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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 28 novembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1988 il 1o dicembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale per la lotta contro l'AIDS, finalizzata all'informazione e alla sensibilizzazione nonché alla verifica dei risultati alla lotta a questa gravissima malattia;
    dall'inizio dell'epidemia, circa 35 anni fa, l'aids ha fatto nel mondo 35 milioni di morti e 70 milioni di contagiati;
    le terapie antiretrovirali hanno permesso di controllare la malattia, ma non tutti nel mondo hanno uguale possibilità di accedervi: solo 17 milioni di persone, che è comunque il doppio di quanti erano in cura nel 2010 (dati rapporto UNAIDS Conferenza di Durban 2016);
    oggi in Italia le persone con Hiv, secondo dati forniti in occasione del 15o Congresso internazionale della SIMIT (Società italiana di malattie infettive e tropicali), sono oltre 90.000, attualmente o in terapia o in contatto con i centri specializzati. Si stima che ce ne siano altre 20.000/30.000 che non sono consapevoli dell'infezione o non sono in contatto con i centri. Delle circa 4.000 nuove diagnosi di infezione registrate ogni anno, oltre la metà è diagnosticata quando l'infezione è già in uno stadio avanzato. Un dato, quest'ultimo, che non accenna a diminuire nonostante ormai si sappia, ma evidentemente non abbastanza, quali comportamenti preventivi sia necessario tenere;
    secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità nel 2015, sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un'incidenza di 5,7 nuovi casi di infezione da HIV ogni 100.000 residenti. Un dato che segna un calo del 10 per cento rispetto alle 3.850 nuove diagnosi del 2014, le regioni con l'incidenza più alta sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia-Romagna;
    sempre secondo questo rapporto l'Italia si colloca al 13o posto in termini di incidenza delle nuove diagnosi HIV tra le nazioni dell'Unione europea;
    secondo i dati del bollettino del sistema di sorveglianza Hiv/Aids dell'Istituto superiore di sanità i casi di Hiv pediatrico a causa della trasmissione materno infantile sono in ripresa: 9 casi registrati nel 2013-14 rispetto ai 4 del 2007-08;
    il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e il sistema di sorveglianza dei casi di AIDS costituiscono due basi di dati che vengono permanentemente aggiornate dall'afflusso continuo delle segnalazioni inviate al centro operativo AIDS (COA) dell'Istituto superiore di sanità (ISS) con l'obiettivo di avere un quadro aggiornato della frequenza e della distribuzione dei casi ossia quanta gente viva con l'Hiv e quante persone raggiungano lo stadio dell'Aids in Italia;
    secondo un'inchiesta condotta dalla associazione LILA pare però che i circa 4.000 casi di HIV che si registrano ogni anno non sia totalmente veritieri ma siano invece sottostimati. Non esistono dati oggettivi su quanti test per l'Hiv vengano somministrati nel nostro Paese, né se sono in diminuzione, poiché l'osservatorio riceve le segnalazioni dei casi positivi ma non di quelli negativi;
    gli stessi responsabili del sistema di sorveglianza parlano di dati certamente sottodimensionati. La dottoressa Barbara Suligoi, direttrice del centro operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità afferma in un'intervista che la sovrapposizione di due analoghi sistemi di sorveglianza istituiti da due leggi diverse possono portare a una perdita stimabile anche superiore al 10 per cento delle nuove diagnosi. Sembra infatti assodato che gli operatori sanitari tendano a registrare i nuovi casi solo in un registro piuttosto che in entrambi;
    sia nel resto del mondo che nel nostro Paese questa malattia non è stata sconfitta, semmai essa non è più all'attenzione dell'opinione pubblica con gravi conseguenze anche sul piano della prevenzione. Infatti nel nostro Paese il rapporto sessuale non protetto è la prima causa di infezione, e l'Italia è all'ultimo posto in Europa nell'uso del profilattico. L'inadeguata percezione del rischio di AIDS tra la popolazione è quindi ancora molto alta, come è diffusa l'errata convinzione che la malattia riguardi solo particolari categorie di persone «a rischio», ad esempio i tossicodipendenti e gli omosessuali. Al contrario, negli ultimi anni la prima causa di contagio da HIV sono i rapporti eterosessuali non protetti e a causa di una serie di fattori biologici, sociali e culturali in questo periodo a essere particolarmente esposte al rischio di contrarre l'infezione sono le donne;
    pesante rimane invece lo stigma contro chi ha contratto la malattia. Si pensi che il 37 per cento degli italiani non si è mai sottoposto al test HIV e il 5 per cento delle persone che vivono con HIV non lo avrebbe mai detto al proprio partner. Il 40 per cento non rivela ai familiari di aver contratto il virus e il 74 per cento non lo dichiara nel contesto lavorativo. Drammatica la situazione dei figli contagiati durante la gravidanza. Secondo i dati 2012/13 raccolti nel registro pediatrico tenuto dall'ospedale Anna Meyer di Firenze, oggi ci sono 656 tra giovani e adolescenti che hanno acquisito l'Hiv dalla madre negli anni ’80-’90, che continuano ad essere discriminati ed emarginati dalla comunità e dalle istituzioni, proprio perché manca informazione e consapevolezza sulla trasmissione del virus che non impedisce le normali relazioni con gli altri;
    è grave che, nel 2016, in Italia una donna in gravidanza non venga sottoposta al test Hiv e che questo abbia comportato la trasmissione del virus al figlio. Le linee guida sulla gravidanza prevedono che a tutte le donne in gravidanza sia eseguito il test Hiv, uno nel primo trimestre e uno nell'ultimo trimestre della gestazione, poiché permettono di escludere l'infezione da Hiv nella madre oppure di assicurarle le terapie che impediscono la trasmissione materno-infantile del virus. Anche recenti episodi di cronaca hanno portato all'attenzione casi nei quali ciò non è avvenuto. Emblematico è il caso del trentenne romano (Valentino) in carcere per aver trasmesso il virus a molte donne una delle quali purtroppo lo avrebbe trasmesso a suo figlio durante la nascita. A questa donna è evidente che nessuno dei due test è stato somministrato ed oggi il bambino ne paga le conseguenze;
    la terapia farmacologica oggi ha elevato di molto le prospettive di vita ma non la qualità, si tratta di una vita comunque sempre sotto controllo, perché questo è un virus che accelera il processo di invecchiamento;
    la riduzione di nuovi casi di malattia conclamata non è infatti tanto attribuibile ad una riduzione delle infezioni da Hiv, quanto piuttosto alle nuove terapie di farmaci antiretrovirali che hanno allungato in modo significativo il periodo di tempo che trascorre tra l'infezione e la malattia;
    la giornata per la lotta all'aids, oltre a mantenere viva la memoria delle tante persone scomparse nei 35 anni di epidemia, ha l'obiettivo di mantenere e rinforzare l'informazione sulla necessità di prevenire il contagio, incrementare il sostegno alle persone con infezione da HIV (riduzione dello stigma), sensibilizzare le persone ad eseguire il test per l'HIV (prevenire nuovi casi) e, non ultimo, supportare le persone che tutti i giorni lavorano e studiano in questo ambito della medicina,

impegna il Governo:

1) ad avviare campagne informative e/o di pubblicità progresso, rivolte soprattutto ai giovani, per diffondere la cultura e la conoscenza delle patologie parenterali o sessualmente trasmesse ma anche per educare alle buone pratiche e alla prevenzione;
2) ad attivarsi con iniziative di informazione e comunicazione sia verso i cittadini che nei confronti della classe medica affinché sia garantito il rispetto delle linee guida sulla gravidanza per quanto riguarda il test dell'Hiv;
3) ad avviare, con il coinvolgimento dei Ministeri interessati, programmi nazionali per la prevenzione della trasmissione e il contrasto dello stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini, soprattutto rivolti alle donne, nel mondo della scuola e nel mondo socio-sanitario;
4) ad adoperarsi affinché sia definitivamente operativa l'unificazione dei due registri HIV e AIDS, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione dell'infezione.
(1-01437) «Lenzi, Amato, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Capone, Casati, D'Incecco, Fossati, Patriarca, Piazzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10 della Costituzione italiana sancisce che: «l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici»;
    l'immigrazione è un fenomeno strutturale complesso che nel tempo ha modificato il tessuto sociale ed economico italiano. I Governi che si sono succeduti sono risultati incapaci di concepire strategie di lungo periodo, affrontano la gestione dell'immigrazione con provvedimenti di tipo emergenziale o provvisorio, specie per quanto concerne l'accoglienza, senza sinora ricercare la definizione di indirizzi ad ampio spettro che per essere efficaci dovrebbero coinvolgere sia i soggetti istituzionali che la società civile. È mancata la capacità e, talvolta, la volontà di proporre soluzioni lungimiranti e coerenti con l'imponenza del fenomeno come risulta evidente ad esempio dall'inadeguatezza del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, volto a recepire le direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, di cui si è ancora in attesa di un regolamento attuativo che ne dipani i punti d'ombra;
    data la sua complessità e ampiezza, la gestione del fenomeno investe diversi ambiti della vita dei migranti e del Paese ospitante; eppure al momento la normativa in materia di immigrazione appare notevolmente frammentata, come dimostrato dalla presenza di numerose circolari che disciplinano importanti prassi, ed ogni Ministero interviene per gli ambiti di propria competenza spesso senza tenere in alcuna considerazione altri ambiti che inevitabilmente risultano connessi;
    si osserva una chiara situazione di urgenza ma non di emergenza; infatti, stando ai dati disponibili forniti dall'UNHCR gli arrivi via mare nel 2016 nel periodo 1o gennaio-31 ottobre sono di 334,374 migranti di cui 159,410 in Italia e 169,993 in Grecia; è tragica invece la stima dei decessi o dispersi in mare pari a 4,220 persone;
    i dati disponibili dimostrano che gli sbarchi di migranti sulle coste italiane rappresentano numeri perfettamente gestibili se si considera la popolazione residente di circa 60,6 milioni e che non possono rappresentare in alcun modo una minaccia sistemica, come alcuni vorrebbero invece sostenere;
    nel periodo gennaio/marzo 2016 le domande di protezione internazionale presentate sono state 16.080, riconfermando inoltre il dato secondo cui l'intero sistema d'asilo è caratterizzato da tempi lunghissimi di attesa in ciascuna delle fasi che lo compongono (dalla convocazione in commissione territoriale, ufficio preposto alla valutazione delle istanze d'asilo presentate, all'attesa dell'esito dell'udizione o del giudizio in caso di ricorso giurisdizionale avverso il diniego della commissione);
    i migranti che giungono in Italia in maniera non regolare, in assenza di valide alternative, si affidano a organizzazioni criminali senza scrupoli, spesso dietro il riconoscimento di ingenti somme di denaro o contraendo debiti;
    l'Italia ha perso la grande opportunità di attuare delle politiche di gestione dell'immigrazione tali da fare scuola nel resto d'Europa, complice l'impatto graduale dell'immigrazione anche da un punto di vista numerico. I Governi che si sono succeduti negli ultimi vent'anni avrebbero potuto osservare il trend del fenomeno e attuare di pari passo politiche coerenti e lungimiranti, consentendo oggi una gestione del fenomeno sicuramente più efficace ed efficiente, ma così non è stato. Per recuperare questa possibilità e per evitare l'acuirsi di forti tensioni sociali e garantire la tutela del diritto su cui il nostro Paese si fonda è necessario intervenire in maniera radicale;
    si riscontra una generale tendenza a strumentalizzare le tematiche di discussione inerenti all'immigrazione, tralasciando, spesso consapevolmente, di informare in merito alle opportunità che questa importante sfida potrebbe offrire al nostro Paese. Ad esempio, dal pinto di vista economico è poco noto il dato secondo cui gli immigrati regolari in Italia producono circa l'8,8 per cento del prodotto interno lordo per una cifra complessiva di oltre 123 miliardi di euro, cifra di gran lunga superiore agli investimenti in loro favore (dati dossier «Il valore dell'immigrazione» – Fondazione Leone Moressa). Sono da considerare anche i fondi europei per le politiche di accoglienza, integrazione e politiche di rimpatrio a cui l'Italia accede (FAMI – fondo asilo, migrazione e integrazione) pari a 63 milioni di euro per l'annualità in corso;
    il regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III) è la terza versione di norme sempre accettate dai precedenti Governi italiani, nonostante fossero stati evidenti sin dall'inizio i limiti della normativa. Il regolamento «Dublino III» definisce lo Stato competente ad esaminare una domanda di protezione internazionale. I criteri di determinazione sono vari, tra questi spicca, specialmente in relazione alle peculiarità del caso italiano (posizione geografica rispetto ai flussi migratori) la competenza del primo Stato membro di arrivo del richiedente. Questo aspetto implica un ovvio carico per l'Italia e risulta al tempo stesso iniquo rispetto alla libertà di movimento del richiedente stesso. Rilevante in tal senso risulta inoltre come nella proposta di revisione avanzata dalla Commissione europea non vi sia intenzione di modificare tale principio, attuando solo un meccanismo correttivo in caso di eccessivo numero di domande;
    la Commissione europea ha adottato il 13 maggio 2015 l'Agenda europea sulla migrazione, volta a definire azioni concrete per rispondere alla crisi immediata e al contempo a stabilire interventi strutturali sul medio e lungo periodo evidenziando l'esigenza di una migliore gestione della migrazione e sottolineando al contempo come quella migratoria sia una responsabilità condivisa. In particolare, il pacchetto si concentra su 4 ambiti: ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, salvare vite e garantire la sicurezza delle frontiere esterne, definire una forte politica in materia di asilo e definire una nuova politica di migrazione legale;
    il primo pacchetto attuativo dell'Agenda ha portato all'approvazione della decisione (UE) 2015/1523 volto a ricollocare 40000 richiedenti asilo dall'Italia e dalla Grecia, approvato successivamente dal Consiglio giustizia e affari interni. Successivamente, la decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia ha stabilito il ricollocamento di ulteriori 120.000 richiedenti asilo dai Paesi maggiormente sottoposti alla pressione migratoria verso quelli con maggiori disponibilità o meno coinvolti dai flussi;
    a distanza di più di un anno dalle predette decisioni sulle ricollocazioni, già di per sé insufficienti, i numeri dei richiedenti asilo effettivamente ricollocati sono del tutto irrisori. La relazione sui progressi compiuti in Grecia, Italia e nei Balcani occidentali, pubblicata dalla Commissione europea il 15 dicembre 2015 certificava che «la prima ricollocazione ha avuto luogo il 9 ottobre con 19 eritrei trasferiti in Svezia. Da allora sono state effettuate altre 125 ricollocazioni. L'Italia ha individuato altri 186 candidati alla ricollocazione e ha presentato 171 richieste di ricollocazione ad altri Stati membri. Fino ad oggi, soltanto dodici Stati membri hanno messo a disposizione dei posti per la ricollocazione, impegnandosi ad accogliere 1041 persone». Nonostante successive pressioni e denunce a novembre del 2016 i richiedenti protezione internazionale aventi diritto ricollocati dall'Italia risultano essere solo 1.489;
    il 29 settembre 2016 il Consiglio dell'Unione europea approva la decisione (UE) 2016/1754 che modifica la decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, prevedendo la possibilità per gli Stati membri, in base a quanto previsto dall'accordo Unione europea-Turchia del 16 marzo 2016, di ammettere volontariamente sul proprio territorio cittadini siriani in clear need of protection provenienti dalla Turchia, detraendo il numero dei cittadini così eventualmente accolti dal totale previsto in base alla ripartizione per il ricollocamento in favore di Italia e Grecia;
    quale elemento attuativo dell'Agenda europea sulle migrazioni la Commissione europea ha inoltre presentato la proposta di implementare i centri hotspot, definiti come una sezione di frontiera esterna caratterizzata da «pressione migratoria specifica e sproporzionata» causata da flussi migratori misti. L’«approccio hotspot» proposto implica che le agenzie dell'Unione europea (principalmente FRONTEX ed EASO) intervengano attraverso «squadre di sostegno per la gestione delle migrazioni», basandosi sostanzialmente sul personale e le attrezzature messe a disposizione dagli altri Stati membri, al fine di identificare, registrare e rilevare rapidamente le impronte digitali dei migranti in arrivo;
    i centri hotspot non godono di una chiara ed esaustiva definizione giuridica e pertanto è frequente che al loro interno vi siano in atto gravi violazioni di diritto;
    a seguito dell'entrata in vigore degli accordi tra l'Unione europea e la Turchia per le riammissioni di migranti dalla Grecia, molte organizzazione non governative tra cui Medici senza frontiere (Msf) e Amnesty International hanno denunciato le irregolarità all'interno degli hotspot in Grecia e le gravi ed evidenti violazioni di diritto in atto, riscontrate anche negli hotspot istituiti in Italia;
    i centri di identificazione ed espulsione, istituiti ai sensi dell'articolo 2 della legge 40 del 1998, sono stati fin dall'inizio oggetto di forti critiche rispetto ai profili di legittimità nonché in termini di efficacia strutturale, funzionale ed economica. Dette critiche si sono aggravate con il passare del tempo e con l'entrata in vigore di successivi interventi normativi che ne hanno disciplinato il funzionamento, così come dimostrato da numerosi rapporti di organizzazioni non governative di tutela ma anche istituzionali. Le criticità principali sono rintracciabili anche nel rapporto sui C.i.e. della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica – XVII legislatura;
    l'attuale sistema di accoglienza italiano non risponde a quanto disposto dal decreto legislativo n. 142 del 2015 che introduce chiaramente due livelli di accoglienza, prima e seconda, ai sensi degli articoli 9 e 14. Nello specifico la seconda accoglienza, ai sensi dell'articolo 14 è prevista all'interno del sistema di accoglienza territoriale-sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) quale sistema ordinario. Eventuali misure straordinarie di accoglienza possono essere previste ai sensi dell'articolo 11, ma con carattere residuale e solo per il tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture ordinarie. Al momento, l'accoglienza in strutture straordinarie rappresenta più del 70 per cento dell'intero sistema;
    l’iter giuridico di una domanda di protezione internazionale, stando ai dati disponibili, risulta particolarmente lungo e risente della composizione e funzionalità degli organi preposti all'esame delle domande. Secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento l'audizione del richiedente asilo presso la Commissione territoriale dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla presentazione della domanda e la decisione dovrebbe essere presa entro 3 giorni. Allo stato attuale i tempi di attesa possono anche raggiungere i 12 mesi. L'alto tasso di accoglimento di ricorsi giurisdizionali avverso pareri negativi (fase che contribuisce ad allungare i tempi di attesa), risente spesso della preparazione non specifica dei commissari nonché della composizione stessa della Commissione;
    l’aquis di Schengen, i Trattati e le successive modifiche e convenzioni collegate hanno istituito nel tempo un sistema volto ad abolire le frontiere interne sostituendole con un'unica frontiera esterna, individuando in tal modo un territorio dove viene garantita la libera circolazione delle persone. Entro tale spazio si applicano regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d'asilo e controlli alle frontiere. Queste norme, ma soprattutto la libertà di circolazione da esse garantita, rappresentano una delle maggiori conquiste dell'Unione europea uno dei pilastri della condivisione su cui si fonda l'Unione stessa. Negli ultimi mesi, a causa della pressione migratoria e di scontri di natura politica che vedono contrapporsi alcuni Stati membri, si assiste ad un moltiplicarsi della sospensione dei menzionati accordi, che si traducono in unilaterali chiusure delle frontiere nazionali. Otto dei ventisei Paesi membri dello spazio Schengen (Belgio, Danimarca, Germania, Ungheria, Austria, Slovenia, Svezia e Norvegia) hanno reintrodotto controlli temporanei alle frontiere, alcuni attraverso la costruzione, o la minaccia, di vere e proprie barriere o mura. La Commissione europea ha presentato una « Back to Schengen – roadmap» mirante a ristabilire la normalità entro la fine del 2016. Oltre che eccessivamente lenta, la proposta della Commissione appare inadeguata a gestire un preoccupante fenomeno di chiusura e di violazione di basilari diritti;
    è quanto mai urgente avere una visione geopolitica ampia del fenomeno: l'immigrazione ha carattere macroscopico, le varie politiche nazionali hanno il limite di proporre delle piccole soluzioni ad una questione di rilievo globale. I programmi di cooperazione allo sviluppo hanno negli anni rappresentato un tentativo dei Governi occidentali di intervenire sulle motivazioni che spingono alla migrazione, rivelandosi però non sufficientemente efficaci al raggiungimento dello scopo. In meri termini economici, le rimesse estere (trasferimento di denaro effettuato da un lavoratore straniero in favore di un altro individuo residente nel suo paese d'origine) risultano ancora più vantaggiose rispetto alle possibilità concretamente offerte dalle politiche di cooperazione allo sviluppo nei Paesi d'origine;
    con la legge n. 118 del 2013 l'Italia ha ratificato il Trattato sul commercio delle armi dell'ONU, entrato in vigore a dicembre 2014, vincolandosi in tal modo agli impegni ivi contenuti. Tra le altre obbligazioni, il Trattato (Arms Trade Treaty – ATT) all'articolo 6, comma 3, prevede il divieto di autorizzare il trasferimento di armi convenzionali nel caso in cui, in fase di valutazione della richiesta, vi sia conoscenza che i materiali potrebbero essere utilizzati per commettere crimini contro l'umanità, violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949 o attacchi diretti a obiettivi o soggetti civili. L'Unione europea ha supportato e coadiuvato l'ONU nel processo negoziale che ha portato alla firma del predetto trattato e, attraverso la decisione del consiglio 2013/768/PESC, finanzia il supporto tecnico necessario ad implementare l'accordo stesso per gli Stati che lo richiedano;
    l'Unione europea da lungo tempo promuove il controllo sulle esportazioni di armi. Nel 1998 è stato sottoscritto da tutti gli Stati dell'Unione un protocollo mirante a stabilire i principi da rispettarsi nell'esportazione di armi, incluso la produzione di un report annuale che ciascuno Stato membro deve stilare sui proventi e sulle destinazioni della vendita di armi. Il protocollo è stato poi rafforzato ed esteso nel suo campo di applicazione attraverso la posizione comune 2008/944/PESC e due decisioni del Consiglio 2009/1012/PESC e 2012/711/PESC;
    gli Stati membri dell'Unione europea che continuano a trasferire armamenti verso l'Arabia Saudita, usati dalla coalizione sunnita per bombardare lo Yemen, stanno chiaramente violando la posizione comune dell'Unione europea 2008/944/CFSP sul controllo dell’export di armamenti e agiscono anche in violazione del trattato internazionale sugli armamenti (ATT) ed infine, per quanto riguarda l'Italia, anche della legge n. 185 del 1990 che regolamenta l’export di armi (così come denunciato da Rete italiana per il disarmo in diversi esposti presentati alle procure della Repubblica di numerose città);
    il Parlamento europeo ha votato il 25 febbraio 2016 a favore di una risoluzione per chiedere un embargo da parte degli Stati membri sulla vendita di tutte le armi all'Arabia Saudita, approvata con 359 voti favorevoli e 212 contrari;
    in data 3 agosto 2016 il Capo della polizia italiana Franco Gabrielli ha siglato con il Governo del Sudan un Memorandum of Understanding volto ad una stretta collaborazione in materia di «immigrazione irregolare», a seguito del quale in data 24 agosto 2016, 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia sono stati espulsi verso il Sudan con un volo aereo di linea,

impegna il Governo:

1)  a promuovere, attraverso i canali di competenza e nelle sedi opportune, una radicale e sostanziale modifica del regolamento (UE) n. 604/2013 che, in primo luogo, superi il principio dello Stato di primo approdo, tenga maggiormente in considerazione le condizioni e gli obiettivi individuali dei richiedenti asilo e si ponga a fondamento di un sistema di asilo propriamente europeo, sistematizzando una equa ripartizione dei richiedenti asilo in tutti i Paesi membri dell'Unione europea da stabilirsi in base ad un indice di benessere economico e sociale;
2)  ad adoperarsi nel perseguire la definizione di una politica europea comune sull'immigrazione, creando in primo luogo canali legali e protetti di ingresso nell'Unione europea, ed al contempo stabilendo come la sottoscrizione di qualsivoglia accordo bilaterale con Paesi di origine o di transito dei migranti sia sempre subordinata a reali garanzie di tutela dei diritti umani e del diritto internazionale;
3)  a richiedere l'immediata attuazione delle decisioni del Consiglio adottate a settembre 2015 che hanno stabilito il ricollocamento di un totale di 160.000 migranti da Italia e Grecia verso altri Stati membri dell'Unione europea;
4)  a subordinare l'attivazione, la gestione e l'esistenza dei centri, o approcci, hotspot, all'effettiva attuazione dei ricollocamenti dei richiedenti asilo, nonché ad una chiara definizione della natura giuridica dei centri all'interno dei quali tali pratiche vengono espletate;
5)  a proteggere l'accordo di Schengen, l’acquis di Schengen e le libertà ad essi connesse, adoperandosi affinché la chiusura delle frontiere torni ad essere una misura puramente residuale legata a situazioni gravi e contingenti e non un mezzo di pressione, reciproca tra Stati membri dell'Unione europea, che penalizza maggiormente proprio coloro che, per la situazione di debolezza nella quale versa, necessitano di protezione e aiuto, in questo contesto promuovendo un dialogo con tutti gli Stati membri affinché vi sia uno sviluppo dell’aquis di Schengen e perché ci si avvii rapidamente verso la riapertura di tutte le frontiere interne all'Unione europea e l'effettivo ripristino, senza alcuna eccezione e senza limitazione dei diritti ad essa connessi, della libertà di circolazione e di stabilimento;
6)  a promuovere delle politiche europee di cooperazione allo sviluppo nei luoghi di origine dei migranti che siano realmente foriere di un sostanziale miglioramento e che dimostrino reali ricadute positive, abbandonando quelle politiche rivelatesi negli anni inutili e poco incisive;
7)  a promuovere, nelle opportune sedi, la piena attuazione dell'articolo 6, paragrafo 3, del Trattato sul commercio delle armi dell'ONU (Arms Trade Treaty – ATT) a livello di Unione europea, prescrivendo pertanto il divieto di autorizzare il commercio, il transito e il trasferimento di armi convenzionali come bombe o missili verso gli Stati coinvolti in conflitti, nonché a promuovere una normativa più puntuale, stringente ed efficace che renda effettivo per tutti gli Stati membri lo «stop» totale alla vendita di armi ai Paesi in conflitto e a quelli direttamente o indirettamente legati al terrorismo internazionale, provvedendo a tale scopo a stilare rapidamente una lista condivisa tra gli Stati membri dei Paesi riconosciuti in conflitto;
8)  ad assumere iniziative per superare l'attuale sistema dei centri di accoglienza, prevedendo: la chiusura immediata dei centri di identificazione ed espulsione (C.I.E.) e dei centri di accoglienza straordinaria (CAS), posto che questi ultimi rappresentano al momento la percentuale più alta dei posti in accoglienza (70 per cento), contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente che li identifica come soluzioni residuali, dimostratisi inefficaci oltre che per molti aspetti illegittimi; il superamento definitivo dei grandi centri di accoglienza, le cui criticità sono già state rilevate da tempo (sovraffollamento, precarie condizioni igienico-sanitarie, impossibilità di garantire la tutela e l'erogazione di servizi qualitativamente validi e altro); il potenziamento e la promozione, quale regime ordinario, dell'accoglienza diffusa, attraverso piccoli centri con forte coinvolgimento dei servizi territoriali degli enti di tutela nel rispetto delle buone prassi già sperimentate (S.P.R.A.R.); il divieto di affidare a soggetti riconducibili ai partiti la gestione dei centri;
9)  a definire a livello nazionale politiche organiche per l'immigrazione, che rendano l'intera normativa fluida, coesa e coerente, provvedendo in questo contesto a semplificare e diversificare le modalità di ingresso al fine di contribuire al contrasto delle attività criminali di trafficanti di esseri umani;
10) a pianificare organicamente efficaci interventi di lotta a razzismo, xenofobia e intolleranza al fine di prevenire e contrastare pericolose tensioni sociali in piena attuazione del piano nazionale d'azione contro il razzismo, la xenofobia e l'intolleranza;
11) a istituire un coordinamento interministeriale stabile e continuativo con ramificazione territoriale al fine di prevedere il coinvolgimento di più Ministeri (salute, lavoro e politiche sociali, istruzione università e ricerca) necessario in ragione della complessità del fenomeno, con una regia centrale interministeriale permanente, centri regionali e un ampio coinvolgimento di enti locali ed enti di tutela;
12) a intraprendere un percorso di analisi e di ampia consultazione per riformare l'attuale sistema nazionale d'asilo, anche in previsione dell'emanazione di norme secondarie di attuazione del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142;
13) ad assumere iniziative urgenti volte a garantire la specifica preparazione professionale dei componenti delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, inclusa la possibilità di ripensare tanto la composizione delle Commissioni quanto, e soprattutto, le modalità di selezione dei commissari impiegati, e a promuovere l'adozione di un codice di condotta per i componenti, gli interpreti ed il personale di supporto;
14) ad assumere iniziative normative per prevedere che i ricorsi giurisdizionali avverso il diniego delle commissioni territoriali siano trattati dai tribunali competenti con priorità, valutando la possibilità di sezioni dedicate;
15) ad avviare, per quanto di competenza, attività di verifica del rispetto dei termini di legge fissati in sei mesi (decreto legislativo 18 agosto 2015 n. 142) per l'esame del ricorso giurisdizionale in primo grado e nei successivi gradi di giudizio avverso parere negativo delle commissioni territoriali;
16) ad assumere iniziative, nell'ambito dei suoi poteri di indirizzo e coordinamento, volte a verificare l'attuazione delle disposizioni secondo cui la Commissione nazionale per il diritto di asilo può stilare e aggiornare periodicamente un elenco di Paesi di origine le cui condizioni richiedono, per chi proviene da tali Paesi, di omettere l'audizione al fine di poter riconoscere la protezione sussidiaria, accelerando in questo modo notevolmente i tempi di valutazione delle istanze;
17) a interrompere ogni iniziativa volta al respingimento, alla riammissione e di conseguenza alla sottoscrizione di ulteriori accordi di collaborazione con Paesi che, al pari del Sudan o della Turchia, violino sistematicamente la tutela internazionale dei diritti umani fondamentali o non si conformino alla medesima.
(1-01438) «Brescia, Lorefice, Colonnese, Grillo, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013, conosciuto come regolamento Dublino III, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide;
    tra i criteri introdotti dal regolamento (UE) n. 604/2013 vi è quello del primo Paese membro di arrivo che, sebbene non sia tra i primi in ordine gerarchico, riveste certamente un ruolo principale per l'Italia per via della posizione geografica e dell'andamento delle rotte e dei flussi migratori;
    il regolamento (UE) n. 603/2013 istituisce il sistema «Eurodac» che è funzionale alle procedure di identificazione di ogni richiedente protezione internazionale e dei cittadini di Paesi terzi intercettati in relazione all'attraversamento irregolare della frontiera per il confronto delle impronte digitali in applicazione del Regolamento (UE) n. 604/2013;
    a seguito del naufragio del 18 aprile 2015 dove hanno perso la vita nel Canale di Sicilia circa 700 migranti, a maggio 2015 la Commissione europea ha adottato l'Agenda europea sulla migrazione con lo scopo di raggiungere una gestione più efficace e condivisa del fenomeno;
    l'Agenda europea sulla migrazione introduce, tra gli altri, due nuovi strumenti di gestione ovvero la ricollocazione ed il reinsediamento dei richiedenti protezione internazionale;
    a norma della decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 15 settembre 2015 e della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, in deroga al regolamento (UE) n. 604/2013, vengono introdotte misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia per far fronte alla pressione migratoria presente sui due Paesi;
    le decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601 prevedono la possibilità di ricollocare, ovvero trasferire verso altri Paesi membri secondo quote prestabilite, richiedenti protezione internazionale che in base ai dati disponibili ottengono nel Paesi dell'Unione un riconoscimento della loro domanda non inferiore al 75 per cento, definiti in clear need of protection, per un numero totale pari a 160.000 richiedenti; in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione e a norma delle decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601, il Governo ha presentato un documento di attuazione degli impegni assunti dall'Italia chiamato Road map che introduce i centri cosiddetti hotspot;
    la Road map è pertanto un documento programmatico e non costituisce in alcun modo una fonte normativa, infatti in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» tenuta il 29 luglio 2015, il Ministro dell'interno Alfano già affermava come i centri cosiddetti hotspot risultassero al momento della loro istituzione privi di copertura giuridica;
    in una nota di maggio 2016 lo stesso Ministero dell'interno cercava di rassicurare circa la presenza di base normativa paventando un sistema di accoglienza suddiviso in tre fasi di cui la prima da attuarsi proprio negli hotspot presupponendone la disciplina all'interno del decreto legislativo n. 142 del 2015 e tentando di equipararli a centri di primo soccorso e assistenza, invero già legittimati dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, cosiddetta legge Puglia, che consta di soli due articoli, è legata ad un territorio e ad un momento storico preciso, e pertanto risulta già fortemente lacunosa;
    il capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» in data 19 luglio 2016 conferma nuovamente l'assenza di una chiara base giuridica che legittimi gli hotspot;
    il richiamato decreto legislativo n. 142 del 2015, entrato in vigore prima dell'attivazione degli hotspot, non distingue il sistema di accoglienza in tre fasi bensì in due, prima e seconda accoglienza, ed in alcun modo menziona centri cosiddetti hotspot come facenti parte del sistema di accoglienza;
    nel mese di giugno 2016 il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» (SOP) applicabili agli hotspot, dove vengono illustrate le modalità operative per le attività da svolgere al loro interno;
    nelle SOP viene palesato come l’hotspot debba essere inteso, oltre che come luogo fisico, anche come approccio, tanto da prevedere un team mobile operativo anche al di fuori dei luoghi individuati come hotspot, con un evidente ulteriore aggravio di illegittimità;
    i centri hotspot attualmente operativi risultano essere quelli istituiti nei porti di Taranto, Trapani, Pozzallo e Lampedusa, ma a questi vanno ad aggiungersi il porto di Augusta che, nonostante le rassicurazioni manifestate del Governo rispetto al fatto che non sarebbe divenuto un hotspot, essendo attualmente il primo porto interessato dagli sbarchi di migranti in Italia, svolge nei fatti le funzioni di hotspot, ed ogni altro luogo ritenuto all'occorrenza utile in virtù della possibilità di utilizzare team mobile come dalle richiamate SOP;
    il Governo ha dichiarato apertamente la necessità di provvedere all'istituzione di ulteriori centri da destinarsi ad hotspot; è infatti di giugno 2016 la scadenza di una procedura di gara indetta da Invitalia, centrale di committenza per il Ministero dell'interno, aperta ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016, per un importo complessivo pari ad euro 1.147.712,04, oltre I.V.A. per l'affidamento della «Fornitura e posa in opera della recinzione modulare all'interno dell'area da destinarsi ad hotspot per migranti presso il “Residence degli Aranci” di Mineo», centro noto per tutte le vicende legate ai fatti di «mafia capitale» e sul quale la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» si è già espressa chiaramente a seguito dell'ultima visita ispettiva di luglio 2016 chiedendone la chiusura;
    i centri hotspot risulterebbero dunque strumentali alle procedure di identificazione, di selezione tra richiedenti protezione internazionale e migranti irregolari comunemente chiamati migranti economici effettuata attraverso la somministrazione di un «foglio notizie», ed al ricollocamento degli aventi diritto;
    non vi è alcuna norma di diritto interno e comunitario che definisca la categoria di migrante economico che risulta pertanto del tutto arbitraria;
    a partire dalla loro istituzione e a seguito delle segnalazioni di organizzazioni non governative ed enti di tutela dei diritti dei migranti, sono state denunciate numerose gravi violazioni di diritto in atto all'interno dei centri hotspot o comunque riconducibili al metodo hotspot;
    la stessa «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» ha potuto appurare, nel corso delle audizioni tenute sul tema e delle visite ispettive effettuate, numerose gravi violazioni in atto tra cui trattenimento al di fuori delle previsioni normative, trattenimento di minori stranieri non accompagnati anche in situazioni di promiscuità con adulti, procedure di identificazione illegittime, grave sovraffollamento, gestione dei centri poco trasparente e gravi carenze nell'erogazione dei servizi;
    la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per soli fini identificativi ed inoltre la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia, con la sentenza Khlaifia e altri c. Italia, per il trattenimento illegittimo a Lampedusa nel 2011 di alcuni cittadini tunisini, in seguito raggiunti anche da provvedimento di respingimento del questore;
    la normativa italiana non consente in alcun modo che venga utilizzata la forza, o altra forma di coercizione, nei confronti dei migranti che rifiutino, ponendo una resistenza passiva, di farsi identificare;
    il sindacato UGL polizia di Stato ha ritenuto di esprimersi con la nota del 10 febbraio 2016 n. 88/S.N. per denunciare le criticità rispetto al «vuoto normativo» circa l'uso della forza nelle operazioni di foto-segnalamento e nella rilevazione delle impronte digitali di cittadini stranieri, ed italiani, contestando quanto espresso dalla circolare del Ministero dell'interno n. 400/A//2014/1.308, e circa il rischio di esporre il personale di polizia a conseguenze di rilevanza penale;
    a seguito di un accordo (Memorandum of Understanding) siglato in data 3 agosto 2016 dal Capo della polizia italiana Franco Gabrielli con il Governo del Sudan, in data 24 agosto 2016, 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e facenti parte di un gruppo più ampio di 48 cittadini sudanesi, sono stati forzatamente trasferiti presso il centro hotspot di Taranto per essere sottoposti a procedure di identificazione prima di essere espulsi attraverso l'aeroporto individuato per il volo di rimpatrio verso il Sudan;
    non esiste alcuna disposizione di legge che permetta di effettuare quella selezione che pure avviene all'interno degli hotspot ad opera dei funzionari di polizia tra richiedenti protezione internazionale e migranti cosiddetti economici per il tramite del «foglio notizie» sulla base della nazionalità o, peggio, in virtù di accordi di cooperazione bilaterale con Paesi di origine dei migranti, specialmente se si tratta di Paesi che non si conformano alle norme di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani riconosciute dall'Italia per il rischio, inter alia, di violazione del principio di non-refoulement;
    nella seduta della Camera dei deputati del 21 ottobre 2016 n. 696 il Sottosegretario di Stato alla difesa, Domenico Rossi, in risposta all'interpellanza n. 2-01486 sull'utilizzo delle risorse economiche a sostegno del sistema di accoglienza migranti ha confermato che sono regolarmente in atto trasferimenti dai valichi di frontiera del nord verso l’hotspot di Taranto sulle direttrici principali di Como-Taranto e Imperia-Taranto per un costo dei soli trasferimenti che al momento ammonta a 770 mila euro, con il duplice scopo di «prevenire turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica e di evitare che l'alta concentrazione di migranti potesse dare luogo ad emergenze igienico-sanitarie», configurando di conseguenza un nuovo ruolo, anch'esso non normato, dell’hotspot;
    stando ai dati disponibili aggiornati al 27 ottobre 2016 il numero dei richiedenti ricollocati dall'Italia verso altri Paesi membri risulta essere di sole 1.411 persone con la totale esclusione, tra gli altri, dell'Austria, destinataria di un provvedimento di esenzione da parte della Commissione europea, e di Danimarca, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Polonia, Regno Unito;
    la decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio del 29 settembre 2016 che modifica la decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, prevede la possibilità per gli Stati membri, in base a quanto previsto dall'accordo Unione europea-Turchia del 16 marzo 2016, di ammettere volontariamente sul proprio territorio cittadini siriani in clear need of protection provenienti dalla Turchia, detraendo il numero dei cittadini così eventualmente accolti dal totale previsto in base alla ripartizione per il ricollocamento in favore di Italia e Grecia,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative per dismettere immediatamente i centri hotspot attualmente operativi in quanto estremamente costosi ed inefficaci tanto sul piano economico quanto sul piano della tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti ai migranti e, di conseguenza, a non proseguire oltre nella creazione di nuovi centri cosiddetti hotspot o in generale nel mettere in pratica l'approccio hotspot prima che questo abbia una chiara ed approfondita base giuridica, che vi siano garanzie certe che al loro interno non avvengano violazioni di diritto, che sia realmente effettivo il meccanismo di ricollocazione e che sia avviata una seria, concreta ed equa modifica normativa al regolamento (UE) n. 604/2013, in applicazione delle previsioni dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sul principio di solidarietà tra gli Stati membri.
(1-01439) «Brescia, Lorefice, Colonnese, Grillo, Cecconi».

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il suolo è una delle più importanti risorse naturali del pianeta, ma fino ad ora la sua importanza ecologica è stata notevolmente sottovalutata. La disponibilità di elementi essenziali per la vita dipende dal terreno, così come i cambiamenti climatici e la disponibilità di acqua. Il suolo è sede di una grande varietà di organismi che contribuiscono alla sua formazione e concorre così all'esistenza della biodiversità globale. Suolo e biodiversità sono quindi coinvolti in un interdipendente e inscindibile rapporto;
    il suolo regola e accumula carbonio sotto forma di sostanza organica, conseguentemente qualsiasi cambiamento di uso del suolo può influenzare l'equilibrio generale dei gas ad effetto serra. Il consumo e il degrado del suolo rappresentano poi una delle principali emergenze ambientali in Europa, interessando le comunità umane, così come la natura da cui esse dipendono;
    il suolo è una risorsa vitale, limitata, non rinnovabile e insostituibile. Il benessere delle generazioni attuali e future dipende dalla salute dei suoli. Gli effetti del degrado del suolo, anche se locale, hanno un impatto a livello mondiale: inondazioni, erosione, degrado del paesaggio, emissioni di gas a effetto serra, perdita di biodiversità, carestia e siccità sono fenomeni globali, in gran parte legati alla perdita o il degrado dei suoli. Il suolo è anche una risorsa fondamentale per il sostentamento degli esseri umani. La fertilità dei suoli è la base della produzione agricola e perciò della nutrizione umana;
    il Governo si è già impegnato con la risoluzione n. 8-00113, approvata all'unanimità in VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici il 3 giugno 2015, a promuovere la protezione del suolo a livello comunitario, anche con l'uso della cooperazione rafforzata;
    è in corso una petizione alla Commissione europea promossa dalla rete «People4soil», costituita da oltre 300 organizzazioni ambientaliste, che si batte per una richiesta concreta dei cittadini europei, affinché si introduca una specifica legislazione a tutela del suolo in Europa,

impegna il Governo:

   a farsi latore della protezione del suolo a livello comunitario e a sviluppare, assieme agli altri partner dell'Unione europea, un quadro giuridicamente vincolante che copra le principali minacce ai suoli: erosione, impermeabilizzazione, perdita di materia organica, perdita di biodiversità e contaminazione;
   a promuovere l'integrazione, nelle politiche dell'Unione europea, degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite relativi ai suoli, con adeguata considerazione e riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra provenienti dal settore agricolo e forestale.
(7-01147) «Realacci, Borghi, Braga, De Rosa, Mannino».

 * * *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nei giorni antecedenti al 25 novembre 2016 sui canali RAI è stato trasmesso uno spot in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne;
   nello spot si utilizza una bambina per comunicare alla società italiana che nella sua vita le toccherà vivere le peggiori delle sorti: il ricorso all'ospedale per la violenza subita dal proprio compagno di vita;
   è uno spot, a giudizio degli interpellanti, dannoso e offensivo; la violenza contro le donne non è un destino e non è inevitabile. Il movimento delle donne da decenni in Italia si mobilita per affermare che il corpo delle donne è inviolabile e per costruire una rinnovata relazione di riconoscimento della differenza e di civiltà tra uomini e donne;
   lo spot trasmesso è l'antitesi di quanto le donne sono riuscite a conquistare in questi anni non lasciando alcuna prospettiva di cambiamento. Con lo spot si ipoteca un futuro da vittima;
   lo spot prodotto dalla RAI è servizio pubblico, finanziato da denaro pubblico, ed in tal senso è opportuno conosce chi ha commissionato, ideato e validato lo spot. È altresì necessario conoscere quale relazione si sia tenuta, sulla programmazione della campana di sensibilizzazione contro la violenza alle donne, tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la RAI –:
   se e quali tipo di relazione si sia tenuta, in sede di programmazione della campagna di sensibilizzazione contro la violenza maschile nei confronti delle donne, tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la RAI;
   di quali ulteriori elementi disponga il Governo, con particolare riferimento ai costi dello spot ed alla autorizzazione relativa alla presenza delle bambine e dei bambini in video.
(2-01555) «Martelli, Nicchi, Scotto, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il 25 ottobre 2016 la Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo abbia disposto con decreto presidenziale n. 18 del 2016 la trattazione nella sede centrale dell'Aquila di tutti i ricorsi depositati presso la sezione distaccata di Pescara in data successiva a quella del provvedimento;
   la decisione si fonda su asserite esigenze di riequilibrio del carico di lavoro tra le due sezioni e, più in particolare, sulla difficoltà di smaltimento degli affari da parte della sezione distaccata di Pescara;
   al tal fine, il provvedimento richiama la risoluzione n. 9 del 1o dicembre 2015 del Consiglio di Presidenza della giustizia e tributaria che – si badi – stabilendo che «ove si verifichino (...) difficoltà di smaltimento degli affari assegnati alle sezioni distaccate competerà al Presidente della Commissione Tributaria Regionale indicare la migliore soluzione possibile tra la riassegnazione di parte degli affari alla sede centrale e viceversa ovvero l'utilizzo dell'applicazione temporanea e turnaria dei Giudici presso le sedi decentrate (...)» (cfr. punto n. 1), pone le due soluzioni della «riassegnazione degli affari» e «dell'applicazione temporanea dei giudici» come alternative entrambe valide e opzionabili per smaltire il carico di lavoro delle sezioni;
   al 25 ottobre 2016 pendevano 495 ricorsi presso la sede centrale dell'Aquila e 1.083 presso quella distaccata di Pescara a fronte delle ben 5 sezioni insediate presso la prima e delle sole 2 insediate presso la seconda;
   alla luce dei dati riportati appare evidente che la distribuzione quantitativa delle sezioni tra la sede centrale e quella distaccata non appare corrispondente ai carichi di lavoro e alle sopravvenienze delle due sedi per cui sarebbe consigliabile potenziare il numero di sezioni, piuttosto che intervenire sul criterio di assegnazione degli affari;
   la sede distaccata di Pescara è stata istituita conformemente al criterio per l'istituzione delle sezioni distaccate ex articolo 1, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 545 del 1993 introdotto dall'articolo 35, della legge n. 28 del 1999, trovandosi in una città capoluogo di provincia con popolazione superiore a 120.000 abitanti, sita ad una distanza superiore a 100 chilometri dal capoluogo di regione;
   a parere dell'interrogante, la sospensione dell'assegnazione dei ricorsi alla sezione distaccata a favore della sede centrale non rappresenta «la migliore soluzione possibile» per riequilibrare il carico di lavoro fra le due sezioni;
   il decreto presidenziale in esame non contiene alcuna indicazione delle ragioni che hanno fatto propendere per la soluzione adottata a scapito di quella alternativa «dell'applicazione temporanea e turnaria dei Giudici presso le sedi decentrate» anch'essa espressamente prevista dalla citata risoluzione n. 9 del 1o dicembre 2015;
   aperto dissenso rispetto alla decisione è stato espresso, con argomentazioni simili a quelle che si espongono, anche dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Pescara che, con delibera del 10 novembre 2016 – inviata al Ministero dello sviluppo economico, al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, ai COA di Chieti, Lanciano e Vasto, agli Enti locali e agli ordini professionali delle province interessate, alle associazioni di categoria, nonché diffusa tramite comunicato stampa e lettera informativa agli iscritti – ha chiesto la «revoca e/o modifica nel senso di riassegnare alla sezione distaccata di Pescara tutti i ricorsi depositati in data successiva al 25 ottobre 2016» e formulato l'auspicio che «le asserite difficoltà di smaltimento degli affari trovino soluzione, se ed in quanto necessario, con l'applicazione temporanea dei Giudici già in servizio presso la sede centrale ovvero con una diversa distribuzione delle sezioni tra le due sedi»;
   l'assegnazione di tutte le nuove cause alla sezione aquilana crea, di fatto, un congelamento della sede pescarese a vantaggio di quella centrale ponendosi, altresì, in contrasto con il principio di prossimità dell'ufficio giudicante;
   diversamente da quanto sostenuto nel decreto presidenziale n. 18/2016, la decisione in esame causa un notevole disagio ed aggravio di costi per gli utenti che non viene meno dopo l'entrata in vigore della normativa sul processo telematico tributario, considerata la facoltatività della modalità di invio telematico degli atti e, soprattutto, la necessità per i contribuenti e per i difensori di presenziare all'udienza;
   per riequilibrare il carico di lavoro fra le due sedi sarebbe stato, dunque, preferibile disporre l'aumento delle sezioni presso la sede distaccata di Pescara o l'applicazione dei giudici dall'una all'altra sede –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, in particolare, se ritengano che quella adottata dal presidente della Commissione tributaria regionale Abruzzo sia la «migliore soluzione possibile» per fronteggiare la difficoltà di smaltimento degli affari assegnati alla sezione distaccata di Pescara. (5-10071)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i dipendenti pubblici, grazie alla cosiddetta «legge Bassanini», hanno potuto transitare nei ruoli di altre amministrazioni pubbliche, presentando una semplice domanda di mobilità inter-ente;
   questi passaggi di personale tra enti pubblici hanno riguardato anche l'Istituto nazionale della previdenza sociale che, a motivo della sua prestigiosa storia amministrativa e dell'essenziale ruolo che riveste nella società italiana, ha attratto centinaia di lavoratori pubblici coprendo, in tal modo, le evidenti e certificate carenze di organico;
   nel decennio precedente, con l'introduzione della «legge Brunetta» e delle varie riforme pensionistiche, ai lavoratori «in entrata» verso l'Inps veniva chiesto per iscritto se intendevano rimanere nella cassa pensionistica di provenienza (all'epoca Inpdap) o di iscriversi all'Inps;
   tale opzione aveva un riferimento normativo nella legge n. 54 del 1988 e nei successivi decreti legislativi attuativi;
   nel 2015, l'Istituto emanava «un'informativa» con cui faceva sapere di essersi sbagliato ad iscrivere i lavoratori provenienti dalla mobilità inter-ente ad una cassa pensionistica differente da quella prevista dalla vigente normativa in materia, in quanto «la facoltà di opzione per il mantenimento della posizione assicurativa già costituita in base alla gestione pensionistica dell'amministrazione od ente di provenienza... (omissis)... ha mantenuto la sua efficacia fino al 22 aprile 1998; infatti, dal 23 aprile 1998, è entrato in vigore il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 che ha riscritto l'articolo 35, modificandone la rubrica (eccedenze di personale e mobilità collettiva), ed ha spostato la disciplina della mobilità all'articolo 33, (passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse – ora articolo 30, decreto legislativo n. 165 del 2001), privandola, tuttavia, della disposizione contenuta nel testo originario che accordava la facoltà di opzione»;
   per cui, dal 23 aprile 1998, il personale transitato a seguito di processi di mobilità volontaria non poteva esercitare la facoltà di opzione ex articolo 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;
   tale opzione, però, è stata esercitata senza che alcuno dei funzionari o direttori del personale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, sia « illo tempore» che nel recentissimo passato, abbia posto la questione della non applicabilità dell'opzione data ai lavoratori in mobilità sulla scelta della cassa pensionistica;
   adesso ai lavoratori interessati è stata chiesta la restituzione di «eventuali conguagli a credito o a debito derivanti dai differenziali dell'aliquota contributiva a carico del dipendente nei diversi regimi»;
   i conguagli sono stati tutti a debito ed hanno riguardato ben 843 lavoratori che si sono ritrovati migliaia di euro di debito senza averne alcuna colpa se non quella di avere esercitato un diritto su esplicita richiesta dell'Inps al momento del transito nei ruoli dell'istituto;
   la richiesta di restituzione di queste somme ai propri dipendenti, ad ulteriore disdoro nei riguardi dell'Inps, a quanto risulta all'interrogante sarebbe stata comunicata attraverso una mail da un account «anonimo» info.cassapensioni@inps.it, richiesta non firmata da alcun funzionario/dirigente dell'istituto, in cui, tra l'altro, di fatto si ammetterebbe la dimenticanza dell'abrogazione della norma che ha consentito fino al 1998 la facoltà di opzione della cassa pensionistica;
   solo dopo le ovvie e giustificate rimostranze dei lavoratori, l'istituto avrebbe risposto indicando, anno per anno, l'ammontare della cifra che il lavoratore deve restituire all'Inps, a titolo di adeguamento alla maggiore aliquota contributiva e questa volta la nota dell'istituto sarebbe stata firmata da un dirigente; 
   a partire dal 31 luglio 2010 è stata abrogata la facoltà di richiedere a titolo gratuito l'istituto della ricongiunzione ed esercitare gratuitamente esclusivamente la facoltà del cosiddetto «cumulo» dei diversi periodi assicurativi, facoltà che potrà essere esercitata esclusivamente per ottenere la pensione di vecchiaia, o esercitare la facoltà della «totalizzazione», che prevede però un calcolo della pensione con il sistema contributivo puro;
   a causa della negligenza con cui l'Inps ha condotto la vicenda, i dipendenti si ritroveranno costretti a pagare altri soldi per pagarsi il trasferimento di contributi;
   l'utilizzo dell'istituto della mobilità volontaria applicato ai dipendenti transitati in Inps, attraverso la sottoscrizione di un atto contenente la facoltà di opzione del regime di cassa pensionistica, quindi, ha tradito secondo l'interrogante, un comportamento superficiale ed erroneo dell'Inps rispetto all'applicazione delle norme relative alla materia;
   questa unica considerazione sarebbe sufficiente a ritenere indebita la pretesa dell'istituto previdenziale di porre a carico del lavoratore il maggior costo del trattamento previdenziale al Fondo pensioni lavoratori dipendenti;
   l'istituto dovrebbe sanare la questione contributiva, accreditando la maggiore contribuzione dovuta in maniera figurativa e sanare tale vicenda –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-14896)


   MOSCATT. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo Licata, ancora alle prese con la conta degli ingenti danni provocati dal violento nubifragio di sabato 26 novembre 2016, stessa sorte stanno avendo i comuni di Ribera, Sciacca, Cianciana e Bivona a seguito del violento maltempo che ha colpito la provincia di Agrigento;
   le notizie destano sempre più preoccupazione ed in alcune città i collegamenti risultano interrotti; tra Ribera e Menfi il fiume Verdura rischia di esondare e le arterie stradali sono allagate, dalla strada statale 115 a quelle interne tra Ribera, Bivona e Caltabellotta. Anche a Santa Margherita Belice la circolazione ferroviaria è stata sospesa sulla linea Palermo-Agrigento, tra le stazioni di Roccapalumba e Agrigento –:
   quali iniziative urgenti di competenza in accordo con la regione siciliana, il Governo intenda adottare per fronteggiare un'emergenza che rischia di diventare ingovernabile. (4-14897)


   ALBERTI, BUSINAROLO, COMINARDI, SORIAL, BASILIO e FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la delibera n. 25 del 10 agosto 2016 del Comitato interministeriale per la programmazione economica pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 266 del 14 novembre 2016, definisce le aree tematiche e gli obiettivi strategici, nonché i criteri di ripartizione delle somme a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020;
   alla tabella 2 dell'allegato alla delibera citata si legge che sono assegnati 598,44 milioni di euro alla voce «Fognature e depurazione» a valere sul Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020;
   recenti articoli di giornale riportano dichiarazioni del presidente della provincia di Brescia Pier Luigi Mottinelli, il quale afferma che almeno 100 milioni di quei 598,44 milioni di euro stanziati dalla delibera CIPE 25/2016, sarebbero destinati al finanziamento del progetto di collettamento e depurazione dei comuni bresciani e veronesi del lago di Garda;
   il progetto che verrebbe finanziato è stato presentato dalle società Garda Uno e Azienda gardesana servizi, rispettivamente gestori del servizio idrico e di depurazione dei comuni che si affacciano sul lago di Garda della provincia di Brescia e della provincia di Verona;
   con delibera del consiglio di amministrazione dell'ufficio d'ambito Brescia (servizio idrico integrato) n. 8 del 10 marzo 2016 è stato approvato il progetto preliminare denominato «Nuovo sistema di collettamento e depurazione a servizio della sponda bresciana del lago di Garda»;
   con deliberazione della ATO Veronese n. 1 del 29 gennaio 2015, è stato approvato il progetto preliminare delle opere di collettamento relative alla sponda veronese del lago per un importo complessivo di 85 milioni di euro;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ed in particolare il comma 6 dell'articolo 1, individua le risorse del Fondo di sviluppo e coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 destinandole a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto dell'80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e del 20 per cento in quelle del Centro-nord –:
   se trovi conferma la destinazione della somma di 100 milioni di euro per il progetto di cui in premessa;
   se lo stanziamento di euro 598,44 milioni dovrà essere comunque ripartito in quote dell'80 per cento per il Mezzogiorno e 20 per cento per il Centro-nord;
   se l'assegnazione delle risorse preveda un criterio di priorità per i comuni interessati da procedura di infrazione da parte della Commissione europea per mancata o inefficiente depurazione delle acque. (4-14899)


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa e da registrazioni audio è emerso che il governatore della regione Campania, facendo esplicito riferimento al sindaco di Agropoli, nonché presidente dell'Unione dei comuni «Alto Cilento», ha dichiarato che «come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale»;
   numerosi funzionari del comune di Agropoli, in ruolo anche presso l'Unione dei comuni, sono stati percettori di incentivi illegittimi;
   emerge dagli atti l'eccesso di procedure di assegnazioni di appalti per via diretta da parte dei funzionari stessi;
   già nel febbraio 2016, con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11998, è stato chiesto dall'interrogante al Governo di rispondere in merito alle presunte gravi violazioni di legge perpetrate nel comune di Agropoli e dall'Unione dei comuni Alto Cilento –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se si intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica e dell'ispettorato per la funzione pubblica alla luce dei fatti sopra richiamati;
   se intenda valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative, ai sensi degli articoli 141 e 142 del decreto legislativo n. 267 del 2000, in relazione alle criticità evidenziate in premessa. (4-14901)


   FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 novembre 2016, Stefano Passarini, sindaco di Costermano, comune in provincia di Verona, ha inviato ai residenti una lettera, su carta intestata del comune e protocollata, contenente indicazioni per votare «Sì» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
   l'8 novembre, sempre su carta intestata, ha invitato i cittadini nella sala consiliare – edificio e polifunzionale – biblioteca di piazza del donatore, per un incontro sul voto del 4 dicembre –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative normative volte a disciplinare in modo più stringente la comunicazione politica da parte degli amministratori pubblici in occasione delle campagne elettorali e referendarie onde evitare il ripetersi di casi come quello descritto. (4-14903)


   MARCO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   recenti articoli di stampa fanno riferimento alla situazione statutaria e gestionale della federazione italiana bocce (FIB);
   si richiamano in proposito le funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di sport –:
   se, come segnalato dalla stampa sia vero che sia stata riscontrata nella gestione amministrativa della Federazione italiana bocce una serie di irregolarità gravi e continuate;
   se risulti vero che la federazione, a statuto vigente, data la diminuzione del numero delle società aventi diritto di voto, sia nell'impossibilità di procedere al rinnovo delle cariche federali per il quadriennio olimpico in corso;
   come il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) si sia attivato, per quanto di competenza, per provvedere al ripristino delle procedure statutarie per garantire il normale svolgimento della vita democratica all'interno della Federazione italiana bocce;
   se siano in corso iniziative per accertare la veridicità di quanto riportato dalla stampa. (4-14904)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, COLONNESE e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa locale siciliana si è appreso che nella giornata del 25 novembre 2016 il gruppo parlamentare PD dell'Assemblea regionale siciliana ha organizzato un convegno dal titolo «Organizzazione e formazione sistema salute» presso l'aula magna dell'ospedale Cervello di Palermo;
   al convegno sono intervenuti la capogruppo onorevole Anselmo, il presidente della commissione sanità onorevole Di Giacomo e l'assessore onorevole Gucciardi, mentre tra i relatori non sono stati inseriti rappresentanti di forze politiche diverse dal PD;
   pare che l'ambiente dei medici non abbia gradito la gestione dell'evento; il sindacato CIMO ha dichiarato: «È da stigmatizzare che durante una campagna elettorale, per una manifestazione promossa da un partito, qualsiasi esso sia, si occupino spazi di un'azienda sanitaria pubblica al solo fine di ottenere una visibilità ad altri negata. Con ciò approfittando di una posizione di potere che gli consente questa indebita occupazione (a titolo gratuito ?) e camuffando da manifestazione scientifica quella che ha tutto il sapore e l'aspetto di una manifestazione politica»;
   ad avviso degli interroganti, le strutture sanitarie dovrebbero essere luoghi apartitici, senza alcuna appartenenza politica definita –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano adottare il Presidente del Consiglio e il Ministro interrogato al fine di evitare che si ripetano situazioni come quella descritta in premessa, posto che appare agli interroganti di dubbia legittimità o almeno inopportuno che possa essere utilizzata una struttura sanitaria pubblica a fini politici.
(4-14905)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il programma televisivo «Le Iene» ha riacceso i riflettori sulla presenza, nel mare della Calabria, di relitti di navi contenenti rifiuti radioattivi e sulle conseguenze sulla salute degli abitanti, con l'inchiesta dal titolo «Calabria, un nuova terra dei fuochi ?»;
   in particolare, le trasmissioni del 9 e 13 novembre 2016 si sono occupate del mistero della nave Rigel, scomparsa il 21 settembre 1987 a largo di Capo Spartivento, in provincia di Reggio Calabria. L'ipotesi investigativa è che sarebbe stata affondata dolosamente per nascondere rifiuti radioattivi;
   su questa nave, che non è mai stata trovata, e sul possibile traffico di rifiuti tossici e radioattivi, stava indagando un pool, di cui faceva parte il capitano Natale De Grazia. La notte del 12 dicembre del 1995, durante il viaggio da Reggio Calabria verso La Spezia, dove doveva acquisire importanti documenti e incontrare un testimone, De Grazia è morto, a soli 39 anni, secondo il referto medico per arresto cardiocircolatorio. I colleghi del pool non hanno mai creduto a questa versione e hanno sempre pensato che fosse stato ucciso per bloccare in qualche modo le indagini;
   nel 2013, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha constatato che il capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa e si può riconoscere solo la causa tossica, concludendo che «Non è compito di questa Commissione pronunciare sentenze, né sciogliere nodi di competenza dell'autorità giudiziaria: tuttavia, non si può non segnalare che la morte del Capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese»;
   dopo la morte di De Grazia, il pool si è sfaldato e l'indagine è passata nelle mani di un altro procuratore che nel 1997 è riuscito ad ottenere i fondi per cercare il relitto della Rigel, ma essendo le coordinate di partenza sbagliate, le ricerche non hanno portato alcun risultato. Nel 2000, l'inchiesta è stata definitivamente archiviata, nonostante il processo abbia dimostrato che la nave sia realmente affondata con un carico diverso da quello dichiarato, che sono stati corrotti i doganieri, che a bordo era presente polvere di marmo – un materiale utile per schermare la radioattività;
   dal programma si apprende che la Nasa, per il recupero del relitto, avrebbe offerto il suo sistema satellitare ad un prezzo che però il Ministero della difesa non poteva corrispondere perché non disponeva delle necessarie risorse. Si legge invece, da un documento del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, datato 11 dicembre 1995, desegretato nel 2014, che quei fondi vennero messi a disposizione dei servizi segreti per i settori «traffico di armi» e «stoccaggio dei rifiuti radioattivi». Non si conosce a tutt'oggi come siano stati spesi;
   alla fine degli anni ’90, la Rigel potrebbe essere stata fotografata da un pilota di robot sottomarini che ha denunciato il rilevamento alle autorità competenti, dando anche una rotta di massima tra Capo Spartivento e Punta Stilo. L'immagine mostra la sagoma di una nave che per le sue caratteristiche può prestarsi allo smaltimento di rifiuti radioattivi, ma nessuno ha mai creduto a questa informazione né ha mai fatto ricerche e accertamenti partendo da questa fotografia, nonostante la zona indicata sia in prossimità del punto di affondamento della Rigel indicato nella mappa del Mediterraneo di De Grazia, contenuta nell'informativa sulle indagini condotte dal pool, firmata e consegnata dal collega del capitano, Maresciallo Moschitta;
   sin dal 1992 l'Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna era a conoscenza del traffico di rifiuti illegali radioattivi in Calabria, ma soltanto nel 1994 sono partite le indagini grazie a un esposto di Legambiente. Si è scoperto così che la Rigel è solo una delle decine di navi dei veleni inabissate nei nostri mari. L'indagine del pool ne aveva individuate e identificate 23, ma secondo la Commissione di inchiesta sarebbero addirittura una quarantina. Da Genova sono transitate 131 navi con materiale radioattivo e non si è mai saputa la loro destinazione finale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e di quali ulteriori elementi disponga, per quanto di competenza;
   anche alla luce dei diversi documenti desegretati riguardanti le «navi dei veleni» e sulla loro presenza sui fondali dei mari italiani, in particolare quello ionico, quali iniziative di competenza intenda intraprendere per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda e per contrastare il traffico internazionale di rifiuti radioattivi. (4-14909)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con delibera di giunta n. 9 del 24 febbraio 2015 e successiva determinazione del responsabile del servizio n. 37 del 23 marzo 2015, il comune di Lecce nei Marsi (L'Aquila) ha approvato il bando pubblico di concessione in gestione, per la durata di 9 anni, della struttura ubicata in località Cicerana, nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, da adibire a rifugio montano;
   tra gli obiettivi politici del suddetto comune figura infatti la volontà di fornire ai propri studenti momenti di informazione, integrativa a quella scolastica, affinché possano acquisire quella memoria ritenuta necessaria a valorizzare la propria montagna, oltre che recuperare il rapporto turistico tra quest'ultima e la comunità locale;
   a chiusura del procedimento, il servizio di gestione è stato affidato ad una società di servizi turistici tour operator che, a quanto risulta all'interrogante e da quanto emerge da segnalazioni di associazioni e movimenti ambientalisti, utilizza la struttura come sito di attrazione turistica per finalità prettamente economiche;
   al fine di consentire all'affidatario la massima fruibilità del rifugio e quindi di ospitare il maggior numero di turisti, gli è stato concesso l'impiego di un generatore di elettricità, il cui rumore di certo non favorisce il benessere degli animali che vivono nelle vicinanze, oltre che la possibilità, anche per gli ospiti, di raggiungerlo con auto private;
   come noto, l'area in cui è ubicata la struttura, che idealmente doveva servire come appoggio ai guardiani del parco e punto di osservazione per gli studiosi, è adiacente ad una riserva integrale, zona di svernamento dell'orso marsicano con coltivazioni a perdere per sostenerne l'alimentazione;
   è evidente che tale ubicazione si presta in modo straordinario all'osservazione dell'orso e degli altri animali che popolano il parco ed è pertanto forte il dubbio che proprio tale condizione possa in qualche modo favorire la trasformazione non solo dell'orso, ma anche di cervi, camosci, o lupi in oggetti di attrazione turistica, con ciò che ne consegue in termini di inevitabile contaminazione degli habitat naturali di questi animali molti dei quali in via di estinzione;
   fatto salvo il diritto di ciascuno di poter fruire responsabilmente delle aree montane, ancorché popolate da animali selvatici e rari, è indispensabile che quegli habitat che si contraddistinguono per l'alto valore ambientale/naturalistico, come la Cicerana, siano tutelati rispetto alla possibilità che in esse si sviluppi un turismo inappropriato che, con l'intento della educazione ecologica, possa invece, per finalità puramente economiche, rilevarsi dannoso per la fauna e in particolare per l'orso marsicano anche facilitandone la sua domesticazione –:
   se ritenga di dover intraprendere ogni utile iniziativa di competenza, anche attraverso il rafforzamento delle azioni di sorveglianza e di controllo, volta ad impedire lo sviluppo di attività turistiche in grado di alterare gli equilibri naturali dell'area della Cicerana e se sia compatibile con la disciplina e le finalità del parco nazionale l'assegnazione ad un privato, ancorché a seguito di regolare procedura pubblica, della facoltà di gestire, con scopo di lucro, una struttura appartenente alla collettività ed ubicata in un territorio ad alto valore naturalistico e quindi con un potenziale di attrazione tale da costituire un assoluto privilegio per chi vi volga un'attività economica. (4-14906)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDELLI e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, ha esteso alle sentenze emesse dai giudici tributari favorevoli al contribuente le regole vigenti nel rito civile e amministrativo in tema di esecutività immediata;
   dal 1o giugno 2016, data di entrata in vigore delle disposizioni per le decisioni in favore del contribuente, gli uffici devono adempiere alla restituzione di quanto dovuto a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza, incluse le eventuali spese di giudizio poste a carico dell'amministrazione soccombente;
   la norma prevede che il giudice possa subordinare a idonee garanzie l'esecutività e, quindi, il pagamento a favore del contribuente delle somme superiori a diecimila euro stabilite in sentenza, escluse le spese di lite;
   tale previsione, in via transitoria, era subordinata all'emanazione di un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, il quale doveva disciplinare la durata, i termini e le modalità della garanzia, ove richiesta dal giudice;
   il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora emanato il citato decreto;
   gli uffici dell'Agenzia delle entrate non procedono ai rimborsi e ai pagamenti in presenza di sentenze favorevoli al contribuente, anche per importi inferiori a diecimila euro, adducendo come motivazione la mancata emanazione del decreto e di una circolare interna interpretati;
   il citato decreto deve regolare solo i pagamenti superiori a diecimila euro;
   appare agli interroganti assolutamente immotivato e illegittimo da parte dell'amministrazione fiscale non eseguire le sentenze dei giudici tributari –:
   quando verrà adottato il decreto e perché gli uffici dell'Agenzia delle entrate, pur in vigenza di una legge dello Stato, non procedano all'immediato rimborso a favore dei contribuenti delle somme inferiori a diecimila euro stabilite nelle sentenze dei giudici tributari. (4-14908)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 20 luglio 2016, con atto di sindacato ispettivo n. 4-13877, l'interrogante, al fine di informare i cittadini calabresi circa la reale pericolosità del viadotto «Cannavino», ha chiesto al Ministro se non ritenesse opportuno rendere pubbliche le indagini e le prove di carico statiche e dinamiche, commissionate al professor Pietro Monaco, sul viadotto medesimo, tra gli svincoli di Rovito e Celico, sito al chilometro 42,700 della strada statale 107 di competenza dell'Anas;
   la campagna di sensibilizzazione pubblica sul problema ha prodotto come risultato la possibilità per chiunque di leggere le relazioni tecniche del 2012 e del 2016, entrambe eseguite dal professor Monaco, un esperto del Politecnico di Bari;
   nel comunicato stampa si legge: «Anas ribadisce che dagli esiti delle verifiche tecniche condotte, si è dimostrato che [...] (gli) avvallamenti della pavimentazione stradale erano riconducibili ad effetti indotti dalla viscosità del calcestruzzo e che l'opera risulta conforme non solo alla normativa vigente all'epoca della costruzione, ma anche alla recente normativa del 14 gennaio 2008 per la parte applicabile (che prende a riferimento sollecitazioni più gravose rispetto a quelle della precedente normativa)»;
   nella relazione tecnica si sottolinea, tuttavia, la necessità di un monitoraggio continuo nel tempo, almeno semestrale, per verificare futuri comportamenti anomali della struttura. Inoltre, vengono proposti alcuni interventi tra cui: la riduzione dello «spessore della pavimentazione stradale dove è possibile» per risagomarne il dislivello, la «sostituzione dei giunti esistenti» in modo tale da «in parte attutire il passaggio dei carichi», e la «sostituzione dei guardrail esistenti» e della «rete di protezione»;
   come si può notare, si tratta di interventi minimali, volti a «ridurre le variazioni brusche di pendenza» e, quindi, a migliorare la sicurezza di chi guida, ma non la sicurezza del viadotto. Infatti, nulla si dice riguardo a possibili interventi più strutturali sull'infrastruttura, sebbene nella relazione si affermi che: «Dalle considerazioni svolte si deduce che gli effetti che hanno prodotto le anomalie riscontrate nelle livellette sono dovute solo in parte ai fenomeni deformativi riscontrati. Essi sono da addebitare ad almeno due concause: errori in fase di costruzione; deformazioni viscose accentuate essendo la struttura molto sensibile alle deformazioni lente che si sviluppano nel tempo. Infine la presenza di giunti trasversali “datati” peggiora la situazione di esercizio dell'opera»;
   nella relazione, si parla più volte, di «errori» e anche di anomalie. Per esempio, si legge che «nella sezione 34 nel periodo 2007-2012 si è riscontrato un cedimento di 12 centimetri e nei quattro anni successivi 2012-2016 si è misurato invece un innalzamento di 6 centimetri. [...] nelle sezioni 16-17-18 si è riscontrato nel primo periodo un innalzamento delle sezioni praticamente simile agli abbassamenti del secondo periodo. Anche questo è un risultato anomalo»;
   i piloni del viadotto lambiscono un'area già censita come «frana complessa» a «pericolosità elevata» (P3). Questo significa che il movimento franoso deriva dalla combinazione spaziale e temporale di due o più tipi di movimento (crollo, ribaltamento, scivolamento, espansione, colamento);
   questo tipo di frane ha tra i più comuni «fattori predisponenti o innescanti», il dissesto idrogeologico, la mancata canalizzazione delle acque, il disboscamento che mette a rischio la tenuta dei versanti, l'attività sismica, l'attività antropica (tra cui la cementificazione dei suoli e il sovraccarico dei versanti). Tutti elementi che andrebbero studiati in dettaglio, ma che stranamente non sono citati in alcun modo nella relazione tecnica –:
   se non ritenga urgente fare chiarezza circa la gravità degli errori e delle anomalie citate dal professor Monaco nella relazione sul ponte di Celico e assumere iniziative per capire se la stabilità dell'opera possa essere messa a repentaglio dall'area franosa a pericolosità elevata su cui sorge. (5-10069)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il ponte Agrò è una infrastruttura sulla strada statale 114 che collega i centri di S. Teresa di Riva e Sant'Alessio Siculo, in provincia di Messina e si trova da parecchi anni in uno stato di degrado a causa dell'ammaloramento delle parti strutturali, che non riescono più a sostenere il carico degli automezzi in transito, tanto da costringere l'Anas, ente gestore della strada statale 114, a istituire il senso unico alternato regolato da semafori;
   dall'articolo «Nuove verifiche sul ponte Agrò, slitta la costruzione della passerella» pubblicato il 20 gennaio 2016 sul quotidiano on-line Sikilynews si apprende che l'Anas fin dal 2008 ha previsto che il ponte Agrò dovrà essere demolito e ricostruito, non appena saranno reperiti i fondi e sarà realizzata la passerella provvisoria sul torrente. Nel frattempo sul ponte si continua a circolare con un limite massimo di velocità di 30 km/h e una distanza di sicurezza tra i veicoli di almeno 20 metri. Il transito è invece vietato ai mezzi con portata superiore a 3,5 tonnellate, prescrizione che molto spesso non viene rispettata;
   nell'articolo «Statale 114, dal Patto per la Sicilia arrivano 16 milioni per i ponti Agrò e Nisi», pubblicato il 21 settembre 2016 sul quotidiano on-line Sikilynews, si legge che, grazie al patto per la Sicilia la demolizione e la ricostruzione del ponte Agrò sono finanziate per 9 milioni di euro;
   dall'articolo «Torrente Agrò in piena, l'acqua sommerge la passerella provvisoria» si apprende che il violento temporale del 25 novembre 2016, nel giro di due ore, ha ingrossato il corso d'acqua dell'Agrò che ha così invaso la passerella provvisoria, ultimata nelle scorse settimane, tra S. Teresa e Sant'Alessio;
   nonostante l'Anas abbia costruito l'infrastruttura con il sistema «a corda molla» proprio per permettere al fiume Agrò di scavalcarla in caso di piena, la circolazione nei prossimi mesi sarà ulteriormente compromessa: l'unica alternativa per gli automobilisti sarà l'autostrada A18 a causa del maltempo che renderà necessario interdire il transito sulla passerella e della chiusura del ponte Agrò sulla statale 114, per i previsti interventi strutturali –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare urgentemente al fine di ripristinare la sicurezza stradale e di accertare l'esistenza obiettiva di pericoli o di insidie relativamente alla strada di cui in premessa assumendo, tra l'altro, ove necessario, iniziative per un aumento delle dotazioni finanziarie per completare i lavori di demolizione e ricostruzione del ponte Agrò;
   se il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché la messa in sicurezza delle strade assuma priorità nell'ambito del programma di interventi sulla viabilità in Sicilia, al fine di garantire una rete infrastrutturale adeguata ed assicurare così l'incolumità delle persone;
   se il Ministro intenda chiarire i tempi di realizzazione degli interventi strutturali sul ponte Agrò;
   se non si intendano assumere iniziative per sospendere temporaneamente il pedaggio autostradale per quel tratto di autostrada, che gli automobilisti della zona dovranno obbligatoriamente utilizzare, a causa delle condizioni del ponte Agrò. (5-10070)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   rimane ancora vivo il ricordo del tragico incidente ferroviario avvenuto nel luglio 2016 nel territorio di Andria, in località Boccareto, ai confini con Corato;
   per il corretto recepimento della direttiva 2012/34/UE, che istituisce uno spazio unico ferroviario europeo, per esigenze di chiarezza del quadro normativo, appare indifferibile l'assunzione di iniziative per rivedere integralmente le disposizioni del decreto legislativo n. 188 del 2003, al fine di uniformarle a quanto previsto dalla direttiva, procedendo alla emanazione di un nuovo provvedimento che sostituisca ed abroghi le disposizioni del suddetto decreto legislativo;
   la direttiva andrà applicata a tutte le ferrovie interconnesse regionali, cioè a tutte quelle ferrovie che si connettono con la rete ferroviaria delle Ferrovie dello Stato;
   è estremamente importante la richiesta del passaggio, in materia di regolamentazione sulla sicurezza delle stesse, delle competenze dagli Ustif (Uffici speciali per il trasporto ad impianti fissi, facente capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) all'Ansf – Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria si obbligano tutti i gestori delle ferrovie interconnesse regionali, ad adottare il sistema di sicurezza SCMT, stesso sistema adottato su tutta la tratta nazionale italiana, come vuole la direttiva europea;
   tale passaggio è avvenuto dopo il disastro ferroviario del 12 luglio 2016, con l'obbligo per i gestori di portare il limite di velocità dei treni a 50 km/h, ove non esistano sistemi di sicurezza adeguati. Si ricorda che il 12 luglio 2016 nella strage in Puglia sono morte 23 persone, vi sono stati 50 feriti, per l'assenza di sistemi di sicurezza tali da correggere un errore umano;
   a tutt'oggi non è chiaro se la Ferrotramviaria Spa abbia i requisiti di sicurezza richiesti dall'Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria, e per l'interrogante andrebbe pertanto bloccato il traffico fino al termine dei lavori della messa in sicurezza del binario unico Corato-Barletta;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire, a norma dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 112 del 2015, che reca disposizioni in materia di validità della licenza, predisponendo verifiche e controlli, al fine di garantire appieno la sicurezza degli utenti che quotidianamente usano la linea ferroviaria Bari Barletta. (4-14907)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2016 il Comitato ArticoloUno ha presentato al comune di Benevento una richiesta di autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico per lo svolgimento di manifestazioni politiche relative al referendum costituzionale del 4 dicembre;
   la richiesta era relativa alle giornate del 5, 13, 19, 20 e 26 novembre 2016 e prevedeva l'installazione di un gazebo e la diffusione sonora di contenuti politici inerenti al tema in questione;
   la richiesta è stata accettata con lettera firmata dal sindaco di Benevento il 2 novembre 2016 (n. protocollo 94840);
   per mero eccesso di zelo, e pur non avendo avuto alcuna contestazione da parte della questura di Benevento per le manifestazioni del 5 e del 13 novembre, è stato presentato, in data 18 novembre, un preavviso di pubblica manifestazione, ai sensi dell'articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza;
   al suddetto preavviso veniva opposto dalla questura di Benevento, un diniego;
   il motivo addotto riguardava un presunto ritardo nella presentazione del preavviso di pubblica manifestazione ai sensi dell'articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza;
   eppure l'articolo 18 appena citato non si applica alle manifestazioni elettorali;
   a dimostrazione di ciò, nessun problema in merito era stato posto rispetto alle precedenti iniziative e nessun problema è stato posto quando in seguito al Comitato in questione è stato fornito un permesso per il 20 novembre per volantinaggio in piazza Matteotti, cioè in un luogo differente da quello prescelto e concordato con il comune di Benevento;
   secondo notizie di stampa l'eccezionalità del comportamento di comune e questura rispetto alla data del 19 novembre sarebbe motivata dalla concomitanza della visita del Presidente del Consiglio a Benevento;
   tale visita è stata ufficializzata all'ultimo momento, tanto che l'istituzione della zona rossa (con divieto di sosta comprendente un'area di circa 8 chilometri quadrati) e le comunicazioni relative alla mobilità, a quanto risulta all'interrogante, sarebbero state fatte pervenire alle testate giornalistiche solo nel tardo pomeriggio del 18 novembre;
   non risulterebbe fornita alcuna comunicazione ai residenti e ai commercianti se non mediante l'affissione, nella tarda serata o presumibilmente nelle prime ore del mattino, di divieti di sosta temporanei per l'intera giornata del 19 novembre;
   nessuna comunicazione infine sarebbe stata fornita sulla zona di divieto di transito dei pedoni, che si sarebbero perciò trovati ad affrontare posti di blocco tenuti dalla protezione civile e divieti ad uscire di casa o a potervi fare ritorno;
   a quanto consta all'interrogante finanche bambini, impossibilitati a fornire un documento di riconoscimento, avrebbero visto negarsi il passaggio nella zona rossa ore prima della manifestazione ed in una fase in cui non vi erano motivi di sicurezza tali da destare preoccupazioni, mentre ad anziani e disabili sarebbe stato chiesto di mostrare documentazioni mediche che giustificassero l'attraversamento della zona rossa;
   il diniego ex post del permesso già comunicato per la manifestazione elettorale organizzata dal Comitato ArticoloUno rappresenta, a giudizio dell'interrogante, una evidente lesione di diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti –:
   quali motivazioni giustifichino il succitato diniego e se esso sia stato determinato dalla concomitanza della diversa iniziativa elettorale, peraltro comunicata successivamente;
   come mai la questura di Benevento abbia ritenuto di applicare il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza con le modalità indicate in premessa;
   se possa fornire elementi circa la gestione della comunicazione della istituzione della zona rossa del 19 novembre 2016 a Benevento, che è apparsa all'interrogante del tutto inadeguata;
   se posti di blocco in occasione di iniziative elettorali possano essere tenuti anche dalla protezione civile;
   come si spieghino così forti, stringenti e ad avviso dell'interrogante poco comprensibili misure di sicurezza per una manifestazione elettorale. (4-14900)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000, è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato al pari dell'Arma dei Carabinieri, della Guardia di finanza, polizia penitenziaria e Corpo forestale;
   tale ruolo avrebbe dovuto essere costituito con 5 concorsi annuali, a partire dal 2001 e fino al 2005, per un totale di 1.300 posti riservati agli ispettori della polizia di Stato, con precisi requisiti e anzianità di servizio, secondo le previsioni di cui agli articoli 24 e 25 del medesimo decreto legislativo;
   trattasi di ispettori apicali (sostituti commissari) che rappresentano la quasi totalità dei comandanti degli uffici, distaccamenti, sezioni od aree delle specialità della polizia di Stato;
   tali disposizioni di legge sono rimaste inattuate a distanza di 16 anni, determinando un gravissimo danno economico e di mancate opportunità per gli ispettori apicali della polizia di Stato (sostituiti commissari) i quali erano già tali, ben prima del riordino delle carriere, ex decreto legislativo n. 197 del 1995 (ispettori di cui alla legge 1o aprile 1981, n. 121) in posizione gerarchica, funzionale ed economica sovraordinata ai sottufficiali e ai sovrintendenti dei Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale e polizia penitenziaria (disparità di trattamento, sul piano economico, professionale, pensionistico);
   nel 2005, si è accresciuta la disparità con le altre forze di polizia per effetto dell'articolo 1, comma 261, della legge n. 266 del 2005, con il quale fu sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 334 del 2000 e fu prevista una disciplina transitoria (previa emanazione di appositi decreti a cura del capo della polizia) che individuava i posti di vice dirigenza a tali sostituti commissari nelle more dell'imminente emanazione delle nuove norme di riordino dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento sia civile che militare, annunciato ma mai intervenuto;
   con sentenza n. 01439/2016 del 2 febbraio 2016 del Tar Lazio è stata accolta la class action di 1.600 ispettori della polizia di Stato e disposto che il Ministero dell'interno provveda entro 90 giorni all'indizione dei concorsi per l'accesso al ruolo direttivo speciale di cui all'articolo 25, del decreto legislativo n. 334 del 2000;
   tale sentenza è stata impugnata dal Ministero dell'interno costituitosi innanzi al Consiglio di Stato, ed è stata chiesta la misura cautelare sospensiva, riconoscendo il problema e spiegando che è intendimento dell'Amministrazione sanare la questione in seno al decreto di attuazione dell'articolo 8 della legge n. 124 del 2015, che parla di «equiordinazione» tra forze di polizia;
   l'attuazione dell'articolo 8 della citata legge n. 124 del 2015 è stata oggetto di proroga di ulteriori 6 mesi – che scadranno il 7 febbraio 2017 – in sede di conversione del decreto-legge n. 67 del 2016 recante proroga delle missioni internazionali;
   la bozza di decreto legislativo licenziata dal Ministero in data 21 giugno 2016 sembra escludere dall'inquadramento i circa 2.000 destinatari del ruolo direttivo speciale ex articolo 25 del decreto legislativo n. 334 del 2000, né c’è una previsione di copertura per i 1.300 posti già previsti 16 anni fa –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito ai circa 2.000 sostituti commissari interessati, relativamente all'inquadramento nella qualifica unica di un ruolo commissari ad esaurimento, con pari decorrenza giuridica ovvero se non intenda assumere iniziative per porre fine allo stato di inerzia che si protrae da ben 16 anni, con il bando immediato di un unico concorso straordinario, per titoli, in soprannumero riassorbibile alle 1.300 unità già previste nel 2000, a cui dovrà seguire la decorrenza giuridica d'inquadramento all'anno 2001 e la relativa ricostruzione di carriera, onde poter attuare l’«equiparazione» presupposta dalla legge n. 124 del 2015 citata in premessa.
(4-14902)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il professore Stefano Civitarese, in servizio presso l'università G. d'Annunzio di Chieti-Pescara, è stato nominato assessore presso il comune di Pescara, città abruzzese con oltre 110 mila abitanti;
   successivamente il professore Civitarese è stato nominato membro del consiglio di amministrazione della stessa università ed è in carica dal 1o novembre 2016. La dichiarazione pubblicata sul portale dell'università, fornita ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 9 risale al 26 dicembre 2015 per cui non riporta gli eventuali incarichi recenti, compreso quello di assessore del comune di Pescara;
   l'articolo 63 dello  statuto dell'università dispone che per i componenti del consiglio di amministrazione dell'università è fatto divieto di rivestire un incarico di natura politica, per la durata del mandato;
   il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, definisce l'assessore come componente di organo di indirizzo politico, per cui la figura di assessore rientra tra gli incarichi di natura politica;
   l'articolo 24, comma 3, dello statuto dell'università dispone che i componenti del consiglio di amministrazione appartenenti ai ruoli dell'ateneo devono optare per il regime di impegno a tempo pieno: da ciò ad avviso degli interroganti si potrebbe desumere che il professore Civitarese sia in servizio con regime a tempo pieno;
   ai sensi dell'articolo 6, comma 10, della legge del 30 dicembre 2010, n. 240, i professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere, previa autorizzazione del rettore, compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'università di appartenenza, a condizione comunque che l'attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'università di appartenenza;
   ai sensi dell'articolo 53, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal decreto stesso;
   l'interazione delle norme precedentemente citate fa desumere, secondo gli interroganti, che ai fini dell'accettazione della carica di assessore, il professor Civitarese debba preventivamente chiedere e ottenere l'autorizzazione all'università;
   tale autorizzazione, però, per essere concessa deve presumere che l'incarico sia attinente all'area scientifico disciplinare dell'interessato, non rechi pregiudizio allo svolgimento delle attività istituzionali e non dia luogo a situazioni che, avvantaggiando il soggetto a favore del quale verrebbe svolto l'incarico, comportino di conseguenza situazioni di svantaggio economico per l'ateneo, così come regolamentato anche dall'articolo 9 del regolamento dell'università, emanato con decreto regionale n. 815 del 3 dicembre 2013; Alla luce di ciò sarebbe fondamentale verificare:
    quale sia l'attinenza tra l'area scientifica disciplinare del professor Civitarese con quella del ruolo di assessore;
    come possa il ruolo di assessore di un comune di oltre 110 mila abitanti non essere gravoso, sia in termini di impegno che di tempo materiale, a tal punto da non recare pregiudizio allo svolgimento delle attività istituzionali di professore –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare il Governo per fare chiarezza sulla materia, alla luce del caso descritto in premessa, con specifico riferimento alla compatibilità tra lo status di professore universitario a tempo pieno e la carica di assessore di un comune la cui popolazione supera i centodiecimila abitanti. (5-10072)

