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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 24 ottobre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di dicembre 2012, nel corso di una conferenza stampa, l'allora Ministro della salute Renato Balduzzi ha documentato, con slide esplicative, il progressivo definanziamento del servizio sanitario nazionale che negli anni intercorsi tra il 2012 e il 2015 ha portato ad una riduzione di circa 25 miliardi di euro;
    le successive note di aggiornamento al documento di economia e finanza hanno confermato il trend di definanziamento del servizio sanitario nazionale ed infatti, già nel 2013, questo Governo prevedeva una riduzione progressiva dell'incidenza della spesa sanitaria sul prodotto interno lordo, dal 7,1 per cento al 6,7 per cento, stime di riduzione di spesa che sono state confermate con le successive note di aggiornamento al documento di economia e finanza fino ad arrivare all'ultimo documento di economia e finanza del 2016 dove si stima che nel triennio 2017-2019 il rapporto tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo decrescerà dello 0,1 per cento all'anno, per arrivare nel 2019 al 6,5 per cento;
    il decrescere dell'incidenza sul prodotto interno lordo è un elemento inquietante perché si traduce in «meno salute» e si pone al di sotto della media dei Paesi OCSE e al di sotto dell'accettabilità, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e l'efficacia dell'assistenza sanitaria e sull'aspettativa di vita, che già studi e ricerche hanno documentato in recentissimi e accreditati rapporti (rapporto Osserva salute dell'anno 2015 e rapporto Istat 2016);
    le stime di spesa annunciate nei diversi documenti di economia e finanza sono state puntualmente corroborate dalle misure finanziarie introdotte nelle leggi di stabilità che hanno concretamente ridotto il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, peggiorando ulteriormente le stime di spesa già decrescenti e sconfessando le risorse stabilite dal patto per la salute 2014-2016 per il finanziamento del fondo sanitario nazionale e fissate in 109,928 miliardi di euro per il 2014, in 112,062 per il 2015 e in 115,444 per il 2016;
    dunque, se la legge di stabilità 2014 ha ridotto il fondo sanitario nazionale di 1 miliardo e 150 milioni la successiva legge di stabilità del 2015, pur non prevedendo riduzioni dirette del livello di finanziamento del fondo sanitario nazionale, ha determinato una riduzione indiretta del finanziamento del servizio sanitario regionale, anche più rilevante, prevedendo che le regioni contribuissero alla finanza pubblica per circa 4 miliardi di euro, come successivamente concordati in sede di Conferenza Stato-regioni nel mese di luglio 2015 ove si è raggiunta l'intesa per un taglio alla sanità di 2 miliardi e 352 milioni di euro per il 2015 e il 2016;
    il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, in attuazione anche dell'intesa Stato-regioni del luglio 2015, ha quindi stabilito che il livello del finanziamento del servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è ridotto dell'importo di 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015;
    la legge di stabilità 2016 ha operato un ulteriore taglio alla sanità per 1 miliardo e 800 milioni di euro, fissando in 111 miliardi di euro il finanziamento per il 2016, comprensivi di 800 milioni di euro da destinare ai nuovi livelli essenziali di assistenza che, come noto, non sono stati ancora introdotti;
    l'effetto dei tagli sul livello di finanziamento previsto dal patto salute 2014-2016 sono pertanto i seguenti:
     anno 2015: scende da 112,062 a 109,715 miliardi di euro (112,062 - 2,352 miliardi = 109,710);
     anno 2016: scende da 115,444 a 111,097 miliardi di euro (115,444 - 2,352 miliardi - 1,800 miliardi = 111,092);
    nel documento di economia e finanza 2016 si è cristallizzata l'ulteriore previsione di riduzione della spesa pubblica in sanità nella misura corrispondente alle risultanze dell'accordo Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, ove si prevede, a carico del servizio sanitario nazionale, quanto stabilito dalla legge di stabilità 2016 la quale al comma 680 ha disposto tagli per: 3.980 milioni per il 2017 e 5.480 milioni per il 2018 e 2019, quale contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica, tagli che si sommano a quelli previsti nel medesimo accordo Stato-regioni di 100 milioni per la prevenzione e gestione del rischio sanitario e di 280 milioni di euro agli investimenti in edilizia sanitaria;
    i dati del «Rapporto Osserva salute 2015», pubblicato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, delineano un quadro allarmante sullo stato di salute del Paese e, per la prima volta nella storia, l'aspettativa di vita degli italiani è in calo, ciò come diretta conseguenza di una riduzione della prevenzione; emerge un quadro dove i cittadini sono meno attenti alla salute, aumenta il consumo di alcol e aumenta l'obesità e la copertura vaccinale, anche per le profilassi obbligatorie, è inferiore agli obiettivi minimi stabiliti; gli anziani rinunciano a vaccinarsi contro le influenze (si è passati dal 64 per cento al 49 per cento); aumenta l'incidenza delle patologie, in specie di quelle tumorali e anche per quei tumori ove la prevenzione si è dimostrata altamente efficace (come ad esempio i tumori al seno); inquietanti sono infine i dati relativi all'aumento consistente della mortalità che rilevano per l'anno 2015 54.000 morti in più;
    anche il «rapporto Osserva salute 2015» conferma la diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla salute dei cittadini e soprattutto delle risorse per la prevenzione alla quale è destinata l'irrisoria percentuale del 4,1 per cento del totale della spesa sanitaria; ugualmente si conferma la drastica riduzione delle spese per il personale sanitario;
    alla sottrazione delle risorse economiche si aggiunge la grave e perdurante sottrazione delle risorse umane, attraverso il blocco del turnover e attraverso altre misure di contenimento della spesa sul personale che hanno generato un aumento dell'età media dei dipendenti, un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale (nonostante la direttiva europea – recepita con legge n. 161 del 2015 entrata in vigore dal 25 novembre 2015 ed ancora inapplicata – abbia imposto all'Italia di adeguare l'orario di lavoro anche del personale sanitario), nonché una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di lavoro flessibile e precario anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione), determinando un progressivo indebolimento della sanità pubblica che in tal maniera e in queste condizioni emergenziali non è più in grado di rispondere ai bisogni della popolazione, con un conseguente aumento delle liste di attesa e limitazioni dell'offerta di cura e assistenza, soprattutto nella componente socio-sanitaria;
    con l'approvazione di una mozione del M5S il Governo si era impegnato allo sblocco del turnover e all'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario ed anche con la legge di stabilità 2016 si era condivisa la necessità di porre in essere procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico sulla base delle valutazioni dei fabbisogni regionali, in particolare per l'applicazione della già citata legge dello Stato n. 161 del 2015, impegni che allo stato attuale non risultano essere stati rispettati nonostante continue e ripetute giustificazioni avanzate nel corso delle diverse interrogazioni parlamentari che ne chiedevano conto;
    altro grave vulnus al servizio sanitario nazionale è stato inferto dal decreto ministeriale 9 dicembre 2015 sull'appropriatezza prescrittiva, introdotta dal decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, con il quale sono state individuate le condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza; questo ha significato collocare al di fuori delle condizioni di erogabilità numerose prestazioni (circa 203) che saranno pagate dai cittadini; il decreto, tuttora vigente, dovrebbe essere abrogato, almeno secondo quanto risulta dalla bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui livelli essenziali di assistenza che pur mantiene alcune condizioni di appropriatezza prescrittiva per talune prestazioni di specialistica ambulatoriale (circa 40); è chiaro ed evidente che con il meccanismo dell'appropriatezza prescrittiva o delle condizioni di erogabilità si è di fatto voluto spostare sui cittadini il costo di una parte delle prestazioni che erano garantite dal servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico;
    il documento di economia e finanza 2016 ha evidenziato altri due dati significativi: la riduzione del numero delle ricette, in misura pari al 2,3 per cento circa rispetto al 2014 e la crescita della quota di compartecipazione a carico dei cittadini (aumento dei ticket), con un incremento di circa l'1 per cento rispetto al 2014; tale correlazione di fattori (riduzione di ricette e aumento di ticket) sono il segnale drammatico della tendenza ad un minore ricorso alle cure da parte dei cittadini, in ragione di costi non più sostenibili sia del prezzo dei farmaci e delle prestazioni sanitarie e sia del livello di compartecipazione, elementi questi che testimoniano quanto e come siano i cittadini a pagare lo smantellamento di fatto del servizio sanitario pubblico, operato proprio attraverso la progressiva sottrazione di risorse umane ed economiche;
    quanto rilevato dal documento di economia e finanza 2016 in riferimento alla riduzione del numero delle ricette e all'aumento del ticket trova conferma nel 18o rapporto Pit salute «Sanità pubblica, accesso privato», elaborato dal Tribunale per i diritti del malato e cittadinanzattiva, laddove evidenzia che i cittadini sono oggi costretti a sacrificare la propria salute oppure sono costretti a rivolgersi al privato a causa dei tempi delle liste di attesa e del costo insostenibile dei ticket, elementi per l'appunto sintomatici della inaccessibilità al servizio pubblico sanitario e del suo smantellamento, tempi e costi insostenibili anche con riguardo a prestazioni ed esami di routine, come una semplice ecografia per la quale, secondo il rapporto citato, occorrono nove mesi di attesa anche per l'area oncologica; questi ostacoli costringono dunque ad un bivio: rinuncia o sanità privata, bivio che si dissolve in inevitabile rinuncia laddove il reddito delle famiglie è praticamente inesistente o non consente di rivolgersi al privato;
    i dati del rapporto del Tribunale del malato e cittadinanzattiva sono inquietanti e le segnalazioni sui lunghi tempi di attesa sono al 58,7 per cento; quasi ugualmente ripartite fra esami diagnostici (36,7 per cento), interventi chirurgici (28,8 per cento) e visite specialistiche (26,3 per cento), i cittadini devono attendere fino a 13 mesi per una risonanza magnetica e, dinanzi a tali dati, Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-cittadinanzattiva ha affermato che «Ci vogliono abituare a considerare l'intramoenia e il privato come normali canali di accesso alle prestazioni sanitarie di cui si ha bisogno (...). Le difficoltà di accesso anche in oncologia sono un grave campanello di allarme, purtroppo inascoltato»;
    il ricorso all’intramoenia è dunque spesso una conseguenza obbligata per il cittadino dinanzi alle lunghe liste di attesa e alle inefficienze del servizio sanitario nazionale, in netto contrasto con quanto previsto dalle norme che avevano introdotto tale istituto. La legge n. 120 del 2007, concernente l'attività libero-professionale intramuraria, prevede il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, proprio al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia la conseguenza della libera scelta del cittadino e non già la conseguenza di una carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale;
    l'Anac, con la determina n. 12 del 2015 concernente l'aggiornamento del piano nazionale anticorruzione colloca tra gli eventi a rischio di corruzione proprio l'attività intramoenia laddove vi sia, ad esempio, l'errata indicazione al paziente delle modalità e dei tempi di accesso alle prestazioni in regime assistenziale, la violazione del limite dei volumi di attività previsti nell'autorizzazione, lo svolgimento della libera professione in orario di servizio, il trattamento più favorevole dei pazienti trattati in libera professione. Tra le possibili misure di contrasto l'Anac individua: l'informatizzazione delle liste di attesa, l'obbligo di prenotazione di tutte le prestazioni attraverso il Cup aziendale o sovraziendale con gestione delle agende dei professionisti in relazione alla gravità della patologia, l'aggiornamento periodico delle liste di attesa, la verifica periodica del rispetto dei volumi concordati in sede di autorizzazione, l'adozione di un sistema di gestione informatica dell'attività libero-professionale intramuraria dalla prenotazione alla fatturazione, l'adozione di una disciplina dei ricoveri in regime di libera professione e la previsione di specifiche sanzioni;
    l'8 giugno 2016 sono stati presentati i dati della ricerca Censis-Rbm assicurazione salute sulla sanità integrativa dai quali emerge che dal 2013 al 2015 la spesa sanitaria privata è aumentata del 3,2 per cento. (oltre 35 miliardi di euro) e che nell'ultimo anno ben 11 milioni (2 milioni in più rispetto al 2012) di cittadini hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie; il 72,6 per cento di 10 milioni di cittadini che ricorrono di più al privato dichiara che il ricorso al privato è determinato dai tempi lunghi delle liste di attesa; già i dati OCSE, nel 2014 rilevavano che la spesa privata in Italia aveva raggiunto i 33 miliardi di euro (+2 per cento rispetto al 2013), precisando che la differenza sostanziale rispetto ad altri Paesi europei è che l'82 per cento è out-of-pocket (di tasca propria), con una spesa pro-capite di oltre 500 euro all'anno;
    anche l'Agenas nella sua relazione sulla compartecipazione alla spesa nelle regioni per l'anno 2015 rileva che «la conseguenza di ticket elevati, come già alcune evidenze dimostrano, sono la rinuncia alle prestazioni ovvero la “fuga” dal Servizio Sanitario Nazionale verso strutture sanitarie private, spesso in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali rispetto ai ticket. Il rischio, nel perdurare di tali situazioni, è la scomparsa di livelli di assistenza previsti ma di fatto superati da incoerenti misure della compartecipazione»;
    la cosiddetta «sanità integrativa» come concepita dal decreto legislativo n. 502 del 1992 ha l'esclusiva finalità di favorire l'erogazione di forme di assistenza sanitaria integrativa rispetto a quelle assicurate (e che devono essere assicurate) dal servizio sanitario nazionale e tali forme integrative sono quindi finalizzate a coprire solo prestazioni non essenziali e non incluse nei livelli essenziali di assistenza; pertanto, i cosiddetti fondi integrativi o le polizze assicurative non possono e non devono sostituirsi al primo pilastro del sistema pubblico di salute che è e rimane il servizio sanitario nazionale, basato sui principi di universalità, equità e solidarietà, come diretta attuazione dell'articolo 32 della Costituzione;
    invece per quanto sopra premesso in relazione alla crescita esponenziale della spesa sanitaria privata, come anche rilevato al riguardo dal citato studio CENSIS-RBM salute, è evidente che queste forme di sanità integrativa si sta o via via rivelando o le si stanno prospettando alla generalità dei cittadini come uniche forme risolutive dell'inaccessibilità alle cure e all'assistenza e come l'unica forma di superamento delle difficoltà in cui versa il sistema pubblico di salute;
    in tale quadro, dunque, di fronte a questo tangibile smantellamento del servizio sanitario pubblico, prendono corpo e s'inseriscono le diverse soluzioni o proposte di partenariato pubblico-privato, se non addirittura chiaramente «di copertura assicurativa» dei bisogni assistenziali, che questo Governo introduce, o ai sistematicamente, in tutti i suoi provvedimenti; emblematica è ad esempio la legge sul «dopo di noi» ove si disciplina la detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave ed eleva il limite di tale detrazione o laddove prevede soluzioni dispositive dei patrimoni dei disabili finalizzate alla tutela degli stessi;
    la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale non può e non deve passare attraverso una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può passare attraverso una privatizzazione di fatto, ma attraverso un efficace smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti ma piuttosto con un effettivo e immediato sistema sanzionatorio che arrivi finanche a rimuovere, con immediatezza, i funzionari o i dirigenti ritenuti responsabili di danno erariale dalla Corte dei Conti;
    il rapporto della Rete europea contro le frodi e la corruzione in sanità stimava in sei miliardi di euro la quantità di risorse sottratte alla sanità italiana, cifra peraltro non ritenuta esaustiva dal «libro bianco» di ISPE (Istituto per la promozione dell'etica) secondo il quale tali cifre non tengono conto dell'indotto (inefficienza e sprechi) correlato agli eventi corruttivi accertati dalla magistratura, indotto che porta a stimare il costo della corruzione addirittura in 23,6 miliardi di euro l'anno;
    un'efficace lotta alla corruzione deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i funzionari pubblici sollecitando, attraverso tutele ed incentivi specifici, uno spirito di servizio che porti a segnalare ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, tutele specifiche che garantiscano il denunciante attraverso un anonimato inviolabile e incentivi che prevedano forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta;
    i dati sulla corruzione in sanità rilevano la forte sperequazione regionale esistente nel nostro Paese anche in termini di garanzia, qualità, efficacia ed efficienza ed infatti i dati diffusi dal rapporto succitato ripartiscono così i fenomeni corruttivi: 41 per cento al Sud, 30 per cento al Centro, il 23 per cento al Nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi;
    con il recente decreto-legge sugli enti territoriali il Governo è intervenuto sui costi standard (introdotti per dare attuazione al federalismo fiscale e per controllare gli sprechi nella sanità), senza affrontare in maniera incisiva la sperequazione regionale esistente che per l'appunto si rileva anche nei fenomeni corruttivi succitati e, continuando a prendere a riferimento regioni «modello», non tiene conto delle condizioni di partenza delle regioni e delle variabili determinate dalle carenze strutturali presenti in alcune aree territoriali, atte ad incidere sui costi delle prestazioni, variabili che andrebbero individuate sulla base di specifici indicatori socio-economici, ambientali, culturali e di deprivazione;
    il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera non fa altro che cronicizzare la sperequazione esistente tra le regioni prevedendo che le stesse provvedano alla riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti (come determinati dal «decreto Balduzzi»), comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, facendo riferimento alla popolazione residente in base ai criteri utilizzati per il computo del costo standard per il macro-livello di assistenza ospedaliera ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario standard regionale, numero di posti letto incrementato o decrementato in relazione alla mobilità tra regioni;
    per quanto riguarda l'offerta di posti letto ospedalieri a livello europeo, l'Italia (3,7 posti ogni mille abitanti) si colloca al di sotto della media europea (5,5 posti letto) e il meccanismo indicato dal succitato decreto n. 70 del 2015 penalizza, nella programmazione della dotazione dei posti letto, quelle regioni italiane che risultano avere un saldo positivo di mobilità e che di fatto finanziano il sistema sanitario di regioni ritenute virtuose proprio attraverso le risorse provenienti dalla mobilità attiva;
    la riduzione dei posti letto della rete ospedaliera, nelle intenzioni del «decreto Balduzzi», era e doveva essere armonizzata con un'implementazione dell'assistenza territoriale, dei presidi sul territorio anche attraverso i cosiddetti ospedali di comunità, ma alla tanta solerzia nel definire i tagli dei posti letto non ha fatto da contraltare la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità previsti nel punto 17 del patto della salute 2014-2016;
    lo stravolgimento operato sull'assistenza ospedaliera e territoriale ha colto impreparati tutti i cittadini che non sanno più a quale servizio rivolgersi per soddisfare i loro bisogni di salute e assistenza, che assistono inermi a chiusure di presidi e ospedali e che si vedono quotidianamente respinti nei loro accessi al servizio sanitario nazionale; al riguardo non è stato concepito neanche un piano di comunicazione a favore dei cittadini e per favorire il pieno funzionamento del nuovo sistema di assistenza territoriale su tutto il territorio nazionale;
    l'idea d'implementare l'assistenza territoriale attraverso una riorganizzazione delle cure primarie, anche al fine di efficientare l'assistenza ospedaliera ed in particolar modo la rete emergenza-urgenza, non sembra sortire i benefici auspicati nel «decreto Balduzzi», considerato che tale riorganizzazione non ha fatto i conti con il serio problema della progressiva carenza dei medici di famiglia e rispetto alla quale già nel 2012 l'Enpam e la Fimmg rilevavano una stima drammatica sui pensionamenti e sulle susseguenti carenze assistenziali, stimando che dal 2015 al 2025 sarebbero andati in pensione complessivamente circa 40.000 tra medici di medicina generale, guardie mediche e pediatri, con un'impennata di 25.000 pensionamenti che rischiano di non essere sostituiti, e già allora si temeva che, per i successivi 10 anni, 25 milioni di italiani sarebbero potuti rimanere senza assistenza;
    il 2 agosto 2016 nel corso di un'audizione in Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità, la Fimmg ha presentato gli ulteriori dati sulle prospettive occupazionali e di pensionamento e ribadisce: «Ulteriore sfida, che dovrà essere affrontata dall'ACN (Accordo collettivo nazionale), è quella del rapido ricambio generazionale determinato oltre che dall'età media avanzata dei medici attivi, da una tendenza al prepensionamento (che passa dal 10 per cento del 2005 al 40 per cento degli ultimi anni) e che aumenta la necessità di formare medici alla medicina generale in numero adeguato alle crescenti esigenze»;
    la riorganizzazione delle cure primarie e il processo di de-ospedalizzazione richiede oltre che un concreto rafforzamento dell'assistenza territoriale anche un robusto investimento in prevenzione, investimento che deve essere garantito con risorse economiche adeguate e con professionisti dedicati e, in tale ottica, il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, cosiddetto «decreto Balduzzi», nella sua attuazione, sta svelando tutte le sue debolezze correlate al principio ispiratore del decreto medesimo: la spending review; ed è così che si assiste quotidianamente all'accorpamento di strutture sanitarie, alla creazione di mega distretti lontani dai cittadini e alla chiusura inaccettabile di punti nascita; l'esigenza di assicurare la continuità assistenziale è insoddisfatta così come appare insoddisfatta l'integrazione tra cure territoriali e ospedaliere;
    sarebbe stato lungimirante, probabilmente anche più economico, dare attuazione alla normativa vigente in materia di consultori familiari, nati e concepiti proprio quale integrazione di compiti e funzioni di natura sanitaria, sociosanitaria e sociale; il consultorio, vicino al cittadino, doveva rappresentare il luogo multiprofessionale di prevenzione e assistenza primaria e di tutela socio-sanitaria attraverso un supporto multidisciplinare alla persona, alla coppia e alla famiglia in tutto le varie fasi del suo evolversi; il consultorio dovrebbe rispondere in maniera personalizzata, attraverso consulenze e prestazioni specialistiche, a tutte le problematiche connesse alla sessualità, all'infertilità e alla contraccezione, alla gravidanza, alla nascita e al post partum, all'interruzione volontaria di gravidanza, alla menopausa, ai problemi andrologici, al disagio psicologico e al disagio familiare, alla ludopatia e alle dipendenze, ai fenomeni di bullismo, al disagio dei giovani, all'integrazione culturale di immigrati, alla violenza sulle donne e sui minori. Per affrontare tutto questo è sufficiente dare attuazione ad una delle leggi più civili che il legislatore sia stato in grado di concepire, assicurando figure professionali come ginecologi, ostetriche, infermieri, assistenti sociali, mediatori culturali, linguistici e legali;
    dal 1975, anno della legge sui consultori, si è invece percorsa una strada ad ostacoli e da un'attuazione a macchia di leopardo nelle diverse regioni italiane si è passati ad un progressivo e incalzante depotenziamento e al loro smantellamento. Nel contempo, si sono percorse strade legislative, anche informative, sulla salute e cultura di genere, sul disagio psicologico, sulla prevenzione, sulla sana alimentazione, sul sostegno alle famiglie assolutamente fallimentari; in tal senso emblematica è la triste e recente campagna sul fertility day ove si sono disvelate concezioni retrograde sulla maternità responsabile, umilianti per l'identità di genere e di etnia, mentre sulla tutela del parto fisiologico ci si arena, ormai da troppe legislature, senza garantire di fatto condizioni del parto appropriate e anche più economiche che riducano i costi connessi all'abuso nel ricorso al parto cesareo;
    sulla maternità responsabile non si risolve il serio problema di politiche efficaci per la famiglia, non si consente alle donne di conciliare i tempi della famiglia con i tempi del lavoro, non si forniscono servizi e sostegni reddituali adeguati, non si risolve il serio problema dell'assenza di professionisti non obiettori che di fatto rende non pienamente applicabile la legge n. 194 sull'interruzione di gravidanza, con conseguenze anche drammatiche e pressoché quotidiane sulla salute delle donne in alcuni casi costrette addirittura ad aborti clandestini; il recente inserimento dei contraccettivi in fascia C è un ritorno al passato ed una compromissione inaccettabile del diritto della donna;
    sui problemi alimentari, sulle dipendenze e sulla ludopatia s'intraprendono politiche economiche di fatto incentivanti e non s'interviene in maniera incisiva sulla pubblicità diretta e indiretta;
    sulle malattie rare, sull'autismo e sulla non autosufficienza le risorse che vengono stanziate sono sempre e comunque esigue e anche laddove stanziate tendono ad essere utilizzate non già per garantire un'assistenza diretta o per soddisfare i bisogni assistenziali sottesi quanto piuttosto a coprire costi connessi ai fattori burocratici o organizzativi; esempio emblematico sono le risorse di 5 milioni di euro stanziate per il fondo che aveva come fine la cura e l'abilitazione dei soggetti con disturbo dello spettro autistico, mentre dal recente schema del decreto del Ministero della salute, diffuso dagli organi di stampa, emerge che tale fondo sarà destinato per l'emanazione di linee guida, linee di indirizzo e per progetti di ricerca anziché per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, come previsto all'articolo 3 della legge n. 134 del 2015;
    è ormai una costante il mancato aggiornamento del decreto che individua i livelli essenziali di assistenza (ancora oggi questo decreto non è in Gazzetta ufficiale) e conseguentemente anche l'elenco delle malattie rare. Questo ritardo non è accettabile quando una malattia rara è riconosciuta e certificata dai presidi della rete, pertanto è necessario prevedere che una malattia rara debba essere inserita in tempo reale nel registro nazionale delle malattie rare, evitando lungaggini burocratiche che nulla hanno a che fare con l'identificazione della malattia rara, assicurando altresì in tempo reale ogni esenzione di cura e assistenza;
    come risulta dal documento di economia e finanza 2016, nel 2015 la spesa sanitaria corrente è risultata pari a 112.408 milioni, con un tasso di incremento dell'1 per cento rispetto al 2014 e l'incremento di circa 1,1 miliardi di euro è dovuto principalmente alla dinamica della spesa per prodotti farmaceutici; nonostante ciò, si continua a non intervenire per garantire la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi dei farmaci che sono contrattati dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) secondo procedure negoziali e accordi non trasparenti e secretati, per il tramite delle cosiddette clausole di riservatezza, clausole «bocciate» anche dall'Antitrust;
    è proprio questo meccanismo di fissazione del prezzo dei farmaci e i fondi insufficienti che determinano anche l'indisponibilità dei farmaci innovativi e di quelli necessari alla cura dell'epatite C ed, invece che incidere sulla governance farmaceutica, si prediligono misure atte a realizzare una vera e propria «guerra tra poveri ammalati», assicurando i farmaci per l'epatite C prima a coloro che sono quasi «sul letto di morte», mentre i «meno gravi» possono aspettare o addirittura sperare di aggravarsi per avere diritto al farmaco; è necessario intervenire con urgenza adottando un piano nazionale di eradicazione del virus dell'epatite C e assicurando a tutti coloro che ne hanno bisogno il farmaco necessario;
    sull'eccessiva spesa farmaceutica si adottano politiche di contenimento su farmaci necessari alla salute già compromessa dei cittadini, ma non si adottano politiche di prevenzione lungimiranti, come ad esempio quelle sull'uso di antibiotici. Il comunicato stampa dell'Agenzia nazionale del farmaco del 10 maggio 2016 ha lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche sia nella medicina umana che veterinaria e rappresenta oggi una minaccia seria alla salute globale; è necessario che si adottino politiche di prevenzione e cooperazione atte a modificare i comportamenti di tutti gli attori coinvolti: allevatori, medici, consumatori e pazienti. Al riguardo l'Unione europea, nell'ottica della One Health, è attiva da più di 15 anni nel contrasto a tale minaccia con una serie di piani e di azioni che spaziano da attività di prevenzione delle infezioni microbiche e della loro diffusione, al controllo sull'utilizzo appropriato e prudente dei farmaci sia in medicina umana ed animale, allo sviluppo di nuovi antibiotici e al miglioramento della comunicazione, educazione formazione per operatori e pazienti;
    anche sul fronte dei vaccini le politiche messe in piedi da questo Governo sono ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di totale asservimento nei confronti delle case farmaceutiche, confortate da un contesto che non elimina all'origine l'esistenza di qualsivoglia conflitto di interesse tra le case farmaceutiche e chi è chiamato a decidere o ad esprimere pareri sull'immissione in commercio dei vaccini e agevolate dall'assenza di informazioni e studi indipendenti riguardo ai dati relativi agli studi preclinici e clinici relativi agli effetti dei vaccini, anche a distanza di anni. Al riguardo, la somministrazione obbligatoria di vaccini in associazione, di fatto monopolizza in poche case farmaceutiche la produzione degli stessi vaccini con inevitabili e rilevanti costi a carico del servizio sanitario nazionale ed infatti, a legislazione vigente, sono prescritti come obbligatori 4 vaccini in età pediatrica e, non essendo forniti in formato singolo o di vaccino tetravalente, si offre ai cittadini, come unica soluzione, il ricorso all'esavalente che contiene anche altri due vaccini, non obbligatori ma fortemente consigliati. Un piano vaccinale efficace dovrebbe fondarsi su un sistema pubblico nazionale informatizzato che dia conto a tutti i cittadini della certificazione e registrazione dei vaccini, dei dati relativi agli studi preclinici e clinici, degli esiti, anche negativi, e dei susseguenti indennizzi;
    il dominus della spesa sanitaria nelle strutture sanitarie è il direttore generale e sulla sua gestione manageriale occorre intervenire efficacemente, in tal senso la recente approvazione del decreto legislativo sulla dirigenza sanitaria attuativo della legge «delega Madia» prevede la valutazione dell'operato dei direttori generali e la verifica dei risultati aziendali, ma la prospettata decadenza degli stessi dall'elenco nazionale dei direttori generali in caso di valutazioni negative o di inadempienze sulla trasparenza non appare risolutiva laddove consente il reinserimento nell'elenco e laddove non prospetta alcuna ipotesi di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo di conferimento d'incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti;
    appare altresì inconcepibile e incomprensibile che meccanismi imparziali e trasparenti di selezione e valutazione sulla dirigenza non trovino applicazione in tutti quegli enti vigilati dal Ministero della salute e che pure rappresentano il vertice dell'intero sistema sanitario, dal quale si snodano tutte le politiche sanitarie del paese, e senza che il Parlamento possa in alcun modo indagare o valutare la discrezionalità operata dal Ministro della salute nella scelta di tali dirigenti; le recentissime nomine dirigenziali avvenute, ad esempio, all'interno, dell'Aifa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non rispondono e non soddisfano né le vigenti norme sull'accesso alla dirigenza nel pubblico impiego né tanto meno le norme sulla dirigenza sanitaria di recente approvazione;
    la legge n. 833 del 23 dicembre 1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente l'evoluzione e la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'Oms ha considerato che il servizio sanitario nazionale del nostro Paese uno dei migliori al mondo per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali;
    i miliardi di euro tagliati al servizio sanitario nazionale succitati sono la conseguenza degli obblighi contenuti nel «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria», ennesimo tassello di patti interni al sistema dell'euro atti a vincolare i bilanci statali;
    con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, l'Italia ha introdotto nella propria Costituzione il pareggio di bilancio, agli articoli 81 e 97, così limitando in via definitiva la tutela dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute e le riferite misure di contenimento della spesa pubblica sono funzionali a perpetuare l'emissione di moneta da parte della banca privata Bce, in cambio della quale lo Stato s'indebita senza alcun controvalore in beni o servizi; dunque la progressiva diminuzione delle risorse per la sanità deriva, dalle suindicate misure correlate al meccanismo di indebitamento pubblico, il quale di fatto azzera la sovranità popolare di cui all'articolo 1 della Costituzione,

