Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 novembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'azienda pubblica italiana «Fincantieri s.p.a.» è uno dei più importanti complessi cantieristici navali d'Europa e del mondo ed è controllata al 71,6 per cento da una società finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze;
    la città di Monfalcone, in provincia di Gorizia, ospita una delle più grandi unità produttive per la realizzazione di navi da crociera;
    Fincantieri conta più di settemila occupati diretti e trentamila lavoratori esternalizzati, con un rapporto tra dipendenti e lavoratori in appalto di uno a quattro, fatto che pone la società da anni al centro di polemiche sindacali e di procedimenti giudiziari per le accuse di situazioni di illegalità che deriverebbero dall'eccessivo ricorso alla pratica di appalti e subappalti;
    nel solo stabilimento di Monfalcone il sistema degli appalti coinvolge circa quattrocento aziende, che a loro volta danno lavoro a quattromila operai, la stragrande maggioranza dei quali stranieri;
    gli stranieri reclutati dalle ditte appaltatrici provengono in parte da nazioni dell'Europa orientale come la Romania ma in stragrande maggioranza sono originari del Bangladesh e costituiscono ormai una fetta importante degli abitanti della piccola cittadina di Monfalcone;
    oltre tremila di loro, infatti, vivono nel centro storico di Monfalcone, ammassati a decine in piccoli appartamenti, e anche nel basso Isontino, una corona di nove comuni attorno a Monfalcone, i cittadini bengalesi hanno superato da diversi anni le cinquemila unità;
    i numeri enormi della presenza straniera nel piccolo centro friulano stanno creando non pochi disagi alle comunità residenti, costrette a una difficile integrazione, in particolar modo per quanto riguarda la presenza massiccia di bambini non italiani nelle scuole o la crescente diffusione di esercizi commerciali a conduzione bengalese;
    in seguito al fallimento del tentativo messo in atto dall'azienda di delocalizzare il settore relativo alla produzione degli scafi, questa ha fatto ricorso sempre più massicciamente alla flessibilità offerta dalle ditte subappaltatrici, esponendosi a gravi accuse di caporalato, di sfruttamento dei lavoratori e di mancato rispetto delle norme sulla sicurezza degli operai;
    il codice di comportamento pubblicato sul sito dell'azienda afferma che «FINCANTIERI opera in un quadro di concorrenza leale con onestà, integrità, correttezza e buona fede, nel rispetto dei legittimi interessi degli azionisti, dipendenti, clienti, partner commerciali e finanziari e delle collettività e comunità locali in cui FINCANTIERI è presente con le proprie attività», che «tutti coloro che lavorano in FINCANTIERI, senza distinzioni o eccezioni, sono impegnati ad osservare e a fare osservare tali principi nell'ambito delle proprie funzioni e responsabilità», e che «in nessun modo la convinzione di agire nell'interesse o a vantaggio della Società può giustificare l'adozione di comportamenti in contrasto con questi princìpi»;
    nel dicembre del 2014 in seguito a un blitz nel cantiere di Monfalcone effettuato dalla direzione antimafia, e da reparti della polizia, della guardia di finanza e dei carabinieri, fu sporta denuncia nei confronti di otto persone titolari di imprese operanti nell'ambito degli appalti Fincantieri accusate di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, evidenziando ancora una volta l'emergenza rappresentata dalle infiltrazioni malavitose calamitate dalla cantieristica tra Gorizia e Monfalcone;
    tale denuncia andò ad aggiungersi ad altri procedimenti già in corso, nell'ambito dei quali alcune aziende appaltatrici erano state accusate di avere costituito un'organizzazione dedita all'estorsione ai danni di lavoratori stranieri impiegati nei cantieri dell'azienda;
    nell'ambito di una puntata di una trasmissione televisiva d'inchiesta giornalistica dedicata alle attività di Fincantieri, oltre alla denuncia per la «giungla» di appalti e subappalti in danno delle regole di trasparenza e legalità, si ricostruiva come le ditte appaltatrici siano perlopiù intestate a prestanome e aperte e richiuse a distanza molto ravvicinate per evadere obblighi fiscali e contributivi, nonché come le stesse abbiano in alcuni casi addirittura tra i soci familiari dei dirigenti della medesima azienda;
    nel 2011 Fincantieri ha firmato per la seconda volta un protocollo di trasparenza in prefettura, i cui punti salienti prevedevano l'obbligo che appaltatori e subappaltatori fossero accreditati dall'azienda e l'impegno a trasmettere mensilmente alla direzione provinciale del lavoro informative sui nuovi appalti, che, tuttavia, a quanto risulta ai firmatari del presente atto non è mai stato attuato;
    nel giugno del 2015 la presidente della Commissione parlamentare antimafia, in occasione di un viaggio nella regione ha dichiarato che «occorre stare attenti se oltre la metà dei lavoratori di Fincantieri non sono dipendenti dell'azienda ma di ditte affidatarie che nascono e muoiono talvolta senza una possibile tracciabilità», invitando Fincantieri a firmare «un nuovo protocollo di legalità con le parti sociali e Prefetture»;
    tale accordo non è ancora stato firmato;
    l'altissima percentuale di ricaduta, di crescita e indotto creata dalla cantieristica navale, individuata da uno studio in un rapporto di 1 a 5,5, rimane per la quasi totalità preclusa alle aziende e ai lavoratori italiani, a causa della concorrenza sleale praticata dalle imprese straniere che si aggiudicano gli appalti e, di fatto, avallata da quella che è una delle maggiori aziende pubbliche;
    l'azienda deve garantire la massima collaborazione sia per contrastare i tentativi di infiltrazione criminale e fugare ogni dubbio sul rispetto delle procedure legate ai subappalti nel cantiere monfalconese, sia per promuovere la partecipazione di imprese italiane alle procedure di appalto messe in atto,

impegna il Governo:

1) ad assumere le opportune iniziative di competenza affinché nel comune di Monfalcone e in quelli limitrofi sia promossa una opera di costruttiva integrazione tra le comunità residenti e quelle composte da immigrati, anche assicurando una equilibrata distribuzione della popolazione scolastica straniera, nel rispetto delle normative in materia di quantità e modalità di distribuzione dei bambini nelle classi;
2) ad attivarsi affinché l'azienda di cui in premessa garantisca la legalità e il rispetto delle norme da parte delle aziende cui affida appalti e subappalti, in tal modo permettendo alle azienda italiane di partecipare agli stessi in una condizione di leale concorrenza.
(1-01413) «Rampelli, Nastri, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    in questo anno 2016 ricorrono sia il 90o anniversario del conferimento del premio Nobel per la letteratura alla scrittrice Grazia Deledda sia l'80o dalla sua morte;
    «Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta di problemi di generale interesse umano»: questa la motivazione del premio Nobel conferito nel 1926 alla Deledda. L'Italia, nella classifica mondiale, è al settimo posto per numero di premi Nobel e solo per la letteratura annovera l'assegnazione a Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Dario Fo;
    Grazia Deledda nacque a Nuoro il 28 settembre 1871, quarta di sette figli di una famiglia della piccola borghesia locale. Per la dura condizione femminile dell'epoca, che non dava alle donne accesso a un'istruzione superiore, Grazia non poté andare oltre la quarta elementare perché solo ai maschi allora era consentito di proseguire gli studi, se vi erano portati. Si formò quindi soprattutto da autodidatta, leggendo tutti i libri della biblioteca paterna, con una predilezione per la letteratura russa e in particolare per l'opera di Tolstoj, e di Manzoni e Verga tra gli italiani, iniziando già a tredici anni a scrivere le prime novelle, a 18 il primo romanzo, a cui seguì una copiosa produzione di novelle e di romanzi destinati a riscuotere apprezzamento nella critica italiana e internazionale e successo di pubblico, Elias Portolu, Cenere, Canne al vento, Marianna Sirca, La madre, solo per citarne alcuni, fino a Cosima, romanzo autobiografico rimasto incompiuto quando la Deledda si spense a Roma nel 1936, lasciando il marito Palmiro Madesani sposato nel 1900, e i due figli Franz e Sardus;
    Grazia Deledda è stata una donna forte e anticonformista, che ha saputo sfidare e superare fin da ragazza i pregiudizi e le ostilità del suo ambiente e del suo tempo verso il suo impegno letterario, da molti ritenuto inappropriato e fuori luogo perché lei era una donna, anzi una giovane donna barbaricina e a autodidatta;
    nell'opera della Deledda non c’è soltanto il legame vivissimo con l'ambiente, la condizione di vita, i costumi e la spiritualità della sua Sardegna, c’è anche un senso etico dell'esistenza, una profonda visione morale della vita, che non diviene mai moralismo ma piuttosto acuta sensibilità verso le sofferenze e i tragici dilemmi della condizione umana, anche nei più umili e semplici;
    nell'anno in cui ricorre anche il 70o anniversario del voto alle donne italiane appare necessario, anzi doveroso, portare all'attenzione, soprattutto dei giovani e degli studenti, le grandi donne testimoni dei processi di cambiamento culturale;
    negli anni scorsi fu presentato un appello nazionale da parte di diverse associazioni di donne perché la Deledda fosse reintegrata nel canone della letteratura italiana e venisse inserita tra i grandi autori della nostra letteratura il cui studio è irrinunciabile. È importante che tale appello sia accolto quest'anno;
    l'anniversario deleddiano può rappresentare un'occasione preziosa per promuovere il turismo scolastico e culturale nei luoghi principali della biografia della scrittrice, tra i quali la sua casa natale nel vecchio quartiere di Santu Predu a Nuoro, oggi trasformata in museo, la chiesetta di Nostra Signora della Solitudine, sempre a Nuoro, dove sono custodite le spoglie della Deledda, i diversi comuni sardi che fanno parte del parco letterario a lei dedicato,

impegna il Governo:

1) ad individuare opportune iniziative per celebrare degnamente l'80o anniversario della morte della scrittrice Grazia Deledda e il 90o anno dal conferimento ad essa del premio Nobel per la letteratura, anche con il coinvolgimento delle istituzioni culturali del Paese, della regione Sardegna e dei comuni facenti parte del parco letterario Grazia Deledda;
2) a promuovere e sostenere iniziative presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado volte a favorire lo studio e la conoscenza dell'opera di Grazia Deledda e delle altre donne insigni nel campo della letteratura, della cultura, delle scienze, dell'economia, anche in coincidenza col 70o anniversario del riconoscimento del diritto di voto alle donne italiane.
(1-01414) «Giovanna Sanna, Buttiglione, Pes, Coscia, Cani, Marrocu, Mura, Pinna, Francesco Sanna, Scanu, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, Dallai, D'Ottavio, Ghizzoni, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Grazia Deledda nasce il 27 settembre del 1871 a Nuoro, dove all'epoca una donna era guardata con sospetto se amava leggere e l'istruzione era ammessa solo fino alle scuole elementari, ma grazie alla famiglia dopo la quarta elementare, poté continuare a studiare con l'ausilio di un precettore;
    esordì all'età di quattordici anni con racconti e romanzi, pubblicati su giornali e riviste, per poi diventare una famosa scrittrice apprezzata anche all'estero;
    durante l'arco della sua vita tutti i suoi scritti erano composti di una vena etica in cui veniva descritta la dura vita quotidiana dei compaesani sardi;
    nonostante la sola quarta elementare e gli studi conseguiti da autodidatta, nel 1927, a Stoccolma, le viene conferito il massimo riconoscimento per la letteratura;
    conquistò il premio Nobel con metodo, costanza e ostinazione, oltre che col talento. Il suo fu un premio che creò molto scalpore per diversi motivi tra i quali il fatto che fosse una donna, ma non si scoraggiò mai nonostante la parte della critica letteraria la definì rozza, illetterata, piena di esitazioni espressive, sull'orlo del difetto stilistico, grammaticale e linguistico;
    creò una proficua rete di relazioni per diffondere e far apprezzare il suo lavoro, mantenendo sempre grandissima fiducia nel suo talento;
    con i suoi romanzi e racconti, dissentì in modo rivoluzionario a una radicata tradizione del luogo in cui era nata, secondo la quale le donne potevano accostarsi alla letteratura solo nel ruolo privato di tramandare oralmente fiabe e leggende ai bambini;
    Grazia Deledda morì a Roma nel 1936 per lo stesso male con cui fece morire la protagonista de «La chiesa della solitudine» e in quella stessa chiesa di Nuoro è tutt'oggi conservato il suo corpo;
    ancora oggi, le sue opere sono più che mai attuali e possono essere considerate tra il più grande del patrimonio letterario italiano;
    tuttavia, la scrittrice Grazia Deledda è scomparsa dalla maggior parte delle antologie scolastiche e dimenticata da buona parte della critica letteraria, nonostante sia stata la prima ed attualmente unica scrittrice italiana ad essere insignita del prestigioso premio Nobel per la letteratura,

impegna il Governo:

1) a individuare iniziative volte alla celebrazione del novantesimo anniversario dall'assegnazione a Grazia Deledda del premio Nobel per la letteratura;

2) ad assumere iniziative per reperire le necessarie risorse atte a finanziare la celebrazione, considerata l'esigenza culturale di tenere vivo il ricordo della scrittrice nuorese;

3) ad assumere iniziative per l'individuazione di progetti rivolti alle scuole di ogni ordine e grado finalizzate allo studio e all'approfondimento della figura di Maria Grazia Deledda, per l'alto valore morale delle sue opere, per le sue battaglie culturali di emancipazione femminile e in quanto unica donna italiana insignita del Nobel per la letteratura.
(1-01415) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 200 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, individua quattro tipologie di contributo da versarsi, fatta eccezione per quanti possano beneficiare dell'esonero dal pagamento, obbligatoriamente per il solo ultimo biennio delle scuole secondarie superiori (dopo il compimento del sedicesimo anno di età e il conseguente assolvimento dell'obbligo scolastico):
     a) tassa di iscrizione;
     b) tassa di frequenza;
     c) tassa per esami di idoneità, integrativi, di licenza, di qualifica, di maturità e di abilitazione;
     d) tassa di rilascio dei relativi diplomi;
    l'articolo 34 della Costituzione sancisce i principi di obbligatorietà e gratuità dell'istruzione per almeno otto anni e il comma 622 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha esteso l'obbligatorietà a dieci anni, fermo restando «il regime di gratuità ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226»;
    la normativa vigente non prevede alcun tipo di contributo obbligatorio o vincolante oltre alle tasse scolastiche erariali di cui al citato articolo 200 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297;
    negli ultimi anni, si registra una spiacevole tendenza, da parte degli istituti scolastici, a richiedere, a inizio anno scolastico, «contributi ulteriori», talvolta mediante pratiche poco trasparenti e con formule divenute ormai simili tra le varie scuole, che in certe circostanze danno adito a comportamenti gravemente discriminatori, giungendo finanche a subordinare l'iscrizione all'anno scolastico al versamento di tali «contributi» fissi le cui cifre, talvolta, superano i 200 euro;
    a causa dell'aumento incontrollato e spesso illecito dell'utilizzo di tale strumento da parte di molti istituti scolastici, denunciato da tante famiglie e che ha interessato sempre più gli organi di informazione, il dipartimento dell'istruzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato due note, prot. n. 312 del 20 marzo 2012 e prot. n. 593 del 7 marzo 2013, a firma del capo dipartimento Lucrezia Stellacci e destinate ai dirigenti scolastici e agli uffici scolastici regionali, in cui si chiarisce in maniera netta come eventuali contributi elargiti dalle famiglie «a favore delle» (e non «richiesti dalle») istituzioni scolastiche siano da considerarsi di natura esclusivamente liberale e volontaria e non possano essere in alcun modo imposti da queste ultime;
    la normativa e le circolari di cui al precedente capoverso ribadiscono, infatti, che in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è [...] consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro) fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad esempio: assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, ecc). Eventuali contributi per l'arricchimento dell'offerta culturale e formativa degli alunni possono dunque essere versati dalle famiglie solo ed esclusivamente su base volontaria e che «qualunque discriminazione ingiustificata a danno degli studenti, derivante dal rifiuto di versamento del contributo in questione, sia in termini di valutazione che disciplinari, risulterebbe del tutto illegittima e gravemente lesiva del diritto allo studio dei singoli»;
    le circolari emanate non hanno, però, sortito gli effetti auspicati: numerosissime segnalazioni pervenute dalle famiglie e molte inchieste pubblicate dai mezzi di informazione testimoniano come, ancora oggi, il «contributo volontario» verrebbe imposto dagli istituti scolastici all'atto dell'iscrizione ed utilizzato per motivi diversi da quelli prescritti dalle summenzionate note ministeriali, ovvero per l'arricchimento dell'offerta culturale e formativa, senza tener conto, oltreché della volontarietà che dovrebbe caratterizzare il contributo, dei casi di esonero previsti dalla legge e spesso senza pubblicizzare l'opportunità di detrazione fiscale di cui all'articolo 13 della legge 2 aprile 2007, n. 40;
    quanto riportato nell'interrogazione a risposta in commissione n. 5-08789 presentata dai deputati Vacca e altri e rivolta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, oppure l'inchiesta svolta dal programma televisivo nazionale Striscia la notizia del 25 febbraio 2016, solo per citare alcuni esempi, testimoniano come episodi di impropria richiesta del cosiddetto «contributo volontario» da parte di molti dirigenti scolastici per mezzo di improprie delibere del consiglio d'istituto e di pubbliche comunicazioni spesso ritenute «poco gradevoli» dai destinatari, sono all'ordine del giorno anche durante le iscrizioni all'anno scolastico 2016/2017, a ben tre anni dall'emanazione delle circolari ove il capo dipartimento per l'istruzione del Ministero ammoniva proprio simili gestioni irregolari e poco trasparenti di versamenti che dovrebbero essere liberali;
    ai sensi al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, la valutazione delle capacità gestionali-amministrative dei dirigenti scolastici è riconosciuta mediante la cosiddetta «retribuzione di risultato», la cui quota percentuale sulla retribuzione complessiva, in funzione della valutazione della performance del dirigente, è attualmente in fase di contrattazione regionale;
    nell'anno scolastico 2012/2013 la Cgil ha quantificato la contribuzione volontaria delle famiglie in 335 milioni di euro,

impegna il Governo:

1) a porre in essere iniziative, anche normative, volte a limitare l'utilizzo dei contributi volontari al finanziamento di attività extracurriculari e a garantire che i contributi non siano richiesti in un'unica soluzione;
2) al fine di contrastare le descritte pratiche irregolari, ad assumere iniziative volte a condizionare l'erogazione della «retribuzione di risultato» dei dirigenti scolastici al corretto ricorso alla contribuzione volontaria;
3) al fine di assicurare alle istituzioni scolastiche risorse sufficienti al proprio funzionamento, ad assumere iniziative per incrementare lo stanziamento sul fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche (FIS) pari a 300 milioni di euro.
(1-01416) «Luigi Gallo, Vacca, Brescia, Marzana, Simone Valente, Di Benedetto, D'Uva».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2016 sono 200 milioni le donne e le ragazze nel mondo che hanno subito mutilazioni genitali femminili. Queste pratiche hanno luogo principalmente in alcuni Paesi dell'Africa e dell'Asia, ma anche in Europa ed in Italia. Ogni giorno, donne e bambine, che sono cittadine degli Stati membri del Consiglio d'Europa, dell'Unione europea e del nostro Paese, o ivi risiedono, corrono il rischio di essere oggetto di mutilazione genitale femminile;
    nonostante la crescita della awareness della gravità delle mutilazioni genitali femminili, la pratica continua a persistere e rimane legata alle culture e alle tradizioni delle comunità che la praticano, sebbene, come ha sottolineato anche il Consiglio d'Europa, non ci siano testi religiosi che prescrivano la mutilazione genitale femminile;
    il Consiglio d'Europa ha evidenziato che la mutilazione genitale femminile è un atto di violenza contro le donne e le bambine ed una evidente violazione dei diritti umani. Causa infatti seri problemi fisici e psicologici ed è una violazione del divieto di trattamenti crudeli, inumani o degradanti e del diritto alla salute. Dato che la mutilazione genitale femminile è praticata in molti casi nell'infanzia è anche una violazione dei diritti delle bambine e dei bambini;
    gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile adottati dalle Nazioni Unite includono lo sradicamento delle mutilazioni genitali femminili entro il 2030;
    il 9 gennaio 2006 il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 7 «Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile»;
    la prevenzione deve essere al cuore di ogni intervento per sradicare la mutilazione genitale femminile e deve coinvolgere tutti gli attori coinvolti sia le comunità che la praticano, le organizzazioni che operano nel settore, i servizi sociali e le agenzie educative, la polizia e il sistema di giustizia e sanitario. Campagne di sensibilizzazione, di informazione e di educazione devono includere sia le donne che gli uomini delle comunità coinvolte e devono slegare queste pratiche da aspetti religiosi, stereotipi di genere e visioni culturali che continuano a perpetuare la discriminazione contro le donne;
    il Consiglio d'Europa ha approvato la risoluzione 2135/2016 sulle mutilazioni genitali femminili in Europa;
    in conformità con la legge n. 7 del 9 gennaio 2006 e con la risoluzione 2135 (2016) del Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

1) a verificare l'attuazione della legge n. 7 del 2006 e i risultati conseguiti e a presentare una relazione alle Camere entro il 2016;
2) a riconoscere che le mutilazioni genitali femminili sono una grave forma di violenza contro le donne e le bambine e ad includere questo problema nelle politiche e nelle procedure nazionali per combattere la violenza;
3) a dar vita a campagne nazionali di informazione per combattere le mutilazioni genitali femminili, come previste dall'articolo 3 della legge n. 7 del 2006, a dare informazioni nelle lingue maggiormente parlate dalle comunità che praticano la mutilazione genitale femminile e a supportare, anche finanziariamente, le iniziative delle organizzazioni non governative in questo campo, attraverso il piano nazionale contro la violenza;
4) ad assumere iniziative per rafforzare il sistema sanzionatorio in relazione alle mutilazioni genitali femminili o alla condotta consistente nell'obbligare o spingere le donne e le bambine a sottoporsi a questa pratica, anche se condotta da personale medico-sanitario;
5) ad individuare le necessarie misure affinché le ragazze e le bambine non siano sottoposte a mutilazioni genitali durante i viaggi e i soggiorni nei Paesi di origine dei loro genitori, promuovendo la cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia;
6) ad assumere iniziative per assicurare la giurisdizione extraterritoriale ai tribunali nazionali in modo tale che la punizione dei colpevoli di mutilazioni genitali femminili possa avvenire anche quando il fatto è commesso in altri Paesi ed in particolare negli Stati del Consiglio d'Europa;
7) a favorire l'accesso a servizi di emergenza, come numeri verdi gratuiti (come previsto dall'articolo 5 della legge n. 7 del 2006) e rifugi, ai servizi sanitari e a vice services per le donne che hanno subito la mutilazione genitale femminile o che sono a rischio;
8) ad assumere iniziative per prevedere e coordinare, a livello nazionale e con comuni metodologie, la raccolta di dati su casi di mutilazioni genitali femminili, assicurando che tali dati siano resi noti alle autorità competenti e resi pubblici nella lotta contro questa pratica;
9) ad assumere iniziative per formare il personale medico-sanitario, gli insegnanti e i docenti a tutti i livelli di istruzione, le forze dell'ordine, i servizi sociali e gli operatori nei centri di accoglienza per i richiedenti asilo, allo scopo di individuare le donne e le bambine che hanno subito mutilazioni genitali femminili o che ne sono a rischio;
10) ad assumere iniziative per formare il personale medico-sanitario, come previsto dall'articolo 4 della legge n. 7 del 2006, per renderlo in grado di diagnosticare le mutilazioni genitali femminili e di fornire le cure appropriate alle donne e alle bambine che soffrono delle conseguenze fisiche e psicologiche di questa pratica;
11) a includere la lotta alle mutilazioni genitali femminili nella cooperazione e nelle attività di aiuto allo sviluppo.
(1-01417) «Centemero, Gullo, Sisto, Vito, Milanato, Polidori, Mucci, Mottola, Vella, Elvira Savino».


   La Camera,
   premesso che:
    ricordare in modo adeguato Grazia Deledda rappresenta una di quelle azioni positive che possono far fare un salto di qualità alla cultura italiana ancora troppo spesso impregnata di violenza contro le donne. Si tratterebbe di un'azione coerente con le altre iniziative prese fin dall'inizio di questa legislatura, con il riconoscimento del trattato di Istanbul;
    la XVII legislatura è di fatto quella in cui la presenza femminile è più numerosa rispetto alle legislature precedenti, sia in Parlamento che nel Governo; c’è inoltre un inter-gruppo femminile impegnato nella piena tutela dei diritti delle donne, in tutti gli aspetti della vita sociale, perché ci sono ancora troppi segnali da cui si evince che questo aspetto stenta ancora a diventare un fatto naturale, così come dovrebbe essere;
    per questo i firmatari del presente atto ritengono che sia doveroso riconoscere il ruolo svolto da Grazia Deledda, non solo sul piano culturale, come testimonia il premio Nobel vinto 90 anni fa, ma anche sul piano sociale, per il suo impegno nel riconoscimento dei diritti delle donne, attraverso la descrizione della sua condizione nei romanzi e nei racconti, che fanno di lei una delle più grandi scrittrici italiane;
    il 10 dicembre 2016 ricorre il 90o anniversario dall'assegnazione del premio Nobel per la letteratura e Grazia Deledda è ancora oggi l'unica donna nel campo della letteratura italiana ad aver ottenuto il premio Nobel per la letteratura e, in particolare, nel campo delle opere letterarie, grazie ai suoi romanzi ed in particolare all'opera «Canne al vento». La motivazione del premio Nobel recita: «Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano»;
    Grazia Deledda ricevette, come tante sue coetanee, una istruzione che oggi apparirebbe limitata: frequentò le scuole elementari fino alla quarta e poi venne seguita privatamente da un insegnante che le dette lezioni di italiano, latino e francese, come era consuetudine nell'epoca. Completò in modo del tutto autodidatta la sua formazione letteraria, incoraggiata dall'amico scrittore Enrico Costa, che per primo ne comprese il talento. Il clima familiare fu però molto stimolante, grazie al rapporto particolare con suo padre, che univa capacità imprenditoriali e sensibilità letteraria, passione politica e interessi sociali. Di fatto era un ricco imprenditore agricolo, che aveva fondato una tipografia in cui stampava una rivista, che dirigeva personalmente e su cui pubblicava alcune delle sue poesie in sardo. Fu anche un apprezzato sindaco di Nuoro, la sua città;
    nel 1888, a 17 anni, pubblica i suoi primi racconti, Sangue sardo e Remigia Helder e due anni dopo, nel 1890 pubblica il suo primo romanzo a puntate sul quotidiano di Cagliari L'avvenire della Sardegna, con uno pseudonimo Ilia de Saint Ismail, seguito da molti altri romanzi che permettono di seguire il suo itinerario di maturazione. Fra il 1891 e il 1896 pubblica sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo de Gubernatis, il saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, introdotto da una citazione di Tolstoj, che documenta il suo interesse per la letteratura russa;
    dopo qualche anno di matrimonio, suo marito Madesani lascia il suo lavoro di funzionario statale, per dedicarsi all'attività di agente letterario della moglie, a conferma dell'apprezzamento di cui Grazia Deledda godeva anche in famiglia, oltre che nel contesto letterario dell'epoca. Quando il 10 dicembre del 1926 le venne conferito il premio Nobel per la letteratura, gran parte della comunità letteraria del suo tempo, non solo quella italiana, ne riconobbe i meriti e si rallegrò per il riconoscimento. I primi a non comprendere Deledda però furono i suoi conterranei, a cominciare dai suoi concittadini. Gli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate: pensavano che descrivesse una Sardegna troppo arretrata. Proprio per la sua originalità e la sua creatività è difficile inquadrare Grazia Deledda nei confini ristretti di un solo genere letterario;
    un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte nell'agosto del 1936, quasi dieci anni dopo la vittoria del premio;
    la narrativa di Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. «La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell'espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l'imponderabile portata dei suoi effetti, l'ineluttabilità dell'ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l'esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfamata e dolente, “gettata” in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell'esistenza assoluta». La Sardegna di Canne al vento è una celebrazione del libero arbitrio. Della libertà di compiere il male, ma anche di realizzare il bene, soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità che il male ha di comunicare angoscia. Il protagonista che ha commesso il male non consente col male, compie un viaggio, doloroso, mortificante, ma anche pieno di gioia nella speranza di realizzare il bene, che resta la sola ragione in grado di rendere accettabile la vita»;
    portando alla luce l'errore e la colpa, la scrittrice sembra costringere il lettore a prendere coscienza dell'esistenza del male e nel contempo a fare i conti con se stesso, con la propria intimità, in cui certi impulsi, anche se repressi, sono sempre presenti. La vita appare come una vicenda tragica in cui gli eventi non hanno sempre una spiegazione razionale, in una vita che è prima di tutto mistero. Resta la pietas, intesa come partecipazione compassionevole verso l'uomo, come comprensione delle fragilità e delle debolezze umane, come sentimento misericordioso che induce comunque al perdono e alla riabilitazione di una comunità di peccatori con un proprio destino sulle spalle. Anche questo avvertito senso del limite e questo sentimento di pietà cristiana rendono la Deledda una grande donna prima ancora che una grande scrittrice;
    la scrittrice sperimentò diverse forme letterarie, scrivendo versi, novelle e ben cinquantasei romanzi a cui deve la fama e la notorietà; la profonda conoscenza e l'amore per la sua terra, la Sardegna, per le sue tradizioni e per il suo popolo, presenti in tutta la sua opera, attribuiscono grande valore formativo alla lettura e allo studio dei romanzi dell'autrice sarda;
    nell'ottobre 2012 è stato presentato un appello al Presidente della Repubblica, perché Grazia Deledda venisse reintegrata nel canone della letteratura italiana nei prossimi concorsi; l'osservazione di fondo delle associazioni consisteva nella constatazione che nei programmi di letteratura italiana per i concorsi per insegnanti della scuola pubblica erano presenti 35 scrittori maschi e una sola donna, Elsa Morante, e che in particolare mancava il premio Nobel Grazia Deledda, peraltro ampiamente trascurata nei programmi scolastici curriculari; nel dicembre 2012 è stata approvata una risoluzione in Commissione cultura, volta a valorizzare nella scuola la figura della Deledda;
    nel rispondere a diversi atti di sindacato ispettivo nel corso dell'attuale legislatura, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fatto riferimento all'autonomia scolastica per giustificare una presenza della Deledda nei programmi scolastici fortemente inferiore rispetto a quello che ci si aspetterebbe per i suoi meriti letterari, peraltro internazionalmente riconosciuti. Pur evidenziando che il Ministro ha riconosciuto la necessità di aggiornare le «indicazioni nazionali» per i licei e le «linee guida» per gli istituti tecnici e professionali, permane negli indirizzi generali della pubblica istruzione una sorta di «cecità selettiva» verso la rappresentanza e la rappresentatività femminile nella letteratura italiana;
    il 24 febbraio 2015 è stata approvata una risoluzione in Commissione cultura della Camera, nella quale si impegna il Governo a modificare il regolamento recante «Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi» previsti per i percorsi liceali, nel senso di ampliare la presenza di autori meridionali, ivi compresa Grazia Deledda, nei programmi di letteratura italiana del Novecento;
    in un anno speciale come l'attuale in cui si celebrano i 70 anni del voto alle donne, che la Camera ha voluto ricordare con una mostra speciale che mette in risalto la «prima volta» di donne illustri, forse anche il primo premio Nobel per la letteratura meriterebbe una sua specifica collocazione,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi al fine di aggiornare, tramite specifiche indicazioni, i piani scolastici e le linee guida relative ai piani dell'offerta formativa delle scuole medie e superiori, al fine di inserire Grazia Deledda tra le figure principali della letteratura italiana del ‘900, valutando anche la possibilità di prevedere uno specifico indirizzo generale sul ruolo delle donne nella cultura e nello sviluppo dell'Italia del ‘900;
2) a individuare iniziative per celebrare il 90o anniversario dall'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Grazia Deledda, per far conoscere la figura e l'opera di Grazia Deledda e per celebrare le donne e gli uomini italiani che sono stati insigniti del premio Nobel o di altri prestigiosi premi internazionali, quali esempi positivi per i giovani.
(1-01418) «Binetti, Scopelliti, Buttiglione, Bosco».

Risoluzioni in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    per le dimensioni epidemiologiche e per l'impatto socio-economico l'ictus rappresenta uno dei più importanti problemi sanitari nei paesi industrializzati. In Italia, l'ictus cerebrale costituisce la prima causa di invalidità permanente, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte (o la seconda, come riportano altre stime) dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, essendo responsabile del 10 per cento-12 per cento di tutti i decessi per anno;
    l'ictus cerebrale è una patologia fortemente età-correlata. Passando dalla quarta all'ottava decade di vita l'incidenza della malattia aumenta di circa 100 volte. Questo rapporto fa prevedere che il peso globale delle malattie cerebrovascolari è destinato ad aumentare nel tempo: l'Italia risente in maniera particolare di questa transizione demografica; infatti, attualmente, gli ultrasessantenni nel nostro Paese costituiscono ben il 25 per cento della popolazione totale, mentre gli ultressantacinquenni sono il 19 per cento (negli anziani di 85 anni e oltre, l'incidenza dell'ictus è fra il 20 per cento ed il 35 per cento);
    tuttavia, pur avendo una maggiore incidenza nell'età anziana, l'ictus può colpire anche i giovani e talora anche i bambini. La proporzione della patologia che si manifesta in soggetti di età inferiore ai 45 anni è pari a circa il 5,5 per cento di tutti gli ictus nei Paesi occidentali, mentre circa 10.000 casi, ogni anno, riguardano soggetti con età inferiore ai 54 anni, soggetti in età lavorativa quindi, per i quali l'impatto della malattia, in termini di riduzione dell'autosufficienza e di incidenza dei bisogni assistenziali, risulta particolarmente gravoso con conseguenze in ambito familiare e sociale estremamente rilevanti. Nel complesso, il costo medio annuo per ciascun paziente con disabilità grave (circa 400.000 nella sola Italia) a carico di famiglia e collettività – escludendo i costi a carico del servizio sanitario nazionale (SSN) (quantificati ad oggi in circa 3,5 miliardi di euro/anno) – è di circa 30.000 euro, per un totale di circa 13-14 miliardi di euro/anno. Questa cifra, che rappresenta il 78,8 per cento dei costi totali indotti dalla patologia, si riferisce sia alla riduzione di produttività relativa alla perdita di lavoro dei pazienti, che ai costi legati all'assistenza prestata dai familiari;
    una corretta strategia di prevenzione dell'ictus cerebrale rientra nell'ambito più generale della prevenzione e controllo delle patologie croniche nel loro complesso;
    l'Italia si è dotata del Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (CCM) che è un organismo di coordinamento tra il Ministero della salute e le regioni per le attività di sorveglianza, prevenzione e risposta tempestiva alle emergenze;
    lo strumento fondamentale di pianificazione definito dal Ministero della salute è rappresentato dal piano nazionale della prevenzione (PNP). Il nuovo PNP 2014-2018, al fine di «ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità delle malattie non trasmissibili», tra cui sono comprese le malattie cerebrovascolari, promuove una strategia di promozione della salute e di sensibilizzazione della popolazione sui vantaggi collegati all'adozione di stili di vita sani in una visione che abbracci l'intero corso della vita;
    le strategie sull'individuo, invece, prevedono la prevenzione dei fattori di rischio comportamentali e intermedi, perseguita mediante la loro diagnosi precoce e la modificazione degli stili di vita. Le politiche che incidono sulla riduzione della mortalità e della morbosità delle malattie cerebrovascolari, intervenendo sui fattori di rischio modificabili, devono essere adottate fin dalla giovane età in modo da mantenere nel corso della vita un profilo di rischio favorevole;
    sulla prevenzione primaria, che resta l'arma più valida e importante per combattere questo tipo di patologie molto è stato fatto, tanto che alcune azioni come controllo della pressione sanguigna, della glicemia e del colesterolo, attività fisica e stili di vita salutari, stanno lentamente entrando nella quotidianità di tutti. A questo scopo l'Italia, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2007, si è dotata di un programma strategico «Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari», che promuove la salute come bene collettivo, attraverso la condivisione delle responsabilità fra i cittadini e la collettività. Il programma «Guadagnare Salute», infatti, si propone di intervenire sui quattro principali fattori di rischio modificabili delle malattie croniche (fumo, abuso di alcol, dieta scorretta e inattività fisica);
    esistono, tuttavia, altri fattori di rischio sui quali non esiste ancora piena consapevolezza tra i cittadini, mentre l'azione di informazione e prevenzione da parte del Servizio sanitario nazionale risulta ancora insufficiente, con particolare riferimento alla fibrillazione atriale (FA). E, sebbene i soggetti affetti da fibrillazione atriale abbiano un rischio ictus molto maggiore rispetto ai soggetti sani, le evidenze scientifiche a livello internazionale indicano, tuttavia, una sottovalutazione dei rischi legati alla patologia, che si traduce in gravi carenze sia sul piano diagnostico che terapeutico. Chi soffre di fibrillazione atriale, infatti, ha un rischio di ictus 4-5 volte maggiore, con esiti particolarmente gravi: per il 20 per cento dei pazienti l'ictus si rivela fatale, per il 60 per cento è causa di disabilità;
    il percorso terapeutico più idoneo per la profilassi dell'ictus correlato a fibrillazione atriale è definito da linee guida internazionali, europee e nazionali che individuano nella terapia anticoagulante quella più appropriata per i pazienti affetti da fibrillazione atriale. Infatti, nonostante l'ingresso dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) che offrono una migliore efficacia, sicurezza e comodità per la maggioranza dei pazienti affetti da fibrillazione atriale, permangono ancora molte criticità nella cura di un grande numero di pazienti che non riescono ad accedere alle terapie appropriate. Degno di nota, a tal proposito, è un progetto CCM 2014 dal titolo «Progetto FAI: la fibrillazione atriale in Italia. La medicina di iniziativa e il medico di medicina generale per garantire l'accesso a servizi e cure efficaci riducendo i costi per il SSN e i costi sociali legati all'elevato rischio di ictus cerebrale». Il progetto si poneva come obiettivo di valutare la frequenza di fibrillazione atriale, stimandone il relativo rischio cardioembolico e le relative necessità terapeutiche, attraverso la validazione di una metodologia di screening da proporre ai medici di medicina generale. Si calcola che la popolazione che presenta un bisogno clinico non soddisfatto corrisponde al 65 per cento del totale (dati del sistema epidemiologico regionale del Veneto), con forti disparità fra le diverse regioni. Nello specifico, più di mezzo milione di pazienti non riceve un trattamento adeguato a copertura del rischio d'ictus cerebrale. In totale, nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare: il 16,5 per cento non viene trattato; il 15,2 per cento viene trattato con Warfarin pur avendo INR (Rapporto internazionale normalizzato) instabile; il 37,5 per cento viene trattato con aspirina;
    alcune regioni, inoltre, hanno stabilito una quota massima di pazienti ai quali è somministrabile la terapia NA: alcune la hanno individuata nel 30 per cento dei nuovi pazienti, altre nel 20 per cento. Malgrado questo approccio restrittivo in quelle stesse regioni il numero dei pazienti in terapia non ha raggiunto nemmeno il 50 per cento del tetto previsto;
    è evidente, quindi, che esiste un oggettivo problema di informazione ed una difficoltà di accesso alle nuove terapie che passa anche attraverso difficoltà burocratiche, restrizioni per i soggetti che possono prescrivere la terapia e diffidenza;
    uno studio osservazionale, eseguito in 16 regioni italiane, ha evidenziato che sussiste un tempo eccessivamente lungo tra il momento in cui il paziente si rende conto che «c’è qualcosa che non va» e il momento in cui viene presa la decisione di recarsi in ospedale;
    il concetto di « time is brain» ha portato al centro della riflessione sull'ictus cerebrale il problema del tempo che intercorre tra l'esordio sintomatologico di un ictus acuto e l'effettivo accesso del paziente alla terapia, soprattutto per quanto riguarda la trombolisi farmacologica o la trombectomia meccanica. In diverse migliaia di casi, infatti, si potrebbero azzerare o ridurre drasticamente gli effetti invalidanti dell'ictus con delle cure adeguate prestate nelle primissime ore dalla comparsa dei sintomi. La somministrazione del trattamento trombolitico farmacologico entro le prime 4-5 ore dall'inizio dei sintomi consente, a circa un terzo delle persone colpite da ictus ischemico, di rientrare rapidamente nelle proprie abitazioni, completamente guarite, e ad un altro 50 per cento di tornare a casa in buone condizioni funzionali. Ma proprio in questa fase si presenta uno dei problemi del sistema sanitario nazionale rispetto alla patologia: in molte regioni italiane non esiste il codice ictus per il trasporto del paziente e quindi il personale del 118, pur riconoscendo i sintomi dell'ictus, è tenuto, in base ai protocolli vigenti, a portare il paziente al pronto soccorso più vicino, anche se non dotato di unità neurovascolare (stroke unit), aggiungendo quindi tempi morti a quelli che già si perdono nel riconoscimento dei sintomi;
    in Italia le unità neurovascolari, vale a dire i centri adeguatamente preparati per trattare gli ictus sono realtà a macchia di leopardo. Il Ministero della salute stima che dovrebbero esserne presenti oltre 300 (numero ottimale 350), mentre ne risultano operative meno di 170, concentrate principalmente nel Nord Italia. Si va dalle 42 della Lombardia alle 5 della regione Sicilia, passando per Napoli che non ne ha nessuna. Si pensi che nel Meridione si muore più di ictus cerebrale che di infarto del miocardio proprio perché le unità neurovascolari sono quasi assenti. Purtroppo, la mancanza di una buona copertura nazionale così come di una rete assistenziale integrata fa sì che l'ictus abbia conseguenze molto gravi non solo per il paziente ma anche per i suoi familiari. La carenza strutturale, soprattutto al centro-sud, rappresenta un vero problema sul quale intervenire. Perché, se da un lato, agendo precocemente si salvano i pazienti da gravi invalidità permanenti, dall'altro il sistema sanitario risparmia sui costi associati al post ictus. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 3 febbraio 2005, ha sancito l'accordo concernente le «Linee di indirizzo per la definizione del percorso assistenziale dei pazienti con ictus cerebrale». L'Accordo contiene tutti gli elementi di indirizzo basati su prove di efficacia, in termini di miglioramento degli esiti clinici e funzionali di un sistema organizzato di cura per l'ictus cerebrale. Un progetto del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del 2008 dal titolo «Promozione dell'assistenza all'ictus cerebrale in Italia» aveva come obiettivo quello di favorire l'attuazione sistematica dell'accordo Stato-regioni del 3 febbraio 2005 attraverso il monitoraggio e l'audit delle esperienze regionali, individuando gli ostacoli alla implementazione e evidenziando gli strumenti organizzativi, gestionali e formativi per superarli. È stata monitorata la situazione organizzativa ed assistenziale dell'ictus cerebrale su tutto il territorio nazionale, sono stati esaminati i decreti e le delibere regionali sull'assistenza all'ictus elaborati dalle singole regioni nel corso degli anni ed è stata confrontata l'aderenza e la corrispondenza con gli elementi assistenziali definiti come prioritari nella «Conferenza Stato-regioni» di cui sopra. Anche per questo l'Italia ha fatto recentemente un enorme passo in avanti con il decreto del Ministro della salute n. 70 del 2 Aprile 2015 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 giugno 2015). Il testo del decreto declina benissimo sia gli standard ospedalieri per le varie patologie, sia l'organizzazione delle unità neurovascolari di primo e di secondo livello. Il decreto è scaturito dalla cosiddetta legge Balduzzi dopo una lunga disamina e una sostanziale approvazione da parte della Conferenza Stato-regioni. Le novità elencate corroborano sicuramente la causa dell'ictus, ma non hanno ancora la forza impositiva di una legge specificamente dedicata al fenomeno;
    in Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 940.000, ma il fenomeno è in costante crescita, a causa dell'invecchiamento della popolazione. Per quanto riguarda il costo medio dell'assistenza, per i primi tre mesi dopo un ictus, si parla di circa 6.000 euro per ogni caso (la fonte è lo studio europeo Ec/Stroke Project). Negli ultimi anni si è passati da un tempo medio di riabilitazione in strutture ospedaliere di 6 mesi a circa 45 giorni, ribaltando così sulle famiglie i costi sociali ed economici del percorso post acuto. Una possibile soluzione potrebbe essere quella della teleriabilitazione domiciliare. Si veda, a tal proposito, la recente indagine di Agenas «Indagine conoscitiva sulla diffusione della tele-assistenza per la gestione del paziente nella riabilitazione post-ictus». Tuttavia, ad oggi, non è ancora prevista nei prontuari regionali la rimborsabilità di questa prestazione;
    in aggiunta alla trombolisi farmacologica, che per lungo tempo ha rappresentato il trattamento standard per lo stroke cerebrale, i risultati di diversi studi internazionali randomizzati (a titolo esemplificativo, Mr. Clean-Paesi Bassi e Swift Prime-USA/Europa) evidenziano un miglioramento degli outcome clinici nei pazienti trattati con un procedimento di trombectomia Meccanica o con associazione di trombolisi e trombectomia. I vantaggi di tale tecnica si riscontrano già a partire dalla finestra temporale di intervento che si colloca tra le 6 e le 8 ore dopo i primi sintomi clinici, rispetto alle 4,5 ore disponibili per la trombolisi, consentendo quindi un più ampio raggio d'azione. Tale caratteristica risulta fondamentale alla luce di quanto sottolineato al paragrafo precedente. La trombectomia meccanica, combinata o meno con la trombolisi, ha indiscutibilmente dimostrato la sua efficacia in termini di positivi cambiamenti neurologici nei pazienti selezionati tramite imaging e con ictus da occlusione prossimale, che rappresenta il 45 per cento del totale degli eventi. Mentre in tali casi, i più pericolosi, la sola trombolisi ha mostrato i suoi limiti, la trombectomia meccanica effettuata in centri specializzati permette di effettuare con successo la rimozione del coagulo di sangue in circa il 90 per cento dei casi, riducendo il rischio di recidive e disabilità. I risultati di questi studi sembrano dunque confermare un notevole miglioramento degli outcome di pazienti colpiti da ictus cerebrale: a riprova di ciò, le società scientifiche italiane ed europee hanno già riconosciuto questa tecnica e hanno già iniziato la revisione delle proprie linee guida per il trattamento dello stroke,

impegna il Governo:

