unione europea – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti e di cui è intenzione del Governo servirsi con decisione.
  Con una nota inviata alle autorità italiane, la Commissione europea ha risposto positivamente a gran parte delle informazioni trasmesse dal nostro Paese il 2 giugno 2016 e annunciato di aver stralciato altre 22 discariche abusive dalla lista di quelle che oggi obbligano l'Italia al pagamento di una sanzione pecuniaria comminata con la sentenza della Corte di giustizia europea del 2 dicembre 2014. L'effetto immediato è l'abbassamento della sanzione semestrale dovuta a 27 milioni e 800.000 euro, dagli oltre 42 milioni stabiliti inizialmente con la sentenza di condanna della Corte di giustizia europea. Le discariche abusive in infrazione passano da 200 a 133.
  Questi risultati sono stati resi possibili attraverso un'intensa attività di monitoraggio e la costante interlocuzione tra i diversi livelli istituzionali. Sono state convocate e regolarmente verbalizzate apposite riunioni con le regioni interessate dalla procedura d'infrazione, esaminando caso per caso le discariche oggetto di condanna, supportando gli organi regionali nell'individuazione dei percorsi utili alla risoluzione dei casi.
  Inoltre, sulle discariche abusive, il Ministero dell'ambiente ha adottato un piano straordinario di bonifica su 45 discariche (ora scese a 40), in attuazione della legge di stabilità 2014: con le risorse disponibili sono stati immediatamente finanziati interventi per oltre 68 milioni, di cui più di 59 con fondi ministeriali e i restanti con risorse regionali. La messa in sicurezza di 29 discariche in Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto è disciplinata da accordi di programma quadro sottoscritti con le regioni.
  Il decreto ministeriale di approvazione del piano e gli accordi di programma prevedono che l'erogazione delle risorse assegnate avvenga dopo la presentazione dei quadri economici definitivi degli interventi e poi con le successive attestazioni dello stato di avanzamento dei lavori.
  Ad oggi, nonostante i numerosi solleciti da parte del Ministero, non è pervenuta dalle regioni alcuna istanza di erogazione dei fondi e dunque le risorse non sono state trasferite. Le restanti 16 discariche (adesso ridotte a 14), sono inserite nella «fase programmatica» del Piano straordinario. Gli interventi potranno, di conseguenza, essere attivati non appena reperite le risorse necessarie.
  Si evidenzia che la legge di stabilità 2016 dispone l'assegnazione di ulteriori 30 milioni di euro da destinare al rifinanziamento del piano, 10 per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
  A causa dei ritardi nell'attuazione degli interventi oggetto di contenzioso comunitario, la cabina di regia istituita nel 2015 presso la Presidenza del Consiglio ha concordato di attivare i poteri sostitutivi nei confronti delle regioni e degli enti locali inadempienti, procedimento avviato con i provvedimenti di diffida, dei quali risultano decorsi inutilmente i termini, e sta definendo quindi la nomina di un commissario straordinario cui assegnare tutte le risorse finanziarie statali destinate agli interventi.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca continua a riportare notizie di morti e gravi episodi di inquinamento presso il polo industriale di Siracusa;
   il sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo, istituito attraverso la legge n. 426 del 1998, si estende lungo la costa sud orientale della Sicilia, affacciandosi al mare per circa 30 chilometri, e comprende i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa;
   infatti, nei comuni appena citati si trova il più grande complesso petrolchimico d'Europa. Questo territorio è stato classificato come sito di interesse nazionale a causa dell'emergenza prodotta dall'inquinamento delle falde acquifere e della contaminazione delle coste. In queste località, infatti, l'incidenza dei tumori è altissima, così come quella delle morti sul lavoro;
   il Giornale di Sicilia, il 12 settembre 2015, ha riportato la notizia della morte per asfissia, a causa dell'inalazione improvvisa di vapori di idrocarburi, di due operai specializzati della ditta Xifonia che stavano facendo un sopralluogo ad un pozzetto nell'area Versalis del polo petrolchimico di Priolo Gargallo;
   mentre la magistratura apre un'inchiesta sulle due morti, il gruppo Eni sembra all'interrogante preoccuparsi solo di sospendere la ditta Xifonia da qualsiasi attività all'interno della sopra citata area, aggiungendo, con tale comportamento, un ulteriore danno alla ditta che oltre a subire la perdita incalcolabile dei due operai si vede anche sospendere l'appalto;
   alla perdita di vite umane, per incidenti sul lavoro, si deve aggiungere il costante inquinamento di tutta l'area responsabile di altre morti;
   ancora, imponenti sfiaccolamenti, dovuti al malfunzionamento in fase di avviamento del fluid catalic cracking, impiegato per la produzione di benzine grezze pesanti, provenienti dalla raffineria Esso di Augusta, con probabili rilasci in atmosfera di sostanze inquinanti sono solo gli ultimi episodi, registrati il 12 agosto 2015 e riportati da numerose testate giornalistiche, di un costante e continuo inquinamento cui sono sottoposti popolazioni e territori della zona;
   si ricorda che gli impianti presenti nell'area industriale, sopra citata, sono prevalentemente di carattere chimico e petrolchimico, raffinerie dunque, ma anche cementerie, un inceneritore per rifiuti speciali pericolosi, centrali termoelettriche, un depuratore di reflui industriali, discariche, l'impianto dismesso di trattamento/lavorazione amianto della ex Eternit, l'impianto cloro-soda della ex Enichem e l'area portuale. Petrolio, metalli pesanti (mercurio e piombo), idrocarburi, cloruri, amianto, rilevanti quantità di ceneri di pirite sono le sostanze che maggiormente hanno contaminato il suolo e le acque, per non parlare della pessima qualità dell'aria, dovuta alle significative emissioni provenienti principalmente dal polo petrolchimico;
   nell'ultimo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento – Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri – Sentieri 2014 – si rileva che, nell'area del sito di interesse nazionale di Priolo, l'incidenza dei tumori nel suo insieme, esclusi i tumori della pelle, è in eccesso in entrambi i generi. In particolare, sono in eccesso sia negli uomini sia nelle donne i tumori del fegato e del pancreas e il mesotelioma; i tumori del polmone, della vescica e del sistema nervoso centrale lo sono tra i soli uomini; nelle sole donne si sono osservati eccessi del tumore del colon-retto, della mammella e dell'utero;
   si rileva inoltre che il 13 gennaio 2015 l'asp di Siracusa ha presentato i dati di incidenza e di mortalità per tumori nella provincia di Siracusa aggiornati rispettivamente al 2009 e al 2013;
   il registro territoriale delle patologie della Asp di Siracusa è stato istituito con la legge regionale n. 1 del 1997 e, sin dal 1999 produce dati di incidenza e mortalità dei tumori dell'intera provincia. Dal 2007 il registro siracusano è uno dei pochi in Italia ad aver ottenuto l'accreditamento internazionale dalla IARC (International Agency Research on Cancer) di Lione, organismo dell'Organizzazione mondiale della sanità e dallo stesso anno i suoi dati vengono regolarmente pubblicati sul cancer incidence in five continents della IARC. I dati pubblicati finora coprivano il periodo che andava dal 1999 al 2005. Con l'attuale pubblicazione i dati di incidenza vengono aggiornati di un ulteriore quadriennio (fino al 2009) e quelli di mortalità di ulteriori 8 anni (fino al 2013): «I trends temporali della mortalità per tumori dal 1999 al 2013 sono costantemente in crescita in tutta la provincia. La distribuzione dei tassi di mortalità in provincia di Siracusa, infatti, rispecchia sostanzialmente quella dei tassi di incidenza, ma fa osservare un trend ancora in crescita in entrambi i sessi, con un incremento del +6,7 per cento tra i maschi e del +7,5 per cento tra le donne.»;
   basta quest'unica citazione dello studio dell'Asp di Siracusa per ribadire che sono oramai diventati intollerabili l'enorme disagio e il grave rischio procurato nel territorio dall'inquinamento dell'aria, delle falde acquifere e delle aree coltivabili nelle zone circostanti al polo petrolchimico presente nella zona del siracusano;
   decine di migliaia di persone, che vivono nelle aree antistanti il polo petrolchimico siracusano, continuano a subire le gravi ripercussioni sulla salute dovute all'inquinamento –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare, ognuno per le parti di competenza, iniziative immediate al fine di garantire la piena attuazione delle prescrizioni, previste dal sopra citato sito di interesse nazionale, per la riqualificazione del territorio;
   quali azioni si intendano avviare al fine di garantire l'ambiente e il diritto alla salute dei cittadini, anche attraverso idonee ed efficaci attività di monitoraggio sanitario e ambientale. (4-10784)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle problematiche ambientali afferenti all'area del sito d'interesse nazionale di Priolo, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che nel periodo 2007-2009 nell'ambito di una convenzione tra Ministero dell'ambiente e Istituto superiore di sanità (ISS) per le attività di supporto in materia di danno sanitario e ambientale connesso ai SIN è stato deciso di effettuare uno studio per la valutazione di impatto su ambiente e salute e stima dei costi economici dell'inquinamento in siti di bonifica di interesse nazionale al fine di quantificare il danno sanitario per le popolazioni residenti nei SIN di Gela e Priolo.
  Il gruppo di lavoro, composto da esperti nel campo ambientale, chimico, biologico, epidemiologico, medico ed economico, ha valutato con i dati disponibili l'associazione tra l'inquinamento ambientale e lo stato di salute della popolazione.
  Lo studio ha evidenziato livelli importanti di contaminazione chimica delle matrici ambientali quali acqua di falda, suolo e sedimenti all'interno del SIN (alcuni risultati sono contenuti nel rapporto dell'organizzazione mondiale della sanità pubblicato nel 2014,
Human Health in Areas with Industrial Contamination »).
  Studi successivi hanno confermato la presenza di una contaminazione chimica delle matrici ambientali nell'ambito del SIN (in particolare, il tema dell'incidenza dei tumori nell'area di Priolo è stato oggetto di uno studio pubblicato nel 2016 nella rivista scientifica Geospatial Health, dal titolo «Cancer incidence in Priolo, Sicily: a spatial approach for estimation of
industrial Air Pollution impact»).
  Sull'argomento si evidenzia altresì che il quadro sanitario della popolazione residente nel SIN di «Priolo» (costituito dai Comuni di Augusta, Melilli, Priolo Gargallo e Siracusa) è stato ampiamente studiato, in particolare, nell'ambito del progetto SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli Insediamenti-Esposti a Rischio da Inquinamento) del Ministero della salute, con la pubblicazione nel 2014 di un rapporto su «Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri» nella rivista scientifica epidemiologia e prevenzione.
  Uno studio successivo, pubblicato nel 2016 nella medesima rivista
Geospatial Health, ha indagato la distribuzione spaziale dei tumori all'interno del SIN (periodo 1999-2006), mediante l'applicazione di diversi metodi geografici per la valutazione dell'impatto degli inquinanti atmosferici emessi dagli impianti industriali.
  In questo quadro è stata rilevata la necessità di rafforzare le attività di bonifica.
  Occorre innanzitutto precisare che le conferenze di servizi tenutesi fino ad oggi hanno approvato progetti di bonifica per aree di estensione totale pari ad oltre 1.000 ettari.
  Per quanto riguarda le attività di monitoraggio ambientale si sottolinea che le matrici suolo, sottosuolo e acque di falda delle aree di pertinenza delle maggiori realtà industriali presenti all'interno del S.I.N. (n. 3 raffinerie, n. 2 impianti di chimica integrata tra cui l'impianto Versalis, n. 3 centrali elettriche, n. 1 cementeria, n. 2 cave di estrazione materiali, n. 1 deposito di stoccaggio prodotti petroliferi) e delle estese aree industriali dismesse, sono state caratterizzate e sono stati avviati i necessari interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica.
  Per quanto riguarda l'area portuale si fa presente che l'accordo di programma siglato il 25 giugno 2015 ha inserito negli interventi finanziabili, il progetto di bonifica dei sedimenti della rada di Augusta nel rispetto della sentenza del TAR Catania, che prevede la rimozione dei soli sedimenti classificati come pericolosi.
  Relativamente alla falda idrica sottostante le aree industriali del SIN di Priolo, si sottolinea che:
   la conferenza di servizi del 25 ottobre 2011 ha approvato il progetto di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera di tutte le aree prospicienti la rada di Augusta;
   le Società del Gruppo ENI (ENI R&M, Syndial, Versalis) stanno realizzando le attività previste nel Progetto di Bonifica del Sito Multisocietario, che interessa un'area di circa 650 ettari, avviato nel 2004, che ha previsto, tra l'altro, la realizzazione di un marginamento fisico immorsato nelle argille per una lunghezza di oltre 4 chilometro e per il quale è stato realizzato uno specifico impianto di trattamento delle acque di falda nel 2011 finalizzato a contenere l'intrusione di acqua marina, il progetto prevede una doppia linea di pozzi (una linea in emungimento e una linea più vicina alla costa con la reimmissione delle acque trattate);
   la società ISAB sta completando l'avvio delle attività previste nel progetto di bonifica e messa in sicurezza dei terreni e delle acque di falda della raffineria ISAB impianti sud approvato nel luglio 2011 e che interessa un'area di 270 ettari.

  Di seguito sono segnalati gli interventi già in corso di realizzazione e quelli prossimi all'avvio connessi alla presenza di ceneri di pirite:
   Invitalia aree produttive sta eseguendo per conto della regione la rimozione delle ceneri di pirite abbancate nel Versante Thapsos per ripristinare la linea di costa originale;
   la Società Enirned (del Gruppo ENI) concluderà entro settembre 2017 le attività previste dal progetto di bonifica dell'area denominata «Ex Vasche di zavorra» nella Penisola Magnisi, che prevede la rimozione dei terreni frammisti a ceneri di pirite ed il ripristino originale dei luoghi;
   a dicembre 2015 la regione siciliana ha trasmesso il progetto di bonifica della riserva naturale «Saline di Priolo», nella quale risultano abbancate ceneri di pirite;
   le analisi eseguite dalla Società Versalis sugli abbancamenti di ceneri di pirite nelle aree di propria pertinenza hanno evidenziato la loro naturale inertizzazione e di conseguenza il loro bassissimo impatto ambientale;
   la Conferenza di servizi tenutasi presso il genio civile di Siracusa in data 6 maggio 2016 ha autorizzato la pubblicazione del bando di gara per la realizzazione del progetto di
capping del campo sportivo «Fontana» del Comune di Augusta, approvato dalla conferenza di servizi del 5 marzo 2014.
  Relativamente all’
ex impianto cloro-soda della ex Enichem (ora di pertinenza della Syndial del gruppo ENI), la conferenza di servizi del 16 novembre 2015 ha discusso il progetto di bonifica dei terreni dell'area dove insiste l'impianto, la cui approvazione è propedeutica allo smantellamento dell'impianto medesimo.
  Attualmente una serie di decreti di approvazione di progetti di bonifica sono fermi poiché la regione siciliana, nonostante numerosi solleciti, non ha fornito indicazioni in merito all'assoggettabilità a VIA degli interventi previsti nei progetti medesimi. Per alcuni degli interventi è stato possibile approvare, in via provvisoria, l'avvio dei lavori con la procedura d'urgenza dettata dal comma 8 dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per quanto concerne la problematica amianto, si fa presente che:
   1. l'area ex Eternit è stata sottoposta ai seguenti interventi, realizzati esclusivamente con fondi pubblici:
    rimozione e conferimento in discarica di tutte le strutture realizzate in cemento amianto;
    caratterizzazione e messa in sicurezza dell'area dello stabilimento;
    bonifica delle aree a mare prospicienti l'area dello stabilimento;
   2. la società Syndial sta realizzando il progetto di bonifica dei terreni a sud del Vallone della neve, per una superficie di circa 185 ettari, che prevede, tra l'altro, la rimozione e il conferimento in discarica di terreni con presenza di amianto;

  Dalle attività di caratterizzazione eseguite nel SIN e dalle comunicazioni acquisite dagli enti locali di controllo (ARPA, Provincia) non risultano ulteriori gravi criticità connesse alla problematica suddetta all'interno del perimetro del SIN di Priolo.
  La citata conferenza di servizi del 16 novembre 2015 ha discusso i risultati di caratterizzazione dell'area dell'inceneritore per rifiuti speciali pericolosi, che hanno mostrato valori conformi alla normativa vigente in materia di bonifiche (CSC di cui alla colonna B, tabella 1, allegato 5 al decreto legislativo n. 152 del 2006) per le matrici suolo e sottosuolo.
  In merito alle aree di pertinenza della cementeria di Augusta, si segnala che:
   per l'area dello stabilimento si è concluso il procedimento amministrativo per le matrici suolo e sottosuolo e TARPA Siracusa sta supervisionando le attività di prevenzione delle acque di falda eseguite dall'Azienda;
   per la cava di calcare denominata Costa Giggia;
   per la cava di calcare denominata Costa Giggia, si è concluso il procedimento amministrativo.

  Il libero consorzio comunale (già provincia) di Siracusa ha certificato l'avvenuta bonifica dei terreni all'interno della centrale ENEL di Augusta. Per l'area della centrale ENEL di Priolo, sono in corso di svolgimento le attività di bonifica dei suoli e il Progetto di bonifica delle acque di falda è in corso di perfezionamento.
  In relazione alle discariche ricadenti nel SIN Priolo, Andolina, Dominici, Corvo, Belluzza, Cardona, Canniolo sono stati approvati tutti i piani di caratterizzazione e acquisiti agli atti da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio la Conferenza di Servizi decisoria del 13 aprile 2010 ha approvato il Progetto degli interventi di Messa in sicurezza di emergenza della discarica «Andolina», trasmesso da Comune di Melilli;
   la conferenza di servizi del 3 giugno 2013 ha preso atto del progetto per la copertura superficiale provvisoria e di regimentazione del biogas della discarica in contrada Cardona;
   nel dicembre 2013 si sono concluse le attività di rimozione della discarica realizzata all'interno del depuratore di reflui industriali IAS, avente una superficie di oltre 9 ettari e costituita dalle vasche di fanghi pericolosi;
   la conferenza di servizi del 17 luglio 2014 ha ritenuto approvabile il Progetto delle opere finalizzate ai lavori di messa in sicurezza d'emergenza dell'area delle discariche comunali site in contrada da Ogliastro di Sopra.

  Per quanto riguarda la qualità dell'aria-ambiente nell'area interessata, la sua valutazione viene effettuata tramite 13 stazioni fisse di monitoraggio della qualità dell'aria, di cui 7 posizionate nel comune di Siracusa.
  I dati misurati da tali stazioni nel periodo 2013-2014 evidenziano criticità in merito al biossido di azoto NO2, al materiale particolato PM10 e all'ozono. Nello specifico, per l'NO2, si sono registrati superamenti degli obiettivi di qualità dell'aria fissati dalla normativa solo nel 2013. In particolare, mentre il valore limite orario previsto per la protezione della salute umana (200 μµg/m3 da non superare più di 18 volte in un anno civile) non è stato superato in nessuna stazione dell'area, il valore limite annuale (40 μµg/m3) è stato superato nelle stazioni del comune di Siracusa «Scala Greca» (50 mg/m3) e «Belvedere» (41 mg/m3).
  Per quanto concerne il PM10, nel 2013 è stato superato sia il valore limite annuale previsto per la protezione della salute umana (40 μµg/m3) che il valore limite giornaliero (50 μµg/m3, da non superare più di 35 volte per anno civile) presso la stazione di traffico «Bixio» sita nel comune di Siracusa, mentre nel 2014, presso la stessa stazione, è stato superato solo il valore limite giornaliero con 45 giorni di superamento, rispetto ai 69 giorni dell'anno precedente.
  Per l'ozono in entrambi gli anni si verificano numerosi superamenti dell'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (120 μµg/m3).
  Per l'anno 2015, i dati disponibili sul sito dell'ARPA Sicilia mostrano superamenti del valore limite giornaliero previsto per il PM10 presso la stazione «Teracati» del comune di Siracusa (54 giorni di superamenti).
  Alla luce di quanto suesposto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguirà comunque nella sua costante azione di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella proposta di relazione sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica nel sito di interesse nazionale di Venezia – Porto Marghera esaminata in questi giorni dalla commissione d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati emerge un quadro inquietante sul completamento di alcune opere di bonifica fondamentali alla salvaguardia della Laguna di Venezia;
   si ricorda che il sito di interesse nazionale (SIN) di Venezia (Porto Marghera) è stato incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale dalla legge n. 426 del 1998 e con il successivo decreto ministeriale 23 febbraio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2000, è stata individuata la perimetrazione del SIN, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge citata;
   in data 16 aprile 2012 è stato sottoscritto dall'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Magistrato alle acque di Venezia, dal presidente della regione del Veneto, dal presidente della provincia di Venezia, dal sindaco di Venezia e dal presidente dell'Autorità portuale di Venezia l'accordo di programma per la bonifica e la riqualificazione ambientale del sito di interesse nazionale di Venezia (Porto Marghera), finalizzato a promuovere il processo di riconversione industriale e riqualificazione economica del SIN, mediante procedimenti di bonifica e ripristino ambientale, che consentano e favoriscano lo sviluppo di attività produttive sostenibili dal punto di vista ambientale e coerente con l'esigenza di assicurare il rilancio dell'occupazione, mediante la valorizzazione delle forze lavorative dell'area (doc. 713/2)1. Il suddetto accordo di programma, all'articolo 5, comma 9, prevede che il completamento degli interventi sulle sponde della Macroisola del Nuovo Petrolchimico e della Macroisola di Fusina venga affidato, alla competenza della regione Veneto. In particolare, la regione Veneto si è impegnata «a realizzare alcuni tratti di marginamento finalizzati a chiudere le due Macroisole del Nuovo Petrolchimico e di Fusina» e si è stabilito che il completamento di tali opere, da parte della regione Veneto, sarebbe avvenuto con finanziamenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di varia provenienza, tra cui le economie maturate nella realizzazione di interventi di disinquinamento, già finanziati con deliberazioni CIPE, destinati alla salvaguardia della laguna di Venezia, ovvero mediante l'impiego di altri fondi disponibili, tra cui quelli derivanti dalle transazioni sottoscritte o da sottoscrivere a titolo di risarcimento del danno ambientale. Viceversa, vengono assegnate alla competenza del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, tutte le altre opere di messa in sicurezza (marginamento delle macroisole, rifacimento delle sponde, sistema di raccolta/drenaggio delle acque), ad eccezione di quelle affidate all'Autorità portuale;
   si ricorda che i sistemi di marginamento sono composti da barriere fisiche antierosione e a tenuta idraulica, con lo scopo di impedire il trasferimento dell'inquinamento proveniente dagli imbonimenti, dalle falde e dai suoli inquinati direttamente verso l'ambiente lagunare ovvero verso i canali portuali in comunicazione con l'ambiente lagunare;
   l'avanzamento dei lavo i è pari al 94 per cento circa e, per tale bonifica sono stati spesi circa 781 milioni di euro ma, sembra che al momento, non vi siano più finanziamenti che consentirebbero il completamento di quel 6 per cento di opere che manca – circa 3,5 chilometri di marginamenti e di rifacimento delle sponde delle macroisole;
   come si legge testualmente nella proposta di relazione di cui sopra, la commissione d'inchiesta sui ciclo dei rifiuti sottolinea che è stato rilevato che: «il mancato completamento di tali opere sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate e sta mettendo in serio dubbio la bontà complessiva dell'intervento finora realizzato» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di provvedere in tempi brevi al finanziamento dei lavori di completamento dei lavori di bonifica del Sin di Porto Marghera, con riferimento specifico alle opere di marginamento delle macro isole di cui sopra. (4-11083)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo stato di avanzamento dei lavori di bonifica nel sito di interesse nazionale di Venezia-Porto Marghera, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dal Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, è doveroso rappresentare lo sforzo finanziario che lo Stato ha profuso per garantire l'avvio e la prosecuzione degli interventi di bonifica nel sito di interesse nazionale (Sin) in parola. Detto impegno, infatti, è ben rappresentato dall'enorme mole di stanziamenti assegnati al Sin, che ammontano a complessivi euro 971.469.513,17.
  Le risorse sopra indicate, destinate agli interventi di bonifica nel sito di Venezia – Porto Marghera, sono state disciplinate in numerosi atti di programmazione negoziata.
  Tra questi, occorre ricordare l'accordo di programma sulla bonifica ed il ripristino morfologico dell'area lagunare antistante Porto Marghera, sottoscritto il 7 marzo 2006 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il magistrato alle acque di Venezia, la cui copertura finanziaria è pari ad euro 20.000.000,00. Si precisa, inoltre, che le aree oggetto dell'accordo in parola, a seguito della pubblicazione del decreto ministeriale del 24 aprile 2013, con il quale è stato ridefinito il perimetro del Sin di «Venezia – Porto Marghera», sono state escluse dal perimetro del Sin medesimo.
  Inoltre, in data 7 aprile 2006 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro per l'attuazione degli interventi di confinamento, tramite marginamento delle sponde, delle aree a terra incluse nel perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale di Venezia – Porto Marghera e di gestione dei sedimenti più inquinati presenti nei canali industriali e portuali. La copertura finanziaria delle sole attività di marginamento e retromarginamento delle macroisole di Porto Marghera, a carico del Magistrato alle Acque di Venezia, alla stipula, era pari a complessivi euro 774.859.000,00.
  In data 31 marzo 2008 è stato sottoscritto l'accordo di programma per la gestione dei sedimenti di dragaggio dei canali di grande navigazione e la riqualificazione ambientale, paesaggistica, idraulica e viabilistica dell'area di Venezia-Malcontenta-Marghera. Successivamente, in data 29 ottobre 2010, è stato sottoscritto l'accordo integrativo al predetto accordo di programma. Occorre, tuttavia, precisate, che le aree oggetto degli accordi in parola, a seguito della già citata riperimetrazione del Sin, sono state escluse dal perimetro dello stesso.
  L'obiettivo dei predetti accordi di programma è quello di realizzare impianti per la gestione dei sedimenti di dragaggio e delle terre da scavo anche pericolosi, assicurare la ricomposizione ambientale delle aree nonché realizzare interventi di riqualificazione ambientale, paesaggistica, idraulica e viabilistica.
  Il costo degli interventi disciplinati nei citati accordi ammonta a complessivi euro 708.749.000,00 ai quali occorre aggiungere euro 91.457.100,00 afferenti al costo della gestione degli impianti. Le risorse disponibili, alla data di stipula, ammontano a euro 491.914.000,00, di cui euro 13.000.000,00 stanziati dal Ministero dell'ambiente.
  In merito all'utilizzo delle suddette risorse ministeriali si precisa inoltre che, con nota del 13 giugno 2012, il commissario delegato ha comunicato che il finanziamento di euro 13.000.000,00 è stato utilizzato per finanziare parte dell'intervento di dragaggio alla quota intermedia del canale industriale ovest, dalla banchina Liguria alla darsena terminale, e del Canale industriale sud, dalla banchina Alcoa alla darsena terminale, e smaltimento/messa a dimora dei sedimenti dragati.
  Da ultimo, in data 16 aprile 2012 è stato sottoscritto l'accordo di programma «per la bonifica e la riqualificazione ambientale del sito industriale di Porto Marghera e aree limitrofe» tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture (Magistrato alle acque di Venezia), la Regione Veneto, la provincia di Venezia, il comune di Venezia e l'autorità portuale di Venezia.
  L'accordo in parola, finanziato per circa euro 10.649.238,10 con risorse Ministero dell'ambiente stanziate dalla legge 135 del 1997 (delibera Cipe 29.08.1997) e dalla legge 341 del 1995 (delibera Cipe 23.04.1997), si pone come obiettivi principali: la semplificazione delle procedure amministrative di bonifica del sito, con la previsione del procedimento unico di autorizzazione previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, l'individuazione di meccanismi di accelerazione dei tempi relativi al procedimento di bonifica; la determinazione di tempi certi per la bonifica; la predisposizione di protocolli operativi sito-specifici da concordare tra le amministrazioni procedenti ed i privati operatori; il maggior coinvolgimento della Regione Veneto nelle diverse fasi del procedimento istruttorio degli interventi di bonifica; la verifica della possibilità di attivare un procedimento volto all'accertamento dei presupposti per la riperimetrazione del siti.
  Per quanto concerne l'utilizzo delle citate risorse ministeriali, si precisa che le stesse sono destinate alla realizzazione di alcuni tratti di marginamento finalizzati a chiudere le due macroisole «Nuovo petrolchimico» e «Fusina».
  In merito allo stato di avanzamento delle attività di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel Sin di «Venezia – Porto Marghera», ad oggi, sono stati emanati 107 decreti di approvazione di progetti di bonifica/messa in sicurezza interministeriali, di autorizzazione provvisoria all'avvio dei lavori per motivi d'urgenza ed ordinari.
  Al fine di garantire il completamento delle ingenti opere di bonifica già in corso e non vanificare gli sforzi finanziari già sostenuti dallo Stato, si segnala che il Ministero dell'ambiente ha elaborato un Piano di interventi per la tutela del territorio e delle acque, da sottoporre alla cabina di regia istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, ai sensi della legge 190 del 2014, che prevede, tra l'altro, l'assegnazione di euro 71.859.460,67, a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il ciclo di programmazione 2014/2020, per la realizzazione di interventi in capo alla regione del Veneto e all'autorità portuale di Venezia.
  Per completezza di informazione, si fa presente, inoltre, che il Ministero dello sviluppo economico ha, invece, stipulato con la regione Veneto, il comune di Venezia e l'autorità portuale un accordo di programma sottoscritto il 9 gennaio 2015 per la realizzazione di opere infrastrutturali, da realizzare sulle aree già bonificate, funzionali allo sviluppo produttivo del sito di Porto Marghera. L'accordo di programma è nella fase di attuazione ed il Ministero ha provveduto ad erogare due anticipi, uno al comune di Venezia per euro 2.595.165 e l'altro all'autorità portuale per euro 5.600.000.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere una complessiva attività di monitoraggio e di sollecito nei confronti di tutti gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 aprile 2016, presso la prefettura di Viterbo, si è tenuta l'ennesima conferenza di servizi per avviare la bonifica dei terreni contaminati dall'interramento illecito di rifiuti speciali in località Pascolaro, Campo delle Noci e Bivio del Pellegrino a Graffignano (Viterbo). All'incontro erano presenti i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della regione Lazio, del Comando del Corpo forestale dello Stato, dell'Asl di Viterbo, dell'Arpa Lazio e il sindaco di Graffignano;
   la vicenda dell'interramento dei rifiuti risale ad almeno dieci anni fa quando le unità del Corpo forestale dello Stato, impegnate nell'operazione denominata «Girotondo», dopo lunghe indagini, portarono alla luce un imponente traffico illegale di rifiuti speciali interrati in prossimità del fiume Tevere nel comune di Graffignano (Viterbo);
   l'area interessata è di circa 50 ettari, tutta zona di ex cave, su cui bisogna effettuare ulteriori analisi dettagliate, a causa delle oltre 20 mila tonnellate di rifiuti tossici sversati, contenenti idrocarburi, oli pesanti, cadmio, cromo, cobalto, stagno e persino diossina (quest'ultima in valore 7 sette volte a quello massimo consentito). Una vera e propria bomba ecologica che impatta con le falde acquifere nelle immediate vicinanze del fiume Tevere;
   da analisi effettuate sui terreni limitrofi, a quelli posti sotto sequestro, coltivati a grano e ove insiste anche un'azienda agro-turistica-venatoria, sembrerebbe che gli agenti inquinanti abbiano già contaminato una vasta area;
   intanto, da dieci anni, gli abitanti di Graffignano attendono l'inizio delle operazioni di bonifica, con il rischio reale che i veleni siano già entrati nella catena alimentare animale e umana, con gravissimi effetti sulla salute dei cittadini. Di grande impatto è stato il documentario mandato in onda da SKYTG 24, su quest'ennesima terra dei fuochi ove speculatori e criminali, per tornaconto personali, hanno messo a serio rischio sia la salute di ignari cittadini, che l'integrità del territorio e delle risorse naturali –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare al fine di monitorare, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dei luoghi in vista della messa in sicurezza del territorio di cui in premessa;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga, il Ministro della salute, avviare un monitoraggio epidemiologico, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, atto a verificare l'impatto sulla salute dei cittadini di Graffignano soprattutto in relazione alla presenza di rifiuti e sostanze particolarmente tossici. (4-12880)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali, si rappresenta quanto segue.
  Nel maggio 2016 è pervenuta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una segnalazione relativa alla situazione ambientale in cui versa il territorio comunale di Graffignano in località Pascolaro (Viterbo). Sull'area in oggetto, dalla documentazione acquisita, risultava la presenza di sversamenti illeciti di rifiuti pericolosi.
  Alla luce di ciò, la direzione Generale competente si è attivata richiedendo agli enti locali ed agli organi tecnici, di aggiornare sul caso e di relazionare sulle iniziative e le attività intraprese a tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
  Nel giugno 2016, l'Arpa Lazio, sezione provinciale di Viterbo, nel trasmettere il verbale (ed atti connessi) della Conferenza di servizi tenutasi in data 19 maggio 2016 presso il comune di Graffignano, ha comunicato al Ministero dell'ambiente che «la Conferenza dei servizi ritiene di poter approvare con prescrizioni ai sensi dell'articolo 242, comma 3, del D.lgs.152/2006 con ss. Mm.ii. e L.R. 27/98 con ss.mm.ii. il Piano di Caratterizzazione in rev 0 redatto dall'Università della Tuscia unitamente al computo metrico estimativo preliminare comprensivo di quadro economico. La Conferenza dei servizi vista l'estensione delle aree di cui trattasi ritiene che alla luce delle prime risultante del Piano lo stesso potrà essere integrato così come previsto dalla normativa vigente...».
  Per quanto attiene la questione della contaminazione dovuta all'interramento illecito di rifiuti speciali in località Pascolaro, è stato predisposto il piano della caratterizzazione seconto quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 da parte dell'università della Tuscia di Viterbo, su incarico del comune di Graffignano. I contenuti dello stesso sono stati discussi in sede di Conferenza dei Servizi convocata per il giorno 18 maggio 2016 presso la prefettura di Viterbo, alla quale è stato invitato a partecipare anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Il relativo verbale è stato approvato con determinazione n. 177 del 3 maggio 2016 da parte del Comune di Graffignano.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi si provvederà a fornire aggiornamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con i decreti legislativi 7 settembre 2012, nn. 155 e 156, è stata data attuazione alla delega al Governo contenuta nella legge 14 settembre 2011, n. 148, per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   i due decreti disciplinano, rispettivamente, la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero e la revisione delle circoscrizioni giudiziarie – uffici dei giudici di pace;
   la stessa legge n. 148 del 2011 aveva previsto la possibilità che entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati il Governo apportasse disposizioni integrative e correttive degli stessi decreti;
   in ottemperanza a tale previsione è stato adottato il decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, recante «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari», ma sino al settembre 2014 sarà ancora possibile adottare ulteriori provvedimenti correttivi;
   il 13 settembre 2013 il Ministro della giustizia ha emanato un decreto per rinviare di due anni la chiusura di otto tribunali, al fine di consentire il completamento della trattazione dei procedimenti civili ordinari e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria pendenti a quella data, tra i quali figura anche quello di Rossano, in provincia di Cosenza;
   il 19 settembre 2013 è stato istituito un gruppo di lavoro con l'obiettivo di verificare la natura e i tempi degli effetti applicativi del nuovo assetto territoriale sull'operatività degli uffici giudiziari;
   i compiti del gruppo di lavoro non si esauriscono in una mera attività di monitoraggio delle problematiche applicative eventualmente sorte in sede di attuazione delle riforme, ma prevedono anche l'individuazione di soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità emerse;
   anche le situazioni specifiche dei tribunali individuati con il decreto ministeriale del 13 settembre 2013 potranno costituire oggetto di valutazione alla luce delle verifiche di funzionalità che emergeranno dall'attività del gruppo di lavoro;
   il tribunale di Rossano risponde a tutti i criteri oggettivi di salvaguardia previsti dalla legge delega, e la Commissione europea per l'efficienza della giustizia, nelle linee guida di giugno 2013, ha riconosciuto espressamente la specificità del tribunale di Rossano quale avamposto della legalità nella lotta alla criminalità, giustificandone la necessaria permanenza;
   nei giorni scorsi è circolata la notizia che il Governo avrebbe escluso la possibilità di un ulteriore decreto correttivo da adottare entro settembre, ribadendo la necessità di una nuova delega;
   con specifico riguardo al tribunale di Rossano il Ministro avrebbe tuttavia annunciato l'intenzione di disporre un supplemento ispettivo rispetto ai risultati già resi noti dalla commissione che non lasciavano grossi margini per la riapertura della sede del palazzo di giustizia», al fine di valutare se esistano «degli elementi per disporre una modifica al decreto»;
   il tribunale di Rossano copre le esigenze di un vasto e complesso comprensorio che comprende non solo l'area urbana Rossano-Corigliano ma anche i paesi montani dell'entroterra, con un bacino complessivo d'utenza pari a circa duecentomila persone, e all'interno del quale Rossano e Corigliano sono stati individuati quali territori ad alto tasso di criminalità, e la sua definitiva chiusura penalizzerebbe il territorio senza alcun beneficio di carattere economico e di efficienza ma anzi determinando un aggravio di tempi e costi a carico dello Stato e dei cittadini –:
   quali siano gli esiti del supplemento d'indagine annunciato e di cui in premessa e quali ulteriori iniziative intenda assumere per scongiurare la chiusura definitiva del tribunale di Rossano. (4-05865)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dalla soppressione del Tribunale di Rossano.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la, scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un articolata attività istruttoria, come si desume dalla : relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di
referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  La valutazione degli effetti della riforma è costantemente monitorata attraverso un'apposita commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.

