Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 23 novembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati del UNHCR, nel 2015 – l'anno con più mortalità – sono state registrate 3.771 vittime nella traversata del Mediterraneo verso i Paesi europei e nel 2016 il numero è equivalente se non superiore; nel 2016 ha perso la vita 1 persona ogni 88 che hanno tentato la traversata, mentre nel 2015 era 1 ogni 269;
    si calcola che in totale negli ultimi quindici anni sono morte circa 30.000 persone nella traversata del Mediterraneo. Il 60 per cento di chi muore in mare resta senza nome;
    l'identificazione e il riconoscimento sono un diritto fondamentale soggettivo che tutela la dignità della persona, come previsto dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    riconoscere e dare un nome a chi muore nell'attraversare il Mediterraneo è un atto di umanità che permette alle famiglie di riavere i corpi, dar loro degna sepoltura e piangerli degnamente uscendo dal limbo angoscioso di chi non sa la sorte di un proprio congiunto, che può portare anche a problemi di salute mentale;
    dare un'identità certa alle persone morte annegate nel Mediterraneo è fondamentale per fornire le necessarie tutele giuridiche ai congiunti ed ai parenti dei deceduti, ad esempio in materia di ricongiungimento familiare ed eredità;
    dare un'identità ed un nome a chi è morto in mare aiuta altresì a ricostruire i percorsi migratori, le rotte ed anche i meccanismi di sfruttamento e degli scafisti; quindi, dare un'identità certa alle persone morte nel Mediterraneo è fondamentale anche per ragioni di sicurezza, in quanto impedirebbe l'uso dell'identità e dei documenti di persone annegate da parte di altre persone, magari con finalità criminali o terroristiche;
    il diritto internazionale dei diritti umani, specie nella Convenzione di Ginevra e nei suoi protocolli aggiuntivi, sancisce norme volte a considerare principi fondamentali per il rispetto della dignità umana anche quelli che devono essere garantiti agli scomparsi nel Mediterraneo e ai loro familiari; negare indagini adeguate può essere considerato un trattamento degradante nei confronti dei loro familiari nei Paesi d'origine, che spesso li cercano per lungo tempo, nonché una violazione dei diritti di residenti o cittadini europei. Alla pari delle vittime di altri disastri di massa le vittime delle migrazioni non devono essere ignorate;
    il Consiglio d'Europa a più riprese ha messo in luce la necessità di risposte adeguate, come nel rapporto del commissario dei diritti umani del 2014 dedicato alle persone scomparse, Missing persons ad victims of enforced disappearance in Europe, e attraverso la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) che ha elaborato il diritto dei familiari a conoscere il destino dei propri cari;
    tuttavia, tale diritto non sempre è riconosciuto, dato che alcune procure delle città titolari delle inchieste sui naufragi affermano la necessità del recupero delle salme come atto dovuto per i familiari delle vittime, mentre altre procure, non essendovi obbligo legale, ritengono che l'identificazione non sia utile alle indagini;
    rimane quindi una sorta di vuoto giuridico sui doveri di identificazione dei morti in mare, per cui non è chiaro a chi spettino le operazioni di identificazione, cosicché esse sono lasciate sostanzialmente all'iniziativa di istituzioni e operatori;
    il problema della scomparsa dei migranti del Mediterraneo è affrontato e denunciato da anni da istituzioni, quali l'UNHCR, l'OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), la Croce rossa internazionale;
    nel 2007 è stato istituito presso il Ministero dell'interno l'ufficio del commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, primo del suo genere in Europa, che ha creato un registro e una banca dati di ricerca scomparsi, con competenza sui cadaveri sconosciuti dei migranti;
    l'Italia ha messo in campo attività e metodologie scientifiche di avanguardia nel campo del riconoscimento dei morti in mare senza disporre peraltro di risorse specifiche, attraverso un modello di intervento coordinato dal commissario straordinario, cui collaborano, oltre all'università di Milano anche numerose università italiane, il Ministero della difesa con la Marina militare, la Guardia costiera, la Croce rossa militare e varie altre istituzioni;
    nel settembre 2014 il commissario straordinario per le persone scomparse, il capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e il rettore dell'università degli studi di Milano sottoscrivevano uno specifico protocollo d'intesa per sviluppare azioni congiunte «in materia di riconoscimento/identificazione dei corpi senza identità appartenenti a cittadini stranieri recuperati in mare a seguito dei naufragi del 3 e 11 ottobre 2013». Tale intesa ha dato avvio a una collaborazione stabile tra l'ufficio del commissario straordinario e il laboratorio di antropologia e odontologia forense dell'università di Milano (Labanof);
    un esempio di tale modello d'eccellenza sono i progetti messi in atto per riconoscere i morti dei naufragi del 3 ottobre 2013 (data riconosciuta come giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione) e del naufragio del 18 aprile 2015, dopo il ritrovamento e il recupero del relitto del barcone su cui si trovavano circa 800 persone;
    tale progetto, cui hanno partecipato 10 atenei italiani su base volontaria, ha creato un modello per il trattamento dei morti e di raccolta dei dati esportabile in tutta Europa;
    si rende quindi necessario promuovere e sostenere tale attività di identificazione delle vittime al fine di facilitare e ampliare le attività di riconoscimento, raccolta dati e diffusione informazioni tra i familiari;
    il consolidamento di tale modello costituisce anche un'importante azione a livello culturale, specie tra le giovani generazioni, per creare una cultura dei diritti fondamentali che comprenda il diritto dei morti ad avere un nome,

impegna il Governo:

1) a sostenere e promuovere le task force inter-istituzionali per la raccolta dei dati al fine di promuovere l'identificazione dei corpi ancora senza nome dei migranti nel Mediterraneo;
2) a facilitare a livello nazionale la raccolta di dati post mortem sui cadaveri delle vittime al fine di raccogliere tutte le informazioni utili a portare a un'identificazione;
3) a promuovere a livello nazionale la raccolta di dati ante mortem degli scomparsi dai familiari, aiutando a costruire una infrastruttura e punti di raccolta in Europa e nei Paesi di origine;
4) a valutare il potenziamento dell'ufficio del commissario straordinario per le persone scomparse dotandolo di un centro costi e di risorse, sia umane che finanziarie;
5) ad assumere iniziative per sviluppare la cooperazione internazionale coinvolgendo le istituzioni internazionali, l'Unione europea e il Consiglio d'Europa per condividere l'opera di identificazione tra i Paesi membri.
(1-01435) «Santerini, Dellai».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    le economie europee vivono una difficile fase di transizione, che mette a dura prova la capacità dei relativi sistemi produttivi di fronteggiare la concorrenza particolarmente agguerrita delle cosiddette economie emergenti che si avvalgono di evidenti vantaggi in termini di più bassi costi di produzione e di minori vincoli ambientali;
    alle difficoltà connesse all'accelerazione della concorrenza a livello globale e agli impegni connessi all'aggiornamento e dei processi produttivi propri delle economie mature, quali sono quelle europee, si aggiungono gli effetti derivanti dalla crisi economico finanziaria che, esplosa tra il 2007 e 2008, in molti Paesi europei non è ancora definitivamente superata anche per l'impossibilità di porre in essere programmi di sostegno pubblico, stanti i vincoli derivanti dalle regole di bilancio applicate in particolare ai Paesi dell'area euro;
    il complesso di questi fattori incide in termini particolarmente rilevanti su alcuni comparti che mantengono tuttavia un ruolo strategico irrinunciabile per le prospettive di crescita delle economie europee tra i quali, nell'ambito del settore manufatturiero nel suo complesso, il comparto siderurgico in particolare;
    la Commissione europea ha da tempo preannunciato una serie di iniziative volte a favorire la rinascita industriale dell'Unione europea in modo da invertire il declino dell'incidenza dell'industria in Europa e di riportare la quota di reddito derivante dalle attività manufatturiere dal 15 per cento al 20 per cento del prodotto interno lordo;
    allo stesso tempo, la Commissione europea ha individuato alcuni obiettivi prioritari da perseguire per fronteggiare la dilagante concorrenza cinese, tra cui il rafforzamento degli strumenti di difesa commerciale contro le pratiche sleali e lo snellimento delle procedure per l'adozione di misure antidumping;
    per quanto concerne in particolare il comparto siderurgico, la quota di mercato dell'Unione europea come produttore di acciaio risulta in costante discesa e si colloca attualmente intorno al 10 per cento del totale mentre quella cinese supera il 50 per cento. La contrazione del settore ha determinato la perdita di circa 40 mila posti di lavoro. A fronte di tale drammatica situazione, la Commissione europea ha delineato un piano d'azione che mira ad aumentare il valore aggiunto delle attività siderurgiche puntando sull'innovazione per distinguersi dai concorrenti e accrescere la competitività;
    tra le altre cose, la Commissione europea prospettava la possibilità di destinare quota parte dei proventi del sistema ETS (scambio delle quote di emissioni), attualmente oggetto di una proposta di modifica della stessa Commissione, per finanziare l'adozione di tecnologie innovative nelle industrie ad alta intensità energetica;
    sull'attribuzione alla Cina dello status di economia di mercato, oggetto di controverse interpretazioni, la Commissione europea sta procedendo a una approfondita valutazione delle diverse implicazioni, mentre il Parlamento europeo si è pronunciato con una risoluzione approvata nel mese di maggio 2016 scorso mese di maggio 2016 affermando, a larghissima maggioranza, che finché la Cina non avrà soddisfatto tutti i criteri previsti, le sue esportazioni dovranno continuare ad essere trattate con una metodologia non standard;
    sulla concessione alla Cina dello status di economia di mercato altri partner, tra cui in particolare gli Stati Uniti, stanno maturando un giudizio fortemente critico basato sulla attenta considerazione dei rischi che possono derivarne per i produttori nazionali;
    a livello europeo, resta controverso l'atteggiamento da assumere per quanto concerne la cosiddetta regola del dazio inferiore – in base alla quale la Commissione europea può istituire dazi e un livello inferiore al margine di dumping se tale livello è sufficiente a eliminare il pregiudizio arrecato all'industria europea – che alcuni Paesi vorrebbero incomprensibilmente mantenere mentre l'Italia, insieme ad altri partner, tra cui la Polonia e la Francia, vorrebbe disapplicare, come prospettato dalla stessa Commissione europea;
    il Consiglio europeo del 20-21 ottobre 2016 si è concluso in termini non pienamente soddisfacenti su questi aspetti, per l'ambiguità delle posizioni assunte. Nelle conclusioni approvate, si sostiene, infatti, che l'Unione europea è impegnata a promuovere una politica commerciale che sappia cogliere i benefici dei mercati aperti, ferma restando la necessità della difesa e della promozione degli standard europei per quanto concerne le norme sociali, ambientali, di tutela dei consumatori proprie dell'Unione europea;
    allo stesso tempo il Consiglio ha ribadito la necessità di contrastare in modo efficiente e vigoroso le pratiche commerciali sleali, auspicando un accordo equilibrato sull'aggiornamento degli strumenti di difesa commerciale entro la fine del 2016, senza tuttavia pronunciarsi sulla regola del dazio inferiore,

impegna il Governo:

   ad assumere, nel prosieguo dei negoziati in ambito europeo e in tutte le sedi negoziali, sia formali che informali, una posizione netta e inequivoca:
    a) per evitare il rischio di pervenire a decisioni suscettibili di comportare gravi pregiudizi per la competitività dell'industria europea, e in particolare di quelle del comparto siderurgico, in particolare evitando possibili accelerazioni nella procedura per la concessione alla Cina dello status di economia di mercato fino a che non saranno attentamente valutate tutte le implicazioni sulle imprese europee;
    b) per tradurre sul piano concreto gli obiettivi previsti dal programma di rinascita industriale, e in particolare dal piano d'azione per una siderurgia competitiva e sostenibile in modo da promuovere una ripresa del comparto, contrastando la dilagante concorrenza cinese, anche utilizzando quota parte dei proventi del sistema ETS per il finanziamento di investimenti per l'innovazione e l'aggiornamento degli impianti siderurgici;
    c) per rafforzare l'efficacia delle misure di difesa commerciale, in particolare rinunciando in via definitiva alla regola del dazio inferiore.
(7-01146) «Vico, Benamati, Arlotti, Bargero, Taranto, Camani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Terna s.p.a. è unico gestore della Rete di trasmissione nazionale (RTN) che costituisce la rete elettrica ad alta ed altissima tensione su tutto il territorio nazionale alla quale afferiscono, tanto gli elettrodotti ad alta tensione (AT) ed altissima tensione (AAT), quanto le stazioni elettriche (SE) di smistamento, nonché le stazioni elettriche di trasformazione da alta e ad altissima tensione (AT/AAT);
   Terna s.p.a. si definisce committente/proprietaria delle stazioni elettriche in questione e ne chiede puntualmente la voltura (anche se l'autorizzazione viene rilasciata ad un'altra società) a riprova, a giudizio degli scriventi, che sono opere della RTN;
   la normativa in materia di procedimenti autorizzativi delle suddette stazioni, a servizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, viene individuata nell'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003;
   occorre considerare che ogni società proponente un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, con potenza superiore a 10 megawatt, deve chiedere la connessione alla società Terna che possiede ed è unico gestore della RTN e che è tenuta a rilasciare una soluzione di connessione denominata «preventivo di connessione» e tecnicamente definito STMG (soluzione tecnica minima generale);
   in materia è poi sopraggiunto l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 10 settembre 2010, nel quale si precisa che una stazione di raccolta può trovarsi nell'autorizzazione unica del generico impianto fotovoltaico/eolico, se specificatamente inserita nel preventivo di connessione;
   esaminando una serie di preventivi di connessione (tecnicamente chiamati STMG), risulta che viene citata la stazione elettrica o le stazioni elettriche, ma il preventivo (inteso ovviamente come costo che la società deve versare al gestore della Rete) non riguarda le stazioni elettriche;
   in base all'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011, «I gestori di rete, per la realizzazione di opere di sviluppo funzionali all'immissione e al ritiro dell'energia prodotta da una pluralità di impianti non inserite nei preventivi di connessione, richiedono l'autorizzazione con il procedimento di cui all'articolo 16, salvaguardando l'obiettivo di coordinare anche i tempi di sviluppo delle reti e di sviluppo degli impianti di produzione»;
   puntualmente, nell’iter autorizzativo per impianti alimentati da fonte rinnovabile (generalmente impianti eolici) vengono inserite anche una o più stazioni elettriche della RTN (quindi opere di una rete che vede Terna unico gestore) le quali vengono solo nominalmente menzionate nei preventivi di connessione rilasciati alle società proponenti impianti dalla stessa Tema, ma senza essere computate nel medesimo preventivo. Il non essere computate nel preventivo è motivo per cui non andrebbero considerate come opere «inserite nel preventivo di connessione», altrimenti verrebbe disattesa la parola stessa di «preventivo». A parere degli interpellanti, tale procedura appare un modo surrettizio volto a far presentare, dalla società proponente l'impianto, anche il progetto relativo alla stazione elettrica della RTN così da accelerarne l'autorizzazione che riguarderà non solamente l'impianto eolico, ma anche la stazione elettrica o le stazioni elettriche. La stessa stazione o più stazioni elettriche verranno, successivamente al rilascio dell'autorizzazione unica alla società promotrice dell'impianto eolico, puntualmente volturate alla Terna s.p.a., essendo opere della RTN di cui la Terna è unico gestore;
   le stazioni elettriche e gli elettrodotti di cui ai punti precedenti, in quanto opere della RTN, dovrebbero inoltre essere presenti nel piano di sviluppo (PdS) approvato dal Ministro dello sviluppo economico previa verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica (VAS) secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
   l'articolo 17 del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 riporta testualmente al comma 1 che «Terna S.p.A. individua in una apposita sezione del Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale gli interventi di cui all'articolo 4, comma 4, tenendo conto dei procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti in corso»;
   nella regione Basilicata è accaduto che in modo, ad avviso degli interpellanti, del tutto incauto e riproponendo un medesimo modus operandi, è stata collocata ed autorizzata una stazione elettrica della RTN nel comune di Oppido Lucano (Potenza) nell'ambito dell'autorizzazione unica dell'impianto eolico della società Serra Carpaneto s.r.l. L'autorizzazione della stazione elettrica è stata rilasciata tramite la determinazione n. 279 del 12 marzo 2013 a favore della società Serra Carpaneto s.r.l. (ex Pitragalla Eolico S.r.l.). Con la medesima determinazione viene autorizzato, a favore della Serra Carpaneto, un impianto eolico della potenza elettrica di 20 megawatt ed altre tre mega stazioni elettriche denominate SE Vaglio 150 kV, SE Oppido Lucano 150 kV ed SEE Gemano 150/380 kV con l'aggiunta di due nuovi elettrodotti della RTN a 150 kV dalla SE di Avigliano sino alla SEE di Genzano di Lucania;
   è facilmente intuibile la maestosità delle opere elettriche il cui dimensionamento va ben oltre la specifica esigenza dell'impianto eolico da 20 megawatt. L'aggravante risiede nel tentativo, divenuto realtà, di portare in autorizzazione opere elettriche della RTN che invece devono essere richieste da quell'unico ente gestore della RTN rappresentato dalla società Terna. Inoltre, ricorrere all'istituto giuridico dell'esproprio per pubblica utilità per le 4 stazioni elettriche e relativi elettrodotti, lasciando intendere che siano tutte opere indispensabili per la connessione dell'impianto eolico, rappresenterebbe a giudizio degli interpellanti un evidente abuso indirizzato a favorire la nascita di stazioni in tempi rapidi agevolandone l’iter autorizzativo –:
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, con la massima urgenza, al fine di accertare quanto rappresentato in premessa circa l'operato della società Terna s.p.a. in Basilicata;
   come si intenda affrontare quello che appare agli interpellanti l'anomalo proliferare di mega-stazioni elettriche di Terna nella regione Basilicata, ciascuna delle quali ricopre, puntualmente, decine di migliaia di metri quadrati di superficie di terreno in contesti estranei a qualunque tipo di attività economica industriale come quella che si vuole realizzare e utilizzando un presunto iter autorizzativo surrettizio volto probabilmente a favorire la società Terna s.p.a.
(2-01547) «Placido, Scotto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane oltre mille giornalisti in una petizione pubblica hanno manifestato profonda preoccupazione per la cosiddetta «riforma» varata dal consiglio di amministrazione dell'Inpgi (Istituto nazionale previdenza giornalisti italiani) che stabilisce un prelievo di solidarietà dalle pensioni in essere, eleva l'età pensionabile a 66 anni e 7 mesi di età, sancendo quelle che appaiono inique e incostituzionali disparità tra gli iscritti e rappresentando di fatto un ostacolo al riequilibrio del mercato del lavoro tra ingressi e uscite, e taglia pesantemente molte delle prestazioni erogate;
   tali misure, oltre tutto, non appaiono agli interpellanti idonee a mettere in sicurezza i conti dell'Istituto a causa della grave crisi che attanaglia ormai da 6 anni il settore dell'editoria;
   il consiglio di amministrazione dell'Inpgi presieduto da Marina Macelloni con una delibera del 14 giugno 2016 ha avviato la dismissione di buona parte del proprio patrimonio di edilizia residenziale – conferito al fondo immobiliare «G. Amendola» gestito da Investire sgr del gruppo Finnat – prevedendo vendite per 450/550 milioni di euro entro il 2018 e complessivi 700 milioni entro il 2020, asseritamente con l'obiettivo di affrontare la grave situazione contabile e finanziaria dell'Istituto e per una diversa pianificazione degli investimenti;
   tuttavia, le quantomeno discutibili modalità di vendita starebbero suscitando gravi timori nonché motivate perplessità, non solo tra gli inquilini ma anche in una parte dei membri degli organi collegiali dell'Istituto;
   lo sbilancio nei conti dell'Istituto è ormai strutturale con una differenza nella gestione principale, Inpgi1, tra entrate e prestazioni erogate che ha sfiorato i 112 milioni nel 2015 (-81 milioni nel 2014, -51 milioni nel 2013, -7 milioni nel 2012), ma la situazione è ancora più grave se si considera il rapporto tra contributi obbligatori e prestazioni obbligatorie (-140 milioni di euro nel 2015);
   lo sbilancio è dovuto alla drammatica situazione del settore (in 5 anni si sono persi oltre 3 mila posti di lavoro, con moltissimi prepensionamenti);
   di fronte a questo quadro la necessità inevitabile di vendere parte del patrimonio immobiliare per «fare cassa» era prevedibile se non prevista da anni;
   a conferma di una situazione fortemente compromessa diminuisce anche l'avanzo di gestione del cosiddetto Inpgi2, cui sono iscritti i giornalisti «liberi professionisti» (in realtà collaboratori coordinati e continuativi, precari dai redditi compresi tra gli 8 mila e i 14 mila euro l'anno), finora la «gallina dalle uova d'oro», dati i contributi obbligatori incamerati a fronte di prestazioni risibili –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per accertare la reale situazione dei conti dell'Inpgi;
   se il Governo non intenda verificare, per quanto di competenza, la corrispondenza dei bilanci dell'Inpgi degli ultimi quattro anni alla reale situazione economica e finanziaria;
   se il Governo non intenda verificare la sussistenza oggettiva delle plusvalenze derivanti dai conferimenti immobiliari al fondo «G. Amendola» e assumere ogni iniziativa di competenza per chiarire tali operazioni contabili;
   se il Governo non ritenga di dover acquisire la stima complessiva della rivalutazione del patrimonio immobiliare operata, con l'avvio del fondo, dall’«esperto indipendente», nonché le stime di apporto dei conferimenti redatte dal medesimo «esperto indipendente», onde accertare la corrispondenza con i reali valori di mercato dell'epoca;
   se il Governo non intenda individuare quali siano le cause che con tutta evidenza, ad avviso degli interpellanti, hanno attenuato il ruolo di vigilanza e controllo da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri competenti (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell'economia e delle finanze) presenti negli organi collegiali dell'Inpgi, di fronte al determinarsi del gravissimo e irreversibile sbilancio nei conti dell'ente provocato dal ricorso continuo agli stati di crisi da parte degli editori, ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione;
   se il Governo non intenda accertare se quello che gli interpellanti giudicano un affievolimento, di fatto, del ruolo di vigilanza da parte dei rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri interessati continui tuttora;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché nella dismissione delle case dell'Inpgi vengano introdotti e rispettati criteri di trasparenza;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere perché i prezzi di vendita siano rapportati alla situazione reale e attuale del mercato immobiliare, con l'applicazione dello sconto riconosciuto dalle consuetudini su alloggi occupati, e affinché siano garantite tutele reali per le fasce deboli e per chi non può comprare;
   se non si intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza sostanziale, oltre che formale, del bando di gara pubblico e delle varie fasi nella costituzione e gestione del fondo «G. Amendola»;
   se non si intendano assumere iniziative per chiarire le finalità dell’«operazione Fondo», viste le dichiarazioni dei vertici dell'Inpgi che solo due anni fa escludevano tassativamente di voler vendere, e le finalità del piano di dismissioni, considerate le incongrue modalità con cui, ad avviso dell'interrogante, si sta attuando;
   quali iniziative il Governo intenda attivare affinché, anche nel piano di dismissioni si tenga conto della natura pubblica del patrimonio dell'Inpgi, che ha funzioni sostitutive dell'Inps ed è ente previdenziale privatizzato incaricato di pubbliche funzioni a norma dell'articolo 38 della Costituzione, con finalità puramente sociali, e non di perseguimento del massimo profitto mediante quelle che appaiono agli interpellanti spericolate e oblique operazioni immobiliari;
   se non si intenda verificare con quali strumenti e con quali modalità l'Inpgi affronti, per garantire le normali attività e il pagamento delle prestazioni dovute per legge, le esigenze di cassa e le carenze di liquidità;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda predispone per riportare l'Inpgi sui binari della trasparenza nonché della sana e prudente gestione;
   come si intenda garantire a chi ha versato «fior fiore» di contributi per decenni, a chi è in pensione, a chi sta per andarci e a chi si avvicina o svolge una professione che ha attinenza con i diritti costituzionali quale il diritto all'informazione, la certezza di avere una previdenza e un'assistenza degne di questo nome;
   se, in situazione così gravemente compromessa, il Governo non ritenga indispensabile assumere le iniziative di competenza per il commissariamento dell'ente, qualora tale misura non fosse già tardiva.
(2-01548) «Airaudo, Scotto».

Interrogazioni a risposta orale:


   TOFALO, FRUSONE, CORDA, BASILIO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Il Corriere della Sera del 19 novembre 2016, a pagina 15, dal titolo «Un triangolo tra Libia e Sicilia. La rotta delle flotte fantasma» ritorna sulle misteriose petroliere farebbero traffici illegali di petrolio con la Libia. Il Corriere della Sera già nel mese di febbraio 2016 con un reportage dell'inviato Davide Frattini, aveva pubblicato alcune infografiche su alcune petroliere fantasma che sparivano e riapparivano al largo di Malta;
   nel triangolo di mare tra la Libia, l'isola di Malta e la Sicilia ogni giorno navigherebbero navi cargo che mantengono segreta l'identità e il carico trasportato. Secondo i due autori dell'articolo – oltre a Davide Frattini il suo collega Felice Cavallaro – negli anni questi cargo «hanno cambiato nome e armatore, issando vessilli diversi, ma sempre di convenienza, concessi da Paesi dove le capitanerie fanno poche domande»;
   in particolare, un mercantile lungo 82 metri, stazza lorda oltre duemila tonnellate, battente bandiera di Palau, farebbe spola da settimane tra il porto di Augusta e gli ancoraggi a largo di La Valletta. «Le dimensioni medie raccontano che la nave è adibita al trasporto di prodotti petroliferi già raffinati, l'appartenenza di facciata alla minuscola Repubblica di Micronesia e gli spostamenti sospetti lasciano immaginare che questi traffici siano illegali»;
   i servizi segreti di diversi Paesi, Italia compresa, starebbero monitorando gli spostamenti di questo cargo attraverso controlli sui tanker che seguono quelle rotte. Sempre secondo i due giornalisti: «a poche miglia dalla costa nordafricana, spengono il trasponder per non essere intercettati, usano le ore d'invisibilità per approdare a porti libici come quello di Zuwara». Si tratterebbe della stessa area di mare controllata dai trafficanti di persone che tramite il contrabbando di greggio finanzierebbero le offensive militari di vari gruppi armati molti dei quali sospettati di terrorismo;
   secondo la ricostruzione, sulla via del ritorno i cargo incrocerebbero i complici a largo di Malta dove il petrolio o i suoi derivati verrebbero trasbordati dall'uno all'altro, spesso con un ulteriore passaggio per nascondere le tracce;
   la società israeliana Winward già nel mese di febbraio 2016 aveva dichiarato a Il Corriere della Sera che «i trasferimenti a tre sono un modo per confondere gli spostamenti e il porto di origine. Abbiamo dei criteri per definire chi appartenga alla flotta “fantasma”: compagnie con un solo mercantile, rotte senza nessuna logica economica, navi di media stazza con gru sul ponte per scambiare i carichi in mare aperto»;
   secondo l'inchiesta giornalistica «nessun rilievo sembra possa essere mosso agli acquirenti del petrolio portato nel porto di Augusta considerando la regolarità formale dei documenti in possesso degli intermediari: il greggio risulta provenire da nazioni come l'Arabia Saudita o il Kuwait». Dubbi sarebbero stati in particolare sollevati per il fatto «che il prodotto arriva in Italia a prezzi inferiori a quelli di mercato»;
   appare non spiegabile come sia possibile che in quel tratto di Mediterraneo interessato dalla presenza di diverse missioni militari (Operation Active Endeavour (OAE), Ocean Shield e EUNAVFOR MED Operation Sophia) possa registrarsi un contrabbando di petrolio tra la Libia, Malta e l'Italia –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e quali iniziative il Governo abbia messo in atto per il contrasto al contrabbando di petrolio;
   in particolare, se sia stata chiesta la cooperazione di Malta nell'opera di contrasto al contrabbando e più in generale di tutte le missioni, citate in premessa, delle varie marine militari alleate che pattugliano quel tratto di mare. (3-02647)


   IACONO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 19 novembre 2016 un violento nubifragio si è abbattuto sul territorio di Licata, in provincia di Agrigento;
   la violenza e l'intensità delle acque piovane hanno causato ingenti danni, mettendo a dura prova il sistema fognario che ha palesemente mostrato tutta la sua fragilità;
   le vie del centro cittadino sono state letteralmente invase da un fiume d'acqua che ha devastato tutto ciò che gli si poneva davanti;
   l'economia licatese, già duramente provata da una terribile tromba d'aria che nel 2015 devastò le proprie coltivazioni e da una crisi durissima, ha subito una nuova dura prova per via dell'abbondante pioggia caduta sulla città che si rivelata non adeguatamente protetta; 
   è presto per avere una stima precisa dei danni subiti, ma è evidente che gli effetti del nubifragio rischiano di far collassare seriamente il tessuto produttivo locale, già reso fragile e debole;
   l'acqua piovana ha invaso i negozi, le sedi delle attività, rovinando merci e deteriorando impianti e attrezzature, oltre a danneggiare gli stessi ambienti di lavoro;
   Licata sconta un deficit infrastrutturale, che la rende particolarmente vulnerabile e che fenomeni atmosferici di questa portata hanno drammaticamente messo in evidenza;
   le prime stime parlano di 160 millimetri di pioggia caduti in tre ore su tutto il territorio di Licata;
   si tratta, dunque, di un evento eccezionale se si considera che tutto l'anno cadono 400 millimetri di pioggia sullo stesso territorio;
   i danni maggiori sono stati accertati soprattutto nella zona vicino al fiume Salso, che attraversa la città e che, per fortuna, non straripato, evitandosi così una tragedia ancora maggiore;
   le prime stime, non ancora certe, parlano di un milione e mezzo di euro di danni;
   la stima dei danni subiti dai commercianti di Licata è ancora sommaria;
   si preannunciano però drammatici gli effetti per l'intera economia della comunità licatese, fondata, per la maggior parte, da agricoltura, artigianato e commercio e che è stata letteralmente messa in ginocchio –:
   se non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per dichiarare lo stato di emergenza nelle aree in questione e conseguentemente sostenere i settori economici duramente colpiti dalla sopra descritta calamità, salvaguardando quindi posti di lavoro nell'area;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per promuovere un programma di adeguamento della rete idrica nazionale, con particolare riferimento alla Sicilia e alle aree indicate in premessa. (3-02648)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CARINELLI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, MANTERO, ALBERTI, PESCO, VILLAROSA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, MICILLO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, riguardante l'attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, ha visto la sua entrata in vigore in data 29 aprile 2003;
   l'articolo 13 di detto decreto relativo ai «rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali», al comma 3, recita che «entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ovvero, per i pubblici dipendenti, con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore»;
   ad oggi, il sopracitato comma 3 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 66 del 2003 non ha ancora stabilito l'elenco delle lavorazioni che avrebbero dovuto essere decise dopo 120 giorni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto;
   in assenza dell'elenco di cui all'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo n. 66 del 2003 non può essere applicato l'articolo 8, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/88/CE, che stabilisce che «i lavoratori notturni il cui lavoro comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali non lavorano più di 8 ore nel corso di un periodo di 24 ore durante il quale effettuano un lavoro notturno» e che «ai fini della lettera b) il lavoro comportante rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali è definito dalle legislazioni e/o prassi nazionali o da contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, tenuto conto degli effetti e dei rischi inerenti al lavoro notturno»;
   la non applicazione dell'articolo 8, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/88/CE, porta il Governo nella posizione di non avere ancora ottemperato appieno ai suoi obblighi in relazione all'attuazione della direttiva di legge nazionale, e quindi rende l'Italia passibile di deferimento presso la Corte di giustizia europea –:
   se sia stato avviato l’iter, che doveva concludersi entro 120 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 66 del 2003, necessario per stabilire un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali;
   in caso contrario, per quali ragioni ciò non sia avvenuto e se il Governo non intenda avviare nell'immediato l’iter di procedura sopraindicato. (5-10034)


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il quotidiano « il Giornale» del 14 novembre 2016, numerosi esponenti del Governo, negli ultimi mesi, avrebbero utilizzato impropriamente elicotteri ed aerei di Stato per i propri spostamenti privati;
   in particolare, dopo aver riportato l'utilizzo dei velivoli «Frontex» da parte del Ministro dell'interno Angelino Alfano, l'articolo afferma che il 22 ottobre 2016 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, per effettuare un brevissimo spostamento da Messina a Reggio Calabria, avrebbe utilizzato un elicottero dell'Aeronautica militare, partito direttamente dalla base militare di Pratica di Mare, nei pressi di Roma;
   tale operazione sarebbe costata alle casse dello Stato una cifra pari a circa 32.500 euro, di cui 17 mila euro di solo carburante, per una tratta pari a mezz'ora di volo;
   analogamente, la medesima prassi sarebbe stata adottata anche dal Ministro della difesa Roberta Pinotti che, nei mesi scorsi, avrebbe utilizzato più volte i velivoli «Falcon 50» in addestramento all'aeroporto militare di Ciampino, per le sue trasferte personali da Roma a Genova, sua città di residenza;
   infine, nel richiamato articolo giornalistico ci si sofferma all'episodio che avrebbe visto come protagonista il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, il quale il 24 ottobre 2016 avrebbe scelto un elicottero militare decollato appositamente da Ciampino, sul quale sarebbe salito a bordo presso la caserma «Macao» di Roma e con il quale sarebbe poi giunto a Pratica di Mare; il volo sarebbe costato al contribuente circa 7 mila euro, di cui 3.600 di solo carburante;
   la carica di Sottosegretario di Stato non è prevista dalla legge tra le cariche istituzionali che possano beneficiare dei voli di Stato senza autorizzazione, prerogativa limitata ai soli Presidenti della Repubblica, della Corte Costituzionale, del Consiglio dei ministri e di Camera e Senato;
   ferma restando la carica istituzionale ricoperta, il decreto-legge n. 98 del 2011 e la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011 stabiliscono che ogni istanza per la concessione dei voli di Stato deve essere corredata da documentazione attestante le circostanze che rendono indispensabile ed eccezionale l'utilizzo del mezzo aereo, ovvero l'inderogabilità, l'urgenza, motivazioni istituzionali e la mancanza di strumenti di trasporto alternativi;
   nelle richiamate fattispecie, sia per le condizioni oggettive che soggettive, sembrerebbe sussistere un uso, a giudizio degli interroganti disinvolto dei velivoli di Stato da parte degli interessati ed, al contempo risulterebbe dubbia la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge;
   numerosi sono stati gli atti di sindacato ispettivo aventi ad oggetto l'utilizzo dei voli di Stato da parte di soggetti di cui era dubbio se ne avessero titolo, a dimostrazione di una perdurante prassi a giudizio degli interroganti sbagliata che caratterizza l'attuale Governo;
   è di tutta evidenza che simili casi, se accertati e non giustificati secondo le disposizioni di legge, comporterebbero un danno erariale per le casse dello Stato –:
   se il Governo, anche alla luce del clamore mediatico assunto da simili notizie, non ritenga opportuno fornire adeguati chiarimenti circa le circostanze che hanno reso necessario, nel corso dell'attuale legislatura, l'utilizzo dei voli di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Sottosegretari di Stato ed in particolare, con riferimento ai viaggi descritti nell'articolo de « Il Giornale» riportato in premessa. (5-10047)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 102 del 2014 prevede che l'adeguamento degli impianti termici debba essere realizzato entro il 31 dicembre 2016;
   alcuni impianti sono a distribuzione verticale e l'unico sistema di contabilizzazione installabile (ripartitori) non risulta regolato dalla metrologia legale a garanzia della transazione economica, così come evidenziato nel documento 252/16, dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico;
   si tratterebbe di un controsenso per coloro che abitano nelle aree terremotate (circa 200 comuni coinvolti) e che hanno le abitazioni lesionate o fortemente danneggiate. I peggiori interessati dovrebbero pagare, per essere in regola con le disposizioni del decreto legislativo n. 102 del 2014, dei lavori senza nessuna garanzia di potere rientrare nelle proprietà immobiliari, in cui dovrebbero essere realizzati;
   e, comunque, potendo scegliere su come investire le risorse, gli stessi, secondo l'interrogante, preferirebbero procedere con miglioramenti statici e riparazioni sulla struttura muraria e sperare di evitarsi mesi di permanenza in strutture o container;
   se il Governo non ritenga utile assumere iniziative normative affinché possano essere previsti almeno 6 mesi di proroga alla scadenza fissata per il 31 dicembre 2016 per l'adeguamento degli impianti termici, così da consentire le operazioni di verifica degli immobili e superare la fase di emergenza che difficilmente consentirà a chi abita nei comuni colpiti dal sisma di rispettare questa scadenza. (4-14820)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ospedale «Magalini» di Villafranca è stato distrutto da un incendio nell'anno 2003 e i lavori, per la sua ricostruzione sono ancora in corso;
   con ordinanza n. 3349 del 16 aprile 2004 il Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la regione Veneto, ha nominato il commissario delegato per l'adozione degli interventi di ripristino funzionale dell'ospedale Magalini di Villafranca di Verona;
   con delibera n. 4231 del 29 dicembre 2009 la giunta regionale ha approvato il progetto definitivo per la sistemazione definitiva dell'ospedale Magalini di Villafranca di Verona, per un costo complessivo di 40 milioni di euro e ha confermato al commissario delegato l'incarico per gli adempimenti connessi alla progettazione, all'appalto, alla direzione dei lavori e al collaudo dell'opera, in conformità alla normativa vigente, e il modello organizzativo già disposto con la precedente delibera n. 1714/2004;
   l'appalto per tali opere è stato espletato ed i relativi lavori, che sono iniziati in data 18 maggio 2012, sono in fase di esecuzione ed il loro termine era inizialmente previsto per la fine del 2014;
   nel corso di questi ultimi anni, l'assessore alla sanità della regione Veneto ha più volte annunciato l'imminente apertura del nosocomio, rimandandone comunque sempre la data, al punto che in un articolo del 23 luglio 2016, ha nuovamente corretto il tiro affermando testualmente: «La consegna dei lavori, a collaudi ultimati, è prevista per fine anno. Poi ci sono 180 giorni di tempo per allestire la struttura e trasferire i reparti». Tali azioni fanno dunque presagire una riapertura non prima di giugno 2017;
   è forte, nella cittadinanza e negli operatori sanitari, un sentimento di delusione e rassegnazione perché la riapertura del nosocomio, più volte annunciata e sempre rimandata, sembra ancora un miraggio –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra esposta;
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di assumere al fine di verificare a che punto siano i lavori di rifacimento dell'ospedale di Villafranca e quale sia la data prevista di consegna. (4-14825)


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in più occasioni, negli scorsi mesi, è stato annunciato che il 22 dicembre 2016 il Presidente del Consiglio ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti percorreranno in automobile l'autostrada Salerno-Reggio Calabria per verificare (e dimostrare pubblicamente) che i cantieri saranno stati per allora chiusi ed i lavori definitivamente terminati;
   grosse perplessità vennero avanzate allora sull'annuncio, fatto pubblicamente proprio dagli stessi Presidente del Consiglio e Ministro;
   emergono in questi giorni da fonti giornalistiche dettagli sulle scelte che hanno reso queste tempistiche possibili: il Governo, infatti, avrebbe deciso di tagliare completamente ogni lavoro da svolgersi su circa 60 chilometri della tratta, tutti situati in Calabria;
   pare, insomma, che su circa il 20 per cento del tracciato totale che interessa la Calabria si sia semplicemente ed immotivatamente rinunciato ad ogni opera di ammodernamento;
   si tratta di punti realizzati negli anni Sessanta, resi particolarmente insicuri per l'alto numero di viadotti e gallerie tra Morano e Firmo, Cosenza e Altilia, Pizzo e Sant'Onofrio;
   i lavori di messa in sicurezza relativi a 10 chilometri di tratta autostradale nella provincia di Reggio Calabria, inoltre, verranno iniziati solo successivamente all'ufficiale completamento dei lavori;
   è inaccettabile che un problema grave e perdurante da decenni come quello relativo al completamento dei lavori della Salerno-Reggio Calabria venga oggi sfruttato per operazioni di mera propaganda governativa –:
   se le notizie riportate in premessa corrispondano a verità;
   se non si ritenga urgente e doveroso mettere da parte quelle che appaiono all'interrogante operazioni di propaganda e assumere iniziative per garantire in tempi brevi il completamento dei lavori in premessa indicati, così da garantire la sicurezza delle migliaia di utenti che percorrono quotidianamente quei 60 chilometri autostradali. (4-14829)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del «nuovo codice della strada» (decreto legislativo n. 285 del 1992), al comma 1, riporta che «(...) per le gare con veicoli a motore, l'autorizzazione è rilasciata, sentite le federazioni nazionali sportive competenti e dandone tempestiva informazione all'autorità di pubblica sicurezza: dalla regione e dalle province autonome di Trento e di Bolzano per le strade che costituiscono la rete di interesse nazionale (...)» previo nulla osta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da richiedere allegando il parere del CONI (comma 3), nonché il collaudo del percorso di gara e delle relative attrezzature (comma 4);
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con circolare annuale (ultima in ordine cronologico la n. 806 dell'11 febbraio 2016 «Nuovo codice della strada – Articolo 9 – Competizioni motoristiche su strada. Circolare relativa al programma delle gare da svolgersi nel corso dell'anno 2016») riconosce esclusivamente all'Automobile Club d'Italia (ACI), in qualità di Federazione Sportiva Nazionale, specifiche funzioni autorizzatorie;
   in data 7 ottobre 2016 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), nel bollettino n. 40 del 14 novembre 2016, ha segnalato al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti i problemi di natura concorrenziale nel settore dell'automobilismo sportivo con veicoli a motore;
   l'Agcm ha illustrato come «il coinvolgimento di ACI nell’iter autorizzatorio disciplinato dall'articolo 9 del Codice della strada assume specifica rilevanza sotto il profilo concorrenziale, stante l'assenza dei necessari requisiti di terzietà e imparzialità in capo alla stessa ACI. Detta Federazione, infatti, attraverso le proprie articolazioni locali, esprime gli interessi di operatori attivi nel mercato dell'organizzazione di eventi sportivi automobilistici che, dunque, operano in concorrenza con i soggetti sulla regolarità dei cui eventi ACI è chiamata a pronunciarsi. Com’è evidente, attribuire al medesimo soggetto il duplice ruolo di parte attiva del processo autorizzatorio di eventi concorrenti a quelli che esso stesso organizza tramite le proprie articolazioni locali, oltre che suscettibile di attribuire alla Federazione e alle sue articolazioni locali un ingiustificato vantaggio concorrenziale, appare idoneo a limitare l'efficacia stessa delle funzioni tecniche attribuitegli, in ragione del conflitto di interessi cui siffatta commistione di ruoli può dare luogo. Né la valenza anticompetitiva della previsione in esame può ritenersi attenuata in ragione della natura non vincolante del parere, in quanto il ruolo dell'ACI, che agisce in qualità di unica Federazione sportiva di riferimento, fa sì che l'adeguamento dell'Ente territoriale alle conclusioni contenute nel parere sia l'esito più probabile»;
   l'Autorità nella segnalazione auspica che «(...) nell'ottica di scongiurare una possibile procedura di infrazione europea, ex articolo 258 TFUE, a carico dello Stato italiano per aver mantenuto in vita una normativa indebitamente restrittiva della concorrenza, l'articolo 9 del Codice della Strada e la prassi applicativa espressa dalle relative Circolari ministeriali vengano modificate, valutando di attribuire le funzioni connesse al descritto processo autorizzatorio solo a soggetti che non vertano in situazioni di conflitto di interesse –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se si intendano assumere iniziative normative per modificare l'articolo 9 del codice della strada, secondo quanto indicato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ed evitare una probabile procedura di infrazione europea nei confronti dello Stato italiano, eliminando la posizione dominante di Aci nell’iter autorizzatorio, di cui in premessa, rilevante sotto il profilo concorrenziale.
(4-14831)


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il violento nubifragio che ha colpito la provincia di Agrigento il 19 novembre 2016, creando forti disagi nelle città di Caltanissetta e Licata, a causa dell'abbondante pioggia caduta, ripropone, ad avviso dell'interrogante, il problema della fragilità del territorio della penisola ed in particolare della regione siciliana, le cui politiche di prevenzione per la messa in sicurezza, nel corso degli ultimi anni, non sono state adeguatamente potenziate;
   l'alluvione che ha interessato larga parte dell'agrigentino e l'apertura di un'inchiesta da parte della magistratura (al fine di accertare se, oltre alle eccezionali avverse condizioni atmosferiche, abbiano concorso anche condotte colpose da parte di qualificati soggetti che avevano l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell'evento), ha provocato gravissimi danni alla viabilità stradale, ad alcune strutture abitative e alle attività produttive e commerciali, con moltissime strutture divenute inagibili, in quanto completamente allagate, e la chiusura delle scuole delle città coinvolte;
   l'interrogante segnala, altresì, che la pioggia d'intensità eccezionale, ha provocato la caduta di materiale fangoso sulla strada statale 123 di Licata nel tratto tra il chilometro 25,000 ed il chilometro 18,00, fra le località di Campobello di Licata e Licata, causando la chiusura al traffico della strada, in via precauzionale, e il rischio di esondazione del fiume Salso;
   le decisioni adottate a livello regionale da parte dell'amministrazione Crocetta, che ha deliberato lo stato di emergenza, a parere dell'interrogante, risultano insufficienti nel fronteggiare la gravissima calamità naturale verificatasi, i cui danni economici, valutati in alcuni milioni di euro, e ambientali, richiedono misure urgenti e necessarie per il ripristino delle condizioni di normalità in favore del territorio e delle comunità locali interessate –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare per la messa in sicurezza delle aree colpite dall'alluvione;
   se, in considerazione della situazione di estrema gravità provocata dal nubifragio verificatosi nel territorio agrigentino il 19 novembre 2016, il Governo non ritenga, nell'immediato, di deliberare lo stato di emergenza nel territorio di Agrigento, Licata e Caltanissetta, con la successiva emanazione della relativa ordinanza di protezione civile finalizzata alla messa in atto degli interventi di soccorso alla popolazione e di ogni altra necessaria ed indifferibile attività diretta al ripristino delle condizioni di normalità per l'area interessata. (4-14835)


   CAPEZZONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio nazionale servizi (CNS) di Bologna (coinvolto nell'inchiesta di Mafia Capitale a causa degli illeciti di alcune sue associate), Manutencoop, Roma Multiservizi e Kuadra spa (posta sotto sequestro nell'ambito dell'operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e condotta dalla squadra mobile della questura di Napoli per infiltrazioni camorristiche negli appalti ospedalieri, secondo quanto si apprende da fonti giornalistiche), nel 2015 sono state multate dall'Antitrust per 110 milioni di euro per aver creato un «cartello» volto ad aggiudicarsi una gara comunitaria da 1,63 miliardi di euro, bandita da Consip nel 2012, per i servizi di pulizia degli istituti scolastici nell'ambito del progetto «Scuole belle»;
   nello specifico, l’Authority dopo aver aperto un'indagine ha scoperto scambi di informazioni, incontri e documenti che dimostrano inequivocabilmente come le gare siano state manipolate attraverso una divisione dei lotti su tutto il territorio nazionale con uno «schema a scacchiere» volto solo a simulare un confronto competitivo tra le parti;
   nonostante le sanzioni, le cooperative si sono comunque divise i lotti con le altre società, hanno fatto ricorso al Tar contro il provvedimento dell’Authority e nel 2014 hanno anche partecipato ad una seconda gara Consip da 2,7 miliardi di euro, la Fm4 avente ad oggetto la pulizia, gestione e manutenzione degli uffici pubblici;
   anche in questa seconda gara, Manutencoop e CNS sono risultate ancora una volta vincitrici, confermando il solito «schema a scacchiera» per la spartizione dei lotti (successivamente, a seguito anche di solleciti informativi della Consip, il CNS ha deciso di ritirarsi dall'appalto in esame, lasciando i 18 lotti alla Manutencoop e agli altri player del settore);
   con sentenza pubblicata il 14 ottobre 2016, il Tar del Lazio ha confermato l'impianto accusatorio dell’Antitrust sancendo che l'intesa anticoncorrenziale delle cooperative ha violato le procedure europee in materia di antitrust, ex articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   l'articolo 80 del nuovo codice degli appalti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, prevede, in analoghi casi, l'esclusione dalla procedura d'appalto delle imprese (a tal riguardo, si segnala che, nelle scorse settimane in via di autotutela l'azienda ospedaliera della provincia di Salerno dopo la pronuncia della giustizia amministrativa ha escluso il CNS da una procedura di appalto);
   il 24 agosto 2016 a seguito del sisma avvenuto nel centro Italia, il CNS si è aggiudicato il bando di gara da circa 1 2 miliardi di euro per la fornitura e posa in opera di 18.000 MAP (moduli abitativi provvisori);
   ad oggi, né Consip né il commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, hanno agito in via di autotutela nei confronti delle cooperative e società sopra indicate;
   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di valutare se sussistano i presupposti per escludere i soggetti sopra indicati dagli appalti segnalati con il preciso intento di ripristinare procedure corrette e trasparenti, garantendo legalità e un utilizzo corretto delle risorse pubbliche. (4-14842)


   FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in località Pantanizzi, nel comune di Siderno (Reggio Calabria) da anni ormai insiste un enorme problema ambientale;
   l'ex Laboratorio/BP – intermedi organici farmaceutici, infatti, ha subito l'esplosione di un reattore nel 1994, con numerosi danni di tipo ambientale per l'area circostante;
   dopo alterne vicende e numerosi interventi del NOE, di carabinieri, Arpacal, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalmente, nel 2003, avviene una prima parziale bonifica con la quale vengono smaltite 549 tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, invece che 300, come era previsto inizialmente dal piano dei lavori;
   tuttavia, sono rimaste in loco, incustodite e ormai in condizioni di deperimento, circa 900 tonnellate di rifiuti tossici;
   l'azione di origine antropica, degli agenti atmosferici e del tempo sta deteriorando sempre più i fusti contenenti i rifiuti, con possibili ricadute e rischi concreti per la popolazione che vive nei dintorni della località indicata e non solo, considerando anche il rischio di un inquinamento delle falde;
   molti dei contenitori sono fortemente degradati, quelli in metallo hanno perso esternamente le loro caratteristiche di consistenza e si verificano spesso fuoriuscite di materiale, con propagazione in atmosfera e al suolo di sostanze tossico-nocive;
   per memoria si ricorda che, dalle analisi chimiche, si è accertato che le sostanze contenute nei fusti appartengono alla categoria degli intermedi organici per l'industria farmaceutica, che sono altamente tossici con forte emanazione di gas nocivi;
   la situazione richiede un intervento urgente, come anche richiesto continuamente dal sindaco di Siderno, finanche nell'ultima missiva inviata alla regione Calabria in data 16 settembre 2016 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere per risolverla rapidamente, agevolando la messa in sicurezza che i cittadini attendono ormai da 13 anni, rischiando la propria salute. (4-14846)


   PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della Costituzione prevede l'uguaglianza dei cittadini e la rimozione degli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti, lavoratori e studenti fuorisede compresi, all'organizzazione politica del Paese;
   l'articolo 48 della Costituzione indica l'esercizio del voto come un dovere civico;
   tutti i cittadini italiani devono essere messi nella condizione di compiere, il 4 dicembre 2016, una scelta fondamentale per la vita democratica dell'intero Paese, come quella attraverso il referendum costituzionale;
   gli italiani che si trovano all'estero possono, secondo le norme previste, partecipare al voto referendario del 4 dicembre anche attraverso il voto per corrispondenza;
   gli italiani fuori sede, in Italia, non possono invece esercitare il loro diritto al voto se non rientrando alle proprie residenze;
   gli elettori fuori dalla sede di residenza sono essenzialmente studenti e lavoratori che si spostano frequentemente, precari che inseguono il lavoro di città in città, spesso in situazioni economiche difficili;
   nonostante gli sconti sui mezzi di trasporto, scegliere di votare rientrando al comune di residenza rappresenta un onere economico che per moltissimi rimane comunque rilevante;
   per i viaggi, ad esempio dal Nord al Sud dell'Italia, ma anche da Gorizia ad Aosta, i tempi di percorrenza sono tali da rendere spesso impossibile o comunque molto pesante concentrare l'andata e il ritorno nella sola giornata domenicale;
   essere domiciliati in un luogo diverso dalla propria residenza è sempre la stessa condizione, al di là del fatto che il domicilio si trovi in Italia o all'estero;
   quindi, le circostanze della vita di queste persone determinano il fatto che con grandissima frequenza risulta loro impossibile esercitare i diritti di cittadinanza e che quindi debbano subire la discriminazione di non essere parte dell'espressione della sovranità popolare –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire pienamente, anche ai cittadini italiani domiciliati in Italia in luogo diverso dalla residenza, il diritto di partecipare al voto;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per utilizzare modalità analoghe al voto per corrispondenza. (4-14847)


   LAFFRANCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 26 e 27 novembre 2016 si sarebbe dovuta svolgere a Perugia la 4a prova del campionato italiano di ginnastica ritmica;
   il presidente della federazione ginnastica italiana, Riccardo Agabio e che, ad avviso dell'interrogante, dovrebbe avere il «buon gusto» di dimettersi – ha deliberato lo spostamento della sede della competizione da Perugia a Forlì, giustificando la decisione con il perdurare dell'attività sismica nell'Italia centrale e informando i diretti interessati soltanto nei giorni scorsi;
   la preparazione della competizione, che avrebbe portato nella città umbra centinaia di atlete da tutta Italia e avrebbe coinvolto ginnaste di categoria A1, A2 e B, era stata affidata all'associazione Fenice Spoleto che ha già investito risorse economiche e non solo nella organizzazione della manifestazione;
   nonostante la città di Perugia si collochi ben al di fuori del cratere del sisma sono stati eseguiti controlli tecnici sulla struttura del palazzetto dello sport presso il quale si sarebbero dovute svolgere le gare – il PalaEvangelisti – che hanno confermato che il palazzetto non ha subito alcun danno in seguito all'evento sismico degli scorsi mesi;
   la città di Perugia in generale non ha riportato danni in seguito al recente terremoto al punto che, ad oggi, ospita nelle proprie strutture alberghiere numerosi cittadini provenienti dalle zone più colpite dal sisma;
   nell'opinione pubblica si è affermata l'idea che tutta la regione Umbria sia da considerare a rischio, il che ha determinato pesanti ricadute sul tessuto economico cittadino legato al turismo cui si aggiungono anche le conseguenze dello spostamento della gara di ginnastica ritmica –:
   se non ritenga il Governo di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a tutelare e favorire il sistema economico e il tessuto sociale e culturale della Regione Umbria in un momento in cui essa necessita di sostegno e di appoggio, e non di iniziative che finiscono per deprimere la volontà di ripresa, lo spirito di iniziativa e la voglia di reagire positivamente agli eventi. (4-14849)


   SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 84, della legge n. 56 del 2014 dispone che «gli incarichi di presidente della provincia, di consigliere provinciale e di componente dell'assemblea dei sindaci sono esercitati a titolo gratuito», ma «restano a carico della provincia gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi di cui agli articoli 80, 84, 85 e 86 del Testo unico»;
   l'articolo 80 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali stabilisce che «gli oneri per i permessi retribuiti sono a carico dell'ente presso il quale i lavoratori dipendenti esercitano le funzioni pubbliche di cui all'articolo 79. L'ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore»;
   a parere dell'interrogante, quindi, continuano a sussistere molte spese a carico della provincia, ente che il Governo aveva dato per «soppresso» a seguito dell'entrata in vigore della cosiddetta «legge Delrio». Restano, infatti, i permessi retribuiti ovvero gli oneri che la provincia deve al datore di lavoro dei consiglieri per le attività connesse all'impegno in consiglio, fra assisi e commissioni;
   a titolo meramente esemplificativo, si cita il caso del presidente della provincia di Avellino, Domenico Gambacorta, che fino ad oggi è «costato» in media circa 80.000 euro di rimborso al suo ente di appartenenza, la Biogem –:
   se il Governo non ritenga opportuno avviare una seria e profonda riflessione sulla necessità di assumere, per quanto di competenza, iniziative normative al fine di eliminare quella che, al momento, è una situazione del tutto legittima ancorché non condivisibile. (4-14863)


   SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di queste ultime due settimane che l'attività dell'interporto di Padova sarebbe stata più volte paralizzata dalle azioni di protesta della sigla sindacale Cobas, con blocco degli ingressi e conseguente interruzione delle normali attività di trasporto e di movimentazione delle merci, nei tempi e nei modi necessari, a danno di migliaia di operatori e dei lavoratori presso lo stesso Interporto;
   a fronte di tali blocchi, la Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica — Confetra — ha lanciato un appello alle istituzioni pubbliche per chiedere il ripristino del normale funzionamento dell'interporto di Padova, anche al fine di evitare il rischio di una degenerazione del conflitto;
   in particolare, lo stato di agitazione permanente in atto che si trasforma senza preavviso in blocchi, non consentirebbe allo stato attuale per chi frequenta l'interporto di entrare e uscire con certezza liberamente dalle proprie aziende, a piedi, in auto o con camion e furgoni, né darebbe la possibilità di svolgere la normale attività lavorativa senza arbitrarie limitazioni;
   lo stato di agitazione permanente portato avanti da Adl Cobas potrebbe avere ripercussioni negative su tutta l'economia padovana, dal momento che gli attuali blocchi stanno arrecando pesanti disagi e danni economici a scapito della maggioranza dei lavoratori, con il rischio che grandi aziende di distribuzione lascino la zona industriale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se non intenda assumere, con l'urgenza richiesta dal caso, ogni iniziativa di competenza per addivenire a una positiva conclusione della vicenda che riguarda l'interporto di Padova, nel rispetto del diritto di sciopero e delle libertà delle persone.  (4-14865)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, precisamente il 16 novembre 2016, sul quotidiano La Stampa è stata pubblicata la notizia che, a seguito di una denuncia presentata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti, per diffamazione sul social network twitter, la procura di Firenze stesse già procedendo alle indagini sul caso e che, secondo l'autore dell'articolo, l'attenzione della magistratura era da ricondurre alla possibile esistenza di una rete di « cyber propaganda» che sarebbe sostenuta dal Movimento 5 Stelle e che avrebbe come intento quello di screditare esponenti del Partito Democratico e del Governo;
   a sostegno di tale tesi, sempre nel medesimo articolo del quotidiano La Stampa, viene, quindi, puntualmente illustrato l'articolato sistema di connessioni che renderebbe virali tweet e post dell’account twitter cosiddetto «chiave» «pro M5S», attribuito a Beatrice Di Maio, che sarebbe «dedicato a una demonizzazione anti-Pd senza disdegnare puntate contro il Quirinale»;
   in seguito alla pubblicazione dell'inchiesta giornalistica di cui sopra, sono state presentate delle interrogazioni parlamentari allo scopo di conoscere se operi in internet una vera e propria struttura volta a diffamare le istituzioni e il Partito Democratico;
   il giorno successivo, precisamente il 17 novembre 2016, su Il Fatto Quotidiano è apparso un articolo nel quale l'avvocato del Sottosegretario Luca Lotti ha tenuto a precisare che la denuncia sarebbe stata presentata non contro una presunta rete di persone tra loro collegate bensì solamente nei confronti di Beatrice Di Maio, dalla quale il suo cliente ritiene, appunto, di essere stato diffamato via twitter;
   nello stesso articolo l'avvocato ha altresì dichiarato che, al momento, non vi erano ancora indagini in corso e che, a suo parere, non sembrava vi fossero «estremi tali da poter giustificare un'indagine a larga scala su una presunta rete di propaganda»;
   Beatrice Di Maio ha dichiarato di aver appreso da La Stampa di essere stata denunciata, di aver così scoperto, al contempo, anche di far parte di una presunta rete di propaganda, e, contattata su twitter dal « Fatto Quotidiano», ha spiegato infine di non conoscere neanche le persone alle quali è stata associata –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda e se al Ministro della giustizia risulti che, a seguito dell'inchiesta giornalistica apparsa sul quotidiano La Stampa, la Procura della Repubblica di Firenze abbia avviato una indagine in merito alla possibile esistenza di una rete di « cyber propaganda» contro esponenti politici e del Governo. (4-14870)


   MORANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un articolo apparso il 16 novembre 2016, su «La Stampa», a firma di Iacopo Iacoboni, riporta notizie inquietanti a proposito di un account famoso sul web, Beatrice Di Maio, che svolgerebbe una pesante attività di propaganda a favore del Movimento 5 stelle, attività che però è sconfinata spesso, e pesantemente, sul terreno della calunnia, della diffamazione, fino ad arrivare al vilipendio alla Presidenza della Repubblica;
   nell'articolo si riporta come Beatrice Di Maio sia un account Twitter pro M5S dedicato a una demonizzazione anti-Pd, «senza disdegnare puntate contro il Quirinale»;
   prosegue l'articolo «Beatrice ha 13.994 follower, è un top mediator, dentro un social network relativamente piccolo. Tweet e post di account analoghi diventano virali in Facebook attraverso un sistema di connessioni, nel caso di Beatrice dall'andamento artificiale dentro cui è inserita, alimentando un florido business pubblicitario, legato al flusso di traffico». Insomma, Beatrice non è un account casuale. Tra le molte ingiurie, e insinuazioni, spesso corredate da accostamenti con reati gravi e con inchieste dalle quali i soggetti ingiuriati non sono mai stati minimamente toccati, e accostamenti addirittura con la mafia;
   l'articolo sostiene che l’account in questione si muova dentro quella che è configurata come una struttura: «a un'analisi matematica si presenta disegnata a tavolino, secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le élite – su Twitter, con un andamento ingegnerizzato (...). Immaginate una mappa geografica: gli snodi (hub) sono le città e i villaggi, fortemente clusterizzati (aggregati a grappoli); i mediatori e soprattutto i connettori sono le strade. Naturalmente, una rete così recluta anche tanti attivisti reali, che non possono vedere l'architettura, assorbiti dalla pura gravità dei nodi centrali: la struttura si mimetizza con l'attività spontanea come un albero in una foresta. Eventuali falsi e calunnie, ovunque generate, si viralizzano, venendo spostati dal centro alla periferia, anonimizzati, quindi meno denunciabili»;
   numerosi altri account chiave sono sempre matematicamente vicinissimi, sempre ricorrenti, prevalentemente anonimizzati, profondamente interconnessi tra loro. Svolgono ruoli precisi: chi è anti-immigrati, chi anti-Renzi, chi pro-Putin, chi pro-Trump, chi dedito alla bastonatura. La condivisione esatta dell'andamento dei metadati, e la spartizione palese dei ruoli, non si configurano, algoritmicamente, come casuali;
   sulla vicenda la procura di Firenze ha aperto un'inchiesta;
   se tali tipi di insulti e se la diffusione di falsità del tenore di quello riportato avvenissero su un giornale o in televisione, i loro autori sarebbero costretti ad ingenti risarcimenti per diffamazione –:
   quali elementi risultino al Governo in ordine ai fatti esposti dal giornale La Stampa, se si abbia notizia di società o singoli che gestiscono in maniera sistematica account così sofisticati con le finalità esposte in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, rimanendo nell'alveo della tutela della libertà di espressione e della diffusione del pensiero per contrastare la creazione di sistemi così complessi pressoché esclusivamente dedicati alla diffamazione e alla diffusione di falsità. (4-14871)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato dalla stampa, nei giorni scorsi un cittadino italiano residente nella Repubblica Ceca, tal Edoardo Livolsi, avrebbe ricevuto nel giro di due giorni dalla locale ambasciata d'Italia altrettanti plichi contenenti tutto il necessario per esprimere il proprio voto in occasione del referendum confermativo della recente riforma costituzionale, indetto per il 4 dicembre 2016;
   l'errore compiuto dall'amministrazione appare ingiustificato anche alla luce della mancanza di omonimi di Edoardo Livolsi, unico cittadino italiano registrato all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero avente questo nome;
   stando a quanto riporta Il Fatto Quotidiano, la stampa del materiale indispensabile all'esercizio del diritto di voto da parte degli italiani residenti all'estero è operata a cura dell'ambasciata italiana territorialmente competente, nel caso specifico quella di Praga, e non è sotto il controllo del Ministero dell'interno;
   variano da Paese a Paese anche le modalità di consegna del materiale elettorale ai singoli cittadini italiani;
   nella Repubblica Ceca, dove sono stati circa 1.000 coloro che hanno preso parte alle elezioni politiche del 2013 su oltre 2 mila aventi diritto, mentre Livolsi ha avuto due schede da votare, altri italiani sarebbero ancora in attesa di ricevere la propria;
   quanto occorso nella Repubblica Ceca si aggiunge ad altre lamentele, alcune delle quali postate sui social media, concernenti l'utilizzo degli indirizzari dell'Anagrafe degli italiani residenti all'estero da parte dei comitati del sì e dello stesso Governo, che avrebbe in qualche caso inviato insieme alle schede anche del materiale a favore della conferma della riforma costituzionale;
   in Costa Rica schede sarebbero, inoltre, state recapitate a persone da tempo decedute, mentre in Argentina, Brasile e Svizzera risulterebbe praticata la compravendita di schede non votate ad un prezzo compreso tra i 30 e i 50 dollari;
   sussistono, quindi, dubbi significativi sulla regolarità del voto all'estero, apparentemente più che sufficienti ad indurre una riflessione sull'opportunità di una sospensione cautelativa del voto all'estero –:
   a fronte della gravità delle denunce apparse sulla stampa, quali misure il Governo intenda adottare per garantire la regolarità del voto del 4 dicembre 2016 espresso all'estero. (3-02644)


   DEL GROSSO, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SIBILIA, GRANDE e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a parere degli interroganti, l'esito finale del referendum del 4 dicembre 2016 potrebbe essere decretato all'estero e più precisamente dai 4 milioni e 23 mila italiani iscritti all'apposita anagrafe, ai quali è stata recapitata una lettera, per di più in contemporanea con la scheda elettorale, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri ritenuta dai sottoscritti un fatto di gravità inaudita e fuori da qualsiasi responsabilità morale e istituzionale; peraltro, senza che siano ancora chiari né il costo sostenuto e da chi, né le procedure adottate per poter ottenere, senza violare la privacy, gli indirizzi dei connazionali residenti all'estero;
   anche il Governo evidentemente lo ha compreso, poiché, a partire dalla visita in Sudamerica della Ministra Maria Elena Boschi, si riscontra da qualche tempo e da più parti una particolare «attenzione» ai connazionali e ai loro bisogni, compreso il puntuale finanziamento nel disegno di legge di bilancio per il 2017;
   da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano l'11 novembre 2016 si apprende, dopo averlo visionato, dell'esistenza di un documento riservato del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal quale si evince come il verdetto referendario sia «appeso a un sistema «totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero», come ha denunciato appena dopo le politiche 2013 l'ambasciatrice Cristina Ravaglia»; e ancora: «Quello per corrispondenza è soggetto, come evidente, a una serie di variabili e incertezze (quali l'affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante, ma non solo)»;
   si tratta di denunce anche gravi alle quali non è stato dato alcun riscontro;
   nelle sedi estere, dove tutte le operazioni avvengono nei consolati, non esiste una regolamentazione e non è chiaro da chi e in presenza di chi vengono aperte, scrutinate e imbustate nella valigia diplomatica le schede votate;
   è oltremodo necessario, invece, conoscere esattamente come si svolgono le operazioni di trasporto e di consegna del plico agli elettori; come vengono rintracciate le schede per sapere se effettivamente quelle che arrivano al consolato siano state effettivamente compilate dall'elettore e non da altri –:
   come mai le suddette denunce siano state gravemente ignorate e, in occasione del referendum del 4 dicembre 2016, quali siano le modalità, le garanzie e gli strumenti di trasparenza messi a disposizione delle sedi estere per far sì che i voti siano effettivamente liberi, segreti e personali e, dunque, non viziati. (3-02645)


   LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   vige in Turchia dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 lo stato di emergenza imposto fino al gennaio 2017 e che ha consentito, sulla base di accuse di complicità con Gülen, incursioni in case private, uffici, sedi di partito, divieti di viaggiare, arresti di giornalisti, la chiusura di stazioni radio, reti televisive, quotidiani, case editrici, il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti statali, della scuola e dell'università, la rimozione di magistrati, vertici e quadri intermedi delle forze armate e della polizia, l'intimidazione di numerosi esponenti del mondo della cultura e del lavoro;
   il 20 maggio 2016 il Parlamento della Turchia ha approvato un emendamento costituzionale proposto dal partito di Governo Akp, guidato dal Presidente Recep Tayyip Erdogan, grazie al sostegno dell'opposizione nazionalista dell'Mhp, che prevede la revoca dell'immunità per i deputati sottoposti a indagine giudiziaria;
   ciò ha consentito di arrestare 12 dei 59 parlamentari dell'Hdp, il partito filocurdo, con accuse di terrorismo e sostegno al Pkk, il Partito comunista del Kurdistan, mentre lo stesso Erdogan ha più volte auspicato la rimozione dell'immunità per i deputati curdi, accusandoli di essere il braccio politico del Pkk;
   Selahattin Demirtas, parlamentare, avvocato, impegnato nella difesa dei diritti civili, Figen Yuksekdag, co-leader del Partito democratico dei popoli (Hdp), e altri dieci deputati sono detenuti nel carcere di Edirne, nel nord-est del Paese, carcere di massima sicurezza, che ospita terroristi, condannati per banda armata e crimini organizzati, ergastolani, con l'evidente obiettivo di isolarli completamente e trattarli alla stregua di terroristi;
   questo processo di involuzione antidemocratico e oscurantista avviene pochi mesi dalla conclusione dell'accordo con l'Unione europea per la gestione dei flussi migratori, soprattutto dalla Siria, che si basa sul riconoscimento della Turchia come «Paese terzo sicuro» o come «Paese di primo asilo» –:
   come il Ministro interrogato intenda agire, in sede internazionale ed europea, per sostenere attivamente ogni iniziativa politica finalizzata a far cessare i comportamenti liberticidi, favorire un completo riconoscimento dei diritti delle minoranze, a iniziare da quella curda, della libertà di parola e della manifestazione del pensiero in ogni sua forma e garantire un sistema giudiziario indipendente e un Parlamento forte e libero, ma facendo in modo da non accentuare l'isolamento della Turchia e non interrompere il percorso di integrazione europea, rischiando di allontanarla ulteriormente da una piena condivisione dei valori fondanti dell'Unione europea. (3-02646)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA, PIRAS, DURANTI, KRONBICHLER, PAGLIA e AIRAUDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   gli stanziamenti per il voto degli italiani all'estero ai diversi Paesi e ai diversi consolati, sembrerebbe che siano stati fatti, come da prassi, sulla base di un preventivo inviato al Ministero degli affari esteri dai singoli consoli;
   se è così, non vi sono parametri precisi che il Ministero degli affari esteri adotta per finanziare i costi di stampa, spedizione, recupero dei plichi, informazione e altro, e che siano legati all'entità delle collettività e al numero di elettori nelle diverse circoscrizioni;
   ovviamente, alcuni costi per le stesse operazioni possono essere diversi, a causa anche del cambio euro/moneta locale, ma, per esempio, nel caso dell'Argentina, che avrebbe avuto uno stanziamento di 6,7 milioni di euro, avendo una popolazione italiana residente analoga a quella in Germania, con una moneta locale, il peso argentino, che si è ulteriormente svalutato nell'ultimo anno, non si riesce a capire quale proporzione vi sia: se per la Germania e per la Svizzera si dovesse spendere la stessa somma, visto che il numero di elettori è di poco inferiore a quello dell'Argentina (e allo stesso tempo stampa ed invio dei materiali dovrebbero costare di più), si esaurirebbe l'intero budget con questi 3 Paesi;
   è quindi evidente che all'Argentina viene imputato un investimento decisamente fuori da ogni proporzione sulla base, come si dice, della richiesta dei consoli ivi presenti. Ma allora tutto appare agli interroganti molto discrezionale ed è anche possibile che questi fondi non verranno spesi tutti per il voto di questo referendum –:
   quali attività siano esattamente finanziate e svolte con i fondi sopracitati;
   se anche altri Paesi godano di stanziamenti sopra la media, come il Brasile soprattutto, ma anche l'Uruguay e il Venezuela;
   se questi soldi vengano spesi «solo» per le operazioni di voto o anche per le attività di informazione al voto (con la presentazione delle due opzioni «Sì» e «No»);
   se l'informazione al voto, che in passato prevedeva anche l'acquisto di pagine sui giornali, sia quelli editi in italiano dalle collettività, sia quelli locali, venga ancora fatta. (4-14824)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   su Il Fatto Quotidiano del 15 novembre 2016 compare un articolo in prima pagina con un titolo abbastanza eloquente: «Snam, ecco il mega-gasdotto sulla faglia sismica di Amatrice & C» e si pubblica una cartina in cui si evidenzia che il grande tubo della Snam verrebbe posizionato proprio lungo le aree con maggiore criticità: «sovrapponete le mappe, quelle del massimo rischio sismico dell'Italia centrale e quella del futuro gasdotto Rete Adriatica, coincidono perfettamente»;
   un articolo dello stesso tenore era comparso, a firma di Gian Antonio Stella, sul magazine «Sette» del Corriere della Sera del 2 settembre 2016;
   il nuovo gasdotto, non ancora realizzato, denominato «Rete Adriatica» (il progetto è del 2011) è un colosso di 687 chilometri che attraversa dieci regioni: da Massafra (Puglia) – dove arriva la Trans Adriatic Pipeline (TAP) – a Minerbio (Emilia);
   un'opera che dovrebbe fare dell'Italia uno degli hub del gas (l'investimento complessivo di Snam per la rete di trasporto è di 3,8 miliardi di euro fino al 2020);
   l'opera è divisa in cinque tronconi: il primo, Massafra-Biccari, è già in esercizio; il secondo, Biccari-Campochiaro, è in fase di costruzione; per il Sulmona-Foligno il procedimento è in corso come pure per il Foligno-Sestino; mentre per il Sestino-Minerbio il procedimento si è chiuso e il decreto di autorizzazione è in fase di emissione;
   il tratto più delicato è a metà strada, nel tratto di Italia colpita dai terremoti, e non sarebbe problematico solo il gasdotto; infatti, intorno alla linea è prevista la realizzazione di centrali di stoccaggio (una quindicina) e di una centrale di compressione a Sulmona, cioè di un impianto per dare la spinta al gas, proprio vicino a una faglia silente; inoltre, la condotta passerebbe nella zona altamente sismica del monte Morrone, incrociando anche fiumi e torrenti, come ha spiegato nello stesso articolo il presidente del WWF Abruzzo Augusto De Sanctis;
   inoltre, il «Gruppo di intervento giuridico», un'associazione ecologista, ha contestato la procedura che ha portato all'approvazione del progetto; infatti, la Snam ha chiesto una valutazione di impatto ambientale divisa in cinque parti, una per lotto, mentre invece sarebbe servita una valutazione complessiva;
   secondo Stefano Deliperi, presidente del gruppo di intervento giuridico, «la strada seguita da SNAM Rete Gas SpA, sino ad ora, sembra essere il tentativo di evitare la Valutazione ambientale strategica e la Valutazione di impatto ambientale unica, in palese violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali»;
   nello stesso articolo si richiama anche la risoluzione votata all'unanimità nel 2011 dalla Commissione ambiente della Camera, con cui si impegnava il Governo a «disporre la modifica del tracciato» escludendo comunque la fascia appenninica proprio a causa dell’«elevato pericolo per la sicurezza dei cittadini dovuto al rischio sismico», una risoluzione purtroppo profetica, alla luce di tutto ciò che è successo nell'Appennino centrale dal 24 agosto 2016 ad oggi, ma completamente ignorata dai Governi che nel frattempo si sono succeduti;
   i «Comitati cittadini per l'ambiente» di Sulmona hanno fatto sapere, con un proprio comunicato stampa, di aver chiesto, nel corso di un convegno tenutosi a Sulmona l'11 novembre 2016, al Ministro Graziano Delrio rassicurazioni in merito, ma il Ministro si è limitato a declinare ogni responsabilità, poiché tale opera è di competenza del Ministero dello sviluppo economico;
   in Italia Snam può contare su 32.500 chilometri di condutture, di cui 1.000 in Abruzzo;
   secondo Il Fatto quotidiano, fonti qualificate vicino al Governo fanno notare che «i tre quinti dell'opera sono già avviati, ma ogni tratto è indipendente dall'altro, se anche dovessero saltare i 170 chilometri da Sulmona a Foligno il gasdotto potrebbe funzionare, utilizzando la rete già esistente» –:
   se non ritengano, secondo quanto indicato già nella risoluzione approvata nel 2011 dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati e alla luce dei gravi eventi sismici degli ultimi mesi, di dover assumere le iniziative di competenza per la modifica del tracciato previsto per il gasdotto denominato «Rete adriatica» nel tratto previsto da Sulmona a Foligno.
(2-01551) «Melilla, Scotto, Quaranta, Ricciatti, Zaratti, Sannicandro».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, ZARATTI, PELLEGRINO, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la raffineria API di Falconara Marittima è un importante polo energetico (produzione di energia elettrica e prodotti petroliferi) situato alla periferia nord del comune di Falconara Marittima;
   lo stabilimento occupa una superficie di circa 700.000 metri quadrati sul lato costiero della pianura alluvionale del fiume Esino, con una capacità di lavorazione di 3.900.000 tonnellate annue (circa 85.000 barili/giorno) e una capacità di stoccaggio di oltre 1.500.000 metri cubi;
   la raffineria è dotata di un sistema di spedizione via terra con una potenzialità complessiva di oltre 12.000 tonnellate/giorno e di un sistema di ricezione e spedizione via mare costituito da un complesso di terminali marini in grado di ricevere petroliere e superpetroliere da 1.000 fino a 400.000 tonnellate;
   l'impianto è soggetto ad autorizzazione integrata ambientale statale;
   con comunicazione del 7 gennaio 2016 prot. 9/2016 Api Raffineria di Ancona s.p.a. (C.F. 01837990587), con sede legale in via Flaminia 685, 60015 Falconara Marittima (AN), inviava al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «direzione generale valutazioni e autorizzazioni ambientale», la relazione di riferimento ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 272/2014, ai fini delle procedure di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale;
   in data 8 marzo 2016 prendeva avvio il relativo procedimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (numero di protocollo 440);
   in data 9 novembre 2016 il Consiglio dei ministri rendeva nota la sua presa d'atto «dell'avvenuto superamento del dissenso in merito al procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla società Api Raffineria di Ancona S.p.A., per l'esercizio della raffineria situata nel comune di Falconara Marittima (AN), nel rispetto di prescrizioni fornite dal Ministero della Salute» (Agi, 9 novembre 2016) –:
   se intendano rendere nota la documentazione relativa alle prescrizioni stabilite dal Ministero della salute che hanno portato al superamento del dissenso nel procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale. (5-10030)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni da fonti stampa si apprende che, grazie all'inchiesta «Clean City», condotta dalla procura di Firenze sull'ente pubblico regionale Ato Toscana Sud e sull'appalto ventennale aggiudicato nel 2012 a Sei Toscana (per la gestione integrata dei rifiuti nelle province di Siena, Arezzo e Grosseto) emerge un drammatico «sistema corruttivo» che vale una mega-mazzetta da 300 mila euro e un appalto da 3 miliardi e mezzo di euro;
   in base a quanto viene rivelato dall'inchiesta a costruire l'appalto truccato per miliardi di euro sarebbe stato l'ingegnere Andrea Corti, direttore della Ato Toscana Sud e professore associato all'università di Siena che con la complicità di uno studio legale introduceva oneri e clausole tali da scoraggiare altri concorrenti. Mentre il professor Corti in cambio veniva ripagato con una pioggia di consulenze, incarichi, fatturazioni (per arrivare infine a sfiorare i 400 mila euro);
   secondo gli inquirenti la questione oltre che essere giudiziaria è anche politica. Inoltre si palesa una evidente «difficoltà ad esercitare un controllo sulle partecipate a causa dell'incastro di scatole cinesi che spesso tali società vanno a costituire». Infatti, l'intreccio che lega Ato Toscana Sud, Sei Toscana e Sienambiente ne è un esempio emblematico. Tra i personaggi di spicco coinvolti nell'inchiesta ci sono anche Fabrizio Vigni, «uomo di ferro della sinistra toscana», già deputato Ds, ambientalista convinto, che di Sienambiente è stato presidente fino alle dimissioni del marzo 2016, il commercialista Eros Organni di Sei Toscana, e il suo omologo di Sienambiente Marco Buzzichelli, l'avvocato Valerio Menaldi tra i fondatori dello studio legale M.M.&A, ed anche Paolo Nannini, presidente di Nuove Acque, già sindaco di Bucine ed esponente di spicco del Pd valdarnese-aretino;
   dalle intercettazioni agli atti di questa complessa struttura costituita dagli «amici degli amici» (i «presunti corrotti e corruttori») che governavano tutta la gestione rifiuti nella Toscana del sud, l'aspetto più inquietante risulta essere proprio questa apparente «normalità del sistema» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto emerso, non ritenga doveroso assumere le iniziative di competenza, anche normative, per fare in modo che nella filiera della gestione dei rifiuti venga ripristinata e garantita una netta distinzione tra soggetti gestori, soggetti controllori e soggetti appaltanti. (5-10038)