impegna il Governo:

1) a salvaguardare il servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico attraverso iniziative volte a un recupero integrale di tutte le risorse economiche sottratte in questi anni con le diverse misure di finanza pubblica, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il finanziamento del fondo sanitario nazionale, senza alcuna condizione correlata all'appropriatezza prescrittiva o a condizioni di erogabilità o a successivi e aleatori decreti attuativi;
2) a disincentivare ogni forma di sanità integrativa che non sia finalizzata all'esclusiva copertura di prestazioni non essenziali e non incluse nei livelli essenziali di assistenza;
3) a garantire i livelli essenziali di assistenza anche attraverso percorsi di assistenza personalizzati e vicini al cittadino oltreché adeguatamente accessibili, riordinando il sistema di accesso alle prestazioni nell'ottica di ridurne i tempi di attesa e disincentivando il ricorso alla sanità privata quale diretta conseguenza dell'inefficienza del servizio sanitario nazionale, eliminando altresì ogni forma di spreco che derivi da una non appropriata organizzazione dei servizi e dell'assistenza, da una governance sanitaria non adeguata, da un mancato ammodernamento tecnologico e digitale del servizio sanitario nazionale e dall'assenza di efficaci politiche sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione;
4) ad assumere iniziative per garantire al servizio sanitario nazionale le risorse umane di cui necessita, provvedendo allo sblocco del turnover, all'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e attivando le procedure concorsuali straordinarie già previste nella legge di stabilità 2016;
5) a rispettare, pienamente e in tempi rapidi, gli impegni presi con la mozione n. 1-01009 approvata il 15 ottobre 2015 e concernente l'adozione di provvedimenti efficaci e sistematici volti a prevenire i meccanismi e le prassi amministrative che favoriscono l'insorgenza di fenomeni di corruzione in ambito sanitario, dando altresì concreta attuazione alle normative già esistenti in favore della trasparenza, in particolare al decreto legislativo n. 33 del 2013, e completando l'informatizzazione del sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 14 del patto per la salute, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line;
6) a dare attuazione concreta ai costi standard e alla centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario;
7) ad assumere iniziative per introdurre dei correttivi nella determinazione dei fabbisogni standard delle regioni italiane più in difficoltà, in cui le carenze strutturali inevitabilmente determinano variazioni sui costi delle prestazioni, tenendo conto delle condizioni geomorfologiche e demografiche, nonché delle condizioni di deprivazione e di povertà sociale;
8) ad adottare iniziative atte a controllare i prezzi dei farmaci, garantendo che le intese in materia di prezzi siano trasparenti e conoscibili, con evidenza del metodo utilizzato per la definizione del prezzo e degli utili, anche modificando il sistema di rimborso dei farmaci e avviando un processo di riordino dell'Aifa;
9) ad assumere iniziative per introdurre disposizioni normative efficaci, anche all'interno del prossimo disegno di legge di bilancio, rispetto all'importazione di medicinali che, sebbene registrati anche in Italia, sono di fatto indisponibili, garantendo un'adeguata attività, in collaborazione con le regioni, per l'individuazione di pazienti eleggibili per i trattamenti e il rilascio della relativa prescrizione medica, assicurando un concreto monitoraggio e controllo presso i luoghi di produzione dei medicinali equivalenti;
10) ad assumere iniziative per stanziare risorse sufficienti per l'acquisto di medicinali innovativi eliminando ogni disparità nell'accesso ai farmaci per l'epatite C, ossia i criteri di priorità correlati alle condizioni di gravità della malattia;
11) ad assumere iniziative volte a prevedere la revoca dell'incarico o il divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;
12) a prevedere, secondo i dettami riportati nel decreto legislativo n. 171 del 2016 sulla dirigenza sanitaria e comunque in attuazione dei principi ispiratori della cosiddetta «delega Madia», procedure di avviso pubblico per l'individuazione dei direttori generali di tutti gli enti sottoposti alla vigilanza del Ministero della salute, a partire dall'AIFA che fissa al 16 novembre 2016 la scadenza del mandato del proprio direttore generale, assicurando valutazioni e verifiche del loro operato da rendere note alle commissioni parlamentari competenti;
13) a prevedere, all'interno del prossimo disegno di legge di bilancio, per il periodo successivo a quello di attuazione del nuovo patto della salute 2014-2016, la rivisitazione del calcolo per la definizione dei posti letto indicato in premessa eliminando, attraverso una programmazione quinquennale, gli aspetti relativi all'incremento o decremento degli stessi per effetto della mobilità tra le regioni, facendo comunque salvi i posti letto attualmente disponibili nelle regioni italiane, assicurando che eventuali maggiori oneri, provenienti dall'incremento dei posti letto, o da altri servizi sanitari (ad esempio prevenzione collettiva, assistenza domiciliare), da parte delle regioni con saldo di mobilità passiva trovino copertura attraverso la riduzione progressiva – nel quinquennio – delle quote cedute dalle stesse nei confronti delle regioni con saldo di mobilità positiva;
14) ad attivarsi affinché, entro il corrente anno, siano definiti i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità previsti nel punto 17 del Patto della salute 2014-2016;
15) ad attivarsi affinché, entro il corrente anno, ogni singola regione e provincia autonoma provveda all'analisi dei fabbisogni per la corretta espletazione delle attività previste nell'atto di indirizzo per la medicina convenzionata sul modello previsto all'articolo 1, comma 541, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e affinché siano fornite tutte le informazioni rispetto alla configurazione della rete informatica per il corretto collegamento dei vari attori della medicina convenzionata;
16) a predisporre, entro il corrente anno, il piano di comunicazione a favore dei cittadini per favorire il pieno funzionamento e la conoscibilità del nuovo sistema di assistenza territoriale su tutto il territorio nazionale;
17) ad attivarsi per una politica efficace di prevenzione sull'uso degli antibiotici, dotando gli ospedali di servizi di microbiologia permanente, adottando iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici, promuovendo l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini, attivando una formazione specifica per gli operatori, nonché campagne di sensibilizzazione e informazione di educazione sanitaria per tutti i cittadini, affinché agiscano in modo proattivo per ridurre la minaccia alla resistenza antibiotica umana e animale;
18) ad attivarsi affinché, nell'ambito della definizione della metodologia di valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, previsti all'articolo 1 commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si tenga conto del rispetto dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007, n. 120, «Disposizioni in materia di attività liberoprofessionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», nonché della concreta attuazione dalla determinata dell'ANAC 28 ottobre 2015, n. 12, piano nazionale anticorruzione – aggiornamento, prevedendo, in caso di mancato rispetto, delle conseguenze penalizzanti;
19) ad assumere iniziative normative affinché sia prevista la presentazione alle Camere, per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, del «nuovo» piano nazionale sulle liste di attesa, affinché sia valutata anche possibilità di interruzione dell'attività libero professionale intramuraria e sia inclusa, anche con il supporto dell'Agenzia per l'Italia digitale (AGID), una piattaforma tecnologica, sul modello del piano nazionale esiti, per il monitoraggio e l'implementazione del rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni di tutti gli enti del sistema sanitario nazionale, piattaforma che sia accessibile a tutti i cittadini e che rappresenti un importante indicatore da inserire nella griglia di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per gli anni a partire dal 2017;
20) a formulare un piano vaccinale in funzione di un sistema pubblico nazionale informatizzato che produca ogni dato utile sugli studi preclinici e clinici e che, anche a distanza di anni, produca tutte le informazioni sugli esiti, anche negativi, concernenti la somministrazione di vaccini, consentendo un'esauriente informazione per tutti i cittadini nonché una scelta consapevole e condivisa, che dia conto chiaro ed effettivo sulla obbligatorietà o meno delle vaccinazioni, e ad assumere iniziative di tipo normativo che eliminino qualsiasi conflitto di interesse tra le case farmaceutiche e chi è chiamato a decidere o ad esprimere pareri sull'immissione in commercio dei vaccini, consentendo altresì la somministrazione dei quattro vaccini obbligatori in età pediatrica in formato singolo o di vaccino tetravalente;
21) ad assumere iniziative per stanziare risorse ulteriori e comunque prioritariamente destinate all'assistenza diretta delle persone non autosufficienti e con disabilità e prevedere che l'acquisto dei farmaci di fascia C necessari per il trattamento delle malattie rare, nonché dei trattamenti considerati non farmacologici, quali alimenti, integratori alimentari, dispositivi medici e presìdi sanitari, nonché la fruizione di prestazioni di riabilitazione motoria, logopedica, neuropsicologica e cognitiva e di interventi di supporto e di sostegno sia per il paziente che per la sua famiglia, che siano stati prescritti dai presìdi della rete individuati dalle regioni ai sensi dell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, siano inclusi nei livelli essenziali di assistenza (LEA) al di fuori delle scadenze previste per l'adozione del decreto di aggiornamento dei LEA medesimi, prevedendone se necessario un apposito stanziamento;
22) a dare completa e capillare attuazione alla legge n. 405 del 1975 sui consultori quali presidi indispensabili per l'integrazione sociosanitaria e di prevenzione, garantendo che siano dotati di risorse economiche adeguate e di professionisti in grado di realizzare un approccio multidisciplinare compiuto, assicurando altresì una completa esigibilità dei diritti delle donne in relazione alla legge n. 194 del 1978 e su tutto il territorio nazionale, superando ogni problema organizzativo legato all'assenza diffusa di personale sanitario non obiettore;
23) a garantire la donna nel suo diritto alla maternità assicurando un'efficace promozione del parto fisiologico e l'accesso ai luoghi del parto che siano vicini alla sua residenza ovvero assumendo iniziative volte a modificare le disposizioni normative che hanno indotto alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti all'anno.
(1-01398) «Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Colonnese, Di Vita, Nesci, Baroni, Cecconi, Dall'Osso».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 833 del 1978 ha il merito di aver istituito nel nostro Paese il servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio; il servizio sanitario nazionale ispirato ai principi di universalità, uguaglianza, globalità e appropriatezza e la legge istitutiva dello stesso sono funzionali alla centralità del diritto alla salute, nel senso, che attuano l'articolo 32 della Costituzione;
    il servizio sanitario nazionale, è ancora oggi considerato dalla Organizzazione mondiale della sanità, uno dei primi in Europa, se non al mondo, sulla base di tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione;
    non vi è dubbio che il principio di universalità, inteso come il diritto ad un accesso generalizzato ai servizi sanitari da parte di tutti i cittadini, senza alcune forme di ponderata modulazione, ha subito, nel tempo, alcune necessarie «rivisitazioni» come correttivi, che tuttavia, non hanno mai fatto venir meno i tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione;
    l'evoluzione della politica sanitaria, nel periodo che si sta esaminando, e il relativo assetto organizzativo non possono essere valutati senza far cenno anche alla riforma del Titolo V della Costituzione, ai cambiamenti sociali e demografici, all'evoluzione scientifica e tecnologica della scienza medica, all'invecchiamento della popolazione (con aumento delle patologie croniche), all'evidente necessità di un contenimento della spesa sanitaria, che hanno reso negli ultimi anni non più procrastinabile l'avvio di un ripensamento del modello organizzativo e strutturale del sistema sanitario nazionale;
    ecco perché oggi si parla molto di sostenibilità del servizio sanitario nazionale, e la sostenibilità in sanità comprende oltre ai fattori strettamente economici anche altri fattori quali lo sviluppo, la cultura, la professionalità e l'innovazione. Sviluppare un servizio sanitario nazionale sostenibile vuol dire quindi porre attenzione ed investire su tutti questi fattori, ma significa soprattutto, ripensare il modello organizzativo e strutturale del sistema sanitario e costruirne uno più vicino alle persone e ai bisogni di salute che essi esprimono;
    si è di fatto passati da un concetto di universalità «forte» e incondizionata – rispondente al modello del «tutto a tutti a prescindere dai bisogni», ad un concetto di universalità «mitigata», finalizzata a garantire prestazioni necessarie ed appropriate a chi ne ha effettivamente bisogno;
    in considerazione del contesto socio-sanitario ed economico di interesse:
    si è potuta apprezzare la politica sanitaria del Ministro della salute volta a: «rigenerare e rivitalizzare» in modo strategico il settore della sanità – anche come volano di sviluppo del sistema imprenditoriale italiano – impegnato nell'innovazione tecnologica e nel campo della ricerca, anche in termini di prodotto interno lordo; ad aumentare le capacità del sistema sanitario a convertire le risorse in valore, tenendo presente che l'investimento in salute è il presupposto per la crescita e lo sviluppo di un Paese, a perseguire, con forte determinazione, la qualità e la sicurezza sanitaria non solo per ridurre i costi, ma soprattutto per raggiungere indubbi benefici in termini di salute pubblica; ad attuare una revisione complessiva del modello organizzativo e gestionale per ridurre le inefficienze e le inappropriatezze, ad esclusivo beneficio del sistema sanitario in Italia;
    si è assistito a nuovi programmi di revisione e aggiornamento della struttura gestionale e della governance degli ospedali e di tutte le aziende sanitarie, così da consentire una riduzione complessiva della spesa senza pregiudicare il livello di qualità delle prestazioni e la competitività dell'industria del nostro Paese. È intervenuto da ultimo, nel mese di agosto 2016 il decreto legislativo recante una innovativa disciplina per la nomina dei direttori generali, amministrativi e sanitari che guidano le strutture sanitarie; l'elemento di estrema novità introdotto rispetto al passato è il principio della trasparenza per il conferimento degli incarichi e la provata competenza per poter accedere agli incarichi apicali;
    la politica del Ministro della salute ha affrontato l'annoso problema degli sprechi e della inappropriatezza in sanità, con interventi mirati ad intervenire sugli sprechi derivanti da assenza o carenza di integrazione ospedale-territorio; da carenza di assistenza domiciliare e di welfare di comunità, nonché dagli sprechi derivanti dagli errori in sanità;
    il continuo e proficuo impegno del Ministro della salute ha consentito di poter contare – anche nel corso di un intervallo temporale, caratterizzato da una difficile contingenza economica – su strategie di politica sanitaria finalizzata alla prevenzione, mediante una serie di iniziative capillari che muovono dai piani nazionali della prevenzione, dai piani nazionali per garantire la copertura vaccinale sul territorio nazionale, dagli screening neonatali, dalle iniziative per contrastare ogni forma di dipendenza, con specifico riguardo alla lotta contro il fumo, contro la dipendenza da sostanze stupefacenti, contro l'alcol e contro la dipendenza da gioco patologico, e a favore dei corretti stili di vita in ogni fase di età, con specifico riguardo anche alla salute delle donne. Di estrema importanza per le politiche di prevenzione si sono rilevate le raccolte sistematiche di dati e i sistemi di sorveglianza, diretti verso specifiche fasce di popolazione, individuate per età o per composizione;
    l'intervallo temporale che si sta esaminando è stato, peraltro, caratterizzato dall'imponente fenomeno dei flussi migratori, che ha richiesto iniziative di continuo coordinamento tra più organi istituzionali, non solo nazionali o comunitari, i cui esiti hanno, comunque e sempre, garantito risposte sicure non solo umanitarie, ma anche e soprattutto sanitarie;
    si è assistito, inoltre, negli ultimi anni ad una imponente e proficua azione di riorganizzazione della rete assistenziale, che ha rafforzato i legami tra ospedale e territorio. Non vi è dubbio, infatti, che questo è stato uno dei temi su cui si «è giocata» la stessa sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Valga un esempio per tutti: il decreto 2 aprile 2015, n. 70, che ha dettato gli standard qualitativi, strutturali tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, che muove non da esigenze di contenimento della spesa sanitaria – sarebbe riduttivo ricondurlo a fini finanziari – bensì da esigenze di sicurezza e di qualità per l'assistenza ospedaliera; il riordino della rete ospedaliera, infatti, è volto alla concreta realizzazione di un processo di appropriatezza e maggiore sicurezza per i pazienti, per consentire agli ospedali di sviluppare tutta la loro capacità produttiva, per dare vita ad una rete ospedaliera in grado di erogare prestazioni più sicure e di elevata qualità;
    come non ricordare le iniziative in materia di personale del servizio sanitario nazionale, giacché è di questi giorni la notizia che il disegno di legge di bilancio per il 2017 conferma la volontà del Ministro finalizzata a garantire un significativo sblocco del turn over, con la possibilità di oltre 7.000 assunzioni e stabilizzazioni nel servizio sanitario nazionale, sia di medici che di infermieri;
    le iniziative confermate con il disegno di legge di bilancio per il 2017, inducono a guardare con fondate e favorevoli aspettative a nuove prospettive di cura e di terapie avanzate, grazie alle risorse finalizzate all'acquisto di nuovi e costosi medicinali cosiddetti innovativi (ad esempio, il farmaco anti epatite C) e medicinali innovativi oncologici;
    l'evoluzione della politica del Ministro della salute e l'implementazione delle attività poste in essere, inducono ad auspicare che nel 2017 il servizio sanitario nazionale potrà beneficiare di tutte le iniziative messe in campo e realizzate fin dall'inizio del suo mandato governativo, che peraltro, continuano tenacemente ad essere incrementate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per mantenere stabili le risorse del fondo sanitario nazionale e, anche per il futuro, destinare al medesimo fondo ogni risorsa che consegue alle politiche di razionalizzazione ed efficienza del servizio sanitario nazionale;
2) ad assumere iniziative per rendere stabile ed a regime il fondo strutturale per i farmaci innovativi, con sempre adeguate risorse finanziarie;
3) ad assumere iniziative per rendere stabile ed a regime il fondo per l'acquisto dei vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) con adeguate risorse finanziarie;
4) ad assumere iniziative per istituire un fondo strutturale per il finanziamento dei farmaci oncologici innovativi, con adeguate risorse finanziarie;
5) ad adoperarsi affinché in tempi rapidi, e comunque non oltre il 1o gennaio 2017, possano essere aggiornati i livelli essenziali di assistenza ed i nomenclatori protesici ponendo così fine ad una attesa di oltre 15 anni;
6) ad adoperarsi affinché, all'esito delle prossime iniziative in materia di risorse umane del servizio sanitario nazionale, e sulla base di adeguate risorse finanziarie, possa essere garantito lo sblocco del turn over, e possa risolversi l'annoso problema della carenza nelle strutture sanitarie del personale sanitario, con la possibilità di procedere a nuove assunzioni e stabilizzazioni del personale precario, per un ammontare di oltre 7.000 unità tra medici e infermieri.
(1-01399) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    come specificato dal documento predisposto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, «la legge di stabilità 2016 ha aggiunto a carico delle RSO un contributo alla finanza pubblica pari a 3.980 milioni per il 2017 che diventeranno addirittura di 5.480 milioni per gli anni 2018 e 2019 ancorché quest'ultima riguardi più in generale il comparto delle Regioni»;
    a tali contributi si sommano i tagli derivanti dalle precedenti manovre pari a 4.202 milioni (di cui 2.000 milioni come detto coperti con la riduzione del Fondo sanitario nazionale. Le regioni applicano la disciplina del «pareggio di bilancio» già dall'esercizio finanziario 2015 e, per assolvere alla manovra di finanza pubblica 2016, sono obbligate addirittura ad un avanzo di bilancio pari a 2,209 miliardi di euro. Dai dati si evince come siano l'unico comparto della pubblica amministrazione che non ha usufruito di un allentamento delle regole del pareggio;
    a questo contributo sulla riduzione del debito, si aggiunge il risparmio a carattere permanente dell'applicazione delle regole del pareggio di bilancio già dal 2015, che le regioni apportano come contributo alla finanza pubblica, quantificato dalla relazione tecnica al disegno di legge di bilancio in 1.850 milioni per il 2016, 1.022 milioni per il 2017 e 660 milioni per il 2018 e acquisito nei tendenziali di finanza pubblica (oltre al contributo sopra evidenziato prodotto dall'avanzo sul pareggio di bilancio);
    resta un dato incontrovertibile che le risorse concordate tra lo Stato e le regioni nel patto per la salute 2014-2016 sono già state decurtate di 6,8 miliardi di euro, che il fondo sanitario è cresciuto negli ultimi 5 anni di soli 3,1 miliardi di euro, infatti di tutta evidenza è il suo taglio essendo passato dai 117,6 miliardi di euro (DEF del 2013) ai 113 miliardi di euro annunciati dal Governo nel prossimo disegno di legge di bilancio;
    i numeri descrivono un progressivo e crescente definanziamento della sanità pubblica italiana, che è stata incrementata la forbice delle disuguaglianza regionali, è stata messa sullo sfondo l'equità di accesso alle prestazioni sempre più a carico dei cittadini e sono emerse tutta una serie di questioni in tutti i settori dell'assistenza;
    al di là delle cifre, soprattutto l'ammontare previsto per il 2017, in relazione al quale bisognerà attendere l'approvazione della prossima legge di bilancio, ciò che preoccupa i firmatari del presente atto di indirizzo è, l'assoluta mancanza, anche nell'ultimo documento di economia e finanza, di idee e di strategie a medio-lungo termine a garanzia della sostenibilità del servizio sanitario nazionale, compensate dai tagli della spesa più o meno lineari;
    è stata l'ennesima occasione persa per razionalizzare la spesa in un comparto delicato come quello della sanità e sicuramente non andrà a risolvere, ad esempio, una delle questioni con le quali i cittadini si trovano a fare i conti, quella relativa alla migrazione sanitaria, con costi e disagi sociali inaccettabili;
    ad oggi se si analizzano i saldi della mobilità sanitaria, si evince che in cima alla graduatoria delle regioni che attraggono più pazienti c’è la Lombardia, con un saldo positivo di 534 milioni di euro, a seguire l'Emilia Romagna con un saldo positivo di 327 milioni di euro e la Toscana con un saldo positivo di 151 milioni di euro;
    tra le regioni che hanno saldi negativi, guida la classifica la Campania con un saldo negativo di 270 milioni di euro seguita dalla Calabria con un saldo negativo di 251 milioni di euro, dal Lazio con saldo negativo di 201 milioni di euro, dalla Puglia con un saldo negativo di 187 milioni di euro e infine dalla Sicilia con un saldo negativo di 161 milioni di euro;
    servizi e prestazioni sono spesso offerti da queste ultime regioni a un costo più elevato, senza però essere graditi ai cittadini costretti a migrare per vedersi garantito quel diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, evidenziando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo l'incapacità del Governo che si dice essere impegnato – anche tramite l'azione delle strutture commissariali attivate nelle regioni non virtuose ed in deficit – a mantenere e consolidare i risultati raggiunti ed a migliorare la razionalità della spesa sanitaria;
    si fatica davvero a capire come con assenza di programmazione si potranno modificare le dinamiche della spesa pubblica con l'obiettivo di garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Perché essa richiede azioni ed interventi più coraggiosi, investimenti (tecnologici ed edilizi), una maggiore integrazione tra i servizi con l'urgente riforma dell'assistenza primaria, una public health in cui i servizi clinico-assistenziali e socio-sanitari sappiano davvero dialogare con metodologie comuni e solide;
    vi sono politiche del personale che da anni sono in attesa dei rinnovi contrattuali; il relativo comparto registra un'età anagrafica avanzata anche a causa della riforma previdenziale (più del 50 per cento dei medici pubblici è over 55enne e, di essi, più del 12 per cento è over 60enne) e ha risentito pesantemente del blocco del turn over oltre che dell'esternalizzazione di molti servizi;
    secondo le previsioni delle associazioni di categoria, nel decennio 2014-2023, saranno oltre 58 mila i medici che raggiungeranno l'età pensionabile, quando i contratti di formazione specialistica oggi in essere sono in grado di garantire l'acquisizione di 42.700 nuovi specialisti, che non saranno certo sufficienti a coprire il fabbisogno che già oggi, in alcune aree, evidenzia pesantissime insufficienze,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per provvedere al reintegro del fondo sanitario nazionale al fine di un ritorno alla dotazione del 2013 e di garantire il diritto alla salute dei cittadini costituzionalmente previsto, valorizzando quelle regioni che hanno saputo garantire standard elevati e bilanci positivi;
2) ad assumere iniziative per definire un programma di risparmi non lineare attraverso l'introduzione dei costi standard nel comparto sanitario, prevedendo che i risparmi derivanti dai medesimi costi standard per l'esercizio delle funzioni regionali sanitarie debbano essere mantenuti all'interno del comparto regioni per lo sviluppo degli investimenti e della competitività;
3) ad assumere iniziative per disciplinare il saldo dei rimborsi vantati dalle regioni, in merito alla migrazione sanitaria, prevedendo un fondo dove vengono predisposte le opportune compensazioni per le cure cui hanno beneficiato cittadini residenti al di fuori della regione di appartenenza e i cittadini stranieri.
(1-01400) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria dei subprime – prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio – scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei Paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando un periodo di crisi economia mondiale denominato «la grande recessione»;
    la crisi inizia a produrre i primi evidenti effetti nei primi mesi del 2007;
    nella prima metà del 2008 le principali economie del globo, ivi comprese quelle dei Paesi europei, subiscono un forte rallentamento con un aumento improvviso dell'inflazione;
    una delle cause principali della crisi economica è il fallimento di un sistema finanziario deregolamentato, terreno fertile per bolle speculative, che dopo un'ondata di euforia finanziaria creano il panico, come nel più classico dei «Minsky moment»;
    l'attuale Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha costantemente sovrastimato gli effetti delle sue politiche, dimostrando anche scarsa competenza nel riconoscere correttamente la situazione macroeconomica in cui si trovava il Paese, a titolo di esempio il documento di economia e finanza 2014 iniziava con una informazione parziale e pericolosamente fuorviante su una presunta chiusura della fase recessiva italiana nel terzo trimestre 2013. In realtà, come indicato dalla relazione di minoranza al documento in questione a prima firma Castelli, ci si trovava di fronte a una recessione a «doppia v» (double-dip recession), ovvero una situazione, in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione;
    dal Governo Monti 2011, tutti gli Esecutivi che si sono succeduti, ivi compreso l'attuale, hanno puntato su deleterie politiche di austerity che hanno innescato un inasprimento della pressione fiscale verso aziende e cittadini, distruggendo l'economia reale. Tale politica di contenimento dei costi ha generato ingenti tagli ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguenti difficoltà per le amministrazioni comunali di mantenere degli standard di qualità accettabile nell'erogazione dei servizi al cittadino, ivi compresi i servizi minimi essenziali;
    come emerge dal rapporto Caritas 2016, il numero degli italiani indigenti è aumentato di molto; infatti, il numero di persone che nel 2012 si rivolgono alla Caritas, rispetto al 2008, è quasi quadruplicato;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri in cerca di un «rifugio» o di una «opportunità» sono aumentati negli ultimi anni, stando al XXV rapporto Caritas, dal 2014 al 2015, gli stranieri residenti in Italia sono aumentati dell'1,9 per cento, passando da 4 milioni e 922 mila a poco più di 5 milioni;
    quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano evidente incapacità del Governo nell'inquadrare correttamente la situazione economico-sociale che si è delineata nel mondo, in Europa e nel nostro Paese, una fallimentare condotta nella gestione e risoluzione delle problematiche, le difficoltà legate al progressivo e costante impoverimento dei cittadini italiani che si sono mal combinate con le emergenze connesse all'accoglienza degli stranieri suscitando strumentalizzazioni filo-razziste e filo-populiste vessatorie nei confronti degli immigrati, rischiano di generare una inutile «guerra tra poveri» i cui beneficiari risulteranno essere, da un lato, il Governo, che avrà una scusa pronta per innalzare le imposte o ridurre i servizi erogati sul territorio, siano essi destinati agli stranieri o meno, e, dall'altro, le forze politiche che cavalcheranno l'ondata di razzismo per ottenere qualche «zerovirgola» in più nei sondaggi elettorali;