  In particolare, con riferimento alla soppressione del tribunale di Rossano e alla ridefinizione del circondario di Castrovillari, la commissione ha osservato come «... si tratta di ufficio, il tribunale di Castrovillari, che ha realizzato l'accorpamento in assenza di criticità logistico organizzative nell'immediatezza del termine di efficacia della riforma. Il Presidente del tribunale di Castrovillari ha, infatti, ritenuto di non avvalersi dell'autorizzazione all'utilizzo dei locali del soppresso tribunale di Rossano, concesso ex articolo 8 decreto legislativo 155-2012, avendo a disposizione spazi più che adeguati all'accorpamento presso il nuovo palazzo di Giustizia di Castrovillari ed una ampia aula bunker direttamente collegata con l'attigua struttura carceraria».
  Lo stato avanzato di attuazione della riforma ed il conseguente consolidamento delle situazioni territoriali ha consentito, pertanto, di ritenere che non fossero necessari interventi correttivi in relazione ai territori comunali interessati, ovvero il ripristino di uffici soppressi.

  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Rossano che ne hanno disposto la soppressione e l'assegnazione del relativo territorio di competenza al tribunale di Castrovillari, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Nondimeno, il processo di revisione della geografia giudiziaria è ancora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
  L'impatto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione da parte del mio dicastero anche in riferimento all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sui territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Castrovillari è stato assegnato un posto di giudice ed alla Procura della repubblica presso il medesimo tribunale un ulteriore posto di sostituto procuratore, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, nell'area della Croce Rossa di via Ramazzini, tra Monteverde e Portuense, è in allestimento una tendopoli per accogliere circa trecento immigrati irregolari che fanno parte dei settemila migranti sbarcati a Brindisi il 26 giugno 2016;
   l'area si trova nelle vicinanze di una clinica privata, della Fondazione Villa Maraini, del Centro di educazione motoria della Croce rossa, e delle strutture ospedaliere San Camillo e Spallanzani;
   nella zona sono all'ordine del giorno problemi legati allo spaccio e alla presenza di senzatetto in diverse zone dell'ospedale Forlanini, chiuso, abbandonato e in stato di degrado, balzato più volte agli onori delle cronache, in ultimo con la morte della sedicenne Sara Bosco, stroncata da una dose «killer» proprio in uno dei padiglioni dismessi del nosocomio nel frattempo diventati piazze di spaccio, e la scelta di posizionare proprio lì un centro di primissima accoglienza non appare sostenibile;
   tra gli abitanti del quartiere vi è molta preoccupazione e si stanno organizzando manifestazioni per esprimere la contrarietà alla tendopoli –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e, in tal caso, chi abbia assunto la decisione di allestire la tendopoli, quanti immigrati verranno ospitati nella stessa e a quanto ammontino le risorse stanziate;
   se e in che modo intenda garantire la sicurezza dell'area e dell'intero quartiere, già vessato da numerose problematiche sociali. (4-13649)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono notizie in merito all'allestimento di una struttura destinata all'accoglienza dei migranti sita in via Ramazzini a Roma, richiamando l'attenzione, in particolare, sulle possibili ricadute in termini di sicurezza pubblica nel quartiere ove essa è ubicata.
  Si informa, innanzitutto, che l'area destinata all'accoglienza dei migranti, situata nel compendio di via Ramazzini, si compone di due tendopoli allestite per dare ospitalità a circa 400 persone e di una struttura stabile con una capienza di 30 posti specificatamente riservati all'accoglienza di donne e nuclei familiari.
  Il centro è gestito dalla Croce rossa italiana sulla base di una convenzione che prevede un costo giornaliero di 34,90 euro per ospite.
  Esso ha natura temporanea ed è stato adibito ad « hub» in ragione del considerevole numero di sbarchi avvenuti nei periodo estivo.
  Tale specifica destinazione implica che le persone accolte vi rimangano solo per il tempo necessario al loro inserimento nei cosiddetti centri di accoglienza straordinari. Peraltro, le persone ospitate non sono migranti irregolari ma richiedenti asilo, regolarmente fotosegnalati all'atto dello sbarco.
  Il loro numero è in continua evoluzione: a fine giugno gli ospiti erano 150 e a luglio erano diventati circa 350; nel mese di agosto le presenze sono salite ancora e attualmente sono pari a circa 430 unità.
  Quanto ai profili di ordine e sicurezza pubblica, si informa che, sin dalla sua istituzione, ii centro è sempre stato vigilato da un presidio fisso della Polizia di Stato, integrato da servizi di pattuglia e vigilanza dinamica a cura dell'Arma dei carabinieri. Nelle adiacenze della tendopoli è presente un edificio, attualmente in disuso, che ospitava la struttura ospedaliera «Forlanini», presidiato quotidianamente da un servizio di vigilanza privata gestito dalla Regione Lazio.
  In alcuni casi è stata, tuttavia, segnalata la presenza di senzatetto, di volta in volta identificati e allontanati da personale della Polizia di Stato e della stazione carabinieri Roma Monteverde nuovo.
  Il 1o ottobre è stato arrestato un ospite della tendopoli, ritenuto responsabile della rapina perpetrata, il 27 settembre precedente, ai danni di una commerciante del luogo. Inoltre, il 3 ottobre, personale del commissariato Monteverde è intervenuto all'interno della struttura in questione dove è stato recuperato un telefono cellulare, sottratto a uno degli ospiti del centro da parte di due cittadini ivoriani anch'essi ospiti dello stesso centro, che sono stati arrestati.
  In precedenza, non risultavano essere pervenute denunce da parte della cittadinanza circa fenomeni di microcriminalità legati alla presenza dei migranti.
  Le Forze di polizia presenti sui territorio hanno riferito che non si riscontrano, allo stato, ulteriori situazioni di disagio e turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica della zona.
  In ogni caso i servizi di vigilanza nella zona sono stati recentemente intensificati, al fine di garantire una più efficace cornice di sicurezza, mediante una mirata attività volta ad intercettare e prevenire eventuali condotte illegali.
  Si soggiunge che, ai sensi del regolamento del centro, qualora gli ospiti dovessero rendersi responsabili di violazioni di legge e di comportamenti atti a destare allarme sotto il profilo dell'ordine pubblico, la Prefettura adotta le conseguenti misure sanzionatorie, fino alla revoca delle misure di accoglienza.
  Per completezza, si rappresenta che anche il problema del rischio sanitario per i cittadini residenti nelle zone limitrofe al centro è stato oggetto di particolare attenzione da parte della Prefettura di Roma.
  Nel corso di diversi incontri con il Presidente del municipio e la Croce rossa italiana, quest'ultima è stata sensibilizzata a garantire il pieno rispetto del regolamento della struttura e l'effettiva fruizione dei servizi sanitari previsti dalla convenzione.
  Per assicurare l'osservanza del dispositivo sanitario, presso la struttura sono presenti 24 ore su 24, un medico ed un infermiere. Inoltre, lo staff sanitario del centro ha avviato un positivo rapporto di collaborazione con le strutture ospedaliere e l'Asl di competenza, basato anche su incontri bisettimanali di coordinamento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai giornali di stampa del 29 settembre 2016 che l'inviato, Luigi Pelazza, della nota trasmissione italiana «Le Iene», che si trovava a Marrakech, è stato espulso dal Marocco con l'operatore, Mauro Pilai, che lo affiancava, poiché stava svolgendo un'inchiesta sulla prostituzione minorile;
   le autorità marocchine hanno proceduto al sequestro di tutto il materiale raccolto ai fini del servizio, con video e testimonianze che documentavano un grande giro di prostituzione minorile con ragazzi e ragazze di 13 e 14 anni in una rete che coinvolge turisti occidentali, turisti arabi e personaggi locali;
   alcuni agenti marocchini hanno arrestato l'interprete locale che affiancava l'inviato nell'inchiesta, mentre la troupe italiana è stata scortata all'aeroporto per l'espulsione e alla stessa è stato addirittura impedito di parlare e di incontrare funzionari o interpreti dell'ambasciata italiana; inoltre, ai due connazionali è stato richiesto di firmare documenti in francese, ma a tale pretesa si sono rifiutati posto che erano assenti funzionari dell'ambasciata italiana –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di verificare la legittimità delle motivazioni che hanno comportato l'espulsione degli inviati italiani dal Marocco e, in particolare, per quali ragioni sia stato impedito agli stessi di essere assistiti dai funzionari dell'ambasciata italiana, anche considerando che le autorità marocchine hanno richiesto la sottoscrizione di documenti non in lingua italiana, in assenza di un interprete.
(4-14446)