   MARZANA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2015 era attraccata al porto commerciale di Augusta, in Sicilia, la motonave «Rita BR» con a bordo migliaia di tonnellate di rifiuti prodotti dall'acciaieria «Ilva» di Taranto;
   i rifiuti scaricati nel porto megarese erano costituiti dal polverino, residuo dei fumi dell'altoforno trattenuto dagli elettrofiltri, che poi sono stati smaltiti nella discarica Cisma, ubicata tra i comuni di Augusta e Melilli nei pressi del sito di interesse nazionale (SIN) di Priolo istituito attraverso la legge n. 426 del 1998;
   su di esso si sono stratificati sessant'anni di industria chimica e della raffinazione: da Moratti alla Liquichimica negli anni Cinquanta, alla Montedison, alla Esso, alla ERG fino all'odierna Lukoil;
   è uno dei siti più problematici in Italia proprio per l'esistenza di numerose discariche, autorizzate e abusive, di fondali del porto contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, di una cattiva qualità dell'aria, della compromissione delle falde idriche inquinate da idrocarburi e, quindi, di una grave questione sanitaria;
   a distanza di un anno e mezzo, la discarica Cisma ha ripreso a ricevere il polverino d'altoforno dell'impianto di Taranto; infatti, da notizie di stampa (La Sicilia 13 novembre 2016) si apprende che: «Partono da Taranto, con spedizioni settimanali, una trentina di autotreni carichi di polverino. I camion vengono imbarcati al porto di Taranto sulla nave “Eurocargo Livorno” e sbarcati a Catania per poi proseguire su strada per la discarica Cisma. Ogni spedizione contiene circa 900 tonnellate di rifiuti speciali»;
   non sono chiare le modalità che hanno determinato l'autorizzazione del trasferimento di tali rifiuti dalla Puglia alla Sicilia per smaltirli in un'area ad alto rischio ambientale, che avrebbe, al contrario, bisogno di essere bonificata e di smaltire i propri rifiuti industriali;
   nel corso del question time del 6 maggio 2015 svoltosi alla Camera, il Ministro interrogato affermava che: «i rifiuti in questione sono stati classificati e caratterizzati dal produttore come rifiuti non pericolosi, prodotti dal trattamento dei fumi “e che” il materiale, per l'esattezza 9.142 tonnellate, fosse stato inviato in Sicilia in via transitoria»;
   in merito alla scelta della soluzione individuata per lo smaltimento di tali rifiuti, lo stesso commissario dell'Ilva Corrado Carruba ha precisato che tale materiale è stato inviato altrove solo in questa fase transitoria, essendo infatti previsto nella programmazione di Ilva che esso sia gestito in house, con l'attuazione del piano di gestione dei rifiuti aziendale e con l'avvio dei nuovi impianti autorizzati di discarica, misure di recente approvate con la legge n. 20 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 1 del 2015;
   non è concepibile che un dicastero si affidi alla classificazione di rifiuto fornita dal produttore, invece di rivolgersi alle autorità di controllo competenti, come l'Arpa –:
   se intenda avvalersi della collaborazione dell'Ispra a dell'Arpa per verificare attentamente, per quanto di competenza, a quale tipo di classificazione sia assoggettabile questo tipo di rifiuti, e se la discarica Cisma sia congrua per accoglierli;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare affinché siano rispettate tutte le norme sia in materia ambientale, che con riguardo alla tutela della salute dei cittadini che risiedono in quest'area;
   quali siano stati i criteri di scelta che consentono il trasferimento dei predetti rifiuti dalla Puglia alla Sicilia;
   quando terminerà il trasferimento dei predetti rifiuti che doveva considerarsi «in via transitoria», visto che dopo un anno e mezzo il polverino non è stato rimosso e continuano ancora le spedizioni di questo materiale;
   quale sia lo stato di attuazione del piano di gestione dei rifiuti aziendale di cui alla legge n. 20 del 2015. (5-10040)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato, sul sito dell'ARPA Veneto l'esito delle campagne di monitoraggio della qualità dell'aria per gli anni 2015-2016, realizzate nei pressi dell'aeroporto «Antonio Canova» di Treviso;
   sono stati monitorati, tra gli altri, vari inquinanti tra cui gli ossidi di zolfo, di azoto, il monossido di carbonio, l'ozono, il particolato PM10, PM2.5, PM1, i metalli, gli idrocarburi policiclici aromatici tra cui il Benzo(a)pirene, e i composti organici volatili, tra cui il benzene;
   dalla lettura della relazione tecnica emerge il superamento, per il parametro PM10, del valore limite giornaliero, così come, per quanto riguarda l'inquinante O3, sono stati rilevati alcuni superamenti della soglia di informazione di 180 μg/m3 e valori superiori all'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana di 120 μg/m3 previsto dal decreto legislativo n. 155 del 2010;
   secondo quanto rilevato dal Comito per la riduzione dell'impatto ambientale dell'aeroporto di Treviso, l'Arpav avrebbe svolto i campionamenti sopra vento, senza peraltro utilizzare la tecnologia più opportuna, segnalata dal sistema nazionale per la protezione dell'ambiente SNPA e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – «Qualità dell'ambiente urbano/VIII Rapporto/Edizione 2012»;
   come rilevato, infatti, dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare nella suddetta relazione, «dai soli monitoraggi routinari non emerge il contributo dell'aeroporto dal momento che nella grande maggioranza dei casi i livelli misurati nelle immediate vicinanze degli aeroporti non sono significativamente più elevati rispetto a quelli rilevati nelle altre zone influenzate dalle emissioni da traffico veicolare o da emissioni industriali»;
   si sostiene inoltre che «le misure ad alta risoluzione temporale aiutano a evidenziare il contributo degli aeromobili, mentre le misure integrate della concentrazione di massa del particolato, su tempi di integrazione tipici (24 h) non permettono di evidenziare significative differenze riconducibili alle attività aeroportuali»;
   infine, il Comitato sottolinea come, considerando l'infinitesima struttura delle particelle PM 2,5 e la ridottissima incidenza sulla massa, non è realistica la valutazione quantitativa (ponderale) effettuata da Arpav, bensì sarebbe necessaria la ricerca della concentrazione numerica che presenta una maggior superficie di assorbimento di inquinanti atmosferici –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché i monitoraggi della qualità dell'aria effettuati presso gli aeroporti, a partire da quello di Treviso, siano condotti secondo le tipiche forme di rilevamento ambientale e la tecnologia segnalata dal sistema nazionale per la protezione dell'ambiente e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, posto che lo scostamento da tale procedura secondo l'interrogante potrebbe rendere inattendibili le campagne di monitoraggio effettuate. (5-10048)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2014 è stato avviato il progetto LIFE+ LIFE12 BIO/AT/000143 denominato «una ragione per sperare – reintroduzione dell'ibis eremita in Europa» che persegue l'obiettivo di reintrodurre in Europa una popolazione vitale di ibis eremita;
   tale progetto è finanziato per un totale di 2.179.759 euro con il denaro dei cittadini europei;
   nel corso dello studio decennale di fattibilità del progetto, il 70 per cento delle perdite è stato causato da abbattimenti illegali avvenuti sul territorio italiano (bracconaggio);
   il 1o settembre 2016, primo giorno di caccia in «preapertura», in provincia di Grosseto è stato ucciso l'ibis di nome Kato;
   l'8 ottobre 2016 nei pressi di Thiene, in provincia di Vicenza, è stato ucciso l'ibis di nome Tara;
   il 5 ottobre 2016 in provincia di Grosseto, vicino ad Alberese, è stato ucciso l'ibis di nome Thor;
   il 5 novembre 2016 in Val Camonica, nel comune di Darfo Boario Terme, in località Angone, è stato ucciso l'ibis di nome Enno;
   il 15 novembre 2016 nelle campagne di Caprino Veronese (Verona) è stato rinvenuto Luna, un ibis eremita ferito ad una zampa;
   tutti gli animali uccisi e feriti sono stati colpiti da pallini utilizzati comunemente nelle cartucce per i fucili da caccia;
   i 4 ibis uccisi e l'ibis ferito nel corso di due mesi rappresentano il 30 per cento, del contingente migratorio che interessa il nostro Paese;
   il 13 settembre 2016 il tribunale di Livorno ha condannato un cacciatore toscano per l'uccisione di due esemplari di ibis eremita avvenuta nel 2012;
   a seguito della recente revisione dell'organizzazione periferica della pubblica amministrazione che ha determinato il sostanziale azzeramento della vigilanza venatoria ad opera delle guardie provinciali, l'individuazione di queste vittime di atti di bracconaggio è stata possibile grazie al fatto che tutti gli ibis facenti parte del progetto sono dotati di geolocalizzatore gps;
   considerato l'interesse venatorio pressoché nullo nei confronti di tale specie, è lecito presumere che le dimensioni del bracconaggio nei confronti di altre specie protette dalle norme europee ma di interesse dei cacciatori siano enormemente superiori;
   il fenomeno del bracconaggio è quindi molto più esteso territorialmente di quanto fino ad ora immaginato e non riguarda solamente l'uso di mezzi vietati da parte di cittadini comuni, ma comprende l'uso di fucili utilizzati comunemente nell'esercizio dell'attività venatoria, mentre un cacciatore in possesso di regolare abilitazione all'esercizio venatorio è stato individuato quale responsabile dell'uccisione di due ibis eremita;
   la direttiva «uccelli» e la direttiva «Habitat» impongono al nostro Paese la protezione di tutte le specie di fauna selvatica, sia limitandone il prelievo per alcune, sia vietandolo per altre;
   quanto accaduto espone il nostro Paese al concreto rischio di pesanti sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto delle suddette direttive;
   le conseguenze del passatempo illegale esercitato dalla categoria dei cacciatori, che rappresenta meno dell'1 per cento della popolazione, rischiano quindi di ricadere pesantemente sull'economia di tutte le famiglie italiane in un periodo particolarmente drammatico dal punto di vista economico –:
   se non ritengano improrogabile assumere iniziative normative per una revisione delle procedure per il rilascio delle abilitazioni all'esercizio venatorio, in particolare per quanto riguarda la diretta responsabilità dei cacciatori negli atti di bracconaggio, così come dimostrato con i citati casi degli ibis eremita. (4-14833)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa (Il Fatto Quotidiano dell'8 novembre 2016, articolo di Chiara Brusini), è in corso un'indagine sul Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte della Corte dei conti;
   la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ufficio di controllo sui Ministeri economico-finanziari, ha intrapreso l'indagine V2: «Lo svolgimento di compiti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte di Sogesid S.p.a.»;
   sono stati richiesti gli atti di indirizzo del Ministro alla società per gli anni 2015-2017, le convenzioni quadro e attuative e la rispondenza delle attività della società alle convenzioni stesse. Sono state chieste ulteriori specifiche ai direttori generali e dati finanziari al direttore dell'ufficio centrale di bilancio in merito ai titoli di spesa emessi per attività della Sogesid;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare gestisce e coordina i piani di sostenibilità in Italia; fra autorizzazioni, gestione ambientale e dei servizi, costo delle esternalità, sono almeno 300 i miliardi di euro di prodotto interno lordo annuali collegati alle attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; la partita dei cambiamenti climatici è tra le più vitali ed è seguita in questi giorni da una delegazione di 24 membri del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare anche se ben 14 appartengono a Sogesid s.p.a. –:
   se il Ministro interrogato abbia prodotto i documenti richiesti e se siano state contestate irregolarità dalla Corte dei conti;
   se ci siano state conseguenze e come intenda affrontare una eventuale liquidazione di Sogesid;
   se siano state ipotizzate fusioni di Sogesid con altre società o agenzie.
   (4-14841)


   DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del 14 maggio 1996 ha imposto una rapida sostituzione delle condotte in amianto e il controllo della presenza di fibre nell'acqua potabile interessata da tubazioni in amianto;
   un recente rapporto dello IARC (International Agency for Research on Cancer) sull'amianto tra le varie prove ed esperimenti precisa: l'ingestione di amianto è considerata «esposizione primaria» al pari dell'inalazione. Il rapporto dello IARC conclude che «esistono prove sufficienti per la cancerogenicità di tutte le forme di amianto per l'uomo. Provoca il mesotelioma, il cancro del polmone, della laringe, e dell'ovaio. Inoltre sono state osservate associazioni positive tra l'esposizione a tutte le forme di amianto e cancro della faringe, stomaco, colon-retto. Tutte le forme di amianto sono cancerogene per l'uomo»;
   la risoluzione del Parlamento europeo del 30 gennaio 2013 sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente, sottolinea che diversi tipi di tumori causati non soltanto dall'inalazione di fibre trasportate nell'aria, ma anche dall'ingestione di acqua contenente tali fibre, proveniente da tubature in amianto, sono stati riconosciuti come un rischio per la salute e possono insorgere dopo decenni, e in alcuni casi addirittura dopo oltre quarant'anni;
   l'uso delle condutture in cemento-amianto per l'adduzione delle acque potabili è estremamente diffuso sul territorio italiano e rappresenta una sorgente non trascurabile di amianto. La vita media dei manufatti a base di cemento amianto è mediamente di 30/40 anni e le tubazioni di distribuzione delle acque potabili risalgono agli anni ’50-60 per cui sono in opera da almeno 50 anni ed è evidente che definire la rete acquedottistica italiana in buono stato di conservazione è forse un eufemismo. Inoltre, le tubazioni interrate subiscono fenomeni degradativi dovuti alla presenza di terreni solfatici, fessurazioni dovute ai movimenti del terreno, al gelo e disgelo, ai movimenti ondulatori per scosse telluriche;
   sulla stampa sempre più spesso appaiono articoli che descrivono la pericolosità della situazione in varie regioni e il mancato intervento da parte dei gestori, come nel caso della Toscana in cui «dei 500 milioni di euro che l'azienda incassa dalle nostre bollette per effettuare investimenti niente viene destinato ad un eventuale piano di sostituzione, mentre circa il 20 per cento del totale (quasi 100 milioni di euro) viene destinato alla macchina aziendale» (http://www.panorama.it) –:
   quale sia la reale stima del numero di chilometri di tubazioni in cemento amianto della rete acquedottistica sul territorio italiano e se vi sia un programma di bonifica da parte del Governo, di comune accordo con i gestori, i quali avrebbero il compito di avviare investimenti finalizzati alla rimozione e alla sostituzione parziale o completa di infrastrutture idriche contenenti amianto, anche al fine di ottemperare a quanto previsto dalla risoluzione del Parlamento europeo;
   se intendano farsi promotori, per quanto di competenza, di iniziative volte a istituire controlli su campioni d'acqua per verificare se e in che misura vi siano fibre in amianto. (4-14845)


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la stampa e le televisioni, nazionale e locali del sud pontino, da almeno tre mesi, informano l'opinione pubblica dello stato di assoluto degrado nel quale versa il Parco nazionale del Circeo;
   il tutto nasce da una serie di denunce penali per reati ambientali, nei confronti della dirigenza del parco e del Corpo forestale dello Stato, depositate in procura della Repubblica dal sindaco di Ponza, il giornalista Piero Vigorelli, che è membro del consiglio direttivo del parco;
   in una prima denuncia, a fine luglio 2016, il sindaco ha documentato l'esistenza sull'isola di Zannone, che è inclusa nel parco dal 1979, di alcune discariche a cielo aperto di rifiuti sia urbani sia speciali;
   da 37 anni l'isola di Zannone è stata abitata solo ed esclusivamente dal presidio della Forestale, da impiegati del parco e da studiosi dell'avifauna; appare all'interrogante verosimile che quei rifiuti possano essere stati prodotti dai citati enti;
   si tratta di reti da letto, termosifoni, sanitari, scaffalature di ferro, piano cottura, cappa aspiratrice, materiali elettrici, reti metalliche, inerti dell'edilizia, mobili, persiane e, financo, tubi in eternit e altro;
   la stampa afferma che è stata raggiunta un'intesa, secondo la quale il comune di Ponza autorizza l'ente parco che provvederà a smaltire quei rifiuti. A spese dell'ente parco, che ha stanziato circa 32.000 euro;
   nei primi giorni di novembre 2016, invece, la stampa informa di una seconda denuncia del sindaco di Ponza nei confronti dell'ente parco e del Corpo forestale;
   questa volta, il sindaco documenta che, all'interno della foresta demaniale, cioè il «cuore» del parco, esistono decine di cumuli di rifiuti di ogni genere;
   si tratta di batterie e di copertoni di auto, di sacchi contenenti eternit, di centinaia di bottiglie di plastica e di vetro, di materassi, frigoriferi, un trasportino per cani, sacchi di rifiuti umidi, carte e cartoni, inerti dell'edilizia, materiali elettrici, carcasse varie, sacchi e sacchetti di ogni tipo, e altro;
   in definitiva, nelle due denunce è documentato uno stato di abbandono e di degrado in tutto il parco del Circeo, dalla lontana isola di Zannone alla foresta demaniale;
   è indubbio che la responsabilità di tutto ciò ricada sull'ente parco e il Corpo forestale, che non hanno assolto i compiti istituzionali di vigilanza dell'aerea che lo Stato ha loro affidato, con lo scopo di proteggere e valorizzare la straordinaria natura dei luoghi protetti –:
   se non si ritenga opportuno assumere le rigorose iniziative di competenza per mettere fine a questo scempio, a partire da quelle finalizzate allo scioglimento del consiglio direttivo e al commissariamento dell'ente parco, misure che ad avviso dell'interrogante appaiono assolutamente urgenti e doverose;
   se non si ritenga opportuno attivare iniziative per verificare le responsabilità del Corpo forestale dello Stato, che fra l'altro continua a godere di un congruo contributo dal modesto bilancio dell'ente parco, addirittura di quasi 480.000 euro nel 2013, per assolvere ai compiti per i quali riceve un finanziamento dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, azioni che ad avviso dell'interrogante appaiono assolutamente doverose e urgenti;
   se non si ritenga opportuno agevolare l'iniziativa del comune di Ponza che, stando alle notizie di stampa, sta attivando le procedure per l'uscita dell'isola di Zannone dal parco, una scelta che, ad avviso dell'interrogante, appare assolutamente condivisibile;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per far fronte allo stato di fatiscenza nel quale è ridotta l'imponente e storica villa comunale di Zannone, che sta cadendo a pezzi a causa della mancata azione manutentiva da 37 anni, misura che l'interrogante ritiene assolutamente doverosa. (4-14862)


   FASSINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella zona di Anzio è prevista la costruzione di una centrale biogas in una zona contigua ad un quartiere residenziale;
   secondo il Comitato popolare «Anzio No Biogas», la realtà ambientale di Anzio e in particolar modo della zona padiglione Sacida è particolarmente complessa e la forte antropizzazione/industrializzazione dell'area in esame complica ulteriormente la situazione;
   gli inquinanti emessi dalla centrale in questione inciderebbero pesantemente e negativamente sulla popolazione interessata e, in particolar modo, sui 350 bambini (di età compresa tra i 2 anni e mezzo e i 10 anni) della scuola dell'infanzia e della scuola primaria del plesso Sacida-Spalviera sita a soli 380 metri dal luogo ove sorgerà la centrale biogas;
   come definito dalla Corte europea: «Spetta alla politica stabilire il livello del rischio accettabile o non accettabile» e, ad ulteriore conferma, la Commissione europea scrive in una sua comunicazione sul principio di precauzione (COM 2002-1) «che la decisione è prettamente politica e non tecnica»;
   sempre in merito alla validità del ricorso al principio di precauzione il Consiglio di Stato (C.S. – Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525) ha ribadito un principio fondamentale: «il richiamato principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di precauzione. L'applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali» –:
   se intenda assumere iniziative normative per tutelare la sicurezza ambientale e sanitaria dei cittadini, anche alla luce degli obblighi derivanti dall'adesione all'Unione europea, con particolare riguardo ai requisiti e alle condizioni per la realizzazione di impianti per la produzione di energia. (4-14864)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal 6 dicembre 2016 fino all'8 gennaio 2017, sarà esposta a Milano la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, elemento centrale del Polittico conservato al Museo civico di Sansepolcro;
   tale opera è stata concessa in prestito dal comune di Sansepolcro a quello di Milano, causando non poche polemiche da parte dei cittadini del comune toscano, indignati per il fatto di non esserne stati informati neanche attraverso un passaggio in consiglio comunale;
   il prestito avverrebbe, tra l'altro, proprio durante le festività natalizie, causando un evidente danno all'attrattiva turistica della città, che rischia di non essere pari al possibile beneficio derivante dal prestito;
   al di là del danno economico e di immagine di Sansepolcro, il prestito di questa opera crea dubbi anche dal punto di vista della tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale sancito dall'articolo 9 della Costituzione: rientrata da pochissimo da un precedente prestito al comune di Forlì, potrebbe questa volta subire danni e deterioramenti irreversibili, considerata la sua fragilità ed essendo in fase di ri-acclimatamento; inoltre, il fatto di staccare un solo pezzo di una più grande composizione artistica, realizzata e pensata dall'artista come un tutt'uno ne snaturerebbe l'essenza stessa;
   il codice dei beni culturali, all'articolo 20, stabilisce che i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, all'articolo 33, relativo alle Soprintendenze archeologia e soprintendenze belle arti e paesaggio, stabilisce esse debbano essere sentite ai fini dell'autorizzazione al prestito di beni storici, artistici ed etnoantropologici per mostre od esposizioni sul territorio nazionale o all'estero;
   qualche mese fa è stato presentato il progetto Terre di Piero – Sulle tracce del maestro itinerante – Piero della Francesca, ideato da Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria e sostenuto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'obiettivo di legare l'arte ai territori in tutte le loro declinazioni: enogastronomia, artigianato, natura –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, siano state seguite tutte le procedure, anche di autorizzazione al prestito, necessarie per la tutela dell'opera della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, patrimonio artistico nazionale;
   se tale prestito sia in linea con gli obiettivi del progetto Terre di Piero, sostenuto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la valorizzazione dei luoghi e delle opere dell'artista. (5-10033)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Hotel Mediterraneo, situato nel Viale Diaz, in Cagliari, rappresenta una delle offerte tradizionali della ricezione alberghiera di qualità ed è stato per decenni una delle locazioni cittadine più prestigiose, ricevendo gli ospiti più illustri, ospitando le manifestazioni e le associazioni più prestigiose e rappresentando un punto di riferimento per l'intera comunità cittadina;
   tale albergo è prospiciente la passeggiata di Su Siccu, appena riqualificata e costituisce lo sfondo naturale di uno dei monumenti più amati dai cagliaritani e dai sardi: la Basilica di Nostra Signora di Bonaria;
   nel luglio del 2013, l'ultima proprietà locale dell'albergo ha ceduto l'immobile ad imprenditori di nazionalità russa, che farebbero capo a due società di nome Reistar srl e Reiservice srl, riferibili al signor Vitaly Khomyakov, il quale il 3 settembre 2013 ha avuto un cordiale incontro (fonte L'Unione Sarda) con l'allora assessore all'urbanistica del comune di Cagliari, impegnandosi per un importante intervento di investimento e riqualificazione della struttura, con l'impiego di tecnici e imprese sarde, e al rilancio turistico della struttura alberghiera e al mantenimento dei livelli occupazionali per i 27 dipendenti dell'azienda;
   dopo la visita del Papa, nel settembre 2013, l'Hotel Mediterraneo è stato chiuso al pubblico, in modo da permettere l'inizio dei lavori di riqualificazione, ma nell'ottobre i dipendenti venivano posti in cassa integrazione;
   in tale circostanza, vi era stato l'auspicio che venissero accelerate le procedure amministrative relativi ai lavori di restyling, in modo da permettere la rapida ripresa delle attività, ampliando i livelli occupazionali e garantendo il ripristino dell'offerta recettiva cittadina;
   dopo una fugace attività di cantiere di pochi mesi, che ha portato allo smantellamento del corpo di fabbrica precedentemente occupato dal bar, dal self service e da altri servizi, i lavori si sono arrestati;
   nel luglio del 2015, terminata la cassa integrazione in deroga, venivano concluse le operazioni di licenziamento collettivo dei dipendenti dell'azienda;
   da due anni, il cantiere dell'Hotel Mediterraneo versa in completo abbandono, mentre resta visibile come un relitto di archeologia industriale l'obbrobrio dello scheletro della parte in cui sono state eseguite le opere di demolizione;
   tale rudere, oggetto di attività di demolizione, si trova alla base, della gradinata di Piazza dei Centomila e sfregia la vista della Basilica, rappresentando ad avviso dell'interrogante un intollerabile oltraggio al panorama cittadino;
   nel frattempo si inseguono inquietanti voci e numerose interrogazioni consiliari municipali sulla proprietà che collegherebbero la sospensione dei lavori di riqualificazione alberghiera al blocco delle attività finanziarie in Italia di Smp Bank dei fratelli Rotenberg, conseguente alle sanzioni contro la Russia di Putin, disposte dall'Unione europea;
   attualmente il cantiere appare deserto e desolato, né è dato di sapere quando sia prevista la ripartenza dei lavori e la loro definitiva consegna, nonché la ripresa della attività ricettiva, funzionale alle necessità di sviluppo turistico della città;
   l'Hotel Mediterraneo, per la sua storia e la sua tradizione, intrecciata con quella recente della città di Cagliari per la sua collocazione di cerniera tra il mare di Su Siccu e la Basilica di Nostra Signora di Bonaria, rappresenta un patrimonio di proprietà privata, ma di sicuro interesse collettivo;
   il cantiere abbandonato e il malinconico scheletro di architettura industriale rappresentano un danno di immagine alla città e alla sua vocazione allo sviluppo turistico e danneggiano la fruibilità di un bene identitario prezioso, come la Basilica di Bonaria –:
   quale attività di vigilanza stia esercitando, per quanto di competenza, ed eventualmente quali iniziative intenda assumere attraverso le strutture decentrate del Ministero, per evitare lo sfregio paesaggistico del contesto urbano in cui è inserita la Basilica di Nostra Signora di Bonaria in Cagliari. (4-14869)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con l'operazione «strade sicure» si è dato mandato alle forze armate, con particolare riferimento all'esercito italiano, di presidiare il territorio nazionale, al fine di incrementare il livello di ordine e sicurezza pubblica e aumentarne la percezione nella popolazione;
   il quadro normativo in cui si articola l'operazione «Strade Sicure» è quello richiamato da alcuni articoli del codice penale militare di pace e del codice penale, che esclude, in maniera categorica, la possibilità di impiego del personale con compiti di polizia giudiziaria;
   questo atteggiamento, legittimo per certi aspetti, limita in taluni casi la possibilità di pronto impiego del personale dislocato presso gli obiettivi da vigilare, amplificando la possibilità di aumentare i rischi per l'incolumità dei militari ma soprattutto della popolazione civile da tutelare;
   a tal uopo, l'articolo 53 del codice penale prevede l'utilizzo legittimo di mezzi di coazione fisica quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona –:
   se il Governo intenda adottare nuove direttive che contemplino la possibilità di dotare il personale impiegato nell'operazione «strade sicure» di manette o simili;
   se il Governo intenda assumere iniziative per assegnare compiti di polizia giudiziaria ai militari di «strade sicure», al fine di garantire livelli di efficienza maggiori nei risultati operativi perseguiti.
   (5-10046)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'A.S.U.R. Marche ha emesso il 13 settembre 2016 la circolare prot.0026323/ASUR/DG/P recante «Linee Guida in materia di definizione dei Fondi Contrattuali delle Aree Comparto, Dirigenza Medico-Veterinaria e Dirigenza SPTA 2015-2016 – Disposizioni»;
   la circolare, rivolta ai direttori delle aree vaste, che si richiama anche alla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato n. 20 (prot. 39875) dell'8 maggio 2015 chiede di determinare i fondi contrattuali 2015-2016, operando la comparazione tra il valore medio dei presenti nell'anno 2014 (cioè la semisomma dei presenti rispettivamente al 1o gennaio ed al 31 dicembre degli anni in questione) rispetto al valore medio relativo all'anno 2010, escludendo, dal computo del personale oggetto di comparazione, quello con rapporto di lavoro a tempo determinato supplente, straordinario e quello inserito in processi di stabilizzazione anche se il documento del Ministero dell'economia e delle finanze disponeva di prendere in considerazione tutti i presenti, rispettivamente al 1o gennaio ed al 31 dicembre di ciascun anno;
   questo calcolo ha comportato una «riduzione dei fondi contrattuali», che risulta punitiva nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici delle aree vaste, nello specifico quelli dell'area vasta 2, in quanto i fondi contrattuali quantificati per l'anno 2015 non solo sono diventati «incapienti», peraltro con effetto retroattivo (sul 2015), ma vengono «cristallizzati», producendo danni anche prospettici, sul 2016 e sugli anni successivi, costituendo il nuovo limite, in luogo del precedente limite che era stato fissato all'anno 2010 in riferimento alle annualità dal 2011 al 2014;
   in data 7 ottobre 2016 sono stati redatti gli atti relativi di area vasta per la «Determinazione definitiva dei Fondi Contrattuali anno 2015 e provvisoria anno 2016 Aree Contrattuali Comparto e Dirigenze»;
   il direttore generale dell'A.S.U.R. Marche ha emesso la determina del n. 649 del 19 ottobre 2016 con la quale ha inteso specificare che il collegio sindacale dell'A.S.U.R. Marche «ha proceduto al controllo delle Determine, certificando che la decurtazione permanente è stata effettuata in base a quanto previsto dalla Circolare n. 20/2015/MEF» –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda chiarire il contenuto della circolare n. 20 dell'8 maggio 2015, posto che quanto deciso dall'A.S.U.R. Marche appare fortemente penalizzate per il personale che abbia un rapporto di lavoro a tempo determinato supplente, straordinario e quello inserito in processi di stabilizzazione e che la trasformazione dei contratti di tali lavoratori risulterebbe impossibile, visto anche che questo personale è necessario per assicurare il regolare funzionamento delle strutture e per garantire l'erogazione dei servizi. (4-14819)


   MINARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 è stato ratificato l'accordo bilaterale USA-Italia in tema di scambio di informazioni fiscali contro l'evasione fiscale denominato Facta;
   sulla base di tale accordo tutti i cittadini con doppia nazionalità italiana ed americana hanno l'obbligo di presentare annualmente la dichiarazione dei redditi relativa alla situazione patrimoniale, mobiliare ed immobiliare, oltre che in Italia, anche in USA. Tale procedura è prevista anche se negli Stati Uniti non si è avuto alcun tipo di rapporto economico di qualsiasi genere ed entità ed il reddito patrimoniale è esclusivamente italiano;
   l'accordo citato ha previsto una serie di procedure dirette da parte degli enti italiani e degli Stati Uniti al fine di conoscere la residenza fisica dei soggetti con doppia cittadinanza. Prima della ratifica di tale accordo, infatti, non si conosceva la residenza fisica dei soggetti con doppia nazionalità (italiana e americana) che, pertanto, risultavano sconosciuti al fisco americano, né si sapeva con chi questi intrattenessero rapporti economici-finanziari;
   inoltre, le banche risulterebbero in difficoltà per l'erogazione del credito a tali soggetti ed anche a mantenere rapporti con chiunque non sia in grado di fornire il Social Security Number (SSN, codice fiscale indispensabile negli Stati Uniti per qualsiasi pratica amministrativa). Tra l'altro, occorre ricordare che la normativa fiscale degli Stati Uniti prevede che la sola mancanza della dichiarazione dei redditi comporti sanzioni molto elevate;
   è da sottolineare che la normativa fiscale negli Usa prescrive la dichiarazione da parte dei cittadini americani indipendentemente dalla sede di produzione del reddito e tale dovere per il contribuente permane anche quando non si ha alcun tipo di rapporto con lo stesso Stato americano –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative di competenza per semplificare le modalità della dichiarazione dei redditi da parte dei soggetti che possiedono la doppia cittadinanza italiana e americana in modo da facilitare gli stessi contribuenti;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, anche tramite i CAF o altri uffici, un'assistenza fiscale idonea a far conoscere le modalità degli adempimenti che sono tenuti a compiere i contribuenti con la doppia cittadinanza italiana e americana in modo tale da aiutarli nella presentazione della dichiarazione dei redditi. (4-14854)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», prevede la soppressione degli uffici del giudice di pace di cui alla tabella allegata allo stesso provvedimento, ripartendo le relative competenze territoriali in coerenza con l'assetto territoriale fissato per i tribunali ordinari;
   lo stesso decreto legislativo aveva anche stabilito che, entro sessanta giorni dalla pubblicazione: «gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del Giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sede», incluso anche il fabbisogno di personale amministrativo messo a disposizione degli enti medesimi;
   si è proceduto, dunque, con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, alla determinazione delle sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali;
   il termine di cui sopra è stato differito, dal decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, al 30 luglio 2015, prevedendo la possibilità per gli enti locali interessati anche consorziati tra loro, per le unioni di comuni, nonché per le comunità montane, di chiedere il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi, indicati nella vigente tabella A allegata al medesimo provvedimento, con competenza sui rispettivi territori;
   con successivo decreto del Ministro della giustizia del 27 maggio 2016 è stato disposto non solo il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi, ma anche la data di inizio del funzionamento degli uffici ripristinati: il 2 gennaio 2017;
   a tutt'oggi, però, diversi enti locali, che non hanno chiesto il mantenimento degli uffici di cui sopra, potrebbero manifestare un interesse ad eventuali accorpamenti per richiedere il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la possibilità di assumere iniziative normative affinché siano riaperti i termini per chiedere il ripristino degli uffici del giudice di pace per consentire a tutti quei comuni che non hanno ancora proceduto ad una manifestazione di interesse, di potersi esprimere in merito. (4-14821)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 27 maggio 2008 è stato sottoscritto un accordo di programma tra regione Veneto, comune di Venezia, autorità portuale di Venezia, Agenzia del demanio, per la realizzazione su aree portuali, in variante al piano regolatore generale vigente, di un parcheggio multipiano, di un albergo, di uffici e negozi. L'accordo non ha trovato finora attuazione ed è stato quindi riproposto dalla autorità portuale di Venezia al comune con importanti modifiche: un aumento della cubatura alberghiera e un utilizzo meramente commerciale dei nuovi stalli di sosta, dapprima riservati per metà ai residenti in laguna;
   la zona interessata è la «ex area locomotive», una porzione della Marittima collocata tra il Ponte della Libertà e piazzale Roma, dismessa da oltre vent'anni, non essendovi più alcun esercizio di funzioni portuali ai sensi degli articoli 4, comma 3, e 16, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84;
   all'interno del sedime portuale insistono già da tempo attività urbane totalmente estranee alle richiamate funzioni portuali: sedi universitarie IUAV, il servizio di pesa pubblica e carico-scarico merci per rifornimento annonario della città, un eco-centro per rifiuti ingombranti, il mercato ittico e infine oltre quattromila aree di sosta, destinate non solo a lavoratori e crocieristi ma anche a residenti. A queste funzioni si aggiungerebbero ora, con il nuovo intervento: due hotel da 300 camere complessivamente, discoteche, uffici, supermercati e negozi più ulteriori 2.300 posti auto;
   il Palav (piano d'area laguna e area veneziana), all'articolo 39, prescrive per le zone portuali esistenti che «sono consentiti il rinnovo e l'installazione di impianti, infrastrutture, depositi, opere e manufatti connessi all'attività produttiva portuale-commerciale, nonché di edifici destinati ad ogni altra funzione inerente a tale attività (quali edifici amministrativi, posti di sorveglianza e controllo, mense, posti di ristoro, sedi di uffici doganali, posti di polizia, uffici sanitari, ambulatori eccetera)», mentre «per la zona della Marittima e San Basilio (...) è ammessa la variazione di destinazione d'uso di tutta o parte di essa, nel quadro di una redistribuzione delle attività portuali, previa adozione degli specifici provvedimenti di declassificazione delle aree demaniali marittime che la costituiscono»;
   dalla fine degli anni ’70 il comune di Venezia programma l'apertura del quartiere residenziale di S. Marta, sia verso il canale della Giudecca, nelle aree portuali in via di dismissione degli ambiti di San Basilio e Santa Marta 1o e 2o, sia verso il Canale Scomenzera nell'ambito portuale-ferroviario, parimenti dismesso. Si tratta di aree che, come detto, ospitano già funzioni non portuali;
   l'autorità portuale ha avviato quest'anno l'iter di redazione del nuovo piano regolatore portuale, pur con ritardo ventennale rispetto agli obblighi di revisione della strumentazione urbanistica vigente, che risale al 1907. Questa è, per legge, la sede appropriata per una copianificazione generale delle aree da adibire ad attività portuale, con sottoposizione del piano a specifica valutazione d'impatto ambientale, alla quale sarebbe invece sottratto l'accordo di programma sopra descritto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se e quali poteri di vigilanza, ai sensi dell'articolo 12 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, intenda esperire circa l'intensa attività «immobiliare» intrapresa dall'autorità portuale;
   se si intenda procedere, ex articolo 35 del codice della navigazione, ad una declassificazione delle aree demaniali dismesse, programmandone poi la cessione al comune, in considerazione anche delle attività di carattere urbano già ivi insediate;
   se, in subordine, si intenda procedere, ai sensi dell'articolo 34 del codice della navigazione, a destinare a usi pubblici le aree dismesse di cui sopra, per un periodo almeno ventennale;
   se non si ritenga opportuno, in ogni caso, assumere ogni iniziativa di competenza affinché si proceda all'espletamento di una valutazione di impatto ambientale per le nuove opere in fase di approvazione da parte di comune di Venezia e autorità portuale di Venezia.
(2-01550) «Da Villa».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 ottobre 2016, durante il transito di un mezzo pesante, il cavalcavia corrispondenza del chilometro 41,000, tra i comuni di Cesana Brianza e Annone Brianza, in provincia di Lecco, su cui passa la strada provinciale numero 49, è collassato sulla statale sottostante, mentre sopra il manufatto stava transitando un tir con carico pesante ed il drammatico crollo ha provocato una vittima e cinque feriti;
   si apprende a mezzo stampa che tre ore prima del crollo, il cantoniere dell'Anas addetto alla sorveglianza del tratto interessato della strada statale 36 avrebbe ricevuto una segnalazione per il distacco di alcuni calcinacci e avrebbe a sua volta segnalato all'ente provinciale la situazione di pericolo;
   nel 2014 il Governo ha erogato, tramite il cosiddetto decreto sblocca Italia, 4 miliardi di euro per le «opere cantierabili» e 300 milioni per la «Manutenzione ordinaria e straordinaria di ponti viadotti e gallerie della rete viaria nazionale». A conti fatti il 7,5 per cento dell'intera dotazione finanziaria disponibile;
   attualmente le cifre stanziate per lavori di manutenzione ammontano a circa 250 milioni di euro, a fronte dei 2,4 miliardi e dei 2,2 miliardi per Brebemi e Teem;
   il presidente di Legambiente Lombardia, Dario Balotta, ha segnalato come le condizioni di strade statali e provinciali stiano «peggiorando con il passare degli anni grazie alla riduzione delle spese per la manutenzione. Spese che invece crescono per nuove autostrade e strade. Occorre poi fare attenzione, come insegna ancora il caso di Lecco, al tema dei trasporti eccezionali: la normativa va ricalibrata. Permettere che il peso dei mezzi sia fatto in autonomia dai soggetti che devono fare il trasporto – conclude Balotta – potrebbe portare a falsare il dato, mandando in giro mezzi troppo carichi e pesanti»;
   secondo un recente rapporto dell'Unione province italiane «gli investimenti per la viabilità e la sicurezza dei 130.000 km di strade provinciali sono crollati da 7,3 euro al chilometro a 2,17 euro al chilometro» –:
   se il Governo, alla luce dello stato delle infrastrutture stradali nazionali, non intenda assumere iniziative per riequilibrare gli stanziamenti finanziari previsti per la costruzione di nuove opere in favore di un piano straordinario di manutenzione che possa mettere in sicurezza il patrimonio infrastrutturale per garantire la sicurezza dei cittadini. (5-10049)


   PASTORELLI, SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la variante all'ampliamento alla terza corsia dell'A1 Autostrada Milano-Napoli nel tratto Firenze Sud — Incisa Valdarno, Lotto2 (variante San Donato) ha ricevuto l'approvazione relativa alla valutazione di impatto ambientale con decreto ministeriale n. 11 del 21 gennaio 2015;
   si sono tenute due sessioni della conferenza di servizi in data 22 aprile e 26 maggio 2016, ma ancora non è stato emesso il provvedimento finale di perfezionamento dell'intesa Stato-regione Toscana, nelle more dei richiami alla ottemperanza delle prescrizioni sezione B, punti 13 e 14, del decreto suddetto, nonché delle autorizzazioni paesaggistiche dei comuni di Bagno a Ripoli e Rignano sull'Arno;
   in base al piano di utilizzo circa 1,5 milioni di metri cubi di terre e rocce da scavo, stabilizzate e inertizzate con calce, andranno a «tombare» con uno spessore da 10 a 20 metri un'estensione di ben 24 ettari di territorio, corrispondente alla valle del Torrente Isone. Il piano di utilizzo del materiale di scavo stravolge completamente il paesaggio, la morfologia della zona, le caratteritiche ecosistemiche e il comportamento idraulico del terreno aumentando i rischi idrogeologici sia in loco che a valle; le rocce da scavo graveranno sopra le sorgenti del fiume Isone, in un'area intrisa di acque, che alimentano le falde di attingimento di tutti i pozzi artesiani; ciò pone seri quesiti di compatibilità con la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque);
   nel DEC VIA n. 11 del 2015 sono state espresse le prescrizioni di cui all'articolo 1, sez. A), in particolare i punti 2, 3, 4, applicabili all'ambito idro-geostrutturale in cui l'opera si situa. Altre criticità sono state evidenziate dai documenti di Legambiente del 23 maggio 2016 (circolo di Bagno a Ripoli) e dalla petizione popolare al Parlamento europeo, già trasmessa al comune di Bagno a Ripoli prot. n.001/17103. Il settore tutela della natura della regione Toscana (nota n. 218042 del 26 maggio 2016) propone di eseguire un monitoraggio degli anfibi e crostacei presenti afferenti ai corridoi fluviali della rete ecologica individuata nella delibera del Consiglio regionale n. 37/2015 –:
   se il Ministro interrogato non intenda fare proprie le evidenti criticità sottolineate in premessa, anche in sede di intesa Stato-regioni, adoperandosi affinché si giunga ad una rivalutazione della scelta progettuale dell'opera infrastrutturale in questione e nello specifico se preveda di individuare soluzioni alternative a quelle proposte dall'attuale piano di utilizzo.
(5-10050)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il centro abitato del comune di Parolise è sovrastato da un viadotto di proprietà dell'Anas che potrebbe costituire un grave pericolo per la popolazione a casa delle evidenti condizioni di fatiscenza nelle quali vere e, soprattutto, per la sua collocazione;
   il viadotto è parte di una strada a carreggiata unica con una corsia per senso di marcia, che risulta insufficiente considerato il significativo flusso di traffico; il percorso è caratterizzato dalla mancanza di corsie di arrampicamento per veicoli lenti, presenta banchine ristrette ed accessi privati che mettono a repentaglio quotidianamente l'incolumità degli utenti, nonché svincoli non conformi e intersezioni a raso con le viabilità comunali e provinciali prive dei più elementari accorgimenti in materia di sicurezza, evidenziati dall'alta frequenza di incidenti e dagli elevati indici di mortalità;
   è dato incontrovertibile che la strada statale 7 costituisca un rischio per la circolazione stradale soprattutto nel periodo invernale, allorché le rigide condizioni climatiche ne rendono ancor più critica la percorrenza, visto il frequente formarsi di ghiaccio sulla carreggiata. Le cronache, infatti, restituiscono numerosi e a volte drammatici episodi di automezzi usciti fuori strada per l'assoluta perdita di aderenza con l'asfalto;
   il comune di Parolise, al fine di ripristinare le condizioni di sicurezza, ha costantemente segnalato le condizioni di pericolo per la pubblica incolumità determinate sia dal transito sul viadotto, sia dalla viabilità urbana che passa sotto il viadotto in questione;
   l'amministrazione comunale, al fine di mettere in atto azioni rivolte alla rimozione di situazioni di grave pericolo per la cittadinanza e gli utenti in generale ed attuare una pianificazione di riqualificazione urbanistica e di risanamento ambientale/paesaggistico, ha già individuato un corridoio di fattibilità per la delocalizzazione del viadotto in questione, a valle del centro abitato del comune di Parolise;
   con un proprio comunicato, l'Anas ha recentemente dichiarato che «per l'intervento finalizzato al risanamento strutturale del viadotto “Parolise II e III”, è già stato redatto un progetto di manutenzione straordinaria che prevede il risanamento strutturale dell'opera, la mitigazione del rischio ambientale mediante l'inserimento di pannelli fonoassorbenti lungo l'area urbanizzata ed opere di miglioramento della viabilità comunale, prescritte dall'Amministrazione Comunale in fase di rilascio del parere di merito»;
   secondo l'Anas, il progetto esecutivo è stato approvato nel 2015 e, successivamente, è stata avviata la gara di appalto per la realizzazione dei lavori con procedura di offerta economicamente più vantaggiosa, che prevede, da parte della stazione appaltante, un'attenta analisi delle singole offerte tecnico-economiche delle imprese partecipanti;
   sempre secondo l'Anas, l'azienda ha condotto una serie di indagini sulle strutture portanti del viadotto i cui esiti rassicurano circa la complessiva stabilità della struttura; per quanto attiene all'intervento relativo al risanamento del viadotto «Parolise I» Anas ha fatto presente che è stato completato il progetto esecutivo e che l'intervento è stato inserito nel Programma Pluriennale degli interventi di manutenzione straordinaria; pertanto la gara d'appalto potrà essere avviata non appena interverrà il relativo finanziamento –:
   se il Ministro interrogato possa confermare che i viadotti Parolise I e Parolise II presentino, come sostenuto da Anas, tutti i requisiti di massima sicurezza, sia per il traffico veicolare sui viadotti, sia per quello circolante nelle vie sottostanti; se le abitazioni presenti sotto il cavalcavia siano in condizione di assoluta sicurezza, considerato l'alto livello di rischio sismico della zona; quando e da chi siano state effettuate le verifiche di sicurezza dei viadotti, e se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia in possesso della relativa documentazione. (5-10037)


   GIAMMANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2011 è stata approvata un'intesa fra il comune di Palermo e l'autorità portuale sul nuovo piano regolatore portuale;
   tale intesa riguardava il progetto del porto di Sant'Erasmo come infrastruttura da realizzare con il project-financing al fine di farlo divenire un porto turistico per circa 260 posti barca, negozi specializzati, servizi di assistenza ai diportisti, sistemi di raccolta delle acque reflue e degli oli di scarico;
   l'opera sarebbe costata 16 milioni di euro, metà stanziati dall'assessorato regionale al turismo grazie ai fondi europei, l'altra metà a carico di una società che si era aggiudicata l'appalto tramite licitazione privata;
   il 20 giugno 2013 l'assessore alla pianificazione territoriale del comune di Palermo ha partecipato alla riunione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al quale l'autorità portuale e la regione avevano inviato documentazione ad integrazione;
   il 16 ottobre 2015 un comunicato dell'assessorato pianificazione urbana e territoriale, mare e coste del comune di Palermo annunciava diversi interventi di valorizzazione e tutela della costa, lungo tutto il fronte a mare della città ed in particolare lungo la costa sud;
   in particolare, il comunicato faceva riferimento a un progetto di «riqualificazione» del porticciolo di Sant'Erasmo: oltre alla pulizia e alla bonifica, erano previsti anche alcuni arredi e strutture per la fruizione pubblica con un'area giardino, una pavimentata ed una a verde con installazioni scultoree-architettoniche nella ex porzione del piano di Sant'Erasmo, a fianco del bastione settecentesco oggetto di interramenti successivi;
   dopo cinque anni dalla prima intesa, il porticciolo è degradato e abbandonato e, il 29 settembre 2016, l'assessore comunale alla cittadinanza sociale, a quanto consta all'interrogante, ha comunicato che vi sorgerà un dormitorio pubblico di 40 posti letto. Nel frattempo, un gruppo di persone di etnia Rom si è insediato con i camper –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell’iter a cui è stato sottoposto il progetto del 2011 e se l'autorità portuale abbia avuto responsabilità nella mancata attuazione del progetto stesso. (5-10042)


   SPESSOTTO, DA VILLA e COZZOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa che, alla luce dei continui problemi riscontrati sulla linea aerea del tram che attraversa il ponte della Libertà a Venezia, l'ufficio territoriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Ustif, avrebbe inviato una lettera ufficiale ai responsabili del trasporto pubblico del tram e al comune per chiedere chiarimenti sulla lunga serie di contrattempi che si sono registrati negli ultimi mesi;
   in particolare, la comunicazione dell'Ustif avrebbe avviato un procedimento di «sospensione del nulla osta tecnico» del sistema tranviario, per motivi di sicurezza e Pmv, Avm, Actv e il comune di Venezia avrebbero ora un mese di tempo a disposizione per fornire tutti i necessari chiarimenti;
   i malfunzionamenti della linea elettrica aerea avrebbero provocato per ben quattro volte negli ultimi otto mesi il fermo del tram sul Ponte della Libertà e solo pochi giorni fa un bullone si è staccato dal sistema di alimentazione andando a colpire il parabrezza di un'automobile, che in quel momento transitava sul ponte;
   oltre ai disagi sulla linea elettrica del tram, anche la pista ciclabile che corre sul Ponte della Libertà è stata interessata da un cedimento strutturale, con la pavimentazione sradicata dal vento, forse a causa di carenze costruttive nell'opera, consegnata al comune solo pochi mesi fa e ancora in attesa di collaudo;
   il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, a seguito di una riunione con l'amministratore delegato di Avm Giovanni Seno e l'assessore alla mobilità Renato Boraso, ha annunciato la volontà di raddoppiare il ponte con una corsia parallela a sbalzo sulla laguna, attraverso il ricorso a un finanziamento da parte dei privati –:
   se il Ministro interrogato possa fornire maggiori informazioni in merito al contenuto della comunicazione ufficiale inviata dall'ufficio speciale per i trasporti a impianti fissi (Ustif) al comune di Venezia e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di innalzare i livelli di sicurezza in relazione alla circolazione sul Ponte della Libertà. (5-10044)


   TULLO, GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, MARIANI e VAZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2016 è stata approvata la risoluzione in IX Commissione n. 7/00811 rispetto ai collegamenti ferroviari tra Savona, Genova, La Spezia e Roma e l'11 novembre 2015 è stato svolto in aula un question time in cui si chiedeva al Ministro interrogato se intendesse adottare un piano della mobilità ferroviaria, in accordo con il comune di Genova, con la regione Liguria e con Trenitalia, per trasformare gli attuali collegamenti in collegamenti veloci, senza cambi intermedi, ottimizzando gli orari e scegliendo le stazioni in cui è necessario effettuare le fermate;
   il Ministro ha risposto positivamente, indicando la necessità di intervenire per migliorare i collegamenti;
   è di questi giorni la notizia anticipata da La Repubblica/Genova che con l'entrata in vigore del nuovo orario a partire dal 12 dicembre 2016 il primo treno da Genova partirà alle 5,10 anziché alle 5,49 e il Roma/Genova delle 13,47 partirà 14,31 allungando di 39 e 10 minuti il tempo di percorrenza;
   le ragioni di sostenibilità economica da parte di Trenitalia in questa tratta sono inaccettabili e non considerano le carenze infrastrutturali della linea e delle potenzialità remunerative che invece potrebbe esserci con l'ipotesi che nel testo della risoluzione e del question time sono state avanzate –:
   se il Ministro sia a conoscenza della decisione assunta da Trenitalia;
   se non ritenga opportuno convocare una riunione urgente con la partecipazione di Trenitalia, degli enti locali, e delle realtà economiche per valutare una soluzione che scongiuri questa scelta che danneggerebbe la regione Liguria e la sua economia e vocazione turistica. (5-10052)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Mantova è una città di circa 48.000 abitanti nella porzione sud est della regione Lombardia. È caratterizzata da notevoli problematiche ambientali: ospita uno dei 39 siti di interesse nazionale per l'inquinamento (SIN) e ha una scarsissima qualità dell'aria (superamenti del Pm 10 ben oltre 35 giorni all'anno), come del resto comuni e le province di pianura circostanti;
   dal punto di vista storico e culturale Mantova è una città di notevole pregio e quest'anno è stata nominata capitale italiana della cultura;
   da un punto di vista infrastrutturale è caratterizzata da un estremo isolamento, sia nei confronti del capoluogo di regione, Milano, che del resto d'Italia e di altre città d'arte come Venezia, Firenze, Roma. Questo isolamento penalizza il versante turistico, lavorativo e ambientale; infatti, per arrivare e spostarsi da Mantova sono spesso necessari mezzi privati, con un notevole incremento annuale dell'inquinamento atmosferico;
   dall'11 settembre 2016 è stato istituito da Trenitalia un servizio di collegamento fra Roma Termini e Mantova mediante Frecciadargento, treno 9472, un collegamento giornaliero da Roma a Mantova (ore 14.30) e da Mantova a Roma (ore 10.26). Questo servizio è previsto fino al 10 dicembre;
   sono stati rilevati alcuni inconvenienti nella tratta fra Modena e Mantova con le sbarre dei passaggi a livello non sincronizzate con il passaggio del treno almeno in un caso;
   tale collegamento consente di ridurre del 40 per cento i tempi di percorrenza fra Roma e Mantova (in media impiega 2 ore e 55 minuti invece di 4 ore e mezza con le normali coincidenze a Modena o a Verona). Il prezzo è mediamente più basso anche per la minore percorrenza chilometrica;
   da un punto di vista del «successo» del collegamento mediante Frecciadargento fra Roma e Mantova, è ovvio che tale collegamento avrebbe una maggiore frequentazione se fosse possibile programmare a lungo termine i viaggi da parte di operatori turistici e professionali;
   dal 2015 non esiste più la coincidenza fra i treni in arrivo a Verona da Roma e quelli in partenza da Verona per Mantova, cosa che penalizza i viaggiatori a vario titolo, che sono costretti a prendere mezzi privati fra Mantova e Verona. Tale disservizio è stato segnalato dal primo firmatario del presente atto a Trenitalia (che ha risposto che la loro programmazione non può prevedere sincronizzazione con Trenord che gestisce le linee ferroviarie fra Verona e Mantova) e Trenord, che non ha mai risposto;
   nel 2015 è stato presentato uno studio commissionato dal Movimento 5 Stelle al Politecnico di Milano (professore Beria) che ha evidenziato come la tratta fra Mantova e Milano sia altamente utilizzata da passeggeri e merci nonostante i lunghi tempi di percorrenza –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare i collegamenti e le strutture ferroviarie da e per Mantova, in particolare migliorando la sicurezza nella tratta fra Mantova e Modena e confermando un analogo collegamento fra Roma e Mantova dopo il 10 dicembre 2016;
   se non si intendano assumere iniziative volte a prevedere diversi orari di collegamento e scontistica per collegamenti pendolari per Modena e Bologna, in modo che tale collegamento sia più appetibile per i viaggiatori, nonché una fermata a Suzzara (Mantova) in modo che possano essere intercettati i viaggiatori da Ferrara e Parma, altra linea problematica;
   se e come i Ministri interrogati stiano valutando di migliorare la carenza infrastrutturale in pianura padana che sta peggiorando la gravissima situazione ambientale e la qualità di vita dei cittadini. (4-14827)


   CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2016 un operaio di 31 anni dipendente di Trenitalia, Vincenzo Viola, addetto alla manutenzione agli ETR 500 Frecciarossa nell'impianto di Trenitalia a Napoli Gianturco, è morto folgorato all'una di notte, durante il proprio turno di lavoro, mentre riparava il pantografo, lo strumento che collega i vagoni del treno con i cavi dell'alta tensione;
   risulta che la Polfer stia indagando su quanto accaduto per accertare eventuali responsabilità;
   secondo i testimoni l'uomo, riconosciuto dai colleghi di lavoro come una persona consapevole e scrupolosa, abituata a rispettare tutte le procedure, sarebbe entrato in contatto con i cavi dell'alta tensione, rimanendo folgorato dalla corrente elettrica, alla tensione di 3000 volt;
   i colleghi presenti nell'officina al momento dell'incidente avrebbero usato cinque estintori per spegnere le fiamme;
   gli impianti di manutenzione ETR di Napoli e Milano rientrano nella medesima unità produttiva «esercizio Frecciarossa» di Trenitalia;
   essendo uguali, sia nell'Imc ETR di Napoli sia nell'Imc ETR di Milano, anche le attività di manutenzione che si svolgono ai pantografi e sul tetto dei convogli ETR 500 Frecciarossa, al fine di conoscere la dinamica e le cause dell'infortunio mortale accaduto il 7 agosto a Napoli, con lettere del 22 agosto e del 24 settembre 2016 il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell'impianto di manutenzione ETR di Milano, ha chiesto alla società Trenitalia di partecipare, a titolo gratuito, alla commissione interna istituita per il citato infortunio mortale;
   le operazioni di manutenzione dei convogli ETR, alimentati ad alta tensione, presentano un altissimo grado di rischio folgorazione e le procedure specificatamente pensate per salvaguardare l'incolumità dei lavoratori, anche in caso di errori o distrazioni, si rivelano molto spesso insufficienti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto accaduto e di quali ulteriori informazioni disponga;
   se siano a conoscenza delle motivazioni per le quali Trenitalia non ha di fatto consentito al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di Milano, dell'unità produttiva «esercizio Frecciarossa» di partecipare alla commissione interna d'indagine sul citato infortunio, nonché delle motivazioni per le quali la stessa Trenitalia ha ritenuto di non fornire al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza le informazioni richieste, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 81 del 2008, relative alla dinamica ed alle cause del citato infortunio mortale, in modo che lo stesso potesse proporre, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettere h) ed m) del decreto legislativo n. 81 del 2008, adeguate misure preventive e di sicurezza necessarie per evitare il ripetersi, a Milano, dell'infortunio mortale accaduto a Napoli il 7 agosto 2016;
   se alla luce di quanto esposto, non si ritenga opportuno assumere iniziative per rafforzare le misure di sicurezza nel settore della manutenzione dei rotabili, in particolare rivedendo le procedure che vengono attivate durante lo svolgimento di attività manutentive agli apparati elettrici ad alta tensione, in relazione alle quali l'incolumità del lavoratore è certamente più a rischio. (4-14828)


   MELILLA, SCOTTO, FRANCO BORDO, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Federconsumatori d'Abruzzo ha giustamente rilevato dai nuovi orari ferroviari che entreranno in vigore l'11 dicembre 2016, ulteriori criticità per il già malandato sistema ferroviario abruzzese;
   in particolare, sulla Pescara-Roma non ci sono più treni dopo le ore 9,23, cosa che esclude tutta la fascia della prima parte della giornata, mentre da Roma il primo treno che collega la Capitale a Pescara parte alle ore 14,30, il secondo alle 16,45, il terzo alle 18,45 e poi più niente;
   praticamente da Roma non c’è più nessun collegamento mattutino per Pescara;
   è vero che col nuovo orario ferroviario il tempo di percorrenza è ridotto a 3 ore e 22 minuti, ma è bene ricordare che nel 1970 il rapido Pescara-Roma impiegava 3 ore;
   il punto più preoccupante è che i treni sulla tratta Pescara-Roma e viceversa ora sono 6, mentre con il nuovo orario ferroviario scendono a 3;
   dunque si è in presenza di un netto peggioramento dell'offerta di treni che si tradurrà in un enorme «regalo» al trasporto privato su gomma via autostrada;
   è veramente grave la scelta di Trenitalia che continua a considerare di «serie B» i cittadini abruzzesi, come se non meritassero una offerta accettabile di treni sia quantitativamente che qualitativamente;
   in queste condizioni è facile intuire che prima o poi si porrà il problema della stessa permanenza della relazione ferroviaria Pescara-Roma allo stesso modo in cui anni fa fu soppressa la relazione Pescara-Napoli e con essa i collegamenti anche locali tra Sulmona e Carpinone con un grave danno per le popolazioni montane interessate e per lo sviluppo turistico del bacino sciistico dell'Altopiano delle cinque miglia e dei 2 parchi nazionali della Majella e d'Abruzzo attraversati da quel meraviglioso treno chiamato la Transiberiana d'Abruzzo;
   Trenitalia lavora costantemente, ad avviso degli interroganti, per indebolire la relazione Pescara-Roma, lasciando in prospettiva le tratte Avezzano-Roma da un lato e Sulmona-Pescara dall'altro, e chiudendo la tratta centrale Sulmona-Avezzano, oggettivamente la più problematica;
   sembra agli interroganti che si intenda quasi dimostrare che c’è una scarsa utenza tra Pescara e Roma, scegliendo orari irrazionali, treni vecchi e lenti, con una diminuzione dell'offerta di treni, di fatto scoraggiando gli utenti che così faranno la scelta della macchina o dell'autobus –:
   quali iniziative intenda assumere per richiamare Trenitalia ad un comportamento corretto nei confronti degli utenti abruzzesi e laziali della relazione ferroviaria Pescara-Roma. (4-14855)


   MELILLA, FRANCO BORDO, SCOTTO, QUARANTA, KRONBICHLER e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'orario invernale in vigore dall'11 dicembre 2016 non vi sono cambiamenti per la «Freccia Rossa» che collega Pescara a Milano in 4 ore nonostante da più parti, dai sindacati alla Federconsumatori Abruzzo, si sia evidenziato a ragione che sarebbe necessario che tale treno partisse da Pescara la mattina in direzione Milano per consentire il rientro in serata;
   invece succede il contrario, costringendo chi lo utilizza a pernottare a Milano; in questo modo gli utenti sono scoraggiati ad utilizzarlo per i costi derivanti dallo stare a Milano due giorni e non uno;
   la soluzione più volte proposta è far partire la Freccia Rossa 9592 non da Ancona alle 6,10 ma da Pescara alle 5,20, con arrivo a Milano sempre alle 9,30. Per gli utenti marchigiani non cambierebbe niente, mentre per quelli abruzzesi si avrebbe la possibilità di andar e tornare da Milano in giornata –:
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché Trenitalia possa migliorare il collegamento tra Pescara e Milano, accettando la suesposta proposta. (4-14856)


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 28 luglio 2016, con l'apertura del tratto Foligno-Muccia, tutta la strada statale 77 var, della Val di Chienti, di 23 chilometri per il compartimento Marche dell'ANAS e 17 chilometri per il compartimento dell'Umbria, è diventata una superstrada con caratteristiche autostradali così, come prevedeva il progetto Quadrilatero;
   la nuova strada, che si distingue per la sequenza di 18 attrezzatissime gallerie interrotte da viadotti, presenta alcuni inconvenienti che comportano disagi per gli utenti;
   venendo da Foligno, in direzione Camerino, per circa 50 chilometri non risultano stazioni di servizio con distribuzione di carburante e questa situazione diventa ancora più problematica per l'assenza di segnale di telefonia mobile nelle gallerie;
   la carenza dei sopraesposti servizi potrebbe incidere sulla sicurezza stradale e creare seri pericoli per gli automobilisti, in caso di fermo delle vetture –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare, affinché, tramite l'ANAS, si provveda alla realizzazione di stazioni di servizio con distribuzione carburante sulla nuovissima strada statale 77 var, della Val di Chienti, ovvero, all'installazione, nell'immediato, all'inizio e alla fine della superstrada, di una segnalazione che avvisi gli automobilisti per quanti chilometri occorre essere in autonomia di carburante. (4-14858)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il 15 novembre 2016 De Luca ha riunito trecento amministratori locali della Campania con il fine di organizzare la campagna per il «sì» al referendum. Dell'incontro pur essendo riservato – «non ci sono giornalisti e possiamo parlare tra di noi» come affermato dallo stesso De Luca – è stata resa pubblica una registrazione dell'intervento di questo ultimo;
   l'intervento, oltre a contenere frasi a giudizio degli interroganti volgari, offensive e minacciose a cui purtroppo De Luca ricorre abitualmente tanto da poterle oramai considerare parte integrante del suo agire politico e amministrativo, contiene affermazioni gravissime nelle quali gli amministratori presenti vengono invitati, sollecitati e, secondo gli interroganti, quasi intimati ad utilizzare, quale argomenti per il «sì» al referendum, vari provvedimenti di spesa approvati in favore di interventi nel territorio della Campania e i fondi europei stanziati, inneggiando tra il divertito e il compiaciuto, come sottolineato da alcuni organi di stampa, al ricorso al più bieco e cinico clientelismo;
   di fronte ad una platea di sindaci, assessori e consiglieri viene ricordato che: «In questo momento abbiamo un'interlocuzione privilegiata con il Governo. (...) Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni di euro per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli. (...) Ancora 600 milioni per Napoli. Che dobbiamo chiedere di più ? »;
   con riferimento alla sanità afferma: «Abbiamo provato a spiegare a due teste di sedano che in questo momento hanno funzioni di commissari, che non siamo la Toscana. Qui la sanità privata è il 25 per cento, sono migliaia di persone. Io credo sinceramente che per come ci siamo mossi in questi mesi ci sia rispetto da parte dei titolari di strutture private e possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti (...). Fare l'elenco dei dieci-venti imprenditori che uno chiama sul piano dell'amicizia, sul piano del rapporto personale, dell'amministrazione, al di là di tutte le questioni: per cortesia, fai questo lavoro, dimmi (...) quanti voti porti. Se non vuoi dare una mano, massima libertà, però massima chiarezza tra di noi»;
   ci si è limitati a riportare solo alcune delle gravissime affermazioni di De Luca –:
   se il Governo, a fronte delle gravi affermazioni del presidente De Luca, non intenda intraprendere iniziative, nell'ambito della propria competenza, volte a contrastare ogni possibile forma di istigazione al voto di scambio, garantendo altresì la massima trasparenza sulla destinazione e sull'utilizzo di risorse finanziarie, anche europee, in favore della regione Campania e di enti territoriali compresi nel suo territorio. (3-02637)


   RUSSO, CARFAGNA, DE GIROLAMO e BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un recente incontro alla presenza di centinaia di amministratori locali, il presidente della regione Campania ha chiaramente incitato gli astanti a quella che appare agli interroganti una sistematica ed industriale operazione clientelare, utile a portare consenso alla tesi del «sì» in occasione del prossimo appuntamento referendario, in una sorta di scambio tra risorse pubbliche (europee, nazionali e regionali) già concesse o da concedersi e la Costituzione;
   l'intervento del presidente De Luca riporta espressioni a giudizio degli interroganti offensive del comune senso civico, evidentemente incompatibili con un decoro istituzionale;
   poco importerebbe – ha argomentato De Luca – circa il merito del quesito referendario, poiché tutto si tradurrebbe in un fiume di risorse pubbliche da dispensare; pertanto, il presidente collegava le «ingenti» risorse che il Governo nazionale aveva stanziato come frutto di un impegno al quale bisognava rispondere in chiave referendaria;
   incitava, quindi, gli amministratori ad una sistematica azione di convincimento nei confronti di categorie professionali e imprese, garantendo per ognuna di queste benefit ed adeguate risorse;
   più precisamente, anticipava la decisione di consentire anche agli studi professionali l'accesso ai fondi europei: per questo, andavano contattati i titolari, chiedendo ad ognuno il numero di dipendenti da portare al voto. Bisognava quindi procedere in modo analogo nei confronti delle strutture sanitarie accreditate;
   il presidente precisava, poi, che da dicembre 2016 avrebbe esaminato territorio per territorio l'elenco delle opere da finanziare, in una sorta di riffa istituzionale;
   De Luca concludeva poi con un apprezzamento dell'opera clientelare gestita dal sindaco di Agropoli, peraltro escluso dalle liste elettorali proprio dal Pd e pur tuttavia nominato suo consigliere, indicandolo come prototipo positivo dell'amministratore clientelare, sollecitando gli altri a seguire il suo esempio, portando al voto i cittadini (almeno 4.000 elettori per ciascun comune);
   avrebbe inoltre istituito un apposito servizio presso la sua segreteria per ricevere i numeri «di obbiettivi garantiti» di elettori che ogni singolo amministratore «porterebbe» a votare, invitando ogni amministratore a soprassedere rispetto alle attività ordinarie dell'ente per dedicarsi unicamente a questa sorta di riffa –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per assicurare che il voto sia personale, libero e segreto come costituzionalmente previsto, evitando che il prossimo appuntamento referendario possa costituire occasione per comportamenti, come quelli riportati in premessa, che di certo non onorano le pubbliche istituzioni repubblicane. (3-02638)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione denominata Olimpia della procura di Latina, scattata il 14 novembre 2016, vede indagato, tra gli altri, Gianfranco Melaragni, che insieme ad altri arrestati o indagati, è accusato di aver fatto dello stadio Francioni l'epicentro di una attività criminale protrattasi per anni;
   le intercettazioni rese pubbliche con l'ordinanza del GIP confermano un episodio già noto alla Commissione parlamentare antimafia e ritenuto particolarmente grave dall'interrogante;
   Melaragni in passato aveva messo in discussione l'operato del questore di Latina, dottor De Matteis, succeduto al dottor Intini, ora questore a Firenze, perché aveva avuto il «torto», secondo il Melaragni, di sollevare dubbi sulla trasparenza nella gestione dello stadio Francioni e del Latina Calcio;
   l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive svolge una importante funzione di valutazione sulla sicurezza delle manifestazioni sportive, che ha dirette e concrete conseguenze, per esempio, sulle condizioni di utilizzabilità delle strutture sportive;
   il Melaragni risulta ad oggi ancora membro dell'Osservatorio in rappresentanza della procura della FIGC;
   l'eventuale responsabilità penale dei soggetti coinvolti non è qui in discussione –:
   quali iniziative il Ministro, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere per verificare l'operato del Melaragni all'interno dell'Osservatorio e se non ritenga di valutare se sussistono i presupposti, anche alla luce delle necessarie e richieste verifiche, per chiedere le dimissioni immediate del Melaragni dall'Osservatorio medesimo. (5-10035)


   SCUVERA, FIANO e FERRARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2016 per le vie del centro di Pavia si è tenuta una manifestazione indetta da organizzazioni politiche riconducibili a formazioni di estrema destra, a parere degli interroganti di stampo neofascista;
   come riportato anche da notizie a mezzo stampa, nel corso della manifestazione, tenutasi in pieno centro storico, si sono verificati problemi di ordine pubblico che hanno scosso la coscienza dei cittadini pavesi;
   va peraltro sottolineato che tale corteo è stato autorizzato a passare anche da piazza Ghinaglia, dove sorge un significativo monumento dedicato al partigiano Ferruccio Ghinaglia, assassinato nel 1921 proprio dagli squadristi fascisti;
   la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, già nell'interrogazione n. 5-09906, presentata il 2 novembre 2016, aveva chiesto quali iniziative di competenza il Governo intendesse adottare per affrontare il problema dello svolgimento di manifestazioni di stampo neofascista e razzista sul territorio nazionale, e per evitare problemi di ordine pubblico; a tale proposito, e con la medesima finalità, la prima firmataria del presente atto aveva già presentato analoga interrogazione in occasione di un concerto tenutosi sempre a Pavia, il 12 marzo 2016, organizzato dal gruppo di estrema destra Skinheads Pavia –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di impedire il ripetersi in futuro di gravi episodi, come quelli accaduti, nonché per prevenire reati o disordini connessi al proliferare di associazioni riconducibili all'estrema destra, di stampo neofascista e razzista, e che spesso si richiamano al disciolto partito fascista. (5-10036)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   tempo addietro un ragazzo nigeriano di 20 anni a Bisceglie ha sventato una rapina ai danni di un supermercato;
   un malvivente armato di coltello da cucina ha fatto ingresso nel supermercato di via Gentile in Bisceglie e minacciando la cassiera si è fatto consegnare l'incasso portando via anche il cassetto del registratore di cassa;
   il rapinatore salito su uno scooter ha cercato di fuggire, ma è stato prontamente inseguito dal ragazzo nigeriano;
   nella fuga è caduto il cassetto del registratore di cassa con il denaro e, fermatosi, il rapinatore è stato raggiunto dal ragazzo nigeriano con il quale è iniziata una colluttazione;
   il rapinatore è riuscito inizialmente a dileguarsi senza l'incasso recuperato dal cittadino nigeriano e grazie alla sua testimonianza è stato possibile risalire alla sua identità e ad arrestarlo; si trattava, tra l'altro, di un sorvegliato speciale ben noto alle forze dell'ordine;
   il ragazzo nigeriano sosta ogni giorno davanti al supermarket aiutando i clienti a trasportare la spesa per racimolare qualche euro per comprarsi da mangiare e ha rischiato la propria incolumità nell'inseguire il rapinatore;
   si è trattato di un gesto di grande coraggio che merita di essere segnalato alle autorità competenti;
   in base al comma 2 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza, è previsto che la cittadinanza italiana possa essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica sentito il Consiglio di Stato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, allo straniero che abbia reso eminenti servizi all'Italia, o quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato;
   l'avvio della procedura non richiede un atto di impulso del soggetto interessato, ma necessita di una proposta avanzata da enti, personalità pubbliche, associazioni e altri sulla base di una ragionevole valutazione circa la sussistenza dei requisiti previsti;
   l'interrogante ritiene che, sulla scorta di quanto espresso in premessa sia possibile promuovere per il caso in questione una riflessione in merito a suddetto punto –:
   se non intendano valutare l'opportunità, sentito l'ufficio territoriale di Governo territorialmente competente, di avviare le procedure per la concessione della cittadinanza italiana al ragazzo nigeriano che ha sventato la rapina, in considerazione del coraggio dimostrato e della testimonianza di condivisione di valori di legalità che appartengono alla nostra comunità. (4-14815)


   MASSIMILIANO BERNINI e LIUZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi in regione Basilicata nel territorio del comune di Venosa si è attuato uno sgombero forzato con la distruzione di alcuni alloggi di fortuna costruiti dai braccianti che ogni anno affollano le campagne per la raccolta del pomodoro;
   successivamente allo sgombero, circa 60/70 migranti sono stati trasferiti forzatamente in una struttura di accoglienza messa in piedi dalla regione Basilicata e gestita dalla Croce rossa italiana;
   l'Osservatorio migranti Basilicata, l'Unione sindacale di base e il Movimento 5 Stelle locale hanno denunciato la situazione non consona della struttura individuata e solo dopo un incontro in regione con il presidente Marcello Pittella si sono riusciti ad ottenere alcuni piccoli aggiustamenti;
   i migranti trasferiti nella struttura da circa 10 giorni sono stati allontananti dalla stessa che oggi risulta a tutti gli effetti chiusa e non hanno più alcuna dimora;
   di fatto, dopo aver distrutto le abitazioni di fortuna dove vivevano i migranti e aver allestito un campo non idoneo all'accoglienza, le istituzioni locali hanno completamente abbandonato queste persone, confermando le preoccupazioni e i dubbi che erano stati sollevati sulle decisioni assunte da parte dei lavoratori migranti e non solo;
   a quanto risulta agli interroganti gli accordi scritti e verbali assunti dal presidente della regione Basilicata e dal sindaco del comune di Venosa sarebbero ad oggi completamente disattesi –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   di quali elementi dispongano circa le motivazioni che hanno portato alla chiusura definitiva del campo di accoglienza allestito nel comune di Venosa;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di migliorare i servizi e le strutture di nuova accoglienza e di garantire una condizione di permanenza dignitosa e rispettosa dei diritti umani;
   quali iniziative di competenza – anche di carattere normativo – ritengano necessario assumere al fine di evitare il ripetersi di fatti analoghi a quelli esposti in premessa. (4-14822)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il 6 ottobre 2016, al tavolo provinciale sull'immigrazione, il prefetto di Udine ha proposto agli enti che gestiscono i progetti di accoglienza nel comune di Udine l'istituzione di un «coprifuoco» per i richiedenti asilo, esprimendosi con queste testuali parole: «devono capire che non possono fare quello che vogliono. Ci confronteremo con i gestori per stabilire gli orari di rientro e quali saranno le conseguenze se non li rispetteranno (...). A una certa ora è opportuno che i richiedenti asilo rientrino nelle strutture in cui sono ospitati. Chi non lo farà verrà portato in questura e, se questo atteggiamento si dovesse reiterare, si arriverà ad avviare procedimenti di espulsione dal sistema di accoglienza;
   la Rete di accoglienza Fvg, formata da associazioni, cooperative, organizzazioni ed enti del terzo settore ha espresso disapprovazione e preoccupazione per la proposta del prefetto, considerando il provvedimento discriminatorio, perché limita senza precedenti, e in modo ingiustificato, la libertà personale di una sola categoria di persone;
   la Rete ritiene grave e illegittima una simile iniziativa anche nei casi in cui esistano problemi di ordine pubblico, poiché per legge il provvedimento non dovrebbe essere applicabile a singole categorie di cittadini (Corte Costituzionale, – sentenza n. 2 del 1956 — Articolo 3 della Costituzione). Quella soluzione semplicista non indaga e non ne affronta le cause – i traumi della migrazione, le condizioni precarie e talvolta insufficienti dell'accoglienza, la mancanza di una progettualità – vanifica, anzi, «i risultati migliori che il sistema ha realizzato finora, i progetti che, come lo Sprar, valorizzano la convivenza e incoraggiano l'autonomia preservando le libertà fondamentali delle persone garantite dalla Costituzione»;
   sarebbe auspicabile che il lavoro del tavolo provinciale sull'immigrazione contribuisse a risolvere le lacune del sistema di accoglienza coordinando le attività degli enti gestori e che prefetto di Udine rendesse il tavolo un punto di partenza per costruire un sistema di accoglienza efficace ed efficiente, nel rispetto dei diritti umani e della persona. Secondo la Rete di accoglienza sarebbe necessario uniformare e codificare il lavoro degli enti gestori, stilare un codice condiviso di comportamento e stabilire un livello minimo di garanzie: «si devono identificare e tutelare le persone vulnerabili, anche attraverso protocolli e convenzioni con il Dipartimento di salute mentale e con il Sert; è necessario implementare i percorsi di formazione, di inserimento lavorativo, di studio pensare ad attività ludiche e sociali, anche stipulando convezioni con le associazioni e i gruppi del territorio che si occupano di aggregazione e socializzazione, nonché con le società sportive»;
   a conferma di quanto siano determinanti le decisioni prese dai prefetti sui territori nel contesto del fenomeno dell'immigrazione, anche il Ministro dell'interno, il 10 novembre 2016 in occasione dell'incontro al Quirinale con il Presidente della Repubblica, riferendosi al ruolo dei prefetti ha affermato «siamo in presenza di scenari in evoluzione che chiamano i prefetti ad esercitare una moderna governance che può diventare al tempo stesso motore della legalità, ammortizzatore dei conflitti, sostegno per contenere le condizioni di marginalità e potenziale strumento di crescita e sviluppo» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, affinché non trovi attuazione la proposta di quello che agli interroganti appare un «coprifuoco» avanzata dal prefetto di Udine;
   se non ritenga opportuno rispondere alle richieste avanzate dalla Rete di accoglienza FVG, e assumere iniziative valide per l'intero territorio nazionale, anche normative, per risolvere le lacune del sistema di accoglienza, iniziative nell'ambito delle quali siano uniformate le attività degli enti gestori, fissato un codice condiviso di comportamento e un livello minimo di garanzia per i migranti e i richiedenti asilo. (4-14823)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 26 del 31 dicembre 2014 il consiglio comunale di Chiaravalle Centrale (Catanzaro), con i soli voti della maggioranza, ha dichiarato lo stato di dissesto;
   con deliberazione n. 423 del 19 agosto 2016 l'organo straordinario di liquidazione ha approvato il piano di rilevazione della massa passiva. Il debito accertato ammonta ad euro 9.108.605,12 così distinti: euro 4.047.943,29 (debiti di bilancio), euro 3.303.079,95 (debiti fuori bilancio), la restante parte per interessi;
   la Corte dei Conti della Calabria, sezione controllo, con deliberazione n. 25 camera di consiglio del 17 aprile 2014, ha bocciato un tentativo di piano di riequilibrio avanzato dall'amministrazione comunale pro tempore di Chiaravalle, evidenziando gravi e reiterati profili di irregolarità, tra cui: inattendibilità delle scritture contabili; rappresentazione non veritiera dello stato di salute finanziaria dell'ente medesimo; grave irregolarità in ordine al disallineamento tra accertamenti, riscossioni ed impegni; contabilità confusa e pasticciata; omessa compilazione di apposite tabelle relative alle entrate ed alle spese; assenza di specifici chiarimenti in ordine all'utilizzo di fondi vincolati utilizzati per cassa, e non ricostituiti a fine esercizio; genericità ed evidente approssimazione della risposta fornita dall'ente che altera la reale rappresentazione della gestione finanziaria; sistema di contabilità confusa e approssimata; conseguimento di equilibri di bilancio apparenti; anticipazione di cassa negli esercizi 2010, 2011 e 2012 superiore al limite prescritto dall'articolo 222 del Tuel, ignorando peraltro a quali spese si è fatto fronte; assenza della tabella in ordine ai debiti di funzionamento; mancato inserimento in bilancio dei consistenti debiti fuori bilancio riconosciuti con delibera di consiglio comunale n. 47 del 10 dicembre 2012; presenza di ulteriori passività non riportati in bilancio; assenza degli ulteriori oneri da indebitamento che graveranno sul bilancio comunale a seguito della accensione del programmato mutuo in deroga, nonché degli altri oneri connessi al mutuo contratto con la Cassa depositi e prestiti a seguito dell'anticipazione di liquidità di cui al decreto-legge n. 35 del 2013, quest'ultimo peraltro già in ammortamento dal 2014; assenza di idonei ed efficaci sistemi di controllo interno; assenza di idonee misure nei confronti dei funzionari responsabili, sollevando dubbi e perplessità sui mancati controlli degli organismi istituzionali dell'ente deputati alla vigilanza; conseguimento di equilibri di bilancio apparenti frutto di poste residuali conservate strumentalmente; scorretta contabilizzazione dei disavanzi di amministrazione per come risultati i atti ufficiali relativi ai periodi 2009/2013;
   a parere dell'interrogante è del tutto singolare che, ad oggi, non sia stato fatto nulla per arginare la situazione descritta né tantomeno sia stato individuato alcun responsabile in merito alla pesante situazione debitoria, maturata nel corso degli ultimi venti anni, sotto le amministrazioni, prima, a guida Pds-Pd e, più di recente, di centrodestra –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche per il tramite dell'organo straordinario di liquidazione e della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, in ordine alla situazione sopra esposta. (4-14826)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dalle testate giornalistiche locali che il 23 ottobre 2016 è saltata la manifestazione politica di Fratelli d'Italia-An sulla riforma costituzionale prevista nel comune di Sant'Agata de’ Goti, in provincia di Benevento;
   alle ore 8, infatti, i rappresentanti del partito, recatisi in viale Vittorio Emanuele III per l'allestimento del programmato gazebo si sarebbero visti impediti nel loro intento dalla polizia municipale;
   secondo quanto denunciato dagli interessati, gli agenti avrebbero dichiarato di non essere in possesso di alcun documento autorizzatorio per l'allestimento del gazebo;
   apposita istanza per l'allestimento del banchetto sarebbe, invece, stata presentata presso l'ufficio protocollo di Palazzo San Francesco in data 17 ottobre e allo stesso atto, sempre secondo le dichiarazioni dei rappresentanti politici, non sarebbe seguito alcun diniego da parte dell'amministrazione comunale, né richiesta di integrazione di documentazione;
   secondo una prima ricostruzione dei fatti riportata sui quotidiani locali, il comandante della polizia municipale avrebbe fatto presente come la richiesta di autorizzazione, dopo essere stata depositata al protocollo, sarebbe approdata presso l'ufficio commercio il 20 ottobre 2016 e in quella sede sarebbe stata contestata la mancanza Gli elementi necessari ai fini della concessione dell'autorizzazione;
   in particolare, l'istanza sarebbe stata priva di copia dei documenti da distribuire al gazebo, ma i tempi ristretti non avrebbero consentito di segnalare tempestivamente l'inconveniente ai richiedenti;
   secondo il segretario amministrativo provinciale di Fdi-An, Arturo Del Peschio, «parrebbe confermato che il Comune non ha negato di aver omesso la comunicazione preventiva sul diniego all'autorizzazione rivoltaci e che non sia stata mossa alcuna richiesta di “ integrazione documentale ” rivotaci allo scopo di rimuovere eventuali impedimenti. Atteso l'interesse suscitato dalla vicenda appare anche confermata la nostra preoccupazione di una ingiusta penalizzazione della nostra immagine verso i cittadini»;
   in data 24 ottobre 2016 lo stesso Del Peschio ha inviato al prefetto di Benevento una richiesta di intervento, a tutt'oggi rimasta i evasa, per colmare la unta «diffusa mancanza di apposite regolamentazioni comunali in materia di propaganda elettorale e referendaria» che «interferiscono nel rapporto di fiducia tra i cittadini e la rappresentanza democratica»;
   ad oggi non è ancora chiaro quali siano gli estremi del regolamento che avrebbe previsto l'obbligo di allagare la documentazione mancante, né risulterebbe alcuna comunicazione prefettizia in merito;
   il 4 dicembre 2016 i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su sostanziali modifiche alla Costituzione, destinate a cambiare il fondamento del sistema democratico del nostro Paese;
   se i fatti esposti in premessa fossero confermati, si sarebbe, ad avviso dell'interrogante, di fronte a un regolamento comunale o, comunque, a una procedura che contrasta con la Costituzione e che, in spregio al diritto di propaganda politica garantito in campagna elettorale, ha di fatto impedito ad un partito di parteciparvi appieno –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda di cui in premessa e quale tempestivo e doveroso riscontro abbia dato o intenda dare il prefetto di Benevento alla richiesta del segretario amministrativo di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale del 24 ottobre 2016. (4-14832)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'agente Fabrizio Rossi, aderente al sindacato autonomo di polizia, a fine 2015, nell'ambito di un servizio andato in onda nella trasmissione televisiva Ballarò, denunciava le gravi carenze strumentali della polizia di Stato, lamentando soprattutto l'inadeguatezza delle attrezzature di cui la stessa disporrebbe in casi di emergenza o attacchi terroristici;
   a seguito di questo episodio, rossi è stato sospeso cautelativamente dal servizio da parte dell'allora capo della polizia Alessandro Pansa, perché accusato di aver rilasciato dichiarazioni su argomenti riservati e di aver mostrato materiale non più in dotazione;
   l'11 ottobre 2016, a distanza di dieci mesi dall'accaduto, il Tar del Lazio ha accolto la domanda cautelare per la sospensione del provvedimento di sospensione dell'agente Rossi;
   il segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia, Gianni Tonelli, all'indomani della sospensione dell'agente di polizia ha iniziato uno sciopero della fame, ritenendo illegittimo il provvedimento emesso nei confronti di Rossi; Tonelli oggi dichiara di essere in possesso di un documento con cui la digos informava la procura della Repubblica, che intanto aveva avviato un'inchiesta per far luce sulla vicenda sin qui descritta, di non avere rinvenuto alcun materiale non più in dotazione alla polizia di Stato, nell'ambito dell'indagine relativa ai fatti denunciati da Rossi a Ballarò;
   dopo la pronuncia del Tar, Tonelli ha parlato di «repressione illecita a fini politici di libertà costituzionalmente garantite» e ha aggiunto che le accuse mosse nei confronti di Rossi e amplificate da parte di alcuni media sarebbero state montate ad arte, nel tentativo, ad avviso dell'interrogante maldestro, di occultare le reali condizioni in cui la polizia di Stato si trova a operare e che il SAP ha più volte denunciato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quale sia il suo orientamento in relazione a quanto dichiarato da Gianni Tonelli, segretario del Sap, ai giornali ed, eventualmente, se e quali iniziative di competenza intenda adottare nei confronti di Alessandro Pansa e di Nicolò D'Angelo, all'epoca dei fatti rispettivamente capo pro tempore della polizia, e questore di Roma. (4-14834)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come ampiamente e diffusamente riportato dal sito novetv.com, sono stati numerosi gli episodi di violenza accaduti nel territorio del comune di Scicli;
   solo recentemente, per citare alcuni degli eventi criminali, due donne sono state scippate in pieno centro a Scicli, mentre stavano per salire nella propria auto; ad uno sciclitano che vive da solo in contrada Sant'Agata, ignoti hanno prima forzato l'auto dell'uomo parcheggiata nel cortile, poi si sono introdotti all'interno dell'abitazione; un'anziana donna che vive nel centro storico di Scicli si alza dal letto e si trova davanti due persone con il volto coperto. La malcapitata viene afferrata da uno dei malviventi al collo con violenza; ad ottobre, i militari dell'Arma hanno tratto in arresto due persone straniere, poiché trovate in possesso di sostanza stupefacente; il 12 ottobre, in pieno centro città, una coppia di coniugi è stata aggredita alle spalle da un uomo incappucciato che ha scaraventato a terra con violenza i due anziani e, afferrata la borsa, è scappato, facendo perdere le sue tracce;
   questi recenti, oltre ai numerosi altri non citati, episodi accaduti a Scicli dimostrano che la situazione dell'ordine pubblico è fuori controllo;
   si può essere aggrediti e derubati per strada, in pieno centro storico, e persino all'interno della propria abitazione. Nelle campagne i furti sono diventati episodi di normale routine provocando gravissimi danni ai produttori agricoli, derubati di trattori, automezzi ed attrezzature di ogni genere;
   è evidente, a giudizio dell'interrogante e del Comitato «Cambiare Scicli», che gli organici delle forze dell'ordine sono insufficienti a tenere sotto controllo il territorio, a contrastare il dilagare dei reati e a stroncare la piaga dei continui furti;
   non si può più procrastinare il potenziamento di uomini e mezzi per il commissariato di pubblica sicurezza di Modica e per la tenenza dei carabinieri di Scicli al fine di consentire un adeguato controllo del territorio, garantire la sicurezza dei cittadini e la tutela dell'ordine pubblico e salvaguardare le imprese da furti e incendi dolosi –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati al fine di potenziare le strutture delle forze dell'ordine operanti nella provincia di Ragusa e nel comune di Scicli. (4-14837)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie apparse sulla stampa che in Slovenia vengono rubati i plichi contenenti le schede elettorali relative all'espressione del voto referendario, destinate agli italiani che lì risiedono;
   le buste bianche contenenti le schede, facilmente riconoscibili, verrebbero sfilate dalle cassette della posta da vere e proprie bande di ragazzi specializzati in questa attività che successivamente le rivenderebbero;
   in Slovenia la comunità italiana è molto nutrita — si parla di migliaia di persone – sia per la presenza della storica comunità degli istriani, sia perché negli ultimi anni si sono registrati nuovi arrivi, soprattutto di imprenditori;
   queste schede sottratte possono comunque essere utilizzate per esprimere voti che non corrispondono alla volontà dell'elettore, in quanto mancano in tal senso dei controlli;
   sempre da notizie stampa si apprende che sarebbero state già denunciate situazioni di irregolarità relative al voto degli italiani all'estero, in Sud America;
   sembrerebbe infatti che per le schede vengano offerti fino a 50 dollari a scheda e queste vengano poi comunque utilizzate per esprimere il voto;
   in tal senso, il consigliere regionale veneto Guadagnini e il signor Pier Michele Ciellini, elettore italiano all'estero in quanto residente in Slovacchia, hanno presentato ricorso al tribunale di Venezia al fine di valutare se il voto italiano all'estero sia espresso nel rispetto dei principi sanciti dall'articolo 48 della Costituzione;
   se fossero confermate le notizie su indicate si sarebbe di fronte ad atti di una gravità assoluta, lesivi del diritto dei cittadini di esprimere in sicurezza il proprio voto –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per verificare la veridicità dei fatti e, qualora corrispondano al vero, se non ritenga di dover intervenire al più presto per prevenire e impedire eventuali brogli o irregolarità che potrebbero falsare i risultati referendari;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per attivare i necessari controlli volti ad assicurare che l'espressione del voto da parte dei cittadini italiani all'estero sia effettivamente garantita e che vengano rispettati i principi della Carta costituzionale che prevede che il voto è personale, eguale, libero e segreto.
   (4-14838)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quattro anni il segretario generale dell'Opera nazionale di assistenza (ONA) del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è la dottoressa Giulia Paniccia, distaccata dalla polizia di Stato;
   negli ultimi giorni sulla stampa sono state pubblicate alcune notizie, confortate anche da pregresse segnalazioni provenienti da ambienti sindacali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di alcune decisioni dalla dubbia opportunità assunte dalla dottoressa Paniccia;
   in particolare, secondo quanto riportato dalla stampa, la dottoressa Paniccia avrebbe assegnato incarichi al cognato e ad alcune persone professionalmente vicine al marito e al figlio;
   inoltre, sempre secondo quanto segnalato dalla stampa e denunciato dal sindacato USB dei vigili del fuoco, vi sarebbe un ulteriore aspetto piuttosto delicato della gestione dell'ONA, riguardante la polizza assicurativa che è stata stipulata per una categoria ad alto rischio. Tale polizza sarebbe «praticamente inservibile, con un premio di appena un milione di euro». L'ONA, infatti, avrebbe sottoscritto con Unipol «una polizza di 2 milioni e 300 mila euro, con un bonus/malus di un solo milione che dovrebbe dare copertura sanitaria ai 32 mila vigili del fuoco italiani. Questo a fronte di un bilancio complessivo che registra nelle casse di Ona tra i 25 e i 30 milioni di euro». In concreto, in questo modo, secondo quanto riportato dalla stampa, i vigili del fuoco avrebbero «un'assicurazione sanitaria che li lascia scoperti quasi su tutto, mentre sono impegnati in un lavoro ad alto rischio per 1.350 euro al mese in media. Con il tipo di polizza sottoscritta da ONA con UNIPOL un vigile del fuoco ha diritto ad una vera copertura sanitaria, a seconda dei casi, soltanto se necessita di un ricovero tra gli otto e i venti giorni». Sempre secondo le medesime segnalazioni, si tratterebbe di una prognosi minima talmente grave da escludere la grande maggioranza degli infortuni, laddove attualmente la quasi totale maggioranza delle relative problematiche si risolvono con un day hospital o con il pagamento di un ticket cui i membri del Corpo devono far fronte a proprie spese;
   ulteriori polemiche, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbero sorte circa uno scorretto utilizzo delle strutture di villeggiatura a disposizione dell'ONA per consentire ai membri del Corpo dei vigili del fuoco di trascorrere periodi di vacanza a prezzo agevolato: secondo la stampa sarebbe stato consentito l'utilizzo di tali strutture a soggetti che non avrebbero potuto utilizzarle e che avrebbero addirittura mancato di saldare il conto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga doveroso promuovere, nell'ambito dei suoi poteri, un'indagine interna finalizzata all'accertamento della veridicità dei fatti ai fini dell'assunzione delle eventuali conseguenti decisioni di competenza. (4-14859)