    l'incapacità della cosiddetta «maggioranza» nel compenetrarsi nella drammatica situazione in cui vive la maggioranza dei cittadini si esplica, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, anche nell'incapacità, dimostrata in questi giorni in questa sede, di dare il buon esempio tramite una riduzione delle indennità che i componenti del Parlamento ricevono mensilmente,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi, anche in sede europea, affinché le ricadute dell'emergenza immigrazione siano rese sostenibili attraverso un'equa e solidale distribuzione delle responsabilità che tale emergenza comporta tra tutti i Paesi aderenti all'Unione europea;
2) al fine di arginare l'impoverimento provocato dalla recessione e dalle politiche di austerity nonché a scongiurare un'iniqua «guerra tra poveri», ad assumere iniziative per introdurre il reddito di cittadinanza con un supporto economico mensile congruo per i soggetti disoccupati, inoccupati, nonché lavoratori precari e percettori di trattamenti minimi di quiescenza, anche valutando di adottare le proposte già presentate dal Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle.
(1-01401) «Dadone, Brescia, Lombardi, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli, Cariello, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute come un diritto fondamentale dell'individuo e dell'interesse della collettività, prevedendo la responsabilità dello Stato di garantire la salute del cittadino e della collettività in condizione di uguaglianza;
    per ottemperare a questo diritto, la legge n. 833 del 1978 ha istituito il Servizio sanitario nazionale, che, introducendo valori e principi innovativi, resta una delle più grandi conquiste sociali del nostro tempo;
    tuttavia, con la riforma della Carta costituzionale, si andrebbe anche a modificare il Titolo V e, se da una parte, la volontà sarebbe uniformare e garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni, riallineandoli sui principi di equità, si presuppone anche che non verrà garantito dallo Stato il ruolo di garante del diritto alla tutela della salute poiché la revisione non appare sufficiente per assicurare l'omogenea attuazione dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale;
    infatti, con la modifica dell'articolo 117 del Titolo V, lo Stato non recupera il diritto a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle regioni inadempienti nell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza perché il riferimento è esclusivamente alla determinazione dei livelli essenziali nelle sole prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e non nelle prestazioni sanitarie;
    la sanità rappresenta uno dei capitoli di spesa maggiori nel nostro Paese, ma può essere anche un impulso di sviluppo economico, non dimenticando mai che, in tale contesto, l'obiettivo primario è promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone;
    l'investimento nella sanità è un investimento per il futuro della nazione ed ogni miglioria, seppur inizialmente costosa, genererà, nel medio-lungo termine, al di là del breve orizzonte temporale miope della singola legislatura, un risparmio complessivo in termini di cura della salute e un risparmio economico per il miglioramento della qualità di vita dei cittadini, generato sia dagli interventi in prevenzione, sia dalla presa in carico precoce degli eventi patologici acuti – e quindi la loro maggiore possibilità di guarigione e la minor eventuale inabilità residua sia temporanea che permanente, con evidenti minori costi successivi –, che dalla corretta gestione della cronicità di alcune patologie in ambito territoriale e di specialistica ambulatoriale; ciò non potrà non avere peraltro ripercussioni positive sul mondo del lavoro complessivamente, con incremento dell'efficienza lavorativa e delle ore lavorate. Esattamente opposto sarà invece il risultato definitivo di tagli continui alla sanità pubblica;
    è evidente che i problemi strutturali, irrisolti da decenni nell'ambito del sistema sanitario pubblico, portano con sé le difficoltà e i disagi che vivono oggi i cittadini. Infatti, le diverse erogazioni che variano da regione a regione, i piani di rientro, le lunghissime liste di attesa, la mancata applicazione dei protocolli di collaborazione ospedale/territorio, la scarsa assistenza per le patologie croniche e oncologiche, il mancato potenziamento di assistenza nelle strutture ospedaliere e domiciliari, ha portato a conseguenze devastanti e grande preoccupazione per il futuro del nostro sistema sanitario;
    nel 2025 il fabbisogno totale (finanziamento pubblico + spesa privata) è stimato in 200 miliardi di euro, tuttavia, senza certezza di risorse per garantire i livelli essenziali di assistenza, un finanziamento di spesa mirato, la presenza di personale specializzato e organico sufficiente a garantire non solo l'emergenza ma la cura, i rischi che ne conseguono potrebbero essere drammatici;
    se si vuole davvero salvare e rilanciare il servizio sanitario pubblico ciò va fatto attraverso un serio e mirato rilancio delle politiche, investendo prima di tutto sull'ampliamento del personale sanitario poiché il costante e continuo calo delle capacità organizzative, dovuto al calo del personale medico e paramedico e il riconoscimento delle professioni sanitarie, rischia di implodere anche in termini di sicurezza del paziente e del servizio offerto;
    occorre maggiore offerta dei livelli assistenziali, innovazioni farmacologiche e ammodernamento tecnologico; innalzamento della quota ai fini dell'esenzione ticket per gli accessi alle prestazioni sanitarie e diminuzione delle liste di attesa – perché spesso affrontare le liste d'attesa nel pubblico significa aspettare mesi preziosi, così milioni d'italiani che possono permetterselo, si vedono costretti a rivolgersi al privato –»;
    è necessario garantire quindi ai soggetti più vulnerabili e maggiormente esposti a malattie e rischi sociali; come disoccupati e lavoratori a basso reddito e i loro familiari, la possibilità di accedere a cure e assistenza adeguate, perché chi non può pagare le prestazioni e i farmaci oggi rinuncia a curarsi;
    in termini di sistema sanitario, non va dimenticato che chi non si cura non è un risparmio per lo Stato bensì diventa poi, al manifestarsi conclamato dell'evento patologico, un importante costo, sia in termini di inevitabile cura ormai tardiva – accesso al pronto soccorso e ai reparti per malati acuti –, sia in termini sociali, con inabilità lavorativa e costi sociali e familiari correlati al livello assistenziale necessario;
    nel 2016 sono circa undici milioni i cittadini costretti a fare a meno di cure e prestazioni a causa della riduzione, anno dopo anno della quota pubblica di sostegno alle spese sanitarie, mentre aumentano i costi a carico dei cittadino. Infatti, negli ultimi due anni la progressione dei costi a carico dei privati è cresciuta: nel 2013 era di 32 miliardi e mezzo di euro, 33 miliardi di euro nel 2014 e 34,5 miliardi di euro nel 2015, registrando un più 3,2 in soli due anni;
    va ricordato, anche che legge finanziaria legge n. 111 del 2011 ha stabilito in tema di sanità l'introduzione di 10 euro di ticket su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica e secondo quanto enunciato con la prossima legge di stabilità, a ogni prestazione soggetta a limitazioni prescrittive, è allegata una nota che indica in quale caso quell'accertamento non può essere erogato gratuitamente. Ma se ogni prestazione con limiti prescrittivi deve essere trascritta su una ricetta a sé, si moltiplicherà il ticket da 10 euro già in essere;
    il sistema di welfare deve essere rimesso al centro dell'agenda politica di Governo, con una programmazione sanitaria e finanziaria volta prioritariamente a salvaguardare e rendere efficiente la prevenzione e l'accesso alla cura in ambito pubblico;
    il nuovo provvedimento contenuto nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che sostituisce integralmente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, recante «definizione dei livelli essenziali di assistenza» in attuazione della legge di stabilità 2016, ha stanziato 800 milioni di euro annui per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. Tuttavia, i cambiamenti introdotti dal nuovo schema di decreto in materia di servizi e le prestazioni garantite ai cittadini, pare non ridefiniscano le prestazioni attività per quanto attiene alle cure palliative ospedaliere;
    le cure palliative sono invece una questione urgente e di grande importanza sociale inerente al sollievo della sofferenza dei malati gravi in tutti i setting di cura, infatti i bisogni di cure palliative non sono affatto una problematica esclusivamente territoriale, come purtroppo dimostrano anche recenti fatti di cronaca;
    il vero obiettivo delle cure palliative è proprio quella «umanizzazione delle cure», posta come principio ispiratore gli standard ospedalieri che purtroppo ne omettono il riferimento proprio all'interno delle strutture nosocomiali;
    se non saranno apportati i necessari correttivi ai nuovi livelli essenziali di assistenza – e poi a cascata allo stesso regolamento degli standard ospedalieri –, le cure palliative non rientreranno fra le discipline garantite negli ospedali, pur essendo necessarie per tutti quei pazienti affetti da gravi malattie, che possono presentare sin dalle loro fasi precoci e lungo tutto il successivo percorso di cura specifica, importanti algie od altre sintomatologie il cui trattamento è peraltro sancito come obbligo dalla legge n. 38 del 2010 in ogni setting di cura;
    l'attività professionale prevista dal nostro ordinamento di intramoenia, così come di extramoenia esercitata dai medici del Servizio sanitario nazionale è per i presentatori del presente atto di indirizzo un'evidente forma di conflitto d'interessi, in particolare perché attualmente contribuisce esplicitamente a all'allungamento delle liste d'attesa minando il diritto alla salute di tutti. Quindi, andrebbe quantomeno stabilito, come priorità inderogabile rientrante esplicitamente nei livelli essenziali di assistenza l'abbattimento delle stesse liste d'attesa, stabilendone il livello massimo accettabile a seconda degli ambiti patologici prima di concedere la eventuale possibilità di quote di attività a pagamento che rischiano altrimenti di sottrarre personale sanitario all'attività di cura che deve essere garantita a tutti i cittadini;
    un modello di sanità pubblica che include la possibilità di esercitare la professione privatamente, soprattutto senza prima verificare l'adeguatezza dell'assolvimento dei bisogni essenziali nelle tempistiche corrette richieste dalle varie patologie, è in contrasto, per i presentatori del presente atto con i principi di equità e solidarietà che ispirano il Servizio sanitario nazionale, fino a compromettere il rapporto di fiducia e di stima che si devono stabilire tra chi ha bisogno di cure e il suo medico poiché si discriminano i cittadini tra loro per il reddito e il diritto alla salute che invece è uguale per tutti come sancisce la nostra Costituzione;
    infine si pone la questione della negazione di alcuni diritti alle donne in materia di autodeterminazione. Con la legge n. 194 del 1978, si è sancito il diritto della donna di poter scegliere se interrompere volontariamente una gravidanza. Tuttavia, è noto che tale diritto risulta di fatto violato per i presentatori del presente atto, a causa dell'altissima presenza nelle strutture pubbliche ospedaliere di medici ginecologi e personale paramedico obiettore di coscienza;
    come è noto però, alcuni medici nelle strutture pubbliche applicano senza indugi la legge n. 194 del 1978 dichiarandosi obiettori, mentre non hanno remore a esercitare l'applicazione della legge nelle strutture a pagamento;
    purtroppo, la quasi totalità del medici obiettori fa sì oltretutto che, mentre da un lato diminuisce l'offerta del pubblico, dall'altro, aumentano le interruzioni di gravidanza clandestina o casi di donne che si procurano l'aborto a casa prendendo pillole che si possono acquistare via internet o direttamente in farmacia;
    inoltre, le strutture ospedaliere pubbliche per garantire il servizio d'interruzione volontaria di gravidanza sono spesso costrette a ricorrere alle prestazioni dei «gettonisti» oppure a richiamare in servizio i medici in pensione con il conseguente aggravio della spesa sanitaria;
    si ricorda al proposito la recente e triste vicenda di una donna deceduta dopo aver partorito i due gemelli morti che portava in grembo da cinque mesi – che a detta dei famigliari e dell'avvocato che li assiste – per il probabile mancato intervento del medico di guardia obiettore. Quanto accaduto è molto grave soprattutto perché viene dimenticato che, prima di tutto, va garantito l'accesso ai servizi sanitari che la legge vigente impone in materia di diritto alla salvaguardia della salute;
    con la legge n. 194 del 1978 sono nati i consultori, strutture pubbliche di aiuto, cura e sostegno alla contraccezione, prevenzione e sensibilizzazione di malattie sessuali. I consultori, tuttavia, sono sempre più destituiti nelle loro mansioni, senza considerare il fondamentale ruolo che rivestono. Occorre investire maggiormente in tale ambito poiché è necessario riconoscere l'importantissimo ruolo degli operatori che vi prestano servizio, garantendo altresì la presenza di personale non obiettore;
    le campagne nazionali messe in campo di recente dal Ministero della salute dimenticano la realistica e spesso drammatica situazione nella quale vivono le donne: mancanza di occupazione, disuguaglianza salariale rispetto all'uomo, mancanza di sostegno economico e nessuna tutela dei diritti riproduttivi e sessuali;
    si ritiene bensì essenziale avviare incontri formativi di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, con l'obiettivo di sensibilizzare i giovani a un corretto rapporto sentimentale e volti anche alla prevenzione del bullismo e violenza di genere,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per superare le diseguaglianze regionali, in primo luogo mediante l'abolizione del ticket fisso di dieci euro su tutto il territorio nazionale;
2) ad avviare una programmazione che determini un contenimento delle liste di attesa in ambito sanitario, favorendo un corretto uso di tutte le risorse del Servizio sanitario nazionale in una logica di integrazione e sinergia del sistema e erogativo fra le diverse strutture operanti sul territorio;
3) ad assumere iniziative per apportare le giuste modifiche alle misure di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria ai fini dell'esenzione del ticket, dato dalla somma dei redditi lordi dei singoli membri del nucleo famigliare, portando l'esenzione per reddito alla somma di quindicimila euro;
4) ad assumere iniziative per inserire adeguate risorse destinate al Servizio sanitario nazionale con il relativo rilancio delle politiche di finanziamento pubblico al fine di rimodulare i livelli essenziali di assistenza per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie a elevato standard qualitativo di prestazione e assistenza;
5) a garantire, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in via di presentazione al Parlamento, recante la «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza», la previsione esplicita delle cure palliative come livelli essenziali di assistenza in tutte le strutture ospedaliere, e per promuovere l'analoga modifica regolamentare all'interno degli Standard ospedalieri in vigore;
6) a promuovere una politica d'investimenti nel servizio sanitario pubblico che riporti il nostro Paese al livello europeo dei finanziamenti rispetto al Prodotto interno lordo;
7) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia elaborato un piano relativo a nuove assunzioni di personale medico e paramedico nelle strutture sanitarie pubbliche al fine di assicurare ai cittadini le prestazioni specialistiche e non solo quelle essenziali e garantire un elevato standard di cura;
8) ad avviare le opportune iniziative normative per garantire a tutti i cittadini il diritto all'accesso alla cura su tutto il territorio nazionale al fine di evitare differenziazioni in base alla condizione economica, nonché al fine di garantire la tutela della salute promuovendo la soppressione della libera professione intramoenia nel Servizio sanitario nazionale o almeno la sua severa regolamentazione, consentendola solo quale surplus dopo l’«abbattimento» delle liste d'attesa a livelli congrui per ogni patologia;
9) a garantire in tutte le strutture ospedaliere la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza nel totale rispetto della libertà delle donne, garantendo almeno il cinquanta per cento di personale medico e paramedico non obiettore;
10) ad assumere iniziative affinché sia assicurata per un'adeguata programmazione per garantire e ampliare l'effettivo miglioramento dei servizi per quanto concerne la salute sessuale e riproduttiva;
11) ad assumere tutte le iniziative volte a rendere i consultori un luogo privilegiato per la corretta educazione alla sessualità, alle prevenzione di malattie trasmissibili sessualmente e alla maternità consapevole;
12) ad assumere iniziative per migliorare e potenziare le attività dei consultori, individuando altresì le procedure volte a garantire la presenza di medici non obiettori;
13) a promuovere incontri formativi nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, volti all'educazione sessuale e sentimentale e al contrasto della violenza di genere, mediante la collaborazione dei consultori.
(1-01402) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
    con la legge n. 833 del 1978 è stato istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn) in attuazione di quanto disposto dal dettato costituzionale;
    il Servizio sanitario nazionale ha come principio fondante l'accesso universalistico delle prestazione sanitarie;
    l'articolo 117 della Costituzione, lettera m) attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
    il medesimo articolo 117 della Costituzione stabilisce che la tutela della salute appartiene alla cosiddetta legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni;
    con il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992: «Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, riguardante deleghe al Governo per la razionalizzazione e le revisioni delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», venne sancita la gestione aziendale del Servizio sanitario nazionale, con conseguente finanziamento di tutte le prestazioni erogate dal Ssn a totale carico dello Stato;
    il decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999 apporta varie modifiche al decreto legislativo n. 502 del 1992 tra cui quella riguardante le prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza che non sono più finanziate da sole risorse pubbliche ed interamente a titolo gratuito ma: «a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente». Praticamente in tal modo si dà vita all'introduzione dei ticket;
    a partire dal 1o gennaio 2001 è stato soppresso il vincolo di destinazione del Fondo sanitario nazionale e conseguentemente i vincoli di destinazione dei fondi sanitari regionali, dando così avvio all'obbligo da parte delle regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione annuale quasi sempre realizzati attraverso l'aumento delle addizionali regionali (Irpef, Irap, Accise sui carburanti);
    la spesa sanitaria rappresenta oltre l'80 per cento dei bilanci delle regioni;
    la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, unitamente alla modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del fondo sanitario tra le regioni determinata dal comma 3h) dell'articolo 1 della legge n. 662 del 1996, hanno determinato la nascita di 21 sistemi sanitari diversi nel nostro Paese;
    in particolare, la modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del Fondo sanitario nazionale ha comportato che tra due regioni a parità di abitanti si realizzasse, mediamente, una differenza di assegnazione di risorse per la sanità di 400 miliardi di euro. Così si inizia a dare vita ad una sanità di «serie a» e ad una di «serie b» nel nostro Paese;
    va constatato il fallimento dell'aziendalizzazione, inoltre, si rilevano il continuo riscontro di fenomeni sempre più frequenti di scandali e corruzione, la totale assenza di attuazione di misure anticorruzione;
    il presidente dell'Anac Raffaele Cantone è intervenuto più volte per denunciare fenomeni di pessima gestione in tale contesto (proroghe, corruzione dilagante, acquisti senza gare d'appalto, sprechi, e altro);
    le cronache ci consegnano giornalmente disservizi di ogni genere, casi di malasanità con morti soprattutto nelle regioni del sud che, per loro inadempienza, non sono riuscite ad utilizzare le risorse messe a disposizione dallo Stato per l'edilizia sanitaria e per l'innovazione tecnologica;
    si riscontra una mobilità passiva sempre più crescente da sud a nord, tanto da poter affermare che il Servizio sanitario di diverse regioni del nord si finanzia con significative risorse delle regioni del sud;
    le pessime gestioni da parte di molte regioni hanno provocato una massiccia introduzione di superticket su tutte le prestazioni prorogate dal Servizio sanitario nazionale;
    si rilevano inoltre aumenti dei farmaci al punto che molti cittadini pur avendo necessità di curarsi non possono più farlo a causa della mancanza delle risorse economiche necessarie;
    pertanto risulta essere compromesso sia il rispetto dell'articolo 32 della Costituzione e sia il principio dell'accesso universalistico delle prestazioni sanitarie;
    in molte regioni i distretti socio-sanitari risultano istituiti solo sulla carta poiché non erogano le necessarie prestazioni sanitarie e sociali;
    si riscontra il mancato potenziamento della medicina territoriale;
    i consultori familiari in molte regioni del sud risultano sprovvisti delle attrezzature per un corretto funzionamento;
    in molte Asl, l'acquisizione di dispositivi medici avviene senza espletamento di regolari gare di appalto;
    molti servizi (di ristorazione – pulizia – guardiania – lavanderia) sono in moltissime Asl in regime di proroga, mediamente da oltre 10 anni;
    la gestione del personale, dal punto di vista organizzativo e funzionale, risulta essere fortemente carente in molte regioni, con la conseguente creazione di precariato sempre più crescente,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per potenziare l'assistenza territoriale, le reti di poliambulatori collegati in rete con gli ospedali e nuove modalità organizzative funzionali, in modo da poter erogare le prestazioni sanitarie necessarie nell'arco delle 24 ore;
2) a garantire livelli essenziali di assistenza in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
3) a modificare, d'intesa con il sistema delle regioni, i criteri ed i pesi attualmente individuati ed utilizzati per il riparto tra le regioni del fondo sanitario nazionale, in modo da avere una distribuzione più equa dello stesso fondo;
4) ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alle non autosufficienze;
5) a valutare l'opportunità di individuare, d'intesa con le regioni, un nuovo modello per l'erogazione delle prestazioni di assistenza domiciliare per le persone affette da grave disabilità;
6) ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, istituito con la legge di stabilità 2015;
7) a consentire l'utilizzo di farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite c ai pazienti che ne risultano essere affetti;
8) a valutare l'opportunità, d'intesa con le regioni, di abolire il «superticket» per le prestazioni specialistiche di pronto soccorso;
9) ad assumere le iniziative di competenza per prevedere un meccanismo sanzionatorio nei confronti delle regioni che non hanno provveduto all'adozione degli strumenti organizzativi funzionali previsti dall'Anac per prevenire la corruzione nelle asl.
(1-01403) «Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    il triclosan è un composto sintetico, registrato nel 1969 come pesticida, e utilizzato fin dagli anni ‘70 negli ospedali per la sua funzione antibatterica, antifungina e antivirale, successivamente inserito nella composizione di molti cosmetici per l'igiene quotidiana della persona, quali detergenti, quali detergenti intimi, dentifrici, saponi e cosmetici;
    dopo anni di ricerche la US Food and Drug Administration (FDA), ha affermato che non solo non c’è alcuna dimostrazione scientifica per cui l'utilizzo di saponi antibatterici sia meglio del lavaggio con acqua e sapone semplice nel prevenire le malattie ma che, addirittura, l'ampio uso di questi prodotti nel corso di un lungo periodo di tempo potrebbe condurre a effetti negativi sulla salute;
    sul triclosan l'FDA si era già pronunciata nel 1978, quando lo aveva bandito dai saponi per le mani, non ritenendo provate né la sua sicurezza, né tanto meno la sua efficacia. Successivamente, nel 1994 era tornata sui suoi passi, consentendone l'impiego finché non venissero prodotte nuove evidenze a sfavore del suo utilizzo. Su sollecito del Natural Resources Defense Council, l'FDA ha allora incaricato il National Toxicology Program di indagare la possibilità che l'esposizione cutanea al triclosan potesse risultare cancerogena, chiedendo nuovi dati a supporto dell'utilità e della sicurezza di molti antibatterici. Tale ricerca ha stimolato il divieto di circolazione di ben 19 principi attivi da uso igienico tra cui l'antibatterico triclosan e la decisione ha coinvolto 2.100 prodotti che, negli Stati Uniti, dovranno essere riformulati o ritirati dal commercio entro settembre 2017;
    nel marzo 2010, anche l'Unione europea con la direttiva 2010/169/UE ha proibito l'uso di questa sostanza chimica in tutti i prodotti che vengono a contatto con gli alimenti, come contenitori e posate, considerando che alcuni studi scientifici reputavano il triclosan potenziale interferente endocrino, associato vieppiù al fenomeno dell'antibiotico-resistenza;
    già nel 2012 un report dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'UNEP trattava il triclosan in relazione ai disturbatori endocrini, rimarcando la necessità di studi chiarificatori. Attualmente il triclosan è oggetto di review nel progetto europeo Community Rolling Plan che ne valuterà il potenziale come interferente endocrino;
    studi scientifici (tra cui quelli del FDA del 16 dicembre 2013) hanno inoltre sostenuto che i prodotti contenenti triclosan possano agire come interferenti endocrini, così come il bisfenolo A. Negli esseri umani questa interferenza può causare problemi come la sterilità, pubertà precoce, obesità e cancro;
    il triclosan, combinato al cloro dell'acqua, produce cloroformio e all'esposizione al sole da origine ad una forma di diossina, una sostanza tossica che simula l'azione estrogena e altera l'equilibrio ormonale;
    sono diversi gli studi, tra cui un report del Scientific Committee on Consumer Safety (SCCS), sul collegamento tra triclosan e lo sviluppo di antibiotico-resistenze. Un uso di un antibatterico di questo genere, contenuto in moltissimi prodotti, può infatti alterare la normale flora batterica cutanea, favorendo la crescita di batteri potenzialmente nocivi e resistenti ai farmaci. Un pericolo che in alcuni cosmetici, come i dentifrici e i saponi per l'igiene intima, risulta essere particolarmente grave, tanto da presupporre la necessità di sospendere l'utilizzo di tale composto;
    il triclosan risulta essere difficilmente degradabile e tende, di conseguenza, a bio-accumularsi nel grasso umano, così come riscontrato anche dall'ECHA (European Chemical Agency), comportando una esposizione permanente, tale da alterare le funzioni ormonali, riproduttive, muscolari e cardiache nonché favorire il rischio di allergie, asma ed eczemi soprattutto nei bambini;
    l'accumulo di triclosan nell'organismo è confermato dal suo ritrovamento in differenti campioni umani: tracce di triclosan sono state trovate, secondo lo Scientific American, nel latte materno, sangue, urine; nel 75 per cento dei campioni di urine secondo uno studio dell’Environmental Health Perspectives (EHP);
    in uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives, gli scienziati della University of California, hanno osservato che l'effetto del triclosan sul cervello fa registrare un preoccupante aumento dei livelli di calcio nei neuroni, che ostacola il normale sviluppo mentale;
    il triclosan appartiene ad una categoria di inquinanti denominati PPCPs, Pharmaceuticals and Personal Care Products and Pollutants, ossia ingredienti presenti in prodotti cosmetici o medici che nell'ambiente possono perturbare gli equilibri dell'ecosistema;
    gran parte del triclosan e di molti altri PPCPs utilizzati nelle case finiscono giù per lo scarico dei lavandini domestici disperdendosi in gran parte nelle acque. Gli effluenti degli impianti di depurazione contengono una grande quantità di PPCPs che non vengono completamente rimossi dalle unità di trattamento convenzionali e che quindi vengono rilasciati nei corpi idrici ricettori (Ternes et al., 1998; Carballa et al., 2004);
    una volta nell'ambiente, il triclosan subisce modificazioni chimiche che portano alla formazione di sottoprodotti. Uno di questi è il methyl triclosan, un composto più persistente nell'ambiente che ha una tendenza maggiore del triclosan stesso ad accumularsi negli esseri viventi, pesci in primis;
    per azione della fotodegradazione (cioè per azione della luce) infine, il triclosan dà origine a diossine. Una ricerca dell'università del Minnesota ha evidenziato una crescita dei livelli di questa sostanza come sedimento in laghi e corsi d'acqua, motivo per cui lo Stato del Minnesota ha già escluso, per legge, la possibilità di utilizzare tale sostanza per la realizzazione di prodotti di igiene per la casa;
    un recente studio canadese ha dimostrato quanto il triclosan si bioaccumuli e contamini acque superficiali, sedimenti e suoli e intossichi gli organismi acquatici, anche per lunghi periodi, essendo difficilmente biodegradabile;
    l'Unione europea regolamenta il triclosan nella lista dei deodoranti e conservanti del regolamento comunitario 1223 del 2009 (allegato 5 «Elenco dei conservanti ammessi nei prodotti cosmetici», applicato in Italia secondo quanto stabilito con un decreto del Ministro della salute in forza della legge europea 2013) stabilendone una concentrazione massima dello 0,3 per cento. A partire dal marzo 2010, con la decisione 2010/169/UE è stato vietato l'uso del triclosan nei prodotti che vengono a contatto con gli alimenti, a fronte di una sospetta tossicità per l'uomo;
    il principio di precauzione e la necessità di tutela della salute umana e dell'ambiente suggeriscono una revisione in merito all'uso del triclosan nei prodotti per l'igiene della persona;
    l'opposizione dell'opinione pubblica alla commercializzazione di tale sostanza, come dimostrato dalla petizione e dal report de «Il Test salvagente», finalizzata ad eliminare la sostanza imputata dai prodotti cosmetici,