SALUTE

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   con l'articolo 40 della legge n. 39 del 2002 è stato riformato il sistema antitruffa sui farmaci dispensabili dal servizio sanitario nazionale introducendo anche un procedimento anti contraffazione e anti furto con estensione a tutti i farmaci in commercio in Italia;
   in forza della predetta normativa è stato introdotto l'articolo 5-bis al decreto legislativo n. 540 del 1992 che prevede l'attuazione del nuovo sistema con due decreti ministeriali, uno relativo alle caratteristiche del codice e del supporto ed un altro per l'istituzione di una banca dati presso il Ministero della salute destinata alla gestione di tutta la tracciabilità del farmaco;
   la regolamentazione dei codici e dei supporti è stata realizzata con il decreto ministeriale 2 agosto 2001, sostituito dal decreto ministeriale 30 maggio 2014;
   la banca dati volta alla gestione del sistema di tracciabilità del farmaco è stata istituita con decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 4 gennaio 2005, n. 2. Nella suddetta banca dati centrale sarebbero dovuti confluire via internet tutti i dati relativi alla fornitura dei bollini numerati di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2001, i movimenti delle singole confezioni dei prodotti medicinali, attraverso il rilevamento del codice prodotto e del numero identificativo delle confezioni apposto sulle confezioni, secondo le procedure e le modalità fissate dal presente decreto, nonché i dati relativi al valore, per categoria terapeutica omogenea, delle forniture dei medicinali alle strutture del Servizio sanitario nazionale, e relativi ai consumi degli stessi, scongiurando, in tal modo, il pericolo di contraffazione o duplicazione fraudolenta di farmaci e quindi dei conseguenti rimborsi, a carico del servizio sanitario nazionale;
   tuttavia, detto decreto conteneva all'articolo 6 una norma transitoria per permettere agli operatori di organizzarsi per gradi e per far giungere tutto il mercato del farmaco italiano alle nuove etichette codificate in modo da consentire la tracciabilità delle stesse;
   in forza della norma transitoria il processo iniziò gradualmente e gli operatori furono esonerati dalla trasmissione completa dei dati e più in particolare:
    le industrie, i depositari e i grossisti potevano omettere la trasmissione di codici identificativi;
    le farmacie ne furono totalmente esonerate;
   dal 1o gennaio 2008, i decreti dovevano già operare a pieno regime; viceversa la banca dati risulta ancora funzionare in regime provvisorio, operando su dati incompleti e su un numero limitato di soggetti obbligati alla trasmissione; ad oggi, dopo circa 12 anni, l'attuazione dell'invio alla banca dati del codice di targatura risulta ancora parzialmente attuata;
   le industrie farmaceutiche hanno costi stimati in 60 milioni di euro l'anno per il bollino dell'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato e di circa 140 milioni di euro per la gestione dei bollini per assemblaggio e distribuzione. Il costo della banca dati grava sul bilancio dello stato e il costo per la codificazione dei farmaci su quello delle industrie farmaceutiche. Tali oneri si ripercuotono sul prezzo dei farmaci;
   a questi costi di gestione corrisponde una banca dati ancora in regime provvisorio, modalità che ne inficia il significato e non giustifica gli elevati costi di sistema;
   la direttiva comunitaria in materia di tracciabilità dei farmaci 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio è operativa dal 2011 ed è coerente con la normativa di tracciabilità del farmaco italiana, tanto che è stata data una proroga all'attuazione fino al 2025; essa prevede uno strumento centrale di controllo e di gestione della filiera del farmaco;
   la mancata attuazione del decreto ministeriale 15 luglio 2004 ha impedito così una tracciatura completa del prodotto lungo tutta la filiera e quindi il controllo della dispensazione sia in farmacia che attraverso e.commerce –:
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno intraprendere iniziative:
   a) per accertare per quali motivi non è stata attuata a regime la banca dati per la tracciabilità del farmaco istituita con decreto ministeriale 15 luglio 2004;
   b) per attivare la banca dati per la tracciabilità del farmaco, ovvero per il controllo anti contraffazione e antiriciclaggio delle refurtive e per il contrasto delle truffe al Servizio sanitario nazionale e di altri atti illeciti in materia di farmaci e prestazioni farmaceutiche;
   se il Ministro non ritenga opportuno, anche in considerazione della dematerializzazione della ricetta medica e del progressivo affermarsi della «sanità digitale», assumere iniziative per giungere ad una ristrutturazione del sistema di tracciabilità e garanzia di sicurezza del farmaco con procedure alternative all'attuale bollino, che preveda l'utilizzo di mezzi informatici, in considerazione del fatto che con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (9 febbraio 2016) del Regolamento delegato (UE) 2016/161, che reca disposizioni attuative della direttiva 2011/62/UE, si prevede l'introduzione del sistema «datamatrix» su tutte le confezioni farmaceutiche.
(2-01554) «Binetti».

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 11 del 2015 della giunta comunale di Falciano del Massico, in provincia di Caserta, è stata approvata la programmazione triennale per il fabbisogno degli anni 2015, 2016 e 2017;
   contestualmente, è stata disposta la copertura di un posto vacante mediante l'assunzione di un elemento di personale a tempo indeterminato da individuarsi attraverso procedura di mobilità esterna da riservarsi al personale di ruolo dipendente di enti pubblici di area vasta, collocato in disponibilità e destinatari di processi di mobilità;
   la figura prevista era di categoria C con il profilo professionale di istruttore amministrativo addetto ai servizi ambientali;
   con nota protocollata al n. 1731 del 2015 i consiglieri comunali Corrado Freddino ed Igor Prata chiesero al revisore dei conti come fosse possibile procedere ad assunzione tramite mobilità, considerato che tale modalità sia prevista dalla legge solo nella misura del 60 per cento dei cessati (condizione non rinvenibile nel caso di specie);
   il revisore dei conti non comunicava risposta alcuna nei 30 giorni successivi e veniva perciò dagli stessi consiglieri diffidato con una successiva nota;
   nel frattempo, il responsabile dell'area affari generali disponeva, con determina dirigenziale n. 29 del 2015, l'attivazione di procedure di mobilità volontaria per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato dell'istruttore amministrativo addetto ai servizi ambientali di cui sopra;
   il 20 maggio 2015, l'avviso pubblico riguardante l'avviso di mobilità esterna è stato pubblicato nell'albo online comunale, mentre il 1o giugno dello stesso anno il sindaco di Falciano del Massico chiedeva alla Corte dei Conti un parere circa la possibilità di assunzione dell'unità programmata e chiarimenti riguardo la possibilità di considerare anche i dismessi consorzi di bacino per il ciclo gestione rifiuti tra gli «enti di area vasta»;
   la sezione campana della Corte dei Conti riteneva inammissibile la richiesta del parere mentre dopo oltre cinque mesi il revisore dei conti rispondeva alla richiesta già citata con nota n. 4793/2015, indicando una serie di criticità relative alla procedura (tra cui il mancato inserimento dell'offerta di mobilità nel portalemobilita.gov);
   il responsabile dell'area affari generali annullava in autotutela con determina n. 85 del 2015 la procedura di mobilità volontaria esterna, non specificando però le motivazioni dell'annullamento;
   a seguito di una richiesta del sindaco di Falciano del Massico alla giunta regionale e alla Presidenza del Consiglio dei ministri di indicazioni in merito alla disponibilità, negli appositi elenchi, di personale provvisto di qualifica inquadrabile nella categoria C del contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti pubblici, pervenivano, alla fine del 2015, elenchi di lavoratori in disponibilità;
   con determina dirigenziale n. 135 del 2015 il responsabile dell'area affari generali avviava la procedura di selezione di un istruttore amministrativo categoria C, ai sensi dell'articolo 34-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, nominando apposita commissione di valutazione composta da lui stesso, dal responsabile dell'area tecnica e dal responsabile dell'area economica-finanziaria;
   anche stavolta, le procedure d'assunzione poste in essere non venivano attivate sul portale istituzionale governativo, e quindi dopo ulteriori segnalazioni dei già citati consiglieri comunali Freddino e Prata, il segretario comunale comunicava con nota n. 312 del 2016 che l'eventuale mancata attivazione della procedura sul portalemobilita.gov avrebbe comportato la nullità dell'assunzione;
   con determina n. 14 del 2016 veniva quindi ancora una volta annullata in autotutela la procedura avviata dal responsabile dell'area affari generali;
   la delibera di giunta comunale n. 37 del 2016 approvava dunque il nuovo piano triennale di fabbisogno relativo agli anni 2016, 2017 e 2018, prevedendo l'assunzione di tre istruttori amministrativi di categoria C;
   sono state dunque nelle scorse settimane attivate le procedure di selezione di personale proveniente dagli ex consorzi di bacino per le suddette figure professionali, ancora una volta senza però attivarle anche sul portale istituzionale;
   tale ripetuta mancanza è stata oggetto di segnalazioni continue da parte dei consiglieri Freddino e Prata;
   per l'interrogante si profilerebbe di fatto il tentativo, da parte dell'amministrazione comunale, di assumere mediante procedure di mobilità personale proveniente da consorzi in liquidazione;
   il tutto avverrebbe mentre nella memoria collettiva è ancora vivo lo scandalo delle assunzioni dell'ex Eco4-CE4, che rappresentò una vera e propria «parentopoli» –:
   di quali elementi disponga il Governo in ordine a quanto esposto in premessa e se non si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere una verifica, per quanto di competenza, da parte dell'Ispettorato per la finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in relazione alle procedure di assunzioni citate, anche e soprattutto per evitare che si replichino dinamiche clientelari e familiari già viste in passato. (4-14898)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pizzolante.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Grillo e altri n. 5-10056 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 709 del 25 novembre 2016, alla pagina 42915, seconda colonna, alla riga trentunesima, aggiungere in fine le seguenti parole: «; il comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 39 del 2013 dispone che: “L'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica o d'ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con proprio provvedimento”».

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle date 9 10 e 11 maggio 2014 le frazioni di Città Giardino (Melilli) e Belvedere (Siracusa) – in concomitanza con alcuni blocchi e sfiaccolamenti riscontrati nella zona industriale adiacente – all'interno del SIN (sito di interesse nazionale) venivano investite da una strana pioggia marrone che lasciava sulle superfici delle autovetture, di pannelli solari, verande, arredi esterni e ringhiere, macchie indelebili, ruvide al tatto di colore marrone scuro/nero che si fondevano con le superfici. Il personale dell'Arpa, chiamato dall'amministrazione comunale ed intervenuto per i rilievi, ha trovato enormi difficoltà nel prelevare campioni della sostanza e ha preferito eseguire i rilievi trasportando alcune autovetture nella sede dell'agenzia regionale di Siracusa. Risulta che il comune di Melilli, dopo aver raccolto le testimonianze della popolazione, ha notificato alla procura di Siracusa la notizia di reato mentre la popolazione, già sottoposta a continue molestie ambientali, miasmi, polveri sottili e fenomeni di elettrosmog, ha il diritto di sapere cosa è accaduto. Da parte sua l'Arpa ha comunicato i primi dati sui rilievi effettuati, ma, per carenza di strumentazione tecnica adeguata, non è riuscita a definire di quale sostanza si tratti definendola genericamente «sostanza inorganica per il momento indefinita»;
   i rilievi sono stati trasferiti al laboratorio dell'Arpa Catania, dotato di tecnologia più avanzata, per una ulteriore analisi. A due mesi dall'episodio non è ancora possibile conoscere la natura di questa sostanza e metterne al corrente l'opinione pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro non ritenga di intervenire con urgenza per verificare la situazione e, offrire i chiarimenti del caso. (4-05636)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dai competenti enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 15 aprile 2016, ha inoltrato un'apposita richiesta di informazioni alla regione Sicilia e all'ARPA Sicilia. Allo stato gli unici elementi informativi sono stati forniti dall'Arpa Sicilia.
  In data 9 maggio 2014 la polizia municipale del comune di Melilli, in servizio presso la delegazione di Città Giardino, ha richiesto un intervento ad ARPA Sicilia struttura territoriale di Siracusa avendo rilevato la presenza di macchie di colore marrone bruno depositatesi durante la notte sulle carrozzerie delle macchine, sulle tende sui terrazzi e sui balconi scoperti.
  I tecnici reperibili rilevavano la presenza delle chiazze ma non riuscivano ad effettuare un campionamento per la eventuale identificazione.
  Il materiale presente sulla carrozzeria delle macchine si presentava costituito da chiazze rotondeggianti, di colore bruno, fortemente adese alla superficie tanto da rendere impossibile il recupero per spazzolamento.
  Si è potuta recuperare qualche chiazza con dello scotch e se ne è asportato un certo quantitativo con un batuffolo di cotone imbevuto di n-esano. I campioni prelevati con batuffolo di cotone e n-esano sono stati estratti e analizzati per verificare qualitativamente la presenza di sostanze organiche e di metalli mentre i campioni prelevati con lo scotch sono stati trasferiti su vetrino e osservati al microscopio.
  Le analisi qualitative in gas massa sono state effettuate per confronto con un «bianco», prelevato in maniera analoga al campione bruno, su una parte di carrozzeria non interessata dalle chiazze. Il report analitico non evidenzia nei campioni «bruni» la presenza di sostanze diverse dal campione «bianco».
  La ricerca dei metalli non è stata ancora completata ma si evidenzia che la verifica microscopica, pur mostrando la presenza di granuli di polline, non evidenziava il classico aspetto «a tappeto» dei granuli pollinici. Risultava invece la presenza di granuli e di altre particelle sicuramente di matrice inorganica notevolmente preponderanti rispetto a pollini e spore. Poiché con il microscopio a disposizione non era possibile ricavare ulteriori informazioni si è concordato con la struttura territoriale ARPA di Catania, che dispone del microscopio elettronico a scansione (SEM), di verificare la possibilità di eseguire l'analisi in SEM dei campioni prelevati, dalla quale desumere ulteriori dati e informazioni.
  Sull'argomento si fa presente che è stato aperto un fascicolo di indagine della procura.
  Sulla questione sono coinvolte anche altre amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori aggiornamenti, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato le interrogazioni n. 5-00646, 5-00169, 5-02239, 3-00504 e 4-00805, aventi ad oggetto il sito di interesse nazionale (SIN) di Priolo;
   le questioni sollevate nelle interrogazioni sopra indicate concernevano i gravi ritardi delle bonifiche delle aree pubbliche (rada di Augusta – discariche – e altro), gli episodi gravissimi di inquinamento atmosferico proveniente dalle emissioni dell'area industriale, i ritardi dell'amministrazione regionale per l'approvazione del piano regionale della qualità dell'aria e le gravi vicende penali per reati ambientali coinvolgenti i massimi vertici della SAI8 ex gestore del servizio idrico integrato della provincia di Siracusa;
   l'inquinamento delle matrici ambientali del territorio dei comuni di Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa è un dato evidenziato e documentato da atti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (conferenze dei servizi istruttorie e decisorie per l'area SIN di Priolo) e studi (caratterizzazioni) dell'ISPRA;
   in termini quantitativi e qualitativi l'inquinamento del territorio dell'area SIN rappresenta nel nostro Paese un'emergenza alla pari di altre e per le quali nel corso degli anni 2015 e 2016 il Governo è intervenuto con decreti-legge;
   gli studi sanitari relativi all'area SIN di Priolo evidenziano la più alta incidenza di tumori nel territorio del comune di Augusta, i cui valori tra i maschi si attestano ben oltre quelli del resto di Italia e collocano Augusta nell'ambito di un profilo epidemiologico tipico delle aree fortemente industrializzate (si veda Il monitoraggio dello stato di salute delle popolazioni residenti in siti contaminati);
   nel corso degli ultimi due anni sono stati presentati innanzi alla procura della Repubblica di Siracusa molteplici esposti, di comitati cittadini, di associazioni ambientaliste e delle amministrazioni comunali tutti aventi ad oggetto fatti di inquinamento atmosferico di rilevante entità;
   la procura della Repubblica ha avviato procedimenti penali per accertare se sussistono fatti costituenti reato;
   da anni è oramai accresciuta la sensibilità della cittadinanza sul tema dei rischi sanitari e soprattutto sull'incidenza dell'inquinamento sulla salute della popolazione residente;
   per oltre tre anni il sacerdote Palmiro Prisutto parroco della Chiesa madre di Augusta, ogni ultima domenica del mese, durante la messa, ha letto i nomi di tutte le vittime di tumore nel territorio di Augusta;
   più volte e ripetutamente Don Palmiro Prisutto e non solo ha chiesto l'intervento e la partecipazione personale delle più alte istituzioni della Repubblica;
   per ultimo Don Palmiro Prisutto ha pubblicato sui media una lettera inviata al Ministro delle salute invitandola a recarsi ad Augusta;
   ad oggi gli inviti a fare sentire la presenza e la vicinanza del Governo e di chi rappresenta il territorio rispetto ad un tema così importante sono rimasti inascoltati;
   se è vero che la misura del valore di un'azione politica è determinata dalle risorse umane economiche e dai mezzi impiegati per contrastare i fenomeni come quelli sopra descritti, è altrettanto vero che vi è l'obbligo, non solo morale, della politica e di chi la rappresenta ai massimi livelli di confrontarsi, di rendere partecipi, di info are e far sentire vicinanza a coloro che hanno pubblicamente ed in più occasioni richiesto interventi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e se intendano programmare un incontro pubblico con i cittadini dei comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa al fine di confrontarsi, di rendere partecipi, di informare e far sentire la vicinanza dello Stato e l'interesse al tema dell'inquinamento dell'area SIN di Priolo Gargallo;
   se siano previsti interventi e iniziative in merito al tema delle bonifiche di questo vasto territorio, sito di interesse nazionale di Priolo-Melilli-Augusta-Siracusa.
(4-13777)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che nel periodo 2007-2009 nell'ambito di una Convenzione tra Ministero dell'ambiente e Istituto superiore di sanità (Iss) per le attività di supporto in materia di danno sanitario e ambientale connesso ai siti di interesse nazionale (Sin) è stato deciso di effettuare uno studio per la valutazione di impatto su ambiente e salute e stima dei costi economici dell'inquinamento in siti di bonifica di interesse nazionale al fine di quantificare il danno sanitario per le popolazioni residenti nei Sin di Gela e Priolo.
  Il gruppo di lavoro, composto da esperti nel campo ambientale, chimico, biologico, epidemiologico, medico ed economico, ha valutato con i dati disponibili l'associazione tra l'inquinamento ambientale e lo stato di salute della popolazione.
  Lo studio ha evidenziato livelli importanti di contaminazione chimica delle matrici ambientali quali acqua di falda, suolo e sedimenti all'interno del Sin (alcuni risultati sono contenuti nel rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità pubblicato nel 2014, « Human Health in Areas with industrial Contamination»).
  Studi successivi hanno confermato la presenza di una contaminazione chimica delle matrici ambientali nell'ambito del Sin (in particolare, il tema dell'incidenza dei tumori nell'area di Priolo è stato oggetto di uno studio pubblicato nel 2016 nella rivista scientifica Geospatial Health, dal titolo « Cancer incidence in Priolo, Sicily: a spatial approach for estimation of industrial air pollution impact»).
  Sull'argomento si evidenzia altresì che il quadro sanitario della popolazione residente nel Sin di «Priolo» (costituito dai comuni di Augusta, Melilli, Priolo Gargallo e Siracusa) è stato ampiamente studiato, in particolare, nell'ambito del progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) del Ministero della salute, con la pubblicazione nel 2014 di un rapporto su «Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri» nella rivista scientifica Epidemiologia e prevenzione. Uno studio successivo, pubblicato nel 2016 nella medesima rivista Geospatial Health, ha indagato la distribuzione spaziale dei tumori all'interno del Sin (periodo 1999-2006), mediante l'applicazione di diversi metodi geografici per la valutazione dell'impatto degli inquinanti atmosferici emessi dagli impianti industriali.
  In questo quadro è stata rilevata la necessità di rafforzare le attività di bonifica.
  Al riguardo, si evidenzia che rispetto alla superficie totale delle aree a terra (pari a oltre 5.800 ettari), le attività di caratterizzazione delle matrici ambientali sono state completate per oltre il 47 per cento (2.760 ettari). Le conferenze di servizi tenutesi presso il Ministero dell'ambiente hanno approvato Progetti di bonifica per oltre il 13 per cento (733 ettari), ed è in corso l'istruttoria per un ulteriore 5 per cento (269 ettari) della superficie totale del Sin, mentre per l'8 per cento (460 ettari) il procedimento è stato ritenuto concluso. Si sottolinea inoltre che sono in stato avanzato di realizzazione i procedimenti di bonifica relativi alle aree dismesse destinate alla reindustrializzazione (215 ettari).
  Le aree a mare, in particolare i tratti tra la rada di Augusta e il porto di Siracusa e tra il Porto grande e il Porto piccolo di Siracusa, sono state caratterizzate. Per quanto riguarda la rada di Augusta – unica area con rilevanti criticità ambientali – la Regione Siciliana ha in corso di stesura il progetto degli interventi sui sedimenti, secondo quanto previsto nel nuovo accordo di programma siglato in data 25 giugno 2015.
  L'area a mare prospiciente lo stabilimento ex-Eternit, nella quale fu riscontrato un esteso deposito di materiali contenenti amianto, è stata bonificata con l'utilizzo esclusivo di fondi pubblici per un importo di oltre 20 milioni di euro.
  Le matrici suolo, sottosuolo e acque di falda delle aree di pertinenza delle maggiori realtà industriali presenti all'interno del SIN (3 raffinerie, 2 impianti di chimica integrata, 3 centrali elettriche, 1 cementeria, 2 cave di estrazione materiali, 1 inceneritore ed 1 deposito di stoccaggio prodotti petroliferi) sono state caratterizzate e, ove siano risultate contaminate o potenzialmente tali, sono stati avviati interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica. In particolare i suoli e sottosuoli dell'area dell'inceneritore sono risultati conformi ai limiti di legge.
  Si fa presente altresì che, in relazione alle ceneri di pirite presenti nelle aree dei campi sportivi dei comuni di Priolo e di Augusta, il campo sportivo «San Foca» è stato bonificato, rinnovato e restituito al comune di Priolo in data 10 settembre 2012.
  La Regione Siciliana è stata sollecitata a concludere i lavori di bonifica del campo sportivo «ex Feudo», già in avanzato stato di realizzazione.
  Circa la discarica sita nel comune di Augusta, località Campo Sportivo «Fontana», la Conferenza di Servizi decisoria del 3 giugno 2014 ha deliberato che la realizzazione del capping superficiale (conforme al decreto legislativo n. 36 del 2003) potesse essere avviata.
  L'accordo di programma quadro del SIN di Priolo, sottoscritto in data 25 giugno 2015, ha finanziato interamente il suddetto intervento di capping. In data 6 maggio 2015 la Regione Siciliana – Ufficio del genio civile di Siracusa – ha approvato in linea tecnica, il progetto delle opere di capping da porre a base di gara di appalto.
  In merito ai progetti eseguiti nel SIN di Priolo, si rileva, tra l'altro, che si sono conclusi i Progetti di bonifica dell'area del nuovo impianto di trattamento delle acque di falda, inaugurato nel 2011, e della centrale termoelettrica di Augusta dell'Enel. Inoltre, la società Syndial sta completando il Progetto di bonifica dei terreni a sud del Vallone della Neve, per una superficie di circa 185 ettari, aree da destinarsi alla reindustrializzazione.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi elementi informativi si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, il Ministero continuerà a tenersi informato, proseguirà la sua attività di monitoraggio e intervento, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulle questioni di propria competenza, favorendo la più ampia collaborazione tra le istituzioni e la società civile.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANZALDI, CARBONE e BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la zona industriale ricadente nel territorio dei comuni di Priolo, Melilli, Augusta, Siracusa, Solarino e Floridia è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990;
   lo stesso provvedimento viene motivato, tra l'altro, dalla circostanza che l'area in oggetto è «esposta ad un continuo rilascio di notevoli quantità di sostanze inquinanti» e che la stessa risente più direttamente delle ricadute degli inquinanti atmosferici;
   da tempo i cittadini di Siracusa anche attraverso il loro sindaco denunciano i superamenti di inquinanti provenienti dagli impianti della zona industriale;
   ancora oggi si continuano ad istituire inefficaci tavoli tecnici in prefettura;
   da decenni il territorio ricadente nell'area ad elevato rischio di crisi ambientale è monitorato da una rete della provincia, del CIPA e dell'ENEL, nonché vi sono codici di autoregolamentazione per le industrie petrolchimiche ed energetiche, per ridurre in caso di superamento da parte di SO2, NOx, O3;
   da anni ormai non si verificano superamenti di SO2, NOx ed O3 a causa dei cambiamenti di combustibili usati nei cicli produttivi e anche a causa del processo di dismissione di diversi impianti;
   si ritiene pertanto giunto il momento di avviare un'azione di monitoraggio di alcune particolari sostanze tra cui, il benzene, il toluene, xilene mercaptani H2S, IPA. PM 2.5 ancora oggi parzialmente o affatto monitorati dalla rete di rilevamento;
   è assolutamente necessario e improcrastinabile che l'ente pubblico ARPA cominci a rilevare le emissioni dei singoli impianti, mettere in rete i dati a disposizione dei cittadini per una adeguata azione di tutela dell'ambiente e di trasparenza finalizzata anche alla individuazione di eventuali responsabili in caso di dati non conformi alle previsioni di legge;
   lo stesso direttore dell'ARPA di Siracusa è stato costretto recentemente ad ammettere che la rete di rilevamento dell'inquinamento atmosferico non è adeguatamente rispondente ai requisiti disposti dalla normativa vigente;
   nella provincia di Siracusa esistono 3 reti di rilevamento interconnesse fra di loro, una di proprietà dell'ENEL (ora dismessa), una della provincia regionale e l'altra del CIPA (proprietà e gestione delle industrie);
   appare evidente che l'associazione CIPA vive una forte contraddizione in quanto è allo stesso tempo «controllore e controllato» e con una gestione che lascia alquanto perplessi;
   lo stesso presidente in sede di riunione in prefettura ha posto l'accento sui limiti di efficienza della stessa rete, sia in termini di manutenzione che di investimenti e di ammodernamento della stessa per consentirgli di essere a norma;
   il piano di risanamento ambientale dell'area a rischio di Siracusa-Priolo-Augusta decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 – già all'inizio faceva rilevare nella scheda «razionalizzazione della rete di monitoraggio della qualità dell'aria» che la rete appariva carente sia per la localizzazione sia per la carente manutenzione e gestione della strumentazione;
   nella stessa scheda, infatti, si faceva notare che la distribuzione territoriale delle centraline appariva solo parzialmente adeguata, troppo limitata nell'area posta a ridosso degli insediamenti ESSO-ENEL AUGUSTA, dove le simulazioni modellistiche mostrano un massimo relativo di ricaduta a terra;
   in queste ultime settimane l'ENEL (Centrale Archimede di Priolo Gargallo) che aveva dismesso le proprie centraline sul rilevamento della qualità dell'aria a causa della riconversione dell'impianto a ciclo combinato, ha manifestato la propria disponibilità a installare 3 centraline per il rilevamento di altri inquinanti;
   questa potrebbe essere l'occasione per introdurre un'azione di effettivo monitoraggio di un'area di un'area che risulta scoperta –:
   quali iniziative intende intraprendere il Ministro per far adeguare alle norme di legge la rete di rilevamento dell'inquinamento atmosferico nell'area dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale;
   se non intenda verificare, nell'area del petrolchimico, l'attuazione del piano di risanamento ambientale e il rispetto delle specifiche AIA;
   se non intenda altresì aggiornare ed adeguare il piano di risanamento ambientale del polo petrolchimico di Siracusa-Priolo-Augusta così come previsto dallo stesso decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 imponendo limiti maggiormente restrittivi in difesa dell'ambiente in base alle citare previsioni di legge. (4-04593)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che nel sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) di Priolo, rispetto alla superficie totale delle aree a terra (pari a oltre 5.800 ettari, le attività di caratterizzazione delle matrici ambientali sono state completate per oltre il 47 per cento (2.760 ettari). Le conferenze di servizi tenutesi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno approvato progetti di bonifica per oltre il 13 per cento (733 ettari), ed è in corso l'istruttoria per un ulteriore 5 per cento (269 ettari) della superficie totale del SIN, mentre per l'8 per cento (460 ettari) il procedimento è stato ritenuto concluso. Si sottolinea inoltre che sono in stato avanzato di realizzazione i procedimenti di bonifica relativi alle aree dismesse destinate alla reindustrializzazione (215 ettari).
  Le aree a mare, in particolare i tratti tra la rada di Augusta e il porto di Siracusa e tra il Porto Grande e il Porto Piccolo di Siracusa, sono state caratterizzate. Per quanto riguarda la rada di Augusta – unica area con rilevanti criticità ambientali – la Regione Siciliana ha in corso di stesura il progetto degli interventi sui sedimenti, secondo quanto previsto nel nuovo accordo di programma siglato in data 25 giugno 2015.
  L'area a mare prospiciente lo stabilimento ex-Eternit, nella quale fu riscontrato un esteso deposito di materiali contenenti amianto, è stata bonificata con l'utilizzo esclusivo di fondi pubblici per un importo di oltre 20 milioni di euro.
  Le matrici suolo, sottosuolo e acque di falda delle aree di pertinenza delle maggiori realtà industriali presenti all'interno del SIN, (3 raffinerie, 2 impianti di chimica integrata, 3 centrali elettriche, 1 cementeria, 2 cave di estrazione materiali, 1 inceneritore ed 1 deposito di stoccaggio prodotti petroliferi) sono state caratterizzate e, ove siano risultate contaminate o potenzialmente tali, sono stati avviati interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica. In particolare i suoli e sottosuoli dell'area dell'inceneritore sono risultati conformi ai limiti di legge.
  Si fa presente altresì che, in relazione alle ceneri di pirite presenti nelle aree dei campi sportivi dei comuni di Priolo e di Augusta, il campo sportivo «San Foca» è stato bonificato, rinnovato e restituito al comune di Priolo in data 10 settembre 2012.
  La Regione Siciliana è stata sollecitata a concludere i lavori di bonifica del Campo sportivo «ex Feudo», già in avanzato stato di realizzazione.
  Circa la discarica sita nel comune di Augusta, località campo sportivo «Fontana», la conferenza di servizi decisoria del 3 giugno 2014 ha deliberato che la realizzazione del capping superficiale (conforme al decreto legislativo n. 36 del 2003) potesse essere avviata.
  L'accordo di programma quadro del SIN di Priolo, sottoscritto in data 25 giugno 2015, ha finanziato interamente il suddetto intervento di capping. In data 6 maggio 2015 la Regione Siciliana – Ufficio del genio civile di Siracusa – ha approvato in linea tecnica, il progetto delle opere di capping da porre a base di gara di appalto.
  In merito ai progetti eseguiti nel SIN di Priolo, si rileva, tra l'altro, che si sono conclusi i progetti di bonifica dell'area del nuovo impianto di trattamento delle acque di falda, inaugurato nel 2011, e della centrale termoelettrica di Augusta dell'Enel. Inoltre, la società Syndial sta completando il progetto di bonifica dei terreni a sud del Vallone della Neve, per una superficie di circa 185 ettari, aree da destinarsi alla reindustrializzazione.
  Occorre inoltre specificare che, nell'ambito della verifica dello stato di attuazione dei provvedimenti di autorizzazione integrata ambientale (Aia) e del rispetto delle prescrizioni ivi contenute, è attribuito all'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) il ruolo di autorità di vigilanza e controllo sulle Aia di competenza statale e a questo Ministero quello di autorità competente ad adottare misure cautelari.
  Nella fattispecie, si segnala che le installazioni presenti nell'area oggetto di interrogazione e soggetti all'Aia di competenza statale, sono le seguenti:
   Isab srl, «Raffinerie Impianti Sud e Nord» di Priolo Gargallo;
   Air Liquide Italia Produzione S.r.l. di Priolo Gargallo;
   Impianto Igcc Isab S.r.l. di Priolo Gargallo;
   Centrale Erg Power srl – Nuove Centrali Impianti Nord di Priolo Gargallo;
   Versalis S.p.A. per la produzione di prodotti chimici organici di base;
   Enel Produzione S.p.A. – Centrale «Archimede» di Priolo Gargallo;
   Enel Produzione S.p.A. – Centrale di Augusta;
   lo stabilimento Sasol s.p.a, di Augusta per la produzione di prodotti chimici di base (detersivi);
   la Raffineria Esso Italiana S.r.l. di Augusta.

  In particolare, va rilevato che le installazioni sopra riportate sono dotate di Aia, e controllate da Ispra e che, allo stato attuale, per nessuna delle installazioni è stata adottata alcuna diffida per inottemperanza alle prescrizioni dell'Aia.
  Pare altresì opportuno rilevare che, successivamente al rilascio dell'Aia, per tutte le menzionate installazioni sono stati avviati i procedimenti di riesame al fine di adeguare le prescrizioni a sviluppi intervenuti nell'assetto dell'impianto o nelle migliori tecniche poste a riferimento a livello comunitario.
  Al riguardo, si segnala che la competente direzione generale del Ministero, al fine di facilitare e promuovere l'accesso all'informazione ambientale e la partecipazione del pubblico, provvede alla pubblicazione on-line, tramite la specifica area del sito web del Ministero consultabile al link http://aia.minambiente.it., di tutti gli atti inerenti gli esiti dei controlli.
  Si segnala altresì la recente approvazione della legge 28 giugno 2016 n. 132 che istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Attraverso un Sistema nazionale a rete in cui un ruolo strategico è attribuito a Ispra, e con i cosiddetti «Lepta», ovvero i livelli essenziali delle prestazioni ambientali cui dovranno adeguarsi le agenzie, si attua un vero e proprio ripensamento dell'attuale sistema, fino ad oggi scandito da una diversità di approcci da regione a regione e da una grande frammentarietà che indeboliva di fatto la protezione dell'ambiente.
  Altre importanti novità introdotte dal provvedimento sono il sistema informativo nazionale ambientale e la rete dei laboratori accreditati, volti a rafforzare dunque in maniera evidente la trasparenza e la qualità scientifica dei controlli.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato e svolgendo un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps ha pubblicato sul proprio sito istituzionale una ricerca che si riporta le cifre del boom dei voucher osservato negli ultimi anni, documentandone la dinamica e la diffusione a livello settoriale e territoriale. In modo particolare l'attenzione è stata rivolta a descrivere:
    la domanda di lavoro accessorio: tipologie di datori di lavoro, sia aziende che persone fisiche, intensità e persistenza del loro ricorso ai voucher;
    l'offerta: lavoratori coinvolti secondo le loro principali caratteristiche anagrafiche e di percorsi nel mercato del lavoro;
   da ciò emerge il fatto che nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher: nel 2010 erano meno di 10 milioni. Una volta riscossi daranno luogo a circa 860 milioni di compensi ai lavoratori, pari a circa 45.000 stipendi netti anni, e a circa 150 milioni di contributi a fini previdenziali;
   il numero di voucher riscossi da lavoratori che hanno prestato attività di lavoro accessorio concluso nel 2015 è pari a quasi 88 milioni;
   i committenti dei prestatori di lavoro accessorio che hanno svolto attività nel 2015 risultano 473.000; i prestatori coinvolti risultano 1,380 milioni e le posizioni lavorative 1,730 milioni, e ciò dipende dal fatto che un lavoratore può aver prestato lavoro occasionale per più di un committente;
   si tratta quindi di un sistema di pagamento che può essere utilizzato per tutte le forme di lavoro non regolamentate da un contratto, poiché svolte in modo occasionale e discontinuo;
   si ricorda che il voucher ha un valore nominale di 10 euro e un valore netto pari a 7,50 euro. Il valore nominale comprende: la contribuzione in favore della gestione separata dell'Inps, pari al 13 per cento, l'assicurazione anti infortuni all'Inail, pari al 7 per cento, un compenso all'Inps per la gestione del servizio;
   il voucher da 10 euro corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo, per il quale si considera il contratto di riferimento;
   ogni compenso erogato tramite voucher ha uno specifico limite economico, il reddito di ogni singolo lavoratore non deve superare i 5.050 euro netti ovvero 6.740 euro lordi per ogni anno solare. Tale importo è considerato come totale percepito tra tutti i committenti del lavoratore. Il limite è pari a 2.020 euro netti ovvero 2.690 euro lordi per ciascun committente nel caso di prestazioni rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti. Il limite è di 3.000 euro netti pari a 4.000 euro lordi, con riferimento alla totalità dei committenti nel caso in cui i prestatori percepiscano misure di sostegno al reddito ovvero disoccupati e lavoratori in mobilità;
   si ricorda che possono essere utilizzati da: famiglie; enti senza fini di lucro; soggetti non imprenditori; imprese familiari; imprenditori agricoli; imprenditori operanti in tutti i settori; committenti pubblici;
   mentre i soggetti che possono svolgere attività di lavoro accessorio sono solamente: pensionati e studenti nei periodi di vacanza;
   gli studenti possono effettuare prestazioni di lavoro accessorio anche il sabato e la domenica in tutti i periodi dell'anno; chi è iscritto agli studi universitari può svolgere lavoro accessorio in qualunque periodo dell'anno: i percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito, i lavoratori in part-time, altre categorie di prestatori, quali, ad esempio, i disoccupati, gli extracomunitari, se in possesso di un permesso di soggiorno che consenta lo svolgimento di attività lavorativa, compreso quello per studio, o di un permesso di soggiorno per «attesa occupazione»;
   a fronte di questi dati il presidente dell'Inps ha dichiarato esplicitamente durante un evento pubblico che «Bisogna intervenire in modo draconiano, drastico, nel reprimere forme fraudolente dell'utilizzo dei voucher»;
   infatti nel 2015 i voucher strumento, lo si ribadisce, pensato per retribuire il solo lavoro accessorio, nel 23 per cento dei casi sono stati usati per pagare lavoratori dell'età media di 37 anni, ex occupati, che in buona parte hanno perso il posto nei due anni precedenti;
   un'altra parte importante di lavoratori, pari al 14 per cento, non è mai stata occupata, quindi nel 37 per cento dei casi, quello retribuito a voucher è in realtà l'unico reddito da lavoro. Si tratta di un'entrata non certo sufficiente a mantenere una persona mentre, in realtà, l'85 per cento dei lavoratori che ha lavorato con pagamento mediante un buono è rimasto al di sotto dei mille euro annui;
   il dato, ad avviso dell'interrogante, rivela una netta deriva dello strumento rispetto al suo intento originario, cioè quello di facilitare l'emersione dal lavoro nero e pagare prestazioni occasionali per occupazioni saltuarie come il giardinaggio o i mestieri domestici;
   sempre il presidente dell'Inps ha esplicitamente dichiarato che «I voucher non stanno facendo emergere molto lavoro nero. In alcuni casi creano precarietà e sono controproducenti»;
   quali iniziative gravi e urgenti intendano assumere per eliminare gli abusi, in particolare prevedendo che dall'uso siano esclusi i settori incongrui. (4-13240)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'utilizzo dei buoni lavoro (cosiddetti voucher) per le prestazioni di lavoro accessorio, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno precisare che il lavoro accessorio, introdotto dal decreto legislativo n. 276 del 2003, si sostanzia in una particolare modalità lavorativa la cui precipua finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite per l'appunto accessorie, non riconducibili a forme tipiche di contratto di lavoro e svolte in modo saltuario ed occasionale da soggetti considerati, nella maggior parte dei casi, di difficile occupabilità.
  Si è inteso, in tal modo, regolarizzare attività normalmente saltuarie e marginali svolte «in nero» nell'intento di assicurare ai prestatori di lavoro un minimum di tutele previdenziali ed assicurative. Il pagamento della prestazione accessoria avviene unicamente attraverso lo strumento dei buoni lavoro (voucher) non essendo ammesse modalità retributive diverse.
  L'originaria disciplina del lavoro accessorio ha subito una radicale trasformazione con la legge n. 92 del 2012 (cosiddetta riforma Fornero) e, successivamente, con il decreto legge n. 76 del 2013 che hanno eliminato le limitazioni di tipo oggettivo (attività esercitabili) e soggettivo (soggetti legittimati a prestare lavoro accessorio) e fatto venir meno la natura occasionale dell'istituto.
  Conseguentemente, tale categoria di lavoro è stata definita dai soli limiti economici dei compensi percepiti dal prestatore di lavoro a prescindere dalla tipologia di attività svolta, identificandosi, dunque, con l'insieme delle prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità di committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare e, con riferimento a ciascun singolo committente, ad un compenso superiore a 2.000 euro.
  L'obiettivo del legislatore, con questi interventi di modifica, era certamente quello estendere il ricorso ad un istituto volto principalmente a favorire l'emersione del lavoro irregolare, principalmente tra soggetti privi di una stabile occupazione o che si trovassero in fase di transizione da un'occupazione ad un'altra.
  La materia è stata successivamente ridisciplinata con il decreto legislativo n. 81 del 2015, emanato in attuazione del jobs act, che ha innalzato a 7.000 euro il compenso massimo annuale che ciascun prestatore di lavoro può ricavare con riferimento alla totalità dei committenti, mantenendo invece inalterato il limite di 2.000 euro per le attività svolte in favore di ciascun singolo committente. È stato altresì introdotto il divieto del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito della esecuzione di appalti.
  Inoltre, al fine di favorirne la tracciabilità, il decreto legislativo n. 81 del 2015 ha previsto che i voucher possano essere acquistati esclusivamente con modalità telematiche e che, prima dell'inizio della prestazione, i committenti siano tenuti a comunicare alla competente Direzione territoriale del lavoro i dati anagrafici, il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi. In assenza della predetta comunicazione preventiva, la prestazione resa dal lavoratore avrebbe dovuto essere considerata quale prestazione di fatto, e come tale in «nero», con la conseguente irrogazione della cosiddetta maxi sanzione da parte del personale ispettivo.
  Tanto premesso, si rappresenta che, ai fini di un corretto utilizzo dei buoni lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inps, in qualità di concessionario del servizio di gestione dei voucher, hanno fornito chiarimenti e precisazioni in ordine agli ambiti di utilizzo degli stessi mediante diversi atti regolamentari (circolari, messaggi e pareri). In tal senso, il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con lo status di lavoratore subordinato se impiegato presso lo stesso datore di lavoro; parimenti, il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con prestazioni aventi carattere di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli ed elenchi professionali qualificati.
  Inoltre, sull'utilizzo dei voucher, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con l'Inps, ha effettuato una attività di monitoraggio e di valutazione i cui risultati sono stati illustrati in un apposito report pubblicato, il 22 marzo 2016, nel sito del Ministero. L'analisi sintetizzata nel rapporto consente di escludere che i voucher siano stati utilizzati per sostituire rapporti di lavoro stabili con prestazioni occasionali e di ritenere invece che l'aumento del ricorso ai voucher sia stato verosimilmente favorito dalle restrizioni all'utilizzo del lavoro a progetto e delle altre forme di contratti flessibili introdotte dal decreto legislativo n. 81 del 2015. Nel report si rileva inoltre che, negli ultimi anni, l'importo medio percepito da ciascun lavoratore mediante il lavoro accessorio è rimasto costante, nella misura di circa 630 euro annui. Tale circostanza induce a ritenere che sulla crescente diffusione dell'istituto non abbiano inciso in maniera significativa le modifiche introdotte dal jobs act in materia di lavoro accessorio.
  Si aggiunge inoltre che, il 7 ottobre 2016, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana il decreto legislativo n. 185 del 2016 recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in attuazione del jobs act. Tale decreto ha rafforzato la tracciabilità dei voucher al fine di evitare eventuali distorsioni nell'uso di tale strumento e di preservarne la finalità originaria volta a far «emergere» quelle prestazioni che non possono essere disciplinate attraverso le forme di lavoro stabile previste dalla legislazione vigente. Si introduce così una modalità di controllo analoga a quella già in essere per il cosiddetto Job on call (lavoro a chiamata) al fine di impedire possibili comportamenti illegali ed elusivi da parte di quelle imprese che acquistano il voucher, comunicano l'intenzione di utilizzarlo ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte di un ispettore del lavoro.
  Nello specifico, si prevede che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti debbano comunicare alla competente sede territoriale dell'ispettorato nazionale del lavoro – mediante sms o posta elettronica e almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione lavorativa – i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando altresì il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. Invece, i committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare – nel medesimo termine e con le stesse modalità – solo i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni.
  Il legislatore, in tal modo, ha voluto tenere conto della specificità del lavoro agricolo e della difficoltà dei committenti imprenditori agricoli di prevedere ex ante la durata delle prestazioni e il numero esatto di lavoratori da utilizzare a causa del condizionamento dell'attività agricola da parte di fattori meteorologici.
  Per quanto concerne l'attività di controllo sui voucher, si precisa che nel documento di programmazione dell'attività di vigilanza per il 2016, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto, tra gli obiettivi primari di attenzione degli organi ispettivi, la verifica sul corretto utilizzo dei voucher.
  Inoltre, l'attività di vigilanza sarà resa più efficace grazie alla costituzione dell'Ispettorato del lavoro: infatti, l'affidamento a tale organo della gestione unitaria delle attività in precedenza svolte dagli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps e dell'Inail consentirà di unificare e potenziare le ispezioni nelle imprese. Anche quest'ultimo intervento conferma l'intenzione e la volontà del Governo e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti quei comportamenti che sfruttano il lavoro e alterano la corretta concorrenza tra le imprese.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   NICOLA BIANCHI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 novembre 2015 la comunità del parco, organo dell'ente parco nazionale dell'Asinara, si è riunita a Porto Torres per la designazione di due componenti del consiglio direttivo dell'ente, come si legge nella nota pubblicata sul sito internet della regione autonoma della Sardegna;
   come nuovi membri del consiglio direttivo, in sostituzione di Beniamino Scarpa e Paolo Denegri, sono stati designati il sindaco di Porto Torres, Sean Christian Wheeler, e Marco Vannini, professore ordinario di scienze economiche e aziendali dell'università di Sassari;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 16 aprile 2013, n. 73, il quale ha disposto con l'articolo 1, comma 1, la modifica dell'articolo 9, comma 4, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, il consiglio direttivo è formato dal presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro trenta giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione;
   il decreto ministeriale di nomina dei due nuovi componenti, da quanto risulta agli interroganti, non è ancora stato emanato per cui il consiglio direttivo appare oggi privo di due membri;
   il consiglio direttivo, dopo la seduta del 16 gennaio 2016, sarà verosimilmente convocato nuovamente entro i primi venti giorni del mese di febbraio 2016 ai fini, in particolare, dell'approvazione del bilancio –:
   se non intenda il Ministro interrogato procedere con urgenza alla nomina dei due membri vacanti del consiglio direttivo dell'ente parco nazionale dell'Asinara e quali siano le motivazioni che hanno impedito fino a oggi l'emanazione del decreto citato. (4-11757)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In relazione al parco nazionale dell'Asinara, i due componenti del Consiglio direttivo del Parco sono stati nominati con decreto n. 66 dell'11 marzo 2016.
  Con riferimento alle tempistiche per l'emanazione del decreto di nomina, si rappresenta che la designazione dei nuovi rappresentanti da parte della comunità del parco è stata comunicata dalla regione autonoma della Sardegna con nota del 21 gennaio 2016; con nota del 2 febbraio 2016 il Ministero, ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73, ha quindi richiesto l'avviso della regione Sardegna sui nominativi designati dalla comunità del parco; la regione ha risposto con nota del 19 febbraio 2016, con la quale è stato espresso parere positivo; solo a tal punto, acquisita la documentazione di rito da parte dei soggetti designati, è stato possibile procedere alla predisposizione del relativo decreto di nomina, sottoscritto in data 11 marzo 2016.
  Ad ogni modo, si segnala che questo Ministero sta seguendo l’iter di modifica della legge quadro sulle aree protette (394/91), il cui testo risulta attualmente all'esame della Commissione ambiente del Senato.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse nei giorni scorsi sugli organi di stampa («gonews.it» del 22 luglio 2016) si apprende che «la casa circondariale di Empoli sarà destinata a diventare una Rems, ossia una delle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria varate con la legge 81 del 2014», legge quest'ultima che configura le Rems come strutture sanitarie con finalità di cura, riabilitazione e reinserimento sociale con lo scopo di aiutare il paziente nel recupero della capacità relazionali e dei rapporti affettivi con la propria famiglia e l'ambiente sociale, nonché con i servizi psichiatrici che coadiuveranno nella cura del soggetto;
   dall'agosto del 2010, data di riapertura del carcere femminile empolese, l'istituto è stato gestito secondo il moderno principio della sorveglianza dinamica, con ottimi risultati sia a livello trattamentale che di sicurezza interna, azzerando difatti gli eventi critici e portando la recidiva delle detenute tra le più basse a livello nazionale;
   dopo le varie condanne da parte della Corte giustizia di Strasburgo nei confronti dell'Italia per le condizioni in cui i detenuti sono costretti ad espiare le proprie pene detentive e per il sovraffollamento delle strutture carcerari, giudicando, la Corte stessa, le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante, non si capisce come sia possibile prendere la decisione di smantellare una struttura all'avanguardia nei progetti trattamentali, senza sovraffollamento e che funziona;
   negli anni 2009 e 2010, inoltre, venivano effettuati dei lavori di ristrutturazione nella suddetta struttura per renderla automatizzata, con nuovi sistemi di video sorveglianza, e con il rifacimento della portineria e dell'impiantistica;
   nella casa circondariale «Pozzale» di Empoli, tra l'altro, soprattutto negli ultimi anni, sono stati sviluppati numerosi progetti di recupero in favore delle detenute;
   destano preoccupazione, altresì, i tempi e le modalità con cui il Ministero della giustizia vorrebbe mettere in atto questo cambiamento, comunicato con una circolare dell'Ufficio della contabilità del provveditorato regionale del Ministero della giustizia, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dove si informa che con la nota n. 0249018 del 20 luglio 2016 è stata disposta «l'immediata chiusura del carcere, con il conferimento dell'immobile all'agenzia del Demanio», così da poterla destinare a Rems, (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria);
   il trasferimento da carcere femminile a Rems prevede infatti un passo obbligatorio: il trasferimento dell'immobile all'Agenzia del demanio, la quale poi lo assegnerà all'azienda sanitaria per la riqualificazione;
   all'interno della struttura di Empoli sono ospitate 15 detenute e 35 agenti di polizia penitenziaria e 4 unità di personale ministeriale. Detenute e personale verranno collocati in sedi limitrofe;
   risulta all'interrogante che diverse associazioni nonché organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria sarebbero in stato di agitazione per l'eventuale chiusura del penitenziario empolese;
   secondo l'interrogante risulta essere assolutamente non idonea la trasformazione di un ex carcere in una Rems, visto che queste ultime nascono come strutture sanitarie e di recupero e tali caratteristiche, a giudizio dell'interrogante, sono difficilmente individuabili in una struttura carceraria;
   le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria sono state create in sostituzione degli opg (ospedali psichiatrici giudiziari), in cui venivano reclusi i criminali con problemi mentali; già nell'aprile 2015 la regione Toscana tentò di trasformare la casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze in Rems sollevando le perplessità e le proteste di numerosi organizzazioni e degli stessi detenuti del Gozzini;
   la regione Toscana, inoltre, è una delle sei regioni commissariate dal Governo ai sensi della legge n. 81 del 2014, in quanto non in regola sulla dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari e la conseguente attivazione delle Rems, gestite dalla sanità territoriale;
   risulta all'interrogante che la casa circondariale di Empoli non appare essere idonea all'attivazione di una struttura sanitaria per malati psichici in quanto non atta a garantire agli stessi gli opportuni servizi medici e terapeutici; inoltre, non sarebbe attualmente nota l'entità della spesa che dovrà essere stanziata per la riqualificazione del suddetto carcere in Rems;
   per rimediare ad una legge carente, in cui non si prevede la vigilanza della polizia penitenziaria per le Rems, si utilizzano strutture carcerarie inadeguate alla funzione, o se ne trasformano altre in «mini carceri», affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica sicurezza, già in, difficoltà;
   non si capisce quale sia la necessità di smantellare il carcere di Empoli, anche in considerazione del fatto che, nel vicino comune di Montelupo Fiorentino sono stati investiti numerosi finanziamenti per la ristrutturazione della struttura ivi presente –:
   se trovino conferma le notizie di stampa riferite all'ipotesi della realizzazione di una Rems presso il carcere femminile «Pozzale» di Empoli e se vi siano ulteriori proposte di trasformazione in Rems di altri istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale;
   se sia prevista, e in quali tempi, la dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino. (4-14025)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante pone all'attenzione la delicata questione del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e del passaggio alle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sollecitando chiarimenti in ordine all'ipotesi di destinare a residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza la struttura che attualmente ospita il carcere femminile a custodia attenuata «Pozzale» di Empoli.
  Com’è noto, la mancata attivazione delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza nelle regioni Veneto, Piemonte, Toscana, Abruzzo-Molise, Puglia e Calabria entro il termine fissato dalla legge 81 del 2014 ha creato una situazione di grave criticità.
  Al fine di superare tale situazione di impasse, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'ottobre 2015, ha disposto il commissariamento delle regioni inadempienti e a febbraio 2016, ha provveduto alla nomina del Commissario Straordinario, dottor Franco Corleone, peraltro recentemente rinnovata per ulteriori sei mesi.
  Con particolare riguardo alla Toscana, già nel 2014, il Presidente della regione aveva chiesto di acquisire l'immobile in cui ha sede la casa circondariale di Empoli, al fine di realizzarvi una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza da destinare all'accoglienza degli internati residenti nella regione Toscana, nonché nella regione Umbria – sulla scorta dell'accordo interregionale – attualmente ricoverati presso l'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino.
  Deve in proposito evidenziarsi che la Toscana, ad oggi, ha provveduto all'attivazione di una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza, a Volterra, che però non è in grado, da sola, di garantire l'accoglienza dei pazienti umbri e toscani.
  Secondo quanto riferito sul punto dal Ministero della salute, la Regione Toscana ha presentato un ventaglio di proposte per risolvere la situazione di difficoltà e di carenza di posti, sottoponendole sia al vaglio del Commissario unico nominato dal Governo, sia all'organismo di coordinamento istituito appositamente presso il Ministero della salute.
  La soluzione di destinare il piccolo carcere femminile a custodia attenuata di Empoli a residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza provvisoria è risultata, effettivamente, all'esito delle dette consultazioni, quella più facilmente percorribile.
  Ciò, soprattutto, per l'attitudine di tale soluzione a consentire una riconversione della struttura in tempi brevi e di permettere, in conseguenza, la definitiva chiusura dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino entro la fine del 2016.
  In tale prospettiva, sono già state avviate le prime attività volte a mettere in esecuzione il progetto. Le 15 donne detenute presso la casa circondariale di Empoli sono state definitivamente assegnate lo scorso 4 agosto – nel rispetto delle preferenze dalle stesse manifestate – presso le case circondariali di Firenze Sollicciano e di Perugia Capanne, nelle quali proseguirà il percorso trattamentale e sanitario avviato nella precedente struttura penitenziaria.
  Inoltre, è stato già disposto il trasferimento del personale – si tratta di 33 unità di polizia penitenziaria e di 4 unità del comparto ministeri – presso altre sedi, attraverso le procedure di mobilità garantite dagli accordi sindacali di categoria ed, in particolare, dal provvedimento del Capo del Dipartimento 5 novembre 2012 e dalle intese sindacali del 2 e del 17 febbraio 2016.
  Infine, sono state avviate tutte le attività volte alla dismissione della struttura, con la restituzione dell'immobile all'Agenzia del demanio per favorire il suo trasferimento alla regione.
  Grazie alla realizzazione della nuova residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza potranno trovare accoglienza i 9 pazienti residenti nelle Regioni Toscana ed Umbria, ospitati sino allo scorso 31 agosto presso l'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, i 10 pazienti accolti presso le strutture residenziali di altre regioni per indisponibilità dei posti in Toscana, nonché le persone raggiunte da provvedimenti di applicazione della misura di sicurezza detentiva in attesa di ricovero presso le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (si tratta di 16 pazienti toscani ed umbri alla data del 6 settembre 2016).
  Il trasferimento degli ultimi pazienti dall'ex ospedale psichiatrico giudiziario toscano – che avverrà non appena le REMS competenti per territorio comunicheranno la disponibilità a riceverli sulla base ai posti disponibili – consentirà l'avvio dell'ultima fase del procedimento per la definitiva chiusura dell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino.
  Con riguardo al più generale tema sollevato nell'atto di sindacato ispettivo, relativo all'ampio ricorso alle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza benché le stesse rappresentino solo uno degli strumenti previsti dalla legge n. 81 del 2014 per l'assistenza dei malati psichici, che punta in modo sostanziale sulla rete dei servizi territoriali dei Dipartimenti di salute mentale, si rileva che le amministrazioni coinvolte hanno comunicato di essere ben consapevoli di tali possibilità.
  Deve, tuttavia, evidenziarsi che la scelta di quali modalità di assistenza debbano essere in concreto riservate ai soggetti che, pur in stato di incapacità psichica, hanno commesso reati, dimostrando una pericolosità sociale, ricade nella discrezionalità della magistratura, che non può essere sindacata in questa sede.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'allegato A alla delibera della giunta regionale n. 2407 del 29 dicembre 2011 consiste nell'accordo di programma per la tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee del fiume Brenta, stipulato tra la regione Veneto, l'autorità d'ambito territoriale ottimale «Brenta», le province di Vicenza e Padova, 12 comuni, il consorzio di bonifica Brenta, la società regionale Veneto Acque spa, la società Etra spa, l'Arpav, finalizzato:
    al miglioramento morfologico del medio corso del Fiume Brenta nel tratto compreso tra Bassano del Grappa e Fontaniva;
    a consentire a Veneto Acque S.p.A. il prelievo iniziale di 500 l/s nell'area in prossimità del Bacino Giaretta in località Camazzole di Carmignano di Brenta, coerentemente con quanto stabilito dal Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto;
   la delibera della giunta regionale n. 1974 del 2 ottobre 2012 riporta alcune integrazioni non allineate al precedente accordo di programma e non sottoscritte dai sindaci dello stesso, in quanto non sarebbe mai stato attivato il coordinamento degli enti locali e territoriali previsto dalla delibera della giunta regionale n. 2407 del 29 dicembre 2011 secondo cui «il Coordinamento degli Enti Locali e Territoriali si riunisce periodicamente od ogniqualvolta lo riterrà opportuno, previa convocazione da parte del Presidente della Commissione Tecnica o suo delegato o su richiesta di almeno tre tra gli altri Enti membri, avendo come obiettivo quello di essere costantemente a conoscenza dello stato degli interventi e dei riflessi sulla falda dei prelievi effettuati a vario genere in modo da suggerire soluzioni da adottare e/o affrontare le criticità rilevate»;
   relativamente alla delibera della giunta regionale n. 1974 del 2 ottobre 2012, in particolare punto 1.a) interventi di realizzazione pozzi per prelievo acque (MOSAV) punto 1.b) progetto di recupero materiale in Alveo, esistono, ad avviso dell'interrogante, gravi omissioni rispetto all'accordo di programma regolarmente firmato e pubblicato:
    non c’è prova concreta, a quanto consta all'interrogante, che dimostri che siano state eseguite le verifiche dei livelli di falda da ARPAV (delegate extra accordo di programma a Veneto Acque); in proposito ci sarebbero solo dichiarazioni di Veneto Acque e del dipartimento ambiente della regione Veneto che tranquillizzano sull'effettiva ricarica delle falde, ma che non appaiono supportate da adeguati documenti;
    dall'inizio del 2013 la commissione tecnica si è riunita solo il 30 dicembre 2015 contravvenendo alla regola di controllo costante da parte dei sindaci;
    risulta una sola riunione (febbraio 2016) del coordinamento enti locali previsto dall'accordo di programma, di cui non risulta verbale;
    il progetto Democrito, anch'esso previsto dall'accordo, presupposto per garantire/potenziare la falda, appare sospeso pur in presenza di finanziamenti per 900.000 + 2.000.000 euro;
    mancano le relazioni semestrali e annuali sull'attuazione dell'accordo di programma;
    a posteriori, dopo l'accordo di programma, è stato inserito il progetto di recupero del materiale per i pozzi in Alveo; disattendendo la normativa europea che vieta di modificare la morfologia dei fiumi attraverso l'asportazione di materiali;
    dalla somma della potenzialità dei pozzi sarebbe prevista una quantità d'acqua maggiore rispetto a quella prevista dall'accordo di programma: i 4 pozzi Etra esistenti prelevano 800 l./s, i 4 nuovi pozzi-Veneto Acque possono prelevare 950 l./s per un totale di 1750 l./s; il totale autorizzato temporaneamente è di 800 l/s + 500 l/s = 1300 l/s con monitoraggio della effettiva ricarica delle falde. Solo in futuro con l'esecuzione di opere di rimpinguamento e monitoraggio della falda si potrà autorizzare il prelievo fino a 1750 l/s; il Progetto prevede ulteriori 5 Pozzi a sud in Alveo per altri 600 l/s (600 in più del max se non fosse previsto il declassamento dei 4 pozzi Etra esistenti) con la conseguente necessità di realizzare difese artificiali che comporteranno lo scavo di ulteriori 70.000 mc. di materiale dal letto del Brenta; non sono chiare le motivazioni e l'utilità di queste ulteriori opere;
   è previsto anche lo scavo di un canale artificiale in alveo (salvanella); tutto ciò comporterebbe, a giudizio dell'interrogante, un grave spreco di denaro pubblico, di risorse naturali e una devastazione irreversibile in un sito di interesse comunitario/zona a protezione speciale;
   la regione-Dip.Ambiente, nella risposta del 14 gennaio 2016, rispetto ai finanziamenti del progetto Democrito omette di citare l'articolo 6 dell'Accordo di Programma che prevede l'impegno della regione a «programmare il finanziamento» del progetto per il 50 per cento cioè per 6 milioni di euro; il dipartimento regionale giustifica l'asporto in alveo come semplice «movimentazione» (si vedano nota del 8.2.16), uno spostamento del materiale dal fiume ai pozzi, ma non dice che questo comporta la distruzione del relativo Habitat fluviale e l'abbassamento dell'alveo e che 70.000 mc. su 100.000 mc. riguardano i 5 pozzi superflui in zona SIC/ZPS;
   si evidenzia inoltre che comuni/enti convengono sulla necessità di eliminare i 5 Pozzi a sud in alveo ed il relativo recupero di materiale in Alveo (si vedano anche le relazioni di Società Botanica Italiana, Centro Studi Biologia Amb., Legambiente, consorzio di bonifica, associazioni varie) evitando gravi danni ambientali e spreco di denaro pubblico;
   il progetto 2 località Santa Croce Casoni – «RIPRISTINO DELLA SEZIONE DI DEFLUSSO DEL FIUME BRENTA MEDIANTE ASPORTAZIONE DI MATERIALE E DIFESA SPONDALE IN SIN.IDRAULICA NEI PRESSI DI VIA CASONI COMUNI DI CITTADELLA, FONTANIVA E CARMIGNANO DI B.R.» (RIF DECRETO REG, VENETO 205 DEL 02 settembre 2013) prevede un totale di 8 interventi analoghi, sempre con il metodo della compensazione, nel tratto Carmignano-Piove di Sacco (vedi allegato «A» decr. 205 del 2 settembre 2013): n. 7 nel tratto Cittadella-Curtarolo e n. 1 nei Comuni di Vigonovo, Fossò, Campolongo Maggiore e Piove di Sacco;
   per effettuare le manutenzioni di piccoli tratti di argine sulla sponda sinistra si ricorre al metodo della compensazione che prevede interventi di risezionamento e abbassamento dell'alveo, pretestuosi perché non necessari e che vanno ad alterare tutto il sistema morfologico e ambientale. Dal punto di vista idraulico infatti paiono non necessario, sembrano invece essere una scusa per poter prelevare quantità enormi di ghiaia (sull'ordine di 560 mila metri cubi totali movimentati) come merce di scambio a favore dell'impresa coinvolta nelle operazioni;
   il proponente/assegnatario è il Consorzio medoacus s.c. a r.l. di Mestrino (PD); il progetto provocherà per l'interrogante una devastazione ambientale, per circa 2 chilometri di fiume e di alveo/golena con una importante incisione dell'alveo e asportazioni per una profondità fino a 4 metri; ciò comporta una eliminazione totale dell'habitat fluviale in una zona tutelata da una serie di strumenti urbanistici e ricadente nell'ambito del sito di interesse comunitario/zona a protezione speciale «Grave e zone umide della Brenta»;
   per compensare la ricostruzione di circa 460 metri di argine verrebbero asportati e trasportati circa 550.000 metri cubi di materiale con le seguenti conseguenze:
    distruzione degli habitat e delle specie in un Sito di importanza comunitaria;
    aumento della pendenza e perdita dell'effetto di rallentamento della golena con aumento della velocità delle acque in caso di piena, in un fiume noto per essere torrentizio;
    abbassamento dell'alveo e conseguente abbassamento della falda freatica proprio in corrispondenza dell'area destinata al prelievo idrico per l'intero sistema acquedottistico del Veneto Centrale;
    impossibilità di controllo delle quantità da estrarre in quanto il fiume Brenta ad ogni morbida ricopre di materiale la zona della sezione di deflusso e riprende un suo andamento imprevedibile;
   va fatto presente che con decreto n. 205 del 2 settembre 2013 la giunta regionale veneta ha previsto altri sette interventi analoghi (sempre a compensazione) che andrebbero ad interessare l'intera asta fluviale da Carmignano a Piove di Sacco con i medesimi devastanti effetti distruttivi;
   esiste ampia documentazione sui misfatti/illeciti commessi in situazione analoga negli anni 2000/2001 quando i tratti scavati venivano di volta in volta ripristinati dal fiume e seguivano ulteriori interventi di asporto senza controllo; la compensazione si basa su una significativa sottostima del valore a metri cubi della ghiaia;
   il Consorzio Medoacus, unico proponente, è assegnatario e deve presentare il progetto definitivo che sarà sottoposto a valutazioni di impatto ambientale tenuto conto che a parere dell'interrogante è in contrasto con tutte le normative di zona;
   tutto ciò avverrebbe per l'interrogante non in conformità con la direttiva europea 2000/60, in buona parte recepita ed integrata nel «collegato ambientale» recentemente approvato dalla Camera dei deputati, che definisce l'approfondimento degli alvei fluviali come una pratica da evitare nel modo più assoluto  –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, in considerazione del fatto che gli interventi sopra richiamati insidierebbero su un'area che costituisce un sito di interesse comunitario (SIC) e una zona di protezione speciale (ZPS).
(4-13116)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente talune criticità relative alle opere idrauliche da realizzare sul fiume Brenta, ricadenti nell'area vincolata appartenente alla rete Natura 2000, identificata come SIC/ZPS (sito di importanza comunitaria/zona di protezione speciale) IT3260018 e denominata «Grave e zone umide del Brenta», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali preposti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che, relativamente alla realizzazione del progetto regionale di «derivazione delle falde del Medio Brenta», la competente regione Veneto ha evidenziato la necessità di esecuzione e la valenza di pubblica utilità delle opere previste, nel pieno rispetto delle disposizioni dell'accordo di programma.
  Tanto premesso, per quanto riguarda le presunte mancate verifiche dei livelli di falda da parte dell'agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto (ARPAV), la regione Veneto afferma che tali verifiche sono state delegate a Veneto Acque s.p.a. ed attuate dalla predetta società con la supervisione di ARPAV ed in pieno accordo con la medesima agenzia.
  Riguardo alla variante del progetto di «derivazione dalle falde del Medio Brenta», concernente la possibilità di reperimento di materiale dall'alveo per la realizzazione dei rilevati, la Regione precisa, inoltre, che non si tratta di un nuovo progetto, ma di una variante già considerata nello stesso parere favorevole di compatibilità ambientale rilasciato dalla commissione regionale VIA (valutazione di impatto ambientale) sul progetto definitivo delle opere di derivazione.
  Tale variante, peraltro, non è necessariamente includibile nel progetto definitivo delle opere di derivazione poste a base di gara. Allo stato attuale, pertanto, le opere in esecuzione alla base del contratto sottoscritto con le imprese appaltataci sono esclusivamente quelle indicate nel progetto originario, il quale prevede il reperimento del materiale interamente da cave di prestito esterne al sito di progetto. La Regione ricorda, altresì, che il progetto delle opere di derivazione ha seguito l'intero iter procedurale di VIA, che comprende la pubblicazione degli elaborati, l'informazione al pubblico e la raccolta delle osservazioni da parte degli interessati.
  Per quanto concerne, invece, la realizzazione «in alveo» dei pozzi, l'Amministrazione regionale afferma che i pozzi sono realizzati in area demaniale entro gli argini maestri del Brenta, ma in zona golenale, non entro l'alveo di scorrimento fluviale. La realizzazione dei rilevati è necessaria per la protezione del sistema di prelievo dalle piene ordinarie del fiume. La variante proposta, che prevede la possibilità di recupero del materiale necessario per la realizzazione dei rilevati dall'alveo del fiume, non comporta alcuna «asportazione» del medesimo fuori dall'ambito fluviale, ma un riposizionamento del materiale stesso entro gli argini maestri.
  Inoltre, in relazione al fatto che le opere idrauliche da realizzare nel fiume Brenta ricadano nell'area vincolata appartenente alla rete Natura 2000, identificata come SIC/ZPS IT3260018 e denominata «Grave e zone umide del Brenta», la Regione afferma che il progetto delle opere di captazione, così come quello della variante predetta, è stato sottoposto a valutazione di incidenza ambientale e nel provvedimento di approvazione viene previsto un dettagliato monitoraggio degli impatti sugli habitat nel corso delle lavorazioni, onde salvaguardare le specie presenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli enti territoriali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da tempo moltissimi comuni dell'intera Calabria vivono una situazione di grave emergenza per quanto riguarda la gestione dei rifiuti;
   la mancata raccolta e l'impossibilità di conferimento negli impianti previsti rischia di trasformarsi in una vera e propria emergenza sanitaria che verrà significativamente acuita dall'aumento delle temperature, fattore in grado di far proliferare i vettori di malattie infettive;
   non meno grave è il rischio per l'ordine pubblico quotidianamente minacciato da forme di protesta messe in atto da cittadini particolarmente esasperati;
   secondo alcuni dati si ammassano ormai per le strade dei principali centri calabresi 15 mila tonnellate di rifiuti non raccolti a causa della mancanza di siti per il conferimento, alcuni chiusi per vertenze sindacali, altri perché saturi;
   situazioni particolarmente gravi si vivono nei comuni capoluogo come, ad esempio, a Cosenza e a Reggio Calabria;
   a Cosenza la situazione di emergenza sembra essere amplificata non solo dal mancato raggiungimento delle percentuali di raccolta differenziata ma anche dalla chiusura dell'impianto di smaltimento di San Giovanni in Fiore;
   a Reggio Calabria l'emergenza è stata portata alla ribalta nazionale anche da trasmissioni televisive che, esercitando un legittimo diritto di «denuncia», finiscono per aggiungere al danno del disservizio anche quello relativo allo scadimento dell'immagine turistica della città proprio alla vigilia del periodo estivo;
   varie associazioni, tra cui Save the Children e Civitas Soli, hanno lanciato un allarme per la tutela dei bambini della Locride data la permanenza dei rifiuti addirittura in prossimità delle scuole. Sembra che siano circa un milione i minori nelle regioni del Mezzogiorno (il 66,6 per cento del totale nazionale) che crescono in aree in cui suolo, falde idriche, aria, sono stati inquinati e continuano ad esserlo da una lista infinita di agenti inquinanti quali amianto, arsenico, cadmio, mercurio, nichel, piombo, diossina, DDT, benzene, fitofarmaci, e altri. Tutti siti che richiedono interventi urgenti per essere messi in sicurezza e bonificati;
   l'emergenza rifiuti finisce per aprire uno squarcio allarmante sul ruolo dell'eco-mafie –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per porre un freno ad una situazione che rischia di diventare incontrollabile e che vede l'impotenza ormai conclamata delle istituzioni preposte, nonostante lunghi e infruttuosi periodi di commissariamento. (4-00379)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione dei rifiuti nella Regione Calabria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si delinea di seguito il quadro della situazione attuale e le connesse criticità, partendo dalle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella regione Calabria.
  Con l'ausilio degli ultimi dati resi pubblici da Ispra, si riferisce che nell'anno 2014 nella regione Calabria sono stati prodotti 809.974 tonnellate di rifiuti urbani, pari a 409,8 chilogrammi pro capite.
  Nel quinquennio 2010-2014 la produzione di rifiuti è diminuita del 13,40 per cento con un decremento medio annuo pari al 2,68 per cento.
  Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale che è correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  Nel 2014 la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato è stata pari a 150.541,64 tonnellate, con un incremento del 22,53 per cento rispetto all'anno precedente.
  La percentuale di raccolta differenziata si è attestata al 18,60 per cento, molto lontana dalla media italiana ed europea e dagli obblighi di legge del 65 per cento. Tuttavia, negli ultimi 5 anni, la percentuale di rifiuti urbani raccolti in modo differenziato nella regione Calabria è cresciuta del 28,76 per cento registrando un incremento considerevole.
  Relativamente alle quantità raccolte in maniera differenziata la quota principale è rappresentata dalla carta (52,344 tonnellate) pari al 34.77 per cento seguita dall'organico (48.460 tonnellate) con una percentuale del 32,19 per cento.
  L'analisi dei dati per singola provincia evidenzia il raggiungimento della percentuale di raccolta più elevata nella provincia di Cosenza (27 per cento) mentre le percentuali più basse si registrano a Crotone (10,7 per cento) e Reggio Calabria (11,7 per cento).
  Da informazioni fornite dalla regione Calabria si evidenzia, alla data odierna, un livello della raccolta differenziata pari a circa il 30 per cento in significativo aumento ma ancora insufficiente rispetto agli obblighi di legge.
  La gestione dei rifiuti nella regione Calabria presenta delle criticità riguardanti la carenza impiantistica e il livello molto modesto della raccolta differenziata. La valorizzazione energetica appare esigua (rappresenta il 7 per cento della quota di indifferenziato), mentre il ricorso alla discarica risulta predominante (nell'anno 2014 sono state conferite 554.600 tonnellate pari a 84,6 per cento).
  La regione Calabria presenta diversi impianti per la gestione dei rifiuti urbani.
  I dati ufficiali Ispra, riferiti all'anno 2014, rilevano;
   n. 7 impianti di compostaggio (con un quantitativo autorizzato di 138.500 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato pari a 56.904 tonnellate all'anno);
   n. 7 impianti di trattamento meccanico biologico (con un quantitativo autorizzato di 390.000 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato di 343.718 tonnellate all'anno;
   n. 1 impianto di incenerimento (con un quantitativo autorizzato di 120.000 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato di 72.850 tonnellate all'anno);
   n. 7 discariche in esercizio (per un quantitativo di rifiuti urbani conferiti di 383.284 tonnellate all'anno).