   RICCIATTI, COSTANTINO, FAVA, MELILLA, NICCHI, PIRAS, DURANTI, QUARANTA, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa Ansa ha diffuso in data 22 novembre 2016 la notizia di un traffico di cocaina proveniente dall'Albania, per un giro di affari stimato in 70 mila euro al mese, che vede ancora una volta il porto di Ancona come punto nevralgico di approdo e smistamento di sostanze e prodotti illegali;
   i carabinieri della compagnia di Osimo (Ancona), secondo la fonte di stampa richiamata, hanno condotto le indagini che hanno portato al sequestro di 500 grammi di cocaina pura, destinata a rifornire il mercato di Jesi e della Val Musone, nonché all'arresto di 4 persone di nazionalità albanese, macedone ed italiana (Edmond Hidri, Fatmir Dauti, Mirko Massaccesi, Antonella Tittarelli) e del fermo di polizia giudiziaria di una quinta persona (Kleo Shuturiqi);
   la prima firmataria del presente atto ha in diverse occasioni segnalato al Ministro le criticità e la «permeabilità» del porto di Ancona a traffici illegali di vari natura, provenienti dai Balcani –:
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere ulteriori misure per rafforzare i presidi ordinari di controllo nel porto di Ancona;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare la diffusione di traffici illegali da e per l'area dei Balcani nel porto di Ancona. (4-14861)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2016 il coordinatore del circoli di SEL – Sinistra Italiana di Torre Annunziata (importante comune dell'area vesuviana) ha inviato tramite pec richiesta ai sensi della circolare ministeriale n. 42/2016 di permesso per lo svolgimento di alcune iniziative del Coordinamento vesuviano per il «no»;
   la richiesta specificava giorno, orario e luogo delle manifestazioni;
   la prima di tali iniziative era prevista per il 19 novembre 2016;
   per quasi un mese la richiesta è stata congelata, e solo a 48 ore dalla prima iniziativa il Coordinamento ha appeso (peraltro verbalmente, senza neppure una comunicazione scritta) dalla locale polizia municipale che il comune avrebbe rifiutato di concedere lo spazio pubblico richiesto;
   si è costretti ad usare il condizionale, perché nessuna comunicazione ufficiale è mai stata fatta da parte del comune;
   non vi sono spiegazioni plausibili a giustificare tale scelta da parte dell'amministrazione comunale, che peraltro non risulta all'interrogante aver assunto lo stesso atteggiamento anche nei confronti dei comitati per il «sì» referendario;
   con scelte così immotivate ed incomprensibili si rischia di falsare in maniera intollerabile la campagna referendaria, che terminerà tra poco più di due settimane –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per garantire che in tutti i comuni del Paese venga tutelata la possibilità per i Comitati del «no» di esporre pubblicamente le proprie ragioni.
   (4-14867)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GALGANO e MONCHIERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 ha istituito il «fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta» attraverso uno stanziamento di 38 milioni di euro per il 2016 e di 75 milioni di euro dal 2017;
   i criteri di assunzione, le modalità, nonché i procedimenti di nomina e di funzionamento delle commissioni di valutazione avvengono con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere delle commissioni competenti;
   in tal modo il Presidente del Consiglio dei ministri, ad avviso degli interroganti, deciderà da solo gli esperti che dovranno individuare 500 professori da mettere in cattedra, saltando concorsi e graduatorie e delegittimando l'abilitazione scientifica nazionale con cui il sistema universitario valuta gli idonei;
   l'assegnazione del numero delle cattedre ad ogni settore Erc (European research council) non si basa su criteri oggettivi, quale, per esempio, la «numerosità» dell'attuale organico corrispondente ai settori concorsuali associati ad ogni settore;
   ad oggi sono oltre 2.500 i firmatari di un appello a Renzi per chiedergli di ripensare alle cattedre Natta, cioè a quei 500 nuovi posti per «super-prof» da scegliere con un percorso parallelo all'abilitazione scientifica nazionale, prevista dalla legge n. 240 del 2010, e con uno stipendio maggiorato;
   il Ministro interrogato, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea del 19 ottobre 2016 proprio sul meccanismo di selezione e di assegnazione dei presidenti di commissioni, ha parlato di «principio trasparente» e di «massima chiarezza e condivisione internazionale», mentre a proposito del metodo attraverso il quale le commissioni verranno costituite, «tutto quello che è oggetto del provvedimento ad oggi è in esame presso il Consiglio di Stato e che quindi per rispetto istituzionale, il Ministero, e neanche il Governo, possono e debbono commentare, sarà oggetto di dibattito parlamentare dal momento in cui il Consiglio di Stato darà il suo parere»;
   il Consiglio di Stato nel suo parere del 4 novembre 2016 chiede, in particolare, di salvaguardare l'autonomia universitaria e di rendere il regolamento pienamente coerente con i principi costituzionali –:
   alla luce del parere del Consiglio di Stato, se non si ritenga opportuno ripensare i criteri di assegnazione e di nomina previsti dallo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di salvaguardare la terzietà nella scelta dei candidati e assicurare allo stesso tempo maggiore autonomia del sistema universitario. (3-02641)


   GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del 27 aprile 2016 ha stanziato ingenti risorse per la realizzazione di interventi finalizzati al contrasto della dispersione scolastica e all'inclusione sociale nelle zone periferiche delle città metropolitane, con particolare attenzione alla realizzazione di progetti diretti all'attuazione di attività extrascolastiche pomeridiane all'interno dell'edificio scolastico;
   dopo l'avvio di una prima fase del progetto denominato «Scuola al centro», che ha visto la partenza estiva di oltre 400 progetti nelle scuole di Milano, Roma, Napoli e Palermo, l'iniziativa è stata estesa a tutto il territorio nazionale;
   purtroppo, tanto il primo quanto il secondo bando del progetto citato hanno fatto registrare la paradossale esclusione dalla partecipazione all'iniziativa delle scuole paritarie;
   dopo essere state dimenticate nel bando originario, infatti, le scuole paritarie sono state ammesse a partecipare al secondo a condizione che le scuole statali avessero attivato con esse collaborazioni di rete, una condizione che – secondo quanto denunciato dal Forum delle associazioni familiari – non si è attivata per nessun istituto paritario, in quanto nessuna scuola statale ha proposto o accettato collaborazioni in questo senso;
   sembrerebbe, altresì, che le scuole paritarie siano state impossibilitate a partecipare all'iniziativa anche per la difficoltà di accedere con il proprio codice meccanografico alla piattaforma del Ministero;
   quella che poteva essere un'importante tappa sul cammino di un'effettiva parità di trattamento tra scuole facenti parte del medesimo sistema nazionale di istruzione, così come previsto dalla Costituzione e riconosciuto nella legge n. 62 del 2000, sta assumendo la forma dell'ennesima beffa non tanto nei confronti degli istituti scolastici paritari, quanto delle famiglie dei 900 mila bambini ad essi iscritti;
   ben due risoluzioni del Parlamento europeo (del 1984 e del 2012) hanno richiesto all'Italia di sostenere la scelta educativa delle famiglie, mentre secondo una recente ricerca l'Italia è al 47o posto per libertà educativa –:
   quali tempestive iniziative intenda intraprendere al fine di garantire in modo concreto la possibilità alle scuole paritarie di partecipare all'iniziativa citata in premessa, anche attraverso il riconoscimento ad esse della possibilità di figurare quali capofila di reti e dunque di presentare progetti in maniera autonoma. (3-02642)


   BINETTI e BOSCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il mondo del lavoro richiede personale sempre più qualificato, ma nello stesso tempo i giovani chiedono di essere messi in condizione, una volta terminato l’iter scolastico, di conoscere con maggiore precisione i percorsi da intraprendere per partecipare all'assunzione da parte delle aziende;
   attualmente la disoccupazione giovanile nel nostro Paese è a livelli elevati (37,1 per cento): soltanto Spagna e Grecia sono in condizioni peggiori;
   le aziende italiane fanno fatica a trovare personale in grado di rispondere alle esigenze di circa sessantamila profili professionali;
   la continua evoluzione informatica in atto richiede, peraltro, una formazione di qualità per rispondere alle nuove esigenze del mercato: formazione che, dunque, si basa su un'istruzione tecnica di alto livello che solo la scuola può assicurare;
   in Italia esistono molti istituiti tecnici, anche di sicura eccellenza, spesso sconosciuti agli studenti interessati;
   in tale contesto risulta pertanto indispensabile supportare l'orientamento degli studenti non solo attraverso percorsi scolastici specifici, ma anche fornendo precise indicazioni circa le necessità delle imprese del territorio e la conoscenza della vocazione imprenditoriale in una determinata area;
   in questo quadro va segnalato che nel nostro Paese operano gli istituti tecnici superiori: fondazioni autonome formate da scuole, aziende, associazioni di imprese, università e mondo della ricerca, nonché agenzie formative;
   gli istituti tecnici superiori, che rientrano nella programmazione regionale, hanno le caratteristiche idonee a rispondere alle esigenze sopra indicate;
   urge attivare un nuovo tipo di orientamento alla scelta della scuola media superiore, riconoscendo il valore degli istituti tecnici, sia in chiave di qualità della formazione che forniscono che di successiva possibilità di occupazione;
   è quanto mai necessario rivedere i piani di studi degli istituti tecnici perché forniscano competenze di alto profilo non solo sul piano delle nuove tecnologie dell'informazione (nti) quanto della formazione culturale globale (istituti tecnici ma non solo);
   nell'ambito della sempre più significativa alternanza scuola-lavoro, un sicuro orientamento nella scelta del percorso scolastico ed il supporto specifico e qualitativamente alto degli istituti tecnici superiori potrebbero costituire elementi essenziali in tema di occupazione –:
   quali siano le iniziative del Ministro interrogato per ri-orientare gli studenti dopo la terza media verso gli istituti tecnici, aumentando contestualmente il livello di formazione tecnico-scientifica, senza perdere la radice umanistica.
(3-02643)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dispone che il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nel caso di nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro;
   l'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, prevede che il professore che venga a trovarsi in una situazione di incompatibilità deve darne comunicazione, all'atto della nomina, al rettore, che adotta il provvedimento di collocamento in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio;
   il successivo articolo 15 del decreto precedentemente citato dispone che il professore ordinario che violi le norme sulle incompatibilità è diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità e che decorsi quindici giorni dalla diffida senza che l'incompatibilità sia cessata, il professore decade dall'ufficio;
   dal sito istituzionale della TUA, Società unica abruzzese di trasporto, di cui è socio unico la regione Abruzzo risulta che dal giorno 4 luglio 2015 il professore Luciano D'Amico, rettore dell'università di Teramo è stato eletto presidente di TUA e quindi anche membro del consiglio di amministrazione;
   il professor Luciano D'Amico ricopriva, dal 13 agosto 2014, la carica di presidente della società di trasporti della regione Abruzzo Arpa s.p.a; l'assenza della corresponsione di un'indennità in favore del professore D'Amico per la carica di presidente della TUA non determina, comunque, il venir meno della incompatibilità;
   la S.A.G.A. s.p.a. è una società a maggioranza pubblica, con sede legale a Pescara presso l'aeroporto civile, della cui gestione si occupa. Tra gli amministratori nominati dall'assemblea dei soci di S.A.G.A. s.p.a. in data 21 settembre 2015 vi è il professor Nicola Mattoscio, docente ordinario in servizio presso l'università Gabriele D'Annunzio di Chieti — Pescara, che ricopre la carica di consigliere di amministrazione e di presidente della S.A.G.A;
   è opportuno sottolineare che la chiara volontà del legislatore mira ad esigere dal professore a tempo pieno una completa dedizione a quelli che sono i compiti istituzionali, per cui la situazione del rettore dell'università di Teramo D'Amico potrebbe configurare una situazione di totale incompatibilità, alla luce anche della carica rettore;
   ad oggi non risultano avviate procedure ed iniziative dell'università di Chieti come prevedono le norme in materia di incompatibilità per il professor Mattoscio;
   per l'università di Teramo la situazione è paradossale, in quanto il rettore dovrebbe avviare le procedure sulla incompatibilità contro se stesso;
   questi sono solo alcuni esempi rispetto alle molteplici situazioni presenti nelle università italiane –:
   quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intenda adottare il Ministro in relazione alle situazioni di incompatibilità delineate in premessa e se il Governo intenda adottare un'iniziativa per superare le criticità della normativa vigente in materia di incompatibilità con riferimento ai rettori che proprio in ragione del meccanismo normativo sopra delineato si troverebbero ad attuare provvedimenti contro se stessi. (5-10051)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: 
   il programma operativo nazionale «Ricerca e Competitività» 2007-2013 è lo strumento attraverso il quale l'Italia contribuisce allo sviluppo delle regioni dell'obiettivo «Convergenza» (Puglia, Calabria, Sicilia, Campania), attingendo ai fondi strutturali europei;
   la Unione europea ha messo a disposizione dell'Italia oltre 6 miliardi di euro la cui gestione spetta al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca coadiuvato dal Ministero dello sviluppo economico (www.ponrec.it). Un miliardo di euro sono stati invece assegnati dallo Stato. I progetti presentati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono stati 3355 con 3478 soggetti destinatari (www.ponrec.it).
   su 7 miliardi, 1 miliardo e 631, 78 milioni di euro sono stati assegnati direttamente o indirettamente ai ministeri anche per la costituzione di fondi di garanzia. Più difficile capire l'utilizzo dei restanti 5,5 miliardi di euro;
   dal sito www.ponrec.it emergono «...una selva di numeri, sigle, dati, documenti e qualche entità misteriosa, il cui legame con la parola “ricerca” merita un'approfondita indagine e probabilmente anche una certa dose di fantasia» (da un articolo di Le Scienze, settembre 2016, «Fondi europei, misteri italiani»);
   nella classifica degli enti più finanziati, al 3o posto, ci sono università ed enti di ricerca, mentre al 6o le università del Sud, anche attraverso società consortili o distretti tecnologici;
   mentre i Ministeri e loro agenzie hanno ricevuto tutti i finanziamenti assegnati, le università sono ancora in attesa del saldo dei pagamenti;
   il programma operativo nazionale (PON) «Ricerca e Competitività» 2007-2013, è composto da 5 linee di priorità: la linea 1 (da 4 milioni di euro), 3 (da 93 milioni di euro) e 10 (da 213 milioni di euro) sono le meno finanziate, mentre le linee più ricche sono le linee 2 e 7, per la ricerca e l'industria, con circa il 95 per cento dell'intero finanziamento PON;
   la linea 2 della ricerca ha usufruito di circa 3,6 miliardi di euro;
   infine, la linea 7 per l'industria, ha finanziato 1729 progetti per la creazione di impresa (127,29 milioni di euro), 1728 progetti per l'autoimpiego, ex decreto legislativo n. 185 del 2000 (94,26 milioni di euro) ed il progetto Invitalia «fondo rotativo Pon R&C – 185 n» (33 milioni di euro);
   alcuni soggetti beneficiari sono stati coinvolti in inchieste giudiziarie. Dopo l'indagine per truffa aggravata sul laboratorio di tecnologie oncologiche HSR Giglio, con un sequestro da 20 milioni di euro, e l'inchiesta Labirinto per il progetto Temotec, nell'aprile 2016 la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per turbativa d'asta ed abuso d'ufficio di Antonio Agostini, già direttore generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra maggio 2009 e gennaio 2012, il quale avrebbe nominato una commissione «amica» per favorire enti o aziende private ammettendo a finanziamento progetti senza requisiti o riammettendo progetti già bocciati;
   la ragioneria dello Stato ha segnalato «vistose anomalie nelle procedure di assegnazione dei fondi»: dai tempi strettissimi utilizzati per valutare progetti cui destinare fondi tra i 5 e i 25 milioni di euro (7,5 minuti per progetto), al coinvolgimento di aziende sprovviste dei requisiti di partecipazione al bando (tra queste l'Idi, destinatario di fondi nonostante fosse già in fase pre fallimentare) –:
   quale sia la ragione del ritardo nel pagamento dei saldi alle università;
   a che punto sia la rendicontazione del settennato 2007-2013 (ultima scadenza marzo 2017);
   a che punto siano i bandi del PON «ricerca e innovazione» 2014-2020;
   quali iniziative di competenza siano state adottate in seguito alle indagini della procura di Roma sul Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   per quali motivi vi sia tanta differenza tra i fondi 2007-2013 (circa 6 miliardi di euro) e quelli 2014-2020 (1,286 miliardi di euro);
   se si intendano assumere iniziative per attivare un controllo ex post sull'impiego dei finanziamenti, (4-14817)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   alcune organizzazioni sindacali, interpretando il disagio degli insegnanti di scienze motorie, impiegati nei progetti di pratica sportiva, hanno denunciato il grave ritardo del Ministero nella liquidazione dei compensi che spettano ai docenti di educazione fisica;
   le retribuzioni relative alle attività svolte nell'anno scolastico 2015/2016 dovevano essere corrisposte entro il 31 agosto 2016, come tutto il resto del fondo d'istituto, ma al momento questi fondi, circa 18 milioni di euro, ai quali è riservato un capitolo a parte nel Mof, non sono ancora stati inviati alle scuole;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe assicurato che i decreti di riparto sono pronti, ma che le somme in questione sono ferme, perché ancora al vaglio dell'ufficio centrale di bilancio; parrebbe, pertanto, che il problema sia legato a un eccesso di burocrazia e a dei tempi che non dipendono dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca da tempo sostiene l'utilità della pratica sportiva e annuncia enormi finanziamenti da destinare a progetti che la promuovono;
   per ragioni diverse si tratta di una materia strategica e che porta benefici dall'infanzia alla quarta età con evidenti risparmi in termini sanitari;
   favorire la pratica sportiva, ad avviso dell'interrogante, presuppone che ne sia affidato l'insegnamento ai laureati in scienze motorie fin dalla fascia 3/6 anni, piuttosto che chiedere agli insegnanti della scuola dell'infanzia di cimentarsi in questo ambito –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché il personale qualificato, che ha lavorato durante un intero anno scolastico, riceva i compensi in tempo congruo, al pari dei colleghi delle altre discipline, e sia motivato e non considerato accessorio rispetto a chi insegna le altre materie curriculari. (4-14818)


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le scuole paritarie della regione siciliana versano in uno stato di disagio dovuto alla mancanza di risorse economiche necessarie ad espletare la loro attività didattica. Tale situazione ha, inevitabilmente, compromesso il diritto degli studenti delle stesse scuole alla fruizione del servizio educativo e formativo che deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale. Le istituzioni scolastiche paritarie offrono un servizio pubblico che determina un risparmio per il bilancio statale occupandosi dell'istruzione degli alunni che altrimenti dovrebbero frequentare le scuole statali. Nella regione Sicilia nelle scuole paritarie svolgono la loro attività lavorativa circa 3 persone tra corpo docente e personale scolastico;
   le risorse economiche per le scuole paritarie nella regione siciliana hanno subito «un taglio» soprattutto nell'anno scolastico 2014/2015 determinando una progressiva crisi economica delle stesse istituzioni, molte delle quali hanno chiuso determinando gravi disagi sia per il personale delle stesse sia per gli alunni che frequentavano le scuole;
   l'erogazione dei contributi alle scuole primarie paritarie convenzionate avviene ai sensi della direttiva n. 637 del 6 agosto 2008 recante istruzioni in materia di convenzioni con le scuole suddette, ai sensi dell'articolo 1-bis, comma 6, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27;
   il contributo annuo a carico dello Stato viene assegnato, sulla base della normativa statale vigente, alle scuole paritarie che hanno stipulato la convenzione secondo determinati criteri. Tali criteri sono stabiliti con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'ufficio scolastico regionale si impegna a corrispondere al gestore della scuola paritaria il contributo annuo nella misura fissata dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se non sia opportuno verificare, nell'ambito delle sue competenze, se siano state garantite, alla luce di quanto esposto in premessa, le prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali nella regione siciliana che devono riguardare la fruizione del servizio educativo, scolastico e formativo degli studenti della stessa regione e che devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale. (4-14830)


   FASSINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   così come previsto dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015, nel corso del 2016 si è svolto il concorso a posti e cattedre per il personale docente per la cattedra in scienze e tecnologie chimiche (classe di concorso A034);
   a quanto risulta all'interrogante, sui 44 posti messi a disposizione dalla regione Lombardia, hanno superato il concorso in 34, ovvero in numero inferiore rispetto ai posti messi a bando. Per quest'anno le disponibilità di immissione in ruolo da parte della Lombardia erano di 31 posti;
   la commissione di concorso però non ha stilato la graduatoria finale entro il termine del 15 settembre, bensì in data 23 settembre. Non avendo rispettato, dunque, i termini stabiliti, gli interessati non sono rientrati nelle immissioni in ruolo. Un grave errore che è ricaduto sui docenti che avevano legittimamente vinto il concorso;
   a questi docenti non sarà consentita neanche l'iscrizione al ruolo giuridico da parte dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia, cosa che lo stesso ufficio scolastico regionale aveva inizialmente preventivato –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, s'intendano assumere al fine di immettere nei ruoli i docenti vincitori della classe di concorso A034 di cui in premessa, così rispettando i loro diritti. (4-14836)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del Natale è usanza nelle scuole di ogni ordine e grado preparare bambini e ragazzi alle celebrazioni della festa;
   nella scuola di Sorbolo (Parma) un insegnante avrebbe scelto un canto natalizio da far recitare nelle prossime settimane agli alunni in cui Babbo Natale, provveda a dispensare, planando con la slitta, non comuni regali, bensì «un sacco pieno di permessi di soggiorno» per gli immigrati clandestini;
   ad avviso dell'interrogante trattasi di un fatto di estrema gravità che in una scuola pubblica l'insegnamento sia veicolo di propaganda politica di parte;
   grave, infatti, si ritiene il tentativo di indottrinamento di menti giovani e, quindi, ancora inesperte ed ingenue, facilmente manipolabili e influenzabili;
   ancor più singolare appare la posizione della dirigente scolastica, Elena Conforti, che non ha sconfessato l'opera della sua insegnante e anzi l'assolve, ritenendo abbia agito «con molta serenità e spontaneità e la canzoncina è tratta da un libro delle Edizioni Paoline» –:
   se e quali urgenti iniziative il Ministro intenda adottare nei riguardi dei responsabili di quello che ad avviso dell'interrogante è un palese uso distorto dell'insegnamento e della scuola pubblica;
   se si siano registrati altri episodi simili a quello descritto in premessa e, in caso di risposta affermativa, in quali e quanti istituti scolastici. (4-14851)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   è di qualche settimana fa la notizia del fallimento della Tombolini Industrie, storica azienda di abbigliamento con sede ad Urbisaglia in provincia di Macerata, ma conosciuta in tutto il mondo per i suoi capi di altissimo pregio;
   la sentenza emessa dal giudice del tribunale di Macerata verte su un'istanza dell'Inps che, quale creditore dell'azienda, ha richiesto il pagamento immediato di un credito che invece, secondo i responsabili dell'azienda, era già stato rateizzato, grazie ad un accordo raggiunto con Equitalia;
   la decisione del tribunale di Macerata è stata una vera e propria sorpresa per i dirigenti della società, intenzionati a presentare un'istanza di sospensiva della sentenza, chiedendo di poter proseguire l'attività e ad impugnare il provvedimento di fallimento, in quanto secondo gli stessi, l'intervenuta rateizzazione del credito con la concessionaria Equitalia, avrebbe eliminato il presupposto della dichiarazione di fallimento e, cioè, l'esistenza di un debito scaduto;
   l'interruzione dell'attività è avvenuta nel periodo di massima produzione industriale della Tombolini, con ordini da dover consegnare, fornitori da dovere tutelare, dipendenti che rischiano il posto di lavoro e il rischio di perdita di immagine da parte di un'azienda che, da oltre 50 anni, opera nel settore dell'abbigliamento ed è conosciuta in tutto il mondo per i suoi prodotti raffinati e pregiati;
   forti sono le preoccupazioni soprattutto per le sorti dei circa 150 lavoratori che da anni lavorano per lo storico marchio marchigiano e che già stanno vivendo momenti duri e difficili, a causa dei recenti eventi sismici che, in molti casi, hanno danneggiato o distrutto le loro abitazioni e colpito le loro famiglie;
   grande sensibilità per le sorti dei lavoratori e collaborazione è stata dimostrata dalle istituzioni locali e regionali che, insieme alle sigle sindacali interessate, pur nel rispetto dell’iter che la legge prevede in questi casi, condividono la necessità che l'azienda riprenda quanto prima a lavorare, sia per dare respiro ai dipendenti e sia per permettere alla stessa di soddisfare le richieste dei fornitori e dei clienti –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, alla luce dei fatti descritti, pur nel rispetto dell’iter giudiziario in corso, per addivenire ad un epilogo positivo della vicenda e salvaguardare le sorti dei lavoratori, spesso appartenenti a famiglie terremotate e degli attori a vario titolo coinvolti nella crisi della Tombolini Industrie.
(2-01546) «Manzi, Carrescia, Lodolini, Mauri, Narduolo, Zardini, Carloni, Marchetti, Richetti, Malpezzi, Lacquaniti, Rampi, Morani, D'Arienzo, Miccoli, Tino Iannuzzi, Carocci, Coccia, Gadda, Fragomeli, Lattuca, D'Ottavio, Ascani, Mariano, Lenzi, Cinzia Maria Fontana, Marroni, Patriarca, Verini, Tidei, Magorno, Rostan, Giuditta Pini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARIANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Snai Spa è una società per azioni, fondata nel 1990, che si occupa della gestione di scommesse e di concorsi a pronostici. Risulta essere uno dei principali operatori a livello nazionale nel settore dei giochi, potendo contare su un'ampia rete di accettazione di scommesse, composta sia da agenzie esclusivamente dedicate al gioco sia da punti attivi presso esercizi quali bar, tabaccherie, centri commerciali;
   la società è quotata in borsa e possiede diverse sedi a Milano, Roma e Porcari, in provincia di Lucca, dove dalla data di fondazione ha avuto base la sede operativa e legale;
   Snai rappresenta oggi e con l'attuale assetto societario, il primo polo quotato in Italia dedicato all’entertainment e riveste una posizione di leader in tale mercato;
   la società Snai spa occupa complessivamente oltre 700 persone di cui circa 400, in prevalenza donne, risultano impiegate presso la sede di Porcari;
   la Snai spa risulta essere titolare di concessione governativa e conseguentemente soggetta al controllo pubblico;
   negli ultimi anni, a seguito del registrarsi di una fase di flessione nell'andamento economico e finanziario del gruppo Snai, l'azienda ha avviato un processo di ristrutturazione societaria attraverso l'integrazione con altre società attive nel settore del gioco e delle scommesse sportive;
   nell'ambito del predetto processo, il 9 giugno 2016 si è tenuta a Milano una riunione del Consiglio di amministrazione di Snai spa con all'ordine del giorno la «Fusione per incorporazione di Cogemat spa, Cogetech spa, Cogetech Gaming srl e Azzurro Gaming spa in Snai Spa», mentre il 18 ottobre successivo l'atto di fusione è stato ratificato con l'incorporazione in Snai spa delle società suddette;
   tale operazione nelle intenzioni della società risulta finalizzata a consentire a Snai spa il consolidamento del proprio patrimonio societario, attraverso il conseguimento di economie di scala, una maggiore semplificazione della catena di controllo, la razionalizzazione della dotazione tecnologica e l'integrazione delle professionalità;
   allo stesso tempo, l'azienda ha annunciato 95 esuberi complessivi nel gruppo, di cui ben 64 riguardanti la sede di Porcari che, come detto, conta in tutto circa 400 dipendenti, per la maggioranza donne;
   a tale situazione, che ha destato molta preoccupazione, si è aggiunta la paventata possibilità di diversi trasferimenti dei dipendenti della sede di Porcari, nella sede di Milano;
   la nuova amministrazione di Snai ha inoltre proceduto al trasferimento della sede legale a Milano e annunciato gli esuberi senza però provvedere, a quanto riferito da fonti sindacali, a presentare un piano industriale né, inizialmente, ad attivare ammortizzatori sociali e, successivamente, contratti di solidarietà per il personale in esubero;
   le istituzioni e gli enti locali, insieme alle organizzazioni sindacali, hanno collaborato e proseguono nell'impegno di mantenere aperto il rapporto con l'azienda, in particolar modo attraverso un tavolo di confronto sul tema degli esuberi;
   il numero degli esuberi individuati ed annunciati è tale da produrre effetti difficilmente sostenibili per la piana di Lucca, che sconta da tempo le gravi conseguenze occupazionali e le ricadute sociali della crisi economica;
   la salvaguardia dei posti di lavoro in loco rappresenta un elemento essenziale per il territorio della provincia di Lucca –:
   se intendano effettuare un monitoraggio in relazione alle vicende riguardanti l'azienda Snai spa, con particolare riferimento alla situazione occupazionale;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per evitare che il piano di ristrutturazione della società produca conseguenze gravissime in termini occupazionali e sociali sul territorio lucchese, che sta già pagando un prezzo molto alto per la chiusura di molte realtà imprenditoriali e per la perdita di posti di lavoro e competenze professionali. (5-10032)


   PIAZZONI, ORFINI e MICCOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, un voucher per l'acquisto di servizi di baby sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi;
   tale beneficio è stato prorogato anche per l'anno 2016 dall'articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta legge di stabilità) e ne sarebbe stata prevista la conferma anche per il 2017 (si veda a proposito l'articolo 49 del disegno di legge di bilancio per il 2017);
   nel comune di Roma Capitale si sta verificando una situazione di incertezza sulla possibilità dei soggetti beneficiari di usufruire concretamente di questa prestazione sancita da legge dello Stato;
   dal mese di settembre, prima dell'inizio dell'anno scolastico 2016/2017, gli uffici competenti per gli asili nido dei vari municipi avevano infatti dato ampie rassicurazioni ai soggetti in questione sul fatto che, come accade da diversi anni, il dipartimento politiche educative avrebbe mandato – entro fine anno – ai singoli municipi l'elenco degli utenti beneficiari di tale diritto, e che a quel punto i municipi stessi avrebbero provveduto al «ri-conteggio» delle somme da versare, al netto del bonus Inps;
   in questi giorni, sono invece pervenute notizie sul fatto che il dipartimento servizi educativi di Roma Capitale stia attualmente comunicando agli utenti – che telefonano per informazioni sul bonus nido-voucher baby sitting – che Roma Capitale non ha ancora provveduto ad accreditarsi (come invece è accaduto negli anni precedenti) presso l'Inps per continuare a offrire tale servizio;
   occorre considerare che alcuni utenti hanno già fatto domanda e ottenuto l'erogazione del bonus, ma il mancato accreditamento – confermato dall'Inps, dove vari utenti si sono recati per avere ulteriori chiarimenti – sta pregiudicando di fatto l'accesso allo stesso;
   permanendo questa situazione, l'Inps non potrà erogare al comune quanto sarebbe già stato riconosciuto con atti ufficiali agli utenti, che quindi potrebbero risultare debitori verso il comune delle stesse cifre;
   Roma Capitale ha tempo fino a fine anno per adempiere alla procedura di accreditamento, ma appare evidente agli interroganti come gli utenti che hanno fatto richiesta del bonus – che spetta di diritto a chi non ha usufruito del congedo parentale facoltativo – rischiano di trovarsi in difficoltà e di subire un pregiudizio economico;
   desta inoltre preoccupazione l'eventualità che Roma Capitale non aderisca alla procedura di accreditamento: ciò pregiudicherebbe ai cittadini l'accesso a un beneficio riconosciuto dalla legge dello Stato e darebbe luogo, inoltre, a un contenzioso nocivo per le famiglie e per il comune stesso –:
   se il Ministro interrogato non intenda verificare presso l'Inps, lo stato attuale della situazione descritta in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di evitare che cittadini aventi diritto alla prestazione sopra citata, possano rimanere esclusi da un beneficio disciplinato da una legge dello Stato. (5-10039)


   ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Augustea opera da più di 60 anni nel settore portuale e marittimo con particolare specializzazione nel settore dei rimorchiatori;
   il gruppo Augustea è la società capo del gruppo armatoriale Augustea, che opera nei principali settori marittimi del rimorchio portuale e rimorchio di altura, con servizi marittimi affidabili ed efficienti, conosciuta in tutto il mondo marittimo e facente capo alla famiglia degli armatori Cafiero/Zagari;
   la stessa società ha consolidato la sua presenza e attività nel porto di Augusta, Catania e Pozzallo, fino a realizzare gli uffici strategici, tecnici-amministrativi e commerciali acquistando la sede principale nel comune di Augusta;
   la società Augustea rappresenta una delle presenze imprenditoriali nel settore più affermate in Italia e simbolo nella realtà portuale, marittima ed occupazionale di Augusta e dell'intero territorio della provincia di Siracusa, Catania e Ragusa, il versante costiero orientale della Sicilia;
   nel corso degli ultimi anni, la società ha proceduto alla ristrutturazione del proprio assetto di impresa con la cessione del ramo di azienda;
   il gruppo Augustea ha avviato le procedure di mobilità, ai sensi della legge n. 223 del 1991 per 28 lavoratori dipendenti delle due imprese del gruppo, la Augustea Holding spa e la Augustea Tecnoservice Srl;
   il gruppo Augustea ha ribadito alle organizzazioni sindacali la volontà di chiudere la sede di Augusta pur precisando che viene mantenuto nella realtà megarese il carico di lavoro, sia navi che commesse;
   le motivazioni addotte dal gruppo Augustea per la messa in mobilità, sono legate alla disdetta del contratto di prestazioni di servizi da parte di Rimorchiatori Augusta;
   i lavoratori interessati alla procedura di mobilità costituiscono personale altamente specializzato e di consolidata professionalità nel settore della programmazione economica e amministrativa, nell'ambito organizzativo-commerciale e finanziario;
   le organizzazioni sindacali denunziano il rischio di una delocalizzazione degli uffici e delle sedi tecniche e la sostituzione con altro personale oppure il rischio che si offra a pochi lavoratori la possibilità di trasferimento a condizioni retributive inaccettabili e insostenibili;
   la vertenza aperta, con lo sciopero in corso dei lavoratori, per le gravi ricadute occupazionali e per il valore che mantiene per il territorio vede coinvolte le rappresentanze politiche e istituzionali con la convocazione in seduta straordinaria del consiglio comunale di Augusta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa, e se intendano verificare e chiarire, per quanto di competenza, la procedura utilizzata nella cessione del ramo di azienda ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile o se risulti si sia trattato, come sostiene la società, di sola vendita di azioni;
   se considerata la natura della vertenza che non vede una diminuzione del carico di lavoro e delle commesse, intendano assumere ogni iniziativa di competenza per evitare il licenziamento di 28 unità lavorative e con ciò l'impoverimento delle attività portuali e marittime di Augusta, sede della nuova autorità portuale di sistema con Catania. (5-10041)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le aziende del gruppo Tessival – Benfil di Airola versano in uno stato di crisi;
   il decreto legislativo n. 185 del 2016 prevede la concessione degli ammortizzatori in deroga per l'anno 2017 solo per le aree di crisi complessa;
   il nucleo industriale di Airola non ricade nelle cosiddette «aree di crisi complessa»;
   si tratta di una condizione fortemente penalizzante per i tanti lavoratori delle aziende in crisi che si ritrovano non solo senza un posto di lavoro, ma anche privi di un sostegno economico adeguato;
   si è in presenza di un vero e proprio paradosso in quanto, a fronte del sostegno per il rilancio delle imprese delle aree di crisi campane, non corrisponde l'attribuzione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori;
   si tratta di centinaia di persone e altrettante famiglie lasciate in una condizione di assoluta difficoltà, così come rilevato recentemente dal vescovo della diocesi di Cerreto Sannita;
   il vescovo, in una sua missiva inviata al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro interrogato, ha rilevato che molti di detti lavoratori sono cinquantenni con figli a carico e monoreddito;
   il prelato ha aggiunto: «Non c’è giustizia senza lavoro e nemmeno lavoro senza giustizia. Il lavoro è questione di dignità umana e sociale. Non è giusto quindi privare padri di famiglia della dignità di poter garantire ad un figlio l'istruzione che oggi ha un costo. Non è giusto che uomini ormai maturi siano costretti a sentirsi “inutili”. Non è giusto che debbano sentirsi soli e abbandonati dalle istituzioni locali e nazionali. Non è giusto, non è corretto»;
   l'auspicio è che il Governo, in sinergia con le istituzioni locali, tenga conto delle esigenze dei lavoratori di un'area duramente colpita dalla crisi economica, favorendo l'estensione degli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2017 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare i lavoratori dell'ex gruppo Tessival – Benfil che, dopo avere perso il posto di lavoro, rischiano di essere esclusi anche dagli ammortizzatori in deroga; se non ritenga di dover promuovere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate ad assicurare agli stessi ammortizzatori sociali in misura adeguata alla loro condizione. (4-14816)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, MANTERO e LOREFICE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in sede di votazione della legge n. 112 del 2016, detta sul «Dopo di noi», contenente «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», in Parlamento il M5S si è espresso in senso contrario, ritenendo che la stessa abbia solo formalmente l'obiettivo di assicurare un futuro alle persone affette da grave disabilità, mentre in realtà agevola e incentiva l'utilizzo di strumenti privati e negozi giuridici (come le polizze assicurative e la costituzione di trust) per le sole famiglie che possono permetterselo economicamente, col risultato che chi non dispone di un autonomo patrimonio potrà solo ricorrere ai servizi pubblici attualmente inadeguati e per nulla implementati;
   tuttavia, il 24 giugno 2016 la legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ma per produrre effetti concreti essa necessita di una rapida emanazione dei previsti decreti, nel primario interesse delle persone con disabilità e delle loro famiglie, che attendono ormai da troppo tempo risposte concrete e non oltre derogabili;
   in particolare, si rendono necessari i seguenti provvedimenti attuativi: il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di individuare le esatte modalità con cui far operare le agevolazioni fiscali e tributarie nei confronti dei famigliari dei soggetti affetti da grave disabilità (che avrebbe dovuto essere stato emanato entro il 24 agosto scorso, ex articolo 6); il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute e previa intesa con la Conferenza unificata, per l'individuazione dei destinatari delle misure finanziabili e del riparto tra le regioni del fondo nazionale (da emanarsi entro il prossimo mese di dicembre, ex articolo 3); il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata, per l'individuazione degli obiettivi di servizio (da emanarsi anch'esso entro il prossimo mese di dicembre 2016);
   a ciò si aggiunga che ad oggi non si conoscono gli esiti dell'incontro tra gli assessori alle politiche sociali delle regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, annunciato a margine della Conferenza nazionale sulle politiche per la disabilità tenutasi a Firenze nel mese di settembre 2016 –:
   quali siano le ragioni del ritardo del decreto ministeriale di cui in premessa e a che punto sia l’iter degli altri provvedimenti attuativi della legge n. 112 del 2016 da adottare entro dicembre 2016;
   quale sia stato l'esito dell'incontro tra gli assessori alle politiche sociali delle regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, annunciato a margine della Conferenza nazionale sulle politiche per la disabilità. (4-14839)


   RICCIATTI, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, FERRARA, GREGORI, NICCHI, FRATOIANNI, PIRAS, MELILLA, QUARANTA, DURANTI e COSTANTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i dati dell'Osservatorio precarietà dell'Inps, elaborati dall'Ires Marche rilevano come da gennaio a settembre 2016 le aziende marchigiane abbiano assunto il 9,3 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   di tali assunzioni solo il 16,7 per cento è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato, mentre il 77,1 per cento (su un totale di 997 mila) è stato assunto con un contratto a termine;
   nel periodo di riferimento citato si registra un calo dei contratti a tempo indeterminato del 42,3 per cento, consegnando alla regione Marche il secondo peggior risultato d'Italia dopo l'Umbria;
   anche sul fronte delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti stabili (in numero di 5.981) si registra un calo del 39,9 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2015;
   le cessazioni di lavoro sono state 88 mila conia creazione di un saldo positivo assunzioni-cessazioni, per un totale di 11 mila posti di lavoro, tuttavia il saldo positivo è imputabile solo a tipologie di lavoro precarie: il saldo tra assunzioni e cessazioni per i contratti a tempo indeterminato, infatti, resta negativo con un –9.573;
   a subire una vera e propria impennata, nel periodo preso in esame, è il numero di voucher venduti che segnano un +27,7 per cento. Ancora più significativo rispetto al valore del 2014 dove l'aumento risulta essere addirittura del 111,1 per cento;
   il Presidente del Consiglio, anche di recente (nella conferenza stampa dei mille giorni del Governo Renzi), ha ribadito il proprio giudizio positivo sul cosiddetto Jobs Act (affermando, in particolare, che è «la legge che ha inciso di più sulla realtà»), nonostante il consistente aumento del lavoro precario in luogo di quello stabile –:
   se i dati riportati siano coerenti con gli obiettivi che il Governo intendeva perseguire con la promozione del cosiddetto Jobs Act;
   in caso contrario, quali iniziative intenda assumere per invertire la tendenza che vede, a seguito dell'introduzione della norma citata, un aumento del lavoro precario a scapito dei contratti a tempo indeterminato. (4-14843)


   MELILLA, SCOTTO, QUARANTA, RICCIATTI, ZARATTI e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è in atto una vasta mobilitazione dei dipendenti della Soget preoccupati del futuro del proprio lavoro a seguito della legge promossa dal Governo e approvata dal Parlamento nei giorni scorsi;
   la società di riscossione dei tributi abruzzese, la Soget, con le sue quattro sedi regionali, tra i lavoratori delle società consorziate e quelle che lavorano nell'indotto, occupa 450 lavoratori;
   la vicenda riguarda la prevista abolizione di Equitalia, la società partecipata per il 51 per cento dall'Agenzia delle entrate e per il 49 per cento dall'Inps. I posti di lavoro dei dipendenti di Equitalia saranno riassorbiti nella nuova agenzia nazionale di riscossione, mentre un futuro incerto attende i lavoratori delle altre società che operano nel campo, come appunto la Soget, massicciamente presente in Abruzzo;
   solo a Pescara sono oltre cento i lavoratori interessati, i quali ora rischiano il posto di lavoro, visto che gli enti locali potranno rivolgersi per la riscossione dei tributi direttamente alla nuova agenzia, solo attraverso una delibera, e non attraverso un bando di gara. Se da un lato ci sarà una riduzione dei costi e dei tempi di assegnazione della riscossione, dall'altro, a farne le spese, potrebbero essere i lavoratori del settore;
   questa scelta propagandistica del Governo non prende in considerazione il disastro occupazionale che potrebbe verificarsi. I sindacati hanno chiesto che Governo e Parlamento riconsiderino le ricadute sui lavoratori di tutte le società di riscossione diverse da Equitalia –:
   se non si intenda convocare un tavolo nazionale con le parti sociali e gli enti locali per scongiurare la perdita di posti lavoro. (4-14850)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le regioni sono un importante punto di riferimento nell'erogazione dei servizi per tutti coloro che cercano lavoro: sono infatti gli enti che coordinano i servizi pubblici per l'impiego sul territorio;
   a livello provinciale invece sono istituiti i centri per l'impiego le cui funzioni sono specificatamente:
    gestione dei servizi di collocamento e preselezione;
    promozione di iniziative e interventi di politiche attive del lavoro sul territorio;
    coordinamento territoriale per informare in modo integrato sulle attività di formazione e orientamento (professionale, avvio nuova impresa, incontro domanda e offerta);
   la legge n. 56 del 2014 non ha ricompreso tra le funzioni fondamentali delle città metropolitane e delle province quelle relative alla gestione dei centri per l'impiego;
   il Governo e le regioni hanno assunto congiuntamente la gestione della fase transitoria per il biennio 2015/2016 sottoscrivendo nella Conferenza Stato-regioni del 30 luglio 2015 un accordo quadro volto a garantire la continuità del funzionamento dei centri per l'impiego e del personale in essi impiegato, facendosi carico delle risorse necessarie;
   in detto accordo si sancisce la piena copertura delle spese del personale dei Centri per l'impiego sostenuta dalle città metropolitane e dalle province da parte del Governo e delle regioni (2/3 a carico dello Stato e 1/3 a carico delle regioni) sia per il 2015 che per il 2016;
   da quanto denunciato da ANCI ed UPI, lo Stato alla data 23 giugno 2016 non aveva ancora trasferito le risorse per la copertura del personale;
   da un articolo del 1o giugno 2016 del quotidiano online «www.tarantobuonasera.it» dal titolo «Sportelli chiusi al Centro per l'impiego perché è finito il toner delle stampanti. Situazione allarmante al Centro Territoriale di Taranto», si apprende dell'emergenza in cui versa il locale centro per l'impiego, che si presenta privo di inchiostro per le stampanti e in uno stato igienico-sanitario non idoneo ad assicurare un servizio soddisfacente agli utenti;
   nell'edificio si scorgono prese di corrente tenute con il nastro adesivo per i pacchi, citofoni antidiluviani che non hanno più alcuna ragione d'essere, crepe vistosissime su muri, bagni al buio (quelli destinati al pubblico), poiché mancano le lampadine e chi dovrebbe sostituirle;
   secondo quanto si apprende dall'articolo del 29 settembre 2016 apparso sulla testata giornalistica 189 NEWS all'indirizzo «www.canale189.it» la situazione pare non essere migliorata;
   dalle notizie circolate, l'ufficio di via Carrieri in Taranto, messo a disposizione del comune, sarebbe stato oggetto nei mesi estivi di una visita ispettiva della Asl di Taranto che ne avrebbe constatato le gravi condizioni igienico-sanitarie;
   a peggiorare il quadro ci sarebbe la questione dei prepensionamenti e dell'inadeguata gestione, sia del personale che economica, dei centri sparsi sul territorio provinciale. Un problema, quello del personale, aggravato dal fallimento dell'ex partecipata provinciale «Taranto Isolaverde» che, con venti operatori, garantiva il servizio all'interno dei Cti ionici;
   il dirigente del 7o settore della provincia di Taranto – si legge nell'articolo – paventa la riduzione dei centri per l'impiego del territorio da 4 a 3 o, in estrema ratio, la totale chiusura degli stessi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano al corrente della vicenda;
   se sia stata erogata la quota in capo allo Stato per la piena copertura delle spese del personale dei centri per l'impiego sostenuta dalle città metropolitane e dalle province con riferimento agli anni 2015 e 2016;
   quali iniziative di competenza intendano adottare, di concerto con le amministrazioni locali interessate, per ripristinare la totale funzionalità dei centri per l'impiego della provincia di Taranto.
(4-14868)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PARISI, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, VEZZALI, FAENZI, SOTTANELLI e ABRIGNANI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   il comune di Norcia e tutta l'area circostante sono stati duramente colpiti dallo sciame sismico che ha coinvolto il Centro Italia a partire dal 24 agosto 2016;
   in particolare, Norcia è stato l'epicentro del sisma del 30 ottobre 2016, il terremoto più potente degli ultimi 36 anni con una magnitudo momento pari a 6,5;
   le scosse di terremoto hanno messo a rischio l'intera filiera agroalimentare, un sistema che offre lavoro solo nella fase di produzione ad almeno diecimila persone;
   in pericolo ci sono anche specialità conservate da secoli, dalla lenticchia di Castelluccio al pecorino dei Sibillini, dal vitellone bianco Igp alla patata rossa di Colfiorito, dallo zafferano al tartufo, fino al prosciutto di Norcia Igp, che rappresentano un patrimonio culturale del Paese, oltre che economico ed occupazionale;
   secondo notizie di stampa, nella zona di Norcia ammonta a un miliardo di euro il fatturato annuo complessivo dell'agroalimentare e sono 800 mila i prosciutti prodotti. In questa stessa zona sono 200 le stalle, duemila le mucche e diecimila le pecore allevate;
   nelle zone colpite dal sisma la percentuale maggiore di superficie agricola utilizzata è destinata a prati permanenti e pascoli, a conferma del deciso orientamento verso le attività di allevamento e il prevalere quasi ovunque delle pecore. I bovini sono presenti a Norcia e a Cascia, dove oltre il 90 per cento delle aziende agricole sono di tipo familiare, condotte direttamente dal coltivatore con una forte presenza dell'agriturismo, che è particolarmente presente nei comuni dell'Umbria dove tocca la percentuale del 33 per cento, soprattutto a Norcia (50 per cento) e a Preci (75 per cento);
   le continue scosse, oltre ad alimentare paura nei residenti delle zone interessate e negli allevatori, stressano anche gli animali costretti a vivere all'aperto, con le mucche che hanno ridotto di almeno il 30 per cento la produzione di latte –:
   quali siano le misure che il Governo ha già adottato a sostegno dell'intero comparto agroalimentare della zona di Norcia colpito dagli eventi sismici di questi mesi e quali altre misure saranno adottate nelle prossime settimane. (3-02639)


   OLIVERIO, SANI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI e ROSTELLATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 il valore aggiunto della produzione agricola italiana ha fatto registrare una crescita dell'3,8 per cento come rilevato dall'Istat;
   nel secondo semestre 2016 sempre l'Istat ha misurato un aumento di 54 mila unità dei lavoratori dipendenti nel settore primario;
   negli ultimi 3 anni sono aumentati gli studenti iscritti a percorsi formativi collegati al mondo agroalimentare, con un +44 per cento dei ragazzi che frequentano gli istituti agrari e le facoltà di agraria;
   dai dati in possesso delle associazioni di categoria risulta che quasi un'impresa condotta da under 35 su dieci in Italia opera in agricoltura (8,4 per cento), dove sono presenti ben 50.543 aziende per effetto del crescente interesse dei giovani per il lavoro in campagna, che si è esteso fino alla trasformazione e al commercio, con la forte crescita delle vendite dirette di prodotti a chilometri zero;
   negli ultimi 1.000 giorni le esportazioni agroalimentari made in Italy hanno raggiunto la cifra record di 100 miliardi di euro, quota mai toccata negli anni precedenti;
   da metà settembre 2016 a tutela della dignità dei lavoratori e contro lo sfruttamento è operativa la legge contro il caporalato in agricoltura;
   sono aumentati del 60 per cento i controlli sul lavoro agricolo, anche grazie alla creazione di task force con ispettori del lavoro, carabinieri e forestali –:
   quali politiche il Governo e il Ministro interrogato abbiano attuato e stiano attuando per favorire la crescita dell'occupazione nel settore agricolo, con particolare attenzione al ricambio generazionale e alle opportunità per i giovani.
(3-02640)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINNUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema delle associazioni allevatori nato per volere del Ministero dell'agricoltura nel 1944 a tutela della riproduzione animale (disciplinata dalla legge n. 30 del 15 gennaio 1991) e dei prodotti agroalimentari derivanti dagli allevamenti nazionali a salvaguardia della salute dell'uomo, negli ultimi anni ha subito la progressiva riduzione del contributo ministeriale che ha portato in tutte le regioni e al livello nazionale interventi sul personale con licenziamenti, part-time e procedure di mobilità;
   in particolare, l'Associazione regionale allevatori del Lazio (ARA Lazio), ormai presente sul territorio da circa 30 anni, per evitare le azioni sopra citate si è riorganizzata circa 2 anni fa, assumendo presso di sé parte del personale delle associazioni provinciali allevatori con autoriduzione dello stipendio;
   nonostante ciò, in questi anni i lavoratori hanno subìto forti ritardi nelle retribuzioni (ad oggi fermi ad agosto 2016) anche se il Ministero ha erogato, seppur tardivamente, alla regione Lazio per l'anno in corso il contributo previsto in 700.000,00 euro, che non risulta all'interrogante essere stato ancora inviato;
   nel mese in corso è stata approvata dall'assemblea dei soci dell'ARA Lazio la messa in liquidazione della struttura con rischi di ulteriori licenziamenti senza garanzie del futuro con possibile chiusura;
   negli ultimi tempi, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative hanno più volte chiesto, sia agli organi regionali competenti sia al Ministero, incontri e l'avvio di tavoli di confronto volti a risolvere questa situazione che sta mettendo a rischio non solo molti posti di lavoro, ma anche tutto un sistema creato appositamente per garantire la qualità del latte e delle carni prodotte nelle regioni italiane;
   in particolare, tali richieste hanno sortito, nella regione Lazio un'audizione delle organizzazioni sindacali presso l'ottava commissione della regione, in cui la stessa si impegnava a chiedere all'assessore regionale all'agricoltura un resoconto delle risorse regionali e, soprattutto, contezza del perché tali risorse non sono ancora state trasferite all'Ara Lazio; ma ad oggi non vi è stato ancora alcun seguito a tale impegno –:
   se il Ministro sia a conoscenza della grave situazione in cui versa tutta la struttura delle associazioni allevatori ed i loro lavoratori, in particolare in quelle regioni italiane in cui i lavoratori non percepiscono da mesi alcuno stipendio, e quali siano le iniziative di competenza che intende intraprendere, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di confronto tra le parti coinvolte, affinché vengano salvaguardati i diritti dei lavoratori, e soprattutto vengano salvaguardate le garanzie per il proseguimento dell'attività dell'Associazione a tutela del made in Italy e del consumatore. (4-14860)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli di stampa, tra cui quello apparso sul quotidiano Il Resto del Carlino del 16 novembre 2016, e secondo quanto riportato da alcuni siti specializzati, tra cui gaei.it, sarebbe stata licenziata la nuova classificazione degli ippodromi italiani, scaturita dai criteri varati all'incirca un anno fa dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   tali criteri, all'epoca, furono duramente contestati sia dalle associazioni di categoria, che da una quindicina di società di corse, nonché da alcuni comuni proprietari degli ippodromi – tra cui Bologna, Cesena, Roma e Pisa – che, al riguardo, presentarono ricorso al Tar di Roma;
   in base alle indiscrezioni trapelate riguardo alla nuova classifica degli ippodromi italiani, risulterebbero penalizzati – con la presente manovra – soprattutto i «circuiti» del Nord, tra cui quelli di Torino, Milano, Montecatini, nonché quelli in Emilia Romagna, in particolare quello di Cesena, tutti caratterizzati da una lunga trazione e un cospicuo bacino di operatori alle spalle;
   questa classificazione prefigurerebbe ulteriori fratture nel panorama già frammentato dell'ippica nazionale, mettendo a rischio il futuro di quasi la metà dei circa 40 ippodromi italiani (tra cui anche Ferrara, Corridonia, Padova, Treviso e Trieste) che, non avendo i requisiti minimi richiesti per poter essere classificati, potrebbero chiudere;
   la manovra ipoteca l'intera filiera produttiva e non tiene conto, secondo l'interrogante, dell'indotto di alcuni dei più rinomati ippodromi del nord Italia;
   numerose associazioni di categoria, tra cui Federippodromi e Coordinamento Ippodromi, hanno sollevato rilievi e proteste su quella che – a tutti gli effetti – si prospetta, a giudizio dell'interrogante, come una classifica penalizzante in particolare per gli ippodromi dell'Italia settentrionale e nonostante il patto che questi avessero chiesto un intervento mirato e tempestivo del Governo sulla questione;
   nonostante le critiche trasversali di operatori, allevatori e società di gestione, pare che il Ministero non sia intervenuto adeguatamente sulla questione, evitando un reale confronto con le parti interessate dal provvedimento;
   va tenuto conto delle istanze e delle proteste di società di gestione, operatori ippici e comuni proprietari degli ippodromi sui quali ricade il peso di questa classificazione sia in termini economici che occupazionali –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato sopra e se ciò corrisponda al vero e quali iniziative intenda adottare per modificare i criteri e il contenuto della nuova classificazione degli ippodromi nazionali, affinché ne scaturisca una nuova definizione, tenuto conto dei dati oggettivi, disponibili e reali in grado di fornire una migliore e veritiera fotografia del panorama ippico nazionale e dell'indotto economico occupazionale che vi gravita attorno. (4-14866)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in più occasioni e con specifici atti di sindacato ispettivo (interrogazioni nn. 4/11290, 5/06880, 3/02174, 5/06776, 5/05601, 5/03924, 4/08706, 4/08573, 4/08344, 5/08969, 3/02061, 4/08088, 4/14054 presentate alla Camera, e nn. 3/02282, 4/04794, 4/04903 presentate al Senato) è stata sollevata in Parlamento la questione dei difetti di produzione del bollino apposto sulle confezioni di medicinali, alla cui qualità è connesso l'intero sistema di sicurezza e tracciabilità dei farmaci posti in commercio sul territorio nazionale;
   è stato posto in particolare il problema della cancellazione del numero progressivo delle confezioni presente sullo strato intermedio del bollino e della mancata aderenza a diverse prescrizioni ai rigidi protocolli produttivi, che si prestano a favorire furti e truffe con danno sociale, sanitario ed erariale;
   nonostante questi continui interventi e le rassicurazioni da parte del Ministro della salute ad oggi il problema non è stato risolto e l'intero, costoso, sistema della tracciabilità del farmaco non funziona per due motivi fondamentali;
   da un lato, la presenza di difetti del bollino farmaceutico, connessi a quella che gli interpellanti giudicano l'incapacità dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di rispettare i criteri di produzione, rende il sistema inaffidabile;
   dall'altro, il Ministero della salute non ha ancora integralmente attuato il decreto 15 luglio 2004, lasciando ancora operativa una norma transitoria che esonera dalla tracciabilità le farmacie, i grossisti e gli smaltitori di rifiuti farmaceutici;
   il decreto 30 maggio 2014 conferma che il secondo strato del bollino deve avere il «logo a tappeto stampato sul verso con inchiostri ciechi al lettore ottico»; tuttavia, da tempo stanno circolando alcune confezioni senza la filigrana a stampa (detta «caduceo»), oppure con la filigrana illeggibile;
   tra i prodotti esaminati ci sarebbero, per quanto consta agli interpellanti, «Cibalginadue Fast» 200 mg compresse della Novartis Consumer Health Spa e «Rinazina» 100 mg, 100 ml spray nasale della GlaxoSmithKline Spa, ma si precisa che i prodotti sono diversi e che per accertarne un numero definito dovrebbe essere fatto un censimento presso le farmacie, i grossisti e le industrie;
   il bollino è considerato «carta valori», perciò il farmaco con la confezione difettosa, dovrebbe essere considerato contraffatto e sarebbe necessario svolgere indagini per appurare la procedura che lo ha posto in vendita e perché si siano generati e tollerati tali squilibri nel sistema produttivo;
   sono trascorsi, senza esito, due anni dalle prime segnalazioni del primo firmatario del presente atto, il 13 aprile 2016, il Ministro Lorenzin ha dichiarato in Aula che «...la risoluzione definitiva del problema è prevista entro la fine della prossima settimana e non oltre...», inoltre il Ministero dell'economia e delle finanze dispone di uno specifico ispettorato per il controllo sull'intero ciclo di produzione delle cartevalori, dall'approvvigionamento al rendiconto; a fronte di costi esorbitanti del procedimento di bollinatura dei farmaci, il sistema di garanzia di autenticità e di tracciatura del farmaco va sempre più degradando e i fatti indicano, secondo gli interpellanti, che la responsabilità va imputata all'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato spa –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano chiarire perché, la carta valori denominata «bollino farmaceutico» sia prodotta con modalità difformi rispetto ai protocolli di produzione, inficiando il funzionamento del sistema di tracciabilità introdotto con l'articolo 5-bis del decreto legislativo n. 540 del 1992;
   perché i bollini difettosi prodotti dall'istituto Poligrafico e Zecca dello Stato siano venduti alle imprese farmaceutiche a costi decisamente superiori rispetto alle offerte delle imprese private, come rivelato dall'indagine Eurispes del luglio 2015;
   se il Ministro della salute intenda procedere ad una ricognizione che chiarisca la natura e le dimensioni del fenomeno dei bollini farmaceutici difettosi in commercio, anche al fine di comprendere se non siano in circolazione dei farmaci falsificati e con l'obiettivo di attivare, nella banca dati per la tracciabilità del farmaco, tutte le funzioni fissate dal decreto ministeriale del 15 luglio 2014;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, anche in considerazione della dematerializzazione della ricetta medica e del progressivo affermarsi della «sanità digitale», giungere ad una ristrutturazione del sistema di tracciabilità e garanzia di sicurezza del farmaco con procedure alternative all'attuale, che preveda l'utilizzo di mezzi informatici (sul modello di quanto previsto dall'articolo 48, comma 8, del progetto di legge di riforma del settore vinicolo S. 2535, e dell'articolo 3, comma 2 del disegno di legge di bilancio per il 2017, C. 4127-bis, allegato a), relativamente al superammortamento dei sistemi di tracciatura informatica dei prodotti – Data matrix – con un risparmio per il sistema del farmaco e quindi per il Servizio sanitario nazionale, che Assogenerici ha quantificato in circa 150 milioni di euro l'anno.
(2-01552) «Russo, Occhiuto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   grazie alle normative comunitarie in vigore dal 2006, in Europa è vietato l'uso di antibiotici per favorire la crescita di animali da reddito e da compagnia;
   la circolare del Ministero della salute del 2013, con la quale si sollecitavano le regioni ad applicare la normativa in materia di prevenzione veterinaria e sicurezza alimentare relativa all'uso e somministrazione degli antibiotici, è stata disattesa;
   è notizia di questi giorni apparsa su giornali on-line, che in Italia, negli allevamenti di animali destinati al consumo umano, si usa più del doppio di antibiotici della media europea;
   l'elevato dosaggio somministrato non è solo un rischio per gli animali ma anche per l'essere umano, poiché una delle cause della resistenza agli antibiotici è l'abuso anche negli animali;
   nonostante gli allarmi dell'Agenzia europea per i medicinali e dell'Organizzazione mondiale della sanità, ben poco si è fatto nel nostro Paese per evitare eccessi che causano la resistenza dei batteri agli antibiotici;
   il 71 per cento degli antibiotici venduti in Italia è usato negli allevamenti e come riporta un documento dell'associazione Ciwf, il nostro Paese resta il terzo più grande utilizzatore nell'Unione europea (dopo Spagna e Cipro) e il nostro consumo è ben al di sopra della media dei Paesi membri;
   la Cifw dichiara inoltre che è necessario «agire in fretta e in modo efficace contro un'emergenza che potrebbe provocare fra pochi anni più morti del cancro e che già causa 7000 morti ogni anno nel nostro Paese»;
   occorre quindi pensare a una riduzione dell'uso degli antibiotici in zootecnia, – come ad esempio ha fatto già dal 2009 l'Olanda, nonostante sia uno dei maggiori produttori di carne al mondo – al fine di preservare la salute umana. Gli allevatori hanno rispettato le indicazioni del Governo di ridurre della metà l'uso degli antibiotici, ma molti hanno dichiarato che nonostante i cambiamenti degli standard imposti siano stati costosi, non ci sono state perdite di guadagno;
   i dati dell'Ema mostrano che circa il 94 per cento degli antibiotici utilizzati in Italia servono per i trattamenti di massa somministrati nei mangimi o nell'acqua e che tali trattamenti sono resi necessari da diversi fattori, tra i quali le scarse condizioni di benessere con cui vengono tenuti gli animali negli allevamenti;
   per ottenere dati affidabili sull'uso di antibiotici in relazione agli animali da reddito, occorrerebbe pertanto monitorare ogni singolo allevamento, estendendo l'uso della ricetta elettronica, come già hanno messo in atto, in via sperimentale, l'Abruzzo e la Lombardia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per dare immediata e piena attuazione alle direttive comunitarie in materia di uso e somministrazione di antibiotici e alla circolare del 27 febbraio 2013 dell'allora Ministro della salute citata in premessa;
   se non ritenga di doversi adoperare per attuare con urgenza misure efficaci per monitorare e ridurre i consumi di antibiotici negli allevamenti, al fine di anteporre la salute dei cittadini agli interessi della zootecnia intensiva, mediante un sistema che consenta il monitoraggio dell'uso e della somministrazione degli antibiotici negli allevamenti di animali destinati all'alimentazione umana;
   se non ritenga di dover valutare l'assunzione di iniziative atte alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, della ricetta elettronica;
   se non ritenga urgente – al fine di preservare la salute umana e fronteggiare l'emergenza crescente di malati di cancro dovuto al consumo di carne – assumere iniziative volte ad accelerare la definizione del piano per la riduzione degli antibiotici, annunciato dal sottosegretario per la salute Vito De Filippo per il 2017, che non si limiti a generiche linee guida ma preveda obblighi precisi. (5-10029)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia stradale di Venezia, nella notte tra sabato 19 e domenica 20 novembre 2016 fermava sull'autostrada A4, all'altezza di Pianiga, un furgone Iveco Daily con targa slovacca, condotto da una coppia di cittadini slovacchi, diretto in Spagna e su cui erano stipati circa 121 esemplari di cuccioli di cani con meno di 90 giorni;
   grazie ad alcune segnalazioni di volontari dell'Eital (Ente italiano tutela animali e legalità), l'autorità giudiziaria da circa sei mesi monitorava il furgone suindicato che partiva da Nitra, (Slovacchia) e transitava nel nostro Paese;
   i cuccioli rinvenuti al momento del fermo della polizia stradale, erano di varie razze, dai cani di grossa taglia fino a quelli di taglia piccola;
   sul mercato illegale del traffico di cani provenienti dall'est Europa, i cani avrebbero fruttato circa 140 mila euro;
   gli agenti, verificato che i cuccioli di cane erano ammassati tra di loro, privi di cibo, acqua e viaggiavano in condizioni proibitive, – probabilmente con passaporti falsi –, provvedevano al sequestro dei cuccioli e a denunciare i conducenti del furgone ravvisando nei loro confronti il reato di maltrattamento e per contrabbando di animali e violazioni alla normativa sul trasporto internazionale di animali vivi;
   intervenivano immediatamente i veterinari chiamati sul posto dall'Eital e il servizio veterinario dell'Ulss 13 per gli accertamenti sui cuccioli;
   i controlli, protrattasi sino al mattino, hanno fatto riscontrare che due degli esemplari di cane si trovavano in gravissime condizioni, quindi subito trasferiti per i primi soccorsi;
   i restanti cuccioli, dopo i primi accertamenti del loro stato di salute, venivano portati nel canile «Madonna di Guadalupe» di Castelnuovo di Sotto (Reggio Emilia), presso il quale i medici provvedevano a curare il trasporto e i successivi accertamenti sanitari;
   i due cittadini trovati alla guida del furgone, erano soliti attraversare l'Europa con cadenza settimanale, a riprova che il traffico illegale di cuccioli di contrabbando è molto esteso e particolarmente redditizio –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se il Governo non ritenga urgente e necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di provvedere a rafforzare i controlli doganali considerato che molte organizzazioni provenienti dall'Est, lucrano sulla pelle dei cuccioli tutti al di sotto dei novanta giorni d'età, limite che l'Unione europea ha stabilito per l'importazione di cani negli stati comunitari;
   se non si intendano trovare soluzioni per risolvere le criticità sopra evidenziate, al fine di porre fine agli interminabili trasporti illegali di animali di compagnia in Italia, un commercio che sembra destinato a crescere in modo esponenziale, nonostante i divieti imposti dall'Unione europea. (5-10043)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, MICILLO, MANNINO e VACCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recentemente uno studio ha confermato la diffusione del mercurio e di altri contaminanti nel biota nella Valpescara (www.izs.it);
   nella riunione dell'8 novembre 2016 convocata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'Istituto superiore di sanità, tenendo anche conto della relazione depositata per il processo sull'inquinamento di Bussi, ha evidenziato che «emerge uno scenario di contaminazione da mercurio di elevata gravità con rischio per la salute umana»;
   l'impianto clorosoda di Bussi a celle di mercurio è strio attivo dal 1901 al 2007;
   un documento dell'archivio Montedison del 31 gennaio 1977 segnalava che dalla sala celle uscivano 15-20 mc/h di acqua, con concentrazione di 10-20 p.p.m. di mercurio;
   fino al 1975, gli scarichi idrici non erano sottoposti a trattamento;
   parte dei residui solidi mercuriosi venivano scaricati in una discarica posta lungo il fiume Tirino;
   nel periodo 1985-1990, sulla base di documenti dell'archivio Montedison, venivano consumate nella produzione 12-15 tonnellate/anno di mercurio. Di queste, una parte consistente era immessa nell'aria e nell'acqua fluviale o era persa nelle strutture. Si possono stimare in alcune tonnellate anno le immissioni annue direttamente nell'ambiente; in un documento Montedison del 13 ottobre 1972 si stimava di scaricare nel fiume quell'anno 12 mc/h con concentrazione 12,5 ppm di mercurio (1,314 tonnellate/anno);
   nel 2004 sul sito https://agris.fao.org si evidenziava un'alta concentrazione di mercurio nei sedimenti antistanti la foce del Pescara (fino a 1,1 microgrammi/grammo) e superamenti dei limiti di legge nei mitili;
   nel 2006 all'indirizzo https://science.report/pub/18977010 si segnalava nuovamente valori di mercurio elevati nei capelli dei pescatori di Pescara;
   nel 2009 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19434348), nel 2013 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23700154) e nel 2014 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24242233) si evidenziavano livelli di mercurio oltre i limiti di legge in pesci e crostacei dell'Adriatico centrale;
   nel 2013 le Asl abruzzesi su disposizione del Ministero della salute conducevano un monitoraggio del latte in 30 allevamenti ovi-caprini localizzati entro 2,5 chilometri dal fiume Pescara non riscontrando contaminazione; in realtà, alcuni punti di campionamento erano a monte delle aree contaminate; inoltre, non ci sono dati su come e se questi animali fossero realmente esposti;
   nei campioni di sedimento del Tirino a Bussi nel 2014 sono stati rilevati dall'Arta valori elevatissimi di mercurio, con una punta di 58 mg/chilogrammi;
   nei terreni del sito industriale e delle discariche 2A-2B sono stati riscontrati numerosi superamenti delle CSC per il mercurio;
   il mercurio è molto tossico e si bioaccumula;
   sono molteplici le vie di esposizione alle sostanze pericolose: contatto diretto per lavoratori; esposizione a solventi clorurati attraverso l'acqua contaminata distribuita per circa 20 anni a 500.000 persone; ingestione di prodotti alimentari contaminati; il sito di Bussi non è stato incluso nello studio Sentieri –:
   se intenda promuovere, per quanto di competenza e anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica di dettaglio per la Valpescara;
   se non si ritenga utile promuovere, per quanto di competenza, specifiche azioni di prevenzione e screening sanitario a seconda del diverso grado e via di esposizione. (4-14844)


   PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il ritorno della cardiochirurgia pediatrica a Palermo, sancita dal decreto assessoriale n. 1364/16 del 27 luglio 2016, rappresenta una tappa molto importante al fine di realizzare in Sicilia un centro di riferimento di alta specializzazione di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica di III livello, aperto anche all'assistenza dei cardiopatici congeniti adulti «GUCH» (Grown Up Congenital Heart), superando i problemi territoriali, gestionali ed economici del centro realizzato a Taormina presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo»;
   è in corso però un confronto circa la sua collocazione: l'assessore competente, con decreto ha indicato l'Arnas civico, ma l'Assemblea regionale siciliana con ordine del giorno n. 364 del 21 settembre 2016 ha dato mandato all'assessore regionale per la salute ad allocare la cardiochirurgia pediatrica ed il Centro di assistenza di III livello cardiologico pediatrico e per i pazienti Guch presso l'Irccs/Ismett di Palermo;
   secondo previsioni molto ben dettagliate che trovano conferme in fonti ufficiali, la scelta dell'Arnas civico come sede del centro comporterebbe un dispendio enorme di risorse per la ristrutturazione integrale dei locali con una spesa di oltre 1.300.000 euro, la dotazione di attrezzature di alta tecnologia che, da fonti ufficiali, si aggirerà tra i 6,5 e gli 8,5 milioni di euro e la ricostituzione di una équipe di personale specializzato;
   l'Irccs/Ismett ha recentemente acquisito nuovi locali e sta ultimando una ristrutturazione, comprendente un'area infantile (in tale istituto si effettuano trapianti di organi solidi in età pediatrica) che potrebbe accogliere anche il nuovo reparto cardiochirurgico; pertanto, i costi per realizzare il centro di III livello di assistenza cardiologica e cardiochirurgica pediatrica presso il già esistente ed accreditato «Centro Cuore» della cardiochirurgia adulti di Ismett, sarebbero praticamente nulli;
   l'elevato standard di competenze presso l'Irccs/Ismett sarebbe garantito, dalla ventennale e tuttora attuale joint venture con l'università di Pittsburgh, in cui ha sede un dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica, che è considerato uno dei centri leader mondiali per questa specializzazione –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di competenza, per garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute dei cittadini, monitorando la situazione, anche nel quadro del piano di rientro dai disavanzi sanitari, affinché non vi siano sprechi di denaro pubblico per l'avvio del centro di III livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica a Palermo, agevolando la soluzione più funzionale dal punto di vista strutturale, immediata dal punto di vista temporale ed economico e con garanzie di specializzazione assoluta. (4-14848)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003 definisce le modalità di gestione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo identificati con i codici CER 180103 e 180102, specificando che il ritiro da parte del gestore deve avvenire entro 5 giorni dalla produzione dei rifiuti stessi. La medesima legge indica anche le tipologie di contenitori che possono essere utilizzate per il conferimento e il trasporto di detti rifiuti;
   le convenzioni fra i gestori e i produttori dei suddetti rifiuti prevedono, nella stragrande maggioranza dei casi, la tariffazione in base al numero di svuotamenti dei contenitori e non in base al peso effettivamente conferito, sebbene la tariffa di ingresso agli impianti di trattamento termico sia calcolata a peso. Questo permette ad un gestore di utilizzare la modalità della pesatura «a destino», lasciando ampie possibilità di contraffazione della documentazione riguardante l'effettiva quantità e provenienza dei rifiuti: si veda in proposito il caso recente di Frosinone, dove la società incaricata di smaltire i rifiuti sanitari alterava i pesi dei rifiuti caricati presso gli ospedali, con la complicità dell'azienda frusinate alla quale conferiva gli stessi, corrispondendo un enorme profitto per l'azienda di smaltimento e a danno della Asl di Frosinone. In sostanza, non pesando i carichi di rifiuti presso gli ospedali, le aziende potevano gonfiare il peso degli stessi o destinazione, ricavando un indebito profitto;
   meno recente è il caso del comune di Ceppaloni (BN) dove nel 2013, data l'aleatorietà delle misurazioni in fase di conferimento e l'assenza dell'obbligo di tracciabilità, è stato possibile disperdere illecitamente i rifiuti a rischio infettivo insieme ad altri rifiuti speciali in discariche abusive, o ancora quello delle Asl di Avezzano e Sulmona (PE) dove nelle strutture di tale azienda sanitaria l'affidataria del servizio, Maio Guglielmo srl di Lanciano avrebbe provveduto a contabilizzare il ritiro di scarti sanitari a rischio infettivo aventi stato fisico liquido, come avvenuto in contenitori interamente riempiti. Le ispezioni eseguite su carichi in partenza dai nosocomi dell'Asl Avezzano – Sulmona hanno permesso di appurare che i contenitori deputati alla raccolta di scarti avente natura liquida, in realtà, erano solo parzialmente riempiti e per altro con rifiuti anche aventi stato fisico solido;
   tale irregolarità, all'apparenza solo formale, si ripercuoteva pesantemente nella contabilizzazione del servizio. Infatti, il costo per il trasporto e recupero dei bidoni destinati alla raccolta di rifiuti sanitari a rischio infettivo aventi stato fisico liquido, pari a 3,50 euro al litro, veniva determinato in base alla capacità dei recipienti e non all'effettivo livello di scarto in essi contenuto. Quelli allo stato solido venivano invece contabilizzati al prezzo di 1,60 euro al chilogrammo, dopo l'oggettivo riscontro della pesata –:
   se, e in quali tempi, i Ministri interrogati intendano avviare, per quanto di competenza, un monitoraggio per comprendere l'effettiva dimensione del fenomeno segnalato;
   se, e in quali tempi, i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per risolvere il vulnus normativo obbligando i gestori di rifiuti speciali a rischio infettivo a prevedere la pesatura dei rifiuti all'atto del ritiro e l'obbligo della tracciabilità degli stessi. (4-14852)


   BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la «Candida Auris», una forma pericolosa di micosi che si diffonde prevalentemente in ambienti ospedalieri, e arrivata dall'Asia agli Stati Uniti e fino in Europa;
   i dati sino ad ora registrati anche in Italia dai centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, circa la manifestazione e la diffusione del fungo non sono certo incoraggianti: secondo i Centers for Diseases Central and Prevention (Cdc), circa il 60 per cento dei pazienti che ha contratto il contagio è deceduto;
   nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti ricoverati in ospedale, le cui condizioni cliniche sono abbastanza critiche, ma questo non basta a rassicurare gli esperti che lanciano l'allarme;
   la «Candida Auris» è comparsa per la prima volta nel mondo nel 2009, diagnosticata ad un paziente giapponese immediatamente isolato. Subito dopo, sono stati annunciati altri casi in Corea del Sud, Sud Africa, Kuwait, Colombia Venezuela e Africa;
   negli ultimi mesi sono stati dichiarati tredici casi negli Usa di cui quattro decessi e tra luglio 2015 e luglio 2016 sono stati attestati cinquanta casi a Londra dove sono state messe in atto le misure precauzionali per limitare l'epidemia;
   il direttore del Centers for Diseases Central and Prevention degli Usa, Tom Frieden, ha affermato in un suo comunicato alla stampa estera che è necessario agire con urgenza e «fermare la diffusione di questo fungo resistente ai farmaci»; la sua diffusione potrebbe essere una minaccia emergente anche in Italia;
   le infezioni contratte in ambiente ospedaliero durante la degenza rappresentano una causa importante di mortalità fra pazienti. In Europa, queste infezioni si manifestano nel 6 per cento dei pazienti ricoverati, con un numero stimato di circa 3.200.000 casi l'anno e un costo di circa 6 miliardi di euro;
   in Italia le cifre sono più alte, infatti la manifestazione di queste infezioni connesse all'assistenza ospedaliera è superiore alla media europea e si aggira intorno ai 400.000 casi l'anno, anche se, per adesso, negli ospedali italiani non risulta ancora alcun caso identificato come tale;
   è stato rilevato dagli operatori sanitari che l'infezione si manifesta nei malati che hanno subìto un intervento in sala operatoria o che utilizzano cateteri, infatti è stato appurato che il fungo sembrerebbe resistente al «fluconazolo», il più diffuso dei farmaci antimicotici e preoccupa la facilità e la velocità con cui si diffonde –:
   quali cautele siano state adottate nei vari ospedali italiani in ragione del fatto che il fungo, resistente a molte terapie, sembra manifestarsi nei pazienti dopo qualche settimana di degenza ospedaliera e il contagio avverrebbe attraverso il contatto con superfici e materiali contaminati. (4-14853)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 novembre 2016, Il Piccolo di Trieste ha riportato la notizia dell'inchiesta per omicidio colposo e lesioni gravi a carico di 15 ex dirigenti dell'impianto siderurgico della Ferriera di Servola per la morte di 40 operai;
   il quotidiano ha anche indicato i nomi dei destinatari degli avvisi di garanzia, precisando che fatti risalgono a un periodo compreso tra il 1979 e il 2004, e che le cause delle morti sono riconducibili al mesotelioma pleurico (causato dall'amianto) o al carcinoma polmonare. «Gli indagati sono accusati, inoltre, di non aver osservato correttamente le norme a tutela della salute dei lavoratori a causa di una lunga serie di omissioni. (...) Secondo la Procura si conosceva fin dagli anni sessanta la pericolosità delle sostanze, amianto e idrocarburi in particolare, e nulla gli indagati avrebbero fatto per impedirne l'esposizione e informare i lavoratori dei pericoli per la salute. Questo stato di fatto, secondo i pm, ha determinato «una massiccia e incontrollata esposizione dei lavoratori» a polveri e fumi di amianto, benzene, benzoapirene e altre sostanze pericolose, letali. Insomma: gli ex manager sapevano ma non hanno fatto nulla per impedire malattie e decessi»;
   l'articolo, infine, ha spiegato che «è stato chiesto al gip nei termini dell'incidente probatorio (...) di disporre una perizia collegiale con la nomina di un team di specialisti di medicina legale, del lavoro e di epidemiologia. I pm intendono definire allo stato attuale la rilevanza causale dell'esposizione dei lavoratori agli inquinanti. (...) Chiedono anche agli esperti, che saranno nominati dal gip, di conoscere quale possa essere stata l'influenza di eventuali esposizioni successive alla cosiddetta fase di induzione della malattia, ovvero il lasso di tempo più «pericoloso». (...) Si ritiene fondamentale, per il prosieguo delle indagini, un ulteriore approfondimento sulle neoplasie polmonari, in rapporto al contatto prolungato dei lavoratori con molte delle sostanze generate nel ciclo siderurgico, come il benzene, il benzoapirene e gli altri idrocarburi policiclici aromatici, le ammine aromatiche, nonché polveri e fumi di metallo come cromo, piombo, ferro, nichel e zinco (...)»;
   il primo firmatario del presente atto, nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-10906 presentato il 28 ottobre 2015, sollecitato il 29 giugno e il 3 agosto 2016 ed ancora senza risposta, in riferimento a numerosi esposti e segnalazioni presentati dal 2008 al 2012 da privati cittadini e rappresentanti delle associazioni ambientaliste Triestine alla procura della Repubblica di Trieste per denunciare il degrado ambientale e sanitario nel comprensorio abitativo di Servola, ha illustrato un dettagliato articolo del Piccolo del 3 dicembre 2013 che dava per imminenti i primi rinvii a giudizio e la celebrazione del processo per la morte di 83 operai della Ferriera (nel periodo 2000-2013);
   nel testo dell'atto è stata sottolineata la forte preoccupazione per come «alcuna informazione sia rintracciabile in relazione al seguito dell'inchiesta sugli 83 operai della Ferriera deceduti dal 2000 e come la maggior parte degli esposti presentati dal 2008 al 2012 non abbia avuto seguito» ed è stato chiesto al Ministro della giustizia se intendesse attivare iniziative ispettive presso l'autorità giudiziaria, ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti esposti in premessa e in accordo con gli enti locali, ritenga di assumere le iniziative di competenza per avviare approfondite indagini epidemiologiche nell'area triestina. (4-14857)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   «La Perla» è una cooperativa edilizia avente sede in Arezzo il cui ex Presidente, Angiolo Fracassi, il 20 dicembre 2013 stato condannato per tentata estorsione dal tribunale di Arezzo per aver chiesto ad alcuni soci della cooperativa il pagamento di 35.000 euro in cambio dell'assegnazione della casa;
   il 5 maggio 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha nominato due ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per valutare il provvedimento da adottare nei confronti della suddetta cooperativa;
   il 6 agosto 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha disposto la liquidazione coatta amministrativa della cooperativa «La Perla» corsia contestuale nomina dei liquidatori dottor Giovanni lisi, dottor Stefano Parati e avvocato Roberto Mantovano;
   i liquidatori nominati, tra i primi atti compiuti, hanno ritenuto opportuno revocare la prenotazione ai soci che pur avendo pagato interamente l'immobile non avevano ancora stipulato il contratto di compravendita;
   a fine 2015 in appello viene confermata la condanna per bancarotta fraudolenta dell’ex Presidente della cooperativa «la Perla» mentre il reato di tentata estorsione viene derubricato a quello di esercizio abusivo delle proprie ragioni con minaccia alle persone; la Corte di Appello ribadisce che i soci della Cooperativa, al fine di ottenere la proprietà della casa, non dovevano pagare i 35.000 euro richiesti (http://www.arezzonotizie.it);
   nel corso della trasmissione televisiva «Mi manda Rai 3» del 7 novembre 2016 è emerso come i commissari liquidatori non abbiano effettuato il sequestro conservativo di un immobile dell’ex Presidente della cooperativa, Angiolo Fracassi, nonostante fossero stati informati della messa in vendita del bene da un'informativa della guardia di finanza di Arezzo del 27 agosto 2010; è stato, altresì evidenziato che i commissari liquidatori non abbiano effettuato alcuni azione revocatoria al fine di far dichiarare inefficace la cessione della proprietà del suddetto bene immobile e che, essendo trascorsi ormai più di cinque anni dall'alienazione in parola, hanno perso qualunque diritto previsto dalla legge. Infine, è emerso come i commissari liquidatori non abbiano intrapreso azione di responsabilità civile nei confronti degli ex amministratori della cooperativa nonostante la mala gestio di questi ultimi abbia condotto ad un ammanco che ammonterebbe a circa 4 milioni di euro;
   a parere degli interpellanti le omissioni dei commissari liquidatori si qualificano come vere e proprie negligenze che hanno compromesso il patrimonio della cooperativa e, quindi, danneggiato le legittime aspettative dei creditori e dei soci della suddetta cooperativa;
   da quanto risulta agli interpellanti, uno dei tre commissari liquidatori in questione, l'avvocato Roberto Mantovano, nel corso degli ultimi anni sarebbe stato designato in numerose procedure tra le quali, a titolo esemplificativo, la nomina a commissario liquidatore della cooperativa edilizia «Elio Bernabei» da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la nomina a commissario liquidatore della Banca Due Mari di Calabria – Credito Cooperativo Società Cooperativa da parte della Banca d'Italia, la nomina a commissario governativo della cooperativa edilizia «Polaris» da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ed altre;
   si evidenzia altresì, in generale, quella che appare agli interpellanti una carenza di trasparenza nelle procedure dei commissariamenti per le liquidazioni coatte amministrative, in particolare in merito alla costituzione dei Comitati di sorveglianza in seno al Ministero dello sviluppo economico, all'accesso all'Albo da cui vengono nominati i liquidatori o al registro dei compratori dei beni in liquidazione, ed ai fondi con i quali gli stessi beni vengono acquistati –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interpellato per tutelare creditori e soci della cooperativa «La Perla»;
   se non si ritenga opportuno verificare quali siano gli incarichi di liquidatore attualmente ricoperti dall'avvocato Mantovano e se il contemporaneo svolgimento dei molteplici incarichi da lui ricoperti sia compatibile con il dovere di sana e prudente gestione delle società commissariate;
   se non ritenga opportuno adoperarsi, per quanto di competenza, affinché siano più trasparenti le procedure dei commissariamenti per le liquidazioni coatte amministrative delle cooperative.
(2-01549) «Gagnarli, Pesco, Agostinelli, Alberti, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fraccaro, Frusone, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Rizzo, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Zolezzi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni cittadini e amministrazioni locali della provincia di Rovigo stanno segnalando una lunga serie di disguidi che interessano il servizio postale sul territorio;
   i maggiori disservizi riguardano il recapito postale e paiono creare obiettive difficoltà all'utenza (mancata consegna di raccomandate, bollettini e altro), come evidenziato dagli stessi sindaci con dichiarazioni alla stampa locale e reiterate richieste di incontro ai diversi livelli dell'azienda;
   in particolare, le situazioni più critiche vengono attualmente segnalate nei comuni di Fratta Polesine, Villanova del Ghebbo e Lusia, compresi nella zona del Medio Polesine –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se intenda farsi parte attiva per cercare di superare i problemi segnalati ormai a più riprese, con particolare riguardo per la situazione del servizio di recapito.
   (5-10031)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono giunte alla firmataria del presente atto di sindacato ispettivo numerose segnalazioni di disservizi verificatisi presso l'ufficio postale di Salerno, sito a via Paradiso di Pastena, con conseguenti disagi sia per gli operatori, che per l'utenza del suddetto ufficio;
   in particolare, come denunciato dalla sigla sindacale Cobas Pt Cub-Usb, l'ufficio di Salerno in questione sarebbe sprovvisto di un adeguato numero di mezzi aziendali, per cui alcuni portalettere sarebbero costretti a fare le consegne a piedi;
   molte delle autovetture a disposizione dell'ufficio postale di Salerno sarebbero inoltre inefficienti, dotate di bauli difettosi, oppure con sistemi di frenata danneggiati, oltre che carenti dal punto di vista igienico;
   inoltre, nella sezione che si occupa della posta registrata, la carenza di personale e di organizzazione farebbe sì che quotidianamente ai portalettere venga arrecato l'ulteriore disagio dell'allungamento dell'orario di uscita;
   oltre ai disservizi elencati, ancora più gravi sono le denunce relative alla carenza di personale, dal momento che i dipendenti con contratto a tempo determinato (CTD), non sarebbero sufficienti a coprire le zone loro assegnate, per cui quotidianamente resterebbero nei casellari della ripartizione sia la posta estera sia la codifica;
   il personale con contratto a tempo determinato, oltre ad essere a quanto consta all'interrogante male organizzato e istruito, subirebbe continue pressioni da parte della dirigenza e spesso verrebbe trattenuto in ufficio oltre l'orario di lavoro e senza compenso economico. Non sarebbe inoltre dotato di abbigliamento adeguato, oltre ad essere spesso senza palmare ed ancora più spesso senza mezzo di trasporto, e spostato quasi quotidianamente da una zona ad un'altra, oppure costretto a coprire 2-3 zone;
   tali problematiche, come denunciato in precedenti atti di sindacato ispettivo presentati dalla firmataria del presente atto non sarebbero limitate all'ufficio postale di Salerno, ma interesserebbero, a vari livelli, molti uffici postali presenti sul territorio nazionale, con particolare riguardo alle criticità insite nella cosiddetta «flessibilità operativa» –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere nei confronti di Poste italiane in relazione ai disservizi denunciati presso l'ufficio postale di Salerno, oggetto della presente interrogazione, e dei conseguenti disagi arrecati agli utenti dell'ufficio postale. (5-10045)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO e MICILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   L'Enea, dall'ottobre del 2001 fino ad aprile 2016 è stata sottoposta ad una serie di procedure commissariali per la durata complessiva di 8 anni (prima con il professor Rubbia, poi con il professor Paganetto e, infine, dal settembre 2009 sino ad oggi con l'ingegner Lelli);
   la legge 23 luglio 2009, n. 99, cosiddetta «legge sviluppo» istituisce l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico le cui principali attività sono finalizzate alla ricerca e l'innovazione tecnologica, ma anche la prestazione di servizi avanzati;
   tale legge prevede, altresì, le modalità per un riassetto definitivo dell'Agenzia stessa; l'Enea è oggi un ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca, all'innovazione tecnologica e alla prestazione di servizi avanzati nei settori dell'energia, dell'ambiente e dello sviluppo economico sostenibile;
   da fonti di stampa dell'Enea del 21 aprile 2016, è giunta notizia che «si è insediato oggi alla presenza del Vice Ministro dello sviluppo economico Teresa Bellanova il nuovo Consiglio di Amministrazione dell'Enea, composto dal Presidente Federico Testa e dai consiglieri Alessandro Lanza e Mauro Libè, designati rispettivamente dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'ambiente»;
   il comma 6 dell'articolo 37 della legge 23 luglio 2009, n. 99, come modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 221, che ha istituito l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), di seguito denominata Agenzia ENEA, dispone che «il consiglio di amministrazione, formato da tre componenti, incluso il Presidente è nominato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quattro anni, rinnovabili una sola volta, ed i componenti sono scelti tra persone con elevata e documentata qualificazione tecnica scientifica o gestionale nei settori di competenza dell'ENEA»;
   il curriculum vitae dell'ex deputato dell'UDC Mauro Libè porta in seno al documento il solo diploma di maturità ed un'unica pubblicazione scientifica dal titolo «manuale di diritto e gestione dell'ambiente», oltre alle normali attività richieste dalla partecipazione alla vita politica nell'ambito delle consuetudini parlamentari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti illustrati;
   se i Ministri interrogati non intendano fare chiarezza sul modus operandi per la scelta dei membri facenti parte del consiglio di amministrazione dell'ENEA;
   si non ritengano necessario verificare i requisiti di idoneità per l'assunzione della carica di membro al consiglio di amministrazione dell'Enea da parte di Mauro Libè, in virtù di quanto disposto dalla legge del 23 luglio 2009, n. 99, che prevede persone con «elevata e documentata qualificazione tecnica scientifica o gestionale nei settori di competenza dell'ENEA», atti a finalizzare l'attività dell'ente stesso alla ricerca e rinnovazione tecnologica, ma anche alla prestazione di servizi avanzati. (4-14840)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-03938, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Anzaldi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zampa e altri n. 5-04529, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Naccarato.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Di Vita n. 5-10024, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Colonnese.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Galgano n. 2-01520 del 25 ottobre 2016;
   interpellanza Airaudo n. 2-01543 del 15 novembre 2016.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2016, alla pagina 42701, prima colonna, le righe dalla quinta all'ottava si intendono soppresse.

  Interrogazione a risposta in Commissione Cristian Iannuzzi n. 5-10027 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 707 del 16 novembre 2016. Alla pagina 42814, seconda colonna, dalla riga trentasettesima alla riga quarantesima deve leggersi: «di un acceleratore lineare di ultima generazione, ma la Asl avrebbe deciso di acquistare un macchinario obsoleto quando, con la stessa cifra, l'Asl» e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e L'Abbate n. 5-10028 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 707 del 16 novembre 2016. Alla pagina 42795, prima colonna, alla riga terza deve leggersi: «2007-2013 della regione Molise sedevano» e non come stampato. Alla pagina 42795, prima colonna, dalla riga quindicesima alla riga sedicesima deve leggersi: «2007-2013 della regione Molise abbia approvato l'integrazione di cui in premessa»; e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 marzo 2016 è stato firmato un accordo tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e i rappresentanti della Fondazione Torlonia che sancisce la reciproca collaborazione per la piena valorizzazione della collezione Torlonia, il complesso di marmi antichi di proprietà privata tra i più imponenti e storicamente significativi al mondo;
   come riportato dal comunicato emesso dal Ministero: «L'accordo è stato sottoscritto, alla presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, dall'Amministratore della Fondazione Torlonia, Alessandro Poma Murialdo, dal Direttore Generale per l'Archeologia, Gino Famiglietti, dal Direttore Generale per le Belle Arti e il Paesaggio, Francesco Scoppola, dal Soprintendente Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area Archeologica di Roma, Francesco Prosperetti.
   Il primo passo del percorso di valorizzazione sarà la realizzazione di una mostra con una prima selezione di 60-90 sculture più rappresentative, in grado di evidenziare sia nel contesto nazionale che in quello internazionale l'importanza della collezione e il rilievo del progetto. La Fondazione Torlonia sosterrà le spese per il restauro dei reperti, mentre il Ministero, tramite la Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma, provvederà alla realizzazione della mostra, che verrà curata dal Prof. Salvatore Settis e da un Comitato d'Onore di cui farà parte il Prof. Carlo Gasparri, autorevole archeologo e accademico dei Lincei.
   Il progetto espositivo, che darà conto della storia del collezionismo ripercorrendo le diverse fasi della costituzione dell'insieme dei marmi Torlonia, prevede nella seconda metà del 2017 un primo momento negli spazi di Palazzo Caffarelli a Roma, negli ambienti dell'ex Museo nuovo, al quale seguiranno almeno altre due tappe all'estero. Al loro rientro in Italia questa selezione di opere, insieme alle altre nel frattempo restaurate, troverà collocazione in una sede adeguata al prestigio della collezione che verrà individuata d'intesa tra le parti»;
   purtroppo, dallo storico accordo è rimasto escluso quello che può forse essere considerate il vero scrigno dell'eredità Torlonia. Ovvero gli affreschi della Tomba François e i 200 vasi provenienti dalle necropoli Vulci. Dalla stampa apprendiamo anche che questo nuovo accordo con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo infatti non comprende gli affreschi François, perché sui sanguinosi combattimenti mitici della tomba incombe dal 1990 un altrettanto cupo contenzioso ereditario, con i fratelli Cesarini Sforza che vantano titoli sull'opera (dal valore milionario) contro i cugini Torlonia. La lite procede fra sentenze e ricorsi. Nel 2004 e nel 2010 la corte di Roma avrebbe dato ragione ai primi, in Cassazione, nel 2015, è stato riconosciuto il maggior diritto dei secondi, e disposto quindi un nuovo processo. In attesa di una parola definitiva, gli aruspici François restano coperti da garze di lino, in penombra, lontani dal pubblico che si meriterebbero;
   simili dissidi patrizi hanno fatto escludere dalla nuova intesa con lo Stato anche un'altra meraviglia conservata nei saloni dei Torlonia: una collezione di oltre 200 vasi etruschi scavati nelle necropoli di Vulci;
   chi li ha potuti studiare ne parla come di una raccolta talmente grandiosa da poter «cambiare i libri di storia dell'arte antica»;
   l'interrogante ha già presentato due atti analoghi sugli affreschi in questione (interrogazione a risposta scritta 4-00928 e 4-05638) –:
   come intenda operare il Ministro interrogato e quali altre iniziative intenda assumere per rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono di mettere finalmente a disposizione del pubblico gli affreschi della Tomba François anche alla luce dell'accordo siglato. (4-12697)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nella quale l'interrogante, richiamato il recente accordo tra il Mibact e la fondazione Torlonia, chiede quali iniziative si intenda assumere per «rimuovere gli ostacoli che ancora impediscono di mettere finalmente a disposizione del pubblico gli affreschi della tomba François, anche alla luce dell'accordo siglato» con la fondazione stessa.
  Come correttamente ricordato dall'interrogante, il 15 marzo 2016 è stato firmato raccordo tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e i rappresentanti della fondazione Torlonia che sancisce la reciproca collaborazione per la piena valorizzazione della collezione Torlonia, con particolare riguardo all'importante collezione di sculture e monumenti antichi di epoca classica, di proprietà del principe Alessandro Torlonia, costituente un complesso di marmi antichi di proprietà privata tra i più imponenti e storicamente significativi al mondo.
  L'importante collezione è stata sottoposta a vincolo di importante interesse, ai sensi della legge 20 giugno 1909, n. 364, con un primo decreto emanato il 13 febbraio 1910, successivamente rinnovato, ai sensi della legge 1o giugno 1939, n. 1089, con atto n. 221061 del 22 dicembre 1948.
  L'accordo è stato sottoscritto, alla presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, dall'amministratore della fondazione Torlonia, Alessandro Poma Murialdo, dal direttore generale per l'archeologia, Gino Famiglietti, dal direttore generale per le Belle arti e il paesaggio, Francesco Scoppola e dal soprintendente speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma, Francesco Prosperetti.
  Il primo passo del percorso di valorizzazione sarà la realizzazione di una mostra con una prima selezione di alcune delle sculture più rappresentative, in grado di evidenziare, sia nel contesto nazionale che in quello internazionale, l'importanza della collezione e il rilievo del progetto. La fondazione Torlonia sosterrà le spese per il restauro dei reperti, mentre il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, tramite la soprintendenza speciale archeologica di Roma, provvederà alla realizzazione della mostra, che verrà curata dal professor Salvatore Settis e da un comitato d'onore di cui farà parte il professor Carlo: Gasparri, autorevole archeologo e accademico dei Lincei.
  Il progetto espositivo, che darà conto della storia del collezionismo ripercorrendo le diverse fasi della costituzione dell'insieme dei marmi Torlonia, prevede nella seconda metà del 2017, un primo momento negli spazi di palazzo Caffarelli a Roma, negli ambienti dell'ex museo nuovo, al quale seguiranno almeno altre due tappe all'estero. Al loro rientro in Italia questa selezione di opere, insieme alle altre nel frattempo restaurate, troverà collocazione in una sede adeguata al prestigio della collezione che verrà individuata d'intesa tra le parti.
  Gli affreschi della tomba François e la raccolta di vasi e bronzi da Vulci, conservati nella Villa già Albani in via Salaria, costituiscono altre porzioni della ingente collezione Torlonia, oggetto di proprietà indivisa tra gli eredi del principe Giovanni Torlonia, e di contenzioso ancora in corso; pertanto non sono compresi nell'accordo di cui sopra. Anche tali beni risultano, comunque, tutelati con analoghi decreti emessi ai sensi delle leggi 20 giugno 1909, n. 364 e 1 giugno 1939, n. 1089.
  Sulla stato di conservazione degli affreschi della tomba François sono state già date informazioni nella risposta all'interrogazione 4-00928, alla quale pertanto si fa rinvio. A tale risposta, l'interrogante ha fatto seguire un'ulteriore interrogazione, la n. 4-05638, alla quale l'amministrazione ha dato risposta con atto separato.
  Riguardo gli affreschi della tomba François, si ricorda che è stato accolto, nella seduta della Camera dei deputati n. 508 del 22 ottobre 2015, l'ordine del giorno 9/03315-A/044, proposto dall'interrogante, col quale si impegna il Governo «ad intraprendere ogni utili azione affinché l'inestimabile opera d'arte sia non soltanto resa pienamente fruibile da parte di tutti i cittadini ma sia conservata in modo adeguato e opportunamente valorizzata».
  L'amministrazione auspica pertanto di poter avviare, in futuro, trattative per giungere a ulteriori accordi in modo da consentire una fruizione pubblica delle altre importanti opere che costituiscono la storica collezione, come peraltro già avvenuto in alcune limitate occasioni negli anni scorsi proprio per gli affreschi della tomba.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PAOLO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stata annunciata una gara motonautica di off shore dal 24 al 26 luglio nel Golfo di La Spezia (http://www.ccvgspezia.it);
   il Golfo di La Spezia è incluso nell'areale del Santuario dei Cetacei: il Santuario Pelagos per i mammiferi marini del Mediterraneo è un'area marina protetta che si estende per circa 90.000 chilometri quadrati nel Mediterraneo nord occidentale fra Italia, Francia e Sardegna. È la più grande riserva marina dell'emisfero boreale che comprende il Mar Ligure e parte del Mar Tirreno e del Mar di Corsica, è costituito dalle acque marittime interne (15 per cento) e territoriali (32 per cento) di Francia, Monaco e Italia e dalle acque pelagiche adiacenti (53 per cento);
   le principali specie di cetacei che si possono avvistare all'interno dell'area del Santuario sono: balenottere comuni (Balaenoptera physalus), capodogli (Physeter macrocephalus), zifii (Ziphius cavirostris), globicefali (Globicephala melas), grampi (Grampus griseus), tursiopi (Tursiops truncatus), stenelle striate (Stenella coeruleoalba) e delfini comuni (Delphinus delphis);
   i pericoli per queste specie sono numerosi, il principale è rappresentato dall'impatto antropico diretto e indiretto: porti (commerciali e militari), cittadine, aree industriali e sversamenti in mare di diverse tipologie costituiscono un insieme di fattori che sommati al degrado dell’habitat, al whale whatching (attività ancora non normata), all'intenso traffico marittimo (le navi veloci hanno causato la morte di molti cetacei per collisioni), e alla pesca illegale con le reti pelagiche derivanti (spadare) e le thonaille, mettono a serio rischio la sopravvivenza delle popolazioni dei cetacei nell'area;
   nel 1990 l'Istituto Tethys, a seguito delle ricerche condotte nel Mar Ligure Occidentale, propose all’«Associazione Europea Rotary per l'Ambiente» di costituire un'area marina protetta vista l'alta concentrazione di cetacei nell'area;
   nel 1993 i rappresentanti dei Ministeri dell'ambiente di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco firmano a Bruxelles una dichiarazione relativa all'istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei del Mar Ligure;
   l'Assemblea generale della IUCN (The World Conservation Union) tenutasi a Buenos Aires nel 1994 promosse la risoluzione 19.92 riguardante «l'Istituzione di un Santuario marino per i grandi e piccoli cetacei nel Mar Ligure, Mediterraneo occidentale»;
   nel 1998 l'Italia approva la proposta di istituzione del Santuario;
   il 25 novembre 1999 a Roma i tre Ministri firmano l'accordo definitivo che sancisce l'istituzione del Santuario. La legge n. 391 dell'11 ottobre 2001 del Parlamento italiano ha ratificato e reso esecutivo l'accordo consentendone l'entrata in vigore effettiva il 21 febbraio 2002. L'area di circa 90mila chilometri quadrati comprende le acque tra Tolone sulla costa francese, Capo Falcone nella Sardegna occidentale, Capo Ferro nella Sardegna orientale e Fosso Chiarone in Toscana;
   nel novembre del 2001 le parti della Convenzione di Barcellona decisero di inserire il Santuario nella lista delle «Specially Protected Areas of Mediterranean Importance» (SPAMIs);
   in seguito alla ratifica dell'accordo finale da parte del Principato di Monaco nel 2000, della Francia nel 2001 e dell'Italia nel 2002, l'accordo sul Santuario entra in vigore nel febbraio del 2002;
   il 17 febbraio 2003 si è tenuta a Monaco, Paese depositario dell'accordo, la prima conferenza delle parti contraenti, nel corso della quale sono state discusse e approvate le linee guida per la redazione del piano di gestione del Santuario;
   con l'istituzione del Santuario Pelagos, le parti contraenti si sono impegnate a:
    a) garantire uno stato di conservazione favorevole dei mammiferi marini proteggendoli, insieme al loro habitat, dagli impatti negativi diretti o indiretti delle attività umane;
    b) valutare periodicamente lo stato delle popolazioni di mammiferi marini, le cause di mortalità e le minacce che gravano sul loro habitat e in particolare sulle loro funzioni vitali, come l'alimentazione e la riproduzione;
    c) esercitare la sorveglianza e intensificare la lotta contro ogni forma di inquinamento che abbia o sia suscettibile di avere un impatto diretto o indiretto sullo stato di conservazione dei mammiferi marini;
    d) esercitare la sorveglianza nel Santuario e intensificare la lotta contro ogni forma di inquinamento, di origine marittima e tellurica, che abbia o sia suscettibile di avere un impatto diretto o indiretto sullo stato di conservazione dei mammiferi marini;
    e) adottare strategie nazionali miranti alla soppressione progressiva degli scarichi di sostanze tossiche nel Santuario, accordando la priorità a quelle elencate nell'Allegato I del protocollo della Convenzione di Barcellona relativa alla protezione del Mar Mediterraneo contro l'inquinamento derivante da fonti e attività situate a terra;
    f) vietare ogni cattura deliberata e qualsiasi forma di disturbo intenzionale dei mammiferi: possono, tuttavia essere autorizzate ricerche specifiche;
    g) regolamentare l'osservazione dei mammiferi marini a fini turistici;
   l'inserimento del Santuario per i mammiferi marini nella lista di aree specialmente protette di importanza mediterranea (Specialy Protected Areas of Mediterranean Importance – SPAMIs) – impegna i 17 Stati e gli organismi internazionali aderenti al protocollo SPA al rispetto della vincolistica di cui sopra;
   la legge n. 391 del 2001, ratifica ed esecuzione dell'accordo internazionale del 25 novembre 1999, vieta le competizioni di imbarcazioni veloci a motore nelle acque territoriali italiane ricadenti nel Santuario dei Cetacei –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della gara di off shore prevista ed, eventualmente, come sia stato possibile autorizzarla;
   come i Ministri interrogati intendano garantire l'attuazione di ogni punto previsto dall'accordo e dalla legge di ratifica;
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati al riguardo, anche in considerazione dei numerosi episodi di ship-strike (collisioni dei cetacei con i natanti) – oggetto anche di una approfondita ricerca scientifica –, episodi che è necessario prevenire. (4-12478)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente lo svolgimento di una gara motonautica di off shore nel golfo di La Spezia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Il divieto di svolgimento di competizioni di imbarcazioni veloci a motore (ivi comprese le cosiddette moto d'acqua – jet ski, wetbike, etc.), disposto dall'articolo 5 della legge n. 391 dell'11 ottobre 2001, di ratifica da parte dell'Italia dell'accordo internazionale relativo alla creazione nel Mediterraneo del santuario Pelagos per i mammiferi marini (di cui alcune specie caratterizzate da habitat costieri, come appunto i tursiopi), da considerarsi esteso anche alle acque interne, oltreché alle acque territoriali, in virtù del primario scopo di tutela delle specie di mammiferi marini in esse presenti e particolarmente in zone dove la conformazione costiera e/o del fondale marino (golfi, ampie baie, canyons, etc.) ne costituisce habitat d'elezione e determina una localizzazione della linea di base a distanze anche significative dalla linea di costa, è da sempre stato applicato a partire dall'adozione della richiamata legge di ratifica.
  In occasione di ogni eventuale richiesta di svolgimento di dette competizioni, pervenuta per il tramite delle capitanerie di porto interessate, la competente direzione generale per la protezione della natura e del mare (PNM) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha segnalato al reparto ambientale marino (R.A.M.) del corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera – la necessità di attivarsi presso il comando generale delle capitanerie di porto, nonché le direzioni compartimentali marittime e le capitanerie di porto interessate, al fine di esercitare la puntuale applicazione del relativo divieto disposto dall'articolo 5 della citata legge n. 391 del 2001.
  A tale scopo, peraltro, la suddetta direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 17 luglio 2015, concernente la «applicazione del divieto di svolgimento di competizioni di imbarcazioni veloci a motore nel santuario Pelago» ed inviata al R.A.M., nel rammentare il consolidato indirizzo del disposto divieto, ha ulteriormente richiesto al predetto reparto l'emanazione di apposita circolare indirizzata alle direzioni marittime e capitanerie di porto territorialmente competenti nell'area del santuario Pelagos, volta all'adozione dei relativi provvedimenti di competenza.
  Il menzionato reparto ambientale marino, con conseguente nota diramata al comando generale delle capitanerie di porto e a tutte le direzioni marittime delle stesse – Guardie Costiere territorialmente competenti nell'area del santuario Pelagos – nel richiamare quanto già rappresentato in una precedente nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha ribadito la necessità di esercitare la puntuale applicazione del divieto previsto dalla citata legge n. 391 del 2001, richiedendo altresì di «voler porre in essere la più ampia azione di vigilanza a garanzia della massima tutela dell'ambiente marino nello spirito dei principi ispiratori del santuario Pelagos».
  Per quanto riguarda, infine, gli episodi di ship-strike (collisioni di natanti con cetacei), corre l'obbligo di rappresentare che, anche sulla base di recenti monitoraggi promossi dalla citata direzione generale PNM del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sviluppati anche in ambiti internazionali a scala di bacino Mediterraneo cui l'Italia aderisce (accordo Pelagos, accordo Accobams, convenzione di Barcellona, etc.), detto fenomeno sembrerebbe essere significativo nelle acque mediterranee, caratterizzate, come noto, da un intenso traffico marittimo, solo in termini potenziali. Risulta, infatti, essere occasionale, se non raro, in termini di frequenza di eventi, nelle acque del santuario Pelagos, nonché essenzialmente circoscritto a rari esemplari delle specie Balaenoptera physalus e Physeter macrocephalus, stante le loro peculiari caratteristiche etologiche (behavioural patterns). Tale fenomeno è, inoltre, correlato direttamente a velocità superiori ai 13-15 nodi, come possono essere quelle raggiunte dalle navi ad alta velocità denominate NGY (Navires à Grande Vitesse) o HSC (High Speed Craft) e dalle imbarcazioni a motore da diporto, mentre, molto più raramente è correlato al normale naviglio commerciale.
  Peraltro, si segnala che, nel quadro degli accordi internazionali citati, l'Italia sta attivamente partecipando alla valutazione della possibile definizione tecnica e successiva adozione di tools atti a ridurre, e possibilmente eliminare, il rischio di tali eventi.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia che il braccio armato di bracconieri ha causato tra molte altre specie, anche la morte di due animali particolarmente protetti dalla «direttiva uccelli» un'aquila reale a Zocca (provincia di Modena) e un raro esemplare di Cicogna bianca a Torre d'Isola (provincia di Pavia);
   il rapace è morto dopo diversi giorni di agonia nonostante le cure dei veterinari del Centro fauna selvatica di Bologna. La cicogna bianca, che negli ultimi decenni ha ripreso a nidificare in Italia dopo secoli di assenza, è stata rinvenuta agonizzante all'interno di un fosso. Il corpo era interamente lesionato dai pallini, dal collo alle zampe. Per il recupero sono intervenuti i vigili del fuoco e il personale della Lipu che hanno soccorso la cicogna trasferendola in una struttura specializzata, dove, nonostante le cure, è deceduta;
   atti che destano indignazione e sgomento tra i volontari, nelle associazioni a tutela degli animali, nelle guardie venatorie volontarie e zoofile e nei cittadini di tutta Italia uniti contro il bracconaggio;
   i terribili episodi occorsi a danno dei due volatili sono sicuramente gravissimi e da condannare. Migliaia di animali ogni anno sono feriti o uccisi dai bracconieri. Il patrimonio naturalistico è di tutti e difenderlo anche per le future generazioni è un compito che deve assolvere con la dovuta responsabilità il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la Commissione europea ha inoltre aperto l'ennesimo fascicolo contro la caccia in Italia, poiché i cacciatori sono troppo liberi di sparare a specie in diminuzione, con tempi lunghissimi, sfruttando deroghe venatorie illegali –:
   se sia informato di quanto avvenuto nei giorni scorsi in materia di bracconaggio;
   quali siano le iniziative che intende mettere in atto per inasprire le pene nei confronti di chi ferisce e uccide degli animali, specialmente se particolarmente protetto;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per implementare la normativa vigente in materia di caccia e fauna selvatica, per adeguare l'Italia alla normativa europea;
   se non ritenga che l'indebolimento della vigilanza ambientale ad avviso dell'interrogante provocata dal Governo, che ha cancellato il Corpo forestale dello Stato e avviato la progressiva eliminazione della polizia provinciale, favorisca l'aumento del bracconaggio, reato peraltro sanzionato limitatamente, e diminuisca il controllo del patrimonio selvatico del nostro Paese, patrimonio indisponibile dello Stato.
(4-10806)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa a fenomeni di bracconaggio in provincia di Modena e in provincia di Pavia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  Il quadro generale, per quanto attiene il bracconaggio, può essere sintetizzato come un fenomeno in progressivo calo negli ultimi decenni e in molte realtà locali, si veda per esempio la situazione dello Stretto di Messina dove la pratica degli abbattimenti di rapaci, e in particolare del falco pecchiaiolo (pernis apivorus), è stata quasi totalmente debellata.
  Ad ulteriore conferma della riduzione del fenomeno del bracconaggio, dai dati del corpo forestale dello Stato risulta che durante l'operazione «pettirosso», svolta annualmente nelle valli bresciane contro l'uso delle trappole ad archetto per rifornire i ristoranti di uccelli selvatici, nel 2015 sono stati rinvenuti 310 archetti, contro le migliaia sequestrate in passato.
  Questi risultati sono stati ottenuti grazie all'attività normativa, ad un forte impegno degli organi di polizia (principalmente, corpo forestale dello Stato, Guardie provinciali, guardie volontarie previste dalla legge n. 157 del 1992) ed alla collaborazione di numerose associazioni e volontari, nonché con il contributo di progetti Life, fra gli ultimi si cita per esempio il progetto Life Leaving Is Living, per la tutela degli uccelli migratori in Sardegna.
  Per quanto riguarda le iniziative normative, si segnala, a solo titolo esemplificativo, la modifica dell'articolo 21 comma 1, lettere bb) e cc), della legge n. 157 del 1992, che ha permesso di archiviare la procedura EU Pilot 5391/13/ENVI – Vendita di passeri surgelati di provenienza tunisina.
  Nonostante le iniziative adottate ed i risultati fin'ora raggiunti, rimane tuttavia una situazione di illegalità diffusa e la competente direzione generale per la protezione della natura e del mare (PNM) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è da tempo attiva per rafforzare il contrasto del bracconaggio di uccelli sul territorio nazionale.
  In questo contesto, è in preparazione un piano di azione nazionale impostato per agire su sensibilizzazione, prevenzione e repressione dei fenomeni, con particolare riferimento alla necessità di rafforzare l'attività di vigilanza del territorio, nell'attuale fase di riorganizzazione del corpo forestale dello Stato e di passaggio delle competenze in materia di vigilanza faunistica derivante dalla chiusura delle Province.
  A tale scopo, a fine giugno 2016, si è tenuto presso il parco regionale Delta del Po Veneto uno specifico convegno tecnico, cui sono intervenuti numerosi rappresentanti di amministrazioni, associazioni ambientaliste e venatorie. I risultati del convegno e le successive osservazioni ricevute hanno permesso, con il supporto di ISPRA, di redigere una bozza del piano d'azione nazionale che è attualmente sottoposta a consultazione per poi procedere alla discussione in sede di comitato paritetico per la biodiversità e successivamente all'approvazione in sede di conferenza Stato-Regioni.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina e continuerà, comunque, a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   diverse città e regioni italiane avanzano la richiesta di diventare «libere» da pesticidi (sia in contesto agricolo che urbano), al fine della tutela ambientale e della salvaguardia della salute umana;
   al fine di raggiungere questo traguardo le città e le regioni intendono vietare tutte le sostanze attive nei pesticidi permessi dalla Unione europea e tutti i prodotti, permessi dallo Stato membro, basati sulle stesse sostanze;
   l'articolo 15 del decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, sancisce che, per proteggere l'ambiente, la salute e per salvare la biodiversità (comma 1), l'uso dei pesticidi dovrebbe essere limitato o anche vietato (comma 3, punto a) in aree specifiche ad uso della popolazione o di gruppi vulnerabili (comma 2);
   città regioni o villaggi possono diventare liberi da pesticidi o porre limiti al loro uso (sia in contesti agricoli che non agricoli) se sono in grado di provare che condizioni speciali e locali o particolarità regionali giustificano limitazioni nel loro uso o un divieto totale –:
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per integrare o specificare le disposizioni del decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, e le altre disposizioni in materia indicando a quali condizioni un'intera città, villaggio o regione possa essere ricompresa nella definizione di «area specifica»;
   quali condizioni e presupposti legati alla specificità del territorio possano essere assunte a motivazione del divieto completo d'uso di pesticidi, al fine della tutela dell'interesse pubblico;
   quali ulteriori iniziative concrete una città, regione o cittadina potrebbe attuare per estendere al proprio territorio il divieto/limitazione d'uso di pesticidi, al fine della tutela della salute umana e della biodiversità. (4-13599)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, riguardo alla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, la normativa nazionale relativa al monitoraggio e al controllo della presenza di sostanze inquinanti nelle acque ha recepito le disposizioni della vigente normativa comunitaria in materia, ossia la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, la direttiva 2008/105/CE e la direttiva 2006/118/CE.
  Le citate norme comunitarie e le norme nazionali di recepimento definiscono i criteri per la progettazione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio dei corpi idrici, individuano le Autorità competenti per le attività di monitoraggio, definiscono i requisiti minimi di prestazione dei metodi di analisi e il controllo di qualità, stabiliscono la lista delle sostanze inquinanti nei corpi idrici superficiali e sotterranei, i relativi standard di qualità, i valori soglia e le metodiche di analisi.
  Inoltre, nel gennaio del 2014, è stato adottato il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in attuazione della direttiva 2009/128/CE. Tale Direttiva riguarda solo i prodotti fitosanitari, mentre per i biocidi, la Commissione Europea sta predisponendo un atto specifico.
  Il predetto piano nazionale prevede una serie di azioni, la cui attuazione è demandata in parte alle regioni e in parte alle amministrazioni centrali competenti (Ministeri dell'ambiente, delle politiche agricole e della salute).
  Le regioni e le province autonome, individuate come autorità competenti dalla normativa nazionale, realizzano il monitoraggio nell'ambito del programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e sottopongono a monitoraggio nei corpi idrici superficiali le sostanze prioritarie e le altre sostanze che non consentono il conseguimento del buono stato entro le date fissate trasmettendo i risultati all'Ispra che li elabora e li valuta.
  Si sottolinea che, qualora le attività di monitoraggio evidenzino che gli standard di qualità o i valori soglia stabiliti rispettivamente per le acque superficiali e sotterranee non vengano rispettati, è necessario attuare le misure di ripristino che devono far parte dei cosiddetti «programmi di misure» dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui alla direttiva 2000/60/CE.
  Allo scopo di valutare l'efficacia delle azioni previste dal piano di azione nazionale, sono stati definiti con decreto del 15 luglio 2015 alcuni indicatori per valutare il grado di attuazione e l'efficacia delle misure previste. Tali indicatori si basano sui dati di monitoraggio forniti dalle regioni ed elaborati annualmente dall'Ispra.
  L'Ispra realizza il rapporto nazionale pesticidi nelle acque nel rispetto dei compiti stabiliti dal piano. Il rapporto contiene i risultati del monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee, le cui finalità sono quelle di rilevare eventuali effetti derivanti dall'uso dei pesticidi non previsti nella fase di autorizzazione e non adeguatamente controllati nella fase di utilizzo. L'istituto fornisce, altresì, gli indirizzi tecnico-scientifici per la programmazione e l'esecuzione del monitoraggio.
  Per quanto riguarda le sostanze da considerare nel monitoraggio, la normativa acque indica, come criterio generale, quello di esplorare tutte le potenziali fonti di contaminazione presenti sul territorio che potrebbero avere un impatto sulle acque. Nei fatti, però, la normativa esplicita solo un certo numero di pesticidi. Pertanto, per avere un quadro completo della possibile contaminazione da pesticidi, l'Ispra è impegnata nell'attività di indirizzo, in particolare per fornire criteri ed elenchi di sostanze prioritarie da inserire nel monitoraggio. I documenti di indirizzo prodotti sono sul sito web dell'Istituto (http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/rischio-ed-emergenze-ambientali/rischio-sostanze-chimiche-reach-prodotti-fitosanitari/rapporto-nazionale-pesticidi-nelle-acque).
  L'Ispra è altresì impegnata da anni a fornire tutte le informazioni necessarie alla messa in atto di un monitoraggio rappresentativo dei pesticidi, anche attraverso l'armonizzazione delle attività regionali, fornendo in tal modo un'informazione adeguata ai cittadini sullo stato della contaminazione ambientale da pesticidi, ma anche alle autorità competenti in materia per l'assunzione, quando necessario, di decisioni in materia di gestione del rischio.
  Al riguardo, tuttavia, si riscontrano ritardi in particolare in alcune regioni del sud Italia. Anche grazie all'azione di coordinamento di Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla collaborazione di Ispra con le agenzie regionali di protezione dell'ambiente, si stanno recuperando i ritardi.
  Con riferimento all'aggiornamento dei parametri, delle metodologie e dei valori utilizzati per il controllo e il monitoraggio delle acque, a livello nazionale si opera coerentemente alle norme vigenti a livello comunitario. Le stesse norme comunitarie, prevedono, infatti, un riesame e adeguamento periodico dei parametri e delle metodologie, ove necessario.
  La direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, ad esempio, prevede un riesame e una eventuale revisione e integrazione della lista delle sostanze di priorità ogni quattro anni.
  L'Italia, oltre a partecipare a tale attività, secondo i meccanismi puntualmente definiti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, assicura il proprio contributo, anche attraverso gli istituti di ricerca nazionali, ai tavoli di lavoro comunitari che preparano, a livello tecnico, le attività di riesame e revisione, quali, ad esempio, il gruppo di lavoro «sostanze chimiche» che opera nell'ambito della strategia comune di attuazione della direttiva quadro sulle acque.
  Anche riguardo alle acque sotterranee, la direttiva 2006/118/CE prevede un riesame periodico e un'integrazione dei parametri sottoposti a controllo. In proposito, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proceduto a predisporre la proposta di recepimento della direttiva 2014/80/Ue che, tra l'altro, introduce un nuovo parametro da sottoporre a monitoraggio. Nel provvedimento di recepimento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proposto l'introduzione di valori soglia nelle acque sotterranee per 5 composti perfluoroalchilici, sulla base della constatata diffusione a livello nazionale di tale sostanza nelle acque.
  Le Autorità competenti, cui la normativa assegna i compiti di monitoraggio e controllo dei corpi idrici, dispongono pertanto degli strumenti normativi e tecnici per la diagnosi dello stato dei corpi idrici, secondo i criteri e i metodi definiti dalla normativa europea.
  Peraltro, per quanto riguarda le azioni di tutela dell'ambiente acquatico, con decreto ministeriale del 10 marzo 2015, sono state stabilite linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile. Tali linee guida prevedono diciotto possibili misure di mitigazione del rischio, che possono essere adottate in relazione a diversi obiettivi di protezione e la cui scelta è demandata alle regioni e alle province autonome. I risultati derivanti dall'applicazione di tali misure in termini di minore impatto ambientale potrebbero essere valutati e apprezzati già a partire dal monitoraggio del 2017.
  Inoltre, con particolare riferimento alle problematiche relative all'utilizzo del glifosato quale principio attivo di alcuni erbicidi e del suo principale metabolita Ampa, si fa presente che sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti Direzioni Generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero della salute nonché dagli enti territoriali competenti, nel novembre 2015 l'Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso la valutazione dei dati presentati dall'industria produttrice e delle informazioni messe a disposizione dallo Iarc (Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro dell'organizzazione mondiale della sanità) in riferimento al prodotto roundup, l'erbicida contenente il principio attivo denominato glifosato.
  Nell'aprile 2015, lo Iarc aveva concluso la propria valutazione, ritenendo che il principio attivo in questione dovesse essere classificato come «probabile cancerogeno per gli esseri umani», mentre l'Efsa è giunta alla conclusione che risulta improbabile che il glifosato sia cancerogeno per l'uomo.
  Alle stesse conclusioni dell'Efsa è giunto anche lo stato membro rapporteur (Germania) che ha esaminato sia le informazioni dello Iarc sia i dati sperimentali forniti dall'industria produttrice.
  In questo quadro di incertezza scientifica a livello internazionale, la commissione europea ha ritenuto opportuno il rinvio della decisione attesa entro dicembre 2015, relativa al ritiro o al mantenimento del glifosato sul mercato, impegnandosi a presentare entro il 30 giugno 2016 una proposta di decisione da sottoporre al voto degli Stati membri, nell'ambito del Comitato permanente istituito ai sensi dell'articolo 58 del regolamento (CE) n. 178/2002,
  Il 16 maggio 2016 la commissione congiunta FAO e OMS, che ha il compito di stabilire i limiti massimi dei residui di pesticidi ammissibili nelle derrate alimentari, ha dichiarato che «è improbabile che l'assunzione di glifosato attraverso la dieta sia cancerogena per l'uomo» («Summary Report from the May 2016 Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues (JMPR)»).
  Nel corso dei lavori del comitato permanente piante, animali, alimenti e mangimi (sezione fitosanitaria) svoltisi a Bruxelles il 7-8 marzo 2016 e il 18-19 maggio 2016, la delegazione italiana ha manifestato il proprio avviso contrario alle proposte di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato presentate dalla commissione Unione europea rispettivamente per 15 e per 9 anni.
  Nell'ultima riunione del citato comitato, tenutasi il 6 giugno 2016, la Commissione europea ha sottoposto al voto degli Stati membri una nuova proposta che prevedeva il rinnovo temporaneo dell'autorizzazione (comunque non oltre il 31 dicembre 2017) per consentire all'agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) di concludere i lavori in corso per la classificazione armonizzata del glifosato. Riguardo a quest'ultima proposta, la delegazione italiana insieme ad altre delegazioni, tra cui quella francese e quella tedesca, si sono astenute, andando così a costituire una «minoranza di blocco» (in tale contesto l'astensione equivale ad un voto contrario). La Commissione ha pertanto annunciato che sottoporrà nelle prossime settimane la decisione al «Comitato di appello».
  In questo quadro, nel caso in cui la proposta della Commissione Unione europea fosse approvata, i prodotti erbicidi a base di glifosato potrebbero continuare ad essere commercializzati anche successivamente al 30 giugno 2016, fino ad una nuova decisione europea conseguente alla classificazione dell'Echa (attesa entro marzo 2017).
  Nel caso in cui la sostanza attiva fosse classificata dall'Echa come probabile cancerogeno, il suo impiego nei prodotti ad azione erbicida non sarebbe più ammesso sul territorio dell'Unione europea.
  Viceversa, qualora la classificazione del glifosato non indicasse questo tipo di pericolo o altri pericoli equivalenti, l'impiego del glifosato potrebbe continuare.
  Al di là della divergenza delle opinioni scientifiche sugli aspetti di tossicità per l'uomo da parte degli organismi scientifici internazionali sopra citati, è opportuno sottolineare che nel parere dell'Efsa sono state evidenziate alcune lacune di informazione riguardanti il potenziale di contaminazione delle acque superficiali, non adeguatamente considerate nella proposta di decisione presentata dalla Commissione europea.
  A tale proposito l'Ispra, sulla base dei dati di monitoraggio ambientale delle acque superficiali e sotterranee presentati di recente («rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2013-2014» – edizione 2016), ha evidenziato una contaminazione diffusa e significativa delle acque superficiali da parte del glifosato e del suo principale metabolita Ampa.
  Gli ultimi dati di monitoraggio si riferiscono anche alla regione Toscana, che dal 2014 si è aggiunta alla Lombardia, unica regione fino al 2013 ad aver inserito il glifosato (dal 2003) e il suo metabolita Ampa (dal 2007) nei piani di monitoraggio delle acque.
  La posizione contraria dell'Italia al rinnovo dell'autorizzazione del glifosato è stata motivata anche dalla constatazione che questa sostanza e il suo metabolita, se ricercati, risultano presenti e in quantità significative specialmente nelle acque superficiali.
  Pertanto, anche nell'ipotesi in cui in sede europea fosse approvata la proposta di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato, le amministrazioni italiane dovrebbero coerentemente mettere a punto appropriate misure di mitigazione del rischio.
  In conclusione, stante il processo attualmente in corso e le decisioni che saranno assunte entro breve a livello europeo, il Governo valuterà le iniziative più opportune da adottare in merito, al fine di assicurare la protezione dell'ambiente e la tutela della salute umana.
  Si fa presente, in via di ordine generale, che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Infine, si segnala che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio anche nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CATANIA e CIVATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 239) è stata introdotta e approvata dal Parlamento su proposta del Governo, a seguito dell'iniziativa referendaria promossa da 10 regioni, una modifica all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che introduce una disposizione tesa a prorogare «per la durata di vita utile del giacimento» le concessioni per la coltivazione offshore degli idrocarburi liquidi e gassosi nella fascia delle 12 miglia dalle linee di costa;
   la suddetta legge di stabilità articolo 1 comma 240, lettera b) ha soppresso il piano delle aree in cui consentire le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi a terra e a mare previsto dall'articolo 38, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;
   sia l'ufficio-centrale per i referendum della Corte di cassazione, in data 7 gennaio 2016, sia la Corte costituzionale, con la sua sentenza 17/2016 del 19 febbraio 2016, hanno stabilito che uno dei sei quesiti proposti dalle regioni potesse essere sottoposto a consultazione referendaria (che si terrà domenica 17 aprile 2016) perché come riportato nella sentenza della Corte costituzionale: «L`Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto che lo ius superveniens, nel sostituire la disposizione oggetto della richiesta referendaria, oltre ad avere abrogato parte degli originari secondo e terzo periodo del comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, abbia introdotto una modificazione della durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo “di vita utile del giacimento”, prevedendo, quindi, una “sostanziale” proroga degli stessi ove “la vita utile del giacimento” superi la durata stabilita nel titolo»;
   nel dossier del WWF (Trivelle insostenibili), trasmesso ai parlamentari il 6 aprile 2016, si apprende che 42 delle 88 piattaforme localizzate nella fascia delle 12 miglia dalla costa, essendo state costruite prima del 1986, anno in cui entrò in vigore in Italia la procedura di valutazione di impatto ambientale, VIA (ex articolo 6 della legge 8 luglio 1986 n. 349, in attuazione della direttiva comunitaria 85/337/CE), non sarebbero mai state sottoposte a VIA (elaborazione effettuata sui dati ufficiali pubblicati dall'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico, UNMIG);
   nello stesso dossier si documenta che l'età media delle piattaforme localizzate nella fascia delle 12 miglia è di circa 30 anni e che il 48 per cento del totale delle 88 piattaforme offshore ha oltre 40 anni;
   dai dati dell'UNMIG si evince che sul totale delle 88 piattaforme offshore, 8 sono classificate come «non operative» e 31 sono definite «non eroganti» –:
   se i Ministri interrogati non intendono assumere tutte le iniziative necessarie per quanto di competenza, affinché le piattaforme realizzate prima del 1986 vengano comunque sottoposte alla valutazione di impatto ambientale;
   se i Ministri interrogati non intendono assumere iniziative, per quanto di competenza affinché le 8 piattaforme offshore ENI classificate come «non operative», localizzate nella fascia delle 12 miglia dalle linee di costa, vengano smantellate dall'azienda responsabile provvedendo al risanamento ambientale e al ripristino dello stato dei luoghi, come stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se non si intenda promuovere un'indagine sulle 31 piattaforme offshore classificate come «non eroganti» per verificare quante di queste abbiano sospeso momentaneamente le loro attività produttive per lavori di manutenzione o se, al contrario, abbiano in realtà cessato definitivamente la produzione;
   se, nel caso in cui le suddette piattaforme «non eroganti» abbiano in realtà cessato definitivamente la produzione, non si intendano assumere iniziative affinché le aziende procedano allo smantellamento, provvedendo al risanamento ambientale e al ripristino dello stato dei luoghi, come stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative al più presto tese a ripristinare il piano delle aree in cui consentire le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi a terra e a mare, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda assumere iniziative per risolvere la confusione delle funzioni svolte da ISPRA – Istituto superiore – per la protezione e la ricerca ambientale (l'istituto di ricerca vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che con questo dicastero collabora funzionalmente), che, da un lato, risulta abbia incarichi e commesse da ENI per il monitoraggio ambientale delle piattaforme e, dall'altro, abbia un settore valutazioni d'impatto ambientale, inquadrato nella sezione valutazioni ambientali con il compito di assicurare il supporto dell'agenzia alle competenti strutture del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di valutazioni di impatto ambientale. (4-12780)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue,
  La legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, lo scorso 17 aprile si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale dei progetti e alle possibili criticità segnalate dagli interroganti, si evidenzia preliminarmente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di Valutazione di impatto ambientale (Via) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento Via, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  La verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si precisa che ai fini autorizzativi è comunque prevista l'intesa la con la regione o le regioni interessata. Difatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di Via sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte. Tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni,
  Si evidenzia, inoltre, che dopo l'incidente dei 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/Ue è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nei settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione europea e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/Ce del Parlamento europeo e del consiglio, dei 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Per quanto riguarda l'applicazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale ad impianti off-shore realizzati prima dell'entrata in vigore della normativa comunitaria, si premette che solo nel 1985 è stata emanata una prima direttiva comunitaria recante la disciplina in materia (direttiva 1985/337/Cee, poi sostituita dalla direttiva 2011/92/UE).
  Anche in tali casi l'amministrazione si attiene a quanto previsto dalla normativa comunitaria e nazionale di recepimento.
  In via generale, si procede con un esame caso per caso laddove, in relazione ad impianti preesistenti, siano proposte eventuali modifiche o occorra per la loro operatività l'acquisizione di nuove autorizzazioni.
  Si segnala, tuttavia, che le piattaforme per le quali non è stata svolta la Valutazione di impatto ambientale, in quanto installate precedentemente all'entrata in vigore della relativa normativa, sono comunque sottoposte, qualora aventi più di uno scarico emissivo, all'autorizzazione integrata ambientale (Aia).
  In particolare, secondo quanto previsto dall'articolo 29-decies del decreto legislativo 152/06, la verifica del rispetto dei valori limite di emissione stabiliti dalle Aia per le piattaforme di produzione a mare, viene effettuata dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in coordinamento con gli uffici territoriali di vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.
  In merito al «decommissioning» delle piattaforme non eroganti, trattandosi di materia riconducibile alla normativa sulla polizia mineraria, si è in attesa di acquisire ulteriori elementi.
  Ad ogni modo, si segnala che la normativa italiana è più restrittiva di quella comunitaria secondo la quale la trivellazione finalizzata ad estrarre gas e petrolio per poter determinare la convenienza commerciale del giacimento, non rientra tra i progetti per i quali è sempre obbligatoria la valutazione d'impatto ambientale. Difatti, come recentemente statuito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 11 febbraio 2015 nella causa C-531/13), la decisione sul se le trivellazioni esplorative debbano essere sottoposte o meno a Via spetta ai singoli Stati membri, che possono a tal fine fissare soglie e criteri applicativi oppure decidere di valutare singolarmente i vari progetti.
  L'Italia inoltre, diversamente da altri paesi, con la Strategia Energetica Nazionale del 2013 ha vietato il fracking (Idrocarburi a terra) e successivamente con la norma l'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 13 (cosiddetto «sblocca Italia») ha introdotto il divieto di ricerca e estrazione di shale gas e sbaie oil e il rilascio dei relativi titoli minerari, perché si è valutato che tali attività non sono compatibili con la politica ambientale del nostro Paese.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì attivato una proficua collaborazione con il RAM (Reparto ambientale marino) che, anche attraverso sopralluoghi, contribuirà al monitoraggio ambientale delle piattaforme marine oggetto di decreto Via, verificando il puntuale rispetto delle prescrizioni impartite.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Della questione sono comunque interessati anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato e svolgendo un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 156 del 7 settembre 2012, si è stabilito che gli enti locali fossero le strutture amministrative competenti a manifestare la volontà al mantenimento degli uffici locali del giudice di pace rientranti nella tabella allegata al suddetto decreto;
   il comma 2 dell'articolo 3 del suddetto decreto stabilisce che gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono chiedere il mantenimento degli uffici di che trattasi nonostante la prevista soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi;
   i consigli comunali di Giarre, Calatabiano, Fiumefreddo di Sicilia, Mascali, Milo, Piedimonte Etneo, Riposto e Sant'Alfio hanno deliberato il mantenimento a proprie spese degli uffici del giudice di pace a Giarre;
   le deliberazioni consiliari dei comuni citati contengono anche il riferimento agli oneri economici da assumere pro quota come specificato dal comma 2 dell'articolo 3;
   entro il 29 aprile 2014 il Ministro interrogato, in base alla circolare n. 72 del 12 settembre 2013, deve procedere all'emanazione del relativo decreto che individui le sedi degli uffici del giudice di pace mantenuti con oneri a carico degli enti locali;
   secondo quanto dispone la circolare appena citata, «laddove il decreto intervenga in tempo utile, l'efficacia delle disposizioni decorre dalla emanazione del medesimo provvedimento; in caso di mancata emanazione vale il termine ultimo...» del 29 aprile;
   le deliberazioni dei vari enti locali sulla volontà o meno di farsi carico degli oneri di mantenimento sono state tutte trasmesse al Ministero della giustizia –:
   quali siano i tempi di definizione della vicenda espressa in premessa e se il Ministro abbia intenzione di emanare il decreto di individuazione degli uffici a carico degli enti locali. (4-03380)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'onorevole interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per agevolare il ripristino degli uffici del giudice di pace, in presenza dell'interesse degli enti locali ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  È stato, pertanto, possibile rivalutare la soppressione di diversi presidi del giudice di pace in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
  La previsione di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che consente agli enti locali di ottenere il mantenimento di uffici del giudice di pace soppressi a condizione che si facciano carico dei relativi oneri economici e di personale, ha introdotto un modello di gestione della spesa del tutto innovativo nel nostro ordinamento.
  Con tale norma, infatti, il legislatore, all'esito del progetto di revisione della geografia giudiziaria, ha ritenuto di rimettere alla valutazione degli enti locali l'opzione della permanenza sul territorio di uffici del giudice di pace che erano stati soppressi in quanto risultati non strategici rispetto ai parametri utilizzati in un'ottica di generale efficienza del sistema giustizia.
  È stato, in tal modo, sperimentato un nuovo modello di cooperazione istituzionale, che ha inteso valorizzare il ruolo degli enti locali nella conservazione di presidi risultati, invece, non essenziali nel piano di generale riorganizzazione della geografia giudiziaria e che sarebbero stati, quindi, comunque soppressi.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CHIARELLI e PELILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del Ministero della giustizia, alcuni mesi fa, si era fatto riferimento alla possibile soppressione delle sedi distaccate delle corti d'appello di Bolzano, Sassari e Taranto, «là dove necessario – si vociferava – per rispettare gli standard minimi di efficienza»;
   l'avvocatura ionica si è opposta e si oppone con forza a questa ipotesi poiché la soppressione, a fronte di un grave disservizio per cittadini ed avvocati, non comporterebbe chissà quale risparmio al Governo e perché la sezione distaccata di Taranto mantiene gli standard di efficienza richiesti;
   dati statistici dimostrano che il numero di procedimenti giudiziari, in tale sede non è assolutamente diminuito rispetto a quando fu istituita la sezione distaccata;
   negli incontri con il Governo, interloquendo con il Ministro, i sottoscritti Parlamentari hanno presentato una attenta valutazione di argomentazioni e di dati, sfociati nell'intesa con il Governo a confermare lo stop alla chiusura della corte d'appello sede staccata di Taranto;
   di tale importante e soddisfacente risultato, si è data comunicazione attraverso una nota stampa, volta soprattutto a rassicurare le preoccupazioni della magistratura, dell'avvocatura e di tutti i dipendenti – lavoratori della corte d'appello, sezione staccata di Taranto;
   la camera penale di Taranto ha tuttavia proclamato uno sciopero dal 9 al 19 novembre, di tutti gli iscritti per protestare contro la paventata chiusura della corte d'appello sede staccata di Taranto, contro le logiche del risparmio e della spending review;
   il decreto-legge 132 del 2014 sul processo civile, in corso di conversione in legge, com’è noto, non ha previsto la soppressione delle sedi distaccate delle corti d'appello, di Bolzano, Sassari e Taranto –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se reputi che ci siano i presupposti per ritenere fondate tali preoccupazioni sulla chiusura della sezione staccata di Taranto, magari oggetto di futuri provvedimenti del Governo;
   come intenda intervenire al fine di rispondere a queste agitazioni che tra pochi giorni rischiano di rallentare ulteriormente la macchina della giustizia in una provincia già vessata, come quella di Taranto. (4-06750)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione della sezione distaccata di Taranto della corte d'appello del distretto di Lecce, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministero della giustizia intenda attuare le linee riformatrici annunciate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti d'appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CIRACÌ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Fasano, per effetto delle istanze inviate nei termini, prescritti dai comuni di Fasano e Cisternino, è stata inserita nell'elenco delle sedi di giudice di pace mantenuti in vita dal decreto ministeriale 7 marzo 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2014, n. 87 e recante «Individuazione delle sedi degli uffici del giudice di pace ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156»;
   in forza del suindicato dettato normativo, ai comuni veniva imposto di indicare i nominativi dei dipendenti da distaccare presso l'ufficio del Giudice di pace entro il 28 giugno 2014; nello specifico, i comuni di Fasano e Cisternino si erano impegnati, con atti deliberativi di giunta, a individuare rispettivamente due e un dipendente per la gestione dell'ufficio;
   il comune di Fasano assolveva al proprio impegno con comunicazione datata 27 giugno 2014, mentre nessuna comunicazione perveniva da parte del comune di Cisternino. Con missiva pervenuta al protocollo del comune di Fasano il 10 luglio 2014, l'ufficio del Giudice di pace di Brindisi, nello svolgimento delle funzioni di coordinamento all'interno del distretto, comunicava la convocazione dei dipendenti comunali indicati per il giorno 15 luglio ore 8000 presso il medesimo ufficio, al fine di avviare il periodo di formazione/affiancamento. Sta di fatto che il comune di Fasano, preso atto che i dipendenti precedentemente indicati avevano formalizzato la revoca della propria disponibilità al distacco e che, in ogni caso, mancava la terza unità lavorativa prevista dal piano del fabbisogno, la cui indicazione era a carico del comune di Cisternino, con missiva del 16 luglio 2014 comunicava tali circostanze al Giudice di pace di Brindisi e chiedeva autorizzazione a posticipare il periodo di formazione onde consentire l'individuazione di altri lavoratori; la missiva veniva inviata, altresì, al Ministero presso l'ufficio competente (dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi – direzione generale del personale e della formazione);