   a incentivare la prevenzione e la diagnosi dell'ictus cerebrale e della fibrillazione atriale che può provocarlo, rendendo organici e fruibili tutti i dati scientifici, medici e statistici che riguardano questa condizione;
   ad assumere iniziative per prevedere facilitazioni per l'accesso ai farmaci che curano le predette patologie e agli strumenti utili alla loro prevenzione;
   ad assumere iniziative per sensibilizzare gli operatori sanitari in materia di prevenzione e di informazione sull'ictus cerebrale;
   a riconoscere la fibrillazione atriale come patologia altamente rischiosa e gravemente invalidante, predisponendo, nell'ambito del nuovo piano sanitario nazionale, alla voce «Patologie rilevanti-malattie cardiovascolari e cerebrovascolari», una sezione dedicata alla fibrillazione atriale e all'ictus cardioembolico, in cui sono esposti i progetti di prevenzione, cura e sensibilizzazione nel medio periodo;
   a promuovere l'opportuna conoscenza della fibrillazione atriale e delle carotidopatie, al fine di favorire la diminuzione dei casi individuali e ridurre le complicanze dell'aritmia e delle stenosi carotidee nel lungo periodo;
   ad assumere iniziative affinché l'Istituto superiore di sanità, d'intesa con le regioni e le aziende sanitarie locali, con tutti i centri di ricerca, medici e sanitari, con le associazioni e fondazioni specializzate sullo studio e l'analisi della fibrillazione atriale e delle stenosi carotidee a rischio, con le università e le unità operative complesse delle discipline interessate, nonché con le aziende produttrici di farmaci e con le aziende produttrici di dispositivi per il trattamento della fibrillazione atriale e la prevenzione dell'ictus, predisponga un rapporto annuale sull'ictus cerebrale ischemico, che tenga conto di ogni dato utile disponibile;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, affinché siano inseriti nei piani sanitari regionali i temi della fibrillazione atriale e dell'ictus cardioembolico al fine di rendere disponibili, nel territorio nazionale, in modo equo e uniforme, le nuove opportunità terapeutiche previste per un corretto trattamento di tali patologie;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali mirati e di carattere multidisciplinare pianificando e coordinando l'attività condivisa tra presìdi ospedalieri e centri per la gestione e la cura della fibrillazione atriale per indirizzare il paziente verso le scelte terapeutiche più idonee;
   a predispone un piano d'incentivazione per la produzione e la commercializzazione dei farmaci antiaritmici di ultima generazione e dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), predisponendo, altresì, un piano logistico per garantire la massima diffusione sul territorio nazionale dei medicinali di ultima generazione e assumendo iniziative per rimuovere il limite nella prescrizione dei nuovi anticoagulanti orali per molte categorie di medici, in particolare per i medici di medicina generale;
   a incoraggiare e sviluppare modalità migliori per erogare costantemente informazioni sull'ictus, ai professionisti e ai decisori pubblici, oltreché al pubblico generale, sensibilizzando l'opinione pubblica anche all'adozione di stili di vita salubri, al fine di prevenire e contrastare le malattie cardiovascolari;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, l'implementazione delle unità neurovascolari di I e di II livello, secondo quanto previsto dal decreto del Ministero della salute n. 70 del 2 aprile 2015;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, una ricognizione delle risorse umane disponibili necessarie e specifiche alla implementazione delle unità neurovascolari, e quindi di dirigenti medici specialisti in neurologia e specialisti in neuroradiologia, e ad assumere iniziative per implementarne la dotazione organica laddove questa sia carente;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, per controllare annualmente il numero di pazienti eleggibili alla trombolisi che sono stati realmente trattati, con la finalità di raggiungere il 100 per cento entro 5 anni;
   ad incentivare le società scientifiche di settore a mettere a punto un piano per la formazione di professionisti competenti nei trattamenti di rivascolarizzazione endoarteriosa;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, per assicurare un numero di posti letto appropriato e implementare percorsi adeguati e tempestivi per la riabilitazione post-ictus;
   ad avviare iniziative per permettere una rapida diffusione della trombectomia meccanica su tutto il territorio nazionale e garantire maggiori opportunità terapeutiche a beneficio di tutti i pazienti.
(7-01134) «Marazziti, Gigli».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la moria delle api che si è verificata in questi ultimi anni in tutto il mondo ha raggiunto dimensioni tali da poter essere considerata un fattore che mette a repentaglio l'intera agricoltura mondiale. È stato stimato che circa il 35 per cento del cibo che l'uomo consuma dipende direttamente, attraverso l'impollinazione di frutta e colture vegetali in generale, o indirettamente, tramite l'impollinazione di campi coltivati a foraggio per il bestiame, dall'attività svolta dalle api. A ciò si aggiunge il fatto che le api concorrono per l'80 per cento al lavoro di impollinazione e l'alimentazione umana dipende per un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro degli insetti. In più, il valore aggiunto totale per il servizio di impollinazione delle colture è stato stimato in 14,2 miliardi di euro. In tutto il mondo, invece, il valore economico totale dell'impollinazione svolta dalle api è stato pari a 153 miliardi di euro (Moritz et al., 2010);
    nella Carolina del Sud, in seguito a un trattamento effettuato con il mezzo aereo contro la zanzara Aedes aegypti, vettore del virus Zika, è stata segnalata una moria di circa 2,5 milioni di api (46 colonie, a circa 50.000 individui per colonia, imenottero più, imenottero meno). L'episodio si è verificato dopo l'irrorazione con il mezzo aereo di un insetticida a base di Naled, un fosforganico normalmente utilizzato negli Stati Uniti in ambito civile, per controllare gli adulti dell'insetto vettore;
    la pratica è normalmente ammessa dall'Epa, Agenzia ambientale americana, in quanto la scarsa tossicità per i mammiferi e la sua limitata persistenza ambientale ne fanno, agli occhi delle autorità d'oltreoceano, un mezzo tecnico idoneo per questo tipo di interventi. La sua elevata tossicità nei confronti delle api, nota all'Agenzia e correttamente riportata nell'etichetta dei relativi formulati, è stata giudicata mitigabile, effettuando i trattamenti nelle ore di minore attività delle api (tra il tramonto e l'alba) e una corretta informazione, in modo che la popolazione in genere e gli apicoltori in particolare possano organizzarsi per minimizzare gli effetti collaterali dell'applicazione. Il trattamento, rivelatosi, poi, disastroso, è stato invece effettuato alle 8 del mattino senza preavviso. Bayer e Syngenta sono finite sotto accusa grazie a una rigorosa indagine di Greenpeace: in sostanza industria e scienziati sanno da tempo che questi prodotti possono danneggiare le api; eppure nonostante questo, hanno continuato a difendere i loro pesticidi. Sul suo sito web, Syngenta, per esempio afferma che «non c’è correlazione diretta tra neonicotinoidi e morte delle api e l'accusa che i pesticidi neonicotinoidi siano intrinsecamente dannosi per colonie di api o popolazioni non è vera». Sono state inevitabili le polemiche, rimbalzate su stampa e televisioni statunitensi, e la richiesta di una maggiore trasparenza del settore e delle autorità di regolamentazione;
    Syngenta ha provato a giustificarsi affermando che lo studio avrebbe dovuto essere pubblicato su una rivista, pur senza fornire altri dettagli. Bayer, da parte sua, ha detto che lo studio sarebbe stato oggetto di una prossima conferenza;
    entrambe le aziende hanno affermato che il rischio per le api diventa sensibile solo a concentrazioni più elevate di quelle normalmente utilizzate in agricoltura. Gli studi recentemente scoperti hanno esaminato l'impatto del clothianidin di Bayer e del thiamethoxam di Syngenta su api da miele a concentrazioni variabili. Entrambi mostrano che le sostanze chimiche possono seriamente danneggiare colonie di api ad alte concentrazioni, anche se gli effetti sono stati meno marcati a livelli più bassi;
    il fatto che questi dati siano rimasti segreti, tuttavia, non sorprende più di tanto i critici. Negli Stati Uniti, infatti, l'EPA (l'Agenzia per la protezione dell'ambiente) sta conducendo una revisione sui pesticidi neonicotinoidi e sul loro impatto sulla salute degli impollinatori. A gennaio 2016 la prima tappa di questa recensione ha rilevato che l'imidacloprid di Bayer danneggia le api e ha suggerito che «si limiti l'uso» della sostanza chimica entro la fine del 2016. I risultati delle revisioni di thiamethoxam e clothianidin, da cui sono tratti questi due studi, dovrebbero essere pubblicati nel 2017;
    in generale, in Italia ed Europa, le api sono in pericolo. La colpa è della cosiddetta sindrome dello spopolamento degli alveari: un fenomeno ancora misterioso, per il quale le colonie di api collassano bruscamente, lasciandosi alle spalle un alveare pieno di larve, abbondanti scorte di polline e miele, una regina in salute, ma nessuna operaia che possa prendersene cura. Tra le possibili cause, o concause (come i pesticidi neonicotinoidi), vi è anche un parassita: il Varroa destructor, un acaro che si nutre delle api e trasmette un virus letale chiamato Deformed wing virus (dwv), che mutila gli insetti infettati e può portare velocemente alla distruzione della colonia. Fino a oggi non era chiaro in che modo questi parassiti si stessero diffondendo in tutto il pianeta, ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista « Science» sembra aver individuato il responsabile: il vettore principale sono infatti le api di casa nostra, cioè le popolazioni di Apis mellifera provenienti dal continente europeo, e a diffondere la malattia sono spostamenti e commerci effettuati dall'uomo. Lo studio, realizzato da un team di ricercatori della University of Exeter, ha analizzato campioni di virus dwv prelevati in 32 siti di 17 Paesi, per cercare di ricostruire gli spostamenti di questo patogeno a livello globale. Analizzando le principali rotte di diffusione, i ricercatori ritengono di aver dimostrato che il virus è probabilmente un patogeno endemico del continente europeo, tornato a colpire con forza negli ultimi anni per via della diffusione del Varroa destructor, acaro che non solo rappresenta un vettore primario per la trasmissione del virus, ma aumenta anche la virulenza del patogeno e la capacità di danneggiare le popolazioni di api colpite;
    in particolare, nel nostro Paese, sono molte le api che hanno perso la vita con il coleottero Aetina tumida, con tagli alla produzione di miele. Secondo la Cia, Confederazione italiana agricoltori, occorrono maggiore tempestività e misure straordinarie per far fronte a queste emergenze che devono essere affrontate in maniera organica a livello di Unione europea e nazionale. Si tratta di agire su diversi piani, dal potenziamento della ricerca alla diffusione di tecniche di difesa adeguate, dal maggior controllo internazionale sugli scambi al miglioramento di intervento nelle fasi di emergenza, fino al potenziamento degli strumenti di risarcimento alle perdite di reddito subite dagli agricoltori;
    dal sito del Ministero della salute nel gennaio 2016 veniva divulgata la seguente notizia: «È operativa da lunedì scorso, 19 gennaio, l'anagrafe delle api, con la possibilità, per gli apicoltori di registrarsi sul portale del Sistema informativo veterinario accessibile dal portale del Ministero della salute. Operatori delle Asl, aziende e allevatori potranno accedere all'anagrafe per registrare l'attività, comunicare una nuova apertura, specificare la consistenza degli apiari e il numero di arnie o le movimentazioni per compravendite. Sul sito www.vetinfo.sanita.it, una sezione pubblica dedicata all'Apicoltura consentirà di avviare la procedura online di richiesta account. Tracciabilità e salvaguardia “Si tratta di un passo in avanti decisivo – ha dichiarato il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin – sia per il lavoro degli apicoltori che per la salute dei cittadini consumatori. La nuova anagrafe – ha proseguito il Ministro – ci consentirà di garantire la tracciabilità degli apiari e del miele, la legittimità dei contributi finanziari pubblici agli apicoltori e, soprattutto, favorirà il controllo sulle malattie delle api e la gestione delle emergenze come quella recente dovuta all'infestazione esotica da Aethina tumida, il parassita delle api che lo scorso settembre ha procurato danni ingenti all'intera apicoltura nazionale”. La direzione generale della sanità animale e del farmaco veterinario del Ministero della salute rimane in contatto con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le associazioni degli apicoltori per una tempestiva e corretta implementazione dell'anagrafe che va ad aggiungersi a quelle già esistenti per le altre specie zootecniche. “L'anagrafe delle api italiane è una importante innovazione per garantire maggiore trasparenza attraverso la rintracciabilità in un settore dove quest'anno si registra il dimezzamento dei raccolti a causa dell'andamento climatico anomalo e delle malattie” – afferma la Coldiretti nel commentare l'avvio dell'anagrafe delle api. “La produzione Made in Italy di miele di acacia, castagno, di agrumi e mille fiori è quasi dimezzata (-50 per cento) per effetto del clima ed è allarme per l'arrivo in Italia dell'insetto killer delle api, il coleottero Aethina tumida, che mangia il miele, il polline e, soprattutto la covata annientando la popolazione di api o costringendola ad abbandonare l'alveare. Al crollo dei raccolti nazionali ha fatto seguito l'aumento del 17 per cento delle importazioni dall'estero di miele naturale mentre le esportazioni sono crollate del 26 per cento, sulla base dei dati Istat relativi ai primi 9 mesi del 2014. Il risultato – denuncia la Coldiretti – è che in Italia due barattoli di miele su tre venduti nei negozi e supermercati contengono in realtà miele straniero”;
    a preoccupare l'associazione di categoria è il fatto che più di 1/3 del miele importato proviene dall'Ungheria e quasi il 15 per cento dalla Cina ma anche da Romania, Argentina e Spagna dove sono permesse coltivazioni ogm che possono contaminare il polline senza alcuna indicazione in etichetta. Il miele prodotto sul territorio nazionale, dove non sono ammesse coltivazioni ogm, è tuttavia riconoscibile attraverso l'etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti;
    le api svolgono, oltretutto un ruolo di prioritaria importanza in quello che è il biomonitoraggio, che consiste nella valutazione ambientale globale, attraverso l'utilizzo di bioindicatori, cioè di organismi capaci di avvertire con certezza le alterazioni ecologiche dell'ambiente in cui vivono, alterazioni causate da vari tipi di inquinamento o da fattori di stress ambientale. Un indicatore biologico, infatti, è un organismo che reagisce in maniera osservabile, macroscopicamente o microscopicamente, alle modificazioni della sua nicchia ecologica o più in generale del suo biotopo. L'ape è considerata un eccellente organismo indicatore dello stato di inquinamento di un determinato territorio, perché oltre alla facile reperibilità e all'economicità di impiego, è dotata di un efficace apparato sensoriale. L'ape si può definire un sensore viaggiante a differenza di altri bioindicatori perlopiù immobili. In questi suoi viaggi di andata e ritorno dall'alveare, che coprono un'area di circa 6 chilometri quadrati, è instancabile nella sua attività di raccolta. Se si considera, per fare un calcolo empirico, che in un alveare in buono stato vi sono circa 10.000 bottinatrici e che ogni bottinatrice visita giornalmente circa un migliaio di fiori, si può dedurre che una colonia di api effettua 10 milioni di microprelievi ogni giorno, senza considerare il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche il mezzo litro (Pinzauti e Felicioli, 1998). Di conseguenza l'ape frequenta attivamente il territorio, preleva dei campioni di sostanze eventualmente contaminate, si contamina a sua volta e torna a casa; l'insetto stesso diventa così un possibile campione da sottoporre alle analisi di laboratorio. Nel biomonitoraggio, però, oltre alle api possono venir utilizzati anche i prodotti dell'alveare come indicatori dello stato di salute ambientale;
    il progetto di monitoraggio della salute delle api «Beenet», un progetto per il quale il Governo, rispondendo, in data 3 dicembre 2014, all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04098 del primo firmatario del presente atto, aveva garantito la conferma, prevedeva: «[...] una rete di monitoraggio nazionale sullo stato di salute degli alveari, anche al fine di approfondirne le cause di moria delle api e di spopolamento. Si tratta di un progetto che coinvolge 3.000 alveari situati in ogni regione e provincia autonoma, attraverso periodici controlli e successive analisi di laboratorio sulle diverse matrici raccolte (api morte, api vive, covata, cera, polline). A supporto del monitoraggio ci sono poi le “segnalazioni” che permettono di rilevare eventi anomali in alveari che non fanno parte della rete. Il sistema delle segnalazioni prevede che l'apicoltore segnali al Servizio veterinario dell'ASL competente per territorio l'episodio di mortalità e che lo stesso proceda al necessario sopralluogo con raccolta di campioni e al loro invio all'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie per le analisi del caso, in collaborazione anche con la rete BEENET. Il progetto BEENET, è coordinato dal CRA-API in collaborazione con l'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, con il Dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. [...]»;
    in data 6 ottobre 2016 il Governo rispondendo all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09680 del primo firmatario del presente atto circa il progetto «Beenet» chiariva quanto segue: «[...] abbiamo riproposto il finanziamento anche per il periodo di programmazione 2015-2020; in tal senso abbiamo chiesto al Crea di redigere una nuova proposta progettuale, attualmente in fase di valutazione, al fine di realizzare ogni utile sinergia con l'analoga rete di monitoraggio promossa dal Ministero della salute. [...] Preciso che il progetto è stato finanziato su volontà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali per dare continuità e mettere a sistema l'esperienza maturata dal precedente Progetto sperimentale Apenet, nato dall'esigenza di mettere in atto misure in grado di fornire risposte adeguate alle problematiche legate ai fenomeni della mortalità o di spopolamento di famiglie di api segnalati in numerosi Paesi, fra cui L'Italia. [...] Le attività realizzate sono finalizzate alla verifica dello stato di salute delle api, per trarre utili indicazioni sulla diffusione delle principali patologie, sugli effetti dei fitofarmaci e, più in generale, sulle interazioni tra il benessere delle colonie e l'agro-ecosistema. Dall'iniziale progetto sperimentale, si è passati al programma di monitoraggio permanente, per dare continuità all'attività di monitoraggio, da cui sono state ricavate informazioni molto importanti, sulla salute delle api [...]»;
    occorrerebbe specificare a quale periodo il Governo si riferisca riguardo «[...] all'attività di monitoraggio da cui sono state ricavate informazioni molto importanti, sulla salute delle api»,

impegna il Governo:

   ad assumere una iniziativa normativa sull'utilizzo dei prodotti fitosanitari più stringente, rispetto a quella oggi in vigore, che introduca, a livello nazionale, divieti ed eventuali sanzioni, superando la logica delle raccomandazioni, sancendo distanze certe e determinate tra i luoghi oggetto di irrorazione con fitofarmaci e le aziende apistiche, le coltivazioni biologiche e biodinamiche, al fine di garantire la tutela degli insetti impollinatori e la salubrità dei prodotti apistici e delle produzioni agroalimentari biologiche e biodinamiche;
   a riattivare il progetto Beenet coordinato dal Crea, anche alla luce della risposta al question time n. 5-09680 svolto in data 6 ottobre 2016, senza «una fase di valutazione», così come descritto in premessa;
   ad attivare un coordinamento maggiore fra Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e regioni, affinché si possano affrontare le problematiche inerenti alla moria delle api, con maggiore incisività e tempestività, individuando anche lo stanziamento di fondi ad hoc non solo per formare il personale in loco, ma anche al fine di consentire agli apicoltori la possibilità di ottenere un risarcimento per le perdite subite negli alveari;
   a promuovere, nell'ambito della riorganizzazione del Crea, un piano di ricerca pubblica che cerchi di approfondire le cause principali dello spopolamento delle api e dell'indebolimento genetico delle stesse, incentivando attraverso fondi specifici i progetti di biomonitoraggio con le api e i progetti di apicoltura naturale per l'allevamento delle api senza l'utilizzo di prodotti di sintesi, avvalendosi anche del contributo scientifico di esperti entomologi;
   ad incentivare, nell'ambito della riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato, i controlli sulla produzione del miele, nonché sulla commercializzazione e sulla distribuzione in Italia dello stesso proveniente dall'estero;
   a favorire le produzioni di qualità, garantendo il consumatore e tutelando i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza sleale estera, assumendo iniziative per estendere a tutti i prodotti alimentari apistici (nello specifico pappa reale e polline) l'obbligo, attualmente in vigore per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e per tutte le categorie di prodotti la provenienza dei pollini utilizzati, e promuovendo l'etichettatura obbligatoria per i prodotti apistici europei al fine di superare quanto previsto dal regolamento (UE) n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
   ad assumere iniziative per aumentare i controlli sulle merci e la qualità di tali controlli (in particolare, sul legname da ardere e prodotti affini importati) prevedendo eventualmente il blocco delle importazioni di determinate merci ritenute altamente pericolose, perché potenzialmente vettori di parassiti alieni.
(7-01135) «Zaccagnini, Schullian».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    secondo il rapporto del Comitato permanente di ricerca e statistica (Scrs) della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (Iccat), approvato a Madrid il 7 ottobre 2016, negli ultimi 4 anni la produzione di pesce spada del Mediterraneo è stabile intorno alle 10.000 tonnellate. Dal 1988 e fino al 2011, gli sbarchi registrati di pescespada nel Mar Mediterraneo sono diminuiti, fluttuando tra 12.000 a 16.000 tonnellate. Negli ultimi quattro anni (2012-2015), a seguito dell'attuazione della chiusura della pesca di tre mesi e la costituzione di un elenco delle navi autorizzate, lo sforzo di pesca complessivo è stato diminuito e per questo le catture si sono attestate intorno a 10.000 tonnellate;
    sulla base dei dati disponibili e degli assunti adottati, la age-structured analysis (XSA) evidenzia che gli attuali livelli di SSB (Spawning Stock Biomass) sono più bassi rispetto a quelli degli anni ’80, anche se non è desumibile un trend attendibile;
    i diversi dati indicano che lo stock sta probabilmente subendo un eccessivo sfruttamento, anche se la valutazione è stata fatta solo sulle catture in 4 Paesi (Spagna, Grecia, Algeria e Marocco – si veda il rapporto dell'Iccat approvato a Casablanca 11-16 luglio 2016);
    l'attuale composizione delle catture continua ad essere caratterizzata da molti esemplari di piccole dimensioni, vale a dire di meno di 3 anni (molti dei quali non sono mai giunti a riprodursi) e dal relativamente basso numero di grandi individui. Esemplari con meno di tre anni di solito rappresentano il 50-70 per cento delle catture annuali totali in termini di numero. Una riduzione del volume delle catture dei giovanili contribuirebbe a migliorare il valore di Ssb (biomassa di riproduttori);
    negli ultimi 25 anni, i livelli di biomassa sembrano essere piuttosto stabili su bassi livelli; tuttavia, i livelli di mortalità per pesca hanno mostrato dal 2010 una tendenza decrescente, evidentemente per effetto delle misure tecniche e di gestione adottate dall'Iccat, dalle parti contraenti ma, soprattutto, dagli Stati membri dell'Unione europea, Italia in primis;
    partendo da questo assunto, non privo di incertezze, sembra che lo stock sia attualmente sovrasfruttato e in sofferenza per overfishing; in accordo con gli obiettivi della Commissione, lo stock sembrerebbe avere necessità di un piano di gestione per diminuire la mortalità da pesca, soprattutto dei giovanili, attraverso misure complementari quali la chiusura della pesca dell'alalunga nel periodo autunnale;
    l'assemblea dell'Iccat – Commissione internazionale per la conservazione dei tonni atlantici (International Commission for the Conservation of Atlantic TunasICCAT), in programma a novembre 2016 in Portogallo, dovrà definire misure di tutela per il pesce spada;
    l'Italia, con circa il 50 per cento di catture, e con poco meno di 5.000 tonnellate pescate ogni anno, è il primo Paese per flotta e produzione di tutto il bacino del Mediterraneo; in particolare, la flotta per la cattura del pescespada è dieci volte superiore a quella del tonno prima dell'introduzione dei quantitativi massimi di cattura;
    le indagini genetiche hanno messo in evidenza delle differenze significative tra il pesce spada del Mediterraneo e quelli dell'Oceano atlantico;
    misure a tutela dello stock mirate a definire la taglia minima a 142 centimetri, senza la spada, per gli esemplari pescati nel Mediterraneo, avrebbero, come effetto, il divieto assoluto alla cattura del pescespada nel Mediterraneo, anche con attrezzi ammissibili e con sistemi legali;
    la flotta censita in Italia per il pescespada è oggi di circa 848 unità; applicare misure quali la totale ammissibile di catture (Tac) del pesce spada su una flotta di tali dimensioni, è, di fatto, pressoché impossibile;
    il sistema di quote per il tonno rosso ha determinato l'uscita dal mercato di numerose imprese;
    l'introduzione di vincoli alle catture, anche nella pesca al pesce spada, rischia di mettere in crisi le imprese di pesca e minaccia migliaia di posti di lavoro, molti dei quali nel settore della pesca artigianale, senza peraltro garantire una migliore tutela di questa risorsa ittica;
    è essenziale, per la tutela delle risorse ittiche, prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata;
    l'elevato numero di imbarcazioni censite negli ultimi anni, per effetto di politiche di contenimento dello sforzo di pesca adottate dall'Italia (in ottemperanza alle raccomandazioni dell'Iccat) si è ridotto al 10 per cento (da circa 8000 a poco meno di 850); in particolare, dopo l'abolizione delle spadare, i pescatori italiani hanno contribuito in modo significativo al contenimento della pesca del pesce spada, con un ridimensionamento della flotta di palangari che, negli anni, sono passati da 6500 unità a 3000 unità, sino alle 900 imbarcazioni autorizzate in base alle più recenti normative;
    l'introduzione e la progressiva riduzione della cosiddetta «TAC» (Totale Ammissibile di Catture) del pescespada nel Mediterraneo per molte ragioni non rappresenta la soluzione migliore per la tutela dello stock ittico; secondo la Medac – l'associazione senza scopo di lucro delle organizzazioni europee e nazionali del settore della pesca – (Spalato, 20 aprile 2016 – parere approvato dal comitato esecutivo; Ajaccio, 13 ottobre 2016) molte misure di gestione dello stock ittico alternative o integrative di quelle in vigore, si sono rivelate più efficaci dell'introduzione di Tac e quote;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, alla fine di settembre 2016, ha definito con apposito decreto le misure tecniche da adottare per garantire il rispetto del periodo di sospensione della pesca di pesce spada;
    le misure disposte dal decreto, oltre a prescrivere il divieto dell'attività di pesca nel periodo di riproduzione, garantiscono piena tutela dell'ecosistema attraverso la protezione degli esemplari giovanili di pesce spada;
    in particolare, in conformità alla raccomandazione dell'Iccat n. 13-04 e al decreto ministeriale del 3 giugno 2015, il provvedimento vieta l'impiego di ami non selettivi disponendo, nel periodo compreso tra il 1o ottobre e il 30 novembre, il divieto di cattura di esemplari della specie «alalunga», nonché di utilizzo del «palangaro derivante» per il prelievo di altre specie bersaglio, ad eccezione delle unità munite di permesso speciale per le catture di tonno rosso,

impegna il Governo:

   a negoziare in sede europea e presso la Commissione internazionale per la conservazione dei Tonnidi nell'Atlantico (Iccat), misure di gestione che tengano conto della specificità e della tradizione del nostro Paese, anche in considerazione del contributo del sistema pesca nazionale alla tutela degli stock ittici e alla difesa della qualità del pescato;
   ad assumere iniziative per introdurre misure alternative al cosiddetto «TAC» (totale ammissibile di catture) del pescespada nel Mediterraneo in grado di contribuire efficacemente a ridurre la pressione sullo stock, quali quelle relative alle chiusure spazio temporali, alla limitazione nel numero degli ami in funzione del numero di membri di equipaggio a bordo di ciascuna imbarcazione, alla riduzione della lunghezza del trave (oggi fissato dall'Iccat in 55 chilometri), ai dispositivi per la tracciabilità del prodotto sbarcato, ai sistemi di monitoraggio delle imbarcazioni autorizzate;
   a valutare preventivamente, prima di sottoscrivere accordi in sede europea o internazionale, le implicazioni socioeconomiche di misure quali il totale ammissibile di catture (Tac), comunque da riferire all'intero ammontare di pescespada pescato nel Paese;
   ad assumere iniziative per disporre adeguate misure a salvaguardia dell'occupazione e delle imprese di pesca in relazione agli interventi di tutela dello stock ittico;
   ad assumere iniziative per introdurre efficaci sistemi di identificazione, per evitare il consumo di prodotto di provenienza illecita;
   regolamentare la pesca non professionale.
(7-01136) «Venittelli, Oliverio, D'Incecco, Minnucci, Fragomeli, Luciano Agostini, Rostellato, La Marca, Valiante, Carloni, Falcone, Capozzolo, Culotta, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   alle 7,40 del 30 ottobre, un terremoto di magnitudo 6,5 – il più forte degli ultimi 36 anni – con epicentro a 5 chilometri da Norcia, si è abbattuto al confine tra Marche e Umbria ed è stato fortemente avvertito anche nei territori già interessati dagli eventi sismici del 24 agosto e del 26 ottobre 2016;
   il sisma del 24 agosto aveva già provocato, oltre alla terribile perdita di vite umane, danni ingentissimi al patrimonio abitativo, produttivo, infrastrutturale e artistico;
   seppur in assenza di vittime, anche il bilancio del terremoto del 30 ottobre è tragico: solo nelle Marche si contano 25 mila sfollati, che in totale potrebbero arrivare a quota 100 mila;
   il terremoto ha distrutto borghi medievali, deturpato beni architettonici, depredato tesori artistici. Ha raso al suolo l'intero patrimonio abitativo e messo in ginocchio l'economia fatta di eccellenze eno-gastronomiche, turismo religioso e paesaggistico;
   sin dal primo momento Forza Italia ha dichiarato la propria disponibilità a collaborare per la ricostruzione; d'altra parte il Governo – che dopo il terribile terremoto del 24 agosto 2016 ha impiegato quasi due mesi per approvare un decreto-legge recante interventi in favore delle popolazioni colpite – nonostante la disponibilità dimostrata da tutti i partiti di opposizione, non ha mai convocato alcun tavolo di «coesione nazionale», per decidere come fronteggiare l'emergenza, aiutare le regioni colpite e discutere di ricostruzione e di messa in sicurezza del territorio;
   i numeri reali, inoltre, raccontano di un forte gap tra la cifra stanziata nella manovra di bilancio per l'emergenza terremoto (600 milioni di euro) e quello 0,2 per cento di «flessibilità» (circa 3,4 miliardi di euro) che il Governo si è già preso in nome della stessa emergenza, già prima della scossa devastante del 30 ottobre 2016;
   nella lettera di risposta alla Commissione europea, il Governo italiano aveva quantificato in due decimi di punto di prodotto interno lordo, circa 3,4 miliardi di euro, i maggiori costi da sostenere il prossimo anno per affrontare la ricostruzione post-sisma;
   al momento in cui la missiva parte per Bruxelles, però, nel disegno di legge di Bilancio le cifre che il Governo stanzia per la ricostruzione sono decisamente inferiori (600 milioni). La spesa è così articolata: per il 2017 sono previsti 100 milioni «per la concessione del credito d'imposta maturato in relazione all'accesso ai finanziamenti agevolati» erogati dal Governo, cioè la cosiddetta «ricostruzione privata»; altri 200 milioni di euro nel 2017 «per la concessione di contributi finalizzati alla ricostruzione pubblica». In totale, per il prossimo anno, 300 milioni a cui si aggiungono 300 milioni di confinanziamento regionale di fondi strutturali che peraltro – si puntualizza – «non comportano una modifica dei saldi di finanza pubblica»;
   i conti non tornano nemmeno se si considera il fondo per lo sviluppo degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale istituito dall'articolo 21 del disegno di legge di bilancio, per cui il Governo ha previsto 1,9 miliardi di euro. Anche così per le risorse dedicate al sisma raggiungerebbero soltanto quota 1,6 miliardi di euro, circa la metà di quanto chiesto a Bruxelles;
   non aiuta a far quadrare i conti il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016», annunciato in pompa magna, ma arrivato in Senato dopo circa due mesi; nel provvedimento le cifre stanziate sono assai basse: 266 milioni di euro per il 2016, 81,85 per il 2017. È lecito quindi, secondo gli interpellanti, dubitare che il Governo utilizzi i margini concessi dall'Europa per coprire altri capitoli di spesa presenti nella manovra –:
   quante siano le risorse realmente e immediatamente disponibili per affrontare la prima emergenza legata al sisma e quante quelle altrettanto necessarie per avviare un piano di ricostruzione dei comuni colpiti;
   quali siano i provvedimenti normativi in cui sono stanziate tali somme;
   se sia stata avviata la procedura per l'attivazione del fondo di solidarietà (FSUE) per le calamità naturali dell'Unione europea e quale sia l'ammontare delle spese per le quali si chiede l'intervento dell'Unione europea;
   se si ritenga utile e necessario assumere iniziative per prevedere l'allentamento del patto di stabilità per i comuni colpiti dal sisma, i quali pur avendo delle risorse disponibili per affrontare l'emergenza non sono in grado di utilizzarle;
   quali siano stati gli interventi effettuati fino ad ora per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo, produttivo e infrastrutturale, nonché del patrimonio artistico e architettonico (come, ad esempio, puntellamenti e coperture provvisorie, tipici di queste prime fasi emergenziali);
   quali soluzioni saranno adottate per consentire lo svolgimento dell'ordinaria attività scolastica per le scuole di ogni ordine e grado;
   quali siano le misure immediate che il Governo intende promuovere per aiutare le aziende del settore agricolo, agroalimentare e zootecnico (spesso anche piccolissime e di carattere famigliare) che hanno subito danni così ingenti da metterne a rischio anche la stessa sopravvivenza, anche in riferimento alla tutela dei marchi e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   quali siano le ragioni per cui, come previsto nel piano annunciato dal Governo, si rende necessario prevedere l'utilizzo dei container (entro Natale) prima della sistemazione nelle «casette» in legno (a primavera) in attesa della ricostruzione delle abitazioni, e se le aree che verranno urbanizzate per i container saranno le stesse che verranno utilizzate per le «casette» in legno, considerato che, come è noto l'installazione di un container presuppone in ogni caso i tempi e i costi dell'urbanizzazione dell'area (acqua, fogne, energia elettrica, strade, illuminazione), che di fatto sono del tutto analoghi a quelli necessari per il montaggio delle cosiddette «casette» in legno (che però consentono condizioni di vita più confortevoli e certo non paragonabili a quelle di un container);
   quali siano le ragioni per cui non è stato ancora convocato il tavolo di coesione nazionale, quale luogo ove condividere con l'insieme delle forze politiche scelte e strategie per affrontare un'emergenza così drammatica;
   quale sia lo stato di attuazione del cosiddetto progetto «Casa Italia», e quali risorse siano realmente disponibili.
(2-01530) «Polverini, Polidori, Brunetta, Laffranco».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   tra gli accordi internazionali che concernono la sottrazione di minori vi è la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, applicata nell'ordinamento italiano in forza della legge n. 64 del 1994 e ratificata da 93 Paesi;
   essa si pone l'obiettivo primario di consentire il ritorno del minore nello Stato di residenza abituale (articolo 8); altro fondamentale obiettivo della Convenzione è quello di garantire ti diritto del minore ad incontrare il genitore dal quale è stato illecitamente sottratto, regolamentandone la modalità di frequentazione anche nel Paese estero;
   ad oggi, la Convenzione è l'unico strumento giuridico internazionale cogente cui è possibile ricorrere per i casi di sottrazione e/o per la regolamentazione del diritto di cura parentale dei minori sottratti e portati coattivamente, a grande distanza dal contesto familiare in cui sono nati e cresciuti, in Paesi non appartenenti all'Unione europea;
   la sottrazione internazionale di minore si verifica nel caso in cui un minore viene illecitamente trasferito all'estero o illecitamente trattenuto all'estero (mancato rientro);
   i casi di sottrazione sono innumerevoli nel nostro Paese così come nel resto dell'Europa, e presentano aspetti assai diversi tra loro. Nel corso del tempo si sono registrate alcune problematiche, segnalate anche da associazioni come «Adiantum» (Associazione di aderenti nazionali per la tutela dei minori) in ordine soprattutto al trauma che il bambino vittima di sottrazione subisce;
   secondo la citata associazione, infatti, il minore sottratto viene catapultato in un vortice di circostanze che determinano cambiamenti incisivi nella propria vita di bambino: variazioni del clima, del paesaggio, delle mura domestiche, dell'alimentazione, della lingua parlata, dei rapporti sociali, del gioco, dell'emulazione, della scuola e delle condizioni economiche (spesso disagiate). Tutto ciò segna l'inizio di un calvario sia affettivo che legale, dal momento che il bambino trascorre molto tempo prima di rivedere (o anche sentire telefonicamente) il genitore a cui è stato sottratto, in ciò acutizzando un forte senso di abbandono che lo seguirà per tutta la vita;
   le sottrazioni internazionali, oltre a essere di per sé dolorose per i figli e genitori che ne sono colpiti, possono costituire un elemento di forte turbamento nei rapporti tra gli Stati interessati, e far sorgere dei problemi di competenza giuridica sia nel Paese in cui il minore è stato sottratto sia in quello in cui è stato trasferito; tali problemi coinvolgono necessariamente, per dispositivo normativo (si veda anche il regolamento «Bruxelles II-bis»), le «Autorità Centrali Convenzionali c/o il Ministero della Giustizia e le Autorità Consolari dei reciproci Paesi dei genitori interessati»;
   nella fattispecie, le criticità che si sono evidenziate nel tempo riguardano gli articoli 12, comma 1, e 13, lettera b), della citata Convenzione: nel caso dell'articolo 12, il comma prevede che il genitore del minore sottratto è obbligato a presentare l'istanza presso l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore dopo la sottrazione, laddove invece sarebbe opportuno prevedere una sua modifica per consentire la presentazione dell'istanza dove si trovava il minore antecedente alla sottrazione o al mancato rientro, ovvero nell'ultima residenza o dimora abituale del minore eventualità che aprirebbe scenari diversi e favorevoli, in quanto il genitore a cui viene sottratto il minore non sarebbe più obbligato a rivolgersi a un'autorità straniera, ma a quella del luogo dove il bambino aveva per ultimo la residenza abituale e i propri affetti più cari; inoltre, tale modifica fungerebbe da deterrente per il genitore reo dell'allontanamento forzato, sia nel caso che sottragga illecitamente il minore sia nel caso metta in atto un mancato rientro, evitando così lo sradicamento culturale, ideologico e affettivo dal proprio Paese d'origine;
   nel caso, invece, dell'articolo 13 della citata Convenzione, la criticità riguarda la circostanza nella quale il rimpatrio del minore nel Paese d'origine, viene reso vano, ai sensi della lettera b), dal semplice deposito di una dichiarazione di un qualunque assistente sociale dell'ufficio di competenza ove in quel momento il minore si trova; viene, per ciò stesso, auspicata dalle citate associazioni la soppressione di quanto disposto negli articoli 12 e 13, lettera b), in quanto il genitore è obbligato a rivolgersi a un'autorità giudiziaria o amministrativa locale con le conseguenti difficoltà anche personali (la lingua straniera, i costi che il genitore del minore sottratto deve affrontare e altro) –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche evidenziate in premessa e quale sia la loro dimensione attuale;
   se e quali intendimenti abbia il Governo in ordine alle auspicate modifiche dei citati e controversi articoli della Convenzione dell'Aja, nel senso di farsene promotore in sede internazionale, in prossimità della scadenza del suo rinnovo quinquennale;
   se non si ritenga di adottare iniziative volte a facilitare la stipula di accordi con gli Stati non aderenti alla citata Convenzione per agevolare il rientro dei minori sottratti nei Paesi di abituale residenza anteriormente alla sottrazione, nel rispetto delle rispettive sovranità nazionali.
(2-01525) «Scagliusi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, VACCA, MANTERO, BRESCIA, ALBERTI, PESCO e CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le fidejussioni sono strumenti molto usati in ambito calcistico, principalmente a corredo delle iscrizioni ai campionati o a sostegno di esposizioni debitorie;
   una polizza fideiussoria si diversifica dal tradizionale istituto della fidejussione previsto dal codice civile, tanto che la Corte di cassazione l'ha definita garanzia atipica, svincolandola dalle norme che si applicano alla fidejussione ordinaria; in ambito calcistico la polizza fideiussoria rappresenta l'impegno di pagare un determinato importo al beneficiario (la Lega Pro), da parte della compagnia di assicurazione (o una banca), al fine di garantire a quest'ultimo la prestazione a lui dovuta dal contraente (la squadra);
   attualmente le norme federali richiedono una fidejussione pari a 350 mila euro per accedere al campionato di Lega Pro, che diventano 800 mila per la «serie B»; sono poi previste garanzie supplementari per le società che non rispettano alcuni parametri di bilancio;
   il facile ricorso a tali società offshore è stato reso agevole anche grazie ad un parere emesso dall'Antitrust su una delibera della Figc che aveva inizialmente ristretto alle sole banche la possibilità di emettere fideiussioni a favore di squadre di calcio, ciò comportando che dal 2015 anche le compagnie di assicurazioni e le altre società finanziarie autorizzate da Bankitalia possono avallare gli impegni dei club per l'iscrizione al campionato;
   con il comunicato stampa del 16 settembre 2016, l'IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) comunica che «l'Autorità di Vigilanza del Liechtenstein (FMA) in data 15 Settembre 2016, ha reso noto di aver adottato, in data 7 Settembre 2016, il divieto di concludere nuovi contratti e di disporre del proprio patrimonio nei confronti di: GABLE INSURANCE AG impresa assicurativa con sede legale in Liechtenstein, abilitata ad operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi, in diversi rami danni e operativa in

particolare nel ramo 15 (cauzione), nell'ambito del quale rientra il rilascio di polizze fideiussorie»;
   a seguito di tale comunicato, alcune testate giornalistiche (in particolare, il settimanale l'Espresso) rivelano come decine di squadre per regolarizzare i bilanci e iscriversi al campionato si siano affidate alle garanzie della Gable Insurance; tra i club coinvolti emergono la Sampdoria, il Bari e una ventina di società di Lega Pro, anche se l'elenco non appare del tutto definitivo ed è possibile che altre squadre siano coinvolte;
   la Gable Holding, capofila del piccolo gruppo finanziario, batte bandiera alle Isole Cayman, ma risulta avere uffici nella capitale britannica e ha sede legale in Liechtenstein;
   emerge che la società, sull'orlo del fallimento, abbia interrotto l'attività commerciale perché non in grado di fronteggiare le numerose richieste di emettere nuove polizze e di disporre del patrimonio fino a quando non verranno individuati nuovi capitali per coprire i buchi di bilancio;
   in Italia, nei mesi scorsi nessun organo abilitato a effettuare tali tipi di controllo (come, ad esempio, la Covisoc) aveva rilevato anomalie ed anzi alcuna rilevazione critica è stata mossa nei confronti di questa tendenza dei club di affidarsi alle polizze della Gable Insurance; eppure qualche mese prima la compagnia aveva lanciato un primo segnale d'allarme correggendo al ribasso le anticipazioni sui risultati del 2015 pubblicate a fine marzo per poi apprendere come il bilancio dell'anno 2015 sia andato in perdita per 25 milioni di sterline (quasi 30 milioni di euro) e il prezzo di borsa del titolo crollato del 90 per cento nell'arco di un anno;
   tuttavia, pare che a seguito di esplicita richiesta avanzata dalla Lega Pro, l'Ivass confermava che Gable Insurance, risultasse abilitata ad operare in Italia in libera prestazione di servizi nel ramo 15 e quindi abilitata al rilascio di fidejussioni necessarie per l'iscrizione al campionato –:
   quale scenario potrebbe aprirsi per quanto riguarda le conseguenze nel rapporto fra creditore e debitore, (ovvero fra Lega e squadre), nel caso in cui la Gable Insurance non riuscisse a confermare gli impegni che si è assunta;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alle dinamiche di mercato e alle criticità concernenti le operazioni finanziarie finalizzate al rilascio di fidejussioni in ambito sportivo;
   se non si ritenga opportuno e quanto più urgente assumere iniziative normative per una revisione dell'intero sistema di garanzie che ruotano attorno al calcio, atteso che certi strumenti come le fideiussioni, hanno ormai ampiamente dimostrato di non essere all'altezza di garantire la solvibilità di una obbligazione né la stabilità finanziaria di una squadra ammessa a un campionato. (5-09944)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 208 del 2015 ha previsto l'istituzione del «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario mediante chiamata diretta di studiosi, sia italiani che stranieri, di elevato e riconosciuto merito scientifico;
   da notizie stampa si apprende che la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione della normativa di cui alla legge n. 208 del 2015, all'esame del Consiglio di Stato per poi essere sottoposto all'esame del Parlamento per i pareri, prevede che la procedura di selezione di 500 professori «Natta» saranno affidate a 25 commissioni, per altrettante aree di ricerca, ognuna delle quali sarà costituita da un presidente e da due commissari, individuati tra professionalità di prestigio della docenza universitarie e della ricerca e la cui durata sarà pari a tre anni;
   sempre da notizie di stampa si apprende che il presidente di ciascuna delle 25 commissioni sarà nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in base ad una lista di venti nominativi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca individuati tra studiosi di elevatissima qualificazione scientifica e con ruoli di prestigio presso istituzioni estere o internazionali;
   la nomina delle commissioni, riconducibile al Governo e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha suscitato molte perplessità, soprattutto nel mondo accademico, in quanto si tratta di una procedura inusuale nel panorama internazionale, preoccupazioni che sono riconducibili all'autonomia delle università. I dubbi sono anche legati alla volontà di garantire – giustamente – l'imparzialità del processo di selezione dei docenti, di aggirare le baronie e di liberare i talenti, attraverso la scelta di avocare alla Presidenza del Consiglio la nomina dei presidenti di commissione;
   l'intervento è finalizzato ad accrescere l'attrattività e la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale. Le procedure concorsuali, i salari bloccati, la lentezza delle carriere scoraggiano i ricercatori italiani e tengono lontani quelli stranieri. Il provvedimento in questione, secondo quanto affermato dal Governo, dovrebbe contribuire a far rientrare in Italia quei ricercatori italiani di eccellenza, i cosiddetti «cervelli in fuga»;
   il reclutamento definisce l'inquadramento dei 500 professori «Natta» come professori di prima e seconda fascia e prevede una retribuzione superiore del 30 per cento rispetto a quella dei docenti ordinari;
   il provvedimento è stato emanato senza il confronto con la conferenza dei rettori delle università italiane e con l'Anvur, che avrebbero potuto fornire utili indicazioni e strumenti per raggiungere l'obiettivo di accrescere l'attrattività e la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale –:
   come intenda intervenire per garantire l'autonomia delle università e l'imparzialità nel processo di selezione dei docenti universitari e assicurare a tutti le stesse opportunità, anche attraverso il ritiro o la modifica del testo del decreto in questione e, nell'eventualità si optasse per questa soluzione, come intenda garantire che la definizione del nuovo testo avvenga nel pieno rispetto dell'autonomia universitaria e di concerto con il sistema universitario (4-14667)


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2011 (Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2012), all'articolo 3, prevede per le coppie che abbiano un reddito complessivo fino a euro 35.000 il rimborso del 50 per cento delle spese sostenute per le adozioni internazionali completate nel secondo semestre dell'anno 2011;
   alcune delle domande di rimborso delle spese dei genitori adottivi che sono state presentate nel periodo dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012 hanno ottenuto il rimborso del 50 per cento delle spese dell'adozione previsto dal suddetto decreto, mentre altre non hanno ancora incassato alcun tipo di rimborso;
   al 31 dicembre 2016 saranno quattro anni dalla data di scadenza per la presentazione delle domande di rimborso delle spese di adozione effettuate fino al 31 dicembre 2012 –:
   se siano a conoscenza della vicenda;
   quale sia la disponibilità finanziaria per il corrente anno 2016 del capitolo 538, denominato fondo per il sostegno delle adozioni internazionali – del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   quale sia il numero complessivo delle domande di rimborso riferite alle adozioni internazionali conclusesi nel secondo semestre del 2011 e presentate nel periodo dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012 dai genitori adottivi alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Commissione per le adozioni internazionali, suddivise per associazioni che hanno seguito l’iter adottivo, e quali siano le date di presentazione delle domande;
   quanti rimborsi siano stati erogati relativamente alle domande di adozione presentate dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012 suddivise per le diverse associazioni accreditate che hanno accompagnato i genitori nell’iter adottivo e quali siano le date di presentazione delle stesse;
   quanti rimborsi relativi alle domande presentate dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012 risultino ancora da erogare, specificando le diverse associazioni che hanno seguito l'adozione e le date di presentazione delle domande stesse.
(4-14674)


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, COLLETTI, DEL GROSSO, VACCA e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), nato con l'obiettivo di raccogliere in un unico polo le principali realtà scientifiche nazionali nei settori della geofisica e della vulcanologia, svolge le seguenti attività: coopera con numerose università ed altre istituzioni di ricerca nazionali ed internazionali; è attualmente la più grande istituzione europea nel campo della geofisica e vulcanologia e una delle più grandi nel mondo; monitora fenomeni geofisici; sorveglia la sismicità dell'intero territorio nazionale e l'attività dei vulcani italiani attraverso reti di strumentazione tecnologicamente avanzate, distribuite sul territorio nazionale o concentrate intorno ai vulcani attivi; trasmette i dati in tempo reale alle sale operative di Roma, Napoli e Catania, dove personale specializzato, presente 24 ore su 24, li elabora per ottenere i parametri dell'evento in atto;
   secondo notizie di stampa (Sole 24 ore del 14 ottobre 2016), la sede de L'Aquila rischia di essere chiusa per mancanza di fondi;
   altre fonti di stampa (Abruzzoweb del 15 ottobre 2016) ipotizzano che la chiusura della sede sia legata ad un'ipotesi di trasferimento, della quale non vi è conferma ufficiale e di cui non sono note tempistiche e modalità;
   la sede in questione era stata istituita subito dopo il terremoto del 2009 a seguito di un accordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
   era prevista una fase iniziale di attività di durata pari a cinque anni con scadenza, dunque, al 31 dicembre 2015, poi prorogata di un anno;
   per la prosecuzione dell'attività sarebbe necessario, in assenza di un interessamento da parte della regione Abruzzo, di un nuovo intervento da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la sede del L'Aquila riveste un ruolo importante di supporto alle attività dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, considerato che la regione Abruzzo e le regioni confinanti sono avvolte da una rete di 12 faglie capaci di generare terremoti di potenza superiore ai 6,5 gradi Richter;
   il compito della struttura dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia de L'Aquila, oltre al monitoraggio sismico, è lo studio delle faglie attive e della risposta dei terreni alle sollecitazioni sismiche, la cosiddetta microzonazione, in corso dal 2010 su 2 mila comuni italiani;
   tra i compiti della struttura è annoverato anche il controllo della sismicità in prossimità della diga di Campotosto, dove si trova una delle dodici faglie del territorio abruzzese e che passa a poco più di trecento metri dalla diga del Rio Fucino, uno dei tre invasi dell'omonimo lago; si tratta del secondo bacino artificiale più grande d'Europa e, nell'ipotesi di danneggiamento delle dighe, enormi masse d'acqua metterebbero a rischio tutti i comuni a valle;
   in Italia è possibile attribuire alla pericolosità sismica un livello medio-alto, per la frequenza e l'intensità dei fenomeni che si susseguono, con una vulnerabilità molto elevata, a causa della notevole fragilità del patrimonio edilizio, nonché del sistema infrastrutturale, industriale e produttivo;
   con la dovuta attenzione preventiva il numero delle vittime dei terremoti in Italia, così come in Abruzzo, avrebbe potuto essere ridotto di gran lunga, se non azzerato e sarebbe stato anche possibile mettere in sicurezza perlomeno gli edifici strategici;
   proprio per le ragioni sopra esposte l'attività svolta dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è importantissima e il ruolo della sede aquilana è strategico per le finalità dell'istituto –:
   se corrisponda al vero che la sede dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia de L'Aquila rischi di cessare la propria attività il 31 dicembre 2016;
   quali iniziative intenda adottare il Governo, nel caso in cui non trovi conferma l'ipotesi del trasferimento, al fine di garantire che la sede dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia de L'Aquila possa proseguire la sua fondamentale attività di supporto al lavoro dell'Istituto. (4-14677)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stato predisposto di recente il testo di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal comma 210, dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), riguardante la chiamata diretta di professori di prima e seconda fascia per complessive 500 unità, a cui verrebbero attribuite posizioni stipendiali particolarmente favorevoli e uno stato giuridico, caratterizzato da norme che fanno eccezione al regime ordinario;
   l'articolo 4 del suddetto schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevedrebbe la nomina, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei presidenti delle commissioni giudicatrici, caratterizzati da «elevatissima qualificazione scientifica» e dal ricoprire posizioni di vertice presso istituzioni di ricerca internazionali o in istituzioni situate in Italia, ma con una verosimile caratterizzazione internazionale. A tale fine si dovrebbero creare 25 commissioni per 25 aree disciplinari, già individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   in questo modo si potrebbero già prefigurare i vincitori, proprio quello che la «meritocrazia» sostiene di volere evitare; dietro la retorica della lotta ai «baroni», ad avviso dell'interrogante, vengono creati percorsi accademici opachi;
   negli allegati alla bozza del decreto ci sarebbe quella che l'interrogante giudica un'altra anomalia: una riserva di cattedre distribuite in tre settori disciplinari, il più grande dei quali è glottologia e linguistica materie insegnate dalla Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini e dall'attuale capo dipartimento dell'università, ex presidente dei rettori della Crui Marco Mancini;
   se le cattedre dovessero essere distribuite in maniera proporzionale rispetto al numero dei docenti italiani, a questo bacino toccherebbero 6 posti, invece ne risulterebbero 24. Un orientamento questo che penalizzerebbe le altre scienze umane. A queste ultime sarà riconosciuta in media mezza cattedra ogni cento docenti. Al settore Erc a cui afferiscono anche la glottologia e la linguistica otto volte in più. Il settore avrà due «supercattedre» in più rispetto a chimica di sintesi e dei materiali o ingegneria dei sistemi e delle comunicazioni;
   tra il 2009 e il 2016 sono stati persi 12.500 posti per tagli e blocco del turn-over, ma il Governo preferisce porre la sua particolare attenzione sull'1 per cento dei docenti italiani –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per ritirare la suddetta bozza di decreto e procedere all'abrogazione dell'impianto normativo che lo ha previsto, provvedendo piuttosto a rimpinguare i fondi per ricerca scientifica sempre più ridotti negli ultimi anni. (4-14683)