  Si evidenzia che l'offerta pubblica delle discariche di servizio nella regione Calabria è praticamente inesistente. Ad oggi lo smaltimento avviene essenzialmente in discariche private (regionali ed extraregionali).
  L'assetto impiantistico risulta evidentemente carente oltre che obsoleto e la Regione Calabria ha pubblicato le gare per il riefficientamento degli impianti TMB (Trattamento meccanico-biologico).
  La regione Calabria presenta delle criticità nel ciclo integrato dei rifiuti da ascriversi principalmente al mancato completamento/riefficientamento del sistema infrastrutturale ed impiantistico regionale e alla mancata attivazione/implementazione della raccolta differenziata da parte della maggior parte dei comuni calabresi.
  Con legge regionale n. 14 del 2014, la regione Calabria ha avviato il processo di riordino del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani. Lo stato di attuazione nei cinque ambito territoriale ottimale (Ato) provinciali risulta essere il seguente:
   Ato Catanzaro: è stata sottoscritta la convenzione per la costituzione della comunità d'ambito e sono stati eletti il presidente e due vicepresidenti;
   Ato Vibo Valentia: è stata sottoscritta la convenzione per la costituzione della comunità d'ambito da circa il 60 per cento dei comuni interessati;
   per Ato Cosenza, Ato Reggio Calabria e Crotone, la regione ha sollecitato i comuni capofila ad esperire gli adempimenti di legge.

  Il Ministero dell'ambiente, vista la situazione in essere, da ultimo con nota del 13 luglio 2016, ha sollecitato la regione Calabria a voler procedere alla costituzione e all'effettivo funzionamento di tutti gli ambiti territoriali ottimali nel rispetto della normativa vigente, nonché di essere costantemente informato circa l'evoluzione del processo di implementazione del ciclo della gestione integrata dei rifiuti.
  La regione Calabria, con deliberazione n. 276 del 19 luglio 2016, ha adottato la proposta di «Piano regionale di gestione dei rifiuti». La fase di scoping è già stata esperita e avviata la consultazione a VAS. La data di conclusione della procedura è fissata alla fine di settembre 2016 e, da informazioni fornite dalla regione, il piano sarà adottato definitivamente entro dicembre del corrente anno.
  La gestione dei rifiuti nella Regione Calabria si contraddistingue per il ricorso, da parte di regione e comuni, alle ordinanze contingibili e urgenti articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Con riferimento alle ordinanze adottate dal presidente della regione, ad oggi, solo il provvedimento n. 100 del 16 maggio 2016 è in corso di validità.
  Con tale provvedimento si consente l'esercizio degli impianti pubblici di trattamento siti nei comuni di Crotone, Lamezia Terme e Catanzaro nelle more dell'acquisizione dell'autorizzazione integrata ambientale, nonché l'incremento della capacità nominale-autorizzata (quantitativi autorizzati) di trattamento in altri impianti.
  Con nota del 13 luglio 2016, indirizzata alla regione, il Ministero ha specificatamente fatto notare che – come confermato dallo stesso tenore testuale dell'articolo 191, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 – le ordinanze contingibili e urgenti, con le quali si provvede a forme straordinarie di gestione dei rifiuti, non possono derogare a norme dell'Unione europea in tema di autorizzazioni.
  Con nota del 16 agosto 2016, la regione Calabria ha riscontrato la comunicazione ministeriale prendendo atto dei contenuti della stessa ed esponendo tutte le iniziative adottate nonché tutte le azioni future che intende intraprendere per superare le criticità che hanno reso necessario ed urgente l'utilizzo dello strumento extra ordinem dell'ordinanza n. 100, evidenziando, altresì, che l'ordinanza in questione era stata adottata al fine di tutelare la salute della persona umana, bene primario costituzionalmente garantito.
  Il Ministero sta valutando i contenuti della nota di riscontro.
  La Calabria ha inserito, alla data odierna, nella procedura di infrazione «discariche abusive» (Causa C196/13) n. 29 discariche, rispetto alle 39 originarie.
  Di queste, alla data del 31 maggio 2016, sono state inviate ai servizi tecnici della Commissione europea n. 5 certificazioni di chiusura del procedimento ambientale ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulle quali dovranno pronunciarsi a breve.
  I comuni e la regione sono stati destinatari nel dicembre 2015, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei competenti enti territoriali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPARINI. — Al Ministro della giustizia. – per sapere – premesso che:
   martedì 11 marzo 2014 il Ministro della giustizia ha firmato il decreto con cui ha disposto il mantenimento di 285 uffici del giudice di pace sui 667 soppressi il 27 febbraio 2014 a seguito della recente riforma delle circoscrizioni giudiziarie;
   tali uffici giudiziari non verranno soppressi solo grazie alle istanze formulate ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, dagli enti locali che pertanto si sono impegnate a garantire questo importante servizio ai propri cittadini, accollandosene tutte le spese;
   nella nota ministeriale con cui è stata data notizia della firma di tale decreto, si precisava infatti che «sono state accolte quasi integralmente le 297 istanze formulate dagli enti locali che si sono impegnate a mantenere a loro cura e spese gli uffici giudiziari di prossimità nei loro territori»;
   sul sito del Ministero della giustizia è stato pubblicato, e dunque visionabile, l'elenco delle richieste accolte e pertanto, al momento dell'entrata in vigore del decreto, diventerà definitiva la soppressione degli uffici del giudice di pace non ricompresi in tale elenco;
   relativamente al circondario di Brescia, nell'elenco sopra citato risultano solo gli uffici del giudice di pace di Chiari e Rovato ma non di Breno, benché anche quest'ultima amministrazione, come quelle di Chiari e Rovato, avesse avanzato analoga richiesta di mantenimento dell'ufficio del giudice di pace;
   già a suo tempo l'amministrazione di Breno aveva anche reperito gli uffici nei quali sarebbe stato collocato il giudice di pace e aveva chiesto la collaborazione di altri enti sovracomunali (comunità montana e B.I.M. nonché di altri comuni della Valle Canonica) i quali avevano assunto l'impegno di partecipare ai relativi oneri;
   l'ufficio del giudice di pace di Breno riveste una notevole importanza in quanto copre una vastissima zona e riguarda una popolazione quasi pari a quella della soppressa sezione distaccata del tribunale, dislocata su una lunghezza di almeno 70 chilometri di valle;
   visti già i gravi pregiudizi e disagi derivanti dalla soppressione della sezione distaccata di tribunale, la chiusura definitiva dell'ufficio del giudice di pace di Breno comporterà dunque ulteriori carenze e privazioni nell'accesso alla giustizia per gli abitanti della Valle, sia parti che testimoni, i quali saranno infatti costretti ad ulteriori oneri e ad una spesa addirittura superiore al valore delle cause e dei processi –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno inserire nell'elenco di cui in premessa anche l'ufficio del giudice di pace di Breno e per quale motivo non abbia accolto la richiesta dell'amministrazione comunale ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156.
(4-04335)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Breno, in presenza della disponibilità manifestata dal Comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Breno.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  Non risulta, tuttavia, che il comune di Breno abbia tempestivamente formalizzato l'istanza di mantenimento, assumendo gli oneri prescritti dalla legge.
  In conseguenza, non è stato possibile rivalutare la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Breno neppure in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 14 settembre 2011, n. 148 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il Parlamento ha delegato al Governo la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il Consiglio dei ministri n. 7 del 16 dicembre 2011 ha approvato in prima lettura lo schema del primo dei decreti legislativi di attuazione della delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, riferito agli uffici dei giudici di pace, che sarà trasmesso alle Camere per i relativi pareri;
   il 12 settembre 2012 è stato pubblicato il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 recante «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», entrato in vigore il 13 settembre 2012;
   l'articolo 1 del suddetto schema di decreto legislativo relativo alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie – uffici dei giudici di pace ha previsto la soppressione degli uffici del giudice di pace di cui alla tabella A allegata al decreto;
   ricompreso nella tabella A vi è anche l'ufficio del giudice di pace di Osimo;
   il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha previsto, all'articolo 2, comma 1, lettera a), punto 2 che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentiti il consiglio giudiziario ed i comuni interessati, possono essere istituite sedi distaccate;
   al successivo articolo 3, comma 2, è previsto che entro 60 giorni dalla pubblicazione della tabella gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi;
   il comma 3 dell'articolo di cui sopra ha stabilito che entro il termine di 12 mesi successivi ai 60 giorni dalla pubblicazione, il Ministro della giustizia, valutata la rispondenza delle richieste e degli impegni pervenuti, può apportare con proprio decreto le conseguenti modifiche alla tabella;
   nel caso di mantenimento dell'ufficio rimarrebbe a carico dell'amministrazione giudiziaria unicamente la determinazione dell'organico del personale di magistratura onoraria entro i limiti della dotazione nazionale complessiva;
   il comune di Osimo, per le note difficoltà in cui versano le finanze degli enti locali e stante la necessità di definire accordi con quelli limitrofi della Valmusone per la condivisione delle spese, pur avendo già sostenuto i costi per l'acquisto e la sistemazione della sede per gli uffici del giudice di pace, non aveva inoltrato, in un primo momento, la domanda per il mantenimento della sede per l'impossibilità di sostenerne da solo gli oneri;
   con decreto ministeriale 7 marzo 2014, sono stati individuati gli uffici definitivamente soppressi fra i quali quello di Osimo e i 285 che, in accoglimento delle istanze formulate dagli enti locali che se ne sono assunti l'onere vengono mantenuti;
   né il decreto legislativo n. 156 del 2012 né il citato decreto ministeriale disciplinano l'ipotesi della richiesta da parte degli enti locali, originariamente indisponibili, di ripristino della sede del giudice di pace assumendone gli oneri a proprio carico;
   questo vuoto legislativo appare incoerente e non ragionevole con la ratio legis, tenuto conto che, in tale ipotesi, i costi degli uffici sarebbero trasferito agli enti locali con il contenimento della spesa per lo Stato centrale;
   la chiusura dell'ufficio giudiziario sta privando la città di Osimo di un importante presidio di legalità e di sicurezza su un vasto territorio, quella della Valmusone; infatti l'ufficio del giudice di pace di Osimo esplicava la propria competenza territoriale, oltre che per l'intero territorio Osimano (33.500 abitanti) anche per i comuni di Agugliano (4.300 abitanti), Castelfidardo (18.600 abitanti), Filottrano (9.745 abitanti), Loreto (12.325 abitanti), Offagna (1.857 abitanti) e Polverigi (4.035 abitanti);
   la soppressione del medesimo ufficio comporta inesorabilmente un forte disagio ai cittadini di Osimo ed a quelli delle città ricomprese nella competenza del soppresso giudice di pace di Osimo, il trasferimento degli studi di molti professionisti, minori incassi per tutte le attività commerciali durante i giorni dedicati alle udienze, fattori che hanno indotto i comuni della Valmusone ad avanzare il 3 ottobre 2014 richiesta al Ministro della giustizia di riapertura dei termini per consentire il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Osimo, a servizio dei comuni della Valmusone, anche eventualmente come sede distaccata di quello di Ancona –:
   se il Governo intenda disciplinare l'ipotesi della sopravvenuta disponibilità degli enti locali a sostenere le spese per il ripristino di sedi soppresse del giudice di pace e comunque adottare, nelle more della definizione di norme per il ripristino di sedi soppresse delle quali si assumano gli oneri gli enti locali, tutti gli atti necessari, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 156 del 2012, per la riapertura della sede del giudice di pace di Osimo, quale sede distaccata di quello di Ancona, con spese a carico dei comuni della Valmusone.
(4-06774)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Osimo, in presenza della disponibilità manifestata dal comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Osimo.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  A seguito dell'iniziativa assunta dal comune di Osimo, pertanto, è stato possibile rivalutare la soppressione in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha presentato un programma volto alla revisione degli uffici giudiziari delle corti di appello tramite due atti:
    a) la relazione tecnica del 13 agosto 2014;
    b) l'atto di indirizzo politico del 5 settembre 2014;
   in entrambi i summenzionati atti il Guardasigilli riferisce che le corti di appello vanno ridotte anche adottando criteri diversi da quelli seguiti nella cosiddetta prima riforma della geografia giudiziaria (legge 14 settembre 2011, n. 148, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari»; decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148»). In particolare si ritiene di abbandonare la regola che ha imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello e di rimuovere il divieto di soppressione dei tribunali con sede nei capoluoghi di provincia, a prescindere dalla conformità ad altri parametri funzionali;
   in altri interventi pubblici del Guardasigilli, riportati dalla stampa nazionale, il Ministro ha dichiarato di ritenere un'anomalia la situazione della presenza di quattro corti di appello in Sicilia, così confermando la preoccupazione che la revisione delle corti di appello in Sicilia porterà alla soppressione di uno o più distretti;
   il progetto di revisione in Sicilia avrebbe effetti devastanti in termini di presidio e presenza sul territorio siciliano del servizio giustizia, anche per l'impatto della criminalità organizzata per la conseguente soppressione degli uffici direzione investigativa antimafia e direzione distrettuale antimafia;
   a tal proposito lo stesso consiglio giudiziario della corte di appello di Caltanissetta ha precisato che «I comuni interessati soffrono della presenza di tradizionali “famiglie” mafiose che, spesso favorite dall'isolamento geografico, dalla vastità dei territori di competenza che inevitabilmente sottrae buone fette di questi ultimi al controllo delle Forze di Polizia risultano ben radicate e, malgrado i colpi inferti dalla magistratura e dalle Forze dell'Ordine, continuano a fare sentire pesantemente il loro controllo sulle attività economiche locali e a mantenere relazioni con il sottobosco politico amministrativo, condizionando lo sviluppo sociale e inquinando l'esercizio delle pubbliche funzioni». Giudizio, questo, riferibile a tutti i distretti dell'intero territorio siciliano;
   le due corti di appello della Sicilia particolarmente esposte al progetto di revisione, avendo meno di quattro tribunali, sarebbero evidentemente individuabili nei distretti di Messina e Caltanissetta, almeno in questa prima fase di revisione, non essendo esclusa alcuna altra opzione che viene identificata nel rapporto «una corte per ogni regione», ipotesi questa che – ove portata a compimento dal Governo centrale – dimostrerebbe la totale incomprensione delle specificità e caratteristiche del territorio siciliano;
   il progetto di revisione, così come presentato nelle grandi linee dal Ministro della giustizia, non fa cenno della specificità territoriale dei bacini di utenza che, in una regione come la Sicilia, soffre di un deficit infrastrutturale cronico;
   secondo le linee guida della Commissione europea per l'efficienza della giustizia del 21 giugno 2013, (CEPEJ), occorre verificare l'impatto delle riforme nei vari Stati membri alla luce di elementi di criticità che incidano negativamente sulla possibilità di accesso alla giustizia dei cittadini, fino al punto che «Allo stesso tempo non possiamo escludere che ci potrebbero essere situazioni in cui l'autorità costituita potrebbe voler introdurre nuovi Tribunali in modo da ridurre la distanza ai cittadini», valutazione ribadita nella recente revisione del rapporto del 6 dicembre 2013 (CEPEJ 2013-7 REV.1 – par. 2.2 – pag. 5); questo criterio assume nel territorio siciliano una valenza particolare a causa del rapporto deficitario esistente tra distanze degli uffici giudiziari e strutture viarie di collegamento (come dimostra il caso emblematico, documentato da più fonti, del tribunale di Enna, rispetto al soppresso tribunale di Nicosia) –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché la decisione di sopprimere le due corti d'appello siciliane di Messina e Catania venga ridiscussa in favore di una migliore e più efficiente riorganizzazione dell'amministrazione della giustizia in Sicilia. (4-09218)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione delle corti d'appello dei distretti di Messina e Caltanissetta, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministero intenda attuare le linee riformatrici annunciate.
  Come noto, il Ministero della Giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti d'appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i princìpi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CHAOUKI, MASSA, CAPONE, MICCOLI e LACQUANITI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da varie fonti giornalistiche della morte di Mohammed Abdullah un uomo di 47 anni, originario del Sudan, stroncato da un malore, mentre era al lavoro nelle campagne di Nardò, in provincia di Lecce. Da quanto si evince da un articolo uscito su Il Manifesto del 22 luglio, Mohammed «non aveva un contratto, ma era in possesso della carta di soggiorno in quanto richiedente asilo» e, come si legge nell'articolo: «lavorava per 3,50 euro a cassone. (...) Ciascun cassone pesa 3 quintali, e più ne riempi, più vieni pagato. La giornata di lavoro inizia alle 5 del mattino e finisce tra le 17 e le 18: si passano 12 ore sotto il sole, a faticare come bestie»;
   il bracciante agricolo sudanese sarebbe morto lunedì 20 luglio 2015, mentre era impegnato nella raccolta dei pomodori in un campo tra Nardò e Avetrana, colto da infarto mentre lavorava sotto il sole, ad una temperatura di circa 40 gradi;
   il settore primario, soprattutto nelle regioni del Sud Italia, è spesso caratterizzato da lavori usuranti e pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori; la piaga del caporalato e le difficilissime condizioni in cui sono costretti a lavorare i braccianti, nelle campagne del Salento, così come nell'Agro pontino, è cosa nota all'opinione pubblica e alle istituzioni;
   una situazione di sfruttamento intrecciata con il malaffare, dove datori di lavoro, colpevoli di alimentare il mercato del lavoro a basso costo, antepongono i propri interessi economici a scapito dei diritti dei lavoratori stessi che, sottopagati, sono costretti a vivere in condizioni inumane;
   da quanto l'interrogante ha potuto accertare attraverso una visita nei campi-tendopoli di Nardò, svoltasi il 31 luglio, durante la quale ha incontrato i braccianti ospitati dal campo-tendopoli adibito all'uopo, si tratta per lo più di giovani uomini, con regolare permesso di soggiorno in Italia, che si spostano in Puglia per la stagione della raccolta delle angurie o dei pomodori; lavoratori stagionali dunque, ma con regolare permesso di soggiorno nella maggior parte dei casi;
   dato il perdurare della situazione di illegalità e considerati gli incidenti che si susseguono, i controlli da parte degli organi di vigilanza risulterebbero essere insufficienti e per lo più inadeguati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione di grave illegalità nella quale versa il mercato del lavoro nella zona del Salento, ed in particolare nelle campagne di Nardò e dintorni;
   se non ritengano doveroso predisporre le verifiche necessarie per evitare altre situazioni di sfruttamento lavorativo e impiego di manodopera stagionale a basso costo, nonché quali iniziative urgenti intendano mettere in atto, per quanto di competenza, per individuare e punire con fermezza coloro che fruttano i braccianti agricoli stagionali costringendoli ad un surplus di ore di lavoro e ad una paga inferiore alle retribuzioni minime contrattuali. (4-10186)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale si richiama l‘attenzione del Governo sui fenomeni del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, si rappresenta quanto segue.
  Governo e Parlamento insieme, sono fortemente impegnati a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e territoriali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
  Per quanto di specifica competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta che nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 – adottato dalla Commissione centrale di coordinamento (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 124 del 2004) – sono stati pianificati in specifici ambiti regionali, interventi di vigilanza nel settore agricolo. Le attività di verifica, svolte in sinergia con altri soggetti istituzionali – quali l'Arma dei carabinieri, le Asl, il Corpo forestale dello Stato e la guardia di finanza – hanno consentito di esaminare i rapporti di lavoro sotto diversi aspetti, ivi inclusi quelli di rilevanza penale (ad esempio il traffico di esseri umani).
  Nel contesto delle sinergie inter-istituzionali promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali si iscrive, inoltre, il protocollo d'intesa siglato con l'Automobile club d'Italia (Aci) che consente agli ispettori del lavoro di risalire ai cosiddetti caporali attraverso il numero di targa dei mezzi utilizzati per il trasporto dei lavoratori.
  I dati dell'attività ispettiva svolta nel 2015 nel settore agricolo mostrano risultati molto positivi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono state effettuate, infatti, 8.662 ispezioni – con un incremento del 59,4 per cento rispetto al 2014 pari a 5.434 ispezioni in più – che hanno consentito di individuare 6.153 lavoratori irregolari, di cui 3.629 in nero e 180 stranieri privi di permesso di soggiorno. Sono stati accertati, inoltre, 713 casi di interposizione di manodopera/caporalato e 186 violazioni della normativa sull'orario di lavoro. Sono stati riqualificati 82 rapporti di lavoro e individuati 35 minori impiegati irregolarmente. Si evidenzia, inoltre, che sono stati adottati 459 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.
  Anche il documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2016 dedica particolare attenzione al contrasto del lavoro sommerso, ai fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nonché al caporalato. In particolare, sono stati pianificati interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, tra i quali Puglia (nello specifico il Salento, le province di Foggia, Taranto e Bari), Campania (in particolare la Piana del Sele e l‘Agro Nocerino-Sarnese) e Lazio (nello specifico l'Agro Pontino). A tale proposito, al fine di rafforzare l'efficacia dell'attività ispettiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto la costituzione di apposite task-force ispettive.
  Il 27 maggio 2016 è stato sottoscritto dai Ministri Poletti, Alfano e Martina un protocollo di intesa contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa sottoscritta anche dall'Ispettorato nazionale del lavoro, da diverse regioni, dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni di categoria e da alcuni rappresentanti del cosiddetto terzo settore, ha come finalità principale sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale, a partire dai territori più interessati da tale fenomeno. Tra le azioni principali previste dal protocollo si annoverano la stipula di convenzioni per il servizio di trasporto gratuito dei lavoratori per il tragitto casa/lavoro, l‘istituzione di presidi medico-sanitari mobili, il potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori.
  Il 13 luglio 2016, inoltre, è stato siglato un secondo protocollo – sulla scia di quello concluso il 27 maggio 2016 – per il lancio dell'attività di vigilanza «interforze» nel settore agricolo. Tale protocollo è stato sottoscritto, oltre che dai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della difesa, delle politiche agricole alimentari e forestali, anche dall'ispettorato nazionale del lavoro, dalle regioni, dalle organizzazioni sindacali e datoriali del settore agricolo e dalle organizzazioni di volontariato. Il protocollo ha carattere strettamente operativo, in quanto mira ad assicurare – attraverso l'impiego dei militari dell'Arma dei carabinieri e del personale del Corpo forestale dello Stato – un contrasto ancora più efficace contro le violazioni della disciplina in materia di lavoro e legislazione sociale, grazie a una forte e costante presenza sul territorio di tutti i soggetti competenti a svolgere azioni di vigilanza nel settore agricolo.
  Il caporalato costituisce, purtroppo, un problema storico del nostro Paese sul quale si è intervenuti ripetutamente e, anche di recente, in termini legislativi. Evidentemente gli avvenimenti, anche tragici che si apprendono dai media costringono a ritornare su questo argomento, imponendo una riflessione in ordine alle azioni, alle norme ed ai comportamenti più adeguati per far fronte a tale situazione. Il problema, dunque, non va affrontato in maniera emergenziale bensì strutturale perché si ripropone ogni anno con le medesime modalità e nei medesimi territori. A tale proposito ricordo che il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale provvedimento legislativo, approvato dal Senato ed ora all'esame dell'Assemblea della Camera, mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2015, l'assessore all'ambiente, territorio e politiche della sostenibilità della regione Basilicata, Aldo Berlinguer, scriveva al Ministero dello sviluppo economico e alla direzione generale per la sicurezza, ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, per segnalare le preoccupazioni dei cittadini circa i numerosi «episodi di visibilità della fiaccola del Centro Olio Val d'Agri (C.O.V.A.) sito in Viggiano (PZ)» che si sono succeduti negli ultimi due anni;
   in particolare, l'assessore Berlinguer chiedeva «di disporre, con la celerità del caso, ogni utile accertamento presso il Centro Olio di Viggiano al fine di meglio chiarire le cause degli eventi citati ed individuare tutte le risposte utili ad evitare in futuro il ripetersi di fenomeni analoghi, anche in relazione alla messa in esercizio della 5° linea»;
   nella missiva l'assessore, che riportava i numerosi casi di innalzamento della fiaccola da gennaio 2014 a dicembre 2015, riferiva altresì di un episodio di fuoriuscita di una nube di fumo nero da uno dei camini del centro, occorso in data 1° marzo 2016;
   numerosi sono stati gli interventi delle forze politiche lucane volti a stimolare il governo regionale della Basilicata a chiarire la natura di tali eventi e a prendere provvedimenti nei confronti della società Eni per evitare il ripetersi di simili fenomeni che allarmano, a ragione, i residenti delle zone limitrofe determinando sfiducia nelle istituzioni;
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-03364 l'interrogante aveva denunciato l'incidente verificatosi il 13 gennaio 2014 presso il medesimo centro Eni di Viggiano che aveva causato una forte esplosione con boati e fiammate di oltre 15 metri;
   nonostante la gravità dell'episodio e la necessità di un intervento urgente per garantire sicurezza alle persone e all'ambiente, all'interrogazione non è stata data risposta dal Governo e sembrerebbe che nulla sia stato fatto dalle istituzioni per arginare e prevenire il ripetersi di fenomeni analoghi;
   per quanto il petrolio lucano, come l'acciaio tarantino, rappresentino risorse strategiche per gli interessi economici del Paese, la salute dei cittadini, dell'ambiente e delle attività agricole e produttive dei territori e delle comunità locali deve rimanere in cima alle preoccupazioni della politica e dello Stato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e delle cause dei ripetuti episodi di innalzamento anomalo della fiaccola del centro Olio Val d'Agri di Viggiano e quali iniziative di competenza intendano adottare per avviare un accertamento sugli eventuali danni ambientali, anche a tutela della sicurezza dei cittadini, nonché se ritengano necessario convocare un tavolo istituzionale, con Eni e gli organi competenti per verificare la sicurezza dell'impianto, anche al fine di rassicurare la popolazione interessata e prevenire ulteriori episodi analoghi. (4-12452)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che l'attuale riparto di funzioni tra Stato e regioni, nell'ambito della competenza concorrente in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma, come stabilito con l'accordo Stato-regioni del 24 aprile 2001, prevede che:
   il Ministero dello sviluppo economico, anche attraverso i suoi organi di vigilanza, eserciti la competenza amministrativa relativa al rilascio e alla gestione dei titoli minerari e dei relativi luoghi di lavoro, in relazione alla sicurezza dei lavoratori addetti alle attività estrattive;
   la regione eserciti le competenze in materia ambientale, in particolare in relazione alla salute della popolazione e al ciclo di gestione e trattamento dei rifiuti.

  Con specifico riferimento agli «episodi di visibilità della fiaccola» verificatisi nel centro olio Val d'Agri (C.O.V.A) di Viggiano (PZ), menzionati dall'interrogante, si specifica che le cosiddette «fiammate» non sono altro che una corretta risposta dei sistemi automatici di sicurezza degli impianti che, attivandosi tempestivamente, comportano il blocco degli stessi e permettono di evitare conseguenze negative sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.
  La società interessata ha sempre puntualmente provveduto ad effettuare tutte le comunicazioni previste dalla normativa vigente agli enti deputati alla sicurezza ed, in particolare, all'Unmig, quale ufficio tecnico del Ministero dello sviluppo economico, competente in materia di sicurezza, che a sua volta ha impartito all'Eni le necessarie prescrizioni.
  Per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico, gli enti di controllo preposti alla sicurezza degli impianti e dei lavoratori ed alla salvaguardia ambientale si sono sempre prontamente attivati, ad ogni evento, per acquisire tutte le dovute informazioni, accertare le cause ed evitare il ripetersi del fenomeno.
  Per gli eventi di maggiore impatto e per il principio di incendio occorso il 4 dicembre 2015, la sezione Unmig ha compiutamente relazionato alla prefettura di Potenza, al Ministero dello sviluppo economico, nonché, come richiesto dalla stessa prefettura, alla regione Basilicata.
  In data 12 Aprile 2016, il Ministero dello sviluppo economico, per quanto attiene la propria competenza amministrativa, ha invece disposto un sopralluogo congiunto con la sezione Unmig di Napoli per effettuare una valutazione sullo stato di sicurezza, degli operatori e dell'impianto stesso.
  In tale contesto, per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori, non sono emerse problematiche e non si sono riscontrate criticità nell'applicazione del piano emergenza impianto interno e/o di evacuazione. Sono state condotte interviste a due dei rappresentanti della sicurezza dei lavoratori nonché a rappresentanti sindacali unitari, i quali non hanno presentato rimostranze legate alla sicurezza dei lavoratori, né sull'addestramento e formazione svolti dalla Società. Peraltro, gli stessi rappresentanti hanno sottolineato l'importanza di tali aspetti, anche nell'ottica della riorganizzazione delle figure di responsabilità che il datore di lavoro sta predisponendo.
  Nel corso della visita, la sezione Unmig preposta ha visionato direttamente le modalità di applicazione del riassetto della sorveglianza del centro olio, esaminando i vari aspetti con i diretti interessati (sorveglianti). A tal riguardo, si rappresenta che la società titolare, al fine del costante miglioramento del livello di sicurezza dell'impianto, ha incrementato la sorveglianza ex articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 128/59 e successive modificazioni e integrazioni, prevedendo rimpiego contemporaneo di 3 specifici sorveglianti dedicati a 3 distinte aree del centro olio.
  L'ultima «fiammata», che ha prodotto un aumento di visibilità della fiaccola e delle emissioni odorigene, è avvenuta il 24 ottobre 2016 ed è stata causata dal blocco del sistema di aspirazione associata all'unità di termo ossidazione. L'anomalia è tuttavia rapidamente rientrata.
  Si informa dunque interrogante che il Ministero dello sviluppo economico, nell'esercizio delle proprie competenze provvede costantemente a vigilare sulle operazioni, attraverso verifiche ispettive sugli impianti, analisi tecnica della documentazione e attività di monitoraggio ambientale, e ad adottare ogni eventuale misura necessaria a garantire che gli impianti e le operazioni siano condotte nella massima sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   COSTANTINO, ZACCAGNINI e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro Baobab di Roma, che ha ospitato più di 30 mila immigrati transitati nell'ultimo anno, ha dimostrato di essere un modello di accoglienza umana che ha reso anche un servizio per la sicurezza di tutta la città, senza alcun lucro da parte di nessuno;
   si tratta di un modello di volontariato e di generosità a cui adesso le autorità hanno deciso di porre termine;
   i volontari del centro Baobab di via Cupa, a Roma, alla vigilia dello sgombero della struttura fissato per domani hanno dichiarato: «Noi da qui non ce ne andiamo, noi non molliamo finché ci sarà anche un solo migrante da aiutare»; «Stanotte dormiranno qui circa 30 migranti, in vista dello sgombero sono state sistemate solo 20 persone, un terzo di tutte quelle presenti nella struttura. Resteremo al loro fianco finché fisicamente non ci porteranno via», spiega Roberto Viviani, uno dei volontari nel corso della conferenza stampa convocata all'interno del centro. «Vogliamo fare pressione su chi si è accorto di quanto successo qui dentro solo oggi, su chi non ha visto quante cittadine e cittadini si sono mobilitate in questi mesi per i migranti a via Cupa» –:
   se tale prassi di intervento sia conforme alla normativa vigente e in linea con i diritti umani alla difesa e alla dignità e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che tali situazioni si verifichino;
   se non intenda verificare se sussistano eventuali responsabilità del prefetto e del questore e, in tal caso, procedere alla loro rimozione;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, che rendano obbligatorio il coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni locali, in vista di sgomberi che andrebbero programmati con tempi adeguati;
   per quali ragioni, vista l'evidenza di interventi attuati ripetutamente senza il coinvolgimento delle istituzioni locali per procedure di sgombero, si sia proceduto senza un preventivo piano di ricollocazione abitativa mettendo a rischio i diritti costituzionalmente garantiti;
   se risulti quali siano le ragioni per cui non si sia proceduto ad avvisare in alcun modo l'amministrazione comunale;
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e perché sia stato improvvisamente deciso di mettere in atto un'operazione a giudizio degli interroganti chiaramente inutile, se non dannosa, sotto il profilo dell'ordine pubblico, e comunque lesiva della dignità di persone che cercano semplicemente il diritto di ogni essere umano a stabilire la propria residenza laddove siano garantire condizioni minime di esistenza;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché per il futuro ci si astenga da simili iniziative. (4-11399)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulle modalità di esecuzione dell'intervento di sgombero del centro Baobab, sito in via Cupa, lamentando la violazione dei diritti degli occupanti e il mancato coinvolgimento dell'amministrazione comunale.
  Si rappresenta, innanzitutto che la suddetta struttura è stata definitivamente chiusa il 5 dicembre 2015, dopo alcuni interventi sollecitati sia dai residenti sia da una serie di organismi pubblici. Tra questi ultimi l'amministrazione comunale, che aveva l'obbligo di restituire l'immobile ai legittimi proprietari, e, d'altra parte, era alle prese con il problema della non conformità dei locali alle prescrizioni normative in materia di edilizia, igiene e sanità nonché con quello di porre fine a tale situazione di precarietà nell'ottica di garantire una prospettiva di accoglienza meglio strutturata e più consona alle necessità dei migranti.
  A queste problematiche si accompagnavano quelle non meno rilevanti in tema di ordine e sicurezza pubblica.
  Già il mese precedente il personale della polizia di Stato era intervenuto a seguito di una rissa che si era verificata all'interno del centro, procedendo, peraltro, all'arresto di un minore per detenzione di sostanze stupefacenti. La struttura, inoltre, risultava morosa relativamente al pagamento delle utenze di acqua, gas e luce, già a decorrere dal mese di maggio dello stesso anno.
  Proprio in occasione degli interventi delle forze di polizia si era constatato che, dopo una fase di consistente presenza di cittadini eritrei, il predetto centro aveva aumentato la disponibilità dei posti letto, richiamando un forte afflusso di cittadini magrebini, alcuni dei quali clandestini, non censiti nel numero e nella provenienza, che chiedevano ospitalità per trascorrervi la notte.
  Inoltre, i residenti della zona avevano presentato vari esposti denunciando lo stato di degrado all'interno del centro, con ripercussioni anche nelle strade limitrofe.
  Sempre nel mese precedente la chiusura del centro, personale della Polizia di Stato era nuovamente intervenuto presso la struttura a seguito di una segnalazione pervenuta da parte di un cittadino etiope al quale era stato negato l'accesso.
  Ciò consentiva di accertare che all'interno della struttura era in corso una festa a cui era possibile partecipare dietro pagamento di una somma di 10 euro, il cui afflusso veniva regolato da quattro persone indossanti maglie riportanti la scritta «sicurezza». Alla stessa partecipavano circa 100 persone straniere, di cui molte in stato di ubriachezza.
  Tale situazione è stata oggetto di esame in un'apposita riunione tecnica di coordinamento interforze, tenutasi presso la prefettura di Roma il 20 novembre, durante la quale si è preso atto sia dell'emergenza igienico-sanitaria che della necessità di intervenire per garantire l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Quindi, il 24 novembre le forze di polizia hanno eseguito un'operazione di controllo ed identificazione dei cittadini extracomunitari ospitati nel centro, all'esito della quale 17 stranieri sono stati raggiunti da decreti di espulsione e 10 sono stati rilasciati.
  L'esperienza del centro Baobab si è definitivamente conclusa – come già detto – il 5 dicembre 2015, senza la necessità di adottare alcun provvedimento di sgombero. Secondo quanto riferito dall'amministrazione comunale, gli ospiti del medesimo sono stati collocati in altre strutture, dopo un confronto aperto con i rappresentanti dei volontari che operavano nella struttura di via Cupa.
  Per completezza, si rileva che, dopo la chiusura del centro Baobab, via Cupa ha continuato ad essere meta e luogo di ritrovo di immigrati, anche per via dell'attività del vicino bar Habesha, gestito da un cittadino eritreo, e di un gruppo di volontari prima impegnato nella conduzione del centro Baobab, che ha iniziato, dopo un periodo di inattività, un'estemporanea opera di accoglienza, favorendo il proliferare di una tendopoli abusiva sgomberata lo scorso 30 settembre.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 luglio 2012 a Montefalcione, in località stazione – così chiamata data la presenza della dismessa stazione ferroviaria – si è verificato un incendio di traverse lasciate in deposito dalle Ferrovie dello Stato italiano. L'incendio di dette traverse – una volta usate dalle Ferrovie dello Stato per fissare le rotaie – fu spento, a quanto è dato sapere, dai vigili del fuoco di Avellino;
   il 10 ottobre del 2012, un nutrito gruppo di cittadini, molti dei quali residenti nell'area circostante detta stazione ferroviaria, hanno presentato al sindaco di Montefalcione una petizione sottoscritta da oltre 1000 persone, con la quale si chiedeva di provvedere alla bonifica dell'area, previo esperimento di tutte le analisi del caso;
   nella medesima richiesta, i cittadini chiedevano al comune di verificare la presenza di rifiuti tossici anche nel sottosuolo;
   il 12 dicembre del 2012, il comune di Montefalcione ha chiesto all'Arpac un sopralluogo nella zona, al fine di verificare la presenza di elementi di contaminazione;
   in data 29 maggio 2013, a quanto consta all'interrogante, il sindaco di Montefalcione ha firmato un'ordinanza che obbligava le Ferrovie dello Stato italiane a rimuovere i rifiuti pericolosi e non pericolosi depositati in modo incontrollato nell'area della stazione ferroviaria;
   in data 11 dicembre 2013 sono stati effettuati i primi lavori di messa in sicurezza e accantonamento di alcune lastre di amianto di piccole dimensioni e traverse ferroviarie in disuso visibili in superficie;
   né il comune di Montefalcione né le Ferrovie dello Stato italiane hanno preso in considerazione la necessità di effettuare un controllo del sottosuolo che andasse al di là dei 50 centimetri di profondità, per verificare la presenza di elementi di contaminazione;
   in data 18 marzo 2014 un'azienda incaricata dalle, Ferrovie dello Stato, a seguito del rilascio del necessario nulla osta da parte dell'asl, ha rimosso l'amianto e le traverse accantonate in data 11 dicembre 2013;
   in data 17 luglio 2014, rete ferroviaria italiana, in adempimento ad un'ordinanza del sindaco di Montefalcione (n. 4 del 28 aprile 2014) ha trasmesso i certificati delle analisi sui terreni relativi ai campionamenti effettuati in data 23 giugno 2014. Dette analisi, che sono conformi ai valori di CSC di cui alla tab. B All. 5 parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, si riferiscono a un campione medio prelevato a soli 50 centimetri di profondità;
   in data 9 marzo 2015, l'Agenzia regionale per l'ambiente della Campania ha effettuato un sopralluogo durante il quale i tecnici hanno notato del materiale – definito di «riporto eterogeneo» – presente al di sotto della coltre superficiale costituita da terreno vegetale;
   tale materiale – si legge nella relazione dell'Arpac – è stato riscontrato anche lungo la scarpata, a valle delle aree costituenti la stazione ferroviaria; segno che probabilmente, la realizzazione del rilevato per la posa in opera dei binari ferroviari e delle aree limitrofe alla stazione ha richiesto l'utilizzo di materiali di riporto;
   alla luce di quanto rilevato, i tecnici dell'Agenzia hanno chiesto al comune di Montefalcione di attivare le indagini preliminari sulle matrici ambientali interessate, consistenti nell'effettuazione di carotaggi in profondità con campionamenti di suolo e acqua sotterranea, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di verificare la presenza di un'eventuale contaminazione;
   nessuna ulteriore indagine è stata effettuata, né dal comune né dal proprietario del terreno in questione;
   considerate le numerose segnalazioni provenienti dai residenti della zona, che denunciano un incremento significativo e del tutto anomalo di casi di tumore, a giudizio dell'interrogante è lecito chiedersi se in quel materiale di riporto ci siano anche vecchie traverse ferroviarie che, com’è noto, venivano rivestite di cresoto, una sostanza tossica e altamente cancerogena;
   è giusto che i residenti della zona e tutti i cittadini di Montefalcione possano avere una risposta in tempi celeri che fughi ogni dubbio circa la presunta contaminazione del terreno, delle falde acquifere, e sulla esposizione a sostanze altamente cancerogene –:
   quali informazioni siano in possesso del Governo circa la presenza di traversine ferroviarie e di altro materiale tossico di risulta che sarebbe stato interrato nella zona circostante alla dismessa stazione ferroviaria di Montefalcione, provincia di Avellino; se non si ritenga di dover adottare ogni iniziativa di competenza volta ad accertare la presenza in detta zona di materiale contaminante interrato. (4-14380)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dall'interrogante, riguardo la presenza di traversine ferroviarie abbandonate in prossimità della dismessa stazione ferroviaria del comune di Montefalcione dove nel luglio 2012 si è verificato anche un incendio domato dai vigili del fuoco di Avellino, sulla base delle informazioni acquisite dai competenti enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Nel settembre 2012 la polizia municipale di Montefalcione effettuava un sopralluogo presso la citata località, riscontrando la presenza di traversine ferroviarie bruciate e abbandono di vari resti di binari in prossimità del dismesso scalo ferroviario. Nel dicembre dello stesso anno veniva richiesto dallo stesso comune all'Arpac di Avellino, un sopralluogo allo scopo di valutare le problematiche e gli eventuali rischi.
  L'Arpac, in particolare, il dipartimento provinciale di Avellino, nel maggio 2013, a sopralluogo effettuato, segnalava la presenza di rifiuti pericolosi e non pericolosi nell'area pertinenziale al dismesso scalo ferroviario Avellino – Rocchetta S. Antonio, stazione di Montefalcione e precisamente, lastre ondulate in materiale cementizio contenenti amianto, traversine ferroviarie ed elementi delle stesse anche parzialmente combusti, rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione.
  Con specifica ordinanza sindacale del maggio 2013 veniva ordinato alla Rete ferroviaria italiana (Rfi) di provvedere alla rimozione e successivo smaltimento dei detti rifiuti, in ottemperanza alla normativa vigente in materia. La stessa Rete ferroviaria italiana incaricava una ditta di provvedere alla messa in sicurezza del sito contaminato nonché all'elaborazione e redazione di idoneo piano di lavoro da sottoporre all'approvazione dell'Asl competente. Detto piano veniva presentato all'Asl Avellino nel luglio 2013 ed in attesa del necessario parere in data 11 dicembre 2013 la medesima ditta effettuava il prelievo e lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi.
  Sempre secondo quanto riferito dalla prefettura di Avellino, il nulla osta da parte della Asl veniva rilasciato nel marzo del 2014 e nello stesso mese la ditta effettuava l'intervento relativamente ai rifiuti ritenuti pericolosi.
  Nel successivo mese di aprile la Rete ferroviaria italiana rendeva note le operazioni da porre in essere, ovvero decorticamento dei primi 10 cm del sedime interessato dal deposito delle due tipologie di rifiuti pericolosi riscontrati, con relativo smaltimento in discarica di competenza, analisi del sottostante top soil (20 cm di sedime) per la rilevazione di eventuale superamento delle CSC (concentrazione soglia di contaminazione) di cui alla tabella 1 dell'Allegato 5 al titolo V parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, in funzione della destinazione d'uso.
  A seguito di queste ultime operazioni la stessa Rete ferroviaria italiana nel giugno 2014 comunicava al comune di Montefalcione i certificati delle analisi effettuate sui terreni dai quali risultava che «I valori riscontrati nei predetti certificati sono conformi ai valori di CSC (concentrazione soglia di contaminazione) nel suolo e sottosuolo di cui alla Tabella 1-B All. 5 parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006». La tabella B è relativa ai siti ad uso commerciale ed industriale.
  Peraltro in zona stazione, già nel mese di aprile dello stesso anno, veniva effettuato un ulteriore sopralluogo, che evidenziava interramenti di traversine ed altro materiale inquinante in una zona posta a ridosso di quella su cui erano già stati effettuati gli interventi.
  A seguito di ciò, sempre nel mese di aprile, veniva emessa una ulteriore ordinanza sindacale con la quale veniva chiesto sempre all'ente Ferrovie dello Stato, in caso fosse stata confermata la presenza di materiale inquinante, di provvedere alla esecuzione di interventi di bonifica integrale dell'area interessata.
  Le indagini richieste con la predetta ordinanza vennero effettuate, dalla Rfi nel giugno 2014 ed i risultati delle analisi furono trasmessi dalla stessa Rete ferroviaria italiana al comune di Montefalcione nel successivo mese di luglio da cui risultava che «I valori riscontrati nei predetti certificati sono conformi ai valori di CSC (concentrazione soglia di contaminazione) nel suolo e sottosuolo di cui alla Tabella 1-B All. 5 parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006».
  I campioni di terreno prelevati per l'effettuazione delle ultime analisi sono a tutt'oggi depositati presso il comune di Montefalcione debitamente sigillati.
  Sempre in zona stazione, nel luglio 2014, il Comune faceva richiesta all'Arpac di Avellino affinché fosse eseguito un campionamento del terreno per poter accertare quanto già analizzato.
  Nel marzo 2015 l'Arpac effettuava un sopralluogo e ne trasmetteva i risultati al comune evidenziando «... presenta di materiale di riporto eterogeneo presente immediatamente al di sotto della coltre superficiale costituita da terreno vegetale». Nel contempo invitava lo stesso comune di Montefalcione ad attivare le indagini preliminari consistenti essenzialmente nell'effettuazione di carotaggi in profondità come previsto dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  A seguito di tali informazioni lo stesso comune segnalava alla Rete ferroviaria italiana, proprietaria dell'area in questione, quanto comunicato dall'Arpac sollecitando la messa in atto delle necessarie misure di prevenzione oltre lo svolgimento di un'indagine preliminare sui parametri di possibile inquinamento, come previsto dal citato articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Nel marzo 2016 la Rete ferroviaria italiana interpellava l'Arpac di Avellino e nel mese di aprile la Rete ferroviaria italiana comunicava allo stesso comune che «... pur non sussistendo alcun obbligo di eseguire le indagini preliminari richieste ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto non è stato appurato in alcun modo resistenza di situazioni di potenziale inquinamento riferibile alla Rfi si attiverà quanto prima per una preventiva messa in sicurezza dell'area».
  In data 1o agosto 2016 la Rete ferroviaria italiana, ha proceduto ad effettuare ulteriori indagini in area stazione ferroviaria (cosiddetta stazione), effettuando scavi in profondità al di sotto del piano di campagna fino a circa metri lineari 2,00 mediante prelevamento di campioni di terreno per i quali la stessa Rfi procederà alle analisi di laboratorio previste dalla normativa vigente atte ad individuare la presenza di eventuali sostanze inquinanti ed i cui risultati dovranno essere trasmessi al comune. Al riguardo, lo stesso comune ha fatto presente che non appena avrà acquisito detti risultati provvederà a trasmetterli alla prefettura.
  Questo Ministero per quanto di competenza continuerà a tenersi informato sulla questione, non riducendo lo stato di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dell'Alta Murgia in Puglia è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004, con il fine principale di tutelare e valorizzare le caratteristiche di naturalità, integrità territoriale ed ambientale, con particolare attenzione alla natura tipica dell'area protetta;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 31 maggio 2011 l'Ente parco nazionale dell'Alta Murgia è stato sottoposto al controllo della Corte dei conti;
   l'Ente è stato privo del Presidente dal 2010 al marzo 2012, periodo nel quale sono stati nominati e successivamente prorogati, con cinque decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la durata di tre mesi ciascuno, commissari straordinari. L'attuale presidente insediatosi nel marzo 2012 ha un mandato quinquennale;
   altri organi in funzione sono il collegio dei revisori e la comunità del parco, quest'ultima, peraltro, in attesa di nomina del nuovo presidente. Non risulta ancora definita la nomina del Consiglio direttivo, scaduto nel mese di settembre 2010, né della giunta esecutiva. Il mancato rinnovo del consiglio direttivo e della giunta esecutiva, per un periodo così lungo, a detta della Corte dei Conti, non può non comportare instabilità nell'attività dell'Ente parco aumentando il quadro di incertezza con negative conseguenze sugli indirizzi politico-amministrativi, e, malgrado l'impegno della gestione corrente, nella realizzazione degli obiettivi programmati;
   gli strumenti di programmazione non risultano essere stati ancora perfezionati –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano porre in essere per risolvere le problematiche evidenziate, con particolare riferimento alle mancate nomine degli organi previsti dalla legge, che ormai perdurano da anni. (4-11090)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In relazione al parco nazionale dell'Alta Murgia, si premette che il consiglio direttivo del parco è stato ricostituito con decreto n. 283 del 21 dicembre 2015.
  Questo Ministero ha inoltre sollecitato l'ente parco per l'avvio delle procedure di selezione al fine di individuare la terna di nominativi per la nomina del direttore.
  Ad ogni modo, si segnala che questo Ministero sta seguendo l’iter di modifica della legge quadro sulle aree protette (394/91), il cui testo risulta attualmente all'esame della Commissione ambiente del Senato.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
    la società A2A spa è la multiutility nata il 1° gennaio 2008 dalla fusione tra AEM spa Milano e ASM spa Brescia con l'apporto di Amsa ed Ecodeco, le due società ambientali acquisite dal Gruppo;
   il gruppo A2A al 31 dicembre 2013 deteneva il 71 per cento delle quote della società Edipower che risulta quindi una società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di A2A spa;
   Edipower detiene, tra l'altro, una centrale termoelettrica situata nella zona industriale di Brindisi, ad est del centro cittadino, con potenza lorda in esercizio è attualmente di 640 megawatt, con due gruppi convenzionali in funzione, alimentati esclusivamente con carbone;
   la convenzione del 1996 integralmente recepita nel decreto del Presidente della Repubblica nell'aprile del 1998 che approvava il piano di risanamento dell'area a rischio di crisi ambientale, prescriveva la chiusura del primo e secondo gruppo alla fine del 2000, l'alimentazione a metano dei gruppi 3 e 4 dalla stessa data e fino alla chiusura dell'intero impianto alla fine del 2004, ma successivamente sono stati eseguiti provvedimenti governativi che prevedevano la variazione delle disposizioni impartite;
   la centrale termoelettrica di Edipower ha acquisito l'autorizzazione all'esercizio a seguito della pronuncia di compatibilità ambientale (VIA) rilasciata dal decreto ex DSA-DEC-2009-1634 del 12 novembre 2009, come successivamente integrata ed aggiornata dall'atto prot. DVA-2010-0028308 del 23 novembre 2010 e la stessa centrale ha ottenuto decreto di autorizzazione integrata ambientale (AIA prot. DVA-DEC-2012-0000434, entrato in vigore il 13 settembre 2012;
   il 4 ottobre 2013 è stata presentata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiesta da parte di Edipower spa di procedura coordinata per il rilascio di via-aia per cui attualmente la centrale termoelettrica di Brindisi, è composta di 4 gruppi termoelettrici da 320 MWe, alimentati a carbone, di cui due (BR1 e BR2) messi fuori servizio dal 2001. Il progetto prevede lo spegnimento e la messa in conservazione del gruppo 3 e la realizzazione di interventi sul gruppo 4 rendendo possibile la combustione contemporanea di carbone e CSS combustibile (rapporto co-combustione fino ad un massimo del 10 per cento in input termico);
   la stessa società nello studio di impatto ambientale ammette che «nell'attuale situazione del mercato dell'energia elettrica nonché dell'assetto impiantistisco e di funzionamento della Centrale non rendono attuabile l'adeguamento della stessa alle prescrizioni di cui al punto 10.i del decreto AIA con le modalità previste dal progetto già destinatario di Decreto di compatibilità ambientale prot. DSA-DEC-2009-1634 del 12 novembre 2009, come modificato dal decreto prot. DVA-2010-0028308 del 23 novembre 2010», per cui aggiunge che «il Progetto di co-combustione del carbone con Combustibile Solido Secondario combustibile (di seguito “CSS Combustibile”) è pertanto proposto in alternativa allo scenario AIA 36 mesi economicamente non sostenibile nelle condizioni attuali del mercato dell'energia elettrica»;
   secondo le osservazioni della provincia di Brindisi depositate in data 15 gennaio 2014, le osservazioni di Lega Ambiente in data 21 gennaio 2014 e le osservazioni dell'Associazione salute pubblica in Brindisi in data 13 marzo 2014, effettuate durante la fase di consultazione della procedura sopracitata si evince fra l'altro quanto segue:
    1)  in merito all'approvvigionamento dei CSS, il gestore non ha fornito indicazioni circa la quantità, la qualità e il bacino di provenienza e il sito di produzione di tale combustibile; inoltre il gestore non ha sviluppato alcuna considerazione in merito al Piano regionale dei rifiuti urbani approvato dalla regione con delibera di giunta regionale n. 959 del 13 maggio 2013 che è lo strumento di riferimento normativo per la produzione e l'utilizzo anche del CSS-combustibile; la regione prevede nel piano che tutti gli impianti di trattamento degli RSU e delle raccolte differenziate, siano dotati di trattamento a freddo, in grado di prevedere il quasi totale recupero delle varie componenti limitando al solo 5 per cento il conferimento in discarica ed al 18 per cento il quantitativo non direttamente riciclabile. Per questa ultima componente non direttamente riciclabile e riferibile appunto al CSS, la regione ha ritenuto che questa possa ancora essere, con adeguati trattamenti, riciclabile e quindi con recupero di materia, non contemplando la possibilità di realizzare nuovi impianti pubblici dedicati al trattamento termico/combustione; inoltre si deduce che Edipower propone di portare in combustione a Brindisi un CSS-combustibile che è, nei contenuti di cloro e mercurio, qualitativamente peggiore rispetto a quello prodotto in Puglia negli impianti esistenti, il CSS-combustibile proposto da Edipower (classi 3,3,2) rappresenta il peggiore fra quelli producibili e quindi non risponde alle indicazioni del decreto 22 del 2013 ed a quelle stesse della normativa comunitaria che impongono l'uso di un «prodotto», di «alta qualità»;
    2) le evidenze di danno sanitario connesso alle emissioni industriali ed in particolare energetiche considerando anche che l'impianto risulta estremamente vicino agli abitati della Materdomini;
    3) i gruppi 1 e 2 sono fermi dal 2001 ed il decreto AIA del 7 agosto 2012 prescrive lo smantellamento di questi entro 36 mesi. A distanza di 17 mesi dal decreto autorizzativo AIA i lavori di demolizione non sono ancora stati avviati o, per meglio dire, non è stata avviata alcuna richiesta di autorizzazione ed Edipower annuncia l'intenzione di formulare tale richiesta nell'ambito dello Sia, ciò che, al di là delle dichiarazioni, testimonia ad avviso degli interroganti la volontà di rimettere l'attuazione della richiesta di autorizzazione della demolizione all'esito della procedura VIA in corso;
    4) il gruppo 3, così come il 4, per il quale si chiede l'autorizzazione del nuovo progetto, è attualmente fermo a causa della estrema criticità ambientale dell'intero ciclo produttivo (sono attualmente in corso il risanamento e la bonifica del vecchio carbonile su area di proprietà dell'Enel verso cui, come Edipower evidenzia, il carbone è trasportato con camion);
   il 25 marzo 2014 la A2A Ambiente, facente capo ad A2A Apa ha presentato alla provincia di Brindisi, al comune, all'ARPA, all'ASL, al Consorzio ASI ed al comando provinciale dei Vigili del fuoco: «Istanza di Valutazione di Impatto Ambientale e contestuali istanze di Autorizzazione saggistica e di Autorizzazione Unica alla realizzazione e all'esercizio di un impianto di trattamento di rifiuti speciali non pericolosi, sito nella zona industriale di Brindisi» finalizzato alla produzione di CSS ai sensi del decreto ministeriale 22 del 14 febbraio 2013 che, fatta salva la verifica qualitativa, è da portare in co-combustione nell'adiacente centrale a carbone;
   tuttavia, la società A2A non ha presentato richiesta di rilascio di autorizzazione integrata ambientale nonostante il decreto legislativo n. 46 del 2014 del 4 marzo 2014 (G.U. n. 72 del 27 marzo 2014) estenda, tramite modifica all'Allegato VIII della Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa alla VIA-VAS e AIA, le attività di autorizzazione integrata ambientale ad impianti che trattano rifiuti «non pericolosi» con capacità superiore a 75 tonnellate giornaliere, come quello del progetto di A2A, definendone i quantitativi giornalieri da trattare; quindi la richiesta del proponente non può essere limitata alla sola VIA, alla autorizzazione paesaggistica ed alla autorizzazione unica ambientale, ma deve prevedere anche l'autorizzazione integrata ambientale (AIA);
   i due proponenti, A2A ambiente e Edipower Spa, facenti capo ad un unico gruppo imprenditoriale, A2A SpA, presentano due differenti progetti, il primo – riguardante la centrare termoelettrica per bruciare CSS – al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il secondo – riguardante l'impianto di trasformazione dei rifiuti in CSS – alla provincia giustificando e facendo riferimento nel secondo progetto ad un procedimento ancora in corso – il primo – senza il quale il secondo progetto non avrebbe senso di esistere, per cui a detta dell'interrogante, sarebbe stato opportuno presentare un unico procedimento che prevedesse gli impatti ambientali complessivi derivanti dall'unico progetto imprenditoriale così come previsto in questi casi ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ribadito in diverse sentenze del TAR;
   secondo i dati Terna, nel 2013 la regione Puglia ha prodotto 35.431,3 GWh di energia elettrica netta (37.381,7 GWh lorda) destinata al consumo di cui 27.903 GWh prodotta dalle 75 centrali termoelettriche tradizionali presenti nel territorio regionale, 3.883 GWh prodotta dai 475 impianti di eolico, 3.640,5 GWh prodotta dai 38.951 impianti di fotovoltaico;
   secondo i dati Terna, il consumo di energia elettrica nel 2013 in Puglia è stato di 18.961,2 GWh con consumo pro capite per abitante di 4.188 kWh, con un «Supero» della produzione rispetto alla richiesta di 16.470,1 GWh quindi l'86,9 per cento della produzione di energia elettrica prodotta in più rispetto alla richiesta;
   la significativa riduzione della domanda di energia causata dalla crisi economica e il forte aumento della produzione da fonti rinnovabili, aventi priorità di dispacciamento rispetto agli impianti termoelettrici che operano sul mercato dell'energia elettrica, hanno determinato una drastica riduzione delle ore di funzionamento della centrale Edipower di Brindisi;
   il territorio di Brindisi è stato considerato come area ad alto rischio di crisi ambientale per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico ed in particolare il luogo in cui è compresa l'area industriale in questione;
   la legge n. 426 del 1998 ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e articolo 15 del decreto ministeriale Ambiente n. 471 del 1999, dichiara Brindisi sito interesse nazionale da bonificare per l'elevato inquinamento già prodotto dalle attività industriali a conferma della crisi ambientale correlata da dati sanitari allarmanti della popolazione;
   nello studio di impatto ambientale proposto al Ministero vi è inoltre riportato che con la modifica richiesta, il rendimento, inteso come efficienza energetica della centrale passerebbe dal 33,4 per cento al 35,1 per cento e quindi sarebbe ben lontano dall'efficienza energetica del 65 per cento prevista dalla direttiva europea 98/2008 recepita dall'ordinamento italiano per catalogare l'attività di combustione come recupero energetico per cui, a detta dell'interrogante, l'attività della centrale termoelettrica di Brindisi sarebbe catalogata, al pari di una qualsiasi discarica, come smaltimento. Inoltre, l'impianto non  essendo un impianto di recupero energetico, non rientrerebbe tra gli impianti previsti dall'articolo 35, comma 6, del decreto-legge n. 133 del 2014 che prevede per i soli impianti di recupero energetico la non sussistenza dei vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani, rendendo tale impianto inidoneo ad accogliere materiale proveniente da fuori regione;
   a detta dell'interrogante vi è forte contrasto con le previsioni del piano regionale dei rifiuti urbani e la richiesta di Edipower di portare in combustione il CSS-combustibile e ciò anche in virtù di quanto proposto nella istanza presentata alla provincia in merito alla realizzazione di un apposito impianto adiacente alla centrale dalla centrale, destinato alla produzione del CSS-combustibile –:
   se il Governo intenda dare parere negativo nella procedura di valutazione di impatto ambientale di propria competenza per tutto ciò che è espresso in premessa;
   se siano state rispettate le prescrizioni impartite dal decreto AIA del 7 agosto 2012, per la centrale termoelettrica;
   se il Governo intenda verificare lo stato degli impianti dismessi, la loro messa in sicurezza e disporre l'avvio, realmente «separato», delle procedure autorizzative dei lavori di smantellamento, anche in considerazione degli impegni assunti da Edipower all'atto della stipula dell'accordo di programma finalizzato alla bonifica del sito dimesso, nell'ambito del SIN di Brindisi i cui proventi sono già stati incassati dallo stesso Ministero;
   quale sia lo stato di avanzamento della caratterizzazione, della messa in sicurezza e della bonifica nel SIN di Brindisi e quali iniziative intenda adottare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per attuare il prima possibile le bonifiche. (4-07385)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si precisa che la centrale Edipower, ricadente nel «Sito Ex-Eurogen» e comprendente aree di proprietà Edipower ed Enel Produzione, è stata costruita nel 1965 su una superficie complessiva di circa 400.000 metri quadri. L'area di competenza Edipower occupa una superficie totale pari a 225.296 metri quadri di cui 192.979 metri quadri di proprietà e 32.317 metri quadri in area demaniale marittima in concessione.
  La centrale confina a ovest con un'area a sviluppo industriale, a est con l'alveo denominato «Fiume Grande», a sud è delimitata dalla via Fiume Piccolo e dal raccordo ferroviario che corre lungo di essa e a nord si affaccia per circa 300 metri lungo il margine costiero meridionale del porto esterno di Brindisi.
  L'area è occupata dagli impianti per la produzione di energia elettrica e dagli impianti tecnologici per l'esercizio della centrale.
  Con riferimento alle problematiche inerenti la bonifica ed in particolare lo stato di avanzamento della caratterizzazione, i risultati della caratterizzazione hanno evidenziato superamenti nei suoli delle CSC per i parametri Arsenico e Vanadio. Per le acque di falda sono stati riscontrati superamenti delle CSC per fluoruri, nitriti, solfati, arsenico, boro, alluminio, ferro, manganese, cloroformio, tetracloroetilene.
  In data 20 dicembre 2010 la società Edipower ha sottoscritto l'atto transattivo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Con decreto n. 123 del 9 aprile 2015 è stato approvato il progetto unitario di bonifica dei suoli e della falda.
  L'azienda, successivamente, ha fatto richiesta di variante al progetto unitario di bonifica dei suoli e della falda consistente nella rinuncia alla realizzazione della bonifica della falda, variante che questo Ministero ha ritenuto non accettabile.
  Sul punto, si evidenzia che l'azienda ha fatto ricorso al Tar Lazio e, ad oggi, l'udienza di merito non risulta ancora fissata.
  In relazione agli aspetti inerenti l'Autorizzazione integrata ambientale (AIA) si rappresenta che alla centrale A2A Energiefuture spa (ex Edipower spa), ubicata a Brindisi, è stata rilasciata l'Aia con decreto DVA-DEC-2012-434 del 7 agosto 2012.
  L'articolo 1, comma 2 del decreto sopra citato prevede che il gestore (e proponente dell'opera in progetto), entro 12 mesi dalla pubblicazione del decreto di AIA sulla – Gazzetta Ufficiale, presenti un piano di adeguamento della centrale per il raggiungimento degli obiettivi di cui al decreto ex DSA-DEC-2009-1634 del 12 novembre 2009 (decreto di VIA) da realizzarsi entro 36 mesi. Il gestore ha ottemperato a questa prescrizione presentando, con nota del 10 settembre 2013, una istanza di modifica, nel rispetto della tempistica prevista, essendo stato il decreto di AIA pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 13 settembre 2012.
  La commissione AIA, al termine delle attività istruttorie di propria competenza, ha reso il parere istruttorio conclusivo con il quale è stato approvato il piano di adeguamento; pertanto, a partire dal 13 settembre 2015 (36 mesi dalla pubblicazione del decreto di Autorizzazione integrata ambientale sulla Gazzetta Ufficiale) veniva previsto l'obbligo di rispettare i nuovi limiti emissivi previsti dal decreto di Via e confermati nel decreto di Autorizzazione integrata ambientale.
  Il gestore, tuttavia, non ha proceduto all'adeguamento degli impianti, comunicando, peraltro, annualmente, che la centrale è posta in stato di conservazione temporanea senza produzione di energia elettrica.
  Successivamente, la società proponente, nel mese di settembre 2013, ha presentato istanza di valutazione di impatto ambientale e contestuale istanza di autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni per il nuovo progetto «Centrale termoelettrica di Brindisi Nord – Progetto di co-combustione del carbone con combustibile solido secondario (CSS)».
  Al riguardo, il proponente, con l'istanza di cui sopra, ha inteso proporre il nuovo progetto come alternativa allo scenario AIA a 36 mesi, ritenuto economicamente non sostenibile nelle condizioni attuali del mercato dell'energia elettrica.
  In merito alla procedura di autorizzazione integrata ambientale, la conferenza dei servizi, preso atto dei pareri negativi espressi dalla regione Puglia, dalla provincia e dal comune di Brindisi e del dissenso espresso dal Ministero della salute, ha deliberato di non approvare il progetto.
  Con riferimento alla valutazione di impatto ambientale, attualmente il procedimento è in fase di esame istruttorio presso la commissione tecnica di Verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS, la quale, renderà un parere di compatibilità ambientale al termine delle attività istruttorie di propria competenza.
  Da ultimo, si rammenta che tutta la documentazione progettuale ed ambientale fin qui presentata nel corso dell'istruttoria tecnica, insieme con le osservazioni del pubblico, i pareri degli enti e delle amministrazioni coinvolti nell’iter istruttorio, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'indirizzo http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1374.
  Ad ogni modo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a vigilare e a tenersi informato al fine del superamento delle criticità ambientali sul territorio discorso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzazione a scopo idroelettrico delle acque del bacino del fiume Spol di Livigno (Sondrio) ha natura internazionale ed è regolata di comune accordo fra la Repubblica italiana e la Confederazione elvetica con la convenzione di Berna, datata 27 maggio 1957, ratificata in Italia dalla legge 26 febbraio 1958 n. 215;
   per effetto della convenzione internazionale e della legge di ratifica, veniva concesso all’ex «azienda municipalizzata di Milano» (ora A2A s.p.a.) di derivare ad usi idroelettrici 90 milioni di metri cubi di acqua medi annui;
   il Ministero dei lavori pubblici regolava le concessioni idroelettriche, esercite ancor oggi da A2A s.p.a., con disciplinare di concessione nr. 4533 del 12 gennaio 1962;
   nonostante il disciplinare di concessione richiami la piena ed esatta osservanza di tutte le norme del testo unico delle leggi sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, nonché di tutte le prescrizioni legislative e regolamentari concernenti il buon regime delle acque pubbliche, l'agricoltura, la pescicoltura, l'industria, l'igiene e la sicurezza pubblica, a valle delle opere di presa, a quanto risulta agli interroganti, non viene rilasciata la componente obbligatoria e tassativa di deflusso minimo vitale (DMV);
   per effetto del mancato rilascio del deflusso minimo vitale è tutt'oggi in atto un vero e proprio disastro ambientale, palese ed evidente per completo prosciugamento dei corsi d'acqua assentiti a valle delle opere di presa idroelettriche;
   l'aver sottratto il minimo deflusso vitale dai torrenti ha determinato l'effetto di naturale abbassamento della falda acquifera di Livigno, non più perfettamente funzionale ai preminenti usi dell'acqua per uso civico o agricolo per segnalate difficoltà di attingimento dai pozzi;
   in ordine temporale, la legge 183 del 1989, la direttiva 2000/60/CE ed il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, indicano gli adempimenti da attuarsi per assicurare il rilascio del deflusso minimo vitale anche in corsi d'acqua con natura internazionale;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio — direzione per la qualità della vita — gestione integrata risorse idriche — divisione IV — già in data 26 luglio 2005, con f.n. 15169/QdV/DI(IV), si riservava di «impartire le opportune disposizioni per il rispetto dell'obbligo di rilascio del deflusso minimo vitale, riferito proprio alle concessioni di derivazione idroelettrica assentite, stabilito in modo tassativo dall'articolo 12, co. 9, del D.Lgs 16 marzo 1999 nr. 79 (oltre che, in via generale, dalle disposizioni recate dalla L. 36/1994 e dal D.Lgs 152/2006)»;
   a distanza di ben 11 anni dal sopra citato intervento ministeriale, che definisce il minimo deflusso vitale come «obbligatorio» e «tassativo», il disastro ambientale risulta evidentemente immutato;
   lo stato di prosciugamento dei corsi d'acqua non permette di esprimere appieno le proprie potenzialità di attrazione turistica a Livigno (Sondrio);
   numerose associazioni ambientaliste ed il comune monitorano continuamente lo stato dei corsi d'acqua e richiedono il ripristino dello stato naturale dei luoghi –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti indicati in premessa e se intenda assumere con urgenza le iniziative di competenza affinché venga ripristinato lo stato di diritto mediante il rilascio immediato della componente di deflusso minimo vitale (DMV) nei tratti di alveo prosciugati a valle delle derivazioni idroelettriche esercite da A2A s.p.a.;
   se intenda verificare quali provvedimenti siano stati adottati a seguito della comunicazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio — direzione per la qualità della vita — gestione integrata risorse idriche — divisione IV — già in data 26 luglio 2005, con f.n. 15169/QdV/DI(IV);
   se intenda dar corso alla diffida prevista dall'articolo 65 del decreto legislativo 152 del 2006, anche nell'ottica di prevenire all'approvazione di un piano di bacino sulla parte italiana del fiume Spol, adottando sin da subito, con ordinanza cautelare, le misure di salvaguardia utili ad assicurare il rilascio del deflusso minimo vitale in alveo, in assenza del quale, il territorio risulta essere gravemente danneggiato. (4-13412)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, relativa all'utilizzazione a scopo idroelettrico delle acque del bacino del fiume Spol di Livigno (Sondrio) e al rilascio del deflusso minimo vitale, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la Società spa, utilizza le acque del bacino in questione in forza di una apposita convenzione internazionale tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera, sottoscritta in data 27 maggio 1957 dai due Stati, al fine di consentire «lo sviluppo delle risorse elettriche dei due paesi e per il soddisfacimento delle necessità delle rispettive economie». La suddetta convenzione è stata poi ratificata con legge n. 215 del 26 febbraio 1958.
  Tanto premesso, occorre evidenziare che la convenzione, e gli atti concessori conseguenti, consentono alla A2A spa di prelevare un volume annuo non superiore a 90.000.000 di metri cubi, ma non prevedono alcun obbligo di rilascio del deflusso minimo vitale (DMV), pertanto l'eventuale previsione di tale rilascio al di fuori della predetta Convenzione andrebbero ad intaccare tale quota, determinando un decremento del quantitativo di energia prodotta, destinata sia all'Italia che alla Svizzera.
  La stessa Confederazione elvetica subirebbe, in conseguenza di tale imposizione, una decurtazione della quota di propria spettanza di energia idroelettrica prodotta in Italia che, a norma della convenzione internazionale, viene trasferita in territorio svizzero, con eventuali implicazioni negative anche sul versante dei rapporti internazionali tra i due Stati.
  È per tale motivo che già la delibera del comitato istituzionale dell'autorità di bacino del fiume Po n.6 del 6 agosto 1992 escluse dall'adeguamento ai rilasci del DMV le concessioni soggette ad accordi internazionali. La possibilità di tale esclusione è stata più recentemente confermata anche dal piano di tutela delle acque della Regione Lombardia (l'articolo 35 delle norme tecniche di attuazione).
  Al fine di individuare comunque una soluzione al problema dei rilasci a sostegno del DMV sul torrente Spol, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è in questi anni adoperato affinché la società spa effettuasse un programma di rilasci, a carattere volontario, idoneo a sostenere il deflusso minimo vitale. A tal fine, già nel corso della riunione del 2008 della commissione internazionale di vigilanza, istituita ai sensi della citata convenzione internazionale tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera con il fine di vigilare sul rispetto dei termini convenzionali da parte dei due utilizzatori interessati (A2A per parte italiana, EICW – Officine elettriche per parte svizzera), il Ministero ha posto il problema dei rilasci del DMV dello Spol. In particolare, il Ministero ha chiesto che, in considerazione della concessione rilasciata ad A2A da una parte e del principio generale della utilizzabilità dell'acqua nei limiti della disponibilità della risorsa dall'altra, si procedesse comunque ad effettuare rilasci sperimentali a sostegno del deflusso minimo vitale.
  In esito a tali sollecitazioni, A2A ha commissionato ed effettuato nelle annualità 2010-2011 un apposito studio idraulico sulla fattibilità tecnica dei rilasci, le prime risultanze del quale sono state illustrate nella successiva riunione della commissione internazionale del 2011. Sulla scorta delle evidenze emerse, il Ministero ha proposto di istituire un tavolo tecnico, coordinato dalla regione, per la ricerca di una soluzione definitiva al problema menzionato.
  Con successivo decreto della Regione Lombardia n. 1613 del 1o marzo 2012, è stato istituito il summenzionato tavolo tecnico, composto da: Regione Lombardia (sede di Sondrio e D.G. Ambiente di Milano), Arpa Lombardia, Provincia di Sondrio, Comune di Livigno e A2A spa.
  Nel corso della prima riunione del tavolo (15 maggio 2012), A2A ha presentato le prime risultanze di uno specifico studio volto a definire il modello afflussi-deflussi del bacino dello Spol. Lo studio, comprensivo dei monitoraggi dell'andamento della falda, era finalizzato ad individuare quale portata di acqua è effettivamente necessario rilasciare dalle opere di presa esercite da A2A affinché si mantenga la continuità della vena liquida del fiume.
  Nel corso del mese di agosto 2012, A2A ha effettuato, a titolo volontario, un rilascio sperimentale di 300 litri al secondo dalle opere di presa Forcola, finalizzato a calibrare idraulicamente il modello idrologico in corso di elaborazione.
  Di tali rilasci sperimentali si è preso atto nel corso della riunione del tavolo tecnico del 5 ottobre 2012, durante la quale la società si è resa comunque disponibile a predisporre due differenti ipotesi di rilasci, per una valutazione anche in termini economici dell'investimento, prevedendo anche un eventuale ri-pompaggio delle acque rilasciate, al fine di non contravvenire comunque alle disposizioni di cui agli atti concessori, che, come già detto, fissano i quantitativi di risorsa prelevabile dai concessionari italiano e svizzero.
  Nel corso della riunione della commissione internazionale del 18-19 ottobre 2012, il Ministero dell'ambiente ha preso atto dell'attività svolta dal tavolo nel corso del 2012 e dell'esito positivo dei primi rilasci sperimentali, concordando di proseguire con la programmazione di ulteriori scenari sperimentali.
  Nella seduta del tavolo tecnico del 1o agosto 2013, la società A2A ha confermato l'intenzione di portare avanti le sperimentazioni e gli studi in corso, realizzando nuovi piezometri, per una più estensiva e completa raccolta di misure, e compiendo una campagna di rilevazioni con nuovi stendimenti geologici, al fine di valutare gli effetti di rilasci sperimentali da effettuarsi dopo il disgelo del 2014.
  Nel corso dell'autunno 2013 sono stati realizzati i 2 nuovi piezometri previsti, che si sono aggiunti ai 3 già esistenti, e sono stati ripresi gli studi di modellazione numerica, al fine di pervenire ad un adeguato livello di approfondimento scientifico in grado di simulare il funzionamento del modello idrogeologico del fiume e delle falde ad esso idraulicamente collegate, su base settimanale, onde poter disporre di una efficace simulazione fisica della questione.
  Durante le riunioni della commissione internazionale del 2013 e del 2014, il Ministero dell'ambiente ha invitato i soggetti interessati a proseguire negli studi sperimentali, e la società A2A si è dichiarata disponibile a presentare un'ipotesi di lavoro triennale che preveda il rilascio di portate a sostegno della vena fluida fluviale.
  A seguito delle riunioni anzidette, nel 2014, A2A ha dunque presentato una proposta di rilasci volontari, durante il periodo estivo, della durata di alcune settimane, per il triennio 2015-2017.
  Nell'estate 2015 non sono stati effettuati rilasci sperimentali in quanto la società, nel corso della riunione del tavolo tecnico del 23 luglio 2015, ha comunicato che dalle previsioni effettuate relative ai rimanenti mesi dell'anno non ci sarebbe stata una portata dello Spol superiore al prelievo previsto dalla convenzione internazionale, tale da poter consentire i rilasci stessi.
  Durante l'ultima riunione del 18 novembre 2015 del tavolo tecnico, si è preso atto della proposta presentata da A2A per i prossimi anni (dal 2016 al 2018); tale proposta prevede il rilascio di 250 litri al secondo dalla presa Forcola per un periodo di 45 giorni, da metà luglio a fine agosto.
  In data 22 giugno 2016, A2A spa ha presentato un programma dettagliato dei rilasci ed il piano di monitoraggio per l'annualità 2016, prevedendo, come anticipato nella proposta, il rilascio di 250 litri al secondo, con inizio al 15 luglio 2016 e termine al 31 agosto 2016.
  Alla luce delle informazioni esposte, in via di ordine generale, si fa presente che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI GIOIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario a Bari, il presidente della corte di appello, ha dichiarato che la Puglia ha stabilito, nel periodo luglio 2014-giugno 2015, il triste «primato» degli infortuni mortali sul lavoro al Sud di Italia con 33 morti bianche;
   tale situazione è la dimostrazione evidente di come siano tuttora inadeguate e insufficienti le misure di controllo e di prevenzione;
   a questo fattore si aggiungono le piaghe non debellate del lavoro nero e caporalato che affliggono la regione Puglia, soprattutto nell'agricoltura;
   tale fenomeno è stato più volte reso pubblico, da ultima vi è stata la denuncia del sindacato che aveva svelato l'esistenza di 55 ghetti con oltre 50 mila «schiavi»;
   in particolare era stato reso noto il sistema di sfruttamento, da parte della malavita che gestisce questo fiorente mercato, dei migranti che lavorano nei campi;
   non solo gli stessi lavorano con salari da fame, ma devono subire le prepotenze dei «caporali» che richiedono parte dei loro miseri salari per farli vivere in «bidonville» o per dare loro da mangiare quel tanto che è necessario per farli lavorare;
   ovviamente in molte aziende tale sistema di sfruttamento non esiste, tanto è vero che vi è stato un incremento importante dei lavoratori a tempo determinato, ma ciò non toglie che i controlli e le ispezioni si sono rivelate del tutto insufficienti rispetto all'entità del fenomeno;
   tale sistema di sfruttamento del lavoro penalizza in enorme misura le aziende sane e gli imprenditori onesti che, seguendo le regole, sono ovviamente meno competitivi sul mercato e hanno utili notevolmente minori;
   appare del tutto incomprensibile, non solo in Puglia ovviamente, che tali realtà, conosciute e di dimensioni notevoli, possano continuare a esistere, favorendo realtà gestite dalla malavita che ne ricava enormi utili, senza che sia stato predisposto un piano per arrivare a debellare in maniera importate se non definitiva, tale fenomeno –:
   se non si ritenga necessario intervenire per predisporre un ulteriore incremento dei controlli sui posti di lavoro, in Puglia come in tutta Italia, affinché siano maggiormente rispettate le norme sulla sicurezza nei posti di lavoro, prevedendo ove necessario un aumento delle figure professionali degli addetti a tali controlli;
   se non si ritenga necessario accompagnare a tali iniziative una campagna di prevenzione e repressione del lavoro nero e del caporalato a partire dallo smantellamento dei ghetti gestiti dalla malavita che rappresentano un possibile focolaio di forti contraddizioni sociali, ristabilendo in questi territori la forte presenza dello Stato. (4-11916)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiama l'attenzione del Governo sui fenomeni del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, si rappresenta quanto segue.
  Governo e Parlamento insieme, sono fortemente impegnati a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e territoriali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
  Per quanto di specifica competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si rappresenta che nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 – adottato dalla Commissione centrale di coordinamento (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 124 del 2004) – sono stati pianificati, in specifici ambiti regionali, interventi di vigilanza nel settore agricolo. Le attività di verifica, svolte in sinergia con altri soggetti istituzionali – quali l'Arma dei Carabinieri, le Asl il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza –, hanno consentito di esaminare i rapporti di lavoro sotto diversi aspetti ivi inclusi quelli di rilevanza penale (ad esempio il traffico di esseri umani).
  Nel contesto delle sinergie inter-istituzionali promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si iscrive, inoltre, il protocollo, d'intesa siglato con l'Automobile club d'Italia (Aci) che consente agli ispettori del lavoro di risalire ai cosiddetti caporali attraverso il numero di larga dei mezzi utilizzati per il trasporto dei lavoratori.
  I dati dell'attività ispettiva svolta nel 2015 nel settore agricolo mostrano risultati molto positivi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono state effettuale, infatti, 8,662 ispezioni – con un incremento del 59,4 per cento rispetto al 2014 pari a 5.434 ispezioni in più – che hanno consentito di individuare 6.153 lavoratori irregolari, di cui 3.629 in nero e 180 stranieri privi di permesso di soggiorno. Sono stati accertati» inoltre, 713 casi di interposizione di manodopera/caporalato e 186 violazioni della normativa sull'orario di lavoro. Sono stati riqualificati 82 rapporti di lavoro e individuati 35 minori impiegati irregolarmente. Si evidenzia, inoltre, che sono stati adottati 459 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.
  Anche il documento di programmazione dell'attività di vigilanza per fanno 2016 dedica particolare attenzione al contrasto: del lavoro sommerso, ai fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nonché al caporalato. In particolare, sono stati pianificati interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, tra i quali Puglia (nello specifico le province di Foggia. Taranto e Bari), Campania (in particolare la Piana del Sole e l'Agro Nocerino-Sarnese) e Lazio (nello specifico l'Agro Pontino). A tale proposito, al fine di rafforzare l'efficacia dell'attività ispettiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto la costituzione di apposite task-force ispettive.
  Il 27 maggio 2016 è stato sottoscritto dai Ministri Poletti, Alfano e Martina un Protocollo di intesa contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa, sottoscritta anche dall'ispettorato nazionale del lavoro, da diverse regioni, dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni di categoria e da alcuni rappresentanti del cosiddetto terzo settore, ha come finalità principale sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale; a partire dai territori più interessati da tale fenomeno. Tra le azioni principali previste dal Protocollo si annoverano: la stipula di convenzioni, per il servizio di trasporto gratuito dei lavoratori per il tragitto casa/lavoro; l'istituzione di presidi medico-sanitari mobili; il potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori.
  Il 13 luglio 2016, inoltre, è stato siglato un secondo protocollo – sulla scia di quello concluso il 27 maggio 2016 – per il lancio dell'attività di vigilanza «interforze» nel settore agricolo. Tale protocollo è stato sottoscritto, oltre che dai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, delle difese delle politiche agricole alimentari e forestali, anche dall'Ispettorato nazionale del lavoro, dalle regioni, dalle organizzazioni sindacali e datoriali del settore agricolo e dalle organizzazioni di volontariato. Il protocollo ha carattere strettamente operativo, in quanto mira ad assicurare – attraverso l'impiego dei militari dell'Arma dei carabinieri e del personale del Corpo forestale dello Stato – un contrasto ancora più efficace contro le violazioni della disciplina in materia di lavoro e legislazione sociale, grazie a una forte e costante presenza sul territorio di tutti i soggetti competenti a svolgere azioni di vigilanza nel settore agricolo.
  Il caporalato costituisce, purtroppo, un problema storico del nostro Paese sul quale si è intervenuti ripetutamente e, anche di recente, in termini legislativi. Evidentemente gli avvenimenti, anche tragici, che si apprendono dai media costringono a ritornare su questo argomento, imponendo una riflessione in ordine alle azioni, alle norme ed ai comportamenti più adeguati per far fronte a tale situazione. Il problema, dunque, non va affrontalo in maniera emergenziale bensì strutturale perché si ripropone ogni anno con le medesime modalità e nei medesimi territori. A tale proposito ricordo che il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale provvedimento legislativo, approvato dal Senato ed ora all'esame dell'Assemblea della Camera, mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia detrazione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella regione del Molise in provincia di Campobasso insiste il piccolo comune di Castelmauro che conta circa 1500 abitanti, di cui solo 900 effettivamente residenti;
   le vie di accesso al predetto comune risultano tutte interrotte da frane e l'unica non franata è in totale dissesto;
   pertanto si tratta di un piccolo insediamento difficile da raggiungere, tanto da definirsi quasi isolato dal resto del territorio;
   la popolazione dello stesso è formata per la maggior parte da cittadini con un età media intorno ai 55 anni;
   la maggior parte di essi vive di pensione, tanto che il reddito pro-capite risulta essere il più basso di tutta la provincia;
   il tasso di disoccupazione risulta altissimo;
   nel predetto comune vivono già 70 stranieri di cui 58 extracomunitari;
   tra l'altro, in seno al paese esiste uno stabile, individuato dalla prefettura di Campobasso, dove sono allocate da molto tempo delle famiglie extracomunitarie;
   le predette famiglie, tutte attualmente in possesso di un regolare contratto di affitto, si sono ben integrate con il tessuto del territorio;
   attualmente, la prefettura di Campobasso risulta abbia intenzione di allocare nel predetto piccolo comune altri 28 profughi di età media 25 anni;
   al di là della poca capacità di un piccolo paese come questo di accogliere rispetto anche e soprattutto all'inserimento lavorativo, altri immigrati, risulterebbe all'interrogante che le famiglie extracomunitarie precedentemente allocate siano state sfrattate per poter riutilizzare la struttura per accogliere i nuovi immigrati (ricavandone un profitto maggiore rispetto all'attuale) –:
   se risponde a realtà che la prefettura di Campobasso abbia intenzione di aumentare il contingente di extracomunitari da allocare nel comune in questione;
   qualora ciò fosse vero, quali criteri siano stati seguiti nella predetta scelta;
   se risponda a realtà che lo stabile ove erano allocate le famiglie di cui in premessa sia stato sgomberato per poterlo riutilizzare a nuovo alloggio per il nuovo contingente di migranti. (4-12326)