   alcun riscontro perveniva dal Ministero della giustizia tanto che, anche a seguito della mozione approvata dal consiglio comunale di Fasano il 5 settembre 2014, l'amministrazione comunale formalizzava un ulteriore sollecito a mezzo raccomandata a.r. trasmessa il 10 settembre 2014. L'esiguità dei tempi residui (il 29 ottobre è, nelle previsioni normative, l'ultimo giorno di «esistenza» delle sedi distaccate prima dell'accorpamento) impone che il Ministero adotti un preciso indirizzo a beneficio dei tanti comuni che, allo stato, vertono in situazioni simili a quella del comune di Fasano;
   in particolare, si rendono necessarie due forme di intervento:
    a) riaprire i termini per la formazione del personale a beneficio dei comuni che non ne avessero ancora beneficiato, posticipando dunque il termine del 29 ottobre per gli accorpamenti;
    b) preso atto della difficoltà da parte dei comuni ad individuare personale disponibile al «distacco», autorizzare i competenti uffici ministeriali a esercitare il comando dei dipendenti attualmente in forza alle sedi di Giudice di pace affinché essi vengano presi in carico dai relativi comuni sede degli uffici; ciò consentirebbe di avere personale già formato e di ovviare alle problematiche connesse al distacco di personale interno –:
   quali siano gli indirizzi del Ministro su tale argomento e quali forme di intervento si intendano adottare al fine di consentire il mantenimento dell'ufficio di Fasano e degli altri comuni che vertono in situazioni simili. (4-06653)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Fasano, in considerazione dell'interesse al mantenimento del presidio formalizzata dal comune.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Fasano.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Il comune di Fasano ha inteso avvalersi di tale facoltà richiedendo, con nota del 27 giugno 2014, il mantenimento del soppresso ufficio del giudice di pace avente sede nel medesimo comune.
  Con successiva comunicazione in data 16 luglio 2014, tuttavia, lo stesso comune comunicava la sopravvenuta indisponibilità delle risorse da avviare alla necessaria attività formativa, richiedendo una proroga del termine.
  Secondo le osservazioni pervenute dalla competente direzione generale, l'ente locale avrebbe, invece, dovuto individuare unità di personale alternative quale adempimento indispensabile e prodromico alla eventuale autorizzazione all'avvio a formazione oltre i termini previsti dalla circolare di attuazione del 15 aprile 2014.
  Di conseguenza, è stato adottato il decreto ministeriale di esclusione dell'ufficio del giudice di pace di Fasano dall'elenco delle sedi mantenute con oneri a carico degli enti locali, individuate dall'allegato I del già citato decreto ministeriale 10 novembre 2014 e successive modificazioni.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  Con il recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016 è stata, difatti, definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi con oneri a carico degli enti locali, in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
  Con il citato decreto, tuttavia, non è stato possibile disporre il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Fasano in quanto il comune ha formulato espressa revoca dell'istanza presentata.
  In presenza di un atto di natura abdicativa, in quanto la volontaria assunzione degli oneri connessi al funzionamento e alla erogazione del servizio giustizia da parte dell'ente locale richiedente il mantenimento della sede giudiziaria costituisce il presupposto necessario affinché si realizzi la fattispecie delineata dal citato articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, il Ministero non ha potuto che prendere atto del mutato orientamento del comune interessato, adottando le conseguenti determinazioni previste dalla legge.
  La revoca dell'istanza diretta al mantenimento dell'ufficio del giudice di pace comporta, difatti, il venir meno del requisito necessario a consentire la permanenza del presidio giudiziario, determinando automaticamente la vigenza delle disposizioni soppressive previste dai decreti legislativi n. 156 del 2012 e n. 14 del 2014, in attuazione della delega prevista dalla richiamata legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dopo gli annunci fallaci dell'ultimo biennio nessuno è più in grado di pronosticare una data di apertura per la cittadella giudiziaria di Salerno, posto che gli ostacoli sul cammino dei nuovi uffici sembrano aumentare: due mesi per verificare che tutti gli armadietti fossero assicurati al muro, un tempo Ancora da calcolare per l'acquisto di qualche tenda con cui coprire le gabbie dei detenuti e un'attesa che resta tuttora indefinita per i bandi di gara su vigilanza e pulizia, che languono al provveditorato delle opere pubbliche;
   a tracciare tale non rassicurante quadro è stato il 22 gennaio 2016 il nuovo presidente del tribunale, Giovanni Pentagallo, non nascondendone lo sconcerto: «La cittadella sarebbe pronta, ma intanto si è appreso che da una parete è caduto un armadietto, si è quindi deciso di controllare tutti gli agganci e per farlo si sono persi due mesi di passaggi di carte da un ufficio all'altro» e, come se non bastasse, qualcuno ha notato che dalla Lungoirno sono visibili le gabbie dei detenuti e, pertanto, si è deciso di ripararle con le tende, ma non è ancora chiaro se possa essere utilizzato il budget per la sicurezza o debba essere bandita una gara;
   la normativa che di recente ha trasferito dai comuni al Ministero i costi di gestione, poi, attribuisce a quest'ultimo la competenza anche sulle due gare d'appalto Ancora da bandire: per le pulizie e la vigilanza armata;
   la stessa presidente della corte d'appello di Salerno, Iside Russo, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016 ha rivendicato la necessità di dare un'accelerazione al completamento della cittadella giudiziaria, inaugurata dal comune almeno tre volte nel corso degli anni ma mai entrata in funzione, formulando un appello al rappresentante del Ministro presente alla cerimonia: «Si provveda con urgenza all'emanazione delle deleghe a favore dei funzionari a livello distrettuale per la stipula dei contratti nuovi e il rinnovo di quelli in scadenza», anche perché l'attuale situazione logistica risulta «inconcepibile e non più sostenibile», al punto che al Tribunale di Salerno «la carenza di aule ha perfino impedito la fissazione di ulteriori udienze da parte dei Got»;
   in particolare, la presidente Russo ha rilevato come proprio per questa carenza di spazi la soppressione della sezione di Eboli sia rimasta «meramente virtuale», perché in realtà quei locali si utilizzano ancora e una parte dei fascicoli che erano stati trasferiti a Salerno è stata rimandata indietro, con la conseguenza di udienze rinviate di mesi; per non parlare delle condizioni in cui versano i locali del giudice, dove i faldoni dei processi si accatastano nei corridoi e dove è la stessa relazione sull'anno giudiziario a segnalare la «assoluta carenza di misure di sicurezza e antincendio», le infiltrazioni di umidità, i bagni fatiscenti, un impianto elettrico «non a norma di legge e assolutamente insufficiente a reggere il carico attuale di energia elettrica indispensabile al funzionamento dei macchinari informatici e di climatizzazione»;
   ha incalzato Russo «Magistrati e personale amministrativo sono costretti a operare in spazi angusti, non essendo disponibili quelli della cittadella non si è provveduto neppure alla consegna del primo stralcio funzionale che contiene soltanto tre dei sei edifici che compongono la struttura»;
   le segnalazioni della presidente della corte d'appello sono suffragate dai numeri, che riflettono una condizione intollerabile nella logistica della gestione della giustizia a Salerno e una situazione allarmante per una recrudescenza dell'attività criminale: a Salerno e provincia i soli reati di riciclaggio hanno registrato un aumento dell'80 per cento, crescono anche quelli di bancarotta fraudolenta e quelli societari, i reati contro la pubblica amministrazione, le estorsioni, gli atti persecutori come lo stalking e, fenomeno sempre più preoccupante, i reati di stampo mafioso;
   nonostante la già drammatica situazione registrata, tra carenze di spazi, sovraccarico di lavoro derivante dall'accorpamento delle sedi giudiziarie, carenze di organico e di misure di sicurezza minime, vi è l'ulteriore rischio della soppressione della corte d'appello di Salerno che potrebbe essere accorpata a Napoli, con inevitabili e prevedibili drammatiche conseguenze sul diritto del cittadino alla ragionevole durata e qualità del processo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative ritenga opportuno adottare per garantire tempi celeri e certi per l'apertura della cittadella giudiziaria di Salerno, nonché per scongiurare il rischio di soppressione della corte d'appello di Salerno, come previsto dalla riforma della geografia giudiziaria. (4-12147)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'onorevole interrogante evidenzia situazioni di criticità esistenti presso gli edifici destinati ad uso giudiziario di Salerno, chiedendo notizie riguardo i tempi necessari all'ultimazione del nuovo plesso ed alla paventata soppressione, nell'ambito di una ulteriore revisione della geografia giudiziaria, della corte d'appello.
  Con riferimento ai tempi necessari alla compiuta ultimazione della cosiddetta «cittadella della giustizia» va, preliminarmente, evidenziato che – come noto – la programmazione e la realizzazione di edifici pubblici destinati ad uso giudiziario involge l'intervento di molteplici attori istituzionali, soprattutto quando si tratti della nuova edificazione di strutture complesse, destinate alla concentrazione di tutti gli uffici nel medesimo contesto edilizio.
  I lavori di realizzazione del nuovo plesso giudiziario di Salerno, che risponde ad esigenze di razionalizzazione degli spazi e della spesa, anche al fine di contenere gli ingenti oneri per locazioni passive, sono ormai avviati alla conclusione ed alcuni edifici sono stati già in parte consegnati all'amministrazione.
  Rappresento, difatti, che la competente articolazione ministeriale ha riferito come – secondo informazioni acquisite dai capi degli uffici giudiziari – entro il corrente anno 2016 avranno inizio le operazioni di trasloco nei nuovi locali di alcuni uffici del settore civile e fallimentare del tribunale ordinario di Salerno.
  Ha, altresì, evidenziato la direzione generale delle risorse e delle tecnologie che il tempo necessario al completamento delle operazioni di trasferimento dipenderà dalle modalità organizzative che saranno adottate al fine di garantire la continuità del servizio e delle attività giudiziarie nel corso dei medesimi interventi.
  Per quanto attiene alle opere di completamento di parti della cittadella della giustizia non ancora terminate, gli uffici competenti hanno evidenziato come, in seguito alla concessione di finanziamenti per l'importo di circa 26.500.000 euro, sono stati appaltati e affidati da parte del comune di Salerno i lavori del secondo stralcio esecutivo del progetto, la cui ultimazione è prevista entro la fine del prossimo anno.
  Gli interventi di completamento riguardano, in particolare, la definizione edilizia e impiantistica dei fabbricati assegnati alla Corte d'appello, alla procura generale presso la corte d'appello, al tribunale di sorveglianza e alla procura della Repubblica.
  La completa esecuzione dei lavori necessari per la realizzazione degli impianti di sicurezza e protezione delle strutture ricadenti nel secondo stralcio funzionale del nuovo complesso e quelli inerenti al trasloco degli uffici potrebbe – secondo quanto prospettato – comportare il differimento della completa utilizzazione della cittadella giudiziaria sino ai mesi estivi del 2018.
  In considerazione della pluralità delle concorrenti competenze dei diversi soggetti istituzionali coinvolti nel procedimento di ultimazione dell'opera pubblica, si rassicura l'interrogante che il Ministero della giustizia porrà in essere, con la massima tempestività, tutte le attività di propria competenza necessarie ad assicurare la completa destinazione ad uso giudiziario della nuova struttura.
  Con riferimento, invece, alla questione relativa alla soppressione della corte d'appello salernitana, si osserva quanto segue.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine ho, pertanto, istituito una apposita commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi ed indagine, finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale, e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 hanno dato il via a un non condivisibile piano di riordino degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, con la soppressione di 30 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;
   il 30 giugno 2015, al termine del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio e il Ministro della giustizia presentavano in conferenza stampa i 12 punti da cui partire per la riforma del sistema giudiziario italiano, tra i quali, al punto 11, «misure per l'ulteriore razionalizzazione della geografia giudiziaria»;
   come si legge sul sito dello stesso Ministero, «La riforma della geografia giudiziaria del 2012 ha soppresso 30 tribunali e i corrispondenti uffici di Procura, ma ha dovuto realizzarsi negli angusti confini della legge di delega originaria[...]. Pertanto, occorre por mano al necessario superamento di quelle condizioni e, dunque: a) abbandonare la regola che ha imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello; b) rimuovere il divieto di soppressione dei tribunali con sede nei capoluoghi di provincia, a prescindere dalla conformità ad altri parametri funzionali.»;
   a breve il Governo dovrebbe adottare un decreto che, come quelli del 2012, prevedrà nuovi ed ulteriori tagli alla geografia giudiziaria: saranno ridotte le corti di appello e i tribunali primo grado;
   secondo le prime notizie trapelate, entro fine mese, la commissione incaricata di predisporre il nuovo testo sull'organizzazione degli uffici giudiziari, rilascerà la bozza del provvedimento che poi verrà discusso e approvato dal Consiglio dei ministri;
   già l'intervento legislativo di quattro anni fa era stato un vero e proprio terremoto, che aveva determinato la protesta, rimasta inascoltata, di molti avvocati stabiliti presso le sedi soppresse;
   ora arriva la nuova pretesa «cura dimagrante» in linea, peraltro, con il preteso intento dello Stato non solo di ridurre i fascicoli arretrati sulle scrivanie dei giudici e ancora non definiti, ma lo stesso «potenziale» contenzioso, stimolando le forme di contrattualizzazione della giustizia e portando fuori dai tribunali la soluzione delle liti;
   in particolare, il nuovo testo sembrerebbe aver preso principalmente di mira le Corti d'appello al fine di istituire, in linea tendenziale, una sola corte d'appello per regione, cancellando tutte le sezioni distaccate; inoltre, si starebbe tentando di ridurre «mediante attribuzione di circondari o porzioni di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, il numero delle Corti di appello esistenti, secondo i criteri oggettivi dell'indice delle sopravvenienze, dei carichi di lavoro, del numero degli abitanti e dell'estensione del territorio, tenendo comunque conto della specificità territoriale del bacino di utenza»;
   attualmente solo sei distretti di corte d'appello superano i 4 milioni di abitanti (Milano, Roma, Venezia, Napoli, Torino e Bologna), ossia il 20 per cento del totale; solo 4 distretti (Firenze, Brescia, Bari e Palermo) superano i 2 milioni di abitanti amministrati e nove distretti superano un milione di abitanti (Catania, Genova, Ancona, Catanzaro, Trieste, L'Aquila, Lecce, Cagliari e Salerno);
   con i medesimi criteri dovrebbero avvenire i tagli dei tribunali e, pertanto, essi saranno interessati da una riduzione «tenendo di mira l'efficienza e la specializzazione delle funzioni e dei risparmi di spesa»;
   in ultimo, viene predisposto un ruolo speciale di magistrati, sia giudicanti, sia requirenti, da destinare con delibera del Consiglio superiore della magistratura, per un periodo non superiore a 5 anni, agli uffici in maggiore sofferenza;
   tale impostazione, a giudizio dell'interrogante, disegna, se mai ce ne fosse stato bisogno, uno Stato che arretra sulla giustizia e sulla possibilità di perseguire il crimine e, conseguentemente, uno Stato che arretra nei servizi al cittadino e che rende sempre meno accessibile la giustizia con sempre maggiori oneri a carico degli italiani, trasformando la giustizia da diritto a privilegio di pochi;
   quella che all'interrogante appare una incosciente indifferenza riservata dalle istituzioni alla situazione di grave emergenza della giustizia su tutto il territorio nazionale condurrà all'implosione del sistema giustizia e, nel settore penale, alla compressione dei diritti fondamentali assicurati dagli articoli 24 e 111 della Carta costituzionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in considerazione di una possibile paralisi generale della macchina giudiziaria, se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per mantenere i presidi giudiziari necessari o, almeno, valutare l'opportunità di una soluzione alternativa che non lasci i territori ed i cittadini sforniti di un presidio di giustizia. (4-12708)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la riduzione del numero degli uffici giudiziari di secondo grado, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici annunciate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti d'appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della nazionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Delta del Po rappresenta un'importante zona di sosta, riproduzione, svernamento per uccelli migratori, in particolare acquatici e le valli, lagune, i tratti terminali dei rami del fiume Po sono oggi sito di importanza europeo e riconosciuto come patrimonio dalle organizzazioni internazionali;
   con la legge n. 36 del 1997 la regione del Veneto ha istituito il parco regionale del delta del Po veneto che comprende i rami deltizi del Po e porzioni di valli e di lagune;
   l'intera area purtroppo è interessata da un intenso fenomeno di bracconaggio;
   le associazioni in difesa dell'ambiente hanno, da tempo, segnalato il perdurare di attività di caccia illegale, praticata ai danni dell'avifauna migratoria in tutto il comprensorio lagunare e vallivo del Delta del Po;
   dal 2004 ad oggi, si riscontra la presenza di bracconieri in azione;
   un centinaio di episodi sono stati segnalati alle autorità competenti poiché l'attività venatoria veniva eseguita con l'uso di registratori con il verso degli uccelli e di armi semiautomatiche con caricatore contenente più di due cartucce, vietate dalla cosiddetta direttiva «Uccelli» dell'Unione europea e dalla legge n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica e della caccia;
   per diverse ragioni la vigilanza effettuata dagli organismi preposti si è rivelata del tutto inadeguata ad affrontare il fenomeno che negli anni non è diminuito ma si è sempre più consolidato;
   nel 2007, la polizia provinciale di Rovigo ha sequestrato, nel corso di un singolo controllo, oltre 700 uccelli abbattuti in una valle da pesca in violazione del limite consentito di uccelli abbattibili;
   numerosi sono stati, nel tempo, i recuperi di uccelli non cacciabili feriti o uccisi dai bracconieri tra quali l'uccisione di una gru (Grus grus) o l'abbattimento in passato di specie protette, quali ad esempio il biancone (Circaetus gallicus), il fenicottero (Phoenicopterus ruber), specie, queste, inserite tutte nell'allegato I della cosiddetta direttiva «Uccelli», che elenca le specie oggetto di maggiore protezione;
   in data 29 novembre 2015, con lettera indirizzata a presidente della provincia di Rovigo – assessore alla caccia e pesca, al Dirigente dell'ufficio caccia della provincia di Rovigo, ai parlamentari locali e ai consiglieri della regione Veneto, con oggetto «Segnalazione di reati in materia di caccia e richiesta di messa in atto di azioni di contenimento del fenomeno del bracconaggio nel Delta del Po», il presidente del Wwf, sezione di Rovigo, ha segnalato una situazione di grande allarme relativamente al bracconaggio in atto nel Delta del Po;
   in data 2 gennaio 2016, tale fenomeno illegale ha avuto l'attenzione di un'importante trasmissione televisiva nazionale di denuncia, con la messa in onda di un servizio dedicato a «La mattanza sul Delta del Po»;
   sono state documentate attività di bracconaggio diffuso da parte di cacciatori, con armi non consentite dalla legge sulla caccia; richiami vivi legati con una corda; utilizzo di richiami elettroacustici; utilizzo di munizioni vietate –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di contrastare il fenomeno del bracconaggio nel Delta del Po, tutelando la fauna selvatica migratrice, quali siano i possibili piani di rafforzamento delle attività di controllo e, non ultimo, come sia possibile intervenire per irrogare sanzioni adeguate ove vengano riscontrate infrazioni alle leggi o se sia possibile assumere iniziative normative per dissuadere o limitare il fenomeno del bracconaggio venatorio nel Delta del Po. (4-12210)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa a fenomeni di bracconaggio nel delta del Po, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  Il quadro generale, per quanto attiene il bracconaggio, può essere sintetizzato come un fenomeno in progressivo calo negli ultimi decenni e in molte realtà locali, si veda per esempio la situazione dello Stretto di Messina dove la pratica degli abbattimenti di rapaci, e in particolare del falco pecchiaiolo (pernis apivorus), è stata quasi totalmente debellata.
  Ad ulteriore conferma della riduzione del fenomeno del bracconaggio, dai dati del corpo forestale dello Stato risulta che durante l'operazione «pettirosso», svolta annualmente nelle valli bresciane contro l'uso delle trappole ad archetto per rifornire i ristoranti di uccelli selvatici, nel 2015 sono stati rinvenuti 310 archetti, contro le migliaia sequestrate in passato.
  Questi risultati sono stati ottenuti grazie all'attività normativa, ad un forte impegno degli organi di polizia (principalmente corpo forestale dello Stato, guardie provinciali, guardie volontarie previste dalla legge n. 157 del 1992) ed alla collaborazione di numerose associazioni e volontari, nonché con il contributo di progetti Life, fra gli ultimi si cita per esempio il progetto Life Leaving Is Living, per la tutela degli uccelli migratori in Sardegna.
  Per quanto riguarda le iniziative normative, si segnala, a solo titolo esemplificativo, la modifica dell'articolo 21 comma 1, lettere bb) e cc), della legge n. 157 del 1992, che ha permesso di archiviare la procedura EU Pilot 5391/13/ENVI – Vendita di passeri surgelati di provenienza tunisina.
  Nonostante le iniziative adottate ed i risultati finora raggiunti, rimane tuttavia una situazione di illegalità diffusa e la competente direzione generale per la protezione della natura e del mare (PNM) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è da tempo attiva per rafforzare il contrasto del bracconaggio di uccelli sul territorio nazionale.
  In questo contesto, è in preparazione un piano di azione nazionale impostato per agire su sensibilizzazione, prevenzione e repressione dei fenomeni, con particolare riferimento alla necessità di rafforzare l'attività di vigilanza del territorio, nell'attuale fase di riorganizzazione del corpo forestale dello Stato e di passaggio delle competenze in materia di vigilanza faunistica derivante dalla chiusura delle province.
  A tale scopo, a fine giugno 2016 si è tenuto presso il parco regionale delta del Po Veneto uno specifico convegno tecnico, cui sono intervenuti numerosi rappresentanti di amministrazioni, associazioni ambientaliste e venatorie. I risultati del convegno e le successive osservazioni ricevute hanno permesso, con il supporto di Ispra, di redigere una bozza del piano d'azione che è attualmente sottoposta a consultazione per poi procedere alla discussione in sede di comitato paritetico per la biodiversità e successivamente all'approvazione in sede di conferenza Stato-Regioni.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina e continuerà, comunque, a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 2016 con proprio decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fissato un limite di contaminazione ambientale per le sostanze PFOA, PFOS e altri PFAS;
   l'EFSA aveva già fissato, a titolo precauzionale la dose giornaliera massima di assunzione (TDI) per PFOS a 150 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno mentre per il PFOA, una TDI pari a 1,5 microgrammi (1.500 nanogrammi) per chilogrammo di peso corporeo al giorno;
   in una nota inviata alla regione Veneto l'Istituto superiore di sanità (ISS) ha proposto di «applicare agli scarichi nei corpi idrici, limiti non dissimili ai livelli di performance (obiettivo) già indicati per le acque trattate destinate al consumo umano. Nello specifico: PFOS ≤ 0,03 µg/L, PFOA ≤ 0,5 µg/L, PFBA ≤ 0,5 µg/L e altri PFAS ≤ 0,5 µg/L», indicazioni che sono state inserite nel decreto del direttore della sezione tutela ambientale della regione Veneto n. 37 del 29 giugno 2016;
   nel decreto del 6 luglio 2016 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fissato un limite massimo per la presenza del contaminante PFOA+PFOS nelle acque potabili pari a 6 mila ng/I (il limite di PFOA+PFOS delle acque in uscita dallo scarico del depuratore nella zona contaminata in precedenza era fissato a 15.000 ng/L), mentre questo caso l'ISS aveva fissato la soglia a 500 nanogrammi per litro;
   le sostanze perfluoro alchiliche a catena lunga (ovvero PFOS e PFOA) non sono più utilizzate, mentre quelle a catena corta (gli PFAS appunto) risultano tuttora in produzione;
   per quanto concerne i valori limite per gli altri PFAS, al contrario delle indicazioni dell'ISS, nel decreto il Ministero non li ha indicati –:
   quali siano le ragioni e le basi scientifiche per le quali per i limiti PFOA+PFOS non sono state seguite le indicazioni dell'Istituto superiore di sanità;
   quali siano le ragioni per le quali non sono stati indicati limiti per le altre sostanze PFAS ovvero se ciò sia avvenuto in ragione del fatto che i limiti per quelle sostanze sono stati fissati dalla regione Veneto acclarando, con questo, che occorre far riferimento ai parametri stabiliti con il decreto del direttore della sezione tutela, ambientale n. 37 del 29 giugno 2016;
   per quanto riguarda invece il limite fissato dal Ministero su PFOS e PFOA, se i limiti fissati possano essere utilizzati per avviare o meno un'eventuale operazione di bonifica della zona contaminata. (4-14181)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero si rappresenta quanto segue.
  Le sostanze perfluoroalchiliche sono composti formati da una catena alchilica di lunghezza variabile totalmente fluorurata e da un gruppo funzionale costituito da un acido carbossilico o solfonico. Le sostanze a catena lunga appartenenti a questa famiglia chimica, maggiormente utilizzate in passato sono l'acido perfluorottanoico (Pfoa) e l'acido perfluorottansolfonico (Pfos).
  Il Pfoa, con il regolamento (Unione europea) n. 317 del 2014, è stato inserito nell'allegato XVII al regolamento (CE) n. 1907/2006 («regolamento Reach»), che stabilisce restrizioni per le sostanze tossiche per la riproduzione. Grazie a tali restrizioni, il PFOA non è più immesso sul mercato per la vendita al pubblico come sostanza o come componente di miscele di più sostanze.
  Il PFOS, con il regolamento (Unione europea) n. 757 del 2010, è stato inserito, a causa delle sue proprietà di persistenza nell'ambiente e bioaccumulo, nell'allegato 1 al regolamento (CE) n. 850 del 2004, che attua la convenzione internazionale di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti. A seguito di tale inserimento, la produzione, l'immissione in commercio e l'uso del PFOS sono stati vietati in tutti i Paesi dell'Unione Europea.
  Infine, con il decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172, che recepisce la direttiva 2013/39/Ue per le sostanze prioritarie nel settore delle acque, è stato fissato lo « standard di qualità ambientale» relativo al PFOS.
  Per quanto riguarda le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, non sono state attivate dalla Commissione europea procedure per l'adozione di restrizioni in relazione a specifiche caratteristiche di pericolosità ambientale o sanitaria. La Norvegia ha recentemente avviato un'attività di valutazione per stabilire se una di queste sostanze (Pfbs, numero CAS 375-73-5) risponda ai criteri stabiliti dal regolamento Reach per l'identificazione delle sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT) o molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB). Al termine di tale processo di valutazione, tutt'ora in corso, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) e gli Stati membri dell'Unione europea stabiliranno se per questa sostanza perfluoroalchilica a catena corta occorra adottare specifiche misure di gestione del rischio o particolari restrizioni.
  Maggiori informazioni sulla eventuale pericolosità delle sostanze attualmente utilizzate, comprese le sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, potranno essere messe a disposizione delle autorità nazionali e della Commissione europea, oltre che dell'Echa, non appena sarà completata la fase di registrazione delle sostanze chimiche presenti sul mercato, la cui conclusione è prevista, ai sensi del regolamento Reach, entro il 31 maggio 2018.
  In relazione agli aspetti relativi alla definizione dei valori soglia concernenti i Pfas per le acque sotterranee, riportati nel decreto ministeriale del 6 luglio 2016, si precisa quanto segue.
  Il decreto ministeriale 6 luglio 2016 (pubblicato in gazzetta il 16 luglio 2016) con cui sono stati fissati i valori soglia (VS) che definiscono il buono stato chimico delle acque sotterranee, costituisce l'atto di recepimento della direttiva 2014/80/Ue per la protezione delle acque sotterranee e fa seguito ad un'attività già avviata da anni dal Ministero e che ha portato nell'ottobre del 2015 alla formalizzazione del citato decreto legislativo n. 172 del 2015 che, in attuazione della direttiva 2013/39/Ue, definisce altresì gli standard di qualità ambientale (SQA) per le acque superficiali.
  Tali provvedimenti sono il frutto di un lavoro intenso portato avanti nell'ambito di un gruppo tecnico di lavoro appositamente costituito nel 2013 e coordinato dal Ministero dell'Ambiente, di cui fanno parte esperti dei principali istituti scientifici nazionali (Ispra, Cnr-Irsa, Iss).
  Nella fissazione di tali valori il gruppo tecnico ha applicato le procedure rigorose disciplinate a livello europeo nell'ambito della direttiva quadro 2000/60/Ce, facendo riferimento in particolare alle linee guida, emanate dalla commissione europea, «Guidarne on groundwater status and trend assessment» n. 18 del 2009 e « Technical Guidarne for deriving environmental quality standards» (Tgd-Eqs) n. 27 del 2011.
  L'intera procedura è della massima trasparenza e tutti i dati utilizzati e i calcoli effettuati sono stati pubblicati in una rivista internazionale sottoposta a referaggio internazionale indipendente (Valsecchi et al., 2016) e sono disponibili sul sito (https://www.researchgate.net/publication/301743024 Deriving–environmental quality standard sfor perfluorooctanoic acid PFOA and related short chain perfluorinated alkvl acids ?ev=prf pubehttps://www.researchgate.net/publication/302961889 Dossiers for EQS PFAS-SupplMaterial JHM ?ev=prf pub).
  Per ciascuna sostanza presa in esame sono stati calcolati standard di qualità (QS) per ciascuno degli obiettivi di protezione previsti dalla Tgd-Eqs, purché risultino disponibili dati di quantità e qualità sufficiente alla definizione degli stessi secondo i requisiti della Tgd-Eqs stessa. Una volta stabiliti gli standard di qualità per ciascuno degli obiettivi di protezione, inclusa la protezione della salute umana per il consumo di acqua potabile, il valore più protettivo tra tutti questi è stato adottato come standard di qualità ambientale (Sqa) per quella sostanza.
  Si evidenzia che l'applicazione della suddetta procedura di derivazione dei VS e degli Sqa richiede ovviamente la disponibilità dei dati di monitoraggio, ragion per cui è stato possibile definire i suddetti parametri solo per alcuni Pfas.
  Successivamente, allorché a seguito dell'attuazione dei programmi di monitoraggio previsti nei piani di gestione relativi al sessennio 2015-2021 aumenterà la disponibilità di dati, sarà possibile inserire nella valutazione dello stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei altri composti appartenenti alla famiglia dei Pfas.
  È inoltre necessario evidenziare che il gruppo di lavoro, tenendo conto della metodologia prevista dalla direttiva 2000/60/Ce, ha deciso di derivare valori per sostanze singole e non per sommatorie di sostanze per le quali l'incertezza valutativa e analitica risulta maggiore.
  A valle della descrizione del percorso seguito per la definizione dei valori soglia per le acque sotterranee, si sottolinea che tali valori concorrono a stabilire il buono stato chimico dei corpi idrici sotterranei e discendono da metodologie di derivazione e scopi diversi dai limiti sanitari delle acque potabili. Essi sono comunque ricavati tenendo conto di tutti i dati di tossicologia umana ed ambientale presenti nella letteratura scientifica, come previsto dalla linea guida CIS (Common implementation strategy) n. 18 « Groundwater status and trend assessment» e dalla direttiva europea per la protezione delle acque sotterranee (2006/118/CE).
  Bisogna altresì ricordare che la maggior parte delle acque, anche se estratte da pozzi che attingono a falde sotterranee, vengono sottoposte a trattamento di abbattimento degli inquinanti e disinfezione, per cui non vi è nessuna controindicazione al fatto che i valori soglia per le acque sotterranee o anche gli SQA per le acque superficiali siano superiori ai limiti di potabilità, pur tenendo conto che è necessario minimizzare al massimo i trattamenti di potabilizzazione, come prevede la direttiva quadro acque.
  I limiti per le acque potabili proposti da ISS si basano prioritariamente su criteri sanitari, nonostante le incertezze sugli aspetti tossicologici che emergono dalla letteratura più recente, affermando contestualmente la necessità che tali sostanze siano «assenti» e per tale ragione si indicano dei limiti di «performance», basati sulle BAT (Best Available Techniques — Migliori tecniche disponibili) di rimozione dei contaminanti. I limiti definiti per i Pfas nelle acque destinate al consumo perseguono l'obiettivo di raggiungere, anche attraverso trattamenti di potabilizzazione delle acque captate basati sulle migliori tecnologie, la «virtuale assenza» dei composti prima del consumo. Tale aspetto si inquadra nei criteri espressi al considerando (8) della direttiva 98/83/Ce sulla qualità delle acque destinate al consumo umano secondo cui «per consentire alle imprese erogatrici di rispettare le norme di qualità per l'acqua potabile, occorre garantire – grazie a idonee misure di protezione delle acque – la purezza delle acque di superficie e sotterranee; che lo stesso scopo si può raggiungere applicando opportune misure di trattamento delle acque prima dell'erogazione». I valori parametrici per le acque potabili possono essere definiti anche ampiamente al di sotto di soglie di sicurezza basate su criteri tossicologici e tale approccio ha ispirato la fissazione dei limiti sulle acque potabili in Veneto considerando la natura antropogenica dei PFAS che non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano.
  Infine, per quanto riguarda i valori di riferimento per i PFAS da applicare per eventuali operazioni di bonifica, si rappresenta che il procedimento di bonifica oggetto dell'interrogazione non è di competenza di questo Ministero, trattandosi di area non ricadente all'interno di un sito da bonificare di interesse nazionale (SIN); inoltre, trattandosi di sostanza non prevista dall'allegato 5 alla Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'eventuale adozione di un valore limite di concentrazione (CSC) per la bonifica deve essere richiesta nell'ambito del procedimento di competenza regionale dal responsabile del procedimento medesimo ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Infine, si evidenzia che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i «precari della giustizia» sono quei tirocinanti cassa integrati, in mobilità, disoccupati ed inoccupati, che da maggio 2010 svolgono tirocini formativi negli uffici giudiziari;
   il loro percorso inizia con la stipula di convenzioni, finanziate con fondi sociali europei, tra le amministrazioni giudiziarie e gli enti locali finalizzata da un lato a tamponare la gravissima carenza di organico e garantire la prosecuzione delle attività giudiziarie e dall'altro a dar vita ad una serie di politiche attive del lavoro per promuovere l'occupazione, l'inserimento ed il reinserimento lavorativo;
   il primo progetto pilota, risalente a maggio 2010, è a firma dell'allora presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti e dell'allora presidente del tribunale civile e penale di Roma Paolo De Fiore;
   nei mesi successivi, il progetto — di evidente successo visti gli importanti risultati conseguiti — viene replicato in tutta Italia e prosegue nel 2011 sempre col medesimo ente utilizzatore (Ministero della giustizia), mentre l'ente erogatore in alcuni casi subisce un cambio: per esempio, nel Lazio le province vengono sostituite dall'ente regione;
   i presidenti delle corti di appello, i procuratori, i presidenti dei tribunali e, su tutti, il presidente della Suprema Corte di cassazione ed il procuratore generale iniziano a mettere per iscritto i loro attestati di stima ed a richiedere continuità al Ministero, viste le competenze acquisite dai tirocinanti nei 24 mesi di formazione e vista la situazione sempre più critica degli uffici giudiziari;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, nel 2012 si apre una nuova stagione in cui il Ministero prende coscienza del bacino di lavoratori formati e capaci di dare il giusto supporto al personale di ruolo schiacciato da eccessivi carichi di lavoro;
   con apposito emendamento, viene inserito nella legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013), il comma 25 dell'articolo 1, con il quale si prevede un finanziamento di 7,5 milioni di euro per una platea di poco più di 3000 lavoratori, per proseguire la formazione, cosiddetto tirocinio di completamento, direttamente alle dipendenze del Ministero della giustizia, con pagamento delle indennità in maniera diretta dalle corti d'appello e con relativa certificazione CUD: per la prima volta ente erogatore ed ente utilizzatore sono lo stesso soggetto;
   nella legge di stabilità per il 2014 (la n. 147 del 2013) il comma 344 dell'articolo 1 prevede uno stanziamento di 15 milioni di euro da vita al cosiddetto «tirocinio di perfezionamento»;
   di tale somma 8,5 milioni vengono utilizzati in due tranches nel 2014, altri 5 milioni (secondo quanto previsto dal decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative convertito, con modificazioni, con la legge 27 febbraio 2015, n. 11) vengono utilizzati nel 2015 fino al 30 aprile. 1,5 milioni, invece, non vengono, di fatto, utilizzati;
   per l'anno 2015, nella legge di stabilità non sono state inserite previsioni normative inerenti i lavoratori in questione, nonostante sia previsto l'utilizzo dei tirocinanti all'interno dell'ufficio per il processo ai sensi dell'articolo 50, comma 1-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con la legge n. 114 del 2012;
   pertanto, a partire dal 1° maggio 2015 non solo 2.650 lavoratori subiranno l'ennesima espulsione dal mondo del lavoro e non potranno, di fatto, spendere il bagaglio formativo acquisito trattandosi di competenze e conoscenze specifiche ed altamente settoriali. Inoltre, gli uffici giudiziari non potranno più contare sul supporto di chi, formato, completato e perfezionato, ha, affiancato a tutti gli effetti il personale interno. Pertanto, si realizzerà, di nuovo, l'incubo dello sperpero di risorse pubbliche, dal momento che sono stati utilizzati fondi europei prima e fondi del bilancio dello Stato poi, per insegnare a 2.650 lavoratori un lavoro che non svolgeranno mai;
   alla luce di tutto quanto esposto, al deputato interrogante è stata prospettata la sussistenza degli elementi necessari per ragionare, seriamente, su un percorso che porti ad una contrattualizzazione di tutti i 2.650 lavoratori nel rispetto delle norme del pubblico impiego attraverso procedure selettive;
   peraltro, le «esigenze temporanee ed eccezionali» indicate nell'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, così come modificato dall'articolo 49 della legge n. 133 del 2008, che consentono alle amministrazioni pubbliche di avvalersi di forme contrattuali flessibili, sono facilmente riconducibili, oltre che alla mancanza di personale, attestata intorno alle 10.000 unità, anche alla riforma della giustizia in attuazione e, nello specifico, allo smaltimento dell'arretrato civile, al processo civile telematico ed all'istituzione dell'ufficio per il processo;
   secondo quanto prospettato al deputato interrogante una possibile soluzione potrebbe essere la predisposizione di bandi contenenti una procedura selettiva. In questi termini si permetterebbe una giusta collocazione del rapporto di lavoro nel rispetto delle norme di legge e attraverso un procedimento selettivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover percorrere la via prospettata in premessa al fine di risolvere la situazione di queste migliaia di lavoratori precari di cui l'amministrazione della giustizia necessita. (4-09549)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, il deputato Di Maio chiede quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere in riferimento alla situazione di coloro che hanno preso parte agli stages formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari, anche con riferimento alle risorse stanziate nella legge di stabilità per l'anno 2015.
  Come noto, l'articolo n. 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nell'ambito delle misure previste per assicurare l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie, ha disposto uno stanziamento di risorse «per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro».
  L'articolo 1, comma 344, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha destinato ulteriori risorse finanziarie affinché i soggetti che avevano completato il tirocinio presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, svolgessero un ulteriore periodo di perfezionamento, da concludere entro il 31 dicembre 2014.
  A seguito dell'integrazione degli stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, presso tutti gli uffici interessati è stata avviata, a partire dal 1o dicembre 2014, la seconda fase del percorso formativo di perfezionamento, destinata esclusivamente ai tirocinanti che avevano partecipato al primo intervento formativo.
  Tale sessione formativa sarebbe dovuta concludere il 30 aprile 2015, per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 – cosiddetto «decreto milleproroghe» – convertito con la legge 27 febbraio 2015, n. 11.
  Al fine di agevolare il completamento della formazione, la competente articolazione ministeriale ha diramato, con nota in data 31 marzo 2014, a tutti gli uffici giudiziari le linee guida per la predisposizione dei progetti formativi di perfezionamento e, a seguito dell'attivazione in favore dei tirocinanti della copertura assicurativa antinfortunistica, nonché di quella derivante dalla responsabilità civile verso i terzi, i progetti di formazione sono stati avviati.
  La durata del percorso formativo di perfezionamento era stata determinata in 230 ore individuali per le 2.924 unità interessate, con la corresponsione di un'indennità forfettaria oraria pari a 10,00 euro, tenuto conto delle risorse finanziarie, all'epoca disponibili, ammontanti ad euro 7.500.000,00.
  Nella prospettiva di valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso gli uffici giudiziari in virtù delle proroghe normative citate, con il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, è stata, invece, introdotta la possibilità di partecipazione dei tirocinanti all'ufficio del processo, per un periodo di dodici mesi, a seguito di una adeguata selezione e attribuendo, altresì, una borsa di studio mensile.
  In particolare, l'articolo 21-ter del decreto-legge citato ha previsto che il completamento del periodo di perfezionamento costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione; inoltre lo stesso articolo prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita.
  Con la prospettiva introdotta dal recente decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, che ha autorizzato il Ministero al reclutamento di personale amministrativo per 1.000 nuove assunzioni, anche con bando di concorso, saranno certamente valorizzati e riconosciuti i percorsi professionali di coloro che hanno svolto tirocini e stage presso gli uffici giudiziari, così da offrire una reale possibilità di impiego a persone che hanno maturato competenze significative nei servizi di cancelleria.
  L'attenzione ai tirocinanti è stata, dunque, sempre massima da parte del Ministero della giustizia, che non ha ricercato soluzioni transitorie, ma ha voluto costruire un vero e proprio percorso professionalizzante.
  In tale prospettiva, è in corso di perfezionamento il decreto interministeriale con il quale si da avvio all'assunzione, a tempo indeterminato, di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016.
  Il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la previsione dell'articolo 21-ter del decreto-legge citato – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) che si concluderà entro la fine del corrente anno, è stata proposta dal mio dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   DIENI e NESCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace rappresenta per i cittadini un presidio che testimonia la presenza dello Stato in una delle sue funzioni fondamentali, quella di amministrare la giustizia, diritto garantito dall'articolo 24 della Costituzione;
   tale diritto deve essere garantito in special modo in quelle zone del Paese in cui la mancanza della presenza dello Stato e il conseguente vuoto nell'applicazione del principio di legalità, potrebbe venire compensato dal ricorso alla malavita organizzata, specie se radicata sul territorio;
   per questa ragione, sebbene sia giustificabile, in taluni casi, un intervento di razionalizzazione degli uffici dei giudici di pace, una tale azione negli ultimi anni è apparsa eccessiva non ponderata e talvolta collegata a considerazioni di natura politica anziché su fondate ragioni che consentissero una reale razionalizzazione del servizio;
   uno dei casi in cui tale processo approssimativo di selezione è meglio esemplificato, a parere degli interroganti, e relativo alla chiusura degli uffici del giudice di pace di Caulonia (RC), unico presidio rimasto sulla Costa jonica tra Reggio Calabria e Catanzaro;
   tali uffici, oltre a servire un considerevole ambito dal punto di vista territoriale, hanno a proprio attivo un consistente numero di pratiche processate, assommabili a circa 700 all'anno;
   il procedimento attraverso cui sono state selezionate le strutture da accorpare, inoltre, fa riferimento ad un iter normativo non lineare e che mostra diversi elementi di incoerenza;
   attraverso il decreto legislativo n. 156 del 7 settembre 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 settembre 2012, e più specificamente nell'Allegato I, il Governo dispone la chiusura di tutti i giudici di pace tranne quelli luogo del circondario e tutte le sedi distaccate dei tribunali;
   all'articolo 3 comma 2, si precisa tuttavia che «Entro sessanta giorni dalla pubblicazione di cui al comma 1 gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi»;
   il comma 3 prosegue precisando che: «Entro dodici mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 2, il Ministro della giustizia, valutata la rispondenza delle richieste e degli impegni pervenuti ai criteri di cui al medesimo comma, apporta con proprio decreto le conseguenti modifiche alle tabelle di cui agli articoli 1 e 2»;
   nonostante la domanda formulata, secondo le disposizioni sopra citate, con il decreto ministeriale del 10 novembre 2014 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 1o dicembre 2014 supp. ord. n. 91, il Ministro della giustizia sopprime, tra gli altri, gli uffici del giudice di pace di Caulonia;
   sebbene questa decisione potrebbe sembrare conforme alla lettera del già citato decreto legislativo n. 156 del 7 settembre 2012, essa si caratterizza per una sostanziale incoerenza, oltre ad essere scarsamente giustificabile;
   occorre infatti evidenziare che, dopo che il comune di Caulonia ha formulato domanda per il mantenimento degli uffici, il Ministro della giustizia, in osservanza del comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012 firmava un primo decreto ministeriale, il decreto ministeriale 7 marzo 2014 nel quale venivano mantenuti gli uffici del giudice di pace di Caulonia;
   si fa presente che il comune di Caulonia aveva peraltro ottemperato a quanto richiesto dal Ministero di Giustizia, individuando i dipendenti da applicare al detto ufficio, i quali inoltre stavano già da fine luglio svolgendo il corso di formazione previsto dallo stesso Ministero;
   un orientamento volto al mantenimento degli uffici appariva peraltro confermato dal decreto-legge n. 132 del 12 settembre 2014 nel quale la sede di Caulonia veniva mantenuta;
   va sottolineato che, nello stesso giorno in cui il Parlamento convertiva in legge tale decreto, individuando le sedi da sopprimere e quelle da conservare, il Ministero della giustizia pubblicava un nuovo elenco, discordante con quello approvato dalle Camere, in cui si prevedeva, tra gli altri, alla soppressione degli uffici del giudice di pace di Caulonia –:
   quali siano le motivazioni oggettive, sulla base di criteri geografici e di numero di pratiche lavorate, che hanno portato alla decisione all'accorpamento degli uffici del giudice di pace di Caulonia a quelli di Locri;
   se consideri definitivo, quantomeno per i prossimi mesi, il nuovo assetto identificato nel decreto ministeriale del 10 novembre 2014. (4-07416)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Caulonia, in presenza della disponibilità manifestata dal comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Caulonia.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  Non risulta, tuttavia, che il comune di Caulonia abbia formalizzato l'istanza di mantenimento, assumendo gli oneri prescritti dalla legge.
  In conseguenza, non è stato possibile rivalutare la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Caulonia neppure in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono oltre 9 milioni i processi pendenti in campo fra civile e penale «alla data del 30 giugno 2013», ha spiegato il Ministro uscente Anna Maria Cancellieri nel corso della sua relazione alla Camera, il 21 gennaio 2014: «si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale. Si registra un calo delle pendenze rispetto al 2012, per tutti i gradi di giudizio, del 4 per cento, che arriva al 6 per cento in Corte di appello; nonché la riduzione del 20 per cento in tema di ricorsi in materia di equa riparazione per l'irragionevole durata dei processi»;
   nei Paesi Ocse, in media, servono 511 giorni per risolvere una controversia di natura commerciale. Quei giorni, in Italia, lievitano a 1.210;
   lo scorso mese di giugno, il rapporto Ocse «Giustizia civile: come promuovere l'efficienza», ha di fatto inserito l'Italia nella lista nera. Nel nostro Paese il tempo medio stimato per la conclusione di un procedimento nei tre gradi di giudizio, infatti, è di 788 giorni. Con un minimo di 368 giorni in Svizzera e un massimo di quasi otto anni in Italia. E questo nonostante si tratti di due Paesi, ha evidenziato l'Ocse, che destinano al sistema giudiziario la stessa quota del proprio Pil: lo 0,2 per cento;
   la cattiva giustizia costa all'Italia un punto di pil all'anno. Un peso enorme che non è sfuggito al presidente della Bce, Mario Draghi, che un anno fa quantificò in diciotto miliardi di euro il costo dovuto alle lentezze nelle aule di tribunale. Perché c’è un collegamento tra gli errori della giustizia e l'economia italiana: soprattutto se una multinazionale rinuncia a investire nel nostro Paese — ad aprire fabbriche o filiali — per paura di affrontare eventuali contenziosi dai tempi biblici;
   a sottolineare lo stato della nostra giustizia civile, ormai divenuta una vera e propria emergenza nazionale, arriva l'iniziativa dell'ordine degli avvocati di Vicenza che hanno presentato una richiesta di fallimento del tribunale della loro città per insolvenza, regolarmente depositata, inviata al ministero della giustizia e al Csm;
   un'iniziativa che accende i riflettori sulla giustizia civile, «un gesto politico il nostro — ha spiegato Fabio Mantovani, presidente degli avvocati vicentini — che serve a far comprendere quanto sia grave la situazione» e che denuncia una volta di più la cronica carenza di penalisti e amministrativi;
   secondo i dati forniti dal Csm, in Veneto, la pianta organica prevede 242 giudici di primo grado, ma di questi circa il 10 per cento manca all'appello. All'inizio dell'anno giudiziario, risultavano avviati 238.856 procedimenti, il 6,34 per cento in più rispetto all'anno precedente;
   la crisi economica e la conseguente chiusura di molte aziende venete rende il quadro ancora più drammatico. Le nostre imprese sono già in croce per una crisi che non vede spiragli, e non possono essere flagellate anche dal cattivo funzionamento della giustizia. Solo nell'ultimo anno, le istanze di fallimento sono aumentate di circa 11 per cento con l'8 per cento a Verona e i picchi di Rovigo e Treviso, rispettivamente del 19,7 e 19,9. Una mole di lavoro esagerata se si considera che le richieste presentate ai tribunali veneti sono state 3,353, contro le 3.007 dell'anno scorso;
   anche sul fronte della giustizia penale, il Veneto è schiacciato da un'enorme quantità di denunce: le procure della regione, ogni anno, sono sommerse e travolte da quasi centomila notizie di reato, 250 al giorno;
   nonostante questa sia una delle zone economiche più sviluppate d'Europa «l'organico è fermo agli anni ’50» denunciano i magistrati;
   «sono numeri — ha dichiarato il presidente della Corte d'Appello di Venezia, Antonino Mazzeo Rinaldi — che confermano ancora una volta il dato di fondo: il distretto riesce, con gli organici di cui è provvisto, a sostenere il flusso dei procedimenti in entrata ma sicuramente non è calibrato ai fini di una efficace azione di smaltimento delle pendenze arretrate» –:
   quali siano le iniziative che il ministro interrogato intenda adottare al fine di provvedere ad una riorganizzazione e ad un rafforzamento delle piante organiche nei tribunali del Veneto. (4-04019)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti chiedono di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare adeguate dotazioni organiche del personale di magistratura agli uffici giudiziari del Veneto secondo indici rapportati al bacino di utenza ed ai flussi dei procedimenti, anche tenuto conto della effettiva scopertura.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico dei magistrati previsto per il distretto della Corte d'appello di Venezia si compone di 415 unità, alle quali vanno aggiunti due posti di magistrato, rispettivamente assegnati al tribunale di sorveglianza di Venezia ed all'ufficio di sorveglianza di Padova in virtù del decreto ministeriale 11 luglio 2016, che ha già incrementato di complessive undici unità le piante organiche del personale della magistratura di sorveglianza.
  Il numero dei magistrati effettivamente in servizio nel distretto è, allo stato, di 376 unità, con un indice di scopertura pari al 9,83 per cento inferiore alla media nazionale dell'11,69 per cento.
  Come noto, le procedure necessarie alla copertura dei posti vacanti rientrano nelle attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura e situazioni di particolare criticità possono essere fronteggiate attraverso il ricorso agli istituti della applicazione, endodistrettuale o extradistrettuale, di magistrati.
  In proposito va sottolineato che, dunque, le misure richiamate esulano dalle attribuzioni del Ministero della giustizia.
  Compete, difatti, al presidente della corte d'appello disporre, all'interno del distretto, l'assegnazione temporanea di magistrati ad altri uffici, mentre il Consiglio superiore della magistratura delibera, previo interpello, l'applicazione presso uffici giudiziari siti in distretti diversi da quello in cui il magistrato presta servizio.
  In particolare, in base alla vigente circolare del Consiglio superiore della magistratura n. 19197 del 27 luglio 2011, l'applicazione endodistrettuale compete – previo impulso del capo dell'ufficio che intenda avvalersi di risorse aggiuntive per fronteggiare situazioni di criticità – in via esclusiva al Presidente della Corte d'appello medesima.
  I citati provvedimenti postulano la valutazione comparativa delle esigenze dell'ufficio
a quo e dell'ufficio richiedente, né possono essere assunti senza il consenso del magistrato.
  Tutto ciò premesso in ordine alla attuale previsione organica ed alle effettive scoperture del personale di magistratura nel distretto del Veneto, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, agli uffici giudicanti di primo grado del distretto della Corte d'appello di Venezia sono stati complessivamente assegnati 29 ulteriori posti di giudice.
  Agli uffici requirenti del distretto sono state, invece, assegnate 9 unità aggiuntive.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001, riguardante il primo programma delle opere strategiche da realizzarsi ai sensi della legge n. 443 del 2001 (legge obiettivo), prevedeva la costruzione del collegamento autostradale A12-Pontina Appia e della bretella Cisterna-Valmontone;
   l’iter autorizzativo legato a tale opera presenta, a giudizio degli interroganti, alcune gravi lacune legate all'ambito di applicazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11, finalizzata ad attuare le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (16G00013), (GU n. 23 del 26 gennaio 2016);
   inoltre, il tracciato previsto dell'opera autostradale interessa inoltre il parco regionale di Decima-Malafede e incide direttamente sul sito d'importanza comunitaria (SIC) «Sughereta di Castel di Decima», inserito nella rete «Natura 2000» e protetto ai sensi della direttiva comunitaria 92/43/CEE;
   il progetto in questione si sviluppa inoltre, per alcuni tratti, a ridosso di quartieri urbani densamente popolati, con particolare riferimento ai comprensori di Vitinia, Torrino Mezzocammino, Villaggio Azzurro e Tor de Cenci, con prevedibile e pesante impatto, secondo gli interroganti, dell'inquinamento acustico e atmosferico sulla qualità della vita in aree abitative consolidate, anche considerando le previsioni di traffico pesante (Tir) –:
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative, anche normative, volte ad evitare il grave ed irreparabile, impatto paesaggistico e ambientale che deriverebbe dalla realizzazione della suddetta opera autostradale, con particolare riferimento all'Agro Romano, Pontino e dei Castelli Romani, ai siti di importanza comunitaria, alle aree naturali protette di rilievo nazionale e regionale direttamente coinvolte, anche tenuto conto del rischio sussistente, secondo gli interroganti, che venga avviata una procedura comunitaria di infrazione ai sensi della cosiddetta «direttiva Habitat», la direttiva 92/43/CEE, in relazione al pesante impatto previsto dal progetto dell'autostrada A12-Tor de cenci, sul sito di importanza comunitaria (SIC) «Sughereta di Castel di Decima»;
   se i Ministri interrogati non ritengano altresì opportuno, considerate le gravi carenze e incongruenze rilevate a suo tempo dalla Corte dei Conti sul progetto di cui in premessa e visto il nuovo codice degli appalti pubblici di cui alla legge n. 11 del 2016, assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sospendere e revocare le procedure di aggiudicazione e finanziamento delle tratte autostradali in questione, anche in relazione agli impegni assunti dal Governo in materia di riduzione del consumo di suolo, trattandosi in questo caso della distruzione di alcune migliaia di ettari di grande valore agricolo, paesaggistico e ambientale. (4-12183)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Occorre evidenziare, in via preliminare, che nel corso delle istruttorie di valutazione ambientale svolte per il progetto «Collegamento autostradale A12 – Pontina Appia e bretella Cisterna-Valmontone» sono stati trattati e valutati tutti i temi ambientali legati alla realizzazione dell'infrastruttura, con particolare riferimento ai temi legati alle componenti acustiche ed atmosferiche e quelli paesaggistici. Tali temi sono stati, peraltro, fatti oggetto di specifiche prescrizioni nei provvedimenti di valutazione ambientale resi da questo Ministero.
  Nel corso delle valutazioni ambientali sono stati trattati anche gli aspetti relativi alla valutazione di incidenza ambientale, poiché l'area lambisce ed attraversa aree appartenenti alla rete natura 2000. Gli esiti della valutazione di incidenza sono riportati anch'essi nei provvedimenti di valutazione ambientale.
  Tanto premesso, per quanto concerne, nello specifico, l'intero
iter di valutazione ambientale svolto per il progetto in questione, si rappresenta che sul progetto preliminare «Collegamento tra l'Area Pontina e la A2 – Bretella autostradale Cisterna-Valmontone» è stata svolta la procedura di valutazione di impatto ambientale, conclusasi in data 18 maggio 2004 con il parere n. 54 di compatibilità ambientale positiva, subordinato al rispetto di prescrizioni, reso dalla commissione speciale di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 190 del 2002. Tale progetto preliminare veniva successivamente approvato, con prescrizioni e raccomandazioni, con la delibera CIPE n. 50 del 29 settembre 2004.
  Successivamente, sul progetto definitivo integrato «Corridoio Intermodale Roma-Latina e collegamento Cisterna-Valmontone» è stata svolta la procedura di VIA Speciale, conclusasi con il parere n. 388 del 30 novembre 2009 di compatibilità ambientale positiva, subordinata al rispetto di prescrizioni. Il progetto definitivo veniva approvato, con prescrizioni e raccomandazioni, con la delibera CIPE n. 88 del 18 novembre 2010 («Approvazione progetto definitivo Roma (Tor De’ Cenci)-Latina nord (CUP F31B01000210008) e Cisterna-Valmontone (CUP F31B04000310008) oltre progetti definitivi e preliminari di opere connesse»). La delibera riportava, inoltre, la suddivisione del progetto definitivo in: autostrada A12 – Roma (Tor de’ Cenci), Autostrada Roma (Tor de’ Cenci)-Latina ed autostrada Cisterna-Valmontone. La delibera disponeva, infine, che ai fini dell'espletamento delle procedure di affidamento in concessione, dovesse essere approvato dal CIPE anche il progetto definitivo del tratto autostradale A12 – Roma (Tor de’ Cenci), adeguato alle prescrizioni della delibera CIPE n. 50 del 2004 di approvazione del progetto preliminare.
  In ultimo, sul progetto definitivo «Corridoio intermodale Roma-Latina e Collegamento Cisterna-Valmontone. Collegamento autostradale A12 Roma-Civitavecchia-Roma Pontina (Tor de’ Cenci)-tratto compreso tra il km 5+400 e il nodo di Tor De’ Cenci», ai sensi dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 163 del 2006, è stata svolta la verifica di ottemperanza alle prescrizioni di cui alla delibera CIPE n. 50 del 2004. Per il progetto in variante «Variante in nuova sede dal km 0+000 al km 5+400 del Collegamento autostradale A12 Roma-Civitavecchia-Roma Pontina (Tor de’ Cenci)», è stata rinnovata la procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi degli articoli 165 e 167 del decreto legislativo n. 163 del 2006. Entrambe le procedure si sono concluse con il parere n. 963, reso dalla commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e Valutazione ambientale strategica in data 15 giugno 2012.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuove informazioni, verranno forniti aggiornamenti.
  Alla luce delle informazione esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRACCARO, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il comunicato n. 2116 del 31 agosto 2015 la giunta della provincia autonoma di Trento ha reso pubbliche le nuove regole in applicazione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) in riferimento alle distanze minime e alle misure di contenimento della deriva dei trattamenti per i prodotti fitosanitari nei frutteti vicini o contigui alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili. Il provvedimento è stato approvato in via preliminare dalla giunta provinciale in attesa del parere del consiglio delle autonomie locali per rispondere alla necessità di dare attuazione alle «Disposizioni per l'attuazione del Piano nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) adottato con decreto interministeriale il 22 gennaio 2014» e che sono state approvate dalla giunta provinciale il 9 marzo 2015 (delibera n. 369);
   l'allegato al provvedimento del 31 agosto, denominato per esteso «Misure per l'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili», presenta una serie di disposizioni caratterizzate ad avviso degli interroganti da eccessiva genericità:
    a) all'articolo 2 «Prescrizioni del PAN per la preparazione delle miscele per i trattamenti sanitari» non è fornita una completa e chiara classificazione dei suoli impermeabili, nella parte relativa ai luoghi nei quali non possono essere svolte le operazioni di preparazione della miscela fitoiatrica. È assente infatti il valore del materiale (per esempio asfalto, terreno stabilizzato, terreno vegetale, ghiaioso, argilloso e altro) e del parametro k (coefficiente di permeabilità dei terreni in metri/sec) normalmente usato per definire la permeabilità;
    b) all'articolo 2 è assente inoltre un valore della distanza da tenere dai corsi d'acqua e dai pozzi per prelievo idrico. Tale mancanza mette a rischio la tutela dell'ambiente acquatico contro il potenziale inquinamento provocato da un accidentale sversamento di sostanze tossiche e contrasta il conseguimento degli obiettivi fissati nella direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    c) all'articolo 6 «Controlli e sanzioni» non vengono specificati né le autorità statali, provinciali e comunali né gli uffici locali deputati ai controlli. Tanto meno sono indicati gli strumenti e le risorse messe a disposizione per effettuarli;
    d) le sanzioni non risultano essere correlate alle prescrizioni contenute nel testo del documento e ne rimandano sommariamente l'applicazione al decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150;
    e) il rispetto delle prescrizioni è difficilmente controllabile sia per la disorganicità delle stesse sia per gli impedimenti oggettivi nei rilevamenti con particolare riferimento a: I) misurazione della sostanza attiva trasportata ed erogata dall'atomizzatore; II) verifica della compatibilità delle dotazioni e delle regolazioni dei dispositivi antideriva; III) rilevazione della direzione e dell'intensità del vento; e IV) esercizio delle funzioni di controllo sia nelle ore diurne che nella fascia oraria che va dalle ore 22:00 alle ore 6:00;
    f) è assente una classificazione univoca e rigorosa delle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili (AFPGV). Ad esempio queste sono elencate al comma 1 dell'articolo 3 e all'allegato 2 e non sembrano corrispondere a quelle del comma 4 dell'articolo 3;
   la nuova disciplina provinciale che si vorrebbe introdurre, a giudizio degli interroganti, riduce pertanto i livelli di sicurezza rispetto al piano d'azione nazionale (PAN) e va in senso contrario a quello delineato dal Sesto programma d'azione in materia di ambiente, con il quale il Parlamento europeo e il Consiglio hanno preso atto che occorre ridurre ulteriormente l'impatto dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente, ed in particolare quello dei prodotti fitosanitari. Risulta altresì essere peggiorativa rispetto al regolamento in vigore «Linee guida in materia di utilizzo sostenibile di fitosanitari» che fu approvato con la delibera della giunta provinciale del 19 maggio 2010, n. 1183 in particolare per i seguenti aspetti:
    a) nella definizione di aree agricole adiacenti alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili (AFPGV), a differenza di quanto disposto dal PAN all'azione A.5.6.3, risulterebbero omesse le aree confinati ai plessi scolastici (mantenendo solo quelle interne all'articolo 3.1 e allegato 2), le piste ciclabili, le zone di interesse storico, architettonico, archeologico, paesaggistico ed i cimiteri;
    b) risulterebbe omesso l'obbligo di avviso della popolazione con cartelli che indicano la sostanza attiva utilizzata, data e durata del divieto di accesso (≥ al tempo di rientro indicato in etichetta, se mancante ≥ a 48 ore nelle AFPGV), previsto nel PAN all'azione A.5.6;
    c) risulterebbe omesso l'obbligo di divieto di trattamento delle AFPGV con pesticidi con tempi di rientro ≥ a 48 ore e l'obbligo di vietarne l'accesso previsto nel PAN all'azione A.5.6;
    d) risulterebbe omesso l'obbligo di divieto di trattamento delle AFPGV con erbicidi (diserbanti) previsto nel all'azione A.5.6.1;
    e) risulterebbe omesso l'obbligo di privilegiare le misure di controllo a tutela dell'agricoltura biologica per i trattamenti con fungicidi, insetticidi o acaricidi previsto nel PAN all'azione A.5.6.2;
    f) risulterebbe omesso l'obbligo di vietare l'accesso alle aree trattate per almeno le 24 ore successive al trattamento senza gli specifici DPI (maschera, stivali, tuta impermeabile) a tutela degli agricoltori previsto nel PAN al azione A.5.7;
    g) risulterebbe omessa la regolamentazione delle aree protette come invece previsto nel PAN all'azione A.5.8;
    h) sono ridotte notevolmente le fasce di non utilizzo degli atomizzatori definite all'articolo 3 «Prescrizioni minime per garantire la corretta effettuazione dei trattamenti fitosanitari» della delibera della giunta provinciale 1183/2010. Nella fattispecie, pur in assenza il supporto scientifico, è stata azzerata la distanza di 30 metri per gli atomizzatori «antideriva». Ciò appare in contrasto con l'unico studio scientifico attualmente riconosciuto, il cosiddetto «Studio Lorenzin-Betta» del 1992 «Valutazione tossicologica del fenomeno di “deriva” nei trattamenti antiparassitari ed elementi per la minimizzazione del rischio», il quale dimostra che, nel caso di utilizzo di prodotti nocivi (ex-II° classe) e in assenza di vento, per avere un rischio sanitario medio-basso, il trattamento antiparassitario con atomizzatori va effettuato a distanze superiori a 100 m dai bersagli sensibili (case, orti, giardini) e che, nonostante siano prese tali misure, il rischio nullo non esiste;
    i) non si prenderebbe il deposito della documentazione «antideriva» negli uffici comunali rendendo quindi impossibile ogni controllo preventivo sugli atomizzatori;
   la disciplina non prevede alcuna tutela per i luoghi in prossimità di aree trattate con pesticidi, quali: a) orti e campi dove si coltivano piante da frutto e ortaggi per l'autoconsumo e per fini non commerciali; b) aziende agricole biologiche; c) risorse idriche; d) aziende turistiche (alberghi, campeggi, agriturismi, alloggi privati). La disciplina, a giudizio degli interroganti, aumenta contemporaneamente il grado della minaccia sull'ambiente trentino, il quale è peraltro già compromesso come è stato evidenziato da recenti studi sulla realtà locale che hanno rilevato una presenza significativa di pesticidi in ben 20 corsi d'acqua in tutta la provincia di Trento, di cui 9 solo in Val di Non, e livelli di contaminazione elevati nell'organismo umano e nelle abitazioni e nei terreni adiacenti dei residenti nelle aree ad agricoltura intensiva. I documenti di riferimento sono: «Piano di Tutela delle Acque 2015» dell'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente (APPA) di Trento; «Il gusto amaro della produzione intensiva di mele. Un'analisi dei pesticidi nei meleti europei e di come soluzioni ecologiche possono fare la differenza» di Greenpeace, giugno 2015; «Presenza di fitofarmaci ad uso agricolo in aree residenziali della Val di Non» a cura del Comitato per il diritto alla salute in Val di Non (Tn), aprile 2012; «Indagine conoscitiva sul livello di esposizione non professionale a prodotti, fitosanitari in persone residenti in un'area a forte vocazione agricola della provincia di Trento» DGP n. 1154 dd 9 maggio 2008 – APSS Trento;
   in data 9 settembre 2015 sul portale Avaaz è stata lanciata una petizione dal titolo «Ritirare la nuova delibera sull'uso dei pesticidi in Trentino» la quale, a pochi giorni dalla pubblicazione, è già stata sottoscritta da centinaia di persone. La petizione denuncia la possibilità concessa agli atomizzatori di arrivare legalmente vicino alle case (fino a 0 m), l'impossibilità di esercitare il controllo le modalità con cui vengono erogati i trattamenti e i potenziali danni causati da una simile misura sull'attività turistica, sottolineando l'allarme sociale suscitato dalla nuova disciplina –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di assicurare la corretta attuazione del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, garantire la salute pubblica, rispondere alle esigenze delle popolazioni che vivono vicino alle aree agricole intensive, tutelare lo sviluppo dell'agricoltura biologica e garantire il rispetto del principio di precauzione attraverso una strategia strutturata di analisi dei rischi.
(4-10616)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dai competenti enti territoriali, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, con il decreto ministeriale 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, concernente l'attuazione della direttiva 200/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.
  Inoltre, per quanto riguarda le azioni di tutela delle aree naturali protette e dell'ambiente acquatico, sono state stabilite con decreto ministeriale del 10 marzo 2015 (pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 26 marzo 2015) linee guida che prevedono specifiche misure di mitigazione del rischio da applicare in prossimità dei corsi d'acqua e nelle aree naturali protette.
  La scelta delle misure più appropriate nelle aree oggetto di tutela, in relazione alle specificità territoriali e ai diversi obiettivi di protezione, è demandata, ai sensi del punto A.5.1 del PAN, alle regioni e alle province autonome.
  Allo scopo di valutare l'efficacia delle azioni previste dal PAN, sono stati peraltro definiti, con decreto 15 luglio 2015 (pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 27 luglio 2015), alcuni indicatori per valutare il grado di attuazione e l'efficacia delle misure previste.
  Una prima valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi previsti dal PAN potrà avere luogo dopo il 31 dicembre 2016, scadenza stabilita dal citato decreto legislativo n. 150 del 2012, all'articolo 6, comma 8, entro cui le regioni e le province autonome dovranno fornire un quadro aggiornato sullo stato di attuazione delle azioni di competenza.
  Pur non essendo state destinate risorse finanziarie specifiche per l'attuazione della citata direttiva 2009/128/CE, le misure agro alimentari previste dai programmi regionali di sviluppo rurale saranno in molti casi direttamente o indirettamente connesse alle azioni previste dal PAN per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. La correlazione tra le misure previste dai PSR e le azioni previste dal PAN è peraltro richiamata all'articolo 2, comma 3, del più volte richiamato decreto legislativo, al fine di armonizzare le disposizioni relative all'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari con le politiche di sviluppo rurale, i programmi di sviluppo rurale, i regimi di sostegno e la condizionalità.
  Tanto premesso, per quanto riguarda nello specifico la provincia autonoma di Trento, sulla base dei dati da questa forniti, si evidenzia che, con il comunicato stampa n. 2116 del 31 agosto 2015, la provincia ha annunciato l'approvazione delle distanze minime per i trattamenti fitosanitari in applicazione del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN). Con questo atto l'amministrazione ha inteso: definire in modo più puntuale i siti sensibili frequentati dalla popolazione o da gruppi vulnerabili individuati dal PAN nell'azione A.5.6 ed ai quali sono applicate le distanze nell'esecuzione del trattamento con i prodotti fitosanitari più pericolosi; definire le dotazioni antideriva e le modalità di trattamento che consentono la riduzione della fascia non trattata; introdurre vincoli nell'esecuzione dei trattamenti anche in prossimità di siti non tutelati con il PAN (abitazioni private e strade); introdurre vincoli anche nel caso di utilizzo di prodotti fitosanitari non considerati dal PAN.
  La provincia autonoma di Trento ha, quindi, evidenziato che in questa fase non si è trattato di un'approvazione definitiva ed ufficiale di una deliberazione della giunta provinciale, ma semplicemente di una «preadozione» da parte dell'organo politico al fine di consentire il proseguimento dell’
iter amministrativo che prevede per questo specifico atto il confronto e l'intesa con il consiglio delle autonomie locali (CAL), l'ente che rappresenta i comuni e le comunità di valle della provincia di Trento. L'intesa con il CAL è resa necessaria in quanto le misure in corso di approvazione si sovrappongono ad analoghe disposizioni presenti in numerosi regolamenti comunali attualmente in vigore.
  L'amministrazione provinciale è intervenuta preliminarmente approvando le «Disposizioni per l'attuazione del PAN» (deliberazione n. 369 del 9 marzo 2015), documento con il quale è stata analizzata la situazione provinciale, descritte le attività già attivate in attuazione del PAN e quelle da implementare, individuando i soggetti attuatori e definendo l'impatto organizzativo ed i tempi di realizzazione.
  L'atto oggetto della preadozione è stato successivamente presentato al consiglio delle autonomie il quale ha formulato le proprie osservazioni riconducibili alla necessità di dare forza regolamentare su tutto il territorio provinciale ai limiti di tutela introdotti, ferma restando la facoltà dei comuni di dettare regole più restrittive in ragione di specifiche e motivate esigenze di tutela della salute pubblica; richiesta di ulteriore tutela nel caso dei trattamenti vicino alle abitazioni private (obbligo di barriere naturali o artificiali); richiesta di introitare nelle casse comunali le sanzioni amministrative previste per il mancato rispetto delle disposizioni; richiesta di un'attività di formazione del personale di polizia municipale per consentire la corretta realizzazione dell'attività di controlli su questo specifico ambito; richiesta di attivazione di un programma di monitoraggio delle condizioni di salute delle popolazioni esposte ai fitofarmaci.
  Le richieste formulate al CAL, ed in particolare la necessità di dare forza regolamentare alle disposizioni proposte, hanno reso necessaria la modifica delle procedure e l'approvazione di un atto in forma di legge che attribuisca alla provincia la competenza per l'emanazione di questo specifico regolamento. Con l'articolo 24 della legge provinciale 30 dicembre 2015, n. 21 (Legge di stabilità provinciale 2016) sono state pertanto approvate le «Disposizioni in materia di utilizzo dei prodotti fitosanitari» che rendono possibile tale operazione.
  Allo stato attuale, un regolamento con gli stessi contenuti dell'atto che è stato pubblicizzato dalla provincia il 31 agosto 2015 non è stato ancora approvato. Tuttavia, con la deliberazione n. 9 del 15 gennaio 2016, la giunta provinciale, in attesa del raggiungimento dell'accordo fra i soggetti interessati, ha approvato un pacchetto di misure per l'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili con le quali ha definito le dotazioni antideriva che consentono la riduzione della fascia non trattata da 30 a 10 metri, prevista nell'azione A.5.6 del PAN.
  Le osservazioni riportate nell'interrogazione si riferiscono quindi ad una proposta che è stata trasformata in atto ufficiale solamente per quanto riguarda una più precisa individuazione dei siti sensibili indicati nel PAN all'Azione A.5.6 e delle dotazioni antideriva che consentono la riduzione della fascia non trattata. In ogni caso, si tratta di tutele aggiuntive e non riduttive rispetto ai livelli di sicurezza previsti dal piano di azione nazionale.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALATI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, recante «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», ha disposto la riduzione degli uffici del giudice di pace di cui alla tabella A allegata al medesimo decreto, con trasferimento delle competenze territoriali degli uffici soppressi ai corrispondenti uffici sovraordinati;
   il comma 2 dell'articolo 3 del medesimo decreto, ha previsto la possibilità, per gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, di richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento e facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi;
   l'interrogante desidera anzitutto mettere in rilievo la forte rigidità dei vincoli già proposti da questa norma, che sembra non tenere conto delle condizioni di forte difficoltà in cui gli enti locali e territoriali, ed in specie a livello comunale, si trovano ad operare. Enti che rappresentano la diramazione terminale dell'apparato amministrativo statale (e che quindi si trovano a fronteggiare in modo immediato e diretto le reali ed effettive problematiche emergenti sui territori) la cui autonomia gestionale e finanziaria è oggetto negli ultimi anni di progressivi tagli lineari, che molto spesso interessano settori cruciali ed estremamente delicati dell'amministrazione pubblica; in questo caso, l'amministrazione della giustizia, strumento indispensabile per la tutela dei primari diritti dei cittadini, costituzionalmente garantiti ed espressione dei principi fondamentali di legalità ed eguaglianza sostanziale;
   il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative (cosiddetto «Milleproroghe») convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 2015, ha proposto una parziale modifica della norma di cui sopra (comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012), introducendo un differimento del termine proposto per richiedere il ripristino degli uffici soppressi, al 20 luglio 2015;
   in particolare, la norma introduce la possibilità per gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, le unioni di comuni nonché le comunità montane, di richiedere il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi, ponendo però i medesimi vincoli ed analoghe stringenti condizioni già previste dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, riproponendo dunque ancora una volta agli enti l'onere, in caso di richiesta di ripristino di tali uffici, di farsi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio della giustizia nelle relative sedi, ivi compreso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi;
   si tratta di una previsione che rischia dunque di rimanere priva di contenuto e a parere dell'interrogante che contrasta con i principi di economia e realismo che dovrebbero caratterizzare l'azione legislativa, e che invece appaiono qui carenti;
   anche la previsione del trasferimento integrale dell'onere dell'amministrazione del servizio a carico degli enti, inoltre, appare all'interrogante non rispondente ai principi di leale cooperazione tra i diversi livelli di governo, nella misura in cui il Governo centrale, nel perseguire l'obiettivo del conseguimento di risparmi di spesa ai fini del riequilibrio del bilanci dello Stato, si limita semplicemente a scaricare voci di spesa per l'amministrazione di diritti essenziali a carico degli enti sotto-ordinati, senza neppure contemplare la possibilità di identificare e praticare soluzioni meno onerose e più efficienti e sostenibili, che distribuiscano equamente il carico dei costi di gestione della pubblica amministrazione tra le entità costitutive dello Stato;
   il Governo pare non aver contemplato, ad esempio, la possibilità di fare ricorso al personale in sovrannumero delle province, per la copertura del fabbisogno di personale amministrativo degli uffici soppressi, ipotesi neppure considerata e che potrebbe rappresentare quantomeno un'attenuante rispetto ai gravosi oneri che vanno delineandosi a carico degli enti;
   l'interrogante desidera portare all'attenzione del Ministro anche la difficoltà e gravosità che questa situazione determina a carico delle sedi circondariali che hanno assorbito gli uffici periferici, strutturalmente e dimensionalmente inadeguate a far fronte al nuovo ingente carico di gestione del servizio di amministrazione della giustizia –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione di grave difficoltà nella quale sono costretti ad operare gli enti locali e territoriali preposti all'amministrazione della giustizia a seguito delle soppressioni e degli accorpamenti operati nel 2012;
   in quali termini il Ministro ritenga di poter intervenire, al fine di promuovere una revisione delle attuali previsioni, considerate penalizzanti per l'amministrazione della giustizia e per l'effettiva tutela dei diritti di eguaglianza sostanziale dei cittadini. (4-08264)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per agevolare il ripristino degli uffici del giudice di pace, tenuto conto degli onerosi impegni richiesti agli enti locali per avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli Uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  È stato, pertanto, possibile rivalutare la soppressione di diversi presidi del giudice di pace in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-
ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
  La previsione di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che consente agli enti locali di ottenere il mantenimento di uffici del giudice di pace soppressi a condizione che si facciano carico dei relativi oneri economici e di personale, ha introdotto un modello di gestione della spesa del tutto innovativo nel nostro ordinamento.
  Con tale norma, infatti, il legislatore, all'esito del progetto di revisione della geografia giudiziaria, ha ritenuto di rimettere alla valutazione degli enti locali l'opzione della permanenza sul territorio di uffici del giudice di pace che erano stati soppressi in quanto risultati non strategici rispetto ai parametri utilizzati in un'ottica di generale efficienza del sistema giustizia.
  Non si è trattato, pertanto, di porre in discussione la tutela dei diritti dei cittadini o di trasferire sui comuni costi di spettanza dell'amministrazione statale, ma della introduzione di un nuovo modello di cooperazione istituzionale, che ha inteso valorizzare il ruolo degli enti locali nella conservazione di presidi risultati, invece, non essenziali nel piano di generale riorganizzazione della geografia giudiziaria e che sarebbero stati, quindi, comunque soppressi.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il nostro Paese si è dotato di una disciplina normativa a tutela dell'ambiente di rango primario solo nel 1997 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 22 febbraio 1997, n. 22 cosiddetto decreto Ronchi dal nome dell'allora Ministro dell'ambiente Edo Ronchi;
   invero, l'Italia giungeva con oltre vent'anni di ritardo rispetto a quanto già previsto dalla direttiva del 1975 sui rifiuti;
   prima del predetto «decreto Ronchi», che oggi è stato interamente abrogato dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto testo unico ambientale, l'unica tutela nei confronti della corretta gestione dei residui urbani così come di quelli industriali era rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982, n. 915;
   tale premessa di carattere normativo spiega la carenza, quando non addirittura l'assenza, di standard ambientali minimi di riferimento in campo ambientale, segnatamente sul fronte rifiuti e inquinamento del suolo;
   non meraviglia dunque che gli impatti ambientali generati in siti contaminati, già di per sé sempre di difficile eliminazione o attenuazione (come ben evidenziato dall'affermato principio della prevenzione ovvero riduzione a monte dei danni ambientali contenuto nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea), siano stati nel corso della nostra fase industriale precedente agli anni ’80 e ’90 pressoché ignorati. Non è un caso che in interventi normativi successivi, determinate fonti di contaminazione siano state definite «storiche» per indicarne o l'impossibile individuazione del responsabile dell'inquinamento oppure la non configurabilità di una responsabilità giuridica in capo ad un soggetto in ordine ad una condotta non prevista dalla legge come illecita;
   la situazione ambientale di Fabro (TR), in località Colonnetta, in Umbria appare sotto tale profilo emblematica;
   qui infatti nel periodo 1986-1990, sono state depositate 1 milione e 300 mila tonnellate di ceneri di carbone, provenienti dalla centrale termoelettrica ENEL di La Spezia;
   come noto l'area interessata è quella della zona industriale di Fabro Scalo, oltre 11 ettari di terreno che fu «rialzata» all'epoca, fino a 6 metri, attraverso operazioni di ricolmatazione per via di una depressione naturale del terreno su cui successivamente è stata costruita una zona artigianale-espositiva oggi pressoché in disuso;
   il predetto stoccaggio delle ceneri di carbone sarebbe avvenuto, in tre momenti distinti: negli anni 1986-1987, negli anni 1988-1989 ed infine nel periodo 1989-1990;
   come sopra premesso, tali predette attività (avvenute prima dell'adozione di legislazione primaria, sebbene fossero in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e leggi regionali di adeguamento ad esso – nel caso dell'Umbria, la legge regionale n. 44 del 24 agosto 1987–) erano state consentite nella misura in cui le ceneri derivanti dalla combustione di carbone, alla stregua di rifiuti speciali, venivano reimpiegate per la realizzazione di rilevati edilizi e civili;
   le ceneri in questione venivano dunque sostanzialmente considerate semplici «inerti» seppur notevoli fossero gli adempimenti da osservare in ordine al trasporto e alla posa in opera di esse come rilevato (si vedano i numerosi molti accorgimenti per evitare lo spolvero o il dilavamento delle ceneri stesse, ad esempio laddove venivano usate come rilevato, dovevano poi essere ricoperte con uno strato di terra di almeno 70 centimetri);
   il vigente codice Cer di cui all'allegato D alla parte quarta del richiamato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, include tra i rifiuti speciali non pericolosi le «ceneri leggeri di carbone» attraverso il codice Cer 10 01 02 mentre le «ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose» identificate con codice Cer 19 01 11* sono classificate pericolose attraverso l'asterisco;
   come avvenuto in Umbria, oltre a Fabro anche nella valle del Nestore, ma anche in altre realtà del nostro Paese, negli anni ’80 e ’90, il traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero, ha rappresentato un allarme ambientale di dimensioni tutt'altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine alla possibile ricorrenza di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all'assenza di analisi preventive;
   non è ad oggi possibile stabilire con sufficiente certezza se su tali grandi quantità di cenere depositate negli anni siano state specificatamente condotte analisi per accertarne la sostanziale caratteristica «inerte» delle ceneri leggere, anche in considerazione di un regime autorizzativo semplificato che consente che rifiuti non pericolosi, a determinate condizioni, siano agevolmente reimpiegati a valle di sole denunce di inizio attività;
   la vigente disciplina comunitaria per la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi è divenuta particolarmente stringente al fine di garantire più alti standard di sicurezza ambientale –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere un accertamento sulle matrici ambientali della zona descritta in premessa anche attraverso specifiche verifiche e ispezioni da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di verificare lo stato e la qualità delle matrici naturali interessate con particolare riferimento alla situazione della falda e alla presenza di metalli pesanti;
   se il Ministro interrogato, anche ai sensi dell'articolo 195, comma 1, lettera f), in tema di specifici flussi di rifiuti con elevato impatto ambientale con specifiche possibilità di recupero, al fine dell'assunzione delle opportune conseguenti iniziative, intenda predisporre una indagine ministeriale, i cui esiti siano resi facilmente consultabili dal pubblico, che, nel compiere una ricognizione degli impianti a carbone chiusi o ancora in esercizio in Italia, individui le regioni, e all'interno di esse le aree ed i singoli impianti destinatari, ove le ceneri di carbone prodotte dagli impianti predetti (sia classificate come rifiuto speciale non pericoloso che come rifiuto speciale pericoloso) siano state conferite sia per essere reimpiegate (in tal caso specificandone anche la tipologia di riutilizzo), che smaltite definitivamente. (4-12953)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Gli interroganti riferiscono che nel periodo di tempo compreso tra gli anni 1986- 1990, nel territorio della regione Umbria, rispettivamente nella zona di Fabro Scalo e nella Valle del Nestore, sono stati depositati sul terreno ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da ceneri leggere provenienti dagli impianti termoelettrici Enel di La Spezia.
  Tale procedura, nel caso di Fabbro Scalo, avrebbe interessato una depressione avente area di oltre 11 ettari di estensione, che è stata da tempo oggetto di colmatazione mediante la realizzazione di una sopraelevazione di circa 6 metri rispetto al livello originale del terreno. Viene stimato un quantitativo totale di ceneri impiegate che risulterebbe essere pari a circa 1 milione e 300 mila tonnellate.
  Sebbene la normativa italiana a tutela dell'ambiente si sia evoluta in Italia a partire dal 1997 con l'emanazione del decreto legislativo 22 febbraio 1997, n. 22, cosiddetto «decreto Ronchi», ciò non significa che prima di tale data non vi fossero comunque norme e regolamenti che disciplinassero l'ambiente ed in particolare la materia dei rifiuti.
  Come descritto nel testo dell'interrogazione, la normativa allora vigente che regolava i procedimenti descritti era infatti rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 e, nel caso di specie, il suo recepimento nell'ordinamento della regione Umbria, ovvero la legge regionale 24 agosto 1987, n. 44.
  Tale normativa stabiliva che le operazioni descritte avvenissero solo dietro rilascio di specifici titoli autorizzatori la cui competenza era posta in carico alla regione Umbria.
  Al fine di verificare la situazione descritta dagli interroganti ed acquisire ulteriori e più precise informazioni, nonché di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali, si fa presente che la competente direzione generale di questo Ministero ha comunque già provveduto ad interessare l'amministrazione regionale competente, il comune di Fabro e l'Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) dell'Umbria. Sulla base degli esiti di tale istruttoria verrà quindi stabilita l'opportunità di verificare anche lo stato di eventuale contaminazione ambientale legato a tali depositi. All'esito di tale accertamento si procederà eventualmente anche ad estendere l'indagine a tutte le regioni italiane e rendere pubblici i risultati ottenuti ai sensi della vigente normativa sull'accesso civico agli atti, delle pubbliche amministrazioni.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso
   da notizia di stampa (Repubblica del 20 giugno 2016) la regione Toscana ha manifestato l'intenzione di aprire una struttura (Rems, residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) per malati psichiatrici ritenuti socialmente pericolosi a Empoli, al posto della locale casa circondariale femminile, conosciuta come «il Pozzale»;
   se richiamano la legge n. 9 del 2012, la legge n. 57 del 2013, la legge n. 81 del 2014, con le quali si è stabilito la capienza massima di ogni Rems in 20 posti letto, le delibere della regione Toscana n. 231 del 2015, n. 380 del 2015, n. 565 del 2015 e n. 666 del 2015;
   già nell'aprile 2015 la regione Toscana tentò di trasformare la casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze in Rems sollevando le perplessità e le proteste di numerosi organizzazioni e degli stessi detenuti del Gozzini;
   la regione Toscana è una delle sei regioni commissariate dal Governo ai sensi della legge n. 81 del 2014, in quanto non in regola sulla dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari e la conseguente attivazione delle Rems, gestite dalla sanità territoriale;
   il Governo ha nominato nel febbraio 2015 Franco Corleone, garante toscano per i diritti dei detenuti, commissario unico nelle sei regioni (Calabria, Piemonte, Abruzzo, Veneto, Toscana e Puglia) ancora non in regola per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   dal 31 marzo 2015 e cioè dall'entrata in vigore della legge n. 81 del 2014 per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, sono trascorsi 15 mesi e in Toscana è ancora attivo l'Ospedale psichiatrico giudiziario sito a Montelupo Fiorentino, in provincia di Firenze (al 1° maggio risultano internati diciotto toscani, due umbri e uno senza fissa dimora);
   si segnala il ricorso di 47 internati dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo alla magistratura di sorveglianza di Firenze del luglio 2015; «Una situazione di fatto – spiega il tribunale di sorveglianza – a dir poco anomala e certamente illegittima che viola l'articolo 13 della costituzione» che sancisce il principio per cui la libertà individuale può essere ristretta solo nei casi e nei modi previsti dalla legge;
   la regione Toscana ha attivato, in forma provvisoria una rems a Volterra per 22/24 posti letto presso il Padiglione Morel dell'ospedale di Volterra, e dovranno essere svolti i lavori per la costruzione della rems definitiva, da 40 posti letto, sull'area attualmente occupata dal Padiglione Livi dello stesso ospedale volterrano che è attualmente inagibile e dovrà essere demolito (delibera della regione Toscana n. 666 del 2015);
   la legge n. 81 del 2014 configura le rems come strutture sanitarie con finalità di cura, riabilitazione e reinserimento sociale con lo scopo di aiutare il paziente nel recupero della capacità relazionali e dei rapporti affettivi con la propria famiglia e l'ambiente sociale, nonché con i servizi psichiatrici che continueranno a prendersi cura di lui;
   si valuta come assolutamente non idonea alle finalità sopra descritte, l'attivazione di una struttura sanitaria per malati psichici socialmente pericolosi in un ex carcere;
   si richiamano i pareri negativi espressi dall'unione delle camere penali, da Psichiatria democratica e da altre organizzazioni, tra cui Radicali fiorentini, allor quando la regione Toscana, nell'aprile 2015, tentò senza riuscirvi di attivare la rems nella casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze;
   si valuta come critica l'interpretazione della legge n. 81 del 2014 che riguarda l'attuale trasferimento in rems da parte della magistratura e che sta producendo il fenomeno inatteso delle «liste di attesa»; è essenziale chiarire a questo proposito che gli ospedali psichiatrici giudiziari non sono stati sostituiti dalle rems, ma dall'insieme dei servizi sociali e sanitari della comunità e che dunque la magistratura non dovrebbe rivolgersi soltanto alla rems quando ritiene opportuno comminare una misura di sicurezza, ma ai servizi sociali territoriali (dei quali fanno parte anche i dipartimenti di salute mentale dipendenze patologiche che hanno tra le strutture specialistiche anche le rems);
   il nuovo sistema previsto in luogo degli ospedali psichiatrici giudiziari dovrebbero soddisfare alcune caratteristiche di base, come privilegiare l'aspetto medico e riservare le misure di sicurezza detentive a quei casi residuali che non sia possibile prendere in carico altrimenti, trattando gli altri in strutture territoriali dei dipartimenti di salute mentale e in strutture intermedie tra queste e le rems –:
   se la notizia riportata dalla stampa locale sull'ipotesi di un rems presso il carcere femminile di Empoli corrisponda al vero;
   in caso di risposta affermativa, se i Ministeri interrogati condividano l'ipotesi oggetto della presente interrogazione prospettata dalla regione Toscana, regione commissariata ai sensi della legge n. 81 del 2014, per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   se sia prevista, in tempi brevi e certi, la dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino.
(4-13585)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante pone all'attenzione la delicata questione del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e del passaggio alle Rems, sollecitando chiarimenti in ordine all'ipotesi di destinare a Rems la struttura che attualmente ospita il carcere femminile a custodia attenuata «Pozzale» di Empoli.
  Com’è noto, deve preliminarmente rilevarsi che la mancata attivazione delle Rems nelle regioni Veneto, Piemonte, Toscana, Abruzzo-Molise, Puglia e Calabria entro il termine fissato dalla legge n. 81 del 2014 ha creato una situazione di grave criticità.
  Al fine di superare tale situazione di impasse, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell'ottobre 2015, ha disposto il commissariamento delle regioni inadempienti e lo scorso febbraio, ha provveduto alla nomina del commissario straordinario, dottor Franco Corleone, peraltro recentemente rinnovata per ulteriori sei mesi.
  Con particolare riguardo alla Toscana, già nel 2014, il presidente della regione aveva chiesto di acquisire l'immobile in cui ha sede la casa circondariale di Empoli, al fine di realizzarvi una Rems da destinare all'accoglienza degli internati residenti nella regione Toscana, nonché nella regione Umbria – sulla scorta dell'Accordo interregionale – attualmente ricoverati presso l'ex Opg di Montelupo Fiorentino.
  Deve in proposito evidenziarsi che la Toscana, ad oggi, ha provveduto all'attivazione di una Rems, a Volterra, che però non è in grado, da sola, di garantire l'accoglienza dei pazienti umbri e toscani.
  Secondo quanto riferito sul punto dal Ministero della salute, la regione Toscana ha presentato un ventaglio di proposte per risolvere la situazione di difficoltà e di carenza di posti, sottoponendole sia al vaglio del commissario unico nominato dal Governo, sia all'organismo di coordinamento istituito appositamente presso il Ministero della salute.
  La soluzione di destinare il piccolo carcere femminile a custodia attenuata di Empoli a Rems provvisoria è risultata, effettivamente, all'esito delle dette consultazioni, quella più facilmente percorribile.
  Ciò, soprattutto, per l'attitudine di tale soluzione a consentire una riconversione della struttura in tempi brevi e di permettere, in conseguenza, la definitiva chiusura dell'OPG di Montelupo Fiorentino entro la fine del 2016.
  In tale prospettiva, sono già state avviate le prime attività volte a mettere in esecuzione il progetto. Le 15 donne detenute presso la casa circondariale di Empoli sono state definitivamente assegnate lo scorso 4 agosto – nel rispetto delle preferenze dalle stesse manifestate – presso le case circondariali di Firenze Sollicciano e di Perugia Capanne, nelle quali proseguirà il percorso trattamentale e sanitario avviato nella precedente struttura penitenziaria.
  Inoltre, è stato già disposto il trasferimento del personale – si tratta di 33 unità di polizia penitenziaria e di 4 unità del comparto ministeri – presso altre sedi, attraverso le procedure di mobilità garantite dagli accordi sindacali di categoria ed, in particolare, dal Pcd 5 novembre 2012 e dalle intese sindacali del 2 e del 17 febbraio 2016.
  Infine, sono state avviate tutte le attività volte alla dismissione della struttura, con la restituzione dell'immobile all'agenzia del demanio per favorire il suo trasferimento alla regione.
  Grazie alla realizzazione della nuova Rems potranno trovare accoglienza i 9 pazienti residenti nelle regioni Toscana ed Umbria, ospitati sino allo scorso 31 agosto presso l'ex Plg di Montelupo Fiorentino, i 10 pazienti accolti presso le strutture residenziali di altre regioni per indisponibilità dei posti in Toscana, nonché le persone raggiunte da provvedimenti di applicazione della misura di sicurezza detentiva in attesa di ricovero presso le REMS (si tratta di 16 pazienti toscani ed umbri alla data del 6 settembre 2016).
  Il trasferimento degli ultimi pazienti dall'ex Opg toscano – che avverrà non appena le REMS competenti per territorio comunicheranno la disponibilità a riceverli sulla base ai posti disponibili – consentirà l'avvio dell'ultima fase del procedimento per la definitiva chiusura dell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino.
  Quanto all'ulteriore profilo rilevato dall'interrogante, relativo alla necessità di predisporre un meccanismo di sorveglianza non più affidato alla polizia giudiziaria, si tratta di una questione che è stata affrontata e risolta in tutte le strutture che sono state destinate a Rems sul territorio nazionale.
  Con riguardo al più generale tema sollevato nell'atto di sindacato ispettivo, relativo all'ampio ricorso alle Rems, benché le stesse rappresentino solo uno degli strumenti previsti dalla legge n. 81 del 2014 per l'assistenza dei malati psichici, che punta in modo sostanziale sulla rete dei servizi territoriali dei dipartimenti di salute mentale, si rileva che le amministrazioni coinvolte hanno comunicato di essere ben consapevoli di tali possibilità.
  Deve, tuttavia, evidenziarsi che la scelta di quali modalità di assistenza debbano essere in concreto riservate ai soggetti che, pur in stato di incapacità psichica, hanno commesso reati, dimostrando una pericolosità sociale, ricade nella discrezionalità e della magistratura, che non può essere sindacata in questa sede.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 luglio 2015, Paola, bracciante quarantanovenne di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, è deceduta mentre lavorava in un campo d'uva;
   le circostanze del decesso e delle ore successive, presentano una serie di elementi poco chiari sui quali è doveroso fare luce;
   come denunciato dalla Cgil, la morte è avvenuta il 13 luglio 2015, ma se n’è avuto notizia solo in questi giorni. Inoltre, fatto ben più grave, le autorità giudiziarie hanno autorizzato la sepoltura della salma, senza prima aver disposto l'autopsia;
   come previsto dal codice di procedura penale, in caso di decesso l'intervento della procura è finalizzato a verificare che la morte non sia la conseguenza di comportamenti (attivi od omissivi) con rilevanza penale. La procura interviene autorizzando l'autopsia anche in caso di morte in circostanze da accertare (tutti i casi in cui sussistano dubbi circa la causa naturale del decesso, comprese le morti improvvise di minore, nonché i casi di presunta omissione e/o negligenza medica) o comunque in caso di rinvenimento di cadavere in luogo pubblico anche se la causa di morte è naturale;
   la mancata autopsia della bracciante pugliese, dunque, rappresenta secondo gli interroganti una grave negligenza;
   in circostanze analoghe, il 20 luglio 2015, nelle campagne salentine tra Nardò e Avetrana, in località Pittuini, mentre era intento al lavoro nei campi, un bracciante agricolo immigrato di nazionalità sudanese, Abdullah Mohammed, 47 anni, giunto in Salento solo da pochi giorni, si è accasciato al suolo ed è successivamente deceduto, stroncato da un malore, mentre era intento al lavoro nei campi di pomodoro;
   come già emerso negli anni scorsi, grazie al lavoro degli inquirenti, alle denunce sindacali e a numerose inchieste giornalistiche, le campagne pugliesi sono state identificate, in non poche occasioni, come un luogo di lavoro durissimo, sottopagato, privo delle più elementari norme di sicurezza e di tutela del lavoro;
   nonostante l'introduzione nel codice penale, con il decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (articolo 603-bis), la situazione presenta ancora gravi illeciti e violazioni dei diritti della persona e del lavoro, come denunciano i sindacati e le organizzazioni non governative come Emergency che operano nella zona –:
   se il Ministro interrogato non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-10146)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, gli interroganti, nel riportare la vicenda relativa al decesso, in data 13 luglio 2015, di una bracciante agricola mentre era impegnata al lavoro nei campi in un luogo imprecisato della regione Puglia, rilevano che l'autorità giudiziaria investita del caso avrebbe autorizzato la sepoltura della salma senza aver prima disposto l'esame autoptico.
  Rilevano, inoltre, che, nel medesimo periodo, è stato registrato un caso analogo di decesso di altro bracciante agricolo in agro salentino e che entrambi i decessi sono avvenuti nelle campagne pugliesi, identificate «in non poche occasioni, come un luogo di lavoro durissimo, sottopagato, privo delle più elementari norme di sicurezza e di tutela dei lavoro».
  Su tali premesse chiedono dunque di conoscere se questo Ministro intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari che hanno seguito la vicenda, ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di propria competenza.
  Orbene, dall'istruttoria condotta dalla competente direzione generale dei magistrati, sulla base della relazione trasmessa dal procuratore della Repubblica di Lecce e dal procuratore della Repubblica di Trani, che hanno compiutamente ricostruito entrambe le vicende oggetto dell'atto ispettivo, è stato preliminarmente accertato che l'esame autoptico è stato effettuato in entrambi i casi e le indagini sono state condotte proprio in relazione ai reati segnalati dagli interroganti.
  Con specifico riferimento al decesso di Paola Clemente, dalla relazione trasmessa dal procuratore della Repubblica di Trani, è emerso, in particolare, quanto segue:
   all'epoca del decesso della Clemente, avvenuto in data 13 luglio 2015, è stato iscritto un procedimento a Mod. 45 poiché, sulla base delle informative redatte dalle forze di polizia intervenute nell'immediatezza dei fatti (che provvedevano ad assumere sommarie informazioni) e del referto del medico legale che, in pari data, provvide all'esame esterno della salma, il decesso della donna, avvenuto mentre attendeva alla propria opera di bracciante su di un terreno sito nell'agro del comune di Andria, veniva ricondotto a cause naturali;
   successivamente, solo in data 18 agosto 2015, il marito della Clemente, Stefano Arcuri, sporgeva querela rappresentando che nel determinismo del decesso della coniuge potesse costituire una concausa una possibile intossicazione da anticrittogamici e che le condizioni di lavoro in cui la stessa versava erano particolarmente disagiate avuto riguardo alle elevate temperature cui i braccianti sono notoriamente esposti durante l'espletamento delle loro mansioni. Nella querela si ponevano altresì dubbi anche sulla tempestività dei soccorsi e si chiedeva un approfondimento investigativo circa il ruolo di colui che, in particolare in quella giornata, ma anche in precedenza, aveva provveduto al trasporto delle braccianti, ivi compresa la Clemente, alludendo ad una possibile illecita intermediazione dello stesso nella selezione del personale da dedicare alla mansione di bracciante e cioè ad una possibile attività di caporalato opera di quest'ultimo;
   sulla scorta di tali spunti investigativi, hanno pertanto preso avvio le indagini a partire, nell'immediato, dall'esame autoptico sulla salma della Clemente volto a chiarire più approfonditamente le cause della morte della stessa, e da una complessa attività di acquisizione documentale e di escussione di persone informate sui fatti, volta a verificare l'esistenza di un sistema parallelo a quello legale che abbia come obiettivo l'inserimento lavorativo di braccianti presso le aziende agricole che richiedono manodopera.
  Con specifico riferimento al decesso di Abdullah Muhamed, dalla relazione trasmessa dal procuratore della Repubblica di Lecce, è emerso, in particolare, quanto segue:
    a seguito del decesso, in data 20 luglio 2015, in località Pittuini, in agro Nardo, del predetto bracciante agricolo di nazionalità sudanese, mentre era intento alla raccolta dei pomodori, venivano da subito avviate indagini dalla stazione carabinieri di Porto Cesareo e dal servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro di Lecce. La salma veniva sottoposta ad accertamento autoptico con la nomina di medico legale; venivano iscritti nel registro degli indagati per il reato di omicidio colposo i due titolari del fondo agricolo, nonché un cittadino sudanese che si occupava di contattare la manodopera agricola (procedimento n. 5974 del 2015 Registro generale notizie di reato);
   le indagini venivano successivamente affidate al R.O.S. (raggruppamento operativo speciale carabinieri) sezione anticrimine di Lecce ed alla compagnia carabinieri di Campi Salentina, i quali procedevano ad accurate indagini, tra cui, l'assunzione a sommarie informazioni di una serie di persone, il sequestro dei telefoni cellulari con acquisizione dei tabulati telefonici, acquisizione dei rilievi fotografici e dei dati meteorologici presso gli aeroporti di Galatina e Grottaglie;
   a seguito del deposito della prima informativa nel settembre 2015, due dei soggetti indagati venivano iscritti per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'articolo 603-
bis c.p.