   REALACCI, BORGHI e BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l’«otto per mille» è la quota di imposta sui redditi dei soggetti IRPEF che lo Stato italiano distribuisce, in base alle scelte effettuate nelle dichiarazioni dei redditi, fra sé stesso e le confessioni religiose che hanno stipulato un'intesa con lo Stato medesimo. È stata introdotta dall'articolo 47 della legge n. 222 del 20 maggio 1985, in attuazione dell'accordo di Villa Madama del 1984, meglio conosciuto come accordo di revisione dei Patti lateranensi, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, nella qualità di rappresentante della Chiesa Cattolica. La norma stabilisce gli ambiti nei quali i soggetti beneficiari dell'otto per mille possono impiegare i fondi ricevuti, nonché il meccanismo di calcolo tale quota;
   partecipa, oltre alla Chiesa Cattolica ed altre confessioni religiose riconosciute secondo il dettato costituzionale, anche lo Stato italiano;
   il 20 aprile 2016 dal Presidente del Consiglio dei ministri sono stati adottati i decreti di assegnazione della quota dell'otto per mille dell'Irpef a gestione statale per l'anno 2014 relativi alle tipologie di intervento per: la «fame nel mondo», le «calamità naturali», la «conservazione di beni culturali» e l’«edilizia scolastica»; come diramato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri: «risorse a disposizione per l'anno 2015 per l'assegnazione del contributo alle categorie individuate dal decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, risultano insufficienti per il finanziamento dei progetti presentati. Pertanto, al fine di poter soddisfare in modo più significativo le richieste di contributo, la quota dell'otto per mille IRPEF a gestione statale relativa all'anno 2015 andrà ad incrementare le risorse per la ripartizione dell'annualità 2016»;
   la Corte dei Conti ha più volte censurato il comportamento dei precedenti Governi della Repubblica per: «un manifesto disinteresse sull'uso e il relativo risultato di detti fondi che, come detto, secondo la legge dovrebbero finanziare interventi per le calamità naturali, i beni culturali, l'assistenza ai rifugiati, la fame nel mondo e, in base alle ultime disposizioni, anche per l'edilizia scolastica». Viene poi altresì censurata dalla Corte la mancata pubblicità sulla scelta di devoluzione dell'8 per mille allo Stato che potrebbe così incrementare il gettito da utilizzare per i danni da catastrofi, le scuole, i beni culturali;
   il sisma che, dalla prima scossa tellurica del 24 agosto 2016, sta ancora interessando il Centro-Italia ha causato vittime e ferite gravissime al territorio delle regioni Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo con seri danni al tessuto sociale, economico e culturale. Solo considerando i danni al preziosissimo patrimonio storico-artistico, si contano preliminarmente più di 5000 edifici di alto valore danneggiati o crollati e che abbisogneranno di un flusso di finanziamento costante nel tempo. Una finalità per l'appunto prevista dalla legge n. 222 del 1985 sull'8 per mille;
   garantire la tenuta delle comunità e la ripresa delle attività economiche mentre procedono i lavori di ripristino e la messa in sicurezza delle aree terremotate è essenziale per tenere in vita quelle comunità –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative, anche per dare un'indicazione forte e stabile sull'impegno della ricostruzione, al fine di indirizzare, esclusivamente e per almeno dieci anni, il gettito dell'8 per mille destinato allo Stato italiano agli interventi di ricostruzione e di restauro dei beni artistici, culturali, storici, distrutti o danneggiati dal terremoto del Centro-Italia. (4-14685)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la storia dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è certo una delle più travagliate d'Italia, e rappresenta uno dei casi più esemplificativi di come la realizzazione delle grandi opere nel nostro Paese si trasformi in un fattore di attrazione per la malavita organizzata, la quale lucra i profitti in cambio di lavori di qualità scadente;
   il 26 luglio 2016 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ripeteva una promessa già formulata da diversi suoi predecessori, tra cui da ultimo Silvio Berlusconi, garantendo che «Il 22 dicembre la Salerno-Reggio Calabria sarà terminata come avevamo promesso, perché l'Italia mantiene i propri impegni e nessuno può ridere dell'Italia»;
   l'impegno è stato poi ribadito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che ha garantito che l'autostrada Salerno-Reggio Calabria «sarà veramente percorribile in 4 corsie e in piena sicurezza, entro la data che abbiamo indicato»;
   la lunga vicenda della Salerno-Reggio Calabria dimostra come non sempre il completamento di un'opera sia configurabile come un risultato positivo: la sua resistenza, la qualità della realizzazione, il rispetto delle leggi, i costi economici e ambientali, la sicurezza dei lavoratori sono ulteriori criteri imprescindibili di valutazione;
   va ricordato, a tal proposito, che nel marzo 2015, Adrian Miholca, di 25 anni, operaio impegnato nella realizzazione del viadotto Italia sull'A3 moriva per il crollo della campata dello stesso e che dal 2010, gli operai che, hanno perso la vita nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono dodici;
   il 26 ottobre 2016 sono apparse sulla stampa notizie di un'indagine, denominata «Amalgama», su «condotte corruttive per ottenere contratti di subappalto» nei lavori di una tratta della Tav Milano-Genova, del VI Macrolotto dell'A3 Salerno-Reggio Calabria e del People Mover di Pisa;
   il VI macrolotto dell'A3 Salerno-Reggio Calabria riguarda il tratto compreso tra lo svincolo di Scilla e lo svincolo di Campo Calabro, in cui erano presenti 32 ponti e viadotti per una lunghezza complessiva di 3 chilometri, otto gallerie naturali e 1 galleria artificiale (Scilla) di 155 metri, oltre all'ammodernamento di quattro svincoli (Scilla, Santa Trada, Villa San Giovanni e Campo Calabro);
   in particolare, secondo gli inquirenti, «è emerso che durante le gare d'appalto indette dal General Contractor, alcuni dirigenti preposti al loro svolgimento, per pilotare l'assegnazione dei lotti ad alcune società ed escluderne altre, hanno fatto in modo, in alcuni casi, che offerte “anomale” divenissero regolari e, in altri, si sono avvalsi della compiacenza di concorrenti di comodo, in realtà non interessati all'aggiudicazione della gara, per indirizzare direttamente l'assegnazione all'unico concorrente interessato. In una circostanza la turbativa veniva accompagnata dal pagamento di una somma di denaro»;
   nell'intera inchiesta emergono poi elementi preoccupanti sulla qualità scadente dei materiali di costruzione utilizzati, specie per la realizzazione della Tav Milano-Genova, ma le metodologie seguite, specie l'imposizione di commesse e subappalti in favore di società afferibili all'ex direttore dei lavori Giampiero De Michelis e al suo socio Domenico Gallo, aprono pesanti dubbi sull'effettiva qualità di tutti i lavori eseguiti;
   dalle intercettazioni, infatti si comprende che questo tipo di problemi potrebbe riguardare i lavori sulla autostrada Salerno-Reggio Calabria che viene definita dall'imprenditore Domenico Gallo, del quale si sospettano legami con la criminalità organizzata, «opera non collaudabile» –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo disponga di elementi per ritenere le infrastrutture realizzate nell'ambito del VI macrolotto dell'A3 Salerno-Reggio Calabria sicure per chi ne fruirà e durevoli e se non intenda promuovere accertamenti ispettivi onde verificare l'effettiva solidità delle stesse.
(4-14688)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BERNARDO, FREGOLENT e ABRIGNANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio esecutivo dell'Unesco, approvando la mozione presentata da alcuni Paesi arabi (Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan), sembra abbia ritenuto di sradicare ogni riferimento alla radice giudaico-cristiana dall'area della Città Vecchia di Gerusalemme in cui sorge il Muro Occidentale;
   la collina su cui è situato il complesso religioso di Gerusalemme, oggetto della mozione, è uno dei luoghi religiosi più importanti al mondo. Vi sorge la moschea di al Aqsa, ma nello stesso luogo, quasi duemila anni fa, sorgeva il Tempio di Salomone, il principale luogo sacro per gli ebrei, distrutto dai romani nell'assedio di Gerusalemme del 70 d.C. e mai più ricostruito. Del Tempio rimane solamente un muro esterno che oggi è diventato il luogo di culto più importante per gli ebrei, il cosiddetto Muro del pianto. A poca distanza dalla Spianata è situata invece la Basilica del Santo Sepolcro, il luogo dove secondo i cristiani Gesù Cristo è stato seppellito e poi è risorto;
   al Monte del Tempio e al Muro del Pianto, si prevede nella mozione che ci si riferisca soltanto con il nome indicato dalla tradizione islamica;
   dei cinquantotto Paesi rappresentati nel Consiglio, soltanto sei si sarebbero opposti: Stati Uniti d'America, Regno Unito, Germania, Olanda, Lituania ed Estonia, mentre ventisei, tra cui l'Italia, si sarebbero astenuti;
   questo episodio, a giudizio degli interroganti, rappresenta una presa di posizione non solo antistorica e culturalmente errata, ma offensiva della sensibilità dello Stato di Israele, di tutti gli ebrei e anche dei cristiani, in considerazione del fatto che i Vangeli collocano in quell'area di Gerusalemme il mistero della Resurrezione –:
   quali siano state le ragioni a supporto della decisione del nostro Paese di non opporsi alla mozione votata all'Unesco e se la rappresentante d'Italia, ambasciatrice Lo Monaco, abbia agito in maniera autonoma o a seguito delle indicazioni pervenute dal Governo. (4-14661)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 ottobre, sul territorio della regione Emilia-Romagna si è svolto, in 16 comuni, il referendum consultivo per dare vita, o meno, a sei nuovi comuni mediante fusione: in particolare, nel riminese, il referendum coinvolgeva i comuni di Mondaino, Montegridolfo e Saludecio le cui amministrazioni avevano chiesto alla regione l'avvio del percorso di fusione;
   con delibera di giunta della regione Emilia-Romagna n. 99 del 1o febbraio 2016, si procedeva a formalizzare il progetto di legge «Istituzione di nuovo Comune mediante fusione dei Comuni di Mondaino, Montegridolfo e Saludecio nella Provincia di Rimini» licenziato in data 5 luglio 2016 dalla Commissione competente;
   nel comune di Mondaino ha prevalso il «SI» con il 69,48 per cento (412 voti a favore e 118 contrari) così come a Montegridolfo dove «SI» ha prevalso con il 92,89 per cento (405 favorevoli e 31 contrari), mentre a Saludecio ha prevalso il «NO» con il 58,23 per cento pari a 612 voti contro il 41,77 per cento a favore del «SI» (439 voti);
   per il comune di Saludecio si apre indubbiamente una riflessione importante, poiché forzare sulla fusione significherebbe imporre a un comune questo processo riorganizzativo anche se la popolazione si è espressa a larga maggioranza per il «NO»;
   da verbale relativo alla delibera del consiglio comunale di Saludecio n. 32 del 4 giugno 2016 sulla «convenzione tra i Comuni di Saludecio, Mondaino e Montegridolfo per la gestione in forma associata della segreteria comunale» si legge che il sindaco sottolinea «come la convenzione per l'esercizio in forma associata del servizio di segreteria con i Comuni di Mondaino e Montegridolfo si inserisce sulla scia del percorso di fusione intrapreso insieme con i vicini comuni, ribadendo tuttavia che saranno comunque i cittadini a decidere l'esito finale, precisando che anche se solo uno dei tre comuni coinvolti non si esprimerà a favore del progetto di fusione, nulla sarà fatto»;
   il sindaco di Saludecio ha espressamente ribadito di farsi garante della volontà dei cittadini, condizione di cui la regione Emilia-Romagna e il Ministro interrogato dovrebbero tenere conto;
   la legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 24 del 1996 in tema di fusioni, di recente modificata e quindi non formalmente applicabile ai referendum del 16 ottobre, non prevede chiaramente la casistica di cui sopra e non offre dunque tutele nei casi di procedimenti di fusione tali per cui al referendum consultivo prevalga il «NO» alla fusione nella minoranza dei comuni;
   imporre un simile processo potrebbe potenzialmente andare in contrasto con l'articolo 5 della Costituzione che prevede che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo»; una simile imposizione potrebbe produrre un ricorso al Tar – tra l'altro già annunciato in caso di fusione – da parte del Comitato per il NO di Saludecio;
   negli ultimi tempi la linea politica nazionale propende per una valorizzazione dei piccoli comuni sotto i 5 mila abitanti: diverse sono state le dichiarazioni del Ministro interrogato, il quale ha ribadito che le fusioni devono essere volontarie e che è preferibile avere unioni piccole e funzionali piuttosto che grandi enti poco efficienti –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quale sia la posizione del Governo rispetto al tema della sopravvivenza e della valorizzazione dei piccoli comuni e quali iniziative di competenza intenda mettere in campo per perseguire gli obiettivi di rilancio delle piccole comunità, soprattutto per quanto attiene l'obbligo delle gestioni associate, il blocco delle assunzioni e tutta una serie di vincoli cui i piccoli comuni sono tuttora sottoposti;
   se e come si intendano valorizzare prioritariamente gli strumenti delle convenzioni e delle unioni per far sì che i piccoli comuni conseguano risparmio ed efficientamento attraverso le gestioni associate, considerando le fusioni come un percorso finale che si può concretizzare solo e soltanto con un consenso largo e unanime dei comuni coinvolti. (4-14695)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2016 sono stati eseguiti, tra Chieti e Pescara, gli arresti di amministratori legati ai vertici del Consorzio di Bonifica Centro di Chieti, nonché il sequestro del depuratore in contrada San Martino di Chieti in quanto inadeguato e pericoloso; come riportato dalla stampa, l'inchiesta nasce dagli esposti anonimi di alcuni cittadini della zona in seguito agli odori nauseabondi che arrivavano dall'impianto;
   l'inchiesta nasce a febbraio 2015 ed è costituita da diversi filoni che la Guardia forestale sta sviluppando assieme alla procura de L'Aquila. Si tratta, in particolare, di reati ambientali e di inquinamento con consapevole elusione delle regole e preordinata sistemica adozione di stratagemmi diretti all'occultamento, specie agli organi di controllo, delle fonti di inquinamento ambientale derivanti dalle illecite attività del Consorzio. Tra le condotte contestate risulta la miscelazione e l'illecito smaltimento dei fanghi trasformati in «non pericolosi»: il Consorzio avrebbe scaricato arsenico, un inquinante di accertata tossicità, con possibile effetto cancerogeno sull'uomo, superando, nelle quantità presenti nel fiume Pescara, 12 volte i limiti imposti dalla legge;
   la Guardia forestale, nei lunghi mesi di indagine, ha potuto constatare come il malfunzionamento dell'impianto di depurazione di Chieti Scalo fosse una conseguenza diretta della pessima manutenzione e dell'inadeguatezza degli impianti;
   sono note le vicende legate alle discariche abusive del Sin di Bussi che, nel corso di decenni, hanno inquinato il fiume Pescara con sostanze chimiche di ogni genere che vanno dal mercurio a diversi tipi di solventi;
   negli ultimi due anni l'emergenza inquinamento del fiume Pescara, sotto il profilo batteriologico ed in particolare di escherichia coli ed enterococchi, ha imposto ripetuti divieti di balneazione sul mare del litorale pescarese, in quanto i valori registrati sono, spesso, risultati superiori alle soglie consentite dalle norme vigenti;
   il 12 ottobre 2016, con ordinanza n. 189 del sindaco di Pescara, al fine di tutelare la salute pubblica è stata sospesa temporaneamente la raccolta di tutti i molluschi bivalvi nel tratto di mare antistante al comune di Pescara;
   è evidente che lo stato di salute del fiume Pescara e, di conseguenza, del tratto di mare in cui sfocia il fiume sia altamente compromesso a causa dei molteplici e diversificati fattori inquinanti ripetuti negli anni che potrebbero aver contaminato anche flora, fauna e sedimenti tanto da poter interessare anche la catena alimentare;
   non si registrano notizie di indagini volte a verificare la contaminazione dei sedimenti o della flora e della fauna, né tanto meno risultano mai poste in essere azioni per l'analisi di possibili relazioni causa/effetto tra inquinamento del fiume e delle acque marine, con conseguenti ed eventuali patologie specifiche;
   come ricordato dal sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia Antonio Laudati: «Di fronte all'arsenico messo nel fiume bisognava intervenire per la tutela dell'incolumità pubblica. Questo è un tipo di reato per cui c’è bisogno di una particolare sensibilità delle strutture pubbliche: sono reati vaghi, senza facce di vittime, ma che colpiscono un numero indeterminato di persone. E così ci ritroviamo mare inquinato, persone avvelenate, pesci ammazzati e ambiente distrutto» –:
   se siano state poste in essere, per quanto di copetenza, indagini epidemiologiche che valutino le relazioni causa/effetto tra inquinamento del fiume e delle acque marine;
   se non si intenda promuovere una indagine epidemiologica allo scopo di monitorare e valutare le relazioni tra causa e effetto tra inquinamento del fiume Pescara e delle acque marine e specifiche patologie nell'area urbana di Chieti e Pescara;
   se siano stati posti in essere studi e accertamenti sulla flora e la fauna marittima, con particolare riguardo ai bivalvi e che valutino le eventuali contaminazioni della catena alimentare. (3-02591)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   ZARATTI, MELILLA e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tratto costiero della provincia di Chieti è quello di maggior pregio dei circa 125 chilometri di fascia costiera abruzzese;
   tra Ortona e Vasto si trovano 7 riserve naturali regionali, 1 sito di importanza regionale, 6 siti di importanza comunitaria, oltre a numerose stazioni dove sono segnalate specie vegetali in via d'estinzione e in lista rossa «IUCN». Con la legge n. 344 del 1997 la «Costa Teatina» viene inserita tra le «prioritarie aree di reperimento» previste dalla legge n. 394 del 1991, e sulle quali si dovevano realizzare parchi nazionali. Successivamente la legge n. 93 del 2001 avvia l’iter di istituzione. La giunta Pace allora al governo regionale, ricorre alla Corte costituzionale contro la legge n. 93 del 2001 per farne dichiarare l'incostituzionalità. La Consulta con la sentenza n. 422 del 2002 dichiara «non fondata» la richiesta della regione Abruzzo. Nel 2005 cambia il governo regionale e si torna a parlare di Costa Teatina. Dopo diversi mesi di confronto con i comuni, deliberano solo in tre a favore del parco (Vasto, San Salvo e Francavilla);
   si approda, quindi, al «sistema delle aree protette della Costa Teatina» con la legge regionale n. 5 del 2007 l’iter del parco rallenta di nuovo e la direzione regionale competente formula una proposta di perimetrazione e la invia ai comuni e al Ministero. A luglio 2008 viene arrestato l'allora presidente della regione, Ottaviano Del Turco, e l'iter si ferma di nuovo. Ad aprile 2010, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riprende gli iter dei parchi sospesi. Il 9 luglio 2010 la regione Abruzzo convoca i comuni e la provincia di Chieti e, preso atto della contrarietà alla proposta di perimetrazione elaborata dalla direzione regionale aree protette e parchi del 2008, si concorda di lavorare su una ipotesi che preveda 4 zone. Ogni comune si prende l'onere di deliberare in merito;
   ad agosto 2014, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'architetto De Dominicis, presidente emerito della provincia di Pescara, è nominato «commissario ad acta» per l'istituzione del parco. Il commissario ne definisce quindi la perimetrazione provvisoria, permettendo con tale atto propedeutico l'emanazione da parte del Governo del decreto istitutivo dell'area protetta;
   ad oggi, per istituire il parco, continua a mancare solo la formalizzazione da parte del Governo –:
   quali siano i motivi che impediscono la conclusione dell’iter suddetto a distanza di più di un anno dalla fine degli adempimenti degli altri enti competenti.
   (5-09926)


   BORGHI e PRINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate 2012 l'ecosistema fluviale del fiume Ticino rischiava di essere fortemente compromesso da una grave siccità causata dalla scarsità di piogge. Le criticità rientrarono grazie alla collaborazione tra parco Lombardo della Valle del Ticino e Consorzio del Ticino che liberava nel fiume la quantità d'acqua che era conservata nel Lago Maggiore, garantendo anche la quantità d'acqua necessaria all'attività agricola di due regioni e cinque province nonché il corretto funzionamento delle centrali idroelettriche interessate;
   nel marzo 2014 la Confederazione svizzera chiedeva chiarimenti al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulle anomalie nella regolazione del lago Maggiore e di adoperarsi per il rispetto del disciplinare di regolazione; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare invitava il Consorzio del Ticino ad adoperare la regolazione dei livelli del Lago mantenendo la regolazione estiva entro il limite +1.0 metri rispetto alla zero idrometrico di Sesto Calende;
    i presidenti dei due parchi interessati esponevano la contrarietà alla imposizione della quota di 1,00 metro di accumulo del lago anche perché influiva negativamente sul programma di sperimentazione «DMV fiume Ticino/gestione livelli lago Maggiore» e facevano notare come il modello di gestione avesse garantito la quantità d'acqua necessaria agli agricoltori e alle altre attività produttive nel rispetto dell'ambiente fluviale che ha avuto dal 2002 il riconoscimento Mab/Unesco di riserva della biosfera;
   con deliberazione n. 1/2015 l'autorità di bacino del fiume Po approvava l'avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del lago Maggiore imponendo la quota di livello massimo a +1,25 metri e modalità di svaso preventivo più rigide rispetto a quelle vigenti e, a seguito, di ciò il parco Lombardo della valle del Ticino ha diffidato l'autorità di bacino del fiume Po sollecitando l'incremento del livello massimo di regolazione del lago Maggiore nel periodo estivo a +1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende;
   il fiume Ticino e il lago Maggiore stanno subendo un altro grave periodo di siccità con gravi danni sia per l'ambiente naturale che per tutte le attività produttive legate al fiume e al lago –:
   quali siano le motivazioni per cui non si autorizzi l'innalzamento del livello del lago Maggiore a +1,50 metri sullo zero idrometrico per tutto l'arco dell'anno sia per l'equilibrio idrico-naturalistico del lago Maggiore, sia per un ottimale deflusso d'acqua vitale al fiume Ticino e dei fabbisogni dell'attività agricola. (5-09927)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince da fonti di stampa e dalla testimonianza di numerosi cittadini, sembrerebbe che, da mesi e soprattutto di notte, il quartiere di Japigia, in provincia di Bari, sia invaso da fumi ben evidenti che sembrano derivare dalla combustione di materiali non meglio identificati e che determinano rilevanti disagi per i residenti, anche a causa delle malsane e fastidiose esalazioni prodotte;
   secondo quanto si apprende da notizie di stampa, sembrerebbe che ad aumentare la preoccupazione dei residenti sia la presenza di polveri sottili di diverso colore che si depositano sia a terra che sui balconi e che alcuni cittadini hanno raccolto in contenitori non sterili e consegnati ai carabinieri del Noe;
   molti residenti si sono riuniti in un Comitato di protesta ed hanno più volte sollecitato l'intervento delle forze dell'ordine e di polizia, hanno informato i rappresentanti del comune di Bari e, in particolare, l'assessore all'ambiente e hanno provveduto in autonomia a perlustrare di notte la zona per ricercare l'origine dei fumi;
   attualmente, non è ancora nota l'origine e la provenienza dei fumi che tuttavia persistono e che, per quanto dichiarato dai cittadini, si farebbero più intensi nei pressi del vicino depuratore all'altezza di un cavalcavia dove si riscontrerebbe «... fumo e cattivo odore di gomma bruciata, misto all'ormai noto odore nauseabondo della struttura che depura le acque fecali» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare, anche tramite l'intervento del Noe, per individuare l'origine e la causa dei fumi e per identificare la natura delle polveri che si depositano in terra e sui balconi dei residenti e nell'ottica di adottare una soluzione che elimini il problema e che scongiuri qualsiasi danno grave per la salute dei cittadini residenti nel quartiere di Japigia. (5-09928)


   PASTORELLI, SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 221 del 2015 (disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali), meglio nota come «collegato ambientale» si prevede la riorganizzazione della governance della prevenzione del rischio idrogeologico. Nello specifico attraverso l'articolo 51 si predispone il passaggio dall'attuale situazione delle autorità di bacino ad un assetto distrettuale costituito da otto autorità di bacino distrettuali;
   al comma 4 dell'articolo 51 del «Collegato» si legge «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 3, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le regioni e le province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, sono individuate le unità di personale trasferite alle Autorità di bacino e sono determinate le dotazioni organiche delle medesime Autorità». Tuttavia, ad oggi agli interroganti risulta che la transizione non sia ancora del tutto operativa perché non sono mai stati emanati i decreti attuativi previsti;
   particolare scalpore desta la situazione dell'autorità di bacino dell'Arno, che in questa fase di transizione, coincidente tra l'altro con il cinquantesimo anniversario della devastante alluvione dell'Arno del 1966, risulta priva di guida, in quanto il segretario generale dell'autorità di bacino Gaia Checcucci ha cessato l'incarico per ricoprire quello di direttore generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   quali iniziative concrete intenda intraprendere, per quanto di competenza e con quali tempistiche, per completare definitivamente il passaggio dalle autorità di bacino alle autorità di bacino distrettuali, e per assicurare la piena operatività, anche in fase di transizione, alle autorità di bacino rimaste senza guida, come nel caso dell'Arno. (5-09929)


   ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni la popolazione di Montichiari (BS) ha una ridotta qualità di vita a causa di molestie odorigene sempre più importanti. A Montichiari, definita la «Terra dei fuochi del nord», sono presenti 10 discariche ed è stata chiesta l'autorizzazione per ulteriori 2. Sono presenti 2 impianti a biogas; è ricorrente lo spandimento di fanghi di depurazione sui suoli e sono in corso il rifacimento di alcune strade e le relative asfaltature;
   la regione Lombardia ha approvato una legge per limitare l'indice di pressione a 160.000 metri cubi di rifiuti per chilometri quadrato, mutuandola dall'attuale pressione ambientale di Montichiari; tale proposta è ferma per i ricorsi delle aziende;
   in data 17 ottobre 2016 presso la scuola primaria della frazione di Vighizzolo si sono verificati malesseri importanti fra studenti e docenti, che hanno portato al ricovero di 15 bambini. Oltre ai segni chiari di intossicazione da causa aerogena (nausea, vomito, lacrimazione, capogiri), è stata riscontrata carbossiemoglobina elevata (5,5 per cento) in alcuni bambini;
   le lezioni sono riprese il giorno dopo nonostante il persistere di cattivi odori;
   gli esiti degli accertamenti eseguiti da Arpa Lombardia non sono stati ancora resi noti, neppure nel corso della seduta della commissione ambiente del comune di Montichiari (BS), convocata il 26 ottobre 2016 su iniziativa del consigliere M5S Rossi Paolo e di altri 4 consiglieri di minoranza per chiedere al sindaco di riferire in merito ai malori e in cui erano presenti Arpa, ATS e l'interrogante. In particolare, ARPA non ha reso noto l'esito del campionamento per acido solfidrico (può essere mortale in pochi minuti a elevate concentrazioni);
   gli episodi di miasmi sono ricorrenti ed è stata segnalata molestia odorigena importante anche la sera del 26 ottobre 2016 nella frazione di Vighizzolo, limitrofa alla discarica Gedit –:
   se, in relazione all'ipotesi di grave danno ambientale evidenziatasi, il Ministro interrogato intenda disporre verifiche, per quanto di competenza, sulla qualità dell'aria, del suolo e delle acque, anche attraverso l'intervento del comando tutela ambientale dei carabinieri (CCTA) ex articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di prevenire o scongiurare possibili rischi per la salute nel breve e lungo termine per i cittadini di Montichiari. (5-09930)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 48 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», prevede che, all'articolo 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, sia aggiunto il seguente periodo: «L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale individua, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i criteri tecnici da applicare per stabilire quando il trattamento non è necessario ai predetti fini»;
   l'Ispra, è stato chiamato dunque a stabilire i criteri tecnici da applicare per consentire ai rifiuti di essere ammessi in discarica senza il necessario trattamento preliminare previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003. Infatti, l'articolo 7, comma 1, stabilisce che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. «Tale disposizione non si applica:
    a) ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile;
    b) ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'articolo 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente»;
   risulta che l'Ispra, con la collaborazione di diverse agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, ha predisposto i suddetti criteri ed inviato la documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   i criteri tecnici per consentire ai rifiuti di essere ammessi in discarica senza il necessario trattamento preliminare sono di particolare interesse per gli operatori del settore e che tali criteri possono contribuire in maniera effettiva alla applicazione omogenea della normativa sullo smaltimento in discarica sul territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato possa fornire informazioni in merito;
   se il Ministro ritenga opportuno rendere pubblica la linea guida predisposta dall'Ispra e con quali modalità. (5-09899)


   CRIVELLARI e VENITTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la pesca è il settore economico trainante del Polesine tanto che – dei sei mercati ittici presenti in Veneto – tre sono in provincia di Rovigo, di cui due nel comune di Porto Tolle;
   il mercato ittico di Pila è l'unico vocato in particolare alla pesca del pesce azzurro; le cooperative di pescatori di Pila muovono un volume d'affari di oltre 22 milioni di euro all'anno e coinvolgono circa 500 addetti, oltre ad altri centinaia nell'indotto;
   il porto di Barbamarco nella frazione di Pila del comune di Porto Tolle (RO), è la sede principale della flotta di pescherecci, che conta una cinquantina di imbarcazioni utilizzate soprattutto nella pesca del pesce azzurro e al servizio degli allevamenti di mitili a mare;
   da anni ormai si verifica periodicamente l'insabbiamento del canale navigabile che consente lo sbocco a mare del porto peschereccio di Barbamarco: per il suo orientamento geografico, la bocca sud è infatti soggetta a frequenti insabbiamenti dovuti alle mareggiate causate dai venti di bora e di scirocco. Inoltre, dalla fine dell'estate 2014, si sono verificate condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, con ingenti apporti di sabbia alla foce, causati dalle mareggiate che hanno colpito la costa;
   in aggiunta, l'alta marea va a ricoprire il molo foraneo di modeste dimensioni e fuori acqua per soli 50 centimetri circa, rendendolo invisibile per tutta la sua lunghezza (circa 60 metri) con conseguente serio rischio per la sicurezza delle imbarcazioni e degli addetti;
   l'insabbiamento della bocca a mare impedisce evidentemente il normale svolgimento delle attività del porto peschereccio e delle imbarcazioni che, pur di limitato pescaggio, possono entrare e uscire dal porto solo se i fondali garantiscono almeno tre metri di profondità; il protrarsi negli anni di tale situazione sta mettendo in ginocchio il comparto col conseguente rischio di perdita di centinaia di posti di lavoro;
   nel novembre 2015 la giunta regionale del Veneto ha approvato una delibera riguardante il servizio di escavazione porti e, in particolare, un intervento di bypass mediante dragaggio dello sbocco a mare di Barbamarco «bocca sud», al fine del mantenimento della quota di navigazione. Alla realizzazione delle opere relative al servizio di escavazione porti è stata indicata la società Sistemi territoriali, cui sono demandate le funzioni relative alla manutenzione e alla gestione delle linee navigabili ricadenti nel territorio regionale;
   già nella primavera del 2012 il genio civile di Rovigo e la società Sistemi territoriali avevano eseguito lavori di dragaggio, evidentemente insufficienti a scongiurare i successivi fenomeni di insabbiamento della bocca sud di Barbamarco;
   è ormai indispensabile, a distanza di anni, che le opere di escavazione e dragaggio dello sbocco a mare di Barbamarco «bocca sud» siano portate a termine in tempi rapidi e garantiscano un risultato efficace e duraturo nel tempo, dando così certezza alla continuità dell'attività economica e al mantenimento del posto di lavoro per centinaia di addetti –:
   di quali elementi disponga il Governo in ordine a quanto esposto in premessa e se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza finalizzata a favorire una rapida soluzione in relazione alle criticità descritte in premessa al fine di assicurare la continuità delle attività produttive, la tutela dei posti di lavoro e il mantenimento della quota di navigazione.
(5-09908)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa e secondo i dati relativi ai campionamenti in mare del rapporto «Goletta Verde 2016», promosso annualmente da Legambiente, la situazione del trattamento delle acque reflue in Salento presenta alcune criticità;
   secondo quanto si apprende sono ad oggi in funzione depuratori obsoleti e inadeguati a reggere il carico di comunità cresciute negli anni nel loro assetto urbano, spesso abusivo, peraltro concepiti senza tenere conto del reale bacino di utenza di località, specie nel corso della stagione estiva, si veda ad esempio, tra i maggiori, i casi di Porto Cesareo, Gallipoli, Otranto, che accolgono centinaia di migliaia di vacanzieri ogni anno;
   si aggiunga che la scarsa disponibilità idrica superficiale naturale condiziona fortemente la tipologia dei recapiti finali in tutta la Puglia. Questo comporta che solo il 4 per cento dei recapiti finali dei depuratori è costituito da corpi idrici superficiali significativi, il 76 per cento è costituito da lame e corsi d'acqua minori o dal suolo, il 15 per cento recapita ancora a mare;
   alla regione Puglia, con il decreto legislativo n. 152 del 2006, Norme in materia ambientale, è stata attribuita la competenza dell'attuazione del piano di tutela delle acque;
   nel consiglio regionale pugliese del 20 ottobre del 2009, sono state definite le aree di sviluppo del servizio idrico integrato, e in particolare negli agglomerati urbani di Nardò e di Porto Cesareo, ciascuno dei quali servito da un proprio impianto depurativo con recapito finale nel mare Ionio, attraverso la realizzazione di una condotta sottomarina, in località Torre Inserraglio;
   detta area costiera marina e terrestre rappresenta un significativo e alto valore ambientale e paesaggistico non solo per la regione ma per l'Italia tutta;
   con i due comuni di Nardò e Porto Cesareo, regione Puglia e l'Acquedotto pugliese (Aqp) hanno siglato il 30 settembre del 2015 un articolato e argomentato protocollo d'intesa a portare a buon fine l'opera fognaria;
   l'Acquedotto pugliese è stato da qualche tempo incaricato della progettazione in tre moduli per un importo pari a: 6.500.00,00 euro in fase di appalto; 10.288.596,00 euro in fase di acquisizione dei pareri sul progetto e 1.650.000,00 euro per il secondo lotto da progettare;
   il citato progetto della rete idrica e fognaria è all'attenzione dell'Unione europea per effetto di una procedura d'infrazione (2034/2004 — causa C 565 C/2010);
   il comune di Nardò nel consiglio comunale del 6 luglio 2016 ha deliberato la revoca del protocollo d'intesa del 29 gennaio 2016 che prevedeva, tra l'altro, la citata realizzazione della condotta sottomarina e il collegamento della rete fognaria di Porto Cesareo a quella di Nardò, allaccio che salvaguardava le previsioni del finanziamento per l'infrastruttura della fogna e il potenziamento del depuratore;
   è opportuno poi ricordare che, come ribadito da comunicazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla regione Puglia, con lettera protocollo 0013052/2016, «le disposizioni normative attualmente vigenti non consentono l'utilizzo di acque reflue, ancorché opportunamente depurate, per il ravvenamento delle falde idriche e che lo scarico alternativo di cui all'articolo 8 del decreto ministeriale n. 185 del 2003 deve conformarsi alle modalità previste dalla normativa attualmente in vigore. [...]. A tale riguardo il Regolamento decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, prevede per il ravvenamento/accrescimento artificiale dei corpi idrici sotterranei l'utilizzo di acque prelevate unicamente da corpi idrici superficiali o sotterranei –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e se non ritenga opportuno raccogliere, per quanto di competenza e con il coinvolgimento degli enti locali interessati, elementi rilevanti sullo stato di attuazione del citato progetto di rete fognaria, sussistendo peraltro una procedura di infrazione, a tutela della salute dei cittadini e della fauna, e della flora marina della zona citata, al fine di risolvere una decennale questione che rischia di esplodere, anche per l'aumento vertiginoso nel periodo estivo di un forte inquinamento di tipo fecale per la presenza nell'acqua di microrganismi patogeni, focolai epidemici. (5-09910)


   CASTELLI, DE ROSA e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, l'isola di Zannone, che amministrativamente fa parte del comune di Ponza nel Lazio ed è annessa al parco nazionale del Circeo dal 1979, verserebbe ormai da anni in condizioni di degrado ambientale e assoluta incuria da parte degli enti preposti alla preservazione del suo patrimonio;
   risulterebbero ivi presenti ingenti quantità di veleno per topi sparpagliato qua e là all'interno della villa comunale e ben tre discariche a cielo aperto, ripiene di materiali di ogni tipo: una a ridosso del Faro di Capo Negro, dove ci sono gli alloggi del Corpo forestale dello Stato con oggetti di ogni tipo e perfino alcuni tubi verosimilmente di eternit; una sul sentiero in muratura che dal mare porta al Faro, con una quindicina di sacchi neri di spazzatura; una alle spalle della villa comunale di Zannone, la «Casa di Caccia», zona in cui il Parco del Circeo aveva installato un ufficio, un museo e un paio di stanze per una foresteria, tutte strutture, oggi, in condizioni di degrado assoluto;
   anche la villa comunale di Zannone sarebbe fatiscente e pericolante, a causa della pervicace assenza di interventi manutentori dal 1979 ai nostri giorni;
   il sindaco di Ponza, componente del consiglio direttivo del parco nazionale del Circeo, avrebbe denunciato lo scempio fatto dell'isola di Zannone, raccogliendo prove documentali, e prendendo iniziative giudiziarie nei confronti del Corpo forestale dello Stato (CFS) e del presidente del parco nazionale del Circeo (PN Circeo);
   secondo una relazione della Corte dei Conti al Parlamento del giugno 2015:
    contrariamente a quanto disposto dalla legge n. 394 del 1991 sui parchi, quello del Circeo sarebbe sprovvisto dei tre principali strumenti di programmazione: non avrebbe il «piano del parco» (all'esame in regione da 4 anni), il «regolamento del parco» (in fase di redazione), e il «piano pluriennale economico e sociale» (redazione neppure iniziata);
    i termini di legge per l'approvazione del bilancio consultivo 2012 e 2013, non sarebbero sono stati rispettati; non sarebbero stati altresì rispettati i termini di legge per la deliberazione del bilancio preventivo 2012 e 2013;
    rispetto alle spese per attività istituzionali, «emerge il notevole e costante incremento delle spese per il Corpo forestale dello Stato» che avrebbe ricevuto dall'ente parco 217.048,22 euro nel 2011, 269.971,67 euro nel 2012 e 479.762,49 euro nel 2013;
   sembra che il presidio del Corpo forestale dello Stato sull'isola di Zannone sia stato soppresso da tre anni, gli uffici del parco nazionale del Circeo sull'isola siano stati abbandonati da dieci anni e che sull'isola non esista più attività di preservazione o di valorizzazione del patrimonio naturalistico;
   dal 1979 gli unici soggiornanti sull'isola di Zannone sarebbero stati il personale del Corpo forestale dello Stato, i funzionari del parco nazionale del Circeo, i volontari e studiosi dell'avifauna di associazioni ambientaliste autorizzate dal parco nazionale del Circeo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se non ritenga necessario verificare tale condizione di scempio e, qualora venisse confermata, quale sia il suo orientamento in merito;
   se non ritenga sia doveroso assumere iniziative per chiarire, per quanto di competenza, le eventuali responsabilità di quanto avvenuto in questi anni, prendendo, in caso, gli opportuni provvedimenti;
   se non consideri urgente assumere le iniziative di competenza, affinché la situazione dell'isola sia risanata nel più breve tempo possibile;
   se non ritenga opportuno assumere in tempi rapidi ogni iniziativa di competenza, anche attraverso l'avvio di una gestione commissariale del parco nazionale del Circeo, viste le numerose inadempienze riscontrate;
   se intenda promuovere iniziative per quanto di competenza, volte a ristorare il comune di Ponza che ha visto depurato un patrimonio di enorme valore;
   se non ritenga che sia doveroso assumere iniziative, anche normative, per restituire l'isola alla piena gestione del comune di Ponza, come area naturale protetta a gestione comunale, affinché l'intera comunità isolana possa procedere ad una vera valorizzazione delle risorse naturali e ambientali, ed altresì creare una fruizione turistica ragionata e rispettosa della straordinaria bellezza dell'isola.
(5-09918)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (aggiornato dal decreto legislativo n. 205 del 2010), alla lettera aa), definisce lo «stoccaggio» come: l'insieme delle attività di «smaltimento» consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti, nonché delle attività di «recupero» consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti;
   diversamente, la lettera bb) dello stesso articolo definisce il «deposito temporaneo» come un «raggruppamento» di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui gli stessi sono prodotti e nel rispetto di alcune precise condizioni;
   altro requisito fondamentale del deposito temporaneo è il luogo fisico in cui esso viene istituito, vale a dire il luogo di produzione dei rifiuti;
   in generale, il deposito temporaneo può essere effettuato solo nel luogo in cui i rifiuti sono originati, al fine di evitare movimentazioni di rifiuti che, a parte nelle aree private, vanno sempre autorizzate, rappresentando un momento della gestione dei rifiuti;
   l'accento sugli aspetti fisici e temporali del deposito temporaneo, e sul fatto che su questi poggia principalmente la distinzione dallo stoccaggio, è ribadito dalla Corte di Cassazione (Cassazione penale, sezione III, n. 11650/11) secondo la quale, per poter parlare di deposito temporaneo e controllato di rifiuti, occorre il rispetto di tutte le condizioni dettate dalla norma sopra citata ed, in particolare, del raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione ed il rispetto dei tempi di giacenza riferiti alla natura e quantità dei rifiuti. In caso di mancato rispetto di tali condizioni si parlerà non più di deposito temporaneo, ma di deposito preliminare o di stoccaggio, attività per le quali è necessaria una preventiva autorizzazione;
   considerando il deposito temporaneo come un prolungamento dell'attività dalla quale si originano i rifiuti che precede ogni e qualsiasi fase della gestione (raccolta, trasporto, smaltimento o recupero) e lo stoccaggio, invece, come un'attività integrante della gestione dei rifiuti prodotti, sono il luogo e i tempi a determinare le differenze tra i due concetti;
   come è logico che sia, il deposito temporaneo deve essere effettuato dal produttore del rifiuto, tuttavia il decreto legislativo n. 152 del 2006 introduce una figura nuova nella fattispecie che è quella del «soggetto affidatario del deposito temporaneo»;
   tale novità è contenuta nel secondo periodo dell'articolo 208, comma 17, del citato decreto, laddove si dispone che «La medesima esclusione opera anche quando l'attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione sia affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione dei rifiuti. Il conferimento di rifiuti da parte del produttore all'affidatario del deposito temporaneo costituisce adempimento agli obblighi di cui all'articolo 188, comma 3.»;
   questa innovazione, sul piano pratico, consente che si verifichi uno spostamento di responsabilità (anche penale) dal produttore al soggetto gestore espressamente codificato dalla norma in merito a tutto ciò che concerne la gestione del deposito temporaneo. Tuttavia, per evitare che questa previsione vada a costituire solo un espediente attraverso il quale il produttore si possa deresponsabilizzare in merito al deposito dei rifiuti da lui prodotti, l'affidamento del deposito temporaneo ad un soggetto terzo deve avvenire nel rispetto delle seguenti condizioni:
    a) il deposito, dei rifiuti deve essere effettuato all'interno del luogo di produzione;
    b) il produttore dei rifiuti affidi l'attività del deposito temporaneo ad altro soggetto, autorizzato alla gestione dei rifiuti, il quale presenti quindi capacità e idoneità tecnica;
    c) sia il produttore sia l'affidatario del deposito temporaneo provvedano all'annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti nel registro di carico e scarico entro 24 ore dalla produzione del rifiuto stesso;
   la normativa vigente non entra nel merito delle strutture di travaso, per cui – come è avvenuto anche in talune linee guida regionali – sembra essere sostenibile richiamare l'articolo 265 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 recante «Disposizioni transitorie», il quale al comma 1 così recita: «1. Le vigenti norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all'adozione delle corrispondenti specifiche norme adottate in attuazione della parte quarta del presente decreto. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, le pubbliche amministrazioni, nell'esercizio delle rispettive competenze, adeguano la previgente normativa di attuazione alla disciplina contenuta nella parte quarta del presente decreto, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 264, comma 1, lettera i). Ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi continua ad intendersi riferito ai rifiuti pericolosi.»;
   a parte le difficoltà di ricomposizione di un sistema normativo quale quello ambientale, anche in seguito all'avvento del titolo V della parte II della Costituzione, e quindi del rapporto tra la normativa regionale sopraggiungente e la normativa secondaria preesistente, rimane quindi utilizzabile, peraltro come avviene anche per i criteri quali-quantitativi di assimilazione, la delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, che distingue chiaramente tra «contenitori» destinati alla raccolta dei rifiuti urbani e gli «impianti» finalizzati al loro stoccaggio provvisorio;
   secondo quanto stabilito al paragrafo 2.1 della prefata delibera «Nei casi in cui le Regioni (o altri Enti) nell'ambito dei loro piani di organizzazione del servizio, prevedano la realizzazione di stazioni di trasferimento (...) in funzione del successivo avvio al trattamento definitivo, per tali stazioni devono essere adottate le caratteristiche costruttive per gli impianti di stoccaggio per quanto applicabili e fissati tempi massimi di permanenza dei rifiuti;
   ad eccezione di tali casi non sono ammessi stoccaggi provvisori di RU dal momento della raccolta a quello del loro scarico negli impianti di trattamento»;
   la delibera interministeriale del 1984, a quanto risulta agli interroganti, è l'unico documento di carattere nazionale che ad oggi possa orientare in qualche modo le funzioni dei centri di stoccaggio temporaneo dei rifiuti, detti anche «centri di trasferenza» o «di trasbordo» o «di trasferimento» o ancora «piattaforme» o «centri» per la messa in riserva o altre definizioni più o meno aderenti alla realtà. Già il fatto che non esista nemmeno una definizione univoca di queste strutture è sintomatico della poca chiarezza del quadro normativo. Detta circolare, al capitolo 4.1 relativo allo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossico-nocivi, ovvero pericolosi, stabilisce fra le altre cose che «se lo stoccaggio avviene in cumuli, questi devono essere realizzati su basamenti resistenti all'azione dei rifiuti (...) e devono essere protetti dall'azione delle acque meteoriche e, ove allo stato pulverulento, dall'azione del vento», nonché al punto 4.1.4 che i recipienti mobili devono essere provvisti di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto, accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento e svuotamento e mezzi di presa per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;
   la delibera in questione non regolamenta lo stoccaggio dei rifiuti non pericolosi, ma nel tempo si è assistito ad una estensione dei requisiti previsti per i rifiuti pericolosi anche a quelli non pericolosi, nonché ad una regolamentazione regionale o locale più o meno stringente a seconda dei casi;
   regioni ed enti locali hanno cercato, nel tempo, di provvedere a riempire il vuoto normativo anche per distinguere i centri oggetto della presente interrogazione dai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il medesimo articolo definisce anche le operazioni di stoccaggio come «le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C alla medesima parte quarta» e deposito temporaneo, ovvero «il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni:
    1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
    2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
    3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
    4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
    5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo»;
   a titolo esemplificativo, si riportano alcuni casi recenti: la città metropolitana di Genova, con il provvedimento dirigenziale n. 3042 del 5 agosto 2015 avente ad oggetto «approvazione del “Piano di Prevenzione e Gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio” relativo all'insediamento produttivo costituito dall'area di messa in riserva di rifiuti sita nel Comune di Rapallo, in Località Tonnego “Piazzale Inferiore”, di titolarità del Comune di Rapallo» ha inteso tutelare l'area sulla quale insiste il centro dal possibile dilavamento di acque inquinate, assoggettandola appunto al piano di prevenzione e gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio. A questo proposito si fa presente che, nel caso di specie, il centro di trasbordo è stato realizzato nelle immediate adiacenze del sito ex discarica di Rapallo e che, ritenendolo non necessario, non è stato previsto alcun sistema di raccolta delle acque di prima pioggia, limitandosi a una canalizzazione che scarica nel Rio Remenon;
   da fonti di stampa (Il Secolo XIX, a firma di Marco Fagandini) si apprende che nel suddetto centro di trasferenza un operaio è morto a causa di un malore dopo aver finito la pulizia delle vasche di raccolta del percolato. Ad oggi non si conoscono le cause del decesso, ma non è escluso che la procura di Genova, che ha aperto un'inchiesta, disponga l'autopsia per accertarle con esattezza e verificare se sussista o meno un collegamento con l'operazione svolta dall'operaio;
   durante il consiglio comunale di Rapallo del 5 settembre 2016 il consigliere Federico Solari ha sollevato l'ipotesi di una rottura delle tubazioni di canalizzazione delle acque, con presenza di liquami sul terreno presumibilmente dovuti alle rotture o a perdite d'acqua dai cassoni nei quali sono raccolti i rifiuti;
   nel caso del centro di trasferenza di Tito (Potenza), in base a quanto risulta dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti nel ciclo dei rifiuti sulla regione Basilicata del 2013 (Pag. 55), le principali operazioni condotte dai carabinieri del NOE di Potenza nel settore dei rifiuti (doc. 1049/2), oltre a quella già illustrata riguardante il termovalorizzatore Fenice, hanno consentito di accertare, nell'ultimo biennio, numerose fattispecie di reato;
   in particolare, in occasione del controllo effettuato sulla stazione di trasferenza dei rifiuti solidi urbani, asservita ai comuni del «bacino centro» della provincia di Potenza, si è accertato che:
    1) erano stati smaltiti in discarica rifiuti contraddistinti dal C.E.R. 19.12.12, nonostante fossero privi dei requisiti per l'ammissibilità;
    2) era stata effettuata un'attività di trattamento rifiuti, per mezzo del trituratore, in assenza di autorizzazione;
    3) era stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non;
    4) vi era stata fuoriuscita di liquido, verosimilmente «percolato», risultato contenere valori superiori a quelli di legge per alluminio, ferro, manganese, mercurio, rame, zinco, BOD e COD;
   il 18 dicembre 2014 il NOE (nucleo operativo ecologico) dei carabinieri di Roma, dietro richiesta del giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Roma, dottor Massimo Battistini, ha disposto il sequestro preventivo del «centro di trasferenza» all'interno della discarica di Colle Fagiolara, a Colleferro;
   da fonti di stampa risultano due persone indagate dalla forestale di Polla per il reato di smaltimento illecito di rifiuti nell'impianto di trasferenza nella zona industriale di Polla (Salerno). La procura della Repubblica di Lagonegro, a termine delle indagini, ha emesso l'avviso di garanzia nei confronti di una ditta operante nel settore dei rifiuti presso l'Impianto di trasferenza dei rifiuti solidi urbani in località Sant'Antuono a Polla. Gli indagati sono P.C. e G.S., accusati a vario titolo dei reati penali per gestione di rifiuti non a norma di legge, secondo le prescrizioni vigenti in materia ambientale (in violazione agli articoli 256, 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 674 del codice penale, e articoli 68, 64, 55 e 18 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – ndr), per fatti accaduti nei trascorsi mesi, tra gennaio e febbraio 2016, come accertato dal sovrintendente Pietro Rubino del comando forestale di Polla, dipendente dal comando provinciale del Corpo forestale dello Stato di Salerno, diretto dal vice questore aggiunto Maria Gabriella Martino;
   il sottufficiale della forestale nel gennaio 2015, a seguito di segnalazione, constatata la gravità della gestione del percolato derivante dall'impianto, nonché gravi anomalie anche in ordine al sistema di aspirazione, nonché del sistema antincendio, subito dopo le formalità di rito ha denunciato i soggetti ritenuti responsabili a vario titolo, tra cui il liquidatore della società Ergon e il commissario liquidatore custode giudiziario dell'impresa Consorzio Centro Sportivo Meridionale Bacino SA3 e direttore tecnico dell'impianto, che ad oggi risultano entrambi indagati –:
   se ritenga opportuno procedere alla predisposizione di un'apposita iniziativa normativa, se ne sussistano i presupposti anche di natura regolamentare, al fine di aggiornare la disciplina sui centri di trasferimento dei rifiuti e, in caso affermativo, quali tempi preveda per la sua approvazione;
   se intenda assumere iniziative per chiarire quali siano le operazioni sui rifiuti consentite nei centri in questione e quali quelle vietate;
   se, ed in quali tempi, il Ministro intenda fissare le modalità di gestione del deposito temporaneo come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera bb), sub 5), del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche alla luce della recente novella che ha interessato l'istituto;
   quale sia la disciplina normativa nazionale applicabile a questo tipo di centri, anche alla luce del riferimento alla delibera interministeriale citata in premessa, quest'ultima peraltro atto non legislativo e comunque risalente. (4-14679)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dal VI rapporto banca dati predisposto dall'Anci e dal Conai (Consorzio nazionale imballaggi) pubblicato il 24 ottobre 2016 dal quotidiano economico « Il Sole 24 Ore», la regione Sicilia risulta all'ultimo posto a livello nazionale, nell'ambito della raccolta differenziata e della capacità di riciclo dei rifiuti a differenza del trend generale delle altre regioni, in progressiva ascesa negli ultimi cinque anni;
   il suindicato articolo di stampa, al riguardo, evidenzia che, se l'Umbria e la Sardegna hanno compiuto passi indietro nell'ambito della raccolta differenziata, la regione Siciliana risulta ancora più distante in termini di efficienza, anche rispetto ai valori di altre regioni del Mezzogiorno;
   nel corso dell'incontro di illustrazione del medesimo documento presentato nella sede dell'Anci, in considerazione dei livelli di criticità esistenti nelle regioni meridionali con riferimento alla raccolta e al riuso, è stata evidenziata la necessità di assumere dei provvedimenti straordinari nei riguardi del Mezzogiorno attraverso un intervento normativo che riduca i tempi della programmazione del piano dei rifiuti, migliorando al contempo le condizioni esistenti nell'attività di riciclo, evidentemente, ancora difficili;
   a tal fine, risulta infatti che la Sicilia, dove la raccolta differenziata staziona all'11 per cento e la capacità di riciclo è al 10,81 per cento, è caratterizzata negativamente sia a livello organizzativo che impiantistico e necessita, secondo Anci e Conai, di provvedimenti straordinari per risollevare la situazione dell'isola;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto emerge dal rapporto in precedenza indicato, anche nell'ambito ambientale e dell'ecosistema del territorio, la regione Siciliana è interessata da una situazione grave e complessa, i cui riflessi connessi alle criticità legate alla raccolta differenziata, che relega la Sicilia all'ultimo posto in Italia come percentuale di avvio a riciclo e intercettazione pro capite di raccolta differenziata, chiamano in causa l'amministrazione regionale, evidentemente disattenta e in ritardo nei controlli e negli incentivi, i cui effetti negativi rischiano di ripercuotersi sull'igiene e sulla salute pubblica della comunità siciliana –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza del rapporto predisposto da Anci – Conai che evidenzia come il Mezzogiorno ed, in particolare, la regione siciliana siano in grave ritardo, nell'ambito della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato, intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di definire regole più restrittive e controlli più accurati e di incentivare il sistema della raccolta differenziata su tutto il territorio nazionale e, in particolare, in Sicilia.
   (4-14687)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   si assiste ad una proliferazione di impianti eolici sulla dorsale dell'Appennino centro-meridionale, localizzati nelle aree più svantaggiate del Sud Italia come le province di Avellino, Foggia, Benevento, Isernia, Campobasso, Caserta e Chieti; pale eoliche spesso installate in aree con una ventosità limitata, con rari collegamenti alla rete di distribuzione dell'alta tensione, che vengono fermate per difficoltà ad immettere l'energia prodotta sulla rete nazionale, al punto da renderne conveniente l'installazione soltanto a fronte di incentivi pubblici derivanti in gran parte dai 14 miliardi di euro annui trattenuti ai contribuenti sulle bollette dell'Enel e dal commercio dei certificati verdi. La concentrazione di tali impianti si accentua ulteriormente nella zona compresa al confine tra la regione Molise e la regione Campania, dove è previsto l'insediamento di n. 89 pali eolici, a causa della conformazione del territorio e dell'attiguità dei numerosi piccoli comuni interessati, a vocazione prettamente agricola, zootecnica e turistica;
   la costruzione e l'esercizio degli impianti eolici, risultano regolati da una speciale disciplina contenuta nell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003. Tale articolo stabilisce che la realizzazione dei suddetti impianti è soggetta ad un'autorizzazione unica e il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione è regolato dalle linee guida approvate con il decreto ministeriale del 10 settembre 2010. Nello specifico gli articoli 10.5, 10.6 e 14.9, lettera c) del decreto ministeriale n. 10 del 2010 disciplinano le procedure di rilascio autorizzazioni delle cosiddette «aree contermini». Inoltre, si aggiunge che per quanto riguarda gli effetti visivi, il limite distanziale indicato dalle linee guida ministeriali per il calcolo dell'interferenza visiva è pari, in linea d'aria, a 50 volte l'altezza massima del vicino aerogeneratore. Nella fattispecie la fascia di incidenza risulta essere di 7,5 chilometri in alcuni casi totalmente in area molisana;
   le zone in questione sono aree sottoposte a vincoli. In particolare, la zona della Valle del Tammaro è un'area sottoposta a vincoli paesaggistici, stante la contiguità territoriale tra i comuni di Santa Croce del Sannio e Morcone (ricadenti nella provincia di Benevento) e i comuni di Sepino e Cercemaggiore (ricadenti nella provincia di Campobasso). I due comuni molisani sono entrambi sottoposti a vincoli paesaggistici. Come si evince dal decreto ministeriale del 9 maggio 1975 tutto il territorio del comune di Sepino è sottoposto a vincolo paesaggistico, per la presenza del sito archeologico di Saepinum-Altilia e del sito sannitico di Saepins-Terravecchia. Mentre l'intero territorio del comune di Cercemaggiore è stato vincolato con il decreto ministeriale del 23 luglio 2009, rimasto valido fino al 23 marzo 2014, quando è stato annullato dal Consiglio di Stato, salvo essere reiterato e di nuovo valido a partire dal 10 dicembre 2014; di conseguenza, sussiste il rischio di un impatto ambientale sul medesimo sito archeologico, risalente al IV secolo a.C., e sull'intera Valle del Tammaro determinando un effetto visivo che ne stravolgerebbe in modo irreversibile la visuale, in contrasto con l'articolo 9 della Costituzione e con il decreto legislativo n. 42 del 2004;
   si è in presenza di un'area geografica abbastanza ristretta e limitata, caratterizzata dalla presenza di elementi di notevole interesse paesaggistico e culturale, come il parco geopaleontologico di Pietraroja (BN), percorso del regio tratturo Pescasseroli-Candela sottoposto a vincolo e a tutela con decreto ministeriale del 15 giugno 1976 (è il terzo tratturo, per ordine di lunghezza, dell'Italia Meridionale; è lungo 211 chilometri e largo 55,55 metri; attraversa 4 regioni (Abruzzo, Molise, Campania e Puglia), 6 Province (L'Aquila, Isernia, Campobasso, Benevento, Avellino e Foggia) e 39 comuni) oltre dall'esistenza del massiccio del Matese, sottoposto anch'esso ai vincoli e alla salvaguardia dei parchi e delle aree protette, di aree ZPS (zone di protezione speciale) e di diverse aree SIC (siti di interesse comunitario);
   il 13 ottobre 2016 si è svolta al confine tra la regione Molise e la regione Campania in difesa delle aziende agricole, una mobilitazione delle organizzazioni professionali agricole Coldiretti, Cia, Confagricoltura della provincia di Benevento zootecniche e agroalimentari, le quali hanno posto l'attenzione sui seri rischi di una forte penalizzazione delle economie locali che sono a forte produzione agricola e agroalimentare a causa dell'installazione di impianti eolici impattanti che ne riducono il valore, il patrimonio e le potenzialità di sviluppo –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interpellati intendano intraprendere a tutela e salvaguardia del parco del Matese, del regio tratturo Pescasseroli-Candela, del sito archeologico risalente al IV a.C. di Saepinum-Altilia di Sepino (Campobasso), del parco geopaleontologico di Pietraroja (Benevento), della valle del Tammaro e delle aree SIC, ZPS, IBA e Natura 2000 interessate, oltre che delle attività produttive agricole, zootecniche, turistiche e commerciali del territorio situato a confine tra la regione Campania e la regione Molise oggetto di installazioni di impianti eolici impattanti.
(2-01524) «Scotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LEVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Rete dei comitati di tutela ambientale delle associazioni del Molise impegnate nella salvaguardia del tratturo Pescasseroli-Candela, del parco del Matese, del sito archeologico di Sapeinum-Altilia, della Valle del Tammaro, delle aree SIC, ZPS, IBA, Natura 2000, oltre che della attività agricole, turistiche, zootecniche, commerciali e artigianali del territorio posto a confine tra la regione Campania e la regione Molise, con nota del 21 ottobre 2016 si è rivolta al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini ed ad altre autorità, per sostenere le sollecitazioni trasmesse da alcuni consiglieri regionali del Molise, a salvaguardia di un territorio sottoposto a vincoli paesaggistici, archeologici, storici e culturali, per evitare l'installazione di poco meno di 100 pale eoliche in zone collocate a confine delle due regioni senza che la regione Molise sia mai stata convocata alle conferenze di servizio così come previsto dalle vigenti normative;
   nella nota del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, segretario regionale del Molise, del 21 ottobre 2016, si conferma la trasmissione delle comunicazioni al Gabinetto del Ministro a tutela del ruolo della direzione regionale del Ministero del Molise non convocata alle medesime conferenze di servizio della regione Campania sull'installazione di impianti eolici impattanti a confine con il Molise;
   il 13 ottobre 2016 si è svolta una manifestazione a Santa Croce del Sannio promossa dalle organizzazioni professionali della provincia di Benevento, Coldiretti, Confagricoltura e CIA, a tutela delle aziende agricole, zootecniche ed agrituristiche del Sannio, del Matese e della Valle del Tammaro;
   con la comunicazione della Soprintendenza archeologica della Campania del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 29 giugno 2016 n. 0011397 si è attivata la procedura di «Dichiarazione di interesse particolarmente importante di Beni Archeologici, ai sensi del decreto legislativo n. 42/2014 sul Regio Tratturo Pescasseroli-Candela nei comuni di: Morcone, S. Croce del Sannio, Circello, Reino, Pesco Sannita, S. Marco dei Cavoti, S. Giorgio la Molara e Buonalbergo», assegnando 120 giorni per la conclusione di detto procedimento;
   per ragioni non meglio individuate stanno per concludersi i 120 giorni indicati nella menzionata nota del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza archeologica della Campania e di Salerno, senza che ci siano stati gli adempimenti previsti da parte dell'Agenzia del demanio di Napoli e della regione Campania, con la conseguenza che, a ridosso del regio tratturo Pescasseroli-Candela possano essere installate pale eoliche alte 120/150 metri con uno stravolgimento irreversibile del paesaggio e del territorio –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a tutela e a salvaguardia del regio tratturo Pescasseroli-Candela, del parco del Matese, del sito archeologico di Saepinum-Altilia di Sepino (CB) e della Valle del Tammaro, evitando che scada il periodo di 120 giorni senza che si concluda il procedimento previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004. (5-09909)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Enit, ente nazionale italiano per il turismo, opera per conto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nella promozione dell'offerta turistica italiana;
   il decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio dei turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, all'articolo 16, ha esposto la trasformazione di Enit in ente pubblico economico;
   con decreto del 3 luglio 2015, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha nominato il dottor Antonio Nicola Preiti e il dottor Fabio Maria Lazzerini componenti del consiglio di amministrazione dell'Enit, ai sensi dell'articolo 5 dello statuto;
   con il decreto ministeriale del 24 luglio 2015, registrato alla Corte dei conti il 3 settembre 2015 al n. 3.666, la dottoressa Evelina Christillin è stata designata, per un triennio, presidente di Enit;
   nella sezione «Amministrazione trasparente» del sito internet dell'Agenzia, che risulta in «fase di aggiornamento» da mesi, non sono pubblicati il bilancio consuntivo del 2015 e il preventivo del 2016;
   da una verifica condotta dall'interrogante nel sito internet dell'Enit risulterebbe mancante l'indicazione dei compensi dei componenti del consiglio di amministrazione («in via di definizione» recita la casella) e non c’è traccia neppure del regolamento organizzativo, dato sostanziale per comprendere la riorganizzazione avvenuta in conseguenza della trasformazione di Enit in ente pubblico economico;
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», all'articolo 46, comma 1, recita: «l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di giungere quanto prima alla pubblicazione, sul sito internet dell'Agenzia, dei dati relativi ai compensi dei componenti del consiglio di amministrazione, dei bilanci consuntivo e preventivo e del regolamento organizzativo.
(4-14662)