  Risposta. — In merito a quanto evidenziato dell'interrogante si precisa che lo stabile situato nel comune di Castelmauro, a cui si fa riferimento nell'interrogazione, è stato indicato dalla cooperativa sociale Pianeti Diversi – mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese convenzionato con la – Prefettura di Campobasso per la gestione del servizio di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale – come possibile struttura destinata ad ospitare i migranti.
  La predetta cooperativa è uno degli operatori economici con i quali la prefettura ha sottoscritto, in data 15 luglio 2015, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, un apposito accordo-quadro, in virtù del quale le convenzioni stipulate con i singoli operatori economici per la gestione del servizio, possono essere integrate con raggiunta di ulteriori disponibilità di strutture nel corso della durata contrattuale.
  Quanto al citato stabile, la prefettura di Campobasso ha riferito che, secondo quanto risulta dalla documentazione prodotta, esso risulta concesso in locazione dal suo proprietario alla predetta cooperativa, libero da vincoli.
  Lo stesso comando provinciale carabinieri di Campobasso ha reso noto che le famiglie titolari di un contratto di affitto con il proprietario dell'immobile in questione sono state aiutate a trovare altre dignitose abitazioni nello stesso comune.
  Si rappresenta che, al fine di valutare l'eventuale ampliamento della convenzione stipulata con la cooperativa, il 22 dicembre 2015 la prefettura ha richiesto il parere del Sindaco, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015.
  Il successivo 5 gennaio 2016, il sindaco di Castelmauro ha rappresentato di condividere la preoccupazione della popolazione locale «in merito all'arrivo di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale».
  Preso atto del parere, e comunque in ossequio ad una prassi consolidata, è stato effettuato, in data 22 gennaio 2016, un sopralluogo preventivo della struttura. Con l'occasione, il funzionario incaricato dalla prefettura ha fornito alla cittadinanza – nella casa comunale – ogni chiarimento utile in relazione ai servizi di accoglienza dei migranti.
  La prefettura ha quindi trasmesso all'azienda sanitaria regionale del Molise (A.S.Re.M.), in data 27 gennaio, la documentazione prodotta dalla cooperativa Pianeti Diversi, relativa all'immobile, affinché disponesse opportuni accertamenti in merito alla idoneità igienico – sanitaria dello stesso.
  A seguito di due sopralluoghi avvenuti il 29 gennaio e 9 febbraio 2016, l'A.S.Re.M. ha formulato parere positivo sull'utilizzo della struttura come centro di accoglienza per migranti, ponendo un limite di ricettività di 24 persone.
  Il successivo 22 febbraio, il prefetto, ricevendo una delegazione del comitato «Noi per Castelmauro» – contrario all'apertura di un centro di accoglienza in quel Comune –, ha fornito tutte le rassicurazioni del caso in ordine all'idoneità della struttura, al numero ridotto di migranti eventualmente da accogliere ed ai controlli delle forze di polizia a tutela della sicurezza pubblica (peraltro nel territorio comunale è presente una stazione dell'Arma dei carabinieri.
  L'attivazione del centro di accoglienza straordinaria di Castelmauro era stata peraltro annunciata nel corso della riunione, tenutasi il 18 marzo 2016, del tavolo di coordinamento regionale sui flussi migratori non programmati – cui peraltro il comune di Castelmauro non ha partecipato, sebbene invitato –, in considerazione dell'ormai quasi totale assorbimento dei posti previsti dalle convenzioni già sottoscritte dalla prefettura nonché della situazione di sovraffollamento dei CARA governativi e della mancanza di posti disponibili nei progetti territoriali della rete SPRAR.
  Il 31 marzo 2016, il Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha disposto il trasferimento di cento migranti dal porto di Salerno alle strutture di accoglienza nella regione Molise, invitando la prefettura di Campobasso a provvedere al riparto a livello provinciale.
  Nella stessa giornata, la prefettura ha assegnato al centro di accoglienza in questione quindici migranti.
  Attualmente la struttura ospita 24 stranieri, numero corrispondente – come detto – alla capienza massima prevista.
  Dall'attivazione della struttura ad oggi la gestione del servizio di accoglienza non ha fatto registrare criticità, né sono state segnalate problematiche concernenti le relazioni dei migranti con la collettività locale.
  Si informa, infine, che il gestore del centro, di intesa con il sindaco di Castemauro ha avviato percorsi di integrazione dei migranti ospiti della struttura.
  Tra gli interventi di maggior rilievo, si segnala l'evento « We Love Football, We Fight Racism» tenutosi lo scorso 23 settembre con il patrocinio dei comuni di Castelmauro e Trivento in collaborazione con l'associazionismo locale, volto a promuovere la squadra di calcio formata da giovani del territorio e dagli ospiti del centro.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   DURANTI, ZARATTI, PELLEGRINO, FERRARA e RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'ispezione dell'Ispra, coadiuvata da Arpa Puglia, in data 20 e 21 aprile 2016, il 7 settembre 2016 è stato pubblicato l'aggiornamento della stessa Ispra sullo stato di attuazione delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale in vigore relativamente agli impianti dell'Ilva di Taranto;
   quello che emerge dal rapporto è una situazione estremamente critica, e molte delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale, tra le quali molte estremamente importanti, risultano non attuate;
   peraltro, dopo la suddetta ispezione del mese di aprile, è seguito un sopralluogo straordinario da parte di Arpa Puglia e del personale della ASL di Taranto nel mese di maggio, a seguito di specifica segnalazione riguardo alle modalità di gestione del reparto sottoprodotti dell'area cokeria. Per effetto della visita in loco sono state accertate talune violazioni, comunicate alle autorità competenti;
   proprio con riguardo ai ritardi nell'attuazione degli obblighi di legge relativi all'ILVA di Taranto, la stessa Fiom Cgil, ha chiesto un incontro urgente con i commissari straordinari, Gnudi, Laghi e Carrubba, sulle violazioni dell'autorizzazione integrata ambientale. Come riporta una nota del citato sindacato, «diffide e violazioni sono state segnalate a Ilva durante le verifiche periodiche, sia ordinarie che straordinarie, effettuate da ISPRA e ARPA: il mancato rispetto dei termini, peraltro attualmente prorogati, la violazione di quanto disposto dal decreto relativamente sia alla richiesta di autorizzazioni e sia alla classificazione e gestione dei rifiuti. È indispensabile e non più rinviabile un incontro urgente con l'azienda (...), in modo da garantire la massima trasparenza con le organizzazioni aziendali relativamente all'attuazione di tutte le misure intraprese e da intraprendere» –:
   quale sia l'effettivo stato di avanzamento dei lavori previsti dal piano ambientale con particolare riferimento alle aree a maggior impatto ambientale (cokerie, parchi, discariche, e altre);
   quali iniziative urgenti si intendano intraprendere affinché i commissari e l'azienda adottino tutte le idonee misure volte a dare una rapida soluzione alle diffide e alle violazioni segnalate da ISPRA e ARPA durante i controlli, a difesa della salute pubblica e dell'ambiente. (4-14220)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione relativa alle questioni riguardanti i controlli ambientali svolti da Ispra, quale autorità di controllo per gli impianti di competenza statale, presso lo stabilimento siderurgico del gruppo ILVA s.p.a. di Taranto si rappresenta quanto già evidenziato nel corso della seduta di Question Time tenutasi in Commissione VIII della Camera il 22 settembre 2016.
  Occorre, innanzitutto, premettere, relativamente all'articolato normativo in materia, che il decreto-legge n. 61 del 2013, (convertito dalla legge n. 89 del 2013), ha definito un nuovo assetto gestionale ed organizzativo dell'ILVA di Taranto, con l'introduzione del commissario straordinario e di un sub commissario per l'adozione dei piani e delle azioni di bonifica previsti dall'AIA, e con l'introduzione di un nuovo piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, elaborato da un comitato degli esperti, istituito dalla medesima legge, che al termine della procedura di consultazione costituisce modifica dell'AIA.
  Successivamente, con decreto-legge n. 136 del 2013 (convertito con legge n. 6 del 2014) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'AIA dell'ILVA di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge n. 91 del 2014, (convertito con legge 116 del 2014) sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Tanto premesso, si segnala che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali ISPRA, con la collaborazione di ARPA Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'AIA, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Per quanto concerne le diffide disposte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su proposta di ISPRA per le violazioni accertate dell'AIA, si rileva che le stesse riguardano per lo più la corretta gestione di depositi di rifiuti e non le tempistiche di attuazione degli interventi ambientali previsti dal citato piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria. L'ILVA, a seguito di tali diffide, ha trasmesso le informazioni tecniche di riscontro, che sono, allo stato, in corso di valutazione da parte di ISPRA.
  Si evidenzia, infine, che ISPRA ha chiesto ulteriori campionamenti nonché attestazioni sulle misure organizzative e procedurali adottate da ILVA, per evitare il ripetersi delle violazioni accertate.
  Della questione sono interessati anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, prosegue nella sua azione costante di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando ad un comunicato diramato in data 19 luglio 2016 dall'UGL-Sindacato nazionale dei vigili del fuoco, sezione di Trieste, a personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di stanza nel capoluogo giuliano sarebbe stato comandato di recarsi presso un campeggio situato a Fervetti, per provvedere al trasporto ed al lavoro di facchinaggio necessario all'allestimento di tende e posti letto destinati ad ospitare sedicenti migranti richiedenti asilo;
   per effetto di questa disposizione apparentemente impartita dalla prefettura di Trieste, il 19 luglio 2016 sarebbe stato distratto da soccorso tecnico urgente non meno del 50 per cento del personale addetto e cinque mezzi operativi;
   non è chiaro per quali motivi sia stato necessario utilizzare risorse altamente specializzate nel soccorso tecnico urgente e per di più in un periodo dell'anno ad alto rischio d'incendi, per via delle alte temperature e dei venti che spirano su Trieste, invece di mobilitare altro personale appartenente alla protezione civile –:
   per quali motivi la prefettura di Trieste abbia ritenuto di utilizzare come facchini i vigili del fuoco di Trieste, privando per ore preziose il capoluogo giuliano del 50 per cento del personale altamente specializzato addetto al soccorso tecnico urgente;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per vietare l'utilizzo di personale dei dirigenti del fuoco come riportato in premessa, al fine di non sottrarre mezzi e uomini alla effettiva attività di soccorso dei vigili del fuoco, a scapito della sicurezza e della tutela dei cittadini. (4-13904)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene lamentato l'impiego di personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle attività di montaggio di tende per l'accoglienza di migranti richiedenti asilo, con particolare riferimento a quanto avvenuto il 19 luglio 2016 in località Fernetti del comune di Monrupino.
  Da notizie riferite dalla competente prefettura, risulta che la stessa, lo scorso 18 luglio, ha chiesto la collaborazione del Comando dei vigili del fuoco di Trieste per il montaggio, presso un campeggio sito nella predetta località Fernetti, di 5 tende (comprensive di 40 posti letto) destinate all'accoglienza di 35 richiedenti asilo provenienti dalla provincia di Gorizia.
  Il contributo prestato dai vigili del fuoco è consistito nel ritiro delle tende e degli effetti letterecci presso il deposito del Ministero dell'interno-CAPI di Trieste-Giarizzole, nel trasporto di tale materiale al predetto campeggio e nel montaggio in loco.
  Si evidenzia che, nella circostanza, il dispositivo di soccorso del comando di Trieste, che consta di cinque – sei squadre in orario diurno oltre ad una squadra di specialisti portuali e a un'altra di specialisti sommozzatori, non ha subito, né avrebbe in alcun modo potuto subire, alcuna limitazione in termini di efficienza operativa.
  È nota, infatti, la limitata estensione del territorio provinciale, con modestissime distanze – comunque non superiori a 10 chilometri – dal capoluogo sia della località Fernetti che dei due distaccamenti di Muggia e di Opicina. Pertanto, il personale impegnato nelle operazioni in parola, di fatto, era immediatamente e prontamente disponibile in caso di contestuali necessità legate al soccorso.
  Si fa presente che la collaborazione richiesta non era e non intendeva in alcun modo essere lesiva dell'alta professionalità e delle competenze tecniche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bensì un ausilio richiesto in attività – l'accoglienza dei richiedenti asilo – di competenza del Ministero dell'interno, amministrazione della quale i vigili del fuoco rappresentano una componente.
  In merito alla percentuale di personale impiegato, si segnala che il comando provinciale di Trieste non ha distolto dal servizio personale e mezzi di soccorso in numero tale da incidere negativamente sulla nota efficienza del servizio di soccorso tecnico urgente del Corpo nazionale.
  Si ritiene inoltre che il termine «facchinaggio» usato per descrivere l'attività svolta dal Corpo sia da ritenersi non consono alla circostanza, essendosi trattato, viceversa, di una virtuosa collaborazione per fini istituzionali, tra uffici di una stessa amministrazione. Collaborazione in grado di produrre, tra l'altro, effetti positivi per il Corpo nazionale, in quanto utile allo stesso personale che in tal modo ha potuto saggiare le proprie capacità operative nell'ambito dell'attività di soccorso urgente in caso di calamità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FOLINO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dai media locali e riportato dai cittadini dell'area della Val d'Agri (Potenza) e confermato da una nota stampa dell'ENI, in data 13 novembre 2015 verso le ore 9,30/9,45 presso il COVA (Centro olii Val d'Agri) in località di Viggiano (Potenza), si è verificata un'anomalia alla fiaccola di sicurezza che ha generato una fiammata di dimensioni inusuali ben oltre i livelli medi, tanto da essere definita «impressionante». L'anomalia della fiamma pilota ha avuto una durata di circa 2 ore;
   la nota stampa della compagnia Eni dichiara che l'innalzamento è stato provocato da un transitorio che si inserisce nell'ambito dell'attuale fase di «Tuning — Allineamento e Settaggio» del programma operativo di messa in marcia e successivamente a regime della V linea di trattamento gas del COVA, previsto dall'autorizzazione AIA. Eni ha tempestivamente attivato i canali di comunicazione previsti dalle procedure, informando tutti gli enti e le autorità interessate, a partire dai sindaci. Per limitare il fenomeno di visibilità, sono stati chiusi alcuni pozzi, con contestuale riduzione della produzione, e attualmente sono in corso le operazioni finalizzate a ripristinare il normale assetto produttivo dell'impianto. Eni evidenzia che il controllo costante e puntuale dei dati di monitoraggio della qualità dell'aria, acquisiti sia dalla centralina di proprietà Eni sia dalla rete ARPAB, non ha fatto registrare alcun superamento dei valori di legge, sia regionale che nazionale, per tutti i parametri normati;
   nel comunicato dell'Eni non si fa riferimento a quali siano i pozzi interessati e chiusi per sicurezza per «limitare il fenomeno di visibilità» e se nelle comunicazioni siano state interessate regione Basilicata e l'UNMIG (ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse) indicando anche i motivi legati alla decisione di chiudere i pozzi e al relativo calo della produzione;
   il ripetersi continuo e costante delle anomalie e delle fiammate oltre livelli medi delle anomalie ingenera nella popolazione preoccupazioni e stato di inquietudine perenne dovuti anche all'assenza di informazione istituzionale;
   il più delle volte, infatti, le segnalazioni di anomalie avvengono esclusivamente dai cittadini residenti e dalle associazioni attive sul territorio;
   il predetto scenario è duraturo e costante, secondo la OLA (Organizzazione lucana ambientalista) «continua a esserci una informazione poco chiara e trasparente sull'attività estrattiva e sulla sicurezza in Val d'Agri e sulle cosiddette “anomalie” che causerebbero le fiammate del centro olio con la chiusura dei pozzi che con molta probabilità emetterebbero quantitativi di gas eccessivi ed incontrollabili per poter essere gestiti dalle strumentazioni e dagli impianti»;
   si registra il ripetuto mal funzionamento o funzionamento anomalo della V linea a gas del centro olio di Viggiano;
   il provvedimento adottato dall'UNMIG e indicato in una nota nel settembre 2014 dall'assessore all'ambiente della regione Basilicata imponeva all'Eni di adeguare l'impianto visto il ripetersi delle fiammante e la conseguente preoccupazione della popolazione. Le due prescrizioni richiedevano all'Eni, infatti, «di trovare soluzioni rapide e contingenti volte a scongiurare nell'immediato ulteriori malfunzionamenti dell'impianto. Soluzioni che eliminino le cause dell'attivazione così frequente delle procedure di sicurezza che generano il fenomeno delle fiammate» — e continua la nota — «riprogettare complessivamente l'impianto, obiettivo l'autonomia energetica. Alcuni recenti malfunzionamenti del Cova sono stati causati proprio da banali blackout» –:
   quali siano le informazioni e l'orientamento del Governo sui fatti esposti in premessa;
   se le prescrizioni stabilite l'anno scorso dall'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse siano state rispettate;
   se ci siano state nuove verifiche degli organi competenti nel valutare la sicurezza dell'impianto e dei processi al fine di scongiurare effetti di più grave portata per gli abitanti del territorio e i lavoratori del Centro;
   quali iniziative si intendano porre in essere per limitare al massimo il perdurante stato di anomalia;
   quali iniziative di comunicazione si intendano attivare per rendere più efficaci e trasparenti gli accadimenti all'interno del Centro Olii;
   se l'ENI abbia in previsione un adeguamento tecnologico dell'impianto per minimizzare il più possibile l'impatto sull'ambiente circostante e sui rischi legati all'impianto. (4-11176)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che l'attuale riparto di funzioni tra Stato e regioni, nell'ambito della competenza concorrente in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma, come stabilito con l'accordo Stato-regioni del 24 aprile 2001, prevede che:
   il Ministero dello sviluppo economico, anche attraverso i suoi organi di vigilanza, eserciti la competenza amministrativa relativa al rilascio e alla gestione dei titoli minerari e dei relativi luoghi di lavoro, in relazione alla sicurezza dei lavoratori addetti alle attività estrattive;
   la regione eserciti le competenze in materia ambientale, in particolare in relazione alla salute della popolazione e al ciclo di gestione e trattamento dei rifiuti.

  Con specifico riferimento agli «episodi di visibilità della fiaccola» verificatisi nel Centro Olio Val d'Agri (C.O.V.A) di Viggiano (PZ), menzionati dagli interroganti, si specifica che le cosiddette) «fiammate» non sono altro che una corretta risposta dei sistemi automatici di sicurezza degli impianti che, attivandosi tempestivamente, comportano il blocco degli stessi e permettono di evitare conseguenze negative sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.
  Per quanto riguarda la risposta della società a tali eventi si evidenzia che Eni ha sempre puntualmente provveduto ad effettuare tutte le comunicazioni previste dalla normativa vigente agli enti deputati alla sicurezza ed, in particolare, all'Unmig, quale ufficio tecnico del Ministero dello sviluppo economico, competente in materia di sicurezza, che a sua volta ha impartito all'Eni le necessarie prescrizioni.
  Per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico, gli enti di controllo preposti alla sicurezza degli impianti e dei lavoratori ed alla salvaguardia ambientale si sono sempre prontamente attivati, ad ogni evento, per acquisire tutte le dovute informazioni, accertare le cause ed evitare il ripetersi del fenomeno.
  Per gli eventi di maggiore impatto e per il principio di incendio occorso il 4 dicembre 2015, la sezione Unmig ha compiutamente relazionato alla Prefettura di Potenza, al Ministero dello sviluppo economico, nonché, come richiesto dalla stessa prefettura, alla regione Basilicata.
  In data 12 Aprile 2016, il Ministero dello sviluppo economico, per quanto attiene la propria competenza amministrativa, ha invece disposto un sopralluogo congiunto con la sezione Unmig di Napoli per effettuare una valutazione sullo stato di sicurezza, degli operatori e dell'impianto stesso.
  In tale contesto, per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori, non sono emerse problematiche e non si sono riscontrate criticità nell'applicazione del piano emergenza impianto interno e/o di evacuazione. Sono state condotte interviste a due dei rappresentanti della sicurezza dei lavoratori nonché a rappresentanti sindacali unitari, i quali non hanno presentato rimostranze legate alla sicurezza dei lavoratori, né sull'addestramento e formazione svolti dalla Società. Peraltro, gli stessi rappresentanti hanno sottolineato l'importanza di tali aspetti, anche nell'ottica della riorganizzazione delle figure di responsabilità che il datore di lavoro sta predisponendo.
  Nel corso della visita, la sezione Unmig preposta ha visionato direttamente le modalità di applicazione del riassetto della sorveglianza del centro olio, esaminando i vari aspetti con i diretti interessati (sorveglianti). A tal riguardo, si rappresenta che la società titolare, al fine del costante miglioramento del livello di sicurezza dell'impianto, ha incrementato la sorveglianza ex articolo 24 decreto del Presidente della Repubblica n. 128 del 1959 e successive modificazioni, prevedendo l'impiego contemporaneo di 3 specifici sorveglianti dedicati a 3 distinte aree del centro olio.
  Gli «episodi di visibilità della fiaccola» verificatisi non hanno dunque comportato problematiche di sicurezza per i lavoratori, né danneggiamenti agli impianti. Ad ogni modo è opportuno sottolineare che la progettazione, la realizzazione e la conduzione degli impianti del Centro olio «Val d'Agri» sono stati autorizzati previo parere di tutti gli enti tecnici competenti, in particolare le amministrazioni locali, i vigili del fuoco, il comitato tecnico regionale, l'Unmig Ministero dello sviluppo economico eccetera.
  L'ultima «fiammata», che ha prodotto un aumento di visibilità della fiaccola e delle emissioni odorigene, è avvenuta il 24 ottobre 2016 ed è stata causata dal blocco del sistema di aspirazione associato all'unità di termo ossidazione. L'anomalia è tuttavia rapidamente rientrata.
  Si informano dunque gli interroganti che il Ministero dello sviluppo economico, nell'esercizio delle proprie competenze provvede costantemente a vigilare sulle operazioni attraverso verifiche ispettive sugli impianti, analisi tecnica della documentazione e attività di monitoraggio ambientale nonché ad adottare ogni eventuale misura necessaria a garantire che gli impianti e le operazioni siano condotte nella massima sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in via Asiago 8/D, a Monza, io una elegante palazzina di recente costruzione (2013) e composta da una quarantina di appartamenti, pare, secondo quanto riportato anche dai quotidiani locali, che siano ospitati attualmente 126 richiedenti asilo;
   nel medesimo complesso residenziale vivono 34 cittadini italiani, distribuiti in una dozzina di famiglie;
   il primo invio di richiedenti asilo nella palazzina è iniziato nel novembre 2015, con una trentina di richiedenti asilo di origine bengalese, e in breve tempo il numero degli immigrati è arrivato, già a fine 2015 agli attuali 126, distribuiti in 13 appartamenti, da circa 60 a 80 metri quadri ciascuno;
   la gestione dell'accoglienza dei richiedenti asilo nella palazzina di via Asiago risulta affidata alla società «Trattoria mercato srl», che ha partecipato e vinto il bando promosso dalla prefettura di Monza ed ha provveduto ad alloggiarli in alcuni appartamenti sfitti del medesimo complesso di cui sopra, messi a disposizione dal costruttore in cambio del pagamento di un canone di affitto;
   come riportato anche dalla stampa, la decisione di collocare 126 immigrati in una palazzina dove vivevano solo 34 cittadini italiani non porta logicamente a nessuna integrazione ma invece ha creato numerosi e gravi problemi nello stabile;
   le ragionevoli preoccupazioni e opportune segnalazioni alle forze dell'ordine e alla prefettura, a cui gli abitanti dello stabile si sono rivolti per avere aiuto, ad oggi non hanno avuto alcun fattivo riscontro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e se questi corrispondano al vero; in particolare: quale sia il numero effettivo e la nazionalità dei richiedenti asilo ospitati nella palazzina di via Asiago a Monza dal novembre 2015 ad oggi e in quanti appartamenti siano effettivamente collocati, con indicazione della relativa metratura; a quale punto della procedura sia l'esame delle domande, di protezione internazionale presentate e quali gli eventuali esiti; quale sia la motivazione per la quale si sia provveduto a collocare in un unico stabile un numero così elevato di immigrati rispetto ai residenti italiani; se tale numero sia destinato ad aumentare e se siano previsti nuovi arrivi nella medesima palazzina; se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative affinché sia trasferita quantomeno una parte di queste persone in altre strutture; quali controlli, sia preventivi che successivi, siano stati effettuati dalla prefettura competente e dalle forze dell'ordine, ognuno per quanto di competenza, con riguardo ai profili di sicurezza e igienico sanitario, anche a seguito delle segnalazioni dei residenti del complesso residenziale.
(4-13926)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel richiamare l'attenzione sulla situazione di un centinaio di richiedenti asilo ospitati in una palazzina di via Asiago a Monza, formula una serie articolata di quesiti sull'impatto che la loro presenza sta determinando sotto il profilo igienico-sanitario oltreché dell'ordine e della sicurezza pubblica. Chiede, altresì, di conoscere gli intendimenti del Ministero dell'interno circa il trasferimento dei migranti in una struttura idonea.
  A tale proposito, si informa che le strutture di accoglienza a cui si fa riferimento nell'interrogazione parlamentare sono gestite dalla società «Trattoria Mercato s.r.l.» che svolge, tra l'altro, attività alberghiere e di ristorazione e si avvale, per garantire i servizi di integrazione, orientamento e formazione degli ospiti accolti, della cooperativa sociale «Madre Santina onlus» con la quale risulta sottoscritta apposita convenzione.
  Il rapporto contrattuale tra la prefettura di Monza e della Brianza e la suddetta società si è instaurato a seguito della procedura di gara indetta nell'agosto 2015 e successivo provvedimento di aggiudicazione dell'ottobre 2015.
  Prima dell'aggiudicazione definitiva, la prefettura ha verificato la sussistenza sia dei requisiti soggettivi normativamente previsti – che non hanno evidenziato elementi ostativi – sia della capacità tecnica a fornire i servizi per l'integrazione richiesti dal bando in forza della convenzione sottoscritta con la Cooperativa sociale «Madre Santina onlus» che ha sede nel territorio del comune di Lecce ed opera da tempo in tutto il territorio nazionale, autonomamente e in convenzione con istituti religiosi ed altri enti ed associazioni, nel settore dell'assistenza sociale, dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ed anche per la realizzazione di progetti SPRAR.
  Si evidenzia che i posti messi a disposizione nell'ambito della suddetta procedura di gara, come pure per quella precedentemente indetta, erano risultati del tutto insufficienti a coprire il fabbisogno connesso alle sempre più pressanti esigenze di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in arrivo in ambito provinciale. Pertanto, con determina a contrarre del dicembre 2015 e successivo bando del gennaio 2016, è stata avviata una nuova procedura di gara per l'affidamento del predetto servizio per il periodo 1o maggio 31 dicembre 2016, procedura aggiudicata – limitatamente a 143 posti – proprio alla «Trattoria Mercato s.r.l.».
  In attesa dell'aggiudicazione definitiva di tale gara (intervenuta il 19 maggio 2016 con stipula del relativo accordo quadro il 1o giugno 2016), il predetto ente gestore ha stipulato con la prefettura anche una convenzione per 43 posti riferita al periodo 1o aprile – 31 maggio 2016, per far fronte alle urgenti esigenze di accoglienza.
  L'inserimento più cospicuo dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale nelle strutture di via Asiago si è verificato a decorrere proprio da quel periodo allorché, per assicurare l'accoglienza ai richiedenti protezione internazionale giunti in Brianza in numero e frequenza tali da portare a saturazione tutte le strutture già attive in quel territorio, non si è potuto operare scelte diverse da quella di occupare tutti i posti che, pur disponibili negli edifici di via Asiago, non erano stati, fino a quel momento, utilizzati.
  In precedenza, la sistemazione dei richiedenti protezione internazionale negli stabili attualmente occupati, iniziata a partire dal mese di novembre dello scorso anno, era stata graduale e, fino a quando era stato possibile, si era cercato di mantenere le presenze al di sotto della soglia delle 50 unità, secondo l'impostazione del sistema di accoglienza adottato in ambito provinciale, che punta ad un'ospitalità diffusa dei richiedenti protezione internazionale per evitare soluzioni di forte impatto sui territori e favorire l'integrazione dei cittadini stranieri ospitati.
  Attualmente, in via Asiago sono ospitati 116 richiedenti protezione internazionale, tra i quali 15 minori con i relativi nuclei familiari. Essi sono distribuiti in 16 alloggi di varia metratura (dagli 80 ai 120 metri quadri), inseriti in due distinti complessi condominiali che comprendono altri 80 appartamenti in buona parte abitati da residenti.
  Fin dal primo ingresso degli ospiti stranieri nelle predette strutture, la prefettura ha prestato notevole attenzione alla prevenzione di eventuali situazioni di tensione con i residenti, disponendo visite di controllo in loco da parte della commissione costituita nel 2014 per la verifica della qualità dei servizi erogati nelle strutture destinate all'accoglienza dei migranti.
  A seguito di tali visite, dalle quali non sono emerse criticità particolari, l'ente gestore è stato comunque sollecitato ad adottare idonee misure volte a tenere costantemente sotto controllo il comportamento degli ospiti e a far rispettare le regole condominiali, nonché a favorire l'impegno degli stessi in attività di volontariato ed, ovviamente, ad assicurare la frequenza di corsi di italiano, come previsto dal contratto.
  Secondo gli impegni contrattuali assunti, infatti, l'ente gestore, oltre ad assicurare ai migranti i servizi di accoglienza previsti dalle disposizioni ministeriali, è tenuto a garantire, tra le prestazioni volte a favorire l'integrazione degli ospiti, progetti/percorsi formativi di avvicinamento alla conoscenza della lingua italiana ed all'impiego costruttivo del tempo a disposizione, organizzando laboratori od iscrivendo gli interessati a corsi di informatica o di formazione professionale.
  È prevista anche la partecipazione degli ospiti a progetti finalizzati all'esecuzione di attività volontarie da rendere a favore della collettività, con copertura assicurativa a carico dell'ente gestore.
  Nel caso specifico, poi, la società incaricata dell'accoglienza, su richiesta della prefettura ha assicurato anche un presidio fisso presso la struttura con propri operatori ed ha spontaneamente attivato, pur non essendo emersi elementi che ne rendessero necessaria la predisposizione, un servizio di vigilanza notturna da parte di un apposito istituto, al fine di ridurre al minimo la percezione di insicurezza dei condomini del complesso di edifici presenti in quell'area ed impedire l'ingresso negli appartamenti di soggetti estranei.
  L'ente gestore si è, altresì, reso disponibile al pagamento delle spese condominiali, a carico della proprietà, per corrispondere alla richiesta formulata in tal senso dall'amministratrice del condominio, che ne aveva segnalato la pregressa inadempienza.
  Ripetuti sopralluoghi sono stati effettuati anche da personale della locale A.T.S. Brianza (ex A.S.L.) che ha evidenziato una buona situazione degli alloggi sotto il profilo igienico-sanitario e formulato prescrizioni, relative anche alla loro capienza massima, alle quali l'ente gestore ha ottemperato.
  In tal senso, fin dallo scorso mese di luglio si è proceduto alla graduale sostituzione degli ospiti sistemati in quel contesto con nuclei familiari. Attualmente le famiglie accolte, alcune delle quali monoparentali, sono sei e i minori presenti sono quindici, la maggior parte dei quali in tenera età.
  Presso la prefettura, si sono svolti vari incontri con i residenti, nel corso dei quali sono stati forniti puntuali chiarimenti sul sistema provinciale di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e sulle ragioni per le quali, allo stato attuale, non è possibile accogliere la richiesta di azzerare le presenze degli ospiti accolti. In tali occasioni, si è sottolineato, inoltre, con riferimento alla percezione di insicurezza manifestata, che il livello di attenzione sulla struttura di via Asiago è sempre stato elevato e continuerà ad esserlo, in virtù dell'assidua attività di vigilanza assicurata dalle Forze di polizia e dalla polizia locale del capoluogo brianzolo.
  Al riguardo, si rappresenta che nel corso dei mesi di permanenza dei migranti negli stabili in questione non si sono verificati episodi di rilievo sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica e le preoccupazioni manifestate dai condomini hanno riguardato, per lo più, il deprezzamento che potrebbero subire gli immobili per la presenza dei migranti e le condotte non sempre rispettose delle regole condominiali – dalla raccolta differenziata dei rifiuti allo smodato od improprio utilizzo dell'ascensore –, i cui costi di esercizio, peraltro, sono posti tutti a carico dell'ente gestore.
  Comunque, le richieste avanzate dai residenti durante i predetti incontri, dirette ad attenuare il disagio percepito, sono state recepite nei limiti del possibile, tant’è che sono stati effettuati, a cura e spese dell'ente gestore, alcuni lavori di manutenzione segnalati, come quelli di pulizia del porticato e di tinteggiatura delle scale.
  Agli incontri con i residenti svoltisi in prefettura hanno partecipato sia il sindaco che il vice sindaco del comune di Monza che hanno manifestato la disponibilità dell'amministrazione comunale a concorrere al reperimento di sistemazioni alloggiative alternative all'attuale, al di fuori di quelle offerte nell'ambito delle procedure di gara indette dalla prefettura che, come già evidenziato, non hanno consentito nemmeno di coprire il fabbisogno dei posti indicato nel bando.
  Sulla problematica si è focalizzata l'attenzione di varie forze politiche ed in particolare degli esponenti locali della Lega Nord e, più recentemente, del MoVimento 5 Stelle che hanno chiesto di essere ricevuti in prefettura per un approfondimento della questione.
  Nel corso degli incontri svoltisi rispettivamente l'8 settembre e il 7 ottobre 2016, è stato illustrato il sistema di accoglienza provinciale che, nei limiti consentiti dal numero degli arrivi e dalle caratteristiche del territorio così densamente abitato, è strutturato secondo criteri di ampia diffusione delle presenze degli immigrati. Infatti, le strutture di accoglienza sono, presenti nel territorio di ben 44 su 55 comuni e, per favorire l'integrazione dei cittadini stranieri ospitati, le amministrazioni locali interessate hanno sottoscritto con gli enti gestori un protocollo d'intesa, promosso dalla prefettura, per favorire l'inserimento dei migranti in attività di volontariato e/o di utilità sociale.
  In tali attività sono stati coinvolti, ovviamente su base volontaria, anche i richiedenti protezione internazionale accolti negli stabili di via Asiago che hanno aderito a vari progetti promossi dall'ente gestore, in collaborazione con il comune di Monza, e partecipato all'evento «pulizie di primavera». Alcuni di loro hanno fornito la propria collaborazione anche in lavori di imbiancatura o di pulizia di locali e strutture comunali.
  Con alcune associazioni di volontariato attive nel quartiere sono state organizzate attività laboratoriali e corsi di lingua, che si sono aggiunti a quelli frequentati presso il centro provinciale per l'istruzione degli adulti. Sono stati realizzati, inoltre, eventi sportivi o progetti di volontariato, come quello rivolto all'accoglienza dei bambini del Sahrawi.
  Relativamente all’iter procedurale avviato a seguito della richiesta di protezione internazionale da parte degli stranieri accolti in via Asiago, si fa presente che 38 di essi sono in attesa di formalizzare l'istanza di asilo, 7 sono in attesa di ricevere la notifica dell'esito dell'audizione già svolta presso la commissione territoriale competente, tutti gli altri sono in attesa di essere auditi dalla commissione medesima.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del XV Municipio (ex XX) del Comune di Roma già dagli anni 60, nell'area denominata «Valle Muricana», in via di Valle Muricana, è stato dato corso ad una intensa lottizzazione che ha portato alla nascita di un quartiere densamente abitato in relazione al quale è stato approvato un Piano particolareggiato per adeguarlo agli standard urbanistici;
   all'interno dell'area urbanizzata sono presenti ben sette elettrodotti, tra cui uno dei più imponenti è denominato «Santa Lucia 2» che passa per le vie dell'area abitata, proprio tra le case dei residenti e, trattandosi di una linea a 220 KV, è sorretto da numerosi enormi tralicci alti decine di metri che sorgono a poca distanza dalle abitazioni;
   per il rispetto dell'ambiente e della salute dei cittadini, i tralicci a quanto risulta all'interrogante si sarebbero dovuti rimuovere e tutta la linea dei cavi dell'alta tensione si sarebbe dovuta interrare;
   invece tale misura non è stata attuata e, molti residenti hanno contratto patologie tumorali;
   risulta inoltre che il 29 novembre del 2007, Terna S.p.A., Acea Distribuzione S.p.A. e il Comune di Roma hanno firmato un Protocollo d'intesa per il riassetto della rete elettrica di trasmissione nazionale e di distribuzione dell'alta tensione sul territorio comunale, poi aggiornato il 20 maggio del 2010, nel quale si prevedeva di spostare la linea a 220 KV Santa Lucia 2 e demolire il tratto di elettrodotto nel territorio comunale;
   con nota Prot. 24438, l'Assessorato ai lavori pubblici, infrastrutture, manutenzione urbana, protezione civile e progetti speciali di Roma Capitale rispondeva alla richiesta della consigliera della Regione Lazio, On.le Valentina Corrado del MoVimento 5 Stelle, in merito all'attuazione di tale operazione sostenendo che il progetto d'interramento dei cavi dell'alta tensione dell'elettrodotto Santa Lucia 2 – denominato riassetto della rete elettrica ed area metropolitana di Roma quadrante nord-ovest – sarebbe in attesa di essere approvato dalla commissione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente;
   dalla documentazione pubblicata sul sito ufficiale di codesto Ministero nella sezione «Valutazioni Ambientali: VAS — VIA», il procedimento sembra essere fermo al 16 giugno 2014 con il termine presentazione osservazioni del Pubblico sul progetto ripubblicato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se la commissione per la valutazione di impatto ambientale di cui in premessa sia nelle condizioni di esprimere il proprio parere in merito all'accordo tra il Comune di Roma e la società Terna S.p.A. sul riassetto della rete elettrica di trasmissione nazionale e di distribuzione dell'Alta Tensione (AT) sul territorio comunale.
(4-10263)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La procedura di valutazione di impatto ambientale per il progetto «Riassetto della rete elettrica A.T nell'area metropolitana di Roma – Quadrante Nord-Ovest» è stata avviata, su istanza della società Terna rete elettrica s.p.a. nel mese di maggio 2011.
  Ad oggi sono in corso le attività istruttorie della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS.
  Si rappresenta, infine, che tutta la documentazione progettuale ed ambientale presentata nel corso dell'istruttoria tecnica, insieme con le osservazioni del pubblico e i pareri delle amministrazioni sono pubblicate sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'indirizzo http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/415.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime è stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria nel 2008 (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva la preferenza accordata al concessionario uscente (articolo 37, comma 2, secondo periodo, del codice della navigazione di cui al regio decreto n. 327 del 1942, modificato dal decreto-legge n. 400 del 1993);
   la legislazione italiana è quindi intervenuta con l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 1994 (convertito dalla legge n. 25 del 2010), abrogando l'articolo 37 del codice della navigazione nella parte inerente il «diritto di insistenza», disponendo la proroga delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2015;
   in seguito, con l'articolo 105 del decreto legislativo n. 112 del 1998, lo Stato ha trasferito alle regioni le funzioni relative al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia;
   la Commissione europea, con la messa in mora complementare 2010/2734, ha evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana. In seguito ai suddetti ulteriori rilievi, con l'articolo 11 della legge n. 217 del 2011 (legge comunitaria 2010) è stato abrogato il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 400 del 1993 (convertito dalla legge n. 494 del 1993), il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata. L'articolo 11 della medesima legge ha inoltre delegato il Governo ad emanare, teoricamente entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime;
   a seguito di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012;
   successivamente, la legge n. 221 del 2012 ha prorogato la scadenza delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2020;
   in seguito, in base al comma 732 dell'articolo unico della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), il termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime è stato da ultimo prorogato al 15 ottobre 2014. Tale riordino non risulta peraltro al momento ancora attuato;
   il comma 9-septiesdecies dell'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2015 (convertito dalla legge n. 125 del 2015) demanda alle regioni una ricognizione delle rispettive fasce costiere, finalizzata anche alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori. La proposta deve essere poi inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Agenzia del demanio, che nei 120 giorni successivi al ricevimento della proposta, attivano, per gli aspetti di rispettiva competenza, i procedimenti previsti dagli articoli 32 (Delimitazione di zone del demanio marittimo) e 35 (Esclusione di zone dal demanio marittimo) del codice della navigazione, anche convocando apposite conferenze di servizi. Tale procedimento è propedeutico alta revisione della disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime, previsto dall'articolo 11 della legge n. 217 del 2011 (legge comunitaria 2010) il cui termine, come già detto, risulta scaduto il 15 ottobre 2014;
   la necessità di una nuova normativa, nasce dalla direttiva dell'Unione europea 2006/123/CE, conosciuta come «direttiva Bolkestein», che l'Italia ha recepito con il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010. La direttiva si concentra sui servizi del mercato unico europeo e prevede, per quanto riguarda in particolare le attività dei bagnanti, la possibilità a tutti gli operatori anche di altri Paesi dell'Unione europea di partecipare ai bandi pubblici per l'assegnazione delle concessioni demaniali;
   la «direttiva Bolkestein» è stata accusata di causare del dumping sociale fomentando una corsa al ribasso per quanto riguarda le tutele sociali, i diritti dei lavoratori e gli stipendi. La Commissione europea, al contrario, sostiene che l'apertura alla libera concorrenza permetta di garantire una migliore qualità dei servizi e prezzi più convenienti. In Italia, invece, gli oppositori della «Bolkestein» avvertono che la sua applicazione segnerebbe la fine del made in Italy perché le spiagge italiane finirebbero gestite da multinazionali straniere;
   a complicare ulteriormente la situazione, si attende anche il responso della Corte di giustizia europea che, interpellata dal Tar Sardegna e dal Tar Lombardia per verificare l'automatismo della proroga al 31 dicembre 2020 con la compatibilità con il diritto comunitario, in caso di bocciatura annullerà la scadenza del 31 dicembre 2020 delle concessioni, portandole a quella precedente del 31 dicembre 2015;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome, in data 25 marzo 2015, ha approvato un documento sulla revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime (12/22/CR09/C5). La posizione è stata consegnata al Governo nel corso della Conferenza Stato-regioni dello stesso giorno;
   il documento riconosce che la necessità di adeguare il quadro normativo italiano in materia di demanio marittimo ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi è un'esigenza indifferibile – anche in riferimento al vuoto normativo che una pronuncia negativa delle Corte di giustizia potrebbe comportare – e può costituire l'occasione per riformare ed aggiornare l'intera materia,  con ciò venendo anche incontro alle richieste delle varie categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
   il documento, inoltre contiene una serie di richieste, tra le quali:
    la convocazione urgente di un tavolo di confronto con il Governo e gli enti locali richiesto dalla Conferenza Stato-regioni del 22 gennaio 2015, per favorire per il futuro una migliore sinergia tra le diverse Istituzioni che hanno il compito di gestire questa materia così strategica per il Paese;
    chiarezza con la Commissione europea sulla possibilità di un regime transitorio delle attuali concessioni demaniali marittime, così come già accaduto in altri Paesi dell'Unione dove le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 o 30 anni, a seconda della tipologia (Spagna), oppure che sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente (Portogallo);
    che sia confermata la possibilità di attivare un «doppio binario» che distingua le concessioni attualmente in vigore da quelle nuove, con una proroga di lunga durata per le prime, anche attraverso investimenti e procedure di evidenza pubblica subito applicati per le seconde;
   con netto ritardo, il Governo sta predisponendo un disegno di legge quadro di riforma in materia di demanio marittimo che dovrebbe produrre un quadro normativo di chiarezza, basato su equità e sostenibilità per un settore strategico dell'economia e del presidio del territorio quale quello del turismo balneare. Tale legge dovrà rispondere alle esigenze di adeguamento ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi e, al contempo, consentire di aggiornare e superare il precario quadro esistente, raccogliendo le istanze degli enti territoriali e delle categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
   contestualmente, il Governo ha avviato un percorso di negoziazione con la Commissione europea per applicare al tema delle concessioni demaniali balneari il criterio del «doppio binario»: un congruo periodo di proroga rispetto alla scadenza del 2020 agli operatori già titolari di concessioni demaniali e l'avvio di bandi di gara per l'assegnazione degli spazi ancora concedibili. Stime preliminari sulle spiagge libere e occupabili (dati che escludono le aree naturalistiche protette, le basi militari e quanto non assegnabile in concessione) restituiscono una consistenza pari a circa il 30 per cento del demanio marittimo a disposizione di assegnazione attraverso bando di gara, una percentuale, secondo la Conferenza delle regioni e delle province autonome, non residuale e di conseguenza adeguata per assicurare l'applicabilità del criterio del «doppio binario»;
   di conseguenza, la strategia del «doppio binario» proposta dal Governo e sostenuta anche dal documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome consentirebbe di rispondere alle richieste della Commissione europea tutelando, al contempo, il modello dell'impresa balneare italiana e la capacità di investimenti, innovazione, tutela del territorio e controllo della cementificazione delle spiagge che è stato realizzato negli anni;
   ad avviso degli interroganti è indiscutibile che il provvedimento di riforma in materia di demanio marittimo dovrà contenere regole chiare rispetto al libero accesso alle spiagge, al controllo sul corretto smaltimento dei rifiuti e degli scarichi di reflui a mare, al rispetto delle delimitazioni concessorie, ai limiti sulla cementificazione delle spiagge, definendo precise sanzioni rispetto alle violazioni –:
   se il Governo non ritenga opportuno convocare in tempi brevi il tavolo di confronto con gli enti locali richiesto dalla Conferenza Stato-regioni il 22 gennaio 2015, al fine di varare le nuove norme di riordino del demanio marittimo;
   se intenda fornire elementi sugli sviluppi del percorso di negoziazione avviato con la Commissione europea volto a tutelare e valorizzare la filiera del turismo balneare italiano e, in caso di «bocciatura» della Corte di giustizia europea sulla data di proroga delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2020, come intenda agire affinché dalla Commissione europea sia concessa anche all'Italia la proroga richiesta, così come già accaduto per altri Paesi dell'Unione. (4-12839)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente il riordino delle concessioni demaniali marittime, sulla base degli elementi acquisiti dalla apposita direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  È d'obbligo, innanzitutto, evidenziare che la questione in argomento non rientra tra le materie di diretta competenza di questo Ministero. Tuttavia, con riferimento ad alcuni aspetti di carattere generale inerenti la disciplina del demanio marittimo, la direzione generale per la protezione della natura e del mare (PNM) del Ministero dell'ambiente ha visto un proprio coinvolgimento.
  In particolare, la suddetta direzione generale ha partecipato, limitatamente alle proprie competenze, alle attività inerenti l'applicazione del comma 9-septiesdecies dell'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015 (convertito con legge n. 125 del 6 agosto 2015), che demanda alle regioni la possibilità di una ricognizione delle fasce costiere finalizzata ad una proposta organica di revisione delle zone di demanio marittimo.
  In tale contesto, in data 13 aprile 2016, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è tenuta una riunione di coordinamento tra i rappresentanti del suddetto Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (direzione generale PNM), dell'agenzia del demanio direzione centrale e del comando generale delle capitanerie di porto.
  Nel corso di tale riunione si è stabilito di procedere ad una preliminare e congiunta disamina degli aspetti operativi tecnici e giuridici emersi dalla lettura condivisa della normativa sopra citata, ravvisando, nel contempo, la necessità di impartire indirizzi operativi alle amministrazioni coinvolte nei procedimenti di delimitazione e sdemanializzazione, previsti dagli articoli 32 e 35 cod. nav. nell'ambito delle proposte di revisione organica delle coste e del demanio.
  A fronte di ciò, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto, per gli aspetti di competenza, ad emanare due circolari esplicative a beneficio delle regioni costiere e delle direzioni marittime, con le quali sono state fornite delle linee di indirizzo operative ed interpretative della normativa summenzionata.
  La direzione generale per la protezione della natura e del mare del Ministero dell'ambiente, deputata alla tutela degli ambienti marini e costieri, nonché alla prevenzione di eventuali impatti di attività antropiche sugli ecosistemi presenti in tali ambienti, a sua volta, ha definito e trasmesso alle altre amministrazioni competenti specifici indirizzi operativi con particolare riferimento alle zone sottoposte a regime di protezione di rango nazionale, comunitario e internazionale ricadenti sul demanio marittimo, quali ad esempio Aree Marine protette, parchi nazionali, siti di interesse comunitario, zone di protezione speciale, zone speciali di conservazione e le aree Ramsar.
  Quanto sopra al fine di evitare che larghe porzioni di territorio marino costiero vengano estromesse da una disciplina di gestione del territorio più rigida in termini di tutela ambientale.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 disciplina la qualità dell'aria per un'aria più pulita in Europa;
   l'articolo 12 (prescrizioni per i casi in cui i livelli siano inferiori ai valori limite) della direttiva 2008/50/CE riporta: nelle zone e negli agglomerati nei quali i livelli di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5, piombo, benzene e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente sono inferiori ai rispettivi valori limite indicati negli allegati XI e XIV, gli Stati membri mantengono i livelli di tali inquinanti al di sotto dei valori limite e si adoperano per preservare la migliore qualità dell'aria ambiente che risulti compatibile con lo sviluppo sostenibile;
   l'articolo 13 (valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana) della direttiva 2008/50/CE riporta: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente non superino, nell'insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell'allegato XI. Per quanto riguarda il biossido di azoto e il benzene, i valori limite fissati nell'allegato XI non possono essere superati a decorrere dalle date indicate nel medesimo allegato. Il rispetto di tali requisiti è valutato a norma dell'allegato III. I margini di tolleranza fissati nell'allegato XI si applicano a norma dell'articolo 22, paragrafo 3 e dell'articolo 23, paragrafo 1. 2. Le soglie di allarme applicabili per le concentrazioni di biossido di zolfo e biossido di azoto nell'aria ambiente sono indicate nell'allegato XII, punto A»;
   l'allegato I lettera a) della direttiva 2008/50/CE rileva gli Obiettivi di qualità dei dati per la valutazione della qualità dell'aria ambiente;
   l'allegato II della direttiva 2008/50/CE rileva la determinazione dei requisiti per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente in una zona o in un agglomerato;
   l'allegato III della direttiva 2008/50/CE rileva la valutazione della qualità dell'aria ambiente e ubicazione dei punti di campionamento per la misurazione di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato IV della direttiva 2008/50/CE stabilisce i criteri per determinare il numero minimo di punti di campionamento per la misurazione in siti fissi delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato VI della direttiva 2008/50/CE determina i metodi di riferimento per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, e ozono;
   l'allegato XI della direttiva 2008/50/CE individua i valori limite per la protezione della salute umana;
   l'allegato XVI della direttiva 2008/50/CE disciplina le informazioni del pubblico; al comma 1 si prevede: «Gli Stati membri provvedono affinché siano messe sistematicamente a disposizione del pubblico informazioni aggiornate sulle concentrazioni nell'aria ambiente degli inquinanti disciplinati dalla presente direttiva. Al comma 2 si stabilisce che le concentrazioni nell'aria ambiente ottenute devono essere presentate come valori medi secondo i periodi di mediazione applicabili indicati nell'allegato VII e negli allegati da XI a XIV. Le informazioni devono indicare almeno i livelli superiori agli obiettivi di qualità dell'aria, in particolare i valori limite, i valori-obiettivo, le soglie di allarme, le soglie di informazione o gli obiettivi a lungo termine fissati per l'inquinante interessato. Deve inoltre essere presentata una breve valutazione riguardo agli obiettivi di qualità dell'aria e informazioni adeguate sugli effetti per la salute o, se del caso, per la vegetazione. Al comma 3 si prevede che le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, particolato (almeno PM10), ozono e monossido di carbonio devono essere aggiornate almeno ogni giorno e, se fattibile, anche su base oraria. Le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di piombo e benzene, presentate come valore medio degli ultimi 12 mesi, devono essere aggiornate almeno su base trimestrale e, se fattibile, su base mensile;
   la Commissione europea attraverso una lettera di messa in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, inviata all'Italia ha aperto la procedura di infrazione 2015-2043 per la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria in particolare per l'inottemperanza all'obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2);
   l'Italia è il Paese dell'Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l'inquinamento dell'aria. La stima arriva dal rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea): il Belpease nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491 mila a livello di Unione europea. Tre i «killer» sotto accusa per questo triste primato: le micro polveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e l'ozono, quello nei bassi strati dell'atmosfera (O3), a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti premature in Italia. Il bilancio più grave se lo aggiudicano le micropolveri sottili, che provocano 403 mila vittime nell'Unione europea a 28 e 432 mila nel complesso dei 40 Paesi europei considerati dallo studio. L'impatto stimato dell'esposizione al biossido di azoto e all'ozono invece è di circa 72 mila e 16 mila vittime precoci nei 28 Paesi dell'Unione europea e di 75 mila e 17 mila per 40 Paesi europei. L'area più colpita in Italia dal problema delle micro polveri si conferma quella della Pianura Padana, con Brescia, Monza, Milano, ma anche Torino, che oltrepassano il limite fissato a livello dell'Unione europea di una concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, sfiorata invece da Venezia. Considerando poi la soglia ben più bassa raccomandata dall'organizzazione mondiale della sanità di 10 microgrammi per metro cubo, il quadro italiano peggiora sensibilmente, a partire da altre grandi città come Roma, Firenze, Napoli, Bologna, arrivando fino a Cagliari –:
   quali siano le zone ovvero le regioni e gli enti locali interessati dalla procedura di infrazione 2015-2043;
   se ritenga utile – così com’è avvenuto per la questione delle acque reflue – predisporre una sezione del sito http://italiasicura.governo.it/site/home.html dedicata all'informazione dei cittadini relativamente alle zone ovvero alle regioni e agli enti locali interessati a procedura di infrazione concernenti la qualità dell'aria;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo affinché la procedura di infrazione 2015-2043 venga chiusa;
   se intenda fornire un elenco sullo stato dei piani regionali per la qualità dell'aria indicando quali aree rientrino nel monitoraggio;
   se i criteri di zonizzazione siano omogenei a livello nazionale. (4-11533)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione competente, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si segnala che le zone interessate dalla lettera di costituzione in mora, emessa dalla Commissione europea in data 28 maggio 2015 ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, appartengono alle regioni Lazio (agglomerato di Roma ITI 1215), Liguria (agglomerato Genova IT0711, IT0701 fino al 2013; Savonese – Bormida IT0712, IT0702 fino al 2013; Costa alta pressione antropica IT0714, IT0704 fino al 2013), Lombardia (Agglomerato di Milano IT0306; Agglomerato di Bergamo IT0307; Agglomerato di Brescia IT0308; Zona A– Pianura ad elevata urbanizzazione IT0309), Molise (Campobasso ITI401), Piemonte (agglomerato di Torino IT0118, IT0103 fino al 2012), Toscana (agglomerato Firenze IT0906; zona costiera IT0908; zona Valdarno Aretino e Valdichiana IT0910) e Sicilia (agglomerato di Catania IT1912; aree industriali IT1914).
  Con riferimento alla zonizzazione del territorio, si segnala che, a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 155 del 2010 di recepimento della direttiva 2008/50/CE, le regioni interessate dalla suddetta lettera di costituzione in mora hanno provveduto ad adeguare la zonizzazione del territorio regionale ai nuovi criteri definiti nella norma. Detti criteri, introdotti con la finalità di assicurare completezza, uniformità e qualità nella valutazione della qualità dell'aria su tutto il territorio nazionale, prevedono che la zonizzazione debba essere realizzata sulla base della conoscenza delle cause che generano l'inquinamento (quali, ad esempio, popolazione, densità abitativa, assetto urbanistico, carico emissivo, caratteristiche orografiche, meteo-climatiche e grado di urbanizzazione del territorio).
  Il processo di revisione della zonizzazione del territorio, sulla base dei predetti criteri, operato dalle regioni ha pertanto consentito di definire zone omogenee rispetto alle citate cause, portando, ad una suddivisione del territorio italiano, in zone e agglomerati, completa e uniforme su tutto il territorio nazionale.
  In merito ai piani regionali per la qualità dell'aria, si riporta di seguito lo stato della predisposizione da parte delle regioni interessate dalla procedura d'infrazione.
  La regione Lazio, con decreto del DCR n. 66 del 10 dicembre 2009 e DGR del 5 marzo 2010 n. 164, ha approvato il «Piano di Risanamento della Qualità dell'Aria». La regione Liguria, con DCR n. 4 del 21 febbraio 2006 ha approvato il «Piano regionale di risanamento e tutela della qualità dell'aria e per la riduzione dei gas serra». Nella regione Lombardia, con DGR n. 593 del 2013 è stato approvato il «Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell'aria (PRIA)». La regione Molise ha avviato il processo di definizione del «Piano Regionale Integrato per la qualità dell'Aria Molise (P.R.I.A.Mo.)». Inoltre, con Delibera di giunta regionale n. 829 del 24 dicembre 2015 per tale piano è stato formalmente avviato il procedimento per la valutazione ambientale strategica. Nella regione Piemonte, con legge regionale n. 43 del 7 aprile 2000 è stato approvato il «Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria». La «regione siciliana, con decreto assessoriale n. 176/GAB del 9 agosto 2007, ha approvato un piano di coordinamento «Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria». Nella regione Toscana, con (DCR) n. 44, del 25 giugno 2008, è stato approvato il «Piano di Risanamento e Mantenimento della Qualità dell'Aria (P.R.R.M.)».
  Relativamente all'informazione dei cittadini in merito alle zone oggetto di procedure di infrazione concernenti la qualità dell'aria, si fa presente che, ad oggi, non è stata ancora valutata l'opportunità di predisporre un sito internet specifico dedicato a tale argomento, in quanto le regioni, secondo le richiamate norme sulla qualità dell'aria, già garantiscono la diffusione al pubblico delle suddette informazioni tramite apposita pubblicazione sui propri siti web dei dati aggiornati circa la qualità dell'aria, le relazioni sui superamenti registrati, i piani e le misure adottate per contrastare l'inquinamento.
  Con riferimento alle iniziative nazionali, fermo restando che la vigente normativa attribuisce alle regioni la competenza primaria in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria (e quindi anche in materia di elaborazione di piani di risanamento ed adozione di misure di intervento per il miglioramento della qualità dell'aria) si segnala che da tempo il Ministero dell'ambiente ha avviato una strategia condivisa per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale.
  In tale contesto, il 18 dicembre 2013, è stato sottoscritto un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano), finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  In particolare, tale accordo ha previsto l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Al riguardo si segnala che tutti i gruppi di lavoro hanno completato l'attività richiesta dall'accordo ed in particolare, per quanto riguarda i gruppi istituiti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stati predisposti lo schema di decreto recante l'aggiornamento dei valori limite di emissione degli impianti di combustione alimentati a biomassa e lo schema di regolamento sulla certificazione ambientale dei generatori di calore alimentati con combustibili solidi, attualmente in fase di concertazione con i Ministeri dello sviluppo economico e della salute.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento. Tale protocollo prevede importanti misure di sostegno agli interventi regionali e locali di risanamento, come la destinazione di 12 milioni di euro al finanziamento di misure dirette ad incentivare il trasporto pubblico locale e la mobilità alternativa al trasporto privato. Nel protocollo si prevede inoltre un impegno a precisare le attività da finanziare con strumenti di incentivazione esistenti (fondo per la mobilità sostenibile, fondo per la realizzazione di reti di ricarica elettrica, fondo per la riqualificazione energetica delle scuole e degli edifici pubblici), per un importo totale di circa 350 milioni di euro.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dalle cronache, nell'anno 2013, l'assessore alla qualità dell'ambiente della regione Puglia ed il sindaco del comune di Cellamare, in rappresentanza dell'O.G.A. (organo di governo d'ambito) di Bari, avrebbero sottoscritto il disciplinare per l'assegnazione dei fondi per la realizzazione di un impianto di compostaggio nel comune di Bari e precisamente a Cellamare;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, sembrerebbe che il progetto dell'impianto preveda anche la produzione di energia dalla combustione di biogas;
   il costruendo impianto di compostaggio, destinato a raccogliere i rifiuti dei 21 comuni circostanti, sembrerebbe non avere il gradimento dei cittadini e dei comitati dei comuni di Cellamare, Noicattaro e Capurso che lamentano non solo i pericoli derivanti da probabili rischi di impatto ambientale ma anche i potenziali pericoli per la salute della popolazione che potrebbero essere causati dalla localizzazione dell'impianto;
   secondo quanto riferito dai quotidiani, inoltre, sembrerebbe che nella zona industriale di Bari, distante circa 20 chilometri in linea d'aria dalla presunta zona di costruzione dell'impianto di Cellamare, sarebbe in fase avanzata di realizzazione il progetto per la costruzione di un impianto di compostaggio per il recupero energetico dei rifiuti organici e la produzione di compost di qualità. Il progetto, presentato dall'AMIU, ha ottenuto il via libera del Ministero dello sviluppo economico che lo finanzierà con 11 milioni di euro, a fronte di un valore complessivo dell'opera stimata in 18 milioni di euro;
   in merito, la regione Puglia ha già espresso «giudizio favorevole di compatibilità ambientale per il progetto “Realizzazione di un impianto per il trattamento FORSU da RD per produzione di compost con recupero energetico da realizzarsi nell'area dell'AMIU Bari S.p.A.«» così come si evince da determinazione del dirigente del servizio ecologia del 24 ottobre 2014, n. 332;
   a giudizio degli interroganti la presenza del costruendo impianto AMIU dovrebbe rendere superflua la realizzazione di un nuovo impianto simile nella stessa zona di Bari;
   in data 30 marzo 2015, alcuni consiglieri di opposizione del comune di Cellamare hanno presentato una mozione con la quale si chiede al presidente del consiglio comunale di sottoporre all'approvazione del consiglio la revoca in autotutela della delibera di consiglio comunale n. 37 del 10 dicembre 2009 avente ad oggetto «Bacino Alto BA/5. Individuazione sito per impianto di compostaggio consortile e conseguente disponibilità immobile comunale ubicato alla contrada Fogliano in agro di Cellamare»;
   il territorio nel quale è destinato a sorgere l'impianto di compostaggio, attraversato dal torrente Chiancarello, è soggetto a vincolo ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con particolare riguardo alla presenza di gravine e lame che, con diverse dimensioni, partono dalle ultime propaggini collinari delle murge per arrivare al mare, rivestendo particolare interesse sotto il profilo paesistico e naturalistico –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per tutelare le aree di rilevante interesse paesaggistico in prossimità delle quali è prevista la realizzazione dell'impianto di compostaggio di Cellamare;
   se il Ministero dello sviluppo economico, che ha riconosciuto un consistente finanziamento per il progetto relativo alla costruzione di un impianto di compostaggio nella zona industriale di Bari, fosse a conoscenza del fatto che a distanza di pochi chilometri sarebbe stato realizzato un ulteriore impianto con caratteristiche analoghe. (4-08665)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione di un impianto di compostaggio nel comune di Cellamare (Bari), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si ritiene opportuno delineare il quadro della situazione attuale e le connesse criticità, partendo dalle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella regione Puglia.
  La produzione dei rifiuti in Puglia ammonta per il 2014 a 1.909.748 tonnellate, 466.9 chilogrammi/abitante per anno. La produzione dei rifiuti in Puglia è andata progressivamente diminuendo dal 2010 al 2014: l'andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, che è correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie. La raccolta differenziata nella regione Puglia nel 2014 ammonta a 493.741 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 25,9 per cento del totale dei rifiuti prodotti. L'obbligo di legge, come noto, è attualmente il 65 per cento. Di queste quantità raccolte in maniera differenziata la quota principale è rappresentata dall'organico (176.389 tonnellate), seguito dalla carta (145.744 tonnellate). L'analisi dei dati per provincia evidenzia il raggiungimento della percentuale di raccolta più elevata nella Provincia di Brindisi (47,7 per cento), mentre le percentuali più basse si registrano a Lecce (19,9 per cento), Taranto (18,8 per cento) e Foggia (18,2 per cento).
  Le informazioni pubblicate sul sito della regione Puglia, ancora in fase di validazione da parte della regione, evidenziano a luglio 2016 un livello della raccolta differenziata pari a 33,99 per cento in significativo aumento ma ancora insufficiente rispetto agli obiettivi di legge. Il livello della raccolta differenziata è ancora modesto. La valorizzazione energetica appare esigua, mentre il ricorso alla discarica risulta predominante.
  Dal 12 luglio 2016, per un periodo non superiore a 60 giorni, i rifiuti urbani indifferenziati provenienti dalla provincia di Brindisi, stimati complessivamente in circa 20.000 tonnellate, vengono conferiti agli impianti di recupero energetico (RI) di Ferrara e Granarolo (BO) gestiti da HERA Ambiente S.p.A., nella misura di 12.000 tonnellate per l'impianto di Ferrara e di 8.000 tonnellate per quello di Granarolo (BO), per un quantitativo massimo di circa 400 tonnellate al giorno. Tali conferimenti sono stati disposti con delibera di giunta regionale dell'Emilia-Romagna n. 1075 dell'11 luglio 2016.
  La regione Puglia presenta diversi impianti per la gestione dei rifiuti urbani.
  I dati ufficiali Ispra, riferiti all'anno 2014, evidenziano:
   n. 9 impianti di compostaggio (con un quantitativo autorizzato di 479.550 t/a ed uno trattato di 268.623 t/a);
   n. 1 impianto di digestione anaerobica (con un quantitativo autorizzato di 87.000 t/a ed uno trattato di 44.341 t/a);
   n. 13 impianti di trattamento meccanico biologico (con un quantitativo autorizzato di 1.613.064 t/a ed uno trattato di 1.409.020 t/a);
   n. 1 impianto di incenerimento (con un quantitativo autorizzato di 76.811 t/a ed uno trattato di 76.811 t/a);
   n. 14 discariche in esercizio (per un quantitativo di RU conferiti di 1.418.800).