  Attività istruttoria sulle vicende in esame è stata, altresì, condotta dall'ipettorato generale, che ha acquisito elementi convergenti con quelli della direzione generale magistrati.
  In particolare, l'Ispettorato generale, nel concludere l'istruttoria, ha evidenziato, con riferimento al caso del decesso del bracciante agricolo Abdullah Muhamed, che le indagini condotte dalla procura della Repubblica di Lecce – avvalendosi anche di un reparto dei carabinieri (il R.O.S.), istituzionalmente deputato al contrasto dei delitti di criminalità organizzata e ispirati da finalità di terrorismo – si sono dimostrate tempestive ed approfondite consentendo di raccogliere elementi che hanno consentito l'iscrizione del reato di cui all'articolo 603-
bis c.p.
  Parimenti, in ordine al decesso della bracciante agricola Paola Clemente, la medesima articolazione ministeriale ha rilevato come la situazione prospettatasi all'attenzione della procura della Repubblica di Trani, all'esito delle prime indagini della polizia giudiziaria e degli accertamenti del medico legale, non consentiva di configurare alcun elemento penalmente rilevante, ragione per cui non veniva disposto l'esame autoptico, peraltro in linea con quanto disposto dall'articolo 116 disp. att. c.p.p. laddove prescrive che: «Se per la morte di una persona sorge sospetto di reato, il procuratore della Repubblica accerta la causa della morte e, se lo ravvisa necessario, ordina l'autopsia...». Solo all'esito della denuncia sporta dal congiunto della donna deceduta, si modificava infatti lo scenario, si profilavano circostanziate notizie di reato e, dunque, venivano effettuati i necessari approfondimenti investigativi, tra cui l'autopsia.
  All'esito degli accertamenti così riepilogati, entrambe le competenti articolazioni ministeriali hanno escluso la sussistenza di profili di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati degli uffici requirenti di Trani e di Lecce.
  Merita peraltro segnalare che, dagli accertamenti compiuti, è altresì emerso che anche le misure organizzative adottate dagli uffici giudiziari del distretto di Bari confermano la particolare attenzione riservata ai fenomeni di sfruttamento del lavoro. È stata infatti adottato un protocollo relativo alle modalità di indagine nei procedimenti in tema di infortuni sul lavoro, la cui osservanza è oggetto di un costante monitoraggio.
  Tanto rappresentato nel merito delle specifiche vicende oggetto dell'atto ispettivo, in via generale mi preme segnalare che sin dall'inizio del mio mandato ho riservato la massima attenzione al tema dello sfruttamento del lavoro, promuovendo a livello normativo l'introduzione di efficaci strumenti di contrasto a tale odioso fenomeno criminale e proprio di recente è stata definitivamente approvata la legge sul caporalato, che segna un passo decisivo nella tutela dei diritti fondamentali e della dignità della persona.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LATRONICO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura della corte d'appello di Potenza, con l'accorpamento ad un tribunale fuori regione, comporterebbe in Basilicata lo smembramento di altri uffici giudiziari come procura generale, tribunale di sorveglianza, tribunale e procura per i minorenni, procura distrettuale antimafia, tribunale del riesame, con gravi ricadute sul piano della legalità e sui costi economici a danno dei cittadini e degli operatori della giustizia regionale;
   la riduzione dell'efficienza del sistema giudiziario nel distretto di Potenza comporterebbe la riduzione delle forze dell'ordine e una minore difesa del territorio e pericolose ingerenze della criminalità presente nei territori circostanti;
   la Basilicata per ragioni orografiche di distribuzione della popolazione sul territorio, di carenze infrastrutturali e precarietà delle medesime, non può permettersi di perdere un indispensabile presidio di legalità qual è quello della corte di appello;
   la prevista soppressione della corte di appello, non comporterebbe alcun risparmio di spesa, atteso che il personale rimarrebbe in servizio presso la sede di futura destinazione e che, non potrebbero comunque dismettersi i locali attualmente destinati a sede della corte, nell'ambito del palazzo di giustizia;
   la soppressione della corte di appello comporterebbe un indubbio notevole aggravio di spesa a carico dei cittadini lucani per l'accesso alla tutela giurisdizionale, con pesanti ricadute sul tessuto economico e sociale di tutta la regione;
   un intervento sulla geografia giudiziaria di questa portata non può prescindere da un'attenta e ponderata valutazione di diversi indicatori, da effettuarsi con il coinvolgimento delle componenti professionali, istituzionali, politiche e sindacali del territorio interessato –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non reputi che ci siano i presupposti per ritenere fondate tali preoccupazioni sulla chiusura distretto giudiziario lucano. (4-06855)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione della corte d'appello di Potenza, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministero intenda attuare le linee riformatrici annunciate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti d'appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri aggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva europea 1999/31/CE, nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003 n. 36, ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 agosto 2005 — individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   con la circolare U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, ha fornito indicazioni in merito alle forme di trattamento dei rifiuti, includendo la tritovagliatura tra quelle idonee a soddisfare gli obblighi contenuti nella normative comunitaria di riferimento;
   il 6 agosto del 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano una circolare avente per oggetto «termine di efficacia della circolare del Ministro dell'ambiente U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009», all'interno della quale viene precisato — in base a quanto asserito dalla Commissione nel parere motivato della Commissione europea (prot. 9026 del 1° giugno 2012) e nel ricorso depositato il 13 giugno 2013 contro la Repubblica Italiana (registro della Corte numero causa C 323/13) — che la tritovagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non può soddisfare, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a) della direttiva 1999/31/CE;
   in quell'occasione il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che «con questa circolare viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto “tal quale”, anche se sottoposto a tritovagliatura»;
   con la stessa circolare del 6 agosto del 2013, il Ministero ha invitato le regioni e le province autonome a osservare le precisazioni fornite, e ad adottare le iniziative conseguenti e necessarie al fine di assicurare il pieno rispetto degli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie;
   su questo argomento si è espressa la Corte di Giustizia europea attraverso la sentenza del 15 ottobre 2014 in merito alla causa c-323/13. La Corte, tra le altre cose, ha stabilito che la mera compressione e/o triturazione dei rifiuti indifferenziati destinati a essere collocati a discarica non risponde ai requisiti posti dalla direttiva 1999/31/CE;
   l'ISPRA nel Rapporto rifiuti urbani 2013, con dati riferiti all'anno 2012, certifica come la metà dei rifiuti raccolti (53 per cento), a livello nazionale, sono stati smaltiti – in palese violazione della Direttiva europea 1999/31/CE – senza essere sottoposti ad alcuna forma di pretrattamento, invero detta percentuale supera il 70 per cento in sei regioni (Valle d'Aosta, Liguria, Trentino Alto Adige, Marche, Campania e Piemonte), e il 50 per cento in altre sei (Lazio, Basilicata, Veneto, Sicilia, Calabria, e Toscana);
   l'ISPRA nel Rapporto rifiuti urbani 2014, con dati riferiti l'anno 2013, fornisce la percentuale di rifiuti urbani smaltiti in discarica senza trattamento preliminare per Regione: Valle d'Aosta 100 per cento; Trentino Alto Adige 85 per cento; Marche 75 per cento; Liguria 74 per cento; Campania 65 per cento; Piemonte 63 per cento; Basilicata 61 per cento; Calabria 60 per cento; Veneto 58 per cento; Sicilia 48 per cento; Emilia Romagna 42 per cento; Toscana 42 per cento; Italia 41 per cento; Lazio 35 per cento; Sardegna 18 per cento; Umbria 9 per cento; Puglia 7 per cento; Abruzzo 5 per cento; Lombardia 5 per cento; Friuli V.G 5 per cento; Molise 4 per cento –:
   quali iniziative intenda intraprendere – alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea del 15 ottobre 2014 in merito alla Causa c-323/13 ed in base ai dati dell'ISPRA riportati nelle premesse di questa interrogazione – affinché nelle discariche italiane non vengano più smaltiti rifiuti non trattati ovvero trattati attraverso la tritovagliatura visto che tali metodi di smaltimento violano la direttiva 1999/31/CE;
   quali siano le discariche ubicate nel territorio italiano – che – attraverso ordinanze contigibili ed urgenti emanate ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 smaltiscono rifiuti tal quali ovvero tritovagliati;
   se risulti se la Commissione europea – in merito alle questioni poste dalla presente interrogazione e dopo sentenza della Corte di giustizia europea del 15 ottobre 2014 in merito alla causa c-323/13 – abbia avviato un'indagine che riguarda l'Italia. (4-09104)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La procedura di infrazione n. 2011/4021 è stata avviata dalla Commissione europea per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali. In esito a tale procedura, il 15 ottobre 2014, la Corte di giustizia europea, su ricorso della commissione, ha dichiarato l'Italia inadempiente rispetto agli obblighi su di essa incombenti in forza della normativa europea sulle discariche (C-323/13).
  Nella sentenza, la Corte ritiene che nella regione Lazio, nel SubAto di Roma, con esclusione della discarica di Cecchina ubicata nel comune di Albano Laziale, e nel SubAto di Latina, i rifiuti conferiti in discarica non sono sottoposti al necessario idoneo trattamento dei rifiuti; in particolare, la corte di giustizia ha riconosciuto che l'Italia ha violato le norme in materia di rifiuti relativamente al loro conferimento in sette discariche del Lazio: cinque a Roma (Malagrotta, Colle Fagiolara, Cupinoro, Montecelio-Inviolata e Fosso Crepacuore) e due di Latina situate a Borgo Montello.
  L'Italia, ad avviso della corte, non ha adottato tutte le misure necessarie per evitare che i rifiuti urbani fossero conferiti nelle discariche nei siti in questione senza subire un trattamento adeguato, con la differenziazione delle diverse sezioni e la stabilizzazione della frazione organica. La corte ha sottolineato, in particolare, che la nozione di «trattamento» comprende i processi fisici, termici, chimici o biologici, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero.
  Inoltre, secondo la corte un'ulteriore violazione da parte dell'Italia sta nella mancata creazione, nella regione Lazio, di una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.
  In riferimento alla prima violazione, si ricorda che ancor prima dell'emanazione della sentenza di condanna nella causa in oggetto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato idonee misure al fine di garantire l'applicazione, su tutto il territorio nazionale, della direttiva, in particolare con l'invio della nota interpretativa del 6 agosto 2013 a tutte le regioni e alle province autonome, con la quale ha fornito chiarimenti in ordine al regime applicabile ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, circa l'ammissibilità dei rifiuti.
  In tal modo, in piena conformità con quanto affermato dal giudice comunitario nella sentenza, è stato precisato che per idoneo trattamento dei rifiuti urbani da conferire in discarica, s'intende un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della frazione organica.
  Le informazioni fornite dalla regione Lazio sono state trasmesse dal dipartimento per le politiche europee alla Commissione europea.
  Inoltre, per quanto riguarda lo stato di attuazione delle misure programmate per il rafforzamento dell'offerta di trattamento meccanico biologico nella regione Lazio, sono stati forniti alcuni necessari aggiornamenti dei seguenti interventi:
   realizzazione di un ulteriore impianto nel comune di Guidonia in fase collaudo e di prossima autorizzazione all'esercizio per 180.000 t/anno;
   autorizzazione di ulteriori impianti da realizzare nei comuni di Bracciano e Colle ferro entrambi per una capacità di 150.000 t/anno e nel comune di Roma per una capacità di 312.600 t/anno.

  La regione Lazio ha provveduto ad effettuare nei mesi di luglio e agosto 2016 tramite l'agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) del Lazio i sopralluoghi al fine di verificare la cessazione dei conferimenti del «tal quale» in discarica.
  Le risultanze delle misure adottate sono state debitamente trasmesse alla Commissione Europea, e sono attualmente al vaglio delle autorità comunitarie.
  Si evidenzia altresì che, proprio per recepire correttamente tutti, i rilievi e le disposizioni correttive chieste dalla Commissione europea, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il decreto ministeriale 24 giugno 2015, ha provveduto a modificare il decreto ministeriale 27 settembre 2010 relativo ai criteri e alle procedure per l'immissione dei rifiuti nelle discariche.
  Spetta conseguentemente alle regioni, nell'ambito delle competenze alle stesse attribuite sui procedimenti autorizzativi delle discariche, assicurare il rispetto di tali criteri e procedure.
  Per quanto attiene alle discariche nel territorio italiano oggetto di provvedimenti ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per il conferimento di rifiuti non trattati, si evidenzia che gli uffici di questo Ministero sono impegnati nell'esame delle numerose ordinanze pervenute.
  Laddove il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è venuto a conoscenza di specifiche problematiche, sono stati adottati i necessari provvedimenti, come nel caso della regione Lazio oggetto di una specifica circolare del 18 giugno 2015.
  Infine si rileva che, nel rispetto delle disposizioni introdotte dall'articolo 48 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha recentemente concluso la fase istruttoria per la predisposizione delle Linee guida recanti i criteri tecnici per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica.
  Tale documento costituisce ulteriore indirizzo per le regioni, e le province autonome competenti, ai fini del rilascio o dell'adeguamento delle autorizzazioni esistenti, nonché ai fini delle verifiche da parte degli organi preposti al controllo.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – con atto n. 724 del 28 novembre 2003 – ha espresso giudizio positivo circa la compatibilità ambientale del progetto relativo al raddoppio del tratto Fiumetorto – Cefalù – Castelbuono della linea ferroviaria Palermo – Messina da realizzarsi nei comuni di Termini Imerese, Campofelice di Roccella, Lascari, Cefalù e Pollina presentato da ITALFERR spa;
   il suddetto parere favorevole è stato espresso a condizione che si ottemperasse a delle specifiche prescrizioni; tra queste, appare opportuno richiamare in questa sede, quella di cui alla lettera c), che testualmente recita: «la schermatura acustica già prevista nell'ambito dello studio di impatto ambientale dovrà essere realizzata in coerenza con le caratteristiche paesaggistiche dei luoghi, anche mediante la realizzazione di ulteriore elementi di mitigazione rispetto a quanto già previsto. Per la progettazione si dovrà valutare la convenienza dell'introduzione di sistemi in grado di captare, utilizzare e convertire l'energia solare, anche pannelli fotovoltaici da inserire nella struttura antirumore in posizione favorevole alla raccolta dell'energia medesima. Nel tratto di attraversamento del Comune di Campofelice di Roccella, si deve prevedere la posa in opera di sistemi di attenuazione in corrispondenza della struttura ferroviaria finalizzati ad abbattere alla sorgente l'intensità delle vibrazioni e del rumore. Si deve concordare, inoltre, con i Comuni interessati l'utilizzo anche congiunto di barriere verticali, quindi arboree e terrapieni; le tipologie e i materiali delle barriere antirumore dovranno essere conformi al Decreto Ministero Ambiente del 29/11/2000»;
   con decreto del Ministero dell'ambiente 29 novembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 dicembre 2000, n. 285, si stabiliscono i criteri tecnici per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, ivi comprese le autostrade, dei piani degli interventi di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle infrastrutture stesse, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447;
   le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, inclusi i comuni, le province e le regioni, hanno l'obbligo di individuare le aree in cui per effetto delle immissioni delle infrastrutture stesse si abbia superamento dei limiti di immissione previsti e di determinare il contributo specifico delle infrastrutture al superamento dei limiti suddetti — attraverso la presentazione, al comune e alla regione o all'autorità da essa indicata, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, del piano di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle suddette infrastrutture;
   con riferimento all'istanza di nulla osta paesaggistico per il progetto di variante per la realizzazione di opere di mitigazione acustica – nota prot. n. 10903 del 23 agosto 2013 – la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Palermo, con nota prot. 1249/516.7 del 24 febbraio 2014, evidenzia che il progetto esecutivo è stato approvato con nota DSA-2007-0019384 del 10 luglio 2007 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha dichiarato l'avvenuta ottemperanza alle prescrizioni; tuttavia nessun atto autorizzativo in merito al progetto esecutivo del 2007 è stato rilasciato dalla stessa Soprintendenza;
   per regolarizzare le difformità tra quanto approvato dalla Soprintendenza e quanto costruito realizzando in parte l'intervento di cui al progetto esecutivo, la ditta ha inoltrato istanza di ammissibilità a compatibilità paesaggistica, assunta agli atti della Soprintendenza con prot. gen. n. 13837 del 25 ottobre 2013; la stessa Soprintendenza, con nota prot. 533/S 16.7 del 30 gennaio 2014, ha dichiarato la compatibilità paesaggistica dei tratti di barriera antirumore a seguito di un ulteriore studio acustico cui è stato dato avvio nel 2011;
   si evidenzia che, tra i fattori non acustici caratterizzanti una barriera, vi è quello relativo alla trasparenza alla luce: si usa, infatti, distinguere tra trasparenza «statica», che diminuisce l'impatto visivo sulle persone che vivono dietro la barriera e trasparenza «dinamica», che permette ai conducenti dei veicoli di orientarsi meglio, contribuendo alla sicurezza; tra i requisiti prestazionali richiesti per i sistemi antirumore, devono essere forniti valori di trasparenza statica e dinamica calcolati in conformità al metodo di prova prescritto dalla UNI EN 1794-2, appendice F;
   occorre rilevare, infine, che, a quanto consta agli interroganti, le opere anti rumore, realizzate in difformità rispetto al progetto originario approvato, non sono state, concordate con i comuni interessati come da prescrizione di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 724 del 28 novembre 2003 –:
   se sia stato acquisito il nulla-osta dei comuni interessati ed il parere del Ministero a parziale modifica del progetto definitivo di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 724 del 28 novembre 2003 e di quello esecutivo approvato con nota DSA-2007-0019384 del 10 luglio 2007;
   se siano state osservate, per la realizzazione delle suddette opere, le prescrizioni contenute nell'appendice F della UNI EN 1794-2 in ordine al calcolo dei valori di trasparenza statica e dinamica;
   se non ritenga opportuno, previa acquisizione delle adeguate relazioni tecnico-economiche, provvedere alla sostituzione delle opere antirumore che sono state realizzate in difformità al progetto definitivo ed esecutivo con barriere trasparenti opportunamente mimetizzate nell'ambito di protezioni vegetali al fine di ridurre l'impatto estetico delle prime o migliorare l'efficacia acustica delle seconde. (4-11045)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto «Raddoppio del tratto Fiumetorto-Cefalù della linea ferroviaria Palermo-Messina» ha visto lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale, conclusasi in data 28 novembre 2003, con decreto n. 724 di compatibilità ambientale positiva, subordinato al rispetto di prescrizioni, reso dal Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministero per i beni e delle attività culturali e il turismo.
  Successivamente, con provvedimento direttoriale DSA/2007/0019384 del 10 luglio 2007, sulla base del parere della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS n. 936 del 25 giugno 2007, è stata verificata l'ottemperanza del progetto alle prescrizioni di cui alle lettere c), d), m) del decreto n. 724 di compatibilità ambientale. In particolare, le prescrizioni di cui alla lettera c) del citato decreto hanno per oggetto le schermature acustiche, da realizzare in coerenza con le caratteristiche paesaggistiche dei luoghi, anche mediante la realizzazione di ulteriori elementi di mitigazione. La realizzazione dei sistemi di attenuazione acustica e delle barriere antirumore dovrà essere concordata con i comuni interessati, in conformità alle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 285 del 29 novembre 2000.
  Dal citato parere reso dalla commissione tecnica per la verifica dall'impatto ambientale — VIA e VAS emerge come siano stati debitamente valutati gli aspetti indicati dagli interroganti, compreso l'aspetto di cui al punto 4 della prescrizione c) del decreto di compatibilità ambientale n. 724, che recita: «[...] Si deve concordare, inoltre, con i Comuni interessati l'utilizzo anche congiunto di barriere verticali, quinte arboree e terrapieni; le tipologie e i materiali delle barriere antirumore devono essere conformi al Decreto Ministero Ambiente del 29 novembre 2000 [...]», come indicato nel citato parere della commissione tecnica del impatto ambientale n. 936, ove si legge che «[...] la Società proponente inoltre ha dichiarato che i Comuni sono stati interessati in sede di Conferenza di Servizi e che il progetto è stato da questi approvato senza riserve [...]».
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della CGUE del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato, innanzitutto, che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, quindi, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente, nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni, sono stati violati in modo persistente;
   la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione europea. Di conseguenza, la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La CGUE ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo è ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consente di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 deve essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità è calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità è calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente, detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   il 13 luglio 2015 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera con cui sollecita il pagamento della penale dovuta per il primo semestre successivo alla sentenza. La penale richiesta in tale lettera ammonta a 39.800.000 euro; si tratta di un importo che è stato calcolato sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane in merito ai progressi realizzati nella messa conformità delle discariche giacché, alla data del 2 giugno 2015, esistevano ancora 185 discariche non conformi alle direttive europee, ossia inottemperanti a quanto stabilito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE;
   il 2 dicembre 2015 è scaduto il secondo semestre successivo alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 –:
   se il Governo intenda fornire elementi sulle informazioni inviate alla Commissione europea — in occasione della scadenza del secondo semestre successivo alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 — sullo stato dell'arte delle 185 discariche abusive ancora non conformi al diritto comunitario. (4-11400)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si osserva che il caso relativo alla mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 riguarda la violazione della direttiva rifiuti 75/442/CEE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), della direttiva 91/689/CEE e della direttiva 1999/13/CE in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 Regioni italiane. Si tratta, in particolare:
   di n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689/CEE per le quali sono necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;
   di n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a c) della direttiva 1999/31/CE, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  Il 2 dicembre 2014 la corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  In data 24 febbraio 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha provveduto al pagamento della somma forfettaria di 40 milioni di euro e, in data 11 marzo 2015, dei relativi interessi di mora pari a 85.589.04 euro.
  La sentenza ha una determinazione digressiva della sanzione pecuniaria: si prevede, infatti, la riduzione di 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e di 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa dell'Unione europea in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del codice dell'ambiente.
  L'elenco completo delle discariche oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea nel marzo 2015 per il tramite della rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale:
   Abruzzo 28; Basilicata 2; Calabria 43 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Campania 48 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi; Friuli Venezia Giulia 3; Lazio 21 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Liguria 6 di cui 4 di rifiuti pericolosi; Lombardia 4 di cui 2 di rifiuti pericolosi; Marche 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Molise 1; Piemonte 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Puglia 12; Sardegna 1; Sicilia 12 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Toscana 6; Umbria 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Veneto 9.

  La Commissione europea, con due note del 14 dicembre 2014 e del 18 dicembre 2014, ha richiesto la trasmissione, entro il 2 giugno 2015, di specifiche informazioni sulle misure adottate in ottemperanza alla sentenza al fine di determinare l'entità della sanzione semestrale e decurtare dalla citata penalità semestrale la quota relativa agli interventi completati durante il primo semestre successivo alla sentenza.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta dalle regioni e trasmessa a giugno 2015 dalle autorità italiane, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche ed 1 errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 39.800.000,00.
  Il pagamento della prima penalità semestrale è stato effettuato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 24 agosto 2015.
  Alla data del 13 luglio 2015, rimanevano, pertanto, in procedura di infrazione ancora 185 discariche. Nei mesi successivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato:
   un costante lavoro d'impulso delle attività con le amministrazioni regionali competenti al fine del completamento degli interventi ancora in corso e della certificazione di quelli completati;
   l'istruttoria della documentazione necessaria a proporre alla Presidenza del Consiglio dei ministri di diffidare ai sensi dell'articolo 120, secondo comma della Costituzione, e dell'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131, le amministrazioni regionali e locali inadempienti ad adottare tutti i provvedimenti dovuti per completare le attività necessarie a dare corretta esecuzione alla sentenza della corte di giustizia, in vista dell'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi che dovessero rendersi necessari;
   una collaborazione continua con il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio e con l'Avvocatura dello Stato, attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro deputato all'elaborazione congiunta della documentazione, da trasmettere alla Commissione europea, per il calcolo delle penalità semestrali e per lo stralcio dei casi con interventi ultimati e adeguatamente certificati.

  Con riferimento all'attività d'impulso delle autorità regionali competenti, sono state convocate e regolarmente verbalizzate apposite riunioni con le regioni interessate dalla procedura d'infrazione, esaminando caso per caso le discariche oggetto di condanna, supportando gli organi regionali nell'individuazione dei percorsi utili alla risoluzione dei casi.
  A seguito all'attività istruttoria svolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stati notificati, alle regioni e agli enti locali interessati, 161 decreti di diffida del Presidente del Consiglio ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in vista dell'eventuale esercizio del potere sostitutivo straordinario di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
  A seguito della disamina della documentazione trasmessa dalle autorità italiane a dicembre 2015, in data 8 febbraio 2016 la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 29 discariche, nonché 1 errore di censimento, escludendo i relativi siti dal computo della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della seconda penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 33.400.000,00.
  Appare di particolare rilevanza segnalare che tra i casi stralciati figura la Rada di Augusta per la quale, sulla base di chiarimenti e certificazioni trasmesse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Commissione europea ha riconosciuto l'errore di censimento iniziale che, purtroppo, non era stato accettato né in fase di giudizio, né per il calcolo della prima sanzione semestrale.
  Per altre 8 discariche, oggetto di richiesta di stralcio dalla procedura di infrazione, la Commissione europea non ha ritenuto sufficiente la documentazione trasmessa dallo Stato Italiano. Rispetto allo stato dei procedimenti in corso, per le 155 discariche ancora oggetto della procedura d'infrazione a seguito delle predette valutazioni della Commissione europea (originariamente erano 200 discariche abusive), si segnala che gli enti territoriali competenti per 151 discariche sono stati destinatari di diffida ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e che per altri 4 casi di discariche che ricadono all'interno di Siti d'interesse nazionale di bonifica, sono in corso approfondimenti istruttori.
  I termini imposti nelle diffide del Presidente del Consiglio dei ministri non sono tutti scaduti e la situazione è quotidianamente monitorata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  In 10 casi gli enti territoriali hanno adempiuto a quanto richiesto nei termini imposti con le diffide ed è in istruttoria la documentazione al fine della trasmissione alla Commissione europea per il calcolo della terza sanzione semestrale. Sarà impegno costante di questo Ministero proseguire nel cospicuo lavoro di impulso e monitoraggio delle diverse Amministrazioni locali e regionali interessate al fine di completare tutti gli interventi nel minor tempo possibile.
  Tuttavia occorre segnalare che in molti casi i termini imposti con le diffide sono scaduti e le amministrazioni interessate non hanno avviato o completato le attività prescritte. In tali casi, è senz'altro ipotizzabile l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pertanto comunicato le informazioni necessarie alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini della valutazione dell'opportunità, da parte del Consiglio dei Ministri, di procedere all'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle Amministrazioni inadempienti e al loro conseguente commissariamento. Sul punto merita di essere richiamata la nuova disciplina introdotta con l'articolo 1, comma 814, della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), che si applica pienamente anche ai casi in esame.
  In effetti, proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità, di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi siti è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma prevista in legge di stabilità consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione dell'Unione europea — di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti e di cui è intenzione del Governo servirsi con decisione.
  È evidente che tale sentenza di condanna rappresenti un paradosso. Lo Stato, infatti, è costretto a farsi carico, tanto dal punto di vista amministrativo quanto dal punto di vista finanziario, del comportamento omissivo delle Amministrazioni locali e regionali che, nel caso delle discariche abusive, non ottemperano ai compiti loro assegnati dall'articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Da ultimo, in data 2 giugno 2016, le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione europea documenti relativi a 24 discariche abusive. La Commissione ha ritenuto che 22 delle 24 discariche oggetto di procedura d'infrazione per le quali le Autorità italiane hanno chiesto lo stralcio sono state effettivamente messe in regola. Il totale della penalità dovuta per il terzo semestre successivo alla sentenza del 2 dicembre 2014 ammonta dunque ad euro 27.800.000. Ricordo che partivamo da oltre 42 milioni.
  La documentazione relativamente a quest'ultima semestralità, nonché l'elenco delle discariche ad oggi ancora in procedura di infrazione, sono disponibili al seguente link: http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/trasparenza_valutazione_merito/RIN/decisione_iii_semestralita_ 19_09_2016_2.pdf.
  Su questi temi non è mai mancata, fin dal primo giorno, la grande determinazione del Governo. La consapevolezza delle difficoltà, dei ritardi da colmare, dei danni enormi che ha determinato per troppo tempo l'assenza di una vera cultura ambientale, non ci ha fatto perdere la speranza di invertire finalmente la rotta, di affrontare con fiducia e spinta propulsiva quell'enorme sfida morale, oltre che di sviluppo, rappresentata dalla tutela e dalla valorizzazione del nostro patrimonio ambientale. In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali interessati e coinvolti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 disciplina la qualità dell'aria per un'aria più pulita in Europa;
   l'articolo 12 (prescrizioni per i casi in cui i livelli siano inferiori ai valori limite) della direttiva 2008/50/CE riporta: nelle zone e negli agglomerati nei quali i livelli di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10, PM2,5 piombo, benzene e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente sono inferiori ai rispettivi valori limite indicati negli allegati XI e XIV, gli Stati membri mantengono i livelli di tali inquinanti al di sotto dei valori limite e si adoperano per preservare la migliore qualità dell'aria ambiente che risulti compatibile con lo sviluppo sostenibile;
   l'articolo 13 (valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana) della direttiva 2008/50/CE riporta: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell'aria ambiente non superino, nell'insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell'allegato XI. Per quanto riguarda il biossido di azoto e il benzene, i valori limite fissati nell'allegato XI non possono essere superati a decorrere dalle date indicate nel medesimo allegato. Il rispetto di tali requisiti è valutato a norma dell'allegato III. I margini di tolleranza fissati nell'allegato XI si applicano a norma dell'articolo 22, paragrafo 3 e dell'articolo 23, paragrafo 1. 2. Le soglie di allarme applicabili per le concentrazioni di biossido di zolfo e biossido di azoto nell'aria ambiente sono indicate nell'allegato XII, punto A»;
   l'allegato I lettera a) della direttiva 2008/50/CE rileva gli obiettivi di qualità dei dati per la valutazione della qualità dell'aria ambiente;
   l'allegato II della direttiva 2008/50/CE rileva la determinazione dei requisiti per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente in una zona o in un agglomerato;
   l'allegato III della direttiva 2008/50/CE rileva la valutazione della qualità dell'aria ambiente e ubicazione dei punti di campionamento per la misurazione di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato IV della direttiva 2008/50/CE stabilisce i criteri per determinare il numero minimo di punti di campionamento per la misurazione in siti fissi delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente;
   l'allegato VI della direttiva 2008/50/CE determina i metodi di riferimento per la valutazione delle concentrazioni di biossido di zolfo, biossido di azoto e ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, e ozono;
   l'allegato XI della direttiva 2008/50/CE individua i valori limite per la protezione della salute umana;
   l'allegato XVI della direttiva 2008/50/CE disciplina le informazioni del pubblico; al comma 1 si prevede: «Gli Stati membri provvedono affinché siano messe sistematicamente a disposizione del pubblico informazioni aggiornate sulle concentrazioni nell'aria ambiente degli inquinanti disciplinati dalla presente direttiva»; al comma 2 si stabilisce che: le concentrazioni nell'aria ambiente ottenute devono essere presentate come valori medi secondo i periodi di mediazione applicabili indicati nell'allegato VII e negli allegati da XI a XIV. Le informazioni devono indicare almeno i livelli superiori agli obiettivi di qualità dell'aria, in particolare i valori limite, i valori-obiettivo, le soglie di allarme, le soglie di informazione o gli obiettivi a lungo termine fissati per l'inquinante interessato. Deve inoltre essere presentata una breve valutazione riguardo agli obiettivi di qualità dell'aria e informazioni adeguate sugli effetti per la salute o, se del caso, per la vegetazione. Al comma 3 si prevede che: le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, particolato (almeno PM10), ozono e monossido di carbonio devono essere aggiornate almeno ogni giorno e, se fattibile, anche su base oraria. Le informazioni sulle concentrazioni nell'aria ambiente di piombo e benzene, presentate come valore medio degli ultimi 12 mesi, devono essere aggiornate almeno su base trimestrale e, se fattibile, su base mensile;
   la Commissione europea attraverso una lettera di messa in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, inviata all'Italia ha aperto la procedura di infrazione 2014–2147 concernente la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativamente alla qualità dell'aria per il superamento dei valori limite di PM10 in Italia;
   in merito alla procedura di infrazione 2014–2147, il rapporto «Mal'aria 2015» di Legambiente riporta: «Gli elevati livelli di inquinamento atmosferico in Italia sono alla base di una procedura d'infrazione a causa della “Cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente — Superamento dei valori limite di PM10 in Italia”. Le violazioni riguardano 19 zone ed agglomerati suddivisi in 10 regioni italiane distribuite da nord a sud (Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia, Molise, Campania ed Umbria le Regioni interessate) e porteranno, se l'Italia non riuscirà a porre rimedio, ad una condanna con conseguenti sanzioni, come già avvenuto nel 2012. L'Italia infatti era stata già stata condannata tre anni fa relativamente ai superamenti di PM10 per il periodo 2006-2007 in 55 diverse zone ed agglomerati italiani. Il dato più scoraggiante e preoccupante in merito alla nuova procedura di infrazione è che 13 delle 55 aree già condannate hanno continuato a superare costantemente i limiti per il PM10 anche nel periodo 2008-2012 e si ritrovano per questo di nuovo sotto indagine, insieme ad altre 6 nuove zone»;
   l'Italia è il Paese dell'Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l'inquinamento dell'aria. La stima arriva dal rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea): il Belpease nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491mila a livello di Unione europea. Tre i « killer» sotto accusa per questo triste primato: le micro polveri sottili (PM2,5), il biossido di azoto (NO2) e l'ozono, quello nei bassi strati dell'atmosfera (03), a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti premature in Italia. Il bilancio più grave se lo aggiudicano le micropolveri sottili, che provocano 403 mila vittime nell'Unione europea a 28 e 432 mila nel complesso dei 40 Paesi europei considerati dallo studio. L'impatto stimato dell'esposizione, al biossido di azoto e all'ozono invece è di circa 72 mila e 16 mila vittime precoci nei 28 Paesi dell'Unione europea e di 75 mila e 17 mila per 40 Paesi europei. L'area più colpita in Italia dal problema delle micro polveri si conferma quella della pianura padana, con Brescia, Monza, Milano, ma anche Torino, che oltrepassano il limite fissato a livello dell'Unione europea di una concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, sfiorata invece da Venezia. Considerando poi la soglia ben più bassa raccomandata dall'Organizzazione mondiale della sanità di 10 microgrammi per metro cubo, il quadro italiano peggiora sensibilmente, a partire da altre grandi città come Roma, Firenze, Napoli, Bologna, arrivando fino a Cagliari –:
   quali siano le zone ovvero le regioni e gli enti locali interessati dalla procedura di infrazione 2014–2147;
   se ritenga utile — così com’è avvenuto per la questione delle acque reflue — predisporre una sezione del sito http://italiasicura.governo.it/site/home.html dedicata all'informazione dei cittadini relativamente alle zone ovvero alle regioni e agli enti locali interessati a procedura di infrazione concernenti la qualità dell'aria;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo affinché la procedura di infrazione 2014–2147 venga chiusa;
   se intenda fornire un elenco sullo stato dei piani regionali per la qualità dell'aria indicando quali aree rientrino nel monitoraggio;
   se i criteri di zonizzazione siano omogenei a livello nazionale. (4-11409)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la qualità dell'aria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  La Commissione europea, in data 10 luglio 2014, ha emesso, ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, una lettera di costituzione in mora nei confronti dell'Italia per la non corretta applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente, ed in particolare per il mancato rispetto dei valori limite di materiale particolato PM10 fissati dalla direttiva in 19 zone e agglomerati del territorio italiano nel periodo 2008-2012 (PI n. 2014/2147). In data 16 giugno 2016 la stessa Commissione ha esteso tale procedura ad 11 zone ed agglomerati delle regioni del bacino padano sin qui escluse dall'infrazione in corso.
  Con riferimento alla richiesta in oggetto, si fa presente che le zone interessate dalla lettera di costituzione in mora appartengono alle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Umbria, Marche, Molise, Campania, Toscana, Puglia e Sicilia, come riportato nella tabella seguente.

Regione Denominazione zona
Emilia Romagna Pianura ovest
Pianura Est

Lombardia

Agglomerato di Milano
Agglomerato di Bergamo
Agglomerato di Brescia
Zona A- Pianura ad elevata urbanizzazione
Zona B- Pianura
Zona D- Fondovalle
Piemonte Agglomerato di Torino
Pianura
Collina

Veneto

Zona 1 Agglomerato: Agglomerato Venezia-Treviso
Zona 1 Agglomerato: Agglomerato Padova
Zona 1 Agglomerato: Agglomerato Vicenza
Zona 1 Agglomerato: Agglomerato Verona
Zona A1 Provincia
Zona A2 Provincia

Toscana

Agglomerato Firenze
Zona Prato Pistoia
Zona Valdarno Pisano e Piana Lucchese
Umbria Zona della conca ternana
Marche Zona A
Lazio Zona Valle del Sacco
Agglomerato di Roma
Molise Campobasso

Campania

Zona di Risanamento – Area Napoli e Caserta
Zona di risanamento – Area beneventana
Puglia Zona industriale
Sicilia Agglomerato di Palermo
Aree Industriali

Con riferimento alla zonizzazione del territorio, si segnala che, a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 155 del 2010, di recepimento della direttiva 2008/50/CE, le regioni interessate dalla lettera di costituzione in mora hanno provveduto ad adeguare la zonizzazione del territorio regionale ai nuovi criteri definiti nella norma.
  Il decreto legislativo n. 155 del 2010 ha infatti introdotto importanti novità nei criteri per la zonizzazione del territorio, con la finalità di assicurare completezza, uniformità e qualità nella valutazione della qualità dell'aria su tutto il territorio italiano. I criteri prevedono che la zonizzazione debba essere realizzata sulla base della conoscenza delle cause che generano l'inquinamento, come popolazione, densità abitativa, assetto urbanistico, carico emissivo, caratteristiche orografiche, meteo-climatiche e grado di urbanizzazione del territorio. Il processo di revisione della zonizzazione del territorio operato dalle regioni ha pertanto consentito di definire zone omogenee rispetto alle citate cause, portando, ad una suddivisione del territorio italiano, in zone e agglomerati, completa e uniforme su tutto il territorio nazionale.
  Con riferimento ai piani regionali per la qualità dell'aria, si riporta lo stato della predisposizione da parte delle regioni interessate dalla procedura d'infrazione in questione:
   regione Campania: con DGR n. 167 del 14 febbraio 2006 è stato approvato il «piano regionale di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria», integrato con DGR n. 811 del 27 dicembre 2012 e con DGR n. 683 del 23 dicembre 2014;
   regione Emilia Romagna: con DGR n. 1180 del 21 luglio 2014 è stato approvato il «piano aria integrato regionale PAIR 2020»;
   regione Lazio: con DCR n. 66 del 10 dicembre 2009 e DGR del 5 marzo 2010, n. 164 è stato approvato il «piano di risanamento della qualità dell'aria»;
   regione Lombardia: con DGR n. 593 del 2013 è stato approvato il «piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria (PRIA)»;
   regione Marche: con DACR n. 143 del 12 gennaio 2010 è stato approvato il «piano di risanamento e di mantenimento della qualità dell'aria»;
   regione Molise: la Regione ha avviato il processo di definizione del «piano regionale integrato per la qualità dell'aria Molise (P.R.I.A.Mo.)». Con delibera di giunta regionale n. 829 del 24 dicembre 2015 per tale piano è stato formalmente avviato il procedimento per la valutazione ambientale strategica;
   regione Piemonte: con legge regionale n. 43 del 7 aprile 2000 è stato approvato il «piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria»;
   regione Puglia: con DGR n. 328 dell'11 marzo 2008 e successiva DGR n. 686 del 6 maggio 2008 è stato approvato il «piano regionale della qualità dell'aria ambiente»;
   regione siciliana: con decreto assessoriale n. 176/GAB del 9 agosto 2007 è stato approvato un piano di coordinamento «piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria»;
   regione Toscana: con DCR n. 44, del 25 giugno 2008 è stato approvato il «piano di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria (P.R.R.M.)»;
   regione Umbria: con DGR n. 296 del 17 dicembre 2013 è stato approvato il «piano regionale della qualità dell'aria»;
   regione Veneto: con DCR n. 90 del 19 aprile 2016 è stato approvato l'aggiornamento del «piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera».

  Relativamente all'informazione dei cittadini in merito alle zone oggetto di procedure di infrazione concernenti la qualità dell'aria, ad oggi non è stata valutata l'opportunità di predisporre un sito specifico dedicato a tale argomento, in quanto le regioni, secondo le norme sulla qualità dell'aria, già garantiscono la diffusione al pubblico delle informazioni sulla qualità dell'aria ambiente tramite la pubblicazione sui propri siti web dei dati aggiornati di qualità dell'aria, delle relazioni sui superamenti registrati e dei piani e delle misure adottate per contrastare l'inquinamento.
  Infine, con riferimento alle iniziative nazionali, fermo restando che la vigente normativa attribuisce alle regioni la competenza primaria in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, e quindi anche in materia di elaborazione di piani di risanamento ed adozione di misure di intervento per il miglioramento della qualità dell'aria, si segnala che da tempo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato una strategia condivisa per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale.
  In tale contesto, il 18 dicembre 2013, è stato sottoscritto un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano), finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano. In particolare tale Accordo ha previsto l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici.
  Al riguardo si segnala che tutti i gruppi di lavoro hanno completato l'attività richiesta dall'accordo ed in particolare, per quanto riguarda i gruppi istituiti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stati predisposti lo schema di decreto recante l'aggiornamento dei valori limite di emissione degli impianti di combustione alimentati a biomassa e lo schema di regolamento sulla certificazione ambientale dei generatori di calore alimentati con combustibili solidi, attualmente in fase di concertazione con i Ministeri dello sviluppo economico e della salute.
  Infine si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Tale protocollo prevede importanti misure di sostegno agli interventi regionali e locali di risanamento, come la destinazione di 12 milioni di euro al finanziamento di misure dirette ad incentivare il trasporto pubblico locale e la mobilità alternativa al trasporto privato. Nel protocollo si prevede inoltre un impegno a precisare le attività da finanziare con strumenti di incentivazione esistenti (fondo per la mobilità sostenibile, fondo per la realizzazione di reti di ricarica elettrica, fondo per la riqualificazione energetica delle scuole e degli edifici pubblici), per un importo totale di circa 350 milioni di euro.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO e SARTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 della legge 14 gennaio 2013 n. 10 reca disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale. Il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, emanato il 23 ottobre del 2014, ha definito i principi ed i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali. Tale decreto, nell'istituire l'elenco italiano degli alberi monumentali ne ha affidato la gestione all'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato;
   da recenti notizie di stampa (La Repubblica edizione Bologna del 12 gennaio 2016) si apprende che, lungo il torrente Savena, sono stati abbattuti 50.000 alberi, principalmente querce, frassini ed olmi su di una superficie di circa 2.700 metri quadrati. A tali stime, ufficiali, si affiancano quelle dell'organizzazione W.W.F. secondo la quale l'area interessata coprirebbe, verosimilmente, una superficie di 30.000 metri quadrati di vegetazione. Gli amministratori della zona avrebbero adottato tale taglio selettivo per pure esigenze di sicurezza, una misura necessaria per l'incolumità dei cittadini contro le esondazioni. Un'operazione di ordinaria pulizia nel perimetro di esondazione. L'area interessata ricade parzialmente sul territorio individuato come zona SIC-ZPS IT4050001 (siti di interesse comunitario/zone di protezione speciale) nell'ambito della rete Natura 2000;
   il taglio selettivo, oggetto dell'appalto vinto da tre ditte toscane con la formula «a compensazione» cioè a costo zero per il comune perché i lavori vengono pagati con il legname disboscato, ha invaso un'area SIC (sito di importanza comunitaria);
   il sindaco di Pianoro, Gabriele Minghetti, sul sito ufficiale del comune ha pubblicato una nota nella quale, al punto 5, attribuisce integralmente la responsabilità di tale sconfinamento all'azienda incaricata; l'errore involontario sarebbe da ricercarsi nella scarsa visibilità della segnaletica che avrebbe dovuto indicare l'inizio della zona protetta;
   il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta. Gli alberi crescendo catturano anidride carbonica ed emettono ossigeno, permettendo la lotta al cambiamento climatico –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno promuovere, per quanto di competenza, un sopralluogo per verificare la consistenza del danno ambientale e paesaggistico dell'area SIC soggetta a «disboscamento involontario»;
   se non ritengano di dover promuovere un regime di maggior tutela di tali aree anche alla luce di quanto emerso nell'ultimo accordo mondiale sul clima (COP 21) orientato ad accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra;
   se la regione Emilia Romagna, in ottemperanza agli articoli 2 e 3 del decreto ministeriale citato in premessa, abbia provveduto ad aggiornare, con i nuovi criteri, l'elenco regionale degli alberi monumentali. (4-11714)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente l'abbattimento di alberi, alcuni dei quali citati come monumentali, avvenuta lungo le sponde del torrente Savena, nel comune di Pianoro, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dagli enti territoriali competenti, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  Secondo quanto riferito dall'amministrazione comunale di Pianoro, l'area oggetto di taglio lungo il torrente Savena ha interessato un’«area densamente antropizzata con vaste zone industriali (180 aziende/attività insediate frontalmente e a ridosso del fiume), residenziali (circa 2.500 abitanti equivalenti insediati frontalmente lungo il corso fluviale), infrastrutture (come la strada della futa e fondovalle Savena) e edifici pubblici».
  Il comune riporta che, a seguito delle forti precipitazioni avvenute nel primi mesi del 2013, ha provveduto a «disporre interventi di somma urgenza per fenomeni franosi sul territorio e per danni derivanti da esondazioni del Savena, di cui due oggetto di intervento congiunto con la protezione civile». Viene riferito infatti che «gli alberi di alto fusto caduti in alveo avevano, ..., occluso larga parte delle arcate dei ponti provocando la deviazione del percorso del fiume» e pertanto il comune, allertato dallo «stato di abbandono della vegetazione nelle aree vicine ai corsi d'acqua e di tutto l'ambiente circostante», ha messo in atto una serie di «azioni amministrative ... per cercare di salvaguardare il territorio e l'ambiente e di garantire nel contempo l'incolumità delle persone».
  Il comune chiarisce inoltre che «Il taglio delle alberature lungo il torrente Savena non ha riguardato 50.000 alberi e che nessuno di questi era catalogato come monumentale. Detto taglio è stato effettuato all'interno di aree di alveo attivo del torrente ed in area a rischio idraulico (delimitate nel Psai dell'autorità di bacino), dove una vegetazione di tipo arboreo matura – sviluppatasi a causa di decenni di non intervento – non è compatibile con la sicurezza idraulica né con il transito veicolare sulle strade in aree fortemente urbanizzate che costeggiano il corso d'acqua. Il bosco maturo dentro l'alveo favorisce l'erosione del fondo e la formazione di voragini laddove le piante vengono sradicate dalla corrente e di accumuli anomali in altre aree dell'alveo. I tronchi che viaggiano con le piene hanno effetti distruttivi su tutto ciò che incontrano nella loro corsa verso valle, e quando si fermano fra le pile dei ponti comunali creano dei veri e propri tappi nella sezione di deflusso facendo aumentare molto il rischio di alluvioni. Nei periodi di magra la presenza di alberature in alveo favorisce il ristagno dell'acqua e rallenta la fitodepurazione, contribuendo al proliferare delle alghe. Prima dei tagli di pulizia le alghe erano più abbondanti ma assai meno visibili. La pulizia del torrente, al contrario, favorisce l'ossigenazione dell'acqua nei periodi di magra. Il taglio raso, lasciando intatte le radici, permette il rinnovo della vegetazione e la ricrescita di piante giovani ed elastiche che aumentano la scabrezza dell'alveo. È questa, e non la presenza di grossi alberi, che contribuisce a rallentare le piene.».
  L'autorità comunale precisa, altresì, che l'azione amministrativa è stata condotta congiuntamente agli enti territoriali competenti, e che anche il responsabile del servizio tecnico bacino Reno, nelle valutazioni di merito dell'intervento autorizzato al comune di Pianoro, ha condiviso le azioni attuate dal comune medesimo. Quest'ultimo ha, quindi, confermato che i lavori effettuati nell'estate del 2014 sono stati realizzati sulla base di apposita autorizzazione del servizio tecnico bacino Reno, rientrando nella categoria degli interventi idraulici urgenti e di somma urgenza ex articolo 176 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010.
  Per quanto attiene l'affidamento dei lavori, il comune fa presente che l'intervento è stato effettuato ai sensi dell'articolo 125, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e posto in essere dall'Amministrazione mediante lavori in economia affidati con procedura negoziata, ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera c) del citato decreto legislativo, nonostante l'articolo 125, comma 8, ne permettesse anche l'affidamento diretto.
  Il taglio degli alberi è stato effettuato a costo zero per l'amministrazione, che ha eseguito anche lavori di sistemazione dell'alveo del torrente Savena negli stessi tratti oggetto degli interventi di taglio selettivo della vegetazione, compensandoli con l'introito pari a 41.185,00 euro, quale corrispettivo per il valore del legname demaniale tagliato. Anche i lavori di sistemazione dell'alveo, consistenti nella sola movimentazione del materiale litoide depositatosi in accumuli e nella riprofilatura delle sponde, sono stati autorizzati dal responsabile del servizio tecnico bacino Reno con PG/2014/407809 del 3 novembre 2014.
  Con la delibera di giunta n. 1953/2014 del 22 dicembre 2014, della regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto «Lavori urgenti nell'alveo del torrente Savena e affluenti minori volti al miglioramento dell'officiosità idraulica e alla riduzione del rischio di esondazione nei tratti compresi all'interno dei confini amministrativi del territorio comunale di Pianoro. Presa d'atto della copertura finanziaria e individuazione del soggetto attuatore sono state ratificate le autorizzazioni del servizio tecnico bacino Reno ed è stato individuato come soggetto attuatore dell'intervento il comune di Pianoro.
  La medesima amministrazione riferisce che, a seguito di monitoraggi condotti dalla regione e dall'università di Bologna, nell'area è stata riscontrata una «rapida ricrescita della vegetazione; il fiume si sta riprendendo piccoli spazi laterali, le sistemazioni post-taglio hanno rallentato l'erosione del fondo che metteva a rischio la stabilità dei ponti; è oggettivo che i tagli effettuati hanno scongiurato danni al territorio sia durante la piena del 20 settembre 2014 sia dopo la nevicata eccezionale avvenuta nel febbraio 2015, eventi che altrove hanno causato danni ingentissimi. Le piene recenti sono passate senza danni di sorta».
  Per quanto riguarda invece il taglio non autorizzato in area tutelata SIC/ZPS «Contrafforte Pliocenico», il comune riferisce «che lo stesso è conseguenza di un errore involontario della azienda incaricata dovuto alla scarsa segnaletica che indicava l'inizio della zona protetta e che, nel caso specifico, era praticamente invisibile. Il comune ha immediatamente interrotto i lavori e contestato formalmente lo sconfinamento. Il 23 ottobre 2014 tecnici comunali, provinciali e regionali hanno effettuato sopralluogo e concordato interventi di rinaturalizzazione prevedendo scavi di buche irregolari e piantumazione di gruppi di essenze arboree. Oggi, le zone umide di quest'area risultano già rinaturalizzate. Sono state piantumate, come da prescrizione del servizio parchi e risorse forestali della regione Emilia-Romagna, n. 300 piante ritirate dai vivai forestali della stessa regione. Nel prossimo mese di settembre si procederà all'eliminazione della vegetazione alloctona ricresciuta nell'area in oggetto. Si è attualmente in attesa della chiusura del procedimento, per quanto attiene gli interventi di rinaturalizzazione, da parte del citato Servizio regionale, avendo il comune ottemperato alle prescrizioni di cui al nulla osta alla valutazione di incidenza ex post».
  Il comune di Pianoro precisa infine che «è in via di programmazione, d'intesa con i servizi già citati, una più frequente manutenzione della vegetazione e dell'alveo fluviale che consenta il mantenimento in sicurezza della regimazione idraulica e la piena fruibilità di una delle più importanti risorse del nostro territorio: il Savena ed il suo parco fluviale».
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il personale dipendente dell'assessorato regionale territorio e ambiente (ARTA) della regione siciliana – oggi servizio 3 «Assetto del territorio e difesa del suolo» – dall'inizio dell'attività ha subito una drastica riduzione del personale causata sia dalle difficoltà lavorative dei precari, sia dai numerosi trasferimenti del personale;
   nello specifico, la dotazione organica dell'assessorato regionale territorio e ambiente, da un numero di 70 unità selezionate con bando pubblicato sulla G.U.R.S. n. 4/2001 – alle quali si aggiungono 7 unità della Task Force del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per complessive 77 unità – è stata oggetto, nel tempo, di una progressiva e drammatica riduzione, come rilevabile dall'esame dell'organigramma del 30 aprile 2012, dal quale risultano n. 42 unità PAI (piano per l'assetto idrogeologico) più n. 7 unità task force del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per un totale di 49 unità, fino all'ultimo organigramma del 4 settembre 2015, da cui si rileva un'ulteriore perdita di 28 unità – tenuto conto, inoltre, di alcune unita di personale, indicate in organigramma con il codice PAI (perché con contratto finalizzato al PAI) che risultano dislocate ad altri servizi o unità operative deputate a funzioni che esulano dal PAI;
   ad oggi, la configurazione dell'organico di personale presso il servizio 3 assetto del territorio e difesa del suolo, finalizzato alle fondamentali mansioni di pianificazione e programmazione PAI e agli adempimenti derivanti dall'applicazione dell'articolo 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si presenta come di seguito sintetizzata: servizio 3 «Assetto del territorio e difesa del Suolo», n. 7 unità, U.O. S3.1 «Pianificazione e programmazione PAI», n. 8 unità, U.O. S3.2 «Attuazione del PAI – Interventi infrastrutturali per la difesa del suolo», n. 6 unità, U.O. S3.4 adempimenti di competenza delle autorità di bacino ex articolo 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006», n. 8 unità, per complessive 29 unità;
   la riduzione del personale in forza all'assessorato in parola e preposto a tali funzioni, contribuisce ad acuire i problemi inerenti alla carenza di mezzi e strumenti per procedere agli aggiornamenti del PAI per evitare che nuovamente possano profilarsi condizioni che hanno portato alle drammatiche vicende della alluvione che nel 2009 ha scosso la località di Giampilieri e la società civile tutta;
   a testimonianza di questo disastroso quadro, ai dirigenti responsabili del servizio e delle unità operative non è rimasto che scrivere lettere d'appello ai superiori, per evidenziare il peso della responsabilità conseguente allo svolgimento di tali mansioni con uffici sottodimensionati e non dotati delle competenze e delle risorse umane necessarie;
   nel marzo 2014 trentacinque lavoratori dell'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, sono stati sospesi dopo essere stati assunti con bando pubblico che prevedeva la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che, nella fattispecie, sono stati prorogati di anno in anno fino alla sospensione definitiva;
   secondo quanto riportato dalla testata Meridionews, la sospensione sarebbe avvenuta «con decreto del Dirigente del dipartimento, Dott. Pirillo, che aveva riscontrato una serie di circostanze poco chiare: oltre a non percepire lo stipendio per oltre un anno, i lavoratori hanno ricevuto la busta paga, restando scoperti persino sul fronte dei versamenti previdenziali, assicurativi e contributivi a INAIL ed INPS»;
   per i co.co.co. sopra richiamati, l'articolo 12 della legge regionale 9 del 2015 pubblicato nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20 del 15 maggio 2015 sotto il titolo «Procedure di conciliazione» ha previsto che l'assessorato regionale della autonomie locali e della funzione pubblica procedesse alla conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile;
   sempre secondo Meridionews «nonostante i solleciti, le mail inviate all'assessorato al Territorio con gli elenchi dei lavoratori per cui far partire la conciliazione oltre ad alcune lettere di diffida e messa in mora inviate dai lavoratori alla Funzione Pubblica», si è assistito ad un «rimpallo» di competenze tra il dottor Pirillo, dirigente generale del dipartimento ambiente, e la dottoressa Giammanco, dirigente generale del dipartimento della funzione pubblica e del personale;
   il progetto Spin4Life, a causa dei lavoratori Aria sospesi – di cui dodici facevano parte dell'area di lavoro riconducibile al progetto – non potrà rispettare il cronoprogramma descritto e, conseguentemente, raggiungere gli obiettivi previsti; tale situazione ha determinato il rigetto della commissione di valutazione europea e, secondo quanto dichiarato alla testata Meridionews in data 17 novembre dal dirigente generale dottor Pirillo, la perdita delle risorse allocate, per un ammontare complessivo di 150 mila euro;
   il progressivo ridimensionamento del personale non consente di assolvere alle normali funzioni che il Servizio 3 dovrebbe garantire, considerata sia la imminente scadenza del piano di gestione del rischio di alluvioni, sia le difficoltà causate dagli ultimi accadimenti legati al dissesto idrogeologico che hanno, altresì, evidenziato problemi connessi ai mezzi e agli strumenti per procedere agli aggiornamenti del PAI –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda promuovere per garantire l'attuazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico nella Regione Sicilia, in una situazione caratterizzata da una forte carenza di risorse dell'amministrazione regionale. (4-12257)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare è opportuno ricordare che il legislatore è più volte intervenuto in materia prevedendo misure di contenimento della spesa di personale e una disciplina limitativa delle assunzioni anche presso gli enti territoriali. Inoltre, a seguito della legge n. 56 del 7 aprile 2014 recante «disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» (cosiddetta «riforma Delrio») che ridisegna confini e competenze dell'amministrazione locale, la capacità assunzionale degli enti locali risulta altresì assoggettata ai vincoli finalizzati a garantire il riassorbimento del personale delle province, impattando, la stessa anche sulle amministrazioni centrali dello Stato.
  Ad ogni modo, nel caso di specie, le azioni volte a garantire il contenimento della spesa del personale rientrano nell'ambito dell'attività di programmazione degli stessi enti territoriali che dovranno esercitarla, fermo restando la loro autonomia ordinamentale, nel pieno rispetto dei vincoli previsti dalla legislazione vigente in materia.
  Su tale tema, occorre innanzitutto evidenziare come la messa in sicurezza del territorio e il superamento delle varie criticità ambientali sia sempre stato un obiettivo prioritario del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. In questi ultimi anni, ed in particolare a partire dal 2014, l'azione del Governo è stata tuttavia finalizzata ad affrontare in modo ancor più incisivo il problema della gestione e del superamento delle emergenze in campo ambientale. Ciò ha portato, sul piano legislativo, ad una serie di interventi normativi che hanno fortemente inciso sia sugli aspetti della programmazione degli interventi in materia di rischio idrogeologico che sulle fasi di progettazione ed esecutive degli stessi e di quelli necessari all'adeguamento del servizio idrico integrato.
  Ciò premesso, e per quanto di competenza, si evidenziano le misure, ivi inclusi, le risorse anche strumentali rese disponibili dal legislatore per garantire in ambito regionale l'attuazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico.
  Al riguardo, si fa presente che, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, i Presidenti delle regioni sono subentrati, relativamente al territorio di competenza, nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), e nella titolarità delle relative contabilità speciali (articolo 10, comma 1, del citato decreto-legge 91 del 2014).
  In particolare, per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo, nonché per ogni altra attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all'affidamento e all'esecuzione dei lavori, ivi inclusi i servizi e le forniture, il presidente della regione può avvalersi, oltre che delle strutture e degli uffici regionali, degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni, dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche, nonché della società Anas s.p.a., dei consorzi di bonifica e delle autorità di distretto, nonché delle strutture commissariali già esistenti, non oltre il 30 giugno 2015, e delle società a totale capitale pubblico o delle società dalle stesse controllate.
  Tale concetto viene ripreso dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il quale stabilisce che per le attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui agli accordi di programma stipulati con le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, i presidenti delle regioni, nell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, possono richiedere di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di tutti i soggetti pubblici e privati, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica prescritte dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ivi comprese società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, attraverso i Ministeri competenti che esercitano il controllo analogo sulle rispettive società, ai sensi della disciplina nazionale ed europea (articolo 7, comma 4).
  Con riferimento alle risorse economiche rese disponibili e alle iniziative promosse per garantire l'attuazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico nella regione Sicilia, si evidenzia quanto segue.
  In attuazione a quanto disposto dal Governo con l'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Sicilia hanno sottoscritto in data 30 marzo 2010 uno specifico accordo di programma che prevede il finanziamento di n. 173 interventi per un importo complessivo pari ad euro 304.337.176,92.
  A tale accordo di programma hanno fatto seguito tre successivi Atti Integrativi; nell'ambito di tali provvedimenti, l'importo complessivo posto a finanziamento è stato ulteriormente incrementato, come di seguito indicato:
   1o atto integrativo in data 3 maggio 2011:
    euro 21.251.185,84 a favore di ulteriori interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio della regione Sicilia;
  2o atto integrativo, in data 28 ottobre 2014:
    euro 10.000.000,00, ai sensi dell'articolo 1 lettera b) dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3980 dell'11 novembre 2011, per il superamento dei contesti emergenziali determinatisi a seguito di eccezionali avversità atmosferiche;
   3o Atto Integrativo in data 20 gennaio 2015:
    euro 15.000.000,00 a favore di interventi per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico nei comuni della provincia di Messina.

  Attualmente, quindi, l'accordo di programma prevede l'attuazione di n. 220 interventi, per un importo complessivo di Euro 350.588.362,76 di cui:
   euro 162.692.572,11 da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la realizzazione di n. 91 interventi;
   euro 12.756.002,61 con delibera Cipe n. 8 del 20 gennaio 2012 per la realizzazione di n. 11 interventi;
   euro 175.139.788,04 da parte della regione Sicilia per la realizzazione di n. 118 interventi.

  Nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale per il dissesto idrogeologico, un Piano Stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, i cui dati sono stati definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015.
  Tale Piano, che prevede un investimento complessivo sul territorio nazionale pari ad 1,3 miliardi di euro, attualmente prevede per la regione siciliana la realizzazione di n. 8 interventi di contrasto al rischio alluvione (tabelle C e D), localizzati nelle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, per un importo complessivo pari a euro 95.286.165,19.
  In ultimo, va ricordato che il Governo si è di recente attivato per sottoscrivere i «patti per il sud», tra cui figurano quello con la Regione Siciliana nonché quelli con ognuna delle 3 città metropolitane siciliane (Palermo, Catania e Messina).
  Con essi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i rispettivi enti coinvolti condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche e integrate, volti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree industriali, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio metropolitano. In questo ambito, tra le linee di sviluppo e le relative aree di intervento previste, figurano anche azioni nel campo delle infrastrutture e dell'ambiente.
  Al momento risultano già firmati, i rispettivi patti per le città metropolitane di Palermo e Catania, in cui si identificano gli interventi prioritari e gli obiettivi da conseguire entro il 2017. Sono invece in avanzata fase di definizione i relativi patti con la regione siciliana e con la città metropolitana di Messina.
  In particolare, il patto con la città metropolitana di Palermo identifica interventi prioritari per un importo complessivo pari ad euro 770.890.807,57. In tale ambito risultano ricompresi anche i seguenti interventi contro il rischio di dissesto idrogeologico:
   interventi volti alla mitigazione del rischio di frana, crollo e smottamento dei rilievi montuosi che circondano la città. Importo complessivo euro 57.502.245,48.

  Analogamente, il patto con la città metropolitana di Catania identifica interventi prioritari per un importo complessivo pari ad euro 739.108.116,20. In tale ambito risultano ricompresi anche i seguenti interventi contro il rischio di dissesto idrogeologico:
   riqualificazione e sistemazione idraulica torrenti Forcile, Nitta, Bummacaro;
   sistemazione idraulica del torrente Carcaci e completamento delle fognature pluviali San Giorgio Basso 1o e 2o lotto. Importo complessivo euro 38.100.000,00.