impegnano il Governo

ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché siano rivisti i limiti d'uso del triclosan, stabiliti dal regolamento europeo, al fine di giungere ad un completo divieto dell'antibatterico, così come disposto in altri Paesi, quali gli Stati Uniti d'America.
(7-01129) «Busto, Mantero, De Rosa, Tripiedi, De Lorenzis, Fantinati, Grillo, Liuzzi, Vallascas, Daga, Micillo, Gagnarli, Crippa, Chimienti, Paolo Bernini».


   La I Commissione,
   premesso che:
    il prossimo 4 dicembre si svolgerà nel nostro Paese una delicata consultazione referendaria, dall'esito della quale dipenderà la conferma o la cancellazione di una riforma di vaste parti della Costituzione della Repubblica che, com’è noto, contempla anche la fine del bicameralismo perfetto ed importanti interventi sul Titolo V;
    a garanzia tanto di coloro che voteranno a favore quanto di coloro che si esprimeranno contro la conferma della riforma costituzionale, nonché dei mercati e della comunità internazionale, pare opportuno aprire le porte del nostro Paese al monitoraggio della consultazione da parte di autorevoli organizzazioni a ciò deputate;
    tra queste spicca per competenza l'Ufficio dell'OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani, l'ODIHR, che è basato a Varsavia;
    in occasione delle elezioni locali ucraine dell'ottobre 2015, l'ODIHR ha in effetti celebrato la sua trecentesima missione di monitoraggio elettorale, circostanza che testimonia la grande esperienza in materia accumulata da questa importante articolazione dell'OSCE;
    soltanto in questo mese di ottobre 2016, inoltre, team dell'ODIHR sono stati inviati a seguire le elezioni politiche in programma in Georgia, Lituania e Montenegro, nonché le Presidenziali che avranno luogo in Moldova;
    una Election Observation Mission dell'ODIHR sarà altresì inviata negli Stati Uniti in occasione delle imminenti elezioni presidenziali e per il rinnovo del Congresso in programma per il prossimo 8 novembre, com'era già accaduto quattro anni fa, quando una Limited Election Observation Mission venne invitata a monitorare il voto politico americano del 6 novembre 2012;
    un'altra Election Observation Mission ha altresì impegnato recentemente l'ODIHR in Russia, in occasione delle locali elezioni per il rinnovo della Duma, svoltesi il 16 settembre scorso;
    l'ODIHR è già intervenuto anche nel nostro Paese, monitorando lo svolgimento delle elezioni politiche del 2006, sulla base di un invito rivoltogli a questo scopo dal Ministero degli affari esteri;
    nella circostanza, giunse nel nostro Paese un team di esperti elettorali provenienti da nove Stati membri dell'OSCE;
    tale team, sotto la guida dell'americano Peter Eicher, provvide ad esaminare l'applicazione del sistema elettorale introdotto nel dicembre 2005, seguì le fasi finali della campagna elettorale, osservò il lavoro dell'amministrazione pubblica preposta alla gestione delle elezioni tanto a livello centrale quanto periferico, giungendo ad occuparsi persino dell'attività delle maggiori emittenti pubbliche e private;
    la missione di osservazione elettorale per la prossima campagna referendaria dovrebbe infatti includere anche una specifica attività di media monitoring, che valuti eventuali sovraesposizioni mediatiche, e assicuri la completezza e l'imparzialità delle informazioni in ambito radiotelevisivo, nel rispetto delle regole di par condicio. Si tratta di un supporto fondamentale, per offrire ai cittadini italiani elettori la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, nonché l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione,