  Risposta. — Si forniscono di seguito chiarimenti su quanto avvenuto ai due inviati della trasmissione de Le Iene, Luigi Pelazza e l'operatore Mauro Pilai, e che, grazie all'assistenza prestata dalla rappresentanza diplomatica italiana nel Paese, si è concluso nell'arco di appena 24 ore. I due inviati erano giunti in Marocco il 26 settembre 2016 per realizzare un servizio televisivo sul fenomeno della prostituzione minorile in quel Paese; due giorni dopo sono stati sottoposti a fermo dalle autorità locali di polizia mentre stavano intervistando un minore marocchino all'interno di un appartamento situato nella città di Marrakech.
  Pur comprendendo le lodevoli finalità del servizio che « Le Iene» intendevano realizzare, la situazione in cui si erano trovati, oltre tutto senza autorizzazioni (così almeno asseriscono i marocchini), ha consentito alle autorità di intervenire immediatamente per compiere tutti gli accertamenti previsti dalla legge del Paese. Al momento del fermo i due reporter italiani sono stati privati dei telefoni cellulari, delle telecamere e del materiale registrato, che sono stati posti sotto sequestro dalla polizia, al fine probabilmente di accertarne i contenuti fotografici, audio e video. Una volta tornati in possesso dei propri telefoni, il signor Pelazza e il signor Pilai si sono messi in contatto con l'ambasciata d'Italia a Rabat, che da quel momento si è immediatamente attivata, anche attraverso il consolato generale d'Italia a Casablanca, per prestare loro la massima assistenza e anzitutto per accertarsi delle loro condizioni e per valutare le loro specifiche necessità.
  Anche a seguito dell'interessamento della nostra rappresentanza diplomatica, nella tarda sera del 28 settembre i connazionali sono stati condotti dalle autorità di Polizia locale all'aeroporto di Marrakech in vista dell'esecuzione di un provvedimento di espulsione. Su incarico del consolato generale a Casablanca, il viceconsole onorario a Marrakech li ha prontamente raggiunti sul posto e provveduto a fornire loro viveri e beni di prima necessità, considerato che tutti gli esercizi commerciali presenti in aeroporto erano chiusi per la tarda ora, ed intercedendo altresì presso le autorità sul posto al fine di garantire loro ogni possibile facilitazione. I connazionali sono dunque rimasti in aeroporto in attesa del volo di rientro in Italia, fissato inizialmente per venerdì 30 settembre.
  Per tutta la notte tra il 28 e il 29 settembre il consolato generale d'Italia a Casablanca e l'ambasciata d'Italia a Rabat hanno continuato a monitorare la situazione. Il signor Pelazza e il signor Pilai hanno potuto fare rientro in Italia anticipatamente, via Monaco di Baviera, già il 29 settembre con un volo in partenza alle ore 8,20 locali.
  La vicenda si è risolta in sole 24 ore, il che era tutto fuorché scontato, considerate le premesse alla base del fermo e gli esiti ben peggiori con cui si sono conclusi casi analoghi. Per quanto riguarda il materiale sequestrato, questo resta ancora a disposizione delle autorità marocchine, secondo le quali i connazionali erano privi di tutte le necessarie autorizzazione a filmare. Ove gli interessati volessero richiederne la restituzione, dovranno fare istanza alla competente giudiziaria autorità marocchina.
  La Farnesina assicura i due inviati della trasmissione de « Le Iene» che l'ambasciata d'Italia a Rabat e il consolato generale a Casablanca restano a disposizione per ogni eventuale ulteriore forma di assistenza che possa rendersi necessaria.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 settembre 2016, un migrante irregolare senegalese, di 24 anni, temporaneamente ospitato nella tendopoli allestita nel centro della Croce Rossa Italiana situato a Roma, in via Ramazzini 31, e già tratto in arresto dalle forze dell'ordine, si sarebbe reso responsabile di una gravissima aggressione;
   vittima della violenza è stata la titolare di un'erboristeria in via Ascanio Rivaldi, una signora che è stata aggredita nel proprio esercizio commerciale in seguito al suo rifiuto di consegnare la propria borsa al malvivente;
   in segno di accoglienza e ospitalità verso una persona che avrebbe ritenuto in difficoltà, la vittima, nota come la signora Pina, aveva precedentemente invitato colui che l'avrebbe successivamente aggredita a prendere un the nel suo negozio, regalandogli anche un sapone;
   l'aggressore tratto in arresto era apparentemente accompagnato da una seconda persona, non ancora identificata;
   in seguito al pestaggio subito, la vittima ha dovuto esser ricoverata in un vicino ospedale, il San Camillo, nel quale le venivano diagnosticati un trauma cranico, la rottura di tre costole e lo spappolamento della milza, che doveva conseguentemente essere asportata chirurgicamente;
   l'episodio ha destato viva sensazione nel quartiere, aggiungendosi ai già molti reclami della popolazione residente a Roma Monteverde, ormai insofferente per l'alto numero di profughi inviati nella zona dal Governo;
   sono stati in effetti documentati dalla stampa anche casi di molestie sessuali ed è noto il fatto che i migranti ospitati a via Ramazzini girano in gruppi di 4/5 persone, sentendosi forti dell'immunità che gli deriva dal loro stato di «rifugiati», rovistando sistematicamente i cassonetti della nettezza urbana e chiedendo denaro davanti a bar, supermercati e negozi, mentre non risulta attivo alcun vero controllo all'interno della tendopoli che assicuri la vigilanza su eventuali infiltrazioni anche delinquenziali;
   esasperati dal crescente numero di casi di molestie e di accattonaggio riconducibili ai migranti, che ha trasformato un'area di Roma reputata sicura e ben frequentata in una zona «off limit», i cittadini di Roma Monteverde si sono autoimposti un vero e proprio coprifuoco serale;
   in risposta all'emergenza, è sorto altresì un comitato di quartiere per la sicurezza di Monteverde, che ha promosso il 30 settembre 2016 una manifestazione pubblica per chiedere la chiusura della tendopoli di via Ramazzini –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per evitare che gli ospiti temporanei della tendopoli allestita a Roma in via Ramazzini 31 elemosino denaro e rovistino nei cassonetti, visto che spetta loro una diaria e che sono teoricamente assistiti dalla Croce rossa italiana;
   se la Croce rossa italiana o altro soggetto a ciò abilitato effettui controlli di sicurezza sui migranti irregolari ospitati nella tendopoli di via Ramazzini 31;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per proteggere la cittadinanza del quartiere romano di Monteverde dalle conseguenze del degrado dell'ordine pubblico locale;
   se e quando verrà chiusa la tendopoli di Via Ramazzini 31. (4-14395)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si richiamano integralmente le notizie fornite l'11 ottobre 2016 in risposta all'interrogazione n. 4-14305, vertente anch'essa sul centro di accoglienza sito in via Ramazzini.
  In aggiunta, si informa che, sin dalla sua istituzione, la struttura è stata vigilata da un presidio fisso della Polizia di Stato, integrato da servizi di pattuglia e vigilanza dinamica a cura dell'Arma dei Carabinieri. Nelle adiacenze della tendopoli è presente un edificio, attualmente in disuso, che ospitava la struttura ospedaliera «Forlanini», presidiato quotidianamente da un servizio di vigilanza privata gestito dalla regione Lazio.
  In alcuni casi è stata, tuttavia, segnalata la presenza di senzatetto, di volta in volta identificati e allontanati da personale della Polizia di Stato e della stazione carabinieri Roma Monteverde nuovo.
  Il 1o ottobre e stato arrestato un ospite della tendopoli, ritenuto responsabile della rapina perpetrata, il 27 settembre precedente, ai danni di una commerciante del luogo. Inoltre, il 3 ottobre, personale del commissariato Monteverde è intervenuto all'interno della struttura in questione dove è stato recuperato un telefono cellulare, sottratto a uno degli ospiti del centro da parte di due cittadini ivoriani anch'essi ospiti dello stesso centro, che sono stati arrestati.
  In precedenza, non risultavano essere pervenute denunce da parte della cittadinanza circa fenomeni di microcriminalità legati alla presenza dei migranti.
  Le forze di polizia presenti sul territorio hanno riferito che non si riscontrano, allo stato, ulteriori situazioni di disagio e turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica della zona.
  In ogni caso i servizi di vigilanza nella zona sono stati recentemente intensificati, al fine di garantire una più efficace cornice di sicurezza, mediante una mirata attività volta ad intercettare e prevenire eventuali condotte illegali.
  Si soggiunge che, ai sensi del regolamento del centro, qualora gli ospiti dovessero rendersi responsabili di violazioni di legge e di comportamenti atti a destare allarme sotto il profilo dell'ordine pubblico, la Prefettura adotta nei loro confronti le conseguenti misure sanzionatorie, fino alla revoca delle misure di accoglienza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCAGLIUSI, GRANDE, MANLIO DI STEFANO, LIUZZI, D'AMBROSIO, BRESCIA, CARIELLO, SIBILIA e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ente autonomo Acquedotto Pugliese (AQP), trasformato in società per azioni con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, è una «impresa pubblica, che eroga il Servizio Idrico Integrato a favore del Mezzogiorno», così come indicato sul proprio sito istituzionale;
   ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo dell'11 maggio 1999 n. 141, l'Acquedotto pugliese S.p.A. provvede alla gestione del ciclo integrato dell'acqua ed in particolare, alla captazione, potabilizzazione, adduzione, accumulo e distribuzione ad usi civili, nonché al servizio di fognatura, depurazione e smaltimento delle acque reflue;
   in virtù di quanto stabilito dal decreto sopra menzionato, AQP è affidataria della gestione del Sistema idrico integrato nell'Ambito territoriale ottimale (ATO) Puglia e svolge la gestione dei servizi idrici nei comuni ricadenti nell'Alta Irpinia e nell'ATO Calore-Irpino della Campania e il servizio idrico di approvvigionamento per l'ATO di Basilicata. Gestisce, inoltre, per conto dell'Acquedotto Lucano S.p.A., soggetto Gestore dell'ATO Basilicata, il servizio di potabilizzazione;
   il 30 settembre 2002 è stata sottoscritta, ai sensi della legge n. 36 del 1994 la Convenzione per la gestione del servizio idrico integrato nell'Ambito Territoriale Ottimare Puglia con la quale viene affidata ad AQP la gestione del servizio per la Puglia fino al 31 dicembre 2018 e viene regolata l'attività del gestore AQP anche ai fini del miglior utilizzo e della gestione e attivazione delle risorse;
   ai sensi dell'articolo 5 della suddetta convenzione, AQP è responsabile di tutti i servizi allo stesso affidati, in particolare secondo quanto previsto dall'articolo 11 il gestore si impegna ad attuare tutto quanto previsto dal Piano d'Ambito realizzando il Programma degli interventi, i quali sono classificati sotto forma di obiettivi strutturali o standard tecnici che il gestore è tenuto a raggiungere nei tempi stabiliti dal Piano d'Ambito. È inoltre specificato che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi del Piano d'Ambito la Convenzione prevede l'applicazione di penalizzazioni. L'articolo 13 dispone che il gestore deve garantire i livelli minimi di qualità del servizio, come stabiliti nel Piano d'Ambito, ed i relativi tempi per il loro raggiungimento e/o mantenimento. L'articolo 27 dispone, infine, che il gestore si impegna a comunicare all'Autorità d'Ambito i dati e le informazioni attinenti la gestione del servizio comunitarie e nazionali;
   ai sensi dell'articolo 151 del decreto legislativo 152 del 2006:
    «1. Il rapporto tra l'ente di governo dell'ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato è regolato da una convenzione predisposta dall'ente di governo dell'ambito sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico in relazione a quanto previsto dall'articolo 10, comma 14, lettera b), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e dall'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, come convertito, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    «2. A tal fine, le convenzioni tipo, con relativi disciplinari, devono prevedere in particolare:
     h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l'obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine come previsto dall'articolo 165;
     i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l'organizzazione e l'attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l'ente di governo dell'ambito ha facoltà di disporre durante tutto periodo di affidamento;
     p) le modalità di rendicontazione delle attività dei gestore»;
   dal 30 settembre 2002 (data della sottoscrizione della convenzione di gestione del servizio idrico integrato in Puglia) ad oggi, lo Stato, la regione, l'unione europea, con i fondi comunitari, i comuni e perfino i privati hanno dovuto, per forza di questa modalità di gestione, affidare ad AQP Spa la realizzazione dei propri investimenti;
   la convenzione di gestione del servizio idrico integrato della Puglia prevede che AQP Spa garantisca determinati standard di servizio come pubblicati nella carta dei servizi e sottoscritti in maggior dettaglio tecnico nel piano d'ambito;
   il piano d'ambito originario del 2002, adottato alla sottoscrizione della convenzione di gestione, è stato rimodulato e prevede un dettagliato monitoraggio del gestore (AQP Spa);
   la carta del servizio idrico integrato, una dichiarazione di impegni che l'Acquedotto Pugliese assume verso i propri utenti e come tale costituisce elemento integrativo del contratto di fornitura nonché dal regolamento che disciplina le condizioni generali delle forniture del servizio; essa è volta a perseguire la tutela degli interessi degli utenti attraverso l'individuazione di misure metodologiche. La Carta si applica agli utenti dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione;
   a parere dell'interrogante, i cittadini pugliesi, veri datori di lavoro di AQP, dovrebbero essere informati visto che, quando si investe è necessario avere sotto controllo quanto si è investito e quanto valgono i benefici realmente ottenuti. Questo non accade, né ogni settimana, né tantomeno ogni mese. Non ci sono dati disponibili. Tutti hanno diritto a capire se l'investimento è più o meno positivo;
   giusto per citare un esempio, non è possibile verificare quanta acqua viene captata e dove, quanta acqua viene recapitata al serbatoio di ogni abitato in modo da poterla confrontare con quella prelevata quanta acqua viene distribuita ai contatori di quell'abitato, permettendo ai cittadini di leggere dei dati coerenti e confrontabili con dati di altre gestioni;
   inoltre, mancano le risposte a quei bisogni della popolazione pugliese di avere un servizio pubblico che garantisca acqua in quantità sufficiente e sicurezza igienico-sanitaria con adeguata depurazione delle acque di scarico;
   eppure, secondo quanto previsto dalla convenzione di Aarhus, è diritto del cittadino ad essere costantemente e pro-attivamente informato, tanto è vero che l'articolo 5 del decreto legislativo n. 31 del 2001 dispone che l'autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare;
   è opinione degli interroganti che le informazioni dovrebbero essere rese non solo al momento della distribuzione dell'acqua, ma anche nei momenti di ricerca della fonti, con particolare riferimento alla classificazione dei corpi idrici superficiali destinati alla potabilizzazione;
   il diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale è regolato dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 («Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale»);
   la citata direttiva comunitaria 2003/4/CE, a seguito della ratifica della convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ha abrogato la precedente direttiva 90/313/CEE attuata dal decreto legislativo n. 24 febbraio 1997, n. 39, ed ha introdotto nell'ordinamento nazionale il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo di accesso alle informazioni ambientali contenute in atti prodotti dalla pubblica amministrazione;
   nello stabilire i principi generali in materia di informazione ambientale, il decreto legislativo n. 195 del 2005 è quindi diretto a:
    garantire il diritto d'accesso all'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e stabilire i termini, le condizioni fondamentali e le modalità per il suo esercizio;
    garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l'informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili, promuovendo a tale fine, in particolare, l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
   infine, facendo riferimento ad una normativa ancora più attuale, il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (pubblicato nella Gazzette Ufficiale n. 80 del 5 aprile 2013 – in vigore dal 20 aprile 2013) recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», dispone importanti novità per gli enti locali, prevedendo che le amministrazioni siano obbligate a dare evidenza a queste informazioni sui loro siti, in una apposita sezione facilmente individuabile, denominata «informazioni ambientali», in modo che il cittadino possa accedervi facilmente, e questo obbligo riguarda ovviamente anche tutto il comparto relativo al servizio idrico integrato;
   sulla base dei dati disponibili relativi agli anni dal 2003 al 2008, rivenienti dagli obblighi di comunicazione ai sensi dell'articolo 27, comma 3, della convenzione sopracitata, la differenza tra i volumi immessi nel sistema dell'acquedotto sopra richiamato in ingresso alla distribuzione e il volume misurato dell'acqua consegnata alle utenze, e quindi dei volumi fatturati, farebbe registrare una perdita di rete media del 50 per cento;
   oggi, alla soglia della scadenza della convenzione di gestione fissata al 31 dicembre 2018, è indispensabile che tutti questi investimenti pubblici possano essere valutati; inoltre a parere dell'interrogante, la trasparenza e la disponibilità di tali dati è condizione necessaria per una concreta valutazione dei benefici oggettivi per la comunità pugliese che, solo sulla base di questi dati, può discutere sul futuro della gestione del Servizio Idrico Integrato in Puglia –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative, anche normative, per assicurare una maggiore trasparenza e accessibilità alle informazioni ambientali che sono nelle disponibilità dei gestori dei servizi idrici, in modo da evitare la carenza di dati rilevabile nel caso dell'Acquedotto Pugliese;
   alla luce di quanto esposto in premessa, se non ritenga opportuno, a tutela di quanto previsto dal decreto n. 33 del 2014 e dal decreto legislativo n. 152 del 2006 avviare anche tramite la struttura di missione per il dissesto idrogeologico e le infrastrutture idriche, un monitoraggio completo ed esaustivo degli interventi per lo sviluppo delle infrastrutture idriche sul territorio nazionale, in modo tale che possano essere individuate situazioni di inefficienza come quelle sopra descritte e possano essere assunte le iniziative di competenza per farvi fronte e garantire in tutto il territorio un sistema idrico di qualità. (4-13668)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite anche presso gli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio Idrico Integrato (S.I.I.) composto da acquedotto, fognatura e depurazione la cui organizzazione è affidata dalla normativa di settore – in particolare, dall'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 – agli enti di Governo d'ambito. In particolare, questi ultimi – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – hanno il compito di effettuare: a) la ricognizione delle infrastrutture; b) la programmazione degli interventi; c) e la redazione del piano economico-finanziario.
  Con riferimento alla regione Puglia, per quanto concerne l'attività di riassetto funzionale del S.I.I., si evidenzia che la stessa ha provveduto alla costituzione di un ambito territoriale ottimale unico (legge regionale n. 28 del 6 settembre 1999), all'istituzione dell'autorità idrica pugliese quale ente di Governo d'ambito (legge regionale 30 maggio 2011 n. 9) non ultimo, all'affidamento della gestione, fino al 31 dicembre 2018, del servizio idrico integrato alla società acquedotto pugliese, a cui spetta il compito della predisposizione del sopra citato piano d'ambito e relativo piano degli interventi.
  Premesso quanto sopra si evidenzia che la carente situazione gestionale delle infrastrutture fognario-depurative del paese è ben nota a questo Ministero, che si sta adoperando per il superamento delle criticità attraverso un complessivo sistema di riorganizzazione della governance del Servizio idrico integrato, di cui la depurazione rappresenta un importante segmento.
  In tale contesto, assume particolare rilievo la procedura attivata in forza dell'articolo 7, del cosiddetto «decreto sblocca Italia», relativa all'esercizio del potere sostitutivo del Governo, attraverso la quale sono stati nominati i commissari ad acta al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione. Al riguardo, si precisa che detti commissariamenti si stanno perfezionando, solo a completamento di tale processo, quindi, a seguito dell'affidamento a soggetti gestori dotati di adeguate capacità tecnico-economiche e gestionali, sarà possibile migliorare in termini di efficienza, la funzionalità del settore.
  Per quanto riguarda la materia tariffaria si deve inoltre aggiungere che l'attuale assetto organizzativo e regolatorio del Servizio idrico integrato pone in capo all'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) la regolazione, il controllo e la vigilanza in materia tariffaria. Con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 sono state trasferite all'autorità per l'energia elettrica ed il gas (AEEG ora AEEGSI) «le funzioni attinenti alla regolatorie e al controllo dei servici idrici», precisando che tali funzioni «vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all'Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481» (legge istitutiva dell'AEEG). Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 sono state individuate le funzioni di competenza dell'autorità e quelle che restano in capo a questo ministero. Pertanto, a far data dal 1o gennaio 2012 l'AEEGSI, con propri provvedimenti, disciplina il metodo di determinazione della tariffa e procede al relativo controllo di conformità nell'applicazione dello stesso, ovvero nel processo di regolazione e di approvazione dei piani tariffari, l'autorità accerta i dati economici, finanziari e gestionali dei gestori del SIL, anche in relazione agli investimenti realizzati.
  In particolare, l'AEEGSI ha il compito di disciplinare una metodologia tariffaria omogenea a livello nazionale e di verificarne la corretta applicazione. Dal 1o gennaio 2016 è entrato in vigore il nuovo metodo tariffario idrico disciplinato dalla delibera n. 664 del 2015 dell'AEEGSI per il periodo regolatorio 2016-2019 che prevede un complesso algoritmo di calcolo e vari schemi regolatori.
  Il nuovo metodo tariffario idrico 2016/2019 è in grado di incentivare gli investimenti nel settore, assicurando nel contempo la sostenibilità dei corrispettivi applicati all'utenza, migliorando la qualità dei servizi e favorendo la razionalizzazione delle gestioni, nonché rendendo più efficienti i costi per le sole opere realizzate.
  Inoltre, nel nuovo assetto regolatorio del SII l'autorità ha emanato nuove regole miranti a rafforzare la tutela dei consumatori con standard di qualità contrattuali minimi omogenei su tutto il territorio nazionale.
  Il nuovo metodo tariffario prevede infatti meccanismi incentivanti per il miglioramento della qualità contrattuale e tecnica del servizio, introducendo un meccanismo di premi/penalità, alimentato da una specifica componente tariffaria, obbligatoria per tutti i gestori, da destinare ad uno specifico fondo per la qualità che, in sede di prima attivazione, promuove, premiando le best practice, la crescita dei livelli di qualità contrattuale rispetto ai parametri definiti dalla delibera sulla qualità contrattuale (655/2015/R/idr).
  Particolare attenzione è stata dedicata anche alla regolazione della qualità contrattuale nel settore idrico. L'autorità, con delibera 656/2015/R/idr, ai sensi dell'articolo 151 del decreto legislativo n. 152 del 2006 – come modificato dall'articolo 7, comma 1, lett. e) del decreto sblocca Italia, ha l'introdotto una disciplina uniforme della convenzione tipo, per la regolazione dei rapporti tra enti affidanti e soggetti gestori.
  La convenzione tipo tiene conto di quanto disposto dal citato articolo 151 che, al comma 2, elenca i contenuti minimi che la stessa convenzione tipo, con relativi disciplinari, deve prevedere e tra questi si richiamano nello specifico, le opere da realizzare durante la gestione del servizio come individuate dal bando di gara, l'obbligo del raggiungimento e gli strumenti per assicurare il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione, il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti, l'obbligo di provvedere alla realizzazione del programma degli interventi.
  A questi obblighi si deve aggiungere quello che impone di dare tempestiva comunicazione all'ente di governo dell'ambito del verificarsi di eventi che comportino o che facciano prevedere irregolarità nell'erogazione del servizio, nonché l'obbligo di assumere ogni iniziativa per l'eliminazione delle irregolarità, in conformità con le prescrizioni dell'autorità medesima.
  Si deve inoltre annoverare ancora l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione, nonché la disciplina delle conseguenze derivanti dalla eventuale cessazione anticipata dell'affidamento, anche tenendo conto delle previsioni di cui agli articoli 143 e 158 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ed i criteri e le modalità per la valutazione del valore residuo degli investimenti realizzati dal gestore uscente. Oltre alla necessità di prestare garanzie finanziarie e assicurative, sono annoverate le penali, le sanzioni in caso di inadempimento; le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile e le modalità di rendicontazione delle attività del gestore.
  Ad ogni modo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è costantemente impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle questioni aperte oltre che a sollecitare le regioni interessate da procedura d'infrazione, tra cui anche la Puglia, affinché pongano in essere quanto necessario al superamento delle criticità e al raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 agosto 2016 il presidente del comitato e Associazione salute e vita di Salerno ha consegnato al capitano del Nucleo operativo ecologico di Salerno copia di una denuncia precedentemente inviata alla Procura della Repubblica e sottoscritta da circa 400 cittadini abitanti nell'area circostante le strutture afferenti alle Fonderie Pisano & C.;
   la denuncia riguarda intollerabili miasmi e la presenza di polvere nere sottili di natura metallica che si sarebbero propagati nel periodo intercorrente tra il 1° ed il 9 agosto 2016;
   gli odori, acri e soffocanti, talmente intensi da tenere intere famiglie pressoché bloccate in casa per giorni, sarebbero coincise con il periodo di riapertura momentanea delle Fonderie Pisano & C. disposto dalla magistratura per consentire alcuni controlli da parte dell'Arpac;
   gli effetti delle esalazioni in questione si sono avvertiti anche nei giorni seguenti, con il rischio di gravi compromissioni della salute dei soggetti a rischio (come ad esempio anziani, donne in stato di gravidanza e cardiopatici);
   nelle fasi di chiusura delle Fonderie Pisano & C. disposte dalla regione prima e dalla magistratura poi sulla base di rilievi dell'Arpac, secondo la quale vi sarebbe un evidente pericolo per la salute della popolazione e per l'ambiente, la cittadinanza ha percepito e segnalato un miglioramento delle condizioni dell'aria;
   dagli atti dei procedimenti giudiziari relativi alla vicenda emerge che tra le cause del problema vi sarebbe un vetusto ed inadeguato sistema di captazione dei fumi di produzione e l'emissione di fumi contenenti polveri di natura cancerogena;
   ciò renderebbe l'impianto assolutamente incompatibile con il contesto urbano nel quale è inserito;
   due anni fa l'Arpac ha rilevato la presenza di piombo cadmio e altri metalli pesanti con valori superiori ai limiti di legge, ed analoghi risultati hanno avuto le analisi effettuate dall'ISDE poche settimane fa nelle acque del fiume Irno;
   il 4 aprile 2016 l'interrogante aveva già presentato un'interrogazione a risposta scritta ai Ministri interrogati sullo stesso argomento, in cui si segnalavano i rischi per la salute della popolazione locale e si chiedeva un intervento al fine di garantire il rispetto dei diritti lavorativi e occupazionali dei dipendenti della società e dell'altrettanto importante diritto alla salute degli stessi e degli abitanti della zona;
   a tale interrogazione non è tuttora stata data risposta, nonostante la gravità e l'urgenza della vicenda –:
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso, urgente ed ormai improrogabile, per quanto di competenza, un intervento immediato al fine di garantire il diritto alla salute di chi abita nei pressi delle Fonderie Pisano & C. (4-14111)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Nel comune di Salerno sono presenti due stazioni fisse di monitoraggio, «SA22 Ospedale Via Vernieri» e «SA23 Scuola O. Conti».
  I dati di qualità dell'aria del 2015, pubblicati sul sito internet dell'Arpa Campania, evidenziano superamenti solo in merito al materiale particolato PM10.
  In particolare presso la stazione «SA22 Ospedale Via Vernieri» si sono registrati 39 giorni di superamento del valore limite giornaliero per la protezione della salute umana (50 μg/m3 da non superare più di 35 volte in un anno civile).
  Per quanto riguarda il 2016, dal sito dell'Arpa Campania, al mese di settembre, risulta superato, per 11 giorni, solo il valore limite giornaliero previsto per il PM10 per la protezione della salute umana, sebbene occorrerà attendere la fine dell'anno per avere un quadro completo ed esaustivo circa la qualità dell'aria nella zona, ciò consentirà alla regione Campania di orientare le più opportune politiche di gestione dell'ambiente.
  Si fa inoltre presente che la stessa regione Campania, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, con deliberazione del Consiglio regionale del 27 giugno 2007 aveva approvato il «Piano regionale di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria» che nelle more del suo aggiornamento, è stato integrato con delle misure aggiuntive volte al contenimento dell'inquinamento atmosferico (DGR n. 811 del 27 dicembre 2012) e con la nuova zonizzazione del territorio regionale ed il nuovo progetto di rete di monitoraggio della qualità dell'aria (DGR del 23 dicembre 2014).
  Ad ogni modo, il Ministero, considerata la valenza delle problematiche, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato sulla questione, sollecitando gli enti territoriali a proseguire nell'attività di monitoraggio della qualità dell'aria nelle zone interessate.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI, ARTINI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Catania ha rilevanza economica internazionale e svolge un importante ruolo nel sistema socio-economico regionale e cittadino;
   nell'anno 2000 il presidente dell'autorità portuale di Catania, Cosimo Indaco, ha istituito una gara pubblica, con la quale il Gruppo Acqua Pia Antica Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone ha ottenuto una concessione demaniale che gli consentiva di edificare in piena foce del torrente Acquicella ben 400.000 metri cubi di strutture da «porto turistico», di fatto non rispettando i dispositivi di legge 431 del 1985 e quelli della legge portuale 84 del 1994;
   il 13 ottobre 2001 il procuratore della Repubblica ha rilevato l'illegittima attività del presidente dell'autorità portuale Cosimo Indaco, per conflitto d'interessi e per aver «palesemente violato il precetto di cui all'articolo 6 c.6 della citata legge»; (legge 28 gennaio 1994 n. 84) e il successivo presidente dell'autorità portuale, Santo Castiglione, ha gestito il porto di Catania fino al 2012, ponendo in essere una «darsena traghetti» sulla stessa parte destinata dal suo predecessore a «porto turistico»;
   l'autorità portuale di Catania, nel 2004, ha redatto un nuovo piano regolatore portuale (PRP) che prevede la costruzione aggiuntiva sulle banchine portuali di 1.100.000 metri cubi di edifici per destinazione ignota, oltre ai 400.000 metri cubi già destinati al suddetto «porto turistico»;
   ad oggi tale piano regolatore portuale non è munito delle valutazioni VIA e VAS ovvero delle procedure di riferimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche introdotte dalla legge obiettivo (legge 443 del 2001) e di derivazione comunitaria;
   la regione siciliana, con la delibera n. 408 del 20 marzo 2003 che recepisce l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003 n. 3274, ha confermato la classificazione sismica in zona 2 del comune di Catania, prescrivendo anche come obbligatorie le verifiche di zona 1 per le strutture strategiche;
   nel 2012, Cosimo Aiello è stato nominato commissario straordinario dal Ministro pro tempore Corrado Passera e al suo insediamento lo stesso Aiello ha chiesto al consiglio comunale di Catania, competente per legge, l'approvazione del piano regolatore portuale che prevede l'edificazione sulle banchine portuali di ulteriori metri cubi di fabbricati nonché della prescritta destinazione mercantile e di qualsiasi specifica sulla copertura finanziaria occorrente per oltre 2 miliardi di euro;
   il commissario Cosimo Aiello ha dato il via alle gare di appalto della nuova «darsena traghetti», nonostante il Consiglio di Stato con sentenza n.04768/2013 abbia sancito l'illegittimità della sua nomina come presidente dell'autorità portuale di Catania in quanto sprovvisto della «massima e comprovata qualificazione nei settori dell'economia dei trasporti e portuale» prescritta dalla suddetta legge 84 del 1994 articolo 8, e tra aprile e maggio 2012, sono state realizzate delle opere della darsena portuale che hanno deviato l'intera foce del torrente Acquicella (nonostante tale corso d'acqua risulti espressamente elencato in quelli protetti dalla legge 431 del 1985), con sbancamento della spiaggia limitrofa e con necessità di continue opere di manutenzione che saranno necessarie per far fronte al prevedibile rinterramento naturale;
   i lavori della nuova darsena traghetti risultano privi di VIA e VAS nonché del preventivo e prescritto assenso del consiglio comunale e della compatibilità con il vigente piano regolatore generale di Catania, risultando quindi in violazione della legge n. 84 del 1994;
   nel mese di dicembre 2013 alcune associazioni ambientaliste cittadine e il Comitato Porto del Sole hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica per denunciare le illegittimità ambientali sopra esposte ed altre gravi anomalie;
   nel 2014 è stato nuovamente nominato presidente dell'autorità portuale lo stesso Cosimo Indaco che, il 25 luglio 2015, alla presenza del Ministro Delrio, ha ufficialmente inaugurato una darsena mercantile realizzata dalla Tecnis s.p.a. (verso la quale sono già stati richiesti chiarimenti attraverso l'interrogazione parlamentare n. 5/05332) proprio su fondali soggetti ad andare in continuo rinterramento –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative per procedere alle verifiche e ai controlli di competenza, anche documentali, sulla deviazione del torrente Acquicella, sul bando e sulla VIA-VAS della nuova darsena commerciale;
   se il Ministro, conformemente alle proprie competenze, in concerto con la regione siciliana, non reputi opportuno valutare la possibilità di trasferire l'attività mercantile del porto di Catania, di rilevanza economica internazionale, presso il porto di Augusta e permettere al porto di Catania di esercitare unicamente la funzione di porto turistico, considerando la sua posizione urbanistica e strategica a ridosso del prestigioso centro storico barocco a incremento degli indotti della crocieristica, della diportistica, della pesca professionale e turistica, creando tra l'altro nuove opportunità occupazionali.
(4-10317)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa all'adeguamento del piano regolatorio portuale di Catania e al torrente Acquicella, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il procedimento di valutazione di impatto ambientale per il progetto «Porto di Catania – adeguamento piano regolatore portuale per la realizzazione di una nuova darsena commerciale per traffico Ro-Ro e containers», avviato su istanza dell'autorità portuale di Catania nel mese di novembre 2007, si è concluso con il decreto di compatibilità ambientale DSA-DEC-2009-1052 del 8 settembre 2009 positivo, subordinato al rispetto di prescrizioni.
  L'istanza del procedimento è stata avviata secondo le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 – il Testo unico in materia ambientale (T.U.A.), il quale non contempla la procedura integrata VIA-VAS per i piani regolatori portuali, introdotta con il terzo correttivo del T.U.A., il decreto legislativo n. 128 del 2010. L'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 128 del 2010, infatti, inserisce all'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 il seguente comma: «3-ter. Per progetti di opere e interventi da realizzarsi nell'ambito del Viano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione ambientale strategica, e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista la Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore portuale. Qualora il Piano regolatore portuale ovvero le rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale nella loro interezza secondo le norme comunitarie, tale valutazione è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento».
  Il progetto di cui trattasi ha, quindi, correttamente seguito l'iter procedimentale di valutazione di impatto ambientale vigente al momento della presentazione dell'istanza; come sopra riportato, tale iter si è concluso, nel settembre 2009, con un decreto di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni.
  In merito alla presenza del torrente Acquicella, il parere della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS n. 272 del 28 aprile 2009, che costituisce parte integrante del citato decreto di compatibilità ambientale DSA-DEC-2009-1052, riportava che, da quanto esaminato negli elaborati progettuali e da quanto visto nel corso del sopralluogo effettuato presso il sito interessato dalla realizzazione del progetto, il ramo della foce del torrente adiacente all'area di progetto risultava essere interrato. La foce del torrente risultava, inoltre, ubicata ad una distanza di 180 metri dall'attuale pennello anti-interramento del porto e a circa 80 m dal molo di sottoflutto della nuova darsena traghetti.
  L'assessorato ai lavori pubblici, ufficio del genio civile e opere marittime di Catania, nel mese di aprile 2009, ha riscontrato la posizione della foce del torrente Acquicella come evidenziata dal proponente, rilevando che alla data della comunicazione non erano stati presentati progetti che prevedevano lo spostamento dell'area di foce. Alla luce di quanto sopra esposto, il parere della commissione rilevava che l'area occupata dall'opera in progetto non interferiva né con la foce del torrente Acquicella, né con il corso del torrente. L'area della foce del torrente Acquicella e l'area «cuscinetto» compresa tra la foce del torrente e le opere di progetto sono peraltro oggetto, nel decreto DSA-DEC-2009-1052, di prescrizioni relative ad opere di compensazione ambientale.
  Si rappresenta, infine, che parte della documentazione progettuale ed ambientale presentata nel corso dell'istruttoria tecnica di valutazione di impatto ambientale ed il decreto ministeriale di compatibilità ambientale, sono pubblicati sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'indirizzo internet http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/190/227.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TACCONI, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano è proprietario a Lucerna di un immobile sito in Obergrundstrasse, 92 composto di 3 piani per una superficie costruita di 1506 metri quadrati;
   l'edificio, che risale ai primi anni del secolo scorso, opera degli architetti Vogt & Balthasar, in base alle notizie raccolte sul posto, risulta essere stato acquistato dallo Stato Italiano nel 1939 ad un prezzo complessivo di 158.000 franchi svizzeri, di cui ben 62.000 donati dalla locale collettività italiana con l'intesa che la stessa ne avrebbe usufruito «in perpetuo»;
   alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1944, lo stabile demaniale risultava tuttavia gravato da ipoteche per un valore complessivo di circa 112.000 franchi svizzeri;
   ancora una volta la colonia italiana, che nel frattempo sarebbe divenuta titolare di un contratto di locazione da parte del consolato generale di Zurigo, si assumeva l'onere del pagamento degli interessi bancari per circa 5.500 franchi all'anno di cui la metà quale contributo diretto, l'altra metà ricavato da contratti di «subaffitto»:
   nel 1958, anno in cui lo Stato rilevò le ipoteche gravanti ancora sull'immobile, il contributo totale della collettività italiana si poteva quantificare in 139.000 franchi (62.000 iniziali + 77.000 per il pagamento degli interessi ipotecari dal 1944 al 1958), vale a dire oltre 85 per cento del valore nominale dell'acquisto;
   l'immobile è stato sede, negli anni, di una rappresentanza consolare per servire la collettività lì residente, che nel Cantone di Lucerna e i confinanti Cantoni di Nidvaldo, Obvaldo e Uri conta oltre 25.000 connazionali iscritti all'AIRE. Con la chiusura del consolato prima, del vice-consolato poi ed infine, nel 2000, dell'agenzia consolare la gestione dell'immobile da parte del consolato generale di Zurigo, diventava più problematica;
   interviene ancora una volta la collettività italiana che, attraverso una Fondazione appositamente costituita, si propone, quale scopo statutario, di mantenere la Casa d'Italia di Lucerna «per renderla fruibile per la comunità nel medio e lungo periodo»;
   l'anno 2008 la Fondazione sottoscrive con lo Stato italiano un atto di concessione per la durata di 9 anni a canone agevolato, con lo scopo di provvedere alla sua corretta e funzionale gestione e all'ottimale utilizzo degli spazi insieme con gli enti che nell'immobile avevano ed hanno ancora la loro sede e cioè la Fondazione Asilo, la Colonia Italiana, il COMITES e il CASLI e, nel contempo, provvedere a spazi adeguati e perfettamente agibili per l'operatività di uno sportello consolare;
   come da normativa vigente, con la concessione in parola la Fondazione prendeva a proprio carico le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutti i locali, degli apparati e degli impianti esistenti e si impegnava, nell'arco della durata della concessione stessa, ad effettuare interventi di manutenzione straordinaria quantificati in 196.000 franchi svizzeri, lavori portati a termine ben prima del termine preventivato;
   in previsione della prossima scadenza della concessione nel mese di gennaio 2017, la Fondazione ha chiesto il prolungamento della concessione medesima o la stipula di un nuovo atto con l'impegno ad effettuare altri importanti lavori di ristrutturazione e di messa in sicurezza dell'edificio per un importo di circa 500.000 franchi per i quali ha presentato un piano dettagliato redatto e firmato da un ingegnere di fiducia del consolato generale di Zurigo;
   tutto ciò per tener fede allo scopo statutario della Fondazione e alle aspettative che la storia della Casa d'Italia qui succintamente evocata ha creato nella collettività italiana di Lucerna che, avendo contribuito non poco all'acquisto e alla manutenzione della Casa, la considera centro della propria vita culturale e associativa, luogo d'incontro e fulcro di rilevanti attività sociali;
   a fianco della Fondazione, ed in collaborazione con essa, hanno manifestato vivo interesse al rilancio della Casa d'Italia anche altri enti presenti sull'intero territorio della Confederazione elvetica dove operano da decenni per l'integrazione sociale, culturale e professionale dei migranti attraverso l'organizzazione di collaudate iniziative;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, nel perseguire l'obiettivo del risanamento delle finanze pubbliche, ha chiesto al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di approntare un piano di dismissioni di beni demaniali all'estero nel quale figura, come da decreto ministeriale n. 5513/525 del 29 marzo 2016, anche l'immobile di Lucerna;
   con la vendita dell'immobile in questione, il cui prezzo di mercato non potrà non tener conto dei rilevanti lavori di manutenzione straordinaria necessari anche ai fini di una sua nuova destinazione d'uso, mentre si realizzerebbe un introito alquanto modesto per le finanze del Paese, in qualche modo si «esproprierebbe» la collettività italiana di Lucerna di un bene che essa è abituata, alla luce di quanto esposto, a considerare proprio –:
   se non ritenga di assumere iniziative per rivedere il piano approntato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e soprassedere al progetto di dismissione della Casa d'Italia di Lucerna studiando, d'intesa con la comunità italiana lì residente che ha mostrato un concreto interesse in tal senso, ogni iniziativa volta a valorizzare un edificio di grande significato storico per destinarlo ad un'adeguata fruizione da parte della comunità. (4-13889)