  Tali interventi, attualmente espressi quale macrovoce, andranno successivamente individuati nello specifico.
  Per quanto concerne gli interventi relativi al settore strategico «ambiente», ed in particolare i progetti per gli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, le parti si sono impegnate affinché, conformemente a quanto previsto dalla legislazione vigente, questi siano ammessi a finanziamento utilizzando i criteri di scelta e di attribuzione delle risorse che, ai sensi dell'articolo 10, comma 11, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 recante «individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico».
  Inoltre, ulteriori interventi di contrasto al dissesto idrogeologico si prevede risultino ricompresi all'interno dei patti con la regione Sicilia e con la città metropolitana di Messina, di prossima sottoscrizione.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3887/2010 del 9 luglio 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione siciliana in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi. Contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente della regione siciliana è stato nominato commissario delegato con il compito di predisporre l'adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti del 2002;
   a far data del 31 dicembre 2012 (Doc.554/2), dopo due proroghe dello stato di emergenza (2011 e 2012) ed a seguito degli effetti per la variazione legislativa in materia di protezione civile nazionale, non è stato più prorogato tale stato di emergenza di cui alla ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3887/2010;
   tuttavia la grave condizione di criticità nel settore rifiuti della discarica di Bellolampo – sia per gli aspetti di gestione del percolato sia per l'incendio del luglio del 2012, che ha portato al sequestro dell'intera area nell'aprile del 2013 – ha indotto il Governo nazionale a dichiarare nuovamente Io stato di emergenza in materia di rifiuti con l'approvazione del decreto-legge n. 43 del 2013 che interessava esclusivamente la città di Palermo e la discarica di Bellolampo (al fine di completare le attività di cui alla ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3875/2010 nonché quelle previste dall'articolo 1, comma 2 della ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3887/2010) per poi comprendere, in sede di conversione in legge (legge n. 71 del 2013), finanche l'implementazione del sistema impiantistico regionale;
   il piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato redatto facendo seguito alla nomina del presidente della regione siciliana quale commissario delegato pro tempore per l'emergenza rifiuti in Sicilia;
   il piano è stato approvato ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3887/2010: «Immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Siciliana”, con decreto del Ministero ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 luglio 2012 (Gazzetta Ufficiale n. 179/2012); prot. GAB-DEC-2012-0000125, previo parere vincolante della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile specificando la prescrizione che dispone che «Il Piano Regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)»;
   ai sensi dell'articolo 7, commi 1 e 5, del decreto legislativo n.152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, – essendo il piano 2012 stato approvato da un autorità nazionale, la procedura di valutazione ambientale strategica deve essere svolta in sede statale. Quindi è stato individuando come autorità competente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha adottato il parere motivato di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che ha collaborato alla relativa attività istruttoria. Significando del pari che ai fini dell'espletamento della suddetta procedura VAS, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è avvalso del supporto tecnico-scientifico della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, istituita con decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90;
   in ragione di quanto sopra la regione siciliana, dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti con nota prot. 4109 del 31 gennaio 2014 ha richiesto l'attivazione della fase preliminare ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n.152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, allo scopo di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni che dovevano essere fornite nel rapporto ambientale, oltreché dal rapporto preliminare che è stato trasmesso dalla regione a tutti i soggetti coinvolti nella procedura, fissando a 45 giorni la scadenza per l'invio delle osservazioni;
   il suddetto piano 2012 così redatto, veniva al fine esaminato della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, che con parere n. 1625 del 17 ottobre 2014 – trasmesso con la nota prot. CTVA-2014-0003612 del 22 ottobre 2014 e acquisita con prot. DVA-2014-0034787 del 27 ottobre 2014 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – si esprimeva favorevolmente in ragione però di precise e accurate prescrizioni in ordine alla riformulazione sia del rapporto preliminare sia in merito al rapporto ambientale, oltreché circa la sintesi non tecnica, cui ottemperare in tempi presumibilmente abbastanza contenuti;
   del pari con riferimento ai contenuti del piano regionale dei rifiuti, così come sinteticamente sopra declinato, la suddetta CTVA, parimenti si esprimeva con prescrizioni ed osservazioni, di cui a punto 6.1 del citato parere n. 1625 del 17 ottobre 2014;
   facendo seguito a quanto sopra, pertanto, lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanava congiuntamente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il decreto n. 100 del 28 maggio 2015, esprimendo parere positivo sulla proposta di piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana, del quale fa parte integrante il relativo rapporto ambientale, a condizione che: «nella stesura dell'Aggiornamento, del Piano di gestione dei rifiuti in Sicilia, già avviata e nel relativo Rapporto Ambientale, siano tenute in considerazione le condizioni, osservazioni e prescrizioni del summenzionato parere n. 1625 del 17 ottobre 2014»;
   nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015 viene riportata la nota prot. 18985 del 28 aprile 2015 a cura della regione siciliana la quale comunica che è in corso la procedura di aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti e che tale aggiornamento verrà sottoposto alla verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica regionale;
   nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015 viene specificato come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dovranno essere inseriti nell'elenco dei soggetti con competenze ambientali consultati nella procedura di verifica di assoggettabilità a VAS regionale dell'aggiornamento del piano, per l'espressione del parere di competenza –:
   se, per quanto attiene all'aggiornamento del piano rifiuti della regione siciliana risulti al Ministro interrogato se sia stata eseguita la verifica di assoggettabilità a VAS regionale così come comunicato nella nota prot. 18985 del 28 aprile 2015 e riportato dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015;
   se la Commissione europea sia stata informata della procedura in corso, ossia dell'approvazione da parte della giunta regionale siciliana dell'adeguamento al piano. (4-12807)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  L'attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia è stato predisposto dal presidente della regione siciliana, nominato commissario delegato pro tempore per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che «Il piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione ambientale strategica (VAS)».
  Nel mese di gennaio 2014, il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana ha avviato la fase preliminare della Vas, procedura che si è conclusa con l'emanazione del decreto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di maggio 2015. La Regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Sicilia.
  Il piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.
  Con l'ordinanza n. 5 del 2016, il presidente della regione ha disposto l'aggiornamento del piano regionale, anche alla luce del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L'ordinanza stabilisce che l'approvazione del nuovo piano possa avvenire con tempi ridotti rispetto a quelli previsti dal codice dell'ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l'impiantistica necessaria.
  Per quanto riguarda la gestione dello smaltimento dei rifiuti nella regione siciliana, si fa presente che a partire dall'anno 2009 fino al 2014 tale gestione è stata caratterizzata da uno stato emergenziale, anno in cui è stata adottata una nuova ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in regime ordinario. Tuttavia, occorre segnalare che il 2014 e il 2015 sono stati di fatto contraddistinti da un regime straordinario autorizzato mediante ordinanze ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dal presidente della regione siciliana.
  Tanto premesso, si va ad illustrare il percorso seguito dalla regione siciliana nel 2016 nell'ambito della gestione dei rifiuti.
  Nello specifico, il 23 marzo 2016 il presidente delle regione siciliana, con propria nota indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha richiesto lo stato di emergenza nel sistema di gestione dei rifiuti, vista la scadenza dei termini di reitero dell'ordinanza (emessa il 31 maggio 2016, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  A seguito di tale richiesta e all'esito della riunione tenutasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e la protezione civile, si è verificata la non sussistenza delle condizioni per l'attivazione dei poteri straordinari ai sensi della legge n. 225 del 1992. Per il caso di specie si è ritenuto, quindi, più opportuno il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti ex articolo 191 del codice ambientale.
  Con nota del 5 maggio, il presidente della regione ha nuovamente evidenziato la situazione di emergenza del settore rifiuti alla quale sarebbe andata incontro la regione qualora non avesse potuto reiterare gli effetti dell'ordinanza. Senza le misure straordinarie contenute in quest'ultimo atto, le circa 3.000 delle 6.000 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno, non avrebbero trovato impianti di smaltimento disponibili in regione.
  Alla luce di ciò, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 31 maggio 2016, ha inviato alla Regione le prescrizioni tecniche che necessariamente doveva contenere l'Ordinanza per aspirare al rilascio dell'intesa ai sensi dell'articolo 191, comma 4, del codice dell'ambiente, nonché le condizioni che avrebbero necessariamente dovuto essere adempiute per il permanere della medesima.
  Le prescrizioni contenute nella nota non solo stabilivano le condizioni tecniche per le quali sarebbe stato possibile il reitero dell'ordinanza, ma chiedevano anche alla Regione un impegno concreto al riassetto della governance regionale, tenendo conto anche delle diffide della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015, nelle quali veniva richiesto alla regione di procedere immediatamente alla riperimetrazione delle ATO.
  In data 7 giugno 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso l'intesa, ai sensi del citato comma 4, dell'articolo 191, sull'ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del presidente della regione. Nell'ordinanza sono contenute le misure straordinarie per la gestione dei rifiuti, conformemente alle prescrizioni ministeriali, nel rispetto della normativa comunitaria, ed un fitto programma di impegni ed azioni che la regione è chiamata a mettere in atto nei 6 mesi di validità del provvedimento. Eventuali inadempienze determinano il venir meno dell'intesa.
  Le prescrizioni contenute nella nota ministeriale del 31 maggio 2016 si possono suddividere in tre categorie. Alla prima categoria appartengono gli adempimenti di ordine generale, volti alla necessaria riorganizzazione del sistema regionale di gestione dei rifiuti. Alla seconda categoria appartengono le prescrizioni necessarie a dare impulso alla raccolta differenziata. Infine, alla terza categoria appartengono le prescrizioni per il corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati e il loro smaltimento in coerenza con le previsioni normative europee.
  Tuttavia, complessivamente, le attività poste in essere dalla regione non hanno ottemperato del tutto agli impegni assunti con l'ordinanza n. 5 del 2016. Tali risultanze, ad ogni modo, non possono considerarsi definitive stante l'istruttoria ancora in corso.
  In considerazione di ciò, la situazione esistente nella regione siciliana continua a necessitare di misure straordinarie, nonostante l'attività posta in essere dall'amministrazione regionale abbia consentito di tamponare gli aspetti più gravi della situazione emergenziale.
  All'esito dell'istruttoria, che dovrà tener conto delle valutazioni dell'autorità anticorruzione, si valuterà se reiterare tali poteri e con quali strumenti eventualmente farlo.
  Si evidenzia inoltre che la Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU Pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di VIA e VAS nella fase di adozione del Piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti previsti dal piano stesso.
  A seguito dell'approvazione del piano con delibera di giunta regionale siciliana n. 2 del 18 gennaio 2016 e delle informazioni fornite dalla regione stessa durante la riunione del «pacchetto ambiente» con la Commissione europea lo scorso 16 giugno, occorre segnalare che il Servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso con le seguenti precisazioni: «La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema di gestione dei rifiuti nella Regione Siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti.
  La regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione «discariche abusive» con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un SIN e 1 sita nel comune di Racalmuto). L'amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stata peraltro comunicata in data 31 maggio scorso ai servizi tecnici della Commissione europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nello scorso dicembre, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalla prima decade del maggio 2016 è possibile visualizzare, in formato elettronico, l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore per la protezione ambientale (ISPRA) (n.ro 244/2016) e precisamente il rapporto nazionale pesticidi nelle acque – dati 2013-2014;
   tale rapporto viene suddiviso in due parti, una nazionale ed una regionale;
   il rapporto è stato predisposto dall'ISPRA sulla base delle informazioni trasmesse da regioni e province autonome, che attraverso le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente effettuano le indagini sul territorio e le analisi di laboratorio;
   la realizzazione del rapporto è curata dal settore sostanze pericolose, del servizio rischio tecnologico, del dipartimento nucleare rischio tecnologico e industriale dell'ISPRA;
   nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un aumento rispettivamente del 4,3 per cento e dell'11,8 per cento nei confronti del biennio precedente. Nel 2014, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.747 punti di campionamento e 14.718 campioni e sono state cercate complessivamente 365 sostanze (nel 2012 erano 335);
   glifosate e acido aminometilfosforico (un prodotto di degradazione del glifosate), metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e desetilterbutilazina (prodotto di degradazione della terbutilazina), sono le sostanze più presenti nelle acque superficiali;
   in tali acque sono stati trovati pesticidi nel 63,9 per cento dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era del 56,9). Il 21,3 per cento delle acque superficiali non ha superato i test sulla qualità ambientale, a causa delle concentrazioni elevate delle sostanze di cui sopra;
   bentazone, metalaxil, terbutilazina e desetil-terbutilazina, atrazina e atrazina-desetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide, metolaclor sono le sostanze trovate, oltre i limiti di legge, nelle acque sotterranee;
   in tali acque la contaminazione è meno estesa, infatti risulta contaminato il 31,7 per cento dei 2.463 punti esaminati (31 per cento nel 2012). Ciononostante anche nel caso delle falde sotterranee emergono trend allarmanti, con un incremento del 10 per cento delle sostanze fitosanitarie rinvenute;
   sono stati rilevati pesticidi anche nelle acque più profonde, che possono contare sulla protezione di strati geologici scarsamente permeabili. Il 6,9 per cento delle acque di falda esaminate presenta concentrazioni oltre la soglia di sostanze fitosanitarie: dal bentazone al midacloprid;
   il dato maggiormente allarmante che viene fuori dalla lettura di questo rapporto è il fatto che vi sia una contaminazione da pesticidi nel 63,9 per cento dei laghi e dei fiumi italiani e in un terzo delle falde acquifere;
   i pesticidi possono avere importanti ripercussioni sulla salute umana, secondo i più recenti studi nonché a detta della Organizzazione mondiale della sanità (http://www.who.int/topics/pesticides/en/en/);
   il pesticida che sfora più spesso i limiti è il glifosato. Gli erbicidi sono le sostanze più rinvenute perché vengono erogati a contatto diretto con il suolo. Inoltre, il loro utilizzo nei mesi primaverili fa sì che le frequenti piogge li trasportino negli strati più profondi del suolo;
   tra i neonicotinoidi i più invasivi sono l'imidacloprid e il tiametoxan, diffusi sia nelle acque superficiali che nelle falde;
   il responsabile del settore sostanze pericolose dell'ISPRA nonché coordinatore dell'unità che ha realizzato il Rapporto pesticidi, Pietro Paris, precisa che non è stato fatto un controllo dell'acqua che esce dal rubinetto ma di quella dei corpi idrici. Molto spesso però i prelievi per uso potabile attingono agli stessi corpi idrici che vengono analizzati. Quasi sempre è necessario ricorrere a sistemi di abbattimento e depurazione per poter immettere nel rubinetto acqua a norma, perché i corpi idrici superficiali e sotterranei sono inquinati. Un esempio è il fiume Po, che viene utilizzato abbondantemente per rifornire intere province con acqua da bere, che però deve essere depurata. Questo modus operandi contrasta con il principio fondamentale alla base della direttiva quadro sulle acque, la n. 60 del 2000, che dice che bisogna prevenire il ricorso all'abbattimento, cioè evitare di inquinare anziché andare a depurare;
   sempre a detta del Piras, quello in corso è un atteggiamento di emergenza fatto sistema;
   il Paris precisa ancora che l'ISPRA non ha poteri di intervento ed il suo parere non è vincolante. Dal 2003 i dati che vengono forniti dimostrano che le acque sono contaminate da miscele di sostanze. In particolare, i fitofarmaci, prima di essere immessi in commercio, sono valutati e autorizzati singolarmente. Non esiste una valutazione complessiva del rischio per le miscele e del resto sono poco calcolabili, perché si formano con meccanismi e vie di migrazione imprevedibili. È questa, a detta dell'esperto, la lacuna normativa più seria;
   la direttiva 2009/128/CE, recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012 (attuazione della direttiva 2009/128/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai piani dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi), assegna agli Stati membri il compito di garantire l'implementazione di politiche e azioni volte alla riduzione dei rischi e degli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità, derivanti dall'impiego di prodotti fitosanitari;
   tali politiche devono assicurare lo sviluppo e la promozione di metodi di produzione agricola a basso apporto di prodotti fitosanitari, realizzare un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente, promuovendo l'uso della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi, quali il metodo dell'agricoltura biologica e le alternative non chimiche ai prodotti fitosanitari;
   vi sono cinque regioni che non hanno mandato i dati sui pesticidi nelle acque. Le regioni inadempienti sono Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria, regioni che non hanno inviato a Ispra le informazioni oppure lo hanno fatto solo parzialmente. Le regioni infatti avrebbero dovuto inviare all'ISPRA tali dati entro il 31 marzo, così come stabilito dal decreto ministeriale 35 del 22 gennaio 2014, il quale tuttavia non prevede sanzioni per il mancato rispetto dell'obbligo;
   per la regione Campania i dati di riferimento sono rintracciabili ai link http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/rapporto-244/Tabelle%20-regionali.pdf e http://www.isprambiente.gov.it/files/temi/rischio-sostanza-chimiche-reachprodotti-fitosanitari/RegioneCampania2013.pdf;
   la situazione in Campania è oltremodo preoccupante. Arpa Campania infatti ha inviato i dati del 2013 ma nessuno per il 2014. Le informazioni che sono state trasmesse, inoltre, riguardano solo le acque superficiali e non anche quelle sotterranee;
   i punti di monitoraggio per la regione Campania sono stati 76, in linea con la media nazionale;
   le indagini hanno riguardato 354 campioni con una frequenza media annua minore di 5, non adeguata a descrivere le possibili variazioni stagionali e a intercettare i picchi di contaminazione;
   basti pensare che la frequenza media di campionamento è di 7,4 campioni/anno (in tutta Italia) e solo la provincia di Bolzano esegue 12 campionamenti all'anno;
   preoccupa anche il fatto che il numero di sostanze cercate (58) sia inferiore alla media, e non comprende sostanze rilevanti dal punto di vista della pericolosità e delle quantità utilizzate, specialmente quelle immesse sul mercato negli ultimi anni;
   sono stati trovati residui nel 23,7 per cento dei punti e nel 9,9 per cento dei campioni investigati;
   sono state rinvenute 9 sostanze: le più frequenti sono clorpirifos, dimetoato, metalaxil, e procimidone;
   altro dato importante per la regione Campania riguarda la vendita di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014;
   a livello nazionale, infatti, i dati dell'ISTAT indicano una sensibile diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014, da 147.771 a 129.977 tonnellate/anno (-12 per cento), con un calo ancora più marcato per i principi attivi, passati da 76.343 a 59.422 tonnellate (-22,2 per cento). Nello stesso periodo si è ridotta del 30,9 per cento la quantità di prodotti molto tossici e tossici;
   indubbiamente c’è un più cauto impiego delle sostanze chimiche in agricoltura, cosa peraltro incentivata dalla politica comunitaria e nazionale e dall'adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto. Le sostanze più vendute, oltre ai pesticidi inorganici, come lo zolfo e i composti del rame, sono 1,3-dicloropropene, glifosate, mancozeb, metam-sodium, fosetil-aluminium, clorpirifos, con volumi annui superiori alle 1.000 tonnellate;
   rispetto alla media nazionale delle vendite per ettaro di superficie agricola utilizzata (SAU), pari a 4,6 chilogrammi, la regione Campania si pone nettamente al di sopra con 8,5 chilogrammi. Il che significa che la regione Campania, nel 2014, ha utilizzato quantità di sostanze per ettaro di SAU superiore alla media nazionale;
   con delibera n. 1220 del 6 luglio 2007 la giunta regionale ha adottato il piano di tutela delle acque ai sensi dell'articolo 121 del decreto legislativo n. 152 del 2006; tale delibera è stata pubblicata sul Burc n. 46 del 20 agosto 2007, a quanto risulta agli interroganti, escludendo, tuttavia, dalla pubblicazione gli allegati, ossia il piano stesso;
   sul sito internet istituzionale della regione Campania e dell'Arpac non è stato possibile rinvenire nelle apposite sezioni tematiche l'allegato piano;
   il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con il decreto ministeriale 22 gennaio 2014, che contiene una serie di raccomandazioni per le regioni chiamate ad applicarlo, stabilisce i seguenti obiettivi fondamentali:
    a) ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
    b) promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
    c) proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
    d) tutelare i consumatori;
    e) salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
    f) conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi;
   il Gruppo Movimento 5 Stelle in regione Campania ha presentato in data 21 gennaio 2016, protocollo n. 44/4/X legislatura, una mozione che impegna la giunta: a emettere gli opportuni provvedimenti volti a vietare, su tutto il territorio regionale, l'uso degli erbicidi chimici e del glifosato, sia nelle coltivazioni agricole che nell'ambiente urbano; a trasmettere tali provvedimenti ai responsabili del settore manutenzione strade della regione e dell'ANAS, affinché all'interno del territorio regionale vengano utilizzati esclusivamente metodi di tipo meccanico nelle operazioni di diserbo compiute dalla ditte da loro incaricate; assicurare una capillare e sistematica azione di informazione alla popolazione relativamente ai potenziali rischi associati all'impiego dei prodotti fitosanitari ed erbicidi; a sollecitare Arpac e Asl affinché si attivino per un monitoraggio costante ed approfondito delle falde acquifere;
   il Gruppo Movimento 5 Stelle in regione Campania ha interrogato la giunta regionale per sapere se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le ragioni del mancato invio all'Ispra dei dati sul monitoraggio dei pesticidi nelle acque sotterranee; se il piano di tutela delle acque adottato con delibera n. 1220 del 6 luglio 2007 sia stato pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e, in caso di risposta negativa, per quali ragioni; quali siano le sostanze fitosanitarie-pesticidi attualmente ricercate e monitorate nelle acque superficiali e sotterranee in Campania e se nel monitoraggio sia incluso il glifosato; quali azioni abbia realizzato la regione per monitorare lo stato di dispersione dei fitofarmaci-pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee e proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione dai potenziali rischi associati all'impiego degli stessi; se i laboratori utilizzati da ARPAC siano accreditati secondo il sistema ACCREDIA per la ricerca dei fitofarmaci-pesticidi e, in caso di risposta affermativa, per quali sostanze nello specifico;
   come si legge all'interno del rapporto: «In Italia in agricoltura si utilizzano ogni anno circa 130.000 tonnellate di prodotti fitosanitari. Ci sono, inoltre, i biocidi impiegati in tanti settori di attività, di cui non si hanno informazioni sulle quantità, manca un'adeguata conoscenza degli scenari d'uso e della distribuzione geografica delle sorgenti di rilascio. Il monitoraggio dei pesticidi nelle acque richiede la predisposizione di una rete che copra gran parte del territorio nazionale, il controllo di un grande numero di sostanze e un continuo aggiornamento reso necessario dall'uso di sostanze nuove»;
   dal rapporto è emerso che in molti casi, soprattutto nelle regioni del centro-nord, sono superati gli standard di qualità ambientale fissati dalle normative comunitarie, a partire dalla direttiva 60/2000/CE «acque»;
   il rapporto evidenzia che «Le regioni cercano in media 73 sostanze nelle acque superficiali e 72 in quelle sotterranee» quando sono posti in commercio nel Paese circa 400 principi attivi;
   in realtà ben 5 regioni non risultano aver inviato dati relativi alle acque sotterranee (Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Molise) e 3 anche per le acque superficiali (Molise, Campania e Calabria); una grande regione come il Lazio risulta aver analizzato pochissimi campioni (5 per le acque superficiali e 21 per le acque sotterranee);
   la stragrande maggioranza delle regioni non ricerca sostanze ampiamente utilizzate; è il caso del glifosato e dei suoi metaboliti che è stato cercato solo in Lombardia e Toscana dove, peraltro, è stato riscontrato con alta frequenza e in quantità superiori agli standard di qualità ambientale;
   l'ISPRA sostiene che «L'analisi dell'evoluzione, inoltre, indica, che il fenomeno è ancora probabilmente in una fase crescente, sia in termini territoriali, sia in termini di frequenze di rilevamento e di sostanze trovate. La contaminazione è, pertanto, sottostimata, in primo luogo per il fatto che in vaste aree del centro-sud, il monitoraggio non è ancora adeguato. Un fattore finora non sufficientemente considerato è la reale persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende l'inquinamento ambientale difficilmente reversibile»;
   una buona parte delle acque monitorate è utilizzata anche per l'approvvigionamento idro-potabile e per l'irrigazione per la produzione di derrate alimentari. Recenti inchieste giornalistiche hanno evidenziato la presenza di glifosato quantità rilevanti anche in acque destinate all'alimentazione umana si veda (http://www.testmagazine.it) e che, per stessa ammissione delle autorità preposte, questa ed altre sostanze correlate non vengono finora cercate (http://gazzettadimodena.it);
   dal 2009 è entrato in vigore il sistema di accreditamento ACCREDIA dei laboratori destinati alle analisi ambientali; dalla consultazione della banca dati dell'ente di accreditamento risulta agli interroganti che moltissimi laboratori delle agenzie della rete ISPRA non risultano accreditati oppure risultano accreditati per pochissime sostanze tra quelle per le quali sarebbe indispensabile il monitoraggio; nella stragrande maggioranza dei casi le prove per fitofarmaci/pesticidi non sono accreditate;
   le normative comunitarie in materia di alimenti fin dal 2004 prevedono che i laboratori siano accreditati; essendo l'acqua un alimento, allora anche i laboratori presso i quali le ASL, si rivolgono per assicurare le analisi dei controlli esterni di cui al decreto legislativo 31 del 2001 sulla potabilità dovrebbero essere accreditati;
   il piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con decreto del 22 gennaio 2014, contiene una serie di raccomandazioni per le regioni che dovrebbero essere chiamate ad applicarlo; ovviamente per la valutazione dell'efficacia delle varie azioni previste è fondamentale un monitoraggio attendibile sia per quanto riguarda la qualità dei dati sia per estensione;
   molte acque sotterranee e superficiali italiane sono sottoposte a plurime forme di pressione antropica; oltre ai pesticidi sono ampiamente diffuse, spesso oltre limiti di legge, altre sostanze pericolose come i solventi clorurati oppure i metalli pesanti –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per risolvere la grave situazione descritta, anche in considerazione del fatto che il Governo, a giudizio degli interroganti non sta dimostrando di focalizzare la sua attenzione al risanamento del territorio;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di ridurre e regolamentare l'uso di prodotti fitosanitari soprattutto, ma non solo, con riferimento a situazioni che possono comportare esposizione delle persone;
   si intendano fornire un quadro esaustivo dei laboratori accreditati da Accredia per le prove sugli agrofarmaci nella rete delle agenzie (numero di sostanze accreditate; accreditamenti delle singole realtà regionali e altro);
   quali siano le risultanze per gli agrofarmaci per quanto riguarda i dati di cui alla relazione prevista dal comma 1 dell'articolo 17 del decreto legislativo 31 del 2001 e dove il pubblico possa rintracciare questi dati e i relativi aggiornamenti;
   quali siano i dati in possesso del Ministero della salute per le acque destinate alla produzione idropotabile tramite potabilizzazione di cui al comma 3 dell'articolo 80 del decreto legislativo 152 del 2006, specificando se essi comprendano o meno i risultati della ricerca dei 400 agrofarmaci e dei relativi metaboliti;
   se non ritengano di promuovere immediatamente un piano di finanziamento straordinario delle agenzie affinché siano dotate della strumentazione adeguata per un monitoraggio completo ed efficace degli agrofarmaci nelle acque;
   se non ritengano di assumere iniziative per modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari introducendo vincoli più stringenti per la riduzione dell'uso degli agrofarmaci;
   quali iniziative si intendano porre in essere per assicurare il monitoraggio degli agrofarmaci nelle acque su tutto il territorio nazionale, alla luce dell'inadempienza di alcune regioni;
   se non ritengano di promuovere l'immediato svolgimento di specifiche ricerche degli agrofarmaci nelle acque potabili con particolare riferimento al glifosato e i suoi metaboliti;
   se non ritengano di assumere le iniziative di competenza per prevedere una moratoria nell'autorizzazione di nuovi progetti sottoposti alla valutazione di impatto ambientale nazionale che aumentano la pressione antropica sulle acque nelle aree che già mostrano superamenti degli standard di qualità ambientale, come pozzi per idrocarburi e inceneritori (per le relative ricadute dei fumi sulle acque superficiali e dei contaminanti sui terreni, da cui possono essere trascinati nelle acque sotterranee). (4-13205)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, riguardo alla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, la normativa nazionale relativa al monitoraggio e al controllo della presenza di sostanze inquinanti nelle acque ha recepito le disposizioni della vigente normativa comunitaria in materia, ossia la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, la direttiva 2008/105/CE e la direttiva 2006/118/CE.
  Le citate norme comunitarie e le norme nazionali di recepimento definiscono i criteri per la progettazione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio dei corpi idrici, individuano le autorità competenti per le attività di monitoraggio, definiscono i requisiti minimi di prestazione dei metodi di analisi e il controllo di qualità, stabiliscono la lista delle sostanze inquinanti nei corpi idrici superficiali e sotterranei, i relativi standard di qualità, i valori soglia e le metodiche di analisi.
  Inoltre, nel gennaio del 2014, è stato adottato il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in attuazione della direttiva 2009/128/CE. Tale Direttiva riguarda solo i prodotti fitosanitari, mentre per i biocidi, la Commissione europea sta predisponendo un atto specifico.
  Il predetto piano nazionale prevede una serie di azioni, la cui attuazione è demandata in parte alle regioni e in parte alle amministrazioni centrali competenti (Ministeri dell'ambiente, delle politiche agricole e della salute).
  Le regioni e le province autonome, individuate come autorità competenti dalla normativa nazionale, realizzano il monitoraggio nell'ambito del programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e sottopongono a monitoraggio nei corpi idrici superficiali le sostanze prioritarie e le altre sostanze che non consentono il conseguimento del buono stato entro le date fissate trasmettendo i risultati all'Ispra che li elabora e li valuta.
  Si sottolinea che, qualora le attività di monitoraggio evidenzino che gli standard di qualità o i valori soglia stabiliti rispettivamente per le acque superficiali e sotterranee non vengano rispettati, è necessario attuare le misure di ripristino che devono far parte dei cosiddetti «programmi di misure» dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui alla direttiva 2000/60/CE.
  Allo scopo di valutare l'efficacia delle azioni previste dal piano di azione nazionale, sono stati definiti con decreto del 15 luglio 2015 alcuni indicatori per valutare il grado di attuazione e l'efficacia delle misure previste. Tali indicatori si basano sui dati di monitoraggio forniti dalle regioni ed elaborati annualmente dall'Ispra.
  L'Ispra realizza il rapporto nazionale pesticidi nelle acque nel rispetto dei compiti stabiliti dal piano. Il rapporto contiene i risultati del monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee, le cui finalità sono quelle di rilevare eventuali effetti derivanti dall'uso dei pesticidi non previsti nella fase di autorizzazione e non adeguatamente controllati nella fase di utilizzo. L'istituto fornisce, altresì, gli indirizzi tecnico-scientifici per la programmazione e l'esecuzione del monitoraggio.
  Per quanto riguarda le sostanze da considerare nel monitoraggio, la normativa acque indica, come criterio generale, quello di esplorare tutte le potenziali fonti di contaminazione presenti sul territorio che potrebbero avere un impatto sulle acque. Nei fatti, però, la normativa esplicita solo un certo numero di pesticidi. Pertanto, per avere un quadro completo della possibile contaminazione da pesticidi, l'Ispra è impegnata nell'attività di indirizzo, in particolare per fornire criteri ed elenchi di sostanze prioritarie da inserire nel monitoraggio. I documenti di indirizzo prodotti sono sul sito web dell'Istituto (http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/rischio-ed-emergenze-ambientali/rischio-sostanze-chimiche-reach-prodotti-fitosanitari/rapporto-nazionale-pesticidi-nelle-acque).
  L'Ispra è altresì impegnata da anni a fornire tutte le informazioni necessarie alla messa in atto di un monitoraggio rappresentativo dei pesticidi, anche attraverso l'armonizzazione delle attività regionali, fornendo in tal modo un'informazione adeguata ai cittadini sullo stato della contaminazione ambientale da pesticidi, ma anche alle autorità competenti in materia per l'assunzione, quando necessario, di decisioni in materia di gestione del rischio.
  Al riguardo, tuttavia, si riscontrano ritardi in particolare in alcune regioni del sud Italia. Anche grazie all'azione di coordinamento di Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla collaborazione di Ispra con le agenzie regionali di protezione dell'ambiente, si stanno recuperando i ritardi.
  Con riferimento all'aggiornamento dei parametri, delle metodologie e dei valori utilizzati per il controllo e il monitoraggio delle acque, a livello nazionale si opera coerentemente alle norme vigenti a livello comunitario. Le stesse norme comunitarie, prevedono, infatti, un riesame e adeguamento periodico dei parametri e delle metodologie, ove necessario.
  La direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, ad esempio, prevede un riesame e una eventuale revisione e integrazione della lista delle sostanze di priorità ogni quattro anni.
  L'Italia, oltre a partecipare a tale attività, secondo i meccanismi puntualmente definiti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, assicura il proprio contributo, anche attraverso gli istituti di ricerca nazionali, ai tavoli di lavoro comunitari che preparano, a livello tecnico, le attività di riesame e revisione, quali, ad esempio, il gruppo di lavoro «sostanze chimiche» che opera nell'ambito della strategia comune di attuazione della direttiva quadro sulle acque.
  Anche riguardo alle acque sotterranee, la direttiva 2006/118/CE prevede un riesame periodico e un'integrazione dei parametri sottoposti a controllo. In proposito, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proceduto a predisporre la proposta di recepimento della direttiva 2014/80/Ue che, tra l'altro, introduce un nuovo parametro da sottoporre a monitoraggio. Nel provvedimento di recepimento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proposto l'introduzione di valori soglia nelle acque sotterranee per 5 composti perfluoroalchilici, sulla base della constatata diffusione a livello nazionale di tale sostanza nelle acque.
  Le Autorità competenti, cui la normativa assegna i compiti di monitoraggio e controllo dei corpi idrici, dispongono pertanto degli strumenti normativi e tecnici per la diagnosi dello stato dei corpi idrici, secondo i criteri e i metodi definiti dalla normativa europea.
  Peraltro, per quanto riguarda le azioni di tutela dell'ambiente acquatico, con decreto ministeriale del 10 marzo 2015, sono state stabilite linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile. Tali linee guida prevedono diciotto possibili misure di mitigazione del rischio, che possono essere adottate in relazione a diversi obiettivi di protezione e la cui scelta è demandata alle regioni e alle province autonome. I risultati derivanti dall'applicazione di tali misure in termini di minore impatto ambientale potrebbero essere valutati e apprezzati già a partire dal monitoraggio del 2017.
  Inoltre, con particolare riferimento alle problematiche relative all'utilizzo del glifosato quale principio attivo di alcuni erbicidi e del suo principale metabolita Ampa, si fa presente che sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti Direzioni Generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero della salute nonché dagli enti territoriali competenti, nel novembre 2015 l'Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso la valutazione dei dati presentati dall'industria produttrice e delle informazioni messe a disposizione dallo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'organizzazione mondiale della sanità) in riferimento al prodotto roundup, l'erbicida contenente il principio attivo denominato glifosato.
  Nell'aprile 2015, lo Iarc aveva concluso la propria valutazione, ritenendo che il principio attivo in questione dovesse essere classificato come «probabile cancerogeno per gli esseri umani», mentre l'Efsa è giunta alla conclusione che risulta improbabile che il glifosato sia cancerogeno per l'uomo.
  Alle stesse conclusioni dell'Efsa è giunto anche lo stato membro rapporteur (Germania) che ha esaminato sia le informazioni dello Iarc sia i dati sperimentali forniti dall'industria produttrice.
  In questo quadro di incertezza scientifica a livello internazionale, la commissione europea ha ritenuto opportuno il rinvio della decisione attesa entro dicembre 2015, relativa al ritiro o al mantenimento del glifosato sul mercato, impegnandosi a presentare entro il 30 giugno 2016 una proposta di decisione da sottoporre al voto degli Stati membri, nell'ambito del Comitato permanente istituito ai sensi dell'articolo 58 del regolamento (CE) n. 178/2002,
  Il 16 maggio 2016 la commissione congiunta FAO e OMS, che ha il compito di stabilire i limiti massimi dei residui di pesticidi ammissibili nelle derrate alimentari, ha dichiarato che «è improbabile che l'assunzione di glifosato attraverso la dieta sia cancerogena per l'uomo» («Summary Report from the May 2016 Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues (JMPR)»).
  Nel corso dei lavori del comitato permanente piante, animali, alimenti e mangimi (sezione fitosanitaria) svoltisi a Bruxelles il 7-8 marzo 2016 e il 18-19 maggio 2016, la delegazione italiana ha manifestato il proprio avviso contrario alle proposte di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato presentate dalla commissione Unione europea rispettivamente per 15 e per 9 anni.
  Nell'ultima riunione del citato comitato, tenutasi il 6 giugno 2016, la Commissione europea ha sottoposto al voto degli Stati membri una nuova proposta che prevedeva il rinnovo temporaneo dell'autorizzazione (comunque non oltre il 31 dicembre 2017) per consentire all'agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di concludere i lavori in corso per la classificazione armonizzata del glifosato. Riguardo a quest'ultima proposta, la delegazione italiana insieme ad altre delegazioni, tra cui quella francese e quella tedesca, si sono astenute, andando così a costituire una «minoranza di blocco» (in tale contesto l'astensione equivale ad un voto contrario). La Commissione ha pertanto annunciato che sottoporrà nelle prossime settimane la decisione al «Comitato di appello».
  In questo quadro, nel caso in cui la proposta della Commissione Unione europea fosse approvata, i prodotti erbicidi a base di glifosato potrebbero continuare ad essere commercializzati anche successivamente al 30 giugno 2016, fino ad una nuova decisione europea conseguente alla classificazione dell'Echa (attesa entro marzo 2017).
  Nel caso in cui la sostanza attiva fosse classificata dall'ECHA come probabile cancerogeno, il suo impiego nei prodotti ad azione erbicida non sarebbe più ammesso sul territorio dell'Unione europea.
  Viceversa, qualora la classificazione del glifosato non indicasse questo tipo di pericolo o altri pericoli equivalenti, l'impiego del glifosato potrebbe continuare.
  Al di là della divergenza delle opinioni scientifiche sugli aspetti di tossicità per l'uomo da parte degli organismi scientifici internazionali sopra citati, è opportuno sottolineare che nel parere dell'EFSA sono state evidenziate alcune lacune di informazione riguardanti il potenziale di contaminazione delle acque superficiali, non adeguatamente considerate nella proposta di decisione presentata dalla Commissione europea.
  A tale proposito l'Ispra, sulla base dei dati di monitoraggio ambientale delle acque superficiali e sotterranee presentati di recente («rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2013-2014» – edizione 2016), ha evidenziato una contaminazione diffusa e significativa delle acque superficiali da parte del glifosato e del suo principale metabolita Ampa.
  Gli ultimi dati di monitoraggio si riferiscono anche alla regione Toscana, che dal 2014 si è aggiunta alla Lombardia, unica regione fino al 2013 ad aver inserito il glifosato (dal 2003) e il suo metabolita Ampa (dal 2007) nei piani di monitoraggio delle acque.
  La posizione contraria dell'Italia al rinnovo dell'autorizzazione del glifosato è stata motivata anche dalla constatazione che questa sostanza e il suo metabolita, se ricercati, risultano presenti e in quantità significative specialmente nelle acque superficiali.
  Pertanto, anche nell'ipotesi in cui in sede europea fosse approvata la proposta di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato, le amministrazioni italiane dovrebbero coerentemente mettere a punto appropriate misure di mitigazione del rischio.
  In conclusione, stante il processo attualmente in corso e le decisioni che saranno assunte entro breve a livello europeo, il Governo valuterà le iniziative più opportune da adottare in merito, al fine di assicurare la protezione dell'ambiente e la tutela della salute umana.
  Si fa presente, in via di ordine generale, che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Infine, si segnala che sulla questione sono interessate altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio anche nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo qualche anno dalla prima tranche di lavori per il rinsaldamento della linea di costa, i cittadini di Soverato vivono in preda al panico per la situazione che si è venuta a creare sulla spiaggia a causa delle ripetute mareggiate che hanno enfatizzato il processo oramai noto dell'erosione costiera;
   in passato le varie amministrazioni locali si sono mosse freneticamente nell'ideare un piano atto ad evitare, nell'immediatezza, uno scenario disastroso per chi sulla spiaggia e dalla spiaggia trae reddito. La corsa ai ripari per la messa in sicurezza della costa di Soverato, non ha permesso un'attenta valutazione del rischio ambientale;
   la Gazzetta del Sud del 15 ottobre 2014 pubblica un articolo che riguarda la situazione della Scarpina, scoglio immerso nel mare chiamato così per la conformazione a scarpa della roccia che rischia di scomparire. Questa zona si colloca tra la spiaggia dell'hotel San Domenico e quella dell'area archeologica di San Nicola ed è una delle più belle cartoline di Soverato, tappa fissa di turisti soprattutto nel periodo estivo;
   la Scarpina è sempre stata una delle più importanti mete turistiche calabresi sia per la particolarità dello scoglio da ammirare, sia perché immerso in un mare cristallino dove è piacevolissimo fare il bagno;
   i cittadini e gli operatori economici e turistici di Soverato sono preoccupati, perché a causa dell'erosione costiera vedono scomparire la Scarpina;
   c’è in progetto la costruzione di una barriera di massi per la salvaguardia della costa, ma questa barriera potrebbe distruggere la bellezza del luogo –:
   se il Ministro interessato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se ritenga opportuno intervenire per quanto di competenza per salvaguardare la bellezza del territorio. (4-06688)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'erosione costiera nel comune di Soverato e, in particolare, alla situazione della «Scarpina» e della zona archeologica di San Nicola, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli enti territoriali interessati, si rappresenta quanto segue.
  Il dipartimento lavori pubblici della regione Calabria e l'autorità di bacino regionale, nell'ambito delle attività di rispettiva competenza, hanno individuato il litorale del comune di Soverato tra le criticità emergenti dal punto di vista del fenomeno dell'erosione costiera. Pertanto, la regione Calabria, con gli strumenti previsti in ambito nazionale (fondi FAS 2007/2013 – delibera CIPE 87/2012), ha proceduto a programmare opere di protezione e salvaguardia della costa da realizzare nella «macro» unità fisiografica che va dalla località Copanello fino a Punta Stilo (dal comune di Stalettì al comune di Isca sullo Ionio), nel quale sono state individuate delle priorità di intervento, inserendo detto finanziamento nell'accordo di programma quadro «Difesa del suolo – erosione delle coste» stipulato in data 5 marzo 2013 con i Ministeri competenti, tra cui il Ministero dell'ambiente.
  L’«intervento integrato per il completamento delle opere di difesa costiera e ricostruzione del litorale (Copanello-Punta Stilo)» – I stralcio funzionale, finanziato per un importo pari a 2.248.000 euro, è gestito a titolarità diretta dal dipartimento lavori pubblici della regione Calabria che ha disposto la procedura dell'appalto integrato complesso, mettendo a bando la progettazione esecutiva (comprensiva di offerta migliorativa) e la realizzazione dei lavori sulla base del progetto preliminare realizzato dalla stazione appaltante e del definitivo offerto in sede di gara (ai sensi dell'articolo 3, comma 37, dell'articolo 53, comma 2, lettera c), dell'articolo 76, dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e dell'articolo 120 del decreto del Presidente della Repubblica 207 del 2010).
  L'appalto dei lavori è stato aggiudicato all'impresa Icogen s.r.l. e, confermata l'efficacia dell'aggiudicazione definitiva dell'appalto, si è proceduto a presentare al dipartimento ambiente e territorio della regione Calabria, con nota del 6 giugno 2016, apposita istanza di valutazione di impatto ambientale, ai sensi degli articoli 6 e 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 9 del regolamento regionale n. 3 del 2008. L'avviso relativo alla suddetta istanza è stato pubblicato in data 11 giugno 2016 sul «Corriere dello Sport»», data dalla quale decorre il termine di sessanta giorni per la consultazione pubblica del progetto definitivo e del relativo studio di impatto ambientale da parte di chiunque abbia interesse e per presentare, in forma scritta, istanze e osservazioni o ulteriori elementi conoscitivi sulle opere in questione.
  In tale sede, dopo la pubblicazione obbligatoria degli elaborati del progetto definitivo, saranno valutati i possibili impatti delle opere su tutte le componenti ambientali interessate dall'intervento e proposte le modifiche ritenute opportune ai fini della mitigazione degli stessi impatti.
  Successivamente, si procederà alla indizione della conferenza di servizi sulla base del progetto definitivo offerto dall'impresa aggiudicataria per l'ottenimento di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, licenze, nulla osta o atti di assenso comunque denominati e previsti dalla vigente normativa (comprese quelle relative ai beni paesaggistici, archeologici e demaniali).
  Solo al termine del suddetto procedimento si approverà il progetto definitivo, comprensivo delle eventuali modifiche apportate a seguito della conferenza di servizi e dei pareri ambientali, alla stipula del contratto d'appalto con l'impresa aggiudicataria, alla redazione del progetto esecutivo e dell'avvio dei lavori. La predetta documentazione, comprensiva del progetto definitivo dell'opera, dello studio di impatto ambientale e della sintesi non tecnica, è disponibile per la consultazione sul sito http://www.regione.calabria.it/llpp/, nella sezione «notizie ed eventi» alla pagina «conferenze di servizi».
  I lavori progettati a livello definitivo dall'impresa aggiudicataria consistono essenzialmente in:
   - R01 – Ripascimento con sabbia del sopraflutto del Porto di Badolato (in comune di Isca sullo Ionio);
   - MS01 – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Isca sullo Ionio);
   - MS02 – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Soverato);
   - MS03 – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Soverato);
   - MS03BIS – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Soverato);
   - MS04 – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Soverato);
   - MS05 – pennello semisommerso con barriera sommersa (in comune di Soverato);
   - PS01 – pennello semisommerso (in comune di Soverato);
   - MS06 – barriera emersa con barriera sommersa (in comune di Montauro).

  L'intervento è realizzato nei comuni di Badolato, Isca sullo Ionio, Soverato, Montauro, Stalettì su un tratto di costa di lunghezza 20,0 chilometri compreso tra il Porto di Badolato (confine comunale tra Badolato e Isca sullo Ionio) e lo scoglio di Pietragrande (confine comunale tra Badolato e Isca sullo Ionio). Il tratto costituisce una unica sub-unità fisiografica con dinamiche di trasporto solido litoraneo in direzione da sud a nord.
  La tipologia delle opere proposte, mista di pennelli e barriere sommerse, ha la funzione di formare un sistema di contenimento dei sedimenti versati in modo da migliorare l'equilibrio, riducendo le perdite verso il largo. Il sistema di protezione adottato permette un avanzamento della linea di riva e la ricostruzione di una larghezza di spiaggia media sufficiente al frangimento delle onde estreme e quindi ripristinando la difesa naturale dalle mareggiate.
  L'opera, nel suo complesso, rappresenta il rafforzamento del pennello esistente che è strategico per la stabilità dell'intero tratto di costa di Soverato.
  Occorre, inoltre, evidenziare che nei lavori progettati, sopra citati, è stata posta particolare attenzione alla «scarpina di Soverato». Infatti, nello studio di morfodinamica costiera si è evidenziato il fatto che avvicinando la barriera soffolta alla linea di riva, rispetto alla posizione prevista nel preliminare, si fuga la possibilità che il deposito a monte del pennello di sud possa interrare la scarpina stessa. Si specifica, comunque, che già dal 1978 la scarpina era raggiungibile a piedi dai bagnanti a dimostrazione del fatto che la spiaggia era in una posizione molto più avanzata dell'attuale.
  Le scelte progettuali adottate per i distinti siti del litorale da Badolato a Montauro individuano tre tipologie di intervento base che possono essere sinteticamente distinte in:
   - pennelli trasversali alla linea di riva emergenti e/o sommersi da salpare;
   - pennelli trasversali alla linea di riva emergenti e/o sommersi da cava di prestito;
   - ripascimento con sabbie provenienti dalla medesima unità fisiografica.

  La combinazione di queste tipologie di intervento opportunamente calibrate e commisurate alla dinamica evolutiva del singolo sito, in funzione degli obiettivi progettuali preposti, ha portato a selezionare ed ottimizzare il progetto definitivo di riqualificazione e difesa dei tratti di costa in esame.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
    nelle ultime settimane molti comuni italiani hanno espresso, ai sensi dell'articolo 3, comma 2 del decreto legislativo 156 del 7 settembre 2012, formale impegno al mantenimento di quelle sedi del giudice di pace, operanti nei loro territori e individuate dal decreto ministeriale del 7 marzo 2014;
   com’è noto, il decreto legislativo n. 156 del 2012 ha configurato la possibilità per gli enti locali di mantenere in funzione dette sedi, facendosi integralmente carico – così recita la norma – delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo;
   in forza dei termini decadenziali posti dal decreto citato, entro il prossimo 28 giugno 2014 gli enti locali interessati dovranno dare concretezza agli impegni presi, individuando i locali per svolgimento delle attività giudiziarie e il personale amministrativo qualificato, nonché deliberando l'impegno di spesa per far fronte al funzionamento di tali servizi di giustizia;
   un arco di soli due mesi per il compimento di tutti gli incombenti logistici e amministrativi connessi a tale impegno appare, però, oltremodo irragionevole e penalizzante, tanto più che per alcuni comuni interessati sono ormai prossime le elezioni per il rinnovo dei propri organi;
   d'altro canto la previsione di un termine così esiguo non appare giustificata da alcuna ragione pratica, mentre, al contrario, frustra l'impegno di alcuni enti locali per il mantenimento sul loro territorio di servizi essenziali per la cittadinanza –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per una proroga del termine indicato nel decreto ministeriale del 7 marzo 2014, e corrispondente al 28 giugno 2014;
   se il Ministro interrogato non ritenga, peraltro, opportuna una modifica della disciplina attuativa del decreto legislativo n. 156 del 2012 nell'ambito della quale sia prevista una compartecipazione alle spese di tutti i comuni rientranti nelle circoscrizioni delle sedi mantenute in funzione, allorché la maggioranza di tali enti abbia espresso il proprio impegno in tal senso. (4-04830)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per agevolare il ripristino degli uffici del giudice di pace, in presenza della disponibilità manifestata dagli enti locali ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  È stato, pertanto, possibile rivalutare la soppressione di diversi presidi del giudice di pace in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n.192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta gli abitanti di Valli, frazione del comune di Chioggia, denunciano lo stato di degrado e di abbandono del canale Novissimo;
   i residenti continuano a fare i conti con argini «colabrodo», abitazioni a rischio di allagamenti e colture minacciate da incursioni saline, denunciando lo stato di continua emergenza in cui sono costretti a vivere. Nonostante le denunce e le proteste la situazione, però, sembra non trovare soluzione;
   la vicenda è stata, di recente, riportata da diverse testate giornalistiche che hanno raccolto l'indignazione e la protesta dei cittadini che hanno visto andare deserto il vertice, convocato la scorsa settimana, tra tutti gli enti coinvolti — Dipartimento difesa del suolo della regione, genio civile, amministratori del comune di Codevigo, provveditorato regionale delle opere pubbliche, e capitaneria di porto;
   sino ad oggi, dunque, nulla è stato fatto per risolvere lo stato di degrado di un'arteria d'acqua fondamentale per l'equilibrio idrogeologico dell'area sud della provincia di Venezia;
   il comitato cittadino della frazione di Valli ha anche posto l'attenzione sul problema del moto ondoso che si è intensificato negli ultimi anni e sulla velocità dei natanti che raggiungono velocità incompatibili con le tenute delle sponde. I residenti fanno notare, infatti che, da aprile a ottobre i transiti nei giorni festivi raggiungono il migliaio, numero destinato ad aumentare dato che dovrebbe nascere nelle vicinanze una darsena da 700-800 posti. «Quando passano le imbarcazioni da diporto e da pesca — osservano i rappresentanti del Comitato — si crea un'onda importante che scava alla base della massicciata. Se si moltiplica per 1000 barche al giorno nelle domeniche, per 30 domeniche di bella stagione si intuisce l'effetto»;
   questo non è l'unico problema se si pensa che le abitazioni sono sotto il livello zero e con un'esondazione del canale sarebbero travolte; infatti, la massicciata in più punti è crollata, i pali che reggono l'argine sono erosi, i punti di infiltrazione sono ovunque;
   la totale mancanza di manutenzione degli argini e delle sponde sta causando seri e preoccupanti problemi di tenuta idraulica e di difesa del territorio circostante –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano individuati al più presto gli interventi necessari per la messa in sicurezza degli argini e delle sponde del canale Novissimo allo scopo di salvaguardare un importante canale navigabile della laguna sud di Venezia ed i residenti che vedono, ogni giorno, minacciate le case, le attività e le colture. (4-11903)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla messa in sicurezza degli argini e delle sponde del canale Novissimo che attraversa anche il comune di Chioggia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo si segnala che nell'ambito del piano nazionale 2015-2020 contro il dissesto idrogeologico, la regione Veneto ha inserito le seguenti due proposte di finanziamento relative al canale Novissimo:
   - il primo intervento, dal titolo «Novissimo. Sistemazione e messa in sicurezza delle arginature» è localizzato nel comune di Mira e prevede una richiesta di finanziamento statale di 5.000.000,00 di euro. La proposta inserita nel sistema Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo (ReNDiS) risulta attualmente in fase di aggiornamento e non è ancora stata validata dalla regione;
   - il secondo intervento, dal titolo «Interventi di difesa idrogeologica delle arginature del canale Novissimo» è localizzato nel comune di Chioggia e prevede una richiesta di finanziamento di 1.500.000,00 di euro. La proposta inserita nel sistema ReNDiS risulta attualmente in fase di aggiornamento e non è ancora stata validata dalla regione.