impegna il Governo

ad assumere iniziative affinché quanto prima possa essere inviata una missione di monitoraggio elettorale da parte dell'ODIHR che segua la campagna referendaria appena avviata, le operazioni di voto e gli scrutini, anche verificando il rispetto della par condicio da parte degli organi di informazione radiotelevisiva, nonché gli eventuali ricorsi collegati allo svolgimento della consultazione popolare che il prossimo 4 dicembre deciderà il destino della riforma costituzionale approvata quest'anno dal Parlamento.
(7-01128) «Invernizzi, Picchi, Occhiuto, La Russa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BASSO, CAROCCI, TURCO, ERMINI, GIACOBBE e MARIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2016 alle ore 10,28 ad Arenzano, in località Pizzo, si è staccata una frana di ingenti dimensioni, invadendo completamente la strada statale 1 (SS1) Aurelia. Alcuni massi sono precipitati sul lungomare a valle dell'Aurelia. È stato ferito gravemente un uomo che transitava sul lungomare che, dopo diversi delicati interventi neurochirurgici e maxillo-facciali, dopo degenza prolungata in rianimazione, ora è fuori pericolo e si sta avviando ad una fase di riabilitazione;
   la frana avrebbe potuto causare una strage se non fosse che, fortunatamente, dalle ore 9, la polizia municipale inibiva la sosta in località Pizzo e su tutto il tratto della strada statale 1 Aurelia che attraversa il paese in previsione del passaggio della gara ciclistica Milano-Sanremo prevista per le ore 13 e che l'ultimo tratto di passeggiata, Lungomare Olanda, a valle dell'Aurelia, in località Pizzo, era interdetto al passaggio pedonale in quanto in corso il cantiere per il completamento della pista ciclabile (progetto ligure che coinvolge i comuni costieri realizzato attraverso fondi FAS); inoltre, non erano presenti i lavoratori del cantiere in quanto giorno prefestivo;
   sul luogo sono intervenuti immediatamente i vigili del fuoco, le forze dell'ordine e la protezione civile comunale; in particolare il centro operativo comunale ha prodotto tramite Dibris (Dipartimento informatica, robotica, bioingegneria ed ingegneria dei sistemi – Università di Genova) e Fondazione Cima, una documentazione della frana tramite drone, visualizzabile sul sito di Fondazione Cima;
   l'area è stata immediatamente isolata ed inibita al traffico veicolare e pedonale (ordinanza sindacale contingibile ed urgente n. 30/2016 del comune di Arenzano) e Anas ha immediatamente aperto un cantiere per lo sgombero dei massi e lo studio del fronte franato. I territori soggetti alla frana sono di proprietà privata. Anas ha proseguito incessantemente i lavori di sorveglianza, studio e disgaggio di materiale instabile;
   il sindaco del comune di Arenzano ha richiesto in data 21 marzo 2016 alla regione una riunione urgente per mettere a punto quali azioni immediatamente da intraprendere per continuare nell'azione tempestiva di messa in sicurezza e ripristino della viabilità. In tale riunione, tenutasi in regione alle 17,30 del 21 marzo 2016, l'Anas ha garantito il proseguimento dei lavori e contestualmente di progettazione e realizzazione delle opere. Hanno altresì comunicato che avrebbero diffidato i proprietari dei terreni alla messa in sicurezza, così come il sindaco ha comunicato di eseguire l'ordinanza sindacale di messa in sicurezza dei terreni ai proprietari e non ad Anas in quanto parte già attiva nei lavori;
   Anas ha quindi diffidato i proprietari a mettere in sicurezza i territori di loro proprietà ed il sindaco ha emesso un'ordinanza di messa in sicurezza dei fronti franati ai proprietari (ordinanza n. 32 del 22 marzo 2016 del comune di Arenzano);
   i lavori sono quindi proseguiti incessantemente fino a mercoledì 23 aprile 2016 quando è pervenuto il sequestro dell'area da parte della Procura della Repubblica e conseguente sospensione immediata di tutte le attività presenti sull'area;
   i proprietari dei terreni hanno risposto alla diffida di Anas ed alla ordinanza sindacale con un atteggiamento di non disponibilità che ha di fatto impedito che fossero assunte le iniziative immediate che Anas aveva fino a quel momento aveva richiesto;
   il sindaco di Arenzano, a quanto consta agli interroganti, avrebbe telefonato in data 29 marzo 2016 al direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che avrebbe ascoltato e assicurato un interessamento del Ministero;
   nei giorni successivi sono avvenuti i sopralluoghi sull'area della frana da parte del tecnico incaricato dal magistrato, accompagnato dalla polizia giudiziaria (il primo sopralluogo è avvenuto il 26 aprile 2016; il secondo, alla presenza dei proprietari, il 30 aprile 2016). È stato nominato custode dell'area il geometra Muffoletto, dipendente del comune di Arenzano, il 26 aprile 2016;
   il sindaco di Arenzano ha chiesto ad Anas la sua permanenza sull'area di frana per proseguire nel monitoraggio della frana stessa e per eseguire la sorveglianza ma, in data 11 aprile 2016, Anas ha smobilitato il personale di sorveglianza che fino a quel momento aveva presidiato l'area, abbandonando il sito. Permane la custodia del sito da parte del comune di Arenzano;
   il sindaco di Arenzano, sempre più preoccupato della situazione, ha quindi richiesto al prefetto, così come all'Anas, un incontro per definire il programma e le tempistiche dell'intervento;
   in data 13 aprile 2016, presso la prefettura di Genova, il prefetto ha convocato il comune di Arenzano (presenti: sindaco, geometra Muffoletto custode dell'area e geometra Damonte, tecnico comunale), Anas (presenti: ingegnere Nibbi, capo dipartimento ligure, ingegnere Gualco, architetto Giampaolino ed un legale), regione (presenti: assessore Giampedrone, dottor Roncallo ed ingegnere Boni), vigili del fuoco (presente comandante Giancarlo Moreschi), sopraintendenza, Autostrade (presenti ingegnere Rigacci);
   Anas ha illustrato il percorso fatto fino ad oggi ed ha dichiarato di non aver ancora pronto il progetto di messa in sicurezza della strada, anche per la difficoltà incontrata nei rapporti con i proprietari dei terreni, specificando che la messa in sicurezza dei fronti prospicienti l'Aurelia, di proprietà privata, prevede l'utilizzo di sistemi che modificano certamente l'assetto dei terreni e quindi ha manifestato la preoccupazione di rivalsa da parte dei proprietari;
   il prefetto ha quindi incaricato il sindaco di convocare i proprietari con Anas e di illustrare la situazione cercando di ottenere la massima collaborazione; giovedì 21 aprile 20016 il sindaco ha convocato i proprietari dei terreni ed Anas per illustrare le prospettive dei lavori;
   dalle verifiche effettuate dal comune di Arenzano, attraverso il sistema di videosorveglianza sui varchi dell'Aurelia, risulta che i transiti veicolari in quel tratto di Aurelia dal 19 luglio 2015 (data di installazione del sistema) ai primi giorni del mese di maggio 2016 sono stati oltre 1.800.000;
   è stata richiamata l'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sul grave rischio che si correrebbe nell'ipotesi di un incidente sulla A10, ad oggi l'unica via di comunicazione stradale per la Liguria e una delle principali tra l'Italia ed il confine francese; un'autostrada che vede già in questo periodo code quotidiane, che nei mesi estivi possono raggiungere anche i 50 chilometri durante i fine settimana;
   in data 4 maggio 2016 si apprende di un accordo, anche di carattere economico, da parte di Anas e regione Liguria per una compartecipazione alle spese al fine di sostenere il progetto di un primo intervento per la riapertura dell'Aurelia, con l'opzione di rivalersi su eventuali soggetti terzi; la data di riapertura slitterebbe però, a quanto consta agli interroganti, a metà luglio, e ciò sembrerebbe aver creato immediate e giustificate preoccupazioni da parte degli operatori commerciali e dell'amministrazione del comune di Arenzano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano mettere in atto al fine di garantire il ripristino della viabilità – nel minor tempo possibile – sulla strada statale 1 (SS1) Aurelia, in considerazione della rilevanza nazionale di questa arteria di comunicazione e anche tenendo conto del fatto che, con l'approssimarsi della stagione estiva, per la comunità di Arenzano e per l'intera regione Liguria, si configura non solo un disagio insostenibile per i cittadini e una disastrosa ricaduta economica sulle attività turistiche, ma anche un reale pericolo per il soccorso dei cittadini residenti e turisti poiché i mezzi di soccorso dovranno necessariamente utilizzare la sola rete autostradale e il servizio di soccorso, in caso di blocco (peraltro frequente su questo tratto autostradale interessato da pesante traffico portuale), sarebbe significativamente compromesso e impossibilitato a garantire la sicurezza dei cittadini. (3-02574)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Giuseppe Sala, attuale sindaco di Milano, è stato nominato Commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 maggio 2003;
   durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative nel comune di Milano è stata sollevata, dalla stampa nazionale, la questione inerente la possibilità giuridica del dottor Sala di assumere il ruolo di candidato sindaco per Milano;
   a seguito del dibattito circa la sua candidabilità al ruolo di sindaco di Milano, è stata pubblicata originariamente dal sito web «Gli Stati Generali» di in forma di mera fotoriproduzione e successivamente dal sito web del quotidiano «Repubblica», la missiva con la quale il dottor Sala avrebbe rimesso l'incarico di Commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015;
   dall'esame comparato dei due documenti si rileva che il primo è munito del timbro, che attesterebbe la data del protocollo, mentre il secondo documento ne è privo;
   la circostanza appare strana, in quanto sembrerebbe non ordinaria l'esistenza di due documenti identici, uno munito del timbro del protocollo e l'altro privo–:
   se il Governo possa chiarire quando sia stata consegnata la missiva avente ad oggetto le dimissioni del dottor Sala dalla carica di Commissario unico per Expo Spa e con quale mezzo (se a mano, a mezzo pec, fax, raccomandata andata e ritorno o altro);
   se risulti a cura di chi sia stato consegnato il documento, in caso di avvenuta consegna a mano;
   se esista una ricevuta della consegna del documento. (4-14616)


   MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Lega nazionale dilettanti della Federazione italiana gioco calcio (FIGC) ha differenti modalità di tesseramento tra un calciatore italiano maggiorenne e calciatori maggiorenni stranieri e, fra questi, se comunitari o extracomunitari;
   per i calciatori maggiorenni italiani i documenti richiesti sono: certificato medico di idoneità, i dati anagrafici, il codice fiscale e il certificato anagrafico di residenza;
   se, invece, il calciatore è in particolare extracomunitario viene richiesta copia del permesso di soggiorno con validità fino al 31 gennaio dell'anno in cui si conclude la stagione sportiva per cui è stato richiesto il tesseramento o copia della avvenuta richiesta di rinnovo dello stesso;
   gli atleti e le atlete stranieri in attesa del primo rilascio del permesso di soggiorno sono, dunque, esclusi;
   stessa sorte hanno coloro che sono in possesso del permesso di soggiorno con scadenza anteriore al 31 gennaio, in quanto non possono richiedere il rinnovo prima di 60 giorni dalla scadenza e coloro che sono titolari di permesso di soggiorno temporaneo in quanto richiedenti protezione internazionale in attesa di esito della domanda;
   per i minori stranieri viene richiesta documentazione ulteriore: il permesso di soggiorno di entrambi i genitori, e, in particolare, occorre allegare anche i documenti che attestano il lavoro degli stessi. Questa richiesta risulta all'interrogante particolarmente arbitraria, in quanto esclude i figli di stranieri che, pur non lavorando, possono essere in possesso di un regolare permesso di soggiorno, come ad esempio i richiedenti protezione internazionale in attesa di esito della domanda;
   proprio lo sport che è considerato prioritario nei processi di integrazione e portatore di messaggi di solidarietà e rispetto non può essere deviato a favore di discriminazioni su base etnica e geografica e dunque deve essere sempre più aperto e inclusivo –:
   come intenda promuovere l'integrazione anche nell'ambito dello sport, in particolare nei settori dilettanti e giovanili, al fine di evitare forme di discriminazione etnica e geografica. (4-14618)


   BENI, CARNEVALI, CHAOUKI, FOSSATI, GIUSEPPE GUERINI, PATRIARCA e GIUDITTA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   per il tesseramento di un calciatore italiano dilettante maggiorenne da parte della Federazione italiana giuoco calcio (Figc), i soli documenti richiesti sono, oltre al certificato medico di idoneità, i dati anagrafici, il codice fiscale e il certificato anagrafico di cittadinanza e residenza;
   se il calciatore maggiorenne è straniero, i documenti richiesti variano a seconda se sia comunitario o extracomunitario;
   in particolare, se si tratta di un extracomunitario, viene richiesta copia del permesso di soggiorno con validità fino al 31 gennaio dell'anno in cui si conclude la stagione sportiva per cui si effettua il tesseramento o copia dell'avvenuta richiesta di rinnovo dello stesso;
   stando alle disposizioni previste per il tesseramento, ne verrebbero di fatto esclusi gli atleti e le atlete stranieri in attesa del primo rilascio del permesso di soggiorno, i titolari di permesso di soggiorno con scadenza anteriore al 31 gennaio che non ne hanno ancora richiesto il rinnovo, in quanto la legge permette di farlo a partire da 60 giorni prima della scadenza, i titolari di permesso di soggiorno temporaneo in quanto richiedenti di protezione internazionale in attesa di esito della domanda;
   in caso di minori stranieri, alla documentazione richiesta per il tesseramento devono essere allegati, oltre al permesso di soggiorno di entrambi i genitori, anche i documenti che attestano il lavoro degli stessi, richiesta a giudizio degli interroganti arbitraria in quanto esclude i figli di stranieri che, pur non lavorando, possono essere in possesso di un regolare permesso di soggiorno, come ad esempio i richiedenti di protezione internazionale in attesa di esito della domanda;
   la legge 20 gennaio 2016, n. 12, all'articolo 1, comma 1, dispone che «i minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani»;
   da sempre la pratica sportiva rappresenta un efficace strumento di integrazione e di promozione dei principi di solidarietà e rispetto reciproco, oltre che una condizione necessaria al sano sviluppo psicofisico dei giovani, e per tale ragione l'accesso allo sport deve essere garantito e reso possibile a tutti –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche normative, affinché vengano rimosse le restrizioni riscontrate negli adempimenti burocratici per il tesseramento di calciatori e calciatrici stranieri che di fatto generano vere e proprie discriminazioni, in aperta contraddizione con i principi sottesi alla citata legge n. 12 del 2016. (4-14619)


   CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del progetto «investinitaly realestate», gestito dall'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese – Ice, www.investinitalyrealestate.com, dedicato alla presentazione di offerte di investimento in immobili pubblici, di società partecipate pubbliche o partecipate pubblico-privato, sono proposte come opportunità per investitori italiani e stranieri: la piazza D'Armi e gli Scali ferroviari milanesi di Porta Genova, Farini, Milano Greco – Lambrate – Rogoredo e Porta Romana;
   lo Scalo Farini viene indicato sul sito come «la più grande opportunità di sviluppo immobiliare della città di Milano», in «area edificabile, commerciale, direzionale, residenziale», per una «Slp totale di 358 mila metri quadri». Sulla stessa pagina online appaiono, oltre ad alcune immagini dello stato attuale dell'area, un rendering dall'alto dell'edificio con alcune torri;
   sebbene il testo concernente la delibera sulla riqualificazione degli scali ferroviari milanesi non sia stato ancora approvato dal consiglio comunale, si promuovono sul sito www.investinitalyrealestate.com opportunità di investimento sugli scali ferroviari, con parametri e valori di edificabilità che non corrispondono al testo in discussione in consiglio. Si tratta di parametri che fanno riferimento all'accordo di programma che è stato bocciato dal Consiglio comunale di Milano nella scorsa amministrazione comunale;
   il portale investinitalyrealestate.com è un progetto realizzato su input della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico, attraverso l'Ice – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, in collaborazione con il Ministero dell'economia e delle finanze e con l'Agenzia del demanio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali urgenti iniziative si intendano intraprendere affinché sul sito www.investinitalyrealestate.com vengano inserite informazioni corrette sulle aree per le quali l'autorità competente non ha ancora deliberato. (4-14621)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   negli anni dal 2001 al 2013 la regione Basilicata e i comuni lucani hanno incassato royalties per un miliardo e 158 milioni di euro, di cui l'85 per cento è stato utilizzato per la spesa corrente, il 7 per cento per ricerca e innovazione, altri 47 milioni e mezzo di euro sono stati utilizzati in progetti classificati sotto la voce inclusione sociale e 39 milioni di euro sono serviti per il disavanzo nella sanità;
   nel biennio 2014 – 2015, la Basilicata, con circa 4 milioni di tonnellate di petrolio estratto in Val d'Agri (il 70 per cento del petrolio estratto in Italia), ha coperto il 6,3 per cento dei consumi petroliferi nazionali e per il gas nello stesso anno è arrivata a coprire il 20 per cento della produzione nazionale;
   dopo oltre un anno di attesa, il 19 ottobre 2016 sono iniziate le operazioni di ricarica del quarto e ultimo bonus della card idrocarburi riferito all'anno 2012, che oscillerà dai 30 euro, per chi ha percepito un reddito superiore a 75 mila euro, ai 112 euro, per chi ha dichiarato un reddito da 28.001 e a 75 mila euro e a 224 euro a chi ha un reddito da zero a 28.000 euro;
   l'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n. 99, accrescendo di un altro 3 per cento il valore delle royalties petrolifere a carico delle compagnie concessionarie, istituiva un fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi e oltre 330 mila cittadini della Basilicata hanno usufruito di questo beneficio attraverso la carta carburante;
   l'articolo 36 del decreto-legge n. 133, del 2014 cosiddetto «Sblocca Italia» modifica la finalità cui sono destinate le risorse del fondo di cui all'articolo 45 della legge n. 99 del 2009 che, a normativa vigente, è preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi e la nuova finalizzazione consiste nella promozione di misure di sviluppo economico e all'attivazione di una social card in favore dei residenti nelle regioni interessate dall'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi;
   l'accordo siglato il 19 marzo 2015 tra il Ministero dello sviluppo economico e la regione Basilicata, relativo al biennio 2013-2014, prevedeva di destinare il fondo alle seguenti misure: incentivi a favore delle piccole e medie imprese, artigiani, commercianti, lavoratori autonomi; interventi di risparmio energetico su unità abitative private in favore di persone fisiche residenti in Basilicata per rilanciare il sistema economico; sostegno al reddito, strumenti di incentivazione per l'inserimento occupazionale e sociale per i soggetti più vulnerabili; fondo per comuni e province per l'ampliamento dei servizi offerti; fondo per l'occupazione stabile sul territorio regionale; fondo per i progetti di utilità sociale;
   il decreto ministeriale del 25 febbraio 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 2016 ha dettato le nuove «Modalità procedurali di utilizzo del Fondo preordinato alla promozione di misure di sviluppo economico e all'attivazione di una social card per i residenti nelle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi»;
   il decreto ministeriale di ripartizione del fondo per il 2013 e 2014 tra le 12 regioni aventi diritto a quanto consta all'interrogante, risulterebbe essere stato adottato il 14 settembre 2016, e inviato alla Corte dei conti il 26 settembre 2016 per la sua registrazione, non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
   il 13 ottobre 2016 in un incontro pubblico il Presidente della regione Basilicata ha presentato ai sindacati e alle associazioni datoriali il documento di rimodulazione del bonus idrocarburi per il biennio 2013 e 2014. Le risorse ammontano circa 130 milioni di euro per le politiche sociali e 70 milioni di euro per le politiche di sviluppo. Le misure annunciate sono indirizzate al risparmio energetico per unità abitative, al fondo stabile per l'occupazione, ai pacchetti integrati di agevolazioni per le imprese, alla ricapitalizzazione e all'integrazione dei fondi Confidi, al finanziamento delle nuove leggi per artigianato, cooperazione e commercio, alla mobilità sostenibile verso le aree produttive, al sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese e agli indirizzi del programma Industria 4.0;
   le modalità procedurali di utilizzo del nuovo fondo è tale da garantire che le sue finalità siano rispettate, ma il meccanismo è complicato a causa dei criteri stringenti stabiliti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il fondo del 2013 è a rischio perenzione se non viene impegnato entro la fine dell'anno e le risorse attualmente disponibili tornerebbero al Ministero dell'economia e delle finanze per essere successivamente riassegnate o destinate ad altro scopo –:
   anche ai fini della salvaguardia degli obiettivi di qualificazione della spesa, quali iniziative il Governo intenda adottare per favorire l'impiego delle risorse finanziarie spettanti alla Basilicata verso le attività produttive, gli investimenti e la creazione di posti di lavoro, nonché quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di riequilibrare il deficit socio-economico della Basilicata che tuttora mantiene ancora il primato di una delle regioni più povere d'Italia.
(2-01518) «Latronico».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle vendite giudiziarie, il decreto-legge 14 febbraio 2016 n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 8 aprile 2016 n. 49, all'articolo 16, comma 2-bis, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2016, ha previsto talune agevolazioni fiscali ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali per i trasferimenti di proprietà o di diritti reali su beni immobili a favore di soggetti che non svolgono attività di impresa, consistenti in una tassazione agevolata (e temporanea) in capo all'acquirente in misura fissa per ciascun singolo tributo;
   quale presupposto per l'applicazione dell'agevolazione, il citato articolo 16, comma 2-bis prevede che «in capo all'acquirente ricorrano le condizioni previste alla nota II-bis dell'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131»;
   la normativa da ultimo citata – che, a differenza del decreto-legge n. 18 del 2016, non riveste carattere temporaneo – prevede una serie di condizioni oggettive e soggettive al ricorrere delle quali il soggetto che acquista un determinato immobile residenziale quale «prima casa» beneficia di una tassazione agevolata. Tale agevolazione peraltro non trova applicazione per gli immobili che appartengono ad alcune categorie catastali, tra cui la categoria A/8 relativa agli immobili in villa, per effetto di quanto previsto dalla Tabella A, parte II, n. 21, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   a decorrere dal 1o gennaio 2015, come precisato anche dalla circolare dell'Agenzia delle entrate del 30 dicembre 2014 n. 31/E, « l'applicazione dell'agevolazione IVA “prima casa” è, dunque, vincolata alla categoria catastale dell'immobile, non assumendo più alcun rilievo, ai fini dell'individuazione delle case di abitazione oggetto dell'agevolazione, le caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969, che contraddistinguono gli immobili “di lusso”»;
   il decreto-legge n. 18 del 2016 non esclude dal proprio ambito di applicazione la categoria A/8, relativa agli immobili in villa, con ciò ingenerando per l'interrogante la possibilità di una interpretazione dubbia, in materia di agevolazioni fiscali, nonché contrastante con la normativa di carattere permanente esistente in materia e con l'interpretazione della Agenzia delle entrate –:
   se il Governo intenda assumere eventuali iniziative di competenza per chiarire se un soggetto privato non imprenditore possa beneficiare delle agevolazioni fiscali temporanee di cui all'articolo 16, comma 2-bis, decreto-legge n. 18 del 2016, anche per i trasferimenti di proprietà o di diritti reali su beni immobili appartenenti alla categoria A/8, da adibire a prima casa.
(4-14613)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158 (elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa rifiuti), con le modifiche apportate dalla legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge Finanziaria 2000) e dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289, all'articolo 5, illustra il «Calcolo della tariffa per le utenze domestiche», rimandando all'allegato 1 e precisamente al punto 4.2 del medesimo relativo al «Calcolo della parte variabile delle tariffe per le utenze domestiche»;
   il «Regolamento per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES)», redatto dal dipartimento delle finanze e da StudiareSviluppo, all'articolo 16, riporta le «tariffe per le utenze domestiche» e risulta essere l'ultimo vademecum a disposizione di enti e contribuenti in grado di illustrare la normativa in oggetto;
   il Sole24Ore, nell'articolo dal titolo «Tari, spazio per riduzione se c’è un disservizio» (datato 4 dicembre 2014), parla di «errori commessi dagli enti, per esempio nel calcolo della quota variabile delle utenze domestiche che va computata una sola volta a prescindere dal numero delle pertinenze [...] La quota variabile va invece computata una sola volta, essendo l'utenza domestica riferita alla medesima famiglia» –:
   se la «quota variabile» della Tassa sui rifiuti (Tari) vada calcolata una sola volta per tipologia di occupazione (ad esempio per l'utenza domestica), pur se questa risulti costituita da più superfici. (4-14620)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 407 Basentana è un'arteria strategicamente importante per la Basilicata e l'intero Mezzogiorno, in quanto collega il Tirreno allo Ionio. Il tracciato segue il corso del fiume Basento da Potenza a Metaponto e compone l'itinerario della strada europea E847, dorsale nord-sud che unisce Sicignano degli Alburni alla Tavole Palatine di Metaponto;
   la tratta ha un'estensione di 100 chilometri e si presenta a due carreggiate, con due corsie per ogni senso di marcia con spartitraffico solo nel tratto ricadente nella provincia di Potenza, mentre lo stesso è assente lungo il tratto della provincia di Matera, in particolare tra Calciano e Metaponto. L'itinerario è caratterizzato da curve molto pericolose, numerose gallerie e restringimenti di carreggiata e ciò limita fortemente i livelli di sicurezza e la velocità di marcia;
   il sistema infrastrutturale lucano presenta molte carenze sul piano viario, della sicurezza e della manutenzione, specie per quanto riguarda le principali arterie che collegano i principali punti di interesse della regione;
   la pericolosità della strada statale Basentana continua ad aumentare in maniera sproporzionata e in questo ultimo periodo continua l'incremento di sinistri anche con tragiche conseguenze a causa delle condizioni dell'infrastruttura che, secondo i dati dell'Istat si attesterebbero intorno ad una media di 0,20 per chilometro;
   la strada in questione, oltre ad essere ad unica carreggiata a doppio senso di marcia che mal sopporta l'enorme mole di traffico soprattutto nei giorni feriali per via dei mezzi pesanti che la percorrono, è in pessime condizioni strutturali: fondo stradale sconnesso, avvallamenti, asfalto rattoppato, deterioramento della segnaletica stradale, mancanza di adeguata illuminazione nelle gallerie. In alcuni tratti il doppio senso di marcia non risulta adeguatamente diviso da spartitraffico ma da una semplice doppia striscia continua e lungo la strada sono presenti molti svincoli a raso dove si rileva la mancanza di corsie di emergenza. Il dissesto e la conseguente pericolosità aumentano quando le condizioni meteorologiche si fanno avverse ed, in particolare, in caso di pioggia, che rende invisibile all'automobilista lo stato reale dell'asfalto;
   gli incidenti che si verificano lungo la strada statale 407 sono quasi sempre di grave entità e causano morti e feriti. È utile ricordare l'incidente avvenuto nel mese di febbraio 2016, quando nei pressi di Salandra un veicolo, in mancanza di spartitraffico, ha invaso la corsia opposta provocando un incidente frontale col veicolo che procedeva in senso opposto e causando la morte di tre persone. In seguito, l'associazione di volontariato culturale Ipazia ha promosso una petizione online per chiedere la messa in sicurezza, attraverso l'installazione di uno spartitraffico, del tratto di Basentana dal bivio di Calciano in direzione Metaponto, tratto ormai tristemente noto proprio per la sua pericolosità. L'ultimo incidente in ordine di tempo risale a pochi giorni fa e ha provocato la morte di un automobilista e il ferimento di un secondo;
   con precedente atto di sindacato ispettivo presentato il 1o marzo 2016 nella seduta n. 580 (interrogazione n. 3-02064) a cui non è stata data risposta, l'interrogante evidenziava la pericolosità dell'arteria stradale lucana e il problema della messa in sicurezza, anche in considerazione della designazione di Matera quale Capitale europea della cultura 2019 che incrementerà il traffico veicolare e porterà certamente un numero elevato di turisti a percorrere la Basentana per raggiungere la città dei Sassi –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di rendere sicura la percorribilità della strada statale 407, soprattutto in considerazione dei continui incidenti mortali che si verificano;
   quali iniziative intenda attivare affinché Anas predisponga celermente un piano di ammodernamento della strada statale 407 Basentana nel tratto compreso tra Calciano e Metaponto in entrambi i sensi di marcia, al fine di dotare suddetto tratto di uno spartitraffico centrale e di una corsia di emergenza e di adeguare l'arteria a tutti gli standard che garantiscano la sicurezza degli automobilisti.
(3-02575)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane si sono registrati una serie di incidenti, alcuni purtroppo molto gravi, lungo la strada statale «Basentana» che collega Potenza a Metaponto;
   l'ultimo in ordine di tempo nella giornata dell'8 giugno 2015 quando nei pressi dello svincolo di Tricarico un autoarticolato si è ribaltato bloccando la circolazione;
   l'ennesimo incidente oltre pone in maniera ineludibile il tema della sicurezza di una arteria strategica per l'intero Mezzogiorno in quanto collega la A3 alla Jonica;
   oltre agli interventi di messa in sicurezza dal punto di vista strutturale già sollecitati più volte con atti di sindacato ispettivo anche per prevenire rischi occorre intervenire ammodernando l'infrastruttura;
   si è in assenza di una corsia di emergenza, vi è la questione relativa allo spartitraffico, il fondo stradale soprattutto dopo i periodi invernali sui presenta pieno di buche e avvallamenti pericolosi per chi viaggia e anche la qualità dell'asfalto va migliorata –:
   in considerazione di quanto sopra esposto anche al fine di prevenire incidenti e aumentare gli standard di sicurezza se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere nei confronti dell'Anas al fine di ammodernare la strada statale Basentana. (3-02576)