  Risposta. — La legge di stabilità 2016 (n. 208 del 2015) all'articolo 1, comma 624, prescrive che le maggiori entrate derivanti dalle operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare ubicato all'estero, realizzate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, rimangono acquisite all'entrata per un ammontare di 20 milioni di euro per l'anno 2016 e di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Nel piano di dismissione sono stati inseriti alcuni degli immobili non più utilizzati a fini istituzionali o non più rispondenti alle esigenze di razionalizzazione degli spazi utilizzati dagli uffici della rete diplomatico consolare.
  I beni demaniali potenzialmente alienabili identificati conseguentemente oggetto di decreti per consentire l'avvio delle procedure di alienazione – possono essere modificati a condizione che vengano raggiunti gli obiettivi stabiliti dalla legge di stabilità del 2016, individuando altri immobili alienabili a disposizione del patrimonio del Ministro dell'affari esteri e della cooperativa internazionale.
  Al momento, nell'edificio demaniale di Lucerna sono ospitati un asilo, l'associazione colonia italiana ed una succursale dell'ente gestore Casli Zurigo (che utilizza gli spazi a disposizione soltanto in parte dal momento che i corsi di lingua italiana che dovrebbe gestirvi si tengono presso una scuola sita in un'altra parte della città). Risulta inoltre che alcuni locali sarebbero stati in passato subaffittati, in violazione delle clausole del contratto di concessione, al Comites (quando tale organismo era ancora operativo). La fondazione «Casa d'Italia» ha proposto di prorogare la concessione in scadenza nel 2017, impegnandosi a realizzare importanti interventi di ristrutturazione.
  Considerato che l'attività scolastica ha già preso avvio, si consentirà intanto di proseguire – fino alla conclusione dell'anno scolastico – l'attività didattica presso l'asilo gestito dalle suore, nonostante non sia mai stato stipulato un formale atto di concessione per disciplinare detta attività.
  Nel precisare che non è stata finora adottata alcuna decisione sulla vendita, vorrei rassicurare che l'amministrazione – nel pieno rispetto delle prescrizioni normative vigenti – terrà conto anche degli interessi della comunità italiana di Lucerna, prima di assumere una decisione definitiva sul futuro dell'immobile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   TARTAGLIONE, MANFREDI, BOSSA e ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 138, al fine di realizzare risparmi spesa ed incrementi di efficienza, ha delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 nel riorganizzare i tribunali ordinari ha soppresso le sezioni distaccate tra cui quella di Casoria, nella quale ricadono i comuni di Casoria, Casavatore, ed Arzano;
   il decreto legislativo nel ridefinire l'assetto territoriale degli uffici giudiziari doveva tener conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   i suddetti comuni di Casoria, Casavatore, ed Arzano ora ricadono non più nel circondario del tribunale di Napoli, ma in quello del nuovo tribunale di Napoli nord con sede in Aversa;
   il trasferimento dei suddetti tre comuni, da sempre appartenenti al circondario del tribunale di Napoli, ha determinato notevoli problemi alla cittadinanza, per la lontananza dal tribunale di Napoli nord – Aversa e per l'assenza di idonei mezzi di trasporto pubblici;
   i comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano confinano con la città di Napoli rispettivamente per il 40,65 e 45 per cento del proprio territorio;
   il mantenimento della sezione distaccata di Casoria sarebbe giustificata dal fatto che nel relativo circondario si trovano la compagnia dei carabinieri, l'Agenzia delle entrate, un'azienda ospedaliera, collegamenti stradali importanti con collegamenti diretto con la stazione ferroviaria centrale di Napoli e l'aeroporto di Napoli;
   i cittadini costretti a ricorrere alla volontaria giurisdizione, spesso minori e disabili, vedono particolarmente penalizzati i propri diritti;
   il tribunale di Napoli nord – Aversa, ospitato in un'antica struttura adattata all'odierno utilizzo, raggruppa nel suo circondario ben 38 comuni delle province di Napoli e Caserta, con una popolazione complessiva di circa 923.000 abitanti residenti, presenta notevoli carenze di personale amministrativo e di magistrati, per cui non è in grado di assicurare un regolare svolgimento dell'attività giudiziaria;
   la popolazione dei comuni di Caloria, Casavatore ed Arzano è di circa 130.000 abitanti, l'alleggerimento del bacino di utenza del suddetto tribunale di Napoli nord – Aversa rappresenterebbe un beneficio funzionale, rendendo più efficiente il funzionamento della giustizia;
   l'accorpamento con il tribunale di Napoli nord – Aversa comporta notevoli difficoltà in ambito giudiziario penale, basti considerare che le forze di polizia presenti sul territorio, per ogni attività connessa alla loro funzione devono trasmettere tutti gli atti al distante e poco raggiungibile tribunale di Napoli nord – Aversa, con notevole aggravio di costi e di indennità agli enti di competenza;
   ricollocare i comuni di Casoria, Casavatore, Arzano nel circondario del tribunale di Napoli non comporta alcun onere di spesa in quanto occorrerebbero solo pochi locali per la cancelleria e per le udienze, che sono ampiamente disponibili nella ampia struttura del tribunale di Napoli –:
   se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano;
   se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli. (4-04391)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dal trasferimento della competenza giurisdizionale sui comuni di Arzano, Casavatore e Casoria dal tribunale di Napoli a quello neo istituito di Napoli Nord in Aversa, chiedendo di sapere «se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano, se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli».
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un ‘articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  In particolare, con l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, nel distretto di Napoli si è provveduto ad un significato riordino dell'assetto dei tribunali del territorio.
  Tale ambito territoriale è, infatti, caratterizzato da una concentrazione di popolazione per chilometri quadrati davvero rilevante, nonché da una vasta area metropolitana particolarmente congestionata, in precedenza interamente assegnata alla competenza del tribunale di Napoli.
  Al fine di superare le conseguenti criticità del tribunale capoluogo attraverso l'opportuna creazione di un secondo tribunale sub-provinciale di Napoli, il tribunale di Giugliano in Campania è stato rinominato in «Napoli Nord», con sede nel comune di Aversa, ampliandone al contempo la competenza al fine di realizzare un intervento deflattivo non solo del tribunale di Napoli, ma anche di quello di Santa Maria Capua Vetere.
  Il neo istituito tribunale di Napoli Nord in Aversa ha, pertanto, iniziato a funzionare nel settembre 2013, in corrispondenza dell'efficacia delle disposizioni di riforma della geografia giudiziaria disposte dal richiamato decreto legislativo n. 155 del 2012, senza alcun carico di lavoro pregresso in quanto i preesistenti procedimenti relativi ai territori aggregati sono rimasti incardinati presso i tribunali ove sono stati iscritti.
  In particolare, i tre comuni di cui si chiede la riassegnazione al tribunale di Napoli costituivano il territorio della soppressa sezione distaccata di Casoria del predetto tribunale, con un bacino di utenza complessivo pari a 132.000 abitanti ma che distano poco più (Casoria) o poco meno (Arzano e Casavatore) di venti chilometri dalla nuova sede di tribunale di competenza.
  L'entità del bacino di utenza complessivo dei tre comuni è poi tale da introdurre un ulteriore elemento da considerare: se considerati in blocco, infatti, i 132.000 abitanti di riferimento costituirebbero un incremento pari a circa il 10 per cento dell'attuale bacino di utenza previsto per il tribunale di Napoli o un decremento di circa il 14 per cento di quello attribuito al nuovo tribunale di Napoli Nord, modificando in maniera considerevole il riordino territoriale avviato prima ancora che le determinazioni assunte possano dispiegare pienamente i loro effetti.
  I dati indicati sono stati valutati dalla Commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e eli coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.

  In particolare, con riferimento alla ridefinizione del tribunale di Napoli Nord, la Commissione non ha ritenuto necessari interventi correttivi di tipo tecnico, né il ripristino di uffici soppressi.
  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Napoli Nord, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Nonostante il consolidamento della prima fase della riforma, il processo di revisione della geografia giudiziaria è tuttora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la Commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TARTAGLIONE, ERMINI, SGAMBATO, MANFREDI, ROSTAN, BOSSA e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 138, al fine di realizzare risparmi spesa ed incrementi di efficienza, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 nel riorganizzare i tribunali ordinari ha soppresso le sezioni distaccate;
   il decreto legislativo nel ridefinire l'assetto territoriale degli uffici giudiziari doveva tener conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   come evidenziato in una petizione dell'Associazione forense A.C.C.A., i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano non ricadono più nel circondario del tribunale di Napoli, ma in quello dei nuovo tribunale di Napoli nord con sede in Aversa;
   il trasferimento, dei suddetti quattro comuni, da sempre appartenenti al circondario del tribunale di Napoli, ha determinato notevoli problemi alla cittadinanza, per la lontananza dal tribunale di Napoli nord — Aversa e per l'assenza di idonei mezzi di trasporto pubblici;
   i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano sono confinanti con la città di Napoli o distano dalla stessa pochi chilometri;
   la costituzione di un ufficio del giudice di Pace comprendente i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano, da far ricadere nel circondario del tribunale di Napoli, sarebbe giustificata dal fatto che nel relativo mandamento si trovano la compagnia dei carabinieri, l'Agenzia delle entrate, un'azienda ospedaliera, collegamenti stradali importanti, con direttamente collegati con la stazione ferroviaria centrale di Napoli e l'aeroporto di Napoli;
   i cittadini costretti a ricorrere alla volontaria giurisdizione, spesso minori e disabili, vedono particolarmente penalizzati i propri diritti;
   il tribunale di Napoli nord — Aversa, ospitato in un'antica struttura adattata all'odierno utilizzo, raggruppa nel suo circondario ben 38 comuni delle province di Napoli e Caserta, con una popolazione complessiva di circa 923.000 abitanti residenti, presenta notevoli carenze di personale amministrativo e di magistrati, per cui non è in grado di assicurare un regolare svolgimento dell'attività giudiziaria;
   la popolazione dei comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano è di circa 190.000 abitanti, l'alleggerimento del bacino di utenza del suddetto tribunale di Napoli nord — Aversa rappresenterebbe un beneficio funzionale, rendendo più efficiente il funzionamento della giustizia;
   l'accorpamento dei suddetti comuni con il tribunale di Napoli nord — Aversa comporta notevoli difficoltà in ambito giudiziario penale, basti considerare che le forze di polizia presenti sul territorio, per ogni attività connessa alla loro funzione devono trasmettere tutti gli atti al distante e poco raggiungibile tribunale di Napoli nord — Aversa, con notevole aggravio di costi e di indennità agli enti di competenza;
   ricollocare i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore, Arzano nel circondario del Tribunale di Napoli non comporta alcun onere di spesa in quanto occorrerebbero solo pochi locali per la cancelleria e per le udienze, che sono ampiamente disponibili nella ampia struttura del tribunale di Napoli –:
   se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano;
   se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli;
   se il Governo sia intenzionato a costituire un ufficio del giudice di pace, nel circondario del tribunale di Napoli, comprendente i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore e Arzano. (4-08352)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, gli interroganti prospettano – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dal trasferimento della competenza giurisdizionale sui comuni di Arzano, Casavatore e Casoria dal tribunale di Napoli a quello neo istituito di Napoli nord in Aversa, chiedendo di sapere «se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano, se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli».
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un'articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  In particolare, con l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, nel distretto di Napoli si è provveduto ad un significato riordino dell'assetto dei tribunali del territorio.
  Tale ambito territoriale è, infatti, caratterizzato da una concentrazione di nonché da una vasta area metropolitana particolarmente congestionata, in precedenza interamente assegnata alla competenza del tribunale di Napoli.
  Al fine di superare le conseguenti criticità del tribunale capoluogo attraverso l'opportuna creazione di un secondo tribunale sub-provinciale di Napoli, il tribunale di Giugliano in Campania è stato rinominato in «Napoli nord», con sede nel comune di Aversa, ampliandone al contempo la competenza al fine di realizzare un intervento deflattivo non solo del tribunale di Napoli, ma anche di quello di Santa Maria Capua Vetere.
  Il neo istituito tribunale di Napoli nord in Aversa ha, pertanto, iniziato a funzionare nel settembre 2013, in corrispondenza dell'efficacia delle disposizioni di riforma della geografia giudiziaria disposte dal richiamato decreto legislativo n. 155 del 2012, senza alcun carico di lavoro pregresso in quanto i preesistenti procedimenti relativi ai territori aggregati sono rimasti incardinati presso i tribunali ove sono stati iscritti.
  In particolare, i tre comuni di cui si chiede la riassegnazione al tribunale di Napoli costituivano il territorio della soppressa sezione distaccata di Casoria del predetto tribunale, con un bacino di utenza complessivo pari a 132.000 abitanti ma che distano poco più (Casoria) o poco meno (Arzano e Casavatore) di venti chilometri dalla nuova sede di tribunale di competenza.
  L'entità del bacino di utenza complessivo dei tre comuni è poi tale da introdurre un ulteriore elemento da considerare: se considerati in blocco, infatti, i 132.000 abitanti di riferimento costituirebbero un incremento pari a circa il 10 per cento dell'attuale bacino di utenza previsto per il tribunale di Napoli o un decremento di circa il 14 per cento di quello attribuito al nuovo tribunale di Napoli nord, modificando in maniera considerevole il riordino territoriale avviato prima ancora che le determinazioni assunte possano dispiegare pienamente i loro effetti.
  I dati indicati sono stati valutati dalla commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuati va della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.

  In particolare, con riferimento alla ridefinizione del tribunale di Napoli nord, la commissione non ha ritenuto necessari interventi correttivi di tipo tecnico, né il ripristino di uffici soppressi.
  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Napoli nord, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Con riferimento, invece, alla richiesta di istituzione di un nuovo ufficio del giudice di pace comprendente i comuni di Afragola, Casoria, Casavatore ed Arzano, si evidenzia come presso la sede di Afragola sia già dislocato un ufficio del giudice di pace, con competenza sui comuni di Afragola, Caivano e Cardito, e che, analogamente, anche presso la sede di Casoria è ubicato un ufficio del giudice di pace, con competenza sui comuni di Arzano, Casavatore e Casoria.
  Entrambi gli uffici di Afragola e Casoria sono operativi in attuazione delle disposizioni previste dal terzo comma dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, e quindi funzionanti a seguito dell'assunzione dei relativi oneri a carico degli enti locali richiedenti.
  Nonostante il consolidamento della prima fase della riforma, il processo di revisione della geografia giudiziaria è tuttora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dagli onorevoli interroganti – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VAZIO, GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, FIORIO e TULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2016 il Consiglio dei ministri ha adottato la delibera che ha reso operativa la norma contenuta nella legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 422-428) che, per la prima volta, riconosce in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale un contributo ai cittadini e alle imprese danneggiati dagli eventi calamitosi e alluvionali che si sono verificati tra il 2013 e il 2015;
   i danni subiti da 281 imprese agricole liguri a seguito di tali eventi ammontano secondo le verifiche effettuate dalla regione Liguria – a oltre 16 milioni di euro;
   nel mese di aprile 2016, alla riunione organizzata presso la regione Liguria, su istanza dei parlamentari liguri del Pd, alla presenza di un funzionario della regione, dell'assessore Stefano Mai e delle organizzazione di categoria, era stata sollecitata la regione Liguria ad integrare le richieste per il risarcimento dei danni presso la protezione civile nei modi di legge;
   al termine della suddetta riunione l'assessore regionale Stefano Mai ed il funzionario, dottor Luca Fontana, avevano promesso ai presenti di dare seguito alle sollecitazioni ricevute e quindi di avviare immediatamente le relative procedure;
   il dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio aveva poi ulteriormente confermato la giustezza delle suddette prospettazioni e quindi illustrato all'assessore Stefano Mai quali fossero le modalità da seguire per conseguire il risarcimento dei danni subiti dalle imprese agricole liguri;
   a tal riguardo, si segnalano le note del dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio CG/0023131 del 10 maggio 2016 e CG/0033081 del 30 giugno 2016;
   come noto le istanze per il risarcimento dei danni avrebbero potuto essere inoltrate e le schede avrebbero potuto essere integrate prima dell'adozione del provvedimento approvato per la liquidazione dei danni dal Consiglio dei ministri il 28 luglio;
   circa le succitate procedure, esistendo perplessità da parte dei funzionari del dipartimento agricoltura e dell'assessore Stefano Mai, i parlamentari liguri del PD avevano documentato, con autorevoli pareri del Ministero dell'economia e delle finanze, poi confermati dal dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio, che i danni nel settore agricolo erano ricompresi nell'ambito delle misure di protezione civile di cui alle lettere d) ed e) dell'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e, della legge di stabilità 2016;
   dai documenti che sono stati acquisiti dai consiglieri regionali del Pd presso gli uffici regionali a mezzo di formale richiesta in data 8 settembre 2016, emerge che la regione Liguria non ha indicato nelle schede di rilevazione alla protezione civile (SCHEDA C), richiamate nel provvedimento del Consiglio dei ministri 28 luglio 2016, o documentato diversamente, i danni subiti dalle imprese agricole negli anni 2014-2015 – che ammontano ad oltre 16 milioni di Euro – né ha integrato le suddette schede, e non ha formulato una specifica richiesta a tal riguardo;
   l'assessore regionale Stefano Mai, ha implicitamente riconosciuto l'errore, ma nel contempo ha altresì contraddittoriamente affermato che non sussisterebbero problemi al riguardo, in particolare dichiarando (ANSA – 26 settembre 2016) di avere «personalmente inviato tre lettere al capo dipartimento Curcio per chiedere riscontro puntuale dell’iter e della documentazione inviata. Già nella prima lettera, datata 27 aprile, avevamo provveduto a trasferire l'ammontare dei danni delle imprese alluvionate e nella risposta il dipartimento ci confermava la validità delle nostre trasmissioni.»;
   ha inoltre dichiarato che «terminata l'emergenza legata al sisma in Centro Italia, il dipartimento nazionale farà una ricognizione in tutte le regioni, quindi anche in Liguria, per contabilizzare la stima dei danni e inserire il fabbisogno nella prossima Legge di Stabilità». I funzionari della protezione civile, ed in particolare l'ingegnere Francesco Campopiano, interpellati con riferimento alla Liguria, dopo aver acquisito e verificato documenti e corrispondenza intercorsa, hanno nello specifico confermato e formalizzato «... che, rispetto agli eventi alluvionali dei mesi di ottobre e novembre 2014, per i quali è stato riconosciuto lo stato di emergenza nazionale con apposite delibere del Consiglio dei ministri, è stato verificato che il fabbisogno dei danni alle attività produttive rappresentato nei modi e nei termini previsti dalle Ordinanze del Capo del Dipartimento nn. 203/2014 e 216/2014 non contempla i danni alle strutture, alle scorte ed ai macchinari delle imprese agricole. La nota PG/2016/88171 del 27 aprile 2016, trasmessa dal Dipartimento Agricoltura della Regione Liguria, non è la richiesta di integrazione del fabbisogno dei danni già espresso di cui sopra, ma attiene all'attivazione di specifiche risorse sul Fondo di solidarietà nazionale di cui alla D.Lgs 102/1994, e quindi diverse da quelle emergenziali. Inoltre, la richiesta non è stata formulata dal Commissario delegato per gli eventi in argomento o dal soggetto individuato in ordinario per la prosecuzione degli interventi (Direttore generale del dipartimento Ambiente della Regione Liguria), per tal motivo alla stessa nota non è stato dato seguito, nel senso di integrare la ricognizione del fabbisogni già ricevute ...»;
   pertanto, i danni subiti dalle imprese agricole liguri non sarebbero risarcibili in quanto la relativa copertura non è stata inclusa nelle risorse messe a disposizione con il succitato provvedimento del Consiglio dei ministri, non essendo stata formulata correttamente la richiesta da parte dalla regione Liguria –:
   se il Governo sia a conoscenza di questi fatti e se corrisponda al vero che, allo stato attuale delle procedure, i danni subiti dalle imprese agricole liguri nel corso degli eventi alluvionali del novembre 2014 non sarebbero risarciti in forza del provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri in data 28 luglio 2016;
   se tale responsabilità sia riconducibile, come risulterebbe dagli atti acquisiti, alla mancata richiesta dei danni e alla mancata trasmissione da parte della regione Liguria delle informazioni necessarie, ai sensi della normativa vigente, con le procedure e nei tempi previsti;
   considerato che in questo caso le imprese agricole interessate subirebbero un danno rilevantissimo, per molte esiziale, tale da compromettere la prosecuzione della loro attività, con ripercussioni, per la dimensione di tale danno, su tutta l'economia delle zone colpite, se il Governo intenda attuare, per quanto nelle sue competenze, tutte le iniziative utili a definire le modalità e i percorsi necessari ad ovviare a tale esito. (4-14333)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame confermo che con delibera del Consiglio dei ministri del 28 luglio scorso, è stata avviata la procedura per la concessione di contributi a soggetti privati e alle attività produttive per i danni occorsi in seguito agli eventi calamitosi verificatisi tra il 2013 e il 2015, compresi quelli della regione Liguria, in attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 422 a 428 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016).
  Per la concessione di questi benefìci, come ribadito dalla Protezione Civile, i comuni interessati e le regioni, tra cui la Liguria, sono stati chiamati a raccogliere, istruire e verificare le domande di contributo relative alle situazioni di danni già censite nell'immediatezza degli eventi emergenziali.
  Questo adempimento, che poteva essere assunto fino all'adozione del provvedimento del Consiglio dei ministri, è imprescindibile, perché dà l'avvio al procedimento per l'indennizzo alle imprese danneggiate attraverso la sottoscrizione dei contratti di finanziamento agevolato e contestuale cessione del credito d'imposta corrispondente.
  Riguardo alla regione Liguria è emerso che la mancata compilazione della modulistica citata impedisce attualmente la determinazione dei contributi dovuti alle aziende agricole e che quindi le somme non sono più erogabili.
  Restiamo comunque disponibili a costruire le soluzioni migliori per evitare un ulteriore danno alle imprese agricole liguri.
  Ricordo che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per gli eventi calamitosi che hanno danneggiato le imprese agricole nel periodo ottobre-novembre 2014, ha riconosciuto l'eccezionalità dell'evento con decreto ministeriale 30 marzo 2015, con successivo decreto del 12 agosto 2015 sono state attivate le provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale per l'agricoltura.
  Preciso che con decreti di riparto tra le regioni delle disponibilità del predetto Fondo dell'11 febbraio 2016 e dell'8 agosto 2016, alla Regione Liguria sono stati assegnati 680.000 euro, cui la regione potrà aggiungere eventuali economie di spesa rinvenienti da precedenti assegnazioni.
  Faccio infine presente che, da informazioni assunte per le vie brevi, proprio sulla base dei citati decreti di declaratoria di eccezionalità emanati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le imprese potranno accedere alla misura del ripristino del potenziale produttivo nell'ambito dei programma di sviluppo rurale regionale con il quale possono essere erogati aiuti fino al 100 per cento dei costi di ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la vigente direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) si basa sull'obiettivo di realizzare la cosiddetta «società fondata sul riciclaggio» che dovrebbe ridurre al minimo lo stoccaggio dei rifiuti in discarica;
   la risoluzione del Parlamento europeo (del 20 aprile 2012) individua le priorità del VII programma di azione ambientale e chiede di prevedere la piena attuazione della legislazione sui rifiuti;
   l'11 giugno 12 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato un documento richiedendo alla Commissione di includere nel VII programma di azione ambientale misure che supportino le condizioni per un'economia circolare e verde;
   la quota di rifiuto urbano residuo (RUR) dalla raccolta differenziata destinata a smaltimento, è regolamentata dalla direttiva discariche (1999/31/CE) e dal suo decreto di recepimento decreto legislativo numero 36 del 2003);
   la direttiva (articolo 6, lett. a)) stabilisce che «solo i rifiuti trattati vengono collocati a discarica». Tuttavia, la stessa lettera a) dell'articolo 6 specifica che la collocazione a discarica può anche essere ammessa per «(...) qualsiasi (...) rifiuto il cui trattamento non contribuisca agli obiettivi di cui all'articolo 1 della presente Direttiva, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana o l'ambiente»;
   l'obbligo di pretrattamento viene essenzialmente ricondotto nella pratica al TMB (trattamento meccanico biologico) o all'incenerimento, dal momento che i soli trattamenti biologici o termici sono in grado di conseguire la riduzione della fermentazione potenziale del rifiuto da collocare in discarica, e dei conseguenti impatti in termini di produzione di biogas, percolati, e altro;
   in molte regioni sono stati denunciati illeciti intorno al ciclo dei rifiuti tanto da risultare necessaria una Commissione parlamentare d'inchiesta su queste attività, soprattutto per i danni all'ambiente;
   nelle scorse settimane la stampa si è occupata dei rifiuti nella Capitale; per i ritardi nella raccolta e circa gli impianti di Tmb (trattamento meccanico biologico). Un autorevole quotidiano riportava: «Dagli impianti esce un prodotto difficile da smaltire. Un impasto indefinito, a metà fra materiale di recupero e frazione organica, che secondo gli esperti non è a norma, “difforme” da quanto prevede la legge. Inquinante». (...) «le campionature (a dicembre 2015), contenevano una maggiore concentrazione di composti inquinanti che la normativa aggiornata vieterebbe»;
   senza voler considerare il danno di immagine che ha prodotto per l'intero Paese l'idea di una città come Roma che non è in grado di far funzionare il sistema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, va ricordato che con le temperature registrate nel mese di agosto 2016 e con i cumuli di immondizia giacente, peraltro maleodorante, con la presenza massiccia di topi che ci girava intorno, si è sfiorato il rischio di epidemia per i residenti, ma anche per i turisti –:
   se non ritengano necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a intensificare i controlli su tutto il territorio nazionale e predispone piani di emergenza affinché situazioni simili non possano più verificarsi;
   se non sia il caso di verificare, per i profili di competenza, quanto riportato sulla stampa per scongiurare che la presenza negli impianti di Tmb di materiale inquinante, difficile da smaltire, difforme e/o vietato dalla normativa vigente, possa arrecare danni ambientali e alle popolazioni residenti o, peggio, finire commercializzato in modo illecito;
   se non pensino che sia giunto il momento di affrontare il problema rifiuti in modo organico per evitare che:
    a) una nuova «terra dei fuochi» possa essere scoperta;
    b) vengano seppelliti rifiuti di ogni tipo nei piazzali antistanti gli istituti scolastici, come è accaduto in alcune regioni del Mezzogiorno;
    c) i fondali marini si trasformino in «cimitero» per migliaia di pneumatici;
    d) possano esistere in mare isole di plastica, trasportate dalle correnti, che non essendo biodegradabili rischiano di sopravvivere a intere generazioni, producendo morie di pesci e provocando danni non quantificabili all'ecosistema. (4-14218)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla gestione dei rifiuti nel comune di Roma Capitale e, più in generale, nella regione Lazio, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che le norme vigenti attribuiscono alle regioni territorialmente competenti le funzioni in merito alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani. Declinare a livello territoriale le scelte strategiche fissate dal legislatore nazionale e comunitario, e rilasciare conseguentemente le necessarie autorizzazioni per l'operatività dei suddetti impianti, costituiscono attività attribuite alla potestà esclusiva delle amministrazioni regionali.
  Tanto premesso, con riferimento alle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella capitale, si evidenzia che una prima criticità riguarda la raccolta differenziata e indifferenziata. Sulla base del rapporto rifiuti Ispra 2015, nel 2014 la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato è stata pari al 35,2 per cento della produzione rifiuti, mentre le restanti tonnellate di rifiuto indifferenziato sono state avviate all'impiantistica di trattamento. Sebbene per il 2015 non siano ancora disponibili dati ufficiali di Ispra, i quantitativi di rifiuti urbani prodotti da Roma capitale sono sostanzialmente allineati con quelli del 2014, di cui si stima la produzione di circa 700.320 tonnellate di differenziata (41,17 per cento) e 1.000.448 tonnellate di rifiuto indifferenziato.
  Per la gestione dell'indifferenziato, il comune di Roma capitale è servito da 4 impianti Trattamento meccanico biologico (2 di AMA e 2 della Giovi-Colari). Peraltro, circa 300 t/g della capacità impiantistica esistente a Roma è destinata a trattare anche i rifiuti provenienti da Ciampino, Fiumicino e Città del Vaticano. Considerato, inoltre, che a Roma si producono giornalmente 3.206 tonnellate di rifiuti indifferenziati da destinare al trattamento, è evidente un deficit di capacità impiantistica di trattamento, pari a circa 500 t/g che trova comunque copertura in altri impianti.
  Per il trattamento della frazione umida è attivo l'impianto di Maccarese da 30.000 tonnellate annue, che evidentemente non copre – se non in minima parte – il fabbisogno attuale pari a circa 200.000 t/a. Un fabbisogno destinato ad incrementare sensibilmente col progredire della raccolta differenziata, attualmente ferma a percentuali al di sotto degli obiettivi di legge.
  Sebbene risulti in corso il procedimento autorizzativo presso la regione su due impianti di compostaggio, che possono sopperire alle esigenze impiantistiche della capitale, le tempistiche per la loro eventuale realizzazione e operatività non sono sicuramente brevi.
  Nel resto della regione Lazio operano anche altri impianti, ma nel loro insieme anch'essi non riescono a soddisfare le esigenze complessive regionali.
  Sulla base del quadro ricognitivo aggiornato, effettuato dalla regione Lazio, il fabbisogno residuo di compostaggio da soddisfare su scala regionale, nelle condizioni di regime, ammonterebbe a circa 500.000, t/a secondo le stime del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2016 ai sensi dell'articolo 35, comma 2 del cosiddetto «Sblocca Italia» (Misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani).
  Per quanto riguarda il fabbisogno di incenerimento, solo una parte dei rifiuti trattati in uscita dal Trattato meccanico biologico di Roma vengono portati agli impianti di termovalorizzazione di San Vittore e Colleferro, gli unici operativi nella regione, non sufficienti a soddisfare l'attuale fabbisogno.
  Si segnala, altresì, che è in atto un contraddittorio tra i gestori degli impianti di TMB e la regione Lazio a causa della carenza di impianti di incenerimento a cui inviare il combustibile solido secondario prodotto, che non permette la continuità e l'efficienza del servizio svolto dai TMB stessi. Per chiudere il ciclo dei rifiuti, limitando al minimo il ricorso al conferimento in discarica, la regione deve pertanto puntare sullo sviluppo della raccolta differenziata, e potenziare la capacità impiantistica di incenerimento per il recupero energetico delle frazioni secche non riciclabili, secondo quanto indicato dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016, adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia» che prevede la necessità di realizzare un nuovo impianto di incenerimento con una capacità pari a 210.000 t/a di rifiuti urbani e assimilati, salvo che il piano regionale non venga aggiornato prevedendo diverse soluzioni.
  Con la chiusura di Malagrotta, avvenuta nel 2013, tra l'altro, si è determinata la carenza di una discarica di servizio ove conferire i rifiuti residui dal trattamento dei TMB che non possono o non vengono avviati a recupero o incenerimento. Attualmente il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata ha concorso a mantenere elevati i quantitativi dei rifiuti prodotti dalla capitale da avviare a smaltimento, ovvero circa il 50 per cento dell'attuale fabbisogno di discarica dell'intera Regione Lazio (quantificato nel piano del fabbisogno impiantistico approvato con deliberazione di giunta regionale n. 199 del 2016 in circa un milione di tonnellate l'anno).
  Avviare le diverse frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta di rifiuti urbani anche differenziati ad impianti in possesso delle necessarie autorizzazioni è compito di Roma capitale, per il tramite anche della sua in-house AMA s.p.a. laddove stabilito, nel rispetto dei principi di prossimità, economicità e sostenibilità ambientale.
  Ciò per garantire alle utenze un servizio adeguato e commisurato alla tariffa corrisposta, che vede in Roma capitale costi specifici annui pro- capite più elevati rispetto ai valori medi degli altri comuni (come emerge dai dati indicati da Ispra nel rapporto rifiuti 2015).
  La stessa AMA ha inteso chiarire che l'attuale situazione di criticità è dovuta sia al «deficit infrastrutturale cronico della città di Roma e della Regione Lazio» e sia ad altre «ben più complesse e articolate ragioni» di cui questo Ministero non è a conoscenza.
  È chiara dunque l'estraneità di questo Ministero sugli specifici aspetti attinenti alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti ed al rilascio delle relative autorizzazioni di competenza regionale, nonché alla corretta gestione del servizio di raccolta.
  Tuttavia, dato il rilievo istituzionale delle questioni, questo Ministero non solo si è reso disponibile a supportare il comune di Roma nell'individuazione delle opportune misure atte a superare le difficoltà recentemente incontrate, ma ha anche sollecitato la regione Lazio ad eseguire sugli impianti di trattamento i controlli necessari a verificarne la piena e corretta funzionalità.
  In particolare, con nota del 2 agosto 2016 e con un'ulteriore nota di settembre, il Ministero ha chiesto alla regione di eseguire, anche con il supporto tecnico di ARPA Lazio, i necessari controlli sulla corretta operatività di tutti gli impianti, per verificare oltre che l'efficacia del trattamento, anche la tipologia dei rifiuti in ingresso ed uscita, producendo una relazione riepilogativa sugli esiti delle verifiche condotte.
  Allo stato attuale, non essendo stati ancora acquisiti tutti gli elementi richiesti, questo Ministero ha provveduto ad inoltrare debito sollecito ai competenti uffici regionali.
  In particolare, il 6 settembre 2016 il Ministero ha sollecitato la regione a inoltrare il resoconto sulle verifiche dell'impiantistica di Roma, nonché ribadito la necessità di integrare ed adeguare le previsioni del Piano del fabbisogno, propedeutico alla stesura nel nuovo piano rifiuti, secondo le disposizioni previste nel più volte menzionato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuative dell'articolo 35 dello «Sblocca Italia», nel rispetto del principio della gerarchia dei rifiuti.
  Si precisa, inoltre, con riferimento alle procedure di infrazione, che la regione Lazio è destinataria di 2 procedure: quella sulle discariche abusive (causa C196/13) e quella relativa alla gestione dei rifiuti e al rispetto dell'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE (causa C323/13).
  In particolare, per quanto attiene alla prima procedura, nel Lazio rimangono da concludere le procedure di messa in sicurezza di 12 siti di discarica, di cui nessuno ricadente amministrativamente nel territorio di Roma capitale. Relativamente alla seconda procedura di infrazione, si evidenzia che la Corte di giustizia europea ha ritenuto che nella Regione Lazio:
   nel SubAto di Roma, con esclusione della discarica di Cecchina ubicata nel comune di Albano Laziale, e nel SubAto Latina, i rifiuti conferiti in discarica non siano sottoposti a idoneo pretrattamento;
   non vi sia una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani.