  La regione Puglia, al fine di superare le criticità riscontrate nella organizzazione del sistema integrato di gestione dei rifiuti, ha modificato di recente, con la legge regionale n. 20 del 4 agosto 2016, la preesistente legge del 2012. In particolare, il nuovo assetto normativo regionale prevede:
   l'istituzione di un solo ambito territoriale ottimale (ATO), coincidente con l'intero territorio regionale, e l'individuazione di aree omogenee per l'erogazione dei servizi di spazzamento e raccolta;
   la perimetrazione delle aree omogenee nonché la definizione della forma associativa dei comuni appartenenti alla medesima area omogenea mediante una successiva delibera di giunta regionale (in sede di prima attuazione vige la perimetrazione già disposta con la delibera di giunta regionale n. 2147 del 2012 che prevedeva 38 ARO);
   l'istituzione di un'agenzia territoriale per il servizio di gestione dei rifiuti (agenzia) partecipata dalla regione, dai comuni pugliesi e dalla città metropolitana, che va a sostituire i preesistenti organi di governo d'ambito provinciali (l'agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia tecnica, giuridica, amministrativa e contabile e si finanzia con i contributi dei partecipanti; il contributo a carico di ciascun comune è determinato in rapporto alla popolazione residente);
   che all'agenzia spetti il compito di attuare il piano regionale dei rifiuti (l'agenzia, inoltre, determina le tariffe, i livelli generali del servizio e gli standard di qualità, predispone lo schema-tipo dei bandi di selezione pubblica e i contratti di servizio; disciplina i flussi di rifiuti indifferenziati da avviare a smaltimento e dei rifiuti da avviare a recupero, e predispone le linee guida della Carta dei servizi. Può espletare, su delega delle aree omogenee, le procedure di affidamento del servizio unitario di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti solidi urbani; può espletare attività di centralizzazione delle committenze; subentra nei contratti stipulati dal commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia, aventi a oggetto la realizzazione e la gestione degli impianti dei rifiuti urbani; nonché effettua la ricognizione della disponibilità impiantistica sul territorio);
   in capo ai comuni facenti parte dell'area omogenea, il compito di affidare in forma unitaria i servizi di spazzamento, raccolta e trasporto nel rispetto della normativa in materia di appalti pubblici. I comuni associati possono avvalersi dell'agenzia, in qualità di stazione unica appaltante per l'espletamento delle procedure di affidamento;
   che le procedure Via ed Aia relative agli impianti per i rifiuti urbani siano in capo alla regione, fatte salve quelle pendenti dinanzi alle province e alla città metropolitana;
   l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della regione mediante la nomina di un commissario ad acta (ai sensi dell'articolo 200, comma 4, del Codice dell'Ambiente).

  Alla luce delle modifiche apportate con la nuova legge regionale, si renderà necessario procedere ad un adeguamento del vigente piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 204 dell'8 ottobre 2013.
  Sull'argomento, si segnala altresì che il presidente della giunta regionale ha disposto il commissariamento dei sei organi di governo d'ambito per le funzioni previste dalla legge regionale n. 24 del 2012 e per le funzioni autorizzative connesse al ciclo dei rifiuti. Sono stati nominati i sei sub-immissari per la durata di sei mesi.
  Sulla organizzazione e sulle competenze della struttura commissariale, si fa presente che il decreto del presidente della giunta regionale n. 282 del 3 maggio 2016, riguardante «Organizzazione della struttura commissariale gestione ciclo dei rifiuti regione Puglia. Delega ai sub commissari», ha individuato le competenze territoriali di ciascun sub-commissario. Con determinazione dirigenziale n. 263 del 22 aprile 2016, la Sezione personale e organizzazione della Regione ha indetto l'avviso pubblico di selezione per il conferimento di 13 incarichi di prestazione professionale per l'organizzazione della struttura tecnica commissariale degli organi di governo d'ambito. Con successiva determinazione dirigenziale n. 4 del 9 maggio 2016 sono state meglio ridefinite le competenze dei sub-commissari. La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del giugno 2016, ha chiesto alla regione Puglia di essere costantemente informata circa l'evoluzione del processo di implementazione del ciclo della gestione integrata dei rifiuti e circa le iniziative intraprese e le azioni adottate dalla struttura commissariale.
  La gestione dei rifiuti nella regione Puglia si contraddistingue per il ricorso, da parte di regione e comuni, alle ordinanze contingibili e urgenti ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Sulla questione, visto anche l'approssimarsi della scadenza dell'ordinanza regionale n. 4 del 2016, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto alla regione Puglia di relazionare sulle iniziative intraprese per il superamento delle situazioni di eccezionalità e il ripristino della gestione ordinaria.
  La maggior parte dei comuni, invece, ha emesso le ordinanze ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per prorogare extra ordinem l'affidamento del servizio di raccolta e spazzamento dei rifiuti urbani.
  Sulla questione è intervenuto il Ministero che con propria circolare del 22 aprile 2016, recante chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina delle ordinanze contingibili e urgenti, ha ribadito il divieto di proroga degli affidamenti dei servizi mediante ordinanza.
  Da ultimo, si segnala che la regione Puglia risulta destinataria di n. 2 procedure di infrazione, quella relativa alle discariche abusive (Causa C196/13) e quella relativa a discariche preesistenti (PI 2011/2215).
  Nella prima procedura rientrano 8 discariche rispetto alle 10 iniziali, poiché per la discarica di Peschici il 31 maggio 2016 è stata inoltrata alla Commissione europea la certificazione di chiusura del procedimento ambientale e si è in attesa di determinazioni in merito; per la discarica di Scorrano, nel luglio del 2016, è pervenuta la certificazione di conclusione del procedimento ambientale che verrà trasmessa entro il 2 dicembre 2016.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nel dicembre 2015, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  Relativamente alla procedura «Discariche preesistenti» PI 2011/2215 le discariche coinvolte nella vicenda sono 5; di queste, 4 hanno già concluso i lavori di adeguamento e resta da acquisire la certificazione di chiusura e per una è pervenuto il cronoprogramma dei lavori di chiusura.
  Con specifico riferimento, infine, alla realizzazione di un impianto di compostaggio nel comune di Cellamare (Bari), si è in attesa di acquisire ulteriori elementi informativi da parte del Ministero dello sviluppo economico nonché dei competenti enti territoriali, pertanto, dovessero pervenire nuovi ed utili informazioni, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei competenti enti territoriali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Italia su 24 parchi nazionali, 3 sono commissariati, in 6 mancano i consigli direttivi, in 5 non c’è un direttore;
   per le principali Associazioni ambientaliste italiane (CAI, Italia Nostra, WWF, Legambiente, centro turistico studentesco, Federazione Nazionale Pro Natura, Lega Italiana Protezione Uccelli, Touring Club, Mountain Wilderness) la metà dei Parchi Nazionali è allo sbando e manifesta un grave deficit di governance –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per mettere i parchi nazionali italiani nelle condizioni operare a pieno campo con i propri organi istituzionali regolarmente nominati, secondo criteri di competenza, al fine di poter governare i processi di tutela, conservazione e valorizzazione dei propri territori in un rapporto proficuo con gli enti e le comunità locali. (4-10979)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, relativa alla governance degli enti parco nazionali, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Ad oggi, risulta commissariato un solo parco nazionale, ossia l'ente parco nazionale della Sila, per il quale si è in attesa di conseguire l'intesa con il presidente della regione Calabria sul nominativo del presidente.
  I presidenti dei Parchi Val Grande e Gran Sasso sono stati nominati rispettivamente con decreti n. 263 del 3 dicembre 2015 e n. 166 del 9 giugno 2016; per quanto riguarda il parco delle Dolomiti Bellunesi si è in attesa di pervenire all'intesa con la regione Veneto sull'individuazione di un nominativo.
  I consigli direttivi mancanti sono invece 4: si tratta dei consigli direttivi del parco del Cilento e Vallo di Diano, per il quale è stato richiesto il prescritto parere alla regione Campania, dei parchi del Gran Paradiso e del Vesuvio, per i quali si è in attesa di ricevere le designazioni da parte di tutti i soggetti competenti, e del parco della Sila di cui si è detto sopra, per il quale non è possibile costituire il nuovo consiglio direttivo sino alla nomina del Presidente, con conseguente cessazione dello stato di commissariamento.
  I consigli direttivi dei parchi del Pollino, dell'Alta Murgia e delle Cinque Terre sono stati ricostituiti rispettivamente con decreti n. 275 del 16 dicembre 2015, n. 283 del 21 dicembre 2015 e n. 46 del 1o marzo 2016.
  Per quanto concerne i direttori degli enti parco, questo Ministero ha sollecitato l'avvio delle procedure di selezione da parte dei parchi della Majella, dell'Alta Murgia, dell'Appennino Lucano/Val d'Agri e del Gargano. Il parco del Gargano e il parco del Pollino hanno pubblicato l'avviso di selezione per l'individuazione della terna di candidati da trasmettere a questo Ministero ed è in corso la relativa procedura, mentre il parco dei Monti Sibillini ha già trasmesso la terna di candidati per la nomina del prescelto, alla quale si provvederà a breve.
  Il direttore del parco del Circeo è stato nominato con decreto n. 232 del 30 ottobre 2015.
  Relativamente alla legge quadro sulle aree protette (394/91) si precisa che questo Ministero sta seguendo l’iter di modifica, il cui testo risulta attualmente all'esame della Commissione ambiente del Senato.
  Ad ogni modo, le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il diritto di asilo è riconosciuto dalla Carta Costituzionale al comma 3, dell'articolo 10, che recita: «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese di origine l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»;
   il nostro ordinamento prevede che la richiesta di diritto di asilo sia effettuata mediante richiesta alle commissioni territoriali. In caso di diniego, il cittadino straniero può rivolgere la domanda di asilo alla commissione nazionale;
   la grave crisi umanitaria, economica e politica che ha coinvolto molti Paesi africani ha comportato un esodo di migranti economici e di richiedenti asilo;
   l'Italia, infatti, sulla base del Trattato di Dublino che prevede che sia Io Stato di primo approdo del migrante a farsi carico della sua situazione, è coinvolta insieme alla Grecia, in una grande opera di accoglienza dei migranti sia per motivi economici che richiedenti asilo politico;
   il nostro Paese ha effettuato attraverso l'operazione « Mare nostrum» una grande opera di soccorso in mare dei migranti salvando moltissime vite umane. Tale opera di soccorso ha avuto il plauso da parte dell'Europa;
   la legislazione italiana, come detto, prevede tempi lunghi per il riconoscimento del diritto di asilo e molte volte a richiederlo sono anche cittadini stranieri che giungono in Italia per motivi economici;
   il cittadino straniero permane nei centri di accoglienza per tutta la durata della procedura per la richiesta del diritto di asilo. Ciò comporta che lo Stato italiano deve intervenire per assicurare vitto ed alloggio ai migranti con un aggravio di spese per il bilancio pubblico;
   il Ministro dell'interno è intervenuto aumentando il numero delle commissioni territoriali che devono giudicare sulla richiesta di asilo da parte dei migranti;
   è opportuno, inoltre, rivedere il Trattato di Dublino e garantire a livello europeo il funzionamento del sistema cosiddetto «delle quote» per cui i migranti sono assegnati, in base a certi criteri, a tutti gli Stati facenti parte dell'Unione europea. Il Ministro dell'interno si è adoperato per adottare questa soluzione più volte;
   la legislazione italiana, come detto, presenta delle problematiche concernenti i lunghi tempi delle decisioni da parte delle commissioni territoriali che dovrebbero essere ridotti per garantire tempi certi e meno costi per il nostro Paese;
   è, inoltre, importante verificare la situazione del migrante ovvero distinguere tra quelli economici e coloro che richiedono il diritto di asilo –:
   quali iniziative normative intenda assumere, oltre a quelle già adottate, per ridurre e semplificare le procedure per la concessione del diritto di asilo. (4-12542)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sull'esigenza di ridurre e semplificare le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo l'adozione di misure dirette ad accorciare i tempi delle decisioni delle commissioni territoriali.
  Si rappresenta che fin dal suo insediamento, questo Governo ha dedicato una particolare attenzione alle commissioni territoriali in questione, nella consapevolezza che la loro piena efficienza è una delle condizioni ineludibili per garantire la fluidità del sistema di nazionale di accoglienza.
  La loro attività, infatti, rappresenta il filtro indispensabile a separare gli aventi diritto alla protezione internazionale dai migranti economici, i quali, non avendo altro titolo, sono destinati a lasciare il nostro territorio.
  Già nel 2014, con il contributo determinante del Parlamento, sono state introdotte alcune importanti misure organizzative e procedurali nei sensi auspicati nell'interrogazione.
  In particolare, è stata più che raddoppiata la possibilità di istituire le commissioni territoriali e le relative sezioni, portandone il numero massimo teorico da 20 a 50.
  Attualmente, sono attive sul territorio nazionale 20 commissioni e 27 sezioni. Di recente è stato emanato il decreto ministeriale istitutivo della ventottesima sezione, con sede a Treviso, che tuttavia non è ancora operativa.
  Inoltre, sono stati introdotti i colloqui one to one in luogo dei colloqui collegiali, senza incidere sulla decisione finale che rimane assunta collegialmente dalla commissione.
  E ancora, sono state inserite norme che consentono di operare deroghe alla competenza territoriale delle commissioni, realizzando in tal modo una distribuzione più omogenea dei carichi di lavoro e conseguentemente un esame più spedito delle istanze.
  Tali misure, unitamente ad alcune altre introdotte con un provvedimento normativo del 2015 di recepimento di due direttive europee – il decreto legislativo n. 142 –, stanno producendo risultati apprezzabili.
  In particolare, l'aumento del numero delle commissioni e la loro distribuzione, pianificata in relazione alle presenze dei richiedenti asilo sul territorio nazionale, hanno consentito un progressivo incremento del numero delle decisioni con conseguente contrazione dei tempi di attesa, nonostante il contemporaneo incremento delle istanze.
  Si segnala, infatti, che nel 2015 l'incremento delle decisioni rispetto al 2014 è stato pari al 96 per cento ed ha consentito di eliminare quasi tutte le situazioni arretrate del 2014.
  Un significativo incremento delle decisioni si sta registrando anche nell'anno in corso. Infatti, alla data del 14 ottobre, rispetto allo stesso periodo del 2015, l'incremento delle decisioni è stato pari al 49,5 per cento.
  A conferma della efficacia delle misure adottate vi è il dato relativo ai tempi medi di trattazione, che nel 2015 si sono abbassati di circa il 25 per cento passando da una media di 262 giorni a 198 giorni. Nell'anno in corso, si registra un'ulteriore contrazione del tempo medio di trattazione, sceso a 106 giorni.
  Per completezza di informazione, si riferisce che, dall'inizio alla data del 14 ottobre scorso, le richieste di protezione internazionale sono state 90.938. Nello stesso periodo sono state esaminate 72.599 posizioni, con i seguenti esiti: concessione dello status di rifugiato (5 per cento), concessione dello status di protezione sussidiaria (14 per cento), trasmissione degli atti al gestore per il rilascio del permesso umanitario (19 per cento), diniego dell'istanza (58 per cento), irreperibili (4 per cento).
  Si conclude, assicurando che la rete delle commissioni territoriali continua ad essere tuttora un settore di prioritaria e assidua attenzione da parte del Ministero dell'interno, tant’è che sono allo studio ulteriori misure dirette a implementarne la funzionalità e a migliorare gli standard qualitativi e quantitativi dei servizi di competenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   OLIVERIO e VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di emergenza, passata ormai alla cronaca come fenomeno della cosiddetta «terra dei fuochi», interessa una vasta area tra le province di Napoli e Caserta con costanti episodi di sversamento illegale di rifiuti, anche tossici, nelle campagne o ai margini delle strade, con continui incendi, che si tramutano in roghi devastanti con gravi effetti inquinanti nei territori circostanti;
   il fenomeno dei roghi, perpetuato ai danni delle collettività e dei territori, presenta anche non trascurabili profili di potenziale danno al prestigio internazionale del Paese e all'economia nazionale, non solo sotto il profilo ambientale ma per l'intero comparto agricolo e agroalimentare e della zootecnia, mettendo a rischio tutte le produzioni e in particolare quelle a marchio dop e igp della Campania;
   la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nella relazione finale relativa alla Regione Campania, presentata il 5 febbraio 2013, ha evidenziato che «quello degli incendi dei rifiuti nella cosiddetta “terra dei fuochi” è un fenomeno molto diffuso e particolarmente grave, tenuto conto della tipologia dei rifiuti bruciati»;
   nell'intervento in Senato del 5 settembre 2013, il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda ha evidenziato tra le iniziative messe in campo dal Governo la nascita del «patto per la terra dei fuochi», accordo siglato l'il luglio 2013, attraverso il quale commissario all'emergenza roghi nella «Terra dei fuochi» in Campania, dottor Donato Cafagna, ha istituito una cabina di regia con gli enti locali interessati, le forze di polizia e l'Arpa per contrastare lo smaltimento illegale dei rifiuti;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Letta avviando il programma «Destinazione Italia» insieme al Sottosegretario Martina ha di recente sottolineato la necessità di promuovere all'interno del grande evento di EXPÒ 2015 l'intero comparto di produzione agroalimentare italiana, quale biglietto da visita del nostro Paese;
   la situazione inquietante in cui versa la Campania rappresenta perciò un grave danno di immagine ed economico per molte aziende agricole e zootecniche, che vedrebbero sfumare questa preziosa vetrina nella quale i prodotti dop, igp e di qualità della Campania potrebbero essere gravemente penalizzati –:
   se il Governo intenda costituire una task-force tra i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali, della salute e la regione Campania, per assicurare un efficace coordinamento per le misure da intraprendere e supportare il lavoro già intrapreso dagli enti locali;
   se il Governo non intenda promuovere tutte le necessarie iniziative, nelle relative sedi di competenza, al fine di dare seguito ai contenuti del «patto per la terra dei fuochi» per l'utilizzo dei terreni agricoli altamente inquinati e di lunga riconversione per produzioni agricole no-food, prevedendo nel contempo, indennizzi per gli agricoltori interessati al fenomeno;
   quali iniziative intenda promuovere il Governo per rassicurare i consumatori sull'alta qualità dei prodotti agricoli della Campania non compresi nelle zone interessate, a tutela dei marchi dop, igp presenti nella regione anche in vista di EXPÒ 2015. (4-02075)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dall'interrogante è necessario sottolineare come la Terra dei fuochi sia ormai da considerare un'emergenza nazionale perché i veleni sotterrati nella zone interessate al fenomeno non provengono solo dalla regione Campania. È per questo che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riserva uno spazio importante della sua attività a combattere i crimini ambientali che insistono nell'area di Napoli e Caserta.
  In particolare per quanto riguarda la questione degli incendi, il fenomeno è ormai costantemente monitorato dai comandi provinciali dei vigili del fuoco di Napoli e di Caserta, e infatti già a partire dal 2013, anno in cui sono state potenziate le attività di contrasto e prevenzione, gli interventi di spegnimento di incendi di rifiuti da parte dei vigili del fuoco evidenziavano un trend in netta diminuzione. I dati relativi al 2015 confermano ed ampliano la tendenza in calo con –63 per cento in provincia di Caserta (480 interventi nel 2015 contro 1296 nel 2012) e –42 per cento nell'area metropolitana di Napoli (1546 nel 2015 contro 2688 nel 2012).
  In linea generale, si evidenzia come gli incendi sono ascrivibili a condotte e cause disomogenee. Una parte è conseguenza di pratiche di smaltimento illegale degli scarti di lavorazione provenienti da attività economiche, completamente o parzialmente abusive e in regime di evasione fiscale (tessuti, pellame, plastica, inerti di edilizia). I roghi sono in questo caso preordinati allo smaltimento abusivo dei rifiuti speciali, ovvero appiccati da individui terzi, che, in assenza di una tempestiva attività di rimozione da parte dei Comuni, risolvono in questo modo il problema di liberare dai rifiuti uno spazio pubblico o privato.
  Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale, che investe molti e diversi livelli di competenza, richiede un lavoro di raccordo complesso, che coinvolge gli enti locali, le istituzioni territoriali, le forze dell'ordine, l'esercito, le associazioni ambientaliste e i comitati civici, nel quadro delle attività promosse nel «Patto per la Terra dei fuochi», stipulato con l'incaricato del Governo per il fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  In particolare per quel che concerne il comparto agricolo e agroalimentare profondamente danneggiato dai diffusi fenomeni che investono non solo il suolo e le acque ma anche le restanti matrici ambientali con evidenti ricadute negative per l'ecosistema e la salute umana, si deve aggiungere che l'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge n. 136 del 2013 con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della Regione Campania».
  Per arrivare a tempi più recenti, nell'ambito del citato Comitato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  7 dicembre 2015, n. 6 è stata istituita apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della c.d. Terra dei Fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvata dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del tempestivo esame da parte del Cipe.
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal citato decreto-legge n. 136 del 2013, il Ministero dell'ambiente ha già predisposto lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Tale schema è stato trasmesso dalla competente direzione generale del Ministero all'istituto superiore di sanità, all'Ispra ed al Centro ricerche agricoltura per il necessario confronto tecnico-scientifico con tali enti, funzionale all'ulteriore seguito dell’iter di approvazione del provvedimento. Al riguardo il Ministero è costantemente impegnato nell'attività di monitoraggio in ordine al predetto iter.
  Sotto lo specifico profilo della sicurezza, le misure indicate sono orientate a potenziare la capacità di contrasto dei fenomeni da parte delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco, dell'Esercito, delle polizie locali, dotandoli di strumenti tecnologici di supporto, quali i sistemi di video-sorveglianza, di tele-rilevamento, di geo-referenziazione per il pronto intervento, e mettendoli nelle condizioni di utilizzare a pieno e nella maniera più incisiva il nuovo codice penale dell'ambiente, attraverso un'attività formativa che coinvolge anche le procure.
  Al rafforzamento dell'azione di contrasto e repressione si affianca il potenziamento della cooperazione e della coesione istituzionale e sociale, a partire dal ruolo primario degli enti locali, ai quali è affidata la cura e il governo del territorio e la gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
  Anche di questo aspetto decisivo tiene conto il programma prevedendo che una delle più cospicue linee di finanziamento, sia destinata a supportare i comuni, in una prima fase di avvio di questa delicata e difficile gestione, nonché a favorire, ancor più il positivo coinvolgimento della cittadinanza attiva, che rappresenta una chiave per arrivare a quel cambiamento di stili di vita, di comportamenti, di modo di fare impresa, di amministrare, che è alla base di un risultato definitivo e duraturo contro questi fenomeni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi due mesi, alcuni territori della Calabria, sono stati interessati da eventi atmosferici di inconsueta gravità che si sono presentati sotto forma di persistenti e copiose piogge che hanno determinato gravi fenomeni franosi di portata tale da causare ingenti danni alla viabilità;
   in particolare nel comune di Belvedere Spinello, in provincia di Crotone, come risulta dal Quotidiano della Calabria del 14 aprile 2015, forti criticità, determinate da frane e smottamenti, hanno causato un quadro idrogeologico allarmante e inarrestabile che è stato immediatamente denunciato dal sindaco;
   a seguito dei citati smottamenti, la strada comunale di via Umbria, necessaria per raggiungere i quartieri periferici di Belvedere Spinello, risulta irrimediabilmente compromessa;
   le condizioni in cui attualmente versano i percorsi viari sono alquanto precari dal punto di vista della fruibilità e della sicurezza stradale e il danno, sempre da notizie stampa, si sta estendendo alle vicine abitazioni mettendo a rischio l'incolumità di alcuni cittadini che risiedono in prossimità dell'area interessata dalla frana;
   in passato questa stessa area era già stata colpita da fenomeni franosi e nonostante l'intervento della Protezione civile della regione Calabria il fenomeno si sta ripresentando;
   la strada interessata dalla frana, che risulta praticamente sprofondata creando una grande voragine, oltre ad essere di importanza per la viabilità con le zone periferiche presenta nel suo sottostante l'attraversamento della condotta idrica, della corrente elettrica e del metano;
   in questi giorni si è proceduto alla messa in sicurezza del sito, attraverso la chiusura della strada cercando di ripristinare la rete fognaria danneggiata dalla frana, ma nulla di più risulta essere stato svolto dagli enti preposti al contrasto dei rischi idrogeologici;
   lo sviluppo di un'area, come quella di Belvedere Spinello, non può che muoversi dentro una visione strategica del territorio e delle sue possibilità finanziarie e le infrastrutture rappresentano un importante patrimonio;
   il sindaco ha chiesto ripetutamente che vengano effettuati interventi urgenti affinché sia possibile evitare che il fenomeno franoso possa estendersi anche alle vicine abitazioni;
   richieste di urgente intervento sono state inoltrate a tutte le istituzioni locali sottolineando la necessità di promuovere e finanziare adeguati interventi per risolvere definitivamente le problematiche relative al dissesto;
   a tutt'oggi, purtroppo, non sono stati effettuati interventi per contrastare e prevenire ulteriori gravi eventi disastrosi –:
   se il Governo intenda promuovere un piano organico di prevenzione e messa in sicurezza dei territori colpiti dagli eccezionali eventi franosi che sostenga e favorisca gli enti locali, che sono privi di risorse e mezzi e non sono in grado di far fronte ai danni subiti;
   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di confronto che coinvolga il comune di Belvedere Spinello, la provincia di Crotone e la regione Calabria al fine di individuare un piano strategico di interventi. (4-08927)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Sulla base della documentazione agli atti del dipartimento della protezione civile, risulta che la Regione Calabria, relativamente ai fenomeni meteorologici verificatisi presumibilmente nei primi 15 giorni del mese di aprile 2015, non ha avanzato alcuna richiesta di delibera dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e successive modifiche ed integrazioni. Non risulta, altresì, alcuna segnalazione, da parte della regione Calabria o dell'amministrazione comunale, relativa ad una eventuale situazione di dissesto che possa interessare il territorio di Belvedere Spinello (KR).
  Per completezza di informazione, il dipartimento della protezione civile ha infine comunicato che i piani diretti a fronteggiare le emergenze idrogeologiche che hanno interessato negli ultimi anni il territorio provinciale di Crotone, disciplinati dalle ordinanze del Capo del dipartimento della protezione civile (o.c.d.p.c.) di seguito riportate, non prevedono alcun intervento nel comune di Belvedere Spinello (KR): o.c.d.p.c. 29 luglio 2014, n. 185 recante «Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei giorni 15 e 16 novembre, 18 e 19 novembre e 1o dicembre 2013 e dal 1o al 3 febbraio 2014 nel territorio della regione Calabria» e o.c.d.p.c. 29 settembre 2015, n. 289 recante «Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici che nei giorni dal 29 gennaio al 2 febbraio 2015 hanno colpito il territorio delle province di Cosenza, Catanzaro e Crotone e che nel periodo dal 22 febbraio al 26 marzo 2015 hanno colpito il territorio dei comuni di Petilia Policastro in provincia di Crotone, di Scala Coeli e Oriolo Calabro in provincia di Cosenza e di Canolo e Antonimina in provincia di Reggio Calabria».
  Per quanto di competenza, questo Ministero ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema
web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Tuttavia, nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del Piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire, ai sensi della legge 241 del 1990, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  La regione Calabria, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane citato, ha avanzato richiesta di finanziamento per sette interventi aventi progettazione definitiva, compresi nella sezione programmatica, per un importo complessivo di euro 9,8 milioni di risorse statali.
  In relazione al piano nazionale 2015-2020, di seguito si riportano per ciascuna provincia della Calabria le richieste di intervento avanzate e validate dalla Regione fino al 16 settembre 2016.

Provincia Somma imp. Tot. Somma imp. rich. Conteggio cod. istr.
Catanzaro euro 315.444.222,48 euro 232.949.722,48 186
Cosenza euro 953.490.720,94 euro 620.370.033,12 385
Crotone euro 130.159.454,75 euro 128.786.954,75 102
Reggio Calabria euro 415.840.112.19 euro 322.676.779.88 170
Vibo Valentia euro 221.098.897,30 euro 122.972.564.36 99
Totale euro 2.036.033.407,66 euro 1.427.756.054,59 942

  Tutte le richieste avanzate e validate saranno valutate secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, qualora si rendano disponibili le necessarie risorse finanziarie.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il polo petrolchimico siracusano sorge in un'area compresa nel territorio dei comuni di Melilli, Priolo Gargallo, Augusta e Siracusa, e riveste grande importanza economica per la provincia di Siracusa oltre che per l'economia siciliana;
   gli studi sulla mortalità dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) tra la popolazione residente nei comuni dell'area Augusta-Priolo, hanno riscontrato eccessi di mortalità tra gli uomini per cause tumorali pari al 10 per cento in più rispetto alla media regionale. Sempre l'OMS, in una recente relazione, indica che «Il petrolchimico di Priolo è stato un fallimento sia dal punto di vista occupazionale che per l'ambiente, il cui degrado ha portato ad avere sul territorio un numero di decessi per l'insieme di tutti i tumori che è significativamente superiore a quello atteso, in particolare fra gli uomini»;
   lo studio fa rilevare, inoltre, che la riqualificazione dovrebbe cominciare dalla riduzione della pressione ambientale. L'indagine dell'OMS ha riguardato anche le dinamiche socio-economico e demografiche, lo stato di vivibilità dei luoghi e la distribuzione delle patologie correlate all'esposizione occupazionale ed ha determinato che «Il modello di industrializzazione che ha interessato il territorio analizzato ha prodotto effetti contrastanti e non stabili o non sostenibili»;
   le prescrizioni imposte dall'accordo di programma siglato nel 2008 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Commissario delegato per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque della regione Siciliana, regione Siciliana, provincia di Siracusa, comune di Siracusa, comune di Priolo Gargallo, comune di Augusta, comune di Melilli, autorità portuale di Augusta e consorzio della provincia di Siracusa per la zona sud dell'area di sviluppo industriale della Sicilia Orientale, non sono state attuate e gli stessi accordi di programma firmati nel 2005 e 2009 restano solo sulla carta come anche gli stanziamenti;
   è un dato di fatto l'enorme disagio e il grave rischio procurato nel territorio dall'inquinamento dell'aria, delle falde acquifere e delle aree coltivabili nelle zone circostanti il polo petrolchimico di Priolo, più volte poste all'attenzione della procura competente;
   decine di migliaia di persone, che vivono nelle aree antistanti il polo petrolchimico siracusano, subiscono il disagio delle maleodoranti esalazioni provenienti dalla zona industriale, che hanno un impatto immediato nella sempre peggiore qualità della vita dei cittadini –:
   se non intendano adottare interventi immediati al fine di garantire la piena attuazione delle suddette prescrizioni per la riqualificazione del territorio;
   quali azioni si intendano avviare al fine di garantire l'ambiente e il diritto alla salute dei cittadini, anche attraverso idonee ed efficaci attività di monitoraggio sanitario e ambientale. (4-02564)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che nel periodo 2007-2009 nell'ambito di una convenzione tra Ministero dell'ambiente e Istituto superiore di sanità (Iss) per le attività di supporto in materia di danno sanitario e ambientale connesso ai Sin è stato deciso di effettuare uno studio per la valutazione di impatto su ambiente e salute e stima dei costi economici dell'inquinamento in siti di bonifica di interesse nazionale al fine di quantificare il danno sanitario per le popolazioni residenti nei Sin di Gela e Priolo.
  Il gruppo di lavoro, composto da esperti nel campo ambientale, chimico, biologico, epidemiologico, medico ed economico, ha valutato con i dati disponibili l'associazione tra l'inquinamento ambientale e lo stato di salute della popolazione.
  Lo studio ha evidenziato livelli importanti di contaminazione chimica delle matrici ambientali quali acqua di falda, suolo e sedimenti all'interno del Sin (alcuni risultati sono contenuti nel rapporto dell'Organizzazione Mondiale della sanità pubblicato nel 2014, «Human Health in Areas with Industrial Contamination»).
  Studi successivi hanno confermato la presenza di una contaminazione chimica delle matrici ambientali nell'ambito del Sin (in particolare, il tema dell'incidenza dei tumori nell'area di Priolo è stato oggetto di uno studio pubblicato nel 2016 nella rivista scientifica Geospatial Health, dal titolo «Cancer incidence in Priolo, Sicily: a spatial approach for estimation of industrial air pollution impact»).
  Sull'argomento si evidenzia altresì che il quadro sanitario della popolazione residente nel Sin di «Priolo» (costituito dai Comuni di Augusta, Melilli, Priolo Gargallo e Siracusa) è stato ampiamente studiato, in particolare, nell'ambito del Progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) del Ministero della salute, con la pubblicazione nel 2014 di un rapporto su «Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri» nella rivista scientifica Epidemiologia e prevenzione. Uno studio successivo, pubblicato nel 2016 nella medesima rivista Geospatial Health, ha indagato la distribuzione spaziale dei tumori all'interno del Sin (periodo 1999-2006), mediante l'applicazione di diversi metodi geografici per la valutazione dell'impatto degli inquinanti atmosferici emessi dagli impianti industriali.
  In questo quadro è stata rilevata la necessità di rafforzare le attività di bonifica.
  Al riguardo, si evidenzia che rispetto alla superficie totale delle aree a terra (pari a oltre 5.800 ettari), le attività di caratterizzazione delle matrici ambientali sono state completate per oltre il 47 per cento (2.760 ettari). Le conferenze di servizi tenutesi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno approvato progetti di bonifica per oltre il 13 per cento (733 ettari), ed è in corso l'istruttoria per un ulteriore 5 per cento (269 ettari) della superficie totale del Sin, mentre per l'8 per cento (460 ettari) il procedimento è stato ritenuto concluso.
  Si sottolinea inoltre che sono in stato avanzato di realizzazione i procedimenti di bonifica relativi alle aree dismesse destinate alla reindustrializzazione (215 ettari).
  Le aree a mare, in particolare i tratti tra la rada di Augusta e il porto di Siracusa e tra il porto grande e il porto piccolo di Siracusa, sono state caratterizzate. Per quanto riguarda la rada di Augusta – unica area con rilevanti criticità ambientali - la regione Siciliana ha in corso di stesura il progetto degli interventi sui sedimenti, secondo quanto previsto nel nuovo accordo di programma siglato in data 25 giugno 2015.
  L'area a mare prospiciente lo stabilimento
Ex-Eternit, nella quale fu riscontrato un esteso deposito di materiali contenenti amianto, è stata bonificata con l'utilizzo esclusivo di fondi pubblici per un importo di oltre 20 milioni di euro.
  Le matrici suolo, sottosuolo e acque di falda delle aree di pertinenza delle maggiori realtà industriali presenti all'interno del Sin (3 raffinerie, 2 impianti di chimica integrata, 3 centrali elettriche, 1 cementeria, 2 cave di estrazione materiali, 1 inceneritore ed 1 deposito di stoccaggio prodotti petroliferi) sono state caratterizzate e, ove siano risultate contaminate o potenzialmente tali, sono stati avviati interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica. In particolare i suoli e sottosuoli dell'area dell'inceneritore sono risultati conformi ai limiti di legge.
  Si fa presente altresì che, in relazione alle ceneri di pirite presenti nelle aree dei campi sportivi dei comuni di Priolo e di Augusta, il campo sportivo «San Foca» è stato bonificato, rinnovato e restituito al Comune di Priolo in data 10 settembre 2012.
  La regione Siciliana è stata sollecitata a concludere i lavori di bonifica del campo sportivo «Ex Feudo», già in avanzato stato di realizzazione.
  Circa la discarica sita nel comune di Augusta, località campo Sportivo «Fontana», la conferenza di servizi decisoria del 3 giugno 2014 ha deliberato che la realizzazione del
capping superficiale (conforme al decreto legislativo n. 36 del 2003) potesse essere avviata.
  L'Accordo di programma quadro del Sin di Priolo, sottoscritto in data 25 giugno 2015, ha finanziato interamente il suddetto intervento di
capping. In data 6 maggio 2015 la regione Siciliana – ufficio del genio civile di Siracusa – ha approvato in linea tecnica, il progetto delle opere di capping da porre a base di gara di appalto.
  In merito ai progetti eseguiti nel Sin di Priolo, si rileva, tra l'altro, che si sono conclusi i progetti di bonifica dell'area del nuovo impianto di trattamento delle acque di falda, inaugurato nel 2011, e della centrale termoelettrica di Augusta dell'Enel. Inoltre, la società Syndial sta completando il progetto di bonifica dei terreni a sud del Vallone della neve, per una superficie di circa 185 ettari, aree da destinarsi alla reindustrializzazione.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, il Ministero continuerà a tenersi informato, proseguirà la sua attività di monitoraggio e intervento, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulle questioni di propria competenza, favorendo la più ampia collaborazione tra le istituzioni e la società civile.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dai quotidiani locali, il personale del Corpo dei vigili del fuoco che presta servizio come volontariato nei comuni di Bondeno e di Copparo entrambi in provincia di Ferrara, rischia di essere pesantemente ridimensionato, a causa degli elevati costi delle visite mediche necessarie ad essi addebitati e stimati in circa 430 euro;
   i medesimi articoli di stampa evidenziano tra l'altro che, in assenza di un piano nazionale, scaduto lo scorso 31 dicembre, ogni distaccamento del suesposto Corpo di polizia regionale, attualmente non è in grado di definire la dotazione del numero esatto di volontari, che al momento risultano essere quindici in attesa a Bondeno e una decina a Copparo;
   l'interrogante evidenzia al riguardo, come il ruolo svolto dai volontari dei Vigili del fuoco nei suddetti comuni, sia strategico e di estrema importanza in considerazione del servizio da essi prestato in situazioni di estrema difficoltà, come ad esempio, in occasione del terremoto avvenuto nel recente passato, oltre che dell'attività svolta quotidianamente a tutela delle comunità locali emiliane;
   a giudizio dell'interrogante, ove fosse confermato quanto pubblicato dalle cronache di stampa locali, le conseguenze della riduzione del numero dei volontari dei vigili del fuoco di Bondeno e di Copparo, causata oltre che dall'esoso costo delle visite mediche, anche dall'impossibilità di svolgere addestramenti nelle sedi provinciali e, infine, dalla ventilata ipotesi di eliminazione del gettone di rimborso spese, rischiano di determinare gravi effetti penalizzanti in termini di sicurezza e salvaguardia delle cittadine in precedenza richiamate –:
   se il Ministro interrogato, intenda confermare gli orientamenti esposti in premessa, con riferimento al rischio di chiusura per molti dei distaccamenti di pompieri volontari, attivi sul territorio emiliano dove sono in servizio svariate decine di unità operative, ed in particolare nella provincia di Ferrara, presso i comuni di Bondeno (con i suoi oltre 300 interventi annui) e di Copparo;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere, al fine di tutelare l'attività dei volontari del Corpo dei vigili del fuoco, in precedenza richiamati, che come già riportato, risulta essenziale ed indispensabile per la sicurezza dei citati comuni. (4-10331)