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2016, a Caprino, in provincia di Verona, sono iniziati i lavori per l'installazione di un semaforo sull'innesto tra la strada provinciale Sp29 e la Sp8;
   la sindaco di Caprino ha spiegato che «l'iniziativa di montare il semaforo è nata dal tentativo di rallentare i motociclisti e veicoli che viaggiano su questo tratto di strada ad altissime velocità»;
   il semaforo troverà collocazione sotto la chioma di un platano millenario – fatto risalire al 1370 e probabilmente il più vecchio d'Italia –, inserito nell'elenco dei grandi alberi del Veneto, piante che vanno tutelate in quanto rilevanti testimonianze della natura;
   la frazione del comune – Platano di Caprino Veronese – prende il nome dall'albero, passato alla storia come il platano dei «100 bersaglieri» perché si vuole che, nell'estate del ’37, durante le manovre dell'Esercito, vi si nascondesse una compagnia di 100 bersaglieri;
   a terra sono segnati i punti dove verranno piantati i pali di sostegno e uno sarà incastrato a circa 1 metro dal fusto;
   il presidente onorario del WWF Veneto, Averardo Amadio, l'11 ottobre 2016 ha scritto alla sindaco e alla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Verona segnalando il caso e sottolineando «le conseguenze negative dell'impianto; sotto il profilo naturalistico per il grave incremento di emissioni gassose provocate dai numerosi veicoli in sosta sotto la chioma dell'albero e dannose anche per la salute, e quello paesaggistico per l'introduzione di un elemento estraneo ed inaccettabile nel contesto che è proprio determinato dalla presenza dei “grande albero”»;
   la legge del 14 gennaio 2013, n. 10, all'articolo 1, comma 1, prevede che: «attraverso la valorizzazione dell'ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, si può perseguire l'attuazione del protocollo di Kyoto, e le politiche di riduzione delle emissioni, la prevenzione del dissesto idrogeologico e la protezione del suolo, il miglioramento della qualità dell'aria, la valorizzazione delle tradizioni legate all'albero nella cultura italiana e la vivibilità degli insediamenti urbani»;
   la citata legge, all'articolo 3, comma 1, prevede l'istituzione di un Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   tra le competenze del Comitato (articolo 3, comma 2, lettera d)) c’è quella provvedere alla verifica delle «azioni poste in essere dagli enti locali a garanzia della sicurezza delle alberate stradali e dei singoli alberi posti a dimora in giardini e aree pubbliche e promuovere tali attività per migliorare la tutela dei cittadini»;
   l'articolo 7 della citata legge detta le «Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di garantire il rispetto della legge del 14 gennaio 2013, n. 10. (4-14671)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11249 del 24 novembre 2015, l'interrogante sollevava l'allarmante situazione criminale nel Sud Pontino, oggetto di frequenti sequestri di beni da parte di reparti speciali delle forze di polizia appartenenti ad altre regioni, e la mancanza di un efficace contrasto alle mafie da parte degli organi istituzionali locali;
   il 12 novembre 2015 gli investigatori della direzione investigativa antimafia del centro operativo di Roma, hanno sequestrato nelle province di Latina, Frosinone, Napoli, Caserta e Isernia, su disposizione del tribunale di Latina, oltre 200 camion, 2 cave di marmo, società, terreni e immobili riconducibili a un imprenditore cui fanno capo società operanti nel trasporto merci su strada, smaltimento rifiuti e commercio di autovetture, per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro;
   la città di Latina e in genere il Sud Pontino rappresentano sempre più spesso le piazze in cui vengono sequestrati beni riconducibili ad organizzazioni criminali e mostrano chiaramente i segni della potenza delle mafie in questo territorio. Infatti, il citato imprenditore, oltre a frequentare ed avere rapporti d'affari con imprese controllate dal clan dei Casalesi, godeva anche del supporto di clan quali Bidognetti, Schiavone e Mendico;
   nella suddetta interrogazione si cita la circostanza del rapporto di parentela tra il suddetto imprenditore e due suoi fratelli, appartenenti entrambi all'Arma dei carabinieri, non indagati nell'inchiesta che coinvolge il fratello: il primo è in pensione, ma ha prestato servizio soprattutto in Campania; il secondo all'atto dei fatti era ancora in servizio ed in organico, con compiti di polizia giudiziaria, presso la tenenza di Gaeta;
   la notizia eclatante dell'ingente sequestro di beni veniva riportata dai media nazionale e locali, come il giornale online H24 Notizie di Latina, che citava, nell'articolo anche i fratelli dell'imprenditore e la circostanza che uno dei due fratelli svolgesse mansioni di ufficiale di polizia giudiziaria presso la tenenza di Gaeta, specificando, in ogni caso, che non erano indagati;
   tale circostanza, secondo l'interrogante, pone indubbiamente pesanti interrogativi in capo ai superiori gerarchici del suddetto carabiniere in merito all'opportunità che lo stesso, avendo il fratello pregiudicato anche per reati di camorra, continui a svolgere attività di polizia giudiziaria nel territorio di influenza del fratello;
   nella giornata dell'8 ottobre 2016, il tribunale di Cassino ha ordinato il sequestro preventivo di due pagine dell'articolo incriminato, scritto dai giornalisti Adriano Pagano e Francesco Furlan, che risultano entrambi indagati, peraltro, per il reato di diffamazione;
   a consegnare il decreto di sequestro preventivo è stato un collega del carabiniere citato;
   sarebbe stato opportuno, secondo l'interrogante, da parte della procura di Cassino, al fine di smorzare le polemiche, delegare le indagini ad altro corpo di polizia, visto che nella vicenda risulta essere coinvolto un carabiniere quale denunziante –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in relazione alla condotta dei vertici locali e provinciali dell'Arma dei carabinieri che, pur a conoscenza della presenza e dell'attività criminale del citato imprenditore, accostato a complicità camorristiche operative anche in provincia di Latina e quindi nel Golfo di Gaeta, avrebbero tollerato la presenza nella tenenza carabinieri di Gaeta del fratello che operava, a giudizio dell'interrogante, in presenza di una costante incompatibilità ambientale. (4-14672)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il poligono del Monte Bivera, situato nel comune di Sauris in provincia di Udine, ricade nei siti d'importanza comunitaria (SIC);
   il 7 e l'8 novembre 2016 l'area del Monte Bivera, come riportato dal provvedimento di sgombero n. 85/16 emesso dal comando militare dell'Esercito del Friuli Venezia Giulia, «sarà interessata da esercitazioni militari a fuoco con armi leggere, lancio bombe a mano e mortai da 120 mm che per loro natura comportano pericolo per persone ed animali»;
   tali azioni hanno inevitabilmente provocato molte lamentele da parte dei residenti sia in relazione ai forti disagi causati alla circolazione, che sull'impatto per un'area che dovrebbe essere sottoposta a particolare tutela;
   il primo firmatario del presente atto ha depositato il 13 giugno 2013 l'interrogazione n. 4-00846 con la quale ha chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della difesa d'intesa con le autorità locali, se intendessero avviare la verifica dello stato d'inquinamento del poligono militare presente nel Sic del Monte Bivera, finalizzato a tutelare l'ecosistema e la popolazione che vi risiede;
   il Ministro della difesa Mario Mauro, nella risposta scritta pubblicata in data 18 ottobre 2013, ha affermato che «(...) il monitoraggio ambientale del poligono verrà inserito fra gli interventi da effettuarsi d'interesse dell'Esercito italiano, sulla base delle priorità che saranno stabilite in funzione delle esigenze addestrative e delle risorse finanziarie disponibili (...)». Il Ministro, in ultimo, ha sottolineato che «le esercitazioni presso i poligoni vengono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge, volte ad assicurare la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente. Ogni attività viene preventivamente valutata e autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico, la cui attività è finalizzata proprio ad instaurare, nell'ambito di ogni regione, un rapporto permanente di collaborazione con le Forze armate, al fine di armonizzare le esigenze della Difesa con le esigenze del tessuto civile e sociale della vita comunitaria»;
   il comunicato stampa della regione Friuli Venezia Giulia del 24 febbraio 2016 ha riportato la notizia della firma dei disciplinari d'uso per i poligoni militari tra l'assessore regionale alle infrastrutture e al territorio Mariagrazia Santoro e il comandante militare dell'Esercito Italiano in Friuli Venezia Giulia Alessandro Guarisco;
   la nota ha sottolineato che i «disciplinari d'uso valgono fino al 2019 e interessano le aree di addestramento Cao Malnisio, Cellina-Meduna, Dandolo, Malga Saisera, Monrupino, Monte Bivera, Rivoli Bianchi di Tolmezzo, Rivoli Bianchi di Venzone e T51-Fiume Tagliamento. Per tutti questi poligoni proprio oggi il Co.Mi.Par. ha approvato il programma d'impiego nel secondo semestre del 2016. Rispetto all'anno scorso il numero massimo di giornate per le esercitazioni a cielo aperto rimane pressoché invariato»;
   un articolo di Udine Today del 15 giugno 2016 ha riportato le lamentele della popolazione residente, nonché i timori per i danni ambientali e turistici causati dalle esercitazioni militari al poligono del Monte Bivera. L'articolo spiega che «la vicenda va avanti da decenni, con polemiche annesse, e puntualmente – tra fine maggio e i primi di giugno, con un'appendice anche in autunno – la situazione si ripropone» creando ripercussioni sull'equilibrio faunistico della zona e problemi ambientali e di circolazione urbana per la cittadinanza –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di prevenire i danni ambientali derivanti dalle attività militari nella regione Friuli Venezia Giulia;
   se i Ministri intendano chiarire in maniera dettagliata le tempistiche previste per il monitoraggio ambientale del poligono e se intendano illustrare le informazioni relative all'esame di impatto ambientale ai fini dell'autorizzazione delle attività riportate in premessa;
   quali motivazioni giustifichino le esercitazioni militari nel poligono del Monte Bivera ricadente nei siti d'importanza comunitaria (Sic), in relazione alla necessità di tutela dell'ambiente e della salute degli abitanti della zona e della valenza particolare dell'area «Sic»;
   alla luce delle proteste della cittadinanza e dei potenziali pericoli ambientali, come si intendano armonizzare tali operazioni con le esigenze del tessuto economico, civile e sociale della vita comunitaria. (4-14678)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 3 del 2015, convertito dalla legge n. 33 del 2015, relativo alla trasformazione delle principali banche popolari italiane in società per azioni ha creato, ad avviso degli interpellanti, delle distorsioni del consolidato equilibrio finanziario ed economico nazionale;
   la trasformazione in società per azioni della Banca popolare di Bari ha generato anche problemi di ordine pubblico dovuti alle dimostrazioni degli azionisti che da mesi e da anni hanno richiesto la vendita delle azioni in proprio possesso senza esito positivo. Le maggiori preoccupazioni dei risparmiatori sono legate alla progressiva riduzione del valore nominale delle azioni che potrebbe avere effetti pregiudizievoli irreparabili sulla loro situazione patrimoniale. Si sottolinea che molti dei clienti della Banca hanno investito tutti i propri risparmi negli strumenti finanziari legati al valore nominale delle azioni delle Banca popolare di Bari confidando nella solidità della stessa e nelle garanzie costituzionali disposte in materia di tutela del risparmio. Da quanto si apprende la domanda di azioni della Banca risulta essere minima ed il considerevole aumento delle offerte di negoziazioni incrementa la progressiva svalutazione delle stesse. Le difficoltà della banca implicano pregiudizi non solo per il sistema economico della regione Puglia ma altresì per la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. Si evidenzia che il 20 marzo 2009 è stata completata la cessione della partecipazione maggioritaria della Cassa di risparmio di Orvieto spa pari al 73,57 per cento del capitale al gruppo Banca popolare di Bari e le difficoltà finanziarie della Cassa di risparmio di Orvieto si sono progressivamente riflesse sulla consolidata stabilità patrimoniale della Banca popolare di Bari. Non si comprendono le ragioni di tale acquisizione, visto che la medesima ha generato i suddetti problemi di stabilità economica e finanziaria del sistema produttivo e dei risparmiatori, prevalentemente, della regione Puglia;
   le associazioni dei risparmiatori e di tutela dei consumatori sono in procinto di avviare ogni genere di azione giudiziaria volta a far chiarezza sul caso, in particolar modo al fine di verificare se l'acquisizione di Cassa di risparmio di Orvieto sia avvenuta in assenza di conflitti di interesse e nel rispetto delle logiche di sana e prudente gestione tipiche del sistema creditizio e se le modalità di sottoscrizione e collocazione delle azioni nei confronti dei risparmiatori sia avvenuta in assenza di conflitti di interesse ed in coerenza dei profili di rischio di risparmiatori e soprattutto di famiglie e pensionati;
   in particolar modo, si evidenzia che le indagini necessitano di tempo, mentre i termini previsti dalla normativa per la conversione delle banche popolari in società per azioni, ovverosia il 31 dicembre 2016, sono perentori –:
   se sia al corrente dei disagi che il termine perentorio previsto per il 31 dicembre 2016 ha creato, fino al punto di costringere il prefetto di Bari a ricevere gli azionisti che hanno dimostrato il proprio disagio in piazza;
   quali iniziative intenda proporre, per quanto di competenza, al fine di risolvere la questione, nel rispetto della tutela costituzionale del risparmio, e di rimediare ai pregiudizi generatisi per i risparmiatori;
   se reputi opportuno assumere una tempestiva iniziativa normativa volta a procrastinare il termine della conversione in società per azioni dal 31 dicembre 2016 al 31 dicembre 2017.
(2-01526) «Cariello, Pisano, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial, Pesco, Alberti, Fico, Ruocco, Villarosa, Cecconi».

Interrogazione a risposta immediata:


   POLIDORI, BALDELLI, BRUNETTA, LAFFRANCO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   alle 7.40 del 30 ottobre 2016, un terremoto di magnitudo 6.5 – il più forte degli ultimi 36 anni – con epicentro a 5 chilometri da Norcia, si è abbattuto al confine tra Marche e Umbria ed è stato fortemente avvertito anche nei territori già interessati dagli eventi sismici del 24 agosto e del 26 ottobre 2016;
   seppur in assenza di vittime, il bilancio è tragico: solo nella Marche si contano 25 mila sfollati, che in totale potrebbero arrivare a quota 100 mila;
   il terremoto ha distrutto borghi medievali, deturpato beni architettonici, «depredato» tesori artistici. Ha raso al suolo l'intero patrimonio abitativo, messo in ginocchio l'economia fatta di eccellenze eno-gastronomiche, turismo religioso e paesaggistico;
   Norcia è ora sfregiata anche simbolicamente: della basilica intitolata al patrono d'Europa resta solo la facciata;
   sin dal primo momento Forza Italia ha dichiarato la propria disponibilità a collaborare per la ricostruzione e per questo, sentite le necessità attraverso i propri amministratori nelle zone interessate dal sisma, si è mobilitata innanzitutto per proporre all'Unione europea di «adottare» la piazza e la basilica di San Benedetto da Norcia;
   Forza Italia è inoltre impegnata attivamente nel reperire fondi, provvedere al supporto psicologico dei minori e contribuire, per mezzo della Lega italiana difesa animali e ambiente, ad alleviare i disagi subiti dagli animali di affezione e da allevamento;
   d'altra parte il Governo – che dopo il terribile terremoto del 24 agosto 2016 ha impiegato quasi due mesi per approvare un decreto-legge recante interventi in favore delle popolazioni colpite – nonostante la disponibilità dimostrata da tutti i partiti di opposizione, non ha mai convocato alcun tavolo di «coesione nazionale», per decidere come fronteggiare l'emergenza, aiutare le regioni colpite e discutere di ricostruzione e di messa in sicurezza del territorio;
   i numeri reali, inoltre, raccontano di un forte gap tra la cifra stanziata nella manovra di bilancio per l'emergenza terremoto (600 milioni di euro) e quello 0,2 per cento di «flessibilità» (circa 3,4 miliardi di euro) che il Governo si è già preso in nome della stessa emergenza, già prima della scossa devastante del 30 ottobre 2016 –:
   quante risorse il Governo intenda stanziare per la ricostruzione, a fronte della flessibilità richiesta in Europa per l'emergenza terremoto e delle cifre assolutamente insufficienti presenti all'interno della manovra di bilancio, e quali puntuali iniziative intenda intraprendere per aiutare la ripresa dell'economia locale, con particolare riferimento alle esigenze delle aziende zootecniche e casearie. (3-02597)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 156 del 2015 ha introdotto, all'articolo 9, numerose modifiche alla disciplina del contenzioso tributario di cui al decreto legislativo n. 546 del 1992, attuando l'articolo 10 della legge di delega fiscale che, fra i principi e criteri direttivi, disponeva l'immediata esecutività delle sentenze di condanna in favore del contribuente;
   il comma 1, lettera gg), del citato articolo 9, ha sostituito l'articolo 69 del decreto legislativo n. 546, disponendo, al nuovo comma 1, l'immediata esecutività delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, pagamento che può essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia, ove l'ammontare superi 10.000 euro, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell'istante; il comma 2 demanda ad un decreto ministeriale la disciplina della garanzia, sulla base di quanto previsto dall'articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; il comma 3 prevede che i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all'esito definitivo del giudizio; il comma 4 prevede che il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza è eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione, ovvero dalla presentazione della garanzia, se dovuta, e il comma 5 consente la richiesta di ottemperanza, nei casi di inerzia dell'amministrazione;
   tale previsione è in vigore dal 1o giugno 2016, tuttavia finora il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora emanato il previsto decreto attuativo, vanificando un aspetto importante della riforma del contenzioso tributario;
   con circolare 38/E del 2015, l'Agenzia delle entrate — che ormai ha assunto un costante quanto improprio ruolo nell'emanazione di circolari di interpretazione autentica delle norme — precisava che, in mancanza del provvedimento attuativo, non sono entrate in vigore le nuove previsioni sull'esecutività delle sentenze, rimanendo conseguentemente in vigore la precedente normativa che prevede l'esecutività della sentenza solo dopo il suo passaggio in giudicato;
   nel processo tributario l'Agenzia delle entrate è una della parti, e quindi le sue interpretazioni non hanno alcun valore per il contribuente e, tantomeno, per i giudici;
   la mancata emanazione del decreto lascia quindi ai giudici tributari la decisione se applicare o meno la nuova disciplina, come recenti sentenze hanno evidenziato –:
   quali impedimenti stiano ritardando l'emanazione di un decreto che dovrebbe essere al centro della filosofia del «fisco-amico» tanto decantata dal Governo.
(5-09938)


   RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Salerno si sta verificando un vero e proprio sommovimento nel settore bancario, provocato da alcune banche di credito cooperativo e dal Credito salernitano, concernente l'applicazione della disciplina di riforma delle banche di credito cooperativo, di cui al decreto-legge n. 18 del 2016;
    le prime stanno tentando di dare vita a fusioni dubbie;
   il Credito salernitano si sta fondendo con una finanziaria operante nel settore della cessione del quinto dello stipendio;
   tali operazioni, a quanto risulta all'interrogante, comporterebbero il sostanziale azzeramento delle quote dei cooperatori-risparmiatori, che vedrebbero il valore delle loro quote ridotto del 90 per cento, tutto ciò a danno anche delle piccole e medie imprese di un territorio di oltre un milione di abitanti, già impoverito da una delle più gravi crisi del dopoguerra e di fatto deindustrializzato a partire dagli anni ’90;
   il 23 ottobre 2016 è stata convocata l'assemblea dei soci del Credito salernitano;
   le predette operazioni stanno avvenendo, a giudizio dell'interrogante, in spregio alle esigenze dei risparmiatori e del territorio rafforzando di fatto alcune posizioni di potere –:
   se sia in possesso di informazioni in merito a tale vicenda, nonché riguardo allo stato di attuazione della disciplina di riforma delle banche di credito cooperativo, di cui al predetto decreto-legge n. 18 del 2016, da parte anche delle altre banche di credito cooperativo della provincia di Salerno, e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la tutela dei diritti dei risparmiatori ed evitare gravi ricadute negative sul territorio.
   (5-09939)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina in merito alle società di comodo e alle società in perdita sistematica ha perso, oggi, la ratio originale che risiedeva nella volontà di evitare intestazioni di beni a società al solo scopo di detrarre l'IVA, trasformandosi in una patrimoniale di fatto;
   questo scappatoia non è più percorribile e la normativa è ormai divenuta una disciplina inutilmente vessatoria, perché, nel tempo, rispetto all'obiettivo che si era prefissata, ha finito per svantaggiare, piuttosto, le società che operavano nei settori più colpiti dalla crisi economica;
   la materia in esame è normata nell'articolo 30 della legge n. 724 del 1994, come modificato, principalmente, dai decreti legge n. 223 del 2006 e n. 138 del 2011;
   l'articolo 2, commi 36-decies e 36-undecies del decreto-legge n. 138 del 2001 ha poi esteso la disciplina di sfavore prevista per le società di comodo anche alle società in perdita sistematica, ossia che dichiarano perdite fiscali in modo strutturale;
   l'articolo 18 del decreto sulle semplificazioni fiscali (decreto legislativo n. 175 del 2014) ha elevato da tre a cinque anni il cosiddetto «periodo di osservazione» per l'applicazione della normativa ed ha permesso, grazie a questo allungamento, di evitare a molte società in crisi di rientrare nella normativa penalizzante;
   la normativa, quindi, è stato soltanto diluita senza addivenire ad una soluzione sostanziale del problema;
   l'articolo 30 della legge n. 724 del 1994 prevede poi una serie di cause di esclusione dalla disciplina e l'Agenzia delle entrate ha inoltre individuato ulteriori cause di disapplicazione che operano distintamente per le diverse fattispecie (provvedimenti n. 23681 del 14 febbraio 2008 per quanto riguarda le società non operative e n. 87956 dell'11 giugno 2012 per le società in perdita sistematica), disorientando enormemente gli operatori e creando una obiettiva difficoltà nell'applicazione della norma;
   nella relazione tecnica del decreto sulle semplificazioni si legge che la perdita di gettito risulta, quindi, largamente inferiore a quella precedentemente stimata e tale circostanza ha portato ad auspicare l'abolizione della disciplina in esame in sede di attuazione dell'articolo 12, comma 1, lettera d), della legge delega per la riforma fiscale, che ha previsto «la revisione, razionalizzazione e coordinamento della disciplina delle società di comodo» –:
   se non intenda assumere iniziative per dare seguito all'auspicata abolizione della disciplina della società di comodo e della disciplina delle società in perdita sistemica. (5-09940)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi 182-190, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato quel beneficio già riservato in via sperimentale dal 2008 ai lavoratori del settore privato (cosiddetta detassazione dei premi di produttività) e sospeso per l'anno 2015 per mancanza di risorse finanziarie, reintroducendo misure fiscali agevolative per le retribuzioni premiali, applicabili entro il limite d'importo di 2.000 euro, anche in collegamento con la partecipazione dei dipendenti all'organizzazione del lavoro, nonché per lo sviluppo del welfare aziendale, che si sostanzia nell'attribuzione di opere, servizi nonché in alcuni casi somme sostitutive (benefit), connotati da particolari rilevanza sociale;
   in base a quanto previsto dal comma 189 del predetto articolo 1 della legge di stabilità del 2016, il suddetto limite di 2.000 euro è elevabile a 2.500 euro per le aziende che prevedono il coinvolgimento dei lavoratori nell'organizzazione del lavoro; nello specifico, tale disposizione è finalizzata ad incentivare quegli schemi organizzativi della produzione e del lavoro orientati ad accrescere la motivazione del personale e a coinvolgerlo in modo attivo nei processi di innovazione, realizzando in tal modo incrementi di efficienza, produttività e di miglioramento della qualità della vita e del lavoro, motivo per cui, di contro, non costituiscono strumenti e modalità utili ai fini del coinvolgimento paritetico dei lavoratori i gruppi di lavoro e i comitati di semplice consultazione, addestramento o formazione;
   al fine di beneficiare dell'incremento dell'importo su cui applicare l'imposta sostitutiva, è quindi necessario che i lavoratori intervengano, operino ed esprimano opinioni che, in quello specifico contesto, siano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili aziendali che vi partecipano con lo scopo di favorire un impegno «dal basso» che consenta di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro. In presenza di tali forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori l'agevolazione può essere riconosciuta nel maggior limite di premio o di utile di 2.500 euro a tutti i lavoratori dell'azienda –:
   quali e quante risultino al Governo le imprese che hanno attivato i sistemi di partecipazione all'organizzazione del lavoro di cui all'articolo 1, comma 189, della legge n. 208 del 2015. (5-09941)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati svolta dalla Commissione finanze della Camera la dottoressa Cannata, direttrice della direzione del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, nella sua audizione del 10 febbraio 2015, ha fornito dati circa i contratti derivati sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali sia il valore nozionale complessivo dei contratti derivati sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze con Barclays, Deutsche Bank, The Royal Bank of Scotland e Société Générale (o con società veicolo riconducibili a tali banche) in essere alle date del 31 dicembre 2004 e del 31 dicembre 2008, distinti tra Interest Rate Swap (IRS), Swaption e Credit Default Swap (CDS), quali di tali contratti siano stati oggetto di estinzione anticipata, di esercizio di swaption, di ristrutturazione o di qualsivoglia tipo di novazione, dal 1o settembre 2005 al 30 giugno 2016, distinti tra Interest Rate Swap (IRS), Swaption e Credit Default Swap (CDS) e se possa confermare che, con la nuova disciplina SEC 2010, in tema di ristrutturazioni dei contratti in strumenti finanziari derivati, la decorrenza, ai fini della determinazione della prescrizione del contratto derivato originariamente sottoscritto, si computi dalla data della sua ristrutturazione, creando, di fatto, un contratto considerato «ex-novo», con estinzione del precedente. (5-09942)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16, comma 11, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, ha istituito l'imposta erariale sugli aeromobili privati, di cui all'articolo 744 del codice della navigazione, immatricolati nel registro aeronautico nazionale tenuto dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac);
   l'articolo 3-sexies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, novella il citato articolo 16 del decreto-legge n. 201 del 2011, introducendo l'imposta erariale sui voli dei passeggeri di aerotaxi, dovuta per ciascun passeggero e versata dal vettore, per ciascuna tratta, in misura proporzionale al tragitto, riducendo il valore dell'imposta per i piccoli aeroplani e per gli elicotteri, esentando dall'imposta agli aeromobili storici, agli aeromobili di costruzione amatoriale e agli apparecchi per il volo da diporto o sportivo;
   il citato articolo 3-sexies prevede inoltre l'applicazione dell'imposta agli aeromobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale tenuto dall'Enac, la cui sosta nel territorio italiano si protragga oltre 45 giorni in via continuativa (in luogo delle 48 ore che erano allora previste);
   il comma 5-quater dell'articolo 67 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, estende l'imposta anche al servizio taxi effettuato tramite elicottero; si prevede, inoltre, una differenziazione più articolata del quantum in base alla lunghezza del tragitto e viene altresì innalzata la misura dell'imposta dovuta per gli aerei di peso superiore a 10.000 chilogrammi;
   l'articolo 8, comma 1, della legge 6 agosto 2013, n. 97, al fine di evitare il contrasto con le previsioni comunitarie della direttiva 83/102/CEE, del 28 marzo 1983, modifica la disciplina concernente il trattamento fiscale applicabile agli aeromobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale tenuto dall'Enac, prevedendo l'estensione del periodo di permanenza nel territorio italiano necessario ai fini dell'imposizione ad un tempo non inferiore ai 6 mesi;
   la relazione tecnica allegata alla norma istitutiva del 2011 ha quantificato un ammontare complessivo di maggior gettito pari a 85 milioni di euro su base annua; la relazione tecnica allegata al provvedimento del 2012 stima una perdita di gettito derivante dalle riduzioni dell'imposta ivi previste pari a 8,4 milioni di euro su base annua e un minor gettito dovuto alle nuove esenzioni pari a 0,8 milioni di euro, per un minor gettito complessivo pari a 9,2 milioni di euro annui, completamente coperto con l'introduzione della citata tassa d'imbarco per gli aerotaxi;
   nello stato di previsione dell'entrata, in sede di assestamento 2016, ai capitoli 1223 e 1224, sono ascritte rispettivamente entrate, per gli anni 2016, 2017 e 2018, per 1 milione di euro su base annua per l'imposta erariale sugli aeromobili privati e per 8 milioni di euro su base annua per l'imposta erariale sui voli dei passeggeri di aerotaxi;
   l'imposta erariale sugli aeromobili privati ha avuto un impatto negativo per l'aviazione generale nazionale dovuto alla contrazione del mercato, alla fuga di aeromobili italiani, immatricolati ora all'estero e al calo drastico di nuove iscrizioni presso il registro dell'Enac che ha portato ad un conseguente crollo dei fatturati delle piccole e medie imprese del settore e dell'indotto e a una riduzione del livello occupazionale, oltre al mancato incasso di accise sui carburanti e Iva –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per sopprimere l'imposta erariale sugli aeromobili privati al fine di rilanciare gli investimenti nelle industrie di progettazione, sviluppo, produzione e supporto logistico di velivoli in Italia.
(5-09907)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto recentemente emerso da alcuni articoli di stampa, l'istituto bancario Unicredit ha avviato, negli ultimi mesi, la cessione della propria controllata Pioneer, società specializzata nel risparmio gestito;
   la vendita di Pioneer dovrebbe avvenire a seguito della valutazione, da parte di Unicredit, di una serie di proposte vincolanti a cui dovrebbe seguire una seconda fase caratterizzata da meccanismi di asta al rialzo;
   sempre secondo quanto emerge da fonti di stampa, Poste italiane sarebbe intenzionata a presentare un'offerta vincolante per l'acquisto della società Pioneer attraverso un consorzio appositamente costituito. In particolare, risulterebbe che Poste, in una prima fase, possa creare un veicolo finanziario con una dotazione di circa 2,5 miliardi di euro, costituito all'80 per cento da Poste stessa e al 20 per cento da Cassa depositi e prestiti. Le liquidità finanziarie, pari a 500 milioni di euro, sarebbero fornite da Cassa depositi e prestiti, mentre i restanti 2 miliardi di euro giungerebbero da un finanziamento che Poste dovrà attivare. Tale consorzio dovrebbe poi costituire un secondo veicolo finanziario che vedrebbe la partecipazione di Anima a cui spetterebbe il compito di reperire ulteriori risorse pari a circa 500-600 milioni di euro al fine di dotare tale veicolo finanziario di una capacità di circa 3-3,1 miliardi di euro;
   l'investimento che Poste Italiane dovrebbe affrontare, secondo quanto emerge anche da un'analisi recentemente compiuta dall'Istituto centrale delle banche popolari, rischia di rappresentare un investimento finanziario tale da limitare, in futuro, le risorse che l'azienda potrebbe indirizzare ad alcuni settori strategici, tra cui quello della logistica e dei servizi a pagamento –:
   se il Ministro interrogato, in qualità di azionista di Poste italiane e di Cassa depositi e prestiti, sia pienamente a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali orientamenti intenda esprimere in merito ad una operazione finanziaria di tale rilievo;
   se il Ministro non ritenga che tale operazione rischi di espone finanziariamente Poste italiane in modo eccessivo, pregiudicandone, in futuro, gli investimenti in alcuni settori strategici;
   se la partecipazione ai veicoli finanziari volti a realizzare tale operazione e le forme di finanziamento che dovranno essere attivate per il reperimento delle risorse necessarie, non rischino di condizionare, in futuro, le scelte strategiche di Poste italiane;
   se sia stato svolto un esame approfondito volto ad escludere la presenza, all'interno dell’asset manager, di derivati e/o titoli cosiddetti tossici o ad elevata rischiosità;
   se il Ministro abbia valutato alla luce anche di quanto già avvenuto nel caso del Monte dei Paschi di Siena, se l'eventuale esposizione finanziaria derivante dall'acquisizione, possa pregiudicare l'attività tradizionale svolta da Poste italiane anche sulla base del contratto di servizio con lo Stato, nonché gli attuali livelli occupazionali. (4-14658)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il complesso edilizio della casa circondariale di Caltagirone è di recente costruzione (1992-2002), realizzato con moduli prefabbricati e consta di due sezioni detentive denominate blocco 25 e blocco 50;
   recenti dichiarazioni del segretario nazionale della Uil polizia penitenziaria, Armando Algozzino, denunciano lo stato di totale abbandono che caratterizza la struttura e la totale assenza di interventi di manutenzione ordinaria negli ultimi anni;
   le criticità del fabbricato riguardano soprattutto il block house, privo di riparo dagli agenti atmosferici, un bagno e la porta carraia non dotata di sistemi di aerazione e aspirazione;
   la UILPA polizia penitenziaria sottolinea la carenza di organico presso gli istituti e l'età media molto elevata dei poliziotti penitenziari: 51/52 anni per la casa circondariale di Caltagirone che sembra non essere un caso isolato;
   l'organico previsto a Caltagirone è stato ridotto da 158 a 137 in due anni, ma in realtà sono presenti 78 agenti e sono del tutto insufficienti rispetto alle esigenze operative, così come è esiguo il numero delle unità, 15 in tutto, impiegate presso il nucleo traduzioni e piantonamenti: quest'ultimo dispone di appena 5 mezzi attivi, sebbene in pessimo stato, rispetto ai 25 in dotazione, poiché i restanti sono fuori servizio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   quali interventi urgenti e quali interventi programmatici siano stati già predisposti dall'amministrazione penitenziaria per ripristinare le strutture fatiscenti;
   quali siano gli interventi urgenti e quali quelli in programma per il riassestamento del parco mezzi;
   se sia allo studio del Ministro interrogato la possibilità di aumentare la dotazione organica della casa circondariale di Caltagirone alla luce anche dei lavori di ampliamento in corso. (4-14657)


   GIANLUCA PINI e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge sull'ordinamento professionale forense ha sancito, fra gli altri, l'obbligo della formazione continua degli avvocati (articolo 11 della legge n. 247 del 2012);
   con il regolamento n. 6 del 16 luglio 2014 il Consiglio nazionale forense ha disciplinato le modalità di attuazione dell'obbligo formativo;
   per legge, dunque, l'avvocato è tenuto a curare la propria formazione nell'arco di tutta la vita professionale, mediante la partecipazione a convegni e corsi accreditati dal Consiglio nazionale forense e ad altre iniziative formative elencate nell'articolo 13 del predetto regolamento;
   è notizia pubblicata il 25 ottobre 2016 quella di un convegno per il «SI» al referendum ad Isernia, con Pierferdinando Casini come relatore, che frutterà agli avvocati partecipanti n. 3 crediti formativi;
   si tratta, a parere degli interroganti, di una vergognosa strumentalizzazione e di un pericoloso precedente per gli altri ordini professionali –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda adottare le opportune iniziative, anche normative, perché un convegno politico non sia equiparato ad un corso di aggiornamento professionale ai fini del riconoscimento dei crediti formativi;
   quali iniziative di competenza intenda assumere nell'ambito della propria funzione di vigilanza sull'Ordine forense. (4-14675)