  La regione ha provveduto ad effettuare nei mesi di luglio e agosto tramite Arpa Lazio i sopralluoghi in tutti gli impianti regionali, al fine di verificare la cessazione dei conferimenti del tal quale in discarica; gli esiti di queste verifiche sono stati trasmessi dalla regione in questi giorni.
  Dai sopralluoghi è risultato che nelle discariche del Lazio non vi sono più stati conferimenti di rifiuti urbani di cui al codice CER 20.XX.XX negli anni 2015 e 2016, e che per l'anno 2014 i conferimenti riscontrati sono riferibili a periodi antecedenti il mese di giugno.
  Per quanto attiene la creazione di una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani in regione, da una recente ricognizione effettuata sull'impiantistica di trattamento dei rifiuti, il relativo fabbisogno è stato soddisfatto, e non occorre pertanto realizzare ulteriori TMB.
  Le risultanze delle misure adottate sono state debitamente trasmesse alla Commissione europea, e sono attualmente al vaglio delle Autorità comunitarie.
  Si rappresenta, infine, che, il 22 aprile scorso, la Regione Lazio ha approvato la «Determinazione del Fabbisogno», propedeutico al successivo aggiornamento desiano di gestione dei rifiuti. Sul documento allo stato è in corso un positivo confronto con i competenti uffici regionali, per addivenire ad una condivisione degli obiettivi.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VILLAROSA, D'UVA, MARZANA e CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia le competenze in tema di infrastrutture, rete stradale e autostradale, trasporti, controllo sulle opere pubbliche che utilizzano fondi europei, dissesto idrogeologico, prevenzione e previsione dei relativi rischi e, non per ultime, conoscenza e sorveglianza del territorio regionale, si ripartiscono tra gli uffici della Protezione civile e i vari dipartimenti, strutture, organi e uffici rientranti negli ambiti dell'assessorato alle infrastrutture e alla mobilità e dell'assessorato al territorio e all'ambiente;
   l'articolo 117 della Costituzione dispone che la protezione civile è materia di potestà concorrente fra Stato e regione. In tale ambito, le regioni si occupano di predisporre i programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali e attuare gli interventi urgenti quando si verificano interventi di tipo «b», avvalendosi anche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco oltre che organizzare e impiegare il volontariato;
   secondo quanto contenuto nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, rubricata «Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell'11 marzo 2004: «Ai fini delle attività di previsione e prevenzione, le Regioni, anche cooperando tra loro e d'intesa con il Dipartimento della protezione civile, suddividono e/o aggregano i bacini idrografici di propria competenza, o parti di essi, in ambiti territoriali significativamente omogenei per l'atteso manifestarsi nel tempo reale della tipologia e della severità degli eventi meteo-idrologici intensi e dei relativi effetti». La valutazione degli effetti deve riguardare con crescente priorità ed importanza, tra gli altri, quelli relativi alle infrastrutture e agli impianti per i trasporti;
   la rete dei centri funzionali, costituita dal centro funzionale centrale, presso il Dipartimento della Protezione civile e dai centri funzionali decentrati presso le regioni e le province autonome. Ogni centro funzionale svolge attività di previsione, monitoraggio e sorveglianza in tempo reale dei fenomeni meteorologici, con la conseguente valutazione degli effetti previsti su persone e cose in un determinato territorio, concorrendo, insieme al Dipartimento della Protezione civile e alle regioni, alla gestione del sistema di allertamento nazionale;
   all'assessorato regionale alle infrastrutture e alle mobilità sono attribuite competenze, tra le altre, relative ai trasporti, alla programmazione, realizzazione e gestione di infrastrutture di comunicazione e trasporti, gli adempimenti tecnici e ai controlli concernenti le opere pubbliche di competenza regionale. Al «Dipartimento Regionale Tecnico» del medesimo assessorato è attribuito il compito di coordinare i Servizi dei GG.CC., i quali, a loro volta, devono attuare il monitoraggio, il controllo e la vigilanza sulle opere finanziate con fondi comunitari, dare pareri ed autorizzazioni in materia di assetto idrogeologico del territorio e progettare e dirigere i lavori di urgenza e somma urgenza ed attività connesse alla Protezione civile;
   al comando del Corpo forestale della regione, struttura facente parte dell'assessorato al territorio e all'ambiente, competono compiti e attività che riguardano la conoscenza, la sorveglianza, il controllo, la difesa e la valorizzazione del territorio forestale e montano, del suolo, dell'ambiente naturale e delle aree protette. A ciò si aggiunge la partecipazione all'organizzazione e allo svolgimento delle attività di protezione civile;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro. Il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale. Il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
   il 10 ottobre 2015 le zone di Milazzo e Barcellona sono state interessate da ondate di piena dei torrenti, l'esondazione del torrente Mela, che ha interessato interamente la via Salso a Barcellona Pozzo di Gotto, causando centinaia di sfollati a seguito dell'ordinanza di sgombero predisposta dal Sindaco, mentre a Milazzo lo stesso torrente, oltre a causare parecchi danni e centinaia di sfollati in zona Bastione, ha avuto anche come conseguenza dei danni considerevoli alla rete dell'acquedotto, tali da necessitare una tempestiva ordinanza del Sindaco la quale dispone il divieto dell'utilizzo dell'acqua per fini alimentari;
   in relazione ai gravi fatti accaduti in provincia di Messina il 10 ottobre 2015, tale intreccio di prerogative statali ambiti e competenze, al quale si aggiungono le prerogative statali del «Commissario straordinario delegato per la realizzazione degli interventi per la mitigazione dei rischi idrogeologici», comporta ad avviso degli interroganti un «rimpallo» di responsabilità, e una evidente mancanza di organizzazione che hanno condotto la Sicilia a sperimentare una vera e propria deriva nei settori delle infrastrutture, della rete stradale ed autostradale, della sicurezza pubblica e del monitoraggio del rischio idrogeologico, insieme a una dispersione ingiustificabile di fondi pubblici ed europei;
   in data 24 gennaio 2015 l'assessore Croce dichiara di aver completato all'80 per cento i lavori sul fronte «Giampilieri-Scaletta e San Fratello ammettendo però di «essere realmente indietro per quanto riguarda Barcellona Pozzo di Gotto e Saponara, un ritardo legato alle poche risorse disponibili»;
   i fondi stanziati per la messa in sicurezza del territorio tirrenico sono pari a 30 milioni di euro, di questi, 7 milioni di euro sono destinati a Barcellona Pozzo di Gotto per interventi in merito alla costruzione di briglie selettive alla vasca di contenimento a monte del torrente Longano, per la «saia bizzarro», torrente idria e per gli interventi delle frazioni di Migliardo e Femminamorta. La zona di Migliardo ha subito degli eventi franosi che hanno compromesso la viabilità nella zona;
   in particolare, la città di Barcellona Pozzo di Gotto già nel novembre 2011 è stata colpita da un gravissimo episodio di natura alluvionale, il quale ha recato ingentissimi danni alla popolazione senza alcun effettivo e concreto risarcimento. È notizia del 18 settembre 2015 (www.tempostretto.it) che si è tenuto un incontro, presso la sede del dipartimento della Protezione civile a Messina finalizzato all'effettiva risoluzione dei problemi inerenti ai danni causati dal fenomeno alluvionale del 2011. Dall'incontro era emerso che, già dalla settimana successiva al 18 settembre, la Protezione civile avrebbe dovuto dare il via libera definitivo per la progettazione esecutiva, a cura dell'ufficio tecnico comunale, delle opere di riordino idraulico delle saie Bizzarro, Pantano e Oreto; per un importo di 500.000 euro. Sempre nella stessa circostanza si apprendeva la notizia dell'imminente (entro una settimana) consegna dei lavori per il ripristino degli argini della saia Bizzarro in contrada Canalotto di Pozzo Perla (Barcellona Pozzo di Gotto);
   da articoli di stampa si apprende che sicuramente alcune delle cause delle recenti inondazioni che hanno interessato Messinese siano da ricercare nella scarsa, ma a volte inesistente, manutenzione dei torrenti, manutenzione che probabilmente non avrebbe evitato l'evento in questione, ma altrettanto probabilmente avrebbe ridotto l'entità dei danni;
   a seguito di numerose telefonate intercorse con le strutture competenti, risulta agli interroganti che la regione, ad oggi, non ha inviato alla protezione civile i dati relativi all'evento calamitoso, procedura fondamentale per la catalogazione dell'evento da parte della protezione civile così come descritto dall'articolo 2 della legge numero 225 del 1992;
   da evidenziare, in negativo, che fino a questo momento le amministrazioni locali risultano abbandonate a se stesse e stanno sostenendo anche spese abbastanza rilevanti per affrontare l'emergenza –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione tragica, per quanto riguarda il rischio idro-geologico, della provincia di Messina ed in particolare della zona Barcellona-Milazzo;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interroganti non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a promuovere uno snellimento della complessa procedura attualmente necessaria per l'utilizzo dei fondi statali tempestivamente stanziati, ma utilizzabili solo dopo parecchi anni;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda valutare, per la provincia di Messina, un intervento strutturale di medio-lungo periodo, finalizzato alla soluzione del problema nella sua complessità evitando di sperperare denaro pubblico con mini-interventi non risolutivi, anche al fine di evitare ulteriori danni a persone o cose in un territorio già più volte devastato dagli effetti dovuti alle conseguenze di fenomeni atmosferici naturali sempre più violenti, sommati agli effetti ancor più devastanti delle opere degli esseri umani;
   se il Governo non intenda valutare l'esistenza dei presupposti per la presentazione della richiesta al Fondo di solidarietà dell'Unione europea (FSUE) al fine di sostenere la ricostruzione e la ripresa delle zone colpite;
   evidenziata la lentezza della fase di valutazione, se il Governo non intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative urgenti per promuovere l'immediata erogazione di fondi da mettere a disposizione degli amministratori locali per fronteggiare le spese più urgenti, come ad esempio, la messa in sicurezza dell'impianto fognario e della rete di distribuzione idrica, il pagamento delle ditte che stanno lavorando, il pernottamento dei cittadini sfollati e la messa in sicurezza degli argini distrutti;
   se il Governo non intenda deliberare lo stato di emergenza per le zone del Messinese colpite classificando questo evento come di tipo C ai sensi della legge n. 225 del 1992. (4-10740)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, il territorio italiano è un territorio fragile e nell'ambito dei rischi che lo caratterizzano, il rischio frane ed alluvioni ha un impatto sociale ed economico elevatissimo.
  Il fenomeno e l'origine dei dissesto idrogeologico nel nostro Paese, è sempre più spesso da imputare ad eventi di trasformazione. In particolare, oltre a fattori patologici quali l'abusivismo edilizio, vi sono comunque da considerare i fenomeni legati all'urbanizzazione ed alla conseguente impermeabilizzazione dei suoli, nonché alla deforestazione ed al sempre crescente abbandono delle colture agricole e, in particolare delle aree terrazzate, che ha comportato il progressivo degrado dei sistemi di drenaggio, delle opere di protezione e della loro manutenzione, utili ad evitare l'innesco di fenomeni di dissesto gravitativo, in particolare nel territorio montano-collinare.
  Tali fenomeni evidenziano la necessità di intervenire in maniera non frammentaria ma coordinata su scala nazionale e con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica.
  Per tali ragioni, a partire dal 2014 il Governo ha predisposto una serie di interventi normativi che hanno fortemente inciso sulla programmazione e sull'attuazione degli interventi in materia di rischio idrogeologico. In tal senso si possono richiamare l'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014) e gli articoli 7 e 9 del decreto-legge n. 133 del 2014 (convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014).
  In particolare, con il primo provvedimento i presidenti di regione sono subentrati alle precedenti gestioni commissariali in materia di mitigazione del rischio idrogeologico con poteri ampliati e rafforzati allo scopo di accelerare e semplificare sia in fase di progettazione che quella di autorizzazione e successiva esecuzione.
  Con il secondo provvedimento, sono state inoltre definite nuove regole di programmazione, a far data dal 2015, degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, al fine di superare le frammentarietà del passato e garantire una nuova programmazione nazionale coerente con il quadro effettivo della pericolosità e del rischio e, quindi, tecnicamente fondata su criteri trasparenti che tengono anzitutto conto del quadro più aggiornato della pericolosità, quale emerge dagli strumenti di pianificazione approvati.
  Nell'ambito di questa cornice normativa si collocano pertanto i vari provvedimenti attuativi emanati nel corso del 2015 quali ad esempio, nel settore del rischio idrogeologico, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 con il quale sono stati stabiliti i criteri e le modalità per definire le priorità di attribuzione delle risorse finanziarie agli interventi nell'ambito del piano operativo nazionale per il dissesto idrogeologico.
  Il decreto del 28 maggio 2015, condiviso in sede di conferenza Stato regioni, ha per la prima volta individuato una procedura chiara e trasparente – che si svolge in gran parte on line – che richiede, per ogni intervento proposto a finanziamento, la conoscenza approfondita del fenomeno di dissesto sul quale si intende intervenire, precisando che verranno automaticamente escluse dalla procedura le istanze relative ad interventi che non ricadano o non esplichino la loro influenza su zone perimetrale dagli atti di pianificazione di bacino o in zone critiche non perimetrate che siano state interessate da fenomeni calamitosi nel corso degli ultimi sei anni.
  Un punto di forza del decreto è che con esso si è recuperato il ruolo fondamentale svolto dalle autorità di bacino nell'attività di pianificazione e di individuazione degli interventi per la salvaguardia del territorio, prevedendo come necessario per l'ulteriore corso della procedura il parere positivo della competente l'autorità di bacino, chiamata ad esprimersi sulla tipologia ed ubicazione del dissesto, sulle caratteristiche ed ubicazione delle opere, sulla relazione funzionale tra le opere e il dissesto, sull'effettiva relazione fra intervento proposto e recupero dell'assetto idrogeomorfologico del corso d'acqua e delle biodiversità e, se del caso, sull'esistenza del piano di gestione dei sedimenti, sulle delocalizzazioni, sull'eventuale individuazione delle cave di prestito, nonché, ovviamente, sull'inserimento dell'area interessata nella pianificazione di bacino e sulle relative classi di pericolosità e rischio.
  Inoltre, si segnalano le novità appartate dalla legge n. 221 del 2015 che ha modificato alcune norme chiave del settore, prima fra tutte quella sulla riforma delle Autorità di bacino distrettuali, nonché quelle delle direttive comunitarie 2000/60/CE e 2007/60/CE che individuano i due nuovi masterplan di riferimento in materia di acqua e in materia di gestione del rischio di alluvioni, coordinati a livello di distretto idrografico, approvati da questo Ministero, in coordinamento con le regioni, lo scorso 3 marzo 2016.
  Con riferimento alle risorse economiche rese disponibili e alle iniziative promosse per garantire l'attuazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico nella regione Sicilia, si evidenzia quanto segue.
  In attuazione a quanto disposto dal Governo con l'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Sicilia hanno sottoscritto in data 30 marzo 2010 uno specifico accordo di programma che prevede il finanziamento di n. 173 interventi per un importo complessivo pari ad euro 304.337.176,92.
  A tale accordo di programma hanno fatto seguito tre successivi atti integrativi; nell'ambito di tali provvedimenti, l'importo complessivo posto a finanziamento è stato ulteriormente incrementato, come di seguito indicato:
   1o integrativo in data 3 maggio 2011 euro 21.251.185,84 a favore di ulteriori interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio della regione Sicilia;
   2o atto integrativo in data 28 ottobre 2014 euro 10.000.000,00, ai sensi dell'articolo 1 lettera b) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3980 dell'11 novembre 2011, per il superamento dei contesti emergenziali determinatisi a seguito di eccezionali avversità atmosferiche;
   3o atto integrativo in data 20 gennaio 2015 euro 15.000.000,00 a favore di interventi per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico nei comuni della provincia di Messina.

  Attualmente, quindi, l'accordo di programma prevede l'attuazione di n. 220 interventi, per un importo complessivo di euro 350.588.362,76 di cui:
   euro 162.692.572,11 da parte del Ministero dell'ambiente per la realizzazione di n. 91 interventi;
   euro 12.756.002,61 con «delibera CIPE n. 8 del 20 gennaio 2012 per la realizzazione di n. 11 interventi;
   euro 175.139.788,04 da parte della regione Sicilia per la realizzazione di n. 118 interventi.

  Nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale per il dissesto idrogeologico, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, i cui dati sono stati definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015.
  Tale piano, che prevede un investimento complessivo sul territorio nazionale pari ad 1,3 Miliardi di euro, attualmente prevede in regione Sicilia la realizzazione di n. 8 interventi di contrasto al rischio alluvione (Tabb C e D), localizzati nelle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, per un importo complessivo pari a euro 95.286.165,19.
  Inoltre, va ricordato che il Governo si è di recente attivato per sottoscrivere i «Patti per il Sud», tra cui figurano quello con la regione Sicilia nonché quelli con ognuna delle 3 città metropolitane siciliane (Palermo, Catania e Messina).
  Con essi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i rispettivi enti coinvolti condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche e integrate, miranti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree industriali, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio metropolitano. In questo ambito, tra le linee di sviluppo e le relative aree di intervento previste, figurano anche azioni nel campo delle infrastrutture e dell'ambiente.
  Al momento risultano già firmati i rispettivi patti per le città metropolitane di Palermo e Catania, in cui si identificano gli interventi prioritari e gli obiettivi da conseguire entro il 2017. Sono invece in avanzata fase di definizione i relativi patti con la regione siciliana e con la città metropolitana di Messina.
  Si segnala, altresì, che questo Ministero sta lavorando intensamente alle tematiche rappresentate dagli interroganti e sta seguendo l'iniziativa legislativa sul consumo del suolo.
  Il disegno di legge in materia di «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», attualmente in discussione, pone dei limiti al consumo del suolo, puntando in tal modo sulla trasformazione del tessuto urbano esistente, attraverso uno strumento normativo che unisca vincoli ed incentivi. Il disegno di legge in questione persegue la finalità di contenere il consumo del suolo e valorizzare il suolo non edificato, nonché promuovere l'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, al fine di impedire che il suolo venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione. Il provvedimento riconosce espressamente il suolo come «bene comune» e «risorsa» non rinnovabile.
  Tuttavia, è indispensabile la collaborazione delle legioni e delle istituzioni locali che hanno il compito, dove necessario, di modificare, integrare ed aggiornare con sempre più attenzione la normativa a livello locale con l'obiettivo di stabilire le regole per un corretto uso del territorio.
  La difesa del suolo, infatti, è anzitutto un uso corretto del suolo secondo linee fondamentali che devono divenire patrimonio comune di tutte le amministrazioni, dal Governo centrale agli enti locali.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VILLAROSA, PESCO, ALBERTI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area del comprensorio del Mela ha un'estensione di 184,88 chilometri quadrati, una popolazione di 55.286 abitanti (ISTAT, aprile 2014), una densità di 299 abitanti per chilometro quadrato. Nel comprensorio è stata istituita l'area ad elevato rischio di crisi ambientale (AERCA) nel 2002;
   nel 2006 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito l'area industriale di Milazzo (Milazzo, Monforte San Giorgio, Pace del Mela, San Filippo del Mela, San Pier Niceto) quale sito di interesse nazionale (SIN). L'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 afferma che «i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali»; inoltre, riporta che: «All'individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con Decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le regioni interessate». Tali aree devono essere sottoposte ad interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza d'emergenza, bonifica, ripristino ambientale ed attività di monitoraggio;
   il «nucleo industriale di Milazzo – Valle del Mela», realizzato nel periodo 1958-1971, presenta numerosi impianti ad elevato rischio di incidenti rilevanti. La Raffineria di Milazzo (oggi ENI/Q8), entrata in funzione il 23 agosto 1961, consta oggi di tre impianti a idrogeno (HGU1, HGU2 e l'HMU3, avviato nel 2013), oltre al cogeneratore a idrogeno LC Fining presente in pochissimi siti mondiali e in aree semidesertiche, realizzato all'indomani dell'incidente del 3 giugno 1993, che con 7 morti e 16 feriti rappresenta il più grande incidente industriale italiano per numero di vittime;
   adiacente alla raffineria sorge anche la centrale termoelettrica dell'ENEL (Edipower dal 2002, oggi Edipower/A2A), sita in contrada Archi a San Filippo del Mela, costruita nel periodo 1968-1969 ed entrata in funzione nel 1971 alimentata attualmente a olio combustibile denso – OCD, ma per alcuni anni a orimulsion, il noto combustibile fossile a base di bitume;
   nell'area è stato realizzato recentemente un nuovo Terna a 380 KV i cui cavi sono totalmente aerei e nessun tratto è stato realizzato in galleria schermata. Nella vicinissima area industriale di Giammoro (Pace del Mela) esistono anche altre industrie ad elevato impatto ambientale come l'impianto per il riciclaggio di accumulatori al piombo (Ecological Scrap Industry – ESI), entrato in attività il 18 ottobre 1999;
   allo stato attuale delle conoscenze scientifiche sono alquanto evidenti e preoccupanti i risultati che emergono dagli studi effettuati nel comprensorio del Mela sin dagli anni ’80; tra i più recenti:
    studio dell'Organizzazione mondiale della sanità sui disturbi respiratori dei bambini della Valle del Mela (WHO Europe – European Center for Environment and Health, dipartimento di Statistica «G. Parenti» – Unità di Biostatistica – università di Firenze, dottor Annibale Biggeri, I disturbi respiratori e l'indagine epidemiologica sui bambini della Valle del Mela, 30 aprile 2009), effettuato su 2506 bambini tra i 6 e i 10 anni delle scuole primarie dell'area di Milazzo-Valle del Mela, in cui sono state dimostrate le associazioni tra i livelli degli inquinanti nell'aria e i disturbi respiratori dei bambini (in particolare cronicizzazione dell'asma);
    studio sulla metilazione del DNA delle cellule nasali che provocano infiammazioni e l'asma nei bambini (Andrea Baccarelli, Franca Rusconi, Valentina Bollati, Dolores Catelan, Gabriele Accetta, Lifang Hou, Fabio Barbone, Pier Alberto Bertazzi, Annibale Biggeri, Nasal cell DNA methylation, inflammation, lung function and wheezing in children with asthma, Epigenomics, febbraio 2012, Vol. 4, No. 1, pp. 91-100). I fattori che determinano cambiamenti di metilazione del DNA sono associati con l'infiammazione asmatica e sono prodotti dagli inquinanti dell'area di Milazzo, i cui effetti non si fermano all'apparato respiratorio ma coinvolgono anche il sistema cardiocircolatorio (aumentando di fatto il rischio di incidenti cardiovascolari come trombosi, ictus e infarti);
    studio di Legambiente Sicilia sull'inquinamento industriale nel 2010 (Mal'aria industriale 2012 – L'aria di Sicilia: Augusta/Melilli/Priolo, Gela e Milazzo, 20 dicembre 2012) mette in risalto alcuni record di emissione di determinati inquinati a livello nazionale, la raffineria di Milazzo è 8° a livello nazionale per i valori di SOx S02, è 1° a livello nazionale per i valori di composti organici volatili non metanici – NMVOC, è 5° a livello nazionale per i valori di benzene, è 2° a livello nazionale per i valori di nichel. La Centrale Termoelettrica di San Filippo del Mela è 7° a livello nazionale per i valori di cromo;
    studio del professor Francesco Squadrito sul biomonitoraggio dell'area di Milazzo – Valle del Mela (iniziativa per la tutela della salute e per la protezione delle popolazioni delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale esposte a «distruttori endocrini» quali i metalli pesanti: area di Milazzo – Valle del Mela, dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università degli studi di Messina, Istituto superiore della sanità, OMS – Organizzazione mondiale della sanità, regione Sicilia, 2013, pp. 22), che ha analizzato i campioni biologici di 200 bambini tra 12 e i 14 anni della Valle del Mela, rilevando valori abbondantemente superiori al limite umano per alcuni metalli pesanti che potrebbero avere ripercussioni sul sistema endocrino e riproduttivo (nichel a San Filippo del Mela; cromo a San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e Milazzo; cadmio a Santa Lucia del Mela, San Filippo del Mela, Milazzo, Gualtieri Sicaminò, San Pier Niceto, Pace del Mela);
    studio di Legambiente sulle aree inquinate italiane (a cura di Stefano Ciafani, Andrea Minutolo, Giorgio Zampetti, Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà? Risanare l'ambiente, tutelare la salute, riconvertire l'industria alla green economy, 28 gennaio 2014), in cui vengono riportate analisi per eccesso di mortalità per malformazioni congenite nel SIN di Milazzo associate ad emissioni di determinati inquinanti della Raffineria di Milazzo;
    terzo rapporto «S.E.N.T.I.E.R.I.» – (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento. Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri; epidemiologia & prevenzione, supplemento 1, marzo-aprile 2014), in cui si evidenziano eccessi, rispetto ai dati nazionali, di patologie del sistema urinario, di malattie respiratorie e di tumori della tiroide nel SIN di Milazzo (nel quale vengono considerati soltanto tre comuni: Milazzo, San Filippo del Mela e Pace del Mela), mentre risultano messi in evidenza gli eccessi per tutti i tumori nelle donne, di tumori alla tiroide e malattie nefrosiche negli uomini, malattie respiratorie croniche per entrambi i generi, nell'intera area ad elevato rischio di crisi ambientale del comprensorio del Mela;
    un'indagine epidemiologica sulla patologia prevalente condotta presso i medici di base del comune di Santa Lucia del Mela nel quinquennio 2008-2012 (promotori dottor Rosario Torre e Sindaco Antonino Campo), nella quale sono stati registrati tutti i pazienti con le seguenti malattie: tumori (dato complessivo); malattie onco-ematologiche (leucemia, mieloma multiplo, linfomi); patologie della tiroide (dato complessivo) e tumori della tiroide (dato già inserito nella categoria tumori); patologie delle vie respiratorie. I dati saranno allargati al periodo 2013-2014 e confrontati con quelli provenienti da altri comuni della Valle del Mela e con un'area di confronto posta al di fuori dell'area a rischio ambientale;
   già in passato sono stati registrati cali di produttività che interessano soprattutto determinate colture, un fenomeno che è stato analizzato soltanto per gli effetti prodotti al suolo da due agenti inquinanti, l'ozono (O3) e l'anidride solforosa (SO2) [ENEA, Uno strumento per valutare gli effetti ambientali e sanitari degli inquinanti aeriformi emessi da insediamenti produttivi e per indirizzare la scelta di nuovi siti. Applicazione all'area di Milazzo, 2003]. Nei comuni del comprensorio di Milazzo si registra, infatti, un calo di resa per le patate (23 per cento a Milazzo, 27 per cento a Santa Lucia del Mela, 28 per cento a Pace del Mela, 30 per cento a San Pier Niceto, per quanto riguarda l'O3; 1 per cento a Milazzo, 6 per cento a Santa Lucia del Mela, per quanto riguarda l'SO2), per i pomodori (11 per cento a Milazzo, 14 per cento a Santa Lucia del Mela, 16 per cento a San Filippo del Mela e San Pier Niceto, per l'O3), per gli aranci (24 per cento a Milazzo, 28 per cento a Santa Lucia del Mela, 38 per cento a Merì, per l'O3; 4 per cento a Pace del Mela, 7 per cento a Merì, 8 per cento a Santa Lucia del Mela, per l'SO2) e per il grano (40 per cento a Santa Lucia del Mela, 48 per cento a Castroreale, per l'O3; 4 per cento a Castroreale, 6 per cento a Santa Lucia del Mela, per l'SO2);
   il monitoraggio ambientale nell'area ad elevato rischio è quasi del tutto assente già in regime di ordinaria attività, poiché alcune centraline, principalmente quelle installate dalla provincia di Messina, risultano non funzionanti e perché, quelle funzionanti, monitorano soltanto pochissimi agenti inquinanti;
   il CTR (Comitato tecnico regionale, composto dalle amministrazioni interessate, dall'Arpa, dall'Inail e dai vigili del fuoco), nella delibera del 17 maggio 2012, aveva dato parere negativo sul rapporto di sicurezza degli impianti della raffineria di Milazzo e diffidato il gestore ad adottare, entro 60 giorni, le necessarie misure e richiedendo ben undici chiarimenti, riguardanti soprattutto il rischio sismico e il rischio idrogeologico;
   la società Edipower spa in data 18 settembre 2015, ha presentato per la procedura VIA-AIA un progetto per un impianto di valorizzazione energetica alimentato a CSS (combustibile solido secondario) da realizzarsi nella centrale termoelettrica esistente di San Filippo del Mela (ME);
   nelle vicinanze ed all'interno della CTE di San Filippo del Mela sono presenti le seguenti aree tutelate: area di interesse archeologico, tutelata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera m), distante circa 300 metri in direzione ovest dal progetto, formata da due siti archeologici identificati come insediamenti-necropoli ed insediamento identificato-ville e casali, corsi d'acqua tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera c) per i territori compresi nei 150 metri dalla loro sponda situato ad est rispetto al sito di progetto, a circa 100 metri di distanza, la fascia di rispetto è apposta al Rio Cucigliata mentre ad ovest, a circa 1 chilometro di distanza, è apposta al Torrente Corriolo;
   recentissimi saggi effettuati dalla soprintendenza di Messina all'interno della centrale Edipower hanno evidenziato in una delle aree libere (non trasformate da scavi per costruzioni) la ulteriore presenza di antiche strutture rurali. L'impianto del CSS della centrale di San Filippo del Mela dovrebbe essere realizzato in un'altra di queste aree non trasformate ma non ancora indagate a fini archeologici;
   l'impianto di valorizzazione energetica del CSS in progetto ricade quasi interamente nell'area soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera a), corrispondente ai territori costieri compresi nei 300 metri dalla linea di battigia;
   l'area naturale più vicina al sito di intervento è il SIC ITA030032 denominato «Capo Milazzo», localizzato a circa 6,2 chilometri in direzione Nord Ovest rispetto al TMV. La legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), al comma 116, ha inserito le zone di Grotte di Ripalta-Torre Calderina e di Capo Milazzo tra le aree marine di reperimento di cui all'articolo 36, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, alle lettere ee-quinquies ed ee-sexies, istituendo di fatto un'Area Marina Protetta intorno al Capo Milazzo e distante qualche chilometro;
   le giunte comunali dei comuni di Condrò, Pace del Mela, Roccavaldina, Monforte San Giorgio e San Pier Niceto hanno già emanato delibere contro l'utilizzo del CSS nella centrale termoelettrica di San Filippo del Mela. Ad oggi circa 20 consigli comunali dei comuni dell’hinterland hanno già deliberato contro l'utilizzo del css nella centrale Edipower di San Filippo del Mela;
   i cittadini dei comuni di San Filippo del Mela, Gualtieri Sicaminò e Pace del Mela hanno espresso un loro forte dissenso alla realizzazione del progetto presentato da Edipower con un referendum consultivo. Nei comuni di Gualtieri Sicaminò e di Pace del Mela la percentuale del «NO» ha superato abbondantemente il 90 per cento. Nel comune di San Filippo del Mela invece, non è stato raggiunto il quorum previsto (ha votato il 42 per cento degli aventi diritto) ma la percentuale dei «NO» è stata comunque molto alta superando il 95 per cento dei votanti;
   il progetto Edipower non è compatibile con il piano rifiuti della regione siciliana;
   la regione siciliana ha dichiarato ripetutamente di essere interessata non alla costruzione di grandi inceneritori come quello Edipower (510.000 tonnellate/anno) ma solo a piccoli inceneritori;
   il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo pronunciandosi sulla compatibilità ambientale, ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (con nota prot. n. 34.19.04 del 2 dicembre 2015) ha espresso parere contrario all'intervento concernente il progetto «Centrale termoelettrica di San Filippo del Mela», presentato dalla società Edipower spa, per le motivazioni di incompatibilità paesaggistica e di contrasto con le prescrizioni, le direttive e gli obiettivi indicati dal piano territoriale paesaggistico dell'ambito 9, in conformità al parere espresso dalla soprintendenza ai beni culturali e ambientali della provincia di Messina;
   le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004);
   dalla data di adozione del piano (4 dicembre 2009) non sono consentiti interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela del piano stesso, ai sensi del comma 9 dell'articolo 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   il pronunciamento negativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale comporta la conclusione negativa della valutazione di impatto ambientale;
   le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi del citato decreto legislativo se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni, ai sensi dell'articolo 183 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   non risultano emanate leggi che prevedano espressa modificazione alle disposizioni ed ai principi del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   risultano ampiamente superati i 150 giorni previsti per la conclusione della valutazione di impatto ambientale dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e decorrenti dalla data di presentazione dell'istanza (18 settembre 2015) –:
   se il Ministro non ritenga opportuno rispettare le disposizioni normative citate e rilasciare immediatamente parere negativo nell'ambito dell'istruttoria della procedura valutazione di impatto ambientale con effetti negativi anche sulla procedura di autorizzazione integrata ambientale, avviata da Edipower, con l'istanza del 18 settembre 2015. (4-14060)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) relativa al progetto per la realizzazione di un impianto di valorizzazione energetica alimentato a CSS (combustibile solido secondario) presso la centrale termoelettrica di San Filippo del Mela (Messina), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'istanza di VIA per il progetto «Impianto di valorizzazione energetica di CSS», da realizzare presso la centrale termoelettrica di San Filippo del Mela, è stata presentata dalla società proponente Edipower S.p.a. alla quale, nel luglio 2016 è subentrata nella titolarità del progetto la società A2A Energiefuture s.p.a.
  Il procedimento è all'esame della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS, la quale, nel corso dell'iter istruttorio, ha richiesto integrazioni alla documentazione progettuale presentata dal proponente a corredo dell'istanza di valutazione di impatto ambientale.
  La società proponente ha presentato la documentazione integrativa richiesta dalla commissione in data 11 ottobre 2016, con approfondimenti di argomenti legati sia alla procedura di valutazione di impatto ambientale che alla procedura di autorizzazione integrata ambientale. Contestualmente, la società stessa ha provveduto alla pubblicazione degli avvisi al pubblico dell'avvenuto deposito della documentazione integrativa richiesta su un quotidiano a diffusione nazionale e due quotidiani a diffusione regionale, secondo le modalità di cui all'articolo 24, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 152 e successive modificazioni e integrazioni.
  Alla data odierna il procedimento è in fase di consultazione da parte del pubblico sul progetto ripubblicato; tale fase si concluderà il giorno 10 dicembre 2016.
  La commissione, al termine delle attività istruttorie di propria competenza, renderà un parere di compatibilità ambientale.
  Tutti gli argomenti rilevati dagli interroganti sono riconducibili a quelli generalmente considerati in sede di valutazione ambientale per tale categoria di progetto.
  Si rappresenta, comunque, che tutta la documentazione progettuale presentata nel corso dell'istruttoria, insieme con le osservazioni ed i pareri delle amministrazioni e degli enti locali coinvolti nel procedimento di valutazione ambientale, è disponibile per la consultazione sul portale valutazioni ed autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente) all'indirizzo http://www.va.minambiente.it/it-iT/Oggetti/lnfo/1569.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZACCAGNINI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Alessandria è da sempre povera di risorse idriche. Sul suo territorio vi si trova, però, una grande falda acquifera, denominata dalla regione «di riserva», per il suo interesse in quanto può dare da bere potenzialmente a 200.000 persone. Sono stati così spesi fondi pubblici della provincia per un intervento tecnico, costato 9.000.000 euro, denominato «il tubone» il quale rifornisce tutti i paesi dell'area dell'acquese;
   nel 2012, la provincia di Alessandria ha autorizzato il progetto di discarica a Sezzadio, in località Cascina Borio, voluto dalla ditta Riccoboni s.p.a. decisa a costruire un impianto per rifiuti non pericolosi. Questo provvedimento ha già scatenato la protesta dei 28 sindaci dell'acquese e dei comitati di base della Valle Bormida, da anni in prima linea per difendere la falda acquifera;
   in data 5 marzo 2015 dalla testata on line « GreenReport.it» riportava la seguente notizia dal titolo «Autorizzazione ambientale alla discarica: può non essere ostacolata dalla classificazione urbanistica», nella quale si descriveva come: «La classificazione urbanistica in contrasto con il progetto della realizzazione di una discarica non costituisce di per sé ostacolo al rilascio dell'autorizzazione ambientale, in quanto è la stessa autorizzazione ad avere l'effetto di variare automaticamente lo strumento urbanistico»;
   il tribunale amministrativo del Piemonte (Tar) lo ribadisce con la sentenza del mese scorso n. 318 in riferimento alla realizzazione della discarica di rifiuti non pericolosi nel comune di Sezzadio. Alla realizzazione la provincia di Alessandria ha espresso un giudizio negativo sulla compatibilità ambientale e sull'autorizzazione integrata ambientale (Aia) per una serie di motivi, tra cui il fatto che la realizzazione della discarica si porrebbe in contrasto con la destinazione urbanistica che il comune di Sezzadio ha impresso all'area con una variante parziale. Si registra inoltre che vi sarebbe un interesse pubblico a che la cava su cui è prevista la discarica venga sfruttata fino al suo esaurimento, cosa che, secondo l'amministrazione, non sarebbe possibile nel caso in cui si interrompesse la coltivazione della cava. Si fa riferimento altresì al fatto che trattandosi di un intervento a iniziativa privata, non sussisterebbe la pubblica utilità dell'opera. È il legislatore del 2006 che prevede espressamente che «l'approvazione [del progetto] ... costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori»;
   la disposizione (articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006) va intesa nel senso che la localizzazione dell'impianto può essere autorizzata anche su un'area incompatibile secondo le previsioni dello «strumento urbanistico». In questo caso lo strumento urbanistico resta automaticamente variato in senso conforme alla destinazione dell'impianto autorizzato senza necessità di attivare previamente la complessa procedura di variazione dello strumento urbanistico prevista dalla normativa di settore;
   inoltre, secondo il Tar, appare infondato l'argomento per cui la discarica – in quanto realizzata ad iniziativa privata – non sarebbe di pubblica utilità, perché la pubblica utilità (o il pubblico interesse) di un'opera prescinde dal fatto che l'opera stessa sia realizzata ad iniziativa pubblica o privata. I comitati locali non si arrendono e annunciano battaglia: «Siamo determinati a respingere con forza la sentenza dei Tar del Piemonte elci 18 febbraio a favore della Riccoboni – dice in un comunica Vicente ”Urbano” Taquias, rappresentante del Comitato di Base di Sezzadio – che la autorizzerebbe ad aprire una cava in Cascina Borio ed usarla per portare 1.700.000 mc di rifiuti che andrebbero inevitabilmente ad inquinare la falda acquifera» che è l'esatto contrario di quanto sostiene il Tar: la discarica non interesserebbe la vasta falda acquifera[...]»;
   nel 2015 è stato depositato un progetto di ampliamenti con lavorazioni di rifiuti tossico/nocivi negli stabilimenti di Predosa della Grassano/Riccoboni (700 codici cer di cui 400 tossico nocivi). Entrambe le aree sono riconosciute all'interno del piano tutela acque, e sono zone di rise (aree ricarica falde per consumo umano). Nonostante questo l'azienda ha avuto delle autorizzazioni e ad oggi ci sono 4 ricorsi pendenti: tre al TAR, fatti dai comuni di Acqui Terme, Strevi, Cassine, Rivalta Bormida, Castelnuovo Bormida e Sezzadio ed uno al Consiglio di Stato dal comune di Sezzadio;
   tutta la popolazione della Valle Bormida si è mobilitata in difesa della falda acquifera, vista la gravità del pericolo incombente e ventiquattro comuni, con le rispettive amministrazioni hanno deciso, nel 2013, di unirsi in Convenzione, unico caso in Italia, a difesa dell'acqua e contro questi progetti che andrebbero a compromettere il futuro di un territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato, anche in considerazione dell'allarme lancio dai comitati ambientalisti, circa l'eventuale rischio di inquinamento della falda acquifera sottostante alla zona interessata dalla discarica;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di regolamentare l'apertura di nove di discariche su tutto il territorio nazionale, in particolare con riferimento a fattispecie come quella piemontese, procedendo anche a un'armonizzazione del sistema delle competenze;
   se il Ministro interrogato, in virtù del «principio di precauzione» valido a livello europeo, che andrebbe ad escludere insediamenti potenzialmente pericolosi per una risorsa unica ed insostituibile come l'acqua, non intraveda il rischio di incorrere, per ciò che è esposto in premessa, in una procedura d'infrazione a livello comunitario. (4-13809)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la realizzazione del progetto di discarica di rifiuti non pericolosi in località Cascina Borio del comune di Sezzadio (AL), ricadente nell'area catalogata dal Piano tutela delle acque (PTA) della regione Piemonte come area di «ricarica delle falde utilizzate per uso umano» e di «RISE», sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si deve precisare che il rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di gestione dei rifiuti è delegato alla Regione interessata e che la tutela delle acque è prevista nella parte III del decreto legislativo n. 152 del 2006. In particolare, l'articolo 94 del suddetto decreto disciplina le aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, introducendo al comma 3, il concetto di zona di tutela assoluta e al comma 4 quello di zona di rispetto che vieta di insediare una serie di attività, tra cui al punto h) la gestione rifiuti.
  Tanto premesso, con specifico riferimento al caso di specie e sulla base di quanto riferito dalla provincia di Alessandria, la stessa ha richiesto alla regione Piemonte di indicare se sussistano norme in vigore di cui al citato piano di tutela delle acque che consentano di diniegare l'autorizzazione per la realizzazione del progetto in questione.
  In esito a tale approfondimento, la regione ha risposto che, allo stato, non esistono norme tecniche di attuazione, riferite alle aree di ricarica delle falde indicate dal Pta, che individuino vincoli o limitazioni di uso di tali aree, precisando altresì che comunque le valutazioni circa l'ammissibilità dell'impianto possono essere compiutamente valutate nell'ambito del procedimento di valutazione di impatto ambientale in corso presso la provincia.
  Anche a seguito di tale considerazione, il procedimento è stato sospeso ed è stato istituito un tavolo tecnico tra i tecnici partecipanti alla conferenza dei servizi ed il proponente, tavolo ove si sono discusse sia le modalità che i risultati degli approfondimenti idrogeologici da effettuare sull'area in esame, con particolare riferimento alle possibili interferenze con le falde profonde.
  Fondamentale, secondo la provincia, è stata l'espressione finale del parere di Arpa in merito ai lavori del tavolo tecnico, avendo la stessa valutato che nell'area in cui è stata individuata la nuova discarica non sussiste il pericolo di interessamento della falda profonda attualmente utilizzata per l'approvvigionamento idropotabile, pur evidenziando la presenza di una falda profonda di alta qualità e suggerendo nel contempo che qualora venisse autorizzata la discarica sarebbe opportuno prescrivere la realizzazione di un anello di piezometri di controllo molto fitto attorno all'impianto così da poter monitorare con certezza la tenuta nel tempo della discarica stessa e poter intervenire tempestivamente in caso di problematiche.
  Nonostante le conclusioni del tavolo tecnico, la provincia ha diniegato l'autorizzazione e la ditta ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro il provvedimento provinciale.
  Il Tribunale amministrativo regionale ha decretato la soccombenza della provincia e nella parte dispositiva ha ordinato alla stessa di riformulare l'atto conclusivo della conferenza dei servizi in senso positivo. Da qui il successivo decreto del Presidente della provincia di Alessandria che, adeguandosi a quanto sentenziato dal Tribunale amministrativo regionale ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale imponendo peraltro tutte quelle prescrizioni tecniche costruttive che devono garantire la maggior tutela ambientale possibile, richieste peraltro dalla stessa Conferenza dei Servizi e molto restringenti anche rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 36 del 2003 che è la norma tecnica di recepimento della cosiddetta direttiva europea discariche ed oggi ritenuta Bat (Best available tecnique) per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale.
  Alla luce delle considerazioni esposte, la provincia di Alessandria evidenzia, dunque, che non sussistono ad oggi norme di diritto che permettano il diniego dell'autorizzazione per il principio di precauzione, tenuto conto che gli approfondimenti tecnici stabiliscono, anche se solo localmente, la mancanza di un evidente pericolo e che l'impianto risulta conforme alle Bat europee. Pertanto, la stessa provincia ha rilasciato l'autorizzazione alla realizzazione dell'opera.
  Si rappresenta, altresì, che della questione sono interessate altre amministrazioni e, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi ed utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare le attività in corso, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 152 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», stabilisce, ai fini dell'esercizio venatorio, le specie cacciabili e i relativi periodi d'attività, nel rispetto dell'arco annuale temporale massimo;
   con decreto del Presidente della regione Lazio 14 luglio 2015, n. T00128 è stato definito il calendario venatorio e il regolamento per la stagione venatoria 2015/2016;
   la direzione regionale agricoltura del Lazio, con nota prot. n. 263526/GR/04/21 del 14 maggio 2015, ha sottoposto all'ISPRA la proposta dell'amministrazione regionale di consentire dal giorno 1° febbraio al giorno 10 febbraio 2016 l'esercizio venatorio alle seguenti specie: colombaccio (Columba palumbus); cornacchia grigia (Corvus corone cornix); gazza (Pica pica); ghiandaia (Garrulus glandarius);
   l'ISPRA, con nota protocollo n. 26810/T-A 11 del 18 giugno 2015, ha evidenziato la compatibilità della proposta con lo stato di conservazione delle specie indicate e con il quadro normativo vigente purché siano rispettate le seguenti prescrizioni:
    gli appostamenti utilizzati devono essere collocati:
     a) a non meno di 500 metri dalle zone umide, frequentate dagli uccelli acquatici, che risultano particolarmente sensibili al disturbo causato dalla caccia;
     b) a distanza superiore a 500 metri dalle pareti rocciose o da altri ambienti potenzialmente idonei alla nidificazione di rapaci rupicoli;
   l'estensione della stagione venatoria non deve superare l'arco temporale massimo, secondo quanto previsto dall'articolo 18, comma 2 della legge n. 157 del 1972;
   il vincolo del non superamento dell'arco temporale massimo, come previsto dall'articolo 18, comma 2, della legge n. 17 del 1992, sarebbe stato rispettato dalla regione Lazio che, secondo il calendario venatorio, ha previsto per le specie colombaccio (Columba palumbus), cornacchia grigia (Corvus corone cornix), gazza (Pica pica) e ghiandaia (Garrulus glandarius), un'apertura dell'attività venatoria posticipata al 1° ottobre 2015 rispetto alla data 20 settembre 2015 potenzialmente prevista ai sensi dell'articolo 18, comma 1, legge 157 del 1992;
   con decreto del Presidente della regione Lazio n. 64, pubblicato sul Burl l'11 agosto 2015 è stata autorizzata la preapertura della caccia nel territorio del Lazio il 2 e il 6 settembre per alcune specie, tra le quali: cornacchia grigia (Corvus corone cornix); gazza (Pica pica); ghiandaia (Garrulus glandarius) –:
   l'autorizzazione di cui sopra alla preapertura della caccia il 2 e il 6 settembre sia conforme alle disposizioni dell'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 e quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare per garantire il pieno rispetto dei tempi di caccia, così come espressi con chiarezza dall'ISPRA, che nella sua «guida» alla stesura dei calendari venatori alla luce dell'articolo 42 della legge comunitaria 2009, ha appunto evidenziato la necessità di operare una restrizione rispetto alle date di apertura e chiusura della caccia, allo scopo di garantire le necessarie misure di tutela della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale. (4-10380)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai calendari venatori, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che nel novembre 2014 l'Italia è stata richiamata dalla Commissione europea attraverso la procedura EU Pilot 6955/14/ENVI, al rispetto dei tempi di caccia per gli uccelli in relazione ai periodi di migrazione verso i siti di nidificazione. Ciò in relazione alla direttiva 09/147/CE e al cosiddetto documento « Key Concepts» che indica per ogni Paese e ogni specie la data di inizio della migrazione primaverile.
  In merito a tale ultimo aspetto, si segnala che in questo contesto l'Italia ha apportato una modifica all'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 inserendo il comma 1-bis, con il quale viene sancito il divieto di caccia durante il ritorno al luogo di nidificazione e durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli.
  Il Ministero dell'ambiente ha ripetutamente richiamato le legioni al rispetto della citata normativa nazionale e comunitaria e, laddove necessario, ha attivato le procedure per l'adozione dei poteri sostitutivi per le stagioni venatorie 2014-2015 e 2015-2016.
  Si sarebbe altrimenti consumata irrimediabilmente la violazione degli obblighi imposti dall'ordinamento europeo, in quanto le specie di uccelli in questione sarebbero state cacciate in un periodo vietato.
  In uno spirito di leale collaborazione tra amministrazioni centrali e regionali e dopo circa un anno di confronti in sede tecnica e politica, lo scrivente Ministero si è fatto promotore di una proposta di accordo – in occasione della seduta della conferenza Stato-regioni del 17 dicembre 2015 – per l'adeguamento agli obblighi imposti dal diritto europeo e, al tempo stesso, per evitare il ripetersi – per il secondo anno consecutivo – dell'esercizio da parte del Governo dei poteri sostitutivi.
  Tuttavia, l'auspicato consenso unanime delle regioni sulla proposta di accordo non è stato raggiunto ed è stato quindi necessario procedere anche per la stagione 2015-2016 alla modifica dei calendari non conformi.
  Sempre nell'ottica di una revisione dei « Key Concepts» è stato avviato e mantenuto un confronto con le regioni e, solo a seguito di numerosi solleciti, a dicembre 2015, le stesse hanno prodotto i dati in base ai quali hanno ritenuto di poter prolungare i calendari venatori oltre le date indicate nel documento « Key Concepts». Questi dati sono stati sottoposti a valutazione scientifica dell'Ispra, nella quale sono state evidenziate numerose criticità rispetto al rigore scientifico e alla validità dei medesimi.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territori e del mare, peraltro, in occasione della riunione «Pacchetto ambiente» dello scorso giugno a Roma, ha informato la Commissione europea sull'avvio di un ampio confronto con tutti i soggetti portatori di interessi nella materia per acquisire tutti i dati scientifici, attualmente disponibili, idonei a supportare l'eventuale richiesta di modifica dei « Key Concepts».
  Inoltre, è stato istituito un tavolo tecnico presso la conferenza Stato-regioni. Pertanto, se all'esito dell'istruttoria in corso, che dovrebbe durare circa un anno, dovessero emergere novità dal punto di vista scientifico, sarà possibile chiedere una modifica dei « Key Concepts».
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», ha previsto all'articolo 35, comma 1, l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione a livello nazionale della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati, degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati e l'individuazione di ulteriori impianti di incenerimento da realizzare, per coprire il fabbisogno residuo del territorio nazionale;
   la Conferenza permanente per i rapporti Stato, regioni e province autonome il 4 febbraio 2016 ha reso a maggioranza, con espressione contraria di Lombardia e Campania, il parere sullo schema del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare recante «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani ed assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale»;
   nell'elenco degli impianti d'incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani ed assimilati a potenziare per coprire il fabbisogno residuo nazionale di trattamento dei rifiuti, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto, come riportato nella tabella C dell'articolo 5, risulta nella regione Lazio l'individuazione di un impianto da realizzare di capacità pari a 210.000 t/a;
   nel giugno 2012 è stato presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il piano per Roma contenente le linee guida atte a garantire sostenibilità e valorizzazione economica legate alla gestione dei rifiuti del comune di Roma, attraverso la riorganizzazione e il potenziamento della raccolta differenziata, del domiciliare/condominiale porta a porta e lo sfruttamento degli impianti di TMB della regione Lazio, perseguendo l'obiettivo prioritario del 65 per cento entro il 2016 di raccolta differenziata, valore che deve essere verificato attraverso l'effettivo riciclo/recupero di materiale (compost, carta, alluminio, plastica vetro e altro) con conseguente netta riduzione della frazione secca da trattare;
   il decreto legislativo n. 205 del 2010, all'articolo 4, che modifica l'articolo 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 6, specifica che le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo; il riciclo o ogni altra operazione di recupero di materia, sono adottate con priorità rispetto dall'uso dei rifiuti come fonte di energia;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ribadendo la necessità di nuovi impianti di incenerimento, conferma una politica di gestione dei rifiuti che non trova fondamento in alcuna direttiva comunitaria e, anzi, si pone in netto contrasto con la strategia dell'Unione europea che nell'ambito della cosiddetta gerarchia dei rifiuti conferma la prevenzione, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio di materiali quale priorità rispetto alla valorizzazione energetica, quale sistema residuale di trattamento;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rispondere a una interrogazione a risposta immediata alla Camera il 3 agosto 2016, ha affermato che «(...) all'articolo 35 dello Sblocca Italia individua, nell'ambito della rete nazionale di termovalorizzatori, la necessità per la Regione Lazio di dotarsi di un impianto da 210 mila tonnellate, oltre che di costruire impianti di trattamento necessari a rispondere a un fabbisogno residuo di compostaggio che ammonta a circa 500 mila tonnellate/anno»;
   nella stessa risposta il Ministro ha quindi aggiunto «....chiedo al sindaco Raggi e al Presidente Zingaretti di usarlo e di non farsi condizionare dalla nota contrapposizione ideologica su quella norma che equivarrebbe a rassegnarsi a un'emergenza continua», confermando così la sua predilezione, quale strumento centrale per la gestione dei rifiuti, per la realizzazione di impianti di incenerimento;
   da quanto si apprende da organi di stampa in una recente seduta del consiglio regionale del Lazio il Governatore Nicola Zingaretti avrebbe affermato esplicitamente come «...seguendo l’iter della competenza regionale di pianificazione, sulla base del fabbisogno e della raccolta differenziata e dell'impiantistica confermo che non si reputa necessaria l'apertura di una procedura per un nuovo termovalorizzatore»;
   le citate affermazioni del Ministro sembrerebbero voler indirizzare con decisione gli enti territoriali competenti in materia di pianificazione e gestione del ciclo dei rifiuti alla realizzazione di un nuovo impianto d'incenerimento, nonostante più volte sia stato dimostrato da parte della regione Lazio che l'autosufficienza già garantita dall'attuale capacità di trattamento degli impianti in esercizio; quanto affermato sembrerebbe poco corrispondente agli interessi dei cittadini e della città di Roma e tale da poter favorire la «lobby dell'incenerimento» –:
   come si giustifichi l'individuazione dell'impianto d'incremento con recupero energetico di rifiuti urbani previsto dallo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, avente per la regione Lazio per una capacità di trattamento pari a 210.000 t/a, con il fabbisogno risultante dalla programmazione operata dalla medesima regione Lazio, e se non intenda escludere categoricamente l'ipotesi di assumere iniziative volte a pervenire al commissariamento in relazione all'emergenza rifiuti a Roma e nel Lazio. (4-14065)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante la gestione dei rifiuti, in particolare, il trattamento di rifiuti urbani e assimilati, degli impianti di incenerimento, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In linea generale, secondo i dati forniti da Ispra, la quantità di rifiuti inceneriti pro-capite in Italia ammonta a 85 kg/abitante per anno, un valore tra i più bassi in Europa, sia rispetto ai paesi dell'EU28 che a quelli dell'EU15, le cui medie nel 2012, ammontavano rispettivamente a 113 e 140 kg/abitante per anno.
  Appare pertanto evidente che l'attuale tasso di incenerimento in Italia (circa il 17,4 per cento del totale dei rifiuti urbani prodotti) non sia affatto adeguato a chiudere il ciclo dei rifiuti, come evidenziato dalla Corte di giustizia europea che ha condannato l'Italia a pagare 40.000 euro al giorno fino alla realizzazione di una capacità di incenerimento aggiuntiva pari a 1.190.000 tonnellate per la sola gestione dei rifiuti in Campania (Sentenza della Corte di Giustizia europea – terza sezione – 16 luglio 2015).
  Con l'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016, attuativo dell'articolo 35, comma 1 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, partendo da una minuziosa ricognizione della situazione impiantistica di incenerimento, con particolare riferimento alle diverse tipologie di rifiuti (urbani tal quali, frazione secca dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, rifiuti sanitari, fanghi) trattate nei singoli impianti sul territorio nazionale, è stato possibile individuare con precisione la capacità attuale di incenerimento dei rifiuti urbani.
  Il decreto in questione ha quindi provveduto a stimare il fabbisogno di incenerimento nazionale necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti e nel prevederlo ha tenuto conto non solo della prevenzione e degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio della nuova proposta europea sull'economia circolare (riciclaggio al 65 per cento), ma anche delle quantità di rifiuti avviate a co-incenerimento nei cementifici e nelle centrali elettriche oltre che del trattamento dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico e degli scarti della raccolta differenziata.
  Infine lo stesso decreto ha provveduto a confrontare la capacità esistente con il fabbisogno stimato, desumendone il fabbisogno residuo di incenerimento per ciascuna regione.
  Ottenuto tale fabbisogno, il decreto ha operato una compensazione tra macro aree al fine di evitare la realizzazione di impianti non necessari e consentendo ai rifiuti residui di una regione di essere inceneriti nella eventuale capacità residua presente nelle legioni limitrofe. Considerando pertanto la gestione dei rifiuti in un'ottica di sistema, anziché nell'ambito dell'autosufficienza delle singole regioni, è stato possibile limitare il fabbisogno residuo totale a sole 1.831.000 tonnellate per un totale di nuovi otto impianti oltre al potenziamento dell'impianto della regione Puglia.
  Per quanto attiene nello specifico la regione Lazio, si evidenzia che, rispetto alle previsioni originarie di piano, non solo non si è avuto l'atteso decollo della raccolta differenziata, ma è stato altresì delineato, con l'approvazione del nuovo piano del fabbisogno di cui alla delibera della giunta regionale del Lazio n. 199 del 2016 un nuovo scenario impiantistico che prevede un eccessivo ricorso alla discarica, al posto di altre operazioni collocate più in alto nella gerarchia dei rifiuti.
  In particolare la regione Lazio ha previsto di inviare circa 200.000 tonnellate annue di rifiuti di scarto dal trattamento della differenziata a smaltimento, piuttosto che prevederne il recupero energetico negli impianti di incenerimento.
  Rispetto a tali previsioni non condivisibili, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato un positivo confronto con le competenti autorità regionali, finalizzato ad un adeguamento delle scelte strategiche nella prospettiva di ottimizzazione della chiusura del ciclo dei rifiuti.
  Ad ogni modo, si rappresenta che il 22 aprile 2016, la regione Lazio ha approvato la «Determinazione del Fabbisogno», propedeutica al successivo aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti. Sul documento allo stato è in corso un positivo confronto con i competenti uffici regionali, per addivenire ad una condivisione degli obiettivi.
  Per quanto di competenza il Ministero continuerà a monitorare le attività in corso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dispone che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   l'istituto dell'autocontrollo suscita alcune perplessità in quanto lo stesso gestore ha il compito di controllare lo stato di emissione degli inquinanti;
   ad esempio nel caso di specie, risulta da articoli stampa, tra cui la «Gazzetta di Reggio» del 17 febbraio 2015, che «Iren Rinnovabili, proseguendo nella sua strategia di sviluppo nei settori “green”, ha acquisito una partecipazione di maggioranza in Studio Alfa srl, società con sede a Reggio Emilia che opera dal 1980 nel settore dei servizi ambientali ed energetici, settori nei quali ha consolidato negli anni la propria leadership»;
   IREN Ambiente spa è impegnata nelle attività di trattamento e smaltimento dei rifiuti, di generazione di energia elettrica e calore e di produzione di biogas, attraverso i propri impianti, quale il Termovalorizzatore IREN di Parma;
   attraverso impegno specifico la predetta Società «Studio Alfa» è chiamata a verificare il corretto funzionamento e la taratura degli strumenti di monitoraggio su incarico di IREN;
   da quanto riportato nel verbale dell'ARPA di Reggio Emilia del 23 marzo 2015, riguardante l'ispezione alla ditta IREN Ambiente spa — PAIP si specificava che «al momento del sopralluogo erano in corso le attività di verifica secondo la norma UNI EN 14181:2005 [...] Nello specifico la ditta incaricata dell'effettuazione, Studio Alfa Srl, stava procedendo al controllo della portata dell'emissione E25». Su tale attività di autocontrollo delle emissioni, svolta da IREN attraverso la società partecipata «Studio Alfa», lascia perplessi che l'ARPA non abbia espresso alcuna osservazione –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare interrogato sia a conoscenza della situazione esposta;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di propria competenza, posta la complessità della gestione dell'intera rete di incenerimento dei rifiuti sul territorio nazionale, a fortiori per effetto della individuazione degli stessi come infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, anche in virtù delle criticità emerse nel caso di Parma, non ritenga di assumere opportune iniziative normative, affinché le verifiche sugli esiti delle attività di autocontrollo, di cui agli articoli 29-ter comma 1, lettera h), e 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006, siano effettuate con metodi e parametri uniformi su tutto il territorio nazionale e che contestualmente le verifiche su di esse, poste in essere dagli organi di controllo, risultino effettive, efficaci e frequenti, e siano ad essi assicurate adeguate risorse per le ispezioni straordinarie di cui all'articolo 29-decies, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   se ritenga di assumere iniziative per riservare alla rete nazionale degli impianti, di cui all'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, a cui seguirà a breve la specifica individuazione degli impianti che ne faranno parte, una normativa specifica sull'attività di controllo e autocontrollo delle emissioni che garantisca elevati ed adeguati standard di tutela ambientale e sanitaria. (4-09325)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante la disciplina relativa all'incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne in particolare il caso della «Iren Rinnovabili», soggetto gestore del termovalorizzatore di Parma, corre l'obbligo di evidenziare che la competenza in materia di autorizzazione di tali impianti, è in carico alle amministrazioni regionali ai sensi dell'articolo 196, comma 1, lettere d) ed e) del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152.
  Comunque in linea generale, circa le attività di controllo delle attività di gestione dei rifiuti, si precisa che, ai sensi della normativa ambientale, la competenza territoriale in ordine al controllo, ivi compreso anche l'accertamento ùdelle violazioni di cui alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, spetta alle province o alle regioni. Tali autorità competenti sottopongono ad adeguati controlli periodici tutti gli stabilimenti che smaltiscono rifiuti e quindi anche gli impianti di incenerimento. Per l'esercizio di tali funzioni le province o le regioni, possono anche avvalersi di organismi pubblici ivi incluse le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente con specifiche esperienze e competenze in materia.
  La normativa relativa agli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, di cui al titolo III-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che tutti i risultati delle misurazioni sono registrati, taluni parametri anche in continuo, elaborati e presentati all'autorità competente in modo da consentire di verificare l'osservanza delle condizioni di funzionamento previste nell'autorizzazione oltre che dei valori limite di emissione. Inoltre qualora dalle misurazioni eseguite risulti che i valori limite di emissione siano superati, il gestore provvede a informare l'autorità competente e l'agenzia regionale o provinciale per la protezione dell'ambiente. L'autorizzazione prevede inoltre anche il blocco da parte del gestore dell'impianto, condizione che avviene in modo automatico, al fine di impedire che il perdurare delle condizioni anomale di funzionamento, possano determinare emissioni fuori controllo.
  In merito al funzionamento ed alla taratura degli strumenti di monitoraggio, l'articolo 237-quattordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede al comma 12 che la corretta installazione ed il funzionamento dei dispositivi automatici di misurazione delle emissioni gassose siano sottoposti a controllo da parte dell'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione.
  La taratura di detti dispositivi deve essere verificata, con metodo parallelo di riferimento e con cadenza almeno triennale. In particolare, le norme tecniche per gli impianti di incenerimento di rifiuti contenute nell'allegato 1 al titolo III-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, stabiliscono che la taratura dei sistemi automatici di misurazione deve avvenire in conformità alla norma UNI EN 14181.
  Spetta dunque all'autorità competente provvedere e stabilire le modalità di effettuazione, mediante soggetti appositamente incaricati, alle attività di controllo e di verifica degli impianti, i cui costi sono ripartiti secondo le modalità riportate all'articolo 237-unvicies del decreto legislativo n. 152 del 2006. Pertanto il gestore può effettuare in proprio la taratura dei sistemi di misurazione mentre spetta all'autorità di controllo verificarne la corretta installazione e funzionamento. Per quanto concerne infine i controlli per gli impianti della rete nazionale, di cui all'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, non si ritiene che per essi debba essere prevista alcuna eccezionalità rispetto alle altre tipologie di impianti di incenerimento dei rifiuti.
  Per quanto concerne in particolare il caso della «Iren Rinnovabili», soggetto gestore del termovalorizzatore di Parma, corre l'obbligo di evidenziare che la competenza in materia di autorizzazione di tali impianti, è in carico alle amministrazioni regionali ai sensi dell'articolo 196, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il ministero continuerà a tenersi informato sulla vicenda, svolgendo un'atti vità di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si legge nella risposta data alle interrogazioni al Parlamento europeo E-009582/11 ed E-009629/11, la direttiva 2008/98/CE non definisce quando le ceneri provenienti da incenerimento dei rifiuti siano da ritenere rifiuto pericoloso o non pericoloso, rimandando all'allegato III della medesima direttiva e all'articolo 2 della decisione 2000/532/CE che stabilisce le concentrazioni oltre le quali un determinato rifiuto debba considerarsi pericoloso;
   dal 1° giugno 2015 è entrata in vigore la decisione 2014/995/CE relativa al nuovo elenco europeo dei rifiuti e che modifica la vecchia 2000/532/CE istitutiva del catalogo europeo rifiuti;
   la predetta decisione non ha modificato la disciplina esistente per quanto concerne la gestione delle ceneri pesanti e leggere derivanti dall'incenerimento dei rifiuti, di conseguenza permane la discrezionalità sul loro utilizzo o meno come materia prima secondaria in ragione della concentrazione degli inquinanti in esse contenuti;
   ove le ceneri non siano classificate come pericolose, ne è consentito l'utilizzo come materia prima, anche tramite la miscelazione con altre sostanze, per la realizzazione di sottofondi stradali e la fabbricazione di leganti e altri materiali per l'edilizia;
   nel rapporto ISPRA 2014 sui rifiuti speciali si afferma che, a livello nazionale, i residui di combustione provenienti da attività di trattamento e smaltimento rifiuti, nei quali sono compresi i residui della depurazione dei fumi (ceneri leggere) e le scorie e ceneri dei processi termici di combustione (ceneri pesanti), ammontavano in totale nel 2012 a 7407 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e 31477 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi;
   nel rapporto dell'ARPA Emilia Romagna, le schede monografiche relative ai singoli impianti di incenerimento operanti nel 2011 nella sola regione di riferimento, indicano che il quantitativo di ceneri smaltite in discarica esclusivamente provenienti da inceneritori o coinceneritori di rifiuti (e quindi non riciclate come materia prima) ammontava a 223216 tonnellate, segno evidente di una sostanziale dissonanza fra i dati ISPRA e quelli ARPA-EMR;
   da organi di stampa internazionale si apprende, che in vigenza della nuova legge ambientale del 2012 e tenuto conto del riconoscimento da parte degli stessi produttori della necessità di rispettare precauzioni specifiche, la Francia ha messo a punto un sistema di tracciabilità delle ceneri;
   poiché i rifiuti solidi urbani sono una matrice estremamente disomogenea e a composizione variabile, e la pericolosità o meno delle ceneri di risulta dipende necessariamente dal materiale incenerito, non è dato conoscere a priori se le ceneri in questione siano pericolose o meno;
   Danimarca, Germania, Francia, Regno Unito utilizzano massicciamente il clinker proveniente da incenerimento dei rifiuti per opere di ingegneria e nel campo dell'edilizia;
   il recupero energetico da rifiuti è il penultimo step in ordine di sostenibilità della gestione dei rifiuti solidi urbani e, nonostante questo, è in aumento il ricorso a tale pratica in valore assoluto e relativo (dati ISPRA); i dati sono sconfortanti sia a livello ambientale che sanitario, unitamente ai dati economici dove appare un esborso enorme per incentivare la produzione di energia da impianti a minimo indice di ritorno energetico (EROEI) secondo l’Energy Information Administration degli USA; la gestione delle ceneri appare un ulteriore aggravio economico e ambientale con il rischio di illeciti nella gestione delle stesse –:
   se il Ministro interrogato possa fornire dati in merito al costo della gestione per tonnellata della gestione totale delle ceneri da incenerimento di rifiuti;
   a quanto ammonti effettivamente il dato di produzione delle ceneri pesanti e leggere provenienti dagli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, anche con recupero energetico, in Italia;
   a quanto ammonti effettivamente a livello nazionale la quantità di ceneri riciclate e a quanto quella smaltita in discarica;
   a quanto ammonti la quantità di ceneri esportata come rifiuto speciale e quali siano i maggiori Paesi di destinazione;
   se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative per un sistema di tracciabilità dedicato per le ceneri pesanti e leggere, anche classificate come non pericolose, provenienti da incenerimento di matrici disomogenee e a composizione variabile quali i rifiuti solidi urbani;
   se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative di competenza per la pubblicazione on line dei dati riguardanti le analisi chimiche delle ceneri in uscita da ciascuno degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, prima che esse siano miscelate con altri materiali. (4-09696)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante la disciplina relativa all'incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti, si appresenta quanto segue.
  In linea generale la nuova normativa comunitaria in materia di classificazione dei rifiuti, entrata in vigore a partire dal 1o giugno 2015 (decisione 2014/955/EU e regolamento 2014/1357/EU) adatta i criteri di valutazione delle caratteristiche di pericolo alle procedure di classificazione delle miscele e sostanze pericolose, individuate dal regolamento 2008/1272/CE.
  In base alla nuova normativa, risultano quindi modificati i criteri di attribuzione delle differenti caratteristiche di pericolo nonché i relativi valori limite. Non risulta tuttavia modificata la procedura da seguire per l'individuazione del pertinente codice dell'elenco europeo. I rifiuti individuati esclusivamente da codici pericolosi, ossia da codici privi di corrispondenti voci non pericolose, continuano infatti ad essere automaticamente classificati come pericolosi, così come sono automaticamente classificati come non pericolosi i rifiuti individuati esclusivamente da codici non pericolosi. La valutazione della sussistenza di pericolosità deve essere dunque effettuata, ai fini della classificazione, esclusivamente per quei rifiuti che sono contrassegnati come pericolosi con riferimento specifico o generico al contenuto di sostanze pericolose (le cosiddette «voci specchio»). In tali casi un rifiuto sarà classificato con il codice pericoloso qualora il contenuto delle sostanze pericolose pertinenti sia tale da determinare la sussistenza di una o più delle caratteristiche di pericolo di cui all'allegato III alla direttiva 2008/98/CE. Altrimenti il rifiuto sarà classificato con la corrispondente «voce specchio» non pericolosa.
  Con riferimento ai dati presentati nel Rapporto rifiuti speciali – edizione 2014 si evidenzia la non correttezza di quanto rilevato in sede di interrogazione, i quantitativi indicati nel caso di specie sono infatti desunti dal Rapporto rifiuti speciali, tabelle 1.12 C e 1.13 C del paragrafo 1.4, capitolo 1 «La produzione dei rifiuti speciali secondo la codifica del regolamento (CE) n. 2150 del 2002 relativo alle statistiche sui rifiuti» e, in particolare, sono relativi alla voce 12.4 Residui di combustione per la sola attività economica E38.
  Le suddette tabelle riportano i dati sulla produzione dei rifiuti speciali, elaborati in conformità alla nomenclatura statistica prevista dal citato regolamento (CE) n. 2150 del 2002 secondo un criterio che individua i rifiuti in base alle rispettive caratteristiche merceologiche. A differenza della decisione 2000/532/CE modificata dalla decisione n. 955 del 2014, dove i rifiuti sono individuati in base alla provenienza o alla funzione che riveste un determinato prodotto, il regolamento (CE) n. 2150 del 2002 adotta, infatti, un criterio di identificazione basato sulla composizione chimica dei rifiuti, a prescindere dalla provenienza e dalla loro caratterizzazione come rifiuti urbani o speciali. Ogni categoria è divisa in sottocategorie di rifiuti, identificate da un codice a 3 cifre (xx.x). Le sottocategorie sono, a loro volta, composte di classi contenenti le tipologie di rifiuti (pericolosi e non pericolosi) identificati con i codici dell'elenco europeo dei rifiuti.
  La voce 12.4 Residui di combustione, secondo l'allegato III del regolamento sulle statistiche dei rifiuti, ricomprende le seguenti sotto categorie:
   12.41 Residui della depurazione dei fumi (non pericolosi e pericolosi)
   12.42 Scorie e ceneri di processi di trattamento termico e di combustione (non pericolosi e pericolosi).
  Tali sottocategorie individuano unicamente rifiuti prodotti dai processi termici (capitolo 10 dell'elenco europeo dei rifiuti) e il rifiuto identificato dal codice 06 09 02 scorie fosforose.
  Non rientrano, dunque, nelle citate sottocategorie le ceneri pesanti e leggere (pericolose e non pericolose) provenienti da operazioni di incenerimento o pirolisi di rifiuti (capitolo 1901 dell'elenco europeo dei rifiuti), cui fa riferimento l'interrogazione relativamente ai dati desunti dal rapporto dell'Arpa Emilia Romagna. Tali rifiuti sono, invece, individuati dai seguenti codici dell'elenco europeo dei rifiuti di cui al capitolo 19.01 «Rifiuti da incenerimento e pirolisi dei rifiuti», ricompresi nella sotto categoria dell'allegato III al regolamento (CE) n. 215 del 2002 12.81 «Rifiuti derivanti da operazioni di trattamento dei rifiuti»:

Codice dell'Elenco
europeo dei rifiuti
Descrizione
190111 Ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose
190112 Ceneri pesanti e scorie, diverse da quelle di cui alla voce 190111
190113 Ceneri leggere, contenenti sostanze pericolose
190114 Ceneri leggere, diverse da quelle di cui alla voce 190113

  I dati indicati non risultano, pertanto, confrontabili in quanto afferenti a tipologie di rifiuti diversi. Ad ogni buon fine, si riportano, di seguito, i dati alla produzione ed alla gestione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da operazioni di incenerimento e pirolisi dei rifiuti, per l'anno 2012, a livello nazionale.

Tabella 1 – Produzione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2012

Sotto categoria 12.8 Allegato III al Regolamento (CE) n. 2150/2002

CER Quantità prodotta (tonnellate)
Non pericolosi Pericolosi
190111 104.438
190112 861.205
190113 47.315
190114 46
Totale 861.251 151.753

  Per completezza dell'informazione, si riportano, inoltre, i quantitativi delle ceneri pesanti e leggere provenienti da operazioni di incenerimento e pirolisi dei rifiuti, avviati ad operazioni di recupero/smaltimento di cui agli allegati B e C del decreto legislativo n. 152 del 2006 nonché quelli esportati, nell'anno 2012, a livello nazionale.

Tabella 2 – Gestione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2012
Sotto categoria 12.81 allegato III al regolamento (CE) n. 2150/2002

CER P/NP R3 R4 R5 D1 D10 Totale
(tonnellate)
190111 P 3.868 59.260 22.669 85.797
190112 NP 23 134 629.090 182.974 8 812.229
190113 P 668 53 720
190114 NP 27.664 12 1 27.678
Totale NP 23 134 656.754 182.986 9 839.907
Totale P 0 4.536 59.312 22.669 0 86.517
Totale complessivo 23 4.670 716.067 205.655 9 926.424

Legenda
P: rifiuti pericolosi NP: rifiuti non pericolosi
R3: riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)
R4: riciclo/recupero dei metalli e dei composti metallici
R5: riciclo/recupero di altre sostanze
D1: deposito sul o nel suolo (a esempio discarica)
D10: incenerimento a terra.

Tabella 3 – Esportazione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2012

CER P/NP Quantità (tonnellate) Paese di destinazione
190111 P 23.691 Germania/Austria
190112 NP 3.084 Germania
190113 P 8.610 Germania
190114 NP - -

  Riguardo la produzione delle ceneri pesanti e leggere provenienti dagli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, anche con recupero energetico, in Italia» si riportano gli ultimi dati a disposizione di questo Istituto, afferenti all'anno 2014

Tabella 4 – Produzione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2014
Sotto categoria 12.81 allegato III al regolamento (CE) n. 2150/2002

CER Quantità prodotta (tonnellate)
Non pericolosi Pericolosi
190111 80586
190112 1049952
190113 57221
190114 3197
Totale 1.053.149 137.807

  Riguardo il livello nazionale la qualità di ceneri riciclate e a quanto quella smaltita in discarica, si riportano i quantitativi delle ceneri pesanti e leggere provenienti da operazioni di incenerimento e pirolisi dei rifiuti, avviati ad operazioni di recupero/smaltimento di cui agli allegati B e C del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'anno 2014, a livello nazionale.

Tabella 5 – Gestione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2014
Sotto categoria 12.81 allegato III al regolamento (CE) n. 2150/2002

CER P/NP R3 R4 R5 D1 D10 Totale
(tonnellate)
190111 P 31 76.946 15.594 92.571
190112 NP 16 948.837 146.832 5 1.095.689
190113 P 1.668 1.668
190114 NP 11.450 2 11.452
Totale NP 16 0 960.286 146.832 7 1.107.141
Totale P 0 31 78.614 15.594 0 94.239
Totale complessivo 16 31 1.038.900 162.426 7 1.201.380

Legenda
P: rifiuti pericolosi NP: rifiuti non pericolosi
R3: riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)
R4: riciclo/recupero dei metalli e dei composti metallici
R5: riciclo/recupero di altre sostanze
D1: deposito sul o nel suolo (a esempio discarica)
D10: incenerimento a terra.

  Riguardo la quantità di ceneri esportata come rifiuto speciale e quali siano i maggiori Paesi di destinazione» si riportano, di seguito, i quantitativi delle ceneri pesanti e leggere provenienti da operazioni di incenerimento e pirolisi dei rifiuti, esportati nell'anno 2014.