  Risposta. — In merito alla paventata riduzione del numero di volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di Bondeno e di Copparo (Ferrara), si premette che il Ministero dell'interno pone da sempre particolare attenzione alla componente volontaria del Corpo nazionale che, in particolare nella realtà territoriale della regione Emilia Romagna, ha storicamente avuto grande rilevanza, sia come consistenza numerica che come qualità dell'apporto fornito in ogni occasione.
  Anche nel territorio provinciale di Ferrara, dove sono presenti quattro presidi permanenti (Cento, Codigoro, Portomaggiore, Comacchio), è stato importante, in molte circostanze, disporre
in loco di vigili del fuoco volontari, per affrontare al meglio la molteplicità dei teatri operativi che le esigenze del soccorso pubblico presentano quotidianamente.
  Le due sedi volontarie in forza al comando dei vigili del fuoco di Ferrara — Bondeno e Copparo, appunto – hanno effettuato mediamente negli ultimi cinque anni, rispettivamente, 250 e 200 interventi all'anno. In esse sono iscritti i vigili volontari che ne hanno fatto richiesta, domiciliati nel comune sede del distaccamento o nei comuni limitrofi.
  Per consentire l'ulteriore ingresso di personale volontario, da affiancare al personale permanente, è stato emanato il nuovo piano programmatico triennale che definisce i futuri reclutamenti a domanda del personale volontario del Corpo nazionale.
  Tale pianificazione ha tenuto conto, da un lato, della riduzione dei capitoli di spesa afferenti ai compensi dei personale volontario, a favore dell'incremento, per un ammontare complessivo di 2.430 unità, della dotazione organica del personale permanente dei vigili del fuoco (1.000 unità, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge n. 101 del 2013; 1.030 unità, ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 90 del 2014; 400 unità, ai sensi dell'articolo 6-
bis del decreto-legge n. 113 del 2016); dall'altro, delle previsioni dell'articolo 1, comma 122, della legge n. 208 del 2015 che, ripristinando la previgente normativa, ha posto a carico dell'Amministrazione dell'interno gli oneri relativi agli accertamenti clinici, strumentali e di laboratorio per il reclutamento del personale volontario del Corpo nazionale.
  Si soggiunge che questa Amministrazione ha avviato un percorso normativo teso ad introdurre una nuova disciplina organica per il personale volontario (analogamente a quanto previsto per il personale di ruolo), che terrà conto dell'importante funzione svolta da tale fondamentale componente del dispositivo di soccorso.
  In tal senso, è stato predisposto, con il coinvolgimento delle associazioni dei vigili del fuoco volontari, uno schema di decreto del Presidente della Repubblica attuativo del decreto legislativo n. 139 del 2006 e della legge n. 424 del 2015 (cosiddetta riforma Madia), che è attualmente all'esame del Ministero dell'economia e delle finanze e del dipartimento della funzione pubblica, per la successiva sottoposizione all'approvazione del Consiglio dei ministri.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PARENTELA, NESCI, DIENI, GALLINELLA, BUSTO, DAGA, GAGNARLI, L'ABBATE, SEGONI, MASSIMILIANO BERNINI, BARBANTI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998, considerata la situazione di assoluta gravità della depurazione delle acque reflue in Calabria, la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza anche nel settore delle acque reflue, dopo averlo già fatto per quello dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con ordinanza Presidenza del Consiglio dei ministri n. 2696 del 21 ottobre 1997;
   oggi, secondo il rapporto «Depurazione in Calabria: Tempo (quasi) scaduto» realizzato da Legambiente, Cittadinanzattiva e Unione nazionale dei consumatori rivela che in Calabria sono 18 gli agglomerati, che comprendono circa 90 comuni della regione, sotto procedura di infrazione dell'Unione europea perché non hanno adeguati sistemi fognari, non garantiscono un efficace sistema di depurazione o non tengono in considerazione il dimensionamento degli impianti e delle variazioni di carico legate ai flussi turistici, soprattutto nei mesi estivi;
   secondo l'ultimo censimento dell'Istat sullo stato del servizio a livello nazionale, in Calabria la provincia che ha la peggiore copertura dal servizio di depurazione è Vibo Valentia con solo il 40,9 per cento di abitanti serviti da un sistema di depurazione di tipo secondario o terziario; segue Cosenza con il 44,3 per cento e Reggio Calabria con il 48,2 per cento;
   nel 2012 l'Arpacal ha eseguito 316 controlli su 126 depuratori su un totale di oltre 700 impianti presenti in tutta la regione. In provincia di Reggio Calabria nel 2012 su 65 controlli eseguiti (31 depuratori di 25 comuni) solo il 28 per cento è risultato conforme;
   anche il quadro della depurazione calabrese che emerge dalla «Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Calabria» della Commissione parlamentare di inchiesta, approvata nel maggio 2011, è molto critico e denuncia la grave situazione in cui versano gli impianti, dai depuratori di Gioia Tauro, di Lamezia Terme e del crotonese, alle fiumare calabre in cui i NOE hanno riscontrato diversi scarichi abusivi e l'inquinamento del litorale tirrenico. Inoltre, nel vibonese è emerso il mancato allaccio ai depuratori. Tutto questo nonostante vi sia stato un commissariamento dal 1998 al 2008 per l'emergenza ambientale;
   al primo gennaio 2016 scatteranno le sanzioni che l'Unione europea ha comminato all'Italia, con sentenza definitiva, per non aver costruito sistemi di depurazione adeguati. I comuni calabresi coinvolti dalle sanzioni sarebbero 90. Le multe saranno salate, una quota una tantum da pagare immediatamente, calcolata sulla base del prodotto interno lordo nazionale e che potrebbe essere di quasi 10 milioni euro, e una ammenda giornaliera, calcolata sulla base della mora tra la data di messa in regola e la data di esecutività della sentenza, che potrebbe andare da 11 mila a 700 mila euro al giorno. Un salasso che sembra inevitabile, considerando che città ed aggregati urbani messi sotto accusa dall'Unione a causa del sistema fognario inadeguato sono oltre 800 in tutto il Paese. La situazione più critica è nel Mezzogiorno dove non sono in regola città come Agrigento, Avellino, Benevento, Campobasso, Crotone, Isernia, Napoli, Reggio Calabria e Salerno. Nel centro, tra le città sotto accusa ci sono Chieti e Piombino, mentre al Nord Ventimiglia, Sanremo e Genova coprono praticamente tutto l'arco del golfo. A Est, Vicenza e Monfalcone;
   a Roma, in data 9 luglio 2014, come riportato da fonti stampa, si è tenuta una riunione tecnica a palazzo Chigi presso la sede della struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
  Sempre secondo fonti stampa i lavori sono stati coordinati dal capo della struttura Erasmo D'Angelis e dal direttore Mauro Grassi a cui hanno partecipato anche la presidente facente funzioni della regione Calabria, Antonella Stasi, i rappresentati dei Ministeri, della protezione civile nazionale e delle diverse strutture anche locali competenti.
  Sul fronte della depurazione delle acque si sarebbero avviate le verifiche sulle difficoltà riscontrate nella realizzazione degli impianti che, solo una volta progettati e realizzati, consentirebbero all'Italia con diversi step, di ridurre le sanzioni attualmente previste dalla procedura d'infrazione che l'Unione europea ha aperto per il mancato rispetto della normativa sul trattamento delle acque;
   quanto disposto dall'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale afferma chiaramente che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito», appare grave a parere degli interroganti, che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati;
   numerose sono le segnalazioni in Calabria che ogni giorno arrivano da molti i bagnanti e turisti in questo periodo estivo i quali denunciano sia sul versante jonico che tirrenico la presenza di schiuma in mare, macchie nere galleggianti e liquami di ogni tipo. La Guardia costiera è impegnata in questi giorni a rispondere a centinaia di segnalazioni dei cittadini ed a prelevare campioni al fine di esaminarli;
   da notizie stampa, proprio in questi giorni è emerso che sei depuratori sono stati sequestrati dal personale della guardia costiera di Vibo Valentia nel corso di controlli compiuti in provincia di Catanzaro. Il sequestro è stato disposto dal sostituto procuratore di Lamezia Terme, Santo Melidona. I depuratori sequestrati sono quelli di Nocera Terinese, San Pietro a Maida ed i quattro impianti di Serrastretta. Nel corso dei controlli è emerso il malfunzionamento dei depuratori, con problemi relativi allo smaltimento dei fanghi;
   la procura di Castrovillari ha sottoposto a sequestro penale preventivo l'impianto di depurazione del comune di Mirto Crosia, sito in località Pantano Martucci in quanto è stato accertato il cattivo funzionamento del sistema di depurazione delle acque, anche a causa di problemi riscontrati alle vasche di sedimentazione e al sistema di clorazione, ovvero alla parte finale del ciclo depurativo;
   l'ultima inchiesta portata a termine dagli uomini del Corpo forestale dello Stato mette nuovamente in luce la cattiva gestione in otto comuni dello Jonio Cosentino (Corigliano, Bocchigliero, Caloveto, Rossano, Campana, Terravecchia, Longobucco e Paludi) sono infatti stati trovati depuratori mal funzionanti, il che ha portato all'emissione di 27 avvisi di garanzia. Quello che maggiormente stupisce, a parere degli interroganti, è che l'inchiesta segue quella dello scorso anno denominata «Calipso» e che questi nuovi avvisi di garanzia si aggiungono a quelli emanati in quell'occasione quando i militari diedero delle precise prescrizioni agli amministratori pubblici che puntualmente sono state disattese;
   le indagini della procura della Repubblica continuano anche per l'impianto di depurazione del Corace a Catanzaro, dove si effettuavano operazioni poco corrette con lo smaltimento abusivo di fanghi dalle vasche direttamente nel fiume Corace;
   tutto ciò a parere degli interroganti provoca un impatto sul territorio negativo in termini ambientali, salutari, turistici ed economici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per affrontare il grave problema per la salute e per l'ambiente messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane al fine di scongiurare l'avvio una nuova procedura d'infrazione, che potrebbe comportare per lo Stato italiano l'applicazione in caso di condanna di sanzioni pecuniarie;
   se intenda chiarire dettagliatamente quale piano programmatico si è delineato nell'ambito della riunione tecnica svolta a Palazzo Chigi insieme ai funzionari della regione Calabria;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, considerata la grave situazione in cui versano gli impianti di depurazione e i numerosi scarichi abusivi scoperti da privati cittadini e dal NOE in Calabria;
   se non ritenga opportuno promuovere diverse e precise ispezioni del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente per controllare la regolarità sullo smaltimento dei fanghi derivanti dai depuratori;
   se risulti agli atti quali provvedimenti adottò, allora, il commissario delegato e per quali motivi non siano emersi miglioramenti;
   se non ritenga urgente rafforzare le politiche ambientali per la tutela e la gestione sostenibile delle risorse idriche attraverso il monitoraggio, la valutazione dello stato, la definizione degli obiettivi e infine il programma di misure da attuare;
   se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per stabilire in sede europea che le spese per interventi di messa a norma degli impianti di depurazione non siano sottoposte alle norme relative al patto di stabilità. (4-05552)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che il consigliere di minoranza Giovanni Maiuolo, avrebbe richiesto al sindaco di Borgia (CZ), al responsabile finanziario dell'ente e al comandante della polizia municipale di sapere «in merito ai depuratori di località “Malaidi” e “Spilinga” se gli impianti dismessi da diversi anni, per come confermano gli uffici, vengano bypassati con sistema di auto spurgo o quali misure siano state prese per i fanghi». Maiuolo ha richiesto, inoltre, «la rendicontazione delle eventuali fatture degli interventi dell'auto spurgo e un accertamento dei luoghi in merito ad eventuali inquinamenti dei terreni e magari di qualche falda acquifera, qualora ve ne siano presenti nel sottosuolo»;
   la città di Borgia è sprovvista di impianti funzionanti in grado di garantire la corretta depurazione delle acque reflue di buona parte delle utenze cittadine che scaricano a cielo aperto. L'impianto situato sulla strada provinciale 172 non è in funzione da anni mentre quello che è stato costruito in località «Spilinga» risulta in disuso e privo di manutenzione;
   alla situazione emergenziale in cui versa la città di Borgia si sarebbe dovuto porre rimedio con la costruzione del nuovo depuratore in località «Malaidi», grazie ad un finanziamento regionale di 650 mila euro ottenuto nel 2009; tuttavia, i tempi di costruzione dell'impianto – al quale dovevano allacciarsi anche le utenze del vicino comune di San Floro – si sono rilevati, per tutta una serie di ritardi accumulati in corso d'opera, più lunghi del previsto;
   per anni gli utenti si sono visti addebitare in bolletta un servizio non erogato. Qualche mese fa il comune di Borgia – diffidato al rimborso delle quote non dovute dall'associazione «Borgia civiltà e progresso» – ha predisposto il modello per la restituzione della quota relativa alla depurazione indebitamente richiesta per gli anni 2009/2012;
   in data 16 luglio 2014 con atto di sindacato ispettivo n. 4-05552, ancora senza risposta, l'interrogante ha ricordato al Ministro interrogato che: «al primo gennaio 2016 scatteranno le sanzioni che l'Unione europea ha comminato all'Italia, con sentenza definitiva, per non aver costruito sistemi di depurazione adeguati. I comuni calabresi coinvolti dalle sanzioni sarebbero 90. Le multe saranno salate, una quota una tantum da pagare immediatamente, calcolata sulla base del prodotto interno lordo nazionale e che potrebbe essere di quasi 10 milioni di euro, e una ammenda giornaliera, calcolata sulla base della mora tra la data di messa in regola e la data di esecutività della sentenza, che potrebbe andare da 11 mila a 700 mila euro al giorno» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia posto in essere per affrontare il grave problema per la salute e per l'ambiente messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane;
   se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, diverse e precise ispezioni del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per controllare la regolarità sullo smaltimento dei fanghi derivanti dai depuratori nel comune di Borgia. (4-12441)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  I servizi di fognatura e depurazione, unitamente al servizio di acquedotto, costituiscono, nel loro complesso, il servizio idrico integrato (di seguito Sii) così come definito dal Codice dell'Ambiente, secondo il quale esso «è costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue».
  Al riguardo, si evidenzia come la piena realizzazione del sistema di governance del servizio idrico integrato e la realizzazione degli interventi sui sistemi fognari e depurativi, finalizzati (anche) al superamento del contenzioso comunitario, siano processi strettamente interconnessi tra loro.
  La mancata piena attuazione del Sii, in molte regioni interessate dal contenzioso europeo, tra cui la Calabria, ha messo in evidenza le difficoltà delle Amministrazioni locali nell'adeguare la dotazione infrastrutturale; in particolare si è manifestata l'incapacità progettuale, finanziaria e di spesa nella realizzazione degli interventi fognari e depurativi necessari all'adeguamento alla normativa europea di settore (direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane).
  In Calabria, tale mancata attuazione comporta l'esistenza di criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, con grave pregiudizio al territorio di riferimento e ai cittadini calabresi.
  Particolarmente grave appare la situazione in 13 dei 141 agglomerati interessati dal contenzioso comunitario per mancata conformità dei sistemi fognari e depurativi ai requisiti fissati dalla direttiva 91/271/CEE.
  Al momento, la regione Calabria è sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e dell'autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, in quanto diffidata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 poiché, alla data del 31 dicembre 2014, non aveva ancora provveduto ad individuare l'ente di Governo d'ambito. Pertanto, la regione sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla suddetta diffida: in particolare, con delibera del 12 giugno 2015, ha identificato l'autorità idrica della Calabria (Aic) e, contestualmente, proposto al consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «Istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato “Autorità idrica della Calabria”; con delibera del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'Ente d'ambito e con decreto dirigenziale del 14 ottobre 2015 sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del servizio idrico integrato.
  Per accelerare gli interventi di adeguamento degli agglomerati ai requisiti stabiliti dalla direttiva «Acque reflue urbane», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato una serie di iniziative, di carattere sia economico che legislativo, tra cui la delibera CIPE n. 60 del 30 aprile 2012 con la quale sono stati assegnati oltre un miliardo e 643 milioni di euro per finanziare 183 interventi nel settore idrico e volti a risolvere le situazioni di maggiore criticità nel Sud del Paese. Questi interventi hanno rilevanza strategica anche perché possono consentire all'Italia di uscire dalle procedure di infrazione in materia di trattamento delle acque reflue urbane.
  A tal fine, sono stati sottoscritti accordi di programma quadro rafforzati tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e le diverse regioni interessate, tra cui quello con la regione Calabria sottoscritto in data 5 marzo 2013.
  In particolare, per la regione Calabria sono stati assegnati circa 160 milioni di euro per 16 interventi finalizzati a risolvere le criticità in 15 agglomerati – 13 dei quali interessati dalla citata procedura d'infrazione – e nei comuni della fascia costiera vibonese. Sulla base di quanto recentemente comunicato dalla regione Calabria, i 13 agglomerati oggetto della procedura d'infrazione dovrebbero raggiungere la conformità ai requisiti della direttiva 91/271/CEE entro il 2018/2019.
  È opportuno, inoltre, evidenziare che, al fine di accelerare la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CE, la Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente, ha attivato, per la Regione Calabria, la procedura di commissariamento relativamente a 5 interventi a servizio di 11 agglomerati, per un importo pari a euro 27,3 milioni.
  Si segnala, altresì, che la nuova programmazione 2014-2020 dei Fondi sviluppo e coesione (Fsc) destinati all'ambiente, nella sezione programmatica «Risorse idriche e interventi di depurazione» prevede 606 milioni di euro, 434 dei quali al Mezzogiorno, necessari a risolvere il pesante contenzioso comunitario in materia di acque reflue e a colmare i ritardi nel campo della depurazione, partendo da quelle regioni del Centro-Sud dove non vi è ancora un servizio idrico a regime.
  L'attività svolta dal Governo e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per ridurre le infrazioni europee sta ottenendo risultati importanti. Ciò è stato possibile grazie ad un continuo concerto interministeriale, attraverso intensi contatti con i Servizi della Commissione europea e le amministrazioni nazionali, nonché attraverso l'azione di stimolo nei confronti delle amministrazioni locali.
  Sotto il profilo delle attività di prevenzione, si evidenzia che la legge del 22 maggio 2015, n. 68 recante «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», ha introdotto nel libro II del codice penale il Titolo VI-bis dedicato interamente ai delitti contro l'ambiente.
  Si segnala, altresì, la recente approvazione della legge 28 giugno 2016 n. 132 che istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.).
  Inoltre, l'ultima campagna estiva condotta dai carabinieri del comando per la tutela dell'ambiente, in coordinamento con il Ministero, ed incentrata sulla tutela delle acque, si è rivolta alla verifica del corretto funzionamento dei depuratori comunali e degli impianti di trattamento acque reflue industriali, degli stabilimenti balneari, dei villaggi turistici e dei cantieri navali. In questo caso, a fronte di 563 controlli, si sono verificati 105 casi di non conformità, con 188 persone segnalate in ambito penale con 77 sanzioni. Sono stati 26 i sequestri per oltre 26 milioni e 600 mila euro. Le 21 sanzioni amministrative elevate a 14 soggetti sono state invece di un valore complessivo di oltre 174 mila euro.
  Poiché della questione sono interessate anche altre amministrazioni, e si è in attesa di ricevere ulteriori elementi, questo Ministero continuerà a tenersi informato per quanto di competenza, anche al fine di valutare un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
  Da ultimo, nel ricordare l'impegno profuso dal Governo nella richiesta all'Europa di maggiore flessibilità, anche per investire nella prevenzione ambientale, si segnala che con l'articolo 1 comma 707 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) viene stabilito che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali, e viene imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza, pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali.
  Sulla base delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a conoscenza delle criticità segnalate, monitora costantemente e con la massima attenzione la situazione ed è impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche e a sollecitare le Regioni per far sì che le stesse pongano in essere tutto quanto necessario per il superamento delle criticità e per il raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il bosco di Condrò, meglio noto come Faggeta di Condrò benché nel complesso forestale non vi siano solo faggi – nel gruppo del Reventino-Mancuso, situato nella provincia di Catanzaro, corre un grave pericolo: due tecnici incaricati da uno dei comuni proprietari del bosco, Feroleto Antico – gli altri due comuni proprietari sono Platania e Serrastretta – hanno predisposto un «piano pluriennale di tagli» nelle proprietà comunali. Si tratta di terreni forestali che si estendono per ben 76 ettari;
   gran parte dell'area interessata al taglio ricade proprio nella Faggeta di Condrò, bosco noto per essere una delle più belle faggete italiane, con alberi di considerevole età e di grandi proporzioni, i cui tronchi argentei svettano alti e slanciati. Botanici e zoologi hanno ripetutamente segnalato la Faggeta di Condrò come bosco di alto valore ecologico tant’è che in essa è stato individuato un rito di interesse comunitario (SIC), il n. IT9330124 dell'elenco;
   l'area interessata al progetto di taglio viene indicata dai tecnici come bosco ceduo, ossia bosco formato da ceppaie dalle quali spunta una corona di alberelli e che, per essere così divenuto a seguito del taglio degli alberi d'alto fusto, può essere assoggettato a tagli periodici con rilascio di singole matricine (esili polloni che spuntano dalle ceppaie) distanziate fra loro di alcuni metri. I boschi cedui così ridotti vengono definiti dai botanici e dai forestali più avveduti, fra cui il professor Franco Tassi, «boschi stecchino», per il loro aspetto desolato ed esiguo. Si vorrebbe far credere, così, che non sarebbe di fronte ad un bosco d'alto fusto come nella parte alta della faggeta (vedasi foto grande) e quindi di non particolare importanza. Viceversa, il vecchio bosco ceduo, proprio perché non tagliato da diversi decenni si sta spontaneamente riconvertendo in alto fusto, somigliando in tutto e per tutto alla parte più antica e matura della faggeta;
   dalla relazione redatta dai tecnici e dai segni lasciati sugli alberi, si intuisce perfettamente che l'intenzione è proprio quella di tagliare gli alberi più grandi e più sani. Il bosco si depaupererebbe, così, assai gravemente;
   l'effettuazione dei tagli per favorire la rinnovazione del faggio richiede particolare cautela e presuppone conoscenze bioecologiche della specie e della comunità –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per la conservazione e la tutela integrale di questo particolare ecosistema così unico, delicato e insostituibile;
   se il Governo non intenda promuovere le iniziative utili per favorire l'inserimento di questa particolare riserva naturale fra i siti del patrimonio mondiale dell'UNESCO e/o nell'elenco delle faggete vetuste d'Europa per le sue uniche caratteristiche biologiche e strutturali già riconosciute alle faggete vetuste ucraine, slovacche e tedesche, con l'impegno affidato dall'UNESCO a Germania, Ucraina e Slovacchia di estendere il nucleo originario in modo da creare una rete di faggete a livello europeo entro il 2015/16. (4-12867)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a presunti interventi forestali all'interno del bosco di Condrò, solo in minima parte inserito nel sito Natura 2000 SIC IT9330124 «Monte Contro», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  A seguito della richiesta di informazione predisposta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è pervenuto il riscontro del Comando provinciale di Catanzaro del Corpo forestale dello Stato (CFS), mentre si resta in attesa delle risposte da parte della regione e del comune.
  Il Corpo forestale delle Stato ha precisato che il piano forestale oggetto di denuncia «rientra nel piano di gestione dei boschi del Comune di Feroleto Antico, in corso di istruttoria da parte della Regione Calabria in attuazione della legge n. 45 del 2012 e che non riguarda il SIC citato nell'atto di sindacato ispettivo».
  Sulla base di quanto comunicato, risulta che la regione Calabria, con propria nota del 16 aprile 2016, abbia segnalato al comune di Feroleto Antico, proponente del piano, la sussistenza di condizioni di inammissibilità e di assenza dei presupposti necessari per l'adozione della proposta di piano pluriennale di taglio (PPT), tra i quali quelli relativi al rispetto della direttiva 92/43/CEE «Habitat» ed
ex 79/409/CEE «Uccelli».
  Dalle informazioni assunte dai comandi stazione del Corpo forestale dello Stato di Serrastretta e Lamezia Terme risulta che le «previsioni del piano di gestione non ricalcano il reale stato di fatto e in tal senso, i competenti uffici amministrativi, stanno procedendo nella relativa istruttoria».
  Più precisamente, nel verbale di sopralluogo condotto dal Corpo forestale dello Stato in data 7 settembre 2016, è stato evidenziato che le caratteristiche degli ambienti forestali descritti ed individuati all'interno del piano pluriennale di taglio predisposto dal Comune di Feroleto Antico sono differenti da quelli effettivamente osservati nelle aree di intervento.
  Nella relazione il Corpo forestale dello Stato ha specificato, inoltre, che nessuno dei comuni presenti nell'area ha effettuato tagli forestali o previsto piani pluriennali di taglio (PPT) che interessano direttamente la faggeta di Condrò.
  Sulla base di quanto relazionato emerge che i piani dei tagli in oggetto non interessano né il SIC IT9330124 «Monte Contro» né gli
habitat di interesse comunitario, cod. 9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex e cod. 9260 Boschi di Castanea sativa.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta la cronaca riporta notizie di gravi episodi di inquinamento presso il polo industriale di Siracusa;
   il sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo, istituito a con la legge n. 426 del 1998, si estende lungo la costa sud orientale della Sicilia, affacciandosi al mare per circa 30 chilometri, e comprende i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa;
   nei giorni scorsi gli impianti della raffineria «Esso» di contrada Marcellino si sono fermati improvvisamente causando un fuori-servizio con sfiaccolamento in torcia visibile per molte ore;
   a causare il blocco, quasi totale dello stabilimento, come riportano diverse fonti giornalistiche, è stato un improvviso disservizio elettrico, che, come ha fatto sapere la stessa azienda, si è verificato intono alle 19 ad una cabina elettrica dell'impianto di cogenerazione, la centrale che da un paio di anni a questa parte fornisce tutta l'energia elettrica necessaria all'attività della raffineria;
   il guasto ha improvvisamente causato un black-out pressoché totale – a parte gli impianti di emergenza che hanno regolarmente funzionato – mandando in blocco gli impianti e determinando il fuori servizio, ben visibile da più punti della città e dalla zona industriale per la presenza della fiaccola esterna che ha bruciato in atmosfera per diverse ore, creando anche una certa apprensione e preoccupazione tra la popolazione, non solo di Augusta ma anche dei comuni vicini, a causa anche del denso fumo nero che si è immediatamente propagato;
   «come previsto in situazioni di questo tipo – fa sapere Esso con una nota ufficiale – per garantire la piena sicurezza della raffineria, nel corso della fermata è stato necessario convogliare in torcia le quantità di gas in eccesso con conseguente effetto visivo di fiamma e di fumosità. L'evento è stato immediatamente notificato a tutte le autorità competenti, secondo quanto previsto dalle procedure in vigore e dal piano di emergenza interno». «La nostra priorità è sempre la sicurezza delle persone – conclude nella nota Esso – degli impianti e la protezione dell'ambiente a cui viene rivolta la massima attenzione. L'evento è sotto controllo e il personale della Raffineria sta lavorando per riportare la situazione alla normalità nel più breve tempo possibile»;
   nonostante le rassicurazioni dell'azienda, la popolazione e le associazioni ambientalistiche sono fortemente preoccupate per le deficienze strutturali ed organizzative che provocano ricorrenti blackout, i conseguenti blocchi dell'impianto, l'uso improprio delle torce come rimedio per fronteggiare e smaltire gli off-gas e il continuo diffondersi di miasmi che rendono l'aria insopportabile da respirare causando anche diffusi malori –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo per tutelare la salute dei cittadini e fronteggiare la gravissima criticità sanitaria e ambientale delle aree del sito di Priolo. (4-12189)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che nel periodo 2007-2009 nell'ambito di una convenzione tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Istituto superiore di sanità (Iss) per le attività di supporto in materia di danno sanitario e ambientale connesso ai Sin è stato deciso di effettuare uno studio per la valutazione di impatto su ambiente e salute e stima dei costi economici dell'inquinamento in siti di bonifica di interesse nazionale al fine di quantificare il danno sanitario per le popolazioni residenti nei Sin di Gela e Priolo.
  Il gruppo di lavoro, composto da esperti nel campo ambientale, chimico, biologico, epidemiologico, medico ed economico, ha valutato con i dati disponibili l'associazione tra l'inquinamento ambientale e lo stato di salute della popolazione.
  Lo studio ha evidenziato livelli importanti di contaminazione chimica delle matrici ambientali quali acqua di falda, suolo e sedimenti all'interno del Sin (alcuni risultati sono contenuti nel rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità pubblicato nel 2014, («
Human Health in Areas with Industrial Contamination»).
  Studi successivi hanno confermato la presenza di una contaminazione chimica delle matrici ambientali nell'ambito del Sin (in particolare, il tema dell'incidenza dei tumori nell'area di Priolo è stato oggetto di uno studio pubblicato nel 2016 nella rivista scientifica
Geospatial Health, dal titolo «Cancer incidence in Priolo, Sicily: a spatial approach for estimation of industrial airpollution impact»).
  Sull'argomento si evidenzia altresì che il quadro sanitario della popolazione residente nel Sin «Priolo» (costituito dai comuni di Augusta, Melilli, Priolo Gargallo e Siracusa) è stato ampiamente studiato, in particolare, nell'ambito del progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) del Ministero della salute, con la pubblicazione nel 2014 di un rapporto su «Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri» nella rivista scientifica
Epidemiologia e prevenzione. Uno studio successivo, pubblicato nel 2016 nella medesima rivista Geospatial Health, ha indagato la distribuzione spaziale dei tumori all'interno del Sin (periodo 1999-2006), mediante l'applicazione di diversi metodi geografici per la valutazione dell'impatto degli inquinanti atmosferici emessi dagli impianti industriali.
  In questo quadro è stata rilevata la necessità di rafforzare le attività di bonifica.
  Al riguardo, si evidenzia che rispetto alla superficie totale delle aree a terra (pari a oltre 5.800 ettari), le attività di caratterizzazione delle matrici ambientali sono state completate per oltre il 47 per cento (2.760 ettari). Le conferenze di servizi tenutesi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno approvato progetti di bonifica per oltre il 13 per cento (733 ettari), ed è in corso l'istruttoria per un ulteriore 5 per cento (269 ettari) della superficie totale del Sin, mentre per l'8 per cento (460 ettari) il procedimento è stato ritenuto concluso.
  Si sottolinea inoltre che sono in stato avanzato di realizzazione i procedimenti di bonifica relativi alle aree dismesse destinate alla reindustrializzazione (215 ettari).
  Le aree a mare, in particolare i tratti tra la rada di Augusta e il porto di Siracusa e tra il porto grande e il porto piccolo di Siracusa, sono state caratterizzate. Per quanto riguarda la rada di Augusta – unica area con rilevanti criticità ambientali – la regione siciliana ha in corso di stesura il progetto degli interventi sui sedimenti, secondo quanto previsto nel nuovo accordo di programma siglato in data 25 giugno 2015.
  L'area a mare prospiciente lo stabilimento ex-Eternit, nella quale fu riscontrato un esteso deposito di materiali contenenti amianto, è stata bonificata con l'utilizzo esclusivo di fondi pubblici per un importo di oltre 20 milioni di euro.
  Le matrici suolo, sottosuolo e acque di falda delle aree di pertinenza delle maggiori realtà industriali presenti all'interno del Sin (3 raffinerie, 2 impianti di chimica integrata, 3 centrali elettriche, 1 cementeria, 2 cave di estrazione materiali, 1 inceneritore ed 1 deposito di stoccaggio prodotti petroliferi) sono state caratterizzate e, ove siano risultate contaminate o potenzialmente tali, sono stati avviati interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o bonifica. In particolare i suoli e sottosuoli dell'area dell'inceneritore sono risultati conformi ai limiti di legge.
  Si fa presente altresì che, in relazione alle ceneri di pirite presenti nelle aree dei campi sportivi dei comuni di Priolo e di Augusta, che il Campo sportivo «San Focà» è stato bonificato, rinnovato e restituito al comune di Priolo in data 10 settembre 2012.
  La regione siciliana è stata sollecitata a concludere i lavori di bonifica del campo sportivo «Ex
Feudo», già in avanzato stato di realizzazione.
  Circa la discarica sita nel comune di Augusta, località campo Sportivo «Fontana», la conferenza di servizi decisoria del 3 giugno 2014 ha deliberato che la realizzazione del capping superficiale (conforme al decreto legislativo n. 36 del 2003) potesse essere avviata.
  L'accordo di programma quadro del Sin di Priolo, sottoscritto in data 25 giugno 2015, ha finanziato interamente il suddetto intervento di
capping. In data 6 maggio 2015 la regione siciliana – ufficio del genio civile di Siracusa – ha approvato in linea tecnica, il progetto delle opere di capping da porre a base di gara di appalto.
  In merito ai progetti eseguiti nel Sin di Priolo, si rileva, tra l'altro, che si sono conclusi i progetti di bonifica dell'area del nuovo impianto di trattamento delle acque di falda, inaugurato nel 2011, e della centrale termoelettrica di Augusta dell'Enel. Inoltre, la società Syndial sta completando il progetto di bonifica dei terreni a sud del vallone della neve, per una superficie di circa 185 ettari, aree da destinarsi alla reindustrializzazione.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  In ogni caso, questo Ministero continuerà a tenersi informato, proseguirà la sua attività di monitoraggio e intervento, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulle questioni di propria competenza, favorendo la più ampia collaborazione tra le istituzioni e la società civile.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   «Natura 2000», istituita ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat» e recepita dal regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357 e successive modifiche, è una rete ecologica dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità; è costituita da siti di interesse comunitario (SIC) — individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) — e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   le aree che costituiscono parte integrante di «Natura 2000» non sono riserve protette dove le attività umane sono escluse: la direttiva «Habitat», infatti, garantisce la protezione della natura tenendo anche «conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (articolo 2). Quindi, soggetti privati possono essere proprietari dei siti «Natura 2000», assicurandone però una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico, ed è prevista una valutazione d'incidenza (articolo 6) per gli interventi umani, demandata alle competenti autorità statali (nel caso italiano alle regioni);
   la valutazione è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente considerato insieme ad altri piani e progetti, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso;
   il sito online www.magredinatura2000.it nella sezione «il SIC Magredi del Cellina — Regime di Tutela» spiega come tale sito «comprenda una serie di superfici già tutelate dalla norma regionale sia da un punto di vista naturalistico che paesaggistico:
    un'Area di Rilevante Interesse Ambientale (ARIA) individuata ai sensi della legge regionale n. 42 del 1996 denominata «Fiume Meduna e torrente Cellina» in cui il Piano Regolatore Generale Comunale deve mantenere contenuti di tutela, recupero e valorizzazione dell'ambiente e del paesaggio;
    un cospicuo numero di aree a prato stabile, per lo più di proprietà pubblica statale e regionale (Demanio militare e Demanio idrico regionale), censiti ed inseriti nell'inventario dei prati stabili di pianura ai sensi della legge regionale n. 9 del 2005 che ne impedisce la riduzione di superficie e la trasformazione colturale;
    una serie di superfici di tutela paesaggistica individuati ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 in cui fra l'altro vengono salvaguardati i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua (e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna) iscritti in appositi elenchi previsti dalle disposizioni di legge»;
   inoltre, il medesimo sito spiega che «il SIC Magredi del Cellina è ricompreso nella più ampia Zona di Protezione Speciale “Magredi di Pordenone” individuata ai sensi della “Direttiva Uccelli” in quanto area di fondamentale importanza per molte specie avifaunistiche (...) La Direttiva non solo protegge gli uccelli vietandone la cattura, l'uccisione indiscriminata e la distruzione di nidi e di uova, ma impone anche l'obbligo di conservare, mantenere e ripristinare una superficie sufficiente di habitat indispensabili alla loro vita; inoltre, questi ultimi debbono essere oggetto di specifiche misure di conservazione»;
   per queste ragioni nei «Magredi del Cellina», in quanto ZPS, valgono le «Misure di conservazione generali» previste dalla legge regionale n. 14 del 2007 e, in quanto SIC, sono già vigenti le «Misure di salvaguardia generali» approvate dalla legge regionale n. 7 del 2008. Tali misure, nel complesso vietano l'apertura e la realizzazione di nuove cave e discariche o l'ampliamento di quelle esistenti, l'eliminazione degli elementi naturali e seminaturali caratteristici del paesaggio agrario con alta valenza ecologica, lo svolgimento di attività di circolazione con veicoli a motore al di fuori dalle strade, la conversione ad altro uso delle superfici a prato o pascolo permanente;
   all'interno della ZPS «Magredi di Pordenone» di importanza comunitaria individuati ai sensi della direttiva «Uccelli» sono presenti ben 4 siti di Importanza comunitaria individuati ai sensi della direttiva «Habitat»: «Torbiera di Sequals», «Magredi di Tauriano», «Magredi del Cellina», «Risorgive del Vinchiaruzzo» (...);
   il quotidiano Il Gazzettino, sezione città di Pordenone del 17 luglio 2016, in un articolo dal titolo «Cellina Meduna, una parte destinata ai lanci dell'aerobrigata dell'UsArmy» riporta la notizia del rinnovo disciplinare dell'uso del poligono Cellina Meduna da parte di Mariagrazia Santoro, assessore alle infrastrutture e territorio della regione Friuli Venezia Giulia, alla 173esima Aerobrigata UsArmy di Vicenza. Il poligono ora presenta al suo interno una nuova area per le esercitazioni dell'Aerobrigata. La nota stampa illustra come: «(...) per quanto concerne gli altri utilizzatori del poligono (in primis il nostro esercito) l'attività in bianco con i carri armati potrà essere svolta anche nell'area conosciuta come “Magredi di Cordenons”, che da tempo era stata abbandonata per la contaminazione da torio radioattivo determinatasi con l'uso di missili controcarro (...)» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, circa il rinnovo del disciplinare d'uso del poligono Cellina Meduna per l'utilizzo degli aviolanci della 173° Aerobrigata statunitense;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda attuare per scongiurare eventuali conseguenze ambientali con rilevante incidenza sul sito di importanza comunitaria del Cellina derivanti dalle attività militari concesse dalla regione Friuli Venezia Giulia. (4-14134)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, relativo allo svolgimento di esercitazioni militari all'interno del poligono Cellina Meduna, ricompreso all'interno della ZPS IT3311001 «Magredi di Pordenone» e della ZSC IT3310009 «Magredi del Cellina», sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare corre l'obbligo di precisare che la questione delle servitù militari sul territorio italiano all'interno di siti Natura 2000 è oggetto di uno dei CHAP del pre-contenzioso comunitario EU Pilot 6730/14/ENVI, nonché di ulteriori indagini su casi puntuali da parte della Commissione europea.
  Nell'ambito di tale pre-contenzioso comunitario, nonché della sensibilità emergente in relazione alla coesistenza di servitù militari ed aree a tutela ambientale, questo Ministero ha istituito con il Dicastero della difesa un «Tavolo Tecnico su disciplina di tutela ambientale ed attività esercitative dei poligoni militari», insediatosi il 23 marzo 2015.
  A seguito dei lavori del citato tavolo tecnico, in data 18 giugno 2015 è stato siglato un protocollo di intesa tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero della difesa per la «Tutela ambientale e attività esercitative militari», che prevede tra l'altro il supporto tecnico-giuridico di questo Ministero nell'ambito delle procedure di contenzioso comunitario in materia ambientale che interessano le servitù militari, nonché la collaborazione nella redazione di «protocolli ambientali» per le attività esercitative con prevalente riferimento alle ricadute nell'ambiente marino. Il testo del protocollo è disponibile al
link (http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio-immagini/Galletti/PROTOCOLLO%20AMBIENTE%20DIFESA%20definitivo.pdf).
  Successivamente, questo Ministero, in data 16 dicembre 2015, ha dato avvio ai lavori del tavolo tecnico sul «Protocollo d'intesa su aspetti di tutela ambientale, di prevenzione dell'inquinamento e profili di responsabilità riguardanti le zone ad uso poligono e tiri esercitativi militari».
  Nel corso del primo incontro, sono state poste le basi per la predisposizione, da parte del Ministero della difesa, di un rapporto ambientale nel quale il Ministero dell'ambiente ha richiesto informazioni relative sia alla necessità di porre in atto una verifica della sovrapposizione tra i poligoni esercitativi e i siti Natura 2000 e/o aree protette istituite ai sensi della legge n. 394 del 2009 sia alla necessità di reperire i dati di contaminazione delle aree marino-costiere prospicienti dette zone.
  Ad oggi, non è ancora stato convocato il secondo incontro del tavolo tecnico in questione, stante la necessità da parte del Ministero della difesa di disporre di un congruo periodo per raccogliere ed armonizzare nei format predisposti le informative ambientali relative a tutti i poligoni presenti sul territorio nazionale, non solo quelli interni al sistema delle aree protette e tutelate.
  Per quanto riguarda la regione Friuli Venezia Giulia, nell'ambito di uno dei CHAP del pre-contenzioso comunitario EU Pilot 6730/14/ENVI, l'ufficio legislativo del Ministero della difesa, con nota del 27 maggio 2015 ha comunicato che: «Nel corso della 2a Conferenza nazionale sulle servitù militari è stato siglato un Protocollo di intesa tra la Difesa e la Regione con l'obiettivo di individuare un nuovo equilibrio tra esigenze militari e tutela del territorio delle comunità locali».
  A seguito di questo accordo risulterebbe che ogni disciplinare d'uso dei poligoni presenti sul territorio regionale è oggetto anche di procedura di valutazione di incidenza ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni, con la quale è possibile prevedere particolari limitazioni volte alla tutela ambientale.
  Nella medesima nota del Ministero della difesa, veniva altresì comunicata l'intenzione di provvedere alla «... emanazione di una specifica direttiva interna volta a disciplinare lo svolgimento delle attività esercitative nei siti della rete Natura 2000, con cui si forniscono alle Forze armate indicazioni in merito alla necessità di sottoporre le attività medesime a V.Inc.A, d'intesa con la Regione competente, in analogia a quanto già praticato in Puglia e in Veneto», e valevole per tutto il territorio nazionale.
  Della questione sono interessati anche altre Amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2015, in risposta alla direzione integrazione socio sanitaria del dipartimento politiche sociali, sussidiarietà e salute di Roma Capitale, che chiedeva un parere sulla creazione del cosiddetto eco-distretto di Rocca Cencia, l'impianto di compostaggio AMA pensato per dare una svolta al ciclo dei rifiuti e chiudere definitivamente Malagrotta, il direttore del servizio igiene e sanità pubblica della asl Roma B ha elaborato una relazione nella quale denuncia la presenza di «rifiuti pericolosi interrati» e di sversamenti di solventi con il conseguente inquinamento delle falde acquifere;
   in merito, il direttore scrive che «Questo servizio è a conoscenza diretta di episodi avvenuti in passato che confermano tale ipotesi ed altri, anche recenti, che creano il sospetto dell'esistenza di ulteriori casi, come il riscontro di solventi nelle acque dei pozzi vicini ad alcuni insediamenti industriali»;
   il direttore parla anche dell'insediamento industriale di via di Salone, dove c’è stato il «riscontro della presenza di numerosi solventi nelle falde idriche da cui i pozzi attingono acqua destinata ai processi industriali», e rileva come in generale nel territorio esisterebbe il rischio di «un'eventuale presenza di solventi nei pozzi che potrebbe far sospettare la percolazione degli stessi nelle falde idriche a partire da interramenti di rifiuti industriali o comunque pericolosi»;
   con riferimento ai dati sulla salute dei residenti della zona, nella relazione si legge che «la valutazione epidemiologica sullo stato di salute della popolazione fornisce informazioni degne della massima attenzione in merito ad alcuni eccessi di mortalità, nonché di malformazioni congenite», e nel chiedere ulteriori controlli sulle falde, sui terreni «eventualmente da bonificare» e sullo stato di salute della popolazione, evidenzia come tutti i materiali analizzati, dal piombo al ferro, passando per idrocarburi e rame, suggeriscano valori di gran lunga fuori norma;
   la relazione affronta anche la questione dei roghi tossici provenienti dal campo rom di Salone, ma anche da Rocca Cencia, dove ignoti danno fuoco ai rifiuti lasciati nelle strade interne, trasformate in vere e proprie discariche, rilevando come non occorrano monitoraggi ambientali «per affermare sia l'aumento dell'inquinamento conseguente all'accessione di roghi, sia gli effetti immediati sull'apparato respiratorio, cardio-circolatorio ed oculare provocato dai fumi irritanti, responsabili della dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche, in grado di provocare effetti ritardati sulla salute (tumori, aborti e malformazioni neonatali, danni del patrimonio genetico, ecc)»;
   già nel 2012 il dipartimento epidemiologia della regione Lazio assegnò a questa parte della città il triste primato di mortalità per tumori maligni nella popolazione maschile;
   nella zona, compresa nel sesto municipio di Roma Capitale, insistono cave mai bonificate e discariche abusive vecchie e nuove, tra le quali c’è anche la ex discarica abusiva di via del Casalone, una cava dove fra gli anni settanta e novanta sarebbero stati sversati rifiuti di ogni genere, fino ad alcuni parziali interventi di bonifica e di messa in sicurezza avvenuti dieci anni fa in occasione dei lavori per la realizzazione della tratta ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli, interventi mai completati a causa di un contenzioso fra il comune di Roma e il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane e la mancata erogazione di tre milioni di euro promessi dall'amministrazione capitolina;
   in un'altra località della zona, denominata Colle del Sole, nel novembre 2014 il reparto sicurezza pubblica ed emergenziale della polizia locale di Roma ha scoperto rifiuti ospedalieri e speciali sotterrati in un terreno adibito al pascolo delle pecore;
   a fine aprile 2016, invece, la Guardia forestale ha confiscato un'area di ottocento metri quadri tra via di Rocca Cencia e via Sant'Alessio in Aspromonte sulla quale, stando alla relazione dei forestali, «è stato accertato l'accumulo illegale di circa 1.200 metri cubi di rifiuti anche pericolosi»;
   per quanto riguarda l'impianto dell'AMA di Rocca Cencia esiste una relazione dei responsabili della sicurezza dei lavoratori, datata 8 maggio 2015, che mette nero su bianco diverse criticità, tra le quali cattivo odore eccessivo, crepe nei muri, quantità di rifiuti trattati oltre il limite massimo consentito, il mancato filtraggio delle polveri e l'assenza del rilevatore di radioattività;
   sulla vicenda dell'impianto di trattamento meccanico-biologico di Rocca Cencia, sembrerebbe addirittura esistere un'inchiesta penale, posto che nel dicembre 2015, l'Arpa Lazio, nel chiedere un accesso agli atti presso la procura di Roma, scriveva: «si prega di comunicare se nulla osta alla consegna alla richiedente del verbale di sopralluogo e la relazione tecnica predisposta dal personale Arpa Lazio relativi all'impianto Ama (...) nell'ambito del procedimento penale n. 85321/15 RPM n. 209»;
   i residenti del quartiere si battono da decenni contro l'inquinamento ambientale della zona, che ne ha fatto una vera e propria «terra dei fuochi romana», denunciando la presenza di altre cave e chiedendo la bonifica dei terreni inquinati e l'adozione di misure sanitarie –:
   se non ritengano di adottare con urgenza le iniziative necessarie a verificare anche attraverso il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, la situazione dei territori di cui in premessa a tutela della salute dei cittadini che vi risiedono. (4-13654)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, corre l'obbligo di evidenziare che il legislatore ha inteso affidare alle regioni territorialmente competenti e agli enti locali, particolari competenze in materia di rifiuti, di controlli e di provvedimenti autorizzativi o ablativi, e ciò al fine di ottimizzarne la relativa gestione.
  Si sottolinea come le norme vigenti attribuiscono alle regioni le funzioni in merito alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani. Declinare a livello territoriale le scelte strategiche fissate dal legislatore nazionale e comunitario, e rilasciare conseguentemente le necessarie autorizzazioni per l'operatività dei suddetti impianti, costituiscono attività attribuite alla potestà esclusiva delle amministrazioni regionali.
  Spetta invece ai comuni, ovvero agli ATO laddove costituiti, il compito di disciplinare le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nell'ambito territoriale di competenza, per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le sue fasi di gestione.
  È dunque compito di Roma Capitale, per il tramite anche della sua
in house Ama spa, laddove stabilito, avviare le diverse frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta di rifiuti urbani anche differenziati ad impianti in possesso delle necessarie autorizzazioni, nel rispetto dei principi di prossimità, economicità e sostenibilità ambientale. Ciò per garantire alle utenze un servizio adeguato e commisurato alla tariffa corrisposta, che vede in Roma Capitale costi specifici annui pro capite più elevati rispetto ai valori medi degli altri comuni (come emerge dai dati indicati da Ispra nel Rapporto rifiuti 2015).
  La stessa Ama ha inteso chiarire che l'attuale situazione di criticità è dovuta sia al «deficit infrastrutturale cronico della città di Roma e della Regione Lazio», e sia ad altre «ben più complesse e articolate ragioni», di cui questo Ministero non è a conoscenza.
  È chiara dunque l'estraneità di questo Ministero sugli specifici aspetti attinenti alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti ed al rilascio delle relative autorizzazioni di competenza regionale, nonché alla corretta gestione del servizio di raccolta.
  Tuttavia, dato il rilievo istituzionale delle questioni, questo Ministero non solo si è reso disponibile a supportare il comune di Roma nell'individuazione delle opportune misure atte a superare le difficoltà recentemente incontrate, ma ha anche sollecitato la Regione Lazio ad eseguire sugli impianti di trattamento, i controlli necessari a verificarne la piena e corretta funzionalità.
  In particolare, con nota del 2 agosto 2016 e con un'ulteriore nota di settembre, il Ministero ha chiesto alla regione di eseguire, anche con il supporto tecnico di Arpa Lazio, i necessari controlli sulla corretta operatività di tutti gli impianti, per verificare oltre che l'efficacia del trattamento, anche la tipologia dei rifiuti in ingresso ed uscita, producendo una relazione riepilogativa sugli esiti delle verifiche condotte.
  Per quanto attiene invece agli abbandoni localizzati di rifiuti e alle discariche abusive, si precisa che questo Ministero è impegnato nel complesso procedimento riguardante la procedura di infrazione relativa alla Causa C 196/13 sulle discariche abusive in tutto il territorio nazionale.
  La regione Lazio è destinataria di 2 procedure di infrazione: quella sulle discariche abusive (Causa C196/13) e quella relativa alla gestione dei rifiuti e al rispetto dell'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE (Causa C323/13).
  La Regione Lazio ha provveduto ad effettuare nei mesi di luglio e agosto tramite Arpa Lazio i sopralluoghi in tutti gli impianti regionali, al fine di verificare la cessazione dei conferimenti del tal quale in discarica. Gli esiti di queste verifiche sono stati trasmessi dalla Regione in questi giorni.
  Per quanto attiene alla creazione di una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani in Regione, da una recente ricognizione effettuata sull'impiantistica di trattamento dei rifiuti, il relativo fabbisogno è stato soddisfatto, e non occorre pertanto realizzare ulteriori TMB.
  Le risultanze delle misure adottate sono state debitamente trasmesse alla Commissione europea, e sono attualmente al vaglio delle autorità comunitarie.
  Nel Lazio rimangono aperte, allo stato attuale, ancora le procedure per 12 siti di discarica, di cui nessuna ricadente amministrativamente nel territorio di Roma Capitale.
  Da ultimo, tenuto conto di quanto evidenziato, la regione Lazio ha approvato il 22 aprile 2016 la «determinazione del fabbisogno», propedeutico al successivo aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti. Sul documento allo stato è in corso un positivo confronto con i competenti uffici regionali, per addivenire ad una condivisione degli obiettivi.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 luglio 2016 la segreteria provinciale dell'UGL vigili del fuoco di Trieste ha denunciato come nella giornata del 18 luglio «su disposizione della Prefettura di Trieste, personale operativo della sede del Comando Provinciale di Trieste, sia stato inviato presso un campeggio di Fernetti per il trasporto e il lavoro di facchinaggio per l'allestimento di tende e posti letto sembrerebbe destinati ai richiedenti asilo»;
   tale attività non solo ha privato il servizio urgente di soccorso di circa la metà del personale operativo in servizio in ambito cittadino e almeno cinque mezzi di soccorso, ma il materiale utilizzato è stato sottratto alle dotazioni della protezione civile e dovrebbe essere destinato agli interventi urgenti in caso di calamità;
   i posti letto in allestimento all'interno delle tende dovrebbero essere circa quaranta e sembrano essere destinati a ospitare dei rifugiati trasferiti da Gorizia;
   in un periodo come quello estivo, nel quale si verificano decine di incendi e il personale dei vigili del fuoco è impegnato al massimo, non si comprende quali possano essere le ragioni che giustificano una scelta come quella sopra esposta, che si traduce in un rischio per la collettività, sprovvista in caso di emergenza degli uomini e dei mezzi per intervenire –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa, quali siano state le ragioni per destinare proprio personale dei vigili del fuoco a tale compito e come si ritenga di gestire gli eventuali prossimi casi. (4-13940)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene lamentato l'impiego di personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle attività di montaggio di tende per l'accoglienza di migranti richiedenti asilo, con particolare riferimento a quanto avvenuto il 19 luglio 2016 in località Fernetti del comune di Monrupino.
  Da notizie riferite dalla competente prefettura, risulta che la stessa, lo scorso 18 luglio, ha chiesto la collaborazione del comando dei vigili del fuoco di Trieste per il montaggio, presso un campeggio sito nella predetta località Fernetti, di 5 tende (comprensive di 40 posti letto) destinate all'accoglienza di 35 richiedenti asilo provenienti dalla provincia di Gorizia.
  L'utilizzo di tale materiale è stato autorizzato da parte del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, con oneri a carico del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, con la conseguenza che il materiale medesimo sarà sostituito con attrezzature della stessa tipologia e qualità.
  Il contributo prestato dai vigili del fuoco è consistito nel ritiro delle tende e degli effetti letterecci presso il deposito del Ministero dell'interno-CAPI di Trieste-Giarizzole, nel trasporto di tale materiale al predetto campeggio e nel montaggio
in loco.
  Si evidenzia che, nella circostanza, il dispositivo di soccorso del comando di Trieste, che consta di cinque-sei squadre in orario diurno oltre ad una squadra di specialisti portuali e a un'altra di specialisti sommozzatori, non ha subito, né avrebbe in alcun modo potuto subire, alcuna limitazione in termini di efficienza operativa.
  È nota, infatti, la limitata estensione del territorio provinciale, con modestissime distanze – comunque non superiori a 10 chilometri – dal capoluogo sia della località Fernetti che dei due distaccamenti di Muggia e di Opicina. Pertanto, il personale impegnato nelle operazioni in parola, di fatto, era immediatamente e prontamente disponibile in caso di contestuali necessità legate al soccorso.
  Si fa presente che la collaborazione richiesta non era e non intendeva in alcun modo essere lesiva dell'alta professionalità e delle competenze tecniche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bensì un ausilio richiesto in attività – l'accoglienza dei richiedenti asilo – di competenza del Ministero dell'interno, Amministrazione della quale i vigili del fuoco rappresentano una componente.
  In merito alla percentuale di personale impiegato, si segnala che il comando provinciale di Trieste non ha distolto dal servizio personale e mezzi di soccorso in numero tale da incidere negativamente sulla nota efficienza del servizio di soccorso tecnico urgente del Corpo nazionale.
  Si ritiene inoltre che il termine «facchinaggio» usato per descrivere l'attività svolta dal Corpo sia da ritenersi non consono alla circostanza, essendosi trattato, viceversa, di una virtuosa collaborazione per fini istituzionali, tra uffici di una stessa Amministrazione. Collaborazione in grado di produrre, tra l'altro, effetti positivi per il Corpo nazionale, in quanto utile allo stesso personale che in tal modo ha potuto saggiare le proprie capacità operative nell'ambito dell'attività di soccorso urgente in caso di calamità.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Roma è in atto uno stato di vera e propria emergenza per quanto attiene al mancato smaltimento dei rifiuti, rispetto alla quale la neo insediata giunta sembra non riuscire a trovare una soluzione;
   stando al piano operativo trasmesso dall'Ama al sindaco e all'Assessore all'ambiente, nella capitale è presente una massa di rifiuti a terra stimata tra le duecento e le trecento tonnellate;
   nell'ambito delle polemiche scoppiate in merito alla questione assume particolare rilievo la vicenda dell'incontro, avvenuto in uno studio privato, tra il deputato del Movimento cinque stelle Stefano Vignaroli, un esponente del Consorzio laziale per i rifiuti Co.la.ri, il presidente di «Ama S.p.A.» Daniele Fortini e l'assessore capitolino all'ambiente Paola Muraro;
   il Co.la.ri. è di proprietà di Manlio Cerroni, già arrestato nel 2014 nell'ambito dell'inchiesta condotta dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri proprio in merito alla gestione dei rifiuti nel Lazio, e ha gestito la discussa discarica di Malagrotta sino alla sua chiusura;
   stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano La Repubblica nell'ambito di tale incontro sarebbe stato siglato un accordo con il Consorzio per il trattamento di duecento tonnellate di rifiuti indifferenziati in più da trattare quotidianamente negli impianti di sua proprietà;
   il deputato Vignaroli è il vice presidente della commissione parlamentare che si occupa degli illeciti nello smaltimento dei rifiuti, vale a dire una commissione d'inchiesta con poteri analoghi a quelli della magistratura che dovrebbe vigilare proprio su questi temi e, di conseguenza, a parere dell'interrogante, il suo incontro «segreto» con una società che è stata oggetto di indagine da parte della magistratura appare del tutto incompatibile con il suo ruolo;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto «sblocca Italia», nell'ambito della rete nazionale di termovalorizzatori, ha rilevato la necessità che la regione Lazio sia dotata di un impianto di duecentodiecimila tonnellate, oltre a dover costruire impianti di trattamento necessari a rispondere ad un fabbisogno residuo di compostaggio che ammonta a cinquecentomila tonnellate annue;
   il Ministro interrogato ha già avuto modo di esprimere la sua preoccupazione in merito alla vicenda dell'emergenza rifiuti a Roma nel corso del question time svoltosi il 3 agosto 2016 alla Camera e ha invitato i competenti organi comunali e regionali ad agire in fretta;
   la città di Roma, attraendo ogni anno decine di migliaia di turisti da tutto il mondo, costituisce la principale vetrina della nostra nazione, e deve essere in condizione di accoglierli degnamente senza montagne di rifiuti lungo le strade –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere con riferimento alla grave situazione di cui in premessa. (4-14103)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle recenti problematiche inerenti alla gestione dei rifiuti che hanno coinvolto Roma Capitale, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si evidenzia come, nell'anno 2014, nel comune di Roma capitale siano state prodotte, come indicato nel rapporto rifiuti Ispra 2015, 1.719.848 tonnellate di rifiuti urbani, pari a più del 55 per cento della produzione rifiuti dell'intera regione Lazio.
  La quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato è stata di 605.110,5 tonnellate (35,2 per cento), mentre le restanti 1.114.738 tonnellate di rifiuto indifferenziato sono state avviate all'impiantistica di trattamento.
  Sebbene per il 2015 non siano ancora disponibili dati ufficiali di ISPRA, i quantitativi di rifiuti urbani prodotti da Roma sono sostanzialmente allineati con quelli del 2014 (1.700.768 tonnellate), di cui si stima la produzione di circa 700.320 tonnellate di differenziata (41,17 per cento) e 1.000.448 tonnellate di rifiuto indifferenziato.
  Roma nel 2014 ha prodotto 202.13 tonnellate di frazione organica, e per il 2015, essendo incrementata la percentuale di differenziata, si stima un valore sicuramente superiore.
  Per la gestione dell'indifferenziato, Roma è servita da 4 impianti Tmb (2 di Ama e 2 della GIOVI-COLARI) che complessivamente sono autorizzati a trattare 3.000 tonnellate al giorno per 6 giorni a settimana. Occorre evidenziare che circa 300 tonnellate al giorno della capacità impiantistica esistente a Roma è destinata a trattare anche i rifiuti provenienti da Ciampino, Fiumicino e Città del Vaticano.
  Considerando un quantitativo annuo di rifiuto indifferenziato pari a 1.000.448 tonnellate, a Roma si producono giornalmente (ripartendo i quantitativi delle domeniche nei restanti 6 giorni della settimana, e considerando quindi 312 grammi all'anno) 3.206 tonnellate di rifiuti indifferenziati da destinare al trattamento.
  Pertanto, è evidente un deficit di capacità impiantistica di trattamento, pari a circa 500 tonnellate/giorno, che trova comunque copertura in altri impianti.
  Per il trattamento della frazione umida è attivo l'impianto di Maccarese da 30.000 tonnellate annue, che evidentemente non copre – se non in minima parte – il fabbisogno attuale pari a circa 200.000 tonnellate l'anno. Un fabbisogno destinato a incrementare sensibilmente col progredire della raccolta differenziata, attualmente ferma a percentuali al di sotto degli obiettivi di legge.
  Nel resto della regione Lazio operano anche altri impianti, ma nel loro insieme anch'essi non riescono a soddisfare le esigenze complessive regionali. Sulla base del quadro ricognitivo aggiornato, effettuato dalla regione Lazio, nell'ambito della procedura di infrazione comunitaria che ha visto lo Stato condannato per non aver realizzato nella Regione una rete integrata ed adeguata per la gestione dei rifiuti, viene stimata in 250.500 tonnellate all'anno la capacità impiantistica attuale (di cui solo 70.500 effettivamente operativa). Il fabbisogno residuo di compostaggio da soddisfare su scala regionale nelle condizioni di regime (ovvero al 65 per cento di raccolta differenziata in cui si prevede di intercettare almeno 750.000 tonnellate all'anno di organico) ammonterebbe a circa 500.000 tonnellate all'anno, secondo le stime del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2016, adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, cosiddetto «Sblocca Italia» (Misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani).
  Sebbene risulti in corso il procedimento autorizzativo presso la regione su due impianti di compostaggio, che possono sopperire alle esigenze impiantistiche della Capitale, le tempistiche per la loro eventuale realizzazione e operatività non sono sicuramente brevi.
  Per quanto riguarda il fabbisogno di incenerimento, solo una parte dei rifiuti trattati in uscita dai Tmb di Roma vengono portati agli impianti di termovalorizzazione di San Vittore e Colleferro, gli unici operativi nella Regione, non sufficienti a soddisfare l'attuale fabbisogno.
  Pertanto, per chiudere il ciclo dei rifiuti limitando al minimo il ricorso al conferimento in discarica, la regione deve puntare sullo sviluppo della raccolta differenziata, e potenziare la capacità impiantistica di incenerimento per il recupero energetico delle frazioni secche non riciclabili, secondo quanto indicato dall'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016, ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia» (firmato il 10 agosto 2016 e trasmesso l'11 agosto ai competenti organi di controllo per il seguito di competenza), che prevede la necessità di realizzare un nuovo impianto di incenerimento con una capacità pari a 210.000 tonnellate all'anno di rifiuti urbani e assimilati, salvo che il piano regionale non venga aggiornato prevedendo diverse soluzioni.
  Con la chiusura di Malagrotta avvenuta nel 2013, tra l'altro, si è determinata la carenza di una discarica di servizio ove conferire i rifiuti residui dal trattamento dei Tmb che non possono o non vengono avviati a recupero o incenerimento. Attualmente il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata ha concorso a mantenere elevati i quantitativi dei rifiuti prodotti dalla Capitale da avviare a smaltimento, circa 500.000 tonnellate all'anno, ovvero circa il 50 per cento dell'attuale fabbisogno di discarica dell'intera Regione Lazio (quantificato nel piano del fabbisogno impiantistico approvato con deliberazione di giunta regionale n. 199 del 2016 in circa un milione di tonnellate all'anno).
  Si sottolinea come le norme vigenti attribuiscono alle regioni territorialmente competenti le funzioni in merito alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani. Declinare a livello territoriale le scelte strategiche fissate dal legislatore nazionale e comunitario, e rilasciare conseguentemente le necessarie autorizzazioni per l'operatività dei suddetti impianti, costituiscono attività attribuite alla potestà esclusiva delle amministrazioni regionali.
  Spetta invece ai Comuni, ovvero agli ambiti territoriali ottimali laddove costituiti, il compito di disciplinare le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nell'ambito territoriale di competenza, per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le sue fasi di gestione.
  È dunque compito di Roma Capitale, per il tramite anche della sua
in house Ama spa laddove stabilito, avviare le diverse frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta di rifiuti urbani anche differenziati ad impianti in possesso delle necessarie autorizzazioni, nel rispetto dei principi di prossimità, economicità e sostenibilità ambientale. Ciò per garantire alle utenze un servizio adeguato e commisurato alla tariffa corrisposta, che vede in Roma Capitale costi specifici annui pro capite più elevati rispetto ai valori medi degli altri comuni (come emerge dai dati indicati da Ispra nel rapporto rifiuti 2015).
  La stessa Ama ha inteso chiarire che l'attuale situazione di criticità è dovuta sia al «
deficit infrastrutturale cronico della città di Roma e della Regione Lazio», sia ad altre «ben più complesse e articolate ragioni», di cui questo Ministero non è a conoscenza.
  È chiara dunque l'estraneità di questo Ministero sugli specifici aspetti attinenti alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti ed al rilascio delle relative autorizzazioni di competenza regionale, nonché alla corretta gestione del servizio di raccolta.
  Tuttavia, dato il rilievo istituzionale delle questioni, questo Ministero non solo si è reso disponibile a supportare il comune di Roma nell'individuazione delle opportune misure atte a superare le difficoltà recentemente incontrate, ma ha anche sollecitato la ragione Lazio ad eseguire sugli impianti di trattamento i controlli necessari a verificarne la piena e corretta funzionalità.
  In particolare, con nota del 2 agosto 2016 e con un'ulteriore nota di settembre, il Ministero ha chiesto alla regione Lazio di eseguire, anche con il supporto tecnico di Arpa Lazio, i necessari controlli sulla corretta operatività di tutti gli impianti, per verificare oltre che l'efficacia del trattamento, anche la tipologia dei rifiuti in ingresso ed uscita, producendo una relazione riepilogativa sugli esiti delle verifiche condotte.
  Allo stato attuale, non essendo stati ancora acquisiti tutti gli elementi richiesti, questo Ministero ha provveduto ad inoltrare debito sollecito ai competenti uffici regionali.
  In particolare, il 6 settembre 2016 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sollecitato la Regione a inoltrare il resoconto sulle verifiche dell'impiantistica di Roma, nonché ribadito la necessità di integrare ed adeguare le previsioni del piano del fabbisogno, propedeutico alla stesura nel nuovo piano rifiuti, secondo le disposizioni previste nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuative dell'articolo 35, commi 1 e 2, dello «Sblocca Italia», nel rispetto del principio della gerarchia dei rifiuti.
  La regione Lazio è destinataria di 2 procedure di infrazione: quella sulle discariche abusive (Causa C196/13) e quella relativa alla gestione dei rifiuti e al rispetto dell'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE (Causa C323/13).
  Nel Lazio rimangono aperte, allo stato attuale, ancora le procedure per 12 siti di discarica, di cui nessuna ricadente amministrativamente nel territorio di Roma Capitale.
  La regione Lazio ha provveduto ad effettuare nei mesi di luglio e agosto tramite Arpa Lazio i sopralluoghi in tutti gli impianti regionali, al fine di verificare la cessazione dei conferimenti del tal quale in discarica; gli esiti di queste verifiche sono stati trasmessi dalla regione in questi giorni.
  Per quanto attiene alla creazione di una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani in regione, da una recente ricognizione effettuata sull'impiantistica di trattamento dei rifiuti, il relativo fabbisogno è stato soddisfatto, e non occorre pertanto realizzare ulteriori Tmb.
  Le risultanze delle misure adottate sono state debitamente trasmesse alla Commissione europea, e sono attualmente al vaglio delle autorità comunitarie.
  Infine, si segnala che la regione Lazio ha approvato il 22 aprile 2016 la «Determinazione del Fabbisogno», propedeutico al successivo aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti.
  Sul documento allo stato è in corso un positivo confronto con i competenti uffici regionali, per addivenire ad una condivisione degli obiettivi.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI, MAGORNO, BORGHI, BRAGA, BRATTI, MARIANI e OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da mesi articoli dei maggiori quotidiani locali e nazionali, appelli di Legambiente ed altre associazioni, amministrazioni comunali virtuose, agricoltori e liberi cittadini protestano per il perdurare di una situazione emergenziale e critica nella gestione o meglio nella non gestione del ciclo di raccolta e di trattamento dei rifiuti in Calabria;
   è necessario che l'intera comunità nazionale presti attenzione al disagio in cui sono costretti i cittadini calabresi a causa della assoluta inadeguatezza detrazione delle istituzioni in materia di rifiuti;
   ad oggi, le principali città scontano ancora l'assedio della spazzatura non raccolte nelle ultime settimane. Se a Catanzaro alcune zone della città sono state in qualche modo ripulite, grazie all'utilizzo della discarica di Alli, continuano ad accumularsi cumuli di spazzatura a Reggio Calabria, Vibo Valentia e Cosenza e, in misura minore, a Crotone, tra crescenti problemi igienico sanitari e inviti ai cittadini a contenerne la produzione. E l'immagine di strade e piazze trasformate in tante piccole discariche è ancora realtà in molti centri della regione;
   la regione Calabria sconta una lunga ed inefficace fase di commissariamento iniziata nel 1997, conclusosi all'inizio del presente anno e caratterizzato da costanti e mancati obiettivi di raccolta differenziata, sperpero di denaro pubblico e per la gestione poco efficace e trasparente, spesso a sua volta inquinata dalla ’ndrangheta, con un contenzioso economico di milioni di euro e un'alta conflittualità con le comunità e le istituzioni locali, regionali, nazionali;
   la Calabria (secondo il report Rifiuti, riferito all'anno 2012, pubblicato dall'ArpaCal) nel suo complesso passa dall'11,61 per cento del 2011 al 16,34 per cento del 2012 di raccolta differenziata. I rifiuti sommergono la Calabria nonostante il calo di rifiuti urbani complessivamente prodotti (730 mila tonnellate del 2012 rispetto alle 886 mila tonnellate del 2011). Si segnalano però esempi più virtuosi, quali: Pianopoli 62,77 per cento, (CZ), San Fili 72,66 per cento, Vaccarizzo Albanese 63,46 per cento – Bocchigliero 61,92 per cento (CS), Roccella Jonica 72,61 per cento (RC);
   sempre secondo gli ultimi dati disponibili da Arpa Calabria le percentuali di raccolta differenziata suddivise per aree provinciali sono: Catanzaro 15,93 per cento, Crotone 11,41 per cento, Cosenza 20,14 per cento, Reggio Calabria 13,53 per cento, Vibo Valentia 13,36 per cento. Tutte le province sono distanti dagli obiettivi previsti dalla normativa nazionale;
   la regione Calabria conta da ultimo una gravissima carenza di impianti di smaltimento finale, con un inceneritore a Gioia Tauro assolutamente sovradimensionato rispetto alle esigenze regionali, con impianti di trattamento meccanico biologico inadeguati al compito per cui sono stati costruiti, con una drammatica assenza di impianti per produrre compost di qualità;
   la ragione Calabria ha recentemente deliberato una deroga per continuare a smaltire il rifiuto «tal quale» in discarica, in evidente contrasto con la normativa comunitaria e nazionale con il rischio di pesanti multe per il mancato rispetto della direttiva sulle discariche approvata nel 1999;
   è da ultimo in corso di affidamento il bando regionale per esportare fuori regione o fuori dall'Italia i quantitativi di rifiuti ammassati sulle strade fino ad oggi e quelli che verranno prodotti nel prossimo futuro, con notevole incremento dei costi di trasporto e smaltimento per una cifra di oltre 77 milioni di euro fino al 31 dicembre 2014 ovvero fino tre volte quanto speso in precedenza –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro di concerto con la regione Calabria, e anche per tramite degli istituti territoriali dipendenti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di superare le sopraddette criticità che de facto sussistono attualmente nelle maggiori città della regione. (4-04029)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione dei rifiuti nella Regione Calabria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si delinea di seguito il quadro della situazione attuale e le connesse criticità, partendo dalle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella Regione Calabria.
  Con l'ausilio degli ultimi dati resi pubblici da Ispra, si riferisce che nell'anno 2014 nella Regione Calabria sono stati prodotti 809.974 tonnellate di rifiuti urbani, pari a 409,8 chilogrammi
pro capite.
  Nel quinquennio 2010-2014 la produzione di rifiuti è diminuita del 13,40 per cento con un decremento medio annuo pari al 2,68 per cento.
  Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale che è correlato al
trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  Nel 2014 la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato è stata pari a 150.541,64 tonnellate, con un incremento del 22,53 per cento rispetto all'anno precedente.
  La percentuale di raccolta differenziata si è attestata al 18,60 per cento molto lontana dalla media italiana ed europea e dagli obblighi di legge del 65 per cento. Tuttavia, negli ultimi 5 anni, la percentuale di rifiuti urbani raccolti in modo differenziato nella regione Calabria è cresciuta del 28,76 per cento, registrando un incremento considerevole.
  Relativamente alle quantità raccolte in maniera differenziata la quota principale è rappresentata dalla carta (52.344 tonnellate) pari al 34.77 per cento seguita dall'organico (48.460) tonnellate con una percentuale del 32,19 per cento).
  L'analisi dei dati per singola provincia evidenzia il raggiungimento della percentuale di raccolta più elevata nella provincia di Cosenza (27 per cento) mentre le percentuali più basse si registrano a Crotone (10,7 per cento) e Reggio Calabria (11,7 per cento).
  Da informazioni fornite dalla Regione Calabria si evidenzia, alla data odierna, un livello della raccolta differenziata pari a circa il 30 per cento, in significativo aumento ma ancora insufficiente rispetto agli obblighi di legge.
  La gestione dei rifiuti nella regione Calabria presenta delle criticità riguardanti la carenza impiantistica e il livello molto modesto della raccolta differenziata. La valorizzazione energetica appare esigua (rappresenta il 7 per cento della quota di indifferenziato), mentre il ricorso alla discarica risulta predominante (nell'anno 2014 sono state conferite 554.600 tonnellate pari a 84,6 per cento).
  La regione Calabria presenta diversi impianti per la gestione dei rifiuti urbani.
  I dati ufficiali Ispra, riferiti all'anno 2014, rilevano:
   n. 7 impianti di compostaggio (con un quantitativo autorizzato di 138.500 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato pari a 56.904 tonnellate all'anno);
   n. 7 impianti di trattamento meccanico biologico (con un quantitativo autorizzato di 390.000 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato di 343.718 tonnellate all'anno);
   n. 1 impianto di incenerimento (con un quantitativo autorizzato di 120.000 tonnellate all'anno ed un quantitativo trattato di 72.850 tonnellate all'anno);
   n. 7 discariche in esercizio (per un quantitativo di rifiuti urbani conferiti di 383.284 tonnellate all'anno).

  Si evidenzia che l'offerta pubblica delle discariche di servizio nella regione Calabria è praticamente inesistente. Ad oggi lo smaltimento avviene essenzialmente in discariche private (regionali ed extraregionali).
  L'assetto impiantistico risulta evidentemente carente oltre che obsoleto e la regione Calabria ha pubblicato le gare per il riefficientamento degli impianti TMB (trattamento meccanico-biologico).
  La regione Calabria presenta delle criticità nel ciclo integrato dei rifiuti da ascriversi principalmente al mancato completamento/riefficientamento del sistema infrastrutturale ed impiantistico regionale e alla mancata attivazione/implementazione della raccolta differenziata da parte della maggior parte dei comuni calabresi.
  Con legge regionale n. 14 del 2014, la Regione Calabria ha avviato il processo di riordino del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani. Lo stato di attuazione nei cinque ambiti territoriali ottimali (Ato) provinciali risulta essere il seguente:
   Ato Catanzaro: è stata sottoscritta la convenzione per la costituzione della comunità d'ambito e sono stati eletti il presidente e due vicepresidenti;
   Ato Vibo Valentia: è stata sottoscritta la convenzione per la costituzione della comunità d'ambito da circa il 60 per cento dei Comuni interessati;
   per Ato Cosenza, Ato Reggio Calabria e Crotone, la regione ha sollecitato i comuni capostila ad esperire gli adempimenti di legge.

  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, vista la situazione in essere, da ultimo con nota del 13 luglio 2016, ha sollecitato la regione Calabria a voler procedere alla costituzione e all'effettivo funzionamento di tutti gli ambiti territoriali ottimali nel rispetto della normativa vigente, nonché di essere costantemente informato circa l'evoluzione del processo di implementazione del ciclo della gestione integrata dei rifiuti.
  La regione Calabria, con deliberazione n. 276 del 19 luglio 2016, ha adottato la proposta di «Piano regionale di gestione dei rifiuti». La fase di
scoping è già stata esperita e avviata la consultazione a VAS. La data di conclusione della procedura è fissata alla fine di settembre 2016 e, da informazioni fornite dalla regione, il piano sarà adottato definitivamente entro dicembre del corrente anno.
  La gestione dei rifiuti nella regione Calabria si contraddistingue per il ricorso, da parte di regione e comuni, alle ordinanze contingibili e urgenti
ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Con riferimento alle ordinanze adottate dal Presidente della Regione, ad oggi, solo il provvedimento n. 100 del 16 maggio 2016 è in corso di validità.
  Con tale provvedimento si consente l'esercizio degli impianti pubblici di trattamento siti nei comuni di Crotone, Lamezia Terme e Catanzaro nelle more dell'acquisizione dell'autorizzazione integrata ambientale, nonché l'incremento della capacità nominale-autorizzata (quantitativi autorizzati) di trattamento in altri impianti.
  Con nota del 13 luglio 2016, indirizzata alla regione, il Ministero ha specificatamente fatto notare che – come confermato dallo stesso tenore testuale dell'articolo 191, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 – le ordinanze contingibili e urgenti, con le quali si provvede a forme straordinarie di gestione dei rifiuti, non possono derogare a norme dell'Unione europea in tema di autorizzazioni.
  Con nota del 16 agosto 2016, la Regione Calabria ha riscontrato la comunicazione ministeriale prendendo atto dei contenuti della stessa ed esponendo tutte le iniziative adottate nonché tutte le azioni future che intende intraprendere per superare le criticità che hanno reso necessario ed urgente l'utilizzo dello strumento
extra ordinem dell'ordinanza n. 100, evidenziando, altresì, che l'ordinanza in questione era stata adottata al fine di tutelare la salute della persona umana, bene primario costituzionalmente garantito.
  Il Ministero sta valutando i contenuti della nota di riscontro.
  La Calabria ha inserito, alla data odierna, nella procedura di infrazione «Discariche abusive» (causa C196/13) n. 29 discariche, rispetto alle 39 originarie.
  Di queste, alla data del 31 maggio 2016, sono state inviate ai servizi tecnici della Commissione europea n. 5 certificazioni di chiusura del procedimento ambientale ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulle quali dovranno pronunciarsi a breve.
  I comuni e la regione sono stati destinatari nel dicembre 2015, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei competenti enti territoriali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, da un comunicato dell'autorità portuale di Venezia e secondo quanto pubblicato anche dal quotidiano La Nuova Venezia, il 17 marzo 2014, il tribunale amministrativo regionale del Veneto ha accolto la richiesta di sospensiva alle limitazioni, stabilite dall'autorità portuale di Venezia, al passaggio delle grandi navi da crociera in Bacino San Marco presentata con due ricorsi da Venezia Terminal Passeggeri, gestore del terminal della stazione marittima, da una decina di imprese portuali e dal «Comitato Cruise Venice»;
   il provvedimento dei giudici amministrativi del Veneto sospende fino all'udienza di merito prevista per il 12 giugno 2014 i limiti fissati dalla capitaneria di porto che imponevano una riduzione del 12,5 per cento del traffico delle navi da crociera. Vengono inoltre sospesi i limiti per l'anno 2015, contenuti nello stesso provvedimento dell'autorità marittima, che vietavano l'ingresso dalla bocca di porto del Lido alle navi di stazza superiore alle 96 mila tonnellate;
   si arriva così al paradosso che il concessionario impugna una decisione della superiore autorità portuale, che a sua volta applica un provvedimento del Governo;
   secondo il Tar le limitazioni previste dall'ordinanza della capitaneria di porto (708 transiti nel 2014 nel Canale di San Marco e della Giudecca per le navi passeggeri di stazza superiore a 40.000 tonnellate e divieto di passaggio nel 2015 per quelle di stazza lorda superiore a 96.000 tonnellate) devono essere subordinate «alla disponibilità di praticabili vie di navigazione alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento». Dunque le misure «si pongono in contrasto con lo specifico principio di gradualità» in base al quale «l'interdizione del transito può essere consentita solo a partire dal momento dell'effettiva disponibilità di una via alternativa». L'ordinanza, peraltro, secondo i giudici, «non appare sostenuta da una adeguata attività istruttoria preliminare, volta all'identificazione dei rischi connessi ai traffici nei canali in questione e ai transiti delle navi con stazza superiore a 40.000 tonnellate»;
   dal punto di vista tribunale amministrativo del capoluogo lagunare dal provvedimento non si può dedurre «un'esauriente ponderazione né dei presupposti di fatto, né delle specifiche valutazioni dei rischi, assunti a fondamento delle misure “mitigatorie” in esame». Oltre ad esserci «un difetto di motivazione», risulta per il Tar impossibile «valutare appieno l'idoneità, la razionalità e la congruenza delle misure limitative in concreto adottate». Le stesse direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del novembre 2013 alla capitaneria sulle misure per il periodo transitorio 2014 e 2015, a giudizio del tribunale amministrativo regionale «appaiono viziate dai medesimi difetti di genericità e indeterminatezza dell'ordinanza»;
   il 2 marzo 2012, sulla scia delle polemiche per la tragedia della Costa Concordia al Giglio e del progressivo aumento delle stazze delle navi in transito nel bacino di San Marco, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Corrado Passera di concerto con quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini emanarono il decreto interministeriale n. 79 del 2012 – cosiddetto «decreto Clini-Passera» – che, oltre al citato blocco per natanti con stazza lorda superiore a 96.000 tonnellate, prevede: «di individuare vie alternative e praticabili di accesso all'attuale marittima, senza ulteriori stazioni marittime alternative». Detto divieto andava applicato «a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento. Nelle more di tale disponibilità, l'Autorità marittima, d'intesa con il magistrato alle acque di Venezia e l'Autorità portuale, adotta misure finalizzate a mitigare i rischi connessi al regime transitorio...». Il Governo Letta ha fissato al 1° novembre 2014 la data ultima per la decisione sul passaggio delle «grandi navi» nel bacino di San Marco e la fine del regime transitorio;
   il sopraddetto regime transitorio de facto non ha prodotto alcun giovamento alla salvaguardia della ecosistema lagunare e paesaggistico della città di Venezia: nel 2013, approfittando della moratoria «provvisoria, sono transitati nel canale della Giudecca ottocentonovantuno tra navi da crociera, traghetti e grandi navi fluviali, per un totale, fra andata e ritorno, di 3.764 passaggi nel bacino di San Marco. Oltre una decina al giorno, di media. Ma con punte, come sabato 21 settembre 2013, di 13 navi per un totale di 26 passaggi. Più quelli di 334 aliscafi;
   nei criteri di iscrizione di Venezia e della Laguna Veneta (Id n. 394 1987) nei siti del patrimonio mondiale UNESCO del 1987 si legge: «Venezia e la sua laguna rappresentano un capolavoro del genio creativo umano. La città è un eccezionale esempio di un tipo di costruzione e di complesso architettonico, tecnologico e paesaggistico a testimonianza di importanti tappe della storia umana. È un eccezionale esempio di un tradizionale insediamento umano e di occupazione del territorio e direttamente e materialmente legato ad eventi, tradizioni, lavori artistici e letterari d'eccezionale valore universale. Venezia è un'opera d'arte senza eguali. La città è costruita su 118 isolette e sembra galleggiare sulle acque della laguna dando forma ad un paesaggio indimenticabile la cui bellezza imponderabile ha ispirato Cataletto, Guardi, Turner e tanti altri pittori. Inoltre, la laguna di Venezia comprende una delle maggiori concentrazioni di capolavori al mondo: dalla cattedrale di Torcello alla Chiesa di Santa Maria della Salute, tutti i secoli di una straordinaria Età dell'Oro sono rappresentati da monumenti di eccezionale bellezza: San Marco, Palazzo Ducale, San Zanipolo e la Scuola di San Marco, i Frari e la Scuola di San Rocco, San Giorgio Maggiore e così via (capo I)». E si aggiunge: «Nel mar Mediterraneo, la laguna di Venezia rappresenta un esempio eccezionale di habitat semi-lacustre, reso fragile in conseguenza di cambiamenti irreversibili. In questo ecosistema coerente in cui le barene – dossi di terreno argilloso che sono periodicamente sommersi dalle acque per poi riaffiorare – hanno la stessa importanza delle isole, le case fondate sui pali, i villaggi di pescatori e le risaie richiedono di essere protetti allo stesso modo dei palazzi e delle chiese» (capo V);
   è importante poi ricordare che già in passato, anche recente, il passaggio di navi di grossa stazza non è stato indenne e senza incidenti per le rive del bacino di San Marco, dove affaccia anche l'inestimabile e bellissimo Palazzo Ducale. Si ricordano infatti: nel 1973 l'incidente al mercantile Bulk Mariner, nel 1976 l'incidente alla nave «Monte Berico», nel 1980 l'incidente alla portacontainer Afros e nel più recente anno 2004 l'incidente alla nave passeggeri «Mona Lisa» proprio davanti a piazza San Marco, con un incontestabile rischio gravissimo –:
   quali iniziative urgentissime intendano assumere i Ministri interrogati per la salvaguardia di Venezia e del suo fragile e prezioso ecosistema lagunare; quali strumenti normativi puntuali e risolutivi intenda assumere il Governo, affinché vi sia un'effettiva regolamentazione e limitazione cautelativa dei passaggi di naviglio di grande tonnellaggio nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca; infine, se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, intenda, anche per tramite della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna, elaborare una valutazione di compatibilità paesaggistica sui passaggi giornalieri delle grandi navi nel bacino di San Marco e da ultimo se intenda fornire dati certi sul reale impatto turistico ed economico di tali rischiosi passaggi. (4-04072)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, relative al transito delle grandi navi nei canali di San Marco e della Giudecca di Venezia, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, il decreto interministeriale 2 marzo 2012, cosiddetto «decreto rotte», all'articolo 2, comma 1, prevede, per motivi di protezione dell'ambiente marino (articolo 83 codice della navigazione), ulteriori misure di protezione per zone particolarmente vulnerabili, tra cui i canali di San Marco e della Giudecca nella laguna di Venezia (battuti dalle navi facenti ingresso/uscenti dalle bocche del lido), con divieto di transito per quelle unità di tonnellate di stazza lorda (TSL) superiori a 40.000. Lo stesso decreto, all'articolo 3, prevede disposizioni transitorie subordinanti l'applicazione del divieto di cui al richiamato articolo 2, alla disponibilità di vie di navigazione alternative a quelle vietate, come individuate con specifica ordinanza n. 153 del 2013 (per profili tecnico-nautici e di sicurezza della navigazione) della capitaneria di porto di Venezia.
  Invero, la predetta ordinanza è stata oggetto di annullamento da parte del giudice amministrativo. Ciò nonostante, l'allora misura «temporanea» di mitigazione del rischio della soglia limite delle 96.000 TSL, secondo quanto appreso dalla Capitaneria di Porto di Venezia, di fatto è stata autonomamente mantenuta fino ad oggi dagli agenti raccomandatari marittimi nel programma degli scali crocieristici presentati a seguito degli impegni assunti dall'autorità portuale anche nelle diverse riunioni interministeriali.
  Inoltre, a seguito dell'operatività del nuovo terminal Ro-Ro/Pax di Fusina, raggiungibile dalle opposte bocche di Malamocco, con percorso in direzione Marghera - zona industriale, tutte le navi traghetto non percorrono più i canali San Marco e Giudecca oggetto di divieto. Si precisa, al riguardo, che anche le navi adibite al traffico merci in atto transitano attraverso le stesse bocche di Malamocco.
  Peraltro, sulla base delle informazioni fornite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si segnala che le compagnie di navigazione hanno già operato una programmazione in riduzione del traffico.
  La tematica in argomento viene affrontata anche nell'ambito della valutazione di impatto ambientale. Attualmente, infatti, sono all'esame istruttorio della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS le procedure relative ai seguenti progetti: «Adeguamento via acquea di accesso alla stazione marittima di Venezia e riqualificazione delle aree limitrofe al Canale Contorta Sant'Angelo» e «Nuovo Terminal Crociere di Venezia alla Bocca di Lido denominato Venis Cruise 2.0». Detti progetti hanno la finalità di rispondere a quanto previsto dal citato decreto interministeriale.
  Nel corso delle suddette istruttorie tecniche verranno tenuti in debita considerazione i problemi relativi all'impatto del transito delle grandi navi in laguna e degli scavi di nuovi canali per realizzare vie d'acqua di accesso alternative a quelle del canale di San Marco e della Giudecca. Saranno altresì opportunamente valutate tutte le eventuali opzioni alternative per il passaggio delle grandi navi in laguna.
  Fermo restando gli aggiornamenti sullo stato di avanzamento delle valutazioni di impatto ambientale, sull'attuale situazione è intervenuta anche l'UNESCO, chiedendo, tra l'altro, che, entro il 1o febbraio 2017, l'Italia sottoponga allo stesso comitato una relazione dettagliata sullo stato di conservazione di Venezia e della sua Laguna, con la prospettiva, nel caso in cui non fossero evidenziati sostanziali progetti per la tutela del bene, di iscriverlo nella «Lista del patrimonio mondiale in pericolo».
  Alla luce delle informazioni esposte, si evidenzia che i temi in esame sono all'attenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale sta valutando di attivare i necessari contatti per organizzare un apposito incontro con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, allargato anche al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per un esame congiunto e complessivo dell'intera problematica ed al fine di dare piena attuazione al decreto del 2 marzo 2012.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le imprese del settore conserviero-alimentare sono gravate da un tributo che, risalente ad un regio decreto del 1923, appare, a parere dell'interrogante, sempre più anacronistico e andrebbe profondamente rivisto o, addirittura, abolito;
   la Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari (SSICA), istituita come ente pubblico dal regio decreto 2 luglio 1922, n. 1396, successivamente trasformata in ente pubblico economico dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 540, è stata soppressa dall'articolo 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e le rispettive funzioni sono state trasferite alla Camera di commercio, industria e artigianato di Parma che ha provveduto a costituire, quale sua articolazione amministrativa, l'azienda speciale «Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari»;
   le imprese del settore alimentare sono tenute a versare detto tributo, che raggiunge anche le diverse centinaia di euro annui, calcolato sulla base dell'ammontare lordo degli stipendi erogati nell'anno precedente per operai, impiegati e dirigenti, indipendentemente dal fatto che le stesse si rivolgano o meno alla SSICA per avere dei servizi, i quali, peraltro, si pagano a parte –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a rivedere l'attuale disciplina che prevede l'obbligatorietà del contributo a favore della SSICA o, quanto meno, a modificarne i criteri di calcolo, basandoli non più sul costo del personale, bensì sul fatturato;
   quali siano i dati relativi alle entrate della SSICA derivanti dalle attività di ricerca, dalle convenzioni e dagli accordi di programma, anche internazionali, con amministrazioni e soggetti pubblici e privati, rispetto alle entrate derivanti dalla contribuzione a carico delle imprese.
(4-11946)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame concernente l'intervento operato dal decreto-legge n. 78 del 2010 in materia di riforma delle Stazioni sperimentali per l'industria, si rappresenta quanto segue.
  Il sistema di determinazione e di riscossione del contributo è previsto a norma di legge, dal regio-decreto del 31 ottobre 1923, n. 2523 e successive modifiche riguarda tutte le stazioni sperimentali: S.S. delle conserve alimentari; S.S. del vetro; S.S. delle pelli; S.S. della carta; S.S. degli oli e grassi; S.S. dei combustibili; S.S. della seta; S.S. delle essenze agrumarie.
  Tale norma, che prevede l'obbligo del versamento del contributo a carico delle imprese che esercitano l'attività per la quale la Stazione è preordinata, dispone: «Al rimanente delle spese necessarie per il mantenimento delle Stazioni sperimentali per le industrie per le quali la Stazione è preordinata od i commerci di importazione corrispondenti e gli Enti pubblici locali che vi sono tenuti. Il contributo dovuto dalle imprese viene ripartito annualmente fra esse dal Consiglio di amministrazione della Stazione in proporzione della loro capacità di produzione».
  La norma stabilisce, quindi, che le risorse per il funzionamento delle stazioni sperimentali, vengano attinte dalle industrie che operano nello specifico settore sul quale ricade l'attività istituzionale della stazione sperimentale. In tal modo l'Erario, e quindi la comunità, non si fa carico delle risorse necessarie al funzionamento delle stazioni sperimentali, ma tale onere compete solo alle imprese di quello specifico settore di appartenenza.
  Per quanto riguarda la stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari la stessa, al pari di tutte le altre stazioni sperimentali, è stata soppressa per effetto dell'articolo 7 comma 20 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78. Da un punto di vista giuridico di successione di norme, va detto che le disposizioni del decreto ministeriale del 10 aprile 2011, emanato di concerto tra il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'economia e delle finanze, in attuazione al decreto-legge 78 del 31 maggio 2010, non hanno cambiato le finalità ed i compiti della soppressa Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, ora azienda speciale della Camera di commercio di Parma, né l'obbligo di corrispondere i contributi da parte delle imprese che producono conserve alimentari.
  Il legislatore ha infatti previsto che le Camere di commercio si dotino dell'assetto organizzativo per lo svolgimento dei compiti e delle attribuzioni già svolti dagli enti soppressi. Pertanto tutti i compiti e le attribuzioni già facenti capo alla stazione sperimentale di Parma, sono stati trasferiti alla Cciaa la quale svolge tali funzioni nella forma dell'azienda speciale.
  Si è avuta in tal modo anche una successione
ex lege del potere impositivo.
  I contributi industriali ed all'importazione assicurano la complessa attività svolta dalla stazione sperimentale: ricerca applicata, prove di laboratorio, consulenza analisi e soluzione dei problemi dell'industria conserviera.
  Il contributo a carico delle imprese che esercitano le industrie, per le quali la Stazione è preordinata, è dovuto indipendentemente dalla natura giuridica dell'organizzazione scelta per perseguire tale finalità imprenditoriale. L'elaborazione giurisprudenziale formatasi, si è consolidata stabilendo, tra l'altro, che al versamento del contributo sono tenuti tutti i produttori di conserve alimentari, anche se connessa ad altre attività principali, a prescindere dalle dimensioni aziendali e quindi, piccole e grandi imprese sono comunque tenute al versamento del contributo.
  Nello specifico, per quanto attiene il primo quesito posto si evidenzia che, in ordine alla determinazione dell'entità del contributo annuale facente capo alle industrie conserviere e corrisposto alla Ssica, quest'ultima, oggi Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari azienda speciale della Camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura di Parma, determina attraverso il proprio consiglio di amministrazione, come previsto dalla citata norma, l'entità del contributo in proporzione della capacità produttiva di ciascuna azienda.
  Pertanto, nel caso in cui l'attività aziendale sia diversificata, come avviene ad esempio in talune imprese agroalimentari, si tiene conto, su indicazione dell'azienda stessa, del monte salari afferente il personale addetto alla sola attività di trasformazione e non anche addetto alla coltivazione e raccolta di prodotti agroalimentari.
  La Ssica ogni anno richiede alle aziende contribuenti di comunicare l'ammontare di tali retribuzioni onde determinare l'ammontare del contributo le cui modalità di calcolo vengono poi esplicitate nel successivo «Avviso di determinazione del contributo».
  Sempre in detto avviso di determinazione del contributo viene anche reso noto al contribuente la possibilità di comunicare eventuali dati correttivi, per il ricalcolo del contributo medesimo, ove i dati utilizzati non fossero più attuali.
  La determinazione del contributo sulla base del parametro delle retribuzioni, risponde maggiormente alla necessità disposta dall'articolo 23 del regio decreto 2523 del 1923, di commisurare il contributo in proporzione alla capacità produttiva dell'azienda.
  Viceversa, parametrare il contributo sulla base del fatturato come pare suggerire l'interrogante, rischierebbe di risultare fuorviante, come nel caso di un'impresa che commercializzi conserve alimentari, in parte dalla stessa prodotte e in parte acquistate da altri produttori per poi rivenderle insieme alle proprie, oppure nel caso di un'azienda che affidi la propria produzione o parte della stessa a terzi. In questi casi l'utilizzazione del dato rappresentato dal fatturato, finirebbe per falsare e creare ingiustificati trattamenti differenziali, laddove il parametro del monte salari risulta fornire una misura più stabile della capacità produttiva.
  Con riferimento alla richiesta di abolizione del contributo, la stessa dovrebbe riguardare necessariamente tutte le stazioni sperimentali, non essendo configurabile eliminarlo per la sola Ssica.
  L'abolizione del contributo comporterebbe inevitabilmente la scomparsa dell'attività svolta dalle ex stazioni sperimentali, le cui spese di mantenimento vengono in minima parte sopperite dal ricavato dell'attività di prove di laboratorio e analisi. Le aziende contribuenti che commissionano tali servizi concorrono, infatti, a coprire un costo minimo rispetto alla consistenza dell'organismo, che non è sufficiente a garantire la sopravvivenza dell'istituzione.
  La Ssica dispone di un organico di circa 100 unità fra ricercatori, chimici, tecnici di laboratorio eccetera e l'attività svolta per conto dei vari committenti rappresenta soltanto una frazione delle spese necessarie al mantenimento della Stazione e dell'attività stessa nel suo complesso.
  Oltre alle prove di laboratorio e analisi, la Ssica effettua anche e soprattutto ricerca su varie problematiche inerenti l'attività di progresso tecnologico a favore dell'industria agroalimentare, (come, per altro esposto in occasione dell'Expo di Milano) con ricadute sull'intero settore dell'industria conserviera che in Italia rappresenta un importantissimo fattore di produzione.
  Le altre stazioni sperimentali, anche dopo il trasferimento alle rispettive Camere di commercio, continuano a svolgere la loro attività di ricerca e servizi sugli specifici settori di riferimento, in un contesto generale di investimento nel settore della ricerca che resta ancora esiguo.
  Nella finalità della riforma, attuata con il decreto-legge n. 78 del 2010, rientra anche l'obiettivo di conseguire un maggior orientamento al mercato delle ex stazioni sperimentali, riducendo progressivamente l'incidenza delle entrate derivanti da contributi delle imprese rispetto a quelle derivanti da servizi alle stesse. Tale processo, tuttavia, è legato all'effettivo posizionamento sul mercato che l'azienda speciale riesce a conseguire per effetto sia della qualità dei servizi resi ma soprattutto del loro grado di remuneratività. La finalità pubblicistica dei servizi resi dalle aziende speciali e l'attività di ricerca applicata di cui sono investite non consente spesso di applicare tariffe allineate con gli standard di mercato e di conseguire quindi margini operativi dai servizi resi.
  Va detto infine, che il processo di riforma non può considerarsi concluso con l'emanazione del decreto ministeriale del 10 aprile 2011 ma è in divenire per effetto del mutarsi delle forme organizzative con le quali le diverse Camere di commercio hanno recepito le nuove attività. Sono in atto, infatti, diverse trasformazioni degli assetti societari delle originarie aziende speciali al fine di meglio rispondere proprio alle esigenze del mercato e delle imprese.
  Tali trasformazioni in atto, derivanti da un processo partecipato all'interno delle singole aziende e monitorato dal Ministero dello sviluppo economico va concluso per poter effettuare una valutazione obiettiva della riuscita complessiva della riforma.
  Pende, fra l'altro un giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 20 del decreto-legge n. 78 del 2010, sollevato dal Consiglio di Stato con ordinanza del 9 ottobre 2014, che potrebbe in ultima istanza modificare radicalmente la visione decentrata della riforma riportando il disegno delle ex Stazioni sperimentali a quello originario di natura accentrata sul quale, pertanto, necessariamente si dovrà intervenire con apposita riforma.
  In merito alla seconda questione evidenziata dall'interrogante, si riportano dai bilanci della Ssica, pubblicati sul sito
web dell'azienda speciale, i seguenti valori come dettagliati nella relazione sulla gestione per l'esercizio 2014, a raffronto con quelli dell'anno precedente.