   MAROTTA e SAMMARCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è fondamentale assicurare un'efficace ed efficiente azione di tutti gli uffici giudiziari soprattutto di quelli che operano in sedi disagiate;
   in particolare, oggi molti magistrati, che svolgono la loro attività contrastando ogni giorno le mafie lavorando in condizioni difficilissime, dovrebbero essere agevolati e facilitati nel loro compito;
   lo Stato, infatti, dovrebbe assicurare ai magistrati «in prima linea» contro la criminalità organizzata, benefici anche economici proprio al fine di premiare il loro lavoro;
   il Gruppo parlamentare di Area Popolare ha presentato un ordine del giorno sull'implementazione degli organici in magistratura accolto dal Governo proprio per favorire l'efficienza e l'efficacia di tutti gli uffici giudiziari;
   già il Ministro interrogato aveva introdotto un regime di benefici finalizzato ad incentivare le richieste di trasferimento in quelle sedi cosiddette disagiate da parte dei magistrati con adeguata anzianità ed esperienza. I benefici erano di natura economica e di carriera;
   è stata presentata una proposta di legge dal secondo firmatario del presente atto che ripropone la tematica suddetta. Occorre, pertanto, intervenire per incentivare un adeguato numero di magistrati a trasferirsi in una sede disagiata. Oggi, infatti, esistono alcune limitazioni soprattutto dovute ai costi che i magistrati devono sopportare per trasferirsi nelle sedi disagiate che impediscono agli stessi di essere assegnati a quei presidi giudiziari –:
   se non sia opportuno assumere iniziative per prevedere benefici anche economici ai magistrati che operano in sedi cosiddette disagiate;
   se non sia necessario assumere iniziative per prevedere benefici, anche economici, per i magistrati che ogni giorno contrastano le mafie e che svolgono per questo un lavoro rischioso con grandi sacrifici personali;
   se non sia opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per implementare il numero dell'organico sia dei magistrati che del personale che li coadiuva negli uffici giudiziari per garantire una maggiore efficienza ed efficacia degli stessi uffici. (4-14681)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Nino Di Matteo è un magistrato italiano, dal 2012 presidente dell'Associazione nazionale magistrati di Palermo, che a causa del suo incarico di Pubblico ministero nel processo sulla presunta trattativa tra Stato-mafia vive sotto scorta dal 1995, con un «primo livello di protezione eccezionale»;
   il 10 ottobre 2016, il Consiglio superiore della magistratura lo ha convocato a Roma d'urgenza dove ha avuto un lungo colloquio con il vice presidente Legnini ed è stato ascoltato dalla Terza Commissione. Durante l'audizione si è discusso dei fatti che comporterebbero un aggravamento dei rischi relativi alla sua sicurezza, emersi da recenti intercettazioni. Quest'ulteriore allerta è solo l'ultima di una serie: precedentemente c'era stata la condanna a morte di Totò Riina, intercettato in carcere mentre parlava con la «dama di compagnia», Alberto Lorusso; poi le dichiarazioni del pentito Vito Galatolo, che ha raccontato i dettagli del progetto di attentato e un ordine di morte mai revocato e giunto direttamente da Matteo Messina Denaro ai boss palermitani, dove scriveva che andava fermato perché «era andato troppo oltre», e che i mandanti «erano gli stessi di Borsellino»;
   il Consiglio superiore della magistratura starebbe lavorando per un trasferimento per ragioni di sicurezza, forse alla Procura nazionale antimafia, derogando a quei criteri interni che fino ad oggi hanno impedito a Di Matteo di andare a far parte della Procura nazionale antimafia. Un'opzione che risulterebbe concreta però solo con una modifica del regolamento, dato che, tra i trasferimenti extra ordinem, non sono compresi quelli che comportano un avanzamento di carriera, come sarebbe in questo caso;
   già nel 2015, il Consiglio superiore della magistratura propose al magistrato il trasferimento ad altra sede per ragioni di sicurezza, ma all'epoca costui rifiutò perché aspettava l'esito del concorso per tre posti di sostituto alla Procura nazionale antimafia per il quale aveva presentato domanda. La Terza commissione, in merito a tale concorso, aveva preferito poi altri tre candidati, ritenendo il curriculum di Di Matteo (pubblica accusa, insieme ai magistrati Del Bene, Teresi e Tartaglia, al processo trattativa Stato-mafia, con vent'anni di lavoro alle spalle sulle inchieste più scottanti di mafia, politica e stragi) non all'altezza dell'incarico;
   per questo Di Matteo era ricorso al Tar contro quella che, a suo giudizio, appariva come un'esclusione dovuta a una sottovalutazione del suo profilo professionale e aveva giudicato la proposta di trasferimento per motivi di sicurezza, giunta poco prima del pronunciamento del Consiglio superiore della magistratura una «inammissibile proposta compensativa». Il Tar aveva respinto il ricorso perché «l'oggettiva valenza del curriculum» del magistrato era «risultata recessiva nel confronto con i designati». In seguito, Di Matteo ha concorso per due posti da procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia: anche questo non è andato a buon fine per un vizio di forma, facilmente risolvibile, a giudizio degli interroganti, se il Consiglio superiore della magistratura avesse rimandato indietro le carte, come avvenuto per altri magistrati concorrenti in altri concorsi;
   considerati quelli che appaiono al pubblico ministero Di Matteo ostacoli incomprensibili relativi alla possibilità di un suo accesso alla Procura nazionale antimafia per concorso, l'improvvisa decisione del Consiglio superiore della magistratura di «aprire» a Di Matteo l'accesso alla Procura nazionale antimafia viene vista da molti come un'inquietante accelerazione perché dà la misura del livello di rischio al quale questi è esposto ora;
   l'intenzione del pubblico ministero, a quanto risulta agli interroganti, dopo la bocciatura del Tar, era di appellarsi al Consiglio di Stato, per rimarcare il fatto di aver subito una valutazione ingiusta;
   inoltre, a quanto risulta agli interroganti, questi avrebbe ribadito all'intenzione di non voler dare alcun segnale di «fuga» da Palermo e dal suo incarico di pubblico ministero nel processo sulla presunta trattativa tra Stato-mafia;
   il 7 novembre 2016 Di Matteo dovrà tornare al Consiglio superiore della magistratura per annunciare alla Commissione la sua decisione sul trasferimento prospettato e, in quella occasione, probabilmente sarà anche deciso il suo inserimento nella Procura nazionale antimafia –:
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda fornire elementi circa gli eventuali rischi intervenuti in merito all'incolumità di Nino Di Matteo e quali siano le iniziative di competenza che intende mettere in campo a garanzia della sua vita e di quella degli uomini della sua scorta;
   se, in relazione al possibile trasferimento del magistrato alla Procura nazionale antimafia, il Ministro della giustizia abbia formulato o intenda formulare richieste od osservazioni ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 195 del 1958.
   (4-14696)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il 12 luglio 2016 lungo la linea ferroviaria regionale Bari-Barletta, nella tratta Corato-Andria ha avuto luogo un terribile incidente che è costato la vita a 23 persone oltre ad aver ferito oltre 50 passeggeri;
   in occasione dell'informativa alla Camera svoltasi il giorno successivo al disastro, il Ministro interpellato ha annunciato di aver deciso, insieme al sottosegretario De Vincenti, di stanziare un ulteriore miliardo e 800 milioni di euro a supporto delle reti non di competenza nazionale, ovvero alle reti che sono di competenza regionale;
   a distanza di tre settimane dall'accaduto il Ministro ha specificato, secondo quanto riportato dalla stampa, che la somma dedicata all'adeguamento di tratti di linee interconnesse di linee ferroviarie regionali «sarà di 300 milioni di euro che dovranno essere stanziati dal prossimo Cipe»;
   in una nota successiva all'articolo di cui sopra, datato 3 agosto, il Ministero ha precisato che gli 1,8 miliardi di euro di fondi europei per le reti regionali sono comunque confermati e hanno ricevuto il primo via libera dalla cabina di regia «Fsc»;
   in data 10 agosto il Cipe ha espresso parere favorevole all'aggiornamento del contratto di programma con RFI, parte investimenti, e ha stanziato nuove risorse per un totale di 8.935 milioni di euro, di cui 648 milioni di euro per la sicurezza e 343 milioni di euro per tecnologie finalizzate alla circolazione e all'efficientamento della rete ferroviaria;
   l'articolo 10 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili, stanzia 320 milioni di euro per il 2016 quale contributo al contratto di programma – parte investimenti, senza specificare per quale tipologia di intervento vengono destinati, poiché inseriti nell'ambito dell'aggiornamento 2016 non ancora trasmesso alle competenti commissioni parlamentari;
   l'articolo 20 del disegno di legge bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019 autorizza l'ANAS ad agire in deroga alle norme di contenimento della spesa per determinati incarichi professionali;
   il 28 ottobre, nel crollo di un ponte sulla superstrada 36 ad Annone Brianza, in provincia di Lecco, ha perso la vita un automobilista;
   sulla vicenda sono intervenuti sia l'Anas che la provincia negando le rispettive competenze;
   il Ministro interpellato non risulta essere intervenuto nel merito, ma ha semplicemente dichiarato di voler istituire una commissione di inchiesta;
   un articolo pubblicato il 23 ottobre 2016 dall’Espresso insinua il dubbio che le nomine di competenza del Ministero siano di fatto frutto della scelta diretta del Presidente del Consiglio riferendosi, tra le altre, alle nomine di Renato Mazzoncini alle Ferrovie dello Stato italiane e Giovanni Vittorio Armani all'ANAS;
   il 12 ottobre 2016 sono stati resi noti i nomi dei nuovi membri del consiglio di amministrazione di Enac, l'autorità italiana di regolamentazione tecnica, certificazione e vigilanza nel settore dell'aviazione civile, da oltre nove mesi vacante;
   i nomi usciti hanno subito destato forti perplessità, poiché, trattandosi di due politici di professione (Alfredo Pallone e Manlio Mele), di una docente universitaria (Angela Stefania Bergantino) e di una dirigente del Ministero della difesa (Luisa Riccardi) tutti estranei al settore aeronautico, ad avviso degli interpellanti non possiedono i requisiti previsti dall'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, recante Istituzione dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, che dispone che i membri del consiglio di amministrazione di Enac siano «scelti tra soggetti di comprovata cultura giuridica, tecnica ed economica nel settore aeronautico» –:
   quante risorse siano state ad oggi effettivamente stanziate per la messa in sicurezza delle ferrovie regionali e delle ferrovie concesse e se risulti confermato l'ammontare di un miliardo e ottocento milioni di euro che il Ministro interpellato aveva promesso nei giorni seguenti al disastro ferroviario, oltre alle risorse stanziate nel contratto di programma con RFI;
   se il Ministro interpellato intenda chiarire quali concrete iniziative di competenza intenda adottare alla luce del crollo del cavalcavia e della diatriba in essere tra l'Anas e la provincia;
   se il ministro non intenda fornire i titoli dei quattro designati di cui in premessa in modo da dimostrare in maniera inoppugnabile il possesso dei requisiti di legge di «comprovata cultura giuridica, tecnica ed economica nel settore aeronautico» precondizione imprescindibile per l'assunzione della carica di consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale per l'aviazione civile.
(2-01532) «De Lorenzis, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, Spessotto, Carinelli, Cariello, Pisano, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial, Pesco, Alberti, Fico, Ruocco, Villarosa, Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, Mantero, Colonnese, Di Vita, Nesci, Baroni, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   sul sito internet dell'Anas, pubblicato il 25 ottobre 2016, è riportato che, in osservanza della sentenza del Consiglio di Stato, del maggio 2016, l'ente gestore della rete stradale nazionale ha valutato di revocare in autotutela, tutti gli atti del procedimento concorsuale per l'affidamento dei lavori di ammodernamento e adeguamento della strada statale n. 275 Maglie-S. Maria di Leuca, previo annullamento dell'aggiudicazione all'ATI CCC-Aleandri-Igeco, ed esclusione dell'ATI Matarrese Coedisal per le motivazioni contenute nei relativi provvedimenti;
   il medesimo documento evidenzia inoltre che l'Anas procederà all'indizione di una o più procedure di gara, previa suddivisione in lotti dell'opera, che consentirà di individuare parti di intervento idonee ad essere avviate nei minori tempi tecnici possibili, rispondendo, nel contempo, alle urgenze del territorio e alla tutela dell'ambiente;
   al riguardo, il presidente del medesimo ente ha dichiarato che l'Anas ha orientato le proprie scelte, al fine di perseguire il ripristino della regolarità dell'appalto, anche attraverso un'oculata project review dell'intervento, per rispondere alle mutate esigenze progettuali nel frattempo emerse sotto il profilo della sostenibilità tecnico/economica/ambientale, cercando di garantire il più celere avvio dei lavori;
   il suddetto comunicato si pone in relazione, a giudizio dell'interpellante, con le manifestazioni in corso da diverse settimane, da parte di oltre 100 lavoratori delle imprese del gruppo Palumbo, le quali stanno manifestando, sulla suesposta strada statale n. 275, a seguito dei ritardi nell'assegnazione dell'appalto per l'ammodernamento del medesimo tratto di strada, anche a causa delle mancate decisioni seguite nel corso del recente incontro tra le rappresentanze sindacali e l'Anas;
   al riguardo, l'interpellante segnala come il medesimo incontro, come peraltro risulta dai quotidiani locali, non è riuscito a dare certezze sull'avvio dei lavori della statale (fermi da 22 anni) che prevede una spesa di 300 milioni di euro; il protrarsi dei continui ritardi per la loro realizzazione, ha determinato, dai primi giorni di ottobre, l'invio delle lettere di licenziamento nei riguardi di oltre 150 dipendenti delle quattro imprese consorziate del gruppo: Leadri, Cocemer, Ssp e Palstrade;
   a giudizio dei rappresentanti, dei comitati e delle associazioni favorevoli alla realizzazione della strada statale n. 275, in considerazione, anche del sostegno ricevuto per la realizzazione dell'opera stradale e l'immediata cantierizzazione da parte della Camera di commercio di Lecce, dell'ordine degli ingegneri, dell'associazione dei trasportatori salentini, di Confindustria Lecce, dei sindaci interessati al tracciato e non solo (escluso uno), nonché di tutte le forze politiche locali (esclusa una), occorre rafforzare le azioni e le iniziative volte a sbloccare tale situazione di impasse e difficoltà, al fine di addivenire a rapide soluzioni volte all'attuazione dell'infrastruttura stradale interessata;
   la vicenda suesposta, a giudizio dell'interpellante, anche e soprattutto a seguito del comunicato pubblicato dall'Anas, richiede urgenti e necessari chiarimenti, in considerazione del troppo tempo trascorso, evidentemente inaccettabile, in merito alla decisione della realizzazione dell'opera stradale sopra richiamata; i comportamenti dimostrati dall'Anas, ad avviso dell'interpellante, ondivaghi e imprecisati, hanno causato le legittime proteste dei lavoratori delle ditte appaltatrici dell'opera, i quali, da anni, non percepiscono lo stipendio in quanto i lavori concernenti la strada statale sopra richiamata non sono stati avviati, né tantomeno ricevono le doverose garanzie sul proprio futuro occupazionale;
   l'interpellante evidenzia al riguardo i ritardi nella realizzazione dell'opera stradale salentina, un'arteria che rappresenta un percorso strategico ed importante per il flusso turistico, in particolare nei periodi estivi, e che s'inserisce all'interno delle politiche economiche e di rilancio in favore del Mezzogiorno; politiche per l'interpellante rivelatesi fallimentari da parte del Governo in carica, che, anche in questa occasione, non ha adeguatamente vigilato, il piano delle opere pubbliche previste per potenziare il sistema infrastrutturale e dei collegamenti delle opere pubbliche per le regioni meridionali –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa, in particolare con riguardo al comunicato pubblicato sul sito internet dell'Anas, in merito alla revoca degli atti del procedimento concorsuale per l'affidamento dei lavori di ammodernamento e adeguamento della strada statale n. 275 Maglie-S. Maria di Leuca e all'indizione di una o più procedure di gara dell'opera stradale;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei tempi necessari per l'avvio dei lavori per la suddetta opera che, secondo quanto dichiarato dal presidente dell'Anas, risulterebbero essere celeri, ma che, a parere dell'interpellante, stanti i ritardi e le difficoltà riscontrate nel corso degli anni, potrebbero non esserlo in quanto ciò che è accaduto finora ha dimostrato il contrario;
   se i Ministri interrogati abbiano predisposto un piano straordinario di tutela occupazionale in favore dei lavoratori delle quattro imprese del gruppo Palumbo, che da mesi protestano sulla strada statale interessata, prevedendo il ricorso agli ammortizzatori sociali o ulteriori interventi di aiuto;
   quali iniziative nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano intraprendere nei confronti dell'ente gestore della rete stradale nazionale, al fine di evitare che i ritardi per la realizzazione della strada statale n. 275 possano tradursi in un ulteriore aggravarsi delle tensioni occupazionali nell'area interessata, i cui livelli di disoccupazione sono già di per sé altissimi, anche a causa di quella che appare all'interpellante come una scarsa attenzione da parte del Governo nei riguardi del Mezzogiorno.
(2-01533) «Marti».

Interrogazione a risposta immediata:


   DE LORENZIS, DIENI, PARENTELA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, LIUZZI, CARINELLI, SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI e NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   secondo una ricerca di Eurostat sul prodotto interno lordo pro capite regionale, pubblicata nel febbraio 2016, la Calabria è la regione più povera d'Italia e il deficit di collegamenti efficienti è uno dei fattori che contribuisce ad incrementare il gap con gli altri territori;
   purtroppo, anziché porre in essere misure volte a ridurre la scarsità e l'inefficienza dei trasporti, le istituzioni nazionali e regionali limitano la loro attenzione a poche grandi opere, come l'A3 Salerno-Reggio Calabria o il ponte sullo Stretto di Messina, trascurando il collasso della rete viaria, l'insufficienza delle tratte ferroviarie, specie sulla linea jonica, e la progressiva chiusura degli scali aerei di Crotone e Reggio Calabria;
   è grave, soprattutto, che l'inazione da parte dello Stato e della regione stia condannando due aeroporti come il Tito Minniti e il Sant'Anna, che hanno garantito la continuità territoriale in Calabria;
   in entrambi i casi il declino è stato determinato dalle condotte fallimentari delle rispettive società di gestione, controllate dalle istituzioni politiche locali;
   per ciò che riguarda l'aeroporto di Reggio Calabria, il tribunale civile ha dichiarato fallita a fine ottobre 2016 Sogas, la società di gestione dello scalo a capitale pubblico;
   nelle more del provvedimento fallimentare, l'attività aeroportuale del «Tito Minniti» avrebbe dovuto perseguire normalmente per ulteriori tre mesi affinché si concluda la procedura per il nuovo affidamento gestionale, che vede in lizza tra le altre Sacal, la società che gestisce lo scalo di Lamezia Terme;
   Alitalia tuttavia avrebbe deciso di abbandonare l'aeroporto, fatto che, oltre a incidere sul numero di collegamenti disponibili, porterà a ripercussioni sul piano occupazionale;
   l'aeroporto di Crotone, a seguito del fallimento della società di gestione S. Anna, risulta chiuso dal 1o novembre 2016 a causa del decreto emesso dall'Enac –:
   quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere per evitare la chiusura degli aeroporti di Reggio Calabria e di Crotone e per favorirne il rilancio.
(3-02596)

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO e D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   RFI, Rete ferroviaria italiana del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, risulta essere stazione appaltante dei lavori relativi alla realizzazione del collegamento ferroviario Arcisate-Stabio, tratta Induno Olona-Arcisate-Bivio verso il confine di Stato di Gaggiolo;
   Cogefer s.p.a. è stata autorizzata ad eseguire in subappalto i lavori di movimento di materie nel contesto dell'appalto di cui sopra;
   il subappalto è stato affidato in data 20 maggio 2009 con convenzione n. 25/2009 all'A.T.I. composta da I.C.S. Grandi Lavori s.p.a. (mandataria) è CARENA s.p.a. (mandante);
   la I.C.S. non ha onorato le obbligazioni da essa assunte nei confronti della Cogefer s.p.a., in particolare per quanto concerne il pagamento dei corrispettivi dovuti per lavori già eseguiti, la definizione dei rispettivi diritti ed obblighi nelle ipotesi di prosecuzione ovvero di risoluzione del rapporto di appalto secondo le determinazioni della Committenza, la consensuale determinazione dell'importo da riconoscere a Cogefer s.p.a. a titolo risarcitorio e compensativo per i maggiori oneri e danni dalla stessa subiti a causa dell'anomalo sviluppo esecutivo e della sospensione dei lavori disposta in attesa dell'approvazione delle varianti necessarie e dell'acquisizione del relativo finanziamento;
   la committente, RFI, nel corso del 2014 ha determinato di risolvere il rapporto di appalto con I.C.S., concordando con essa somme importanti per la risoluzione del suddetto contratto, senza che sia previsto alcun impegno da parte di I.C.S Grandi Lavori s.p.a. di saldare quanto dovuto a Cogefer s.p.a. per il citato subappalto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione;
   se vi siano profili di responsabilità per omessa vigilanza da parte della stazione appaltante di Rete ferroviaria italiana, società sotto il controllo dello Stato;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, affinché si giunga ad una risoluzione della controversia in corso. (3-02595)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, SPESSOTTO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 12 ottobre 2016 sono stati resi noti i nomi dei nuovi membri del consiglio di amministrazione di Enac, l'autorità italiana di regolamentazione tecnica, certificazione e vigilanza nel settore dell'aviazione civile, da oltre nove mesi vacante;
   i nomi usciti hanno subito destato forti perplessità poiché, trattandosi di due politici di professione (Alfredo Pallone e Manlio Mele), di una docente universitaria (Angela Stefania Bergantino) e di una dirigente del Ministero della difesa (Luisa Riccardi tutti estranei al settore aeronautico, non sembrano, a giudizio degli interroganti, possedere i requisiti previsti dall'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, Istituzione dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, che dispone che i membri del consiglio di amministrazione di Enac siano «scelti tra soggetti di comprovata cultura giuridica, tecnica ed economica nel settore aeronautico»;
   la giurisprudenza amministrativa è più volte intervenuta in merito alle designazioni di «alta amministrazione», come nel caso in esame, stabilendo che, pur implicando un maggiore livello di discrezionalità politica, questo non deve far venire meno l'onere di motivazione (Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, 5 marzo 2012, n. 2223) non trattandosi di un atto «politico» tout court, ma di nomine di «..cariche dirigenziali dell'Amministrazione dello Stato o alle alte cariche pubbliche, per le quali, sulla scorta di un'attenta e seria valutazione del possesso dei prescritti requisiti in capo al designando, la scelta cade sul soggetto ritenuto più adatto a ricoprire una certa carica in vista del rispetto di obiettivi essenzialmente programmatici.» (Cons. Stato, VI, 10 agosto 1993, n. 566; id., IV, 22 maggio 1997, n. 553; id., 3 dicembre 1986, n. 824;
   gli interroganti pertanto ravvisano, in merito alle sopramenzionate nomine, non solo l'aperto contrasto con l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, ma anche l'inosservanza degli articoli 3 e 21 octies, comma 1, della legge n. 241 del 1990, nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, per quella che gli interroganti giudicano assoluta carenza motivazionale e di istruttoria, eccesso di potere e irragionevolezza dell'azione politico-amministrativa, lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione ed ingiustizia manifesta verso i più titolati ad assumere tale prestigioso ed oneroso incarico –:
   se i quattro designati siano in possesso dei requisiti di legge di «comprovata cultura giuridica, tecnica ed economica nel settore aeronautico». (5-09931)


   BERGAMINI e BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 ottobre 2016, Trenitalia ha comunicato al comune di Firenze e alla regione Toscana che la nuova stazione Foster dell'alta velocità a Firenze non verrà realizzata. La stazione avrebbe ospitato i treni alta velocità, andando a svuotare Santa Maria Novella, che ogni anno vede transitare 36 milioni di passeggeri e che Rfi ritiene la più adatta all'interscambio tra trasporto regionale e alta velocità a Firenze;
   il piano di modifica del progetto Tav fiorentino non è molto chiaro: nei fatti il sindaco di Firenze Dario Nardella ha fatto retromarcia sul progetto, sposando di fatto, a giudizio dell'interrogante, la posizione storica di Forza Italia per lo sviluppo dell'attraversamento cittadino in superficie, ma Rfi tiene in piedi il sottoattraversamento;
   nel giugno 2016, il sindaco Nardella ha dichiarato: «Non ho mai fatto mistero, come del resto il mio predecessore (Matteo Renzi, ndr), che questo progetto Tav non mi piaceva», dimostrando che sono almeno sette anni che si continua a scavare inutilmente;
   nel frattempo, sono state espropriate case, terreni e spostate scuole: è stato speso quasi un miliardo tra i cantieri di Campo di Marte e via Circondaria ed è stata già scavata una buca profonda 40 metri per la stazione progettata dall'architetto Norman Foster al posto dei vecchi Macelli;
   la società italiana per condotte d'acqua ha già completato circa un terzo — valore intorno agli 800 milioni di euro — del progetto che ora si vorrebbe abbandonare; al riguardo, il presidente del consiglio di gestione, Duccio Astaldi, ha dichiarato: «Il problema principale di questo Paese non è la scarsità di risorse ma la burocrazia, l'incapacità di assumersi le responsabilità per cui si è pagati, l'incertezza del diritto e il mancato rispetto dei contratti anche da parte del committente pubblico» –:
   quali siano i tempi della riprogettazione di cui in premessa – che dovrà tenere conto dell'impatto ambientale, idraulico e statico – e i relativi costi, compresi quelli per le penali che la pubblica amministrazione dovrà pagare alle ditte appaltatrici, nel caso si decida di fermare definitivamente i lavori che non sono stati finora neppure sospesi.
(5-09932)


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal contratto di servizio stipulato tra Rete ferroviaria italiana ed il Ministero delle infrastrutture e trasporti, si evince come il gestore della rete ferroviaria nazionale abbia a disposizione adeguate risorse per il mantenimento e la manutenzione della rete medesima;
   nello stesso contratto, però, sono del tutto assenti riferimenti ad un aspetto importante per la corretta manutenzione della rete ferroviaria, ovvero l'attività di pulizia delle gallerie;
   a differenza di quanto avviene per i tunnel delle reti delle metropolitane, su quella ferroviaria nazionale, ad oggi, manca un'opera di «lavaggio» delle gallerie che, indubbiamente, comporterebbe una ulteriore spesa che innalzerebbe il livello di efficienza di questo tipo di infrastruttura;
   all'interno dei tunnel, il passaggio dei convogli finisce per produrre polvere a causa delle interazioni da contatto tra ruota e rotaia, tra pantografo e linea di contatto, senza tralasciare il fatto che l'azione di cimento della massicciata, durante la marcia dei treni, comporta anch'essa una formazione di polveri;
   tali polveri sono costituite da derivati di ferro, del rame, dell'alluminio e del silicio e sono quasi del tutto insolubili in acqua. I danni che l'accumulo di queste polveri possono causare sono, ad esempio, l'oscuramento della segnaletica, l'intasamento di filtri degli impianti di trattamento aria a bordo e a terra, l'aumento del rischio di malfunzionamento degli impianti di telecomunicazione, l'aumento del rischio di malfunzionamento degli impianti di segnalamento, l'aggravio delle operazioni di manutenzione per la formazione di morchia, la riduzione dell'intensità luminosa dell'illuminazione di galleria, l'aumento di sporco nelle stazioni sotterranee, dovuto al cosiddetto effetto stantuffo e dell'effetto camino, l'aggravio delle condizioni di esodo dei passeggeri in caso di emergenza nonché la possibilità che tali polveri possano penetrare all'interno dei convogli attraverso i sistemi di aereazione;
   la presenza di polveri nelle gallerie comporta la necessità di elevare il livello di protezione del personale di manutenzione, in quanto continuamente esposto al rischio di compromettere le proprie vie respiratorie –:
   se non ritenga di assumere iniziative per inserire, tra le voci del contratto di servizio con Rfi, quanto necessario a provvedere ad una vera e propria azione di pulizia delle gallerie della rete ferroviaria nazionale, ricorrendo ai sistemi di pulitura maggiormente applicati a livello internazionale, (aspirazione, lavaggio e igienizzazione ambientale), che ne elevino gli standard di sicurezza per gli utenti e per quanti sono responsabili della loro manutenzione ordinaria e straordinaria.
(5-09933)


   CATALANO e OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'ultimo convegno Mercintreno, Ivano Russo, consigliere del Ministro Delrio discutendo del rilancio del cargo ferroviario, ha affermato che «nel 2016 si è sicuramente invertita una tendenza al declino del trasporto merci ferroviario e intermodale» e che il «2017 deve essere l'anno in cui si consolida la crescita»;
   questa positiva aspettativa rischia però di essere compromessa;
   infatti, secondo quanto emerso a Mercintreno e sulla stampa, la direzione per il trasporto regionale di Trenitalia avrebbe avviato una procedura di reclutamento, senza bando, per oltre un centinaio di macchinisti già formati e operanti in altre aziende concorrenti, da destinare al servizio regionale di Trenitalia;
   in caso di esito positivo delle procedure, le imprese di provenienza dei macchinisti perderebbero percentuali rilevanti del loro personale qualificato e vedrebbero compromessa la loro capacità di rispettare i contratti in essere o addirittura di sopravvivere nel breve termine, in ragione dei lunghi tempi richiesti per la formazione dei macchinisti;
   si andrebbero così a colpire quelle imprese entrate sul mercato, la cui attività ha consentito, finora, di tamponare il progressivo abbandono da parte dell'ex monopolista del settore cargo, settore comunque contrattosi negli ultimi anni, dai 70 milioni di treni-km del 2007 ai 44 milioni di treni-km del 2015;
   risulta agli interroganti che SerFer disponga di 50 macchinisti formalmente in esubero, e che la divisione largo di Trenitalia abbia la disponibilità di ben 338 unità di personale di condotta, recuperati da ri-organizzazione per il nuovo progetto Mercitalia;
   tale personale parrebbe poter essere destinato al trasporto regionale, senza la necessità di sottrarne altro alla concorrenza;
   la stabilità di traffico che caratterizza il trasporto regionale avrebbe consentito un'agevole pianificazione delle necessità di risorse umane, con la possibilità di avviare per tempo gli iter formativi;
   anche al fine di prevenire un possibile contenzioso giudiziario per un eventuale abuso di posizione dominante o pratiche anticoncorrenziali, risulta opportuno secondo gli interroganti, un intervento del Governo, per aiutare le imprese del settore ferroviario a superare le carenze di forza lavoro che si stanno manifestando, evitando per quanto possibile una cannibalizzazione delle risorse umane tra le imprese italiane –:
   se il Governo non ritenga di convocare a tal fine un tavolo tecnico, con la partecipazione di tutti gli operatori interessati, sia nel trasporto ferroviario merci che in quello passeggeri, al fine di gestire la vicenda conformemente agli obiettivi di mantenimento ed espansione dei treni-km movimentati e senza provocare una lesione della libera e leale concorrenza tra gli operatori. (5-09934)


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 settembre 2016 i vertici del gruppo Ferrovie dello Stato italiano hanno presentato il piano industriale 2017-2026. Sul versante delle infrastrutture ferroviarie, il piano industriale di FS dovrebbe puntare, in particolare sulle reti ferroviarie che presentano criticità e va considerato che alcune di queste sono sotto la gestione del contratto di servizio di FS;
   inoltre, il management di FS non sembra aver illustrato nel dettaglio gli interventi che nel piano industriale sono previsti per quanto riguarda gli investimenti per la sicurezza;
   in una recente intervista al Corriere della Sera dal titolo «Il ponte sullo stretto di Messina ? Costa meno della Napoli-Bari», l'amministratore delegato di FS, Renato Mazzoncini, ha fornito un quadro degli investimenti e degli orientamenti strategici del gruppo che risulta a parere degli interroganti particolarmente allarmante, anche alla luce dei numerosi gravissimi eventi sismici che stanno sconvolgendo il Paese. Secondo Gianluca Valensise, sismologo dell'Ingv, l'area dove dovrebbe nascere il futuro ponte è uno dei punti geodinamicamente più cruciali di tutta la penisola;
   al contrario, piuttosto che concentrarsi su grandi opere con forti criticità in termini di sicurezza, il gruppo FS dovrebbe concentrarsi per gli interroganti sulle reali priorità del Paese: avvio di una seria cura del ferro per mettere in sicurezza le infrastrutture ferroviarie regionali e locali, tra queste dando priorità a quelle delle zone colpite dagli eventi sismici del centro Italia, visto che la sussistenza di corridoi ferroviari è anche garanzia per evitare che i territori colpiti dal sisma si spopolino, oltre che costituire uno strumento per garantire il diritto alla mobilità nei momenti più critici;
   per il gruppo parlamentare di Sinistra Italiana è opportuno adottare un programma di investimenti pubblici (di cui una quota pari al 45 per cento riservata al Mezzogiorno, con il ripristino della «clausola Ciampi»), prioritariamente finalizzati alla manutenzione e messa in sicurezza del territorio e in particolare un programma per la mobilità sostenibile (6 miliardi di euro nel triennio) per il rinnovo e l'integrazione dello stock di treni per i pendolari e di autobus urbani e extraurbani –:
   se s'intendano assumere iniziative urgenti per garantire che risorse pari ad almeno un punto di prodotto interno lordo di investimenti pubblici siano destinate all'attuazione di un grande piano per la sicurezza, la prevenzione e la cura del territorio, con particolare riguardo ad una «cura del ferro» per mettere in sicurezza e ammodernare le infrastrutture ferroviarie delle zone colpite dagli venti sismici del Centro-Italia. (5-09935)


   MARCO DI STEFANO, MINNUCCI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia Roma-Viterbo rappresenta un'infrastruttura cruciale di collegamento tra il centro della capitale e numerose località della zona nord della città e della provincia;
   si tratta di una rete regionale non isolata, ovvero una «rete a scartamento ordinario che presenti almeno una interconnessione con la rete nazionale», individuata come tale nell'elenco di cui all'allegato 1 del decreto ministeriale 5 agosto 2005;
   il suddetto decreto prevede, all'articolo 3, che «le regioni individuano i soggetti responsabili dell'assegnazione della capacità, i gestori di ciascuna rete e l'organismo di regolazione», mentre, separatamente e attraverso gara, va individuato il soggetto per il servizio di trasporto pubblico;
   all'epoca, la regione Lazio ha assegnato la gestione della tratta Roma-Viterbo ad Atac, attribuendo ad essa sia le funzioni di gestore della rete, che quelle di soggetto per il servizio di trasporto pubblico;
   i risultati di tale gestione sono ad oggi, a giudizio degli interroganti, pessimi: si segnalano frequentissimi casi di ritardi e di soppressione delle corse a cui si sommano innumerevoli segnalazioni di situazioni di degrado sia all'interno delle carrozze, che nelle stazioni e nelle aree attigue, come i parcheggi, teatro di atti vandalici e di azioni criminose;
   la linea necessita di interventi di ammodernamento che riguardano il raddoppio dei binari, lo spostamento di parte della sede, l'adozione di impianti tecnologici sulla rete e l'acquisto di nuovi treni che sostituiscano quelli esistenti, fatiscenti ed indecorosi;
   nel maggio 2016 è stato sottoscritto dal Governo e dalla regione Lazio il «Patto per il Lazio» che prevede un investimento di 154 milioni di euro per il raddoppio dei binari della Roma-Viterbo fino al comune di Sant'Oreste, allo scopo di aumentare la frequenza dei treni riducendo così i tempi di attesa per i 70 mila pendolari che quotidianamente viaggiano sulla linea;
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio ha denunciato in diverse occasioni l'incapacità di Atac di spendere i fondi assegnati per le infrastrutture delle ferrovie concesse;
   nel corso dell'audizione del 22 marzo 2016 presso la IX commissione della Camera, l'amministratore delegato di FS, Renato Mazzoncini ha condiviso le critiche alla gestione di Atac ed ha espresso la sua disponibilità a considerare la possibilità di integrare in Rfi le reti concesse –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di agevolare l'acquisizione della Roma-Viterbo da parte di Rfi convogliando tutte le risorse a vario titolo ad essa destinate.
   (5-09936)


   BRUNO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea Delta ha deciso di cancellare il volo B 757/200 per la tratta Pisa/New York (aeroporto JFK), perché tale tipologia di aeromobile non è più congeniale, funzionale ed economicamente vantaggiosa per l'attuale utenza sulla tratta aerea di cui sopra;
   la commissione difesa della Camera dei deputati, con risoluzione n. 8/00203, ha impegnato il Governo ad implementare i servizi aeroportuali militari, rendendo ancora più funzionale la gestione aeroportuale di Pisa, con la possibilità di ulteriore ampliamento anche dei servizi civili ove questo venisse richiesto dall'attuale gestore aeroportuale;
   per l'aeroporto di Pisa, da anni, è in progetto la 3a pista intercontinentale 4/F performante per aerei Airbus 380 e Boeing 747/800 ad alta capacità operativa e flusso passeggeri, con costi limitati (100/150 milioni di euro), per la cui realizzazione non sarebbe necessaria nessuna ulteriore opera infrastrutturale di elevato impatto, alleggerendo oltretutto, con la nuova conformazione orografica, anche l'inquinamento acustico sulla città di Pisa;
   se il Ministro interrogato possa far chiarezza su quali siano le condizioni ostative nel prevedere un ampliamento dell'aeroporto di Pisa a fronte anche della migliore situazione orografica rispetto a Firenze, visto che la limitazione operativa di Pisa, ad avviso degli interroganti, viene presa a pretesto per il nuovo aeroporto fiorentino, mentre quello pisano permetterebbe sia il ripristino dei servizi di Delta sia un sostanziale implemento dei servizi nell’hub pisano. (5-09937)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2016 veniva siglato un accordo fra Anas, Mibact, Mit e Agenzia del demanio per la valorizzazione delle case cantoniere in funzione del turismo sostenibile;
   lo stesso accordo prevedeva la selezione di 30 case cantoniere pilota per la riconversione in strutture a vocazione turistica, di fornitura di servizi e di valorizzazione dei prodotti artigianali ed enogastronomici dei territori su cui insistono gli immobili;
   come da patto, l'Anas si impegna alla ristrutturazione delle case cantoniere individuate, riservandosi la definizione e la garanzia degli standard dei «servizi base» (ospitalità e ristorazione);
   tra le 30 aree pilota individuate, vi sono l'alta Lombardia, la via Francigena, il tracciato dell'Appia Antica, ed in seguito quella del Cammino di San Francesco e di San Domenico;
   sulla base di criteri per la standardizzazione dei servizi base (ristorazione ed ospitalità) e dei servizi specifici (vendita di prodotti di eccellenza enogastronomica e artigianale del territorio) vengono individuati i giovani come soggetti principali per la gestione delle case cantoniere;
   in Sicilia sono presenti ben 149 case cantoniere su 1244 del totale nazionale, ben il 12 per cento;
   la Sicilia ha una distribuzione delle case cantoniere sia lungo le dorsali marittime che nelle zone interne e diverse sono in importanti snodi in cui sono localizzati grandi attrattori culturali;
   la Sicilia ha una fortissima vocazione turistica e una carenza di strutture ricettive e di servizi al cliente nonché una percentuale di giovani disoccupati al di sopra della media nazionale;
   le aree sperimentali sopra citate hanno avuto una fase di start up fino al 30 giugno 2016 con degli obiettivi da raggiungere:
    definire le case cantoniere oggetto di riqualificazione e business plan progetto pilota;
    definire il modello di rete di servizi diffusa sul territorio;
    individuare una o più tipologie di progetto da realizzare (turismo e cultura, accoglienza, enogastronomia e altro);
    definire e avviare le procedure necessarie per rendere operativi i progetti pilota;
    monitorare i risultati dei progetti pilota, per verificare opportunità e fattibilità dell'estensione degli immobili interessati fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati –:
   quali siano stati i risultati raggiunti in questa fase sperimentale;
   se tali risultati possano da subito portare ad un ulteriore allargamento del patto per la valorizzazione delle case cantoniere nel Sud del Paese e in Sicilia.
(5-09903)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'ultimo convegno Mercintreno, svoltosi a Roma il 4 e 5 ottobre 2016, e per mezzo della stampa, si è diffusa la notizia secondo la quale Trenitalia, a mezzo della direzione per il trasporto regionale, starebbe reclutando macchinisti del settore cargo, già formati a tal fine e dipendenti da imprese ferroviarie private del medesimo settore, a fini di assunzione;
   detta procedura di reclutamento risulterebbe, ad avviso dell'interrogante, priva delle necessarie forme di pubblicità e trasparenza, non essendovi stata la previa pubblicazione del bando. Al riguardo, Trenitalia, in una nota stampa del 7 ottobre 2016, precisa di non aver attivato alcuna manifestazione d'interesse in merito, bensì di aver proceduto a selezionare, per proprie esigenze produttive, curricula già inseriti nel database della sezione «lavora con noi» del sito fsitaliane.it;
   in merito detta vicenda consta all'interrogante una diffida rivolta a Ferrovie dello Stato italiane da parte di Fercargo, associazione di imprese ferroviarie nel settore del trasporto merci, che assume la condotta di Fsi lesiva della concorrenza e del mercato per abuso di posizione dominante. Si afferma che, in caso di esito positivo delle procedure di reclutamento, le imprese di provenienza dei macchinisti perderebbero percentuali rilevanti del proprio personale qualificato con compromissione dei servizi offerti, specie per il Sud del Paese, a causa della soppressione dei treni merci per mancanza di personale;
   le imprese private, tuttavia, a seguito della liberalizzazione del settore, hanno sostenuto il mercato del trasporto merci, da anni in crisi. Attualmente si avvalgono di provvedimenti di favore come lo «sconto pedaggio» (che consente loro di trasferire ai clienti una riduzione dei prezzi che vale dal 10 al 15 per cento rendendo il treno più competitivo rispetto alla gomma su certe distanze) che puntano allo sviluppo del settore con positiva incidenza sull'ambiente e sulla congestione stradale;
   detto settore, considerando la stabilità della domanda, consente di pianificare per tempo la formazione e l'assunzione di personale operativo attraverso procedura regolari, pubbliche e trasparenti. Anzi, negli ultimi anni, nel medesimo settore, numerosi i macchinisti sono usciti anticipatamente dall'azienda mediante meccanismi di «scivolo» ed incentivo pensionistico. In particolare, risulta che nella impresa ferroviaria deputata prevalentemente alle attività di manovra ferroviaria, Serfer, partecipata al 100 per cento da Trenitalia, sarebbero presenti almeno 50 macchinisti, considerati formalmente in esubero –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, in relazione alla forma di reclutamento del personale da parte della divisione trasporto regionale di Trenitalia, Gruppo Ferrovie dello Stato italiane;
    se il Governo sia in grado di fornire ulteriori elementi di chiarimento sulle procedure poste in essere, quelle ancora in itinere e sull'attuale stato della vicenda, precisando se si sia già proceduto ad assunzioni dei lavoratori indicati, fornendone il numero;
   se il Governo possa indicare le esigenze produttive addotte dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane in ordine alla vicenda e riferire se il settore Cargo del gruppo citato registri perdite, precisando in particolare se detto settore presenti esuberi e, in caso affermativo, spiegando la motivazione per la quale non si faccia ricorso ad essi invece che a nuove assunzioni;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in merito, in primo luogo, per ripristinare la pubblicità e la trasparenza delle procedure di selezione del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e, in secondo luogo, per tutelare il trasporto ferroviario delle merci;
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione alla tutela dei lavoratori potenzialmente coinvolti e se vi possa esser danno per gli stessi, considerando le condizioni di lavoro garantite e il contratto collettivo applicato. (5-09943)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che Ferrovie dello Stato italiane, regione Toscana e comune di Firenze si sono più volte incontrati per modificare il progetto sul passaggio dell'alta velocità ferroviaria a Firenze, manifestando l'intenzione di non realizzare la stazione Alta Velocità Foster e di ridimensionare il tunnel di sottroattraversamento della città;
   molti fondi sono già stati spesi e sia il tunnel che la stazione sono già da molti anni in costruzione arrecando grave disagio alla popolazione sia in termini di traffico che di maggiore inquinamento derivante dallo scavo e dalla movimentazione di terra –:
   quali siano le definitive decisioni del Governo sul nodo Alta Velocità di Firenze;
   quali lavori siano stati già realizzati e quali i relativi costi già liquidati;
   in quali penali si incorrerebbe nel modificare il progetto e quali sarebbero gli eventuali risparmi;
   se non ritenga opportuno promuovere una campagna informativa per spiegare alla città di Firenze le ragioni di un così clamoroso cambiamento di progetto. (4-14656)


   MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2014, a seguito di un lungo processo di revisione, il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha approvato la bozza delle nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC), di cui al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici n. 53/2012, espresso nell'adunanza dell'Assemblea generale del 14 novembre 2014;
   l’iter per la redazione del decreto ministeriale di approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni non si è ancora ultimato, ma già emergono alcune criticità e preoccupazioni in ordine al contenuto del documento;
   in particolare, il Consiglio nazionale dei geologi e la comunità scientifica geologica italiana – con nota prot. 3990 dell'11 ottobre 2016 – ha avuto modo di rilevare la sussistenza di una sostanziale contrapposizione tra l'azione politica volta a mettere in atto protocolli che siano indirizzati alla prevenzione dal rischio e tesi a favorire la messa in sicurezza del territorio nazionale e le nuove norme tecniche per le costruzioni;
   nel suddetto appello, il Consiglio nazionale dei geologi evidenzia come le nuove norme – in contrasto, peraltro, con la generalizzata tendenza di matrice internazionale di una crescente presenza, anche normativa, di conoscenze geologiche a supporto dei progetti, con particolare riferimento proprio alla tematica della riduzione delle pericolosità – non siano di fatto in grado di configurarsi quale riferimento legislativo innovativo e non rappresentino un idoneo strumento per la prevenzione e la messa in sicurezza del già fragile territorio nazionale;
   a tal proposito, occorre in questa sede rammentare che il nostro Paese presenta una situazione di pericolosità sismica medio/alta – testimoniata dal ricorrente verificarsi di terremoti, spesso anche di notevole intensità – una vulnerabilità molto elevata, non ancora conosciuta in maniera dettagliata, ed un'esposizione altissima, in considerazione della densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale di enorme pregio e valore;
   nella nota sopra richiamata si rileva, in buona sostanza – tenuto conto del fatto che gli aspetti geologici non vengono approfonditi in una specifica sezione all'interno delle norme de quo essendo trattati soltanto nella parte delle premesse di carattere geotecnico previste nel capitolo relativo alla progettazione geotecnica – la necessità che la progettazione tenga conto del modello geologico, geologico stratigrafico e sismostratigrafico sito-specifico, imprescindibili nella definizione dei comportamenti degli ammassi geologici e degli effetti di sito;
   il consiglio nazionale dei geologi sottolinea, inoltre, come la fase di esplorazione del sottosuolo – suddivisa, con le nuove norme, in due momenti distinti, uno di tipo geologico, l'altro geotecnico – debba essere contenuta in un unico piano delle indagini geognostiche e delle prove geotecniche che possa soddisfare le esigenze di tutti i progettisti specialistici che redigono il progetto, conformemente alle nuove disposizioni in materia di appalti ed ai riferimenti normativi europei –:
   in che tempi provvederà all'adozione del decreto ministeriale recante le nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC);
   se non ritenga opportuno accogliere le istanze formulate dal consiglio nazionale di cui in premessa al fine di prevedere l'inserimento, all'interno del decreto relativo alle nuove norme tecniche per le costruzioni, di una specifica sezione riguardante gli aspetti geologici e geofisici nell'ambito della progettazione;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di prevedere la realizzazione di un'unica fase di indagini geognostiche e di prove geotecniche nel rispetto della nuova disciplina in materia di appalti e dei riferimenti normativi di matrice comunitaria. (4-14670)


   SCOPELLITI e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da articoli di stampa il 31 ottobre 2016 la compagnia Alitalia ha dichiarato che, probabilmente già a partire dal 7 novembre, non volerà più da e per l'aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria, a causa delle consistenti perdite economiche accumulate dalla compagnia nel corso del tempo;
   lo scalo soffre già dell'esercizio provvisorio causato dalla crisi della società Sogas, per la quale il tribunale di Reggio Calabria avrebbe dichiarato il fallimento;
   Alitalia impiega attualmente all'aeroporto di Reggio Calabria circa 50 dipendenti, che rischierebbero di trovarsi senza lavoro;
   numerosi passeggeri ricorrono ai voli da e per Roma e Milano operati da Alitalia in tutti gli slot occupati dalla compagnia, per cui la decisione appare all'interrogante ingiustificata;
   circa 2 milioni di utenti verrebbero privati dei già risicati collegamenti aerei da e per la Calabria, che sarebbero possibili solo dall'aeroporto internazionale di Lamezia Terme;
   se la notizia fosse confermata lo scalo di Reggio Calabria, attualmente di interesse nazionale, risulterebbe tagliato fuori dal resto d'Italia e d'Europa, penalizzando anche l'area metropolitana –:
   se il Governo sia al corrente della gravissima situazione sopra descritta;
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza intenda assumere per far fronte ad una situazione molto delicata non solo per la Calabria, ma per l'intero Meridione;
   quali iniziative immediate, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere perché Alitalia non solo non abbandoni lo scalo di Reggio Calabria, ma possa anzi incrementare i voli diretti a Roma e Milano;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per evitare in ogni modo il licenziamento dei dipendenti attualmente impiegati all'aeroporto di Reggio Calabria e garantire il servizio aereo ai cittadini;
   se il Governo non ritenga opportuno valutare di assumere iniziative per incentivare altre compagnie aeree ad occupare gli slot attualmente occupati da Alitalia.
(4-14686)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 gennaio 2016 i vigili del fuoco di Latina, Caserma Giulio Canturan eseguivano un'ispezione dell'elisuperficie, sita a Latina Scalo, gestita da Elitaliana s.p.a. appaltatrice del servizio medico di emergenza con elicottero sul territorio della regione Lazio;
   in tale occasione i vigili del fuoco di Latina riscontrarono gravi violazioni alle norme dettate dal decreto ministeriale n. 238 del 2007, Regolamento recante norme per la sicurezza antincendio negli eliporti ed elisuperfici, poiché gli impianti dei sistemi antincendio non erano in sicurezza e il personale preposto a tali compiti in numero insufficiente. Per tali ragioni trasmettevano alla procura della Repubblica di Latina la notitia criminis;
   tale esito ispettivo ha riscosso un comprensibile clamore mediatico nel territorio di riferimento non solo per le ovvie preoccupazioni legate alla vicinanza della base elicotteristica con l'aeroporto militare Enrico Comani, ma anche per l'esorbitante costo che la regione Lazio paga per tale servizio di pronto soccorso elicotteristico. Infatti, il contratto d'appalto 2009-2018 (10 anni) ha un costo complessivo di molti milioni di euro, a fronte del quale Elitaliana, s.p.a. evidenzierebbe il mancato rispetto di norme di sicurezza, turni di lavoro massacranti senza risposi garantiti, piloti con ore di volo non corrispondenti a quelle effettive;
   tale questione non è solo regionale, ma investe responsabilità del Governo nazionale poiché, come è emerso nel corso delle indagini, l'eliporto di Latina Scalo, da quando è stato realizzato quattordici anni fa, non è mai stato in regola poiché non solo la società non ha mai presentato il progetto dell'antincendio al comando dei vigili del fuoco ma non ha mai richiesto le dovute autorizzazione per operare ad Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile, non figurando pertanto nell'elenco delle elisuperfici omologate. Quest'ultimo dato lascia interdetti poiché risulta all'opposto che Enac fosse a conoscenza dell'esistenza di questo impianto in quanto vi effettuava i controlli per le autorizzazioni al volo delle eliambulanze –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra e se non ritengano di chiarire come sia stato possibile che Enac abbia potuto autorizzare le operazioni di volo delle eliambulanze a fronte della mancata omologazione della elisuperficie;
   quali iniziative intendano intraprendere per assicurarsi che la base elicotteristica di pronto soccorso di Latina Scalo possa operare quanto prima in piena conformità con le disposizioni di legge.
(4-14689)


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   alle ore 17.20 di venerdì 28 ottobre 2016, il cavalcavia n. 17 della strada provinciale 49, nel comune di Annone, è crollato sopra la strada statale n. 36 del lago di Como e dello Spluga, al chilometro 41 e 900, provocando la morte di una persona e cinque feriti;
   sul posto sono intervenuti 7 ambulanze, l'elisoccorso da Milano e quello da Como, oltre a numerose squadre di carabinieri, polizia stradale e vigili del fuoco, che hanno lavorato intensamente, per due giorni per rimuovere le lastre di cemento armato dalla strada statale n. 36;
   il disastroso incidente è avvenuto con il passaggio di un Tir di trasporto eccezionale che è precipitato sulla superstrada, schiacciando alcune auto;
   tre ore prima del crollo, il cantoniere dell'Anas addetto alla sorveglianza del tratto della strada statale n. 36 aveva effettuato un controllo a causa del distacco di alcuni calcinacci segnalati dai passanti, ma né lui né gli addetti alla mobilità della provincia di Lecco, responsabile della viabilità sulla strada provinciale n. 49, sono intervenuti tempestivamente per vietare il traffico e chiudere la strada statale e quella provinciale;
   si apprende dai giornali che gli addetti alla mobilità della provincia hanno richiesto un'ordinanza formale da parte di Anas che implicava l'ispezione visiva e diretta da parte del capocentro Anas, il quale si è attivato, ma proprio mentre giungeva sul posto il cavalcavia è crollato;
   sono in corso accuse reciproche tra Anas e provincia di Lecco; il Ministro interrogato ha istituito una commissione d'inchiesta sull'accaduto e sono in corso indagini della procura di Lecco per verificare le responsabilità;
   non è chiaro se la competenza sulla manutenzione del viadotto sia dell'ANAS o della provincia di Lecco; tuttavia, è lampante per gli interroganti che la causa del disastro sia la cattiva manutenzione e messa in sicurezza della rete viaria;
   è dal 2 agosto 2016 che gli utenti della strada e tutte l'economia locale sono sottoposti a rilevanti disagi a causa dell'ordinanza dell'ANAS che ha imposto un limite di velocità di 90 chilometri orari sulla strada statale n. 36, con lo scopo, a quanto consta agli interroganti, di porre rimedio alla mancata manutenzione della strada da parte della stessa dell'ANAS;
   il crollo del cavalcavia rende evidente che misure come l'abbassamento della velocità sono precarie e inadeguate e non in grado di risolvere le carenze di sicurezza stradale;
   d'altra parte, i sostanziosi tagli ai finanziamenti dell'Anas imposti dal Governo hanno inciso pesantemente sulla manutenzione e sulla messa in sicurezza della rete viaria nazionale; a ciò hanno contribuito anche per gli interroganti, la confusione e la disorganizzazione create dal progressivo smantellamento delle province e dal taglio drastico delle risorse a disposizione delle stesse, che rende impossibile la corretta ed indispensabile manutenzione e la messa in sicurezza della rete viaria di competenza –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti, per quanto di competenza, in merito al tragico incidente;
   quale sia il soggetto competente alla manutenzione del cavalcavia n. 17 della strada provinciale n. 49, nel comune di Annone, crollato sopra la strada statale n. 36 del lago di Como e dello Spluga;
   quale sia l'ammontare delle risorse statali istanziate in favore dell'Anas da parte del Governo per la manutenzione della rete viaria nazionale e quale sia l'ammontare delle risorse stanziate e delle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada statale n. 36;
   se il Governo intenda assumere iniziative per lo stanziamento di maggiori risorse in favore delle province e dei comuni per consentire l'adeguata e necessaria manutenzione e messa in sicurezza della rete viaria di loro competenza.
   (4-14691)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni si susseguono notizie di un possibile dislocamento presso il comune di Calatabiano di un non meglio precisato numero di immigrati presso una struttura ricettiva ubicata lungo il litorale ricadente all'interno del territorio comunale;
   suddetta ipotesi suscita preoccupazione tra gli amministratori e i cittadini;
   ad oggi gli amministratori hanno letto sui giornali di questo possibile arrivo senza aver avuto alcun tipo di interlocuzione con il prefetto;
   il litorale di san Marco è una delle spiagge più belle di tutta la Sicilia orientale ed è meta di visitatori;
   gli operatori temono ricadute negative in termini di immagine;
   l'indiscutibile principio dell'accoglienza ha bisogno di essere contemperato con la necessità di una interlocuzione con le istituzioni locali, anche per prevenire episodi come quelli accaduti in provincia di Ferrara;
   occorrerebbe un censimento delle strutture di proprietà demaniale presenti su tutto il territorio nazionale così come delle ex Ipab che hanno personale in difficoltà per verificare la possibilità di dislocare i richiedenti asilo senza rischiare di alimentare meccanismi speculativi –:
    se siano fondate le notizie di cui in premessa e se non ritenga opportuno verificare, provincia per provincia, la presenza di strutture demaniali o di altro tipo, come quelle delle ex Ipab, in grado di essere di supporto per affrontare una emergenza continua anche in relazione ai continui approdi. (5-09900)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta dell'Assemblea della Camera del 17 luglio 2015 è stato accolto con raccomandazione dal Governo, l'ordine del giorno n. 9/03098-A/072, presentato dall'interrogante, con il quale si sollecitavano le opportune iniziative affinché fosse inserito il personale civile dell'Amministrazione dell'interno nel cosiddetto ruolo speciale previsto dalla imminente riforma della pubblica amministrazione;
   al riguardo, infatti, si ritiene che a tale personale debba essere riconosciuta «unicità» della categoria, considerando che alla moltitudine di funzioni che gli sono attribuite, e che richiedono di frequente importanti sacrifici, non corrisponde un giusto inquadramento e sostegno economico. Del resto, il personale civile dell'interno è già riconosciuto, sotto il profilo giuridico, come categoria speciale attraverso una serie di provvedimenti legislativi che si sono susseguiti nel tempo –:
   quale seguito sia stato dato all'impegno assunto con l'ordine del giorno n. 9/03098-A/072;
   per quali motivi non siano state ancora assunte iniziative per inserire il personale dell'amministrazione civile dell'interno in un ruolo speciale (come avvenuto per la carriera prefettizia), con conseguente riconoscimento economico che sia proporzionato all'alta professionalità ed alle competenze ad esso riconosciute.
(5-09904)


   SCUVERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apprese dalla stampa si apprende che movimenti di estrema destra si stiano mobilitando per organizzare una marcia paramilitare di commemorazione di Emanuele Zilli, con esibizione di simboli fascisti e saluti romani, che dovrebbe tenersi la sera del 5 novembre 2016 per le vie del centro della città di Pavia;
   sempre da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che la consistenza di tali movimenti riconducibili ad un'area politica fascista stiano aumentando di anno in anno come risulterebbe dalle provocazioni e dagli atti di violenza che si sono verificati recentemente nella città di Pavia;
   l'ultimo episodio risalirebbe al 19 agosto 2016 durante il concerto degli Statuto quando il lancio di bottiglie da parte di alcuni skinhead ha causato l'interruzione del concerto;
   le associazioni della Rete antifascista di Pavia hanno espresso viva preoccupazione per il clima di tensione che si verrebbe a creare nell'ipotesi di un passaggio in pieno centro città del corteo con l'ostentazione di simboli, candele, vessilli di stampo fascista, e hanno chiesto pertanto che venga vietato;
   la legge n. 645 del 1952, come è noto, vieta l'apologia del fascismo in tutte le sue forme, comprese le manifestazioni nelle quali chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in ordine allo svolgimento della manifestazione paramilitare prevista a Pavia per il 5 novembre 2016 e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di scongiurare il rischio che si svolgano manifestazioni di stampo fascista e razzista con possibili conseguenti problemi di ordine pubblico.
(5-09906)


   CHAOUKI, COCCIA, CARROZZA, GNECCHI, TACCONI, TIDEI, MARCO DI MAIO, MALISANI, MICCOLI, MURER, SANTERINI, BENI, SCHIRÒ, AMATO, BRAGA, GASPARINI, PICCIONE, LACQUANITI, BINETTI, LOCATELLI, D'INCECCO e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 ottobre 2016, come hanno riportato tutti i principali quotidiani nazionali, alcuni residenti di Gorino Ferrarese e di Goro, in provincia di Ferrara, avrebbero bloccato un pullman che trasportava dei profughi presso l'ostello «Amore e Natura»;
   il giornale Il Fatto Quotidiano descrive come si sarebbe consumata la protesta: «Non appena (...) si è diffusa la notizia della ordinanza prefettizia, praticamente l'intera popolazione – circa 600 anime – si è ammassata lungo il percorso che la corriera avrebbe dovuto attraversare». Gli abitanti, come riporta ancora il quotidiano, avrebbero utilizzato per bloccare la strada «automobili parcheggiate su entrambi i lati della carreggiata, un furgoncino di traverso, bancali di legno e bidoni di metallo»;
   il pullman pare trasportasse 12 donne, tra cui una ragazza incinta all'ottavo mese, e 8 bambini, che avrebbero dovuto trovare accoglienza nella frazione di Gorino Ferrarese;
   secondo un articolo del quotidiano online La Repubblica.it «Prefettura, carabinieri, polizia, sindaco di Ferrara e di altri comuni della provincia» avrebbero convenuto, nella tarda serata di ieri, «di dirottare i profughi in altre strutture della provincia ferrarese». Di conseguenza, a seguito della protesta, le profughe sarebbe state accolte nei comuni di Comacchio, Fiscaglia e Ferrara;
   si apprende inoltre dall'agenzia di stampa Ansa, che nel pomeriggio del 25, giorno seguente la protesta, «nonostante la decisione di escludere Gorino dai luoghi deputati all'accoglienza dei profughi, nel paese del Delta di Po prosegue il presidio»;
   come ha dichiarato il prefetto di Ferrara, Michele Tortora, «Gorino Ferrarese era stato scelto perché Goro è uno degli otto comuni del ferrarese che non ha ancora ospitato nessun migrante.». L'ostello, invece, è stato scelto dalla questura perché non si prevedeva un grande afflusso di turisti in prossimità di novembre –:
   se il Ministro interrogato disponga di maggiori elementi relativi all'accaduto e se non ritenga opportuno intervenire in relazione a eventuali presidi ingiustificati e di dubbia legittimità, anche alla luce delle esigenze di ordine pubblico quali iniziative intenda intraprendere per contrastare tali iniziative e per garantire l'accoglienza dei profughi sul territorio nazionale ed in che modo intenda evitare che tale episodio possa rappresentare un preoccupante precedente. (5-09912)


   FREGOLENT, D'OTTAVIO, BONOMO e MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le palazzine denominate «ex Moi» di Torino, realizzate nel 2006, sono oggetto da anni di episodi di disagio urbano di degrado e di numerosi episodi di vandalismo, violenza e microcriminalità;
   gli edifici, gestiti da alcuni centri sociali, sono infatti stati occupati inizialmente da profughi con lo status, riconosciuto di «rifugiati» provenienti dal Nord d'Africa e successivamente da numerose altre etnie di immigrati. Secondo alcune stime sarebbero circa 1000 le persone presenti attualmente nelle palazzine;
   l'eterogenea composizione sociale ed etnico-religiosa degli occupanti ha generato conseguentemente episodi di tensione, nonostante gli sforzi operati da enti e associazioni assistenziali, aggravando la complessità di un contesto abitativo e sociale già oggettivamente problematico non solo per motivi di sovraffollamento ma anche per le attività micro-criminali che si svolgono nell'area, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti e la ricettazione;
   la società proprietaria del plesso residenziale ha sollecitato a più riprese lo sgombero delle palazzine, assoggettate peraltro a sequestro penale preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari di Torino su richiesta della procura della Repubblica;
   in risposta ad una interrogazione sulla vicenda (numero 5-03431) in data 29 giugno 2016 il Governo, pur monitorando costantemente la situazione e riconoscendone la gravità, ha sollevato criticità e motivazioni di carattere umanitario che stanno ad oggi sconsigliando uno sgombero tout court degli stabili. Lo stesso Governo ha previsto un aggiornamento della situazione per il trascorso mese di settembre;
   il sindaco di Torino ha annunciato pubblicamente nel mese di agosto 2016 che dal mese di settembre sarebbe stato effettuato il censimento delle palazzine che verranno successivamente sgomberate;
    si apprende da fonti di stampa che l'università di Torino ha formalizzato il recesso, con delibera del consiglio di amministrazione dell'ateneo, dalla convenzione con il comune di Torino, stipulata nel 2015, per realizzare un polo tecnologico scientifico in contatto con la Città della salute;
   si trattava di un progetto che prevedeva un intervento da 20 milioni di euro per creare un polo di didattica e di ricerca per l'ingegneria biomedicale, che avrebbe potuto riqualificare un quartiere degradato offrendo prospettive di crescita all'intera città;
   in questo contesto va aggiunto come in questi mesi la nuova giunta comunale di Torino, abbia sollevato inizialmente perplessità sul progetto della Città della salute e non abbia dato nessun dato circa il previsto censimento delle palazzine «ex Moi» –:
   se il censimento delle palazzine «ex Moi» sia stato effettuato e quali siano i risultati di tale rilevazione statistica e, in caso contrario, per quali motivi non sia stato ancora attuato;
   quali iniziative urgenti intenda assumere, coinvolgendo gli enti e le istituzioni locali, per risolvere la grave situazione di pericolo che interessa da anni le palazzine «ex Moi», assicurando al tempo stesso il contemperamento dei diritti degli immigrati rifugiati con le esigenze di sicurezza pubblica e di contrasto del degrado sociale. (5-09920)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Tar del Lazio, con ordinanza dell'11 ottobre 2016, nei ricorso incardinato contro il Ministero dell'interno, registro generale n. 8156 del 2016, ha accolto la domanda cautelare per la sospensione del decreto emesso, nei confronti dell'agente di polizia Fabrizio Rossi, con cui lo stesso è stato sospeso dal servizio;
   il provvedimento di sospensione è stato emesso il 9 dicembre 2015, poiché l'agente fu accusato di aver rilasciato dichiarazioni non autorizzate su documenti riservati, durante la trasmissione televisiva « Ballarò». Il provvedimento di sospensione fu disposto dal capo pro tempore della polizia, Alessandro Pansa;
   a quanto emerge anche da articoli di stampa, l'agente Rossi durante la trasmissione televisiva predetta, nell'ambito della quale si discuteva delle stragi terroristiche avvenute a Parigi, ha dichiarato che la polizia italiana, in caso di attacco terroristico, non era pronta all'emergenza poiché sprovvista di mezzi e attrezzature adeguati; come è noto, il segretario nazionale del sindacato autonomo di polizia (Sap), Gianni Tonelli, si è da sempre battuto in difesa dell'agente, ritenendo che non aveva fatto altro che denunciare le condizioni in cui sono costretti a lavorare gli agenti di polizia; per tali fatti Tonelli, addirittura, ha portato avanti uno sciopero della fame, durato 61 giorni, in segno di protesta e contro un provvedimento che ha definito di «repressione illecita»;
   adesso il Tar ha deciso la sospensione del provvedimento, ritenendo che non ricorrevano i presupposti di legge per l'emissione dello stesso da parte dell'Amministrazione –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere rispetto alla vicenda di cui in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare affinché il personale della polizia di Stato sia dotato di adeguati mezzi, per garantire idoneamente la sicurezza. (5-09921)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel piccolo comune di Anfo, in provincia di Brescia, sono giunti sette migranti sedicenti richiedenti asilo, che sono stati alloggiati nel residence «Tre Casali», gestito dalla Cooperativa «Accoglienza e integrazione», che avrebbe in previsione di portarne lì almeno altri 20;
   secondo fonti della regione Lombardia, in realtà si conterebbe di destinare a 21 appartamenti situati in Anfo non meno di 60 irregolari;
   cittadinanza ed autorità locali hanno manifestato stupore ed inquietudine;
   il comune di Anfo conta 490 abitanti, di cui già un 10,7 per cento di origine straniera, e gli amministratori locali hanno manifestato perplessità rispetto al modo in cui verrà fronteggiata l'emergenza, riservandosi di valutare in un successivo momento il progetto di integrazione previsto per i nuovi arrivati;
   stando a parte della stampa locale, l'arrivo dei richiedenti asilo sarebbe ormai di fatto gestito dalle cooperative, che affitterebbero gli appartamenti e si occuperebbero della sistemazione dei clandestini senza consultarsi con le autorità locali;
   secondo le statistiche, nella provincia bresciana ben 7 richiedenti tutela internazionale su 10 si sono finora rivelati privi dei titoli richiesti per accedere alla tutela internazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per allentare la pressione migratoria sul territorio della provincia di Brescia;
   per quali ragioni, le autonomie locali non siano informate preventivamente delle decisioni che comportano la destinazione nel loro territorio di competenza di migranti richiedenti tutela internazionale;
   quale sia il ruolo effettivamente svolto dalla prefettura di Brescia nell'allocare i migranti generalizzati in premessa al comune di Anfo. (4-14659)


   SPESSOTTO, DA VILLA e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a causa della mancata realizzazione delle opere collegate al progetto della stazione del sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR), gli abitanti di via Gazzera Alta, residenti nella zona periferica di Mestre compresa fra le linee ferroviarie Venezia-Treviso e Venezia-Trieste, vivono in una situazione di grave disagio sociale e insicurezza, oltre che di isolamento legato alla viabilità critica di tale zona;
   epicentro di questo stato di profondo degrado in cui versa la zona, che assomiglia sempre di più a un ghetto sociale, sita tra i due passaggi a livello, è la cosiddetta «casetta gialla», all'interno della quale abitano numerose persone, tra cui alcuni spacciatori, così come riportato dalle cronache dei giornali;
   nonostante i numerosi interventi delle forze dell'ordine, chiamati di continuo dai residenti della zona, la situazione non è stata ancora risolta, e, stando a quanto denunciato dai residenti, via Gazzera Alta continua a versare in uno stato di degrado e totale abbandono, essendo divenuta uno dei principali punti di spaccio della città;
   il 5 settembre 2016 un'operazione della Polfer di Roma in via Gazzera Alta si è conclusa con un sequestro di 1,8 chili di marijuana e con l'arresto di tre cittadini di nazionalità nigeriana, accusati del reato di spaccio, mentre l'ultimo fatto di cronaca risale a pochi giorni fa, quando al civico 17, sono state rinvenute dai cani antidroga consistenti dosi di marijuana e di hashish –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione di profondo disagio sociale vissuto quotidianamente dai residenti di via Gazzera Alta e se non ritenga opportuno adottare, quanto prima, tutte le iniziative necessarie per far rispettare l'ordine pubblico e la sicurezza in una zona ad alto rischio criminalità. (4-14660)


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dell'accoglienza degli immigrati richiedenti asilo che ogni giorno sbarcano sul territorio italiano sta assumendo connotati sempre più imponenti;
   a Modena una cooperativa Onlus che gestisce circa 1.300 richiedenti asilo, tale Caleidos Cooperativa Sociale Onlus, è balzata agli onori della cronaca poiché risulta ospitare in un appartamento, per il quale paga un affitto in base a un contratto di locazione stipulato direttamente con la proprietà, quattro immigrati arrivati alcuni anni fa con il progetto Mare Nostrum, e usciti da questo progetto perché non aventi i requisiti per ottenere il visto di rifugiato politico né altri diritti di protezione sussidiaria;
   lo stesso prefetto di Modena, con comunicazione scritta del 17 ottobre 2016, ha confermato che nel suddetto appartamento non risiedono immigrati richiedenti asilo –:
   se intenda assumere iniziative per chiarire se siano utilizzate risorse statali per mantenere i quattro immigrati di cui in premessa;
   quanti siano nel totale, gli immigrati nei cui confronti sia stata accertata in via definitiva l'assenza dei requisiti per l'applicazione delle misure di assistenza, anche sussidiaria, che Caleidos Cooperativa Sociale onlus sta economicamente sostenendo, direttamente e/o indirettamente;
   ove siano impiegate risorse statali, a quanto ammonti l'importo complessivo pagato da Caleidos Cooperativa Sociale onlus per questa «accoglienza». (4-14663)


   NACCARATO, MOGNATO, MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 dicembre 2013 nel consiglio comunale di Caorle (Ve) è stato eliminato dal programma della giunta il punto che stabiliva la possibilità di rivedere le previsioni urbanistiche del progetto «Villaggio le terme di Caorle»;
   tale progetto, promosso dalla Caorle investimenti srl, amministrata da Claudio Casella, riguarda la realizzazione di una struttura di notevoli dimensioni e prevede un consistente aumento della cubatura edificabile in una zona del comune da 60.000 a 241.000 metri cubi;
   nel mese di gennaio del 2014 alcuni consiglieri comunali di Caorle hanno denunciato pubblicamente pesanti minacce per stralciare dal programma di governo della giunta il punto indicato;
   secondo i consiglieri le minacce avrebbero determinato l'abbandono dell'ipotesi di rivedere progetto urbanistico e avrebbero raggiunto l'obiettivo di favorire la realizzazione del villaggio;
   in seguito alla denuncia dei consiglieri comunali il prefetto di Venezia ha sollecitato le forze dell'ordine ad aumentare l'attenzione e i controlli per prevenire le intimidazioni della criminalità organizzata nel territorio del Veneto orientale;
   nel mese di aprile del 2015 le tensioni sorte sul progetto del villaggio, insieme ad altri motivi, hanno provocato le dimissioni contestuali di più di metà dei consiglieri comunali e, di conseguenza, lo scioglimento del consiglio e il commissariamento del comune;
   sulla questione sono state avviate indagini da parte dell'autorità giudiziaria;
   nell'ambito dell'inchiesta è stato coinvolto l'amministratore della Caorle investimenti, che, insieme ad altre persone, avrebbe messo in atto un tentativo di denigrare il comandante della locale stazione dei carabinieri per ostacolare le indagini in corso;
   la vicenda ha creato allarme nella popolazione e nelle istituzioni per i rischi che all'origine delle minacce possano esserci soggetti collegati alla criminalità organizzata;
   infatti la presenza attiva della criminalità organizzata a Caorle e nel Veneto orientale è dimostrata dagli arresti nella zona di numerosi camorristi latitanti: nel 1989 a Caorle Costantino Sarno, uno dei capi della camorra di Secondigliano; nel 2002 a Cavallino Massimiliano Schisano del clan Mallardo; nel 2005 a Portogruaro Vincenzo Pernice del clan Licciardi, e a Eraclea Salvatore Gemito del clan Di Lauro; nel 2016 a Chioggia Luigi Cimmino, capo dell'omonimo gruppo;
   inoltre, tale presenza è dimostrata da alcune indagini;
   nel 2006 l'operazione Fenus porta agli arresti di 15 persone, alcune in relazione con la camorra, per usura, estorsione e traffico di stupefacenti nella zona di Jesolo, Eraclea e San Donà;
   nel 2010 a Caorle vengono arrestate 5 persone, una associata alla camorra, per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso;
   nel 2012 la direzione distrettuale antimafia di Venezia ha sgominato un gruppo di 13 persone che per anni nel Veneto orientale hanno praticato truffe, estorsioni, ricettazioni, lesioni, con l'aggravante del metodo mafioso. Alcune di queste persone erano in collegamento con la camorra;
   nel 2015 sono stati sequestrati beni per 10 milioni, compresi alcuni appartamenti a Portogruaro, Jesolo e San Donà, in un'indagine a carico di Michele Pezone, accusato di avere rapporti con la camorra;
   tali episodi delittuosi indicano la presenza di soggetti collegati alla camorra nei comuni turistici del Veneto orientale per investire risorse nell'economia locale con la finalità di condizionarla e di riciclare proventi di reati;
   in questo contesto appare necessario un attento monitoraggio da parte del Governo e delle forze dell'ordine su tutte le situazioni suscettibili di fornire terreno fertile alla criminalità organizzata –:
   se sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   in che modo intenda attivarsi per potenziare gli strumenti delle forze dell'ordine in modo da prevenire e contrastare fenomeni illeciti e in particolare le attività della criminalità organizzata nel Veneto orientale. (4-14665)


   PAGLIA e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i fatti di Gorino del 24 ottobre 2016 hanno messo in evidenza il rischio di una pericolosa deriva xenofoba, che partendo da sentimenti di disagio diffuso utilizzi strumentalmente la presunta ostilità per i richiedenti asilo per mettere a rischio la civile convivenza;
   il cedimento dello Stato in quella circostanza, causato dalla scelta del prefetto Tortora di trasferire altrove i profughi inizialmente destinati all'accoglienza nel comune di Goro, rischia ora di creare fenomeni emulativi, fomentati da forze politiche che, ad avviso degli interroganti, fanno dell'odio per il diverso la propria ragione d'essere;
   a riprova di questo, la Lega Nord di Ravenna ha già convocato per il 29 ottobre 2016 una manifestazione in località Marina Romea presso un albergo locale dove avrebbero trovato accoglienza alcuni migranti;
   l'intento è evidentemente aggressivo, come facilmente ricavabile dalle parole d'ordine con cui il presidio è stato promosso;
   è d'altra parte immaginabile, e sotto molti aspetti auspicabile, che la grande maggioranza dei cittadini ravennati si dimostreranno solidali con i richiedenti asilo e che non mancherà una risposta, anche nella presenza fisica, a quella che appare agli interroganti una provocazione –:
   se non ritenga di doversi attivare, anche attraverso la locale prefettura, per impedire lo svolgimento di manifestazioni che appaiono agli interroganti chiaramente lesive dei principi e dei valori che stanno alla base del diritto italiano e delle convenzioni internazionali e che rischiano peraltro di mettere a repentaglio l'ordine pubblico e la sicurezza dei territori coinvolti. (4-14666)


   CASTIELLO e ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un ricorso elettorale, sono stati dichiarati decaduti, per ineleggibilità, il sindaco Carmine D'Alessandro e tre consiglieri del comune di Magliano Vetere in provincia di Salerno;
   la decadenza è stata oggetto di sentenze emesse dalla magistratura, sia in primo grado dal tribunale di Vallo della Lucania, sia in secondo grado dalla corte di appello di Salerno (sentenza n. 174 del 23 marzo 2016, passata in giudicato);
   la prefettura di Salerno, in esito alle richiamate sentenze, con nota n. 35760 del 4 aprile 2016, comunicava che Carmine D'Alessandro è obbligato ad astenersi dall'esercizio delle funzioni di sindaco e che, ai sensi dell'articolo 53 del decreto-legge n. 267 del 2000 – testo unico sugli enti locali –, tali funzioni saranno svolte dal vice-sindaco fino all'elezione dei nuovi organi;
   con decreto del sindaco facente funzioni, il signor Carmine D'Alessandro (decaduto dalla carica di sindaco) è stato nominato assessore con l'assegnazione di nutrite deleghe, dal bilancio ai tributi comunali, dai lavori pubblici al patrimonio, dal commercio alla polizia locale. Di fatto ha concentrato su di sé tutte le attività del comune, continuando, con questo espediente, ad esercitare di fatto, ad avviso degli interroganti con un aggiramento alla legge, le funzioni precedentemente svolte e per le quali è intervenuta la richiamata sentenza di decadenza;
   la prima seduta, successiva all'intervenuta decadenza del D'Alessandro, del consiglio comunale, si è svolta con la presenza di soli tre consiglieri comunali, oltre il sindaco facente funzioni, in spregio al regolamento del consiglio comunale vigente che prevede, per la validità della seduta, la presenza di «almeno un terzo dei consiglieri assegnati senza computare il sindaco». Essendo i consiglieri assegnati dieci, è palese che la seduta del consiglio comunale si è tenuta con modalità non conformi alla legge, in quanto per essere considerata valida, oltre al sindaco, occorreva la presenza di almeno quattro consiglieri comunali –:
   di quali informazioni disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali ulteriori elementi intenda acquisire anche per il tramite del prefetto, sull'anomala situazione venutasi a creare;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative per disciplinare in maniera più stringente la fattispecie della decadenza dalla carica di sindaco al fine di evitare che possano ripetersi casi paradossali come quello sopra descritto.
(4-14673)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa a Secugnago, in provincia di Lodi, e precisamente in pieno centro, in via Bonaccorsi a pochi passi dall'oratorio, gli abitanti della cittadina hanno assistito, attoniti e in diretta, al furto di una cassaforte da una villa;
   in particolare, alle 20.30 circa di giovedì 27 ottobre 2016, al suono della sirena di un antifurto, gli abitanti del quartiere, precipitatisi in strada, hanno prontamente realizzato che l'allarme proveniva dalla villetta dell'ex farmacista, in quel momento fuori casa insieme alla moglie;
   nonostante il suono dell'antifurto, la folla, radunatasi immediatamente intorno alla villetta, ha potuto sentire i colpi di mazza con cui i ladri stavano cercando di estrarre dal muro la cassaforte e, compreso quanto stava accadendo, hanno immediatamente iniziato a gridare ai malviventi di andarsene, al fine di sventare il furto in atto;
   nonostante la folla presente che, nel frattempo, stava allertando anche il centralino del 112, riferendo in diretta quello che stava vedendo e sentendo, i ladri, per nulla intimoriti, sono andati avanti imperterriti con le mazze per estrarre la cassaforte minacciando, invece, di ritorsioni gli abitanti del quartiere presenti fuori dalla villetta;
   secondo quanto riportato dai presenti, i tre ladri, dopo aver estratto dal muro la cassaforte, l'hanno trasportata a braccia dal primo piano fino a pianoterra e caricata su un'Audi bianca che, con a bordo un quarto complice, li aspettava fuori dalla villetta;
   i quattro sono fuggiti in direzione di Piacenza, rischiando anche di travolgere una vicina che si trovava lì davanti, e da allora hanno fatto perdere le loro tracce, nonostante qualcuno dei presenti fosse riuscito a prendere la targa della vettura che, segnalata alle forze dell'ordine, tuttavia non corrispondeva alla stessa macchina sopra richiamata;
   nel frattempo, le pattuglie dei carabinieri del comando territoriale, in quel momento tuttavia già impegnate in altro luogo e servizio, sono state dirottate verso Secugnago ma i malviventi, prima del loro arrivo, sono riusciti a realizzare il furto e si sono dati alla fuga in auto con la cassaforte davanti agli abitanti esterrefatti;
   è di tutta evidenza che una maggiore e capillare presenza delle forze dell'ordine nella zona avrebbe, invece, consentito un tempestivo intervento e di sventare il furto, poiché i ladri non avrebbero avuto il tempo di estrarre la cassaforte, trasportarla a braccia dal primo piano al pianoterra, caricarla sull'auto del complice e, infine, fuggire –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa, e in particolare quali iniziative urgenti intenda adottare, anche alla luce del gravissimo episodio verificatosi a Secugnago e che ha lasciato i cittadini del tutto attoniti e preoccupati per le modalità e i tempi con cui si è verificato, nonché per le minacce ricevute dai malviventi ancora in circolazione, al fine di assicurare una adeguata e maggiore presenza delle forze dell'ordine sul territorio della provincia di Lodi, implementando le risorse materiali in dotazione e il personale attualmente in servizio. (4-14684)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 maggio 2016 un'informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell'articolo 84 comma 4 e 91, del decreto legislativo n. 159 del 2011, ha interessato la società «Garofalo Group» con sede in Cassano allo Jonio, sulla base, si legge nell'atto, di un quadro indiziario dal quale deve ritenersi l'esistenza di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni con la criminalità organizzata tali da condizionare le scelte dell'impresa in questione;
   Luigi Garofalo è stato, nell'amministrazione comunale di Cassano allo Jonio, presidente del consiglio comunale prima che, con deliberazione consiliare del 19 settembre 2016, gli fosse revocato l'ufficio;
   nell'atto summenzionato si legge che «i lavori di manutenzione della rete idrica a seguito di gara espletata il 27 giugno 2016» furono affidati dal comune di Cassano allo Jonio alla «Garofalo Group»;
   «per tale procedura, nella documentazione di gara prodotta, il legale rappresentante della Garofalo Group ha dichiarato – è scritto nella succitata deliberazione – la insussistenza, a proprio carico, di misure interdittive. Tale particolare circostanza a cura degli uffici comunali, è stata evidenziata alle autorità competenti, dal momento che da notizie attinte, presso la prefettura di Cosenza, il provvedimento di interdizione è stato trasmesso alla medesima in data 13/05/2016»;
   «i componenti della società – si afferma nella prefata deliberazione – risultano essere parenti diretti del consigliere Luigi Garofalo, che riveste la carica di Presidente del Consiglio Comunale»;
   in un articolo del 12 settembre 2016, apparso sul quotidiano «La Gazzetta del Sud» a firma del giornalista Luigi Cristaldi, Luigi Garofalo viene indicato come l'uomo politico del territorio più vicino al presidente in carica della regione Calabria, Mario Oliverio, tanto da averlo accompagnato sul palco al comizio conclusivo della campagna elettorale di Gianni Papasso, divenuto poi sindaco a seguito delle ultime consultazioni elettorali del giugno 2016;
   Antonio Forastefano è un esponente di rilievo di un'organizzazione criminale operativa nell'area di Cassano allo Jonio;
   «Antonio Forastefano – si legge in un articolo apparso lo scorso 30 marzo sulla testata on lineQui Cosenza” – è latitante nel 2005, ma nonostante ciò impegna i suoi uomini di punta come Giuseppe Garofalo per appendere manifesti elettorali tappezzando l'intera cittadina di Cassano allo Jonio e garantire al candidato un'ottima copertura “mediatica” con comizi gremiti e gente in strada ad applaudire. Garofalo noto come il referente del clan Forastefano per le estorsioni, duole ricordare, è cugino di primo grado di Luigi Garofalo», che è lo stesso soggetto di cui più sopra si è detto;
   gli elementi sopra evidenziati sono seriamente indicativi – anche per la desumibile mancanza di controlli approfonditi, da parte degli uffici, in ordine all'impresa succitata, vincitrice di appalto – di un possibile condizionamento mafioso dell'amministrazione comunale di Cassano allo Jonio, anche con riferimento alla raccolta del consenso che ha determinato l'esito delle ultime elezioni municipali –:
   al fine di verificare la sussistenza degli elementi cui al comma 1 dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali, non intenda promuovere ogni opportuno accertamento, in particolare tramite l'accesso presso l'ente interessato. (4-14693)


   MORANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da due servizi effettuati dalla trasmissione televisiva « Le iene», andati in onda rispettivamente il 2 e il 30 ottobre 2016, si apprende di quelle che appaiono quali presunte irregolarità che sarebbero state riscontrate in merito alla raccolta, da parte del M5S, delle firme durante le elezioni amministrative di Palermo del 2012;
   alla trasmissione in questione sarebbero stati, infatti, segnalati, in forma anonima documenti che attesterebbero l'avvenuta falsificazione delle firme raccolte per la presentazione delle liste, dalla quale scaturì anche un'indagine che è stata però archiviata;
   nel dettaglio, la questione riguardava il fatto che chi aveva raccolto il numero necessario di firme per presentare la lista del M5S alle elezioni comunali lo aveva fatto con un modulo che presentava un errore nel luogo di nascita di un candidato: secondo la trasmissione di Mediaset, dunque, per porre rimedio a tale errore gli attivisti del M5S avrebbero ricopiato di loro pugno le firme in nuovi moduli, ricostruzione che è stata però smentita dai diretti interessati, dato che sulla vicenda era stata aperta ed archiviata nel 2013 un'indagine della Digos;
   dalla trasmissione del 30 ottobre 2016, però, emerge che proprio uno dei funzionari della Digos che avrebbero condotto le indagini suddette, e che, da alcuni elementi risultanti dalla segnalazione, potrebbe essere Giovanni Pampillonia, dirigente della Digos, di cui nella testimonianza citata si forniscono iniziali, appare nelle immagini diffuse a braccetto con Beppe Grillo;
   Pampillonia ha preso parte al cordone che scortava il sindaco di Roma Virginia Raggi nel corso della manifestazione palermitana «Italia 5 Stelle», svoltasi a Palermo domenica 25 settembre 2016 e sempre a quanto riportato dalle immagini del servizio citato, pare che lo stesso abbia violentemente allontanato alcuni giornalisti che stavano svolgendo il loro lavoro –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti che, qualora risultassero rispondenti al vero, richiederebbero una ulteriore verifica in merito all'effettivo ruolo ricoperto nelle indagini citate dal dirigente della Digos in questione e, nel caso in cui questo venisse appurato come rilevante, quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di tutelare e garantire la regolare attività della Digos e delle altre strutture di polizia chiamate a collaborare alle eventuali nuove indagini sulla vicenda. (4-14694)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 – «buona scuola» – tra le deleghe che attribuisce al Governo prevede l'intervento in materia di adeguamento alle nuove norme delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo e delle modalità di svolgimento degli esami di Stato sei primo e del secondo ciclo;
   da notizie apparse sulla stampa si apprende che, per l'esame di Stato conclusivo del ciclo, le modifiche sulle quali il Ministero sta lavorando prevedono l'introduzione nella valutazione della prova Invalsi, somministrata agli studenti del quinto anno nel corso dell'anno scolastico e non come prova d'esame, la riduzione delle prove scritte a due, italiano più materia di indirizzo, e la conseguente eliminazione della terza prova;
   ai fini della valutazione finale dello studente verrebbero considerate anche le ore di alternanza scuola-lavoro, senza effettuare un monitoraggio a livello nazionale di come sia stata attuata e applicata su tutto il territorio nazionale la normativa relativa all'alternanza;
   sarebbe prevista anche la modifica dei criteri per sostenere l'esame orale che sarebbe basato su alcuni spunti e documenti suggeriti dalla commissione;
   secondo le indiscrezioni il Governo avrebbe previsto modifiche anche del sistema dei voti: il punteggio finale sarebbe sempre espresso in centesimi ma quello derivante dai crediti scolastici passerebbe da 25 a 40 punti; altri 40 punti arriverebbero dagli scritti – fino a 20 punti per ciascuna prova – e i rimanenti 20 punti sarebbero assegnati sulla base del colloquio;
   il Governo starebbe inoltre ipotizzando interventi anche sulla composizione delle commissioni; dalle notizie stampa si apprende che le ipotesi sarebbero due: la prima secondo la quale le commissioni sarebbero formate esclusivamente da commissari interni e il solo presidente sarebbe esterno alla scuola; la seconda ipotesi valuta anche la possibilità di lasciare invariata la composizione delle commissioni, tre commissari interni e tre esterni, ma si introdurrebbe la figura del presidente unico per tutte le commissioni operanti nella stessa scuola;
   non viene prevista nessuna prova relativa alla conoscenza di una lingua straniera e delle competenze acquisite con il CLIL (content and language integrated learning), tenendo presente l'importanza di conoscere una lingua straniera ed in particolare la conoscenza dell'inglese, una lingua ormai imprescindibile nel mercato del lavoro;
   le novità potrebbero interessare gli studenti che sosterranno l'esame di Stato nel 2017, quindi coloro che al momento frequentano il quarto anno degli istituti secondari superiori;
   al termine della scuola secondaria di I grado – primo ciclo – sarebbero previste solo due prove, con l'esclusione anche in questo esame della prova di lingua straniera;
   si legge inoltre che verrà eliminata la valutazione, nell'esame di Stato conclusivo del primo ciclo, della prova Invalsi, nonostante il fatto che «la rilevazione serve a migliorare l'efficacia della scuola per le fasce più deboli della popolazione scolastica e a far emergere e diffondere le esperienze di eccellenza presenti nel Paese». I test infatti non servono per dare un giudizio sull'operato del docente, né per punire o fare classifiche tra scuole, ma per consentire agli istituti di riflettere sul proprio operato e migliorarsi –:
   quali siano le effettive prove, le modalità di svolgimento degli esami e la composizione delle commissioni e quali i tempi di approvazione dello schema di decreto legislativo, in considerazione del fatto che i cambiamenti dell'esame di Stato e del relativo sistema di valutazione dei crediti e di svolgimento delle prove richiede già da ora che le studentesse e gli studenti, sia del primo che del secondo ciclo, conoscano il nuovo esame per prepararsi adeguatamente.
(2-01529) «Centemero, Brunetta».
(Presentata il 28 ottobre 2016)

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   risulta all'interpellante che alcuni uffici scolastici regionali hanno disposto utilizzazioni e assegnazioni provvisorie su posti di sostegno di docenti di ruolo privi di titolo di studio di specializzazione, nell'ambito delle operazioni di mobilità annuale;
   la soluzione sarebbe stata individuata per far rientrare il maggior numero possibile di docenti trasferiti fuori regione, in seguito alla mobilità straordinaria 2016/17 e alla necessità di collocare un docente perdente posto nella stessa scuola o in una vicina, a totale discapito della qualità del sostegno che potrebbero fornire i docenti specializzati a disposizione;
   la legge n. 104 del 1992 stabilisce che «l'utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati»;
   risulta inoltre che all'interno di molte regioni sia stata fatta un'errata distribuzione, tra i vari ambiti territoriali, delle cattedre di sostegno da mettere a disposizione a causa della mancanza dell'adeguata rilevazione delle effettive esigenze degli alunni con disabilità che dovrebbe essere realizzata nel periodo estivo come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 185 del 2006;
   la situazione si presenta tale per cui, anche a parità di bisogni da parte degli alunni, in alcune province sono previsti più posti di sostegno di altre con la conseguenza che nelle prime i docenti specializzati per il sostegno vengono subito assorbiti e si ricorre anche ai docenti non specializzati, mentre nelle altre non vengono utilizzati tutti i docenti specializzati, siano essi di ruolo o precari –:
   se non ritenga il Ministro interpellato di dover assumere iniziative al fine di prevedere la possibilità per i docenti specializzati per il sostegno di scegliere più di una provincia della stessa regione per la richiesta di utilizzazione e di assegnazione, attraverso l'individuazione dell'organico su base regionale previsto dall'articolo 1, commi 63 e 64, della legge n. 107 del 2015, prevedendo contestualmente anche il ritiro di tutti i provvedimenti che contemplano l'utilizzo improprio di docenti di ruolo non specializzati, affinché il supporto agli alunni con disabilità sia fornito da chi ha adeguata formazione ed esperienza.
(2-01531) «Centemero».

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto 28 gennaio 2010 è stata indetta una procedura selettiva per l'accesso alla mobilità professionale verticale, in particolare per il passaggio dall'area B all'area D, profilo professionale direttore dei servizi generali ed amministrativi (DSGA); con decreto ministeriale n. 74 del 2011 si è disposto che le assunzioni nel profilo DSGA venissero effettuate sulla base delle graduatorie dell'ultima sessione dei concorsi ovvero, in caso di esaurimento delle stesse, in base a graduatorie concernenti la mobilità professionale dell'area inferiore all'area immediatamente superiore;
   per il profilo DSGA i suddetti passaggi non furono effettuati in seguito a nota ministeriale 1800/2012 che, per quanto in contrasto con il decreto ministeriale 3 agosto 2011 in materia di assunzione di personale ATA, stabiliva che lo spostamento avrebbe potuto aver luogo solo su posti vacanti e disponibili; con circolare 1985/2012 il Ministero stabiliva allora che gli aspiranti sarebbero stati nominati negli anni successivi senza alcun bisogno di autorizzazione, in quanto compresi nelle immissioni in ruolo autorizzate con decreto ministeriale 3 agosto 2011;
   la consistenza complessiva delle dotazioni organiche DSGA viene determinata con decreto interministeriale e ha durata triennale, eventualmente rivedibile annualmente; il decreto interministeriale relativo all'anno scolastico 2016/2017 ha previsto un decremento di circa 50 unità derivante dalla riduzione delle autonomie scolastiche e dal numero delle scuole sottodimensionate che sono 334;
   la condizione delle scuole sottodimensionate appare estremamente difficile, in quanto non è possibile assegnare in via esclusiva un DSGA, al punto che molti uffici periferici dell'amministrazione scolastica hanno inoltrato un interpello al fine di coprire i posti di DSGA su tutto il territorio nazionale;
   i posti relativi all'abbinamento delle sedi sottodimensionate costituiscono uno specifico contingente provinciale del profilo di DSGA, da approvare con decreto degli uffici scolastici regionali;
   ai DSGA che sono obbligati a farsi carico del lavoro relativo a due scuole non viene corrisposta una indennità mensile come previsto dalla legge;
   risulterebbero essere più di 1000 i posti vacanti e disponibili per il ruolo di DSGA in altrettanti istituti scolastici, la maggior parte dei quali collocati nel Centro-nord;
   è necessario riconoscere e valorizzare professionalmente il personale DSGA, che garantisce il corretto funzionamento contabile-amministrativo delle scuole contribuendo sia in termini di quantità che di qualità del lavoro svolto nelle segreterie, al buon andamento delle istituzioni scolastiche;
   i DSGA, così come gli assistenti tecnici, dovrebbero poter beneficiare del «bonus» formativo e del «bonus» premiale riconosciuto ai docenti dalla legge n. 107 del 2015 –:
   se non si ritenga di dover al più presto bandire un corso-concorso finalizzato al reclutamento di DSGA nonché all'adeguato riconoscimento professionale di queste categorie di lavoratori. (3-02594)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la sequenza drammatica di terremoti che ha colpito il centro Italia ha compromesso la quotidianità in un comprensorio di circa 200 comuni;
   per molti di questi è stato predisposto il piano di evacuazione. Intere popolazioni sono state trasferite in alberghi della costa o in prossimità del lago Trasimeno;
   si registrano attività interrotte e servizi sospesi. Scenari spettrali nei quali a parte le macerie e il personale dei vigili del fuoco e della protezione civile non resta altro;
   un anno scolastico, però, non si può interrompere e riprendere successivamente. I ragazzi hanno bisogno di essere impegnati per evitare che si perdano in pensieri tristi e perché non devono pensare che non ci sia futuro. Hanno bisogno di quotidianità, di normalità, di esperienze da condividere con i loro coetanei;
   non credo sia possibile sapere già oggi quanti sono i ragazzi trasferiti e come potranno proseguire le lezioni a soli 5 giorni da quella che è stata definita una catastrofe. Si tratta di un sisma che non ha eguali negli ultimi 30 anni di storia del nostro Paese, ma intensificare gli sforzi per fare presto a censirli è legittimo. Verificare la possibilità di ripristinare in luoghi consoni le lezioni, per evitare che questi ragazzi perdano l'anno scolastico è possibile ed è un dovere delle istituzioni;
   nei due plessi ad Amatrice e nei comuni interessati dal sisma del 24 agosto si era iniziato, seppur con difficoltà, l'anno, grazie al piano #RipartiamodallaScuola, che aveva raccolto molte adesioni, e grazie alle donazioni e agli accordi operativi che il Ministero aveva sottoscritto;
   la sola Camerino, un comune di 7.000 abitanti, che ospitava 9.000 studenti universitari provenienti da 52 diversi paesi è in ginocchio –:
   se sia previsto un piano che permetta a tutti i ragazzi dei comuni interessati dal terremoto di riprendere le lezioni e in che tempi e quanti istituti scolastici consentano le attività in sicurezza considerato che lo sciame sismico è ininterrotto e che una scossa di forte intensità potrebbe ripetersi. (5-09922)


   SIMONE VALENTE, VACCA, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO, MARZANA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'attività motoria, in età evolutiva, riveste un ruolo fondamentale per uno sviluppo sano, sia fisico che psichico;
   l'attività motoria, legata ad una sana alimentazione, aiuta il bambino ad un migliore sviluppo fisico e psicologico: favorisce la mobilità articolare, migliora la coordinazione, riduce il rischio di obesità, ha notevole importanza nella prevenzione primaria e secondaria. Educa anche ad un buon controllo emotivo, migliorando l'autostima e aumentando le capacità di socializzazione e di autonomia;
   l'attività motoria praticata dai bambini, in maniera corretta, previene, inoltre, molte malattie dell'età adulta (ipertensione, ipercolesterolemia, malattie cardiache, obesità, diabete, alcuni tumori), oltre a permettere di sperimentare appieno i vari stimoli sensoriali di orientamento e identificazione con l'ambiente in cui il bambino vive;
   in Italia il 30-40 per cento della popolazione non pratica attività fisica, e tra i bambini la sedentarietà si aggira tra il 15 e il 20 per cento già nella fascia compresa tra i 3 e i 5 anni. Secondo i dati dello studio HBSC, in Veneto il 5 per cento dei ragazzi di 11 anni sono obesi e il 21 per cento in sovrappeso, quindi circa 1 bambino su 4 ha un peso superiore alla norma;
   nella scuola primaria – bambini che vanno da 6-11 anni – l'attività motoria settimanale è obbligatoria per i bambini, tuttavia essa non è spesso condotta da insegnati che abbiano una conoscenza ampia della materia;
   spesso, infatti, l'ora di attività motoria è gestita da insegnanti non specializzati nella materia che, pur impegnandosi per permettere ai bambini di svolgere al meglio le ore settimanali dedicate all'attività fisica, non hanno a disposizione tutti gli strumenti per fornire al bambino quegli input motori e fisici che solo un esperto della materia saprebbe dare;
   nonostante i ripetuti annunci e le manifestazioni d'interesse al tema del Governo Renzi, la situazione è rimasta pressoché immutata. La cosiddetta «buona scuola», secondo gli interroganti, non contiene, infatti, misure sufficienti ad una netta inversione di tendenza, quale sarebbe stata, come proposto dal M5S, l'istituzione del ruolo di insegnante di educazione motoria nella scuola primaria;
   l'articolo 1, comma 20, della legge n. 107 del 2015 si limita a prevedere l'utilizzazione di laureati in scienze della formazione che vantino non meglio definite «competenze certificate» in educazione motoria e autorizza il ricorso a professionisti della materia solo in qualità di specialisti –:
   se il Governo non intenda potenziare efficacemente l'attività motoria nella scuola primaria, in particolare assumendo iniziative per portare ad almeno tre le ore settimanali e istituire il ruolo sì da garantire che l'insegnamento dell'educazione motoria sia impartito da laureati in scienze motorie ovvero diplomati ISEF. (5-09923)


   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016, tra l'altro, detta disposizioni in materia di reclutamento straordinario per chiamata diretta di docenti universitari di elevato e riconosciuto merito scientifico nel rispetto di criteri volti ad accertare l'eccellenza dei percorsi individuali di ricerca scientifica, istituendo allo scopo un fondo speciale denominato «fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», al quale sono assegnati 38 milioni di euro nell'anno 2016 e 75 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017;
   la disciplina del reclutamento, in deroga a quello ordinario, avrebbe dovuto essere definita da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 marzo 2016, ma il cui testo, a parte anticipazioni apparse su autorevoli quotidiani e periodici specializzati, non risulta ancora approdato in Parlamento;
   dalle suddette anticipazioni risulterebbe che secondo la bozza del decreto, attualmente al vaglio del Consiglio di Stato, ad essere chiamati saranno docenti scelti da commissioni presiedute da membri direttamente nominati dalla Presidenza del Consiglio, su proposta del Ministro interrogato, nell'ambito di una procedura totalmente governativa che evoca, ad avviso degli interroganti, lo spettro del regio decreto n. 1071 del 20 giugno 1935, che conferì all'allora capo del Governo Benito Mussolini il potere di nominare le commissioni che avrebbero a loro volta selezionato i docenti, riservandogli in più la facoltà di annullare la procedura concorsuale qualora le commissioni nominate avessero prodotto risultati sgraditi al regime;
   secondo i medesimi mass media e l'opinione di gran parte del mondo universitario la ripartizione delle cattedre favorirebbe il settore di glottologia, linguistica e filosofia del linguaggio, nel quale ha insegnato il Ministro interrogato e al quale verrebbero attribuite più cattedre (24 cattedre) rispetto a tutto il settore di chimica di sintesi e dei materiali (22 cattedre) e di ingegneria dei sistemi e delle comunicazioni (22 cattedre). Infatti il totale dei docenti strutturati nei settori glottologia e linguistica, logica, storia e filosofia della scienza, estetica e filosofia dei linguaggi, attualmente è pari a 622; e, nell'ipotesi di una distribuzione settoriale omogenea e proporzionale al numero degli strutturati in servizio (la «regola dell'1 per cento»), al settore SH4, al quale si riferiscono i medesimi, dovrebbero toccare «6 cattedre Natta», cioè un quarto di quelle che invece verrebbero attribuite sulla base della bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   se non ritenga che sussistano gli estremi per una revisione della bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prima che lo stesso sia sottoposto al parere dei competenti organi parlamentari. (5-09924)


