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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 25 ottobre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo report della Commissione europea (direzione generale affari economici e finanziari) e dal Comitato di politica economica (CPE) «la spesa pubblica per l'assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine è andata aumentando nel corso degli ultimi decenni in tutti gli Stati membri». Nel 2015, esso rappresentava l'8,7 per cento del PIL nell'Unione europea e potrebbe arrivare fino al 12.6 per cento del PIL nel 2060; secondo la relazione congiunta sulla Salute e i Sistemi di assistenza a lungo termine e la sostenibilità fiscale il documento esplora «le principali sfide e le possibili soluzioni politiche per assicurare la sostenibilità fiscale dei sistemi sanitari nell'Unione europea in un contesto di invecchiamento delle popolazioni e tenendo conto delle costose innovazioni tecnologiche che faranno aumentare l'assistenza sanitaria e le spese di assistenza a lungo termina nel futuro»;
    secondo l'ultimo rapporto Eurostat del marzo 2016 l'Italia spende il 7,2 per cento del prodotto interno lordo per la salute. Un dato che ci colloca nella media europea. Al vertice la Danimarca (8,7 per cento), seguita da Finlandia (8,3 per cento), Francia (8,2 per cento), mentre all'ultimo posto per il peso dell'istruzione sulla spesa pubblica (7,9 per cento nel 2014 a fronte del 10,2 per cento medio dell'Unione europea) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4 per cento a fronte del 2,1 per cento medio dell'Unione europea). L'Italia paga soprattutto il peso preponderante della spesa per la protezione sociale (41,8 per cento a dispetto del 40,4 per cento dell'Unione europea) nonché della spesa per il funzionamento della pubblica amministrazione ove l'Italia spende l'8,9 per cento del prodotto interno lordo (a fronte del 6,7 per cento medio dell'Unione europea), e il 17,4 per cento della spesa pubblica a fronte del 13,9 per cento dell'Unione europea;
    per quanto riguarda la spesa pubblica per la sanità in Italia (esclusa la Long term care) essa dovrebbe crescere (nel Risk scenario) dell'1,2 per cento sul prodotto interno lordo al 2060, meno di quanto è stimata la crescita nell'Unione europea (+1,6 per cento sul prodotto interno lordo);
    la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2016 presenta una revisione al ribasso delle stime sull'andamento dell'economia italiana per l'anno in corso rispetto alle previsioni formulate nel documento di economia e finanza 2016, in considerazione del nuovo contesto internazionale meno favorevole, e, in relazione alle incertezze che caratterizzano lo scenario internazionale, anche le previsioni di crescita per il 2017 sono ridimensionate;
    per quanto riguarda il quadro macroeconomico programmatico per gli anni 2017 e successivi, la manovra di bilancio 2017-2019, come indicato nella nota, avrebbe un impatto positivo sulla crescita, sia pur nell'ambito di una valutazione che rimane prudenziale dato il pesante lascito della crisi degli ultimi anni, grazie anche alla politica fiscale che il Governo intende impostare per i prossimi anni;
    con specifico riguardo al settore sanitario, nel conto economico della pubblica amministrazione e legislazione vigente, relativamente alla spesa sanitaria, è indicata una cifra pari a 113,654 miliardi di euro per il 2016, con un aumento di 278 milioni rispetto a quanto indicato del DEF (secondo i decreti di riparto approvati tra Io Stato e la Conferenza per il 2014 erano stati 109,928, per il 2015 107,252 e per il 2016 108,472);
    nell'ambito degli interventi nel settore sanitario, la nota segnala l'intesa del 7 settembre 2016, raggiunta in Conferenza Stato-regioni, sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che prevede l'aggiornamento del decreto del 2001 riguardante i livelli essenziali di assistenza garantiti dal sistema sanitario nazionale (LEA), ricordando che allo scopo la legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 555) ha autorizzato una spesa di 800 milioni di euro annui a valere sulle risorse del fondo sanitario nazionale, il piano nazionale della cronicità, volto a rafforzare le reti assistenziali e ridurre i ricoveri ospedalieri, l'Intesa raggiunta sul patto per la sanità digitale;
    l’iter di aggiornamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai, livelli essenziali d'assistenza, atteso da ormai 15 anni e, quello del nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi, atteso da 19 anni (l'attuale elenco risale al 1999, per altro identico a quello originario del 1992) sono finalmente in dirittura di arrivo (il 6 settembre 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha dato il suo parere positivo), in quanto manca solo il parere delle Commissioni parlamentari competenti;
    le differenze regionali sono uno dei problemi maggiori del sistema sanitario nazionale e, secondo l'Ocse (rapporto divisione salute 2015) pubblicato a gennaio 2015, il sistema sanitario italiano è caratterizzato da un alto livello di frammentazione e mancanza di coordinamento dell'assistenza erogata dai diversi professionisti e da una bassa e disomogenea diffusione sul territorio nazionale; sempre secondo l'Ocse ci sono in Italia 21 sistemi sanitari regionali con differenze notevoli sia per quanto riguarda l'assistenza che gli esiti, con un elevato numero di pazienti che si spostano da regione a regione;
    le ultime indagini conoscitive condotte dalle Commissioni di Camera e Senato sulla sostenibilità del sistema sanitario hanno consegnato al Parlamento ed al Governo impegnative conclusioni: una su tutte attiene alla necessità di non diminuire il finanziamento al sistema sanitario, ma di reinvestire nel sistema i risparmi che si debbono realizzare attraverso un'oculata spending review;
    un capitolo decisivo per l'efficienza del servizio sanitario nazionale riguarda il personale. Come evidenzia la relazione approvata in data 10 giugno 2015 presso la 12a Commissione del Senato della Repubblica, «il personale costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale. Nel Servizio sanitario nazionale lavorano oltre 715 mila unità di personale, di cui 665 mila dipendenti a tempo indeterminato, 34 mila con rapporto di lavoro flessibile e 17 mila personale universitario, A questo si aggiunge il personale che opera nelle strutture private (accreditate e non) e, più in generale, nell'industria della salute, fra i quali i 222 mila occupati nella filiera del farmaco (produzione, indotto e distribuzione); la sanità è, quindi, un settore ad alta intensità di lavoro, in gran parte molto qualificato»;
    ragione delle criticità è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro: riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; blocco totale o parziale del turnover, in particolare in caso di disavanzo sanitario; blocco delle procedure contrattuali; blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; contenimento della spesa per il lavoro flessibile; riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici;
    un insieme di vincoli che, se hanno consentito sì una riduzione dei costi, nel contempo hanno anche prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione, un aumento dell'età media dei dipendenti [secondo l'ultimo conto annuale curato dalla ragioneria dello Stato l'età media del personale arriva a 49,7 (uomini 51,7 donne 48,7) superiore a quella del pubblico impiego (48 anni) e, destinata ancora a crescere, visto che nel 2019 si prospetta una età media pari a 55,6 anni)], un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing elusive della normativa sul blocco;
    per ovviare in parte a questo, la legge n. 208 del 2015 (stabilità 2016) aveva previsto disposizioni in materia di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario, nonché di procedure concorsuali riservate per l'assunzione di personale precario del comparto sanità;
    in particolare, si imponeva l'obbligo alle regioni a alle province autonome di dotarsi di un piano inerente al fabbisogno di personale tale da garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di orario di lavoro e, qualora sulla base del piano del fabbisogno del personale fossero emerse criticità, queste sarebbero state risolte attraverso procedure concorsuali straordinarie;
    inoltre, si prevedeva che vi fosse una riserva di posti nella misura massima del 50 per cento per il personale medico, tecnico-professionale ed infermieristico in servizio alla data di entrata in vigore della legge che alla data del bando avesse maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni con contratti a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di rapporto di lavoro flessibile;
    come già evidenziato nella mozione approvata n. 1-01323 a prima firma Lenzi del 25 luglio 2016 la spesa farmaceutica rappresenta percentualmente il 13,1 per cento delle risorse che lo Stato annualmente impegna per la sanità. A fronte di un settore così rilevante anche sul versante della tutela della salute, sono stati progressivamente introdotti strumenti di monitoraggio e di governance della spesa e di controllo sull'appropriatezza dell'uso dei farmaci;
    la mozione approvata impegnava il Governo anche «ad attivare al più presto la sperimentazione al fine di introdurre anche in Italia uno o più validi farmaci generici, e non solo un brand, per la cura dell'epatite C (HCV) in tutti i suoi stadi di gravità al fine di poter curare tutti i pazienti registrati presso il Servizio sanitario nazionale»;
    secondo l'ultimo consuntivo pubblicato dall'Aifa sulla spesa farmaceutica (territoriale, ed ospedaliera) relativa al 2015 si sono superati i 18 miliardi di euro di spesa, sforando il tetto programmato di 1,880 miliardi di euro (331 milioni quella territoriale e 1.549 milioni di euro quella ospedaliera), spesa che nel 2020 arriverà a 35 miliardi di euro, anche a causa della produzione di nuovi e costosi farmaci;
    il 5 maggio 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un documento sulla governance farmaceutica di cui al tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica dove specifica i principali determinanti dell'aumento della spesa farmaceutica: elevati prezzi di farmaci soprattutto nell'area oncologica, onco-ematologica e dei farmaci impiegati nelle malattie rare; schemi terapeutici che associano più farmaci ad alto costo con conseguente raddoppio della spesa (Combo therapy); invecchiamento della popolazione; incremento del numero dei pazienti in trattamento in linee terapeutiche successive alla prima; cronicizzazione dei pazienti in trattamento; fenomeni di non appropriatezza prescrittiva generati dal pressante marketing dell'industria farmaceutica; stabilità dei prezzi dei farmaci per una insufficiente concorrenzialità nel mercato farmaceutico; insufficienti manovre di disinvestimento (la riduzione dei prezzi dei farmaci a brevetto scaduto non è sufficiente a controbilanciare gli aumenti dovuti ai nuovi farmaci; allo stesso modo ai farmaci generici e ai biosimilari stante la normativa vigente non viene imposto uno sconto obbligatorio minimo);
    sempre secondo questo documento, la Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano propone l'introduzione di misure strutturali quali l'introduzione di una nuova procedura di prezzo/volume (P/V) per la quale il prezzo si riduce o si sconta in maniera progressiva in rapporto all'aumento dei pazienti trattati, delle estensioni delle indicazioni, delle terapie combinate e dell'incremento della durata della terapie; una nuova definizione di spesa farmaceutica ove la distinzione tra spesa territoriale e ospedaliera non si basa sui percorsi distributivi ma è in funzione delle diverse modalità di acquisto; la revisione dei registri tenuti da Aifa per i farmaci ad alto costo e di particolare impatto sanitario; nuovi criteri per l'attribuzione della innovatività al farmaco con i relativi vantaggi che ne derivano; la ridefinizione della cosiddette «liste di trasparenza» così come previste dall'articolo 7 dalla legge n. 405 del 2001; la sostituibilità automatica dei farmaci biosimilari con gli originatori; una maggiore concorrenza sul mercato farmaceutico come, del resto, avviene oggi per i dispositivi medici; la revisione della delibera del Cipe 3 del 2001 ed infine una maggiore attenzione ai farmaci CNN e a quelli inseriti negli elenchi della legge n. 648 del 1996;
    almeno 350.000 italiani soffrono di infezione cronica derivante da virus dell'epatite C (HCV) e che circa il 20 per cento di tutti i pazienti con infezione cronica HCV è affetto da cirrosi, o da estesa fibrosi del fegato, e per questa ragione i pazienti con cirrosi, e sue complicanze, hanno avuto accesso prioritario ai farmaci anti epatite C orali, limitati come quantità per mantenere la sostenibilità del servizio sanitario nazionale;
    fino a fine giugno 2016 sono stati trattati con farmaci orali 50.000 italiani con tassi di guarigione superiore al 90-95 per cento, ma restano 300.000 pazienti con uno sforzo economico notevole, visto che per i primi 50.000 si sono spesi quasi 1,7 miliardi di euro;
    secondo l'ultima relazione «Sullo stato di attuazione della legge concernente le norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza» (dati definitivi – anno 2013) (dati preliminari – anno 2014) presentata in base all'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, alle Camere dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin in data 27 ottobre 2015 (doc. XXXVII n. 3) si evince che per la prima volta, nel 2014, il numero di interruzioni volontarie della gravidanza (IVG) è inferiore a 100.000, infatti sono state notificate dalle regioni 97.535 Ivg con un decremento del 5,1 per cento rispetto al dato definitivo del 2013 (105.760 casi): più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia;
    al di là di questo risultato, il dato che più preoccupa è l'elevato tasso di medici obiettori in tutte le regioni. Risulta che in Italia il 70 per cento dei medici e degli infermieri siano obiettori di coscienza, ma ci sono regioni dove l'obiezione è ancora più alta. I picchi sono al Centro-sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80 per cento: in Molise (93,3 per cento), nella provincia autonoma di Bolzano (92,9 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento), in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Per il personale non medico i valori si impennano in Molise (89,9 per cento) e in Sicilia (85,2 per cento). Si tratta, sicuramente, di una vera e propria emergenza visto che la maggior parte dei medici non obiettori, quelli che nel rispetto della legge n. 194 del 1978 praticano l'Ivg nelle strutture pubbliche, nonostante il Ministro della salute affermi che la percentuale media del 70 per cento del personale medico obiettore non incide e non leda il diritto all'accesso all'Ivg né incide sui carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore;
    le evidenze scientifiche dimostrano che sistemi sanitari con all'interno «radicati» sistemi di cure primarie sono associati ad una migliore salute della popolazione e, a differenza di sistemi basati sull'assistenza specialistica, garantiscono una più equa distribuzione della salute nella popolazione a costi minori;
    gli investimenti in edilizia e attrezzature, in ambito sanitario, sono strettamente connessi con gli sviluppi del programma straordinario di investimenti, noto come «articolo 20» della legge n. 67 del 1988, e con le sue evoluzioni successive dovute a modifiche istituzionali e all'esperienza che si è consolidata nella gestione del programma. In questi anni si è consolidata la certezza che presupposto base per la buona riuscita del programma, e in genere di ogni investimento, specie in un ambito così complesso come quello sanitario, è una attenta e coerente programmazione sanitaria, nonché l'utilizzazione di idonei strumenti;
    il programma, oggi alla fine della «fase II» di attuazione prevede una dotazione complessiva delle risorse pari a 24 miliardi di euro, di cui 820 milioni ancora da ripartire e, secondo la tabella di monitoraggio degli accordi di programma a febbraio 2016 (riferito ai soli 15,285 miliardi della «fase II», sono stati ammessi a finanziamento ben 2.289 interventi e le risorse ammesse a finanziamento sul totale degli accordi sottoscritti sono pari al 97,63 per cento;
    per quanto attiene alla prossima legge di bilancio il Ministro della salute Lorenzin, rispondendo in Aula il 19 ottobre all'atto di sindacato ispettivo n. 3-02564 a prima firma Binetti ha evidenziato come dal 2013 ad oggi il Fondo sanitario nazionale ha avuto un incremento del 5,5 per cento attestandosi per il 2017 a 113 milioni di euro e che «questo risultato (...) è stato reso possibile grazie alle significative misure di efficientamento del sistema sanitario» come la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, i piani di rientro aziendali, le disposizioni concordate con l'Anac per la lotta alla corruzione in sanità che hanno consentito di recuperare risorse che, come previsto dal patto della salute, è stato possibile reinvestire nel sistema sanitario. Il Ministro ha riferito che nel disegno di legge di bilancio sono contenute ulteriori disposizioni che proseguono il cammino di efficientamento del servizio sanitario nazionale e dei singoli sistemi sanitari regionali, con l'obiettivo di ridurre ed eliminare gli sprechi e reinvestire le risorse nel sistema e nelle prestazioni sanitarie tornando anche a immettere risorse nel sistema «risorse fresche», risorse che tuttavia non vengono distribuite a pioggia, ma vengono, invece, vincolate e finalizzate al raggiungimento di obiettivi di salute cruciali. Viene, infatti, istituito un Fondo strutturale per i farmaci innovativi dell'ammontare di 500 milioni di euro per l'acquisto di medicinali finalizzati alla cura di patologie gravi o fino ad oggi incurabili, come ad esempio i farmaci anti epatite C; viene istituito per la prima volta in Europa un fondo per il finanziamento dei farmaci oncologici innovativi – anche questo fondo è strutturale – per il quale vengono stanziati, anche in questo caso, 500 milioni di euro, per dare e garantire l'accesso in ogni luogo del nostro territorio nazionale ai nuovi farmaci contro il cancro; viene istituito un fondo per l'acquisto dei vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini, grazie al quale potranno essere assicurate gratuitamente vaccinazioni contro malattie pericolose come la meningite, che, come è noto, causa ogni anno diversi decessi, soprattutto tra la popolazione più giovane, oppure l'introduzione di nuovi vaccini, come per esempio il papilloma virus per il maschio,

impegna il Governo:

1) al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sull'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, ad assumere iniziative affinché nel prossimo disegno di legge di bilancio siano confermate le risorse come quantificate nell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-regioni l'11 febbraio 2016 in relazione al riparto delle risorse per il finanziamento del servizio sanitario nazionale;
2) ad agire in modo da garantire il superamento delle differenze ingiustificate tra i diversi sistemi regionali e a procedere in modo da migliorare progressivamente i livelli di assistenza nelle aree del Paese in maggior difficoltà;
3) ad inserire, nel prossimo disegno di legge di bilancio, misure volte a dare un'adeguata soluzione al problema del precariato in sanità nonché disposizioni per prevedere la proroga del termine per il rinnovo dei contratti a tempo determinato del personale degli enti locali occupato nell'attività di erogazione dei servizi sociali in attuazione di quanto previsto nella legge di stabilità per il 2016 per rispettare la normativa europea sugli orari di lavoro;
4) a prevedere, nel prossimo disegno di legge di bilancio, adeguate risorse per il finanziamento dei farmaci innovativi in campo oncologico e, per quanto attiene alla cura dell'epatite C, a dare tempestiva attuazione a quanto previsto nella mozione citata in premessa;
5) a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione, e dando piena attuazione alla mozione n. 1-00074.
(1-01404) «Lenzi, Gelli, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Marazziti».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto dell'Ufficio statistico dell'Unione europea, Eurostat, in occasione della «Giornata mondiale contro la povertà», ha diffuso la notizia che l'Italia e la Grecia sono gli Stati europei dove il rischio povertà è maggiormente aumentato negli ultimi sette anni. Tra il 2008 e il 2015, nel nostro Paese, la percentuale delle persone a rischio povertà è salita dal 25,5 per cento al 28,7 per cento. Stesse conclusioni contenute nel rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale presentato nella medesima occasione del 17 ottobre 2016;
    i dati sulla povertà in Italia nel 2015, diffusi nel mese di luglio 2016 dall'Istat, riferiscono di 4 milioni e 600 mila individui che vivono in una condizione di povertà assoluta: la forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa. Questo dato è il peggiore dal 2005 ad oggi. Le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un'occupazione o è operaio e dalle nuove generazioni;
    l'ultima indagine sui bilanci delle famiglie, pubblicata dalla Banca d'Italia a dicembre 2015 (con dati riferiti al 2014) riporta di quanto i lunghi anni di crisi stiano incidendo sulla disponibilità economica delle famiglie, condizionandone anche la fiducia e la propensione al consumo. Considerando il dato oggettivo della concentrazione dei lavoratori immigrati nelle fasce poco qualificate, emerge un significativo divario tra stranieri e italiani nelle disponibilità economiche. Il reddito medio annuo è di circa 31 mila euro per una famiglia italiana e 18 mila per una straniera. Oltre a incidere negativamente sui percorsi di integrazione sociale, la povertà delle famiglie straniere determina – e giustifica a chi vuol creare sterili conflitti – una forte concentrazione di esse tra i maggiori beneficiari dei provvedimenti destinati alle famiglie meno abbienti, come il bonus degli 80 euro che riguarda i redditi medio-bassi (8 mila-24 mila euro annui) o il « bonus elettrico» e il « bonus gas» a sostegno delle famiglie in condizione di disagio economico. Pur con un impatto complessivamente basso sulla spesa pubblica, anche questa «concorrenza» delle famiglie straniere su questo tipo di provvedimenti alimenta malumori e «paure» nell'opinione pubblica;
    sono sempre più numerosi i cittadini non comunitari che ogni anno diventano italiani: da meno di 50 mila nel 2011 a quasi 159 mila nel 2015. Anche in base a questo dato, diversi studi hanno già dimostrato come la componente straniera oggi in Italia, costituita soprattutto da persone in età lavorativa, offra un apporto positivo e prezioso alle casse pubbliche. È noto l'apporto più che proporzionale dei lavoratori attivi di origine straniera al sistema previdenziale italiano. Anche per questo motivo, poiché negli ultimi anni sono aumentati i richiedenti la protezione internazionale, si dovrebbe agire per sveltire le procedure e accorciare i tempi di accoglimento o di diniego delle domande, così da mettere tali persone in condizione di accedere a tutte quelle opportunità possibili solo in una condizione regolare, come lavorare o avere un'abitazione;
    l'accoglienza dei profughi è preciso dovere costituzionale e rispetto del diritto internazionale: la Repubblica italiana con il terzo e quarto comma dell'articolo 10 della Costituzione, garantisce a tutti i cittadini stranieri, ai quali siano stati negati i diritti e le libertà democratiche nei loro Paesi, di poter esercitare tali diritti nel territorio dello Stato italiano, grazie al diritto di asilo. Mentre la definizione di status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione dell'Italia alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951; 
    i diritti umani, quindi, non sono negoziabili, ma da quando il tema dell'immigrazione è divenuto centrale nel dibattito politico e mediatico, per alcuni partiti, l'impatto della presenza degli stranieri sulle casse pubbliche, e in particolare sul sistema del welfare, è stato lo strumento per aumentare il proprio consenso, alimentando a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo in modo pericoloso e politicamente irresponsabile il conflitto sociale e la contrapposizione tra italiani autoctoni da una parte e italiani extra-Unione europea e migranti dall'altra e facendo leva sulle sofferenze di alcune classi sociali in difficoltà; 
    nel «Rapporto sull'economia dell'accoglienza» del 2015 del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, si legge che «... il costo medio giornaliero per migrante a cui far riferimento è pari a 30 euro oltre Iva. Pertanto i costi della gestione ordinaria dell'accoglienza si attestano nel range di 30-35 euro per gli adulti e di 45 euro per i minori accolti dai Comuni, costi nettamente inferiori a quelli sostenuti durante l'emergenza Nord Africa pari a 46 euro per gli adulti e ai 75 euro per i minori. Quindi in una situazione “ordinaria” come quella attuale, che ha avuto punte di emergenza assoluta quanto a persone sbarcate e accolte, i costi sono stati drasticamente ridotti rispetto all'emergenza del 2011». Si legge, inoltre, che «... il costo per la gestione dell'accoglienza viene in gran parte riversato sul territorio sotto forma di stipendi a operatori, affitti e consumi e, in ogni caso, rappresenta una piccolissima percentuale, quantificabile nello 0,14 per cento, della spesa pubblica nazionale complessiva»;
    le risorse destinate alle politiche finalizzate all'accoglienza e all'inclusione sociale dei cittadini stranieri comprendono gli interventi pubblici destinati a supportare la prima accoglienza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e le iniziative finalizzate a favorirne l'inserimento abitativo, scolastico, economico e sociale. Le principali fonti di finanziamento che supportano queste attività sono:
     i fondi gestiti dalla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
     il Fondo europeo per l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi (FEI) 2007-2013;
     i fondi che finanziano il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR);
     il Fondo europeo per l'asilo (FER) 2008-2013;
     le risorse messe a disposizione dal PON «Sicurezza Sud 2007-2013 per la promozione di progetti di inclusione sociale dei migranti»;
    a questi si aggiungono, per il periodo 2011-2012, gli stanziamenti predisposti per la cosiddetta «Emergenza Nord-Africa», dichiarata il 12 febbraio 2011 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in seguito alla ripresa (dopo circa due anni di sbarramento delle rotte del mare, conseguenza degli accordi italo-libici) degli arrivi di cittadini migranti provenienti dai Paesi coinvolti dalle cosiddette «primavere arabe». Se non venissero stanziati per i profughi, i fondi europei verrebbero a mancare, e verrebbero meno anche cospicue entrate per ampie categorie di imprese italiane;
    il disegno di legge di bilancio per il 2017, annunciato come una manovra «sociale», riserva alle politiche sociali sette miliardi in tre anni, di cui un miliardo e novecento milioni (lo 0,110 per cento del Prodotto interno lordo) già nel 2017 sono impegnati solo per l'intervento sulle pensioni (senza riuscire a impedire che una parte degli interessati rimarrà in condizioni di povertà, mentre altri beneficeranno di trattamenti assistenziali senza averne bisogno), mentre alle famiglie con figli sarà destinato l'importo irrisorio di seicento milioni di euro in tutto (lo 0,042 per cento del Prodotto interno lordo), da suddividere ulteriormente tra vari bonus, come voucher per pagare il nido, escludendo le disoccupate o le inoccupate che hanno smesso di cercare lavoro (quindi in prevalenza donne del Meridione) e che sono quelle che ne avrebbero altrettanto bisogno per essere supportate nella ricerca di un impiego, o risorse aggiuntive per chi ha figli fino a 3 anni, ignorando l'evidenza che più i figli crescono maggiori sono i costi da affrontare. Una sproporzione nella distribuzione delle risorse tra chi ha già smesso di lavorare e chi è in età da lavoro, sui giovani, sulle donne e sui capofamiglia;
    come affermato da Chiara Saraceno, sociologa della famiglia e da 30 anni studiosa della povertà, «Questo governo ha accentuato gli aspetti di frammentazione, individualistici, la separazione in categorie. E non ha realizzato una politica coerente. Esattamente quello che viene rimproverato al sistema di welfare italiano a livello internazionale»;
    eppure una soluzione che potrebbe contribuire a risolvere i conflitti sociali, ridurrebbe l'intensità della povertà e interverrebbe in modo equo e senza alcuna discriminazione sulle malconce economie familiari italiane c’è già e si chiama reddito minimo garantito. Tutti i Paesi dell'Europa, che dal 1992 chiede ai membri di introdurlo, tranne Italia e Grecia, hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa: i disoccupati che non trovano un nuovo impiego, ma anche chi non riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per stanziare, nel prossimo disegno di legge di bilancio, ulteriori risorse volte a sostenere l'economia e la ripresa economica di tutti i nuclei familiari residenti nel territorio italiano in difficoltà, senza introdurre elementi di discriminazione;
2) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno e di aiuto finanziario alle donne con o senza figli, alle donne disoccupate e ai giovani senza occupazione alla ricerca di un primo impiego;
3) a prevedere in tempi brevi, un'iniziativa normativa sul reddito minimo garantito, come richiesto dall'Unione europea, coerente con le forme già adottate dagli altri Paesi membri.
(1-01405) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la crescita in Italia è tornata positiva nel 2014, ha accelerato nel 2015 e si sta rafforzando nel 2016: le revisioni al rialzo recentemente operate dall'Istat sui dati annuali del prodotto interno lordo 2014 e 2015 hanno determinato a consuntivo un'evoluzione dell'economia italiana più positiva di quanto rilevato, non solo in termini di prodotto ma ancor più in termini di occupazione (588.000 occupati in più ad agosto 2016 rispetto a febbraio 2014);
    il ritmo della ripresa, tuttavia, è rallentato dalla durezza della doppia e profonda recessione che ha caratterizzato il periodo 2009-2013 e ulteriori ostacoli sono rappresentati dal peggioramento delle prospettive di crescita a livello internazionale, che rispetto alle attese risultano modeste, diseguali e caratterizzate da significativi rischi al ribasso;
    in particolare, l'Eurozona appare esposta al rischio di prolungata bassa crescita più di altre regioni nonostante le politiche monetarie non convenzionali e fortemente espansive messe in atto dalla Banca centrale europea, anche a causa del più avanzato invecchiamento demografico, del ridotto tasso di innovazione, dell'incertezza sulla governance dell'area, di persistenti squilibri macroeconomici, che si associano a tassi di interesse e d'inflazione su livelli storicamente assai contenuti e prossimi allo zero, tutti fattori che stanno rallentando il processo di recupero dei livelli di prodotto nazionale pre-crisi;
    è di tutta evidenza come, una fase negativa di tali dimensioni e durata abbia profondamente inciso su contesto sociale del Paese, aggravando la condizione delle fasce sociali già più deboli e delle aree territoriali economicamente meno dinamiche, che storicamente già scontavano un gap infrastrutturale e del tessuto produttivo;
    il Governo, fin dal suo insediamento, ha caratterizzato la sua azione con una strategia orientata al rilancio degli investimenti, pubblici e privati e, in modo particolare, al sostegno dei consumi interni, attraverso l'aumento del reddito disponibile delle famiglie e la riduzione della pressione fiscale, scesa dal 43,6 del 2013 al 42,1 del 2016 (al netto del bonus degli 80 euro), fattori chiave assieme all'ambizioso programma pluriennale di riforme strutturali, che sta contribuendo a migliorare la competitività del sistema;
    il Governo, in questi anni per far fronte alla crisi e per arginare il rischio povertà che riguarda circa un terzo della popolazione, e che, ad eccezione del 2014, negli ultimi anni ha registrato una costante crescita ha messo in campo una serie di provvedimenti volti al sostegno del reddito e dell'inclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia, alla condivisione delle responsabilità genitoriali, al contrasto della povertà estrema in particolare di quella infantile;
    in particolare, la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha previsto una serie di interventi per il contrasto alla povertà mediante l'istituzione di un fondo strutturale con una dotazione di 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 e l'adozione di uno o più provvedimenti di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta;
    inoltre, con il decreto interministeriale del 26 maggio 2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18 luglio 2016) il sostegno per l'inclusione attiva, sussidi economico che comprende una componente di servizi alla persona destinato ai nuclei familiari con figli minori o disabili, o donne in stato di gravidanza in situazione di difficoltà e già sperimentato nelle città più grandi del Paese, è stato completamente ridisegnato ed esteso a tutto il territorio nazionale. La misura, attiva dal 2 settembre 2016, è finanziata con 750 milioni di euro per l'anno in corso. Ed ancora, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha previsto il « bonus bebé» pari a 960 euro annuo per ogni figlio nato o adottate dal 1o gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 raddoppiato in caso di Isee sotto i 7.000 euro; la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con quattro o più figli, la carta famiglia volta all'accesso a beni e servizi a tariffe scontate; ha prorogato per il 2016 i voucher per la fruizione di servizi di baby sitting per la madre lavoratrice, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, ovvero, un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi; è stato costantemente finanziato il fondo per le non autosufficienze;
    parimenti, sul fronte occupazionale, l'azione del Governo si è caratterizzata attraverso una coraggiosa rivisitazione dei principali istituti lavoristici, affiancando ad una profonda revisione delle tipologie contrattuali, con l'eliminazione delle forme più precarizzanti, alla maggiore equità sociale tramite l'universalizzazione degli strumenti di sostegno al reddito per chi è disoccupato (ampliamento della base dei beneficiari della «Naspi», semplificazione dell'accesso alla «Discoll», assegno di disoccupazione involontaria (ASDI), una volta conclusa la «NASPI», per i soggetti più svantaggiati), al ridisegno delle politiche attive per il lavoro, attraverso l'istituzione dell'Agenzia nazionale, in coordinamento con i servizi per l'impiego operanti sul territorio, e la stipula dei patti di servizio personalizzato, un significativo impegno finanziario finalizzato al rilancio dell'occupazione stabile, attraverso la decontribuzione per le nuove assunzioni;
    il complesso delle misure portate avanti dal Governo per ridurre il divario sociale e per rilanciare l'economia del Paese è stato affrontato, in chiave anticiclica, pur nel rispetto dei vincoli di bilancio e dei parametri di stabilità europei e nonostante si sia dovuta affrontare, spesso senza il dovuto sostegno internazionale, la sfida dei flussi migratori dai teatri di guerra, sempre più virulenti, e dalle aree più arretrate del mondo;
    sotto la spinta determinante dell'Italia, anche memore del proprio passato migratorio, l'Europa ha accettato la dimensione duratura, e chiaramente sovra-nazionale, dei flussi migratori in atto, e la conseguente necessità di trovare una soluzione unitaria che, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa europea, consenta di dare una risposta adeguata all'arrivo sul suolo dei Paesi europei di un numero elevato di richiedenti protezione internazionale;
    tuttavia, nonostante la predisposizione della cosiddetta «Agenda Juncker», l'Europa non è riuscita fino ad oggi a gestire il fenomeno in maniera unitaria e solidale, in coerenza con il principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri (ai sensi dell'articolo 80 del Trattato di Lisbona), sotto la spinta «egoistica» dei Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), lasciando il nostro Paese e la Grecia a dover farsi carico del salvataggio e dell'accoglienza di flussi crescenti di migranti;
    un tale sforzo deve fare i conti con la mancanza di risultati concreti nell'attuazione delle strategie europee in tema di migrazione: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata dall'Esecutivo comunitario, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire; sono falliti i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti dall'impegno del 2015 da trasferire in due anni, è stato ricollocato appena il 3,5 per cento da Italia e Grecia) per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente alzano muri e sospendono l'accordo di libera circolazione di Schengen; è ancora non applicata la proposta italiana del Migration compact per la quale non sono state ancora impegnate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito;
    su tali temi strategici, alcuni primi segnali positivi emergono dal documento conclusivo della prima sessione di lavori del Consiglio europeo del 20-21 ottobre, segnali a cui dovranno corrispondere atti concreti;
    al 24 ottobre di quest'anno, il numero dei migranti sbarcati in Italia si è attestato a 153.450, contro i 139.712 del 2015 e i 152.100 del 2014, a dimostrazione della natura ormai strutturale del fenomeno migratorio negli ultimi anni, ma che in questi ultimi mesi e settimane ha visto una vera e propria impennata che rischia di mettere in difficoltà la macchina dell'accoglienza e che richiede una risposta solidale dell'intera Europa;
    come ricordato anche dal capo dipartimento delle libertà civili del Ministero dell'interno, in occasione della recente audizione al comitato Schengen, l'Unione europea impone un monitoraggio costante e ossessivo dei flussi di immigrazione, ma poi non rispetta i patti, poiché ad oggi solo 1.318 ricollocamenti sono stati fatti, poiché le richieste di disponibilità di posti avanzate dall'Italia non trovano risposta. La Spagna ne ha dati 13, la Germania che ne aveva promessi 500 al mese ne ha accolti 20;
    come evidenziato, sempre nella stessa audizione, non tutti i comuni si sono impegnati nell'accoglienza; infatti solo 2.600 su 8 mila hanno dato la loro disponibilità creando grande disomogeneità, con aggregazioni imponenti e l'esclusione di un numero importante di centri abitati. Anche l'ultimo rapporto Caritas pubblicato in occasione della Giornata internazionale contro la povertà ha evidenziato come «L'obiettivo di una redistribuzione più equa a livello nazionale non appare al momento implementabile, soprattutto in quelle regioni che non intendono in alcun modo accogliere nuovi migranti, pur avendo numeri molto al di sotto di quelli registrati in altre regioni». E l'attuale situazione, anche se migliore rispetto all'anno scorso, «è frutto anche della reticenza ad accogliere da parte di moltissimi comuni (circa il 75 per cento) che oggi sul proprio territorio non hanno nemmeno un centro»;
    dall'ultimo rapporto annuale 2015 del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati Sprar, si evince, infatti, come sia fondamentale il ruolo degli enti locali come protagonisti del sistema pubblico di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Sono 29.761 le persone accolte nello Sprar nel 2015. I progetti hanno messo a disposizione 21.613 posti di accoglienza con una rete di 376 enti locali titolari di progetto (339 comuni, 29 province e 8 unioni di comuni) per circa 800 comuni coinvolti nell'accoglienza. Oltre il 40 per cento delle presenze si è registrato nel Lazio (22,4 per cento del totale nazionale con 2.500 posti su Roma) e in Sicilia (20,1 per cento), seguite da Puglia (9,4 per cento) e Calabria (8,9 per cento). Il numero di minori stranieri non accompagnati accolti nei progetti dello Sprar sono stati 1.640 su una rete attiva di 977 posti. I progetti Sprar hanno erogato complessivamente 259.965 servizi. Tali servizi riguardano principalmente l'assistenza sanitaria (20,7 per cento), la formazione (16,6 per cento), le attività multiculturali (15 per cento), l'alloggio (14,9 per cento), l'istruzione/formazione (10,9 per cento) e l'inserimento scolastico dei minori (9,5 per cento). L'assistenza sanitaria rimane stabilmente la prima prestazione necessaria, ma il 2015 vede un peso più rilevante delle attività volte all'inserimento socio-lavorativo, mentre negli anni precedenti rivestivano maggiore peso i servizi riconducibili alle prime fasi di presa in carico dei beneficiari;
    la netta predominanza di strutture a carattere straordinario, rispetto al sistema ordinario dello Sprar, sta mettendo in difficoltà la tenuta complessiva del sistema e solo una tutela reale dei comuni aderenti allo Sprar con garanzie certe può incentivare le amministrazioni ad aderire;
    tuttavia, a fronte dell'immane sforzo che il nostro Paese affronta per la gestione del fenomeno migratorio, non può essere sottaciuto che la presenza e l'integrazione degli stranieri rappresenta allo stesso tempo anche un forte elemento di dinamicità ed opportunità di crescita economica;
    come dimostrato dal «Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione», predisposto dalla Fondazione Leone Moressa, con il patrocinio dell'Organizzazione internazionale per la migrazione e il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale, l'apporto economico al Paese del lavoro degli stranieri si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di euro di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto, mentre la spesa destinata agli immigrati è invece pari al 2 per cento della spesa pubblica italiana, ovvero 15 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) a proseguire nel rafforzamento degli strumenti di contrasto della povertà e del disagio sociale, a cominciare dal prossimo disegno di legge di bilancio, favorendo, per quanto di propria competenza, una rapida conclusione dell’iter parlamentare dell'esame del disegno di legge di delega che introduce il reddito minimo come misura nazionale fondata sull'inclusione attiva;
2) a valutare l'opportunità di predisporre interventi di incentivazione, anche finanziaria, nei confronti delle amministrazioni comunali che aderiscono al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati;
3) a valutare la possibilità di sperimentare, d'intesa con le amministrazioni comunali interessate, nuove forme di gestione dei servizi di accoglienza ed assistenza che vedano un maggiore coinvolgimento e la partecipazione più attiva dei migranti stessi;
4) a rafforzare il sistema degli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori coinvolti in crisi aziendali nei settori e nei territori maggiormente colpiti dalla crisi economica;
5) a potenziare, con adeguate risorse, gli interventi a favore delle politiche attive di ricollocamento e a favore dei centri per l'impiego, al fine di renderli sempre più efficaci nell'azione di sostegno ai disoccupati nella ricerca di occupazione.
(1-01406) «Carnevali, Binetti, Monchiero, Beni, Burtone, Chaouki, Gadda, Gelli, Giuseppe Guerini, Moretto, Patriarca, Gnecchi, Fiano, Cinzia Maria Fontana».