Interrogazione a risposta scritta:


   SIMONETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 23 agosto un volo Meridiana diretto ad Olbia e decollato alle 10 del mattino da Torino, con a bordo circa 97 passeggeri più sei membri dell'equipaggio, è stato costretto a fare ritorno all'aeroporto di Caselle per un'avaria ad uno dei due motori;
   come riportato a mezzo stampa, in fase di decollo, uno dei due motori del Boeing 734 ha perso potenza e all'altezza di Bra è dovuto rientrare, creando non poco spavento e disagio;
   risulta all'interrogante che trattasi di velivolo in wet-lease, termine con il quale si indica un contratto di noleggio di un aeromobile comprendete tutte le prestazioni accessorie quali assicurazione, equipaggio e manutenzione;
   il contratto di wet-lease viene solitamente stipulato tra due compagnie aeree: il locatore di fatto fornisce al locatario una prestazione di servizio e non, come nel caso del dry-lease, la disponibilità effettiva del mezzo; il locatore in effetti opera per conto del locatario un certo numero di voli, utilizzando una struttura interamente propria, ma tali voli vengono classificati con il codice IATA del locatario;
   anche Alitalia sta adottando tale pratica, sottraendo la revisione dei propri motori ad AMS (Alitalia Maintenance Systems), che ha sempre garantito elevati standard di sicurezza, e affidandola alla israeliana BedeK, con il risultato che solo nell'ultimo mese ha riscontrato problemi su 3 motori provenienti, appunto, da Bedek Israele;
   la predetta pratica di leasing comporta, dunque, l'evidente rinuncia ai controlli manutentivi sia sugli aeromobili che sui motori, preferendo il risparmio sui costi di gestione a scapito della sicurezza dei passeggeri –:
   a chi spetti il controllo sulla manutenzione degli aeromobili di proprietà di compagnie straniere che percorrono tratte sul territorio italiano;
   se ed in che termini, nell'ambito delle proprie competenze, si intenda salvaguardare l'elevata professionalità ed esperienza di AMS, i cui 240 lavoratori sono in attesa da oltre un anno di una risposta sul futuro occupazionale ed aziendale e la cui sigla è sinonimo di sicurezza nella revisione e manutenzione dei motori degli aeromobili. (4-14612)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge cosiddetta Bossi-Fini (legge n. 189 del 2002 «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo», al capo II «Disposizioni in materia di asilo») ha apportato sostanziali modifiche alla precedente normativa, la preesistente Commissione centrale per il riconoscimento dello « status di rifugiato» è stata trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo e, con un decentramento dell'esame delle richieste di asilo, sono state istituite le commissioni territoriali;
   la nuova normativa è stata completata con l'entrata in vigore del regolamento di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica «Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 22 dicembre 2004) che disciplina le varie fasi della procedura, il funzionamento dei centri di identificazione, le funzioni della commissione nazionale per il diritto di asilo e delle commissioni territoriali;
   le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono dunque l'organismo preposto al riconoscimento ai migranti dello status di rifugiato. In alternativa a detto riconoscimento, esse possono concedere la protezione sussidiaria, se si ritiene che sussista un rischio effettivo di un grave danno in caso di rientro nel Paese d'origine, ovvero chiedere alla questura che venga dato al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
   la commissione può non riconoscere lo status di rifugiato oppure rigettare la domanda per manifesta infondatezza. Contro le decisioni della commissione territoriale si può ricorrere al tribunale la sospensione quando ricorrono gravi e fondati motivi, che deve decidere nei cinque giorni successivi;
   tali commissioni, composte da 4 membri di cui due appartenenti al Ministero dell'interno, un rappresentante del sistema delle autonomie e un rappresentante dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Acnur/UNHCR), sono state istituite in numero di dieci, portate a venti con il decreto-legge n. 119 del 22 agosto 2014, oltre alla Commissione nazionale che ha compiti essenzialmente di indirizzo e coordinamento e formazione dei componenti delle commissioni territoriali, nonché di esame per i casi di cessazione e revoca degli status concessi;
   secondo l'articolo 26 del decreto legislativo 25 del 2008 (cosiddetto «Decreto procedure») non è previsto un termine specifico per la conclusione del procedimento. Sono tuttavia individuati dall'articolo 28 del medesimo decreto dei criteri che prevedono un esame prioritario da parte della commissione territoriale per determinate categorie di richiedenti in relazione alla loro vulnerabilità o presenza in centri di identificazione ed espulsione o centri di accoglienza per richiedenti asilo. Al di fuori di questi casi l'ordine delle convocazioni viene stabilito dalle singole commissioni facendo ricorso prioritariamente alla cronologia della data di redazione del cosiddetto Modello C3, combinato con esigenze logistiche (possibilità delle strutture ricadenti nella giurisdizione ad accompagnare i richiedenti, disponibilità di interpreti e altro);
   pur nella consapevolezza che ogni singola commissione ha una propria statistica individuale, secondo quanto riportato dai mezzi di comunicazione nazionali e dalle principali Onlus preposte ad affiancare lo Stato nell'attività di accoglienza, il tempo medio di completamento delle procedure di protezione internazionale, suddiviso per fase (commissione territoriale; tribunale; corte d'appello) e per tipologia di migrante (provenienza geografica), si aggira intorno agli 8 mesi;
   tali lunghi tempi di attesa si rivelano fonte di disagio. In primo luogo, per i richiedenti asilo i quali, avendo spesso alle spalle delle drammatiche vicende umane di fuga da conflitti o da persecuzioni portate su base etnica, politica o religiosa, debbono scontare una permanenza precaria in strutture non adeguate o condizioni degradanti. In secondo luogo, per le stesse strutture, attrezzate per una prima accoglienza temporanea e non equipaggiate dei soggiorni di lungo periodo. Infine, per le comunità afferenti il territorio sul quale insistono dette strutture, che si trovano a gestire, sovente solo con le proprie risorse e facendo leva unicamente sul volontariato, delle emergenze umanitarie di portata ben maggiore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione anzidetta;
   se si intendano assumere iniziative, e con quali tempistiche, per il potenziamento numerico delle sopra descritte commissioni territoriali, in modo da velocizzarne le operazioni accorciando i tempi d'attesa, a beneficio dei richiedenti asilo, delle strutture che li ospitano e di tutti i soggetti coinvolti. (3-02573)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE e CAPOZZOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 ottobre 2016 Nicola Landolfi, segretario provinciale del Partito democratico di Salerno, riferiva che, nella notte, il circolo democratico di Sarno di via Fabricatore veniva colpito da un attentato incendiario;
   l'ordigno esplosivo per fortuna non causava danni a persone o cose;
   tale attentato si inserisce in una lunga serie di atti intimidatori nei confronti del circolo democratico di Sarno –:
    di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa i fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga di dover adottare, per potenziare la strategia repressiva affidata alle forze dell'ordine, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini di Sarno, degli iscritti al circolo democratico di via Fabricatore, degli amministratori e della cittadinanza tutta. (5-09862)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Avanguardia Nazionale è stata un'organizzazione di estrema destra nata nel 1960 come evoluzione dei Gruppi armati rivoluzionari;
   tale realtà, apertamente neofascista, fu sciolta d'autorità nel giugno del 1976 dopo una sentenza del tribunale di Roma che condannò, in base alla legge n. 645 del 1952, la cosiddetta legge Scelba, trentuno dei suoi aderenti per ricostituzione del partito fascista;
   per un lungo periodo prima dello scioglimento forzato, Avanguardia Nazionale divenne una vera e propria organizzazione segreta dedita ad attività paramilitari, inserita a pieno titolo nella rete in costruzione del partito golpista in Italia ed autrice di attentati, aggressioni ed omicidi;
   il 25 e 26 giugno 2016, durante un convegno a Roma, alcuni dei leader storici di Avanguardia Nazionale hanno annunciato di voler far ripartire le attività dell'organizzazione, utilizzando lo stesso nome e lo stesso simbolo di allora;
   anche la matrice culturale è la stessa; una matrice che portò, nel 1976, allo scioglimento forzato di Avanguardia Nazionale;
   la rinata Avanguardia Nazionale ha già avviato un blog e promosso alcune iniziative nelle aree in cui già negli anni Sessanta e Settanta era più presente: si pensi, ad esempio, alla manifestazione tenutasi a Reggio Calabria contro gli immigrati il 10 ottobre 2016;
   proprio a Reggio Calabria, in passato, in diversi processi, emerse, peraltro, la commistione tra Avanguardia Nazionale e ’ndrangheta locale;
   è stata inoltre avviata, su tutto il territorio nazionale, la ricerca di militanti e sedi per l'organizzazione in questione;
   allo stato attuale dei fatti Avanguardia Nazionale resta un'organizzazione messa fuori legge dallo Stato italiano –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere in merito, posto che appare all'interrogante ormai evidente il tentativo di ricostituzione di un'organizzazione fascista e golpista come Avanguardia Nazionale, già oggetto di scioglimento forzato ai sensi della cosiddetta legge Scelba. (4-14617)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto di vigilanza La Ronda di Potenza con i suoi 274 dipendenti, oggi in regime di amministrazione controllata a seguito di un «buco di bilancio» di 7 milioni di euro, attraversa una grave crisi;
   l'unica proposta di acquisto, per un ammontare di 49 milioni di euro, de La Ronda arriva da parte dell'istituto di vigilanza Cosmopol Basilicata s.r.l., unica società appaltante dei servizi di vigilanza della regione Basilicata;
   la Cosmopol Basilicata s.r.l. ha dato la sua indisponibilità a rivedere il proprio piano di investimenti che prevede, tra l'altro, il 25 per cento di esuberi tra agenti in servizio e dipendenti amministrativi (77 lavoratori), con riduzione degli stipendi per i rimanenti lavoratori che vanno dal 25 al 30 per cento;
   la riassunzione dei dipendenti de La Ronda avverrebbe sotto forma di nuova assunzione e dunque si perderebbero tutti gli scatti di anzianità. Questa proposta è stata sottoposta a referendum interno alla Ronda dai sindacati ed ha ottenuto la bocciatura da parte dei lavoratori;
   presso il Ministero dello sviluppo economico è già attivo un tavolo di trattative a cui partecipa, anche la regione Basilicata per il fatto che circa il 70 per cento delle attività de La Ronda rinvenivano da commesse pubbliche e che la proposta di acquisto della stessa da parte di Cosmopol Basilicata è correlata al già richiamato appalto della regione Basilicata –:
   quali iniziative, per quando di competenza, il Governo intenda mettere in campo per tutelare i livelli di occupazione presso l'istituto di vigilanza La Ronda di Potenza, con l'urgenza richiesta dal caso in esame, considerato che i lavoratori della Ronda rischiano di non essere riassunti;
   se il Governo possa fornire elementi circa i termini specifici con cui verranno effettivamente garantiti i livelli occupazionali. (4-14614)


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Parco fotovoltaico di Monte di Eboli, realizzato su aree di proprietà del comune di Salerno, ma site sul territorio del comune di Eboli, è il terzo per dimensioni sul territorio italiano;
   esso può produrre 24 megawatt, una quantità di energia da sola in grado di azzerare i costi di consumo dell'intera rete cittadina di pubblica illuminazione;
   la realizzazione e la gestione di questa importante opera pubblica, tuttavia, destano numerose perplessità;
   nel 2010, il comune di Salerno avviò la procedura di gara diretta all'individuazione del soggetto a cui affidare la realizzazione e la gestione del parco, con la sola Toto Costruzioni Generali SpA a far pervenire una proposta (canone annuo di 3,5 milioni di euro per 19 anni di gestione dell'impianto);
   aggiudicatasi la gara (con lavori affidati alla Renexia, impresa del gruppo Toto), nel luglio del 2010 l'impresa chiese un riequilibrio delle previsioni del piano economico finanziario prodotto in sede di partecipazione alla gara a causa della riduzione prevista nel 2011 degli incentivi statali sulla produzione di energia elettrica da fonte solare;
   il nuovo piano economico concordato dalla giunta comunale di Salerno e dall'azienda nel 2011 previde la gestione dell'impianto per 20 anni con un canone quasi dimezzato (1.1940.000 euro);
   nel frattempo, nel rapporto di concessione intervenuto tra Toto Costruzioni Generali SpA e comune di Salerno è subentrata la società di progetto Monteboli SpA, controllata dal gruppo Toto e capace di ottenere quasi immediatamente un finanziamento di 75 milioni di euro da parte di vari istituti di credito per la realizzazione dell'opera;
   nel 2011, i lavori sono stati completati ed il parco fotovoltaico di Monte di Eboli è stato attivato, con un costo complessivo dell'opera di 72 milioni di euro e ricavi di gestione stimati in circa 13 milioni l'anno;
   nel 2012, il gruppo RTR (posseduto dal fondo di private equity Terra Firma, con sede legale anche nell'isola di Guernsey, territorio a regime fiscale agevolato) ha acquistato da Renexia per 90 milioni di euro la partecipazione totalitaria nella Monteboli SpA;
   come si può facilmente notare, il ritorno economico per il privato è altissimo, mentre è risibile per quanto concerne il comune di Salerno;
   RTR, peraltro, è di fatto una società straniera che risulta essere tra i maggiori beneficiari del conto energia per il fotovoltaico: solo nel 2014, ad esempio, lo Stato italiano le ha assegnato oltre 140 milioni di euro per gli impianti acquisiti e gestiti in Italia;
   a giudizio dell'interrogante è inopportuno che ad ottenere incentivi pubblici così consistenti siano società che operano in una giungla di partecipazioni, interessi incrociati e passaggi di mano degli impianti –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non ritenga di assumere iniziative normative per rivedere la disciplina in materia di incentivi statali sulla produzione di energie rinnovabili per evitare situazioni come quella descritta in premessa in cui l'adeguatezza dei ricavi della gestione privata non corrisponde affatto a quella della proprietà pubblica dell'impianto. (4-14615)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fassina.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Maria e Benamati n. 5-09484, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  L'interrogazione a risposta scritta Tacconi e Porta n. 4-14580, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garavini.

  L'interrogazione a risposta scritta Tacconi e altri n. 4-14588, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garavini.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione De Lorenzis n. 5-07815, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 571 del 17 febbraio 2016.