   COSCIA, CAROCCI, SGAMBATO, COCCIA, ROCCHI, MALPEZZI, CRIMÌ, IORI, BLAZINA, MALISANI, PES, NARDUOLO, DALLAI, RAMPI, D'OTTAVIO, MANZI, GHIZZONI, VENTRICELLI e BONACCORSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in Italia è indispensabile acquisire la specializzazione per le attività didattiche di sostegno mediante l'abilitazione, per la quale vengono indetti appositi corsi di specializzazione come previsto dall'articolo 13 del decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   le caratteristiche dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità, devono prevedere l'acquisizione di un minimo di 60 crediti formativi, comprendere almeno 300 ore di tirocinio pari a 12 crediti formativi universitari e articolarsi distintamente per la scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondo grado;
   inoltre, al comma 1 del suddetto articolo, viene stabilito che: «in attesa della istituzione di specifiche classi di abilitazione e della compiuta regolamentazione dei relativi percorsi di formazione, la specializzazione per l'attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità si consegue esclusivamente presso le università»;
   parimenti, anche su posto comune è stabilito che gli insegnanti possano accedere alle procedure di reclutamento solo se in possesso di un titolo abilitativo come sancito dall'articolo 1, comma 110, della legge n. 107 del 2015 secondo cui: «a decorrere dal concorso pubblico di cui al comma 114, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto possono accedere alle procedure concorsuali (...) esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all'insegnamento»;
   tuttavia, da notizie di stampa si apprende che molti docenti privi del titolo abilitativo o della specializzazione sul sostegno stiano conseguendo il medesimo all'estero attraverso corsi che non prevedono alcuna prova di ingresso e nessun percorso formativo adeguato. Tale fenomeno diventa macroscopico per quanto riguarda la specializzazione sul sostegno, vista la carenza di insegnanti specializzati;
   tali corsi sono molto costosi, ma consentono in tempi rapidissimi di conseguire un titolo attraverso cui si può essere inseriti in graduatoria una volta tornati in Italia. Infatti, si può facilmente richiedere il riconoscimento del titolo conseguito attraverso una verifica di omologazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in applicazione della direttiva 2005/36, recepita con il decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007, per cui anche nel nostro Paese è possibile presentare richiesta di riconoscimento del titolo di studio conseguito in un Paese membro dell'Unione europea;
   da notizie apparse sugli organi di stampa sembrerebbe che tra il 2012 e il 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato solo per il riconoscimento dei titoli di abilitazione all'insegnamento conseguiti in Romania circa 500 decreti attuativi; per queste ragioni, molti aspiranti docenti stanno recandosi all'estero ottenendo il riconoscimento di tali abilitazioni o specializzazioni –:
   se sia a conoscenza di questo grave fenomeno e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per impedire che questa pratica gravemente lesiva dei diritti dei ragazzi ad una didattica di qualità possa proseguire. (5-09925)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Cagliari è una città che ha carenza di istruzione artistica superiore, ad oggi rappresentata dal solo liceo artistico (il «Foiso Fois»), mentre non è presente una Accademia di belle arti che possa consentire la eventuale prosecuzione degli studi di alta formazione artistica;
   è comunque in crescita permanente la domanda di studenti nel sud dell'isola che orienta il proprio percorso di formazione verso la formazione artistica superiore di base;
   tale domanda viene dunque soddisfatta da un'istituzione scolastica, il liceo artistico e musicale «Foiso Fois», che ha una forte identità legata alla Cagliari moderna e contemporanea, i cui elevati standard di offerta formativo consentono di ospitare attualmente 41 classi, per circa 850 studenti;
   il liceo artistico di Cagliari è l'unico polo ad indirizzo esclusivamente artistico e musicale in tutto il Sud dell'isola, per cui è conseguentemente alto anche il numero degli studenti pendolari che, frequentandolo, arricchiscono con la dialettica del loro linguaggio artistico l'intero tessuto comunitario cittadino;
   la sede del liceo artistico di Cagliari è sempre stata storicamente inserita nel contesto urbano cittadino, a sottolineare la sua integrazione con il contesto urbanistico e sociale di riferimento e la scelta inclusiva della città nei confronti della popolazione studentesca non cagliaritana;
   purtroppo, il liceo artistico di Cagliari ha sempre avuto gravi problemi logistici, costretto a continue migrazioni di sede che ne danneggiano l'identità e la qualità dell'offerta;
   attualmente la sede centrale del LAC, in via San Giuseppe, nel cuore dello storico quartiere di Castello, è parzialmente interessata da lavori di ristrutturazione che rendono temporaneamente inagibili i suoi già esigui spazi (massima capienza: 20 classi);
   la precarietà logistica comporta anche l'attuale inutilizzabilità di buona parte dei supporti didattici specifici, abbandonati nella sede di via San Giuseppe e dell'importante materiale d'archivio e di biblioteca, confinato nella sede originaria di piazza Dettori;
   nello scorso anno scolastico, il liceo artistico è stato in parte ospitato nei locali dell'ITC Leonardo da Vinci, non lontani dal teatro lirico, dal parco della musica e dal conservatorio e, pertanto, configuranti un polo logistico coerente con le attività dell'istituto;
   per ospitare il liceo artistico di Cagliari, i locali del Leonardo da Vinci sono stati opportunamente adeguati agli specifici percorsi curriculari, in particolare per quanto attiene alle necessità di laboratori e di supporti didattici per la sezione musicale del liceo stesso che, ancora giovane in quanto nata da soli due anni, ha incontrato subito il favore degli studenti e delle loro famiglie;
   all'inizio dell'anno scolastico in corso, inopinatamente e senza alcun preavviso, il liceo artistico e musicale è stato ulteriormente trasferito in una nuova locazione a Monserrato (nella sede del cosiddetto ITC Besta 2);
   tale trasferimento appare davvero discutibile, in quanto i locali dell'istituto «Besta 2» avevano già subìto lavori di adeguamento per accogliere gli studenti dell'ITC Martini che, invece, all'ultimo momento, sono stati dirottati proprio nel plesso del Leonardo da Vinci, forse per evitare possibili cali di iscrizioni legati al trasferimento in sede decentrata;
   in conseguenza di tale scelta del commissario della provincia di Cagliari, l'offerta formativa del liceo artistico di Cagliari appare frammentata in tre sedi, molto distanti tra loro e tutte estranee al cuore pulsante della cultura e della ricerca artistica del territorio;
   le incertezze logistiche, la precarietà quotidiana (i collegi dei docenti si svolgono in locali presi in affitto di volta in volta), i disagi per la frammentazione in più sedi, l'assenza di una «casa» che ne rafforzi l'identità indeboliscono l'offerta formativa del liceo artistico di Cagliari e ne riducono la percezione qualitativa da parte della comunità studentesca e cittadina;
   per effetto di tale situazione e delle correlate incertezze sul futuro logistico del liceo artistico di Cagliari appare sostanzialmente difficilissima qualsiasi opera di orientamento scolastico consapevole –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere, anche promuovendo l'impegno diretto dell'ufficio scolastico regionale, perché il liceo artistico e musicale «Fois» di Cagliari sia definitivamente allocato in una sede coerente con le sue tradizioni culturali ed artistiche e con le necessità della qualità della propria offerta formativa. (4-14664)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 settembre 2016 la dirigente scolastica dell'IPSIA «Galileo Ferraris» di Brindisi invia al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, alla direzione generale per interventi in materia di edilizia scolastica, all'ufficio scolastico regionale della Puglia, all'Ente proprietario provincia di Brindisi e ad altri enti specifici, una comunicazione avente ad oggetto «Informativa sulle condizioni strutturali e ambientali e richiesta di interventi valutativi e risolutivi presso la sede dell'IPSIA “G. Ferraris”, plesso di via Adamello 18 a Brindisi, per violazione del decreto legislativo n. 81 del 2008. Rischio chiusura e interdizione all'accesso»;
   la condizione di fatiscenza del plesso, risalente ai primi anni cinquanta, è tale da non consentire l'utilizzo della struttura a causa dell'alto rischio di collasso dei solai. Ciò è confermato nella «Relazione tecnica del servizio di prevenzione e protezione sulla valutazione dei rischi connessi con gli ambienti di lavoro» datata 1 agosto 2016 e corredata di un dettagliato report fotografico degli ambienti pericolanti dell'Istituto;
   in mancanza di un'effettiva proposta risolutiva da parte di enti/autorità competenti informati dei fatti e considerato l'alto rischio per la salute e la sicurezza di studenti e lavoratori, nella stessa informativa la dirigente scolastica vaglia la possibilità di interdire l'accesso all'intera struttura;
   il 7 ottobre 2016 a causa di piogge abbondanti che hanno reso inagibile il plesso, come confermato dal verbale dei vigili del fuoco, l'istituto è stato evacuato. La dirigente scolastica ha inviato una comunicazione agli enti/autorità competenti sollecitandone nuovamente l'intervento in merito allo sgombero e all'interdizione dell'edificio e annunciando che l'istituto avrebbe proseguito l'attività didattica con orario ridotto fino al 13 ottobre 2016, termine dopo il quale si sarebbe rivolta alla procura della Repubblica per valutare le responsabilità penali degli enti sopracitati;
   con il verbale dell'ispezione e prescrizione dello SPESAL di Brindisi in data 13 ottobre 2016 il plesso didattico di via Adamelli viene immediatamente chiuso. All'ingegnere Vito Ingletti, in qualità di dirigente dell'amministrazione provinciale di Brindisi, ente proprietario della struttura, è contestata la violazione dell'articolo 64 e l'articolo 80, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008. È inoltre prescritta l'eliminazione delle carenze evidenziate dall'ispezione entro 180 giorni dalla ricezione del verbale;
   dopo essere stati temporaneamente ospitati presso l'Istituto Belluzzi di Brindisi, gli studenti dell'IPSIA «G. Ferraris» saranno trasferiti nello stabile che fino allo scorso anno ha ospitato il liceo scientifico E. Fermi –:
   di quali elementi disponga circa le cause che hanno impedito alle autorità competenti in materia di intervenire tempestivamente nel coadiuvare la dirigente scolastica dell'IPSIA «G. Ferraris» di Brindisi nelle verifiche e nelle valutazioni tecniche del caso e nell'individuare le eventuali azioni necessarie da intraprendere, nonostante le ripetute comunicazioni sulle condizioni fatiscenti dell'edificio loro inviate nell'estate 2016;
   se, considerando che la «legge Delrio» (legge n. 56 del 2014) ha trasformato le province italiane in enti di secondo livello e, all'articolo 1, comma 85, lettera e), ha sancito che l'edilizia scolastica fosse inclusa tra le funzioni fondamentali esercitate dai nuovi enti provincia, non intenda assumere iniziative per destinare alle province, inclusa quella di Brindisi, i fondi necessari per ottemperare, così come stabilito dalla stessa legge n. 56 del 2014, alle funzioni fondamentali tra cui l'edilizia scolastica;
   se intenda impegnarsi concretamente per la tutela del «diritto allo studio» degli alunni e della sicurezza del personale scolastico, docenti e ATA, affinché possano svolgere la loro formazione e il loro lavoro in strutture adeguate alle loro esigenze e soprattutto sicure e non più fatiscenti, intervenendo, per quanto di competenza, tempestivamente nei casi di emergenza onde evitare che gli studenti perdano numerosi e preziosi giorni di scuola.
   (4-14682)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   sempre più spesso recenti ricerche hanno analizzato una correlazione tra flessibilità del lavoro e numero degli infortuni sul lavoro: secondo Stefania Battistelli del Centro di ricerca interdipartimentale sulla sicurezza dell'università di Modena e Reggio Emilia (in bollettino ADAPT del 24 ottobre 2016), la diffusione dei contratti di lavoro flessibili tende a generare nuove situazioni di rischio riconducibili principalmente alle modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. L'Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro evidenzia che i soggetti parte di un contratto di lavoro flessibile, e quindi destinati a svolgere una prestazione soltanto per un determinato periodo di tempo, sono spesso soggetti a frequenti variazioni di ambiente e condizioni di lavoro, con conseguente mutamento di mansioni e maggiori difficoltà ad adottare comportamenti virtuosi volti a minimizzare i pericoli correlati al lavoro. Questa è la condizione in cui operano, ad esempio, i lavoratori somministrati (operai comuni adibiti a mansioni manuali ad alto rischio di infortunio nel settore edile, dei trasporti, manifatturiero e del commercio) i lavoratori intermittenti e i «voucheristi», che spesso non vengono adeguatamente informati sulla complessiva organizzazione del lavoro e sui rischi presenti in azienda;
   inoltre, sempre più spesso si verificano processi di esternalizzazione del lavoro ovvero molto spesso il lavoratore si trova ad operare al di fuori dei locali dell'azienda ovvero in locali di cui l'imprenditore non ha la disponibilità giuridica e agisce con mezzi e strumenti propri, pur rimanendo di fatto un dipendente;
   è il caso delle operaie che lavorano per H&M: «non direttamente però: in mezzo ci sono diversi passaggi. La marca svedese ha un magazzino a Casalpusterlengo, provincia di Lodi, per gestire in proprio i rifornimenti alla sua rete di negozi in Europa meridionale. Invece, ha affidato le vendite online a una ditta esterna. XpoLogistics è una delle maggiori aziende della logistica internazionale (sede centrale nel Connecticut negli Stati Uniti, sede europea a Lione in Francia, 88 mila dipendenti in 34 paesi, dichiara 5,4 miliardi di euro di fatturato nel 2015)... Queste lavoratrici quindi non sono dipendenti della H&M, anche se impacchettano abiti con questo marchio. Ma non sono neppure dipendenti di XpoLogistics, anche se il loro lavoro fa funzionare il suo magazzino. Loro sono assunte da Easy Coop, cooperativa di servizi “specializzata in processi di terziarizzazione dei magazzini”, a cui la multinazionale della logistica ha dato in appalto la gestione della manodopera. Nel suo settore, Easy Coop è un'azienda di dimensioni ragguardevoli: ha 700 soci-dipendenti in tutta Italia, lavora in 15 siti e dichiara un fatturato di 18 milioni. È qui che la parola “flessibilità” torna utile» (in http.//www.internazionale.it);
   le lavoratrici hanno denunciato: «Il ritmo del lavoro però dipende dal flusso delle ordinazioni. Ci sono i picchi degli acquisti di Natale o dei saldi. Oppure le offerte speciali, le promozioni. Di conseguenza, anche l'orario è imprevedibile: «In questo momento ci danno perfino due turni di riposo in una settimana. Poi d'improvviso sono dodici ore, i riposi saltano e torni a casa solo per dormire». Imprevedibili i turni: «Quando fai la notte, arrivare alle 6 del mattino non è un problema. Poi però crolli. Ti danno una pausa, gli spogliatoi sembrano un campo profughi, tutti buttati a cercare di riposare»;
   anche Foodora startup del valore complessivo di 3 miliardi di dollari, leader del « take away digitale», nei primi mesi aveva offerto ai « rider» un contratto con una paga oraria di 5 euro lordi, per poi passare ad una retribuzione a cottimo;
   i fattorini in bicicletta vengono pagati 2,70 euro a consegna effettuata, mentre la percentuale che viene chiesta al ristoratore dall'azienda è del 30 per cento sul valore dell'ordine, oltre al costo fisso di consegna di 2,90 euro;
   i cambiamenti organizzativi introducono quindi nei lavoratori un senso di insicurezza definito « Job Insecurity», né è stato migliorato in modo significativo il livello di tutela per effetto della normativa del cosiddetto Job Act;
   l'Inail nella sua relazione annuale 2016 ha registrato nel 2015 quasi 100 morti in più in seguito a infortuni a causa di lavoro;
   è ragionevole affermare che le normative recenti in materia di rapporti di lavoro, quali il « Job Act», che hanno reso l'organizzazione del lavoro più «flessibile» e il demansionamento ed il licenziamento più facili, hanno ridotto la capacità dei lavoratori di reagire rispetto a condizioni di lavoro a rischio, proprio in considerazione della loro ricattabilità;
   a parere degli interpellanti, non è possibile aumentare la competitività puntando semplicemente sul basso livello delle retribuzioni ovvero indebolendo le tutele lavorative sul lavoro, anziché puntare sull'investimento in nuove competenze, professionalità e formazione –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, o programmi siano in corso o si intendano sviluppare, in particolare relativamente all'aumento del numero di controlli sulle misure antinfortunistiche e a iniziative di formazione, con particolare riguardo alle microimprese ed ai nuovi rischi anche legati alla « Job Insecurity», derivanti dall'introduzione delle normative di cui al « Job Act»;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per migliorare la salute dei dipendenti, in considerazione della potenziale incidenza sulla qualità, sulla sicurezza e sul benessere sul luogo di lavoro delle recenti modifiche della legislazione lavoristica in Italia.
(2-01527) «Ciprini, Cominardi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Agostinelli, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cecconi, Colletti, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, D'Ambrosio, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Di Battista».

Interrogazioni a risposta immediata:


   SBERNA e GIGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), al comma 391, ha istituito la carta famiglia, uno degli strumenti concreti pensati per sostenere le famiglie con almeno tre figli minori (430 mila circa su un totale di quasi un milione di famiglie numerose, l'8,5 per cento dei nuclei in Italia);
   la carta consente l'accesso legato all'Isee a sconti sull'acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa;
   le disposizioni attuative della misura sono state demandate ad un successivo decreto del Ministro interrogato, da adottarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico;
   la carta famiglia avrebbe dovuto avere attuazione entro fine marzo 2016, ma ad oggi nessun decreto è stato emanato, nonostante risulti agli interroganti che le associazioni familiari abbiano offerto agli uffici del Ministero il testo di una bozza di regolamento;
   trattandosi di una misura che non comporta costi per i bilanci pubblici e che è invece di sostegno ai cosiddetti nuclei familiari «deboli», quelli cioè che si «fanno carico» di opporsi a quella desertificazione generativa con cui l'Italia segna da tempo i propri dati demografici, e che proprio per questo sono maggiormente esposti al rischio povertà – basta leggere i dati dell'ISTAT al riguardo – sembra agli interroganti che non si possa attendere oltre –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché il decreto di cui in premessa sia al più presto adottato. (3-02604)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 – recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti» –, stabilisce che «per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee guida di cui all'accordo sancito il 24 gennaio 2013 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all'articolo 1, commi 1180 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, presso il servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale»;
   il citato accordo del 24 gennaio 2013 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle «Linee-guida in materia di tirocini», pur inserendo nei «considerati» un esplicito richiamo al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 25 marzo 1998, n. 142 – che adotta il «Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, sui tirocini formativi e di orientamento» –, introduce all'articolo 1, «Principi comuni in materia di tirocini, definizioni e tipologie» più restrittivi rispetto ai criteri già in vigore e invocati in premessa –:
   se l'articolo 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, si riferisca a tutti i tirocini definiti dalla normativa nazionale di cui al richiamato decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 25 marzo 1998, n. 142 o esclusivamente alla più restrittiva categoria di tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 1 delle «Linee-guida in materia di tirocini» adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con accordo del 24 gennaio 2013. (3-02605)


   RIZZETTO, CIRIELLI, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA, RAMPELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, PETRENGA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   vi è ancora incertezza sulla sorte delle categorie in attesa di misure specifiche e definitive per l'accesso alla pensione, ossia i cosiddetti esodati, «quota 41» e coloro che attendono la proroga del regime di «opzione donna»;
   in particolare, per i lavoratori precoci, sembra che la platea da salvaguardare sia stata notevolmente ristretta a pochi soggetti e, di conseguenza, la maggiore parte della categoria non avrà accesso ad alcun beneficio;
   al riguardo si fa presente che la «quota 41» era già stata valutata in sede di accertamento tecnico e, addirittura, in tale sede, è emerso che ci sarebbe stato un risparmio per le casse dello Stato; pertanto, non si comprende perché la platea da tutelare sia stata drasticamente ridotta;
   inoltre, si prevede che i potenziali fruitori della categoria in questione debbano essere disoccupati e questo costituirebbe un altro grave discrimine;
   invece di adottare, di volta in volta, provvedimenti provvisori si ritiene che si debba procedere con una manovra strutturale per salvaguardare tutti; in tal modo si otterrebbe, tra l'altro, un risparmio di risorse –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative affinché, per la cosiddetta categoria dei «quota 41», si preveda una manovra definitiva per tutti i soggetti con l'uscita anticipata dal mondo del lavoro senza penalizzazioni. (3-02606)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIMBRO, BARADELLO, CIRACÌ, FITZGERALD NISSOLI, GASPARINI, MICCOLI, MINNUCCI, VARGIU e VEZZALI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Simav, del gruppo Siram, versa già da diversi anni in gravi difficoltà economiche e finanziarie, a causa delle mutate strategie industriali di Finmeccanica: se un tempo quest'ultima assicurava da sola il 98 per cento del fatturato dell'azienda, col tempo gli ordini sono andati sempre più riducendosi, con conseguente perdita degli appalti. A ciò la dirigenza ha provato a rispondere con un alquanto tardivo tentativo di diversificazione del mercato di riferimento;
   nel giro di pochi anni i dipendenti della società sono passati da seicento a quattrocento; in particolare, se lo stabilimento di Nerviano, nel milanese, vedeva la presenza di una quarantina di lavoratori, oggi i dipendenti sono solo sedici;
   ad oggi la condizione dei lavoratori della Simav è sempre più grave dal punto di vista delle prospettive occupazionali per i criteri di assegnazione delle attività in appalto da parte di Finmeccanica, attraverso la pratica delle gare al massimo ribasso. Tale pratica, in assenza di una regolamentazione legislativa degli appalti nel settore privato, ad avviso dell'interrogante favorisce di fatto l'ingresso di società prive dei necessari requisiti dal punto di vista della qualità dei servizi forniti, che non rispettano le norme sulla sicurezza e i diritti normativi e contrattuali dei lavoratori;
   in questi mesi sta avendo luogo la riorganizzazione della galassia di aziende alle quali Finmeccanica esternalizza le proprie attività, una riorganizzazione che andrà a interessare più di 27.000 dipendenti totali. In questo decisivo passaggio, le sigle sindacali e i lavoratori dello stabilimento nervianese avevano rilevato nell'accordo, che sancirà il futuro dell'azienda, numerose criticità: in particolare, la mancanza di specifiche sugli appalti, e nessuna garanzia sul passaggio contrattuale;
   nel mese di febbraio 2016, la direzione di Simav, stimando in 24 milioni di euro il costo del lavoro complessivo per la società, annunciava un taglio strutturale quantificato in 4 milioni di euro. In assenza di una disponibilità del Coordinamento sindacale a discutere di una riduzione strutturale, l'azienda dichiarava la sua volontà di procedure unilateralmente sia sul versante degli esuberi che su quello dei costi;
   a questo quadro, va ad aggiungersi anche l'impossibilità di una ulteriore proroga della cassa integrazione straordinaria. Al riguardo, non è stata presa in considerazione nessun'altra ipotesi alternativa;
   a seguito dell'incontro del 13 luglio 2016 con l'amministratore delegato Antonio Gianni, la delegazione sindacale, pur apprezzando i chiarimenti dati in merito al futuro piano industriale, ha riconfermato la volontà di voler proseguire il confronto con la società in merito al nuovo contratto integrativo aziendale, alla riduzione del costo del lavoro e alla gestione degli esuberi dichiarati dall'azienda –:
   se il Governo sia a conoscenza delle strategie di Leonardo-Finmeccanica in materia di scelte industriali finalizzate alla reinternalizzazione di attività oggetto in anni precedenti di cessioni di ramo d'azienda;
   se vi sia consapevolezza delle ulteriori gravi ricadute occupazionali che tale strategia adottata da Leonardo-Finmeccanica potrà produrre per i lavoratori di Simav;
   di quali elementi si disponga circa il rispetto da parte di Leonardo-Finmeccanica degli impegni sottoscritti negli accordi sindacali che hanno accompagnato i processi di esternalizzazione;
   se vi sia la volontà di Leonardo-Finmeccanica, in qualità di società partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, di osservare i principi sanciti nell'articolo 41 della Costituzione in materia di responsabilità sociale d'impresa, e se si intendano assumere iniziative per ridefinire le regole nelle gare d'appalto, a partire dalla cosiddetta «clausola sociale» relativa alla salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di cambio appalto;
   se vi sia la volontà di Leonardo-Finmeccanica di un ripensamento delle politiche industriali fondate sui processi di esternalizzazione, che si sono rivelate fallimentari dal punto di vista della razionalizzazione delle attività strategiche e che, come nel caso di Simav hanno intaccato i livelli occupazionali e i diritti normativi e contrattuali dei lavoratori.
(5-09905)


   IACONO e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni l'Inps ha utilizzato unità lavorative in comando provenienti da altri enti dello Stato e nella fattispecie si tratta di circa 300 dipendenti pubblici;
   il ricorso a tale strumento si è reso necessario per far fronte alle carenze di organico presenti all'interno dell'Istituto;
   va precisato che la copertura della spesa per i cosiddetti dipendenti comandati non incide in alcun modo sui costi complessivi anche per quel che riguarda il salario accessorio;
   in particolare, è accaduto che nei primi giorni di luglio 2016 l'Inps abbia chiesto al personale comandato del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il cui comando cessava il 31 agosto 2016, l'assenso alla stabilizzazione;
   successivamente ed in particolare il 25 agosto lo stesso Istituto di previdenza comunicava, attraverso le proprie direzioni territoriali di Agrigento e Palermo, ad 11 unità in comando, tutte di area B, provenienti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con molti anni di servizio all'Inps, che dal 1o settembre sarebbero tornati a lavorare per il proprio ente di appartenenza;
   a tale comunicazione, peraltro, veniva inoltrata formale richiesta di sospensione del provvedimento e di concessione di ulteriore proroga finalizzata alla successiva stabilizzazione in armonia con quanto disposto dalla normativa vigente e con il parere dell'Avvocatura generale dello Stato;
   corre, pertanto l'obbligo di evidenziare che la determinazione con la quale le 11 unità comandate cessavano il servizio è successiva all'emanazione del parere dell'Avvocatura generale dello Stato del 5 agosto 2016 e che, dunque, l'Istituto consapevole del personale comandato prestante servizio all'interno dello stesso avrebbe dovuto tenerne la dovuta considerazione e farlo rientrare nel nuovo modello organizzativo, così come disposto dalla normativa vigente in materia ed esplicitato dal sopramenzionato parere;
   tra l'altro, vale la pena ricordare che nel mese di settembre 2016, in data successiva alla cessazione del comando di cui sopra, lo stesso Istituto, a quanto consta agli interroganti, provvedeva a prorogare il comando presso la sede territoriale dell'Inps di Cagliari di numero due unità lavorative provenienti da altro ente ed appartenenti, comunque, all'area B;
   a tutt'oggi, alla luce di quanto sopra premesso permarrebbero condizioni di pregiudizio discriminante nei soli confronti delle già citate 11 unità lavorative inopinatamente escluse dalla proroga;
   inoltre, lo stesso presidente professor Boeri nel suo intervento presso la Commissione di vigilanza sugli enti previdenziali dell'8 luglio 2016, ha ribadito la volontà dell'Istituto di stabilizzare tutto il personale in comando senza sostanziale distinzione tra aree di appartenenza;
   l'istituto, infatti, in data 14 settembre 2016, in un incontro tenutosi alla presenza dei sindacati, ha, ulteriormente, affermato la volontà di stabilizzare entro il 31 dicembre 2016 il personale di area C attualmente in comando, mentre per i comandati di area B, nelle more di un assorbimento da parte di altre amministrazioni della graduatoria degli idonei del concorso pubblico a B1, si richiederà agli enti di appartenenza una proroga tecnica per procedere nel 2017 ad una eventuale, successiva, stabilizzazione;
   quindi appare chiara la sussistenza di tutte le condizioni necessarie all'avvio di un processo di stabilizzazione degli attuali comandati sia in area C che in area B;
   appare necessario, quindi, chiarire con l'Inps, in tempi brevi, la situazione delle 11 unità il cui comando è scaduto il 1o settembre e che a differenza dei colleghi, appartenenti alla categoria C, per i quali vi sarebbe in corso il processo di stabilizzazione e dei colleghi di categoria B, per i quali si è concessa la proroga, non hanno ancora usufruito della suddette proroghe, così come annunciato dal presidente dell'Istituto, e che si trovano in una situazione di pregiudizio e a dovere fronteggiare le conseguenze di un provvedimento che alla luce dell'intervento, sopra citato, del professor Boeri e della carenza di personale dell'Istituto appare incomprensibile –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione descritta e quali iniziative intenda assumere al fine di definire, al più presto, la situazione degli 11 comandati esclusi dalla proroga;
   se vi siano le condizioni per la revoca del provvedimento di sospensione del comando in capo alle 11 unità comandate come sopra descritto e per la conseguente adozione di un decreto di riammissione in servizio presso lo stesso Istituto. (5-09911)


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un anno fa il 21 ottobre 2015 con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06751, gli interroganti portavano all'attenzione dei Ministri interrogati la situazione degli allevamenti intensivi, nei quali non vi è alcun rispetto dei criteri previsti per il benessere degli animali, e in particolare del macello Italcarni di Ghedi (Brescia), dove la procura di Brescia aveva effettuato controlli, che avevano portato ad un sequestro preventivo finalizzato alla confisca e a reati ipotizzati quali: il maltrattamento di animali, adulterazione di prodotto alimentare destinato alla vendita, gestione illecita dei rifiuti con inquinamento delle rogge, oltre a falso in atto pubblico. Sei le persone indagate, tra queste i responsabili dell'azienda ed alcuni funzionari del distretto asl della bassa bresciana. È attesa per il 21 ottobre 2016 la sentenza di primo grado nel processo contro due veterinari dell'Asl di Brescia che dovevano controllare il macello;
   in particolare si apprende nel libro «Tritacarne» di Giulia Innocenzi, edizione Rizzoli, pubblicato il 20 ottobre 2016, che la procura di Brescia abbia iniziato ad indagare dopo aver ricevuto una lettera dalla veterinaria Vergerio, la quale denunciava il comportamento del veterinario Mario Pavesi. In seguito altre lettere sono arrivate in procura a denunciare l'operato di Pavesi, in particolare due che evidenziano come quest'ultimo, nonostante «non abbia alcun incarico né competenza formalmente attribuitagli dall'Asl presso il macello Italcarni, è frequentemente presente all'interno del macello ed i titolari si sentono talmente forti della protezione di Pavesi, che attaccano continuamente fino alle minacce all'operato dei veterinari»;
   sempre nel libro «Tritacarne» viene rivelato come i dirigenti dell'asl di Brescia abbiano coperto l'operato del veterinario indagato Pavesi ed addirittura la dirigente Caterina Dabrassi abbia adottato un provvedimento disciplinare contro la veterinaria Vergerio, perché «con il suo comportamento negligente, ha procurato un danno, economico ed all'immagine dell'azienda». Si apprende ancora che sempre la Dabrassi non aveva mai preso provvedimenti contro i veterinari incaricati di Italcarni, anzi, aveva addirittura difeso l'operato di Pavesi, intervenuto secondo lei nelle questioni legate a Italcarni solo per un interessamento di tipo «tecnico e scientifico»;
   dopo lo scoppio dello scandalo mediatico che ha coinvolto l'asl di Brescia (Corriere di Brescia del 11 dicembre 2015) il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha disposto controlli da parte di una task force del Ministero – Nas e inviato una commissione d'inchiesta a verificare l'operato dell'asl. A tutt'oggi il macello Italcarni ha riaperto e viene gestito dalla ex moglie dell'ex proprietario. Il proprietario del macello ha chiesto il patteggiamento ed i due veterinari indagati attendono la sentenza del processo, continuando a lavorare presso di Brescia. I vertici dell'asl, nonostante le verifiche disposte dal Ministro Lorenzin, sono stati tutti riconfermati, Caterina Dabrassi compresa, dal direttore generale Scarcella rinominato dal presidente della regione Lombardia Roberto Maroni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   quali attività di vigilanza siano state avviate in relazione alle ispezioni compiute dalle Aziende Sanitarie Locali negli impianti di macellazione e quale sia l'esito delle verifiche presso l'asl di Brescia disposte dal Ministro della salute;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di tutelare, difendere e incentivare i lavoratori whistleblowers, anche alla luce del fatto esposto in premessa, dal quale emerge un provvedimento disciplinare adottato dai vertici asl di Brescia nei confronti della veterinaria Vergerio, per aver inviato alla procura, una lettera di denuncia.
(5-09916)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con messaggio 2452 del 1o giugno 2016, la direzione generale dell'Inps competente per materia ha stabilito che, nelle disposizioni della legge 26 maggio 2016 n. 89, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2016 n. 42, recante «Disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca», pubblicata alla Gazzetta Ufficiale n. 124 del 28 maggio 2016 e in vigore dal 29 maggio 2016, è stato introdotto l'articolo 2-sexies, di diretto interesse per l'istituto. Il predetto articolo stabilisce che – in attesa dell'adozione delle modifiche al Regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, di disciplina del calcolo dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) – nel calcolo dell'Indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare che abbia tra i suoi componenti persone con disabilità o non autosufficienti, debbano essere esclusi i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, in ragione della condizione della disabilità. Tale disposizione, che recepisce le sentenze del Consiglio di Stato, sezione IV, nn. 838, 841, 842 del 2016, chiarisce espressamente che, ove i trattamenti vengano percepiti per ragioni diverse dalla condizione di disabilità, dovranno continuare ad essere inclusi nel reddito disponibile posto alla base del calcolo dell'ISEE. Inoltre si precisa che, in base al comma 3, restano salve, fino a trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (29 maggio 2016), le prestazioni sociali agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni previgenti;
   sia le prestazioni erogate dall'Inps, che quelle erogate dalle regioni, che quelle ex legge n. 210 del 1992, quindi, non devono essere considerate ai fini del calcolo dell'Isee;
   ebbene, queste prestazioni e provvidenze economiche vengono erogate agli interessati attraverso pagamenti diretti sui conti correnti bancari e postali degli stessi, producendo una situazione per cui, di fatto, la «giacenza media» ed il «saldo di fine anno» risulterebbero falsati dalla presenza di emolumenti che, nella realtà, avrebbero dovuto esserne esclusi;
   gli istituti bancari e la Posta, sollecitati dai diretti interessati sulla problematica avrebbero risposto, a quanto consta all'interrogante, che forniscono un «documento modificabile o alterabile in alcun modo», per cui questi emolumenti che non vengono dichiarati nel modello 730 o nel modello Unico o nella certificazione unica dipendente (Cud) dell'Inps risulterebbero nell'Isee, compresi quelli degli anni precedenti, a causa delle procedure informatiche bancarie che non permetterebbero di escludere dette somme dai loro documenti ufficiali;
   a giudizio dell'interrogante, ove non si possa trovare una diversa e migliore soluzione, si potrebbe comunicare agli istituti di credito convenzionati con l'Inps detta problematica e, conseguentemente, farne adeguare le procedure –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché la circolare dell'Inps in materia venga modificata nel senso indicato in premessa al fine di escludere effettivamente le prestazioni di cui alla stessa circolare dal computo dell'Isee. (4-14680)


   MURGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la determinazione n.135 in data 13 ottobre 2016 firmata dal presidente Tito Boeri, in attuazione del piano di riassetto territoriale delle direzioni provinciali dell'Inps di Cagliari, Sassari e Nuoro, è stata disposta la chiusura e la trasformazione del «punto Inps» dell'Agenzia di Isili;
   la motivazione, secondo il documento dell'Inps, starebbe nella maggiore efficacia, economicità e organizzazione delle risorge umane e logistiche dell'istituto previdenziale locale;
   il sindaco di Isili ha invece denunciato il timore che la trasformazione da Agenzia in «punto Inps» possa abbassare la qualità dei servizi resi alla popolazione e in particolare ai più bisognosi, agli anziani e ai disabili, costringendoli a lunghi spostamenti presso l'agenzia di Cagliari, da affrontare in strade tortuose e non sempre perfettamente agibili;
   le razionalizzazioni colpiscono in particolare modo i paesi e le cittadine più decentrate come Isili, contribuendo a rendere più affettiva la realtà dello spopolamento;
   il punto Inps, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe un modulo organizzativo assimilabile ad uno «sportello avanzato», gestito di norma su prenotazione attraverso una «Agenda appuntamenti» in giorni e fasce orarie predefinite, che di fatto se confermato, potrebbe dimezzare il servizio continuo fino ad allora garantito;
   le ragioni di cosiddetta economicità sono dubbie giacché, in alcuni casi, i locali dove viene erogato il servizio al cittadino vengono messi a disposizione delle amministrazioni locali come nel caso di Isili e sono dunque gratuiti –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative affinché l'Inps riveda le proprie scelte attribuendo di nuovo il ruolo di agenzia alla sede di Isili.
(4-14690)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   DE GIROLAMO, RUSSO, FABRIZIO DI STEFANO, CATANOSO, LAFFRANCO, BIANCOFIORE, VITO, VELLA, MILANATO, SECCO, ELVIRA SAVINO e BIASOTTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2014 Gabriele Beni, imprenditore toscano alla guida del brand italiano di scarpe D'Acquasparta, è stato nominato dal Ministro interrogato sub-commissario di Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), una società per azioni pubblica controllata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nonché uno degli enti di ricerca e finanziamento più importanti nel settore dell'agricoltura in Italia;
   nell'esercizio del compito strategico di sostenere i giovani imprenditori e il ricambio generazionale nel settore, l'Ismea si occupa di ricerche e studi nel settore, con l'obiettivo di facilitare il finanziamento delle imprese agricole italiane;
   il 24 ottobre 2016 una puntata del programma televisivo Report ha posto l'attenzione sul ruolo di Gabriele Beni, come sub commissario dell'Ismea, e sul possibile collegamento del suo incarico con l'amicizia che lo lega al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi;
   il servizio ha infatti analizzato la figura di Gabriele Beni e della sua (possibile) controversa nomina a sub commissario di ISMEA;
   data la delicatezza e la strategicità del tema dell'agricoltura in Italia e il valore del settore alimentare Made in Italy nel nostro Paese e nel mondo, il servizio di Report sottolinea come le esperienze passate di Gabriele Beni non siano completamente «in linea» con l'importante ruolo che ricopre attualmente come sub-commissario dell'ISMEA;
   senza considerare l'episodio delle scarpe regalate da Gabriele Beni e indossate da Matteo Renzi in un'occasione istituzionale e la donazione di migliaia di euro effettuata alla fondazione Open, notoriamente renziana –:
   alla luce del servizio di Report e del curriculum vitae dell'interessato, se il Ministro intenda chiarire i requisiti, le competenze e i criteri che hanno portato alla nomina di Gabriele Beni a sub-commissario di Ismea. (3-02590)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ai commi da 659 a 664 dell'articolo 1, prevede l'incorporazione della società Istituto sviluppo agroalimentare s.p.a. – Isa – e della società Gestione fondi per l'agroalimentare s.r.l. – Sgfa – nell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – ISMEA, al fine di agevolare il finanziamento degli investimenti e l'accesso al credito e al mercato dei capitali delle imprese agricole e agroalimentari, nonché al fine di razionalizzare e contenere la spesa pubblica;
   nei commi suddetti si stabiliscono le modalità di tale operazione, anche per ciò che attiene il trasferimento del personale in servizio presso l'Isa e il Sgfa; in particolare, il comma 660 prevede che il personale a tempo indeterminato in servizio alla data del 15 ottobre 2015 presso le predette società sia trasferito, a domanda, presso Ismea ed inquadrato in base al contratto collettivo nazionale di lavoro applicato dallo stesso; il limite di spesa massima sostenuta per l'inquadramento del personale non dovrà essere eccedente quello previsto alla data del 15 ottobre 2015;
   l'inquadramento del personale suddetto (35 dipendenti a tempo indeterminato, inclusi i dirigenti) è stato disposto da un provvedimento del commissario straordinario il 7 aprile 2016; fino a quel momento al personale ex Isa è stato corrisposto lo stesso trattamento in godimento alla data del 15 ottobre 2015;
   i quadri di Isa, trasferiti, a domanda, presso l'Ismea, successivamente all'entrata in vigore del provvedimento commissariale hanno subito diverse restrizioni economiche (stipendio base, buoni pasto in importo e numero, monte ore ferie, fondo pensionistico, indennità di trasferta, ore di permesso retribuite), in base a quanto previsto dal contratto di lavoro di Ismea applicato al nuovo inquadramento e ufficializzato da un accordo sindacale siglato nel febbraio 2016; lo stesso trattamento non sembra però abbia interessato il personale dirigente ex Isa, i cui compensi dovrebbero comunque essere resi pubblici sul sito di Ismea;
   il comma 661 prevede la nomina del commissario straordinario chiamato, tra le altre cose, a predisporre un piano triennale per il rilancio di Ismea (finanziamento degli investimenti, accesso al credito, mercato dei capitali delle imprese agricole ed agroalimentari, gestione del rischio, politiche per la promozione e l'internazionalizzazione delle filiere agricole, attività di monitoraggio dei prezzi agricoli, dei costi dei fattori di produzione e dell'andamento congiunturale dell'economia agricola), e a preparare altresì il nuovo statuto dell'Istituto e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica finalizzati alla riduzione delle spese di gestione pari ad almeno 10 per cento;
   il 18 ottobre 2016 si è svolto un incontro istituzionale per fare il punto sul percorso di riforma degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nel corso del quale, il Ministro interrogato ha affermato che «con Ismea, a cui abbiamo dato una nuova funzionalità, è stato compiuto un ottimo lavoro di riorganizzazione, che era fondamentale e non banale» –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se relativamente al trattamento economico dei dirigenti ex Isa, non ritenga opportuno assumere iniziative per la pubblicazione online di tutti gli attuali compensi;
   se trovi conferma la sostanziosa restrizione economica dei quadri ex Isa ora accorpati in Ismea;
   a che punto sia, viste le considerazioni del Ministro interrogato, la predisposizione del piano triennale per il rilancio dell'Istituto, nonché del nuovo statuto di Ismea. (4-14676)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legge 18 agosto 2015, n. 134, in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie, all'articolo 3, prevede «l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, con l'inserimento, per quanto attiene ai disturbi dello spettro autistico, delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili»;
   la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni ha escluso l'individuazione dell'autismo tra le psicosi. In particolare, l'ultimo DSM 5 (manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) ha eliminato le sottocategorie diagnostiche i disturbi pervasivi dello sviluppo e ha unificato tutti i disturbi nella definizione di spettro autistico;
   nel DSM 5 succitato, redatto da una commissione di esperti nominati dall'associazione americana degli psichiatri e che elenca le definizioni dei disturbi mentali che incontrano il consenso degli psichiatri e della comunità scientifica internazionale, il disordine dello spettro autistico viene inquadrato all'interno dei disordini del neurosviluppo con codice 299.00;
   nello schema del decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di prossima approvazione, l'autismo è invece incluso tra le psicosi, a giudizio degli interroganti contrastando la suddetta classificazione con tutta la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni e determinando altresì l'uscita dalla diagnosi di autismo al compimento di 18 anni;
   nello stesso schema di decreto sono previsti dei pacchetti di interventi per molte singole disabilità, anche intellettive, come ad esempio la sindrome di Down, e manca invece l'intervento cognitivo comportamentale raccomandato dalla linea guida n. 21 dell'Istituto superiore di sanità (il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti) e la gran parte degli interventi specifici previsti dalle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico; manca anche la scala Vineland, che viene richiesta dall'INPS per determinare la necessità dell'indennità di accompagnamento piuttosto che quella di frequenza;
   la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 401) ha istituito presso il Ministero della salute un fondo di 5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016, per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro acustico. I criteri e le modalità di accesso al fondo sono stabiliti con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata da adottarsi entro 60 giorni;
   a seguito dell'inerzia del Ministero della salute è stata presentata l'interrogazione n. 5/09048 a prima firma Silvia Giordano, che non ha ottenuto risposta alcuna;
   da notizie di stampa emerge che lo schema del decreto del Ministero della salute è stato predisposto ai primi di settembre, ben oltre i 60 giorni dall'approvazione della legge di stabilità ed è stato inviato all'attenzione della Conferenza unificata;
   secondo il suddetto schema il Governo propone di destinare tale fondo per le linee guida (articolo 2), per la revisione delle linee di indirizzo (articolo 3) e la promozione di progetti di ricerca (articolo 4), anziché per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, come previsto all'articolo 3 della legge n. 134 del 2015;
   il suddetto fondo è stato introdotto grazie un emendamento della prima firmataria del presente atto ed era finalizzato a sostenere direttamente i trattamenti a favore dei bambini autistici e delle loro famiglie –:
   quale sia oggi l’iter del decreto che detta i criteri di utilizzo del fondo, quali siano i tempi di addivenire ad una rapida approvazione dello stesso nonché quali siano state fino ad ora le cause ostative che di fatto hanno impedito, dopo oltre otto mesi, l'adozione del decreto massimo;
   in base a quale criterio il Governo abbia deciso di cambiare, dopo ben 10 mesi dall'impegno fissata dalla legge di stabilità 2016, la destinazione del fondo che invece prevedeva come unico fine la cura e l'abilitazione delle persone affette da disturbi dello spettro autistico;
   se non ritenga opportuno riconsiderare criteri di utilizzo del fondo al fine migliorare le condizioni di vita e l'inserimento nella vita sociale delle persone con disturbi dello spettro autistico;
   quale sia la motivazione che ha determinato l'inserimento dell'autismo infantile tra le psicosi (codice 044.299.0) nello schema del nuovo decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, generando di fatto un peggioramento della classificazione della malattia e della relativa tutela dei diritti rispetto alle conquiste già ottenute negli anni;
   se non intenda, prima dell'approvazione definitiva del testo del decreto di aggiornamento dei livelli assistenza, assumere iniziative per modificare tale classificazione conformandola all'alta parere della comunità scientifica internazionale e non escludendo l'autismo infantile.
(2-01528) «Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, Mantero, Colonnese, Di Vita, Nesci, Baroni, Dall'Osso, Cecconi».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ABRIGNANI, SOTTANELLI, PARISI, BORGHESE, MARCOLIN e GALATI. — Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'Istituto superiore di sanità Walter Ricciardi ha recentemente lanciato un allarme: con il crollo delle coperture vaccinali, anche a causa dei pregiudizi e della «caccia alle streghe» imperante sui social, 670 mila bambini italiani sono a rischio di ammalarsi di morbillo, malattia che si credeva praticamente debellata;
   sulla base dei dati di copertura vaccinale a 24 mesi di età (I dose) dal 2008 al 2015, pubblicati sul sito del Ministero della salute, è stato possibile calcolare il numero di suscettibili al morbillo nella fascia di età 2-9 anni: è stato stimato un accumulo di bambini suscettibili al morbillo nell'intero periodo pari a circa 670.000 bambini di età compresa fra 2 e 9 anni, che corrisponde al 15,3 per cento dei circa 4.400.000 nuovi nati dal 2008 al 2015;
   le vaccinazioni sono uno strumento di fondamentale importanza per il contenimento e l'eradicamento di alcune gravi malattie infettive: grazie ad esse è stato debellato il vaiolo, sono quasi scomparsi il tetano, la poliomielite, la difterite e sono state notevolmente ridotte malattie virali come l'epatite B, il morbillo, la rosolia, la parotite e le malattie batteriche come la meningite;
   le vaccinazioni rischiano di essere vittime del loro stesso successo perché, non essendo più visibili le malattie contro le quali hanno combattuto, è diminuita la percezione sulla gravità di tali patologie e sulle loro terribili conseguenze;
   alcune regioni, in particolare l'Emilia-Romagna, stanno pensando di adottare disposizioni legislative volte ad imporre l'obbligatorietà di alcuni vaccini per l'ammissione dei bambini all'asilo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno avviare una campagna d'informazione destinata a sensibilizzare la popolazione sull'importanza delle vaccinazioni e se condivida l'idea di rendere obbligatorie alcune vaccinazioni per l'ammissione dei bambini negli asili. (3-02598)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato il 29 settembre 2016 ha comminato una multa di 5 milioni di euro alla Aspen, con sede nelle Mauritius, per aver rincarato un farmaco salvavita oncologico del 1500 per cento. Il forte rincaro dei prezzi riguarda farmaci insostituibili per malati di tumore del sangue, in particolare bambini e anziani;
   si tratta di prodotti a base dei principi attivi clorambucile, melfalan, mercaptopurina e tioguanina, presenti in specialità medicinali come: Leukeran (clorambucile), Alkeran – in formulazione iniettabile e in compresse – (melfalan), Purinethol (mercaptopurina) e Tioguanina (tioguanina);
   secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato con questa strategia negoziale Aspen ha ottenuto elevatissimi incrementi di prezzo, compresi tra il 300 per cento e il 1500 per cento dei prezzi iniziali. L'analisi dell'ingiusto aumento dei prezzi è stata svolta dall'Autorità tramite l'applicazione rigorosa di un test in due fasi, che ha misurato la sproporzione dei prezzi rispetto ai costi;
   l'Autorità parla di irragionevolezza e di sproporzione tra prezzi e costi alla luce di diversi fattori, di contesto e comportamentali, specifici del caso in esame, quali: il confronto intertemporale dei prezzi, l'assenza di giustificazioni economiche per l'aumento, l'assenza di qualsiasi beneficio di carattere extraeconomico per i pazienti, la natura dei farmaci Cosmos, le caratteristiche del gruppo Aspen e il danno arrecato al Servizio sanitario nazionale;
   l'Aspen, dopo aver ribadito che i prezzi dei farmaci in Europa sono negoziati con le competenti autorità regolatorie nazionali nel Paese di riferimento, in relazione all'aumento dei prezzi, accordati ad Aspen, mette in evidenza come i costi dei farmaci in partenza fossero estremamente bassi, irrisori rispetto al reale valore clinico, terapeutico ed economico dei farmaci in esame, nonché che il livello di prezzo è significativamente inferiore a quello di qualsiasi altro trattamento alternativo per ciascuna delle classi terapeutiche di riferimento;
   la Aspen Italia Srl è una multinazionale rappresentata in Italia dalla società, Aspen Italia Srl, con sede a Verona, costituita nel 2014, con un milione di euro di capitale sociale –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per evitare speculazioni sul prezzo dei farmaci, tanto più possibili ora che esistono specifici stanziamenti a favore dei farmaci oncologici. (3-02599)

Interrogazioni a risposta orale:


   ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni la popolazione di Montichiari (BS) ha una ridotta qualità di vita a causa di molestie odorigene sempre più importanti. A Montichiari, definita la «terra dei fuochi del nord», sono presenti 13 discariche ed è stata chiesta l'autorizzazione per ulteriori 2. Sono presenti 2 impianti a biogas; è ricorrente lo spandimento di fanghi di depurazione sui suoli e sono in corso il rifacimento di alcune strade e le relative asfaltature;
   la regione Lombardia ha tentato di approvare una legge per limitare l'indice di pressione a 160.000 metri cubi di rifiuti per chilometro quadrato, conformandola sull'attuale pressione ambientale di Montichiari; tale proposta è ferma per i ricorsi delle aziende;
   in data 17 ottobre 2016 presso la scuola primaria della frazione di Vighizzolo si sono verificati malesseri importanti fra studenti e docenti, che hanno portato al ricovero di 15 bambini. Oltre ai segni chiari di intossicazione da causa aerogena (nausea, vomito, lacrimazione, capogiri), è stata riscontrata carbossiemoglobina elevata (2,5 per cento) in alcuni bambini;
   le lezioni sono riprese il giorno dopo nonostante persistere di cattivi odori;
   gli esiti degli accertamenti eseguiti da ARPA Lombardia non sono stati ancora resi noti, neppure nel corso della seduta della commissione ambiente del comune di Montichiari (BS), sollecitata il 26 ottobre 2016 dal consigliere M5S Rossi Paolo e da altri 4 consiglieri di minoranza per chiedere al sindaco di riferire in merito ai malori e in cui erano presenti Arpa, ATS e l'interrogante in qualità di consulente per la parte tecnica. In particolare, ARPA non ha reso noto l'esito del campionamento per acido solfidrico (può essere mortale in pochi minuti a elevate concentrazioni);
   gli episodi di miasmi sono ricorrenti ed è stata segnalata molestia odorigena importante anche la sera del 26 ottobre nella frazione di Vighizzolo, limitrofa alla discarica Gedit –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati, per quanto di competenza, circa le cause degli episodi acuti e cronici avvenuti e i possibili rischi per la salute nel breve e lungo termine per i cittadini di Montichiari;
   se intendano promuovere, per quanto di competenza, uno studio epidemiologico complessivo sulla popolazione di Montichiari;
   se si intendano assumere iniziative per mettere in sicurezza la popolazione scolastica spostando almeno temporaneamente la sede delle lezioni, in attesa dell'esito degli accertamenti. (3-02592)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il costo dei farmaci in un servizio sanitario nazionale come quello italiano caratterizzato da due principi fondamentali quali quello della universalità e quello della gratuità, rappresenta insieme al costo del personale, una delle voci più importanti. È del tutto evidente che il passaggio ai farmaci equivalenti rappresenti quindi uno dei fattori più concreti per l'abbattimento dei costi complessivi della sanità;
   il medicinale equivalente (generico) va considerato come ogni altro medicinale, un'ottica di conformità ai requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia e come un'opportunità per liberare risorse economiche da investire nell'uso di farmaci innovativi, a più elevato costo. Il ricorso ai farmaci equivalenti è relativamente recente e può essere fatto risalire a circa 20 anni fa;
   a volte i farmaci equivalenti vengono chiamati «farmaci generici», termini che costituiscono la traduzione italiana della definizione « generic medicinal product» riportata nella direttiva CE 2001/83; la traduzione letterale dei termini è risultata tuttavia fuorviante per la pubblica opinione. L'aggettivo «generico» viene infatti associato a un prodotto che non è sufficientemente specifico ed è percepito come inferiore rispetto all'originale. Non a caso la legge n. 149 del 26 luglio 2005 sostituisce la denominazione «medicinale generico» con quella di «medicinale equivalente». Nei farmaci equivalenti, gli elementi della qualità, sicurezza ed efficacia sono in tutto e per tutto identici a quelli previsti dai cosiddetti farmaci di marca e per di più hanno un profilo rischio/beneficio definito in maniera più chiara rispetto a quanto sia possibile per qualsiasi nuovo medicinale;
   con riferimento alle caratteristiche costitutive di un farmaco equivalente occorre ricordare che lo stesso contiene la stessa quantità di principio attivo: la sua bio-equivalenza è dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità, con un altro medicinale di riferimento, in genere identificato con il nome di medicinale di marca o «brand», con brevetto scaduto. I farmaci equivalenti hanno un prezzo inferiore di almeno il 20 per cento rispetto ai medicinali di riferimento, dal momento che le aziende produttrici di equivalenti non devono investire risorse nella ricerca sulla molecola, essendo il principio attivo già noto, e non devono condurre né gli studi preclinici, né gli studi clinici per dimostrare l'efficacia e la sicurezza del medicinale nell'uomo;
   il rapporto nazionale OsMed 2015 chiarisce che i farmaci a brevetto scaduto rappresentano il 21,4 della spesa pubblica, per il 70 per cento a carico del Ssn. Ma, ciò nonostante, non c’è un adeguato ricorso ai farmaci equivalenti, mentre la maggioranza dei farmaci venduti riguarda gli originali prodotti di marca. Ossia, nonostante il brevetto scaduto i vecchi farmaci continuano ad essere tra i preferiti di chi li prescrive e di chi li assume e il Ssn, non trae alcun vantaggio, almeno sul piano economico, dalla caducità del brevetto. Questo atteggiamento si presenta con alcune oscillazioni a livello regionale, con un maggior uso di farmaci equivalenti al Nord e in minore uso mano a mano che si scende al Sud –:
   quali strategie il Ministro interrogato intenda attuare per incrementare l'utilizzo dei farmaci equivalenti sia da parte dei medici che dei pazienti, promuovendo la leva dell'aggiornamento della formazione dei professionisti e dell'educazione sanitaria dei pazienti. (3-02593)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i budget della spesa farmaceutica territoriale sono attribuiti dall'Aifa alle aziende farmaceutiche (per singolo titolare di autorizzazione all'immissione in commercio) in attuazione di quanto disposto dell'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007. I budget aziendali sono attribuiti in via provvisoria entro il 15 gennaio di ogni anno, sulla base dei volumi e dei prezzi degli ultimi dodici mesi per i quali sono disponibili i dati, e in via definitiva entro il 30 settembre di ogni anno, sulla base dei volumi e dei prezzi a consuntivo dell'anno precedente (articolo 5, comma 2, lettera a), del decreto legge n. 159 del 2007 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007);
   i budget della spesa farmaceutica ospedaliera sono attribuiti dall'Aifa alle aziende farmaceutiche (per singolo titolare di autorizzazione all'immissione in commercio) in attuazione di quanto disposto dell'articolo 15, commi 7 e 8, della legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni. I budget aziendali sono attribuiti in via provvisoria entro il 31 marzo di ogni anno, sulla base dei volumi e dei prezzi degli ultimi dodici mesi per i quali sono disponibili i dati, e in via definitiva entro il 30 settembre di ogni anno, sulla base dei volumi e dei prezzi a consuntivo dell'anno precedente (articolo 5, comma 8, lettera a), del decreto legge n. 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012);
   il comma 18 dell'articolo 21 del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, della legge 7 agosto 2016, n. 160, recante «Misure finanziarie per gli enti territoriali e il territorio», prevede che, entro il 30 settembre 2016, l'Aifa, ai fini della determinazione del ripiano del superamento del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera e del tetto della spesa farmaceutica territoriale per l'anno 2016, assegna a ciascuna azienda i budget aziendali definitivi previsti, rispettivamente, dall'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e dall'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, utilizzando, ai fini della determinazione degli stessi, la quota assegnata a ciascun titolare di autorizzazione all'immissione in commercio per l'anno 2015, ai sensi del comma 7;
   le sezioni del sito internet dell'Aifa « Budget spesa farmaceutica ospedaliera» e « Budget spesa farmaceutica territoriale» risultano aggiornate al 17 aprile 2015;
   le difficoltà nell'attribuzione definitiva degli oneri di ripiano 2013-2014-2015 della spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, ai sensi dell'articolo 21, comma 8, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, come convertito dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, sono sfociate nella richiesta da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio di una dettagliata relazione istruttoria da presentare entro il 31 marzo 2017 –:
   quali siano i valori dei budget aziendali definitivi assegnati ai fini della determinazione del ripiano del superamento del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera e del tetto della spesa farmaceutica territoriale per l'anno 2016;
   se, in considerazione dell'eventuale ritardo maturato, si stia valutando di assumere iniziative per una modifica della normativa che preveda percentuali più basse con riferimento alle quote di ripiano a carico delle aziende farmaceutiche, così come accaduto per gli anni 2013 e 2014 (90 per cento) e 2015 (80 per cento).
   (5-09913)