   La Camera,
   premesso che:
    il servizio sanitario nazionale, dalla sua integrazione ad oggi, fa registrare una crisi progressivamente sempre più grave. La sua formula è divenuta inadeguata a soddisfare le esigenze dei cittadini e inidonea a sostenere il confronto con la domanda collettiva; sempre più spesso i cittadini non vedono soddisfatto il dettato costituzionale previsto dall'articolo 32 che tutela il diritto alla salute come fondamentale per l'individuo e interesse per la collettività;
    i dati economici relativi all'incidenza della spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo sono in costante diminuzione, e ad oggi, rispetto al 2010, sono diminuiti di ulteriori 4 decimali, con un depauperamento consistente delle risorse finanziarie e umane;
    come si evince dal documento finale, approvato all'unanimità nel luglio 2015 dalla Commissione 12a igiene e sanità del Senato, nonostante le contenute dimensioni della spesa sanitaria (in rapporto al prodotto interno lordo e in valore assoluto), il servizio sanitario nazionale è stato sottoposto negli ultimi anni a notevoli restrizioni (finanziarie, di personale, tecnologiche e strutturali), soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro, che hanno contribuito a contenere la spesa ma che stanno producendo effetti preoccupanti sulla capacità di erogare i servizi e sul funzionamento stesso, contribuendo ad alimentare le importanti disomogeneità presenti fra le varie regioni e di conseguenza l'equità del sistema;
    più in generale, nel corso delle audizioni si è più volte osservato come i piani di rientro abbiano avuto una connotazione eccessivamente economicistica, mentre avrebbero dovuto incidere anche sul riordino dei servizi; il solo controllo dei fattori di spesa non sempre sortisce effetti positivi in ambito sanitario. Per questa ragione, è auspicabile una revisione della natura dei piani di rientro, attraverso un recupero della centralità, delle politiche sanitarie;
    le regioni – in particolar modo quelle del Mezzogiorno – costrette ad aumentare le aliquote per ripianare i deficit della sanità sono esposte ad un maggior rischio di deprimere ulteriormente la propria economia. Per favorire la sostenibilità del ssn è auspicabile quindi promuovere la capacità delle regioni di raggiungere obiettivi non solo strettamente finanziari, ma anche di riqualificazione dei servizi;
    lo stanziamento che il Governo si appresta a stabilire nel prossimo disegno di legge di bilancio è ancora una volta insufficiente a garantire, universalmente e uniformemente, le prestazioni essenziali di assistenza alle persone; eppure, il bisogno di sanità è progressivamente crescente, innanzitutto per effetto delle dinamiche demografiche, relative all'aumento della popolazione anziana;
    l'invecchiamento della popolazione, soprattutto l'invecchiamento in buona salute, è un'importante conquista sociale e non può continuare ad essere considerato, come dimostrano rigorosi studi internazionali, un drammatico fattore di crescita della spesa sanitaria e una grave minaccia per la sostenibilità del sistema;
    il servizio sanitario nazionale è caratterizzato da ritardi ed insufficienze. I tempi che intercorrono tra richieste di prestazioni e visite specialistiche o indagini strumentali, in molte regioni superano, in media, i 280 giorni arrivando, per le Rmn, anche oltre l'anno, a fronte della normativa che fissa rigorosi termini entro i quali svolgere gli esami, al massimo in trenta oppure sessanta giorni;
    il rapporto Censis del luglio 2014 ha evidenziato che il 75 per cento delle famiglie che sono ricorse a visite specialistiche o a esami diagnostici a pagamento lo hanno fatto per i tempi eccessivamente lunghi delle liste d'attesa. Il 31 per cento ha rinunciato almeno una volta a visite specialistiche, esami diagnostici o a cicli di riabilitazione, per motivi economici;
    oltre alle migliaia di cittadini che spendono più di un miliardo di euro presso il privato, le recenti ricerche dell'Istat e del Censis hanno altresì individuato, che quasi undici milioni di cittadini sono costretti a rinunciare ad accedere alle cure pubbliche, per la loro impossibilità assoluta di corrispondere al Ssn i relativi ticket previsti; i ticket sanitari sono regionalmente concepiti e diversamente monetizzati e stanno progressivamente causando l'allontanamento dalle strutture pubbliche da parte dei cittadini, tanto da far emergere un fenomeno a dir poco assurdo: i ticket aumentano laddove il sistema funziona peggio, come per esempio nelle regioni sottoposte al commissariamento della sanità;
    il sistema sanitario nazionale, determinatosi via via in diversi decenni di attività, necessita di una riscrittura, dal momento che presenta stridenti contraddizioni e produce valori discriminati di servizio; esiste una vera e propria distorsione, all'interno della struttura aziendalistica propria del servizio sanitario nazionale: otto regioni (Lazio, Campania, Sicilia, Piemonte, Puglia, Calabria, Abruzzo e Molise) titolari delle competenze programmatorie o organizzative, risultano essere in piano di rientro; di queste otto, cinque (Lazio, Campania, Calabria, Abruzzo e Molise) sono commissariate da oltre sei anni; altre tre regioni (Veneto, Liguria e Sardegna) hanno, da qualche tempo superato il piano di rientro al quale sono state sottoposte;
    occorrerebbe, dunque, provvedere ad interventi immediati tendenti a garantire una sanità di qualità, diffusa ed estesa capillarmente in tutte le regioni, attraverso l'individuazione di percorsi alternativi agli attuali commissariamenti che hanno prodotto peggioramenti sistemici e addirittura espropriato le sedi legislative regionali delle loro attribuzioni costituzionali, più volte stigmatizzate dalla Consulta;
    una situazione di precarietà – vissuta dalle regioni col bilancio sanitario più disastrato sotto il profilo del debito pregresso che, nel loro insieme, contano oltre 20 milioni di abitanti – che ha causato alle stesse un indebitamento trentennale finalizzato al ripianamento dello stesso, con conseguente pagamento di ratei annuali restitutori per milioni di euro che sottraggono ai bilanci regionali risorse importanti, in quanto tali non altrimenti destinabili altrove;
    la debolezza economico-finanziaria che caratterizza il sistema sanitario del nostro Paese, si accompagna all'inadeguatezza del sistema a produrre prestazioni e servizi in regime di efficienza, efficacia e appropria il blocco del turnover, per esempio, ha determinato la riduzione media del 33 per cento delle dotazioni organiche, al punto che diventa impossibile garantire i livelli di assistenza, in particolare per la carenza di personale medico e infermieristico;
    nel servizio sanitario nazionale lavorano oltre 715 mila unità di personale, di cui 665 mila dipendenti a tempo indeterminato, 34 mila con rapporto di lavoro flessibile e 17 mila che fanno parte del personale universitario. A questo si aggiunge il personale che opera nello strutture privato (accreditate e non) e, più in generale, nell'industria della salute, fra i quali i 222 mila occupati nella filiera del farmaco (produzione, indotto e distribuzione);
    la sanità è quindi un settore ad alta intensità di lavoro, in gran parte molto qualificato. Il personale costituisce peraltro oggi uno dei fattori di maggiore criticità del sistema sanitario nazionale; la ragione è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia, alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni, già richiamate, sottoposte a piano di rientro; tra i vincoli principali si annoverano: la riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; il blocco totale o parziale del turn over, in particolare in caso di disavanzo sanitario; il blocco delle procedure contrattuali; il blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); il blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; il contenimento della spesa per il lavoro flessibile, la riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici;
    un insieme di vincoli che hanno consentito una riduzione delle spese dal 2010 al 2013 di circa 1,5 miliardi di euro (e ulteriori 700 milioni di risparmio sono già previsti per i prossimi anni), ma hanno altresì prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione (aumento delle liste di attesa e limitazioni dell'offerta soprattutto nella componente socio-sanitaria), un aumento dell'età media dei dipendenti (il 36 per cento dei medici ha più di 55 anni e il 30 per cento degli infermieri ha più di 50 anni), un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale, nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing, elusive della normativa sul blocco;
    l'esperienza insegna che la prassi dell’outsourcing e del ricorso al lavoro flessibile, spesso necessario per garantire i servizi, si è rivelata per lo più illusoria quanto al contenimento della spesa e ha di fatto aumentato il precariato all'interno del sistema, anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione) e indebolito progressivamente la sanità pubblica, in ragione del crescente impiego di personale non strutturato, non appartenente al servizio, non destinatario di specifiche attività formative e non titolare di alcune importanti tutele (si pensi ad esempio alla tutela della maternità);
    in diverse, autorevoli sedi si è dibattuto circa la necessità di una revisione complessiva dei vincoli imposti al personale attraverso iniziative, anche legislative che favoriscano il ricambio generazionale (anche con forme di part time a fine carriera), preservino la dotazione di personale nei servizi strategici (servizi d'emergenza urgenza, terapia intensiva e subintensiva, centri trapianti, assistenza domiciliare e altro), limitino il blocco del turn over e più in generale evitino l'adozione di vincoli che producono effetti perversi, che riducono il personale dipendente ma aumentano il ricorso a personale precario e/o a servizi esterni molto spesso più costosi a parità di attività;
    è necessario dedicare specifica attenzione alla formazione di tutti gli operatori della sanità, dalla formazione universitaria all'aggiornamento del personale in servizio, in un'ottica sistemica o di medio-lungo periodo, evitando interventi frammentari e parziali, a partire dalla formazione specialistica del personale medico;
    anche le attività legate alla ricerca scientifica sono sostenute in maniera insufficiente: infatti, sono ulteriormente diminuite nel tempo, con un calo di 349 milioni solo nel 2014 e una diminuzione costante del 6 per cento, facendo dell'Italia uno dei Paesi che investe meno nella ricerca medica;
    anche il sistema universitario, tradizionalmente eccellente, risente dei continui tagli, operati anche sul posti di specializzazione;
    per quanto concerne la popolazione anziana, l'altissima frequenza di patologie neurodegenerative (Alzheimer, ictus esitati, vasculopatie) richiederebbe la presenza di centri di riabilitazione e cura adeguati e di un'assistenza domiciliare che è presente solo in pochissime regioni e non tutte le città; l'assistenza psichiatrica, a 38 anni dall'approvazione della legge n. 180 del 1978, meglio nota come legge Basaglia, è ancora fortemente carente, appunto che i centri diurni, pur essendo obbligatori, sono presenti solo sulla carta in almeno il 50 per cento del territorio nazionale;
    in ambito neuropsichiatrico, patologie di rilevanza come le ludopatie, in continua espansione fra tutte le generazioni, non trovano una risposta compiuta nell'offerta complessiva del sistema;
    sul tema delle malattie rare si registrano apprezzabili, anche se piccoli cambiamenti operati di recente: senza dubbio lodevole l'approvazione, nel mese di agosto 2016 della legge in materia di screening neonatali, che estende da 3 a 40 le patologie metaboliche ereditarie per le quali sarà svolta la ricerca nel sangue dei bimbi appena nati; nonostante ciò, le malattie rare faticano a trovare accoglienza nei Lea, anche e soprattutto in funzione della scarsa capacità di investimento sulla ricerca;
    l'organizzazione del sistema sanitario non ha ancora fornito risposte sufficienti in materia di hospice per malati terminali presenti solo a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con gravi ripercussioni sull'inderogabile diritto alle cure palliative dei pazienti e sulle famiglie. Inoltre, è inaccettabile che esistano gravi ritardi nei tempi di attesa per le prestazioni chemioterapiche e radioterapiche, per gli interventi di chirurgia oncologica e per ogni altra attività diagnostica e terapeutica essenziale per la tempestiva cura di patologie che mettano a rischio la vita;
    sul fronte dell'assistenza territoriale, la dotazione di posti letto nelle strutture residenziali per anziani non autosufficienti risulta inferiore al limite stabilito (10 posti letto ogni 1.000 anziani) nella maggior parte delle regioni in piano di rientro: ad esempio, l'Abruzzo è a 5,4, il Lazio a 4,3, la Puglia a 5, la Calabria a 4 con punte negative di 1,3 in Sicilia e di 0,6 in Molise. Al contrario, il Piemonte vanta oltre 24 posti letto per 1.000 anziani. Critica la quota di anziani assistiti in ADI (inferiori al limite in Campania con il 2,8 per cento, la Puglia con il 2,2 per cento, il Piemonte con il 2,4 per cento, la Calabria con il 3,2 per cento e la Sicilia con il 3,7 per cento) e nella dotazione di posti in strutture hospice (livelli insufficienti in Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia);
    in ordine alle carenze strutturali degli erogatori di prestazioni sanitarie, non può non registrarsi la fatiscenza di nosocomi, in diversi casi realizzati durante il ventennio fascista, che non consentono una ricettività dignitosa, né tantomeno l'attivazione di procedure tecnologiche avanzate come la telemedicina. Per questa ragione, nell'ambito dell'integrazione dell'offerta tra pubblico e privato convenzionato, occorrerebbe meglio pianificare gli investimenti di eccellenza, recuperando per le nuove strutture pubbliche, i fondi dello stralcio dell’ex articolo 20 della legge, n. 67 del 1988 e, laddove possibile, i finanziamenti comunitari,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per garantire un finanziamento adeguato alle più attuali esigenze di funzionamento del servizio sanitario nazionale, da rapportarsi, prioritariamente, al fabbisogno epidemiologico reale insoddisfatto, che andrà rilevato sui diversi territori, con investimenti adeguati sia in conto capitale che di esercizio;
2) a valorizzare il finanziamento, in attesa che vengano perfezionati i costi e i fabbisogni standard, in rapporto all'andamento del prodotto interno lordo, all'anzianità degli assistiti, eventualmente considerando anche gli immigrati dimoranti, e agli indici di deprivazione socio-economica che caratterizzano la popolazione da assistere;
3) a valutare modifiche radicali all'attuale sistema della salute verificando, in proposito, ipotesi alternative all'aziendalismo, che ha comunque prodotto danni irreparabili nelle regioni commissariate e ovunque performance non soddisfacenti, fatta eccezione per quelle assicurate dai 49 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – IRCCS, strutture di pregio del servizio sanitario nazionale;
4) ad assumere iniziative per individuare, all'interno dei provvedimenti finalizzati per all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, anche i livelli di assistenza sociale che andranno considerati insieme alle condizioni erogative cosiddette integrate, ai fini della determinazione del finanziamento relativo, nelle more della valorizzazione dei costi e fabbisogni standard di specie;
5) a predisporre, di concerto con le regioni, un piano straordinario di investimenti per l'ammodernamento dei presidi sanitari.
(1-01407) «Occhiuto, Russo, Gullo, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    nello scorso decennio, il servizio sanitario nazionale è stato oggetto di numerosi interventi volti al contenimento dei costi, che hanno comportato una progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri, le limitazioni al turnover del personale e il blocco della contrattazione collettiva;
    con riferimento a quest'ultimo aspetto, la Corte costituzionale, intervenuta a seguito di un'istanza sollevata dal Tribunale ordinario di Roma, con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015 ha stabilito l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime di sospensione della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico;
    in particolare, la Consulta pur ribadendo, in linea di principio, che l'emergenza economica può giustificare la «stasi» della contrattazione collettiva, ha ritenuto fondate le censure sul congelamento della parte economica delle procedure contrattuali e negoziali dei contratti pubblici, in relazione all'articolo 39, primo comma, della Costituzione;
    la Corte ha, infatti, rilevato come il carattere ormai sistematico della sospensione delle procedure contrattuali «sconfina in un bilanciamento irragionevole» tra libertà sindacale, tutelata dall'articolo 39 della Costituzione e indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi o da controlli contabili penetranti, ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e di controllo della spesa nell'ambito di una coerente programmazione finanziaria che rispetti l'articolo 81 dalla Costituzione;
    nonostante gli interventi di spending review e il fatto che la spesa sanitaria sia diminuita del nove per cento rispetto alla precedente rilevazione, il Sistema sanitario nazionale italiano si posiziona al terzo posto nel ranking mondiale dell'efficienza dei sistemi sanitari;
    la più recente normativa nazionale ed europea in materia di orario di riposo e di lavoro del personale sanitario dipendente, medici e non medici comporta notevoli criticità nella possibilità di erogare uguali a costanti servizi sanitari ai cittadini;
    la rete ospedaliera italiana si articola su circa seicentoquaranta strutture pubbliche e cinquecentoquaranta private accreditate, a la distribuzione percentuale in termini di quantità di posti letto è tale che solo poco più del trenta per cento delle strutture ospedaliere ha una capacità recettiva fino a centoventi posti letto, mentre le strutture rimanenti hanno un numero di posti letto compreso tra centoventi e quattrocento, al di fuori dei parametri che collimano generalmente con una maggiore efficienza e adeguato volume di attività, in situazioni non sempre giustificate da fattori socio sanitari o controbilanciate da una gestione dei percorsi all'interno di una funzionante rete assistenziale territoriale;
    in base ai dati disponibili l'Italia, con circa 3,6 medici ogni mille abitanti, si colloca apparentemente sopra la media dei Paesi dell'OSCE – pari a 3,2 medici ogni mille abitanti, ma risente poi, di fatto, di una distribuzione non uniforme tra le regioni e della disomogeneità derivante dalla diversità di strutture sanitarie cui conseguono differenti requisiti di dotazione del personale;
    l'Italia risulta, invece, al di sotto della media dei Paesi dell'OSCE sia per quanto riguarda il numero degli infermieri, 6,4 ogni mille abitanti contro 8,8, sia per quanto attiene al numero di posti letto in ospedale per acuti rispetto al quale la media italiana è pari a 3,4 per mille abitanti contro i 4,8 della media dei Paesi dell'OSCE;
    nel decennio tra il 2014 e il 2023 sono previste circa cinquantottomila cessazioni dei medici specialisti, alle quali vanno sommate le uscite dal servizio di oltre trentamila medici di medicina generale;
    al fine di una completa attuazione dell'articolo 32 della Costituzione l'assistenza sanitaria pubblica va preservata nella sua funzionalità, anche attraverso le necessarie dotazioni finanziarie e di personale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative per la rivalutazione, in relazione all'entrata in vigore della direttiva europea su orari di lavoro e turni di riposo, dei requisiti minimi di dotazione di personale medico e infermieristico per l'accreditamento delle strutture medico-chirurgiche pubbliche e private;
2) a procedere a una ricognizione accurata del numero dei medici ed infermieri attualmente in servizio sulla base del ricalcolo dei requisiti minimi di dotazione di personale effettuato dal Ministero della salute, affinché non siano ulteriormente penalizzati i presidi e le strutture che già presentano carenze croniche nell'organico di personale;
3) ad assumere iniziative per prevedere e disporre le dotazioni finanziarie necessarie all'assunzione di personale medico e/o infermieristico in quelle strutture che, soprattutto dopo l'entrata in vigore della direttiva europea, evidenziano carenze di organico che impongono una inevitabile riduzione dei servizi e l'allungamento delle liste di attesa;
4) ad assumere iniziative per definire una normativa nazionale che imponga senza deroghe alle regioni di ricercare l'incremento dall'efficienza ospedaliera e della appropriatezza nella rivalutazione degli ospedali in base a volumi, esiti delle procedure e estensione territoriale di pertinenza, al fine di accorpare ospedali e/o strutture poco efficienti e poco utili ai fini clinici e di servizio alla salute, promuovendo le strutture territoriali affinché siano in grado, dal punto di vista delle professionalità, delle tecnologie, della connessione con gli ospedali (organizzativa, informatica), di intercettare l'utenza che si rivolge impropriamente agli ospedali, ed in particolare ai presidi di pronto soccorso;
5) ad assumere iniziative volte a eliminare il blocco del turnover del personale sanitario e a riaprire la contrattazione collettiva nazionale, dando seguito alle sentenze giurisprudenziali in materia;
6) a promuovere una riforma dell'università, per i profili concernenti il settore sanitario, al fine di rendere disponibile un adeguato numero di medici specializzati e infermieri nei prossimi anni, anche con la promozione di ulteriori convenzioni obbligatorie tra università e ospedali sia per fa formazione che per l'ingresso anticipato nell'organico.
(1-01408) «Rampelli, La Russa, Giorgia Meloni, Petrenga, Taglialatela, Cirielli, Maietta, Nastri, Rizzetto, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che dal 2008 affligge gran parte dell'economia mondiale ha colpito in modo particolarmente duro la nostra Nazione che arranca in una lenta e debolissima ripresa;
    i dati sulla disoccupazione, ripuliti degli effetti «dopati» delle politiche una tantum di sostegno all'occupazione varate dal Governo, continuano ad essere drammatici, il prodotto interno lordo è lontano dalle ottimistiche previsioni dell'Esecutivo, mentre le grandi imprese puntano sempre più sulla delocalizzazione per tagliare i costi di produzione, determinando un ulteriore aumentò della disoccupazione;
    l'eccessiva tassazione che grava su famiglie e imprese, infatti, mentre spinge le seconde a produrre all'estero, impoverisce le prime, creando il pericoloso vortice di indebitamento eccessivo e disperazione che sta martoriando le fasce sociali più deboli;
    nel luglio 2016 ha lanciato l'allarme sul numero di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta, arrivato a quattro milioni e 598 mila persone, evidenziando che il peggioramento registrato nell'ultimo anno è dovuto principalmente all'aumento della condizione di povertà assoluta tra le famiglie con quattro componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5 per cento) e soprattutto delle coppie con due figli (da 5,9 a 8,6 per cento), e alla crescente diffusione del fenomeno anche nelle regioni settentrionali;
    su queste famiglie grava anche l'impossibilità di fruire di servizi pubblici essenziali quali gli asili nido e le scuole, la disponibilità di abitazioni a canone sociale, o l'assistenza sanitaria, a causa del fatto che nelle graduatorie sono sistematicamente superati da cittadini stranieri;
    il progressivo indebitamento di famiglie e imprese non è bilanciato da una maggiore disponibilità all'erogazione del credito da parte degli istituti bancari, i quali, anzi, nonostante le immissioni di liquidità a basso costo da parte della Banca centrale europea, applicano criteri sempre più restrittivi nell'accesso a mutui e prestiti;
    è notizia di questi giorni che secondo uno studio realizzato dalla Cgia sui contribuenti italiani fedeli al fisco grava una pressione fiscale «reale» che per l'anno in corso si attesta al 49 per cento, superiore di oltre sei punti a quella ufficiale e «del tutto ingiustificato rispetto alla qualità e alla quantità dei servizi pubblici erogati»;
    gli enti locali si trovano in crescente difficoltà, stretti tra gli onerosi trasferimenti in favore dell'amministrazione centrale dello Stato cui si trovano costretti ad adempiere e il tentativo di mantenere l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in favore dei propri cittadini vessati dalla perdurante crisi economica;
    in questo desolante quadro si inserisce la questione relativa all'accoglienza dei migranti, che grava pesantemente proprio sugli enti locali, lasciati soli ad affrontare le conseguenze economiche e sociali di una immigrazione incontrollata;
    in base ai dati riportati nel documento programmatico di bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze la spesa per affrontare l'emergenza immigrati nel 2015 è triplicata rispetto alla media 2011-2013, passando da 1,3 miliardi a 3,3 miliardi di euro, a fronte di contributi europei che si sono fermati a 120 milioni di euro, e per il 2016 si prevede che la spesa complessiva arriverà a circa quattro miliardi;
    di questa spesa la quota più significativa riguarda le strutture di accoglienza, che ne assorbono oltre la meta, con un aumento superiore al dieci per cento negli ultimi due anni, mentre resta stabile la spesa per i soccorsi in mare che si attesta su «appena» un quarto del totale, un miliardo di euro l'anno;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze la spesa pro capite nelle strutture di accoglienza è pari a 32,5 euro al giorno, i costi per i richiedenti asilo e rifugiati ammontano a 35 euro giornalieri, mentre i minori hanno un costo medio di 45 euro al giorno;
    se si moltiplicano queste somme per i numeri della cosiddetta accoglienza, nella quale il solo sistema di protezione per i rifugiati e richiedenti asilo copre più di ventiseimila persone, senza contare tutti gli altri ospitati nelle diverse strutture, e gli oltre diecimila minori non accompagnati, è facile comprendere la qualità e la quantità delle ripercussioni che si abbattono su settori come alloggi o scuole;
    in base ai dati diffusi dall'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati, nei primi nove mesi di quest'anno sono arrivati irregolarmente in Italia 131.702 nuovi migranti;
    il fallimento del piano di ricollocamento dei migranti, deliberato in sede europea ma che dall'inizio ha dimostrato tutti i suoi limiti con i numerosi Stati che si sono avvalsi della clausola cosiddetta opt out per non doverli accogliere, condanna l'Italia, e in particolar modo le sue articolazioni territoriali, a gestire quotidianamente centinaia di migliaia di persone e il conseguente rilevantissimo impatto economico e sociale;
    una gestione nazionale del fenomeno migratorio che sia responsabile non può prescindere, dalla tutela in primissimo luogo delle proprie comunità locali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per ridestinare parte delle risorse attualmente destinate alla gestione del fenomeno migratorio in favore degli enti locali;
2) a individuare un limite massimo e inderogabile di spesa complessiva da destinare all'accoglienza dei migranti irregolari che giungono sulle coste italiane;
3) ad assumere iniziative per prevedere la concessione di sgravi fiscali in favore dei soggetti residenti nei comuni che ospitano centri di accoglienza di qualunque natura per migranti;
4) a promuovere le modifiche normative necessarie affinché le cooperative e tutti gli enti gestori incaricati dell'accoglienza e dell'assistenza dei migranti soggiacciano ad un obbligo di dettagliata rendicontazione delle spese;
5) a promuovere la chiusura di tutti i centri di accoglienza che ospitano più di cinquanta persone;
6) ad assumere iniziative per prevedere la concessione di un bonus finanziario in favore dei comuni che promuovono interventi concreti di sostegno alle famiglie e di incentivo alla natalità, di assistenza alle persone con disabilità e agli anziani, e di lotta contro la povertà;
7) ad assumere le iniziative necessarie, per quanto di competenza, affinché l'effettiva residenza in un comune costituisca titolo preferenziale nell'accesso ai servizi pubblici sociali dallo stesso erogati;
8) adottare iniziative in sede europea per un aumento delle risorse stanziate in favore dell'Italia per la gestione del fenomeno migratorio;
9) ad assumere iniziative in ambito europeo per una gestione realmente condivisa dell'emergenza immigrazione al fine di ridurre l'impatto sull'Italia.
(1-01409) «Rampelli, Cirielli, Maietta, Petrenga, Taglialatela, Giorgia Meloni, La Russa, Nastri, Rizzetto, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la consultazione referendaria del prossimo 4 dicembre alla quale i cittadini italiani sono chiamati deciderà le sorti delle più alte e fondanti istituzioni della nostra Repubblica;
    nessun Paese può dirsi esente da fenomeni illeciti, brogli, violazioni, palesi o latenti, della disciplina inerente all'utilizzo ed agli obblighi dei mezzi di comunicazione che possono consumarsi nel corso dell'intero periodo che intercorre dall'avvio della propaganda elettorale fino alla fase conclusiva delle operazioni di voto e di scrutinio;
    i suddetti fenomeni, ove confinati all'occasionalità o all'esiguità, non intaccano l'essenza democratica di un Paese, ma non v’è dubbio che anche l'occasionalità e l'esiguità del fenomeno, considerate in una media al livello nazionale, sono in grado di alternare fortemente la libertà, lo svolgimento ed i risultati della competizione elettorale ove si presentino;
    nel nostro Paese i fenomeni di compressione della libertà di voto o connessi a brogli non sono da considerarsi occasionali né esigui, ove si guardi alle denunce, recenti e non, successive alle tornate elettorali; si è di fronte ad un evento determinante per la vita delle istituzioni e, pur consci del fatto che non sia in discussione la libertà dell'esercizio materiale del voto, si ritiene opportuno sollecitare l'attenzione dell'attività di monitoraggio elettorale svolta dalle organizzazioni internazionali per il tramite di osservatori;
    l'attività di monitoraggio elettorale costituisce una componente fondamentale della politica dell'Unione europea ed essa ha avuto e ha ad oggetto eventi elettorali di tutti i Paesi, a prescindere dal loro tasso di sviluppo democratico; si ricorda, a questo proposito, la presenza di osservatori nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna;
    preme segnalare, altresì, anche al fine di escludere eventuali strumentalizzazioni della richiesta che si avanza in questa sede, che con il decreto-legge n. 1 del 3 gennaio 2006, fu disposta espressamente l'ammissione della presenza ai seggi elettorali di osservatori dell'OSCE in occasione delle elezioni politiche del medesimo anno,