Tabella 6 – Esportazione delle ceneri pesanti e leggere provenienti da impianti di incenerimento e pirolisi, anno 2014

CER P/NP Quantità (tonnellate) Paese di destinazione
190111 P 5.504 Germania/Austria
190112 NP 3.845 Germania
190113 P 9.945 Germania
190114 NP - -

  Nell'anno 2014, sono state esportate 5.504 tonnellate di rifiuti di «ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose» (CER 190111*). Tale quantitativo è stato esportato nella quasi totalità in Germania, 4.691 tonnellate, solo 813 tonnellate, infatti, sono state esportate in Austria.
  Relativamente ai rifiuti di «ceneri pesanti e scorie» (CER 190112) e ai rifiuti di «ceneri leggere, contenenti sostanze pericolose» (CER 190113*), sono state esportate, rispettivamente, 3.845 tonnellate e 9.945 tonnellate, destinate esclusivamente in Germania.
  Non risultano esportati i rifiuti di «ceneri leggere» (CER 190114).
  Per quanto concerne gli aspetti relativi all'introduzione di un sistema di tracciabilità specificatamente dedicato alla gestione delle ceneri, si evidenzia che essendo comunque tali residui definiti rifiuti, essi rientrano a pieno titolo negli obblighi di cui all'articolo 188-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 il quale stabilisce che, al fine di gestire i rifiuti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza arrecare pregiudizio all'ambiente, la loro tracciabilità, deve essere garantita dalla loro produzione sino alla loro destinazione finale. A tal fine, la loro gestione deve avvenire nel rispetto degli obblighi istituiti attraverso il sistema di controllo della loro tracciabilità (Sistri), oppure nel rispetto degli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonché del formulario di identificazione dei rifiuti stessi. Quindi il sistema per la tracciabilità dei rifiuti esiste indipendentemente dalla classificazione delle ceneri come rifiuti pericolosi o non pericolosi.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 193, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 prescrive che:
    «Per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti e non sono obbligati o non aderiscono volontariamente al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), i rifiuti devono essere accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell'instradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario.»;
   il decreto del Ministro dell'ambiente 1° aprile 1998 n. 145, di cui al comma 6 del predetto articolo 193 del codice ambientale, prevede la possibilità della pesatura «a destino», ovvero di evitare l'indicazione iniziale della quantità dei rifiuti per riservarsi di indicarla una volta raggiunta la destinazione. Pertanto agli interroganti non risulta chiaro quale principio sottende tale norma che evidentemente non può assicurare il controllo totale della pesatura, potenzialmente esposta a pericolosi doli e ipotetici «aggiustamenti», nella quantità dei rifiuti trasportati: tale lacuna, nella fattispecie ivi indicata, può penalizzare la contabilità dei rifiuti, urbani e speciali, nonché la pianificazione ambientale, che potrebbe essere di gran lunga inattendibile;
   la Corte di cassazione Penale, Sez. 3°, 28 gennaio 2014 (udienza del 17 dicembre 2013), con la sentenza n. 3692 ha stabilito fra l'altro che «il formulario di identificazione dei rifiuti (FIR) non ha alcun valore certificativo della natura e composizione dei rifiuto trasportato, trattandosi di documento recante una mera attestazione del privato, avente dunque natura prettamente dichiarativa, con la conseguenza che, a differenza di ciò che avviene per la predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti medesimi e di uso di certificato falso durante il trasporto, non sono applicabili le sanzioni penali stabilite dall'articolo 258 del decreto legislativo n. 152 del 2006 con richiamo all'articolo 483 codice penale»;
   la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 20 giugno 2014 ha confermato la decisione con la quale, in data 6 marzo 2013, il tribunale di Busto Arsizio aveva affermato la responsabilità penale di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 260, gli ultimi due anche per il reato di cui all'articolo 640 c.c., reati concretatisi nell'illecita gestione di ingenti quantitativi di rifiuti al fine di procurarsi un ingiusto profitto consistito, per le società facenti capo a (OMISSIS), separatamente giudicato, nel maggior guadagno derivante dal conferimento di rifiuti già selezionati, conferendo una minor parte o lievitando i carichi di rifiuti movimentati, redigendo falsamente i formulari di trasporto (in (OMISSIS) dal (OMISSIS));
   segnatamente, secondo quanto evidenziato dai giudici del merito, il (OMISSIS), gestore di fatto della «(OMISSIS)», aveva concorso nell'illecita attività che l’(OMISSIS) effettuava in località (OMISSIS), gestendo rifiuti di diversa provenienza, fornendogli copertura mediante la redazione di falsi formulari volta ad individuare la (OMISSIS) come destinatario finale di rifiuti; il (OMISSIS), quale amministratore di fatto della «(OMISSIS)», aveva concorso nell'illecita attività che sempre l’(OMISSIS) aveva posto in essere nell'ambito di una bonifica, gonfiandone fittiziamente i costi attraverso la simulazione di viaggi mai avvenuti, documentati mediante formulari falsi predisposti dal (OMISSIS) dietro compenso; il (OMISSIS), infine, formale appaltatore delle opere di bonifica, in quanto in possesso delle necessarie autorizzazioni, subappaltava le stesse all’(OMISSIS) nella consapevolezza della condotta illecita dello stesso;
   sono vari e frequenti i casi, per dolo o colpa, di errata compilazione del FIR. A titolo esemplificativo e non esaustivo, se ne segnalano alcuni più o meno gravi, accaduti negli ultimi due anni, a significare un'abitudine generalizzata ed estesa a livello nazionale:
    in Abruzzo il titolare e i dipendenti di un'azienda di trattamento rifiuti sottraevano olio vegetale esausto dalle apposite campane e lo trasportavano facendo uso di FIR compilati con dati falsi;
    al Lido degli Estensi, in Ferrara, un anno fa, due cittadini romeni pregiudicati sono stati fermati per trasporto illecito di rifiuti, riscontrando fra l'altro la compilazione del FIR con dati falsi;
    in Lombardia meridionale è stato scoperto un traffico illecito di rifiuti (in particolare fanghi) a carico dei vertici della CRE spa: a detta degli inquirenti, il modus operandi ideato dai vertici della C.R.E. spa era ben consolidato anche tra gli altri soggetti coinvolti nella gestione del rifiuto (trasportatori e aziende agricole) e veniva attuato secondo le seguenti fasi: scorretto tracciamento, attraverso false indicazioni sui formulari dei pesi e delle caratteristiche, del rifiuto e quindi percentuale di sostanza secca non rispondenti al vero, riutilizzo dello stesso formulario per più trasporti, comunicazioni di dati falsi alle autorità preposte al rilascio dell'autorizzazione per l'utilizzo agronomico dei fanghi, mancato rispetto di procedure e condizioni previste per ottenere la certificazione ISO 14001.2004 e falsificazioni delle analisi dei terreni;
    a Rho, in provincia di Milano, è stato scoperto uno smaltitore abusivo che si serviva fra l'altro di FIR falsi per certificare l'avvenuto smaltimento (e di conseguenza ottenere il pagamento) di rifiuti mai smaltiti;
    a Tortona, in provincia Alessandria, è in corso un'inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti. L'accusa sostiene che i reati contestati (fra cui la certificazione di trasporti mai effettuati e l'artificioso aumento delle quantità di rifiuti trasportate) sono stati possibili, tramite una falsificazione dei FIR;
   da fonti di stampa (il Corriere della Sera del 2 agosto 2016, pagina 9, a firma di Ernesto Menicucci) risulta che a Roma, in base a quanto dichiarato dall'assessore Paola Muraro, i formulari di identificazione dell'azienda AMA sarebbero difformi addirittura di un 60-70 per cento rispetto a quanto in origine caricato sui mezzi –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dell'evidente vetustà ed inadeguatezza del formulario di identificazione rifiuti, assumere iniziative normative che ne disciplinino l'aggiornamento prevedendo, fra l'altro, l'eliminazione della possibilità della pesatura «a destino» dei rifiuti;
   se non ritenga opportuno approfondire, per quanto di competenza, se corrisponda al vero quanto apparso sulle fonti di stampa e, nel caso di un riscontro positivo, estendere la verifica a livello nazionale per l'effettiva attendibilità delle informazioni trasmesse tramite i FIR;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per razionalizzare i criteri di contabilizzazione dei rifiuti in modo da ottenere dati funzionali ad una pianificazione basata su cifre reali, anche prendendo in considerazione il ripristino del reato penale per le compilazioni difformi dei FIR, a suo tempo abolito dal decreto legislativo n. 205 del 2010. (4-14146)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al formulario di identificazione dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il formulario d'identificazione del rifiuto è preposto all'accompagnamento dei trasporti di rifiuti effettuati da enti o imprese. Il produttore del rifiuto, nel compilare la casella 6 del formulario denominata «Quantità», è tenuto a indicare la quantità di rifiuti trasportati, espressa in Kg o litri.
  Per ragioni dovute alla natura del rifiuto e/o all'indisponibilità di un sistema di pesatura, tale indicazione può risultare approssimativa e stimata; il produttore, pertanto, deve indicare una stima il più possibile coerente con la realtà e contrassegnare la casella «Peso da verificarsi a destino», in modo da rinviare al destinatario il rilievo del peso con gli strumenti idonei.
  Conseguentemente, il produttore, all'atto della registrazione del movimento nel registro di carico e scarico, deve indicare nelle annotazioni che il peso è stimato. Entro 90 giorni dalla partenza del rifiuto, il produttore riceve dal trasportatore la quarta copia riportante il peso a destino. A seguito della pesata da parte del destinatario, può verificarsi una non corrispondenza tra la quantità in partenza e quella riscontrata a destinazione. Tale divergenza viene gestita dal produttore indicando sulla copia stampata del proprio registro di carico e scarico, nella casella «Annotazioni» del movimento inerente allo scarico, la quantità effettiva di rifiuti, aggiungendovi anche data e firma. Qualora venga utilizzato dal produttore un programma informatico per la gestione dei movimenti, questo dovrà provvedere a ridimensionare conseguentemente i relativi movimenti di carico.
  A chiarire, inoltre, la problematica relativa al «peso» è intervenuta la circolare interministeriale n. 812 del 4 agosto 1998 che alla lettera t) chiarisce che «alla voce «quantità», casella 6, terza sezione, dell'allegato B, al decreto ministeriale n. 145/1998, deve sempre essere indicata la quantità di rifiuti trasportati. Inoltre, dovrà essere contrassegnata la casella «(.)» relativa alla voce «Peso da verificarsi a destino» nel caso in cui per la natura del rifiuto o per l'indisponibilità di un sistema di pesatura si possano, rispettivamente, verificare variazioni di peso durante il trasporto o una non precisa corrispondenza tra la quantità di rifiuti in partenza e quella a destinazione».
  Gli attuali strumenti di contabilità dei rifiuti, seppur migliorabili, appaiono idonei a soddisfare il sistema attuale di raccolta dati e a garantire l'attendibilità stessa dei dati in essi contenuti.
  In ogni caso, si evidenzia che questo dicastero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sta interessando una porzione importante della regione Veneto abitata da oltre 300.000 persone. Lo stabilimento accusato di essere il maggiore responsabile dell'inquinamento è la Miteni di Trissino (Vicenza), che ancora produce le sostanze incriminate, interferenti endocrine e potenzialmente cancerogene. I limiti di legge (regionale) allo scarico in Veneto derivano da una nota inviata alla Regione Veneto dall'Istituto superiore di sanità che ha proposto di «applicare agli scarichi nei corpi idrici, limiti non dissimili ai livelli di performance (obiettivo) già indicati per le acque trattate destinate al consumo umano. Nello specifico: PFOS ≤ 0,03 μg/L, PFOA ≤ 0,5 μg/L, PFBA ≤ 0,5 μg/L e altri PFAS ≤ μg/L», indicazioni che sono state inserite nel decreto del direttore della sezione tutela ambiente della regione Veneto, n. 37 del 29 giugno 2016;
   manca una chiara definizione normativa in merito all'esportazione di rifiuti e prodotti contaminati da PFAS; i fanghi di depurazione per esempio concentrano i PFAS, così come i reflui della concia di pellami impermeabilizzati con PFAS;
   con l'interrogazione presentata dal primo firmatario del presente atto Zolezzi n. 5/07855 del 22 febbraio 2016 era stato chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come intendesse evitare l'estensione dell'inquinamento da PFAS in altre aree;
   in provincia di Mantova alcuni impianti a biogas, come quello della società agricola Curtatone Biogas a Buscoldo di Curtatone, continuano a utilizzare matrici provenienti dal settore conciario veneto, in maniera che appare non conforme alle norme vigenti come si evince dalla risposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'interrogazione presentata dal primo firmatario del presente atto n. 5/02653 e nonostante successivo esposto alla procura di Mantova;
   lo stabilimento Indecast di Castiglione delle Stiviere (Mantova) riceve percolati (5.300 metri cubi nel secondo trimestre del 2016) da trattare provenienti dalla discarica della Pro.geco ambiente di San Martino B/A (Verona); dai dati dell'ARPA Veneto risulta che tali percolati contengono 37.000 ng/L di PFAS, 1910 ng/L di PFOS (il limite agli scarichi in Veneto è 30 ng/L) e non risulta vengano filtrati in alcun modo i PFAS, né è noto dove vengano smaltiti i reflui –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di assumere ogni iniziativa necessaria, anche normativa, al fine di interrompere l'esportazione interregionale di PFAS in qualsiasi forma, anche nella prospettiva di pervenire alla chiusura della linea produttiva dei PFAS attiva alla Miteni dove lavorano 13 dipendenti;
   se non intendano monitorare l'estensione causata da tale inquinamento e promuovere opportune misure di salvaguardia ambientale atte a bloccare l'inquinamento da PFAS nelle zone di esportazione, come nella provincia di Mantova. (4-14574)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche nella regione Veneto, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Le sostanze perfluoroalchiliche sono composti formati da una catena alchilica di lunghezza variabile totalmente fluorurata e da un gruppo funzionale costituito da un acido carbossilico o solfonico. Le sostanze a catena lunga appartenenti a questa famiglia chimica, maggiormente utilizzate in passato sono l'acido perfluorottanoico (PFOA) e l'acido perfluorottansolfonico (PFOS).
  Il PFOA, con il regolamento (UE) n. 317 del 2014, è stato inserito nell'allegato XVII al regolamento (CE) n. 1907 del 2006 («regolamento REACH»), che stabilisce restrizioni per le sostanze tossiche per la riproduzione. Grazie a tali restrizioni, il PFOA non è più immesso sul mercato per la vendita al pubblico come sostanza o come componente di miscele di più sostanze.
  Il PFOS, con il regolamento (UE) n. 757 del 2010, è stato inserito, a causa delle sue proprietà di persistenza nell'ambiente e bioaccumulo, nell'allegato I al regolamento (CE) n. 850 del 2004, che attua la Convenzione internazionale di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti. A seguito di tale inserimento, la produzione, l'immissione in commercio e l'uso del PFOS sono stati vietati in tutti i Paesi dell'Unione europea.
  Infine, con il decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172, che recepisce la direttiva 2013/39/UE per le sostanze prioritarie nel settore delle acque, è stato fissato lo «standard di qualità ambientale» relativo al PFOS.
  Per quanto riguarda le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, non sono state attivate dalla Commissione europea procedure per l'adozione di restrizioni in relazione a specifiche caratteristiche di pericolosità ambientale o sanitaria. La Norvegia ha recentemente avviato un'attività di valutazione per stabilire se una di queste sostanze (PFBS, numero CAS 375-73-5) risponda ai criteri stabiliti dal regolamento REACH per l'identificazione delle sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT) o molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB). Al termine di tale processo di valutazione, tuttora in corso, l'agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e gli stati membri dell'Unione europea stabiliranno se per questa sostanza perfluoroalchilica a catena corta occorra adottare specifiche misure di gestione del rischio o particolari restrizioni.
  Maggiori informazioni sulla eventuale pericolosità delle sostanze attualmente utilizzate, comprese le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, potranno essere messe a disposizione delle autorità nazionali e della Commissione europea, oltre che dell'ECHA, non appena sarà completata la fase di registrazione delle sostanze chimiche presenti sul mercato, la cui conclusione è prevista, ai sensi del regolamento REACH, entro il 31 maggio 2018.
  In relazione agli aspetti relativi alla definizione dei valori soglia concernenti i PFAS per le acque sotterranee, riportati nel decreto ministeriale del 6 luglio 2016, si precisa quanto segue.
  Il decreto ministeriale 6 luglio 2016 (pubblicato in gazzetta il 16 luglio 2016) con cui sono stati fissati i valori soglia (VS) che definiscono il buono stato chimico delle acque sotterranee, costituisce l'atto di recepimento della direttiva 2014/80/UE per la protezione delle acque sotterranee e fa seguito ad un'attività già avviata da anni dal Ministero dell'ambiente e che ha portato nell'ottobre del 2015 alla formalizzazione del citato decreto legislativo n. 172 del 2015 che, in attuazione della direttiva 2013/39/UE, definisce altresì gli standard di qualità ambientale (SQA) per le acque superficiali.
  Tali provvedimenti sono il frutto di un lavoro intenso portato avanti nell'ambito di un gruppo tecnico di lavoro appositamente costituito nel 2013 e coordinato dal Ministero dell'ambiente, di cui fanno parte esperti dei principali istituti scientifici nazionali (ISPRA, CNR-IRSA, ISS).
  Nella fissazione di tali valori il gruppo tecnico ha applicato le procedure rigorose disciplinate a livello europeo nell'ambito della direttiva quadro 2000/60/CE, facendo riferimento in particolare alle linee guida emanate dalla Commissione europea, « Guidance on groundwater status and trend assessment» n. 18 del 2009 e « Technical Guidance for deriving environmental quality standards» (TGD-EQS) n. 27 del 2011.
  L'intera procedura è della massima trasparenza e tutti i dati utilizzati e i calcoli effettuati sono stati pubblicati in una rivista internazionale sottoposta a referaggio internazionale indipendente (Valsecchi et al; 2016) e sono disponibili sul sito (https://www.researchgate.net/publication/301743024 Deriving environmental quality standard sfor perfluorooctanoic acid PFOA and related short chain perfluorinated alkvl acids ?ev=prf pub e https://www.researchgate.net/publication/302961889 Dossiers for EPS PFAS-SupplMaterial JHM ?ev=prf pub).
  Per ciascuna sostanza presa in esame sono stati calcolati standard di qualità (QS) per ciascuno degli obiettivi di protezione previsti dalla TGD-EQS, purché risultino disponibili dati di quantità e qualità sufficiente alla definizione degli stessi secondo i requisiti della TGD-EQS stessa. Una volta stabiliti gli standard di qualità per ciascuno degli obiettivi di protezione, inclusa la protezione della salute umana per il consumo di acqua potabile, il valore più protettivo tra tutti questi è stato adottato come standard di qualità ambientale (SQA) per quella sostanza.
  Si evidenzia che l'applicazione della suddetta procedura di derivazione dei VS e degli SQA richiede ovviamente la disponibilità dei dati di monitoraggio, ragion per cui è stato possibile definire i suddetti parametri solo per alcuni PFAS.
  Successivamente, allorché a seguito dell'attuazione dei programmi di monitoraggio previsti nei piani di gestione relativi al sessennio 2015-2021 aumenterà la disponibilità di dati, sarà possibile inserire, nella valutazione dello stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei altri composti appartenenti alla famiglia dei PFAS.
  È inoltre necessario evidenziare che il gruppo di lavoro, tenendo conto della metodologia prevista dalla direttiva 2000/60/CE, ha deciso di derivare valori per sostanze singole e non per sommatorie di sostanze per le quali l'incertezza valutativa e analitica risulta maggiore.
  A valle della descrizione del percorso seguito per la definizione dei valori soglia per le acque sotterranee, si sottolinea che tali valori concorrono a stabilire il buono stato chimico dei corpi idrici sotterranei e discendono da metodologie di derivazione e scopi diversi dai limiti sanitari delle acque potabili. Essi sono comunque ricavati tenendo conto di tutti i dati di tossicologia umana ed ambientale presenti nella letteratura scientifica, come previsto dalla linea guida CIS (Common Implementation Strategy) n.18 « Groundwater status and trend assessment» e dalla direttiva europea per la protezione delle acque sotterranee (2006/118/CE).
  Bisogna altresì ricordare che la maggior parte delle acque, anche se estratte da pozzi che attingono a falde sotterranee, vengono sottoposte a trattamento di abbattimento degli inquinanti e disinfezione, per cui non vi è nessuna controindicazione al fatto che i valori soglia per le acque sotterranee o anche gli SQA per le acque superficiali siano superiori ai limiti di potabilità, pur tenendo conto che è necessario minimizzare al massimo i trattamenti di potabilizzazione, come prevede la direttiva quadro sulle acque.
  I limiti per le acque potabili proposti dall'istituto superiore di sanità (ISS) si basano prioritariamente su criteri sanitari, nonostante le incertezze sugli aspetti tossicologici che emergono dalla letteratura più recente, affermando contestualmente la necessità che tali sostanze siano «assenti» e per tale ragione si indicano dei limiti di performance, basati sulle BAT (Best Available Techniques – migliori tecniche disponibili) di rimozione dei contaminanti.
  I limiti definiti per i PFAS nelle acque destinate al consumo perseguono l'obiettivo di raggiungere, anche attraverso trattamenti di potabilizzazione delle acque captate basati sulle migliori tecnologie, la «virtuale assenza» dei composti prima del consumo. Tale aspetto si inquadra nei criteri espressi al considerando (8) della direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano secondo cui «per consentire alle imprese erogatrici di rispettare le norme di qualità per l'acqua potabile, occorre garantire – grazie a idonee misure di protezione delle acque – la purezza delle acque di superficie e sotterranee; che lo stesso scopo si può raggiungere applicando opportune misure di trattamento delle acque prima dell'erogazione». I valori parametrici per le acque potabili possono essere definiti anche ampiamente al di sotto di soglie di sicurezza basate su criteri tossicologici e tale approccio ha ispirato la fissazione dei limiti sulle acque potabili in Veneto considerando la natura antropogenica dei PFAS che non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano.
  Inoltre, l'Istituto superiore di sanità, nel luglio 2016, ha comunicato che a seguito di incontri con le competenti autorità della regione Veneto, sono stati definiti gli obiettivi del monitoraggio, e il relativo piano di campionamento e analisi. Tali attività interesseranno i campioni più rappresentativi delle produzioni locali, sia vegetali che animali e si svilupperanno a decorrere dal mese di settembre 2016 per terminare a gennaio 2017.
  Sempre con riferimento alle questioni riguardanti l'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nella regione Veneto, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente ha coinvolto gli enti territoriali competenti per l'esecuzione degli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e l'attivazione delle misure a tutela dei corpi idrici. In particolare, sono state assunte una serie di iniziative tra cui la stipula nel 2011 di una convenzione con l'istituto di ricerca sulle acque del CNR per la realizzazione di uno studio del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani.
  Nel corso del 2013 lo stesso Ministero, rendendo noti all'ARPA Veneto i risultati dello studio compiuto dall'istituto di ricerca sulle acque dai quali era emersa in particolare la presenza anomala di PFAS in diversi corpi idrici superficiali e nei punti di erogazioni pubblici delle acque della provincia di Vicenza e comuni limitrofi, sollecitava gli accertamenti necessari ad individuare la fonte di immissione delle sostanze e delle conseguenti iniziative di tutela delle acque. L'ARPAV, a seguito di un'ampia attività di monitoraggio, anche sulle possibili sorgenti secondarie, confermando la contaminazione da PFAS, presente nelle acque superficiali e sotterranee di alcuni comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova, provvedeva a delimitare l'area coinvolta, delineando il plume di contaminazione delle acque sotterranee, individuando i corsi d'acqua maggiormente interessati.
  Sempre l'ARPAV, definita la sorgente principale di contaminazione da PFAS, avviate le procedure di bonifica del sito e di contenimento del contaminante, a partire dal 2014, oltre alle province, ritenne di estendere il monitoraggio in ambito regionale.
  Tra le iniziative adottate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare occorre evidenziare che è stato inoltre istituito un gruppo tecnico di lavoro, tra gli esperti degli istituti scientifici nazionali (CNR IRSA, ISS e ISPRA) per la fissazione di standard di qualità ambientale (SQA) per la valutazione dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali e di valori soglia (VS) per la valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee al fine di effettuare i relativi adeguamenti della normativa tecnica vigente.
  Il suddetto gruppo di lavoro, a conclusione della propria attività, nel novembre 2014, ha inviato al Ministero dell'ambiente una proposta tecnica relativa alla definizione dei suddetti standard di qualità e valori soglia e lo stesso Ministero ha avviato il relativo iter per l'adeguamento normativo. Per quanto riguarda le acque superficiali, gli standard di qualità ambientale sono stati inseriti nel decreto legislativo n. 172 del 2015, con cui è stata recepita la direttiva 2013/39/UE sulle sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque. Nel citato decreto è stato altresì inserito l'obbligo per le regioni e le province autonome nel cui territorio è stata evidenziata la presenza di tali sostanze in concentrazioni superiori agli standard di qualità ambientale, di elaborare uno specifico programma di monitoraggio ed un programma preliminare di misure relative a tali sostanze, da inserire nel piano di gestione. Per quanto riguarda, invece, i valori soglia nelle acque sotterranee, l'istituto superiore di sanità ha provveduto nel 2015 a definire le concentrazioni soglia di contaminazione (C.S.C.), valori che sono stati successivamente definiti nel decreto ministeriale di luglio 2016 di recepimento della direttiva 2014/80/UE, sulla protezione delle acque sotterranee.
  Parallelamente, sempre prima della pausa estiva del 2016, in materia di contaminazione da PFAS è stato messo a punto dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare uno schema di accordo novativo finalizzato all'aggiornamento dell’«Accordo integrativo per la tutela delle risorse idriche del bacino del Fratta – Gorzone (...)». Tra le finalità dell'accordo, che dovrebbe essere sottoscritto a breve, con riferimento ai PFAS, è stata prevista tra l'altro, la riduzione dell'utilizzo e dello scarico delle sostanze perfluoro-alchiliche, la progressiva riduzione delle concentrazioni dei composti perfluoro-alchilici nelle acque superficiali e sotterranee, l'individuazione delle condizioni operative e degli interventi necessari atti a garantire la fornitura di acqua potabile di qualità nel perseguimento dell'obiettivo di tutela della salute pubblica. Per il perseguimento delle finalità dell'accordo novativo, è prevista la sottoscrizione da parte dei soggetti interessati di uno specifico accordo di programma attuativo.
  Da ultimo, si segnala che recentemente il Consiglio dei ministri ha approvato, in via definitiva, il decreto del Presidente della Repubblica che semplifica la disciplina di gestione delle terre e rocce da scavo ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014 n.133 convertito, con modifiche, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (trasmesso per la firma del Presidente della Repubblica).
  Nello specifico, il provvedimento definisce un quadro normativo di riferimento completo, chiaro e coerente con la disciplina nazionale e comunitaria, assorbendo in un testo unico le numerose disposizioni oggi vigenti che disciplinano la gestione e l'utilizzo delle terre e rocce da scavo.
  Il testo unico sulle terre e rocce da scavo è una novità legislativa, un valore aggiunto per l'ambiente, l'economia circolare e la competitività del nostro sistema paese che introduce una nuova disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo.
  Il testo unico inoltre consentirà di migliorare la tutela delle risorse naturali e allo stesso tempo di perseguire obiettivi di competitività del sistema, quali l'abbassamento dei costi connessi all'approvvigionamento di materia prima dovuta al maggiore utilizzo delle terre e rocce come sottoprodotti, la riduzione dell'utilizzo di materiale di cava, un minore ricorso allo smaltimento in discarica, la previsione di tempi certi e celeri per l'avvio dei lavori nei cantieri.
  Tra gli elementi più rilevanti di semplificazione si segnala che il nuovo decreto prevede che i soggetti pubblici e privati possano confrontarsi con le agenzie regionali e provinciali per le verifiche preliminari istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli previsti per legge.
  Con riferimento alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche delle matrici ambientali, con particolare riferimento alle acque interne superficiali e di falda, nel Veneto, in special modo nell'ambito delle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, ed il rapporto della presenza di questi composti con il progetto dell'alta velocità-alta capacità Verona-Padova – primo lotto Verona Porta Nuova-Bivio Vicenza, ed agli usi di acque e terre e rocce da scavo connessi con la realizzazione delle opere progettuali previste, si rappresenta, infine, che il progetto «Linea Ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità Verona Padova – I lotto funzionale Verona – Bivio Vicenza» è attualmente all'esame della Commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS.   
  A seguito di un'approfondita istruttoria tecnica, nel mese di aprile 2016, la commissione ha ravvisato la necessità di acquisire documentazione integrativa e di approfondimento. Tale richiesta di elementi integrativi ha interessato anche le tematiche evidenziate nell'interrogazione in questione. Ad oggi sono in corso di svolgimento le attività istruttorie della commissione che terranno in debita considerazione, nella redazione degli atti istruttori.
  Per quanto utile, si rappresenta, infine, che tutta la documentazione progettuale presentata nel corso dell'istruttoria, insieme con le osservazioni ed i pareri degli enti locali pervenuti nel corso dei procedimento di valutazione ambientale, sono disponibili sul portale delle valutazioni ed autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'indirizzo http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/33.
  Sulla questione sono comunque interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori ed utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.