  Le due proposte saranno valutate secondo i criteri e le procedure stabilite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 qualora si rendano disponibili le opportune risorse finanziarie. Al momento gli interventi non sono stati validati dalla regione Veneto in considerazione della insufficienza di sviluppo progettuale, pertanto la regione stessa ritiene di proporre una richiesta di finanziamento nell'ambito della procedura stabilita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 luglio 2016 recante modalità di funzionamento del «Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico», di cui all'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015, n. 221.
  La regione Veneto con le risorse disponibili ha in corso di esecuzione un intervento, dal titolo «Interventi di difesa idrogeologica delle arginature del canale Novissimo», localizzato nei comuni di Chioggia (VE), Codevigo (PD) e Campagna Lupia (VE), per un importo finanziato pari a 1.000.000,00 di euro.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI, LOCATELLI e LO MONTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 si è dato il via a un piano di riordino degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, con la soppressione di 30 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;
   il 30 giugno 2015, al termine del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio e il Ministro della giustizia presentavano in conferenza stampa i 12 punti da cui partire per la riforma del sistema giudiziario italiano, tra i quali, al punto 11, «misure per l'ulteriore razionalizzazione della geografia giudiziaria»;
   come si legge sul sito dello stesso Ministero: «La riforma della geografia giudiziaria del 2012 ha soppresso 30 tribunali e i corrispondenti uffici di Procura, ma ha dovuto realizzarsi negli angusti confini della legge di delega originaria [...]. Pertanto, occorre por mano al necessario superamento di quelle condizioni e, dunque: a) abbandonare la regola che ha imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello; b) rimuovere il divieto di soppressione dei tribunali con sede nei capoluoghi di provincia, a prescindere dalla conformità ad altri parametri funzionali.»;
   a breve dunque il Governo dovrebbe adottare un'iniziativa normativa che, come quelle del 2012, prevederà nuovi ed ulteriori tagli alla geografia giudiziaria: saranno ridotte le corti di appello e i tribunali primo grado;
   infatti, il 16 marzo 2016 la commissione di studio incaricata di predisporre uno schema di riforma dell'ordinamento giudiziario ha elaborato una bozza, che poi verrà discusso e approvato dal Consiglio dei ministri, dove si evidenziano le nuove ipotesi di sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica;
   nel testo della bozza di disegno di legge delega all'articolo 1 si legge testualmente che: «1. Il Governo, al fine di incrementare l'efficienza del sistema giudiziario e di realizzare la specializzazione delle funzioni e risparmi di spesa, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio dei distretti di Corte di appello e delle relative Procure generali, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: a) ridurre, mediante attribuzione di circondari o porzioni di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, il numero delle Corti di appello esistenti, secondo i criteri oggettivi dell'indice delle sopravvenienze, dei carichi di lavoro, del numero degli abitanti e dell'estensione del territorio, tenendo comunque conto della specificità territoriale del bacino di utenza, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata; b) sopprimere le sezioni distaccate delle Corti di appello ovvero ridurne il numero anche mediante accorpamento alle corti di appello limitrofe, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera a); c) ridefinire l'assetto ordinamentale e organizzativo degli uffici di Procura generale presso la Corte di appello e delle corrispondenti funzioni del Pubblico Ministero, nonché la possibilità di accorpare più uffici di Procura generale indipendentemente dall'accorpamento del corrispondenti distretti di Corte d'appello, prevedendo in tali casi che l'ufficio di Procura generale accorpante possa svolgere le funzioni requirenti di secondo grado presso più Corti d'appello anche mediante l'istituzione di un presidio presso le Procure della Repubblica aventi sede presso i capoluoghi dei rispettivi distretti di Corte di appello; d) ridefinire, anche mediante riduzione in coerenza con i criteri di cui alla lettera a), l'assetto ordinamentale dei Tribunali per i minorenni e dei corrispondenti uffici requirenti indipendentemente dall'accorpamento dei corrispondenti distretti di Corte di appello, prevedendo in tali casi per detti uffici una competenza territoriale su uno o più distretti di Corte di appello»;
   tali anticipazioni hanno sollevato molte preoccupazioni e polemiche per il probabile accorpamento del tribunale di Rieti con quello di Terni al fine di far sì che la corte di appello di Perugia abbia i requisiti previsti per continuare ad operare;
   già con la precedente revisione del 2012, che ha cancellato tutte le sezioni distaccate in Italia (Rieti ha perso quella di Poggio Mirteto) oltre a gran parte degli uffici dei giudici di pace, la Sabina si è vista privata delle sedi di Amatrice, Rocca Sinibalda e Cittaducale, con la conseguenza che il territorio è stato fortemente penalizzato comportando forti disagi per gli utenti e per i professionisti del settore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per mantenere i presidi giudiziari di Rieti e Terni o quantomeno valutare l'opportunità di una soluzione alternativa che non lasci i territori ed i cittadini sforniti di un presidio di giustizia. (4-12779)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti paventano – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione della Corte di appello del distretto dell'Umbria, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici annunciate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singole corti d'appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2006 il Nucleo operativo ecologico (NOE), su disposizione della procura della Repubblica di Napoli, appose i sigilli di sequestro preventivo alla ditta Decoindustria Srl di Santo Stefano a Macerata, comune di Cascina (Pisa), dove erano in esercizio vari impianti per depurazione, anche per conto terzi, di reflui industriali e civili;
   il sequestro fu effettuato nell'ambito di una vasta operazione denominata «Ultimo Atto», avente base ad Acerra (Napoli), che portò a 13 arresti, 100 perquisizioni in tutta Italia e al sequestro di otto impianti industriali di trattamento di rifiuti, per un giro d'affari di oltre 27 milioni di euro derivati dalla gestione illecita di rifiuti;
   nonostante, negli anni, siano stati smantellati e bonificati dalla provincia di Pisa numerosi silos contenenti anche rifiuti pericolosi, l'area sulla quale sorgeva l'ex azienda chimica Decoindustria Srl, fa ancora paura;
   nell'area in questione, da anni, erano attivi diversi impianti chimico-fisici, tra cui alcuni per distillazione e strippaggio, un concentratore a triplice effetto, un'unità di evaporazione ed essiccazione con tecnologia a film sottile, un inceneritore ed un impianto biologico;
   l'impianto lavorava reflui industriali anche pericolosi, quali acque di processo, lavaggio, sviluppo fotografico, emulsioni oleose, acque inquinante da solventi e idrocarburi, soluzioni esauste di base e acidi, reflui dell'industria agro-alimentare, reflui di spurgo pozzi neri e altro;
   le quantità autorizzate corrispondevano a 32 mila tonnellate annue per il trattamento chimico-fisico, di cui 24 mila di rifiuti pericolosi e 36500 per la depurazione biologica. I vari processi di depurazione all'interno dello stabilimento si realizzavano con impianti configurati in maniera da poter operare autonomamente o in modalità seriale, per i diversi processi di trattamento;
   già prima del sequestro l'azienda, in considerazione dell'estrema criticità del sito e delle continue segnalazione da parte dei cittadini, era stata sottoposta a numerose ispezioni da parte dell'ARPAT di Pisa, con conseguenti adozioni di provvedimenti di carattere amministrativo e penale, sia da parte delle autorità giudiziarie, sia delle amministrazioni locali competenti per territorio;
   dal sequestro ad oggi, una volta verificata la cessazione di ogni attività da parte del personale della società, l'azione delle varie amministrazioni competenti è stata sempre improntata alla ricerca di soluzioni atte a fronteggiare tempestivamente le situazioni di potenziale pericolosità presenti nell'area industriale dismessa;
   sulla base delle acquisizioni di ARPAT e del sopralluogo effettuato il 19 luglio 2006 in congiunta con il nucleo NBCR (nucleare, biologico, chimico e radiologico) dei vigili del fuoco, si accertarono diverse situazioni di potenziale pericolosità vista anche la presenza di un numero molto elevato, circa 70, di serbatoi di stoccaggio. Il campionamento si è rilevato estremamente pericoloso per l'incolumità degli operatori a causa della fatiscenza delle strutture. Altro aspetto estremamente critico riguardava la possibile contaminazione del suolo, sottosuolo e acque – superficiali e sotterranee – immediatamente circostanti il sito;
   dopo la dichiarazione di fallimento della società, l'amministrazione provinciale di Pisa, utilizzò la fidejussione accesa da Decoindustria – pari a 1 milione e 400 mila euro – per una prima messa in sicurezza del sito. Ma sin dall'inizio delle operazioni di bonifica fu constatato che il costo dei lavori necessari superava di gran lunga l'ammontare della fidejussione, e pertanto richiedeva una sostanziale integrazione da parte delle istituzioni pubbliche di almeno altri 8 milioni di euro. Di questi, circa 6 milioni sono stati messi subito a disposizione dalla regione Toscana;
   l'impossibilità di garantire una completa copertura finanziaria ha fatto registrare un notevole ritardo nel completamento della messa in sicurezza del sito, che è tuttora in corso;
   i lavori di messa in sicurezza dell'area sarebbero dovuti terminare entro dicembre 2014, ma ad oggi sono stati completati solo quattro lotti, ne manca ancora uno;
   recentemente, dopo numerose proteste dei cittadini e iniziative istituzionali di vari esponenti di forze politiche, sono stati sbloccati, dalla regione Toscana, altri 600 mila euro di risorse integrative per i lavori di bonifica del sito;
   andranno comunque fatti degli studi e dei rilevamenti specifici per approfondire i possibili danni e pericoli sia per l'ambiente circostante, sia per la salute dei cittadini;
   manca ancora del tutto la caratterizzazione del sito e dei rifiuti, cioè la conoscenza della composizione e la natura del rifiuto con l'attribuzione di un idoneo codice CER – catalogo europeo dei rifiuti secondo la direttiva 75/442/CEE  –:
    se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare anche promuovendo una verifica del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di evitare ulteriori possibili danni sia per la salute dei cittadini sia per l'ambiente circostante, visto che ancora insistono resti degli impianti dell'ex Decoindustria;
   se non ritenga di dover, con sollecitudine, assumere ogni iniziativa di competenza per sostenere l'azione delle amministrazioni territoriali impegnate nei progetti di territoriali con riqualificazione che da tanti anni i cittadini di Santo Stefano aspettano. (4-13574)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  La questione posta riguarda la situazione della ditta Decoindustria s.r.l. di Santo Stefano a Macerata, comune di Cascina (PI) e dell'area prospiciente all'impianto, area interessata dai lavori di messa in sicurezza che sarebbero dovuti terminare entro dicembre 2014.
  Al riguardo, si informa che nel gennaio 2006 lo stabilimento della ditta Decoindustria s.r.l., dove erano in esercizio vari impianti per depurazione conto terzi di reflui industriali e civili, fu posto sotto sequestro a seguito di indagine giudiziaria.
  A seguito del suddetto provvedimento di sequestro e alla successiva dichiarazione di fallimento della società (tribunale di Pisa, sentenza n. 11 del 20 febbraio 2007), la provincia di Pisa, in qualità di ente autorizzante, procedette alla messa in sicurezza d'emergenza del sito, indicendo apposita gara d'appalto, utilizzando le somme derivanti dalla fideiussione (1.400.000 euro).   Ulteriori risorse finanziarie sono state stanziate negli anni 2008-2011 dalla regione Toscana (circa 6.000.000 di euro) finalizzate all'espletamento di ulteriori tre gare di appalto per la rimozione dei rifiuti e lo smantellamento degli impianti.
  Attualmente, la volumetria totale dei rifiuti ancora presente nel sito, in particolare nel serbatoio denominato D6 – il cui svuotamento e smantellamento venne stralciato dall'ultimo intervento di messa in sicurezza (2014) per un incremento da parte della ditta affidataria ritenuto eccessivo da parte della provincia di Pisa – rappresenta meno dell'1 per cento della volumetria dei rifiuti stoccati nel 2006 (15.000 mc).
  L'asportazione dei rifiuti stoccati sul soprassuolo, che riguarderà quindi lo svuotamento e lo smantellamento del predetto serbatoio oltreché lo smaltimento di alcuni rifiuti di demolizioni pregresse, verrà presumibilmente completata entro il primo semestre 2017.
  Successivamente alla rimozione della fonte primaria di contaminazione, si procederà alle indagini del sottosuolo e delle acque sotterranee allo scopo di indagare su eventuali possibili contaminazioni e procedere con l'eventuale bonifica.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del Marghine-Planargia un tempo compreso nella omonima comunità montana, oggi raccolto nelle rispettive unioni dei comuni ubicate sulla linea di confine fra la provincia di Nuoro e quella di Oristano, è un'area della Sardegna profondamente colpita da una importante crisi economica e sociale, iniziata vent'anni orsono ed accelerata dal processo di rapida deindustrializzazione e dalla progressiva «ritirata dello Stato»;
   tutti i comparti produttivi versano in una condizione di seria difficoltà e sia i chiari segnali di spopolamento e ripresa dell'emigrazione costituiscono l'indice demografico di uno stato di generalizzato malessere;
   il combinato disposto dai consistenti tagli operati ai bilanci dei comuni e dal patto di stabilità rendono vieppiù difficoltoso l'esercizio della funzione di governo del territorio da parte degli enti locali preposti, altrettanto quanto il mantenimento di una soglia minima essenziale di servizi ai cittadini;
   l'ennesimo atto che rischia di impoverire ulteriormente il territorio proviene ora dalla disposta chiusura di numerosi uffici del giudice di pace nella provincia di Nuoro fra i quali quello di Macomer, che serve l'intero comprensorio di cui sopra;
   l'articolo 3 del decreto legislativo n.156 del 2012 prevede esplicitamente che «entro 60 giorni dalla pubblicazione degli Uffici soppressi, gli Enti locali [...] possono richiedere il mantenimento degli Uffici del GdP» a condizione che gli enti medesimi o consorziati si facciano carico delle spese di funzionamento ed erogazione del servizio, ivi compreso del fabbisogno di personale amministrativo;
   considerata la grande rilevanza di tale servizio le unioni dei comuni del Marghine e della Planargia si propongono di avvalersi della facoltà prevista dalla norma citata, individuando i locali idonei per il mantenimento in servizio dell'ufficio del giudice di pace di Macomer;
   i medesimi enti tuttavia lamentano una scarsa chiarezza della norma in merito a una serie di questioni dirimenti ed essenziali per l'effettivo esercizio della facoltà inscritta nella norma: 1) normativa vigente in materia di impiego di personale proprio degli enti locali; 2) eventuale vigenza del patto di stabilità sulle risorse destinate al mantenimento dell'ufficio in questione; 3) destinazione del gettito derivante dal funzionamento dell'ufficio medesimo;
   sono da sottolineare:
    la preziosa disponibilità manifestata dagli enti locali del Marghine e della Planargia;
    l'importanza per il territorio del mantenimento di detto presidio della giustizia;
    l'urgenza venutasi a determinare in seguito al dispositivo di chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Macomer;
   l'amministrazione della giustizia e la parità nelle condizioni di accesso per tutti i cittadini dovrebbero costituire compito primario, irrinunciabile e non delegabile dello Stato –:
   se il Ministero intenda favorire la soluzione prospettata dalle unioni dei comuni del Marghine e della Planargia;
   se l'impiego di personale proprio degli enti locali finalizzato al funzionamento dell'ufficio debba considerarsi in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010;
   se le risorse finanziarie eventualmente impiegate dagli enti locali per il funzionamento dell'ufficio siano da considerarsi rilevanti ai fini del patto di stabilità;
   se intenda assumere iniziative volte a far sì che il gettito derivante dalle controversie radicate possa essere acquisito dagli enti locali medesimi. (4-04675)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Macomer, in presenza della disponibilità manifestata dal comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Macomer.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  A seguito dell'iniziativa assunta dal comune di Macomer, pertanto, è stato possibile rivalutare la soppressione in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 19 giugno 2016, presso la sede della casa circondariale di Matera, alcuni detenuti, ristretti al piano terra della sezione Sirio, hanno dato fuoco a materassi e suppellettili, creando una densa coltre di fumo che ha reso l'aria della sezione assolutamente irrespirabile, mettendo in serio pericolo la vita degli altri detenuti e del personale di polizia penitenziaria, prontamente intervenuto per fronteggiare la drammatica emergenza;
   soltanto il coraggio, lo spirito di abnegazione e la professionalità di questo personale, unito a quello dei carabinieri, della polizia di Stato, dei vigili del fuoco e degli operatori del 118 intervenuti in aiuto, hanno evitato il verificarsi di una tragedia, con la perdita di numerose vite umane, o di gravi turbative dell'ordine pubblico, come una rivolta dei detenuti o una loro possibile evasione;
   al termine delle operazioni congiunte, due unità appartenenti alla polizia penitenziaria sono state soccorse per aver riportato una intossicazione da fumo;
   appena pochi mesi fa, all'interno della stessa sezione, si era verificata una situazione analoga;
   nel penitenziario di Matera, in particolare, a quanto risulta all'interrogante, mancherebbero le finestre all'interno del corridoio e dell'ufficio del cosiddetto «corpo di guardia», l'impianto di rilevazione dei fumi non sarebbe funzionante, gli estintori sarebbero in numero insufficiente e molti scaduti, i cancelli elettrici del reparto, così come l'impianto di videosorveglianza, sarebbero non funzionanti, mancherebbero del tutto le maschere antigas e i teli antincendio;
   altra gravissima circostanza, sarebbe rappresentata dal fatto che, specialmente nei turni pomeridiani e notturni, la responsabilità della sorveglianza generale venga demandata a personale con la qualifica di assistente capo, contrariamente a quanto previsto dalla normativa che individua tali responsabili all'interno dei ruoli superiori (sovrintendenti o ispettori);
   l'UGL Polizia Penitenziaria e l'UGL Funzione Pubblica, a livello nazionale hanno sempre denunciato l'assenza di concrete strategie per prevenire i cosiddetti «eventi critici» che nelle carceri del nostro Paese sono ormai all'ordine del giorno e che mettono a serio rischio l'ordine e alla sicurezza interna nonché la vita degli operatori penitenziari. L'episodio di Matera rappresenta infatti l'inadeguatezza del sistema penitenziario italiano dove in moltissimi casi non sarebbero addirittura rispettati i parametri minimi di sicurezza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'evento critico del 19 giugno 2016 indicato in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di fare piena luce sull'accaduto e, in caso di conferma di quanto evidenziato, se intenda adottare interventi finalizzati al ripristino immediato di tutti gli apparati e della strumentazione necessaria a garantire la prevenzione degli incendi e, più in generale, la sicurezza all'interno del reparto e dell'istituto tutto, ivi compresa la fornitura della attrezzature necessarie a fronteggiare simili emergenze;
   di quali strumenti disponga il Ministro interrogato, anche in relazione alla necessità di integrare gli organici di polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto di Matera, al fine di garantire la copertura dei posti di maggior responsabilità da parte del personale individuato allo scopo dalla normativa vigente;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per evitare che negli istituti penitenziari d'Italia gli appartenenti al ruolo agenti/assistenti siano continuamente impiegati in compiti di maggior responsabilità ai quali, oltretutto, al danno si aggiunge la beffa, non sembra possa essere riconosciuto neanche un trattamento economico adeguato, per le mansioni di grado superiore. (4-13643)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, l'interrogante, prendendo le mosse da un recente episodio di rivolta messa in atto dai detenuti della casa circondariale di Matera, nel corso della quale veniva procurato un incendio che richiedeva l'intervento dei vigili del fuoco, oltreché del personale ivi in servizio, rileva diverse criticità strutturali del predetto istituto penitenziario, tra cui l'inadeguatezza dell'impianto antincendio, nonché la precarietà delle condizioni in cui si trova ad operare il personale di polizia penitenziaria, sia per la carenza di organico, soprattutto nei ruoli direttivi (sovrintendenti ed ispettori), sia per la mancanza di «concrete strategie per prevenire i cosiddetti eventi critici».
  Su tali premesse, chiede dunque di conoscere quali iniziative siano state adottate nei confronti dei detenuti resisi responsabili della rivolta e quali iniziative si intendano adottare per superare le criticità strutturali rilevate presso la casa circondariale di Matera, nonché per assicurare la copertura dei posti direttivi del personale di polizia penitenziaria presso il predetto istituto.
  Orbene, in ordine all'evento specifico da cui prende avvio l'atto ispettivo, avvenuto in data 19 giugno 2016, giova rilevare, come riferito dal competente dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che l'incendio di natura dolosa veniva immediatamente spento dal personale di polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto, anche con il supporto di personale in quel momento fuori servizio.
  Effettivamente veniva richiesto l'intervento dei vigili del fuoco che, giunti in istituto, constatavano l'avvenuta estinzione. In conseguenza dell'evento, due unità di polizia penitenziaria riportavano lesioni che venivano refertate con prognosi, rispettivamente, di due e di diciassette giorni, mentre nessun detenuto riportava conseguenze.
  In considerazione della gravità dei fatti, la direzione dell'istituto richiedeva immediatamente il trasferimento di entrambi i detenuti resisi responsabili dell'accaduto presso altra sede, per motivi di sicurezza e di opportunità riconducibili a conflittualità con la restante popolazione detenuta. Uno veniva trasferito dalla competente direzione generale presso l'istituto di Pavia, mentre l'altro veniva trasferito dal provveditorato regionale alla casa circondariale di Lucera e per entrambi è stata irrogata sanzione disciplinare, con contestuale inoltro della notizia di reato alla competente procura della repubblica.
  In ordine alle criticità strutturali della casa circondariale di Matera, come riportate nell'atto ispettivo, con specifico riguardo alla asserita assenza di strumentazioni necessarie a prevenire e controllare gli incendi, come riferito dalla competente articolazione ministeriale, va rilevato quanto segue.
  Il reparto detentivo presso cui è stato provocato l'incendio è stato oggetto, nel corso dell'anno 2010, di un intervento di ristrutturazione e nell'occasione è stato dotato di un impianto di aereazione (immissione e aspirazione forzata dell'aria) perfettamente funzionante; inoltre, gli estintori presenti in dotazione adeguata non erano scaduti e sono stati utilizzati, assolvendo pienamente alla loro funzione tanto che l'incendio è stato spento dal personale di polizia penitenziaria ancor prima dell'arrivo dei vigili del fuoco, come sopra precisato.
  Nel reparto è presente un cancello d'ingresso interno che funziona manualmente, per il quale, come per altri cancelli automatizzati di tutto l'istituto, è in corso una procedura per l'affidamento dei lavori di ripristino della funzionalità e la manutenzione dei cancelli automatizzati.
  Il reparto dispone di un telo antincendio/spegni fiamma; l'impianto di rilevazione fumo effettivamente non è risultato funzionante, ma la direzione dell'istituto ha provveduto alla relativa segnalazione all'impresa manutentrice dell'impianto antincendio ed ha provveduto altresì ad inoltrare al competente dipartimento richiesta di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (maschere antigas).
  Con riguardo al personale di polizia penitenziaria presente presso l'istituto penitenziario di Matera si rappresenta che, a fronte di una previsione organica di 120 unità, ne risultano in servizio 101.
  Al pari di tutti gli istituti penitenziari, anche la casa circondariale di Matera presenta maggiori scoperture nei ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti, e proprio in ragione della portata generale della questione, il competente Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria monitora attentamente e in maniera costante la situazione, cercando di adoperarsi con ogni iniziativa utile a migliorare le condizioni di lavoro del personale, anche assegnando, di volta in volta e in base ad esigenze specifiche dei singoli istituti, ore di straordinario che corrispondono ad un «apporto lavorativo» di diverse unità di personale al giorno.
  In proposito, merita evidenziare che, nel corso dell'anno 2015, sono state assegnate all'istituto penitenziario di Matera 17.519 ore di straordinario.
  Mi preme segnalare, in via generale, che presto la massima attenzione al personale di polizia penitenziaria, nella consapevolezza che condizioni di lavoro sostenibili e dignitose contribuiscano all'efficace funzionamento degli istituti di pena.
  In tale prospettiva, va rilevato come il definitivo perfezionamento del nuovo modello di vigilanza dinamica non solo contribuirà sensibilmente a responsabilizzare il detenuto nella quotidianità della vita carceraria, ma consentirà altresì di valorizzare il ruolo della polizia penitenziaria, ridefinendone i compiti per un concreto miglioramento delle condizioni di lavoro.
  Sempre nella medesima prospettiva si inserisce la direttiva del maggio 2016 che ho ritenuto di impartire al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in tema di suicidi, con l'obiettivo di individuare concrete strategie di intervento atte a fronteggiare gli eventi critici all'interno degli istituti penitenziari, nella convinzione che uno sforzo immediato diretto a ridurre il livello di disagio della popolazione detentiva avrà una ricaduta positiva e diretta anche sulle condizioni di lavoro e sul benessere del personale tutto.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 13 settembre 2014 per effetto della riforma della geografia giudiziaria di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, e al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, è stata disposta la definitiva chiusura di centinaia e centinaia di uffici giudiziari, tra cui quello della sede del tribunale nonché del giudice di pace di Dolo, in provincia di Venezia;
   l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 156 del 2012 prevedeva la possibilità per gli enti locali interessati, anche consorziati, di richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, a condizione che gli stessi si facessero integralmente carico degli oneri e delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo;
   gli enti locali interessati, in particolare il comune di Dolo, aveva presentato istanza al Ministero della giustizia ed infatti nell'Allegato 1 del successivo decreto ministeriale del 7 marzo 2014 «Individuazione delle sedi degli uffici del giudice di pace ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156», risultava, tra gli uffici che venivano mantenuti, anche quello del giudice di pace di Dolo;
   il 10 novembre 2014 il Ministro della giustizia ha firmato il decreto «Uffici del giudice di pace mantenuti ex articolo 3 decreto legislativo n. 156 del 2012», con cui è stata disposta la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Dolo e l'accorpamento dello stesso a Venezia a decorrere dal 25 novembre 2014;
   immediatamente dopo la pubblicazione del decreto, il sindaco di Dolo, Mariamaddalena Gottardo, ha così commentato a riguardo sul sito del comune: «Con profondo rammarico prendo atto della soppressione dell'Ufficio del giudice di pace di Dolo, nonostante la Conferenza dei Sindaci abbia tentato di preservarlo. Il comune di Dolo, in particolare, aveva offerto all'Amministrazione della giustizia di farsi integralmente carico delle spese di funzionamento dell'Ufficio, con esclusione di quelle legate al personale, spese che per precisa disposizione di legge — gli enti aderenti alla Conferenza dei Sindaci non avrebbero potuto sostenere. Purtroppo la proposta non ha avuto riscontro positivo e, dunque, siamo costretti a subire questa ennesima perdita per il territorio»;
   l'articolo 5 del decreto del 7 marzo 2014 così precisava: «Gli enti locali che hanno richiesto il mantenimento degli uffici indicati nell'allegato 1, possono procedere, entro il termine perentorio di 15 giorni dalla entrata in vigore del presente provvedimento e con le medesime modalità previste per la presentazione, alla revoca dell'istanza formulata ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 156»;
   il successivo articolo 6, sempre del medesimo decreto, al comma 2, disponeva che la mancata e comunicazione da parte dei comuni, entro il termine perentorio di 60 giorni dalla entrata in vigore del decreto, dei locali destinati ad ospitare l'ufficio nonché del personale dei propri ruoli destinato a svolgere mansioni di supporto all'attività giurisdizionale da avviare alla fase formativa, determinava la decadenza dell'istanza di mantenimento presentata ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156;
   il decreto ministeriale del 10 novembre, proprio a seguito dell'esercizio della facoltà di cui all'articolo 5 del decreto ministeriale 7 marzo 2014 nonché per effetto della mancata ottemperanza, nei termini perentori prescritti, degli adempimenti di cui all'articolo 6, ha rideterminato l'elenco degli uffici del giudice di pace mantenuti con esclusione di quello di Dolo;
   il 10 novembre 2014, ossia lo stesso giorno in cui è stato emesso il decreto ministeriale di cui sopra, da notizie apparse sui quotidiani locali, si apprende che una quarantina circa di processi penali, pendenti e iscritti a ruolo innanzi al giudice di pace di Dolo, non si sono potuti celebrare nel giorno dell'udienza fissata a causa della mancanza dei fascicoli delle cause, già inviati alle sede centrale del giudice di pace di Venezia dal primo di novembre, ed altresì per la mancanza del cancelliere e del pubblico ministero;
   se l'impressione è che non siano state adottate le misure necessarie per evitare tale situazione caotica, nel frattempo, sono i cittadini e le imprese della zona di competenza del presidio giurisdizionale dolese che hanno subito i disagi e le conseguenze, anche in termini economici, di tale paradossale situazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione creatasi presso gli uffici del giudice di pace di Dolo, di cui sopra e riportata anche dai quotidiani locali, in particolare quali siano i motivi per cui non si sono potuti regolarmente celebrare i processi con udienza fissata per il 10 novembre 2014 e se fosse possibile evitare tale situazione; quali iniziative di competenza intenda adottare a fronte dei disagi lamentati dagli operatori del settore e dai cittadini per assicurare la celebrazione in tempi ragionevoli delle cause in corso incardinate nella sede dolese e risarcire i cittadini e le imprese dei danni conseguenti alla situazione sopra evidenziata. (4-06862)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Dolo, in presenza della disponibilità manifestata dal Comune ad avviare la procedura di mantenimento.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Dolo.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156/2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  A seguito dell'iniziativa assunta dal comune di Dolo, pertanto, è stato possibile rivalutare la soppressione in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione del personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   REALACCI e SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di Antonio Maria Mira, apparso sul quotidiano L'Avvenire del 14 giugno 2016, si apprende che da trentaquattro anni dalla chiusura delle ultime miniere di mercurio nell'area del Monte Amiata, il minerale altamente tossico continua a finire nei corsi d'acqua tra Toscana e Lazio, poi nel Tevere e arriva fino al Tirreno;
   il mercurio, altamente tossico, è presente negli scarti di lavorazione abbandonati nella zona delle miniere, nei suoli, nei sedimenti fluviali soprattutto del Paglia (affluente del Tevere che nasce proprio dalla zona dell'Amiata, la terza di tutto il mondo per produzione di mercurio), nelle acque superficiali, nella fauna ittica dei corsi d'acqua, ma anche nelle acque e nella fauna marina davanti alle coste di Lazio e Toscana. E con valori di concentrazione abbondantemente superiori a quelli definiti accettabili dal decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto «Testo unico delle norme in materia di tutela ambientale»;
   i risultati delle attività di ricerca dell'attività di ricerca del dipartimento di scienza della terra dell'università di Firenze, dal 2010 a oggi, fanno emergere una grave situazione di inquinamento da mercurio originata in più di un secolo di estrazione e lavorazione dei minerali di mercurio nel territorio dell'Amiata. Il mercurio percorre ancora oggi la strada dalle sorgenti del Paglia, lungo le pendici dell'Amiata, lungo tutta l'asta Paglia-Tevere, fino al Mar Tirreno. In 100 anni di attività si stima siano arrivati al mare almeno 60 tonnellate di mercurio. Ma l'elemento più preoccupante è che gli studi hanno evidenziato la presenza di «una quota significativa di mercurio in forma biodisponibile e quindi in grado di essere metabolizzato degli organismo viventi»;
   iniziata a metà dell'800, l'estrazione è proseguita fino al 1982 con la chiusura delle tre maggiori miniere, Abbadia San Salvatore, M. Civitella e Morone. Dopo più di 30 anni dalla chiusura delle miniere, considerati i ritardi negli interventi di bonifica, l'area del Monte Amiata è ancora fortemente colpita dagli effetti ambientali dell'attività mineraria: scarti di lavorazione ricchi di mercurio e mercurio metallico si trovano nei suoli fino a diversi chilometri dagli impianti e finiscono nei torrenti e nei fiumi che attraversano l'area, nei sedimenti fluviali e la lacustri, contaminando la biosfera (soprattutto i pesci) prima di finire nel mar Tirreno;
   gli eventi di piena (come quello avvenuto nel novembre 2012) e le attività di escavazione provocano un'ingente mobilizzazione, trasporto e ridistribuzione del materiale contaminato presente nei bacini e nelle sponde fluviali dei fiumi coinvolti. Accade così che le concentrazioni trovate nei campionamenti effettuati dal gruppo di ricerca dell'università di Firenze negli ultimi anni sono spesso oltre i limiti previsti dall'allegato 5 del decreto legislativo 152 del 2006 che prevede che non debbano superare 1 milligrammo per chilo di sostanza secca per i siti ad uso verde pubblico e residenziale e 5 milligrammi per chilo di sostanza secca per i siti ad uso commerciale e industriale, 1 microgrammo per litro per le acque sotterranee. Invece negli scarti di lavorazione la concentrazione va da 25 a 1.5000 milligrammi per chilo nei suoli da 150 a 400 milligrammi per chilo, dei sedimenti del fiume Paglia fino a 19 milligrammi per chilo, nelle particelle in sospensione nell'acqua superiori a 1 milligrammo per chilo. Si tratta di limiti, dunque, abbondantemente superati e non va meglio per le acque superficiali. Così anche per la fauna: infatti, la concentrazione di mercurio nei campioni di muscoli dei pesci d'acqua dolce, raccolti a diverse distanze da Abbadia San Salvatore e dal distretto minerario amiatino, varia da 160 a 1200 microgrammi per chilo, gran parte dei quali oltre il limite di sicurezza per il consumo umano di 300 microgrammi per chilo. Un inquinamento che finisce in mare come confermano i dati raccolti dai ricercatori, sia nei sedimenti che nella fauna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e quali iniziative urgenti di competenza intenda mettere in campo, di concerto con gli enti locali interessati al fine di affrontare la situazione dell'area mineraria amiatina e se non ritenga, anche per tramite degli istituti specializzati del Ministro, istituire un monitoraggio costante dei livelli di inquinamento del mercurio su fauna, flora e acque nell'area interessata. (4-13506)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla apposita direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la competente direzione generale del ministero sta focalizzando l'attenzione sulla problematica della contaminazione da mercurio del bacino idrografico del Tevere. In particolare, l'attenzione è posta sul sottobacino del fiume Paglia in cui sono ubicati i siti ex minerari – oggi dismessi – nei quali si è svolta ininterrottamente, per oltre un secolo, l'attività estrattiva (dal 1870 al 1980) delle miniere di cinabro (solfuro di mercurio) del versante orientale del monte Amiata, in particolare di quella di Abbadia San Salvatore (SI), con la produzione complessiva di circa 100 mila tonnellate di mercurio.
  La totalità dei siti ex minerari suddetti, ricadenti tutti in Toscana, sono stati individuati come siti da bonificare dal piano regionale delle bonifiche, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 94 del 21 novembre 2014.
  In particolare, il sito ex-minerario, oggi di proprietà del comune di Abbadia San Salvatore a seguito di una transazione sottoscritta con ENI nel 2008, è oggetto di un intervento di messa in sicurezza da parte del comune proprietario.
  Si segnala, altresì, che in data 14 giugno 2016 è pervenuta una nota della prefettura di Terni con la quale si fa presente che l'ARPA Umbria ha richiesto l'applicazione dell'articolo 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (relativo alle segnalazioni dei casi di danno ambientale ed alla adozione delle eventuali misure di intervento), motivandola con la presenza, documentata attraverso le indagini svolte dal Dipartimento provinciale di Siena di ARPA Toscana e dal dipartimento dell'Università di Firenze, di significative concentrazioni di mercurio nei sedimenti del fiume Paglia, a valle della confluenza con le acque dilavanti i siti ex minerari.
  Negli studi condotti è stato rilevato che il trasporto del mercurio nel reticolo idrografico avviene principalmente in forma particolata piuttosto che solubile.
  Viene inoltre evidenziato come gli eventi di piena, che modificano la morfologia fluviale, possano determinare un'importante ridistribuzione, mobilizzazione e trasporto dei sedimenti contaminati da mercurio presenti lungo le sponde fluviali, determinando un incremento dei livelli di mercurio nei sedimenti a valle, piuttosto che la diluizione dei quantitativi di mercurio presenti nei sedimenti fluviali, tenendo presente che il processo di erosione di buona parte della zona ex-mineraria è tuttora attivo.
  Il meccanismo di trasporto solido di fasi contenenti mercurio verso valle risulta fortemente influenzato dalla presenza dell'invaso di Alviano, che agisce da «trappola» per i sedimenti veicolati dal fiume Paglia, come dimostrato dal fatto che le concentrazioni di mercurio rilevate nei sedimenti del Tevere immediatamente a valle dell'invaso risultano drasticamente inferiori rispetto a quelli a monte.
  In riscontro alla suddetta nota prefettizia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto necessario convocare un incontro per acquisire ulteriori elementi dalle amministrazioni interessate ed avviare l'istruttoria prevista dalla procedura di cui al citato articolo 309. Il ministero ha inoltre avviato un'attività di ricognizione dei piani/programmi e progetti per la gestione di tale problematica con richiesta di documentazione alle regioni Umbria, Toscana e Lazio e contestuale richiesta di rafforzate i controlli sulla presenza del mercurio nelle componenti acquatiche, incluso il biota e i sedimenti.
  La problematica richiede certamente una strategia di intervento su scala multiregionale e di bacino, che il ministero delineerà, anche in considerazione del fatto che la suddetta rappresenta la principale fonte di immissione di mercurio nel Tirreno centrale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RONDINI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sia notizie di stampa che lo stesso sindaco indicano che nei prossimi otto mesi circa 20 mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania verranno smaltiti nell'inceneritore di Trezzo sull'Adda. Nessuna comunicazione è stata fatta a regione Lombardia che ora ha ordinato controlli a tappeto per verificare il rispetto delle norme;
   il sospetto sottolineato dalle istituzioni lombarde è che i rifiuti provenienti dalla regione del Sud non siano speciali ma bensì urbani. Se così fosse, sarebbe palese che non si stia rispettando l'obbligo di intesa tra le due regioni, non trascurando la mancata comunicazione del conferimento della regione Campania verso regione Lombardia;
   tale provvedimento risulta essere altamente ingiusto perché, mentre al Nord si aumenta la percentuale di raccolta differenziata, altre città del sud come Roma o Napoli si continua ad evitare di prendere provvedimenti seri, al fine di arrivare a percentuali dignitose di raccolta differenziata ed a costruire nuovi inceneritori che possano provvedere ai bisogni dei territori;
   presso l'impianto si è assistito all'inserimento di rifiuti provenienti da altre regioni, nello specifico Lazio e Abruzzo a cui si assiste all'odierno allargamento alla Campania, per un conferimento quantitativamente rilevante e anomalo non giustificato da emergenze, ma solo da incapacità delle altre regione nella gestione dei rifiuti;
   come precisato dall'assessore Terzi «sia anche giusto anche rimarcare che la rete nazionale degli inceneritori contenuta nello “Sblocca Italia” non è ancora in vigore»;
   così facendo si punta a stravolgere il potere programmatorio di regioni come la Lombardia che hanno raggiunto negli anni, grazie agli sforzi dei suoi cittadini, la piena autosufficienza –:
   se il Ministro, essendo a conoscenza della situazione, non intenda domandare al Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente una verifica, anche a campione sui rifiuti che vengono smaltiti fuori dalla regione Campania. (4-09685)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche riguardanti i rifiuti provenienti dalla regione Campania e indirizzati all'impianto di termo valorizzazione di Trezzo sull'Adda, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre precisare quando e a quali condizioni un rifiuto urbano, dopo essere stato sottoposto a trattamento, può essere correttamente classificato rifiuto speciale e come tale essere assoggettato al relativo regime giuridico. Sia la disciplina comunitaria che quella nazionale non forniscono tali indicazioni, tuttavia l'articolo 183, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 definisce il nuovo produttore di rifiuti come il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che modificano la natura o la composizione di detti rifiuti. Pertanto, un'operazione di trattamento potrà produrre un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto aveva prima del trattamento sono diverse da quelle che il rifiuto acquisisce dopo aver subito tale processo.
  Tanto premesso, è opportuno evidenziare che le operazioni di trattamento dei rifiuti urbani, svolte presso gli impianti STIR della Campania, sono state in passato oggetto di specifici accertamenti ed analisi sulla composizione merceologica e sulle caratteristiche dei flussi di rifiuti in entrata ed in uscita da tali impianti. Nello specifico risulta che i rifiuti urbani in ingresso sono sottoposti a trattamento meccanico di triturazione e vagliatura con deferrizzazione magnetica. Si ottengono in uscita due flussi: la frazione secca tritovagliata e la frazione umida tritovagliata, entrambe identificate con il codice CER 19 12 12. Tali frazioni in uscita dall'impianto presentano caratteristiche diverse rispetto ai rifiuti in ingresso e, sebbene conservino ciascuna una certa disomogeneità, acquisiscono il codice 19 che è specifico dei rifiuti speciali.
  I rifiuti provenienti dagli impianti STIR sono, pertanto, classificabili come rifiuti speciali. Essi tuttavia non sono esclusi dal principio di autosufficienza e prossimità stabilito dell'articolo 182-bis, comma 1, lettera a) del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, che impone l'autosufficienza regionale per lo smaltimento non solo dei rifiuti urbani non pericolosi, ma anche dei rifiuti provenienti dal loro trattamento. I rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice CER 19 continuano pertanto ad essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma solo ai fini dello smaltimento. Tale vincolo non opera qualora i rifiuti siano conferiti ad operazioni di recupero.
  Con riferimento al caso di specie, sulla base delle informazioni fornite dalla regione Campania, si segnala altresì che i rifiuti inviati presso l'impianto di Trezzo sull'Adda sono costituiti esclusivamente dalla frazione secca tritovagliata, proveniente dagli impianti STIR di Tufino e Giugliano, identificata con il codice CER 19 12 12. Tali rifiuti sono inviati presso l'impianto Prima s.r.l. di Trezzo sull'Adda, in forza di un contratto sottoscritto tra Sap.NA, soggetto responsabile del ciclo dei rifiuti in Campania, e l'ATI Defiam-Ecobuilding che agisce in qualità di intermediario con l'impianto di Trezzo sull'Adda. Tale contratto è stato stipulato dopo avere esperito una gara di aggiudicazione pubblica che aveva ad oggetto il servizio di recupero della frazione secca tritovagliata CER 19 12 12 per un quantitativo pari a 15.000 tonnellate. La regione ha peraltro precisato che dal mese di giugno 2016 il quantitativo di rifiuto inviato a recupero è stato pari a 900 tonnellate.
  Sulla base di quanto sopra indicato, poiché si tratta di rifiuti speciali destinati ad operazioni di recupero e non a smaltimento, non risulta applicabile ad essi l'obbligo dell'autosufficienza regionale e quindi il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani in regioni diverse da quelle in cui gli stessi sono prodotti, compreso l'eventuale obbligo di accordo regionale ai fini della eventuale deroga.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il ministero continuerà a svolgere attività di monitoraggio, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Vernotico è un corso d'acqua che nasce sul versante napoletano dei Monti Lattari e sfocia nel mare all'altezza di Castellammare di Stabia, sempre in provincia di Napoli;
   grazie alle acque sorgive provenienti dalla valle di Castello e dell'Imbuto, nella zona di Gragnano, il Vernotico è un importante bacino idrografico, ricadente in misura prevalente nel parco regionale dei Monti Lattari;
   lungo le sponde del torrente Vernotico si è nel corso dei secoli concentrata la presenza di numerosi mulini per la macinazione del grano, da cui si è dato avvio all'attività di produzione della pasta di Gragnano, nota in tutta il mondo ed unica a fregiarsi oggi del marchio comunitario IGP;
   il valore ambientale e paesaggistico della cosiddetta «Valle dei Mulini» ha attirato nel corso dell'Ottocento numerosi viaggiatori del Gran Tour e paesaggisti della scuola di Posillipo, che ne hanno dipinto gli scorci più suggestivi;
   nel corso degli anni il Vernotico è stato oggetto del deposito di rifiuti, tra cui principalmente residui di lavorazione edile, amianto e scarti di lavorazione tessile, e di scarichi liquidi di origine fognaria, inquinamento urbano provocato in via primaria dall'assenza di un adeguato allacciamento alla rete fognaria da parte dei comuni interessati;
   di recente il Vernotico è stato anche protagonista di un crescente fenomeno di scarichi liquidi di colorazione varia e di origine al momento sconosciuta;
   all'inizio del mese di dicembre 2013 questi scarichi sono stati denunciati alla capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, alla polizia municipale di Gragnano, al Comando dei carabinieri di Gragnano e Castellammare di Stabia, alla polizia provinciale ed all'Arpac;
   questi scarichi hanno reso le acque del torrente in alcuni tratti addirittura di una tonalità d'azzurro del tutto innaturale, determinando l'interessamento dei media ed una crescente e motivata preoccupazione da parte della cittadinanza;
   la procura competente ha prontamente avviato delle indagini in merito, ma circa un mese dopo è stato segnalato alle autorità un ulteriore, gravissimo peggioramento della situazione, con scarichi di colore nero e dall'odore pungente;
   il caso in esame, oltre a rappresentare una grave situazione di inquinamento ambientale in zone rientranti nel parco regionale dei Monti Lattari, coinvolge direttamente anche il problema del disinquinamento del golfo di Napoli, e più precisamente del litorale sorrentino-stabiese, essendo il Vernotico la principale fonte di inquinamento dopo il fiume Sarno;
   la fonte dell'inquinamento, non dimenticando la presenza degli scarichi fognari di origine urbana summenzionati, potrebbe essere individuabile presso la zona di congiunzione a monte tra i comuni di Gragnano e Pimonte;
   cause del fenomeno potrebbero essere sversamenti illegali ad opera di attività agricole e/o di lavorazione tessile posti nella zona, senza escludere la possibilità che essi siano anche effettuati da autobotti che, con l'avallo di persone del luogo, scaricano in loco sostanze provenienti da altri territori;
   i fatti narrati sono riportati anche da articoli quali quelli pubblicati dal quotidiano d'informazione on-line «Napolitoday» l'8 gennaio 2014 con il titolo «Gli sversamenti rendono il torrente blu elettrico» ed il 9 gennaio 2014 con il titolo «Un tuffo dove l'acqua è più blu, ma nel Vernotico lo è troppo», l'articolo pubblicato dal quotidiano on-line «Metropolis» dal titolo «Gragnano, il Vernotico si colora. Le associazioni: “Problema che riguarda anche Castellammare” » e l'articolo intitolato «Choc alla Valle dei Mulini di Gragnano: sversati vernici e solventi. Le acque diventano blu» e pubblicato dal quotidiano d'informazione on-line «Retenews24» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, abbiano già preso in merito;
   se non ritengano opportuno, per quanto di competenza, intensificare i controlli per verificare quali siano le reali cause ed assicurarsi che non si prosegua con le attività inquinanti;
   se non ritengano doveroso, alla luce delle disposizioni del decreto-legge n. 136 del 2013, promuovere iniziative per far partire immediate bonifiche del territorio, specie considerata la prossimità di numerosi e popolosi centri abitati e di mulini che producono pasta consumata su tutto il territorio nazionale ed anche all'estero. (4-03705)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dai competenti uffici della capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, si rappresenta quanto segue.
  Il primo episodio risale al 9 dicembre 2013, allorquando veniva effettuato un intervento da parte della capitaneria di porto di Castellammare di Stabia che constatava la presenza di una strana colorazione bluastra del corso d'acqua denominato «Vernotico», fenomeno poi scomparso nel giro di pochissime ore. I risultati analitici effettuati sul campione prelevato dal personale dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Campania (ARPAC) intervenuto sul posto, evidenziavano quale sostanza responsabile del fenomeno un colorante di sintesi.
  Il secondo fenomeno di inquinamento risale invece al 3 gennaio 2014, quando, a seguito di richiesta pervenuta dalla polizia municipale di Gragnano, la capitaneria di porto di Castellammare di Stabia constatava la presenza di acque scure nel citato corso d'acqua, presumibilmente proveniente da un rivo a monte dello stesso (comune di Pimonte). Le analisi effettuate dall'ARPAC sul campione prelevato rilevavano la presenza di rifiuti di origine fecale e materiale organico in decomposizione.
  Quanto sopra veniva, in entrambi i casi, prontamente segnalato all'autorità giudiziaria di Torre Annunziata, che delegava la capitaneria di porto di Castellammare di Stabia allo svolgimento di indagini, finalizzate alla individuazione e repressione di eventuali fenomeni di sversamento illecito, da parte di attività produttive insistenti lungo il percorso del torrente.
  In particolare la capitaneria di porto di Castellammare di Stabia ha evidenziato che l'episodio segnalato, oltre ad essere stato adeguatamente riscontrato, ha consentito di eseguire diverse attività di polizia ambientale da cui sono emersi profili di rilevanza penale segnalati all'autorità giudiziaria (n. 3 comunicazioni di notizia di reato e n. 1 sequestro penale); nel contempo, gli interventi allora posti in essere, hanno risolto talune problematiche, apportando un complessivo miglioramento del livello di qualità ambientale dell'area denominata Valle dei Mulini, oltre che del litorale stabiese.
  La capitaneria di porto di Castellammare di Stabia ha inoltre riferito che le condizioni di degrado ambientale del vernotico sono riconducibili prevalentemente all'immissione, nel corso d'acqua in parola, di una parte di reflui prodotti dai comuni dei monti Lattari (Gragnano, Pimonte, Casola, Lettere, S. Antonio Abate) che pur disponendo di una rete fognaria «mista», non risulta collegata ad alcun collettore, con la conseguente immissione nel torrente Vernotico che, a sua volta, all'altezza del comune di Castellammare di Stabia, si immette nel cosiddetto Rivolo San Marco per sversarsi, senza alcun trattamento di depurazione, nelle acque antistanti il litorale stabiese. Tale anomalia strutturale è attribuibile alla mancanza del collettore comprensoriale la cui realizzazione, iniziata nei mesi di luglio-agosto degli anni ‘70 non risulta mai ultimata per sopravvenute esigenze di bilancio della regione Campania.
  Sebbene l'esigenza di completare la realizzazione del collettore di Gragnano è ritenuta attuale e prioritaria, nelle more che venga completata l'opera ed allo scopo di arginare le conseguenze ambientali di tale mancanza, l'ente gestore della rete fognaria ha avviato la realizzazione di un intervento di intercettazione provvisoria delle acque del rivolo San Marco, in prossimità della foce, attraverso una paratia e un impianto di sollevamento per la successiva immissione nel collettore fognario diretto all'impianto di depurazione denominato «Foce Sarno» ubicato nel comune di Castellammare di Stabia.
  La suddetta soluzione di carattere temporaneo è stata definita in occasione di un tavolo tecnico tenutosi presso gli uffici del «ciclo integrato acque» della regione Campania. Nel corso del mese di maggio del 2014 è stato approvato il progetto definitivo dell'intervento che prevede l'esecuzione delle opere a cura della società G.O.R.I.
  Dopo una serie di tavoli tecnici avuti con i comuni interessati e la società Gori, è stata messa in atto un'opera di intercettazione delle acque provenienti dal rivolo San Marco, all'altezza di via De Gasperi del comune di Castellammare di Stabia, a circa 40 metri dalla foce del rivolo San Marco. Nello specifico, l'intervento di carattere provvisorio prevede l'intercettazione delle acque reflue in tempo asciutto dal rivo San Marco ed il recapito ad un'adiacente stazione di sollevamento su corso Garibaldi del comune di Castellammare di Stabia con successivo convogliamento al collettore comprensoriale di Foce Sarno. Con l'intervento è stata realizzata un'opera di derivazione al fondo scatolare esistente nel quale defluisce il rivo San Marco, ed un impianto di sollevamento ubicato lungo corso Garibaldi su un'area pubblica in adiacenza al rivo San Marco in sponda sinistra.
  L'impianto di sollevamento per le sole acque nere intercettate dal rivo San Marco, per ragioni legate all'economicità e sicurezza di funzionamento, utilizza n. 2 pompe da 120 litri al secondo. Inoltre a monte del suddetto impianto, in ottemperanza alla nota del genio civile della regione Campania del 29 maggio 2014 con la quale è stato espresso parere favorevole al progetto, è stata realizzata una griglia a maglia larga per l'intercettazione dei rifiuti solidi trascinati nel rivo San Marco. Detti lavori sono iniziati in data 19 agosto 2014 e si sono conclusi nella prima metà del mese di febbraio 2015. Ad oggi l'opera risulta realizzata con entrata in funzione del sistema di convogliamento dei reflui. Risulta ripristinata anche la circolazione stradale sull'arteria interessata dai lavori.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere a tenersi informato attraverso gli Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Barra ha una competenza territoriale che si estende sul comune di San Giorgio a Cremano e sulla municipalità 6 (Barra-San Giovanni a Teduccio-Ponticelli) di Napoli;
   l'utenza demografica di tale ufficio è di circa 185.000 persone;
   i giudizi civili iscritti a ruolo presso l'ufficio del giudice di pace di Barra sono mediamente superiori ai 10.000 all'anno, e quelli pendenti al 31 dicembre 2013 erano 13.806, ai quali vanno sommati i giudizi penali;
   la durata dei processi civili è, presso tale ufficio, mediamente inferiore ad un anno, ben al di sotto della media nazionale, ed i processi definiti nell'anno 2013 sono stati ben 10.144;
   nell'ultimo anno sono state effettuate oltre 600 tra perizie giurate ed atti notori;
   parte dei procedimenti trattati dall'ufficio del giudice di pace in questione riguardano i ricorsi avverso sanzioni amministrative direttamente presentati dai cittadini;
   nell'archivio, presente nella struttura, vi sono attualmente circa 150.000 fascicoli d'ufficio ed oltre 100.000 fascicoli di parte, mai ritirati;
   la sede dell'ufficio del giudice di pace di Barra è un edificio di recente costruzione, modernamente attrezzato, con ampie aree di parcheggio sia interne che esterne ove, nei giorni di udienza, parcheggiano circa 300 autovetture ed un centinaio di motoveicoli;
   la struttura è raggiungibile sia in auto che con mezzi pubblici, trovandosi in prossimità di una fermata dell'autobus e di una stazione della Circumvesuviana ed essendo servita da strade di collegamento con la città di Napoli e con la provincia;
   l'immobile è di proprietà del comune di Napoli, concesso ad uso gratuito al Ministero della giustizia;
   il decreto-legge n. 156 del 2012, all'articolo 1, struttura un disegno di razionalizzazione che contempla, tra l'altro, la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Barra, con conseguente accorpamento dello stesso alla struttura del giudice di pace di Napoli;
   tale soppressione arrecherebbe indubbiamente un grave nocumento e pregiudizio ai cittadini residenti nel territorio, nonché agli utenti del servizio giustizia ed agli operatori, e rappresenterebbe inoltre un segnale negativo per l'area orientale della città di Napoli, zona notoriamente caratterizzata da un alto tasso di criminalità in cui un presidio di legalità e democrazia rappresenta un'esigenza irrinunciabile sia per le istituzioni che per le comunità locali;
   un atto dell'ufficio del giudice di pace di Napoli del 28 marzo 2014, prot. n. 206, inviato tra gli altri anche al Ministro della giustizia, ha richiamato l'attenzione su alcuni aspetti che incidono negativamente sia sulla sicurezza dell'attività che sulla funzionalità dei servizi;
   per quanto attinente alla sicurezza c’è da sottolineare come l'attuale configurazione preveda misure sufficienti ad assicurare il normale mantenimento dei parametri di prevenzione delle emergenze, specie se si tiene conto del già alto numero di persone che in sede di udienza affollano le aule (mediamente assegnate a due o più giudici contemporaneamente), delle decine di fascicoli e del fatto che per ogni fascicolo vi è la presenza di almeno due avvocati, delle parti e di eventuali testimoni e consulenti tecnici;
   le vie di fuga e di esodo, così come i dispositivi di prevenzione dei rischi, sono stati dimensionati per l'affluenza di personale e di utenti odierna, pari mediamente a circa 4.000 (con picchi vicini alle 5.000) persone al giorno;
   l'accorpamento appesantirebbe, facendoli saltare, tutti gli standard minimi di sicurezza sul lavoro;
   per ciò che concerne le misure di prevenzione degli incendi, per le quali il complesso di aule, uffici ed archivi è già dotato, l'accorpamento di altra sede giudiziaria farebbe aumentare il carico antincendio sia per l'elevato numero di persone in più sia per l'elevato sovraccarico di carta, materiale altamente infiammabile;
   in merito poi alla compatibilità sismica della già ormai vetusta struttura dell'ufficio del giudice di pace di Napoli, è doveroso accennare all'aumento dei carichi che essa dovrebbe sopportare per il maggior numero di persone e per il notevole carico di cui sarebbero ulteriormente gravate le strutture in cui alloggiare altre suppellettili, scaffalature e faldoni da archiviare;
   motivi economici e tecnici rendono difficile immaginare la possibilità di prevedere un adeguamento di tutte le misure sopraelencate;
   altrettanto preoccupanti sono le ripercussioni che l'ufficio avvertirà nella gestione dei servizi;
   se è vero che sarà possibile fronteggiare l'aumento del numero di giudici, per quanto attiene alla disponibilità delle aule, non altrettanto può dirsi con riferimento all'incremento delle attività di cancelleria conseguenti all'aumento della sopravvenienza degli affari, senza considerare che tutto ciò sarà notevolmente aggravato dalla difficoltà di gestire il poderoso carico pregresso della sede di Barra, non informatizzato o comunque non acquisito al database che gestisce il contenzioso civile nell'ufficio del giudice di pace di Napoli;
   l'atto dell'ufficio del giudice di pace di Napoli sottolinea anche l'inadeguatezza degli spazi destinati al parcheggio dei veicoli, non soltanto all'interno della struttura, ma anche nel contiguo contesto urbano;
   d'altronde questo aspetto è già causa di disservizi e lamentele nella stessa attuale composizione dell'ufficio;
   c’è anche da dire che, almeno fino al raggiungimento di una decisione in merito alla nuova destinazione, in seguito all'accorpamento lo stabile presso cui ha sede l'ufficio del giudice di pace di Barra andrebbe sorvegliato, al fine di evitarne l'occupazione e fenomeni di vandalismo;
   gli avvocati che svolgono la loro professione nell'ambito del territorio per cui è competente l'ufficio del giudice di pace di Barra si sono dichiarati disponibili a gravarsi delle spese necessarie per il funzionamento della cancelleria;
   il Consiglio dell'Ordine di Napoli si è reso disponibile all'acquisto dei necessari arredi;
   dal deliberato della conferenza dei capigruppo e del sindaco del comune di San Giorgio a Cremano del 20 marzo 2014 si evince la consapevolezza delle Autorità di quel comune circa il fatto che occorrerà valutare soluzioni meno traumatiche per i territori interessati;
   anche il sindaco del comune di Napoli, in una lettera indirizzata al Ministro della giustizia, ha fatto proprie le preoccupazioni espresse dall'ufficio del giudice di pace di Barra e dall'ufficio del giudice di pace di Napoli;
   senza una puntuale previsione ed organizzazione del futuro assetto dell'ufficio conseguente all'accorpamento, è verosimile pensare che si verificheranno disfunzioni e ritardi che incideranno sull'ordinato funzionamento dei servizi e, conseguentemente, sullo stesso esercizio della giurisdizione –:
   quali misure abbia già preso il Ministro interrogato in merito e quali azioni intenda intraprendere al riguardo;
   se non ritenga innegabile la sussistenza di presupposti oggettivi e soggettivi che rendono necessario il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra;
   se non ritenga opportuno, laddove non vi fossero i margini per il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Barra, provvedere almeno ad una proroga della soppressione di tale sede, al fine di ricercare una soluzione condivisa da tutti gli attori istituzionali (sindaci interessati, consiglio dell'ordine ed associazioni forensi) per garantire una riduzione al minimo dei disagi per gli utenti del servizio giustizia. (4-04487)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Barra, in presenza di un considerevole interesse pubblico al mantenimento del presidio.
  Come, noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Barra.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Nel delineato quadro normativo, l'ufficio del giudice di pace con sede in Barra non è stato ricompreso tra le sedi mantenute con oneri a carico degli enti locali.
  In considerazione del carico di lavoro, del bacino di utenza e delle complessive esigenze degli uffici viciniori, in sede di conversione del decreto legge n. 132 del 12 settembre 2014, recante «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», approvato definitivamente dalla Camera dei deputati nella seduta del 6 novembre 2014, è stato introdotto, con emendamento del Governo, l'articolo 21-bis, che ha previsto l'istituzione dell'ufficio del giudice di pace di Ostia ed il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Barra.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SCOTTO, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 17 luglio 2014 a Castellammare di Stabia, importante comune costiero della provincia di Napoli, la cittadinanza ha notato la presenza in mare di una lunga scia colorata di un rosso intenso;
   la sostanza rossa proveniva dagli scarichi fognari della zona del rivo Cannetiello, un canale naturale che sfocia sull'arenile di corso Garibaldi nei pressi del Palazzo del Fascio;
   inizialmente si è pensato fosse pittura, anche se dopo appena un'ora non era rimasto nessun residuo apparente nel rivo;
   sono state immediatamente allertate sia la capitaneria di porto che l'ARPAC per capire la natura della sostanza e la sua provenienza;
   gli uomini della capitaneria di porto, agli ordini del comandante Ricco, hanno seguito con attenzione l'evolversi della vicenda che ha dapprima colorato in maniera forte ed intensa la battigia circostante, per poi dissolversi gradualmente;
   il comandante Ricco, a seguito di un sopralluogo eseguito personalmente, ha avuto modo di constatare che la sostanza risultava essere fortemente solubile;
   per avere contezza della natura del materiale, presumibilmente sversato illecitamente nel Cannetiello, l'ARPAC ha effettuato prelievi di campioni da analizzare;
   è da escludere che possa trattarsi di scarti della lavorazione dei pomodori, come invece accade frequentemente nel fiume Sarno;
   da un esame preliminare sembrerebbe essere una vernice murale leggera proprio per la sua grande capacità di dissolvenza nell'acqua;
   già pochi giorni prima era stata scoperta una scia di schiuma bianca nella zona di Pozzano, estesa per oltre un miglio fino allo Scrajo di Vico Equense;
   in tal caso pare siano stati scarichi fognari a provocare quell'incidente ed il conseguente riversamento in mare di una sostanza schiumosa e oleosa;
   nelle scorse settimane un episodio simile aveva colpito il fiume Vernotico, che si era colorato di una particolare tonalità di blu;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, nell'articolo intitolato «Castellammare – Il mare stabiese è “Profondo Rosso”», pubblicato dal quotidiano online «Stabia Channel», dall'articolo intitolato «Scarichi di vernice in mare, nuovo allarme sulla costa stabiese», pubblicato dal quotidiano online «Metropolis Web» e dall'articolo intitolato «Napoli. Mare choc, a Stabia l'acqua diventa rosso sangue», pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Mattino» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro abbia intenzione di assumere in merito;
   se non ritenga doveroso ed urgente assumere iniziative per individuare le motivazione del drammatico inquinamento delle acque della zona e per prendere contromisure in modo da tutelare la cittadinanza, la fauna e la flora marina dell'area. (4-05604)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dai competenti uffici della capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, si rappresenta quanto segue.
  In data 17 luglio 2014, il comando della capitaneria di porto di Castellammare di Stabia riceveva una segnalazione telefonica circa un presunto sversamento di sostanze di non meglio identificata natura che aveva provocato una colorazione rossa anomala delle acque del rivolo Scanzano (conosciuto anche come rivo «Cannetiello») nel comune di Castellammare di Stabia.
  La capitaneria di porto constatava la presenza nel rivolo di sostanze di colore rosso che interessava la foce ed il letto del rivolo nonché lo specchio di mare antistante la foce stessa.
  L'origine dell'inquinamento veniva individuata in una ferramenta sita in via Cosenza nel comune di Castellammare di Stabia, dove un dipendente della stessa, a seguito della rottura accidentale di un flacone di pittura murale (vernice madre) ripuliva il piazzale aziendale con acqua corrente che si colorava di rosso e confluiva nelle caditoie di raccolta delle acqua piovane del piazzale in questione e nel relativo pozzetto fognario che non era collegato alla pubblica fognatura, ma confluiva nel rivolo Scanzano. Il titolare della ferramenta veniva deferito all'autorità giudiziaria competente e le caditoie ed il pozzetto fognario venivano posti sotto sequestro.
  I risultati analitici dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Campania (ARPAC) evidenziavano che la sostanza sversata era una pittura murale classificata come rifiuto speciale non pericoloso.
  Successivamente, su ordine del pubblico ministero a cui era stato affidato il caso, si provvedeva alla bonifica del pozzetto sopracitato al fine di scongiurare altri fenomeni di sversamento, in previsione di condizioni meteorologiche avverse, l'area veniva dissequestrata e il proprietario della ferramenta provvedeva allo smaltimento dei reflui inquinati tramite ditta specializzata.
  Al riguardo, si fa presente che sono in corso le attività finalizzate al collegamento dello scarico citato al collettore comprensoriale del depuratore denominato foce Sarno.
  Per quanto riguarda la presenza di schiuma bianca nello specchio acqueo fra Seiano e Meta di Sorrento in data 1 luglio 2014, gli esiti analitici del campionamento effettuato lo stesso giorno da personale tecnico dell'ARPAC rilevavano l'assenza di fioriture algali e di specie potenzialmente tossiche e i risultati microbiologici risultavano favorevoli se confrontati con i valori limite previsti dalla normativa vigente.
  Da ultimo fa riferimento all'episodio risalente al 9 dicembre 2013, allorquando veniva effettuato un intervento da parte della capitaneria di porto di Castellammare di Stabia che constatava la presenza di una strana colorazione bluastra del corso d'acqua denominato «Vernotico», fenomeno poi scomparso nel giro di pochissime ore. I risultati analitici effettuati sul campione prelevato dal personale ARPAC intervenuto sul posto, evidenziavano quale sostanza responsabile del fenomeno un colorante di sintesi.
  Quanto sopra veniva prontamente segnalato all'autorità giudiziaria di Torre Annunziata, che delegava la capitaneria di porto di Castellammare di Stabia allo svolgimento di indagini, finalizzate alla individuazione e repressione di eventuali fenomeni di sversamento illecito, da parte di attività produttive insistenti lungo il percorso del torrente.
  In particolare la capitaneria di porto di Castellammare di Stabia ha evidenziato che l'episodio segnalato, oltre ad essere stato adeguatamente riscontrato, ha consentito di eseguire diverse attività di polizia ambientale da cui sono emersi profili di rilevanza penale segnalati all'autorità giudiziaria; nel contempo, gli interventi allora posti in essere, hanno risolto talune problematiche, apportando un complessivo miglioramento del livello di qualità ambientale dell'area del litorale stabiese.
  Al riguardo, si fa presente che le indagini sono in corso e sono condotte dalla locale polizia municipale su delega da parte della procura della repubblica di Torre Annunziata.
  La capitaneria di porto di Castellammare di Stabia ha inoltre riferito che le condizioni di degrado ambientale del Vernotico sono riconducibili prevalentemente all'immissione nel corso d'acqua in parola, di una parte di reflui prodotti dai comuni dei monti Lattari (Gragnano, Pimonte, Casola, Lettere, S. Antonio Abate) che pur disponendo di una rete fognaria «mista», non risulta collegata ad alcun collettore, con la conseguente immissione nel torrente Vernotico che, a sua volta, all'altezza del comune di Castellammare di Stabia, si immette nel cosiddetto rivolo San Marco per sversarsi, senza alcun trattamento di depurazione, nelle acque antistanti il litorale Stabiese. Tale anomalia strutturale è attribuibile alla mancanza del collettore comprensoriale la cui realizzazione, iniziata nei mesi di luglio-agosto degli anni ‘70 non risulta mai ultimata per sopravvenute esigenze di bilancio della regione Campania.
  Sebbene l'esigenza di completare la realizzazione del collettore di Gragnano è ritenuta attuale e prioritaria, nelle more che venga completata l'opera ed allo scopo di arginare le conseguenze ambientali di tale mancanza, l'ente gestore della rete fognaria ha avviato la realizzazione di un intervento di intercettazione provvisoria delle acque del rivolo San Marco, in prossimità della foce, attraverso una paratia e un impianto di sollevamento per la successiva immissione nel collettore fognario diretto all'impianto di depurazione denominato «Foce Sarno» ubicato nel comune di Castellammare di Stabia.
  La suddetta soluzione di carattere temporaneo è stata definita in occasione di un tavolo tecnico tenutosi presso gli uffici del «ciclo integrato acque» della regione Campania. Nel corso del mese di maggio del 2014 è stato approvato il progetto definitivo dell'intervento che prevede l'esecuzione delle opere a cura della società G.O.R.I.
  Dopo una serie di tavoli tecnici avuti con i comuni interessati e la Società Gori, è stata messa in atto un'opera di intercettazione delle acque provenienti dal Rivolo San Marco, all'altezza di via De Gasperi del comune di Castellammare di Stabia, a circa 40 metri dalla foce del rivolo San Marco. Nello specifico, l'intervento di carattere provvisorio prevede l'intercettazione delle acque reflue in tempo asciutto dal rivo San Marco ed il recapito ad un'adiacente stazione di sollevamento su corso Garibaldi del Comune di Castellammare di Stabia con successivo convogliamento al collettore comprensoriale di Foce Sarno. Con l'intervento è stata realizzata un'opera di derivazione al fondo scatolare esistente nel quale defluisce il rivo San Marco, ed un impianto di sollevamento ubicato lungo corso Garibaldi su un'area pubblica in adiacenza al rivo San Marco in sponda sinistra.
  L'impianto di sollevamento per le sole acque nere intercettate dal rivo San Marco, per ragioni legate all'economicità e sicurezza di funzionamento, utilizza n. 2 pompe da 120 litri al secondo. Inoltre a monte del suddetto impianto, in ottemperanza alla nota del Genio civile della regione Campania del 29 maggio 2014 con la quale è stato espresso parere favorevole al progetto, è stata realizzata una griglia a maglia larga per l'intercettazione dei rifiuti solidi trascinati nel rivo San Marco. Detti lavori sono iniziati in data 19 agosto 2014 e si sono conclusi nella prima metà del mese di febbraio 2015. Ad oggi l'opera risulta realizzata con entrata in funzione del sistema di convogliamento dei reflui. Risulta ripristinata anche la circolazione stradale sull'arteria interessata dai lavori.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo ministero continuerà a tenersi informato attraverso gli Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2013 la giunta comunale di Torre del Greco (Napoli) deliberava di confermare la volontà del comune di Torre del Greco al mantenimento dell'ufficio del giudice di pace sul proprio territorio e ad impegnarsi a mettere a disposizione il proprio personale e tutte le risorse necessarie a questo scopo (delibera n. 240/13);
   a quanto risulta l'immobile di viale Campania, utilizzato fino al 5 dicembre 2014 come sede della sezione distaccata del tribunale di Torre Annunziata, non necessita dei costosi lavori che giustificarono lo spostamento dell'ufficio del giudice di pace. Infatti lo stesso immobile dovrebbe ospitare un plesso scolastico dell'Istituto superiore di primo grado «Sasso»;
   presso l'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco (Napoli) risultavano iscritti a ruolo per il solo anno 2014 n. 440 ricorsi per decreto ingiuntivo, n. 216 procedimenti penali e n. 3266 cause civili;
   i cittadini di Torrie del Greco (Napoli), come le associazioni di categoria, hanno più volte lamentato profondi disagi per lo spostamento della sede dell'ufficio del giudice di pace a Torre Annunziata –:
   se sia intenzione del Ministro mantenere la sede del giudice di pace di Torre del Greco (Napoli) e, in alternativa, quali siano gli strumenti che il Ministero abbia intenzione di intraprendere a tutela dei cittadini e degli operatori del diritto del comune di Torre del Greco (Napoli).
(4-08356)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – quali iniziative possano essere assunte per il ripristino dell'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata originariamente disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace, tra cui l'ufficio con sede in Torre del Greco.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  Con il decreto ministeriale 10 novembre 2014, all'esito della decorrenza dei termini perentori fissati dal precedente decreto ministeriale 7 marzo 2014 ed in attuazione del richiamato articolo 3 del decreto legislativo n. 156, sono state individuate le sedi degli uffici del giudice di pace mantenute con oneri a carico degli enti locali, valutando positivamente le istanze rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e determinando, conseguentemente, l'efficacia del nuovo assetto gestionale dal 16 dicembre 2014.
  Al fine di rivalutare le disponibilità successivamente manifestate dagli enti locali che non si erano tempestivamente avvalsi delle procedure finalizzate al mantenimento degli uffici del giudice di pace, la finestra temporale è stata ulteriormente ampliata.
  Non risulta, tuttavia, che il comune di Torre del Greco abbia formalizzato l'istanza di mantenimento, assumendo gli oneri prescritti dalla legge.
  In conseguenza, non è stato possibile rivalutare la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco neppure in sede di adozione del recente decreto ministeriale del 27 maggio 2016, con il quale è stata definitivamente perfezionata la complessa procedura prevista dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 156.
  Con tale decreto, infatti, è stata completata la disciplina del passaggio al nuovo assetto gestionale e si è provveduto alla ricognizione del definitivo assetto delle circoscrizioni degli uffici del giudice di pace, in attuazione delle disposizioni relative al mantenimento degli uffici soppressi con oneri a carico degli enti locali, secondo le disposizioni del citato decreto legislativo e in conformità a quanto prescritto con legge n. 11 del 27 febbraio 2015 ed alle statuizioni della circolare ministeriale del 12 maggio 2015, concernente «Istruzioni per il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 2014 n. 192, convertito con modificazioni con legge 27 febbraio 2015, n. 11».
  Al fine di agevolare le iniziative che hanno consentito agli enti locali interessati di poter conservare gli uffici del giudice di pace originariamente soppressi, il termine entro cui la formazione dei personale destinato agli uffici avrebbe dovuto essere concluso è stato, come noto, successivamente prorogato al 31 maggio 2016 con l'articolo 2-ter del decreto legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21.
  Per effetto delle determinazioni assunte con il citato decreto ministeriale sono stati, pertanto, ripristinati, con oneri a carico degli enti locali richiedenti, 51 uffici del giudice di pace, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TERZONI, BENEDETTI, L'ABBATE, SPESSOTTO, BUSINAROLO, COLLETTI, DE LORENZIS, CECCONI, VACCA, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   un recente libro-inchiesta pubblicato del giornalista dell’Espresso Gianluca Di Feo intitolato «Veleni di Stato» (Rizzoli 2009), sulla base di documenti tedeschi, inglesi, americani ha sollevato il tema della presenza invisibile ma reale sul territorio italiano della preoccupante eredità dell'enorme arsenale chimico bellico creato dal regime fascista ed occultato dai tedeschi e di quello disperso dalle forze alleate durante l'ultima guerra (http://espresso.repubblica.it);
   la zona adriatica a cavallo della linea gotica, è indicata come uno dei luoghi significativi in cui ciò è avvenuto, insieme alle coste pugliesi, al golfo di Napoli, al Lago Maggiore, alla Lombardia, al Lazio;
   tre vagoni di testate chimiche, corrispondenti a 84 mila litri di arsenico, arrivarono a Pesaro e vennero svuotati di notte in mare. Stessa sorte seguirono 4.300 grandi bombe C500T contenenti iprite, il famoso gas tossico e vescicante, per un totale di 1.316 tonnellate, oltre un milione di litri, che entro il 10 agosto 1944 vennero caricate su barconi, e gettate al largo. Pochi anni dopo la fine della guerra, in una interrogazione parlamentare del 20 novembre 1951 (http://legislature.camera.it) il sottosegretario alla Marina mercantile Ferdinando Tambroni, rispondendo ad una interrogazione parlamentare dell'Onorevole Enzo Capalozza (sindaco di Fano nel 1944, deputato poi senatore del Pci nel dopoguerra, giudice della Corte costituzionale) avente ad oggetto «Rastrellamento di bombe all'iprite nel tratto dell'Adriatico tra Ancona e Pesaro», rispondeva in maniera dettagliata, riconoscendo l'esistenza di un pericolo ancora presente, citando «gli infortuni dei pescatori locali per contaminazione da aggressivo chimico», riportando le coordinate geografiche della «zona in cui le bombe ad iprite sarebbero state affondate»: quattro punti geografici ubicati in mare, di fronte al porto di Cattolica, a Casteldimezzo ed a Fosso Sejore (tra Pesaro e Fano), a distanze variabili tra uno e tre miglia dalla riva, e due punti sulla terraferma – probabilmente un errore di trascrizione – nei comuni di Cattolica e San Giovanni in Marignano. L'inchiesta ufficiale del 1951 lasciava aperti molti interrogativi e non risultano infatti attuate successive campagne militari di indagini e ancora oggi prive di risposte esaurienti: molti ordigni sono stati rinvenuti nel dopoguerra, ma non si sa precisamente dove e quanti siano oggi gli involucri d'acciaio sepolti da fango e sabbia sui fondali, se possano essere recuperabili, se con il tempo potranno corrodersi rilasciando sostanze tossiche, né si sa – ove ciò avvenisse – quali conseguenze potrebbero avere per l'ambiente, per la salute dei cittadini, per l'economia turistica;
   anche Legambiente in passato ha lanciato l'allarme con il dossier «Armi chimiche: Un'eredità ancora pericolosa» (2012) ricordando che «sono migliaia le bomblets, piccoli ordigni derivanti dall'apertura delle bombe a grappolo, sganciati dagli aerei Nato sui fondali marini del basso Adriatico durante la guerra in Kosovo. Questi arsenali, prodotti dall'industria bellica italiana dagli anni 20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostanze tossiche che da più di ottant'anni causano gravi danni all'ecosistema della Penisola e alla salute delle popolazioni locali»;
   sarebbero 24 le zone di affondamento degli ordigni abbandonati da velivoli dell'Alleanza atlantica nel mare Adriatico di ritorno dai bombardamenti in Kosovo nel 1999. E prima ancora in Bosnia Herzegovina nel 1994-95;
   ad attestare la presenza di ordigni, all'uranio impoverito e non, sono le mappe e le coordinate della Nato, nonché i dati secretati dalla Marina militare che sono stati svelati da «LEFT» nel 2007;
   il 22 settembre 2004, in un'interrogazione parlamentare del senatore Ds Franco Danieli al Presidente del Consiglio dei ministri, si menziona la presenza in Adriatico oltre che di «residuati chimici della seconda guerra mondiale di produzione Usa», proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925, soprattutto di «bombe a grappolo del tipo blu 27 e proiettili all'uranio impoverito»;
   il 25 maggio 1999, la poco nota deliberazione 239 del consiglio regionale delle Marche prendeva atto che «in questo ultimo periodo è continuato lo sganciamento di bombe da parte di aerei Nato nell'Adriatico, anche a ridosso della costa marchigiana»;
   già allora l'assise regionale considerava «il grave danno arrecato all'ecosistema marino» e paventava «il pericolo di esplosioni a danno dei lavoratori della pesca»;
   nella seduta n. 625 del 28 maggio 1999 il sottosegretario per la difesa Brutti dichiarava che «sin dall'avvio delle operazioni militari nei Balcani, le autorità militari dell'Alleanza avevano individuato alcune zone di mare in acque internazionali per consentire ai velivoli di sganciare, in un quadro di procedure di sicurezza, i carichi esterni dei velivoli, in particolare le bombe, qualora i velivoli stessi si fossero venuti a trovare in condizioni di avaria, di emergenza. Queste aree sono denominate jettison areas» ed elencava le aree «ufficiali» di sgancio;
   nel 2013 Luigi Alcaro, responsabile del servizio emergenze ambientali in mare per l'ISPRA e grande conoscitore dei segreti che i fondali marini custodiscono, e in particolare della situazione del mare Adriatico, grazie agli studi compiuti proprio per l'ISPRA, in una intervista rilasciata alla testata online Ambiente&ambiente dichiarò che «gli studi bibliografici, le interviste agli operatori della pesca e le indagini condotte in alcune aree pilota hanno permesso di evidenziare come la presenza di armi chimiche nei mari italiani sia accertata con particolare riferimento al basso Adriatico. Osservazioni dirette da parte di ISPRA sono state eseguite in un'area pilota distante 35 miglia nautiche a largo di Molfetta dove sono state osservate bombe d'aereo corrose contenenti iprite, un composto vescicante prodotto e stoccato anche durante la seconda guerra mondiale. La presenza di questo inquinante è certa perché le analisi di laboratorio di campioni di sedimento prelevati nelle vicinanze degli ordigni hanno rilevato la presenza di prodotti di degradazione dell'iprite». Nella stessa intervista Alcaro evidenzia come la mappatura delle aree di affondamento realizzata da ISPRA abbia rilevato aree molteplici, la cui estensione e consistenza sono incerte a causa della frammentazione dei dati disponibili;
   ora quelle stesse aree, interessate dalla presenza di ordigni risalenti alla seconda guerra mondiale e alle più recenti guerre in Bosnia e Kosovo, sono coinvolte da permessi di prospezione d 1 B.P-.SP e d 1 F.P-.SP, localizzati appunto nell'Adriatico centrale e nell'Adriatico meridionale che verranno condotti anche con l'esecuzione di rilievi geofisici mediante sismica a riflessioni con la tecnica dell’air gun –:
   se il Governo sia in grado di confermare e dettagliare le aree interessate dalla presenza degli ordigni come riportato in premessa;
   se il Governo sia in grado di rassicurare sul fatto che l'utilizzo delle tecniche di prospezione dei fondali marini, tra le quali quella dell’air gun, possa non risultare pericoloso per l'ecosistema marino e per l'incolumità degli operatori nel momento in cui vengono condotti in aree in cui è accertata la presenza di ordigni inesplosi;
   se nella predisposizione dei documenti necessari ad ottenere la valutazione di impatto ambientale i proponenti delle operazioni di prospezione abbiano preso in considerazione questo aspetto, ossia la presenza degli ordigni e le eventuali conseguenze;
   se, nel caso in cui questo non sia avvenuto e se non sia possibile accertare l'assenza di ordigni nelle aree interessate dalle operazioni di prospezioni, non ritengano di dover procedere con la sospensione dei permessi fino a quando non sarà prodotta una cartografia dettagliata di queste aree in grado di escludere la sovrapposizione delle aree di rilascio degli ordigni con quelle di ricerca dei depositi di idrocarburi;
   se non ritengano di dover promuovere in maniera propedeutica alle attività di prospezione e coltivazione dei giacimenti petroliferi un'azione di bonifica della aree in cui venisse accertata la presenza degli ordigni inesplosi. (4-09919)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alla presenza di ordigni bellici in mare Adriatico, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), nonché dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche sollevate nell'interrogazione parlamentare sono state più volte sottoposte in questi anni all'attenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  In riscontro a ciò l'istituto ha provveduto ad inviare nel 2015 un parere tecnico di riscontro nel quale, a fronte di alcune carte nautiche dell'istituto idrografico della marina in cui sono esplicitamente indicate zone interdette alla navigazione a causa della presenza di residuati bellici o relitti con carichi pericolosi, si ritiene plausibile che nelle aree di fondale concesse alle esplorazioni petrolifere possano trovarsi residuati bellici non cartografati e che in relazione a ciò tali aree non possano essere concesse a qualsivoglia uso.
  Rispetto a questo ultimo aspetto e a quanto richiesto dagli interroganti in ordine ad una possibile sospensione del rilascio di permessi per le esplorazioni di idrocarburi in attesa di realizzare una mappatura dettagliata delle aree interessate dalla presenza di ordigni, si segnala che la competenza per il rilascio delle autorizzazioni per la ricerca e coltivazione di idrocarburi in mare è in capo al Ministero per lo sviluppo economico (Mise) e che le attività di prospezione, ricerca e coltivazione sono sottoposte alla valutazione di impatto ambientale (VIA), condotte dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Inoltre, il Ministero dello sviluppo economico in data 30 gennaio 2014, ha siglato un accordo di cooperazione con la marina militare finalizzato, tra l'altro, alla sorveglianza e al controllo degli impianti e delle aree marittime di possibile sfruttamento del sottosuolo di competenza nazionale, nonché alla condivisione delle informazioni dell'istituto idrografico della marina militare che riporta dettagliatamente sulle proprie pubblicazioni nautiche le aree dei mari nazionali in cui vi è la presenza di ordigni inesplosi, indicando le prescrizioni cui l'utenza deve attenersi ai fini della sicurezza in navigazione. Anche il governo croato, a quanto consta, autorizza le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi previa adeguata attività di survey.
  Con riguardo, infine, alla possibilità indicata dagli interroganti di promuovere un'azione di bonifica propedeutica alle attività di prospezione e coltivazione dei giacimenti petroliferi si evidenzia quanto riportato nel richiamato documento tecnico di Ispra. La minimizzazione delle conseguenze dell'affondamento di ordigni (ricerca, brillamento, inertizzazione, recupero o seppellimento dei residuati) sono operazioni complesse, rischiose, costose e di incerta efficacia. L'azione di bonifica da ordigni in mare implica l'adesione a strumenti giuridici pertinenti (convenzione di Ottawa, protocollo V, convenzione sulle munizioni a grappolo). I protocolli comuni europei sono già stati previsti dalle normative europee del settore, ossia la direttiva 92/91 Ce, recepita con decreto legislativo n. 624 del 25 novembre 1996, e la direttiva 2013/30/Ue, recepita con decreto legislativo n. 145 del 18 agosto 2015, in base al quale fanno parte dell'autorità competente in materia di sicurezza (cosiddetto «Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare») le amministrazioni centrali interessate (Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il corpo nazionale dei vigili del fuoco, il corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera, nonché lo Stato maggiore della marina militare. Ad oggi solo il nucleo Sdai (Servizio difesa antimezzi insidiosi) della marina militare, composto da pochissime unità specializzate di personale, può effettuare opera di bonifica da ordigni in mare.
  In campo sovrannazionale, i ministri dell'Albania, della Bosnia Herzegovina, della Croazia, della Grecia, dell'Italia, della Slovenia e dell'ex Jugoslavia hanno riconosciuto la rilevanza del fenomeno per gli stati costieri e si sono dichiarati disposti a fronteggiare le sfide economiche, scientifiche e tecniche, rappresentate dalla presenza di ordigni e residuati dispersi sui fondali del Mar Adriatico e del Mar Ionio.
  Come citato in precedenza, della problematica sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali, e laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TIDEI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della chiusura degli uffici dei giudici di pace di Bracciano e di Fiumicino, soppressi a norma dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 156 del 2012, le competenze dei summenzionati uffici sono state assorbite dall'ufficio del giudice di pace di Civitavecchia;
   dal tribunale di Civitavecchia è stata rilevata e notificata in più occasioni al sindaco di Civitavecchia la grave situazione strutturale e logistica dell'ufficio del giudice di pace. Nella nota prot. 1280/2014 dell'11 giugno 2014 si rende presente che «l'attuale collocazione, infatti, ha destato sorpresa e perplessità di natura tecnica negli stessi addetti del Comune di recente incaricati di effettuare un sopralluogo, crea problemi di stabilità del solaio e di sicurezza, in ragione del peso sostenibile dall'edificio, rapportato al carico degli atti giudiziari, che ora comprende ben tre Uffici, ed al calpestio dell'utenza esterna, moltiplicatasi per il maggior numero di utenze e per il più ampio ambito territoriale di competenza»;
   la suddetta nota, nella parte finale, conclude invitando l'Amministrazione comunale a «voler prendere in esame con la massima urgenza le suesposte considerazioni, onde evitare irreparabili conseguenze, che in nessun caso potranno essere ascritte alla responsabilità di questo Ufficio, attesa la assoluta estraneità alle competenze relative alla gestione ed alla manutenzione dei locali destinati ad ospitare gli Uffici giudiziari aventi sede nel territorio di codesto Comune». Si esplicita, altresì, formalmente il «nulla osta» da parte del tribunale al trasferimento degli uffici del giudice di pace in altra sede, adeguata ad accogliere le sedi soppresse, sia con riferimento ai beni mobili, al materiale informatico, nonché alle disponibilità strumentali;
   con nota prot. n. 212 del 18 luglio 2014 dagli uffici del giudice di pace sono state notificate sia al sindaco che al presidente del tribunale di Tivoli, a seguito dell'intervento dei vigili del fuoco, avvenuto in data 17 luglio dello stesso anno, la necessità e l'urgenza di procedere al reperimento di altre strutture idonee ad ospitare gli uffici giudiziari. Ciò, stando a quanto si legge nella suddetta nota «al fine di evitare pericoli a persone e cose, a causa dell'eccessivo carico per il quale il solaio di detto locale non è idoneo», nonché «al fine di tranquillizzare il personale gravemente preoccupato per la situazione già allarmante, aggravatasi a seguito dell'accorpamento in corso degli Uffici dei Giudici di Pace di Bracciano e Fiumicino»;
   il problema dell'individuazione di sedi più idonee all'ospitalità degli uffici del giudice di pace si era reso urgente già negli anni passati. Invero, era stata avviata una istruttoria relativa alla proposta di realizzazione in project financing della nuova sede del giudice di pace di Civitavecchia. Tale procedura è stata a giudizio dell'interrogante inspiegabilmente interrotta dall'attuale amministrazione comunale, pur rappresentando una soluzione in grado, da un lato, di fornire un'adeguata sede agli uffici del giudice di pace, più sicura e sana, dall'altro di conseguire importanti risparmi economici;
   la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) prevede a decorrere dal 1° settembre 2015 il trasferimento di competenza, dai comuni al Ministero della giustizia relativamente alle spese destinate a costituire sedi di uffici giudiziari;
   a tali difficoltà dall'estrema gravità si aggiungono le criticità relative alla carenza di personale negli uffici giudiziari del tribunale di Civitavecchia che non consente uno svolgimento dei lavori compiuto ed efficiente, con evidenti disservizi per i cittadini e le imprese –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare al fine di dare attuazione alla disposizione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), richiamata  in premessa, che disciplina il trasferimento di competenza dai comuni al Ministero relativamente alle spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, tanto più urgente alla luce delle drammatiche ed insostenibili condizioni, di sicurezza e sanitarie, in cui versa la sede del giudice di pace di Civitavecchia. (4-12058)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante sottolinea – nel contesto relativo al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze di sicurezza della sede del giudice di pace di Civitavecchia, in relazione ad interventi strutturali ormai indifferibili.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, con la finalità di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  In particolare, è stato adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 agosto 2015, che assume la peculiare funzione, nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale, di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nel quadro normativo così delineato, il ministero ha assunto la gestione diretta degli edifici giudiziari ed è subentrato nei rapporti contrattuali già in essere dalla data del 1o settembre 2015, essendo in precedenza di competenza del comune ogni intervento relativo alle sedi giudiziarie, come pure il pagamento di eventuali canoni di locazione, con successivo rimborso da parte dell'amministrazione centrale attraverso il rendiconto approvato dai competenti uffici.
  Con riferimento alla sede del giudice di pace di Civitavecchia, al fine di assicurare la tempestiva verifica delle criticità segnalate in riferimento alle condizioni di sicurezza dei locali adibiti ad uso giudiziario, locati da privati, la competente direzione generale del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria di questo ministero ha provveduto, attraverso il proprio responsabile tecnico, ad effettuare un sopralluogo per valutare lo stato edilizio e impiantistico dell'immobile, che non è risultato adeguatamente funzionale.
  Dalla relazione trasmessa consta, difatti, che gli uffici, già condotti in locazione dal comune di Civitavecchia sin dal 1995, occupano il piano primo di un edificio residenziale e sono accessibili attraverso vani-scala condominiali di limitate dimensioni.
  I locali sono risultati in condizioni inadeguate anche sotto il profilo edilizio ed impiantistico, oltre che ingombri da materiale cartaceo che necessita di opportuno trasferimento in appositi locali ad uso archivio.
  La competente direzione generale ha, pertanto, ritenuto necessari interventi di adeguamento degli ambienti tanto alle nuove esigenze funzionali, conseguenti all'accorpamento delle sedi del giudice di pace di Bracciano e Fiumicino, che alle prescrizioni che regolano la prevenzione degli infortuni e la sicurezza dei luoghi di lavoro.
  In considerazione della natura (privatistica) dell'immobile e del titolo (locazione) del rapporto contrattuale in cui il ministero è subentrato, l'obbligo di provvedere ai necessari interventi di adeguamento funzionale grava – come noto – sul locatore, trattandosi di opere di manutenzione straordinaria.
  Nella prospettiva di garantire lo svolgimento dell'attività giudiziaria in condizioni di sicurezza e piena funzionalità, la direzione generale ha assicurato che saranno avviate le procedure necessarie per acquisire la disponibilità di una nuova e più adeguata sede, adatta a consentire anche la sistemazione dei reperti documentali, laddove il proprietario dell'immobile non provveda tempestivamente al richiesto adeguamento funzionale.
  L'iniziativa si inserisce, peraltro, nel quadro delle misure in atto, finalizzate ad una complessiva revisione della materia ed al contenimento della spesa imputabile alle locazioni passive.
  Preme sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari abbia orientato l'impegno del ministero anche nel monitoraggio dell'edilizia giudiziaria e nelle coerenti determinazioni, al fine di poter procedere in modo più funzionale ai complessivi impegni della nuova gestione.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da numerosi fonti di stampa (Lombardia, 110mila tonnellate fanghi illegali sversati: 6 arresti sul sito http://www.lapresse.it, Smaltimento illecito dei fanghi nel Lodigiano, finiscono in manette 6 persone, in www.ilcittadino.it, Rifiuti, fanghi maleodoranti smaltiti illegalmente nei campi lombardi: 6 arresti in http://milano.repubblica.it), i carabinieri del Comando per la tutela dell'ambiente di Milano hanno eseguito 6 ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari, oltre a numerose perquisizioni e sequestro di beni, a carico di appartenenti a una strutturata organizzazione criminale facente capo ad imprenditori del settore del trattamento e recupero rifiuti, i quali avrebbero smaltito illecitamente, mediante spandimento al suolo, ingenti quantità di fanghi da depurazione, con la complicità di alcune aziende di trasporto e agricole. La quantità di fanghi smaltiti illecitamente è invero enorme, ammontando a circa 110mila tonnellate, accertate dagli investigatori tra il 2012 e il 2015 in numerosi comuni delle province di Lodi, Cremona e Pavia: sono stati infatti accertati innumerevoli episodi di gestione illecita (quantomeno 400 operazioni di illecito spandimento) di rifiuti operata della «Cre spa» relativamente ai fanghi da depurazione ritirati e gestiti dall'impresa che hanno generato un traffico illecito di rifiuti con profitti per la società;
   la quantità di materiale gravemente inquinante sversato sui territori, il livello di elaborazione delle modalità di esecuzione del traffico illecito di rifiuti e il carattere interregionale dello stesso rendono evidente la necessità di un'azione di verifica sulla questione mirata da parte del Governo e nell'incremento dei sistemi per il controllo, la prevenzione e la repressione di simili fenomeni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa, anche con riguardo a segnalazioni analoghe pervenute da altre parti del Paese, e quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere un incremento del controllo, della prevenzione e del contrasto a simili fenomeni. (4-13783)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In linea generale le operazioni di spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue sono disciplinate dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99. Esso stabilisce le caratteristiche, le modalità e le condizioni in base alle quali i fanghi provenienti dal processo di depurazione delle acque reflue possono essere utilizzati in agricoltura, definendo tra l'altro i parametri da analizzare e le relative concentrazioni limite. Tale normativa stabilisce che la competenza al rilascio delle autorizzazioni allo spandimento dei fanghi spetta alla regione mentre le operazioni di controllo sono poste il carico alla provincia.
  Occorre inoltre specificare che la normativa sui fanghi di depurazione delle acque reflue di cui al decreto legislativo n. 99 del 1992, costituisce una disciplina speciale che completa, integrandola, la normativa generale sui rifiuti, rappresentata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Tali fanghi costituiscono rifiuti speciali e dunque tutte le fasi della loro gestione sono anche regolate dalle norme che disciplinano la gestione dei rifiuti. Ad essi si applicano dunque anche le norme sul trasporto dei rifiuti e sulla loro tracciabilità. Le attività di controllo, prevenzione e contrasto degli illeciti sono invece poste in carico delle amministrazioni competenti per territorio, come stabilito anche dall'articolo 262 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per quanto riguarda lo smaltimento illecito di fanghi di depurazione in alcuni comuni della provincia di Cremona, la prefettura di Cremona ha riferito che il comando provinciale carabinieri di Cremona, lo scorso agosto, ha comunicato che il comando carabinieri tutela per l'ambiente di Milano, con il supporto dei comandi dell'arma dei carabinieri territorialmente competenti, ha dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.i.p. del tribunale di Milano ponendo agli arresti domiciliari l'amministratore unico e cinque dipendenti della C.R.E. – Centro ricerche ecologiche s.p.a operante nel settore del trattamento e recupero di fanghi da depurazione di rifiuti non pericolosi.
  Sono, inoltre, stati sottoposti a sequestro preventivo gli impianti di trattamento di rifiuti di Maccastorna (LO), Meleti (LO) e Lomello (PV).
  L'indagine giudiziaria, avviata nel mese di febbraio 2011, ha evidenziato che i vertici dell'azienda, in concorso con altri soggetti coinvolti nella gestione dei rifiuti (trasportatori e alcune aziende agricole riceventi i fanghi), hanno esercitato negli impianti di Maccastorna e di Lomello, fino al mese di marzo 2015, continue operazioni di recupero di ingenti quantità di fanghi in maniera illecita.
  L'attività illecita si svolgeva attraverso le seguenti fasi:
   scorretto tracciamento del rifiuto, mediante false indicazioni sul formulari dei pesi e delle caratteristiche dello stesso (percentuale di sostanza secca non corrispondente al vero) e uso del medesimo formulario per più trasporti;
   false comunicazioni di dati alle autorità preposte al rilascio dell'autorizzazione per l'utilizzo agronomico dei fanghi;
   mancato rispetto di procedure e condizioni previste per ottenere o conservare la certificazione ISO 14001.2004;
   falsificazioni delle analisi dei terreni;
   falsificazioni delle analisi dei fanghi;
   omessa attività di «recupero», intesa come trattamento di miscelazione e/o condizionamento con ossido di calce di alcune partite di fanghi in ingresso non precedentemente stabilizzati e/o non igienizzati;
   irregolarità nelle operazioni di trasporto, caricando i veicoli utilizzati oltre i limiti imposti dalla carta di circolazione, al fine di aumentare la quantità di fanghi lavorati e ridurre il numero di viaggi per percorrere il tragitto impianto-appezzamento (a tal proposito tutti i controlli di strada hanno consentito di riscontrare irregolarità sui quantitativi trasportati).

  Sempre la prefettura di Cremona riferisce che la C.r.e. S.p.a. mediante le citate condotte illecite ha ottenuto la massimizzazione dei profitti superando le quantità di fanghi autorizzate, aggirando fattori quali la scarsità e il basso fattore di spandimento dei terreni disponibili e l'alto contenuto di sostanza secca dei fanghi recuperati.
  Le attività illecite hanno consentito alla C.r.e. s.p.a., da quanto hanno avuto inizio le indagini, di realizzare un ingiusto profitto di 4.500.000,00 euro.
  Per quanto attiene gli impianti sequestrati, la Procura della Repubblica di Milano ha disposto la conseguente messa in sicurezza sanitaria mediante smaltimento a norma di legge dei fanghi stoccati.
  Il comando provinciale dei carabinieri ha, infine, rappresentato che non è possibile, al momento, fornire ulteriori elementi informativi in quanto, attualmente, gli stessi sono coperti da segreto istruttorio.
  Per quanto concerne le informazioni fornite dalla provincia di Cremona – settore ambiente e territorio, la stessa ha rappresentato che la C.r.e. spa svolge sul territorio della provincia l'attività di recupero a beneficio dell'agricoltura di fanghi di depurazione provenienti dagli impianti di trattamento gestiti dalla ditta stessa in provincia di Lodi, autorizzati con determinazione dell'amministrazione provinciale di Lodi.
  L'attività riguarda sostanzialmente i rifiuti non pericolosi costituiti da rifiuti prodotti dal trattamento aerobico di rifiuti solidi aventi le caratteristiche chimico-biologiche adatte per l'utilizzo in agricoltura.
  La ditta opera in questa provincia già dal 1988 ed è stata in precedenza autorizzata con atti di competenza regionale.
  Successivamente, la C.r.e. Spa è stata autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 99 del 1992 e decreto legislativo n. 152 del 2006, con decreto provinciale n. 33 del 29 novembre 2009, allo spandimento sul suolo a beneficio dell'agricoltura di 77.00 t/anno di rifiuti speciali non pericolosi (fanghi di depurazione) provenienti dall'impianto in comune di Maccastorna (LO) e, con decreto provinciale n. 1083 del 12 novembre 2015, al recupero in agricoltura di 10.000 t/anno di rifiuti speciali non pericolosi (fanghi di depurazione) provenienti dall'impianto di Meleti (LO).
  Dal 2012 al 2015 i quantitativi di fanghi recuperati a beneficio dell'agricoltura sul territorio da parte della ditta in argomento risultanti dai dati riportati nei registri di utilizzazione agronomica sono stati: anno 2012: 53.090 t – anno 2013: 36.499 t – anno 2014: 44.600 t. – anno 2015: 56.583 t.
  Attualmente, nella Provincia rimangono legittimate a svolgere l'attività di recupero di rifiuti a beneficio dell'agricoltura solo quattro ditte, mentre le altre svolgono l'attività in base all'autorizzazione integrata ambientale e, quindi, oggetto di controllo da parte dell'Arpa.
  L'attività di controllo di competenza della Provincia, che è stata ricondotta alle sole attività autorizzate ex parte IV decreto legislativo 152 del 2006, si svolge direttamente in campo, ove avviene il recupero, e in ufficio, con l'esame e la valutazione della documentazione che il soggetto autorizzato deve inoltrare alla provincia.
  Quest'ultimo controllo prevale sul primo in quanto finalizzato ad effettuare una verifica di tipo preventivo sulla corretta ottemperanza alle prescrizioni autorizzative che prevedono la trasmissione di documentazioni e/o certificazioni analitiche relative ai terreni ed ai fanghi oggetto delle operazioni di recupero.
  Per la fase di controllo diretto sui rifiuti, che consiste nel campionamento e nell'analisi degli stessi, la Provincia, se dispone delle risorse finanziarie, si avvale, quale organo tecnico, dell'Arpa.
  La direzione generale di Arpa Lombardia, interpellata dalla regione Lombardia – direzione generale ambiente, energia e sviluppo sostenibile, a seguito di richiesta, ha rappresentato che a seguito degli accordi intercorsi con la regione e, nelle more dell'attuazione di quanto previsto al punto 3 lettera c) della D.g.r.l n. X–2031/2014, ha realizzato, nel 2015, un progetto di controllo straordinario dei fanghi in agricoltura.
  Detto progetto, finalizzato alla verifica del rispetto delle condizioni previste dalle linee guida regionali per il trattamento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue di impianti civili e industriali, individuava e stabiliva le modalità operative per i controlli presso gli impianti di trattamento conto terzi, per i controlli in fase di spandimento dei fanghi e per la verifica delle caratteristiche dei terreni che ricevono i fanghi, individuando quale ambito di controllo, gli impianti collocati nelle province di Bergamo, Cremona, Pavia e Lodi, maggiormente interessate.
  Dette attività di controllo svolte da Arpa Lombardia hanno consentito di verificare, salvo pochi casi particolari, la conformità agli atti autorizzativi della gestione degli impianti di trattamento e il rispetto delle condizioni previste dalle linee guida regionali sull'utilizzo dei fanghi.
  Per quanto attiene la qualità dei fanghi, le caratteristiche dei fanghi campionati sono risultate conformi ai limiti previsti dal decreto legislativo 99/1992 e dalla normativa regionale precedentemente vigente (D.g.r.l. nr. VII/15944), confermando le valutazioni e analisi effettuate in precedenza da Arpa.
  Occorre inoltre segnalare, secondo quanto riferito dalla prefettura di Lodi che di recente la regione Lombardia ha stanziato la somma di 50.000 euro per consentire ad Arpa e ATS (ex ASL) di effettuare controlli straordinari finalizzati a verificare lo stato di contaminazione dei terreni agricoli nelle province di Lodi, Pavia e Cremona.
  Al riguardo, tenuto conto delle problematiche suesposte, è stato evidenziato che le Forze di Polizia territoriali sono impegnate nel condurre un'assidua attività di controllo verso la possibile comparsa di forme di criminalità associativa nel settore dei rifiuti così come l'azione di contrasto verso i reati ambientali perpetrati nel territorio della provincia.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in località Fontane di San Bernardo, nel comune di Sestri Levante, è attiva una frana che ha seriamente lesionato alcuni edifici rendendoli inabitabili;
   dall'anno 2007 sono noti importanti fenomeni di dissesto nel comune di Sestri Levante, in particolare nella suddetta frazione, in un'area collinare scoscesa, nella porzione di versante che da quota 100 metri sul livello del mare in corrispondenza del livello di base rappresentato dall'incisione del Rio Staffora, raggiungi 300 metri in prossimità del crinale. All'interno di tale zona è presente un vasto accumulo detritico con superficie di circa 60.000 metri quadri ed un dislivello di circa 160 metri. In tale contesto sono presenti anche diversi fabbricati;
   dal punto di vista geologico, l'area di studio ha un substrato appartenente alla formazione nota in letteratura come «Scisti della Val Lavagna», le cui caratteristiche litofacies sono costituite da arginiti alternate a siltiti; nella zona in esame affiorano argilloscisti con intercalazioni di calcareniti. Immediatamente a nord dell'intervento si passa, attraverso un contatto di origine tettonica, alle arenarie del M.te Gottero;
   il substrato roccioso è coperto da un corpo detritico di origine gravitativo il cui spessore varia dai 10 metri circa in corrispondenza della viabilità comunale a monte, ai 12-13 metri in corrispondenza dei fabbricati lesionati, fino a raggiungere i 27 metri circa in corrispondenza del piede dell'accumulo. La coltre detritica è costituita perlopiù da ghiaie e sabbie immerse in una matrice limoso-argillosa. L'area in esame ed un suo considerevole intorno si presenta quindi come una brusca interruzione dell'acclività del versante. Il «terrazzo» inserito all'interno di un anfiteatro compreso fra due contrafforti rocciosi, corrisponde alla zona di accumulo di una paleofrana. Allo stato attuale delle conoscenze è possibile constatare lo stato di attività della frana mediante le ripercussioni sui manufatti;
   l'area interessata dall'attuale frana attiva risulta coperta dal monitoraggio del piano straordinario di telerilevamento (PST-A), ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 179 del 31 luglio 2002, (interferometria radar satellitare), ma non risulta agli interroganti l'evoluzione del fenomeno di dissesto negli ultimi 7 anni, e in particolare se l'evoluzione sia stata monitorata con tale piano;
   dal mese di febbraio 2014 tale fenomeno è caratterizzato da intensità ingravescente e danni importanti ad alcune decine di abitazioni site in quella frazione, in particolare per quelle che non hanno ricevuto opere di consolidamento nonostante l'ingravescenza dei fenomeni, con grave rischio di estensione del fenomeno franoso e di danneggiamento di elementi ambientali e antropici sottostanti; si segnala che al di sotto del fronte franoso è situata l'autostrada A12 Genova-Livorno e l'abitato del comune di Sestri Levante;
   come noto, purtroppo non solo il territorio di Sestri Levante ma tanti altri paesi della Liguria sono stati interessati da fenomeni di dissesto idrogeologico, dalla ormai famosa frana di Andora sul tratto ferroviario dove si è rischiato il disastro, a tante altre frane che interessano il territorio, specialmente nei paesi dell'entroterra che rischiano il totale isolamento viario (vedi i recenti esempi della Statale di Ne’ e del Ferriere);
   inoltre, vanno considerati i sempre più frequenti episodi alluvionali, vedi i tragici episodi della Val di Magra e delle Cinque Terre, della Val di Vara nell'anno 2012 e la recente esondazione dell'Entella, fra i comuni di Chiavari e Lavagna, alla cui foce è prevista la costruzione di un megadepuratore comprensoriale, che potrebbe peggiorare la situazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se, nell'ambito delle proprie competenze in materia di difesa del suolo e tutela dell'incolumità pubblica, non ritenga di assumere ogni iniziativa utile affinché si pervenga alla messa in sicurezza dell'area in dissesto in località Fontane del comune di Sestri Levante, focalizzando le possibili azioni preventive da attuare per affrontare correttamente le recenti problematiche da rischio idrogeologico emerse nel comune di Sestri levante ed evitare l'aggravarsi della situazione in futuro;
   quali misure intenda assumere per l'ottimizzazione della copertura dell'area da parte del piano straordinario di telerilevamento (interferometria radar satellitare) e l'integrazione con altri sistemi di monitoraggio strumentale per acquisire una piena conoscenza dell'evoluzione del fenomeno franoso, se del caso, interfacciandosi con il servizio di protezione civile nazionale per le opportune valutazioni;
   se intenda verificare la copertura di tutto il territorio nazionale da parte del piano straordinario di telerilevamento (interferometria radar satellitare) ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 179 del 31 luglio 2002, in particolare per le aree dove siano già noti e in corso fenomeni di dissesto idrogeologico, rendendo pubblici e fruibili i dati di tale rilevamento per tutto il territorio nazionale;
   se e come intenda affrontare, per quanto di competenza, il tema del dissesto idrogeologico nella regione Liguria, in aree di elevato pregio ambientale e turistico ma segnate dalla crisi che sono a rischio di un ulteriore tracollo economico dovuto ai ricorrenti episodi di dissesto che impediscono perfino di giungere nei paesi del territorio ligure. (4-03734)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alle attività inerenti la prevenzione e protezione dal rischio idrogeologico, questo dicastero è ben consapevole della situazione grave e complessa che investe il territorio della regione Liguria, come dimostra l'interesse ad esso rivolto nell'ambito delle recenti programmazioni.
  Infatti, si evidenzia che in attuazione a quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria 2010 (articolo 2 comma 240, legge n. 191 del 2009), inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Liguria hanno sottoscritto in data 16 settembre 2010 uno specifico accordo di programma, per un importo complessivo pari ad euro 35.730.000,00, per il finanziamento del seguente intervento:
   adeguamento idraulico funzionale della copertura del torrente Bis agno (2o lotto, 2o stralcio funzionale), nel tratto terminale del torrente Bisagno, in comune di Genova. Importo finanziato 35.730.000,00 euro.

  A tale accordo di programma ha fatto seguito un successivo atto integrativo, emesso in data 4 dicembre 2013. Nell'ambito di tale provvedimento, l'importo complessivo posto a finanziamento è stato ulteriormente incrementato, per un importo pari ad euro 3.102.000,00, a favore di ulteriori n. 12 interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio della provincia di La Spezia.
  Per l'attuazione dell'accordo, con la legge 11 agosto 2014, n. 116, i presidenti delle regioni sono subentrati ai commissari straordinari delegati nella titolarità delle relative contabilità speciali con la funzione di assicurare la celere attuazione degli interventi in qualità di commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico.
  Per quanto di competenza, questo ministero ha avviato il Piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Di recente è stato inoltre emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 – «Piatto stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta al rischio», al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio di alluvione nonché tempestivamente cantierabili, caratterizzati da un livello prioritario di rischio e ricadenti nell'ambito delle aree metropolitane e urbane.
  Tale piano, che prevede un investimento complessivo sul territorio nazionale pari ad 1,3 miliardi di euro, prevede in regione Liguria la realizzazione di n. 8 interventi di contrasto al rischio di alluvione (Tabb. B e C), localizzati nell'area metropolitana di Genova, per un importo complessivo pari a euro 323.500.000,00.
  In merito all'utilizzo degli strumenti offerti dal piano straordinario di telerilevamento (PST-A), ai fini anche del monitoraggio di aree in frana, si rappresenta che la località Fontane nel Comune di Sestri Levante risulta coperta dai dati interferometrici di tutti i progetti finora attuati.
  In particolare i dati raccolti fanno riferimento al satellite ERS che copre un arco temporale dal 1992 al 2000, ENVISAT dal 2004 al 2010 e COSMO-SkyMed dal 2011 al 2014.
  In tutti i
dataset il movimento viene registrato. In particolare, si segnala che i dati COSMO-SkyMed, acquisiti con tecnologie più avanzate, consentono di osservare molto bene il fenomeno di dissesto dell'area.
  Tutti i dati sono pubblicati sul geoportale nazionale e fruibili da tutti i soggetti pubblici e privati, attraverso i servizi sopra esposti.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 Greenpeace ha chiesto nuovamente, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), tramite istanza pubblica di accesso agli atti, di prendere visione dei dati relativi ai monitoraggi ambientali effettuati in prossimità delle piattaforme off-shore presenti nei mari italiani;
   delle oltre 130 piattaforme operanti in Italia, sono stati consegnati a Greenpeace solo i dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione. Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014) che estraggono gas, tutti di proprietà di ENI. I dati si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014;
   per quel che riguarda le altre 100 piattaforme operanti nei mari italiani, Greenpeace non ha ottenuto alcun dato dal Ministero. La mancanza di dati per queste piattaforme può essere dovuta all'assenza di controllo da parte delle autorità competenti o al fatto che il Ministero ha deciso di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso;
   i dati ottenuti sono stati resi pubblici per la prima volta nel rapporto di Greenpeace: sino a oggi il Ministero non li ha resi disponibili sui suoi organi di comunicazione ufficiali;
   i monitoraggi sono realizzati da ISPRA (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) con la committenza di ENI (sulla base di una apposita convenzione ENI-ISPRA);
   i monitoraggi prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (Mytilus galloprovincialis, le comuni cozze) che crescono nei pressi delle piattaforme;
   dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati svolto da Greenpeace emerge un quadro perlomeno preoccupante. I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati. A seconda degli anni considerati, il 76 per cento (2012), il 73,5 per cento (2013) e il 79 per cento (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67 per cento degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71 per cento nel 2013 e nel 67 per cento nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi, ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente eleva;
   tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli standard di qualità ambientale (o SQA, definiti nel decreto ministeriale n. 56 del 2009 e n. 260 del 2010) fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l'uomo e causando seri danni ai nostro organismo;
   la relazione tra l'impatto dell'attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall'analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme. Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi (appartenenti alla specie Mytilus galloprovincialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali. I risultati mostrano che circa l'86 per cento del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA;
   i risultati mostrano che circa l'82 per cento dei campioni di mitili raccolti nei pressi delle piattaforme presenta valori più alti di cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura; altrettanto accade per il selenio (77 per cento circa) e lo zinco (63 per cento circa). Per bario, cromo e arsenico la percentuale di campioni con valori più alti era inferiore (37 per cento, 27 per cento e 18 per cento rispettivamente);
   molti metalli, presenti nei tessuti dei mitili, possono raggiungere l'uomo risalendo la catena alimentare. Alcuni di questi, come il cadmio e il mercurio, sono particolarmente tossici per gli organismi viventi e per l'uomo stesso. Il cadmio, ad esempio, è un metallo altamente tossico che può generare disfunzioni ai reni e all'apparato scheletrico; è stato inoltre inserito tra le sostanze il cui effetto cancerogeno sull'uomo è noto e dimostrato scientificamente (gruppo 1 dello IARC, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite);
   un'analisi simile a quella prodotta per i metalli pesanti è stata realizzata anche per i livelli di concentrazione degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Il confronto mostra che il 30 per cento dei mitili oggetto di campionamento da parte di ISPRA ha valori di concentrazione più alti di quelli rinvenuti nei tessuti di mitili in aree estranee all'impatto delle attività estrattive. Di questo 30 per cento; circa la metà mostra concentrazioni doppie rispetto a quelle massime registrate negli studi oggetti di raffronto;
   le conclusioni di questo rapporto sono chiare. Laddove esistono limiti di legge per la concentrazione di inquinanti, questi sono spesso superati nei sedimenti circostanti le trivelle. Pur con qualche oscillazione nei risultati, questa situazione si mantiene sostanzialmente costante di anno in anno;
   ad oggi non risultano però licenze ritirate, concessioni revocate o altre iniziative del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare atte a interrompere l'inquinamento evidenziato e/o a ripristinare la salubrità dei fondali. Ci si chiede a cosa servono questi monitoraggi se non impongano adeguamenti e se non prevedano sanzioni;
   al quadro ambientale critico e complesso si aggiunge il fatto che l'organo istituzionale (ISPRA) che deve vigilare sulla correttezza dei dati ambientali registrati in prossimità delle piattaforme off-shore (e di conseguenza verificare l'insussistenza di pericoli per l'ambiente e gli ecosistemi marini) è anche quello che per conto di ENI realizza i monitoraggi. Insomma: non c’è ad avviso degli interroganti piena indipendenza tra controllore e controllato –:
   se il Ministro interrogato, in virtù delle criticità emerse in premessa, non ritenga necessario fare le doverose verifiche tecniche affinché sia fermata la trivellazione per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi per tutti quegli impianti che non rispettano i limiti di legge imposti della normativa nazionale;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rendere pubblico, attraverso il sito ministeriale, tutti i monitoraggi ambientali riguardanti le 130 piattaforme di estrazione offshore;
   come si concili la circostanza che ISPRA esegua per conto di ENI i campionamenti e le analisi chimico/fisico previste dai piani di monitoraggio con lo svolgimento dei compiti istituzionali di monitoraggio e controllo che l'istituto è chiamato a svolgere per conto e sotto la vigilanza del Ministero, che presuppongono una posizione di terzietà per la corretta valutazione dei dati acquisiti e se, pertanto, il Ministro interrogato non intenda verificare l'opportunità dell'incarico di monitoraggio svolto da ISPRA per conto di ENI. (4-12594)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai dati sul monitoraggio ambientale delle piattaforme di estrazione di idrocarburi in mare, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  In seguito alla richiesta avanzata dall'associazione ambientalista Greenpeace in data 20 luglio 2015, la direzione generale per la protezione della natura e del mare (PNM) del Ministero dell'ambiente ha reso disponibile la documentazione richiesta e sino a quel momento in possesso, ossia le relazioni sui monitoraggi delle piattaforme con scarico in mare per gli anni dal 2012 al 2014, dando formalmente riscontro alla richiesta di accesso agli atti.
  Occorre, infatti, evidenziare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell'articolo n. 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006, è competente al rilascio delle autorizzazioni allo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi per i giacimenti a mare, previa presentazione di specifico piano di monitoraggio ambientale. Sono stati, pertanto, forniti i dati di competenza per 34 piattaforme che scaricano in mare, mentre non è stato possibile fornire ulteriori dati o informazioni ambientali per le piattaforme che non scaricano in mare, circa 100, in quanto non disponibili agli atti della suddetta Direzione generale, non rientrando nelle competenze specifiche. Si segnala, peraltro, che, a seguito del riscontro fornito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non sono state avanzate ulteriori richieste da parte dell'associazione.
  Premesso quanto sopra, con riferimento ai dati sui monitoraggi ambientali ed al rilascio delle autorizzazioni allo scarico, si fa presente che, a fronte delle pervenute richieste da parte degli operatori, l’iter per il rilascio dei rinnovi allo scarico in mare per 34 piattaforme è attualmente sospeso in attesa di ricevere le necessarie valutazioni da parte di Ispra. Nel corso di questi mesi all'istituto è stato specificatamente richiesto, tenendo conto degli esiti dei monitoraggi effettuati dal 2012 al 2014 e dei dati elaborati da Ispra negli anni precedenti, di evidenziare eventuali criticità ambientali, il superamento di livelli di attenzione previsti da specifiche normative nazionali europee ed internazionali, nonché il pericolo e l'eventuale compromissione per le acque e gli ecosistemi marini, tali da poter rappresentare motivo ostativo ai rinnovi. All'Ispra è stato, altresì, richiesto di individuare, ove necessario, specifiche misure prescrittive in relazione alla caratterizzazione dello scarico e alla tutela del corpo recettore.
  In risposta alle richieste del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poc'anzi brevemente riassunte, l'Ispra ha espresso propria valutazione indicando che «... pur essendosi evidenziati degli effetti delle piattaforme, nella loro complessità sull'ambiente marino nelle aree più prossime alle strutture, in generale per la quasi totalità delle piattaforme prese in esame non sono emerse criticità a carico degli ecosistemi.». Su quattro piattaforme esaminate, l'istituto ha, inoltre, evidenziato alcune criticità per le quali sono stati richiesti, dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ulteriori approfondimenti che sono in corso di svolgimento.
  Preso atto delle valutazioni da parte dell'Ispra, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto, altresì, opportuno avviare ulteriori verifiche sui dati rilevati durante i monitoraggi ambientali per le annualità 2011-2012-2013-2014-2015 per le piattaforme in fase di rinnovo dell'autorizzazione allo scarico, trasmessi da Eni tra settembre 2015 e giugno 2016. Tali verifiche sono necessarie per completare l’iter istruttorio e interpretare correttamente alcune variazioni della concentrazione dei parametri chimico-fisici monitorati, che non presentano andamenti costanti nel tempo. Per i profili tecnico-scientifici rilevati si è resa necessaria una valutazione supplementare da parte di qualificato istituto di ricerca pubblico ed è stata pertanto richiesta una collaborazione mirata al CNR.
  Per quanto concerne i possibili profili di conflittualità nel ruolo di ISPRA quale controllato/controllore, essendo sia organismo tecnico di supporto di questo Ministero sia esecutore dei monitoraggi ambientali su committenza degli operatori, è stato più volte richiesto all'istituto, in questi ultimi anni, di operare per superare tali profili di incompatibilità di ruolo, da ultimo con note del 3 marzo 2016 e del 16 giugno 2016.
  L'istituto, con nota del 27 luglio 2016, ha dato riscontro a tali richieste, comunicando formalmente l'attivazione di uno specifico gruppo di lavoro Ispra afferente al settore VIA-Servizio valutazioni ambientali, che sta operando le valutazioni richieste dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sugli esiti dei monitoraggi ambientali delle piattaforme con scarico in mare delle acque di strato.
  Da ultimo, in merito ai controlli sulla composizione delle acque di strato, la normativa vigente in materia prevede l'effettuazione dei controlli da parte delle capitanerie di porto, con il supporto delle Arpa, al fine di verificare la rispondenza con le prescrizioni previste dalle autorizzazioni e con la qualità e quantità delle acque di scarico dichiarate nella domanda di autorizzazione. L'unico parametro di legge previsto per lo scarico delle acque di strato è, ad oggi, quello relativo ad una concentrazione di olii minerali che deve essere inferiore a 40 mg/l (articolo n. 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006) e che, qualora rilevata superiore, porta al blocco dello scarico.
  Inoltre, come previsto alla parte terza del testo unico ambientale, chiunque non osservi i divieti di scarico prescritti dall'articolo n. 104 è punito con l'arresto fino a tre anni.
  Ad ulteriore integrazione di quanto sopra rappresentato, si informa che è in corso l'attivazione di un tavolo tecnico con i tre istituti di ricerca, Ispra, Iss, Cnr, per rivedere le modalità di autorizzazione dello scarico diretto in mare delle acque per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi, in ottemperanza alle disposizioni previste dal citato articolo 104, comma 5, del decreto legislativo n. 52 del 2006. Attualmente, infatti, la procedura istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico in mare da piattaforme di estrazione di idrocarburi fa riferimento al decreto ministeriale 28 luglio 1994 che, quindi, non tiene conto delle sopraggiunte modifiche al quadro normativo ambientale.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, prosegue nella sua azione costante di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.