impegna il Governo

1) ad adottare tempestivamente le iniziative, anche normative, per avanzare all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) la richiesta di invio di osservatori elettorali in occasione della consultazione referendaria del prossimo 4 dicembre, al fine di assicurare la loro presenza presso gli uffici elettorali di sezione.
(1-01410) «Scagliusi, Cecconi, Del Grosso, Cozzolino, Di Battista, Dadone, Manlio Di Stefano, D'Ambrosio, Grande, Dieni, Sibilia, Nuti, Spadoni, Toninelli».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 59 del 2016 dispone il rimborso forfettario per i risparmiatori che avevano acquistato le obbligazioni di Banca popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti poste in procedura di risoluzione il 22 novembre 2015. In base a quanto stabilito dal normativa in vigore l'accesso al fondo di solidarietà previsto dallo Stato per finanziare i rimborsi sarà limitato ai soli risparmiatori in possesso di un patrimonio mobiliare inferiore a 100 mila euro o con un reddito lordo ai fini Irpef che nel 2015 sia stato inferiore a 35 mila euro;
    il valore complessivo del rimborso sarà pari all'80 per cento dell'importo investito in titoli obbligazionari entro e non oltre il 12 giugno 2014. C’è però un'ulteriore condizione: la posizione deve essere rimasta aperta fino alla data in cui le banche sono state poste in risoluzione. Il decreto-legge n. 59 del 2016 conferisce la possibilità agli obbligazionisti di ottenere un rimborso automatico parziale a seguito della procedura di risoluzione adottata per le banche Banca Popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife, Carichieti. In particolar modo, l'articolo 8, comma 1, lettera a), determina che tale possibilità riguardi solo «la persona fisica, l'imprenditore individuale, anche agricolo, e il coltivatore diretto, o il suo successore mortis causa, che ha acquistato gli strumenti finanziari subordinati, indicati nell'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 («Legge di stabilità per il 2016»), nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi»;
    in seguito a diverse segnalazioni pervenute il Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) sembrerebbe intendere rigettare le domande di rimborso forfettario di coloro che, a fronte di un «acquisto originario in contropartita diretta» con la banca in liquidazione, si trovino nella situazione di avere ceduto/intestato ad un parente o ad un familiare le obbligazioni subordinate attraverso un semplice trasferimento di proprietà tra vivi, senza corrispettivo in denaro, compromettendo così, per di più, la possibilità di ricorrere all'arbitrato, in quanto la presentazione dell'istanza di erogazione di indennizzo forfettario preclude la possibilità di esperire la procedura arbitrale, di cui, peraltro non si conoscono ancora i criteri, le condizioni e le modalità di attivazione. Esistono altresì situazioni grottesche come il caso della cessione tra ex coniugi o fratelli che escono dallo stato di famiglia o ancora delle cessioni dovute a seguito di pignoramento e tante altri casi simili;
    la limitazione descritta risulterebbe altresì in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare la disciplina vigente estendendo la procedura di cui agli articoli 8 e seguenti del decreto-legge n. 59 del 2016 anche ai detentori dei titoli descritti che non abbiano acquistato gli stessi direttamente dalle banche poste in risoluzione in data precedente al 22 novembre 2012.
(7-01130) «Villarosa, Ferraresi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 ha istituito il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta» attraverso uno stanziamento di 38 milioni di euro per il 2016 e di 75 milioni di euro dal 2017;
   si dispone, altresì, che l'individuazione dei criteri di assunzione, le modalità, nonché i procedimenti di nomina e di funzionamento delle commissioni di valutazione avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni competenti;
   l'articolo 4 del testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che è consultabile sul Corriere della Sera on line del 12 ottobre 2016, prevede che i presidenti delle commissioni nazionali per la valutazione dei candidati alla procedura di reclutamento vengano nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tra studiosi di elevatissima qualificazione scientifica, che ricoprono posizioni di vertice presso università internazionali;
   in tal modo il Presidente del Consiglio ad avviso degli interpellanti, deciderà da solo gli esperti che dovranno individuare 500 professori da mettere in cattedra saltando concorsi e graduatorie;
   l'assegnazione del numero delle cattedre ad ogni settore ERC (European research Council) non si basa su criteri oggettivi, quale, per esempio, la «numerosità» dell'attuale organico corrispondente ai settori concorsuali associati ad ogni settore;
   il «non utilizzo» di tale criterio implica il chiaro convincimento da parte del Presidente del Consiglio che «il merito» sia concentrato solo su taluni settori, anziché essere uniformemente e statisticamente distribuito. Inoltre, tale procedura è in netto contrasto con altre iniziative del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in cui le risorse sono state distribuite utilizzando il suddetto criterio di «numerosità»;
   ad oggi sono oltre 2.500 i firmatari di un appello a Renzi per chiedergli di ripensare alle «cattedre Natta», cioè a quei 500 nuovi posti per «super-prof» da scegliere con un percorso parallelo all'abilitazione scientifica nazionale, prevista dalla legge n. 240 del 2010, e con uno stipendio maggiorato;
   il Ministro interpellato, rispondendo al question time del 19 ottobre 2016 proprio sul meccanismo di selezione e di assegnazione dei presidenti di commissioni, ha parlato di «principio trasparente» e di «massima chiarezza e condivisione internazionale», mentre, a proposito del metodo attraverso il quale le commissioni verranno costituite, ha dichiarato che tutto quello che è oggetto del provvedimento che ad oggi è in esame presso il Consiglio di Stato e che quindi per rispetto istituzionale, il Ministero, e neanche il Governo, possono e debbono commentare, sarà oggetto di dibattito parlamentare dal momento in cui il Consiglio di Stato darà il suo parere –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per ripensare i criteri di assegnazione e di nomina previsti dalla bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di salvaguardare terzietà nella scelta dei candidati e assicurare allo stesso tempo una maggiore autonomia del sistema universitario.
(2-01520) «Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2016, in ambito Unesco, è stata votata una risoluzione che, con riferimento ai luoghi considerati patrimonio dell'umanità situati a Gerusalemme e quindi da sottoporre a tutela speciale, menzionava soltanto il «nobile santuario», espressione che identifica tradizionalmente la Moschea Al Aqsa, escludendo invece il «Monte del Tempio» sacro agli ebrei;
   nella circostanza, votavano a favore della risoluzione 24 Paesi, mentre 6 si opponevano e altri 26 si astenevano, consentendo l'approvazione del testo nella formulazione proposta;
   il nostro Paese si annoverava tra gli astenuti, non è chiaro se dietro specifiche istruzioni del Governo o meno, contribuendo di fatto a far approvare la risoluzione;
   la scelta fatta all'Unesco, che di fatto misconosce il carattere di luogo sacro attribuito dagli israeliti al Monte del Tempio, ha una forte valenza politica, potendo aprire la strada ad altre iniziative pregiudizievoli degli interessi nazionali israeliani a Gerusalemme e più in generale;
   in ragione dei motivi suesposti, la decisione di astenersi è stata apertamente criticata dal Presidente del Consiglio;
   di contro, il Ministro interrogato ha difeso con forza l'astensione del nostro rappresentante permanente in una intervista pubblicata il 22 ottobre 2016 dal Corriere della Sera, nella quale se ne sottolineava la conformità alla prassi diplomatica e si rivendicava addirittura come un successo l'esito dell'operazione;
   parrebbe doversi concludere che il capo della diplomazia del nostro Paese considera un successo qualsiasi operazione allinei l'Italia allo schieramento vincente e nella questione specifica avrebbe una posizione diversa da quella del Presidente del Consiglio;
   sussistono quindi dubbi sull'effettiva paternità della scelta compiuta all'Unesco e sulla sua aderenza alle posizioni effettive del nostro Paese –:
   sulla base di quale processo decisionale il Governo abbia scelto di astenersi nella votazione all'Unesco relativa alla risoluzione che non ha menzionato il «Monte del Tempio» tra i siti patrimonio dell'Umanità a Gerusalemme;
   se tale scelta rifletta degli orientamenti condivisi in seno al Governo;
   quali iniziative di competenza intenda assumere in sede Unesco affinché la decisione possa essere riconsiderata.
(5-09867)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CURRÒ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 novembre 2011 un evento alluvionale di straordinaria potenza si è abbattuto sul territorio del comune di Saponara in provincia di Messina; detto avvenimento ha causato la morte di tre cittadini, nonché la necessaria evacuazione di 285 nuclei familiari per un totale di circa 700 persone, con danni al territorio per decine di milioni di euro;
   in data 25 novembre 2011 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha, con proprio decreto, dichiarato Io stato di emergenza in relazione alle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi il 22 novembre 2011 nel territorio di Messina, sino al 31 dicembre 2012. Successivamente con ordinanza n. 11 del 25 giugno 2012 il capo dipartimento della protezione civile, ha disposto la nomina del presidente della regione siciliana a commissario delegato per il superamento dell'emergenza derivante dagli eventi alluvionali, assegnando il termine di 45 giorni per una fase di prima emergenza rivolta a scongiurare le situazioni a rischio e ad assicurare la sistemazione delle famiglie coinvolte nell'alluvione e prevedendo la complessiva somma di 48.000.000 di euro (su vari capitoli di spesa) per far fronte all'emergenza;
   in data 9 marzo 2013 con ordinanza n. 71, il capo del dipartimento della protezione civile, regolamentava il subentro della regione siciliana nel superamento delle criticità che hanno interessato i territori della provincia di Messina negli eventi alluvionali, prevedendo, al comma 5 dell'articolo 1, una rendicontazione semestrale dello stato di attuazione degli interventi già approvati e, con ordinanza n. 245 del 29 aprile 2015 lo stesso, prorogava la contabilità speciale n. 5706 fino al 10 luglio 2016;
   il comune di Saponara, ha inoltrato presso l'ufficio del commissario delegato, nei termini previsti, le richieste di contributo per porre in sicurezza il territorio, presentando i progetti per il ripristino ed il risanamento dei luoghi alluvionati, nonché la rifusione dei danni patiti dai privati e le spese anticipate dallo stesso comune; per ultimo è stata presentata la richiesta del 2 marzo 2015 concernente un contributo straordinario pari ad euro 150.000,00. L'intero «piano degli interventi», approvato con disposizione del commissario delegato n. 2 del 23 agosto 2012, ammonta a 48.116.197,04 di euro per gli interventi strutturali e di 5.570.000,00 di euro per i danni subiti dai cittadini nonché dalle attività produttive e commerciali –:
   se le rendicontazioni di cui al citato comma 5 dell'articolo 1 dell'ordinanza n. 71 del 2013 risultino trasmesse al dipartimento della protezione civile nazionale;
   se risultino progetti esecutivi realizzati o appaltati per la messa in sicurezza del territorio del comune di Saponara. (4-14625)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dai giornali con un certo stupore che l'Unesco ha ufficialmente adottato una risoluzione su Gerusalemme est, col fine di «tutelare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   sostenuta dall'Autorità palestinese e presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, tale documento nega il legame millenario degli ebrei con la Città vecchia dove sorge il Muro del pianto, il luogo più sacro agli ebrei di tutto il mondo e, tra l'altro, nel testo presentato, i luoghi santi della Città Vecchia sono indicati solo con il nome arabo;
   la risoluzione è stata approvata da 24 Paesi e respinta da 6 (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda), mentre 26 Paesi, tra cui l'Italia, si sono astenuti e i rappresentanti di 2 nazioni non erano presenti al momento del voto;
   forti le parole di indignazione di Netanyahu, secondo cui dire che «Israele non ha connessioni con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto è come dire che la Cina non ha legami con la Grande Muraglia o l'Egitto con le piramidi»;
   di fatto, questa risoluzione nega ogni legame tra la storia ebraica e quei luoghi, un legame affermato da qualunque fonte storica e archeologica;
   da quando Israele ha ripreso Gerusalemme Est e la Città Vecchia nel 1967, l'autorità religiosa sul Monte del Tempio è stata esercitata dal dipartimento per gli affari religiosi giordano, il Waqf, e ciò è avvenuto sotto occupazione giordana, per rispettare i luoghi santi musulmani della Città Vecchia: da allora, Israele ha assicurato l'accesso al Monte del Tempio a tutti i cittadini musulmani e ha salvaguardato l'integrità della Città Vecchia, migliorandola;
   il documento rischia pericolosamente di negare, l'antico legame del popolo ebraico con Gerusalemme, senza considerare che Israele è l'unico Paese del Medio Oriente dove la libertà religiosa è rispettata e promossa nei confronti di tutte le fedi. Lo dimostra, per quanto riguarda anche la Cristianità, la particolare importanza riconosciuta dalle autorità israeliane allo Status Quo, che disciplina l'utilizzo dei luoghi più sacri per la cristianità. Emanato dalla Sublime Porta nel 1852, esso regola i diritti di proprietà e di accesso delle comunità cristiane all'interno di tre santuari di Terrasanta, il Santo Sepolcro e la Tomba di Maria a Gerusalemme e la Basilica della Natività a Betlemme. Appare perciò scorretto e falso biasimare Israele per restrizioni nell'accesso a siti di fondamentale rilevanza per le religioni abramitiche o per qualsiasi altra confessione: restrizioni sono avvenute unicamente per garantire la sicurezza di abitanti e visitatori;
   peraltro la risoluzione dell'Unesco dimentica l'ondata di attacchi indiscriminati contro civili israeliani che continua sino ad oggi, iniziata nell'ottobre 2015 sul Monte del Tempio, e la fragilità di una situazione che richiede controlli e sorveglianza;
   è gravissimo poi che la risoluzione, che interviene su uno dei punti centrali del conflitto tra israeliani e palestinesi, sia stata approvata con il voto di astensione dell'Italia;
   il Governo sicuramente saprà che l'Unesco, non è nuova a queste prodezze: nel 1974 approvò una risoluzione che toglieva i finanziamenti a Israele considerato uno «Stato razzista»; l'anno seguente l'Assemblea dell'Onu completò l'opera, condannando il sionismo come una forma di razzismo, salvo poi rivedere quella risoluzione molti anni dopo, in seguito agli accordi di Oslo;
   allora, contro la decisione dell'Unesco, si sollevò la protesta del Ministro per i beni culturali pro tempore, mentre adesso il rappresentante italiano si rifugia nell'astensione, il che significa dichiararsi incapace di esprimere un giudizio su quanto affermato nella risoluzione;
   ciò che rende ancora più grave e inaccettabile il voto del rappresentante italiano, che appare fortemente contraddittorio con la linea dell'Italia tesa ad affermare le radici giudaico cristiane della civiltà europea, è che importanti Paesi europei hanno espresso voto contrario alla risoluzione –:
   quali siano le motivazioni del voto di astensione espresso dal rappresentante del nostro Paese sulla grave risoluzione dell'Unesco che, a giudizio dell'interrogante, nega lo storico rapporto ebraico con Gerusalemme, omette deliberatamente la protezione e la libertà di culto e di accesso che Israele garantisce ai luoghi santi nella Città Vecchia di Gerusalemme e deforma la realtà, accusando Israele di danneggiare l'integrità della Città Vecchia e, per di più, allontana da sviluppi di pace e dialogo tra israeliani e palestinesi. (4-14628)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il sottosegretario della difesa Domenico Rossi è stato soggetto di un articolato e puntuale servizio della trasmissione le Jene dove l'esponente del Governo viene ripetutamente ripreso mentre compie delle acrobatiche peripezie per raggiungere un auto di servizio a pochi metri dalla propria abitazione;
   il regista immortala i passi felpati, ammortizzati dall'effetto slow motion, mentre l'esponente del Governo, generale dell'esercito, esce di casa, percorre 50 metri, scavalca la fermata del filobus, avanza altri 50 metri e poi sale sull'auto blu (grigia) che lo aspetta nascosta dentro un distributore di benzina;
   il Sottosegretario sale in macchina accertandosi che nessuno lo veda;
   attraversa Roma di qua e di là con auto e autista, sino al Ministero;
   questo si ripete per giorni secondo le riprese della nota trasmissione televisiva;
   le Jene lo seguono, ora dopo ora. E lui sempre lo stesso rituale: cento metri a piedi, distributore e poi auto blu;
   quando le Jene si decidono ad intervenire commenta positivamente la decisione del Presidente del Consiglio che esortava i sottosegretari a non usare auto blu;
   salvo poi essere clamorosamente irriso dal giornalista che gli mostra a qualche metro l'auto di servizio a cento metri da casa che lo attende nascosta nel distributore solito;
   il sottosegretario tenta quella che appare all'interrogante una ridicola e improbabile giustificazione;
   la scena, ad avviso dell'interrogante, oltre che patetica, risulta grave sul piano dell'onorabilità del ruolo ricoperto sia di esponente di Governo che di generale dell'Esercito;
   aver cercato di nascondere l'evidenza, aver utilizzato quelli che l'interrogante giudica maldestri quanto indecorosi stratagemmi per occultare o nascondere l'uso l'auto di servizio impongono provvedimenti esemplari –:
   se non ritenga opportuno suggerire o favorire la naturale conseguenza di questi fatti che in qualsiasi altro Paese avrebbero portato alle spontanee dimissioni dell'esponente del Governo;
   se non ritenga di far conoscere il tipo di uso fatto di quell'autovettura, per quanto tempo e se lo stesso sia stato autorizzato e da chi. (4-14630)


   CASTELLI e SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Iren è interessata all'acquisizione del ramo ambiente di Unieco, nonostante il business principale di tale asset siano le discariche, ovvero una gestione ormai superata dei rifiuti e ultima opzione per le politiche europee, e nonostante le recenti indagini giudiziarie che coinvolgono partecipate di Unieco;
   questa fusione significherebbe investire in un business ormai vecchio e con rischi enormi a fronte di pochi anni residui di ricavi, visto che si tratta di discariche prossime al «fine vita»: una delle proprietà di Unieco è, ad esempio, la discarica di Barricalla in Piemonte, prossima alla chiusura, e lo stato di diversi impianti riconducibili a Unieco Ambiente presentano notevoli criticità operative ed incognite sull'eventuale rientro finanziario degli investimenti;
   la stessa Unieco spa è risultata essere ditta costruttrice e general contractor dell'inceneritore del Gerbido (Torino) di proprietà di TRM spa partecipata di Iren s.p.a. e del comune di Torino. Questo impianto costruito da Unieco, come si deduce dall'ordinanza del comune di Torino del 18 ottobre 2016 n. 27443/2016 che ha disposto di diminuire il carico dell'impianto per qualche giorno per nuovi sforamenti, sin dalla sua inaugurazione a maggio 2013 è già stato teatro di più incidenti dovuti al suo malfunzionamento e non ha mai funzionato a pieno regime;
   IREN multility quotata alla borsa italiana, opera in diversi settori tra cui quello dei servizi ambientali (raccolta e smaltimento dei rifiuti) e dei servizi per le pubbliche amministrazioni;
   la multiutility registrerebbe utili in costante calo: negli ultimi tempi IREN ha investito in inceneritori acquistando la maggioranza di TRM (l'inceneritore di Torino), e acquistando ATENA, multiutility di Vercelli e questo « shopping » avrebbe aumentato l'indebitamento finanziario netto che è passato dai 2.169 milioni di euro del 31 dicembre 2015 ai 2.554 milioni di euro del primo semestre 2016 peggiorando il rapporto IFN/EBITDA e se a questa cifra si sommano le posizioni indicate a bilancio al 31 dicembre 2015 come crediti finanziari (OLT, comune di Torino e Iren rinnovabili) allora l'indebitamento finanziario netto supererebbe la cifra allarmante di 3.000 milioni di euro;
   i rilevanti fatti giudiziari in corso dovrebbero consigliare prudenza nell'acquisizione di asset da Unieco: la procura di Firenze ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di turbativa d'asta sul servizio di smaltimento di rifiuti, un appalto da 140 milioni di euro, affidato dall'Ato Toscana Sud al raggruppamento di imprese pubbliche e private Sei Toscana, il cui socio principale è Sta (Società toscana ambiente), una holding di imprese cooperative fra cui spiccano il colosso reggiano Unieco e le toscane Cooplat e Castelnuovese;
   ad opinione degli interroganti il settore ambiente di Iren dovrebbe fare un salto di qualità e innovazione dal punto di vista industriale puntando sul riciclo di materia con nuovo tecnologie sempre più avanzate, e abbandonare le ipotesi di acquisizione di discariche che sono antitetiche alle gerarchie d'intervento sostenibili fissate dall'Unione europea e vanno nella direzione opposta a quella auspicata e necessaria per la difesa dell'ambiente e della salute dei cittadini;
   secondo gli interroganti sono numerose le criticità delle maxi fusioni: perdita di controllo da parte dei territori; investimenti a svantaggio dei cittadini; maggiori difficoltà ad ottenere trasparenza; facilità a far perdere le tracce delle conseguenze e dei responsabili di tutte le scelte gestionali e strategiche messe in atto negli ultimi anni e, non ultimo, la non diminuzione delle tariffe;
   ad opinione degli interroganti l'acquisizione di un ramo d'azienda di Unieco da parte di Iren spa potrebbe contrastare anche con l'interesse del socio pubblico di Iren spa, il comune di Torino, che in virtù del malfunzionamento dell'inceneritore del Gerbido, costruito da Unieco e delle tecnologie scelte da Unieco come general contractor, potrebbe aprire un contenzioso con questa società;
   appare necessario fare chiarezza sull'opportunità di una tale operazione sia relativamente ai problemi giudiziari delle partecipate di Unieco di cui sopra, sia dal punto di vista industriale, in merito ai rischi di cui in premessa e ad una corretta e oculata gestione di Iren nel pubblico interesse –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda assumere le iniziative di competenza, anche normative, per orientare le scelte di politica generale sulla materia nella direzione del superamento della creazione di grandi società, convogliando le risorse economiche sugli enti locali. (4-14632)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BUENO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), all'articolo 1, commi da 621 a 623, ha previsto alcuni interventi mirati ad incrementare la tariffa dei diritti consolari e ha disposto alcune autorizzazioni di spesa per le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari;
   da tempo si sente l'esigenza, manifestata da più parti, di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari possa confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo da poter essere reinvestite nelle stesse. Pertanto, in molte occasioni, si è cercato, con specifiche proposte emendative, di creare un fondo speciale presso le rappresentanze diplomatiche e consolari al quale destinare le risorse derivanti dai diritti consolari riscossi, purtroppo senza esito positivo;
   tali fondi potrebbero finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti;
   il comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 ha parzialmente recepito l'obiettivo degli emendamenti presentati negli ultimi anni dall'interrogante, destinando due milioni di euro per l'anno 2016 alle rappresentanze diplomatiche ed agli uffici consolari per specifiche tipologie d'intervento;
   in particolare, il comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 ha disposto che i due milioni di euro dovessero essere stanziati per la manutenzione degli immobili, per le attività di istituto, su iniziativa della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare interessati, e per l'assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;
   vista l'importanza di questo stanziamento che rappresenta un primo passo nella direzione da tempo auspicata, si spera che venga confermato da ulteriori interventi normativi –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire dettagli sull'attuazione del comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, chiarendo quali siano stati i criteri di ripartizione e, di conseguenza, i destinatari dei fondi stanziati per il 2016 tra le varie rappresentanze diplomatiche.
(3-02580)


   PALAZZOTTO, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2016 è stata approvata dal comitato esecutivo dell'Unesco, con l'astensione dell'Italia, una risoluzione incentrata sulle restrizioni imposte dallo Stato di Israele sulla Spianata delle moschee e sulla città vecchia di Gerusalemme;
   le restrizioni imposte al libero accesso alla moschea – formalmente gestita dalla Giordania, ma di fatto gestita da Israele – e nella città vecchia di Gerusalemme rappresentano il simbolo dei soprusi che il popolo palestinese subisce dalle autorità israeliane;
   le ulteriori restrizioni decise da Israele a ottobre del 2015, così come i danneggiamenti provocati ai siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'Unesco e il moltiplicarsi degli insediamenti illegali dei coloni in Cisgiordania e Gerusalemme Est, non fanno altro che aumentare la tensione e sono alla base della nuova ondata di violenze esplose in Israele e nei Territori occupati palestinesi nell'ultimo periodo;
   in data 20 ottobre 2016, mentre si trovava a Bruxelles per il Consiglio europeo, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, rilasciava una intervista a Rtl in cui dichiarava in merito: «È una vicenda allucinante, ho chiesto al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di vederci subito al mio ritorno a Roma. È incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele e se c’è da rompere su questo l'unità europea, che si rompa pure»;
   ad opinione degli interroganti ad essere «allucinanti, incomprensibili e inaccettabili» sono le parole del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale critica la risoluzione dell'Unesco e minaccia finanche l'unità europea, ma non trova mai le parole per criticare le continue violazioni dei diritti umani da parte del Governo di Israele nei confronti del popolo palestinese;
   le parole del Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbero contraddire la posizione storicamente espressa dal nostro Paese in tutti i consessi internazionali, quindi non è chiaro se il nostro Paese sia ancora equidistante tra le parti;
   mentre si moltiplicano gli insediamenti illegali di Israele è quanto mai necessario riconoscere formalmente lo Stato di Palestina, anche alla luce della mozione n. 1-00745 approvata il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati –:
   se non intenda il Ministro interrogato chiarire la posizione italiana in merito alla questione palestinese e al conflitto arabo-israeliano, specificando come intenda dare attuazione alle mozioni approvate in Parlamento il 27 febbraio 2015, che impegnano il Governo a promuovere il riconoscimento dello Stato di Palestina come impulso alla ripresa dei negoziati di pace.
(3-02581)


   PARISI, SOTTANELLI e RABINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2016 l'Unesco ha inserito nell'elenco degli atti da discutere una risoluzione, presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan e sostenuta dall'Autorità palestinese, finalizzata a «tutelare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   la presentazione dell'atto ha da subito sollevato vivaci polemiche nel contesto internazionale poiché nei fatti nega il legame simbolico tra l'ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, individuando un legame pressoché esclusivo tra il patrimonio culturale di Gerusalemme Est e l'Islam, tanto da indicare i luoghi santi della Città Vecchia con la sola denominazione araba;
   il 13 ottobre 2016, dopo uno slittamento di alcuni mesi dovuto alle tensioni in Medio Oriente e Turchia, il consiglio esecutivo dell'Unesco ha approvato la risoluzione con il voto favorevole di 26 Paesi a fronte di sei voti contrari e ventisei astensioni. Tra i 26 rappresentanti che hanno espresso voto favorevole risulta esserci un solo Paese europeo, la Russia. Usa, Gran Bretagna, Germania, Estonia, Lituania e Paesi Bassi hanno respinto l'atto, mentre tra i componenti del consiglio esecutivo astenutisi c’è anche la rappresentante italiana Vincenza Lomonaco;
   il 18 ottobre 2016, senza necessità di una seconda votazione, la risoluzione è stata definitivamente adottata dall'Unesco. A seguito della decisione il capo del consiglio esecutivo Michael Worbs, rappresentante della Germania, e la direttrice generale dell'agenzia Irina Bokova hanno manifestato perplessità e per i tempi della discussione e per i contenuti dell'atto;
   anche in passato l'Unesco ha approvato risoluzioni che nella sostanza disconoscevano il legame tra Gerusalemme e l'ebraismo, causando tensioni e fratture all'interno del consesso e nelle relazioni internazionali;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha preso le distanze dalla decisione assunta dal consiglio esecutivo dell'Unesco –:
   cosa intenda fare il Governo presso l'Unesco perché sia riconsiderata la decisione assunta. (3-02582)