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le vaccinazioni, soprattutto nell'infanzia, costituiscono un indispensabile intervento preventivo per eliminare il rischio di contrarre pericolose malattie infettive, pertanto, vaccinarsi o vaccinare un bambino, fin dai primi mesi di vita, significa proteggerlo;
   dunque è evidente l'importanza dei vaccini e la necessaria obbligatorietà di alcuni di essi visto il primario fine di tutela della salute; in tale ambito, non si può prescindere da una corretta e completa informazione da parte delle istituzioni competenti, al fine di rendere consapevoli i cittadini rispetto alla vaccinoprofilassi. Al riguardo, si ritiene, invece, che negli ultimi tempi non vi sia stata chiarezza sul tema e ciò ha comportato paure e scetticismo, a fronte dei quali si deve intervenire con un'idonea informazione che generi la giusta conoscenza delle procedure vaccinali. Ciò considerato, si ritiene necessario approfondire alcuni aspetti che concernono i prossimi intenti dell'Esecutivo in tema di vaccinazioni;
   a quanto è dato sapere, il Governo e alcune regioni si propongono di prevedere che, per l'accesso ai nidi d'infanzia, occorrerà essere in linea con quanto previsto dal calendario vaccinale per l'età da 0 a 3 anni;
   è stato varato il piano nazionale dei vaccini 2016-2018, che è inserito all'interno del piano nazionale di prevenzione redatto partendo dagli obiettivi generali presenti nel piano d'azione europeo per le vaccinazioni 2015-2020 (European vaccine action pian 2015-2020, EVAP);
   i vaccini in età pediatrica obbligatori sono 4: antidifterica (legge del 6 giugno 1939 n. 891 – legge del 27 aprile 1981 n. 166); antitetanica (legge del 20 marzo 1968 n. 419); antipoliomielitica (legge del 4 febbraio 1966 n. 51); antiepatite virale B (legge del 27 maggio 1991 n. 165); tuttavia, ne vengono somministrati 6 per ogni singolo richiamo (3 in tutto, nei primi 12 mesi di vita di ogni neonato);
   per tali vaccini lo stesso piano nazionale prevede che il mancato rispetto del calendario, per i bambini in età pre-scolare, potrebbe comportare la non ammissione ai nidi d'infanzia. Sono inoltre previste sanzioni per quei medici che non applicheranno i dettami del piano;
   il Ministero della salute, attraverso l'ufficio VIII della direzione della programmazione sanitaria, eroga gli indennizzi ai soggetti danneggiati in modo irreversibile da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti, ai sensi della legge n. 210 del 1992 e successive modificazioni;
   i vaccini sono farmaci che, comunque, potrebbero comportare rischi per reazioni avverse e l'esposizione al rischio nella somministrazione di un vaccino non è la stessa per tutti i soggetti vaccinabili –:
   per quale motivo siano stati inseriti i due vaccini aggiuntivi ai quattro obbligatori haemophilus B e pertosse, visto che in Italia non esistono epidemie per queste malattie;
   se esistano studi di lungo periodo su un grande numero di soggetti che garantiscano l'innocuità rispetto ad una somministrazione massiva di tutti e 6 i vaccini contemporaneamente;
   se esistano studi che garantiscono la copertura da tutte e 6 le malattie per le quali si vaccina un bambino in età pediatrica e quali siano i tempi previsti di tale copertura;
   quali siano i criteri di sorveglianza aggiuntivi che lo Stato ha intenzione di attuare in considerazione dell'inasprimento dell'obbligatorietà vaccinale;
   se esistano studi statistici in relazione alle reazioni avverse ai vaccini, sulla base delle segnalazioni obbligatorie che i medici devono fare a norma di legge, che tendano a evidenziare eventuali problemi ed a proporre eventuali indicazioni per la risoluzione dei medesimi;
   quali siano i costi per lo Stato di tali vaccini aggiuntivi;
   a quanto ammontino le risorse accantonate dallo Stato in relazione ai danni subiti per reazioni avverse ai vaccini, in base a quanto previsto dalla legge n. 210 del 1992. (5-09914)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 marzo 2014 l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha deliberato gli aumenti di prezzo, compresi tra il 300 per cento e il 1.500 per cento, delle seguenti specialità medicinali antitumorali salvavita delle società Aspen Pharma Triding Limited e Aspen Italia; di seguito i medicinali in questione: Alkeran 50 mg/10 mg polvere e solvente per soluzione iniettabile – 1 flacone (melfalan); Alkeran 2 mg – 25 compresse (melfalan); Leukeran 2 mg – 25 compresse (clorambucile); Purinethol 50 mg – 25 compresse (mercaptopurina); Tioguanina 40 mg – 25 compresse (tioguanina);
   i vecchi e i nuovi prezzi dei farmaci Aspen in Italia, come riportati dal provvedimento del 29 settembre 2016 dall'autorità garante della concorrenza e del mercato sono i seguenti:
    Alkeran: vecchio prezzo ex factory euro 3,51 – nuovo prezzo ex factory euro 57,62 – vecchio prezzo al pubblico euro 5,80; nuovo prezzo al pubblico euro 95,10 – differenza prezzo al pubblico 1.540 per cento;
    Alkeran inj: vecchio prezzo ex factory euro 31,46 – nuovo prezzo ex factory euro 149,87 – vecchio prezzo al pubblico euro 69,21; nuovo prezzo al pubblico euro 247,35 – differenza prezzo al pubblico 257 per cento;
    Leukeran: vecchio prezzo ex factory euro 4,54 – nuovo prezzo ex factory euro 57,53 – vecchio prezzo al pubblico euro 7,50; nuovo prezzo al pubblico euro 94,95 – differenza prezzo al pubblico 1.166 per cento;
    Purinethol: vecchio prezzo ex factory euro 10,19 – nuovo prezzo ex factory euro 57,62 – vecchio prezzo al pubblico euro 16,82; nuovo prezzo al pubblico euro 95,10 – differenza prezzo al pubblico 465 per cento;
    Tioguanina: vecchio prezzo ex factory euro 32,71 – nuovo prezzo ex factory euro 132,96 – vecchio prezzo al pubblico euro 53,99; nuovo prezzo al pubblico euro 219,44 – differenza prezzo al pubblico 306 per cento;
   il 19 novembre 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di APTL e Aspen Italia s.r.l. volto ad accertare eventuali violazioni dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   il procedimento istruttorio ha portato a valutare come abuso della posizione dominante, ai sensi dell'articolo 102, lettera a), del TFUE, il comportamento delle società titolari dei medicinali citati, nella fase negoziale con l'Agenzia italiana  del farmaco, per la determinazione dei prezzi;
   tale fissazione di prezzi iniqui si è realizzata attraverso l'adozione da parte di Aspen di una strategia negoziale articolata in diverse fasi, culminata con la prospettazione credibile del ritiro dal mercato di farmaci essenziali per pazienti oncologici, in specie anziani e bambini;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di qualificare la condotta abusiva, ha evidenziato che, a fronte di incrementi dei prezzi compresi fra il 300 per cento e il 1500 per cento, Aspen ha realizzato ricavi in eccesso compresi tra il 100-150 per cento e il 250-300 per cento, anche riconoscendo un ROS al 15-20 per cento pari a quello medio del gruppo. Inoltre, qualora si imputino tra i costi diretti i costi sopportati da Aspen per l'acquisto dei trademark le percentuali di eccesso, rimangono comunque estremamente elevate e comprese tra il 50-100 per cento e il 200-250 per cento;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha determinato l'importo della sanzione pari a 5.225.317 euro nei confronti delle società citate;
   Aspen Italia il 20 ottobre 2016 in un comunicato stampa annunciava un ricorso al TAR del Lazio contro la sanzione irrogata dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nei suoi confronti in tema di prezzi dei farmaci –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito all'intera vicenda sopra descritta e se sia a conoscenza di eventuali aggravi finanziari per il servizio sanitario nazionale. (5-09917)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), detta disposizioni rilevanti ai fini del concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica e della determinazione del livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale del 2015;
   l'intesa tra Governo e regioni n. 37/CSR del 26 febbraio 2015 stabilisce le modalità per assicurare il concorso a carico delle regioni al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica dell'anno 2015, tra le quali la riduzione delle risorse destinate al finanziamento del settore sanitario per 2.352 milioni di euro;
   il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, prevede, all'articolo 9-ter, la razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci;
   l'articolo 9-ter riporta:
    comma 1, lettera b): «al fine di garantire, in ciascuna regione, il rispetto del tetto di spesa regionale per l'acquisto di dispositivi medici fissato, coerentemente con la composizione pubblico-privata dell'offerta, con accordo in sede di Conferenza per i rapporti tra lo Stato e le Regioni, da adottare entro il 15 settembre 2015 e da aggiornare con cadenza biennale, fermo restando il tetto di spesa nazionale fissato al 4,4 per cento, gli enti del SSN sono tenuti a proporre ai fornitori di dispositivi medici una rinegoziazione dei contratti in essere (...)»;
    comma 3: «Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui alla lettera b) del comma 1, il Ministero della salute mette a disposizione delle regioni i prezzi unitari dei dispositivi medici presenti nel nuovo sistema informativo sanitario (...)»;
    comma 7: «Presso il Ministero della salute è istituito l'Osservatorio nazionale sui prezzi dei dispositivi medici allo scopo di supportare e monitorare le stazioni appaltanti e verificare la coerenza dei prezzi a base d'asta rispetto ai prezzi di riferimento definiti dall'ANAC (...)»;
    comma 8: «Con decreto del Ministro della salute, da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, è certificato in via provvisoria l'eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale (...)»;
    comma 9: «L'eventuale superamento del tetto di spesa regionale di cui al comma 8 è posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40 per cento nell'anno 2015, al 45 per cento nel 2016 e al 50 per cento a decorrere dall'anno 2017. Ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all'incidenza percentuale del proprio fatturato a carico del Servizio sanitario regionale. Le modalità procedurali del ripiano sono definite, su proposta del Ministro della salute, con apposito accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni»;
   il rapporto sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie pubbliche del servizio sanitario nazionale per l'acquisto di dispositivi medici – 2014 riporta quale spesa in eccedenza la somma di euro 866,305 milioni di euro (Tabella 6, pagina 38) –:
   quali siano le risultanze dell'attività dell'osservatorio previsto al comma 7 dell'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78;
   quali siano i risultati per l'anno 2015 del monitoraggio della spesa per l'acquisto dei dispositivi medici e l'eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale certificato dal decreto del Ministro della salute adottato di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze entro il 30 settembre di ogni anno;
   quali siano le quote di riparto dell'eventuale sforamento per l'anno 2015, così come previsto dal comma 9 dell'articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78. (5-09919)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, COLONNESE, DI VITA e MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 98 del 2011 ha reintrodotto, per le prestazioni mediche specialistiche ambulatoriali a carico dei non esenti, il pagamento di una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro (prevista dall'articolo 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, e abolita, per gli anni 2009, 2010 e 2011, dall'articolo 61, comma 19, del decreto-legge n. 112 del 2008), consentendo però alle regioni di adottare, in alternativa, misure differenti che assicurino lo stesso gettito;
   l'importo del ticket che i cittadini sono tenuti a pagare per le prestazioni specialistiche ambulatoriali dipende, in ciascuna regione: dalle tariffe regionali delle singole prestazioni, fino al limite massimo ex lege n. 53 del 1993 (36,15 euro) o previsto localmente; dalle eventuali misure di compartecipazione aggiuntive eventualmente adottate; dal decreto-legge n. 98 del 2011 (quota per ricetta o misure alternative);
   attualmente 4 regioni non applicano la quota ricetta di cui al suddetto decreto-legge (Valle d'Aosta, provincia autonoma Bolzano, Basilicata, provincia autonoma Trento a quota ridotta), Abruzzo, Liguria, Lazio, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna applicano la quota aggiuntiva per ricetta di 10 euro; le restanti applicano misure alternative alla quota fissa articolate secondo diverse modalità: in cinque regioni la quota ricetta è rimodulata in base al reddito familiare; in tre la rimodulazione è basata sul valore della ricetta;
   a livello nazionale sono previste esenzioni per: specifiche condizioni di salute; alcune attività di prevenzione; alcune categorie di cittadini in base all'associazione tra condizioni personali e socio-reddituali;
   la regione Campania applica ai non esenti il ticket massimo di euro 36,15; la quota ricetta aggiuntiva di euro 5,00 o euro 10,00 in base al reddito e al numero di componenti del nucleo familiare; la quota ricetta (« superticket» decreto-legge n. 98 del 2011) di euro 10,00;
   per quanto concerne il reddito, gli esenti devono avere un reddito fino a euro 36.151,98, mentre, per i pazienti con patologie suscettibili di esenzione, tale diritto dipende dal reddito e dal numero dei componenti del nucleo familiare: fino a 18.000 euro, fino a 22.000 euro, fino a 24.000 euro, fino a 36.151,98 euro e tra 36.151,98 e 50.000 euro;
   la succitata normativa di attuazione in regione Campania è stata adottata con i decreti del commissario ad acta nn. 50, 51, 52 e 53 del 27 settembre 2010 confermati e prorogati con i decreti del commissario ad acta nn. 90 del 2011, 157 del 2012, 130 del 2013 (fino al 31 dicembre 2014) e 141 del 2014 (fino al 31 dicembre 2015);
   successivamente è stato adottato il decreto del commissario ad acta n. 32 del 30 marzo 2015 che ha provveduto a modificare il regime delle esenzioni;
   al momento, la normativa regionale contenente l'applicazione delle maggiorazioni sopra enucleate e la quota ricetta cosiddetta superticket non risulta prorogata con un atto del commissario ad acta e, pertanto, risulterebbe priva della necessaria copertura normativa;
   misure di compartecipazione incoerenti e inique fanno sì che le strutture sanitarie private siano spesso in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali rispetto ai ticket del sistema sanitario nazionale, mettendo a rischio i livelli di assistenza previsti –:
   se la mancata approvazione di un decreto del commissario ad acta volto alla proroga della validità delle misure per la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria nel settore delle prestazioni specialistiche ambulatoriali – parimenti a quanto fatto dal 2011 e fino al 31 dicembre 2015 – possa influire sull'effettiva erogabilità della componente variabile regionale, ossia sulla quota ricetta fissa e sulla quota ricetta cosiddetta superticket;
   se il Ministro abbia intenzione di assumere iniziative per equilibrare i sistemi di tassazione per rendere più equo l'accesso ai Lea a tutti i cittadini e ridurre il costo della sanità per i cittadini.
   (4-14692)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in base all'ultima rilevazione voluta dal Dipartimento della funzione pubblica, sarebbero rimasti da assumere circa 300 idonei dirigenti del comparto dello Stato, che hanno superato legittimamente un concorso pubblico per esami;
   il Ministro interrogato ha più volte sottolineato che agli idonei deve essere data la «giusta attenzione», ma a ciò non ha fatto seguito alcun atto concreto;
   le graduatorie dei dirigenti non scorrono ormai da anni in ragione del blocco del turn over e, da ultimo, per dare spazio alle assunzioni dei dipendenti di area vasta e della Croce rossa italiana è stato fatto divieto di effettuare assunzioni a tempo indeterminato a valere sui budget 2015 e 2016 della Pubblica Amministrazione e quindi anche di quelle dirigenziali (articolo 1, comma 234, della legge di stabilità 2016);
   per quanto concerne i soli dirigenti vi sono carenze assunzionali di circa 1.200 dirigenti presso le Agenzie fiscali nonché presso il Ministero della giustizia, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Inps e l'Inail e altro. Dette esigenze assunzionali dovrebbero essere fronteggiate con l'assorbimento dei dirigenti in graduatoria, che sono, tra l'altro, di numero esiguo;
   assumere gli idonei, oltre che creare economie di scala, è pienamente in linea con la ratio della riforma sulla dirigenza pubblica, che, prevedendo un ruolo unico di dirigenti ed una graduatoria unica per il comparto Stato, dispone che i dirigenti possano svolgere l'incarico presso qualsiasi amministrazione del comparto medesimo;
   la «riforma Madia» sembra non abbia disposto alcun regime transitorio per i dirigenti idonei, pur prevedendo un regime ponte nell'ipotesi dei dirigenti generali (articolo 6) e dei segretari comunali (articolo 10, comma 5);
   come già rilevato in precedenti atti di sindacato ispettivo dell'interrogante, sono stati stabilizzati presso le agenzie fiscali, irregolarmente senza concorso, molti dirigenti attraverso POT e POS, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale (sentenza n. 37 del 2015);
   l'articolo 9 del decreto-legge 193 del 2016 prevede la chiusura di Equitalia e contemporaneamente la stabilizzazione, ad avviso dell'interrogante con modalità di dubbia legittimità, dei dipendenti nella nuova Agenzia delle entrate – riscossione, senza concorso pubblico per esami;
   a tutt'oggi, i Ministeri e gli enti centrali non hanno proceduto ad assumere alcun dirigente attingendo dalla graduatorie in questione, nonostante, in alcuni casi, vi siano le autorizzazioni del dipartimento della funzione pubblica e la disponibilità dei budget assunzionali per l'anno 2014 e nonostante il fatto che si stiano concludendo le procedure di assunzione dei dipendenti di area vasta e della Croce rossa italiana;
   in passato sono già avvenute stabilizzazioni anche di segretari comunali nelle amministrazioni dello Stato in qualità di dirigenti (legge 30 dicembre 2004, n. 311), senza apposito concorso, che hanno danneggiato i vincitori di concorsi pubblici, e ingenerato infinite controversie giudiziarie (si veda da ultimo la sentenza della Cassazione Sezione Unite 19 gennaio 2016, n. 784), come denunciato dall'interrogante con interrogazione n. 5-07840 che, ad oggi, non ha ricevuto risposta –:
   se non sia opportuno e necessario, nelle more dei due anni occorrenti alla messa a regime della «riforma Madia», assumere iniziative normative per l'assunzione di tutti i dirigenti idonei dello Stato, anche a tempo determinato, onde evitare ulteriori stabilizzazioni di personale che non ha superato un concorso pubblico e/o «buchi» assunzionali difficilmente colmabili;
   se e quali iniziative intenda intraprendere per lo scorrimento delle graduatorie di coloro che hanno superato un concorso da dirigente pubblico, per un'ovvia questione di meritocrazia e giustizia, nonché nell'ottica di una maggiore efficacia ed efficienza dell'azione pubblica.
(5-09915)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Anas s.p.a. è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale ed è una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze, sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   secondo quanto riportato dal quotidiano indipendente «la Verità» – in data 6 e 7 ottobre 2016 – Anas s.p.a. avrebbe provveduto ad una serie di assunzioni in contrasto con le vigenti norme in materia di selezione del personale dipendente delle società a controllo pubblico di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175;
   più nello specifico, in data 3 ottobre 2016, Anas s.p.a. ha assunto, con la qualifica di dirigente direzione affari istituzionali distaccato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il signor Rocco Girlanda; nella sezione «Società trasparente», presente sul sito di Anas s.p.a., è possibile consultare, alla voce «personale-dirigenti», tutte le informazioni riguardanti la formazione accademica e l'esperienza professionale e lavorativa del signor Rocco Girlanda, compreso il trattamento retributivo per lo svolgimento dell'incarico assegnatogli, pari a 180.000,00 euro;
   dall'analisi del profilo professionale del signor Girlanda si evince, tra le altre cose, che quest'ultimo – prescindendo, in questa sede, dalle eventuali valutazioni in ordine alla adeguatezza della sua esperienza professionale – non risulta essere in possesso di un titolo universitario, condizione imprescindibile ai fini dell'attribuzione di mansioni di vertice di carattere dirigenziale all'interno di società sottoposte a controllo pubblico;
   ma vi è di più: l'articolo 19, comma 2, del sopra citato decreto legislativo n. 175 del 2016, prevede in maniera espressa che «Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità» ed il successivo comma 4 della medesima norma stabilisce che «i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli»;
   con riferimento all'assunzione del signor Girlanda si evidenzia, infatti, come Anas s.p.a. non abbia provveduto ad attivare alcun iter di selezione né, altresì, a pubblicare alcun avviso di ricerca del personale per la posizione de quo, nella sostanziale mancata osservanza delle disposizioni di legge sopra richiamate;
   nell'articolo pubblicato su La Verità del 6 ottobre 2016 si riferisce, inoltre, dell'assunzione in Anas di Emanuela Poli, nella qualità di addetta alle relazioni istituzionali la quale, come si apprende, fino al 31 agosto 2016 lavorava presso Salini-Impregilo. Anche tale inserimento sembrerebbe essere avvenuto senza tenere conto delle regole in materia di trasparenza, pubblicità e imparzialità;
   al riguardo, si rammenta infine che già la determinazione dell'Anac n. 8 del 17 giugno 2015, recante «Linee Guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici», aveva provveduto a delineare le regole per garantire la piena applicazione dei principi di correttezza e trasparenza nelle società partecipate –:
   se il Governo sia a conoscenza di queste assunzioni, anche in ragione del suo ruolo di azionista di Anas;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia autorizzato la presenza del signor Girlanda all'interno degli uffici del Ministero;
   quali specifiche attività il signor Girlanda stia svolgendo all'interno del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   quali iniziative di competenza il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione intenda porre in essere per assicurare il ripristino della legalità ed il rispetto delle norme relative alla gestione del personale di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016. (4-14669)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in data 6 aprile 2009 si è verificato il terremoto nel cratere aquilano;
   nelle date del 25 maggio 2012 e del 20 maggio 2012 si sono verificati due terremoti nella regione Emilia Romagna;
   il 24 agosto 2016 la zona di Amatrice è stata sconvolta da un evento sismico importante –:
   quante siano le persone giuridiche che hanno chiesto il trasferimento della propria sede nei comuni colpiti da eventi sismici nei dodici mesi antecedenti e successivi ai terremoti di cui in premessa. (3-02600)


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   la legge 3 febbraio 2011, n. 4, reca disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari prevede l'obbligo di riportare nell'etichetta l'indicazione del luogo di origine o di provenienza;
   il regolamento UE n. 1169/2011, relativo alle informazioni sugli alimenti ai consumatori, all'articolo 9, prevede un elenco delle indicazioni obbligatorie che devono essere riportate in etichetta;
   l'attuazione dell'articolo 4 della suddetta legge n. 4 del 2011 è demandata a decreti interministeriali del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che definiscono le modalità per l'indicazione obbligatoria, nonché le disposizioni relative alla tracciabilità dei prodotti agricoli di origine o di provenienza del territorio nazionale. Con gli stessi vengono definiti, relativamente a ciascuna filiera, i prodotti alimentari soggetti all'obbligo dell'indicazione, nonché il requisito della prevalenza della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o produzione dei prodotti;
   il 14 ottobre 2016 lo schema di decreto interministeriale, adottato dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ha ricevuto l’imprimatur, per silenzio assenso, da parte della Commissione europea. Il decreto prevede l'indicazione dell'origine della materia prima e si applica a tutto il latte animale e ai prodotti lattiero-caseari che lo contengono, purché preimballati. La norma riguarderà, però, le aziende italiane e per la produzione delle stesse destinata al mercato interno. Sono, infatti, esentate dall'obbligo le aziende di altri Stati membri e di Paesi terzi che esportano in Italia;
   la Commissione europea, in sostanza, ha dato il via libera ad un decreto nazionale temporaneo, che sarà valido solo fino al 31 marzo 2019 e decadrà dal momento che la stessa Commissione europea emanerà l'atto esecutivo;
   anche per l'industria è importante poter dare informazioni chiare e complete ai consumatori. Sono circa 3.000 le aziende impegnate nel settore lattiero-caseario. È indispensabile dare a consumatori e aziende norme chiare che vadano verso la massima trasparenza sull'indicazione della qualità e dell'origine –:
   quali siano le iniziative, per quanto di competenza, che intenda intraprendere in sede europea affinché il decreto da «temporaneo» diventi definitivo, prevedendo di estenderlo anche a tutti quei prodotti che ad oggi sono senza l'indicazione di origine o di provenienza, al fine di ottenere il riconoscimento della distintività del prodotto made in Italy. (3-02601)


   FASSINA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   il Ceta è un trattato internazionale tra Canada e Unione europea i cui negoziati si sono svolti in gran parte in segreto dal 2009 al settembre 2014, ovvero senza controllo da parte dei Parlamenti nazionali come è stato per il Ttip;
   il Ceta include l'Investment court system (Ics), un sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti che permette alle imprese di citare in giudizio gli Stati e l'Unione europea dinnanzi a un tribunale speciale. L'Ics sostituisce nominalmente il meccanismo Investor to State dispute settlement (Isds), ma mantiene inalterati tutti gli aspetti controversi, poiché, contrariamente a quanto richiesto dal Parlamento europeo nella risoluzione del luglio 2015: 1) il diritto a regolamentare non è adeguatamente protetto, 2) i membri dei tribunali non sono giudici togati (sono, in effetti, avvocati cui è concesso di svolgere attività libero professionale, con rischi di conflitti di interesse), 3) la giurisdizione degli Stati membri e dell'Unione europea non è protetta (non c’è l'obbligo di esaurire i rimedi interni prima di adire l'Ics), 4) le norme Unctad e Oecd sulla responsabilità degli investitori non sono tenute in considerazione, cosicché il sistema è sbilanciato a favore delle imprese;
   il Canada, inoltre, non ha ratificato diverse convenzioni dell'Oil, tra cui alcune delle convenzioni fondamentali (98): Convenzione sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva (138): Convenzione sull'età minima (CC). Il Canada non ha ratificato anche altre convenzioni, come quelle in materia di sicurezza e salute dei lavoratori (155). Si prevede, in particolare, che datori di lavoro, autorità e sindacati (Ces) delle due parti si incontrino, discutano i problemi di conformità degli standard dell'Oil, facciano una relazione e si incontrino di nuovo l'anno successivo nello stesso periodo. Questo meccanismo ad avviso degli interroganti molto morbido è inadeguato e non ha mai prodotto alcun effetto positivo concreto in ambito occupazionale –:
   dato il riconoscimento della natura mista del Ceta e la conseguente necessaria approvazione dei Parlamenti nazionali dell'Unione europea per la sua ratifica, se il Governo non ritenga un grave errore politico e una sostanziale violazione di elementari principi di democrazia procedere per l'attuazione provvisoria dell'accordo nonostante la contrarietà di larghe fasce di opinione pubblica italiana ed europea e le posizioni espresse da alcuni Parlamenti nazionali, specificando su quali basi il Governo abbia acconsentito ad apportare alcune modifiche all'accordo chiuso nel 2014 senza informare il Parlamento. (3-02602)


   BENAMATI, CAMANI, BARGERO, VICO, CANI, BECATTINI, MARTELLA, MONTRONI, IACONO, PELUFFO, IMPEGNO, SENALDI, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   da un'analisi della situazione del mercato energetico nazionale si può evincere il progredire della transizione verso un sistema energetico più efficiente, autonomo, a minor intensità di carbonio e minor costo per i cittadini e le imprese, anche se fra le altre cose permane una significativa dipendenza delle fonti estere ed alcune criticità nella gestione del sistema elettrico;
   il mercato elettrico nazionale, ad esempio, che si articola in «mercato del giorno prima», «mercato infragiornaliero» e «mercato per il servizio di dispacciamento», nel corso dei primi sei mesi del 2016 ha mostrato una criticità nella disciplina di gestione degli sbilanciamenti che ha portato ad avere, nel mercato elettrico, fenomeni opportunistici con ricadute su imprese e cittadini;
   la struttura del mercato elettrico per la determinazione dei prezzi di sbilanciamento, che possono non riflettere le effettive condizioni di disponibilità di offerta e domanda al momento del consumo, ha condotto a oneri di circa un miliardo di euro, dovuti alla differenza fra l'energia effettivamente consumata/generata e acquistata/venduta nel mercato;
   su questa materia è già intervenuta, fra l'altro, l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il servizio idrico integrato con la delibera 444/2016/REL del 28 luglio 2016;
   in parallelo, appare sempre più urgente e non oltre rinviabile, l'avvio di un corretto mercato della disponibilità di capacità produttiva (cosiddetta market capacity), con la conseguente determinazione della idonea capacità nelle diverse zone, per fornire gli adeguati servizi di flessibilità, garantire la sicurezza del sistema elettrico e la copertura dei fabbisogni, in maniera tale da assicurare la disponibilità di capacità produttiva necessaria, definita dal gestore della rete, in ordine alla copertura della domanda attesa in maniera efficace, flessibile ed economicamente vantaggiosa, sostituendo o integrando quanto già previsto dal decreto legislativo 19 dicembre 2003 n. 379;
   nel 2017, inoltre, alla luce dei primi anni di applicazione dell'accordo di Parigi è anche prevista la rivisitazione e l'aggiornamento della strategia energetica nazionale, con particolare attenzione, fra gli altri, ai temi delle energie rinnovabili, dei sistemi a grande consumo e dell'efficientemente del sistema energetico –:
   quale sia in generale l'orientamento del Governo relativamente alla rivisitazione della strategia energetica nazionale e, nello specifico, ai temi indicati in premessa, al fine di proseguire nell'azione di contenimento dei prezzi e, quindi, in un aumento della competitività per le imprese e del reddito delle famiglie. (3-02603)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   presso la Ferrosud, azienda attualmente in concordato fallimentare operante nel settore del materiale rotabile sono occupati circa 90 addetti a cui va aggiunto un indotto di un'altra quarantina di lavoratori;
   alcuni giorni fa presso la sede della prefettura di Matera le organizzazioni sindacali hanno sollecitato la convocazione di un tavolo istituzionale per affrontare il futuro dello stabilimento;
   l'attuale situazione costituisce un freno ad ogni prospettiva di natura industriale e inquieta i lavoratori per il futuro occupazionale;
   in una fase congiunturale in cui nel settore ferroviario e del materiale rotabile sono previsti una serie di investimenti anche di natura pubblica è del tutto evidente che occorre favorire le opportunità di rilancio anche per il sito materano considerata l'alta professionalità delle maestranze e il loro know how –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda convocare, per quanto di competenza, in sede ministeriale un tavolo istituzionale al fine di individuare prospettive di natura industriale per il suddetto impianto, con l'obiettivo di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (5-09901)


   ANTEZZA e VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dello stabilimento di Matera della Ferrosud, impianto che opera nel settore del materiale rotabile, nei giorni scorsi hanno manifestato, davanti la sede della prefettura, per sollecitare il Ministero dello sviluppo economico a convocare un tavolo tecnico per il rilancio del sito;
   attualmente l'azienda che conta un organico di circa 90 addetti diretti e una quarantina nell'indotto, è in fase di «concordato fallimentare» condizione che di fatto frena qualsiasi attività di rilancio delle attività anche attraverso la individuazione di nuovo soggetto imprenditoriale;
   per i sindacati è fondamentale risolvere l'attuale situazione di stallo, legata alla lavorazione di commesse in subappalto, per arrivare all'individuazione di un nuovo imprenditore che possa valorizzare sul mercato potenzialità e professionalità di Ferrosud;
   si tratta di un settore in evoluzione e che vede un certo dinamismo anche internazionale, fattore che potrebbe aprire prospettive anche per l'impianto di Matera –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di accogliere la richiesta avanzata dalle organizzazioni sindacali di convocare in tempi rapidi un tavolo in sede ministeriale per affrontare le prospettive future dell'impianto Ferrosud di Matera. (5-09902)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli imprenditori agricoli possono svolgere nell'ambito dell'attività agricola, altre attività connesse quali, ad esempio, la produzione di energia elettrica da fonti agroforestali e fotovoltaiche;
   il decreto legislativo n.79 del 1999, in particolare, stabilisce che «Fonti energetiche rinnovabili sono il sole, il vento, le risorse idriche (...)»;
   nonostante questa espressa definizione, l'energia prodotta dall'eolico è esclusa dalle agevolazioni fiscali previste dalla successiva normativa;
   infatti, la legge finanziaria 2006 (legge n. 266 del 2005), all'articolo 1, comma 423, prevede una tassazione agevolata solo per gli imprenditori agricoli che producano energia elettrica, solo ed esclusivamente da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, uniche considerate attività agricole ai sensi dell'articolo 2135 codice civile;
   la disposizione sopra ricordata concede una tassazione fortemente agevolata per quelle aziende agricole che conseguono redditi dalla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e fotovoltaiche, ma esclude quegli imprenditori agricoli che hanno realizzato impianti micro-eolici per la produzione di energia elettrica;
   questa ultima attività, infatti, è considerata commerciale e quindi soggetta a tassazione ordinaria, con, a parere dell'interrogante, una evidente e non accettabile discriminazione, non essendovi distinzione tra energia elettrica prodotta dal sole o dal vento, trattandosi entrambe di fonti rinnovabili ed inesauribili;
   come a riconfermare l'incomprensibile discriminazione sopra ricordata, l'Agenzia delle entrate, con la sua circolare 32/E del 6 luglio 2009, trattando gli aspetti fiscali relativi alla produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili, agroforestali e fotovoltaiche da parte di imprenditori, fa riferimento al fatto che il Ministero ha chiarito che «la produzione di energia fotovoltaica derivante dai primi 200 KW di potenza nominale complessiva si considera in ogni caso connessa all'attività agricola», e pertanto esclusa dalla tassazione;
   si può osservare che si parli solo di «fotovoltaico» ma non anche di eolico, come sarebbe più giusto, dato che l'energia prodotta dal vento è rinnovabile esattamente come quella dovuta al sole;
   questo sistema ha, tra l'altro, consentito il proliferare di pseudo aziende agricole che hanno investito nella realizzazione di impianti fotovoltaici, anche se da 5 megawatt, con tassazione zero sia ai 200 Kw e agevolata per la parte eccedente, con una evidente sperequazione nei confronti di coloro che producono energia tramite eolico;
   appare evidente all'interrogante le sarebbe necessario intervenire per eliminare dal testo della ricordata legge finanziaria per il 2006 il riferimento alle sole energie prodotte da fonti rinnovabili «agroforestali e fotovoltaiche», in modo da consentire anche a coloro che producono energia tramite eolico di beneficiare, come giusto, della tassazione agevolata prevista;
   si tratterebbe di una modifica a saldo zero per lo Stato, in quanto verrebbe esentata da tassazione solo la produzione sino a 200 Kw, mentre quella superiore verrebbe tassata nello stesso modo per coloro che producono questa quantità di energia tramite fotovoltaico e agroforestali –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per rimediare alla situazione sopra esposta e che, a parere dell'interrogante, rappresenta una grave ed ingiustificata discriminazione nei confronti di imprenditori agricoli che producono energia tramite una fonte rinnovabile come il vento. (4-14668)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Centemero e Brunetta n. 1-01357, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Murgia, Baldelli, Palese, Petrenga.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Scotto, Damiano, Fedi, Cimbro.

  La mozione Busto e altri n. 1-01396, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  La mozione Vezzali e altri n. 1-01412, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galati.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Paglia n. 7-01114, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pelillo, Petrini, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Pesco, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Villarosa, Ferraresi.

  La risoluzione in Commissione Fiano n. 7-01117, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  La risoluzione in Commissione Busto e altri n. 7-01129, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  La interrogazione a risposta in Commissione Pilozzi e altri n. 5-08745, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scuvera.

  La interrogazione a risposta scritta Scotto e Nicchi n. 4-14645, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giancarlo Giordano.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Tripiedi n. 7-00874, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 542 del 22 dicembre 2015.

   Le Commissioni X e XI,
   premesso che:
    STMicroelectronics, azienda che rappresenta un'eccellenza mondiale nel campo della microelettronica, partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze italiano e dal Fondo strategico francese, occupa circa 43.800 lavoratori in 35 paesi del mondo e circa 9.850 addetti in Italia. Di questi, quasi la metà sono impiegati nelle attività produttive concentrate nei siti di Agrate Brianza (MB) e Catania, mentre la restante parte è dedita ad attività di progettazione, ricerca e sviluppo nei siti di Agrate Brianza, Catania e Cornaredo (Milano), oltre quattro centri ad Aosta, Arzano (Napoli), Lecce e Palermo, che lavorano in stretto contatto con le università locali;
    in data 23 novembre 2015, si è riunito il coordinamento nazionale di STMicroelectronics, in cui erano presenti i Segretari nazionali dei sindacati FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici), FIOM (Federazione impiegati operai metallurgici), UILM (Unione italiana lavoratori metalmeccanici), insieme alle rappresentative sindacali unitarie di tutte le sedi italiane, per discutere della situazione dell'azienda, del contratto integrativo aziendale, delle sue scelte strategiche e del suo piano industriale. Nel corso dell'incontro è stato evidenziato come l'azienda continui a procrastinare nel tempo gli investimenti necessari a mantenere efficienti ed aggiornati gli stabilimenti produttivi ad Agrate Brianza e Catania, così come quelli necessari per garantire il necessario sviluppo tecnologico di prodotto (come dovrebbe accadere con il potenziamento dell'area M9 a Catania e con l'avvio della linea pilota a 12 per prodotti avanzati ad Agrate Brianza), dichiarando che questi investimenti verranno fatti quando serviranno e se le condizioni di mercato lo permetteranno. Nel frattempo, però, il sito di Catania vede ridimensionarsi la capacità produttiva a causa dell'avviata dismissione di un reparto che occupa circa 600 lavoratori, aggravando la situazione di un sito già provato dalla considerevole riduzione delle sue attività di ricerca e sviluppo tecnologico e da una progressiva diminuzione del numero degli occupati. Allo stesso modo, il ritardo nell'avvio della linea pilota di Agrate Brianza, mette a rischio la stessa possibilità che questa divenga utile a garantire il futuro tecnologico ed occupazionale del sito;
    nel DEF (documento di economia e finanza) relativo al 2015 e approvato dal Parlamento, si prevedeva la cessione della partecipazione di STMicroelectronics in capo al Ministero dell'economia e delle finanze, al Fondo strategico italiano. A detta delle sopraindicate organizzazioni sindacali, questo passaggio potrebbe rappresentare l'anticamera per la completa privatizzazione dell'azienda in oggetto, sancendo l'abbandono della microelettronica tra i settori strategici nazionali pur in presenza di iniziative ed azioni, a livello continentale, per il rilancio del settore della microelettronica, agendo così in controtendenza rispetto agli obiettivi europei per i quali più volte è stata ribadita la necessità di una strategia condivisa a livello continentale, con investimenti provenienti dalle istituzioni comunitarie, dando la meritata attenzione alla rilevanza della forza lavoro ivi impiegata, il cui patrimonio di conoscenze non può essere disperso;
    come riferito dalle organizzazioni sindacali sopraindicate, risulta che nel corso degli ultimi 10 anni si siano susseguiti piani industriali poveri di investimenti e caratterizzati da un'eccessiva attenzione per gli aspetti finanziari e da una scarsa attenzione, invece, per le scelte industriali e strategiche, con l'effetto di una costante riduzione degli investimenti per innovazione e ricerca, che hanno fatto scivolare STMicroelectronics dal terzo all'undicesimo posto della classifica mondiale delle aziende produttrici di semiconduttori. La politica aziendale, mirata solo all'incremento dei dividendi da distribuire e senza un'ottica di sviluppo a medio e lungo termine, ha portato ad una diminuzione della cifra di affari dal 2005 ad oggi di circa il 20 per cento con una riduzione dei profitti nonostante il favorevole contesto di un mercato in forte crescita. Tale politica aziendale ha portato il gruppo italo-francese a presentare, nel corso degli anni, piani segnati da importanti tagli di attività attraverso scorpori e vendite, con effetti negativi anche sull'occupazione. I dipendenti di STMicroelectronics hanno, inoltre, subito una rigida politica di austerità mentre, al contrario, sono aumentati i compensi dei manager e i dividendi degli azionisti, distribuiti in grande quantità anche nei periodi di maggiori difficoltà aziendali, con l'evidente conseguenza che la massiccia distribuzione dei dividendi ha ridotto al minimo le risorse disponibili per gli investimenti;
    i dati finanziari di STMicroelectronics del terzo trimestre 2015 rappresentano un quadro preoccupante dello stato di salute dell'azienda, evidenziando la profonda crisi dovuta alle strategie adottate negli ultimi anni. La crisi è, infatti, estesa anche a settori considerati sinora trainanti per la STMicroelectronics;
    ad aggravare il suddetto quadro e a destare ulteriori preoccupazioni, è l'attuale situazione della divisione E.P.S. (Embedded Processin Solutions), concentrata soprattutto in Francia, all'interno della quale una parte importante del gruppo D.P.G. (Digital Product Group) versa da diversi anni in uno stato di crisi. Il settore digitale risente della mancanza di commesse e i principali clienti sono drasticamente diminuiti. Si pone come esempio quello del cliente Nokia che in passato garantiva oltre 3,5 miliardi di euro di commesse alla STMicroelectronics e che oggi non riesce a garantire neanche lontanamente tale volume;
    destano inoltre particolare preoccupazione le dichiarazioni fatte a maggio 2015 dal management circa una possibile riorganizzazione dell'azienda basata su un pesante intervento nel settore digitale, che potrebbe avere effetti drammatici in territorio francese ma che, si teme, potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sulle attività e sull'occupazione in Italia. Un eventuale ed ulteriore intervento di contrazione delle attività per soddisfare i conti finanziari, avrebbe effetti fortemente dannosi per la forza tecnologica e la solidità dell'intera azienda. Risulterebbe più opportuno, al contrario, puntare sul rilancio, tramite investimenti adeguati, di un settore strategico per le economie nazionali dei due Paesi e per il possibile utilizzo del know-how esistente a favore di tutti i settori dell'azienda;
    a giudizio degli interroganti, le analisi delle ragioni delle numerose difficoltà dell'azienda sono riconducibili all'inadeguatezza delle scelte operate ed all'assenza di politiche industriali legate ad una visione di medio e lungo periodo che possono trovare rimedio solo tramite una visione di forte sviluppo industriale e tecnologico atta a consolidare e sviluppare la presenza e l'occupazione italiana nell'intero settore della microelettronica. Sarebbe necessario superare, secondo gli interroganti, la visione conservativa e prevalentemente finanziaria che guida l'azienda da alcuni anni, sostituendola con una coraggiosa visione che punti allo sviluppo di nuovi prodotti e sulla ricerca tecnologica;
    il Governo, ancora più per STMicroelectronics perché azionista dell'azienda tramite il Mef, dovrebbe considerare di iniziare dalla ricostruzione di una politica industriale che serva da guida e sostegno allo sviluppo dei settori tecnologici più avanzati come quello della microelettronica, ed alla ricostruzione di un tessuto industriale colpito dalle delocalizzazioni e dalla crisi;
    sarebbe opportuno perseguire una distribuzione dei dividendi correlata all'andamento di STMicroelectronics, superando definitivamente la politica legata al valore garantito a prescindere dai risultati e favorendo, nelle situazioni di difficoltà, l'utilizzo dei fondi finora destinati ai dividendi per attività di sostegno alle attività industriali e di ricerca,

impegnano il Governo:

   ad adoperarsi affinché si attivi, nel più breve tempo possibile, un tavolo di confronto presso il ministero dello sviluppo economico con le parti sociali;
   a promuovere un concreto cambiamento della gestione societaria di STMicroelectronics, al fine di assicurare una strategia di sviluppo a lungo termine in tutti i settori dell'azienda che ponga al centro delle priorità gli investimenti necessari per l'innovazione e l'indipendenza tecnologica e a definire con il Governo francese, di concerto con il sindacato europeo dell'industria e tutte le parti sociali coinvolte, una strategia comune per la salvaguardia occupazionale in tutti i Paesi ove è presente la stessa STMicroelectronics;
   ad assumere iniziative per confermare e rafforzare il controllo pubblico paritario tra i Governi di Italia e Francia al fine di raggiungere l'obiettivo di un reale sostegno strategico da parte di entrambi, proponendo al tempo stesso un'azione presso l'Unione europea a sostegno della microelettronica in Europa, volta a salvaguardare la società di cui in premessa e adoperandosi affinché la direzione aziendale predisponga tutte le iniziative necessarie all'utilizzo concreto dei fondi pubblici per ricerca ed innovazione tecnologica, inclusa la presentazione di progetti di innovazione e ricerca di entità e qualità adeguate;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per incentivare la ripresa del confronto riguardante la piattaforma di contratto integrativo, ponendo come priorità la necessità di condividere e rilanciare la strategia industriale;
   a valutare la possibilità di includere nel piano di interesse strategico nazionale, il settore della microelettronica.
(7-00874)
«Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Alberti, Pesco, Villarosa, Grillo, Carinelli, Manlio Di Stefano, Toninelli, Crippa, Da Villa, Vallascas».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Giancarlo Giordano n. 4-14655, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 699 del 26 ottobre 2016.

   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa, con tanto di foto originali, e diffusamente sui social network si apprende che in una scuola di Palermo è stato adottato per la V classe delle elementari primaria di secondo grado, il libro di testo «storia e geografia del mondo a colori, sussidiario delle discipline» pubblicato dalla casa editrice «Il Capitello-Elementari»;
   il volume nel trattare l'argomento della composizione dello Stato italiano cita testualmente: «Il potere legislativo spetta al Parlamento eletto dai cittadini, che propone, discute e approva le leggi. Il Parlamento è composto da due assemblee: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Poiché attualmente le due Camere hanno compiti pressoché uguali, è in corso una radicale riforma del Senato che affiderà a una sola Camera il potere di approvare le leggi». Così si legge nel testo edito da «Il Capitello-elementari» che dà, inoltre, per assodato che i componenti del Senato della Repubblica sono «indicati dalle Regioni in cui è suddiviso il territorio italiano»;
   come si deduce dalla lettura dell'estratto summenzionato si ha che prima dello svolgimento del referendum costituzionale, il cui esito appare del tutto non prevedibile e che è stato stabilito solo per il 4 dicembre 2016, un libro adottato in scuole della Repubblica indichi inopinatamente la natura del futuro Parlamento, addirittura precisando che «è in corso una radicale riforma del Senato» e che i senatori sono «indicati dalle Regioni in cui è suddiviso il territorio italiano», esattamente come sostiene la legge di riforma della Carta fondamentale promossa dal Governo Renzi e proposta dallo schieramento a sostegno del «SI»;
   inoltre, l'articolo 156 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (testo unico istruzione), stabilisce che «gli alunni delle scuole elementari, statali o abilitati a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, i libri di testo sono forniti gratuitamente dai Comuni, secondo modalità stabilite dalla legge regionale»; ancor più grave è quindi, ad avviso dell'interrogante, un contenuto non corretto a spese della fiscalità pubblica –:
   se risulti se e in quali scuole italiane il testo succitato in premessa sia stato adottato;
   se in altre scuole italiane, di ogni ordine e grado, vi siano in adozione testi similari che riportano quello che l'interrogante giudica un incontestabile arbitrio educativo, lesivo della correttezza dei programmi ministeriali, ponendosi di fatto come un improprio strumento di propaganda politico-elettoralistica, filo-governativo;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per salvaguardare la correttezza e l'obiettività del materiale di studio in uso e dell'informazione fornita agli studenti.
(4-14655)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Dambruoso n. 4-13841 del 19 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Melilla n. 4-14006 del 3 agosto 2016;
   interpellanza urgente Centemero n. 2-01489 del 4 ottobre 2016, ritirata il 28 ottobre 2016;
   interpellanza Centemero n. 2-01493 del 5 ottobre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-14578 del 21 ottobre 2016;
   interpellanza Cariello n. 2-01523 del 26 ottobre 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rizzetto n. 4-14600 del 21 ottobre 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09904.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente e altri n. 5-08615 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 621 del 10 maggio 2016. Alla pagina 37466, seconda colonna, alla riga seconda, sopprimere la parola: «buona».