   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa locale della città di Ancona delle trattative tra alcune imprese per eventuali proposte di acquisto della società Isa Group, specializzata in costruzioni navali, manutenzione e riparazione di navi da diporto del settore grandi navi di lusso. È noto che detta società è in situazione di crisi e sottoposta alle procedure fallimentari, con grave preoccupazione dei lavoratori, attualmente in cassa integrazione, delle organizzazioni sindacali e dei creditori della stessa;
   è altresì emerso che alcune società hanno avanzato proposte di acquisizione della Isa Group: la società Frittelli Maritime di Ancona che, in data 23 dicembre 2015, ha stipulato un accordo con la Isa Group nell'ottica dell'acquisizione della società, la costituenda società oggetto di conferimento del ramo di azienda della Isa Group srl che ha presentato offerta irrevocabile di concordato preventivo in continuità aziendale della Isa Group in data 2 novembre 2015 da parte del signor Alessio Caprari, anch'esso di Ancona e la società Wider di Ancona, anch'essa specializzata nel settore delle costruzioni delle navi da diporto del settore grandi navi lusso, che recentemente ha avanzato analoga proposta di acquisizione della Isa Group. In particolare, la Frittelli Maritime e la Wider condizionano la proposta all'ottenimento delle concessioni demaniali delle aree e banchine pubbliche per un periodo di 50 anni, mentre la proposta del signor Caprari chiede l'ottenimento della concessione in essere alla Isa, che è in scadenza per il 31 dicembre 2017;
   attualmente, la concessione in essere alla Isa Group è stata approvata nel 2008, con durata quadriennale, successivamente prorogata per un anno e rinnovata per ulteriori quattro anni fino alla scadenza del 31 dicembre 2017;
   dalla deliberazione del 25 gennaio 2016 si è appreso che il comitato portuale ha esaminato la richiesta di concessione demaniale cinquantennale avanzata dalla Frittelli Maritime Group spa per l'area attualmente in concessione all'Isa Group srl, limitandosi alla sola valutazione di detta offerta senza dar luogo all'esame delle altre due pervenute sulla base della assunta necessità di garantire il mantenimento del collegamento funzionale tra la disponibilità delle strutture produttive private e la titolarità della concessione afferente le antistanti aree demaniali. Dalle notizie di stampa risulta in particolare che il comitato portuale ha ritenuto di poter esaminare soltanto la domanda dell'impresa Frittelli in quanto Frittelli e Isa hanno comunicato che l'offerta di acquisto di Frittelli è stata accettata dall'Isa, impedendo – nella tesi del comitato portuale – la valutazione di istanze di terzi, in carenza di accordi vincolanti con l'Isa;
   all'esito di tale valutazione, il comitato portuale ha adottato le seguenti determinazioni previste, a pena di decadenza automatica e immediata della concessione medesima:
    1. autorizzazione alla stipula di un atto formale di concessione demaniale trentennale a favore della Frittelli Maritime Group;
    2. rilascio della predetta concessione demaniale, a condizione che si proceda all'acquisto da parte della Frittelli Maritime Group dell'azienda di proprietà della Isa Group, previa omologazione o autorizzazione del giudice delegato dal tribunale della domanda di concordato preventivo;
    3. necessità di un esito favorevole della procedura denominata «informazioni Antimafia» nei confronti del futuro concessionario;
   tali determinazioni, a giudizio dell'interrogante, rischiano di porsi in contrasto sia con la normativa nazionale, di cui al codice della navigazione e al decreto-legge n. 400 del 1993, sia con gli orientamenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato: dal combinato disposto dei riferimenti emerge, invero, che, seppur legittimo il cosiddetto diritto di insistenza in favore del precedente concessionario, detto criterio deve rivestire carattere residuale e sussidiario in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte che pertanto abbisognano di essere tutte valutate e non semplicemente pretermesse. Inoltre, sulla preferenza in favore del concessionario già in essere, nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni, ha espresso contrarietà anche la Commissione europea che, in circostanze similari, ha sottoposto l'Italia a procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
   allo stesso modo, ad avviso dell'interrogante, emergono dubbi in ordine alla legittimità di una concessione demaniale marittima tanto prolungata anche rispetto a ragioni di concorrenza. Al riguardo, la Corte costituzionale (con sentenza n. 180 del 2010 e successive conformi, sentenza n. 340 del 2010 e sentenza n. 180 del 2011) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di talune normative regionali in materia atte a prevedere la possibilità di proroga della concessione, fino ad un massimo di 20 anni dalla data del rilascio, subordinatamente alla presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene. La Corte ha ritenuto esserci un'ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo;
   dal sistema delineato nei termini riferiti, risulta, ad avviso dell'interrogante, che neanche il rinvio ad un programma di investimenti e ad un piano economico finanziario, in questo caso non documentati in fase istruttoria, sembrerebbero legittimare un prolungamento temporale così esteso della concessione, Del resto, non si ha, allo stato, alcuna forma di trasparenza su detti investimenti dato che, in sede di deliberazione del comitato portuale, né il presidente, né il segretario generale hanno illustrato il programma di investimenti che, a quanto consta all'interrogante, in base alle dichiarazioni rese in sede di commissione consiliare del Consiglio comunale di Ancona da parte del segretario generale dell'autorità portuale sarebbero state quantificate in circa 15 milioni di euro, quando, per l'intero investimento per la realizzazione delle banchine e dei moli, sono stati sostenuti costi, da parte della pubblica amministrazione, per circa 7 milioni di euro;
   si apprende altresì da fonti di stampa l'intenzione di consentire un ampliamento dell'oggetto della concessione non già più limitata alla produzione di yacht, ma concernente in termini più generali l'attività di produzione nautica;
   si apprende da fonti di stampa della presentazione di ulteriori offerte vincolanti alla Isa Group per l'acquisizione del cantiere in procedura di concordato preventivo: nello specifico, una nuova offerta da parte della Palumbo cantieri di Napoli ed un'altra offerta della Frittelli Maritime;
   sempre da fonti di stampa risulta la mancata presentazione di un'offerta vincolante da parte della Wider di Monteporzio, con sede anche ad Ancona, dovuta, secondo le dichiarazioni rese dalla stessa, anche al contesto ambientale e alla sensazione che talune istituzioni coinvolte nel processo non fossero favorevoli all'offerta sottoposta – (tratto dall'articolo di Alessandra Camilletti dal titolo Il napoletano Palumbo sfida Rossi. Isa Yachts, al cantiere sono arrivate due offerte vincolanti. Si allontanano i licenziamenti pubblicato sul Corriere Adriatico del 24 febbraio 2016);
   ulteriori preoccupazioni sono state formulate dal segretario Fiom, Giuseppe Ciarrocchi, che ha dichiarato che la vertenza Isa tra annunci e marce indietro, è stata segnata da molte sorprese, giochi strani e in parte incomprensibili. Una sorta di teatro dell'assurdo. È positivo che ci siano due offerte formalizzate, ma vogliamo conoscerne i dettagli – (tratto dall'articolo di Letizia Larici dal titolo «Isa, il cantiere Palumbo sfida la Frittelli Maritime» pubblicato su Il Messaggero Ancona del 24 febbraio 2016);
   la situazione che è seguita alle riferite vicende pare oggi vivere un momento di stallo, in cui non emergono notizie in merito allo sviluppo che era stato garantito, non essendovi notizie su nuove commesse e neppure in ordine alle navi da costruire, mentre il numero dei lavoratori è drammaticamente calato da 104 a 90 –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se sia conforme alla normativa vigente la deliberazione del comitato portuale di non procedere alla valutazione di ogni domanda pervenuta anche a fronte della disciplina richiamata e delle determinazioni in materia dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della Commissione europea e se non ritenga che possa profilarsi il rischio di una procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda chiarire sulla base di quali presupposti possa essere adottato un provvedimento di concessione demaniale marittima della durata trentennale a fronte della giurisprudenza costituzionale citata, specificando se abbia già espresso parere al riguardo, verificando, nel caso specifico menzionato in premessa, la sussistenza di un programma di investimenti e un piano economico finanziario a fondamento che consenta una durata tanto prolungata del provvedimento concessorio;
   se risulti che l'autorità portuale di Ancona abbia rivolto un quesito al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in ordine alla durata della concessione, in un primo momento richiesta per 50 anni e poi accordata per un periodo di 30 anni, che è a giudizio dell'interrogante senza precedenti nella storia del porto di Ancona per analoghe concessioni;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga che nell'ambito della vicenda di cui in premessa, siano state assunte idonee iniziative per la tutela dei lavoratori della Isa Group;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per quanto di propria competenza, intenda porre in essere opportune iniziative al fine di vigilare, anche sulle istituzioni coinvolte, per garantire la regolarità e la trasparenza di ogni procedura in corso a tutela del sistema portuale;
   se i Ministri interrogati abbiano notizia e possano riferire in ordine all'esistenza di un piano concreto e specifico di sviluppo delle banchine e dei moli e di garanzia per i lavoratori. (5-07815)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Naccarato n. 4-13179 del 12 maggio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-05760 del 10 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02576;
   interrogazione a risposta in Commissione Basso e altri n. 5-08613 del 9 maggio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02574;
   interrogazione a risposta in Commissione Peluffo n. 5-09139 del 13 luglio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02573;
   interrogazione a risposta in Commissione Latronico n. 5-09300 del 29 luglio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02575;
   interrogazione a risposta orale Simonetti n. 3-02463 del 5 settembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-14612.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa UNICA, con sede a Firenze, è una società cooperativa edilizia di abitazione. La stessa è stata affidataria della costruzione di un piano di edilizia popolare convenzionata nel comune di Scandicci (Fi);
   a seguito di segnalazioni da parte di alcuni cittadini, i quali avevano rilevato che la cooperativa UNICA vendeva ad un prezzo superiore a quello risultante dalla convenzione, il comune di Scandicci, dopo opportune verifiche, riscontrava l'infrazione e comminava le penali, con le ordinanze n. 175 e n. 176 del 26 marzo 2012 n. 184-185-186 e 187 del 2 aprile 2012, n. 188-189-190 e 191 del 3 aprile 2012, per il mancato rispetto del prezzo previste dalla convenzione;
   dopo tale decisione del comune, la cooperativa UNICA, mentre continuava a vendere gli alloggi a prezzo maggiorato ignorando tali decisioni, faceva ricorso al TAR, che con sentenza n. 1959/2014 riconosceva legittime le sanzioni ed indicava il metodo di calcolo in base alla perizia del consulente tecnico d'ufficio; la cooperativa unica, altresì, si appellava al Consiglio di Stato con un procedimento, ad oggi, ancora in corso;
   successivamente, il comune di Scandicci presentava appello incidentale nel quale faceva rilevare alcuni errori nel calcolo delle superfici commesso dal CTU e nel metodo di calcolo delle sanzioni; inoltre, il comune notificava le sanzioni con ordinanza n. 287/2015 non come indicato nella sentenza del TAR, ma con criteri ritenuti corretti come esposto nell'appello incidentale;
   in data 23 luglio 2015 la cooperativa UNICA impugnava davanti al TAR l'ordinanza comunale n. 287/2015 chiedendone la sospensione delle sanzioni ed ottenendola, di seguito, con ordinanza del TAR del 24 settembre 2015 n. 638, in quanto tali sanzioni risultavano calcolate in modo difforme dalla sentenza del TAR;
   da allora la cooperativa è stata posta in regime di liquidazione coatta amministrativa, a causa del dissesto del suo bilancio soltanto in parte determinato dalle sanzioni comminate dal comune di Scandicci. Questa situazione pone a serio rischio i risparmi dei soci prestatori della cooperativa, per una cifra pari a circa euro 9.610.000;
   in data 25 gennaio 2016 il gruppo consiliare Movimento 5 Stelle del comune di Scandicci ha annunciato l'intenzione di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco Sandro Fallani, mozione relativa alla scandalosa vicenda della cooperativa UNICA, che constata l'errore di notifica delle sanzioni in modo difforme dalla sentenza del TAR, vanificandone così l'esecutività ed aprendo, difatti, la strada alla loro sospensione –:
   se e quali iniziative di competenza intendano adottare per ovviare alla gravissima situazione debitoria venutasi a creare in seno alla cooperativa UNICA in liquidazione coatta amministrativa a tutela dei soci prestatori. (4-11884)

  Risposta. — L'interrogazione in esame è concernente le vicende della società cooperativa edilizia Unica, con sede in Firenze, posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale n. 521 del 22 ottobre del 2015.
  L'interrogante espone una ricostruzione puntuale dei fatti e degli atti inerenti al contenzioso pendente tra il comune di Scandicci e la cooperativa Unica, affidataria della costruzione di un piano di edilizia popolare nel suddetto comune, concernente la vendita degli alloggi ad un prezzo maggiorato rispetto a quello previsto dalla Convenzione stipulata in data 2 marzo 2006.
  A seguito della riscontrata infrazione, il comune di Scandicci ha comminato alla cooperativa le penali che, ad avviso dell'interrogante, avrebbero contribuito a decretarne il dissesto economico e la messa in liquidazione coatta amministrativa, mettendo a serio rischio i risparmi dei soci prestatori della cooperativa, per una cifra pari a circa euro 9.610.000.

  Nel merito, il Ministero dello sviluppo economico vigilante ha provveduto a richiedere gli opportuni elementi conoscitivi e valutativi al Commissario liquidatore che in data 5 giugno 2016 ha relazionato sulla questione.
  Il commissario liquidatore ha precisato che nel 2011 successivamente alle ordinanze di irrogazione delle penali da parte del comune di Scandicci, la cooperativa non ha effettuato vendite di alloggi. Infatti, come riscontrato dalla contabilità aziendale, regolarmente tenuta come attestato da tutti gli organi preposti al controllo (collegio sindacale, società di revisione, revisore legacoop), l'ultimo contratto di assegnazione di alloggi del citato piano di edilizia economica e popolare è datato 26 aprile 2011, mentre gli atti sanzionatori sono del 2012, a seguito di un procedimento di verifica avviato il 29 aprile 2011. A tale data residuava da assegnare un solo alloggio, tuttora in sospeso in attesa dell'esito del contenzioso.
  Ciò premesso, nel merito del citato contenzioso si precisa che esso è relativo ad una vicenda estremamente complessa che ha origine nel 1999 quando il Comune di Scandicci approvò (con delibera n. 73 dell'8 aprile 1999) il «programma integrato di intervento di Badia a Settimo/San Colombano».
  A seguito dell'approvazione e pubblicazione del bando per l'assegnazione delle aree ricomprese nel programma di cui sopra con delibera del consiglio comunale n. 4 del 18 gennaio del 2000 si apriva l’iter che attraverso modifiche del Piano economico di edilizia popolare (da ora PEEP) e della relativa bozza di convenzione attuativa, avrebbe portato alla stipula della convenzione in data 2 marzo 2006.
  Nell'anno 2011, dopo che tutti gli alloggi prenotati nell'area di PEEP Badia, furono definitivamente assegnati, il comune di Scandicci effettuò un procedimento di verifica che porterà all'emissione delle ordinanze di irrogazione delle sanzioni.
  Tali ordinanze sono state impugnate dalla cooperativa dinanzi al TAR Toscana che con sentenza del 27 novembre 2014 ha solo parzialmente accolto le domande della cooperativa.
  A seguito di tale decisione, gli amministratori hanno provveduto ad iscrivere nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2014 un fondo rischi complessivo pari ad euro 11.100.000,00 a fronte delle sanzioni pretese dal comune di Scandicci.
  Nel medesimo bilancio venivano effettuati ulteriori significativi accantonamenti per svalutazione delle rimanenze di magazzino, di crediti e per spese legali da sostenere, molte delle quali inerenti al citato contenzioso con il comune di Scandicci. Tali costi straordinari hanno portato il patrimonio sociale in negativo, ed alla conseguente deliberazione, da parte dell'assemblea dei soci, tenutasi il 30 luglio 2015, di messa in liquidazione.
  Infine, a seguito di ispezione disposta dal Ministero dello sviluppo economico nell'ambito delle proprie funzioni di vigilanza, è stata decretata come già sopra accennato, la messa in liquidazione coatta amministrativa con decreto n. 521 del 2015 pubblicato Gazzetta Ufficiale n. 263 dell'11 novembre 2015.
  Successivamente, in data 11 maggio 2016 il commissario liquidatore ha depositato presso la cancelleria del tribunale di Firenze lo stato passivo della procedura che si può così sintetizzare:
   prededuzioni 59.072;
   privilegi 33.508.536,22;
   chirografari 19.740.996,82;
   Ammessi con riserva 21.547.739,73 (di cui 19.304.334,15 sanzioni comune Scandicci);
   Non ammessi 1.945.438,35.

  I soci risparmiatori sono stati ammessi nella categoria dei creditori chirografari.
  Il comune di Scandicci è stato ammesso con riserva, essendo pendente il ricorso al Consiglio di Stato avverso l'irrogazione delle sanzioni e per l'annullamento delle stesse.
  Nel contempo, si è proceduto alla redazione degli inventari dei beni mobili ed immobili. Tali operazioni non sono ancora totalmente concluse mancando alcune valutazioni più complesse che sono in corso, ma dai dati fino ad ora raccolti si può affermare, sulla base delle perizie giurate e delle ulteriori valutazioni effettuate, che il valore del patrimonio si aggira intorno alla somma di 58.000.000,00 e dovrebbe pertanto essere capiente per soddisfare i crediti dei soci risparmiatori ammessi al passivo in sede chirografaria, sebbene quanto si potrà realisticamente realizzare sarà molto condizionato dall'andamento del mercato immobiliare. È indubbio poi che la soddisfazione dei creditori chirografari risulti condizionata anche dall'esito del contenzioso con il comune di Scandicci.
  Sarà cura del Governo aggiornare tale nota alla luce dei futuri sviluppi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   BRANDOLIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sulla stampa locale sono riemerse le già più volte denunciate preoccupazioni sul futuro del tribunale di Gorizia a causa della carenza di organico, che rischia di mettere a repentaglio l’iter di importanti procedimenti tra i quali il III e IV processo «Eternit» che riguardano rispettivamente 44 e 23 decessi imputabili a mesotelioma e carcinoma polmonare;
   delle due giudici attualmente in servizio al tribunale, una è entrata in maternità a fine 2015 e l'altra ha annunciato uguale provvedimento ad aprile 2016;
   il circondario di Gorizia, a cui il tribunale fa riferimento, riguarda 25 comuni della provincia;
   negli ultimi sette anni al tribunale si sono verificati 30 avvicendamenti di giudici, con ovvie conseguenze sui processi in corso che ogni volta hanno dovuto ricominciare da capo, fatto ipotizzabile anche per i procedimenti in capo alle due giudici tra cui appunto i processi «Eternit». Il 16 febbraio 2016 è prevista la terza udienza preliminare del IV processo amianto, mentre martedì 12 gennaio la prima udienza del III procedimento è stata immediatamente rinviata al mese di maggio 2016 proprio per l'impossibilità del sostituto – temporaneamente cooptato dal tribunale civile – di portare avanti il procedimento. Nella situazione attuale è a rischio anche l'ipotesi di accorpamento dei processi III e IV amianto, auspicato per velocizzare l’iter e contenere i costi;
   lo stesso presidente della camera penale di Gorizia, Paolo Marchiori, assieme al presidente del tribunale Giovanni Sansone aveva puntato l'attenzione sulla situazione del tribunale di Gorizia in occasione dello sciopero indetto dall'Unione camere penali a fine 2015;
   pochi giorni dopo il capo della procura della Repubblica di Gorizia, Massimo Lia, ha espresso alla stampa locale la sua «massima preoccupazione» per l'andamento della giustizia nel circondario di Gorizia, evidenziando che «senza un adeguato organico di giudici c’è il rischio che molti processi già avviati e di prossimo avviamento non si possano concludere entri i termini della prescrizione»;
   da parte dello stesso capo della procura sono state evidenziate due possibili soluzioni, ovvero l'individuazione da parte della corte d'appello di un giudice da inviare al tribunale come sostituto temporaneo o l'applicazione extradistrettuale ai presidenti della corte d'appello e quindi al Consiglio superiore della Magistratura, a cui spetta il compito di individuare il giudice da inviare a Gorizia –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda portare avanti per assicurare il pieno funzionamento del tribunale di Gorizia garantendo la giustizia, in particolare alle tante famiglie che già hanno sofferto per la perdita dei loro cari e che ora rischiano di non vedere riconosciuto il loro diritto a un giusto processo. (4-11656)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare il pieno funzionamento del tribunale di Gorizia, del quale si denunziano carenze di organico del personale di magistratura, a fronte della necessità di portare a compimento importanti processi, all'attenzione della pubblica opinione.
  Paventa il rischio, in particolare, che l’iter dei due processi cosiddetti «Eternit» ancora pendenti, riguardanti, rispettivamente, 44 e 23 decessi attribuiti a mesotelioma e carcinoma polmonare, possa esser compromesso dalla disfunzione segnalata.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico dei magistrati del tribunale di Gorizia si compone di dieci giudici, oltre al Capo dell'Ufficio.
  Allo stato, tre dei predetti posti risultano scoperti, non avendo le procedure di tramutamento bandite dal Consiglio superiore della magistratura registrato aspiranti.
  Dal progetto organizzativo redatto dal presidente del tribunale di Gorizia per il triennio 2014/2016 e dalle valutazioni del locale Consiglio giudiziario emerge, peraltro, una sorta di «endemicità» del fenomeno di scopertura segnalato, conseguente al turn over dei magistrati.
  Per fare fronte alle rilevate criticità, l'interrogante richiama la possibilità di ricorrere agli istituti della applicazione, endodistrettuale o extradistrettuale, di magistrati.
  In proposito va sottolineato che, come noto, le misure richiamate esulano dalle attribuzioni del Ministero della giustizia.
  Compete, difatti, al presidente della Corte d'appello disporre, all'interno del distretto, l'assegnazione temporanea di magistrati ad altri uffici, mentre il Consiglio superiore della magistratura delibera, previo interpello, l'applicazione presso uffici giudiziari siti in distretti diversi da quello in cui il magistrato presta servizio.
  In particolare, in base alla vigente circolare del Consiglio superiore della magistratura n. 19197 del 27 luglio 2011, l'applicazione endodistrettuale compete – previo impulso del Capo dell'ufficio che intenda avvalersi di risorse aggiuntive per fronteggiare situazioni di criticità – in via esclusiva al presidente della Corte d'appello medesima.
  I citati provvedimenti postulano la valutazione comparativa delle esigenze dell'ufficio a quo e dell'ufficio richiedente e non possono essere assunti – come noto – senza il consenso del magistrato.
  Dalla relazione trasmessa dalla Direzione generale dei magistrati di questo dicastero risulta che nessuna richiesta di applicazione è stata formulata dal capo dell'ufficio, nel recente passato, a beneficio del tribunale di Gorizia.
  Tutto ciò premesso quanto alla specifica e contingente situazione del tribunale di Gorizia, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Gorizia è stato assegnato un ulteriore posto di giudice, con conseguente rideterminazione della pianta organica in dodici unità complessive, adeguandola così alle mutate esigenze del territorio.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto legge 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INSAR – Iniziative Sardegna spa è una società partecipata al 55,39 per cento dalla regione autonoma della Sardegna (RAS) e al 44,61 da Italia Lavoro spa, (società a sua volta interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze), costituita in data 15 dicembre 1981 a norma dell'articolo 5 del decreto-legge 9 dicembre 1981 n. 721, convertito dalla legge 5 febbraio 1982 n. 25;
   la società è soggetta a controllo analogo sui propri atti, secondo il regime delle società «in-house», da parte della regione autonoma della Sardegna e di Italia Lavoro spa e svolge, anche ai sensi della legge regionale Sardegna n. 20 del 2005, e su affidamento dei soci, servizi attinenti alle politiche del lavoro sul presupposto del riconoscimento del diritto al lavoro;
   sono organi della società il consiglio di amministrazione composto dal presidente (che percepisce oltre 30 mila euro all'anno), dall'amministratore delegato (che percepisce 96 mila euro) e dal consigliere (cui spettano 12 mila euro) e il collegio sindacale composto da un presidente (che percepisce 14 mila euro) e due componenti (che percepiscono 10 mila euro);
   tramite deliberazioni della giunta regionale (ad esempio, la deliberazione n. 30/10 del 30 luglio 2013) sono in fase di attivazione e gestione diversi progetti, alcuni dei quali anche pluriennali, su fondi regionali, assegnazioni statali e finanziamenti europei particolarmente ingenti;
   i progetti sopra ricordati sono diretti, in particolare, al rilancio della occupabilità e dell'inclusione attiva al lavoro, favorendo l'inserimento lavorativo delle persone alla ricerca di un impiego e delle persone inattive, attraverso interventi integrati che prevedevano l'adozione di azioni e politiche specifiche per le diverse aree del territorio regionale sardo, con l'obiettivo di favorire la dinamicità del sistema lavoro e di creare opportunità di reddito, attraverso il coinvolgimento del tessuto imprenditoriale isolano, con specifico riferimento alle piccole e medie imprese (PMI);
   per lo svolgimento di tali progetti sono stati stipulati, come si evince dalla consultazione della sezione «Trasparenza» del sito della società aggiornata al 31 gennaio 2016, 129 contratti – definiti «Incarichi di collaborazione, consulenza, servizi» – di varia durata e assegnati con diverse modalità, indicate nella citata sezione del sito;
   i succitati contratti, secondo calcoli sviluppati dall'interrogante su dati riportati nella ricordata sezione del sito della stessa società, hanno un costo pari oltre 1 milione di euro;
   dall'analisi dei percettori, sempre basata sul citato sito dell'INSAR, risulta che alcuni hanno ricevuto un incarico per più attività, mentre in altri casi si sono registrati più contratti distinti –:
   quali siano stati i trasferimenti finanziari di provenienza nazionale e comunitaria, diretti o indiretti, assegnati all'INSAR spa, anche tramite la controllata Italia Lavoro spa, sotto qualunque forma finalizzati o destinati alla realizzazione di progetti di servizio per l'impiego, politiche per il lavoro e/o formazione professionale;
   se tali somme siano state attribuite, anche in parte, alle spese di funzionamento dell'INSAR spa, ovvero in quale misura siano state assegnate all'attuazione di programmi e/o progetti di servizio e di politiche del lavoro;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza, anche tramite la società controllata Italia lavoro Spa di quello che appare all'interrogante un abnorme ricorso da parte dell'INSAR spa a collaborazioni e consulenze;
   se negli ultimi cinque anni siano stati modificati in aumento gli emolumenti degli amministratori e se questo sia coerente con la normativa di riferimento. (4-12915)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente alla società Iniziative Sardegna spa (IN.SAR.spa), si rappresenta quanto segue sulla base degli elementi informativi forniti dai competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché di quelli acquisiti presso il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione autonoma della Sardegna.
  IN.SAR.spa, società costituita in data 15 dicembre 1981 e partecipata dalla regione autonoma della Sardegna (55,39 per cento) e da Italia Lavoro spa (44,61 per cento), svolge servizi attinenti alle politiche del lavoro su affidamento dei propri soci.
  La Società persegue come scopo la promozione, la progettazione, la realizzazione e la gestione, su tutto il territorio regionale, di attività finalizzate allo sviluppo dell'occupazione e della imprenditorialità, con specifica attenzione ai settori rilevanti per lo sviluppo socio-economico locale.
  Ciò posto, con specifico riferimento ai quesiti formulati nel presente atto parlamentare, si precisa quanto segue:
   1) in ordine al primo quesito si precisa che, nel corso dell'esercizio 2013, con legge finanziaria regionale 2013, sono stati assegnati dalla regione Sardegna alla Società 14 milioni di euro per il programma Interventi Coordinati per l'occupazione (ICO) e 4 milioni di euro per il progetto assistenza tecnica. Negli ultimi tre anni, pertanto, i trasferimenti finanziari si esauriscono negli importi suindicati;
   2) in ordine al secondo quesito, occorre precisare che IN.SAR.spa, società in house della regione autonoma della Sardegna, non dispone di nessun contributo da parte dei soci per la copertura dei costi di gestione e di funzionamento. I componenti positivi di reddito, che hanno consentito alla Società di chiudere positivamente gli ultimi tre esercizi (precedentemente IN.SAR.spa era in stato di liquidazione), derivano, pertanto, dalla contabilizzazione dei ricavi generati dai progetti svolti o in corso di esecuzione, con tutti i limiti e i vincoli previsti dal Vademecum per l'operatore – versione 4.0 e senza previsione di nessun utile d'impresa.