   FIANO, QUARTAPELLE PROCOPIO, CARROZZA, CASSANO, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PINNA, PORTA, RIGONI, ANDREA ROMANO, SERENI, SPERANZA, TACCONI, TIDEI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2016 il consiglio esecutivo dell'Unesco ha approvato a maggioranza il rinnovo di una risoluzione che mira «alla salvaguardia del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   tale documento fa anche riferimento ai luoghi sacri sulla collina della Città Vecchia di Gerusalemme senza alcun cenno ai loro legami con la religione ebraica, utilizzando esclusivamente i loro nomi islamici. Ad esempio, il «Muro del Pianto» o «Muro Occidentale», venerato dagli ebrei, è stato descritto con il nome arabo del piazzale circostante, «Al-Buraq», e solo successivamente con l'appellativo «Western Wall». Anche il riferimento al «Monte del Tempio» ebraico è effettuato solo con il termine arabo «Haram Al Sharif»;
   la risoluzione, sostenuta dall'Autorità palestinese e presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, è stata approvata con 24 voti favorevoli, 6 contrari e 26 astenuti, tra cui l'Italia, in continuità con i precedenti pronunciamenti;
   su tale orientamento si sono pronunciati il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato, evidenziando la necessità di segnare una netta discontinuità di giudizio con quanto espresso nella risoluzione Unesco, in linea con le radici del contesto storico e coerentemente con la storica amicizia con lo Stato di Israele;
   la complessa e delicata ricerca di una pace possibile, secondo la nota formula di «due popoli, due Stati», non può certo prescindere dal riconoscimento della specificità dello Stato di Israele, l'unica democrazia dell'area, e della sua millenaria tradizione e cultura –:
   quale sia stata la linea politica finora seguita dall'Italia e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di favorire un confronto, anche in sede Unesco, rispettoso di tutti i popoli, le culture e le tradizioni religiose che vedono in Gerusalemme le loro radici, i loro luoghi di culto e di identità e della verità storica, utile alla futura approvazione di una nuova risoluzione fedele a questi principi. (3-02583)


   SPADONI, FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, RIZZO, DI BATTISTA, BASILIO, SCAGLIUSI, CORDA, GRANDE, PAOLO BERNINI, SIBILIA, TOFALO e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta della trasmissione de Le Iene, andata in onda il 23 ottobre 2016, sulla provenienza delle armi impiegate dall'Arabia Saudita per bombardare lo Yemen, smentisce palesemente le dichiarazioni del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, secondo cui le bombe non sarebbero italiane e che transiterebbero solamente su richiesta della Germania;
   tuttavia, sempre da quanto si apprende nel corso della citata trasmissione, in risposta a un'interrogazione parlamentare al Bundestag, il Governo federale tedesco ha affermato di non aver avanzato al Governo italiano alcuna richiesta di autorizzazione al transito verso l'Arabia Saudita di bombe prodotte dalla Rwm Italia;
   le immagini trasmesse evidenziano senza alcun dubbio che i numeri di matricola e codice delle bombe inesplose sono di provenienza italiana (peraltro anche inspiegabilmente identici); inoltre, si evince chiaramente che i caccia sauditi transitano come voli di stato inglesi, nonostante sia presente anche la sigla dell'aviazione militare di Ryad;
   ad oggi non sono stati ancora forniti i dati necessari per sapere quante e quali armi usate dall'Arabia Saudita nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (che hanno causato oltre 10.000 morti, 30.000 feriti e oltre tre milioni di sfollati interni) siano state prodotte nei due stabilimenti Rwm di Domus Novas e Vicenza;
   il Parlamento europeo ha adottato il 25 febbraio 2016 una risoluzione sullo Yemen, che richiama la necessità di porre fine alla guerra in corso nel pieno rispetto della legge internazionale umanitaria, e un emendamento (votato da 359 voti favorevoli e 212 contrari), che esorta gli Stati dell'Unione europea a sospendere immediatamente tutti i trasferimenti di armi o altre forme di sostegno militare all'Arabia Saudita;
   molte organizzazioni umanitarie e alcune agenzie dell'Onu hanno accusato l'Arabia Saudita di crimini di guerra perpetrati anche con bombe italiane;
   il titolare dell'autorizzazione all'esportazione degli armamenti, in base a quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, è il Ministro interrogato e, a parere degli interroganti, proprio nello spirito del dettato di questa legge, l'Italia non dovrebbe consentire il transito e l'esportazione di armamenti verso l'Arabia Saudita, adeguandosi, in tal modo, anche alla citata risoluzione del Parlamento europeo –:
   se il Governo abbia o meno autorizzato il transito e l'esportazione di armamenti dall'Italia verso l'Arabia Saudita, Paese in evidente stato di conflitto armato.
(3-02584)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web della fondazione Clinton, denominata dal 2013 «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» tra i donatori di somme di denaro che si aggirano tra i 100.000 e i 250.000 dollari, fino al giugno 2016 figurano sovvenzioni governative italiane, da parte del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare (Italian Ministry For The Environment, Land, & Sea) –:
   se corrisponda al vero e, in caso affermativo, per quali motivi il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare abbia finanziato la «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation»;
   quale sia, in caso affermativo, l'importo esatto con cui stata finanziata la fondazione e da quale capitolo di bilancio siano stati presi i fondi;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia finanziato la «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» anche in passato e, in caso affermativo, quale sia la cifra totale con cui negli anni sia stata finanziata la fondazione;
   di quali elementi disponga il Governo circa i progetti finanziati dalla fondazione con le donazioni dell'Italia, considerato che si tratta di una fondazione estera, intitolata e gestita da una famiglia estremamente coinvolta nella vita politica degli Stati Uniti. (4-14623)


   ZOLEZZI, VIGNAROLI, TERZONI, DAGA, BUSTO, MICILLO, DE ROSA e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) con il Conai prevede la realizzazione di una banca dati avente come scopo la raccolta sistematica delle informazioni relative alla raccolta differenziata sull'intero territorio nazionale;
   ad oggi però i dati non sono fruibili e resi pubblici ma visibili solo attraverso un report annuale di dati aggregati che non danno chiarezza sui dettagli del funzionamento della raccolta differenziata, «e soprattutto non rendono conto delle incongruenze di una situazione su cui l'Antitrust di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che il finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della raccolta differenziata non supera il 20 per cento del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico. Con la conseguenza che a rimetterci sono le casse pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi»; così come appare su un articolo de Il Fatto Quotidiano dell'8 ottobre 2016;
   lo stesso articolo continua specificando che il sistema Conai recepisce la direttiva europea in materia rifiuti atta a «soddisfare il principio del “chi inquina paga”, tale che per ogni tonnellata di imballaggi immessa sul mercato i produttori di imballaggi versano un contributo (cac, contributo ambiente Conai) al Conai, che poi distribuisce ai vari consorzi di filiera le quote spettanti. Il sistema Conai, che tra le sue entrate può contare anche sui ricavi ottenuti con la vendita dei materiali conferiti dai comuni, riconosce a questi un corrispettivo a tonnellata che dovrebbe compensare gli extra costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi rispetto a quella dei rifiuti generici. Ad oggi però il Conai non ha ancora espresso il documento atto a stabilire i metodi di calcolo per gli extra costi sostenuti dai comuni per ogni tipologia di tonnellata di materiale raccolto;
   il calcolo del corrispettivo dovuto ai comuni si ottiene tramite una trattativa che viene effettuata ogni 5 anni. L'ultimo accordo di programma quadro Anci – Conai risale ad aprile 2014 con scadenza nel 2019. Risulta agli interroganti alquanto contraddittorio constatare che i dati della raccolta differenziata siano detenuti da una società privata Ancitel Energia & Ambiente, gestita a spese del Conai, e affidata in modo diretto da Anci senza alcun bando di gara;
   ad oggi nella società Ancitel Energia e Ambiente spa solo il 10 per cento rappresenta la quota in mano ai comuni, attraverso Ancitel spa, mentre il restante 90 per cento in mano ai privati;
   appare pertanto chiaro agli interroganti il rischio di conflitto di interessi che emerge in maniera forte ed evidente attraverso le segnalazioni dell’antitrust che fanno ipotizzare percentuali dei costi sovracomunali, derivate dalla raccolta differenziata, ben più alti rispetto a quelli riconosciuti attualmente ai comuni e calcolate secondo un accordo quadro poco chiaro tra ANci e Conai che contempla l'uso dei dati che Ancitel Energia e Ambiente spa rilascia annualmente sulla raccolta differenziata –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, non intendano assumere iniziative volte a rendere noti i dati completi e non solo aggregati inerenti alle attività di raccolta differenziata di tutto il territorio nazionale;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario assumere le iniziative di competenza, anche normative, per rivedere il metodo di calcolo per gli extra costi sostenuti dai comuni inerenti alla raccolta differenziata;
   se in virtù di quanto espresso in premessa, non si intendano assumere iniziative normative per evitare possibili conflitti di interesse nel settore della raccolta differenziata. (4-14633)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Soprintendenza archeologica della Campania — Salerno, con nota prot. 11397 del 29 giugno 2016, ha comunicato l'avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante di beni archeologici ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 10, commi 1, 13, 15, a seguito di verifica d'ufficio ex articolo 12 del decreto legislativo n. 42 del 2004 sul tratto del regio tratturo Pescasseroli-Candela compreso nei comuni beneventani di Morcone, Santa Croce del Sannio, Circello, Reino, Pesco Sannita, San Marco dei Cavoti, San Giorgio La Molara, Buonalbergo;
   la suddetta comunicazione ha comportato l'applicazione immediata, in via cautelare, del regime cautelativo transitorio di inedificabilità di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 42 del 2004 per la durata di 120 giorni, termine entro il quale si dovrà procedere alla notifica all'Agenzia del demanio, proprietaria del regio tratturo, ed alla regione Campania, titolare del demanio armentizio, della dichiarazione di interesse particolarmente importante;
   tale termine di 120 giorni verrà a scadere in data 27 ottobre 2016;
   il tratto indicato del regio tratturo ed in particolare l'area catastalmente censita nel nuovo catasto del comune di Circello (Benevento) al foglio 8, p.lla 210, ed al foglio 12, p.lla 12, sono interessati dalla realizzazione delle opere di connessione elettrica del parco eolico della società COGEIN srl assentito con autorizzazione unica rilasciata dalla regione Campania con decreto dirigenziale n. 256 del 2 maggio 2012;
   la regione Campania, con decreto del dirigente del dipartimento «salute e risorse naturali» n. 36 del 28 luglio 2016 ha concesso a COGEIN srl l'uso del tratto del regio tratturo catastalmente censito nel nuovo catasto, del comune di Circello (Benevento) al foglio 8, p.lla 210, ed al foglio 12, p.lla 12, ad avviso dell'interrogante in contrasto con l'articolo 4, comma 5, dell'Allegato D alla legge regionale Campania n. 11 del 1996 in base al quale per i suoli del demanio armentizio vincolati archeologicamente deve essere allegata alla istanza di concessione l'autorizzazione della competente soprintendenza archeologica;
   la regione Campania, in definitiva, non poteva adottare il citato atto di concessione vigendo il regime transitorio di tutela imposto dalla soprintendenza archeologica fino al 27 ottobre 2016 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, intervenire immediatamente per pervenire all'adozione del decreto di vincolo archeologico in scadenza il 27 ottobre 2016. (4-14629)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Monte Argentario, in coerenza con gli indirizzi di sviluppo territoriale, promuove attività di valorizzazione e razionalizzazione del territorio al fine di soddisfare le esigenze della municipalità, nonché degli enti e delle pubbliche amministrazioni, tra cui le Forze armate, da sempre presenti in modo rilevante nel tessuto sociale e nel quadro istituzionale cittadino;
   il Ministero della difesa, l'Agenzia del demanio e il comune di Monte Argentario hanno deciso di avviare un processo di razionalizzazione, riqualificazione, riuso e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico nel cui ambito il Ministero della difesa è giunto alla determinazione di dismettere alcuni immobili, anche per aliquota, attualmente in uso allo stesso Dicastero e non più utili per i propri fini istituzionali;
   a tal proposito, il Ministero della difesa, il comune di Monte Argentario e l'Agenzia del demanio, intendono avviare, tramite la sottoscrizione di un protocollo d'intesa, ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, un rapporto di collaborazione istituzionale finalizzato a precostituire le condizioni necessarie per assicurare rapidità ed efficacia nel perseguimento di obiettivi strategici condivisi, tra i quali, in particolare, la valorizzazione e la razionalizzazione di immobili militari siti sul territorio comunale e la contestuale riqualificazione del tessuto urbano del comune;
   oggetto principale di tale collaborazione sarà il compendio di demanio militare denominato « ex 64o Deposito Territoriale A.M. di Porto Santo Stefano», ivi incluso il dismesso oleodotto che attraversa il paese di Porto Santo Stefano fino al pontile marino, nonché le relative sovrastrutture tecniche;
   in base alla bozza di Protocollo d'Intesa tra il Ministero della difesa, il comune di Monte Argentario e l'Agenzia del demanio, presentata durante la seduta del consiglio comunale del suddetto comune del 21 giugno 2016, un'aliquota del terreno dell’ex 64o Deposito Territoriale dell'Aeronautica militare resterebbe nelle disponibilità della Difesa;
   durante la medesima seduta del 21 giugno 2016, il sindaco del comune di Monte Argentario, Arturo Cerulli, ha dichiarato che il Ministero della difesa è disposto a cedere gratuitamente la gran parte di questo terreno ad eccezione di una piccola porzione per farci un resort per dei generali –:
   se trovi conferma quanto dichiarato dal sindaco del comune di Monte Argentario riguardo alla destinazione uso dell'aliquota del compendio di demanio militare denominato « ex 64o Deposito Territoriale A.M. di Porto Santo Stefano» che il Ministero della difesa intenderebbe mantenere nelle proprie disponibilità.
(5-09871)


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dal comunicato del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2016, su proposta della Ministra Pinotti, il Generale di divisione dell'esercito in ausiliaria Paolo Gerometta, è stato confermato nell'incarico di Direttore generale per il personale militare fino al 30 giugno 2017;
   il generale Gerometta ricopre contemporaneamente anche l'incarico di Presidente della Sezione Esercito del Cocer (Consiglio centrale della rappresentanza militare), ma questa è una carica che non può più ricoprire essendo transitato nell'istituto dell'ausiliaria;
   infatti a norma del TUOM (Testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare, decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010), con il collocamento in quiescenza il rappresentante decade dall'incarico elettivo. Può certamente anche essere richiamato in servizio, ma questa è cosa che vale per l'amministrazione della difesa, non certamente per la rappresentanza, in quanto la messa in quiescenza dovrebbe comportare automaticamente la decadenza dall'incarico elettivo e la sua sostituzione con altro rappresentante (il primo dei non eletti) come previsto dal comma 4 dell'articolo 1477 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;
   il doppio incarico ha generato molteplici critiche e questioni di opportunità, a causa di quella che appare agli interroganti un'incongruente e contraddittoria confusione di ruoli e di funzioni;
   nonostante i solleciti più volte avanzati ad abbandonare una delle due cariche, il generale Gerometta è rimasto finora alla guida di Persomil e del Cocer Esercito;
   la scomoda posizione dell'ufficiale era stata già oggetto di una precedente interrogazione parlamentare (n. 5-05817 del 17 giugno 2015) presentata dai deputati del gruppo M5S, finalizzata a conoscere le intenzioni del Ministro interrogato rispetto alla possibilità di sostituire il generale Gerometta dalla direzione di Persomil;
   l'attribuzione di due incarichi contrapposti tra loro in capo allo stesso ufficiale, ha per gli interroganti pregiudicato la serenità, la trasparenza e la corretta amministrazione della Difesa, oltre a, ridimensionare la funzione di tutela del personale militare a cui è istituzionalmente preposto il Cocer;
   in data 6 ottobre 2016, con protocollo n. 106/cocer/62, è stata indirizzata allo Stato Maggiore della Difesa e a tutti gli Stati Maggiori di Forza Armata, una lettera con la quale si disponeva la convocazione del Co.Ce.R. Interforze ed in subordine la modalità del comparto difesa. Tale convocazione era firmata dal «presidente Generale di divisione Paolo Gerometta» –:
   se si sia provveduto alla sostituzione del generale Gerometta nel Cocer Esercito con altro rappresentante non in ausiliaria e, in caso di risposta negativa, in base a quale disposizione dell'ordinamento militare, il generale in questione continui a mantenere tale incarico nella rappresentanza militare. (5-09872)


   PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che il Generale di divisione Paolo Gerometta sia stato trattenuto in servizio a decorrere dal giorno 8 settembre 2016 pur avendo superato il limite d'età previsto dall'ordinamento militare per il corrispondente grado gerarchico;
   il Ministro per la semplificazione, con circolare n. 2/2015 recante «Soppressione del trattenimento in servizio (...)» ha chiarito che il sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro obbligatoria per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l'età limite «ordinamentale» ovvero ha stabilito che anche per i militari la possibilità di essere trattenuti in servizio ha avuto termine il 31 ottobre 2014;
   il generale Gerometta l'11 luglio 2012 ha presieduto allo svolgimento delle elezioni del consiglio centrale della Rappresentanza militare, sezione Esercito, categoria «B», recentemente al centro di un ampio contenzioso amministrativo che tuttavia non ne ha escluso la responsabilità in ordine alla dichiarazione contenuta nel verbale delle operazioni di voto e relativa ad una scheda elettorale dichiarata «deteriorata» che invece non lo era. Sulla vicenda sono in corso indagini da parte della procura militare di Roma;
   con nota D_GMIL012077005-03-2015 il generale Gerometta, disponeva il pagamento delle indennità di posizione e dell'indennità perequativa (ex articoli 1819, 1820 del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010) nei confronti del personale dirigente delle Forze armate destinatario dei predetti emolumenti. Successivamente a tale elargizione, l'Ufficio centrale per le ispezioni amministrative del Ministero della difesa – con nota MDGISPREG20160001753 del 14 aprile 2016 – segnalava alla direzione generale del personale militare, allo Stato maggiore della Difesa e al Comando generale dell'Arma dei carabinieri alcuni «rilievi in tema di trattamento economico formulati nel corso di ispezioni amministrativo-contabili», concludendo che «nel restare in attesa di precisazioni» si ravvisa che il Ministero dell'economia e delle finanze ha rilevato «la necessità di recuperare le somme corrisposte per arretrati a titolo di indennità di Posizione – pari ad euro 567.223,78 – a titolo di indennità perequativa – pari ad euro 435.592,94 – al personale promosso nel periodo di vigenza dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010»;
   a detta degli interroganti i fatti sopra riportati rappresentano ostacoli insuperabili e di gravità tale da impedire concretamente ogni ulteriore trattenimento in servizio del generale Paolo Gerometta –:
   se il Ministro interrogato non intenda procedere con l'immediato collocamento a riposo del generale Gerometta, provvedendo ad un avvicendamento per l'incarico di direttore generale della Direzione generale del personale militare e di presidente del Cocer. (5-09873)


   ZANIN, MOSCATT e BERGONZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 2 febbraio del 2015 si è svolta presso la prefettura di Piacenza una riunione sulla situazione collegata alla chiusura dell'aeroporto militare di San Damiano, situato nel comune di San Giorgio, sede del 50o Stormo dell'Aeronautica militare italiana, alla quale hanno partecipato rappresentanti delle autorità militari e civili;
   i rappresentanti dell'Aeronautica militare hanno informato del trasferimento del personale operativo entro l'estate del 2016 e garantito, per un periodo medio-lungo, la presenza del restante personale per assicurare il mantenimento delle infrastrutture dell'aeroporto, nonché confermato la continuità nell'uso del patrimonio alloggiativo di San Giorgio e San Polo;
   nella stessa riunione, è stata prefigurata anche la possibilità dell'uso dell'aeroporto per altri impieghi che potranno essere successivamente verificati, prevedendo quindi la possibilità di valutare progetti alternativi da realizzare nella struttura aeroportuale non più in uso da parte dell'aeronautica militare –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per chiarire agli interessati tempi, modalità e valutazione degli eventuali progetti alternativi a seguito della progressiva dismissione dell'aeroporto di San Damiano. (5-09874)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il 20 settembre, al termine di un seminario di medici e scienziati sui danni del tabagismo, il professor Riccardo Polosa, ordinario di medicina interna presso l'università di Catania e direttore scientifico della Lega italiana anti fumo, ha recapitato al Ministro della salute, a nome del «Comitato Scientifico per la ricerca sulla sigaretta elettronica», una lettera che suggerisce la promozione delle sigarette elettroniche nell'ambito delle politiche sanitarie di contrasto dei danni da fumo;
   il documento è sottoscritto, tra gli altri, dal citato professor Polosa, dall’ex Ministro della salute e direttore dell'Istituito europeo di oncologia Umberto Veronesi, dal professor Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell'Istituto nazionale dei tumori di Aviano, dal dottor Fabio Beatrice, direttore della struttura complessa di otorinolaringoiatria dell'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, e dal dottor Carlo Cipolla, direttore della cardiologia dell'Istituito europeo di oncologia;
   nella lettera si legge: «Sono circa 700.000 l'anno i morti da fumo in Europa e l'80 per cento di questi decessi sarebbe evitabile con una buona attività di prevenzione. Le persone fumano per la nicotina ma muoiono per il fumo e questo perché la stragrande maggioranza delle malattie fumo correlate nasce dall'inalazione di catrame, particelle e gas tossici. Al contrario le sigarette elettroniche possono eventualmente rilasciare nicotina al netto delle sostanze tossiche presenti nel fumo di sigaretta. Per questo motivo diverse Organizzazioni di Salute Pubblica indicano sempre più le sigarette elettroniche come protagoniste nella lotta alla riduzione del danno da tabacco»;
   tra i dati più recenti troviamo quelli appena pubblicati sul British Medical Journal dai ricercatori dello University College of London, secondo cui nel Regno Unito le sigarette elettroniche avrebbero aiutato a smettere di fumare circa 18 mila persone, solamente nel 2015;
   su questa base si suggerisce «di approfondire scientificamente con urgenza il ruolo delle sigarette elettroniche come alternativa al tabacco. Una regolamentazione ragionevole e proporzionata delle sigarette elettroniche potrebbe salvare milioni di vite e, di conseguenza, riuscirebbe a far ridurre le enormi spese legate alla prevenzione e alla cura di malattie fumo correlate per tutti i singoli Stati», poiché «secondo l'ampio rapporto condotto nel Regno Unito per conto di Public Health England, l'autorità sanitaria inglese, le elettroniche sono per il 95 per cento meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali» e c’è comunque «ampio consenso all'interno della comunità scientifica sul fatto che il vapore elettronico sia significativamente meno dannoso del fumo di tabacco, con un rischio residuo che è destinato a ridursi ulteriormente grazie all'innovazione tecnologica e all'introduzione di specifici standard di qualità e sicurezza. Pertanto le sigarette elettroniche potrebbero svolgere un ruolo importante nel raggiungere uno degli obiettivi delle Nazioni Unite per il 2025: ridurre del 30 per cento il numero di fumatori e le morti per cancro e tumori»;
   i firmatari del documento affermano inoltre che «la riduzione del danno provocato dal tabacco è parte della soluzione, non parte del problema. Se le autorità preposte a definire le norme per la regolamentazione dei prodotti del tabacco continueranno ad applicare le stesse norme del tabacco alle sigarette elettroniche e, contestualmente, considerare i prodotti contenenti nicotina a basso rischio come parte del problema, ridurranno il potenziale enorme di tali alternative», poiché «misure eccessivamente restrittive sulle sigarette elettroniche possono proteggere le sigarette convenzionali dalla concorrenza di altri prodotti meno dannosi», e invitano i responsabili della politica sanitaria a seguire l'esempio dell'Inghilterra, «dove la sensibilizzazione all'utilizzo delle sigarette elettroniche come porta d'uscita dal tabagismo, promossa anche dai medici di medicina generale, ha consentito una riduzione del numero di fumatori senza precedenti alcuni» –:
   se e come il Ministro interpellato intenda recepire le indicazioni di questo contributo, in particolare rispetto al rapporto tra la disciplina fiscale delle sigarette elettroniche, la regolamentazione del relativo mercato e il loro utilizzo nelle politiche di contrasto dei danni da fumo.
(2-01519) «Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta immediata:


   TAGLIALATELA, CIRIELLI, MAIETTA, NASTRI, RIZZETTO, RAMPELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, PETRENGA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) è la bad bank utilizzata nel 1997 nell'ambito dell'operazione di salvataggio del Banco di Napoli, alla quale al momento del fallimento di una delle più antiche istituzioni creditizie d'Italia furono trasferite le sofferenze bancarie con lo scopo di recuperare i rispettivi crediti;
   negli anni la Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) ha accumulato riserve di utili per alcune centinaia di milioni di euro, formatesi grazie proprio all'attività di recupero e gestione dei crediti deteriorati, tanto che al 31 dicembre 2014 aveva 484 milioni di euro tra cassa e disponibilità liquide, più altri 238 milioni di euro alla voce crediti;
   con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante «Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione», è stato disposto il passaggio del pacchetto azionario della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) al Ministero dell'economia e delle finanze;
   in esito alle recenti deliberazioni adottate dal consiglio di amministrazione e dall'assemblea della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga), ad oggi la società risulta essere il primo azionista del fondo Atlante 2, il nuovo veicolo ideato per sostenere i salvataggi delle banche italiane e, in particolare, l'imminente intervento in favore del Monte dei Paschi di Siena, di cui sottoscriverà una quota pari a 450 milioni di euro;
   il Banco di Napoli era il più grande istituto bancario del Mezzogiorno ed è evidente che le risorse recuperate dalla Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) originano per la maggior parte proprio da quei territori –:
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza volte a rivedere la decisione di trasferire le risorse della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) al fondo Atlante 2, destinandole in favore di interventi per lo sviluppo economico e culturale delle regioni meridionali.
(3-02578)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Dusty S.r.l., azienda operante da oltre trentacinque anni per conto delle pubbliche amministrazioni nel settore dell'igiene ambientale e con organico di circa 700 dipendenti, nel 2011 è rimasta aggiudicataria dell'appalto con l'ATO ME2 spa, in liquidazione, per la gestione del servizio di igiene urbana nel comprensorio di 38 comuni della provincia di Messina per una popolazione complessiva il oltre 200.000 abitanti;
   nel mese di giugno 2013, dopo aver accumulato un credito di circa 17 milioni di euro certificato dal commissario liquidatore dell'ATO ME2, non potendo sostenere ulteriormente gli ingenti costi di gestione, Dusty si è vista costretta a cessare l'appalto;
   nel 2014 Dusty ha presentato istanza per la certificazione «in piattaforma MEF» del suddetto credito vantato verso l'ATO, al fine di poter compensare i debiti erariali maturati avvalendosi della normativa di riferimento;
   la ragioneria dello Stato di Messina ha però espresso parere negativo non riconoscendo la società d'ambito come ente pubblico, contrariamente a quanto avvenuto invece per altri ATO, quale l'ATO CT 3, (ordinanza TAR Catania n. 1934/2015, ordinanze Consiglio di giustizia amministrativa nn. 102, 103 e 114 del 5 febbraio 2016, sentenze TAR Catania nn. 1629/2015 e 1631/2015);
   a fortiori appare all'interrogante del tutto incomprensibile ed arbitrario tale parere negativo espresso dalla ragioneria se si considera che nell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'ISTAT annovera le ATO quali «enti di regolazione dei servizi idrici e/o dei rifiuti»;
   la natura pubblicistica degli ATO si desume altresì dal portale informatico governativo I.P.A (indice delle pubbliche amministrazioni) dell'Agenzia per l'Italia digitale, il quale contempla espressamente «ATO ME 2 s.p.a. in liquidazione»;
   Dusty, pur in assenza dei pagamenti da parte dell'ATO ME2 ha fatto fronte prioritariamente al pagamento degli stipendi, dei fornitori, dei contributi previdenziali, allo scopo di non interrompere un servizio di pubblica utilità;
   a fronte del prolungato inadempimento da parte dell'ATO ME2 e della mancata possibilità di compensazione, Dusty ha subito la maggiorazione del debito erariale per l'applicazione di sanzioni per ritardato pagamento, interessi di mora ed aggio a favore di Riscossione Sicilia spa, nonché il sequestro preventivo delle somme giacenti sui conti correnti della società e delle quote societarie possedute dall'amministratore unico, per il mancato versamento dell'Iva fatturata nel 2014;
   la conseguente iscrizione del sequestro delle quote societarie nel certificato camerale determina un danno all'immagine di Dusty, poiché impatta negativamente sulla possibilità di accesso ai finanziamenti da parte del sistema bancario compromettendo la possibilità di effettuare nuovi investimenti –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per consentire che anche l'ATO ME2 spa nel rispetto della par condicio creditorum, venga riconosciuto come ente pubblico così come accaduto per lo stesso ATO a seguito delle sentenze TAR Catania n. 1629 del 2015 e n. 1631 del 2015 (non appellate e quindi riconosciute dallo stesso ATO), dando la possibilità alla società Dusty srl di compensare i crediti vantati verso l'ATO ME2 spa con i debiti erariali, ciò al fine di superare le criticità citate in premessa e procedere al dissequestro dei conti correnti e delle quote societarie dell'amministratore unico, scongiurando l'apertura di una procedura concorsuale ed importanti ricadute anche sui livelli occupazionali, in un territorio come quello siciliano dove gli effetti risulterebbero amplificati dall'alto tasso di disoccupazione. (5-09880)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Arif, l'Agenzia regionale per le attività irrigue e forestali della Puglia, è stata costituita con legge regionale n. 3 del 25 febbraio 2010. Detta legge, all'articolo 1, comma 2, stabilisce che «l'Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico», così come all'articolo 6, comma 1, stabilisce che tra gli organi dell'Agenzia, oltre al direttore generale, vi è anche il collegio dei revisori dei conti;
   l'agenzia pesa sul bilancio regionale per circa 40 milioni di euro l'anno e conta quasi 3 mila dipendenti tra lavoratori fissi e stagionali;
   a marzo del 2016 la regione Puglia ha commissariato l'Agenzia rimuovendo il direttore in seguito a notizie di stampa circa un centinaio di assunzioni che sarebbero state eseguite in assenza di procedure di evidenza pubblica;
   si apprende da notizie di stampa che a luglio 2016 il Ministero dell'economia e delle finanze, tramite la ragioneria generale dello Stato, rispondendo ad un quesito della stessa Arif in merito al contratto integrativo che garantisce a circa 900 lavoratori forestali una forma di parziale rimborso chilometrico di benzina per raggiungere il posto di lavoro, chiarisce che tale norma prevista da quel contratto integrativo è contraria al decreto-legge n. 78 del 2010 sulla spending review che, appunto, proibisce rimborsi di tale specie. In caso contrario, scriveva il Ministero all'Arif, si violerebbero anche i canoni di eguaglianza di tutti i dipendenti pubblici, a prescindere dal contratto applicato. Nella stessa risposta, sempre stando a quanto riportato da notizie di stampa, il Ministero si chiedeva anche come faccia l'Arif ad applicare ai forestali un contratto del settore privato, anziché quello del settore pubblico, meno oneroso;
   conseguentemente alla risposta della ragioneria dello Stato, risulta dalle stesse notizie di stampa, che il direttore amministrativo dell'Arif avrebbe sospeso il pagamento delle indennità di rimborso ma che, in seguito alle proteste dei sindacati, il commissario in carica le avrebbe ripristinate adducendo come motivazione il fatto che i lavoratori dell'Arif non sarebbero dipendenti pubblici –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative, anche normative, per chiarire, una volta per tutte, a quale disciplina giuridica debbano attenersi le procedure di selezione, assunzione e remunerazione del personale delle agenzie, delle società partecipate e degli enti controllati dalle regioni, equiparando a pubbliche amministrazioni anche la pletora di società ed agenzie che, come nel caso di Arif Puglia, arrivano a costare anche 40 milioni di euro l'anno ai cittadini; 
   di quali elementi disponga il Ministro dell'economia e delle finanze circa il seguito dato dall'Arif alle indicazioni della Ragioneria generale dello Stato e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
   se il Governo non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza, anche normative, per rivedere in modo efficace e mirato la disciplina delle società a partecipazione pubblica che sembrano considerarsi al di sopra delle leggi che normano il reclutamento ed il trattamento economico del personale nelle pubbliche amministrazioni, pesando sulle tasche dei cittadini per decine di milioni di euro l'anno, spesso anche in assenza di servizi erogati. (4-14631)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonti giornalistiche si apprende la notizia dell'apertura di un'inchiesta della procura di Parma nei confronti del sindaco di Parma Pizzarotti. L'iscrizione nel registro degli indagati sarebbe dovuta alla vendita di Stu Pasubio, partecipata del comune che, nell'ottobre del 2012, era stata ceduta alla reggiana Remilia, del gruppo Unieco;
   il sindaco, rispondendo con un post sulla sua pagina facebook afferma: «Pur non conoscendo per nulla i dettagli dell'indagine, che non mi sono stati comunicati in modo ufficiale, ma che ho appreso dalla stampa....». Sembra dunque che l'indagato non fosse a conoscenza di nulla per cui ancora una volta si potrebbe essere di fronte ad una «fuga di notizie»;
   si ricorda che l'articolo 2 della Costituzione, che annovera nel diritto positivo i diritti inviolabili dell'uomo, unitamente alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, alla legge sulla stampa, alla legge sulla privacy e alla legge sulla professione giornalistica formano un corpo di norme che rendono intangibile la tutela della vita privata e dell'onore dei cittadini. «Il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali» è il valore che il decreto legislativo n. 196 del 2003, come afferma l'articolo 2, intende proteggere nel processo di trattamento dei dati personali. Si può dire, quindi, come sostenuto dalla Corte di cassazione (Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 1998, n. 12744), che, nel nostro ordinamento, il diritto di cronaca e di critica, quale esercizio del democratico principio di libertà di manifestazione del pensiero, trova un limite invalicabile nel rispetto di altri diritti fondamentali, parimenti sanciti dalla costituzione in quanto attinenti alla pari dignità sociale di tutti i cittadini, nonché nella salvaguardia dei diritti inviolabili d'ogni persona, sia come singolo, sia come membro delle più diverse formazioni sociali nelle quali si forma e si sviluppa la personalità d'ognuno, diritti inviolabili tra i quali vanno annoverati, senza alcun dubbio, il diritto all'onore, alla reputazione, al decoro, all'identità personale e alla riservatezza. Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 86/1974) l'onore, il decoro e la reputazione sono tra i beni protetti e garantiti dalla carta fondamentale, «in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana»;
   «Affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore possa considerarsi lecito esercizio del diritto di cronaca, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza formale dell'esposizione. La condizione della verità della notizia comporta, come inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista, non solo di controllare l'attendibilità della fonte, ma anche di accertare e di rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia; con la conseguenza che, solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente osservato, potrà essere utilmente invocata l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, restando peraltro escluso che, ove le suddette condizioni non ricorrano, l'equilibrio generale dell'articolo giornalistico escluda la natura diffamatoria dei fatti riferiti, potendo eventualmente comportare una minore gravità della diffamazione ed incidere quindi sulla liquidazione del danno» (Cass. civ. Sez. III 04-07-1997, n. 6041) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative concrete, anche di carattere normativo, abbia intenzione di porre in essere affinché i principi del nostro ordinamento e le previsioni sulla divulgazione di notizie relative ad indagini in corso siano scrupolosamente osservati. (4-14626)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   MONCHIERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa ed irrisolta vicenda dell'autostrada A33, Asti-Cuneo, emblematica delle difficoltà che il Paese incontra nella realizzazione di interventi strutturali, è tornata recentemente alla ribalta della pubblica opinione a seguito di alcune proposte elaborate da Confindustria di Cuneo;
   pensata decenni fa, intrapresa su iniziativa dell'Anas, successivamente affidata ad una società concessionaria compartecipata, con quota di minoranza, dal medesimo ente, l'opera è rimasta incompiuta per la mancata realizzazione di due lotti centrali, 2.5 e 2.6, ed è concretamente inutilizzabile;
   con le conferenze dei servizi, svoltesi il 14 marzo e il 19 aprile 2012, venne concordata tra enti locali, concessionario ed Anas una sostanziale modifica al lotto 2.5, che riduceva sensibilmente il costo dell'opera, ma da allora nessun atto concreto è stato compiuto;
   la mancata realizzazione dell'opera è stata oggetto di reiterati atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante e dell'onorevole Rabino, a cui hanno fatto seguito, da parte dei Ministri interrogati e dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri, ampie rassicurazioni circa la volontà di dare soluzione al complesso problema;
   il protrarsi della sostanziale situazione di stallo ha indotto la sezione cuneese di Confindustria a proporre una revisione del progetto che, eliminando la galleria sotto la collina di Verduno, comporterebbe una sensibile riduzione del costo complessivo dell'opera;
   risulta che tale ipotesi sia stata illustrata dai vertici dell'associazione degli industriali cuneesi direttamente allo stesso Ministro interrogato, alimentando così la speranza di una rapida conclusione dei lavori, ma che non sia stata tradotta in atti conseguenti, non solo, ma che da parte ministeriale sia giunta la controproposta di realizzare il tunnel con una sola canna, ipotesi che a molti pare contraddittoria con la definizione stessa di autostrada;
   onde evitare che queste diverse ipotesi, aldilà delle intenzioni dei proponenti, vengano a rappresentare un ulteriore elemento di confusione, si ritiene indispensabile che l'accordo raggiunto nella citata conferenza dei servizi svoltasi nel 2012 costituisca la base della revisione del contratto a suo tempo stipulato con il concessionario;
   poiché su questo terreno non risulta che negli ultimi mesi siano stati compiuti atti risolutivi, si continua a ritenere ineludibile o la revisione consensuale del contratto o la rescissione del medesimo –:
   quali siano gli orientamenti sulle varie ipotesi di revisione progettuale e quali atti siano stati compiuti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla società concessionaria per giungere al superamento dell'attuale situazione di stallo che si protrae da tempo immemorabile.
(3-02585)


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2016 è stato presentato a Milano, dal Presidente del Consiglio dei ministri, il Piano nazionale Industria 4.0;
   all'interno di questo contenitore, con il disegno di legge di bilancio, si strutturerà quella che può diventare – per il nostro Paese – una grande occasione di rilancio dell'economia produttiva, ma anche di modernizzazione delle politiche pubbliche;
   infatti, non si tratta solo di un segnale che va nella direzione della ripresa di una politica industriale, per troppi anni assente dall'orizzonte dei Governi che si sono succeduti. Questi, interamente assorbiti da obiettivi pressanti di contenimento del deficit e di rifinanziamento del debito e incoraggiati in questa direzione dagli indirizzi provenienti da Bruxelles, hanno potuto – e in parte voluto – prestare ben poca attenzione all'economia reale. Oggi il Piano nazionale Industria 4.0 può rappresentare il momento della svolta;
   tuttavia c’è un secondo aspetto, non meno importante: questo piano – superando correttamente l'ottica dei percorsi «settoriali» – può rappresentare il primo esempio di una nuova generazione di interventi pubblici che nascono da una visione d'insieme dell'economia italiana produttiva e colloca l'intervento pubblico sul segmento decisivo dei fattori abilitanti;
   è dunque molto importante, ai fini del successo del Piano nazionale di Industria 4.0, forse decisivo ai fini del pieno conseguimento dei risultati attesi, che la logica settoriale – cacciata dalla porta – non si insinui nuovamente rientrando dalla finestra: il piano non può riguardare solo la manifattura, e neanche la sola industria, ma deve considerare a tutti gli effetti (a partire dalla definizione di dettaglio degli interventi del disegno di legge di bilancio) un settore fondamentale per l'economia produttiva del Paese come quello delle costruzioni, che vale il 10 per cento del prodotto interno lordo, che ha la più fitta rete di interdipendenze settoriali e che è interessato da processi importantissimi di ristrutturazione e di innovazione;
   desta pertanto preoccupazione il fatto che nella presentazione del piano sia stata delineata anche la sua struttura di governance e che di essa non faccia parte il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso o intenda intraprendere per rimarcare, con azioni concrete, non tanto la propria presenza, quanto quella dell'intero settore delle costruzioni – che ha sempre avuto nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il principale referente governativo – in quello che auspicabilmente diventerà il centro pulsante della nuova politica industriale del Paese.
(3-02586)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata:


   FEDRIGA, MOLTENI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Verona, con un provvedimento di «pubblica utilità», ha requisito con proprio decreto dal 30 ottobre 2016 al 31 gennaio 2017 l'Hotel Cristallo al fine di alloggiarvi immigrati richiedenti protezione internazionale;
   secondo quanto dichiarato da Antonello Panuccio, sindaco di Castel d'Azzano, il comune interessato, sembra che tale decisione sia stata presa dalla prefettura senza avvisare o consultare il comune e che non sia stata addirittura concordata neanche con la proprietà dell'immobile;
   il sindaco, infatti, sembra ne sia venuto a conoscenza solo con il ricevimento del decreto di requisizione, poiché fino ad allora ne era del tutto all'oscuro;
   non è ancora noto quanti saranno gli immigrati assegnati dalla prefettura alla predetta struttura alberghiera, anche se pare potrebbero essere più di 200;
   non è peraltro ancora nota la nazionalità degli immigrati che verranno ospitati nell'Hotel Cristallo, né e se abbiano presentato domanda di protezione;
   l'Hotel Cristallo consta di 93 camere e si trova alle porte del paese, a poca distanza da Verona e ad appena cinque minuti di macchina dalla Fiera ed infatti, per i giorni di Fieracavalli, la più importante manifestazione del settore in programma dal 10 al 13 novembre 2016, sembra ci fossero state già delle prenotazioni;
   ovviamente tale forzatura della prefettura ha suscitato da subito le legittime e numerose proteste anche della cittadinanza;
   è del tutto incomprensibile, a parere degli interroganti, in base a quali disposizioni normative la prefettura abbia provveduto a requisire l'Hotel Cristallo nel comune di Castel d'Azzano, ovvero le ragioni per le quali non abbia provveduto, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 142 del 2015, ad informarne preventivamente il sindaco, al fine di concordare e valutare l'opportunità della scelta con lo stesso e con la cittadinanza;
   è notizia di ieri quella della requisizione di un'altra struttura, l'ostello di Gorino, da parte del prefetto di Ferrara, per destinarla sempre all'accoglienza di profughi –:
   se e quali urgenti provvedimenti di competenza intenda adottare contro la requisizione delle strutture citate in premessa e se tali requisizioni siano state decise in raccordo con il Ministero dell'interno, considerati i pesanti effetti delle stesse sulla proprietà privata. (3-02577)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   MENORELLO e GALGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad Umbertide (Perugia), nell'area detta «Ex Fornace», un sito dai caratteri di archeologia industriale dove un tempo operava una storica fabbrica di mattoni, insiste ora un complesso residenziale ancora non terminato di 15 edifici, per un totale di 72 appartamenti, spazi riservati a esercizi commerciali e 12 villette a schiera, il tutto per una capacità insediativa di quasi 170 abitanti, sorti su un'area della città tra il centro storico e il fiume Tevere;
   nel 2005 furono regione Umbria e comune di Umbertide a promuovere (con la partecipazione di privati) il recupero e la riqualificazione di questa vasta area dismessa di circa 32.400 metri quadrati. L'obiettivo primo, poi fallito, avrebbe dovuto essere quello di articolare la zona con una serie di servizi commerciali, alla persona ed alle attività turistico-ricettive, funzionali peraltro al vicino ospedale e al centro di riabilitazione. I lavori non completati, peraltro progettati secondo criteri di bioarchitettura a basso impatto ambientale, ammontano ad oggi a 10 milioni di euro;
   il complesso «Ex Fornace», soprannominato dai cittadini Umbertide «ecomostro», per lo sfregio ambientale e architettonico che ha prodotto, è stato anche oggetto di diverse inchieste giudiziarie, penali e civili, nei confronti di alcuni imprenditori coinvolti nel progetto e nell'esecuzione dei lavori;
   attualmente, al di là delle vicende giudiziarie che hanno colpito il complesso in questione, esso rimane una ferita aperta per la città di Umbertide, paese di qualità e sostenibilità ambientale. Ora la zona è in totale abbandono, soggetta ad incuria e il suo status spettrale stride con il tessuto cittadino. Negli ultimi mesi in questa zona sono peraltro emersi problemi di allarme sociale e ordine pubblico, come dimostra l'ultimo ed efficiente intervento (12 ottobre 2016), tra i molti, da parte dei carabinieri di Umbertide e Città di Castello. La «ex Fornace» è diventata, come gli stessi cittadini e alcune forze civiche e politiche hanno evidenziato ma l'amministrazione comunale ha sottovalutato, un catalizzatore di pratiche illecite, microcriminalità e fonte di paura quotidiana per i residenti –:
   quali siano gli interventi programmati, per quanto di competenza, relativamente al sito «ex Fornace» di Umbertide, anche in coordinamento con il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, e se non si intenda pianificare un'attività di controllo e vigilanza dell'area, avuto riguardo anche alla necessità del potenziamento, in termini di risorse umane e di infrastrutture, della locale stazione dei carabinieri, unico presidio di polizia del territorio. (5-09875)


   SISTO e PALMIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tema della cyber security sta assumendo sempre maggiore rilievo nell'ambito della digitalizzazione del Paese, del terrorismo informatico e delle nuove tecniche di spionaggio. Il 24 novembre 2015 Matteo Renzi ha annunciato che «un investimento di 150 milioni di euro sulla Cyber Security, perché nel rispetto della privacy possiamo e dobbiamo fare di più per integrare le banche dati, per valorizzare gli strumenti innovativi e controllare i potenziali sospetti». Quattro giorni dopo, presenziando ad un evento, ha altresì ribadito l'urgenza di investire su un settore fondamentale per le nostre vite;
   la cifra annunciata è stata effettivamente inserita nella legge 28 dicembre 2015, n. 208. Nel mese di gennaio 2016, il Ministro Maria Elena Boschi aveva anch'essa confermato lo stanziamento di «risorse aggiuntive con un fondo di ulteriori 150 milioni di euro, per rafforzare la prevenzione nel campo della sicurezza informatica e cibernetica. Ma la legge non prevede alcuna modifica del quadro normativo di riferimento che disciplina la gestione di queste risorse e tantomeno il quadro normativo di riferimento per i servizi di sicurezza o legati eventualmente anche alla prevenzione informatica». E ancora: «Rassicuro sul fatto che non è prevista alcuna forma di partecipazione di strutture private. L'unica autorità politica preposta alla gestione dei servizi di sicurezza è e sarà il senatore Marco Minniti»;
   il Ministro interrogato nel corso di un question time svoltosi il 20 luglio 2016 ha dichiarato che sui temi della sicurezza c’è stato un lavoro parlamentare importante, «un impegno che ha visto in questi anni incrementare le risorse sulla sicurezza, sbloccare il turnover e fare un investimento sia in innovazione tecnologica — mi riferisco ai 150 milioni per la cyber security — sia per quanto riguarda le dotazioni degli apparati di sicurezza»;
   ad oggi ancora non si conosce la destinazione dei 150 milioni di euro, ad eccezione dei 15 milioni di euro per la polizia postale, per effetto di un emendamento alla legge di stabilità; vista la rilevanza del tema, già sottolineata, appare piuttosto urgente una spiegazione da parte del Ministro interrogato sulla sorte di tali risorse –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire gli opportuni chiarimenti in merito alle risorse stanziate per la cyber security, nonché chiarire in quali forme e in quali tempi verranno erogate. (5-09876)