Ricavi ordinari Anno 2013 Anno 2014
Ricavi da prestazioni e servizi euro 1.753.109 euro 2.047.455
Attività di Analisi e Consulenza euro 824.421 euro 802.320
Commesse Private (da Aziende) euro 182.851 euro 118.125
Progetti di Ricerca (Fondi Strutturali) euro 577.917 euro 951.165
Contratti di Ricerca (Ass.ni di categoria, Consorzi etc.) euro 167.920 euro 175.845
Proventi da Pubblicazioni e Didattica euro 28.975 euro 31.826
Proventi diversi euro 39.647 euro 45.074
Diritti di Segreteria euro 9.396 euro 9.323
Rettificative e recuperi scese e/esercizio euro 30.251 euro 26.751
Canoni di locazione euro 9.000
Contributi Industriali e/Esercizio euro 6.520.414 euro 6.517.014
Contributi Comm.li e/Esercizio euro 1.246.114 euro 1.156.634
Altri Proventi euro 562.713 euro 782.751
Variazione dei lavori in corso su commessa euro 170.032
euro 37.934
Variazione delle rimanenze di materie prime
e di Quota sterilizzazione contributi e/Capitale

euro 246.088

euro 246.088
Compensazione costi figurativi personale stat. euro 316.625 euro 328.697
TOTALE euro 10.150.972 euro 10.580,754

  Dalla lettura dei dati di bilancio si evidenzia che mentre contributi industriali restano invariati per un valore di 6,5 milioni di euro, si registra un incremento nel 2014 delle entrate per progetti e contratti di ricerca ed altri proventi diversi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   ROSTAN, MANFREDI, SALVATORE PICCOLO e BOSSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento Italiano ha, lo scorso 5 febbraio 2014, provveduto alla conversione in legge del decreto-legge «decreto n. 136 del 2013, cosiddetto terra dei Fuochi»;
   il testo definitivo, licenziato dal Parlamento, ha previsto, tra le varie disposizioni in esso articolate a tutela dell'ambiente e nell'ambito delle strategie di contrasto ai roghi tossici, la istituzione del reato di combustione dei rifiuti, una spinta alle attività di bonifica dei suoli inquinati, il conferimento di poteri speciali al prefetto di Napoli, la creazione, presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di un gruppo per il monitoraggio, la mappatura dei terreni inquinati, l'uso dell'esercito e lo screening sanitario gratuito per i cittadini residenti in Campania e Puglia;
   il testo, inoltre, ha previsto il coinvolgimento, ai fini delle attività di monitoraggio ambientale e dello stato di salute della cittadinanza residente in Campania ed in Puglia, ed in particolare nei territori a rischio inquinamento e roghi tossici, dell'Istituto superiore delle sanità, nonché l'implementazione dello studio «sentieri»;
   la legge ha accolto anche molte delle richieste fatte da comitati e associazioni ambientaliste in sede di audizione, con particolare riferimento alla previsione di particolari strumenti di accelerazione delle bonifiche, l'utilizzo dell'esercito a scopo di sorveglianza, nonché l'istituzione di un fondo ad hoc (Fondo unico giustizia) alimentato dalla confisca dei beni provenienti dalle attività della criminalità organizzata e dai guadagni legati agli eco-reati per reperire risorse per le bonifiche;
   alta è l'attenzione dell'opinione pubblica circa lo stato di applicazione delle norme contenute nella legge sulla «Terra dei Fuochi», nonché fortissime sono le aspettative e le speranze delle popolazioni residenti in Campania, ed in particolare, nell'area a nord di Napoli, nel casertano e nell'agro nolano, territori martoriati dalle eco-mafie che, negli anni, non hanno mai esitato di fronte alla possibilità di assicurarsi facili e cospicui guadagni attraverso lo sversamento abusivo di rifiuti tossici e di roghi dolosi;
   nonostante i buoni propositi del testo di legge, non accennano a diminuire, nella Terra dei Fuochi, i roghi tossici e gli sversamenti abusivi;
   è alle porte la stagione estiva che, tradizionalmente, favorisce l'aumento degli illeciti in materia ambientale ed acuisce il fenomeno già diffuso dei roghi tossici di rifiuti;
   a conferma di quanto sopra, il 9 giugno 2014, ben cinque roghi tossici di enormi dimensioni si sono sprigionati nelle campagne tra Casalnuovo di Napoli e Pomigliano d'Arco;
   il fenomeno dei roghi tossici ed in generale la condizione di inquinamento dei suoli della «Terra dei Fuochi», stanno provocando un preoccupante innalzamento delle patologie oncologiche diagnosticate nella popolazione residente;
   le sopra indicate patologie oncologiche, secondo quanto evidenziato dalle Associazioni animaliste operanti nella «Terra dei Fuochi», stanno iniziando a diffondersi con elevata incidenza anche tra cani, gatti ed altre tipologie di animali;
   è opportuno, pertanto, imprimere un'accelerazione dei processi amministrativi previsti dalle norme contenute nel decreto-legge «Terra dei Fuochi» e tanto affinché il fenomeno dei roghi tossici e degli sversamenti abusivi di rifiuti diffuso in Campania incontri un freno significativo –:
   quale sia lo stato di avanzamento delle operazioni di impiego dell'Esercito nella Terra dei Fuochi, quali risultati abbia portato per il momento il dispiegamento di forze previsto del decreto-legge di cui in premessa, nonché se il Governo stia valutando l'ipotesi di incrementare il numero delle unità e delle risorse militari destinate al presidio del territorio in supporto delle forze dell'ordine locali;
   quale sia stata l'incidenza, sino ad oggi, dell'inserimento, all'interno del codice penale, della fattispecie del reato di combustione illecita dei rifiuti;
   quale sia lo stato di avanzamento delle attività di screening sanitario della popolazione e mappatura dei siti inquinati in Campania e quali attività il Governo stia valutando di intraprendere per accelerare tali processi, fondamentali per la buona riuscita dei progetti di recupero del territorio;
   quale sia lo stato di avanzamento dei programmi di bonifica previsti per il recupero dei territori inquinati dalle discariche abusivi e dai roghi tossici. (4-05210)

  Risposta. — In via generale, si evidenzia come gli incendi sono ascrivibili a condotte e cause disomogenee. Una parte è conseguenza di pratiche di smaltimento illegale degli scarti di lavorazione provenienti da attività economiche, completamente o parzialmente abusive e in regime di evasione fiscale (tessuti, pellame, plastica, inerti di edilizia). I roghi sono in questo caso preordinati allo smaltimento abusivo dei rifiuti speciali, ovvero appiccati da individui terzi, che, in assenza di una tempestiva attività di rimozione da parte dei comuni, risolvono in questo modo il problema di liberare dai rifiuti uno spazio pubblico o privato.
  Corre l'obbligo di precisare che il fenomeno è monitorato dai comandi provinciali dei vigili del fuoco di Napoli e di Caserta, che, nell'elaborazione delle statistiche ufficiali, si avvalgono dei dati estratti dal database del programma STAT-RI «Statistiche Interventi» del dipartimento dei vigili del fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile del Ministero dell'interno.
  A partire dal 2013 – anno in cui sono state potenziate le attività di contrasto e prevenzione del fenomeno – gli interventi di spegnimento di incendi di rifiuti da parte dei vigili del fuoco evidenziano un trend in netta diminuzione. I dati relativi al 2015 confermano ed ampliano la tendenza in calo con –63 per cento in provincia di Caserta (480 interventi nel 2015 contro 1296 nel 2012) e –42 per cento nell'area metropolitana di Napoli (1546 nel 2015 contro 2688 nel 2012).
  Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale, che investe molti e diversi livelli di competenza, richiede un lavoro di raccordo complesso, che coinvolge gli enti locali, le istituzioni territoriali, le forze dell'ordine, l'esercito, le associazioni ambientaliste e i comitati civici, nel quadro delle attività promosse nel «Patto per la Terra dei fuochi» stipulato con l'incaricato del Governo per il fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Per quanto concerne l'adozione di disposizioni di carattere regolamentare in merito ai parametri di qualità dei terreni agricoli e delle acque ad uso irriguo, costituiscono un settore d'intervento fondamentale che investe, non solo il suolo e le acque, ma anche le restanti matrici ambientali, con evidenti ricadute negative per l'ecosistema e la salute umana.
  L'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che presiede il Comitato interministeriale istituito con decreto legge n. 136 del 2013 con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal Comitato interministeriale, giungendo nel maggio 2016 all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della cosiddetta Terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal Comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del tempestivo esame da parte del Cipe.
  Sotto lo specifico profilo della sicurezza, le misure indicate sono orientate a potenziare la capacità di contrasto dei fenomeni da parte delle Forze dell'ordine, dei vigili del fuoco, dell'Esercito, delle polizie locali, dotandoli di strumenti tecnologici di supporto, quali i sistemi di video-sorveglianza, di tele-rilevamento, di geo-referenziazione per il pronto intervento, e mettendoli nelle condizioni di utilizzare a pieno e nella maniera più incisiva il nuovo codice penale dell'ambiente, attraverso un'attività formativa che coinvolge anche le procure.
  Al rafforzamento dell'azione di contrasto e repressione si affianca il potenziamento della cooperazione e della coesione istituzionale e sociale, a partire dal ruolo primario degli enti locali, ai quali è affidata la cura e il governo del territorio e la gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
  Anche di questo aspetto decisivo tiene conto il programma prevedendo che una delle più cospicue linee di finanziamento, sia destinata a supportare i comuni, in una prima fase di avvio di questa delicata e difficile gestione, nonché a favorire, ancor più il positivo coinvolgimento della cittadinanza attiva, che rappresenta una chiave per arrivare a quel cambiamento di stili di vita, di comportamenti, di modo di fare impresa, di amministrare, che è alla base di un risultato definitivo e duraturo contro questi fenomeni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto penitenziario «Francesco Uccella» di Santa Maria Capua Vetere è attivo come casa circondariale dal 1996 e ha avuto un ampliamento nel 2013 con l'apertura di un nuovo padiglione detentivo per 370 detenuti;
   oggi ospita una sezione di reclusione per 200 detenuti, una sezione «salute mentale», una per tossicodipendenti, una femminile alta sicurezza, 5 due reparti alta sicurezza maschili, due reparti per detenuti comuni, una sezione protetta per sex offender, ed è dotato di 10 sale colloqui, oltre che di n. 2 campi sportivi, n. 5 palestre, un teatro, n. 5 biblioteche, n. 3 locali di culto, n. 2 laboratori ed un'officina;
   le aule scolastiche sono 20, mentre le stanze detentive sono complessivamente 392 e sono in corso lavori per dotare di doccia altre 60 stanze;
   presso la struttura i detenuti possono frequentare la scuola secondaria di 2° grado, l'istituto professionale — enogastronomico, il liceo artistico ed attività lavorative, quali sartorie, nonché compiere attività teatrali;
   nonostante tale condizione di generale efficienza, l'Istituto da diversi mesi sta subendo gravissimi casi di malfunzionamento che stanno provocando numerosi disagi alla popolazione detenuta, con particolare riferimento alla mancanza d'acqua;
   pur essendo intervenuto il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di concerto con l'ATO 2 e la regione Campania, ad oggi all'Istituto vive una gravissima condizione di precarietà che andrebbe affrontata immediatamente e se possibile risolta mediante soluzioni tecniche e finanziarie adeguate e definitive –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali criticità e quali ormai improcrastinabili iniziative intenda adottare per garantire con continuità la fornitura idrica per la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. (4-10652)


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto penitenziario «Francesco Uccella» di Santa Maria Capua Vetere è attivo come casa circondariale dal 1996 ed ha avuto un ampliamento nel 2013 con l'apertura di un nuovo padiglione detentivo per 370 detenuti;
   oggi ospita una sezione di reclusione per 200 detenuti, una sezione «salute mentale», una per tossicodipendenti, una femminile alta sicurezza, due reparti alta sicurezza maschili, due reparti per detenuti comuni, una sezione protetta per sex offender, ed è dotato di 10 sale colloqui; oltre che di n. 2 campi sportivi, n. 5 palestre, un teatro, n. 5 biblioteche, n. 3 locali di culto, n. 2 laboratori ed un'officina;
   le aule scolastiche sono 20 mentre le stanze detentive sono complessivamente 392, mentre sono in corso lavori per dotare di doccia altre 60 stanze;
   presso la struttura i detenuti possono frequentare la scuola secondaria di 2° grado, l'istituto professionale – enogastronomico, il liceo artistico ed attività lavorative, quali sartorie, nonché compiere attività teatrali;
   nonostante tale condizione di generale efficienza, l'Istituto da diversi mesi sta subendo gravissimi casi di malfunzionamento che stanno provocando numerosi disagi alla popolazione detenuta, con particolare riferimento alla mancanza d'acqua;
   pur essendo intervenuto il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, di concerto con l'ambito territoriale ottimale 2 e la regione Campania, ad oggi l'istituto vive una gravissima condizione di precarietà che andrebbe affrontata immediatamente e se possibile risolta mediante soluzioni tecniche e finanziarie adeguate e definitive –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali criticità e quali iniziative ormai improcrastinabili intenda adottare per garantire con continuità la fornitura idrica per la Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. (4-10705)

  Risposta. — Con le interrogazioni in esame l'interrogante segnala le gravi difficoltà di approvvigionamento idrico gravanti sulla casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere ed i disagi che ne conseguono, che si manifestano in modo particolarmente significativo nei mesi estivi.
  Le criticità evidenziate sono ben note a questo Dicastero, che si è trovato costretto in più occasioni, durante il periodo estivo del 2015 e del 2016, ad assumere provvedimenti straordinari, volti, per un verso, a ridurre le presenze dei ristretti ai piani più elevati e, per altro verso, a limitare il più possibile i disagi per la popolazione detenuta.
  Sotto il primo profilo, sono stati adottati alcuni provvedimenti di chiusura di una sezione sita al IV piano dell'istituto, privilegiando gli istituti dei distretti limitrofi.
  Sotto il secondo aspetto, si è provveduto alla fornitura giornaliera di due litri di acqua potabile in bottiglia per ogni detenuto e di taniche da venti litri per ogni stanza, da tenere di riserva per il caso di improvvisa mancanza di acqua; alla fornitura di frigoriferi nei reparti, per consentire il raffreddamento delle bottiglie d'acqua e degli alimenti, anche allo scopo di limitare l'uso di acqua corrente per la refrigerazione degli alimenti; all'installazione di cisterne per l'approvvigionamento dell'acqua, serventi le cucine e la mensa agenti. Tali misure sono, a tutt'oggi, ancora in atto.
  Deve evidenziarsi che il problema dell'approvvigionamento idrico dell'istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere è sorto al momento stesso dell'apertura del carcere, nel 1996, per il mancato completamento, da parte del comune, dei lavori di allacciamento alla rete idrica comunale.
  Più volte, nel passato, gli enti locali sono stati sollecitati a risolvere il problema e a realizzare i lavori necessari, ma l'amministrazione penitenziaria si è sempre vista opporre l'insufficienza delle risorse da destinare allo scopo.
  Nel 2013, pertanto, l'amministrazione penitenziaria aveva appositamente stanziato la somma di euro 1.000.000,00.
  Nemmeno per tale via si è, però, riusciti a conseguire il risultato dell'allacciamento alla rete idrica, a causa dei vincoli formali posti dalla Ragioneria territoriale dello Stato di Napoli che, secondo quanto comunicato dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha eccepito che il trasferimento dei fondi dal Ministero della giustizia al bilancio del comune di Santa Maria Capua Vetere non avrebbe permesso il controllo della spesa secondo le modalità proprie della contabilità di Stato.
  La richiesta di stanziamento dei fondi è stata indirizzata alla regione, anche nell'ambito del progetto del Protocollo d'intesa tematico sottoscritto il 20 maggio 2014 dal Ministero della giustizia, dal presidente della giunta regionale, dai presidenti dei tribunali di sorveglianza di Napoli e di Salerno, dal presidente dell'Anci Campania. L'articolo 3 del citato protocollo prevedeva, infatti, che «... La Regione, in coerenza con la DGRC n. 18/2014 e previa verifica di compatibilità, si impegna a finanziare, con le risorse del POR FESR 2007/2013 e/o del Piano Azione Coesione e/o del F.S.C. e/o della programmazione 2014/2020, interventi di ristrutturazione, messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli istituti penitenziari di seguito indicati: – Casa Circondariale Santa Maria Capua Vetere (Caserta), – Casa Circondariale di Lauro (Avellino), – Casa Circondariale Napoli Poggioreale (Napoli) per un importo complessivo massimo di 9 Milioni di euro...».
  Tuttavia, nel corso dei lavori del tavolo tecnico sull'attuazione del protocollo, la regione ha opposto difficoltà legate a vincoli di carattere temporale e regolamentare, nonché alla concreta indisponibilità delle risorse necessarie.
  Ciò ha suscitato i reclami e i formali interventi di parlamentari locali, del Garante regionale dei diritti delle persone detenute, dell'associazione Antigone, della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere, della comunità di Sant'Egidio e delle organizzazioni sindacali.
  In seguito a tali sollecitazioni, l'ufficio di presidenza della giunta regionale della Campania il 2 ottobre 2015 ha indetto una riunione, nel corso della quale l'ente si è impegnato ad attivare le procedure per il finanziamento dell'opera così individuata: «realizzazione di un tratto di condotta idrica comunale a servizio dell'intera zona compresa tra l'incrocio Via Murata – S.P. 21 e la S.S. 7-bis in località San Tammaro ove insiste il complesso penitenziario.
  L'impegno assunto in tal modo dalla regione è stato seguito con attenzione da questo Ministero che, infatti, il 25 gennaio 2016 ha promosso un incontro con i rappresentanti della regione Campania, nell'ambito del quale questi ultimi hanno comunicato il loro positivo riscontro alla richiesta del Comune di Santa Maria Capua Vetere di finanziamento alla realizzazione della condotta idrica, asservita all'istituto penitenziario in questione, per un importo di euro 2.190.000,00.
  Grazie anche alla stretta interlocuzione dell'ufficio di gabinetto di questo Ministero, cui ho dato mandato, con gli uffici giudiziari di Santa Maria Capua Vetere e con gli enti locali interessati, si è così giunti, infine, alla delibera di stanziamento del detto importo da parte della giunta della regione Campania volto alla realizzazione dell'allaccio alla rete idrica comunale.
  Allo stato, da informazioni rese dal competente Dipartimento risultano al vaglio del comune di Santa Maria Capua Vetere – a seguito del protocollo d'intesa sottoscritto in data 4 agosto 2016 con la Giunta regionale per il finanziamento dell'opera — tutte le procedure utili da adottare per l'affidamento dei lavori.
  Si rassicura, in conclusione, l'interrogante che il Ministero continuerà a seguire la situazione dell'istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere con particolare scrupolo ed impegno.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RUSSO e SARRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con nota del 9 ottobre 2014, indirizzata ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali del comparto ministeri e dirigenza penitenziaria, il vice capo vicario del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Luigi Pagano, ha comunicato di avere attivato le procedure finalizzate alla soppressione della Scuola di formazione e aggiornamento del Corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Aversa;
   a sostegno di tale decisione, nella nota suddetta, sono state richiamate «le direttive del Governo per la riduzione delle spese non vincolate, l'attuale numero di scuole di formazione e aggiornamento di cui dispone l'Amministrazione, la riduzione strutturale delle autorizzazioni ad assumere, l'esigenza di proporzionare le risorse umane e materiali impegnate nel settore della formazione del personale»;
   per di più, è stato precisato sempre nella nota in questione, la cessazione della scuola di Aversa «è stata pensata» anche con riferimento alla necessità di porre a disposizione del neoistituito Tribunale Napoli-nord, allocato nello stesso immobile della Scuola, ulteriori spazi;
   la notizia della soppressione della scuola di Aversa è stata accolta con grande amarezza e, soprattutto, con forti e stizzite reazioni da parte non solo degli aversani ma di tutto il popoloso Agro, che ha visto e vede nella Scuola una istituzione di cui menar vanto, oltre che un prestigioso e visibile presidio di legalità ed una leva non secondaria per lo sviluppo di un territorio che oramai da tempo si sente tradito, abbandonato e vilipeso;
   va ricordato che la città di Aversa, sin dal 2002, grazie anche al costante impegno dell'allora senatore Pasquale Giuliano ospita la Scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria ed è allocata (da poco più di un anno, insieme al tribunale di Napoli-nord) nello splendido complesso monumentale di impronta vanvitelliana denominato «Castello aragonese», che ha beneficiato negli anni passati di onerosi e consistenti interventi, i quali, oltre a riportarlo all'antico splendore, ne hanno notevolmente migliorato funzionalità e accoglienza;
   il complesso formativo della Scuola per la formazione e aggiornamento del personale di polizia penitenziaria di Aversa viene inaugurata nel 2002 quale polo culturale – avanguardistico – nell'aggiornamento e formazione del personale di polizia penitenziaria nel meridione, specificamente nella zona cosiddetta «calda» dell’interland casertano;
   fine di tale realizzazione, con ingenti impegni di spesa per ristrutturare lo storico castello Aragonese cittadino, risultava essere quello di avere un sito di formazione e aggiornamento che costituisse vanto e prestigio nel panorama penitenziario, garantendo, al contempo, un presidio di sicurezza in un territorio alquanto denso di criminalità;
   tale polo formativo, in più di dieci anni di attività, ha mantenuto fede all'impegno di elevare lo spessore formativo e culturale del personale di polizia penitenziaria, costituendo anche una preziosa risorsa ed un cospicuo vantaggio della cittadina aversana e di tutto il meridione, in considerazione che la maggior parte delle nuove leve e del personale penitenziario già in servizio proviene proprio da quelle regioni;
   del resto nella Campania l'altra scuola di formazione di Portici è anch'essa destinata ad essere soppressa atteso che è collocata nell'area cosiddetta «rossa» dell’interland vesuviano in un sito storico, sottoposto, non solo a vincolo, ma, per le cui condizioni, di inagibilità, interessanti gran parte del plesso, eventuali ristrutturazioni comporterebbero grande impegno economico;
   l'istituzione del sito formativo di Aversa aveva come fine la riunione delle due scuole con concentrazione del personale e delle attività;
   di fatti anche per il personale della «Banda musicale» della polizia penitenziaria attualmente ospitata a Portici era stata creata in Aversa un'apposita sala per le esercitazioni;
   le esigenze esposte nella nota del dottor Pagano sono in gran parte fondate, ma comunque tali da non giustificare in alcun modo la soppressione di una scuola diventata per la didattica e per i numerosi convegni e seminari che ospita frequentemente punto di riferimento nazionale e prestigioso luogo di crescita professionale, culturale e sociale;
   ferme restando le giustificate e condivisibili necessità di porre a disposizione del tribunale Napoli-nord ulteriori spazi, risulta all'interrogante che l'amministrazione comunale di Aversa, a conferma del forte sostegno dato sempre alla Scuola e allo scopo di scongiurarne la soppressione, ha messo a disposizione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria un capiente e prestigioso edificio sito all'interno del complesso della «Maddalena», esteso vari ettari e adibito nel lontano passato ad ospedale psichiatrico. Per di più, risulta all'interrogante, sempre l'amministrazione comunale di Aversa si è dichiarata pronta e disposta a ristrutturare a proprie cure e spese, secondo le indicazioni che è pronta a recepire, l'intero suddetto immobile per adattarlo alle esigenze della scuola;
   è di tutta evidenza che tale immediata e concreta disponibilità consente all'Amministrazione penitenziaria di mantenere in vita, a costo zero, la scuola ad Aversa, anche tenendo presente le richiamate direttive governative di un generale e severo programma di ristrutturazione del comparto didattico, e soprattutto di «ripagare» un territorio che ha in ogni momento mostrato sostegno, calore e riconoscenza al Corpo di polizia penitenziaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti più sopra esposti;
   se il Ministro interrogato abbia realmente disposto di sopprimere la scuola di polizia penitenziaria di Aversa;
   se, in caso positivo, alla luce della pronta e concreta disponibilità offerta dall'amministrazione comunale di Aversa, non ritenga di rivedere una decisione che penalizza una città ed un territorio che hanno sempre entusiasticamente e concretamente mostrato vicinanza, sostegno ed attaccamento alla scuola penitenziaria;
   se alla luce delle sopra accennate novità che incidono significativamente anche sui conti economici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non si ritenga di soprassedere rispetto alla volontà di chiudere un così importante presidio di formazione e di legalità. (4-06743)

  Risposta. — Il tema della soppressione della scuola di polizia penitenziaria di Aversa, sollevato dagli interroganti con l'interrogazione in esame, rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Nel caso delle scuole di formazione, in particolare, è stata effettuata una valutazione complessiva, che ha tenuto conto di fattori oggettivi, quali: la contrazione delle assunzioni di nuovo personale, contenute in due decimi (e – ma solo per deroga – in cinque decimi) delle unità cessate nell'anno precedente; la riduzione a 6 mesi della durata del corso di formazione degli allievi agenti ed il conseguente accorciamento del periodo di utilizzo delle strutture formative; la razionalizzazione e la riduzione dei corsi di aggiornamento, legate alle esigenze di contenimento dei costi.
  Già dal 2010 la competente articolazione ministeriale, nel procedere ad una ricognizione complessiva delle strutture destinate alla formazione del personale, aveva prospettato l'opportunità di ridurne il numero, risultando l'offerta sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze dell'amministrazione.
  Sulla scorta di tale analisi, nel 2012 era stata proposta al Ministro allora in carica una bozza di decreto che, pertanto, prevedeva la soppressione di tre delle nove strutture formative ed, in particolare, quelle di Monastir e di Portici.
  In un secondo momento, quando vennero istituiti nel 2013 i nuovi Uffici giudiziari di Napoli nord, si impose l'esigenza di coordinare e comporre necessità diverse, che si trovarono a concorrere.
  La Scuola di Aversa, in tale contesto, venne sostituita a quella di Portici, in ragione della sua materiale ubicazione. La stessa si trovava, infatti, situata in una struttura che si prestava, logisticamente e geograficamente, ad accogliere adeguatamente i nuovi uffici giudiziari, essendo localizzata in un'area cruciale per il contrasto alla criminalità organizzata, come peraltro segnalato anche dal Presidente del Tribunale e dal Procuratore della Repubblica territorialmente competenti.
  L'azione di razionalizzazione, cui si è accennato in premessa, è successivamente proseguita, attraverso la previsione contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», con cui è stato ridotto a 300 unità l'organico della dirigenza penitenziaria. In coerenza con la scelta operata, il successivo decreto ministeriale 2 marzo 2016, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di riconoscere priorità funzionale agli istituti penitenziari, ha destinato a questi ultimi le risorse dirigenziali, prima assegnate ai provveditorati soppressi, nonché quelle recuperate dalla riduzione dei posti di funzione dirigenziale a livello centrale e delle Scuole.
  All'esito di tale complessiva rivisitazione dell'assetto organizzativo, sono state mantenute le Scuole di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma, è sono state previste come articolazioni ministeriali non dirigenziali della Direzione generale della formazione le strutture formative di Verbania, Parma e Sulmona.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i voucher sono stati introdotti, nell'ordinamento italiano, dalla legge delega n. 30 del 2003 (articolo 4, comma 1, lettera d)) per regolamentare la retribuzione delle prestazioni occasionali di lavoro di tipo accessorio, poi disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003 (articoli 70-73);
   lo scopo era chiaramente quello di favorire l'emergere del lavoro nero e di consentire anche il pagamento di lavori occasionali e discontinui (come il giardinaggio, l'assistenza domestica, le ripetizioni private), per prestazioni di lavoro accessorie;
   con i successivi interventi normativi – legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010) e decreto legislativo n. 81 del 2015 – sono state introdotte significative novità rispetto al campo di applicazione che di fatto è stato esteso a tutte le categorie lavorative;
   ciò ha prodotto un progressivo aumento del numero di voucher. Il rapporto dell'INPS ha confermato il boom anche per il 2015:115 milioni di buoni-lavoro staccati da gennaio a dicembre, contro i 69 milioni del 2014 e i 36 milioni del 2013. Un aumento nazionale del 67,5 per cento in dodici mesi;
   il ricorso ai buoni lavoro è concentrato nel nord del Paese, e in particolare nel nord-est, che con 82 milioni di voucher venduti incide per il 38,7 per cento. La Lombardia, con 37,5 milioni, è la regione in cui sono stati venduti più buoni lavoro, seguita dal Veneto (29,9 milioni) e dall'Emilia-Romagna (26,3 milioni), ma si sta estendendo anche al sud;
   oggi i settori di maggior impiego del voucher sono il commercio (18,0 per cento), il turismo (13,7) e i servizi (13), mentre solo il 6 per cento ormai è venduto nel settore agricolo e appena il 3 per cento nei servizi domestici, le tipologie per cui era nato;
   alcune inchieste giornalistiche evidenziano delle storture nell'uso di voucher che, nati per contrastare il lavoro nero, di fatto invece lo alimenterebbero e lo proteggerebbero, in particolare mediante aggiramento del vincolo che si tratti di lavoro accessorio;
   dietro un singolo voucher si nasconderebbero, ad esempio, giornate di lavoro non regolamentate: è facilissimo impiegare un lavoratore in modo continuativo ma far emergere solo un'ora – un voucher di lavoro, da esibire in caso di infortunio o di ispezione. Infatti, non è necessario specificare quando si userà il voucher, ma solo l'arco di tempo (30 giorni) di «presunto» utilizzo;
   c’è chi parla addirittura di una nuova classe sociale, i nuovi poveri che, nonostante lavorino, vivono appena sopra il limite di sussistenza, o addirittura al di sotto. I buoni lavoro spesso rappresentano non un lavoro accessorio, ma l'unico mezzo di sostentamento di lavoratori svantaggiati che non hanno diritti, non maturano il trattamento di fine rapporto, non maturano ferie, non hanno diritto ad ammalarsi, a curarsi, a maternità o paternità, a ottenere un mutuo per la casa, al congedo matrimoniale, al permesso per accudire i figli malati, agli assegni familiari;
   l'uso di voucher inoltre sta dando corpo anche a due categorie di datori di lavoro: quelli che rispettano la norma e trasformano il rapporto accessorio in contratto non appena l'impiego diventa stabile e quanti continuano a suddividere illegalmente l'impiego stabile in più rapporti accessori;
   si afferma di imprenditori che una volta passato il controllo dei carabinieri del nucleo di tutela del lavoro hanno disattivato il voucher. Attivando il voucher tutti i giorni per una sola ora e disattivandolo a fine giornata porta alla conseguenza dell'impossibilità di contestare il lavoro nero;
   l'Inps non ha nessuna banca dati sulle disattivazioni e ha un'attività ispettiva limitata: può solo controllare il rispetto dei limiti di 7000 euro per lavoratore e 2000 per committente, ma non può entrare nel merito della prestazione lavorativa;
   il tema è sociale, ma anche economico; oltre all'aggiramento del vincolo di lavoro accessorio c’è tutto il tema dell'elusione fiscale e dei rimborsi a seguito di denunce di infortuni coperti da voucher. Nei 10 euro all'ora del ticket, il contributo Inail è standard: 70 centesimi. Che si tratti di un potatore arrampicato su un albero o di un'insegnante di greco, il versamento anti-infortuni è lo stesso. Così i rimborsi agli incidenti da «lavoro accessorio» ricadono sulla fiscalità generale. E gli infortuni, seppure pochi, accadono sempre più spesso –:
   quali urgenti iniziative di competenza, volte ad intensificare i controlli sugli abusi esposti in premessa e a dare seguito agli strumenti normativi attualmente previsti per il lavoro accessorio, intenda adottare perché il travaso da lavoro «standard» verso le mere «prestazioni» non cresca ulteriormente. (4-12456)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'utilizzo dei buoni lavoro (cosiddetto voucher) per le prestazioni di lavoro accessorio, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno precisare che il lavoro accessorio, introdotto dal decreto legislativo n. 276 del 2003, si sostanzia in una particolare modalità lavorativa la cui precipua finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite per l'appunto accessorie, non riconducibili a forme tipiche di contratto di lavoro e svolte in modo saltuario ed occasionale da soggetti considerati, nella maggior parte dei casi, di difficile occupabilità.
  Si è inteso, in tal modo, regolarizzare attività normalmente saltuarie e marginali svolte «in nero» nell'intento di assicurare ai prestatori di lavoro un minimum di tutele previdenziali ed assicurative. Il pagamento della prestazione accessoria avviene unicamente attraverso lo strumento dei buoni lavoro (voucher) non essendo ammesse modalità retributive diverse.
  L'originaria disciplina del lavoro accessorio ha subito una radicale trasformazione con la legge n. 92 del 2012 (cosiddetta Riforma Fornero) e, successivamente, con il decreto legge n. 76 del 2013 che hanno eliminato le limitazioni di tipo oggettivo (attività esercitabili) e soggettivo (soggetti legittimati a prestare lavoro accessorio) e fatto venir meno la natura occasionale dell'istituto.
  Conseguentemente, tale categoria di lavoro è stata definita dai soli limiti economici dei compensi percepiti dal prestatore di lavoro a prescindere dalla tipologia di attività svolta, identificandosi, dunque, con l'insieme delle prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità di committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare e, con riferimento a ciascun singolo committente, ad un compenso superiore a 2.000 euro.
  L'obiettivo del legislatore, con questi interventi di modifica, era certamente quello di estendere il ricorso ad un istituto volto principalmente a favorire l'emersione del lavoro irregolare, principalmente tra soggetti privi di una stabile occupazione o che si trovassero in fase di transizione da un'occupazione ad un'altra.
  La materia è stata successivamente ridisciplinata con il decreto legislativo n. 81 del 2015, emanato in attuazione del Jobs Act, che ha innalzato a 7.000 euro il compenso massimo annuale che ciascun prestatore di lavoro può ricavare con riferimento alla totalità dei committenti, mantenendo invece inalterato il limite di 2.000 euro per le attività svolte in favore di ciascun singolo committente. È stato altresì introdotto il divieto del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito della esecuzione di appalti.
  Inoltre, al fine di favorirne la tracciabilità, il decreto legislativo n. 81 del 2015 ha previsto che i voucher possano essere acquistati esclusivamente con modalità telematiche e che, prima dell'inizio della prestazione, i committenti siano tenuti a comunicare alla competente Direzione territoriale del lavoro i dati anagrafici, il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi. In assenza predetta della comunicazione preventiva, la prestazione resa dal lavoratore avrebbe dovuto essere considerata quale prestazione di fatto, e come tale in «nero», con la conseguente irrogazione della cosiddetta maxi sanzione da parte del personale ispettivo.
  Tanto premesso, si rappresenta che, ai fini di un corretto utilizzo dei buoni lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inps, in qualità di concessionario del servizio di gestione dei voucher, hanno fornito chiarimenti e precisazioni in ordine agli ambiti di utilizzo degli stessi mediante diversi atti regolamentari (circolari, messaggi e pareri). In tal senso, il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con lo status di lavoratore subordinato se impiegato presso lo stesso datore di lavoro; parimenti, il ricorso al lavoro accessorio è stato considerato incompatibile con prestazioni aventi carattere di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli ed elenchi professionali qualificati.
  Inoltre, sull'utilizzo dei voucher, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con l'Inps, ha effettuato una attività di monitoraggio e di valutazione i cui risultati sono stati illustrati in un apposito report pubblicato, il 22 marzo 2016, nel sito del Ministero. L'analisi sintetizzata nel rapporto consente di escludere che i voucher siano stati utilizzati per sostituire rapporti di lavoro stabili con prestazioni occasionali e di ritenere invece che l'aumento del ricorso ai voucher sia stato verosimilmente favorito dalle restrizioni all'utilizzo del lavoro a progetto e delle altre forme di contratti flessibili introdotte dal decreto legislativo n. 81 del 2015. Nel report si rileva inoltre che, negli ultimi anni, l'importo medio percepito da ciascun lavoratore mediante il lavoro accessorio è rimasto costante, nella misura di circa 630 euro annui. Tale circostanza induce a ritenere che sulla crescente diffusione dell'istituto non abbiano inciso in maniera significativa le modifiche introdotte dal jobs act in materia di lavoro accessorio.
  Si aggiunge inoltre che, il 7 ottobre 2016, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il decreto legislativo n. 185 del 2016 recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in attuazione del jobs act. Tale decreto ha rafforzato la tracciabilità dei voucher al fine di evitare eventuali distorsioni nell'uso di tale strumento e di preservarne la finalità originaria volta a far «emergere» quelle prestazioni che non possono essere disciplinate attraverso le forme di lavoro stabile previste dalla legislazione vigente. Si introduce così una modalità di controllo analoga a quella già in essere per il cosiddetto Job on call (lavoro a chiamata) al fine di impedire possibili comportamenti illegali ed elusivi da parte di quelle imprese che acquistano il voucher, comunicano l'intenzione di utilizzarlo ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte di un ispettore del lavoro.
  Nello specifico, si prevede che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti debbano comunicare alla competente sede territoriale dell'ispettorato Nazionale del Lavoro – mediante sms o posta elettronica e almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione lavorativa – i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando altresì il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. Invece, i committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare – nel medesimo termine e con le stesse modalità – solo i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni.
  Il legislatore, in tal modo, ha voluto tenere conto della specificità del lavoro agricolo e della difficoltà dei committenti imprenditori agricoli di prevedere ex ante la durata delle prestazioni e il numero esatto di lavoratori da utilizzare a causa del condizionamento dell'attività agricola da parte di fattori meteorologici.
  Per quanto concerne l'attività di controllo sui voucher, si precisa che nel Documento di programmazione dell'attività di vigilanza per il 2016, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto, tra gli obiettivi primari di attenzione degli organi ispettivi, la verifica sul corretto utilizzo dei voucher.
  Inoltre, l'attività di vigilanza sarà resa più efficace grazie alla costituzione dell'ispettorato del lavoro: infatti, l'affidamento a tale organo della gestione unitaria delle attività in precedenza svolte dagli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps e dell'Inail consentirà di unificare e potenziare le ispezioni nelle imprese. Anche quest'ultimo intervento conferma l'intenzione e la volontà del Governo e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti quei comportamenti che sfruttano il lavoro e alterano la corretta concorrenza tra le imprese.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 novembre 2014 un vasto invaso, nel quale erano stati abbandonati negli ultimi tempi rifiuti di ogni tipo, è stato sequestrato dalla polizia nella zona di via Ripuari a Giugliano, in provincia di Napoli;
   nella discarica i poliziotti sono stati ritrovati scarti di amianto, fusti contenenti liquidi la cui natura deve essere accertata e numerosi pneumatici di auto e camion;
   le indagini sono partite a seguito di una serie di segnalazioni di roghi tossici nell'area, appiccati soprattutto nelle ore notturne;
   tali roghi sprigionavano nell'aria fumi maleodoranti, come ripetutamente denunciato dalle associazioni ambientaliste della zona;
   i rifiuti speciali in questione erano disseminati per oltre un chilometro;
   i fatti narrati sono riportati nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Mattino» del 26 novembre 2014 dal titolo «Giugliano. Discarica abusiva: la polizia sequestra un chilometro di strada» e nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «La Repubblica» del 26 novembre 2014 dal titolo «Giugliano, sequestrata discarica in via Ripuaria» –:
   quali iniziative intenda assumere per contribuire a fare chiarezza sulla situazione;
   se non ritenga doveroso aumentare i controlli per non permettere ulteriori sversamenti in quell'area;
   se non ritenga urgente assumere iniziative al fine di agevolare tutte le azioni necessarie al recupero della grave situazione ambientale in essere. (4-07052)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il comando provinciale di Napoli del corpo forestale dello Stato ha riferito di non avere informazioni relative all'abbandono di rifiuti in via Ripuaria nel comune di Giugliano in Campania (NA), in quanto non ha preso parte alle attività correlate alla problematica in questione, così come il comando dei carabinieri per la tutela dell'Ambiente, che ha comunicato di non essere intervenuto sul sito in oggetto.
  L'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (Arpac) ha riferito di aver effettuato in data 3 luglio 2014 sopralluoghi per l'identificazione dei rifiuti sversati abusivamente in diversi siti del comprensorio del comune di Giugliano.
  Con particolare riferimento alla via Ripuaria, oggetto dell'interrogazione in parola, sono stati effettuati dei sopralluoghi nei pressi del IV circolo didattico in corrispondenza della ex isola ecologica e all'altezza del circolo didattico stesso.
  In quest'ultimo caso il sito si presentava chiuso e completamente recintato con inferriate metalliche e teli oscurati. Per quanto è stato possibile osservare, erano presenti diversi grossi sacchi neri del tipo utilizzato per i rifiuti solidi urbani (Rsu), di cui non è stato possibile accertare il contenuto.
  Nei pressi della ex isola ecologica, area chiusa con barriere new-jersey di cemento con muri in cemento armato e reti metalliche, sono stati rinvenuti cumuli di rifiuti costituiti da ingombranti in diversi materiali (materassi, carcasse di frigoriferi privi di parte metallica, intelaiature in legno, pneumatici fuori uso, tubi catodici privi della componente di rame deflettore) e rifiuti urbani indifferenziati.
  La prefettura di Napoli ha comunicato che nel comune di Giugliano si sono verificati, all'inizio della stagione estiva 2015, frequenti eventi incendiari, alcuni dei quali in prossimità di siti già destinati a discarica. Sulla base di quanto riferito, tali episodi non appaiono riconducibili ad un'unica matrice e solo alcuni sarebbero causati dall'illegale smaltimento dei rifiuti urbani.
  A tale proposito, nel corso della riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 21 luglio 2015, alla quale hanno partecipato il sindaco di Giugliano e il Procuratore della Repubblica di Napoli nord, è stato disposto un rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sui siti maggiormente interessati dagli incendi, anche con la rimodulazione del contingente militare già operante nell'area, che è stato in parte impiegato nella sorveglianza fissa di alcune zone del territorio di Giugliano, ritenute strategiche per il controllo delle strade di collegamento verso i siti di stoccaggio abusivo dei rifiuti.
  Infine, si evidenzia che il comune di Giugliano, interessato all'argomento con nota del 18 novembre 2015, ad oggi non ha fornito alcuna risposta.
  Ad ogni modo, si segnala che la legge del 22 maggio 2015, n. 68 recante «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», ha introdotto nel libro II del codice penale il Titolo VI-bis, dedicato interamente ai delitti contro l'ambiente.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 novembre 2011 la società Riccoboni spa, con sede a Parma, ha presentato alla provincia di Alessandria domanda di pronuncia di compatibilità ambientale per progetto di discarica di «rifiuti non pericolosi» di oltre 1.700.000 metri cubi in loc. Casc. Borio del comune di Sezzadio (AL);
   l'area sulla quale il progetto insiste è catalogata dal piano di tutela delle acque (PTA) della regione Piemonte come area di « ricarica delle falde utilizzate per uso umano» e di «RISE», acquiferi di riserva con valenza strategica per le generazioni future (ma, ad oggi, a distanza di nove anni dalla sua nascita, la regione Piemonte non ha ancora definito le disposizioni attuative previste dallo stesso piano di tutela delle acque). Infatti, in tali zone le attività di smaltimento rifiuti risultano incompatibili proprio ai sensi dell'articolo 24 dello stesso piano di tutela delle acque. La stessa regione Piemonte, con nota prot. n. 19043/DB10:00, a seguito di specifica richiesta della provincia di Alessandria afferma testualmente che «viene pertanto riconosciuta l'importanza idrogeologica della zona; il Piano di Tutela delle Acque infatti la considera tra le zone ad elevata qualità indicate come riserve idriche da proteggere. Per quanto di nostra stretta competenza, pur in assenza delle disposizioni attuative di cui al comma 6 dell'articolo 24 delle norme di piano, si rileva che, in applicazione del principio precauzionale introdotto dalle Direttive 2000/60/CE ”Quadro per l'azione Comunitaria in materia di acque” e 2006/118/CE ”Protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento”, il sito prescelto non risulta pienamente idoneo per ubicazione e caratteristiche, ad ospitare un impianto di discarica dal momento che l'intervento interessa un territorio che sovrasta un sistema idrico sotterraneo estremamente vulnerabile e vulnerato.»;
   la città di Acqui Terme a fronte delle ripetute emergenze idriche che l'avevano coinvolta nei primi anni 2000 e che avevano portato alla richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza, ha realizzato negli anni successivi un progetto che collega il comune di Acqui Terme con il campo pozzi di Predosa, comune confinante con il territorio interessato dall'opera, nel cui sottosuolo è presente il bacino idrico interessato. L'opera di interconnessione (una tubazione di circa 25 chilometri), realizzata con il parziale contributo finanziario APQ Stato/regione Piemonte con un costo finale di circa dieci milioni di euro è stata messa in funzione nel 2008 risolvendo definitivamente i problemi idrici della città. La stessa opera è stata realizzata con una finalità ulteriore di poter sopperire alle emergenze idriche dei comuni limitrofi e, ad oggi, già rifornisce oltre al comune di Acqui Terme, numerosi altri comuni della Valle Bormida;
   al termine dell’iter amministrativo di valutazione di impatto ambientale (durato due anni), in data 26 febbraio 2014 la giunta provinciale con la delibera n. 60 npg 20811, ha espresso parere negativo; nel documento si legge «si ritiene non acquisibile il giudizio di compatibilità ambientale positivo del progetto presentato e successivamente modificato in fase istruttoria, considerato l'esito dei lavori compiuti dalla quarta conferenza dei servizi». Ma tale delibera è stata impugnata dalla società Riccoboni S.p.A. con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte n. 606/2014 r.g. presentato in data 5 gennaio 2015. Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con sentenza n. 318/2015 del 18 febbraio 2015, ha accolto (in tempi a giudizio degli interroganti, inusualmente rapidi ed entrando nel merito tecnico senza peraltro nominare alcun consulente tecnico d'ufficio) il ricorso presentato;
   il comune di Sezzadio ha presentato appello al Consiglio di Stato per l'annullamento e/o riforma, previa sospensione dell'esecuzione della sentenza, il quale con ordinanza 3476/2015 del 30 luglio 2015 ha respinto l'istanza cautelare (la sospensiva) rimandando di fatto ogni decisione alla sentenza che ad oggi deve ancora essere emessa;
   ad oggi ben 24 comuni della Valle Bormida (che a breve diverranno 26), con capofila il comune di Acqui Terme, si sono riuniti in convenzione al fine di tutelare una falda acquifera di enorme importanza per il futuro del territorio e delle future generazioni;
   nonostante la stessa provincia avesse a suo tempo rigettato il progetto, in data 17 febbraio 2016, con decreto del presidente della provincia venivano autorizzati, contro ogni logica aspettativa, l'inizio dei lavori della discarica;
   a seguito di questo decreto alcuni dei comuni firmatari della convenzione hanno presentato al Tribunale amministrativo regionale tre distinti ricorsi contro tale autorizzazione;
   tale progetto si colloca all'interno di un progetto più ampio della società Riccoboni Holding di lavorazione e di smaltimento di rifiuti tossici nocivi e di terre ed acque contaminate nei comuni di Sezzadio e Predosa che insistono totalmente al di sopra di questa importantissima area;
   il territorio della Valle Bormida è stato inserito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri tra le aree «ad elevato rischio di crisi ambientale» a seguito di oltre 100 anni di inquinamento dovuti all'ACNA di Cengio. La Valle Bormida e nel complesso la provincia di Alessandria sono caratterizzati da un'economia agricola di eccellenza che da questo progetto industriale e dai pericoli che lo stesso comporterebbe, potrebbero subire conseguenze devastanti –:
   se il Ministro interrogato in nome del «principio di precauzione», espresso anche dalla Provincia di Alessandria, non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché possa essere garantita la concreta salvaguardia di un'area strategica come questa, ricca di pregiate falde acquifere sotterranee, che potrebbe essere fortemente compromessa dalla realizzazione dell'impianto in questione. (4-14158)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la realizzazione del progetto di discarica di rifiuti non pericolosi in località Cascina Borio del comune di Sezzadio (AL), ricadente nell'area catalogata dal piano tutela delle acque (Pta) della regione Piemonte come area di «ricarica delle falde utilizzate per uso umano» e di «RISE», sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si deve precisare che il rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di gestione dei rifiuti è delegato alla regione interessata e che la tutela delle acque è prevista nella parte III del decreto legislativo n. 152 del 2006. In particolare, l'articolo 94 del suddetto decreto disciplina le aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, introducendo al comma 3, il concetto di zona di tutela assoluta e al comma 4 quello di zona di rispetto che vieta di insediare una serie di attività, tra cui al punto h) la gestione rifiuti.
  Tanto premesso, con specifico riferimento al caso di specie e sulla base di quanto riferito dalla provincia di Alessandria, la stessa ha richiesto alla regione Piemonte di indicare se sussistano norme in vigore di cui al citato piano di tutela delle acque che consentano di diniegare l'autorizzazione per la realizzazione del progetto in questione.
  In esito a tale approfondimento, la regione ha risposto che, allo stato, non esistono norme tecniche di attuazione, riferite alle aree di ricarica delle falde indicate dal Pta, che individuino vincoli o limitazioni di uso di tali aree, precisando altresì che comunque le valutazioni circa l'ammissibilità dell'impianto possono essere compiutamente valutate nell'ambito del procedimento di valutazione di impatto ambientale in corso presso la provincia.
  Anche a seguito di tale considerazione, il procedimento è stato sospeso ed è stato istituito un tavolo tecnico tra i tecnici partecipanti alla conferenza dei servizi ed il proponente, tavolo ove si sono discusse sia le modalità che i risultati degli approfondimenti idrogeologici da effettuare sull'area in esame, con particolare riferimento alle possibili interferenze con le falde profonde.
  Fondamentale, secondo la provincia, è stata l'espressione finale del parere di Arpa in merito ai lavori del tavolo tecnico, avendo la stessa valutato che nell'area in cui è stata individuata la nuova discarica non sussiste il pericolo di interessamento della falda profonda attualmente utilizzata per l'approvvigionamento idropotabile, pur evidenziando la presenza di una falda profonda di alta qualità e suggerendo nel contempo che qualora venisse autorizzata la discarica sarebbe opportuno prescrivere la realizzazione di un anello di piezometri di controllo molto fitto attorno all'impianto così da poter monitorare con certezza la tenuta nel tempo della discarica stessa e poter intervenire tempestivamente in caso di problematiche.
  Nonostante le conclusioni del tavolo tecnico, la provincia ha diniegato l'autorizzazione e la ditta ha proposto ricorso al Tar contro il provvedimento provinciale. Il Tar ha decretato la soccombenza della provincia e nella parte dispositiva ha ordinato alla stessa di riformulare l'atto conclusivo della conferenza dei servizi in senso positivo. Da qui il successivo decreto del Presidente della provincia di Alessandria che, adeguandosi a quanto sentenziato dal Tar, ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale imponendo peraltro tutte quelle prescrizioni tecniche costruttive che devono garantire la maggior tutela ambientale possibile, richieste peraltro dalla stessa conferenza dei servizi e molto restringenti anche rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 36 del 2003 che è la norma tecnica di recepimento della cosiddetta direttiva europea discariche ed oggi ritenuta Bat (Best available tecnique) per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale.
  Alla luce delle considerazioni esposte, la provincia di Alessandria evidenzia, dunque, che non sussistono ad oggi norme di diritto che permettano il diniego dell'autorizzazione per il principio di precauzione, tenuto conto che gli approfondimenti tecnici stabiliscono, anche se solo localmente, la mancanza di un evidente pericolo e che l'impianto risulta conforme alle Bat europee. Pertanto, la stessa provincia ha rilasciato l'autorizzazione alla realizzazione dell'opera.
  Si rappresenta, altresì, che della questione sono interessate altre amministrazioni e, pertanto, non appena dovessero giungere nuovi elementi informativi, si provvederà agli opportuni aggiornamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare le attività in corso, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autorità portuale di Venezia ha elaborato il progetto dello scavo di un canale all'interno della laguna di Venezia denominato «Canale Tresse nuovo — interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella laguna di Venezia» per consentire l'attracco delle grandi navi crociera in Marittima, terminal situato nella città di Venezia;
   il suddetto progetto è stato presentato alla regione Veneto ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'11 novembre 2015, dopo che il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e il presidente dell'autorità portuale, Paolo Costa, avevano presentato il progetto alla stampa il 3 novembre 2016;
   il canale che, secondo il progetto dovrebbe collegare il canale dei Petroli con il Vittorio Emanuele per portare le grandi navi in Marittima, sarebbe nella sua ultima versione lungo 2,2 chilometri, dei quali 1,2 di escavo ex novo del fondo lagunare e 1 chilometro circa di attraversamento dell'isola artificiale detta «delle Tresse»;
   la profondità del canale è prevista di circa 10 metri e la larghezza al fondo (la «cunetta») sarebbe di 90 metri in rettifilo e di 120 nell'amplissima curva, digradante poi verso la superficie con ulteriori 60 metri per ognuno dei due lati, per una larghezza totale di ben 240 metri;
   la realizzazione dell'opera, i cui costi si aggirano intorno ai 140 milioni di euro, prevede le seguenti macro-attività: attività di spostamento di sottoservizi interferenti con le opere (oleodotto, elettrodotto), ricerca masse ferrose presenti nell'area, adeguamento dell'isola delle Trezze con spostamento di circa 1,5 milioni di metri cubi di materiale presente, interventi di dragaggio di circa 3 milioni di metri cubi, opere accessorie quali bricole e segnalamenti luminosi, interventi di manutenzione straordinaria dei canali esistenti di raccordo Malamocco-Marghera e Vittorio Emanuele III;
   il progetto di scavo del nuovo canale-tracciato, che costituisce la via di navigazione per il transito delle grandi navi crociera, è tutto interno alla laguna di Venezia la quale fa parte del distretto idrografico delle Alpi Orientali e della specifica «Subunità idrografica del bacino scolante, laguna di Venezia e mare antistante»;
   l'area su cui insiste il progetto è quindi di evidente e rilevante pregio ambientale per la presenza di habitat acquatici e terrestri e risulta altresì sottoposta a regime di tutela della qualità ecologica prevista da specifiche direttive europee;
   in tale contesto, al fine di raggiungere le finalità proprie della direttiva 2000/60/CE, esiste un piano di gestione che contiene una descrizione e classificazione dei corpi idrici lagunari (la laguna è suddivisa in 14 corpi idrici), la cui qualità (stato ecologico) doveva nel 2015 raggiungere e mantenere lo stato «buono» e ciò a fronte di una laguna di Venezia i cui corpi idrici sono stati classificati tutti «a rischio»;
   come è noto, la laguna di Venezia è ormai da alcuni decenni in preda a intensi processi erosivi che ne stanno profondamente modificando la morfologia. Le conseguenze di tali processi hanno importanti riflessi funzionali sull'intero «sistema laguna», condizionandone l'idrodinamica ed il ricambio delle acque, soprattutto nelle zone idraulicamente più lontane dalle bocche di porto, come quella su cui insiste il progetto di cui in premessa;
   ad avviso degli interroganti il progetto presentato dall'autorità portuale di Venezia contiene numerosi aspetti critici che si riscontrano sia nella fase di attuazione, che di esercizio, in particolare per quanto riguarda le ricadute negative sull'equilibrio idromorfologico ed ecologico della laguna;
   il sindaco Brugnaro e il presidente di autorità portuale Costa, in audizione presso la commissione ambiente del Senato l'11 marzo 2016, hanno difeso di recente il canale Tresse Nuovo come «unica soluzione possibile» per portare le grandi navi fuori da San Marco;
   al contrario, ad avviso degli interroganti, il progetto distruggerebbe l'originale articolazione di quota, con danni preoccupanti per il migliore funzionamento idraulico della laguna; modificherebbe l'assetto delle correnti di marea, favorendo l'erosione dei fondali; sposterebbe la fascia di partiacque fra la bocca di Malamocco e quella del Lido; provocherebbe conseguenze negative sulla morfodinamica per l'interazione fra il campo di moto locale indotta dalla navigazione lungo il canale di una grande nave crociera, i fondali del canale stesso e i bassifondi che lo affiancano; ridurrebbe il ricambio idraulico in una zona che proprio per problemi di tale natura e rischio di anossie presenta già uno stato ecologico definito «scarso»;
   inoltre, complessivamente, il progetto non contribuirebbe, a giudizio degli interroganti, a superare l'attuale stato di degrado che la laguna sta subendo, né a rimuovere le cause che lo producono, ma anzi le aggraverebbe, rappresentando esso stesso un fattore attivo di produzione di degrado e contribuendo a rendere impossibile il conseguimento di quegli obbiettivi che la direttiva comunitaria relativa alla qualità degli ambienti acquei n. 2000/60 prevede –:
   come i Ministri interrogati ritengano, per quanto di competenza, alla luce delle considerazioni riportate in premessa, che l'attuazione del progetto «Canale Tresse nuovo» si concili con la direttiva comunitaria sulle acque n. 2000 del 1960, recepita dall'Italia con il decreto legislativo n. 152 del 2006, Testo unico dell'ambiente; e se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non intenda sospendere l’iter di valutazione del suddetto progetto, avviato presso la commissione di valutazione di impatto ambientale. (4-12649)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In data 26 aprile 2016, successivamente all'entrata in vigore della nuova disciplina in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in qualità di autorità proponente, ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la documentazione e l'istanza per l'intervento denominato «Progetto Preliminare Canale Tresse nuovo – Interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella laguna di Venezia».
  Atteso che la commissione tecnica di questo Ministero per la verifica dell'impatto ambientale e la valutazione ambientale strategica (Commissione VIA e VAS) ha ritenuto che tale progetto preliminare «si configuri come relativo ad un'opera nuova, distinta ed originale progettazione» da non considerare, quindi, variante al progetto del canale Contorta, sono in corso consultazioni tecniche con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di conoscere in tale ipotesi il corretto iter autorizzativo, a seguito dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 50 del 2016.
  Ciò premesso, con riferimento alla normativa comunitaria in materia di tutela delle acque, si segnala che nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2015, su proposta della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato approvato il decreto legislativo n. 172 del 2015 «Attuazione della direttiva 2013/39/UE, che modifica le direttive 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque».
  Il provvedimento modifica alcune disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo unico ambientale), e riguarda gli standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque. L'obiettivo è combattere l'inquinamento idrico rafforzando il monitoraggio dello stato delle acque.
  Il decreto aggiorna, recependo le indicazioni della normativa europea, gli elenchi delle sostanze chimiche ritenute maggiormente pericolose con 12 nuove sostanze tra cui componenti contenuti in prodotti fitosanitari, sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione, rivedendo inoltre i livelli di concentrazione di altre 7 sostanze già incluse nell'elenco, in linea con i parametri indicati dall'Unione europea. Vengono definiti anche i termini e le modalità certe con cui eseguite il monitoraggio sulle acque e contestualmente viene introdotto l'obbligo di un continuo controllo delle sostanze presenti nell'elenco definito dalla Commissione europea.
  Le regioni e le province autonome, avvalendosi delle agenzie regionali per l'ambiente, applicano gli standard di qualità ambientale (SQA), con l'obiettivo di raggiungere il buono stato chimico delle acque entro il 2021 per le sostanze individuate in passato ed entro il 2027 per le nuove sostanze individuate.
  Ad ogni modo, nel corso dell'esame istruttorio della commissione VIA e VAS, la valutazione di impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto:
   essa deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.

  Più specificatamente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988, «Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità» stabilisce che la valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
   l'uomo, la fauna e la flora;
   il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
   i beni materiali ed il patrimonio culturale;
   l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo trattino.

  La valutazione deve altresì comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Nella fattispecie, nel corso delle istruttorie tecniche della commissione VIA e VAS, saranno tenuti in debita considerazione i problemi relativi all'impatto del transito delle grandi navi in laguna e degli scavi di nuovi canali per realizzare vie d'acqua di accesso alternative a quelle dei canali di San Marco e della Giudecca. Saranno altresì opportunamente valutate tutte le eventuali opzioni alternative per il passaggio delle grandi navi in Laguna.
  Alla luce delle informazioni esposte, si evidenzia che i temi in esame sono all'attenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale sta valutando di attivare i necessari contatti per organizzare un apposito incontro con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per un esame congiunto e complessivo dell'intera problematica.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SPESSOTTO, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, BENEDETTI, COZZOLINO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti organici costituiti da una catena alchilica idrofobica lineare o ramificata, di lunghezza variabile (in genere da C4 a C16), completamente o parzialmente fluorurata e da un gruppo funzionale idrofilico, generalmente un acido carbossilico o solfonico;
   tali sostanze, dotate di elevata persistenza nell'ambiente e di capacità di bioaccumulo, presentano un'elevata solubilità in acqua, sono resistenti alla degradazione e possono essere trasportate a lunga distanza attraverso le acque;
   è scientificamente dimostrato come le suddette sostanze producano effetti dannosi negli organismi, sia in habitat acquatici che terrestri, soprattutto a carico del fegato, della tiroide e della fertilità e risultino in fase di classificazione da parte dell’International Agency for Research on Cancer come «sospetti cancerogeni per l'uomo»;
   inoltre, innumerevoli ricerche scientifiche hanno evidenziato come una elevata esposizione al PFOS (acido perfluoroottansolfonico) e al PFOA (acido perfluoroottanoico) – le due molecole più utilizzate e studiate tra i PFAS – possa avere conseguenze dannose per la salute della popolazione che ne viene a contatto, in quanto sostanze neurotossiche oltre che interferenti endocrini;
   si aggiunge che il PFOS, dal 2006, è classificato nella categoria degli inquinanti organici persistenti (POP) ai sensi della Convenzione di Stoccolma e inserito nell'elenco delle sostanze prioritarie della direttiva europea 2013/39/UE, che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE, per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque. La direttiva classifica i PFAS allo stesso livello di pericolosità delle diossine e dei furani;
   l'istituto di ricerche sulle acque (IRSA) del Consiglio nazionale delle ricerche ha registrato, nelle campagne di monitoraggio di maggio 2011, ottobre 2012 e febbraio 2013, una presenza abnorme di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani. In particolare, la presenza di Pfas è stata riscontrata nelle acque superficiali e sotterranee delle province di Vicenza, Verona e Padova;
   i dati di IRSA sono stati successivamente confermati dalle analisi svolte dalla Arpa Veneto, che nel rapporto del 30 settembre 2013 dal titolo «Stato dell'Inquinamento da Sostanze Perfluoroalchiliche (PFAS) in provincia di Vicenza, Padova e Verona» scrive che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva comunicato in data 4 giugno 2013 (protocollo 0060628) la «presenza anomala di PFAS in diversi corpi idrici superficiali e nei punti di erogazione pubblici delle acque»;
   la contaminazione da PFAS delle matrici ambientali, in particolare le acque interne superficiali e di falda, ha purtroppo raggiunto un livello allarmante nel Veneto, interessando un'area di circa 180 chilometri quadrati (dato dall'agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto 2015) nell'ambito delle province di Vicenza, Verona, Padova e ad oggi anche Rovigo, con settanta comuni interessati e circa 300.000 persone coinvolte;
   l'area interessata dall'inquinamento nel territorio veneto ha dimensioni tali da comprendere sia il dominio dell'acquifero intervallivo della bassa valle dell'Agno, sia il dominio degli acquiferi di media e bassa pianura delle province di Padova e Verona e sia una parte considerevole della rete idrografica (Poscola, Agno-Guà-Frassine, TognaFratta-Gorzone, Retrone, Bacchiglione, e altro), conferendo al fenomeno una valenza di scala europea;
   questo grave grado d'inquinamento, noto ormai dal 2013 a organismi ministeriali e regionali, non ha tuttavia comportato i necessari interventi su progetti ad alto impatto ambientale che, per tipologia costruttiva e utilizzo come sottoprodotti di elevati volumi di scavo, potrebbero compromettere la salute dei cittadini e dell'ambiente;
   in particolare, il progetto dell'alta velocità, relativo al primo lotto Verona Porta nuova-Bivio Vicenza prevede per le tipologie costruttive del tipo «viadotto» e «gallerie», un uso abbondantissimo di acque e infine terre e rocce da scavo come sottoprodotto;
   a titolo di esempio si citano come tipologie costruttive, a elevato impatto sulla rete idrografica inquinata da PFAS, il viadotto Alpone, il viadotto Fibbio, il viadotto d'Illasi, il viadotto San Bonifacio. Inoltre, nel quadro di riferimento progettuale del SIA relativamente all'approvvigionamento di acqua, si afferma che la fonte di adduzione per i 13 cantieri operativi sia per gli usi civili che industriali sarà l'acquedotto pubblico e/o privato;
   per quanto di conoscenza, viene anche ipotizzata la realizzazione di pozzi in cantiere per l'approvvigionamento e lo smaltimento di una rilevantissima quantità di acque civili e industriali attraverso la rete fognaria, dopo il processo di desoleazione, che evidentemente non può prevedere l'abbattimento dei PFAS;
   al pari della questione riguardante l'uso delle acque, rilevante appare altresì il problema dell'uso delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto in luogo di rifiuto per attività industriali e usi civili;
   in particolare, nel 1° lotto funzionale Verona – Bivio Vicenza si prevede la produzione di materiali di scavo per circa 3.900.000 metri cubi in banco ovvero circa 8 milioni di tonnellate e a questi si aggiungono i volumi di scavo provenienti dalla realizzazione del «Bacino a uso irriguo» previsto in sponda orografica sinistra al fiume Adige in comune di Zevio, in cui si prevede uno scavo complessivo di circa 3.090.000 metri cubi di cui 190.000 di scotico e 2.900.000 di materiale inerte;
   nel quadro riferimento progettuale del SIA si legge inoltre che: «dagli scavi saranno prodotti circa 3.880.000 mc di cui circa 1.000.000 di terreno vegetale e circa 2.800.000 di scavi vari. Nell'ambito della Linea e delle opere connesse si prevede il riutilizzo di circa 1.360.00 mc per i ripristini delle aree lungo linea, la formazione di rilevati di linea e riempimenti vari e circa 330.000 per la formazione dello strato impermeabile del Bacino ad uso irriguo di Zevio; i restanti 2.190.000 mc circa da conferire presso le cave di mercato che hanno dichiarato la preventiva disponibilità alla ricezione degli stessi nell'ambito di quanto disciplinato dal decreto ministeriale 161/2012»;
   si ricorda, infine, come l'Istituto superiore di sanità, nel parere del 7 giugno 2013, n. 22264, relativo al ritrovamento di sostanze perfluorurate nel territorio veneto, abbia espresso, in applicazione del principio di precauzione, l'opportunità e l'urgenza di adottare adeguate misure di mitigazione dei rischi, prevenzione e controllo estese alla filiera idrica sulla contaminazione delle acque da destinare e destinate a consumo umano nei territori interessati, fra cui l'adozione di approvvigionamenti alternativi o, laddove tale misura non risulti praticabile, l'adozione di adeguati sistemi di trattamento delle acque per l'abbattimento sostanziale delle concentrazioni degli analiti presenti –:
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle rispettive competenze, attivarsi affinché sia condotto, con l'urgenza richiesta dal caso, un approfondito studio di dettaglio per verificare i rischi per l'approvvigionamento idrico e per la salute pubblica derivanti dalle interferenze dei cantieri del primo lotto Verona Pv/Bivio Vicenza con la falda inquinata riferibile all'area individuata dall'ARPAV, e, in caso di risultati negativi, se intendano adoperarsi, affinché si giunga alla sospensione immediata dei lavori nell'area interessata dal tracciato dell'alta velocità;
   se l'area territoriale interessata dal progetto dell'alta velocità di cui in premessa con quanto disposto dal decreto ministeriale n. 161 del 2012 in materia di utilizzo delle terre e rocce da scavo con il principio di precauzione introdotto dall'Unione europea con il Trattato di Maastricht;
   alla luce della la mancata valutazione dei PFAS presenti nel reticolo idrografico delle province di Vicenza, Verona e Padova, nonché l'uso di tipologie costruttive che potrebbero generare impatti rilevanti sulla falda e sulle acque sotterranee, di enorme volume di terre scavate e utilizzate e delle quantità elevatissime di acque richieste per la realizzazione dell'opera, quali orientamenti abbia espresso la Commissione VIA con riferimento al piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo (PUTRS), considerati gli evidenti rischi per la salute e per l'ambiente. (4-13853)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Le sostanze perfluoroalchiliche sono composti formati da una catena alchilica di lunghezza variabile totalmente fluorurata e da un gruppo funzionale costituito da un acido carbossilico o solfonico. Le sostanze a catena lunga appartenenti a questa famiglia chimica, maggiormente utilizzate in passato sono l'acido perfluorottanoico (PFOA) e l'acido perfluorottansolfonico (PFOS).
  Il PFOA, con il regolamento (UE) n. 317/2014, è stato inserito nell'allegato XVII al regolamento (CE) n. 1907/2006 («regolamento REAC»), che stabilisce restrizioni per le sostanze tossiche per la riproduzione. Grazie a tali restrizioni, il PFOA non è più immesso sul mercato per la vendita al pubblico come sostanza o come componente di miscele di più sostanze.
  Il PFOS, con il regolamento (UE) n. 757/2010, è stato inserito, a causa delle sue proprietà di persistenza nell'ambiente e bioaccumulo, nell'allegato I al regolamento (CE) n. 850/2004, che attua la Convenzione internazionale di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti. A seguito di tale inserimento, la produzione, l'immissione in commercio e l'uso del PFOS sono stati vietati in tutti i paesi dell'Unione europea.
  Infine, con il decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172, che recepisce la direttiva 2013/39/UE per le sostanze prioritarie nel settore delle acque, è stato fissato lo « standard di qualità ambientale» relativo al PFOS.
  Per quanto riguarda le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, non sono state attivate dalla Commissione europea procedure per l'adozione di restrizioni in relazione a specifiche caratteristiche di pericolosità ambientale o sanitaria. La Norvegia ha recentemente avviato un'attività di valutazione per stabilire se una di queste sostanze (PFBS, numero CAS 375-73-5) risponda ai criteri stabiliti dal regolamento REACH per l'identificazione delle sostanze persistenti bioaccumulabili e tossiche (PBT) o molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB). Al termine di tale processo di valutazione, tutt'ora in corso, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e gli Stati membri dell'Unione europea stabiliranno se per questa sostanza perfluoroalchilica a catena corta occorra adottare specifiche misure di gestione del rischio o particolari restrizioni.
  Maggiori informazioni sulla eventuale pericolosità delle sostanze attualmente utilizzate, comprese le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, potranno essere messe a disposizione delle autorità nazionali e della Commissione europea, oltre che dell'ECHA, non appena sarà completata la fase di registrazione delle sostanze chimiche presenti sul mercato, la cui conclusione è prevista, ai sensi del regolamento REACH, entro il 31 maggio 2018.
  Per quanto riguarda l'approvvigionamento idrico, il decreto ministeriale 6 luglio 2016 (pubblicato in Gazzetta ufficiale il 16 luglio 2016) con cui sono stati fissati i valori soglia (VS) che definiscono il buono stato chimico delle acque sotterranee, costituisce l'atto di recepimento della direttiva 2014/80/UE per la protezione delle acque sotterranee e fa seguito ad un'attività già avviata da anni dal Ministero e che ha portato nell'ottobre del 2015 alla formalizzazione del citato decreto legislativo n. 172 del 2015 che, in attuazione della direttiva 2013/39/UE, definisce altresì gli standard di qualità ambientale (SQA) per le acque superficiali.
  Tali provvedimenti sono il frutto di un lavoro intenso portato avanti nell'ambito di un gruppo tecnico di lavoro appositamente costituito nel 2013 e coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui fanno parte esperti dei principali istituti scientifici nazionali (Ispra, Cnr-Irsa, Iss).
  Nella fissazione di tali valori il gruppo tecnico ha applicato le procedure rigorose disciplinate a livello europeo nell'ambito della direttiva quadro 2000/60/CE, facendo riferimento in particolare alle Linee Guida, emanate dalla Commissione europea, « Guidance on groundwater status and trend assessment» n. 18 del 2009 e « Technical Guidance for deriving environmental quality standards» (TGD-EQS) n. 27 del 2011.
  L'intera procedura è della massima trasparenza e tutti i dati utilizzati e i calcoli effettuati sono stati pubblicati in una rivista internazionale sottoposta a referaggio internazionale indipendente (Valsecchi et al., 2016) e sono disponibili sul sito (hrtps://www.researchgate.net/publication/301743024 Deriving environmental quality standard sfor per fluorooctanoic acid PFOA and related short chain perfluorinated alkyl acids ?ev=prf pubehttps://www.researchgate.net/publication/3029618 89 Dossiers for EQS PFAS-SupplMaterial JHM ?ev= prf pub).
  Per ciascuna sostanza presa in esame sono stati calcolati standard di qualità (QS) per ciascuno degli obiettivi di protezione previsti dalla TGD-EQS, purché risultino disponibili dati di quantità e qualità sufficiente alla definizione degli stessi secondo i requisiti della TGD-EQS stessa. Una volta stabiliti gli standard di qualità per ciascuno degli obiettivi di protezione, inclusa la protezione della salute umana per il consumo di acqua potabile, il valore più protettivo tra tutti questi è stato adottato come standard di qualità ambientale (SQA) per quella sostanza.
  Si evidenzia che l'applicazione della suddetta procedura di derivazione dei VS e degli SQA richiede ovviamente la disponibilità dei dati di monitoraggio, ragion per cui è stato possibile definire i suddetti parametri solo per alcuni PFAS.
  Successivamente, allorché a seguito dell'attuazione dei programmi di monitoraggio previsti nei piani di gestione relativi al sessennio 2015-2021 aumenterà la disponibilità di dati, sarà possibile inserire nella valutazione dello stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei altri composti appartenenti alla famiglia dei PFAS.
  È inoltre necessario evidenziare che il gruppo di lavoro, tenendo conto della metodologia prevista dalla direttiva 2000/60/CE, ha deciso di derivare valori per sostanze singole e non per sommatorie di sostanze per le quali l'incertezza valutativa e analitica risulta maggiore.
  Bisogna altresì ricordare che la maggior parte delle acque, anche se estratte da pozzi che attingono a falde sotterranee, vengono sottoposte a trattamento di abbattimento degli inquinanti e disinfezione, per cui non vi è nessuna controindicazione al fatto che i valori soglia per le acque sotterranee o anche gli SQA per le acque superficiali siano superiori ai limiti di potabilità, pur tenendo conto che è necessario minimizzare al massimo i trattamenti di potabilizzazione, come prevede la direttiva quadro acque.
  I limiti per le acque potabili proposti da istituto superiore di sanità si basano prioritariamente su criteri sanitari, nonostante le incertezze sugli aspetti tossicologici che emergono dalla letteratura più recente, affermando contestualmente la necessità che tali sostanze siano «assenti» e per tale ragione si indicano dei limiti di « performance», basati sulle BAT (Best Available Techniques – Migliori tecniche disponibili) di rimozione dei contaminanti. I limiti definiti per i PFAS nelle acque destinate al consumo perseguono l'obiettivo di raggiungere, anche attraverso trattamenti di potabilizzazione delle acque captate basati sulle migliori tecnologie, la «virtuale assenza» dei composti prima del consumo. Tale aspetto si inquadra nei criteri espressi al considerando (8) della direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano secondo cui «per consentire alle imprese erogatrici di rispettare le norme di qualità per l'acqua potabile, occorre garantire – grazie a idonee misure di protezione delle acque – la purezza delle acque di superficie e sotterranee; che lo stesso scopo si può raggiungere applicando opportune misure di trattamento delle acque prima dell'erogazione». I valori parametrici per le acque potabili possono essere definiti anche ampiamente al di sotto di soglie di sicurezza basate su criteri tossicologici e tale approccio ha ispirato la fissazione dei limiti sulle acque potabili in Veneto considerando la natura antropogenica dei PFAS che non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano.
  Inoltre l'Istituto superiore di sanità, lo scorso luglio, ha comunicato che a seguito di incontri con le competenti autorità della regione Veneto, sono stati definiti gli obiettivi del monitoraggio, e il relativo piano di campionamento e analisi. Tali attività interesseranno i campioni più rappresentativi delle produzioni locali, sia vegetali che animali e si svilupperanno a decorrere dal mese di settembre 2016 per terminare a gennaio 2017.
  Sempre con riferimento alle questioni riguardanti l'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nella regione Veneto, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha coinvolto gli enti territoriali competenti per l'esecuzione degli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e l'attivazione delle misure a tutela dei corpi idrici. In particolare, sono state assunte una serie di iniziative tra cui la stipula nel 2011 di una convenzione con l'istituto di ricerca sulle acque del Cnr per la realizzazione di uno studio del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze per fluoro-alchiliche (PFAS) nel Bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani.
  Nel corso del 2013 lo stesso Ministero, rendendo noti all'Arpa Veneto i risultati dello studio compiuto dall'Istituto di ricerca sulle acque dai quali era emersa in particolare la presenza anomala di PFAS in diversi corpi idrici superficiali e nei punti di erogazioni pubblici delle acque della provincia di Vicenza e comuni limitrofi, sollecitava gli accertamenti necessari ad individuare la fonte di immissione delle sostanze e delle conseguenti iniziative di tutela delle acque. L'Arpav, a seguito di un'ampia attività di monitoraggio, anche sulle possibili sorgenti secondarie, confermando la contaminazione da PFAS, presente nelle acque superficiali e sotterranee di alcuni comuni delle Province di Vicenza, Verona e Padova, provvedeva a delimitare l'area coinvolta, delineando il plume di contaminazione delle acque sotterranee, individuando i corsi d'acqua maggiormente interessati.
  Sempre l'Arpav, definita la sorgente principale di contaminazione da PFAS, avviate le procedure di bonifica del sito e di contenimento del contaminante, a partire dal 2014, oltre alle province, ritenne di estendere il monitoraggio in ambito regionale.
  Tra le iniziative adottate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare occorre evidenziare che è stato inoltre istituito un gruppo tecnico di lavoro, tra gli esperti degli istituti scientifici nazionali (Cnr Irsa, l'Istituto superiore di sanità e Ispra) per la fissazione di standard di qualità ambientale (SQA) per la valutazione dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali e di valori soglia (VS) per la valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee al fine di effettuare i relativi adeguamenti della normativa tecnica vigente.
  Il suddetto gruppo di lavoro, a conclusione della propria attività, ha inviato al Ministero dell'ambiente nel novembre 2014, una proposta tecnica relativa alla definizione dei suddetti standard di qualità e valori soglia e lo stesso Ministero ha avviato il relativo iter per l'adeguamento normativo. Per quanto riguarda le acque superficiali, gli standard di qualità ambientale sono stati inseriti nel decreto legislativo n. 172 del 2015, con cui è stata recepita la direttiva 2013/39/UE sulle sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque. Nel citato decreto è stato altresì inserito l'obbligo per le regioni e le province autonome nel cui territorio è stata evidenziata la presenza di tali sostanze in concentrazioni superiori agli standard di qualità ambientale, di elaborare uno specifico programma di monitoraggio ed un programma preliminare di misure relative a tali sostanze, da inserire nel piano di gestione. Per quanto riguarda, invece, i valori soglia nelle acque sotterranee, l'istituto superiore di sanità ha provveduto nel 2015 a definire le concentrazioni soglia di contaminazione (Csc), valori che sono stati successivamente definiti nel decreto ministeriale di luglio 2016 di recepimento della direttiva 2014/80/UE, sulla protezione delle acque sotterranee.
  Parallelamente, sempre prima della pausa estiva, in materia di contaminazione da PFAS è stato messo a punto dallo stesso Ministero dell'ambiente uno schema di accordo novativo finalizzato all'aggiornamento dell’«Accordo integrativo per la tutela delle risorse idriche del bacino del Fratta – Gorzone (...)». Tra le finalità dell'accordo, che dovrebbe essere sottoscritto a breve, con riferimento ai PFAS, è stata prevista tra l'altro, la riduzione dell'utilizzo e dello scarico delle sostanze perfluoto-alchiliche, la progressiva riduzione delle concentrazioni dei composti per fluoro-alchilici nelle acque superficiali e sotterranee, l'individuazione delle condizioni operative e degli interventi necessari atti a garantire la fornitura di acqua potabile di qualità nel perseguimento dell'obiettivo di tutela della salute pubblica. Per il perseguimento delle finalità dell'accordo novativo, è prevista la sottoscrizione da parte dei soggetti interessati di uno specifico accordo di programma attuativo.
  Da ultimo si segnala che recentemente il Consiglio dei ministri ha approvato, in via definitiva, il decreto del Presidente della Repubblica che semplifica la disciplina di gestione delle terre e rocce da scavo ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014 n. 133 convertito, con modifiche, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164. Nello specifico, il provvedimento definisce un quadro normativo di riferimento completo, chiaro e coerente con la disciplina nazionale e comunitaria, assorbendo in un testo unico le numerose disposizioni oggi vigenti che disciplinano la gestione e l'utilizzo delle terre e rocce da scavo.
  Il testo unico sulle terre e rocce da scavo è una novità legislativa, un valore aggiunto per l'ambiente, l'economia circolare e la competitività del nostro sistema Paese che introduce una nuova disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo.
  Il testo unico inoltre consentirà di migliorare la tutela delle risorse naturali e allo stesso tempo di perseguire obiettivi di competitività del sistema, quali l'abbassamento dei costi connessi all'approvvigionamento di materia prima dovuta al maggiore utilizzo delle terre e rocce come sottoprodotti, la riduzione dell'utilizzo di materiale di cava, un minore ricorso allo smaltimento in discarica, la previsione di tempi certi e celeri per l'avvio dei lavori nei cantieri.
  Tra gli elementi più rilevanti di semplificazione si segnala che il nuovo decreto prevede che i soggetti pubblici e privati possano confrontarsi con le agenzie regionali e provinciali per le verifiche preliminari istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli previsti per legge.
  Con riferimento alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche delle matrici ambientali, con particolare riferimento alle acque interne superficiali e di falda, nel Veneto, in special modo nell'ambito delle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, ed il rapporto della presenza di questi composti con il progetto dell'Alta Velocità-Alta Capacità Verona-Padova – Primo lotto Verona Porta Nuova-Bivio Vicenza, ed agli usi di acque e terre e rocce da scavo connessi con la realizzazione delle opere progettuali previste, si rappresenta, infine, che il progetto «Linea Ferroviaria Alta Velocità/ Alta Capacità Verona Padova – I lotto funzionale Verona – Bivio Vicenza» è attualmente all'esame della Commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS.
  A seguito di un'approfondita istruttoria tecnica, nel mese di aprile 2016, la Commissione ha ravvisato la necessità di acquisire documentazione integrativa e di approfondimento. Tale richiesta di elementi integrativi ha interessato anche le tematiche evidenziate nell'interrogazione in questione. Ad oggi sono in corso di svolgimento le attività istruttorie della Commissione che terranno in debita considerazione, nella redazione degli atti istruttori, anche tutti gli elementi rilevati dall'interrogante.
  Per quanto utile, si rappresenta, infine, che tutta la documentazione progettuale presentata nel corso dell'istruttoria, insieme con le osservazioni ed i pareri degli enti locali pervenuti nel corso dei procedimento di valutazione ambientale, sono disponibili sul portale delle valutazioni ed autorizzazioni ambientali, all'indirizzo http:/ /www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/33.
  Sulla questione sono comunque interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori ed utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VACCA, MARZANA, LUIGI GALLO e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, doveva predisporre, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, un piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico attraverso uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla entrata in vigore del decreto legge stesso;
   uno dei criteri da adottare era la ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;
   la dichiarata riorganizzazione si tradusse in una riduzione a giudizio degli interroganti scriteriata del monte ore con il solo fine di diminuire le risorse necessarie per poter, quindi, effettuare tagli di spese;
   in particolare, furono emanati i due regolamenti del 15 marzo 2010 che disponevano la riduzione del monte ore di insegnamento al comparto tecnico-professionale incidendo in maniera sostanziale sulla formazione degli alunni a causa della contrazione delle ore di materie caratterizzanti;
   alcune parti di tali provvedimenti sono stati dichiarati nulli dal TAR Lazio sezione terza bis con la sentenza n. 3527/2913;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non avendo mai dato seguito alla sentenza del TAR, ha subito, con la sentenza n. 6438/2015 del 5 maggio 2015, un giudizio del TAR per l'ottemperanza della sentenza n. 3527/2913. Con tale sentenza si ordinava al Ministero stesso di eseguire entro 30 giorni dalla notificazione del giudizio di ottemperanza, la sentenza n. 3527/2913;
   nell'ipotesi di inesecuzione, nominava il prefetto di Roma o un funzionario da lui indicato a eseguire la sentenza quale commissario ad acta, assegnando un ulteriore termine di 90 giorni, prorogabile a richiesta del commissario stesso;
   il prefetto Gabrielli ha nominato il 21 settembre 2015 la dottoressa Carmela Palumbo direttore generale della direzione generale per gli ordinamenti scolastici e per l'autonomia scolastica;
   ad oggi non si conosce se l'iter formale di adozione di due schemi di regolamento, integrativi dei due regolamenti del 15 marzo 2000 riguardanti gli istituti professionali e tecnici, che prevede preliminarmente l'acquisizione dei pareri della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari, sia stato avviato –:
   se l'iter per la modifica dei regolamenti di cui in premessa sia stato già avviato e quali siano i tempi previsti per la sua conclusione. (4-12481)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato parlamentare in esame si chiedono informazioni sull'iter di adozione degli schemi di regolamento integrativi dei decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87 e 88, riguardanti il riordino degli istituti professionali e tecnici, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
  L'interrogante segnala, in proposito, che, in relazione a tali adempimenti, il prefetto di Roma, in ottemperanza ad una sentenza del TAR Lazio, ha nominato un commissario ad acta, nella persona di un dirigente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Al riguardo, si informa che il 28 luglio 2016 il predetto commissario, in attuazione del mandato ricevuto, ha chiesto all'ufficio legislativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di predisporre con la massima urgenza tutti gli adempimenti necessari all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri degli schemi dei regolamenti in questione.
  Il giorno successivo i due schemi sono stati trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento per gli affari giuridici e legislativi corredati del parere non ostativo del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Nella seduta del 10 agosto 2016, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, ha approvato i due testi in via preliminare.
  Successivamente, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha avviato l'iter di acquisizione dei vari pareri che, ai sensi della normativa vigente, debbono precedere l'approvazione definitiva dei due testi (conferenza unificata: parere espresso il 29 settembre 2016; consiglio superiore della pubblica istruzione: parere espresso il 4 ottobre 2016 e in corso di valutazione; Consiglio di Stato e Commissioni parlamentari competenti).
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 150 del 7 settembre 2012 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» prevede la soppressione sul territorio nazionale di numerosi uffici del giudice di pace e all'articolo 3, comma 2, dispone che: «Gli enti interessati entro 60 giorni dalla pubblicazione delle tabelle relative agli elenchi degli uffici soppressi, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori di cui è proposta la soppressione anche tramite accorpamento, facendosi carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia delle sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi»;
   l'ufficio del giudice di pace di Tortolì – che rientra tra le sedi nazionali da sopprimere – costituisce un insostituibile punto di riferimento per la collettività dell'intera provincia, caratterizzata da una bassissima densità di popolazione. L'Ogliastra è infatti la provincia meno popolata d'Italia, con i suoi 23 comuni e 57.578 abitanti, pari al 3,49 per cento della popolazione regionale;
   in considerazione dell'importanza rivestita da tale ufficio, l'amministrazione di Tortolì si è immediatamente attivata per salvaguardare la sopravvivenza della sede e, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale n. 18 del 20 aprile 2013, ha dato corso all'istruttoria necessaria per mantenere tale presidio giudiziario, approvando una convenzione con gli altri comuni della provincia in materia di assunzione degli oneri finanziari per il mantenimento del suddetto ufficio, successivamente comunicata al Ministero della giustizia con propria nota del 27 giugno 2014;
   l'allegato 5 del decreto del Ministero della giustizia 10 novembre 2014 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2012, n. 156, approvava l'elenco definitivo degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi degli articoli 5 e 6 del precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014, tra i quali figura sorprendentemente anche l'ufficio del giudice di pace di Tortolì – circondario di Lanusei – distretto di Cagliari;
   non si comprendono le ragioni di tale provvedimento ministeriale, dal momento che il comune di Tortolì ha rispettato, nell’iter procedimentale, tutti i termini decadenziali previsti nel decreto ministeriale 7 marzo 2014 e pedisseque circolari esplicative, adoperandosi tempestivamente, al fine di assicurare il puntuale adempimento degli obblighi posti in capo ai comuni che avevano manifestato la volontà di mantenere l'ufficio del giudice di pace, facendosi carico della messa a disposizione dei locali sede dell'ufficio, dei costi di funzionamento e del personale;
   la soppressione della sede giudiziaria avrà conseguenze esiziali per tutti i cittadini e le imprese operanti nella provincia, i quali si vedranno non solo privati della possibilità di avvalersi di un servizio pubblico di primaria necessità qual è quello della giustizia, ma anche costretti a sopportare maggiori costi sia in termini di tempo sia in termini economici per raggiungere le altre sedi giudiziarie. L'effetto negativo si ripercuoterà anche sotto il profilo della competitività del sistema produttivo locale, caratterizzato dalla presenza di numerose attività imprenditoriali e commerciali e da un rilevante flusso turistico;
   l'interruzione di questo servizio inoltre indebolirà una comunità già provata da antichi problemi legati alla marginalità e alla particolare conformazione geografica del territorio, da un inadeguato sistema viario e di trasporto locale, dalla bassissima densità di popolazione e da una drammatica sofferenza economico-occupazionale, resa ancora più frustrante da una generale «desertificazione» di tutti i presidi dello Stato, tanto amministrativo-giudiziari, quanto infrastrutturali –:
   se l'inclusione dell'ufficio del giudice di pace di Tortolì nell'elenco contenuto nell'allegato 5 del decreto ministeriale 10 novembre 2014, indicante gli uffici del giudice di pace sul territorio nazionale soppressi ai sensi degli articoli 5 e 6 del decreto ministeriale 7 marzo 2014, non sia frutto di un mero errore materiale e, in tal caso, in che tempi intenda procedere alla rettifica del citato decreto ministeriale 10 novembre 2014;
   nell'ipotesi in cui non si trattasse di un mero refuso, se intenda motivare le ragioni per le quali, ha assunto la determinazione di sopprimere l'ufficio del giudice di pace di Tortolì, eventualmente indicando quale errore sia stato commesso dall'amministrazione comunale durante l’iter procedimentale e se sia possibile rettificare tale errore. (4-07715)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Tortolì, in presenza della disponibilità manifestata dal comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Tortolì.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  A seguito dell'iniziativa assunta dal comune di Tortolì, pertanto, è stato possibile rivalutare la soppressione in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n.192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2 ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo un lungo percorso di accompagnamento, è stato finalmente reso operativo il percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari previsto dalla legge n. 81 del 2014, attraverso l'attivazione delle REMS in tutte le regioni italiane, destinate ad accogliere e supportare i casi giudiziari che necessitano interventi individuali di speciale sicurezza;
   il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è frutto di una straordinaria spinta sociale per il miglioramento delle condizioni umane, terapeutiche e relazionali delle persone che devono scontare una pena per reati commessi in condizioni di infermità mentale;
   la dismissione delle strutture precedentemente adibite ad ospedali psichiatrici giudiziari prevede il trasferimento dei ricoverati ancora bisognosi di trattamenti speciali (almeno 450 in tutta Italia) all'interno di nuove unità operative, presenti in tutte le regioni italiane, con affidamento ai servizi di igiene mentale delle ASL delle attività di vigilanza e recupero;
   uno degli obiettivi di umanizzazione dei trattamenti previsto dalla nuova legge di riforma è incentrato sulla possibilità di riavvicinare i soggetti sottoposti a trattamento al loro territorio di origine, consentendo un miglior rapporto con gli ambienti familiari e sociali di provenienza;
   la Sardegna, in passato non ha ospitato ospedali psichiatrici giudiziari;
    nel mese di luglio 2015, è stata inaugurata la REMS di Capoterra (Cagliari) con l'obiettivo di far partire anche in Sardegna le azioni di riavvicinamento ai propri contesti sociali dei sardi reclusi presso ospedali psichiatrici giudiziari ubicati oltre Tirreno;
   nei giorni scorsi, i media sardi hanno dato ampio risalto all'assegnazione alla REMS di Capoterra di Luigi Chiatti, personaggio noto alle cronache giudiziarie nazionali per essersi macchiato vent'anni or sono di un duplice omicidio nei confronti di un bambino di quattro anni e di un ragazzino di tredici, assegnato ad ospedali psichiatrici giudiziari in quanto giudicato seminfermo di mente;
   la pericolosità sociale di Chiatti resta confermata per cui è stato conseguentemente indispensabile prevedere la sua assegnazione ad una REMS;
   la notizia dell'assegnazione di Chiatti alla struttura di Capoterra ha destato grave allarme presso la popolazione locale, stimolando una reazione sociale fortemente negativa che rischia di caratterizzare negativamente l'inizio delle attività della struttura appena inaugurata, rafforzando diffidenze, preoccupazioni e pregiudizi che non aiutano certo il clima di lavoro delle professionalità preposte al buon funzionamento della REMS stessa;
   non sono note, né sono state spiegate le motivazioni che hanno indotto l'assegnazione di Chiatti ad una struttura estranea rispetto alla residenza sua e del suo originario nucleo sociale –:
   se siano state regolarmente censite tutte le presenze di sardi presso gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani e, conseguentemente, se siano state esperite tutte le procedure necessarie a consentire ai sardi inseriti negli ospedali psichiatrici giudiziari di essere trasferiti nella propria regione di origine, presso la REMS di Capoterra;
   quali siano le motivazioni che hanno determinato l'assegnazione di Chiatti alla struttura di Capoterra, invece che in strutture della propria regione di origine, come da spirito della legge n. 81 del 2014;
   se siano a conoscenza del profondo stato di disagio manifestato dalla popolazione sarda, e di Capoterra in particolare, nei confronti dell'inspiegabile assegnazione di Chiatti e degli effetti negativi che tale situazione di malcontento può avere nei confronti del buon clima di lavoro in cui ha necessità di operare la struttura;
   se, per questi motivi, non ritengano di dover assumere iniziative per l'immediato trasferimento di Luigi Chiatti presso altra REMS, non ubicata in Sardegna.
(4-10351)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, l'interrogante chiede informazioni in ordine alle ragioni che hanno condotto all'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS di Capoterra in Sardegna, pur essendo lo stesso originario della regione Toscana, in violazione del principio di territorialità fissato dall'articolo 1, comma 4, della legge n. 81 del 2014.
  In via preliminare, occorre evidenziare che, all'esito della complessa procedura di transizione dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle REMS, operata con la legge suindicata e a seguito dell'accordo sancito nella Conferenza unificata del 26 febbraio 2015, le competenze del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sono state drasticamente ridotte.
  Allo stato, pertanto, spetta alla competente articolazione del Ministero della giustizia solo l'indicazione, all'autorità giudiziaria che lo richieda, della struttura residenziale di riferimento per il ricovero delle persone raggiunte dal provvedimento applicativo della misura di sicurezza detentiva.
  Ricade, invece, nella competenza del Ministero della salute e dell'amministrazione regionale la materiale esecuzione dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria.
  Appare opportuno precisare, in via preliminare, che sin dalla prima comunicazione trasmessa dal Ministero della salute, in ossequio all'impegno assunto con l'accordo sancito in Conferenza unificata, si è constatato che non tutte le strutture – provvisorie e/o definitive – sarebbero state disponibili alla data del 1o aprile 2015 e che la presunta attivazione di alcune di esse sarebbe avvenuta nei mesi successivi alla data fissata dalla legge.
  Inoltre il numero complessivo dei posti letto programmati alla data di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari è apparso da subito nettamente inferiore al numero dei pazienti che avrebbero dovuto trovare assistenza e cura presso le nuove strutture.
  Le regioni, infatti, a far data dall'entrata in vigore della legge n. 81 del 2014 – che ha previsto la possibilità di rimodulare i programmi e destinare parte dei fondi, precedentemente destinati all'approntamento dei programmi per la realizzazione e l'attivazione delle REMS, per il potenziamento dei dipartimenti di salute mentale e la presa in carico sul territorio dei pazienti dimessi dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) – hanno ipotizzato una necessità di posti letto inferiore rispetto alla effettiva utenza. Tale previsione confidava sulla dimissione degli internati ricoverati negli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) dichiarati «clinicamente dimissibili» sulla base dei programmi terapeutico-riabilitativi individualizzati predisposti nei loro confronti.
  Lo scarto tra i posti letto previsti e quelli realmente necessari si è rivelata, nel corso dei mesi successivi, sempre più critica allorquando, in virtù della competenza attribuita al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di assegnazione alle REMS degli internati, la capacità ricettiva delle poche REMS attivate non si è dimostrata sufficiente ad accogliere i pazienti che dopo il 1o aprile 2015 dovevano essere trasferiti dagli OPG alle nuove strutture.
  Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dunque, ha potuto disporre le assegnazioni ed i trasferimenti degli internati ospitati negli OPG verso le sole REMS effettivamente attive, tenendo necessariamente conto dell'indisponibilità delle strutture in alcune regioni.
   La mancata attivazione delle REMS in alcune regioni, dunque, la materiale assenza di strutture disponibili ad accogliere i pazienti nel loro territorio di residenza, ha imposto all'amministrazione penitenziaria di indicare all'autorità giudiziaria le REMS aventi posti disponibilità di posti, prescindendo provvisoriamente dal principio di territorialità, nell'attesa che giunga a completamento la realizzazione delle strutture da parte di tutte le regioni.
  La situazione sin qui descritta è, tuttavia, in corso di definitiva risoluzione a seguito del commissariamento delle regioni inadempienti disposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nell'ottobre del 2015 ed alla nomina, nello scorso febbraio, del commissario straordinario, recentemente rinnovata per ulteriori sei mesi. Le regioni commissariate al conferimento dell'incarico sono state: Veneto, Piemonte, Toscana, Abruzzo-Molise, Puglia e Calabria.
  Con specifico riferimento alla questione sollevata dall'interrogante, relativa all'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS di Capoterra in Sardegna, il DAP ha riferito che, secondo quanto disposto con la sentenza di condanna, al termine della pena detentiva, nei confronti dello stesso doveva essere eseguita la misura di sicurezza detentiva, in ragione della pericolosità sociale dimostrata.
  Poiché, tuttavia, al momento dell'espiazione della pena, la regione Toscana non aveva ancora adempiuto all'obbligo di attivare le REMS, l'amministrazione penitenziaria, si è trovata costretta ad indicare l'unica tra le strutture residenziali attive nelle regioni limitrofe, che, all'atto dell'esecuzione del provvedimento, aveva ancora disponibilità di posti.
  Più in particolare, all'epoca dell'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS di Capoterra, la regione Toscana – che in virtù dell'accordo stipulato con la regione Umbria avrebbe dovuto accogliere anche i pazienti di tale regione – non disponeva ancora di alcuna REMS, posto che la prima è entrata in funzione a Volterra solo il 1o dicembre 2015.
  Con riferimento, infine, alla preoccupazione manifestata dall'interrogante per il rischio che una sistematica violazione del principio di territorialità finisca per ripercuotersi sul diritto degli internati sardi a ricevere accoglienza nelle strutture della regione di appartenenza, il competente dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha riferito che i trasferimenti dall'OPG di Montelupo Fiorentino degli internati residenti in Sardegna alla REMS di Capoterra sono stati gradualmente avviati sin dalla primissima attivazione della struttura di Capoterra e che solo un'insufficienza dei posti realizzati potrà eventualmente determinare sospensioni provvisorie del principio di territorialità.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


  VENTRICELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2016, è stata data notizia che nel carcere di Turi quattro agenti di polizia penitenziaria sono rimasti feriti dopo essere stati aggrediti da un detenuto di origini baresi, la prognosi sarebbe compresa tra i cinque e i venti giorni;
   la notizia è stata diffusa dal segretario nazionale del Sappe – Sindacato autonomo polizia penitenziaria –, Federico Pilagatti che a tal proposito ha divulgato una nota: detenuto ha prima tentato di aggredire il medico di turno durante una visita, ma è stato bloccato dagli agenti. Mentre veniva portato in un'altra stanza, il detenuto si è scagliato contro alcuni agenti, procurando loro lesioni. I poliziotti penitenziari sono riusciti comunque a chiudere in stanza il detenuto che ha reagito scagliando il letto in ferro contro la parete. Poco dopo, quando la situazione è tornata alla normalità, gli agenti sono stati accompagnati al Pronto soccorso più vicino.»;
   nella nota Sappe ha anche sottolineato una situazione di pericolo e di carenza di personale difficilmente sostenibile («l'aumento drammatico delle aggressioni a poliziotti, che in questi primi sette mesi ha già superato quelli avvenuti lo scorso anno»), e la circostanza che, «al momento dell'aggressione, nel carcere erano in servizio sette poliziotti, quattro dei quali sono stati coinvolti nell'episodio.»,
   a quanto appreso, inoltre, sembrerebbe che dopo l'aggressione un detenuto avrebbe accusato un malore e sarebbe arrivato personale del 118 per trasferirlo in ospedale con due unità di scorta che avrebbe dovuto presenziare presso il carcere; a tal proposito si è reso necessario un servizio di vigilanza, garantito con l'arrivo del comandante degli agenti di polizia penitenziaria e di alcuni poliziotti che erano liberi dal servizio –:
   se risultino già avviate le verifiche di competenza in ordine ai fatti in premessa;
   quali iniziative intenda mettere in atto per rafforzare la sicurezza nei luoghi di detenzione e per potenziare gli organici della Polizia penitenziaria. (4-13974)

  Risposta. — L'interrogante, prendendo le mosse da un episodio di violenza verificatosi, nello scorso mese di luglio, all'interno della casa di reclusione di Turi, in occasione del quale quattro agenti di polizia penitenziaria sono rimasti feriti, chiede se siano state avviate le opportune verifiche sui fatti, sollecitando l'adozione di tutte le iniziative necessarie per rafforzare la sicurezza nei luoghi di detenzione e per migliorare complessivamente le condizioni di vivibilità dell'istituto.
  Sotto il primo profilo, dalle informazioni acquisite presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si è appreso che l'aggressione, verificatasi lo scorso 27 luglio, è stata efficacemente e rapidamente contenuta.
  Si è trattato, secondo quanto comunicato, della reazione violenta di un detenuto ad un rifiuto oppostogli dal medico di turno, tradottasi poi in un tentativo di aggressione. Grazie al tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenziaria presenti, l'aggressione nei confronti del medico è stata scongiurata, ma gli agenti sono rimasti feriti, in modo non grave, a causa dei colpi inferti dal detenuto nel corso della resistenza opposta.
  È stato anche comunicato che, una volta ricondotto nella stanza detentiva, il detenuto, ancora in stato di esagitazione, ha danneggiato le suppellettili ed i vetri della finestra.
  I fatti sono stati portati immediatamente all'attenzione del pubblico ministero di turno, che ha disposto l'arresto del detenuto ed il giudizio direttissimo. Il procedimento penale è stato definito con sentenza di condanna alla pena di sei mesi di reclusione.
  Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha anche comunicato che la verifica interna, avviata allo scopo di accertare la portata e l'estensione dell'episodio, ha evidenziato che il comportamento violento del soggetto arrestato era stato sostenuto ed incoraggiato da altri due detenuti. Per tale ragione, al fine di garantire la sicurezza dell'istituto già nella giornata del 2 agosto i tre reclusi coinvolti nei fatti sono stati trasferiti in altri istituti penitenziari della regione.
  Con riguardo al più ampio tema, sollevato dall'interrogante, riguardante le iniziative che si intendono assumere per rafforzare la sicurezza degli istituti di detenzione, preme, innanzitutto, rammentare la particolare attenzione che il Ministero della giustizia ha riservato al sistema dell'esecuzione penale, alla sicurezza delle strutture penitenziarie ed alle condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria. Si tratta di temi fondamentali, declinati sotto diverse angolazioni nel corso dei lavori degli stati generali dell'esecuzione penale, i cui esiti sono destinati a confluire nella riforma dell'ordinamento penitenziario, attualmente all'esame del Senato.
  Più in particolare, con riguardo alla carenza di organico che affligge l'istituto penitenziario di Turi, segnalata nell'atto di sindacato ispettivo, si rileva che, a fronte di una dotazione organica di 99 unità, risultano attualmente in servizio 90 unità.
  I disagi determinati dalla sia pur non gravissima carenza di organico sono stati fronteggiati impiegando diversi strumenti.
  Innanzitutto, lo scorso 25 luglio, proprio per andare incontro alle esigenze del servizio d'istituto, è stata inviata in missione una unità di polizia penitenziaria femminile; inoltre, è stato autorizzato l'utilizzo, nel periodo estivo, del personale del nucleo traduzioni e piantonamenti; infine, nel corso del 2015 è stato assegnato al personale dell'istituto di Turi un «monte ore» di 11.562 ore di straordinario, che corrispondono ad un «apporto lavorativo» di diverse unità di personale al giorno.
  Inevitabilmente, la situazione di scopertura di organico ha finito per ripercuotersi anche sull'articolazione dei turni di servizio che, in particolare nel periodo estivo, richiedono un bilanciamento più attento tra il diritto alle ferie del personale ed i diritti derivanti da congedi straordinari e dai benefici riconosciuti della legge n. 104 del 1992.
  Preme evidenziare, in proposito, che stiamo riservando particolare attenzione al corpo di Polizia penitenziaria nell'ambito del processo di riordino delle carriere di polizia, con l'obiettivo di dare concreta attuazione al riallineamento dei ruoli ed all'effettiva valorizzazione del ruolo della dirigenza penitenziaria.
  La medesima attenzione viene riservata anche al miglioramento delle condizioni complessive della struttura, qual è il tema, segnalato dall'interrogante relativo alla climatizzazione dell'edificio.
  Sul punto, deve essere sottolineato che all'interno dell'istituto di Turi è assicurato il riciclo dell'aria, grazie alla presenza di dispositivi di ventilazione negli ambienti di lavoro. Inoltre, sono attualmente in fase di studio alcuni progetti, volti ad introdurre sistemi di climatizzazione in tutti gli ambienti di lavoro.
  Il perseguimento dell'obiettivo, costituzionalmente orientato, di favorire la rieducazione e l'effettivo reinserimento sociale dei detenuti ha ispirato la riflessione, maturata anche nei lavori di numerosi Tavoli degli stati generali, volta ad individuare modalità detentive in grado di responsabilizzare i detenuti.
  Sulla base di tale ispirazione è stato dato avvio, anche in tutte le sezioni del carcere di Turi, alla modalità custodiale «a celle aperte», la quale permette di fruire degli spazi detentivi comuni per otto ore al giorno e di circoscrivere l'uso della cella al pernottamento.
  Tale modalità detentiva, allo stato, sfrutta le potenzialità offerte dai cancelli automatizzati e dai sistemi di videosorveglianza nei corridoi e negli spazi comuni dedicati alle attività trattamentali, in funzione per ora all'interno della sezione IV, e non nelle sezioni I, II, III. Tuttavia, è già stato presentato alla «Cassa delle ammende» la richiesta di finanziamento del progetto per estendere i sistemi di videosorveglianza ed i cancelli automatizzati anche alle altre sezioni.
  Per quanto concerne l'ulteriore profilo, sollevato dall'interrogante, relativo all'assistenza dei detenuti con minorazioni fisiche presenti nell'istituto, la competente articolazione ministeriale ha riferito che a tali soggetti è assicurata assistenza infermieristica nel corso delle 24 ore e l'assistenza medica nella fascia oraria tra le 12 e le 24. È, altresì, garantita la rieducazione motoria, la magnetoterapia, la terapia a ultrasuoni, la radarterapia e la laserterapia.
  Con riguardo, infine, all'allarme lanciato dall'interrogante per gli episodi di criminalità che si sono registrati nell'istituto, sia con riguardo alle aggressioni al personale della polizia penitenziaria che per i cosiddetti «lanci» di sostanze stupefacenti attraverso le finestre della struttura, deve rilevarsi che è da tempo avviata una significativa attività di monitoraggio, realizzata in modo costante e capillare presso tutti gli istituti penitenziari, in stretta collaborazione con le procure della Repubblica territorialmente competenti.
  Inoltre, proprio per scoraggiare la pratica dei «lanci» di sostanza stupefacente, il carcere viene quotidianamente controllato, anche con l'ausilio delle unità cinefile, sia nelle parti interne, che in quelle perimetrali. Tali zone, in particolare, vengono bonificate ogni mattina, prima che sia permesso il passaggio dei ristretti. Si tratta di meccanismi di controllo dimostratisi molto efficaci ed, infatti, nell'ultimo quinquennio gli episodi di «lancio» di stupefacenti si sono praticamente azzerati.
  Mi preme conclusivamente rassicurare l'interrogante sul fatto che l'attenzione sinora dimostrata per il sistema penitenziario nel suo complesso rimarrà alta e che la volontà di innovare profondamente l'esecuzione penale e, con essa, le condizioni di sicurezza e di vita del personale di polizia penitenziaria e dei detenuti continuerà ad essere una delle priorità del Ministero della giustizia.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lazio ha vissuto un lungo periodo di commissariamento in materia di rifiuti, fase iniziata nel 1999 e terminata nel 2008. Tale istituto, dopo soli tre anni di gestione ordinaria, ritornò in auge nell'estate del 2011 quando con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, venne nuovamente dichiarato lo stato d'emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma;
   è lapalissiano ricollegare, la dichiarazione dello stato d'emergenza ambientale alla necessità di trovare uno o più siti che sostituissero la discarica di Malagrotta, visto che l'invaso ubicato nella Valle Galeria era oggetto della riapertura della procedura d'infrazione n. 2011/4021, avvenuta in data 17 giugno 2011. Con tale atto, la Commissione europea aveva ammonito l'Italia per l'appunto perché nell'invaso più grande d'Europa venivano smaltiti da decenni rifiuti cosiddetti tal quale in palese violazione della direttiva 1999/31/CE;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, n. 3963 del 6 settembre 2011, il prefetto di Roma, dottor Giuseppe Pecoraro, veniva nominato commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale con il compito, di garantire l'individuazione, progettazione e successiva realizzazione attraverso l'utilizzo di poteri derogatori e straordinari di una o più discariche «provvisorie», nonché l'ampliamento delle discariche preesistenti ed infine la costruzione di un nuovo impianto di trattamento meccanico-biologico;
   i siti scelti dal commissario delegato in data 24 ottobre 2011 quali invasi alternativi a Malagrotta, furono Corcolle San Vittorino ricadente nel comune di Roma e Quadro Alto nel comune di Riano. In dette aree si legge nel provvedimento «saranno progettate, per la successiva realizzazione, due discariche provvisorie per lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti dai comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e dallo Stato Città del Vaticano» (documento 882/1);
   in merito al sito di Corcolle (la cui proprietà era riconducibile a quella che appare all'interrogante una nebulosa società svizzera), il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con mozione del 22 febbraio 2012 espresse da subito, l'assoluta contrarietà al progetto di realizzare una discarica, sia pure temporanea, in detta località, in ragione della vicinanza con Villa Adriana, patrimonio culturale e paesaggistico a valenza universale, annoverato tra i siti Unesco e come tale, oggetto di un accordo internazionale che obbliga lo Stato italiano alla tutela e alla conservazione. Oltre questo autorevole diniego, nel marzo 2012 durante la conferenza di servizi, anche l'autorità di bacino espresse parere negativo in merito al contesto idrogeologico del sito che ritenne «da valutarsi permeabile ed estremamente vulnerabile»;
   entrambi i siti successivamente, vennero considerati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Clini inidonei a divenire discariche;
   sull'attività espletata dal prefetto Pecoraro nella veste di commissario delegato, si ritiene doveroso riportare quanto affermato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seconda relazione sul Lazio datata 3 luglio 2012. In essa, i parlamentari bocciarono senza mezzi termini l'operato del commissario contestandogli innanzitutto che le sue scelte in merito ai siti che avrebbero dovuto sostituire Malagrotta, si basavano esclusivamente sul documento di analisi preliminare di individuazione di aree idonee alla localizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi redatto dalla regione Lazio. In definitiva, il cosiddetto siting, svolgeva un ruolo centrale e preminente nelle scelte di Pecoraro che ebbe il demerito di non avvalerci né di analisi istruttorie né tantomeno di verifiche scientifiche e/o sopralluoghi sul campo, nella scelta dei siti, così come sarebbe stato corretto fare, già nella fase iniziale;
   nel maggio del 2012, Pecoraro a seguito degli innumerevoli profili di inadeguatezza emersi sulle aree di Corcolle e Quadro Alto, da lui individuate nell'ambito dei sette siti inclusi nello studio di analisi preliminare realizzato della regione Lazio, rassegnò le dimissioni ed il Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del 27 maggio 2012, nominò in sua sostituzione quale nuovo commissario delegato ai rifiuti per la provincia di Roma, l'ex prefetto Goffredo Sottile;
   il primo atto del nuovo commissario Sottile fu quello di proporre, quale sito idoneo per la realizzazione della discarica temporanea, sostitutiva di Malagrotta, l'invaso di Pian dell'Olmo (anche questo ricompreso tra i sette individuati nel documento di analisi preliminare della regione Lazio). Il sito ubicato formalmente nel territorio del comune di Roma, distava solo pochi metri dall'invaso di Quadro Alto a Riano e dunque era facile intendere che possedesse le medesime criticità. Entrambi i siti inoltre, erano di proprietà dell'avvocato Cerroni. Per di più, Pian dell'Olmo era già stato ritenuto inidoneo da un punto di vista idrogeologico dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Clini;
   nonostante quella che all'interrogante appare la prima débacle del commissario in merito a Pian dell'Olmo, successivamente scartato, con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 27 giugno 2013, n. 203, veniva prorogata la sua nomina a commissario delegato per il superamento dell'emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma fino alla data del 7 gennaio 2014, ai sensi del comma 358 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012;
   tramontata la scelta di Pian dell'Olmo, il dottor Sottile pensò bene di individuare, nella infinita «girandola» degli invasi, il sito di Monti dell'Ortaccio. Anche questo (così come capitato in precedenza per Pian dell'Olmo rispetto a Quadro Alto), distava pochi metri dalla mefistofelica discarica di Malagrotta, tanto da poter essere quasi considerato un suo prolungamento;
   la scelta del Sottile, curiosamente avverrà temporalmente pochi giorni dopo l'istanza, per la realizzazione e messa in esercizio di una nuova discarica per rifiuti speciali non pericolosi sita in località Monti dell'Ortaccio, presentata in data 14 agosto 2012, dal consorzio Colari, con nota n. 157 acquisita al protocollo della regione Lazio n. 56098;
   il 23 agosto 2012, con nota n. 145, il commissario delegato Goffredo Sottile, disponeva che l'ufficio commissariale assumesse la competenza in ordine al procedimento di autorizzazione integrata ambientale relativo alla realizzazione, in località Monti dell'Ortaccio nel comune di Roma Capitale, di un impianto di discarica di rifiuti speciali non pericolosi, di cui all'istanza presentata dal Consorzio Colari e indiceva la conferenza dei servizi istruttoria convocandola per il giorno 24 settembre 2012. Gli enti interpellati in conferenza resero pareri scritti negativi in merito alle soluzioni progettuali relative al sito di Monti dell'Ortaccio, fornite dal consorzio Colari;
   ciò nonostante, il 27 dicembre del 2012, il commissario Goffredo Sottile, firmava l'autorizzazione integrata ambientale autorizzando in tal modo il sito di Monti dell'Ortaccio a divenire nel breve periodo la nuova discarica di Roma. Le non superate osservazioni emerse in conferenza di servizi costrinsero Sottile ad imporre nell'autorizzazione integrata ambientale diverse prescrizioni. Tra tutte, quella di subordinare il conferimento dei rifiuti nella discarica alla presentazione di un modello idrogeologico redatto da un'università e/o ente pubblico di ricerca. Il commissario lasciò al privato la facoltà di scegliere l'ente che aveva il compito di redarre lo studio idrogeologico ed il Cerroni si rivolse al dipartimento Dicea dell'Università la Sapienza di Roma. Dinnanzi al parere negativo fornito anche dalla Sapienza, il commissario non contento acconsentì che il consorzio Colari si rivolgesse in seconda battuta anche all'università di Padova, per la redazione di un'ulteriore studio;
   in virtù dello stato d'emergenza dichiarato nell'intera provincia di Roma ed in deroga dunque alle norme vigenti in materia (possibilità che purtroppo l'abusato e disastroso istituto del commissariamento prevede), l'autorizzazione integrata ambientale veniva rilasciata dal commissario delegato senza aver superato la necessaria procedura di valutazione di impatto ambientale;
   il 9 gennaio 2014 la procura della Repubblica di Roma, disponeva l'arresto dell'avvocato Cerroni, nonché dei suoi storici collaboratori ed alti dirigenti della regione Lazio. Il cosiddetto sistema Cerroni, più volte denunciato dai cittadini della Valle Galeria, venne finalmente alla luce, rendendo noto ai più, una reale commistione tra politica e business del privato ordito alla spalle del sacrosanto diritto alla salute dei cittadini;
   dal quotidiano Il Tempo del 6 marzo 2014, si apprende inoltre che: «il prefetto Goffredo Sottile, ex commissario delegato dal governo per l'emergenza rifiuti a Roma, è stato iscritto nel registro degli indagati nella maxi inchiesta sul “sistema rifiuti di Manlio Cerroni”. Nei suoi confronti sono ipotizzati i reati di truffa e falso in merito all'autorizzazione per l'apertura della discarica di Monti dell'Ortaccio in favore del “Supremo”. Ed inoltre: «Sottile nega un suo coinvolgimento nel “sistema” di Cerroni. Ma ci sono troppi elementi investigativi che alla Procura, ma anche al gip Massimo Battistini, non tornano. Perché c’è un momento, il 25 maggio 2012, che la “volontà” del “Supremo” di aprire Monti dell'Ortaccio viene finalmente esaudita. La data coincide con l'avvicendamento al ruolo di commissario fra il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, e Sottile. È in quel momento, scrive il gip, che al cambiamento della figura di commissario delegato, corrisponde una radicale modifica delle modalità di interlocuzione con il Cerroni»;
   in definitiva, quanto sostenuto dall'interrogante in più occasioni nonché dai cittadini trova finalmente conferma;
   ad oggi dopo due commissari speciali, la Capitale è costretta ad esportare fuori regione i suoi rifiuti. Gli impianti di trattamento meccanico biologico sono obsoleti, non è stato individuato un nuovo sito, i dati relativi alla raccolta differenziata sono esigui e il caos nella gestione dei rifiuti permane. Oltre ciò, durante gli eventi meteorici che hanno coinvolto a fine gennaio la Capitale e la zona a nord di essa, si è avuta la prova (qualora ce ne fosse bisogno) che sia la Valle Galeria, che la zona di Riano posseggono una profonda fragilità idrogeologica. Se in loco fossero stati costruiti gli invasi, fortemente voluti dai due commissari, probabilmente si sarebbero avute delle enormi discariche galleggianti;
   così come dichiarato dall'ex Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Orlando, in risposta all'interpellanza urgente 2-00368 discussa in data 17 gennaio 2014, il Governo non ha più rinnovato l'incarico al Sottile, né ha nominato ad oggi un nuovo commissario e dunque nella regione Lazio è vigente il regime ordinario in materia rifiuti. Tale regime ordinario a parere di chi scrive dovrebbe essere confermato, giacché uno dei compiti primari della politica è risolvere i problemi della collettività e non delegarli a funzionari governativi, onde evitare qualsiasi forma di responsabilità;
   l'interrogante non ritiene esaustiva la risposta ricevuta in occasione dello svolgimento dell'interpellanza urgente 2-00368, discussa in data 17 gennaio 2014 –:
   se il Governo disponga e intenda fornire ulteriori dettagliati e circostanziati elementi sul sistema dei rifiuti romano e laziale, durante il periodo di commissariamento, sia attraverso un quadro delle aree e degli impianti riconducibili al gruppo Cerroni, sia cercando di quantificare il danno economico ed ambientale che le scelte sulla gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio hanno causato all'intera collettività;
   se il Governo intenda nominare un nuovo commissario previo riconoscimento di un perdurante stato d'emergenza in materia rifiuti;
   se il Governo sia in grado di quantificare quanto sia costata al cittadino contribuente l'inefficiente struttura commissariale dal giugno del 2011 al gennaio del 2013. (4-03901)


   VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Roma, operano 4 impianti di trattamento meccanico biologico, di cui due appartenenti alla società municipalizzata Ama spa, ubicati rispettivamente in via Salaria e in via di Rocca Cencia e due appartenenti alla società Giovi srl riconducibile all'avvocato Manlio Cerroni, denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2 e siti nel polo impiantistico di Malagrotta;
   nel Lazio, si è utilizzato ed abusato dell'istituto del commissariamento in materia rifiuti per diversi anni. L'ultimo periodo per quel che concerne Roma e la sua provincia è durato dal 2011 al 7 gennaio 2014. Tre anni in cui i due commissari speciali nominati rispettivamente con OPCM n. 3963 del 6 settembre 2011 e con DPCM del 25 maggio 2012 (Sostituzione del Commissario delegato per l'emergenza ambientale nella provincia di Roma per l'imminente chiusura della discarica di Malagrotta), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 maggio 2012, pur godendo di poteri speciali e derogatori non hanno mai realizzato gli obiettivi che erano stati loro assegnati dal Governo, giacché ad oggi non è stato ancora individuato un nuovo sito, i dati relativi alla raccolta differenziata continuano ad essere esigui e si è costretti vergognosamente ad esportare fuori regione i rifiuti;
   in particolare l'operato del secondo commissario delegato ovvero il dottor Goffredo Sottile, appare discutibile sotto diversi punti di vista che appaiono connotare un manifesto assoggettamento al volere del patron delle discariche Manlio Cerroni, parere non solo di chi scrive, bensì oggetto di approfondimento da parte della magistratura;
   oltre alla rocambolesca vicenda riguardante il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale per il sito di Monti dell'Ortaccio, a pochi giorni dallo scadere del suo mandato, con determinazione n. G06042 del 23 dicembre 2013, il commissario Sottile di concerto con la direzione territorio urbanistica, mobilità e rifiuti della regione Lazio, rilascia l'Aia anche per l'impianto di trattamento meccanico biologico denominato Malagrotta 2, nonostante detto impianto non avesse le necessarie autorizzazioni per operare. Riteniamo corretto sottolineare come questa precipitosa procedura, sia stata autorizzata alla vigilia di Natale, nel silenzio mediatico e senza alcuna concertazione di sorta. Solo grazie alla successiva pubblicazione nel Burl avvenuta in data 11 febbraio 2014 si è venuti a conoscenza del rilascio dell'Aia. Fortunatamente non risultano ad oggi essere scaduti i termini affinché i cittadini possano eventualmente tutelare i propri legittimi interessi e diritti innanzi al TAR;
   da organi di stampa si apprende che il particolare relativo al difetto riguardante le autorizzazioni emergerebbe da un esposto presentato dai cittadini alla procura della Repubblica di Roma nell'ottobre 2012;
   l'impianto denominato Tmb Malagrotta 2 non rientrava nelle condizioni di cui al decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria. Difatti l'articolo 32-bis comma 1-quater della suesposta legge dispone che: «In mancanza del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale entro il 31 marzo 2008, i nuovi impianti, per i quali sia stata presentata la domanda di autorizzazione integrata ambientale, che abbiano ottenuto il provvedimento positivo di compatibilità ambientale e siano in fase di avanzata costruzione, possono avviare tutte le attività preliminari all'esercizio dell'impianto nel rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni stabilite nelle autorizzazioni ambientali già rilasciate, dandone comunicazione all'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale. L'autorità competente, ove ne ravvisi la necessità, rilascia un'autorizzazione provvisoria nelle more del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, entro sessanta giorni dalla predetta comunicazione». Dunque dalla lettera della norma si deduce che per poter usufruire del regime semplificato derogatorio alla disciplina del rilascio dell'Aia, occorre che si verifichino tre condizioni: che si tratti di un nuovo impianto, che sia stata presentata la prevista domanda e da ultimo che l'impianto sia in fase di avanzata costruzione. A ben vedere, l'impianto di trattamento meccanico biologico denominato Malagrotta 2 non rientrava in dette condizioni. Oltretutto con determinazione regionale n. A2959 del 15 settembre 2008 si rilasciò alla società Giovi srl fino alla data del 15 settembre 2009, l'autorizzazione alla messa in esercizio per una fase preliminare di start-up nelle more del rilascio dell'Aia, senza contare anche che l'impianto già dall'anno 2008 era stato sottoposto ad un regime di proroga dei termini autorizzativi. Regime che si è protratto fino alla determinazione della regione Lazio n. B7113 del 15 settembre 2011 che ne aveva prolungato i termini al 15 settembre 2012, con determina n. A2959 del 15 settembre 2008;
   è bene ricordare che gli impianti di trattamento meccanico biologico operanti a Roma, non hanno mai lavorato al massimo delle loro capacità e ciò si nota chiaramente anche dal tenore di due ordinanze emesse dalla presidente della regione Lazio nel 2011. La prima ordinanza n. Z0002 del 30 giugno 2011 recante ad oggetto: «Discarica sita in Roma, località Malagrotta, prosecuzione attività di smaltimento dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e funzionamento degli impianti di trattamento meccanico biologico, siti nel comune di Roma» e la seconda ordinanza di rettifica n. Z0003 del 7 luglio 2011 che impose al punto A.5 di «assicurare nel minor tempo possibile dall'adozione della presente ordinanza, la piena operatività degli impianti di preselezione e riduzione volumetrica dei RSU (TMB), denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2»;
   si sottolinea che il Governo è intervenuto in diverse occasioni, per indagare sul funzionamento dei suddetti impianti. Difatti in data 16 giugno 2012, in una nota sintetica sull'esito dei controlli in merito alla funzionalità degli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani in provincia di Roma, inviata dai Noe alla Commissione bicamerale per il ciclo dei rifiuti e relativa ad ispezioni espletate nel mese di maggio 2012, nel quadro dell'attività di supporto richiesta dal commissario delegato, si legge che l'impianto di trattamento meccanico biologico Malagrotta 1 era entrato in funzione dal 7 novembre 2011 e nel primo quadrimestre 2012 aveva trattato Rsu per il 23,33 per cento della sua capacità nominale, mentre quello denominato Malagrotta 2 risultava aver trattato Rsu per il 2011 e 2012 al 58,66 delle sue capacità –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero dell'ambiente, viste le ordinanze commissariali suesposte, l'importanza rivestita dagli impianti di trattamento meccanico biologico nel ciclo integrato di gestione dei rifiuti e le relative indagini delegate al NOE, siano stati informati dal commissario delegato in merito alle mancate e/o errate autorizzazioni relative all'impianto denominato Malagrotta 2 ed in ogni caso quali verifiche intendono avviare nell'immediato. (4-04253)


   VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Roma Capitale, l'impiantistica a supporto del trattamento dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, si esaurisce in soli 4 impianti di trattamento meccanico biologico, di cui due, denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2 riconducibili al consorzio Co.La.Ri dell'avvocato Cerroni e due appartenenti ad Ama S.p.A. Oltre questi macchinari, a supporto del ciclo, seppure non rientrante in un metodo di trattamento dei rifiuti avallato dalla Unione europea, opera anche un impianto di trito vagliatura anch'esso riconducibile al gruppo Co.La.Ri;
   in data 9 gennaio 2014, l'avvocato Manlio Cerroni, veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per reati quali truffa, traffico illecito dei rifiuti, associazione per delinquere e frode;
   a quanto consta all'interrogante la prefettura di Roma, a riscontro della specifica richiesta inoltrata da Ama spa nell'ambito di apposite verifiche correlate ad una distinta procedura ad evidenza pubblica, con nota prot. 17327/area/bis O.S.P. del 27 gennaio 2014, trasmetteva alla società Ama il provvedimento n. 16519/area I bis del 24 gennaio 2014 con il quale informava la società, che nei confronti del consorzio Co.La.Ri nonché di alcune altre società ad esso riconducibili sussisteva apposita interdittiva ai sensi dell'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011;
   con nota 40107/8/2014 del 19 febbraio 2014, il prefetto di Roma, dottor Giuseppe Pecoraro ribadiva ad Ama quanto previsto dal vigente codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011 e successive modificazioni e integrazioni) in ordine agli effetti della citata informativa;
   a sua volta Ama spa, rappresentava al sindaco Ignazio Marino lo scenario di severa criticità che si sarebbe determinato nella città di Roma, qualora non fosse stato possibile conferire parte dei rifiuti urbani negli impianti Co.La.Ri, arrivando a paventare incombenti emergenze di ordine sanitario e di igiene pubblica;
   in data 21 febbraio 2014 con ordinanza n. 37, ex articolo 50, comma 5, del decreto legislativo 267 del 2000, il sindaco di Roma, dottor Ignazio Marino, ordinava che la società Ama spa continuasse il conferimento dei rifiuti urbani indifferenziati, raccolti nella Capitale, anche presso i due impianti di trattamento meccanico biologico, nonché presso l'impianto di tritovagliatura di Rocca Cencia, riconducibili al gruppo Co.La.Ri ed inoltre che codesto Consorzio assicurasse la piena operatività di detti impianti;
   da organi di stampa, si apprendeva che il sindaco Marino, considerata la scadenza dell'ordinanza da lui emessa (21 maggio 2014), nel mese di aprile chiedeva al procuratore capo del tribunale di Roma, dottor Pignatone, una liberatoria che gli consentisse di continuare a conferire il pattume negli impianti di proprietà Co. La.Ri, nonostante l'interdittiva. Oltre a ciò il sindaco chiedeva espressamente aiuto anche al presidente della regione, Nicola Zingaretti, nonché al Ministro interrogato, per uscire dall'impasse;
   in quella che all'interrogante appare l'infinita ed oramai assurda querelle in materia rifiuti, il presidente della regione Lazio, rispondeva a mezzo stampa al sindaco Marino, sottolineando che «a Roma non c’è alcuna emergenza rifiuti, ma siamo in un vuoto giuridico»; in definitiva dalle parole degli amministratori locali sembrerebbe evincersi, ad avviso dell'interrogante, che regione e comune, vorrebbero che il Ministro nominasse un nuovo un commissario speciale ai rifiuti;
   dalle pagine del quotidiano online Corriere.it del 22 aprile 2014 si viene ora a conoscenza che: «il Ministro Galletti non intende nominare un nuovo commissario speciale ma apportare modifiche all'articolo 191 del decreto legislativo 152 del 2006 che già permette ai governatori, ai presidenti della Province ed ai sindaci “qualora si verifichino situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, di emettere ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente”. Questi provvedimenti “hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi” e non possono essere reiterati per più di due volte. Con la variazione predisposta dal ministro ai poteri degli enti locali verrà aggiunto anche il potere di requisizione. Nel caso in cui la norma passasse, in caso di necessità Zingaretti o Marino potrebbero requisire i tre impianti in questione e affidarli a un soggetto (Ama ad esempio) che a quel punto dovrebbe provvedere alla gestione (pagare stipendi ai dipendenti e manutenzione) e liquidare un indennizzo ai titolari per l'uso, magari accantonando queste somme su un conto “blindato” in attesa che la giustizia – nella vicenda dell'inchiesta su Cerroni – faccia il suo corso. Sulla soluzione pende tuttavia la pronuncia del Tar, martedì 29 aprile: se il tribunale accettasse di concedere la sospensiva richiesta da Colari sia sull'interdittiva del prefetto Pecoraro che sull'ordinanza di Marino, tutto verrebbe rimesso in discussione»;
   dal bilancio AMA per l'esercizio chiuso al 31 dicembre 2012, si legge dell'esistenza a tutt'oggi di 2 arbitrati tra il consorzio COLARI e la stessa AMA; in particolare il documento evidenzia che per quanto attiene al primo arbitrato, AMA ha stipulato in data 26 gennaio 1996 con il COLARI un contratto concernente l'affidamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani presso la discarica di Malagrotta. Con atto di nomina di arbitro notificato in data 11 maggio 2001, e successive integrazioni, il COLARI ha predisposto un arbitrato contro AMA, formulando, tra gli altri, il seguente quesito: domanda di condanna di AMA al pagamento dei maggiori oneri sostenuti per la gestione post mortem della discarica, a seguito del prolungamento da 10 a 30 anni del periodo post gestione in base alla normativa comunitaria, implementata in Italia. Il collegio arbitrale ha accolto codesto quesito, condannando AMA al pagamento in favore del COLARI della somma di euro 76.391.533,29, oltre interessi come in motivazione;
   per quel che riguarda invece il secondo arbitrato, con domanda di arbitrato e contestuale nomina di arbitro, notificata ad AMA in data 19 novembre 2012, COLARI ha promosso un giudizio arbitrale, ai sensi dell'articolo 6 del contratto stipulato tra AMA e la medesima COLARI in data 30 giugno 2009, sottoponendo al vaglio del costituendo collegio la questione relativa alla stipula ed ai contenuti di un nuovo contratto avente ad oggetto il conferimento ed il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati prodotti nel territorio di Roma Capitale presso gli impianti di trattamento meccanico biologico denominati Malagrotta 1 e Malagrotta 2 –:
   se quanto riportato dal quotidiano online Corriere della sera.it, corrisponda alle reali intenzioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se il Ministro – considerando i due arbitrati tra Ama e Colari, di cui uno riguardante il funzionamento ed il relativo pagamento dei due impianti di trattamento meccanico biologico di proprietà dell'Avvocato Cerroni – non ritenga possibile che la paventata modifica all'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 possa dar luogo a possibili nuovi contenziosi che laddove venissero vinti dalla parte privata provocherebbero un ingente danno economico ai cittadini contribuenti. (4-04647)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, relative alla gestione dei rifiuti nel comune di Roma Capitale e, più in generale, nella regione Lazio, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che le norme vigenti attribuiscono alle regioni territorialmente competenti le funzioni in merito alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani. Declinare a livello territoriale le scelte strategiche fissate dal legislatore nazionale e comunitario, e rilasciare conseguentemente le necessarie autorizzazioni per l'operatività dei suddetti impianti, costituiscono attività attribuite alla potestà esclusiva delle amministrazioni regionali.
  Tanto premesso, con riferimento alle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella Capitale, si evidenzia che una prima criticità riguarda la raccolta differenziata e indifferenziata. Sulla base del rapporto rifiuti Ispra 2015, nel 2014 la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato è stata pari al 35,2 per cento della produzione rifiuti, mentre le restanti tonnellate di rifiuto indifferenziato sono state avviate all'impiantistica di trattamento. Sebbene per il 2015 non siano ancora disponibili dati ufficiali di Ispra, i quantitativi di rifiuti urbani prodotti da Roma capitale sono sostanzialmente allineati con quelli del 2014, di cui si stima la produzione di circa 700.320 tonnellate di differenziata (41,17 per cento) e 1.000.448 tonnellate di rifiuto indifferenziato.
  Per la gestione dell'indifferenziato, il comune di Roma capitale è servito da 4 impianti Tmb (2 di Ama e 2 della GIOVI-COLARI). Peraltro, circa 300 tonnellate al giorno della capacità impiantistica esistente a Roma è destinata a trattare anche i rifiuti provenienti da Ciampino, Fiumicino e Città del Vaticano. Considerato, inoltre, che a Roma si producono giornalmente 3.206 tonnellate di rifiuti indifferenziati da destinare al trattamento, è evidente un deficit di capacità impiantistica di trattamento, pari a circa 500 tonnellate al giorno che trova comunque copertura in altri impianti.
  Per il trattamento della frazione umida è attivo l'impianto di Maccarese da 30.000 tonnellate annue, che evidentemente non copre – se non in minima parte – il fabbisogno attuale pari a circa 200.000 tonnellate all'anno. Un fabbisogno destinato ad incrementare sensibilmente col progredire della raccolta differenziata, attualmente ferma a percentuali al di sotto degli obiettivi di legge.
  Sebbene risulti in corso il procedimento autorizzativo presso la regione su due impianti di compostaggio, che possono sopperire alle esigenze impiantistiche della Capitale, le tempistiche per la loro eventuale realizzazione e operatività non sono sicuramente brevi.
  Nel resto della regione Lazio operano anche altri impianti, ma nel loro insieme anch'essi non riescono a soddisfare le esigenze complessive regionali.
  Sulla base del quadro ricognitivo aggiornato, effettuato dalla regione Lazio, il fabbisogno residuo di compostaggio da soddisfare su scala regionale, nelle condizioni di regime, ammonterebbe a circa 500.000 tonnellate all'anno, secondo le stime del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2016 ai sensi dell'articolo 35, comma 2 del cosiddetto «Sblocca Italia» (Misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della fratone organica dei rifiuti urbani).
  Per quanto riguarda il fabbisogno di incenerimento, solo una parte dei rifiuti trattati in uscita dai Tmb di Roma vengono portati agli impianti di termovalorizzazione di San Vittore e Colleferro, gli unici operativi nella regione, non sufficienti a soddisfare l'attuale fabbisogno.
  Si segnala, altresì, che è in atto un contraddittorio tra i gestori degli impianti di Tmb e la regione Lazio a causa della carenza di impianti di incenerimento a cui inviare il Css prodotto, che non permette la continuità e l'efficienza del servizio svolto dai Tmb stessi. Per chiudere il ciclo dei rifiuti, limitando al minimo il ricorso al conferimento in discarica, la regione deve pertanto puntare sullo sviluppo della raccolta differenziata, e potenziare la capacità impiantistica di incenerimento per il recupero energetico delle frazioni secche non riciclabili, secondo quanto indicato dal citato emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016, ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia» (firmato il 10 agosto 2016 e trasmesso l'11 agosto ai competenti organi di controllo per il seguito di competenza), che prevede la necessità di realizzare un nuovo impianto di incenerimento con una capacità pari a 210.000 tonnellate all'anno di rifiuti urbani e assimilati, salvo che il piano regionale non venga aggiornato prevedendo diverse soluzioni.
  Con la chiusura di Malagrotta, avvenuta nel 2013, tra l'altro, si è determinata la carenza di una discarica di servizio ove conferire i rifiuti residui dal trattamento dei Tmb che non possono o non vengono avviati a recupero o incenerimento. Attualmente il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata ha concorso a mantenere elevati i quantitativi dei rifiuti prodotti dalla Capitale da avviare a smaltimento, ovvero circa il 50 per cento dell'attuale fabbisogno di discarica dell'intera regione Lazio (quantificato nel piano del fabbisogno impiantistico approvato con deliberazione di giunta regionale n. 199 del 2016 in circa un milione di tonnellate l'anno).
  Avviare le diverse frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta di rifiuti urbani anche differenziati ad impianti in possesso delle necessarie autorizzazioni è compito di Roma capitale, per il tramite anche della sua in-house Ama s.p.a. laddove stabilito, nel rispetto dei principi di prossimità, economicità e sostenibilità ambientale.
  Ciò per garantire alle utenze un servizio adeguato e commisurato alla tariffa corrisposta, che vede in Roma capitale costi specifici annui pro capite più elevati rispetto ai valori medi degli altri comuni (come emerge dai dati indicati da Ispra nel rapporto rifiuti 2015).
  La stessa Ama ha inteso chiarire che l'attuale situazione di criticità è dovuta sia al « deficit infrastrutturale cronico della città di Roma e della Regione Lazio», e sia ad altre «ben più complesse e articolate ragioni» di cui questo Ministero non è a conoscenza.
  È chiara dunque l'estraneità di questo Ministero sugli specifici aspetti attinenti alla determinazione di una rete integrata e adeguata di impianti ed al rilascio delle relative autorizzazioni di competenza regionale, nonché alla corretta gestione del servizio di raccolta.
  Tuttavia, dato il rilievo istituzionale delle questioni, questo Ministero non solo si è reso disponibile a supportare il comune di Roma nell'individuazione delle opportune misure atte a superare le difficoltà recentemente incontrate, ma ha anche sollecitato la regione Lazio ad eseguire sugli impianti di trattamento i controlli necessari a verificarne la piena e corretta funzionalità.
  In particolare, con nota del 2 agosto 2016 e con un'ulteriore nota di settembre, il Ministero ha chiesto alla regione di eseguire, anche con il supporto tecnico di Arpa Lazio, i necessari controlli sulla corretta operatività di tutti gli impianti, per verificare oltre che l'efficacia del trattamento, anche la tipologia dei rifiuti in ingresso ed uscita, producendo una relazione riepilogativa sugli esiti delle verifiche condotte.
  Allo stato attuale, non essendo stati ancora acquisiti tutti gli elementi richiesti, questo Ministero ha provveduto ad inoltrare debito sollecito ai competenti uffici regionali.
  In particolare, il 6 settembre 2016 il Ministero ha sollecitato la regione a inoltrare il resoconto sulle verifiche dell'impiantistica di Roma, nonché ribadito la necessità di integrare ed adeguare le previsioni del piano del fabbisogno, propedeutico alla stesura nel nuovo piano rifiuti, secondo le disposizioni previste nel più volte menzionato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuative dell'articolo 35 dello «Sblocca Italia», nel rispetto del principio della gerarchia dei rifiuti.
  Si precisa, inoltre, con riferimento alle procedure di infrazione, che la regione Lazio è destinataria di 2 procedure: quella sulle discariche abusive (causa C196/13) e quella relativa alla gestione dei rifiuti e al rispetto dell'articolo 6 della Direttiva 2008/98/CE (causa C323/13).
  In particolare, per quanto attiene alla prima procedura, nel Lazio rimangono da concludere le procedure di messa in sicurezza di 12 siti di discarica, di cui nessuno ricadente amministrativamente nel territorio di Roma Capitale. Relativamente alla seconda procedura di infrazione, si evidenzia che la Corte di Giustizia europea ha ritenuto che nella regione Lazio:
   nel SubAto di Roma, con esclusione della discarica di Cecchina ubicata nel comune di Albano Laziale, e nel SubAto Latina, i rifiuti conferiti in discarica non siano sottoposti a idoneo pretrattamento;
   non vi sia una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani.

  La regione ha provveduto ad effettuare nei mesi di luglio e agosto tramite Arpa Lazio i sopralluoghi in tutti gli impianti regionali, al fine di verificare la cessazione dei conferimenti del tal quale in discarica; gli esiti di queste verifiche sono stati trasmessi dalla regione in questi giorni.
  Dai sopralluoghi è risultato che nelle discariche del Lazio non vi sono più stati conferimenti di rifiuti urbani di cui al codice CER 20.XX.XX negli anni 2015 e 2016, e che per l'anno 2014 i conferimenti riscontrati sono riferibili a periodi antecedenti il mese di giugno.
  Per quanto attiene la creazione di una rete integrata ed adeguata di impianti per la gestione dei rifiuti urbani in regione, da una recente ricognizione effettuata sull'impiantistica di trattamento dei rifiuti il relativo fabbisogno è stato soddisfatto, e non occorre pertanto realizzare ulteriori Tmb.
  Le risultanze delle misure adottate sono state debitamente trasmesse alla Commissione europea, e sono attualmente al vaglio delle autorità comunitarie.
  Si rappresenta, infine, che, il 22 aprile 2016, la regione Lazio ha approvato la «Determinazione del fabbisogno», propedeutico al successivo aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti. Sul documento allo stato è in corso un positivo confronto con i competenti uffici regionali, per addivenire ad una condivisione degli obiettivi.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Friuli Venezia Giulia, la società TERNA Rete Elettrica Nazionale spa, sta realizzando un elettrodotto a 380 Kw, in doppia terna, tra la stazione elettrica di Udine ovest e la stazione elettrica di Redipuglia (Gorizia). L'elettrodo ha una lunghezza di circa 39 chilometri, con sostegni dell'altezza di 61 metri. Tale opera è stata progettata da Terna spa in qualità di gestore RTN ed inclusa nel piano di sviluppo della RTN;
   con sentenza n. 3652 del 23 luglio 2015, la VI sezione del Consiglio di Stato, ha provveduto all'annullamento del provvedimento valutazione d'impatto ambientale favorevole, emesso il 21 luglio del 2011, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, nonché all'annullamento del provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'opera, rilasciato alla Terna spa con decreto interministeriale del Ministro dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente n. 239/EL-146/181/2013 del 12 marzo 2013. Oltre ciò i giudici di palazzo Spada hanno considerato viziato da eccesso di potere e difetto di motivazione, il provvedimento con cui il Ministero per i beni e le attività culturali (nota prot. 6440 del 24 febbraio 2011), mutando il precedente parere contrario della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia (in nota prot. 10889 del 24 novembre 2010), diede parere favorevole circa il progetto, ponendo come unica condizione quella di spostare il tratto di elettrodotto previsto nell'area golenale del fiume Torre;
   inizialmente, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia aveva difatti espresso parere contrario all'intervento nelle aree oggetto di tutela ai sensi degli articoli 136 e 142, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, rilevandone l'impatto negativo sul paesaggio circostante. Infatti, la costruzione dell'elettrodotto avrebbe prodotto un grave deturpamento di tratti dei corridoi fluviali del torrente Comor, del fiume Torre, del fiume Isonzo nonché della Roggia di Udine e delle Roggia Mille acque, giacché l'installazione di sostegni e cavi, dall'altezza superiore ai 61 metri avrebbe costituito un danno alla matrice agricola e naturalistica del paesaggio. Sulla base di tali rilievi, la Soprintendenza aveva quindi, proposto l'interramento dell'elettrodotto nelle fasce sottoposte a tutela paesaggistica;
   successivamente, il Ministero dei beni e le attività culturali del turismo, vista l'impossibilità di realizzare l'elettrodotto in cavo sotterraneo nelle zone sottoposte a tutela paesaggistica, cambiando avviso si esprimeva favorevolmente, ponendo come unica condizione che il tratto di elettrodotto del fiume Torre venisse spostato all'esterno della fascia di elevato valore paesaggistico;
   dalla lettura della sentenza si evince che il Mibac anziché occuparsi della cura dell'interesse paesaggistico abbia illegittimamente compiuto una non consentita attività di comparazione e di bilanciamento di quest'ultimo con interessi pubblici di altra natura e spettanza, essenzialmente quelli sottesi alla realizzazione dell'elettrodotto e, dunque, al trasporto dell'energia elettrica. Non ad esso, ma ad altre amministrazioni competeva esprimere, nel confronto dialettico proprio della conferenza di servizi, quelle valutazioni, indicandone le rispettive ragioni. Inoltre, il Mibac, avrebbe illegittimamente subordinato il perseguimento dell'interesse pubblico primario affidato alla sua cura alla realizzabilità comunque dell'opera, quasi che l'an del progetto non potesse essere nemmeno posto in discussione;
   in data 24 luglio 2015, ovvero all'indomani del deposito della sentenza del Consiglio di Stato, la società Terna emetteva un comunicato stampa in cui veniva banalizzato quanto deciso dai giudici, annunciando che in esito al provvedimento sarebbe derivato un possibile blackout nonché un aggravio delle bollette a carico dei cittadini. Tali notizie venivano immediatamente diffuse dalle testate giornalistiche locali e dal notiziario regionale di Rai 3, generando nella popolazione un diffuso allarmismo. Peraltro, l'elettrodotto oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato è ancora in fase di realizzazione e pertanto non risulta possibile che lo stesso incida sulla RTN in esercizio. Inoltre, dal Report Energia pubblicato dal servizio programmazione, pianificazione strategica, controllo di gestione e statistica della regione Friuli Venezia Giulia nel dicembre 2014, si evince che in totale, i consumi regionali ed in generale anche quelli nazionali, sono calati in due anni del 4,3 per cento (da 10.030,4 GWh a 9.603,1 GWh) e pertanto quanto comunicato a mezzo stampa dal gestore RTN è da ritenersi assolutamente infondato;
   dal quotidiano online il Messaggero Veneto del 2 agosto 2015, si apprende che anche dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato il provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'opera, operai sono stati visti al lavoro sui tralicci, peraltro senza indossare i caschi di protezione, tanto da ingenerare l'idea comune che Terna continui nella prosecuzione dell'opera in spregio di quanto deciso dai giudici. A seguito di queste segnalazioni partite dalla cittadinanza e dai sindaci della zona interessata dall'opera, Terna ha precisato che si è adoperata per la messa in sicurezza dei cantieri, ma ad oggi quale sia la realtà non è dato sapere –:
   quali iniziative di competenza i ministri interrogati, intendano attivare o attiveranno affinché l'intervento progettato dalla Terna sia attuato nel rispetto della sentenza del Consiglio di Stato di cui in premessa;
   su quali dati si basano le affermazioni di Terna diffuse a mezzo stampa e relative al possibile rischio di blackout nella regione Friuli Venezia Giulia;
   quali iniziative siano state intraprese per impedire che Terna addebiti all'utenza, anche in via indiretta, i costi delle opere che ha inteso realizzare;
   se i lavori attualmente in corso all'elettrodotto siano relativi alla prosecuzione dell'opera ovvero se si tratti esclusivamente di opere necessarie alla messa in sicurezza, così come dichiarato da Terna. (4-10167)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisti dalla competente direzione generale si rappresenta quanto segue.
  Con decreto Via del 21 luglio 2011 è stato espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni per il progetto «Elettrodotto a 380 kV in doppia terna S.E. Udine Ovest – S.E. Redipuglia ed opere connesse», presentato dalla società Terna rete elettrica S.p.a. nel mese di gennaio 2009.
  Il 23 luglio 2015, data in cui, peraltro secondo il proponente, l'opera era già realizzata per oltre l'80 per cento, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3652/2015, ritenuta l'illegittimità sotto il profilo dell'eccesso di potere, ha annullato il parere espresso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) nell'ambito del procedimento di Via ed il provvedimento di compatibilità ambientale DVA-DEC-2011-000411 del 21 luglio 2011.
  A seguito di approfondimenti giuridici condotti con l'Avvocatura dello Stato, si è stabilito di procedere, in applicazione della sopra citata sentenza del Consiglio di Stato, alla rinnovazione del procedimento di Via, al fine di condurre una contestuale valutazione attualizzata dell'impatto ambientale delle opere ed acquisire un parere del Mibact finalizzato a produrre un nuovo provvedimento di Via che tenga luogo del provvedimento annullato.
  Alla luce di quanto sopra, nel mese di novembre 2015, la società proponente ha presentato gli atti e la documentazione progettuale relativi a «Istanza di rideterminazione in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale per l'elettrodotto a 380 kV in doppia terna “S.E. Udine Ovest – S.E. Redipuglia” ed opere connesse, in applicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 3652/2015 nonché alla comunicazione di avvio procedimento EL-146-bis del Ministero dello sviluppo economico (del 6 novembre 2015)».
  L'istruttoria tecnica è stata avviata presso la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas nel mese di febbraio 2016, dopo il perfezionamento dell'istanza da parte del proponente.
  Rispetto agli interventi relativi al progetto oggetto del decreto di compatibilità ambientale n. 411 del 2011, gli interventi compresi nel progetto relativo all'istanza riformulata, sono i medesimi, ottimizzati in termini localizzativi e tecnologici a seguito delle ottemperanze svolte, sulle prescrizioni del decreto del 2011, sia dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che dalla regione Friuli Venezia Giulia.
  Il Mibact nel giugno 2016, si è espresso con parere negativo, mentre la regione Friuli Venezia Giulia ha espresso il parere di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni, di cui alla delibera di giunta regionale n. 1389 del 22 luglio 2016. La commissione tecnica si è espressa, i primi di agosto con il parere positivo con prescrizioni n. 2136.
  In ragione del contrasto tra il parere positivo con prescrizioni n. 2136 della commissione e quello negativo espresso dal Mibact, la questione è stata deferita al Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera C-bis della legge 23 agosto 1998, n. 400.
  Con la delibera del 10 agosto 2016, il Consiglio dei ministri si è espresso in merito alla compatibilità ambientale del progetto di cui trattasi, facendo propria la posizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «[...] a condizione che siano rispettate le prescrizioni espresse dalle amministrazioni favorevoli al progetto, contenute nel parere n. 2136 del 2 agosto 2016 della Commissione Tecnica di Verifica dell'Impatto Ambientale VIA/VAS [...]».
  Il procedimento di valutazione di impatto ambientale si è, quindi, concluso con il decreto di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni n. 241 del 6 settembre 2016, a firma del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si rappresenta che tutta la documentazione progettuale ed ambientale presentata nel corso dell'istruttoria tecnica, insieme con le osservazioni del pubblico e i pareri delle amministrazioni, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'indirizzo http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/276.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 195 comma 2, lettera e) del decreto legislativo 152 del 2006 stabilisce che è compito dello Stato «la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l'assimilabilità ai rifiuti urbani»;
   l'articolo 238, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che «la tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali». Il comma 10 del medesimo articolo dispone che: «Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi.»;
   l'articolo 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 dispone che «nella determinazione della superficie assoggettabile a TARI non si tiene conto di quella parte ove si formano in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a loro spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune, con proprio regolamento, può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero»;
   con la risoluzione 2/DF del Ministero dell'economia e delle finanze, datata 9 dicembre 2014 e relativa alla determinazione della superficie tassabile, si specifica che «Non può ritenersi corretta l'applicazione del prelievo sui rifiuti alle superfici specificamente destinate alle attività produttive, con la sola esclusione di quella parte di esse occupata dai macchinari. Tale comportamento potrebbe, infatti, dare origine ad una ingiustificata duplicazione dei costi poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali oltre a far fronte al prelievo comunale dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti»;
   il Consiglio di Stato, con sentenza 3941 del 24 luglio 2014, si è espresso sull'attività di trattamento dei rifiuti speciali e sulla riduzione tariffaria per il conferimento di rifiuti urbani assimilati destinati al recupero, specificando che: «Non avendo lo Stato ancora emanato alcun regolamento per la determinazione dei criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, si continuano ad applicare i criteri per l'assimilazione previsti nella deliberazione 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale in conformità alla normativa che ha stabilito, con deliberazione consiliare n. 24 del 20 maggio 1998 in atti, l'assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani in conformità ai criteri di cui alla sopra citata deliberazione 27 luglio 1984 l'attività di trattamento dei rifiuti speciali conferiti al servizio pubblico di raccolta, previa convenzione con il gestore, costituisce essa stessa per qualificazione di legge (artt. 188, comma 3, lett. a) e 189, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 152-2006) un servizio pubblico e dunque deve essere considerata come attività svolta a favore del territorio di riferimento e cioè come attività prevalente per conto degli locali soci. Per una società in house, avente per oggetto la gestione di servizi pubblici, l'attività che deve essere prevalente è quella da svolgere in attuazione di tale incarico di servizio pubblico attribuito dagli enti locali. Pertanto, la riduzione tariffaria per il conferimento di rifiuti urbani assimilati destinati al recupero non spetta soltanto all'utente che consegna tali rifiuti al gestore del servizio pubblico, ma anche all'utente che conferisce tali rifiuti ad un'impresa autorizzata diversa dal gestore del servizio, non determinando alcuna disparità di trattamento tariffario tra i diversi utenti»;
   non risulta agli interroganti l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   molti comuni non hanno ancora emanato il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare quali superfici produttive esonerare dal pagamento della Tari;
   se il Ministro interrogato possa indicare quali siano i tempi per l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di determinare un elenco di attività le cui superfici produttive non siano da assoggettare a Tari, in modo da escludere la possibilità di una duplicazione dei costi di smaltimento dei rifiuti per queste aziende. (4-13614)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione relativa alle questioni riguardanti le attività le cui superfici produttive non siano da assoggettare a Tari, si rappresenta quanto già evidenziato nel corso della seduta di question time tenutasi in VIII Commissione della Camera il 22 settembre 2016.
  In via preliminare, occorre chiarire il significato del concetto di classificazione del rifiuto e del concetto di assimilazione. Tali tematiche, infatti, incidono sulla imponibilità delle superfici ai fini del tributo (aree escluse/tassate) e nei diversi regimi agevolativi (riduzioni).
  Sulla base della normativa vigente (decreto legislativo n. 152 del 2006), i rifiuti sono classificati secondo l'origine in «urbani» e «speciali» (articolo 184, comma 1). Nei rifiuti urbani sono compresi, tra l'altro, i rifiuti domestici e i rifiuti speciali non pericolosi assimilati per quantità e qualità ai rifiuti urbani. I rifiuti speciali sono gestiti autonomamente dal soggetto produttore (articolo 188) mentre i rifiuti urbani e assimilati rientrano nella privativa comunale (articolo 198, comma 1).
  Con specifico riferimento all'assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali non pericolosi, l'articolo 195, comma 2, lettera
e), del decreto legislativo n. 152 del 2006, attribuisce allo Stato la competenza di determinare i criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, mediante un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico. A tale proposito si fa presente che questo Ministero è attualmente impegnato nella stesura dello schema regolamentare del decreto in questione.
  Lo schema di decreto recante la definizione dei criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico (ai sensi dell'articolo 1, comma 667, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) è stato trasmesso in data 13 ottobre 2016 alla conferenza Stato-città.
  Al termine dell’iter di adozione dei predetti decreti (assimilazione e misurazione puntuale) verrà dato inizio alla fase istruttoria del regolamento recante i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti di costo e viene determinata la «tariffa» per i rifiuti urbani, comprensiva delle agevolazioni per le utenze domestiche e le riduzioni per i rifiuti assimilati avviati a recupero, ai sensi dell'articolo 238, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Si ritiene, comunque, utile evidenziare che il predetto decreto non attiene alla determinazione delle superfici. Tale attività, infatti, è attribuita al comune ai sensi dell'articolo 1, comma 682, della legge di stabilità per il 2014 secondo cui il comune individua, tra l'altro, «le categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell'obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all'intera superficie su cui l'attività viene svolta».
  In conclusione, si segnala comunque che la determinazione di un elenco di attività le cui superfici produttive non siano da assoggettare a Tari non possa essere effettuata con iniziative normative generali e di valenza nazionale, ma debba essere oggetto di potere regolamentare locale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare l'impatto regolatorio delle normative in questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.