   NACCARATO, FIANO, MIOTTO, CAMANI, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Ecofficina Cooperativa Sociale è una società cooperativa costituita nell'agosto 2011; dal maggio 2014 ha iniziato l'attività di accoglienza dei richiedenti asilo e, nei primi mesi del 2015, la cooperativa ha mutato ragione sociale ed è stata denominata Ecofficina Educational Cooperativa Sociale Onlus;
   attualmente la cooperativa gestisce strutture di accoglienza in diverse province del Veneto, tra le quali oltre 500 profughi nella provincia di Venezia, 150 in quella di Vicenza e circa 80 in provincia di Rovigo; in provincia di Padova, Ecofficina gestisce presso l'ex caserma Prandina nel comune di Padova un numero di richiedenti asilo che oscilla tra 350 (agosto 2015) e 98 (aprile 2016), circa 100 profughi nel comune di Battaglia Terme, 40 a Torreglia, 30 a Due Carrare, 60 a Monselice, 48 a Este, 95 a Montagnana; l'assegnazione alla cooperativa Ecofficina di un numero rilevante di appalti per la gestione dell'accoglienza profughi in provincia di Padova ha suscitato perplessità per la rapidità con cui l'impresa ha conquistato la supremazia nel settore;
   la procura della Repubblica di Padova ha aperto un'inchiesta sull'assegnazione del bando a Ecofficina per la gestione dell'accoglienza dei richiedenti asilo nel comune di Due Carrare in seguito alla gara del febbraio 2016;
   dai documenti presentati dalla cooperativa emergerebbe un'irregolarità evidente prevedendo il bando il requisito dello svolgimento in modo continuativo dell'attività di accoglienza dei migranti per un periodo di due anni;
   la cooperativa avrebbe depositato una dichiarazione attestante l'esistenza di una convenzione con la prefettura di Padova, in data 6 gennaio 2014, e l'inizio dell'attività di accoglienza profughi in data 8 gennaio 2014, mentre risulterebbe che in quel periodo Ecofficina non si occupasse ancora dell'accoglienza dei richiedenti asilo, poiché dalla convenzione siglata dalla cooperativa con la prefettura il 14 maggio 2014 Ecofficina avrebbe iniziato tale attività di accoglienza soltanto nel mese di maggio; dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che i documenti presentati per partecipare alla gara siano stati falsificati e molte delle convenzioni per le assegnazioni dei bandi vinti da Ecofficina sarebbero state autorizzate da una dipendente della prefettura di Padova, la cui figlia avrebbe prestato servizio in più occasioni proprio per la cooperativa Ecofficina –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare se la prefettura di Padova abbia adeguatamente controllato le procedure per il bando Sprar del comune di Due Carrare e per i bandi nella provincia di Padova. (5-09877)


   DADONE, DIENI, CECCONI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, NUTI, TONINELLI e NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2016 si è appreso dalla stampa che l'agente Massimo Nucera è stato sanzionato con un giorno di sospensione in ordine alle sue dichiarazioni, rese in atti pubblici, in occasione del processo per i falsi verbali inerenti ai fatti occorsi nella notte del 21 luglio 2001 al G8 di Genova: egli dichiarò ed attestò di essere stato aggredito da un no-global e mostrò il suo giubbotto antiproiettile lacerato;
   la corte d'appello di Genova, nel condannare l'agente per i reati di calunnia e falso ideologico, ha ritenuto l'episodio in questione «una delle più gravi e sfrontate messe in scena di questo processo» definendolo «inventato di sana pianta»;
   la Corte di cassazione, con sentenza del 5 luglio 2012, nel dichiarare prescritto il reato di calunnia contestato al Nucera, condannava definitivamente lo stesso alla pena di anni 3 e mesi 5 di reclusione per i restanti reati;
   al Nucera veniva applicato l'indulto, posto che i fatti commessi erano accaduti prima del 2 maggio 2006 e lo stesso, di conseguenza, ha scontato la pena residua, pari a 5 mesi, agli arresti domiciliari;
   dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 2012 l'organo disciplinare della polizia di Stato iniziava la procedura nei confronti del Nucera, procedimento che si concludeva con un mese di sospensione dello stipendio;
   nel 2014, il capo della polizia ha rideterminato la sanzione all'agente in un giorno di sospensione dello stipendio — ovvero 47 euro — adducendo come motivazione «l'ottimo stato di servizio, i premi ricevuti e le capacità dimostrate»;
   ad avviso degli interroganti, l'agente Nucera, condannato in via definitiva dalla Corte di cassazione a 3 anni e 5 mesi di reclusione, è stato oggetto di una sanzione disciplinare ad avviso degli interroganti irrisoria rispetto ai fatti di cui si è reso colpevole e soprattutto alla condotta che ha tenuto;
   Nucera risulterebbe essere stato di nuovo condannato (con prescrizione successivamente intervenuta) in un processo per falsa testimonianza;
   questi i fatti: al termine di una partita di basket Teramo-Roseto, infatti, tre poliziotti picchiarono selvaggiamente «senza alcuna valida giustificazione» (così recita la sentenza) un tifoso del Teramo; gli agenti furono condannati, compreso Nucera, il quale testimoniò che il tifoso si era fatto male «prima», durante una rissa mai avvenuta –:
   se, in ordine all'applicazione della sanzione da parte dell'amministrazione all'agente Nucera, siano state rispettate tutte le procedure previste dalla legge. (5-09878)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014 (di parziale accoglimento di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), nel quale era stato formalizzato il parere del Consiglio di Stato 5 giugno 2013, sezione II, che aveva riconosciuto, a tutti gli effetti di legge, il valore abilitante del diploma magistrale, ai sensi del decreto del Ministro della pubblica istruzione del 10 marzo 1997, per i diplomati magistrali, con titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, che hanno ottenuto pieno diritto all'inserimento nella graduatoria ad esaurimento (Gae);
   per tale ragione, durante l'aggiornamento del 2014, gli stessi hanno presentato domanda di inserimento in Gae. Confermando il parere del Consiglio di Stato, i primi ricorrenti sono stati inseriti a pieno titolo, con ordinanze n. 5497/3951, n. 5495/3952, n. 5490/3901 e n. 5493/3903. Successivamente, è avvenuto il riconoscimento del loro diritto di immissione in ruolo da parte degli uffici scolastici regionali;
   tuttavia, la Direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con l'avviso del 6 ottobre 2015, ha stabilito che le pronunce del Consiglio di Stato non hanno efficacia erga omnes e pertanto non possono essere estese anche a coloro che non hanno presentato specifico ricorso, esplicando i suoi effetti solamente tra le parti in causa;
   tale provvedimento, oltre ad aver accentuato le conflittualità fra personale docente ugualmente precari a parità di titolo e spesso con punteggio superiore e i primi vittoriosi e fortunati ricorrenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento ha gettato nuovamente la scuola nella più totale confusione. Infatti, parallelamente ai riconoscimenti per il personale oggetto delle ordinanze, è stata «congelata» l'azione dei successivi ricorrenti in attesa di adunanza plenaria del Consiglio di Stato, dapprima fissata per gennaio 2016, poi posticipata a maggio 2016, infine anticipata al 27 aprile 2016;
   a parere degli interroganti tale differenza nei provvedimenti che interessano i diplomati magistrali, con titolo conseguito entro il 2001/2002, si pone in contrasto con il principio di uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, sancito dalla nostra Costituzione, all'articolo 3;
   il riconoscimento del diritto di immissione in ruolo non è avvenuto, a giudizio degli interroganti, su una base logica e razionalmente condivisibile, ma soltanto secondo il «criterio» del tempismo nella presentazione del ricorso che rappresenta una fortuita disparità del diritto, e comporta una situazione invivibile per il cittadino e inaccettabile per qualsivoglia istituzione democratica –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda intraprendere, al fine di tutelare la posizione di tutti i docenti in possesso del diploma magistrale abilitante, conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, per il loro inserimento nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento ed il riconoscimento del conseguente diritto all'immissione in ruolo, superando quella che appare agli interroganti come una discriminazione in essere. (5-09864)


   CHIMIENTI, MARZANA, LUIGI GALLO, VACCA, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 marzo 2016 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha diffuso sul proprio sito istituzionale un bando, con scadenza prevista al 22 giugno 2016 emesso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per selezionare due collaboratori al «Pestalozzi Programme» fra i 47 Paesi aderenti al Consiglio d'Europa a Strasburgo;
   la missione del «Pestalozzi Programme» consiste nel contribuire alla realizzazione del «programma di formazione dei professionisti dell'educazione e allo sviluppo di legami con le istituzioni adibite alla formazione dei professionisti dell'educazione dei Paesi membri»;
   la sintesi italiana del bando richiedeva il nulla osta preventivo dell'amministrazione competente;
   come riportato in un articolo apparso sulla versione on-line del Corriere della Sera in data 14 ottobre 2016, la professoressa Manola Gavazzi, docente di ruolo di lingua inglese al liceo scientifico statale «Leonardo» di Brescia, partecipa al bando dopo aver ottenuto l'autorizzazione come superiore gerarchico da parte del dirigente scolastico che si riserva tuttavia di svolgere ulteriori indagini;
   come riportato nel suddetto articolo, la professoressa Manola Gavazzi, senza aver ricevuto chiarimenti dalla dirigenza scolastica del suo istituto, risulta vincitrice del bando, scelta dopo la valutazione del curriculum e un colloquio via Skype tra tanti altri colleghi dei 47 Paesi del Consiglio d'Europa, assieme ad un professore francese;
   il testo inglese e francese della risoluzione dei Ministri del 2012 che regola i distacchi presso il Consiglio d'Europa garantisce il suddetto distacco, ma fin dai primi di agosto l'ufficio IV della direzione generale personale scolastico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene che per imprecisati motivi amministrativi non è possibile ottenerlo e che l'unico modo per ricoprire l'incarico al Consiglio d'Europa era mettersi in aspettativa senza assegni;
   l'inizio dell'incarico presso il Consiglio d'Europa della professoressa Gavazzi è fissato per il 5 settembre 2016 per la durata di un anno;
   il 1o settembre 2016 la professoressa Gavazzi chiede e ottiene dal dirigente scolastico del suo istituto quanto meno l'aspettativa senza assegni relativa all'anno scolastico 2016/17;
   dopo numerose pressioni, a quanto consta agli interroganti la professoressa Gavazzi avrebbe ottenuto infine in data 29 settembre 2016 dalla direttrice generale dell'ufficio scolastico regionale Lombardia Delia Campanelli – a cui secondo il predetto ufficio della direttrice generale del personale competeva il rilascio del distacco – un nulla osta per ricoprire l'incarico senza tuttavia aver diritto allo stipendio;
   come esplicitato nell'articolo sopra citato la professoressa Gavazzi parte comunque alla volta di Strasburgo;
   lo stato di impasse continua a perdurare, come si legge nel suddetto articolo, poiché il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dichiara di non poter assumere un'altra persona in sostituzione della professoressa Gavazzi al fine di concederle il distacco, pena l'incorrere in un procedimento davanti alla Ragioneria di Stato, che chiederebbe conto delle spese per quella sostituzione;
   per sbloccare la situazione dal Consiglio d'Europa è arrivata una bozza di accordo per il ruolo della professoressa Gavazzi, un Memorandum che prevede a carico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca gli oneri assicurativi e previdenziali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a quanto risulta dal suddetto articolo, chiede tuttavia di eliminare gli oneri previsti per procedere a concedere il distacco, ma il Consiglio d'Europa, a quanto risulta agli interroganti avrebbe già provveduto su richiesta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ad elaborare un nuovo Memorandum, pervenuto il 13 ottobre 2016, che cancella ogni onere per lo Stato –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere al fine di concedere il distacco alla professoressa Gavazzi consentendole in tal modo di avviare finalmente il suo prestigioso incarico presso il Consiglio d'Europa. (5-09866)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Foodora GmbH è un'impresa tedesca con sede a Berlino, presente in 10 Paesi, che si occupa di consegnare a domicilio i pasti, previa ordinazione e pagamento via internet, dei ristoranti che aderiscono al servizio. In Italia da un anno il servizio è attivo a Milano e Torino, dove i pasti vengono recapitati con un corriere in bicicletta;
   Foodora con una startup del valore complessivo di 3 miliardi di dollari è leader del « take away digitale», settore che vale 400 milioni con trend di crescita del 50 per cento;
   nei primi mesi Foodora aveva offerto ai « rider» un contratto con una paga oraria di 5 euro lordi, per poi passare ad una retribuzione a cottimo;
   i fattorini in bicicletta vengono pagati 2,70 euro a consegna effettuata, mentre la percentuale che viene chiesta al ristoratore dall'azienda è del 30 per cento sul valore dell'ordine, oltre al costo fisso di consegna di 2,90 euro;
   dall'inizio del mese di ottobre i « rider» protestano chiedendo l'abolizione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa con retribuzione a cottimo e, per ottenere dall'azienda un part-time orizzontale con un minimo di 20 ore, una paga oraria fissa 7,50 netti e un bonus per il numero di ordinazioni consegnate;
   il 13 ottobre 2016 la startup tedesca ha proposto un aumento della retribuzione di 1 euro a consegna senza però rinunciare al cottimo, promettendo di accelerare l'introduzione delle convenzione per la manutenzione della biciclette e una riorganizzazione della comunicazione per la gestione dei problemi operativi, introducendo un nuovo sistema di messaggistica dedicato;
   lo staff di Foodora, nella newsletter dei collaboratori in bicicletta, risponde così alle proteste dei rider: «Abbiamo lavorato per cercare di soddisfare quella parte di richieste che ad oggi sono sostenibili senza pregiudicare la possibilità di sviluppo della nostra attività», come riportato anche in un articolo pubblicato sul quotidiano « La Stampa Torino» del 14 ottobre 2016;
   le proposte della società Foodora non bastano a placare le proteste dei lavoratori, i quali fanno dell'abolizione della collaborazione coordinata e continuativa e del cottimo punti imprescindibili della loro battaglia;
   nonostante nel decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il quarto decreto attuativo del Jobs Act, i cosiddetti contratti di collaborazione coordinata e continuativa siano stati aboliti, attraverso l'abrogazione degli articoli dal 61 al 69 del decreto legislativo n. 276 del 2003, si è provveduto all'eliminazione congiunta dell'articolo 63 della legge n. 92 del 2012, recante la cosiddetta «Riforma Fornero», in cui si stabiliva che il compenso dei cosiddetti contratti di collaborazione coordinata e continuativa non poteva essere inferiore alle retribuzioni minime previste dai CCNL applicati nel settore ai lavoratori subordinati con mansioni equiparabili alle prestazioni relatrici ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere al più presto, per quanto di competenza, un tavolo di lavoro con la società Foodora e i rappresentanti dei lavoratori, per studiare una tipologia di contratto a «monte ore garantito», un contratto di somministrazione che preveda un minimo di ore garantite da distribuire nella settimana a seconda dei picchi di lavoro, o in alternativa un contratto che tuteli i «rider» garantendo loro condizioni economiche dignitose e adeguate tutele da possibili forme di sfruttamento. (5-09863)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


  SANDRA SAVINO, MILANATO, ALBERTO GIORGETTI e RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in alcune regioni del Nord si registra una situazione di emergenza dovuta all'invasione di cimici asiatiche, insetto particolarmente infestante, il cui nome scientifico è halyomorpha halys, proveniente da Cina, Giappone, Taiwan e Corea;
   la cimice asiatica è un insetto polifago, attacca qualsiasi tipo di raccolto tra luglio e settembre e, non avendo antagonisti naturali nel territorio, si moltiplica velocemente deponendo le uova anche due volte l'anno; inoltre, da adulto è in grado di volare per lunghe distanze alla ricerca del cibo e sverna come adulto in edifici o in cassette e anfratti riparati;
   a questi fattori si aggiunge la temperatura di questo autunno, particolarmente caldo, che favorisce la loro diffusione e sopravvivenza; questi insetti non resistono ad una temperatura inferiore ai 10 gradi;
   con l'abbassarsi della temperatura si avvicina alle case alla ricerca del caldo, determinando grandi disagi alla popolazione che è costretta a tenere porte e finestre chiuse per evitare di ritrovarsi i muri delle case ricoperti di milioni di esemplari di queste cimici;
   le cimici, come già successo con le cosiddette zanzare tigri, sono giunte in Italia seguendo le rotte commerciali, in imballaggi di cartone o contenitori di legno, o attraverso i trasporti passeggeri;
   questi insetti costituiscono un grave pericolo per la tenuta del tessuto agricolo locale, sia per la frutticoltura che per l'orticoltura, ma non rappresenterebbe direttamente un pericolo per la salute degli esseri umani e degli animali;
   le prime segnalazioni delle cimici asiatiche sono state raccolte qualche anno fa, nel 2012, in Emilia-Romagna, ma in questi giorni il fenomeno ha raggiunto dimensioni estremamente preoccupanti, soprattutto nelle campagne di Friuli Venezia Giulia e Veneto;
   la cimice asiatica rappresenta soltanto l'ultimo in ordine temporale dei parassiti inediti arrivati in Italia: dalla popillia japonica alla drosophila suzukii, dal dryocosmus kuriphilus alla xylella sono solo alcuni esempi di nuove specie che hanno provocato danni all'agricoltura nazionale per cifre molto ingenti –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di arginare la situazione di emergenza determinata dall'invasione della cimice asiatica, per tutelare i cittadini e salvaguardare l'economia del settore ortofrutticolo delle zone interessate ed evitare che anche in questo caso ci si trovi ad affrontare situazioni estreme, come già successo nel caso di altri parassiti infestanti giunti da oltre confine. (3-02579)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI e MICILLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 ottobre 2016 la trasmissione «Le iene» ha mostrato l'intervista al direttore della sanità veneta Domenico Mantoan, che ha rassicurato la popolazione esposta ai PFAS in merito ai danni da tali sostanze. In realtà, in molte dichiarazioni di stampa Mantoan si è detto preoccupato per avere una concentrazione di PFAS nel sangue superiore a 250 ng/g di sangue contro i 4 considerati il limite di sicurezza; 
   nell'articolo comparso su Il Mattino Mantoan sostiene: «I Pfas vengono eliminati naturalmente dall'organismo nel giro di 4-5 anni — spiega Mantoan — ora stiamo vagliando la possibilità di accelerarne l'espulsione attraverso la plasmaferesi, la ripulitura del plasma dai corpuscoli estranei. Mi offrirò come cavia per l'esperimento»;
   non risultano i risultati di tale procedura sul direttore né su altri soggetti. Appare in ogni caso più logica una procedura del genere, piuttosto che prelievi e osservazioni protratte e molto costose che Mantoan definisce un'operazione dai costi elevati e tuttora non prevedibili: «per il primo anno — dice Mantoan — ipotizziamo una spesa di circa 15 milioni». La metà delle 250 mila persone sotto osservazione ha subito un'esposizione «importante»;
   il direttore Mantoan da un lato rassicura i cittadini, dall'altro ha manifestato disponibilità a farsi praticare la plasmaferesi;
   lo stabilimento Miteni di Trissino continua a produrre i PFAS, interferenti endocrini e cancerogeni in classe 2 B, sostanze potenzialmente responsabili dell'incremento di mortalità (1000 decessi in più rispetto alle aree non esposte) e di morbilità (ictus cerebrali pressoché raddoppiati nelle aree esposte rispetto alla media regionale);
   dal Governo non è arrivato lo «stop» alla produzione di PFAS né lo «stop» all'esportazione degli stessi in altre regioni; sicuramente enormi quantità sono arrivate in Lombardia, 10 grammi di PFOS e 1 chilogrammo totale di PFAS a Castiglione delle Stiviere (MN) con i percolati della discarica di San Martino B.A. nel secondo trimestre 2016 (si veda l'interrogazione Zolezzi n. 4-14574). Il limite di sicurezza per il PFOS è di 30 ng/litro, un milione di volte inferiore in valor assoluto;
   la regione Veneto avrebbe potuto imporre i limiti di PFAS gli scarichi e nelle acque potabili contenuti nel documento dell'ISS del 2013, ma ciò non è avvenuto;
   i cittadini sono stati esposti e lo sono ancora, a un rischio importante in via di precisazione. Non è stato ancora stabilito un protocollo terapeutico per questo avvelenamento. In particolare, non è stata esplorata la possibilità dell'esecuzione di cicli di plasmaferesi per le persone contaminate. Tali cicli sono piuttosto costosi, circa 500 euro ciascuno; ipotizzando la necessità di 5 cicli a persona si può stimare una spesa superiore a 2500 euro e un impegno di personale importante. La regione Veneto ha il compito di stabilire, interfacciandosi con il Ministero della salute, se tale procedura è necessaria per i cittadini avvelenati, evitando a giudizio degli interroganti procedure ad personam. La spesa ipotizzabile solo per l'esecuzione di questa procedura, superiore al mezzo miliardo di euro, dà l'idea della gravità dell'inquinamento da PFAS e dell'inaccettabile prosecuzione della produzione di PFAS da parte della Miteni. I PFAS prodotti attualmente sono analoghi a quelli prodotti fino al 2011, la differenza sta solo nella maggiore idrosolubilità (si diffondono nell'ambiente molto più velocemente e non sono filtrabili) e nella minore persistenza, ma in organismi già avvelenati, come quelli dei 300.000 cittadini veneti, vanno a costituire un danno sanitario sommatorio –:
   se il Ministro della salute intenda assumere iniziative affinché, in collaborazione con la regione Veneto, possano essere pubblicati i dati relativi al trattamento con plasmaferesi del direttore Mantoan e di altri soggetti, per ridurre il danno sanitario e il rischio di patologie da PFAS, nonché se intenda approfondire, per quanto di competenza, il ricorso a tale procedura da parte di cittadini veneti;
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per procedere alla sollecita chiusura degli impianti che producono PFAF e alla verifica produttiva degli stabilimenti che utilizzino matrici a base di PFAS. (5-09868)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   una ricerca del Censis commissionata dalla società privata Rbm Assicurazione Salute rivela che nel 2016 gli italiani che hanno rinunciato alle cure a causa di difficoltà economiche sono 11 milioni, due milioni in più rispetto al 2012. La rinuncia riguarda soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Chi può spesso preferisce rivolgersi ai privati a causa dei tempi troppo lunghi delle liste di attesa;
   in Italia la spesa per la sanità privata è arrivata a 34,5 miliardi di euro: un incremento del 3,2 per cento nel periodo 2013-2015. Il 45,4 per cento dei cittadini che si sono rivolti al settore privato ha pagato tariffe uguali o di poco superiori al ticket che avrebbe pagato nel pubblico. Ma dalla ricerca Censis emerge un dato su tutti: il 72,6 per cento delle persone che ha scelto di rivolgersi alla sanità privata lo ha fatto a causa dei tempi delle liste d'attesa del servizio sanitario pubblico, definite paradigma delle difficoltà del servizio pubblico e il moltiplicatore della forza d'attrazione della sanità a pagamento;
   stando ai dati raccolti dai tribunali per i diritti del malato di Cittadinanzattiva «fra gli oltre 26 mila che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato nel 2015, un cittadino su quattro, lamenta difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie» di cui oltre il 58 per cento per le liste di attesa ed il 31 per cento per il costo del ticket. Quanto alle Marche, dalla stessa indagine emerge che nell'ultimo anno un marchigiano su dieci ha rinunciato alle cure (10,5 per cento) mentre in Italia hanno registrato risultati peggiori solo la Campania (14,1 per cento) e la Puglia (12,5 per cento), su una media nazionale del 7,2 per cento;
   i tempi d'attesa sono il problema più grave per i marchigiani. Per una analisi come una risonanza magnetica al cervello si devono aspettare trecentonovantanove giorni. Per una visita ginecologica a Urbino più di settecentocinquanta giorni, mentre a Pesaro novantuno giorni; per una visita cardiologica sempre a Urbino occorrono trecentonovanta giorni, a Pesaro trecentosessanta, a Fano trecentotrenta; per una colonscopia nella stessa Urbino, senza priorità, passano quattrocentoventisette giorni tra la chiamata e l'appuntamento, mentre negli altri due ospedali principali della provincia si aspettano più di settecentocinquanta giorni;
   l'intramoenia è diventato una corsia preferenziale. Spesso sono gli stessi operatori del centro di prenotazioni unico regionale a consigliare la via della visita privata: «se si decide di seguire il loro consiglio, si attende in linea e dopo un minuto al massimo risponde un altro call center che prenota i controlli in pochi giorni. A farli sono gli stessi medici del servizio sanitario nazionale che fanno anche attività da privati dentro gli ambulatori»;
   pagando di più, nelle stesse strutture pubbliche, si può fare la stessa visita, con gli stessi medici interni all'ospedale in tempi più brevi. L'attività intramoenia è tuttavia poco remunerativa per l'azienda ospedaliera perché, pur mettendo a disposizione del professionista macchinari e strumenti della sanità pubblica, su 100 euro pagati dal cliente, 70 vanno al medico a titolo di compenso, mentre dei restanti 30 l'ospedale ne incassa solo tra i 15 e i 20;
   anche quanto alla trasparenza delle liste di attesa, le Marche sono carenti: secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, solo un quarto delle aziende sanitarie marchigiane rispetta la legge che obbliga alla pubblicazione online delle liste e, per questo, le Marche sono «maglia nera» d'Italia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare iniziative per definire una disciplina uniforme per tutto il territorio nazionale che stabilisca tempi certi nella erogazione delle prestazioni sanitarie, agganciando la valutazione della performance dei manager della sanità anche al rispetto della tempistica, prevedendo la sospensione della attività intramoenia nel caso di mancata osservanza della stessa tempistica. (5-09870)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ospedale San Gennaro dei Poveri, il cui impianto risale al XVI secolo, è situato nel centro storico di Napoli, nel rione Sanità;
   in questi giorni, sui principali quotidiani cittadini sono apparse notizie di una vera e propria mobilitazione popolare contro la paventata chiusura della struttura, dovuta alle decisioni del commissario di Governo per la sanità;
   il presidente della regione Campania ha pubblicamente dichiarato la propria contrarietà a tale ipotesi, senza tuttavia produrre alcuna azione concreta che vada oltre quello che, a giudizio dell'interrogante, si configura come pura e demagogica propaganda politica;
   il rischio è quello di un vero e proprio smantellamento dell'ospedale, con la chiusura dei reparti di ematologia ed oncologia ed ortopedia, dopo quelli di ostetricia e ginecologia e del pronto soccorso avvenuti negli ultimi anni, portando alla chiusura definitiva una struttura ospedaliera si antica ma strategica per l'intero territorio;
   con deliberazione del 20 marzo 2007, n. 460, la giunta regionale della Campania approvò il piano di rientro dal disavanzo e di riqualificazione e razionalizzazione del servizio sanitario nazionale ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311;
   in data 24 luglio 2009 la regione Campania è stata sottoposta a commissariamento, a norma del decreto-legge n. 159 del 2007;
   il presidente della Campania, nominato commissario ad acta per il piano di rientro con la delibera del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 2010, ha disposto di procedere al «riassetto della rete ospedaliera e territoriale con adeguati interventi per la dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi non in grado di assicurare adeguati profili di efficienza e di efficacia»;
   i reparti di oncoematologia, riabilitazione cardiologica, endocrinologia, diabetologia, nutrizione artificiale domiciliare e quelli di degenza ordinari, fanno della struttura un importante punto di riferimento non solo sanitario per un territorio, quale è quello del rione sanità, che presenta gravi problemi sociali e ha visto negli ultimissimi giorni verificarsi episodi di violenza, dovuta, come da più parti denunciato, all'assenza delle istituzioni;
   il quartiere si è mobilitato attraverso le associazioni di cittadini per scongiurare la chiusura del presidio sanitario che, oltre a raccogliere un bacino d'utenza di circa centomila persone, rappresenta un ultimo baluardo di legalità;
   nel piano regionale di programmazione della rete ospedaliera per gli anni 2016-2018, approvato con decreto del commissario ad acta 17 maggio 2016, n. 33, si afferma che il problema strutturale dell'emergenza in città sarà alleviato mediante la prossima apertura dell'Ospedale del Mare, che dovrebbe accorpare il San Gennaro e altre tre strutture, previa una fase transitoria di rimodulazione dei presidi oggetto dell'accorpamento, e che il S. Gennaro, disattivato quale presidio ospedaliero, dovrebbe diventare una struttura ad indirizzo riabilitativo;
   secondo le organizzazioni sindacali la repentina chiusura dei reparti, nonostante l'ospedale del Mare non sia ancora terminato e i tempi di programmazione del nuovo presidio sanitario non garantiscano un'adeguata assistenza sanitaria ai cittadini napoletani, costituisce un grave vulnus nel diritto alla salute –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
   quali siano stati i criteri seguiti e quali eventuali osservazioni di competenza siano state formulate sulle decisioni di riorganizzazione della rete sanitaria in Campania da parte dei rappresentanti del Governo, con particolare riferimento a quanto esposto in premessa;
   come il Governo intenda attivarsi, per quanto di competenza, per monitorare i servizi sanitari regionali, ivi incluso quello della regione Campania, e se sia stata verificata l'adeguatezza complessiva dello stato di approntamento ordinario e straordinario rispetto alla ridefinizione degli standard di servizio;
   se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria, tenendo conto che un presidio sanitario è più necessario di un polo di ricezione turistica e facendo salvo il diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della Costituzione. (4-14622)


   IMPEGNO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per effetto del decreto legislativo 81 del 2015, di attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, il cosiddetto «Jobs Act», i circa 3.500 lavoratori a progetto degli Irccs (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) pubblici italiani dovranno cambiare le proprie forme contrattuali perché i contratti flessibili (i cosiddetti «contratti di collaborazione a progetto», le borse di studio, gli assegni di ricerca, e altro), con i quali sono stati fino ad ora arruolati, per l'interrogante al limite dell’«abuso», non saranno più possibili dal 1o gennaio 2017 per gli enti pubblici;
   il Ministero della salute, per far fronte alle predette criticità, nel corso del 2016, ha avviato un censimento delle forme di lavoro presenti nei diversi Istituti, coinvolgendo sia le direzioni scientifiche dei diversi Irccs, che le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, con la finalità di gestire il nuovo assetto organizzativo conseguente alla riforma del lavoro, procedendo all'istituzionalizzazione dei contratti delle figure professionali che svolgono attività di ricerca e di supporto alla ricerca mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato;
   le ottime intenzioni del Ministero della salute, tuttavia, ad oggi non hanno dato vita a nessun intervento programmatico e nessun finanziamento è stato messo in campo per rendere operativo il disegno di riforma proposto dallo stesso Ministero;
   l'istituto nazionale tumori «Giovanni Pascale» di Napoli, ad esempio, rischia la totale paralisi delle proprie attività, a causa della prossima scadenza dei contratti di lavoro a progetto e/o coordinata e continuativa, che sono di fatto finalizzati sia al supporto delle attività assistenziali, che a quelle di ricerca nell'unico Irccs pubblico della regione Campania. In questo istituto, i collaboratori a progetto sono circa 300 e circa 70 altri collaboratori, tra medici, biologi, tecnici, infermieri e personale amministrativo, che vedranno scadere il proprio contratto e rapporto con l'istituto, entro il 31 dicembre 2016. Successivamente, nei primi mesi del 2017, ulteriori 100 unità subiranno la medesima sorte –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi circa i risultati del censimento di cui in premessa e circa le linee guida per la futura disciplina del lavoro negli istituti di ricerca; quali iniziative urgenti di competenza intenda inoltre adottare al fine di evitare che le attività di ricerca medica nel 2017 risultino compromesse nei principali istituti italiani.
(4-14624)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TENTORI, BONACCORSI, DALLAI, SCUVERA, GALGANO, CAMANI, BRUNO BOSSIO, CARROZZA, BARBANTI, CATALANO, MENORELLO, BONOMO, COPPOLA, CRISTIAN IANNUZZI, MARZANO e ALBINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa del verificarsi di situazioni anomale in merito alla vendita di biglietti per concerti ed eventi attraverso piattaforme digitali, l'ultima delle quali relativa all'acquisto on line dei biglietti per il concerto dei Coldplay in programma a Milano presso lo stadio di San Siro il 3 e 4 luglio 2017 tramite il sito del rivenditore ufficiale www.ticketone.it;
   le associazioni dei consumatori in merito a tale eventi hanno segnalato che durante la vendita on line, aperta per il concerto del 3 luglio in prevendita in data 6 ottobre 2016, per i titolari di carta America Express e per gli iscritti a Live Nation e al pubblico in generale, in data 7 ottobre 2016, a partire dalle ore 10.00, tutti i biglietti disponibili sono risultati esauriti nel giro di pochi minuti, durante tutta la fase di scelta e acquisto del biglietto, il sito presentava enormi difficoltà di accesso e navigazione;
   si apprende da organi di stampa e da segnalazioni delle associazioni dei consumatori che già dopo qualche minuto dalla messa online della prevendita, i tagliandi erano disponibili a cifre esorbitanti sul mercato parallelo dei siti non ufficiali facendo, nel migliore dei casi, triplicare il prezzo del biglietto; 
   il quasi immediato sold-out dei biglietti sulle pagine del rivenditore ufficiale dopo l'apertura della vendita è una casistica ormai ricorrente e dunque i consumatori spesso non possono partecipare ai grandi eventi a causa di questa immediata e anomala indisponibilità dei tagliandi e alla contestuale rivendita a prezzi esorbitanti sul cosiddetto mercato secondario; 
   a seguito delle segnalazioni di pratica commerciale scorretta da parte dell'Unione nazionale consumatori e Altroconsumo, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deciso di avviare procedimenti istruttori nei confronti di Ticketone spa dei quattro principali operatori del mercato secondario in Italia con l'obiettivo di verificare eventuali violazioni del codice del consumo  –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa la possibile sussistenza di pratiche illegali di rivendita dei biglietti attraverso piattaforme digitali;
   se intenda assumere iniziative normative per impedire il ripetersi di suddette pratiche e per evitare che alcuni soggetti, attraverso l'utilizzo di specifici software, procedano all'acquisto massivo e quasi istantaneo di tutti i biglietti sul canale on line, ai danni dei consumatori. (5-09865)


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 giugno 2016 l'interrogante ha depositato l'interrogazione n. 4-13430 a risposta scritta, la terza fra interrogazioni a risposta scritta o in Commissione e ad oggi ancora senza risposta, su Piaggio Aerospace s.p.a. industria aeronautica leader nel mercato internazionale; Piaggio Aerospace è ad oggi, come riportato anche sul sito stesso dell'azienda, l'unica realtà del settore al mondo attiva sia nella progettazione e manutenzione sia di velivoli completi, per l'aviazione d'affari e per missioni pattugliamento sorveglianza e controllo (ISR) che nella costruzione di motori aeronautici e componenti strutturali;
   fra le domande che erano state poste ai Ministri interrogati, ve ne era una su come gli stessi intendano risolvere la situazione dei 1260 dipendenti Piaggio, in particolare quelli in cassa integrazione da ormai due anni e che non hanno avuto la benché minima garanzia sul rinnovo dell'ammortizzatore sociale oltre la scadenza naturale del 21 luglio 2016;
   come si apprende da un articolo pubblicato in data 12 settembre 2016 sulla testata www.genova24.it, si sta procedendo al licenziamento di 132 lavoratori Piaggio;
   nella risposta all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07985, sempre a prima firma dell'interrogante, il Governo confermava che «nel passato la società Piaggio ha ottenuto altri finanziamenti, così come noto agli interroganti, in base alla legge 808/85 (recante “Interventi per lo sviluppo e l'accrescimento di competitività delle industrie operanti nel settore aeronautico”) per altri progetti di ricerca e sviluppo (8 progetti), a partire dal 2004, per complessivi 91,4 milioni di euro di cui, finora, erogati circa 60 milioni» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano mettere in campo al fine di risolvere la situazione dell'annunciato licenziamento di 132 dipendenti Piaggio;
   se il Ministro dello sviluppo economico ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere l'impegno preso riguardo alla conferma a Piaggio Aero s.p.a. della dotazione complessiva delle risorse previste dalla legge n. 808 del 1985, considerati i finanziamenti pluriennali già incassati e tenuto conto che, dai fatti finora emersi, parrebbe emergere che la società non sia intenzionata a mantenere i propri impegni riguardo al mantenimento occupazionale e delle attività;
   se non sia opportuno convocare urgentemente un incontro con azienda e parti sociali al fine di capire meglio la situazione attuale e soprattutto le intenzioni attuali dell'azienda. (5-09869)


   CULOTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2016 veniva diramato, in maniera congiunta dai sindacati SLC-CGIL, FISTeL-CISL e UILCOM, un comunicato stampa dal titolo «Quando la cura è peggio della Malattia» dove veniva denunciato, nonostante l'allarme lanciato qualche giorno prima dalle segreterie nazionali, l'esito di un piano di « saving energetico» da parte di Tim che avrebbe portato allo spegnimento, per i mesi di luglio ed agosto 2016, di un quantitativo significativo di stazioni radio base sul territorio nazionale;
   nello specifico, pare che anche il territorio siciliano sia stato oggetto di questo piano progettuale. Nella fattispecie così riportava il comunicato: «Questa operazione, se da un lato porterà ad un risparmio sui costi dell'elettricità, dall'altro, metterà in seria crisi la qualità del servizio fino a creare zone totalmente disservite a vantaggio di Vodafone che è presente nei nostri stessi siti e degli altri competitors presenti sul mercato. La situazione diventa ancor più grave se si pensa di spegnere siti che danno la copertura radiomobile Tim in famose località turistiche della nostra isola»;
   in effetti, in Sicilia, nella provincia di Palermo nel territorio delle Madonie, soprattutto nei comuni del circondario di Pollina, dove la copertura era garantita solo ed esclusivamente da Tim, si sono registrati, a partire dal mese di luglio e con maggiore intensità nel mese di agosto 2016, problemi di ricezione con enormi disservizi dunque sulla popolazione residente e su quella turistica che raggiunge tali comuni nei mesi estivi, al punto da portare diversi utenti al cambio di gestore telefonico –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa;
   di quali elementi disponga circa le motivazioni di tali scelte e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, nel quadro del superamento del digital divide, per evitare che di fatto intere comunità rimangano isolate con le conseguenze di una impossibilità di comunicazione generalizzata anche con rischi per la sicurezza pubblica. (5-09879)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Berco spa un'azienda fondata da Vezio Bertoni nel 1918 a Copparo, in provincia di Ferrara, come piccola impresa di riparazioni di macchine agricole, arrivando ad acquistare poi nel tempo sempre maggiore importanza nel proprio territorio ed espandendosi così oltre i confini provinciali di Ferrara e dell'Emilia-Romagna;
   il 7 ottobre 2016 i vertici aziendali hanno comunicato l'avvio della procedura di mobilità relativa a 365 esuberi, 331 nella stabilimento copparese e i restanti 34 a Castel Franco Veneto;
   negli ultimi sei anni Berco spa ha contato 1.300 licenziamenti, considerando anche i 365 esuberi del 2016. Si tratta di una situazione molto grave per tutto il territorio coinvolto;
   il 18 ottobre 2016, si è riunito, presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo tecnico, alla presenza dei rappresentanti dei lavoratori e dei vertici aziendali; nel corso dell'incontro si è chiesto di bloccare la procedura di mobilità e di trovare una soluzione che scongiurasse i licenziamenti, ma da parte dell'azienda non si è evidenziata alcuna apertura al riguardo;
   per istituzioni e sindacati, intervenuti al Ministero dello sviluppo economico, l'azienda non ha chiarito le ragioni dell'avvio della procedura di mobilità per 331 lavoratori dello stabilimento di Copparo e per 34 di quello di Castelfranco Veneto, oltre ai motivi del mancato raggiungimento degli obiettivi posti tre anni fa a seguito dell'accordo siglato l'8 agosto del 2013, che già aveva imposto pesanti sacrifici ai lavoratori;
   l'assessore alle attività produttive dell'Emilia-Romagna Palma Costi ha sottolineato: «I generici riferimenti alla crisi del mercato internazionale e alla elevata concorrenza non sono bastati per farci condividere la lettura della situazione. Le istituzioni e i sindacati hanno chiesto all'azienda di ritirare la mobilità, in modo da consentire alle parti un vero confronto per ricercare un piano di rilancio della Berco che possa garantire all'azienda un futuro. Al tavolo l'azienda ha rifiutato la richiesta fatta ufficialmente dalla viceministro Bellanova creando un clima difficile per la prosecuzione della trattativa, ma continueremo a fare la nostra parte. Siamo convinti che se l'azienda vuole superare l'attuale situazione e trovare le condizioni per un rilancio imprenditoriale, potrà farlo solo con la condivisione delle rappresentanze dei lavoratori e con il sostegno delle istituzioni.»;
   il segretario Uil Paolo Da Lan ha dichiarato: «la situazione è grave e bisogna trovare una soluzione che non vada ad incidere sul futuro dei dipendenti in modo negativo. Tutto questo è uno schiaffo alla comunità, preparato e studiato mesi fa. Una vicenda che colpisce tutto il territorio. Ancor più grave è che l'azienda ha perso la fiducia dei dipendenti che sono stati traditi –:
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di scongiurare il licenziamento di quasi quattrocento lavoratori e, al contempo, per promuovere un piano di rilancio che possa garantire la continuità aziendale in un lungo periodo. (4-14627)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Schirò, Lenzi, Benamati, Palese, Bolognesi.

  La mozione Dadone e altri n. 1-01401, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Colonnese, Lorefice.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Albini n. 5-09103, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Becattini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palese n. 1-01403, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 697 del 24 ottobre 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come fondamentale diritto – dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
    con la legge n. 833 del 1978 è stato istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn) in attuazione di quanto disposto dal dettato costituzionale;
    il Servizio sanitario nazionale ha come principio fondante l'accesso universalistico delle prestazione sanitarie;
    l'articolo 117 della Costituzione, lettera m) attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
    il medesimo articolo 117 della Costituzione stabilisce che la tutela della salute appartiene alla cosiddetta legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni;
    con il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992: «Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, riguardante deleghe al Governo per la razionalizzazione e le revisioni delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», venne sancita la gestione aziendale del Servizio sanitario nazionale, con conseguente finanziamento di tutte le prestazioni erogate dal Ssn a totale carico dello Stato;
    il decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999 apporta varie modifiche al decreto legislativo n. 502 del 1992 tra cui quella riguardante le prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza che non sono più finanziate da sole risorse pubbliche ed interamente a titolo gratuito ma: «a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente». Praticamente in tal modo si da vita all'introduzione dei ticket;
    a partire dal 1o gennaio 2001 è stato soppresso il vincolo di destinazione del Fondo sanitario nazionale e conseguentemente i vincoli di destinazione dei fondi sanitari regionali, dando così avvio all'obbligo da parte delle regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione annuale quasi sempre realizzati attraverso l'aumento delle addizionali regionali (Irpef, Irap, accise sui carburanti);
    la spesa sanitaria rappresenta oltre l'80 per cento dei bilanci delle regioni;
   la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, unitamente alla modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del fondo sanitario tra le regioni determinata dal comma 3h) dell'articolo 1 della legge n. 662 del 1996, hanno determinato la nascita di 21 sistemi sanitari diversi nel nostro Paese;
    in particolare, la modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del Fondo sanitario nazionale ha comportato che tra due regioni a parità di abitanti si realizzasse, mediamente, una differenza di assegnazione di risorse per la sanità di 400 miliardi di euro. Così si inizia a dare vita ad una sanità di «serie a» e ad una di «serie b» nel nostro Paese;
    va constatato il fallimento dell'aziendalizzazione, inoltre, si rilevano il continuo riscontro di fenomeni sempre più frequenti di scandali e corruzione, la totale assenza di attuazione di misure anticorruzione;
    il presidente dell'Anac Raffaele Cantone è intervenuto più volte per denunciare fenomeni di pessima gestione in tale contesto (proroghe, corruzione dilagante, acquisti senza gare d'appalto, sprechi, e altro);
    le cronache ci consegnano giornalmente disservizi di ogni genere, casi di malasanità con morti soprattutto nelle regioni del sud che, per loro inadempienza, non sono riuscite ad utilizzare le risorse messe a disposizione dallo Stato per l'edilizia sanitaria e per l'innovazione tecnologica;
    si riscontra una mobilità passiva sempre più crescente da sud a nord, tanto da poter affermare che il Servizio sanitario di diverse regioni del nord si finanzia con significative risorse delle regioni del sud;
    le pessime gestioni da parte di molte regioni hanno provocato una massiccia introduzione di superticket su tutta le prestazioni prorogate dal Servizio sanitario nazionale;
    si rilevano inoltre aumenti dei farmaci al punto che molti cittadini pur avendo necessità di curarsi non possono più farlo a causa della mancanza delle risorse economiche necessarie;
    pertanto risulta essere compromesso sia il rispetto dell'articolo 32 della Costituzione e sia il principio dell'accesso universalistico delle prestazioni sanitarie;
    in molte regioni i distretti socio-sanitari risultano istituiti solo sulla carta poiché non erogano le necessarie prestazioni sanitarie e sociali;
    si riscontra il mancato potenziamento della medicina territoriale;
   i consultori familiari in molte regioni del sud risultano sprovvisti delle attrezzature per un corretto funzionamento;
    in molte Asl, l'acquisizione di dispositivi medici avviene senza espletamento di regolari gare di appalto;
    molti servizi (di ristorazione – pulizia – guardiania – lavanderia) sono in moltissime Asl in regime di proroga, mediamente da oltre 10 anni;
    la gestione del personale, dal punto di vista organizzativo e funzionale, risulta essere fortemente carente in molte regioni, con la conseguente creazione di precariato sempre più crescente,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per potenziare l'assistenza territoriale, le reti di poliambulatori collegati in rete con gli ospedali e nuove modalità organizzative funzionali, in modo da poter erogare le prestazioni sanitarie necessarie nell'arco delle 24 ore;
2) a garantire livelli essenziali di assistenza in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
3) a modificare, d'intesa con il sistema delle regioni, i criteri ed i pesi attualmente individuati ed utilizzati per il riparto tra le regioni del fondo sanitario nazionale, in modo da avere una distribuzione più equa dello stesso fondo;
4) ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alle non autosufficienze;
5) a valutare l'opportunità di individuare, d'intesa con le regioni, un nuovo modello per l'erogazione delle prestazioni di assistenza domiciliare per le persone affette da grave disabilità;
6) ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, istituito con la legge di stabilità 2015;
7) a consentire l'utilizzo di farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite c ai pazienti che ne risultano essere affetti;
8) a valutare l'opportunità, d'intesa con le regioni, di abolire il «superticket» per le prestazioni specialistiche di pronto soccorso;
9) a considerare, d'intesa con le regioni, l'opportunità di assumere iniziative per rafforzare i controlli circa l'appropriatezza e la qualità delle prestazioni, nonché i sistemi di affidamento degli appalti relativi all'acquisizione dei servizi socio-sanitari al fine di garantire la trasparenza, l'efficacia e l'economicità delle scelte;
10) ad assumere le iniziative di competenza per prevedere un meccanismo sanzionatorio nei confronti delle regioni che non hanno provveduto all'adozione degli strumenti organizzativi funzionali previsti dall'Anac per prevenire la corruzione nelle Asl.
(1-01403) «Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Dadone n. 5-09177 del 14 luglio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-09858 del 21 ottobre 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Nastri n. 4-14593 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 696 del 21 ottobre 2016. Alla pagina 42181, prima colonna, alla riga decima deve leggersi: «comune di 7 mila abitanti della provincia del» e non come stampato.

  Mozione Grillo e altri n. 1-01398 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 697 del 24 ottobre 2016. Alla pagina 42214, seconda colonna, alla riga quattordicesima e alla riga quarantaquattresima, sostituire «2015» con «2014».