  Si precisa, inoltre, che tutti i costi sostenuti nell'espletamento dei programmi, comprese le spese del personale dipendente e delle collaborazioni, sono soggetti a rendicontazione secondo le regole e i vincoli dell'Unione europea nel rispetto e nei limiti previsti dal Vademecum per l'operatore-versione 4.0 pubblicato nel sito istituzionale. Le eventuali risorse residue sono destinate ad altri progetti simili o comunque finalizzati alla creazione di nuova occupazione;
   3) con riferimento al terzo quesito, si precisa che IN.SAR.spa è una società, strutturata su tre sedi (Cagliari, Nuoro e Sassari), che impiega 21 dipendenti (di cui 3 dirigenti 2 quadri e 16 impiegati).

  La nuova politica della Società è orientata al contenimento delle spese di personale evitando nuove assunzioni a tempo indeterminato e determinato mediante la professionalizzazione delle risorse umane presenti e l'utilizzo di forme di collaborazione autonoma più flessibili e meno onerose. È opportuno sottolineare, in proposito, come l'abbattimento dei costi fissi conseguente a una dotazione di personale ridotta costituisca una delle scelte strategiche che hanno condotto, a suo tempo, la giunta regionale ad una valutazione positiva in ordine all'utilizzo di IN.SAR.spa, in linea con i più moderni principi gestionali dell’in house providing in Italia.
  Nel corso dell'esercizio 2015, sono stati individuati i collaboratori esterni da coinvolgere nei diversi progetti gestiti della Società mediante contratti di lavoro autonomo strettamente correlati alle diverse fasi gestionali dei progetti. Ciò in quanto in tutti i progetti, di qualunque natura essi siano, vi è la necessità di figure specialistiche e qualificate per la loro redazione, direzione, esecuzione, chiusura, collaudo e rendicontazione. A questa regola non si sottraggono nemmeno i progetti di politica attiva del lavoro che anzi, per avere una maggiore probabilità di successo e di efficacia, hanno necessità di avere a supporto una squadra articolata di professionalità che accompagni in tutte le fasi i soggetti interessati dal progetto. L'individuazione e la successiva contrattualizzazione delle suindicate figure professionali è disciplinata da uno specifico regolamento, di cui la Società si è dotata negli anni scorsi, pubblicato nel sito istituzionale nella sezione «Lavora con noi». Nel marzo del 2012, in conformità a quanto previsto nell'articolo 5 del citato regolamento, la Società ha costituito specifiche liste di esperti (cosiddette short list) suddivise in varie sezioni per i diversi profili professionali. L'individuazione delle figure professionali occorrenti può avvenire, ai sensi degli articoli 2 e 3 del regolamento, mediante procedura comparativa o negoziata mentre solo in alcuni casi specifici è consentito procedere per affidamento diretto.
  Occorre, inoltre, rilevare che né il collegio sindacale né l'organismo di vigilanza hanno mai segnalato irregolarità in ordine modalità di selezione e di contrattualizzazione delle collaborazioni e delle consulenze da parte della Società;
   4) con riferimento all'ultimo quesito, la Società ha reso noto che, a decorrere dal mese di gennaio 2015, come previsto dalla legge di stabilità per il 2015, il costo del compenso dei componenti del Consiglio d'amministrazione è stato ridotto del 20 per cento. Allo stato attuale, come indicato nel sito, il Presidente percepisce 32.000,00 euro all'anno, l'amministratore delegato 96.000,00 euro all'anno, il Consigliere 12.000,00 euro all'anno; inoltre, il Presidente del collegio sindacale percepisce 14.000,00 euro all'anno mentre i due componenti 10.000,00 euro all'anno.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   CARFAGNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 27 ottobre 2015 con decreto del Ministro della Giustizia è stata disposta la soppressione della casa circondariale di Sala Consilina, in provincia di Salerno, a seguito di motivazioni di antieconomicità, in termini di costi/benefici, per la modesta ricettività e per la grave inadeguatezza della stessa sotto il profilo strutturale e della sicurezza;
   come stabilito dal decreto sopra citato la soppressione di detto istituto «può consentire una significativa economia di risorse complessive, più efficacemente ed efficientemente utilizzabili in altre strutture penitenziarie in aderenza al principio di ottimizzazione dell'uso delle risorse umane, finanziarie e materiali (...)»;
   la casa circondariale di Sala Consilina era stata già inserita nel decreto del Ministro della giustizia 30 gennaio 2001 con il quale, ai sensi dell'articolo 145, comma 34, lettera a) della legge 23 dicembre 2000, n. 388, era stata prevista la dismissione «degli istituti penitenziari strutturalmente non idonei alla funzione propria»;
   con decreto del Ministro della giustizia del 21 maggio 2004 era stata disposta la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina per l'inadeguatezza dell'istituto sotto il profilo strutturale e della sicurezza;
   successivamente con decreto del Ministro della giustizia del 9 marzo 2005 è stato revocato il decreto 21 maggio 2004 sia in ragione delle delibere degli organi locali della regione Campania con le quali veniva evidenziata l'importanza dell'assistenza operativa alle traduzioni in transito nonché in ragione della proposta della stessa amministrazione comunale di provvedere con oneri a proprio carico, all'esecuzione dei lavori di manutenzione necessari per il mantenimento in esercizio della struttura penitenziaria;
   al contrario di quanto descritto nel decreto 27 ottobre 2015, con il quale è stata prevista la soppressione della casa circondariale di Sala Consilia, quest'ultima ha ospitato detenuti in celle di grandi dimensioni composte da un bagno per ciascuna con relativa porta divisoria. Inoltre, nella medesima struttura si sono svolte attività sociali, culturali e ricreative che hanno visto la partecipazione di molti detenuti;
   in merito alla soppressione della casa circondariale di Sala Consilina anche il Codacons ha inviato al Ministro della giustizia, un appello nel quale si chiede di sapere «se non sia economicamente e – soprattutto – socialmente più conveniente mantenere in vita la struttura»;
   va altresì rilevato che l'istituto di Sala Consilina ricopriva un ruolo importante in un territorio già penalizzato anche dalla soppressione del tribunale e del suo relativo accorpamento a quello di Lagonegro, in provincia di Potenza, a seguito del provvedimento di revisione della geografia giudiziaria, di cui al decreto legislativo n. 155 del 2012, emanato a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, legge di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011;
   in un momento di crisi generale di sovraffollamento carcerario e alla luce dell'importanza strategica geografica che lo stesso istituto ricopre, anche in conseguenza della recente soppressione del relativo tribunale, è opportuno prevedere un intervento mirato di recupero dello stesso istituto, considerato che l'amministrazione comunale aveva già presentato un progetto di adeguamento della struttura facendosi totalmente carico delle relative spese –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra esposti, non intenda rivedere la decisione relativa alla soppressione della casa circondariale di Sala Consilina, consentendo il ripristino della piena operatività della suddetta struttura penitenziaria. (4-11264)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di rivedere la decisione relativa alla soppressione dell'istituto di Sala Consilina, disposta con decreto ministeriale 27 ottobre 2015.
  In ordine alla ratio che sottende gli interventi di razionalizzazione del patrimonio edilizio penitenziario, va preliminarmente ribadito che la diffusione e la stabilizzazione del modello penitenziario, attuato in adempimento delle prescrizioni della sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell'uomo, richiede continuità di obiettivi e di programmi, allo scopo di consolidare il processo di adozione di un regime carcerario conforme alla Costituzione, all'ordinamento penitenziario e alle regole europee.
  Nel delineato contesto si inseriscono le iniziative finalizzate ad assicurare la razionale distribuzione, sul territorio nazionale, delle strutture destinate ad uso penitenziario, nell'ambito di una pianificazione organica e complessiva che coinvolge l'intero sistema.
  Le valutazioni di sostenibilità debbono, difatti, essere ancorate ai costi di gestione, che sono inversamente proporzionali alla capacità recettiva delle strutture: l'amministrazione penitenziaria ha individuato nel limite dei 100 posti detentivi la soglia minima per poter considerare rispondente a criteri di razionalità economica la gestione di un istituto penitenziario, fatte salve limitate eccezioni.
  L'opportunità di sopprimere l'istituto di Sala Consilina è stata, dunque, attentamente dibattuta all'interno dell'amministrazione, nel quadro del progetto nazionale complessivo, trovando ampia motivazione nell'esigenza di razionalizzare il patrimonio immobiliare disponibile, anche in considerazione del personale utilizzabile, chiamato a sostenere l'aumento di capienza detentiva dei nuovi padiglioni attivati nella stessa regione Campania, nel corso dell'anno 2014, presso gli istituti di Carinola (200 posti), Santa Maria Capua Vetere (300 posti) ed Ariano Irpino (200 posti).
  La dismissione della struttura è stata, pertanto, conseguenza di una valutazione complessa, che ha valorizzato anche la possibilità di destinare il personale ivi operante (25 unità, tra comparto Ministeri e sicurezza) al funzionamento dei nuovi padiglioni detentivi attivati nella regione, ovvero all'eventuale integrazione delle unità in servizio presso altri istituti che versano in situazione di carenza di organici, sentite le organizzazioni sindacali per definire le procedure di riassegnazione.
  Proprio in tale mutato assetto detentivo regionale deve inquadrarsi la scelta di procedere alla chiusura della casa circondariale di Sala Consilina.
  L'istituto, infatti, presentava una ridottissima capacità detentiva, pari a soli 22 posti, e l'organizzazione necessaria al suo funzionamento – nell'ordine del rapporto «uno a uno» – si era dimostrata assolutamente sproporzionata, in contrasto con ogni principio di razionalità e di buona amministrazione delle risorse, sia professionali che economiche.
  Così come fu oggetto di ponderata valutazione la limitata disponibilità di spazi destinati o da poter destinare alle attività trattamentali.
  La casa circondariale di Sala Consilina era ospitata in una ex sede vescovile, edificata nel 1809 e convertita ad uso penitenziario nel 1948: pertanto, pativa fortemente tutti i limiti e le pregiudiziali che, all'evidenza, derivano dall'anzianità del progetto e dalla assoluta diversità dell'uso.
  Alla luce di tali concorrenti ragioni, l'amministrazione penitenziaria non ha, pertanto, potuto offrire positivo riscontro alla proposta del comune di Sala Consilina, finalizzata ad assicurare le risorse per l'adeguamento funzionale del penitenziario, in quanto la capienza dell'istituto sarebbe rimasta assolutamente limitata e largamente inferiore al predetto limite di sostenibilità.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria dello Stato per il 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191) ha previsto all'articolo 2, comma 240, lo stanziamento di un fondo di 1 miliardo di euro per l'attuazione di un programma nazionale di interventi finalizzato alla «programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico»;
   il programma è stato avviato con la stipula di venti accordi di programma tra le singole regioni ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'accordo relativo alla regione Marche è stato stipulato tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il presidente della giunta regionale delle Marche il 25 novembre 2010;
   l'accordo tipo è formato da un articolato che disciplina e regola le modalità di gestione a cura di un commissario straordinario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e da tabelle attuative in cui sono individuati gli interventi da eseguire; l'accordo con la regione Marche segue lo standard di tutti gli accordi siglati dalle altre regioni, fatte salve alcune specificità;
   per quanto riguarda l'accordo con la regione Marche, esso prevede una quota a carico dello Stato – Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pari a 35.900.000,00 milioni di euro, ed una quota a carico della regione Marche pari ad euro 20.527.838,75;
   inoltre è stata prevista una fase programmatica, da sostenere con eventuali risorse aggiuntive, per ulteriori euro 4.650.000,00;
   successivamente alla stipula dell'accordo si sono verificate due circostanze operative significative:
    il primo commissario straordinario nominato per la gestione dell'accordo per le Marche è stato sostituito con un secondo commissario (dottor Antonio Senni), che ha potuto quindi avviare le proprie attività soltanto in un tempo posticipato rispetto agli altri commissari;
    il Ministero ha richiesto a tutte le regioni di proporre la riduzione del 10 per cento della quota Stato (euro 3.590.000,00) in quanto il 10 per cento dell'intero stanziamento statale era stato nel frattempo destinato a finalità diverse, ancorché similari ed urgenti, da quelle originarie;
   allo stato attuale l'accordo per la regione Marche è in attuazione molto avanzata, pur nei limiti delle risorse sinora rese disponibili:
    per la parte «quota Stato» sono in corso di utilizzo sia una prima dotazione di euro 5.130.626,62, sia un secondo finanziamento di euro 13.600.000,00, per un totale di euro 18.730.626,62. Alcuni lavori sono conclusi, molti altri sono in procinto di essere aggiudicati, in limitati casi sono in via di risoluzione le insorte difficoltà di tipo amministrativo-procedurale;
    per la parte «quota regione» gli interventi previsti sono stati realizzati per il 67 per cento in via accelerata secondo le fasi previste in via ordinaria (programmazione antecedente alla stipula dell'accordo); a tale soluzione si è pervenuti sia per l'urgenza di fronteggiare ove possibile gli effetti anche potenziali valutabili dopo gli eventi alluvionali del marzo 2011, sia perché la decorrenza delle attività commissariali non ha consentito il rapido inserimento di tali interventi nella gestione del commissario medesimo;
    per quanto riguarda il restante 33 per cento del programma quota regione, gli interventi previsti non risultano più attuabili per le mutate condizioni di disponibilità dei soggetti privati coinvolti (sia per il mancato completamento dei finanziamenti quota Stato connessi a tale coinvolgimento, sia per oggettive condizioni di difficoltà di mercato degli operatori interessati);
   al momento le prospettive di completamento del programma sono molto incerte e, certamente quanto ottimisticamente, attuabili solo nel medio-lungo periodo;
   infatti, a fronte del previsto ulteriore contributo di fonte regionale (su fondi già stanziati, iscritti a bilancio e parzialmente impegnati) di euro 6.000.000,00, la residua parte del programma (euro 13.600.000,00 + euro 3.590.000,00 di cui è stata richiesta la riduzione) sul quale con la stipula dell'accordo lo Stato ha assunto formale impegno a proprio carico non appare di prossima finanziabilità, essendo esaurito il fondo statale stanziato con l'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 –:
   quando e in che termini il Governo intenda onorare l'impegno assunto con la regione Marche anche adottando iniziative che consentano di escludere dal patto di stabilità la quota di cofinanziamento posta a carico della regione stessa con l'accordo sottoscritto il 25 novembre 2010. (4-02785)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Marche hanno stipulato, in data 25 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla «Programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico» da effettuare nel territorio della regione Marche nell'ambito del Piano straordinario previsto dall'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009.
  In relazione alle disponibilità finanziare attingibili dalla suddetta legge n. 191 del 2009 al momento della sua entrata in vigore, nell'ambito del piano straordinario previsto dal citato comma 240, dell'articolo 2, sono stati individuati 52 interventi che l'accordo di programma ha indicato nell'Allegato 1, tab. A1, come finanziabili, per un importo complessivo di euro 35.900.000,00.
  Parimenti, per quanto riguarda le disponibilità finanziarie indicate dalla Regione Marche a titolo di cofinanziamento regionale, sono stati individuati 24 ulteriori interventi che l'Accordo di Programma ha indicato nell'allegato 1, tab. A2, come finanziabili, per un importo complessivo di euro 20.527.838,75.
  Il Ministero dell'ambiente e la Regione Marche hanno quindi stipulato, in data 15 ottobre 2014, un atto integrativo all'accordo di programma, finalizzato:
   al recepimento della riduzione del 10 per cento (pari ad euro 3.590.000,00) richiesta dal Ministero con propria nota del 2 marzo 2011;
   alla riprogrammazione dell'Accordo nell'ambito delle risorse a quella data non ancora effettivamente assegnate dallo Stato (euro 13.600.000,00);
   alla eliminazione dall'Accordo degli interventi, per complessivi (euro 20.527.838,75, afferenti alla quota di «cofinanziamento territorio regione Marche» di cui all'allegato 1 – tab. 2 dell'accordo di programma sottoscritto in data 25 novembre 2010, in quanto già avviati, realizzati o completati a cura degli enti locali responsabili per l'attuazione prima dell'avvio della gestione dell'accordo da parte del commissario straordinario, o perché collegati a contributi diretti da parte di soggetti privati non più disponibili;
   alla definizione di un'ulteriore quota di cofinanziamento regionale pari ad euro 6.000.000,00.

  L'atto integrativo del 15 ottobre 2014 prevede, pertanto, un importo complessivo di euro 38.310.000,00 di cui euro 32.310.000,00 da parte del Ministero dell'ambiente (composti per euro 18.730.626,62 da fondi ministeriali e per euro 13.579.373,38 da risorse di cui alla delibera Cipe n. 6/2012) ed euro 6.000.000,00 da parte della regione interessata, per la realizzazione di 53 interventi.
  I fondi ministeriali risultano interamente versati in contabilità speciale intestata al Commissario Straordinario.
  In merito ai fondi di cui alla delibera Cipe n. 6/2012, risulta accreditato in contabilità speciale, quale quota parte di tale somma, l'importo complessivo di euro 8.476.419,07, pari al 62,42 per cento di quanto stanziato. Rimane pertanto da accreditare il valore residuo dei fondi di cui alla delibera Cipe n. 6/2012, pari ad euro 4.073.812,00 la cui erogazione è legata allo stato di avanzamento della spesa connessa alla realizzazione dei relativi interventi.
  Con riferimento ai fondi regionali, risultano interamente impegnati a favore della contabilità speciale per il cofinanziamento dell'Accordo di Programma, nonché attualmente accreditati nella stessa in quota parte per complessivi euro 3.500.000,00.
  Occorre, inoltre, evidenziare che, con la legge 11 agosto 2014, n. 116, i Presidenti delle regioni sono subentrati ai commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali, con la funzione di assicurare la celere attuazione degli interventi in qualità di commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico.
  Si fa presente, inoltre, per completezza di informazione, che ai sensi dell'articolo 6, comma 1-bis, del decreto legge 10 dicembre 2013, n. 136, le spese effettuate dalle regioni a valere sulle risorse di cui allo stesso comma 1-bis, dell'articolo 6, del decreto legge 136 del 2013, risultano escluse dal complesso delle spese finali computate ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle regioni.
  Da ultimo, si ricorda che con l'articolo 1, comma 707, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) viene stabilito che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali. Viene però imposto agli Enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza. Pertanto, dal 2016, gli Enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Tuttavia, per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di bonifica ambientale (co. 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia detiene il record dei livelli di ozono troposferico, segnando valori oltre tre volte più elevati rispetto alla soglia;
   da quanto emerge dai dati dell'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) sulla qualità dell'aria, 23 città italiane sono nei primi 30 posti della classifica Ue degli sforamenti del limite per questo inquinante, pericoloso per la salute;
   Nord Italia e Sud della Francia risultano le aree più colpite dall'ozono troposferico, che si forma a seguito delle reazioni fra vari inquinanti provenienti da diverse fonti, come la combustione di carburanti fossili, il trasporto stradale, le raffinerie, vegetazione, discariche, reflui, bestiame e incendi;
   l'Italia nel 2011 è stato anche uno dei Paesi europei a superare più spesso il limite Ue della media annuale per le famigerate Pm10 (polveri sottili) e Pm 2,5 (polveri ultrafini), insieme a Polonia e Slovacchia. Per quanto riguarda le polveri sottili (Pm10), al dodicesimo posto della classifica Ue c’è Monza (121 giorni di sforamenti nel 2011), tallonata da Brescia (113), poi Cremona (109), Vicenza (107), e Torino (105), ancora Padova (93) e poi Venezia (85). Il caso Italia non è isolato: oltre il 90 per cento degli europei che vive in città respira un livello troppo elevato di polveri ultrafini (fino al 96 per cento dei cittadini Ue per le Pm 2,5) e di ozono (fino al 98 per cento), considerando per il periodo 2009-2011 le soglie limite dall'organizzazione mondiale della sanità, spesso più severe rispetto a quelle dell'Ue;
   gran parte delle potature viticole e frutticole verdi sono trattate con pesticidi alcuni dei quali sono composti da clorurati i quali durante la combustione generano, oltre a migliaia di tipi di inquinanti tra i quali i particolati, ossido di carbonio, benzene, formaldeide, 1,3 butadiene, fenoli, cresoli, acroleina, acetaldeide, composti ciclici carcinogeneci IPA e le pericolose diossine, organo clorurati persistenti, come è evidenziato in parte nelle tabelle del documento ARPAV;
   le emissioni della combustione della legna contengono come minimo 5 gruppi di sostanze chimiche inquinanti classificate come cancerogene dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, altre sostanze classificate come possibili cancerogene e almeno altre 26 riconosciute dall'EPA (Environmental Protection Agency) USA come tossiche per la salute umana (Naeher e al., Woodsmoke Health Effects: A Review. Inhalation Toxicology, 19:67-106, 2007);
   queste emissioni di inquinanti cancerogeni possono incidere pesantemente anche nel nostro territorio che ha una vasta area agricola destinata a vigneto in cui è diffusa la pratica di bruciare i residui di potatura;
   il cippato, gli sfalci, i residui no-food ed i sarmenti delle viti possono diventare, invece, una proficua alternativa senza dover bruciare nulla ma utilizzando l'innovativa tecnica di tre differenti processi integrati di gassificazione, di digestione anaerobica e di coltivazione di micro/macroalghe come proposto dal Centro Studi SITAB di Legnaro-PD, tutti altamente vantaggiosi sul piano economico ed assolutamente neutri per quanto riguarda l'impatto ambientale, ivi compresa l'emissione di Anidride Carbonica (CO2), anche questa utilizzata nel corso dei vari processi –:
   quali iniziative intenda porre in atto al fine di evitare il suesposto disastro ambientale a causato da alti livelli di inquinamento così come riportato dall'EEA (European environment agency) nel rapporto 2011 sulla qualità dell'aria in Europa. (4-03175)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico a livello nazionale, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si segnala che la legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli Stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie di inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  In particolare, relativamente al materiale particolato PM10, a partire dal 2005, il valore limite giornaliero è di 50 μg/m3, da non superare più di 35 volte per anno civile, mentre il valore limite annuo è di 40 μg/m3); relativamente al biossido di azoto (NO2), a partire dal 2010, il valore limite orario è di 200 μg/m3, da non superare più di 18 volte per anno civile, mentre il valore limite annuo è di 40 μg/m3.
  Nel nostro Paese, il mancato rispetto dei limiti imposti dalle norme comunitarie riguarda ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni, che sono le autorità responsabili della valutazione e gestione della qualità dell'aria.
  Tale situazione è tuttavia differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Concentrando, ad esempio, l'analisi del trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo. Tali dati evidenziano, quindi, il permanere di situazioni di criticità, sebbene in un contesto di miglioramento generale.
  Le regioni del bacino padano, attraverso una intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Per tale ragione da anni le regioni del bacino padano promuovono attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione Lombardia, ad esempio, ha approvato nel 2013 il nuovo piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «trasporti su strada e mobilità», «sorgenti stazionarie e uso razionale dell'energia» e «attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Ciò nonostante, proprio in ragione della specificità meteo-climatica ed orografica di tali territori che impediscono la dispersione degli inquinanti, l'impegno delle sole amministrazioni regionali e locali non è da solo sufficiente a risolvere il problema.
  Di conseguenza, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, l'azione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle amministrazioni territoriali.
  In primo luogo, al fine di favorire un confronto istituzionale sul tema della valutazione e gestione della qualità dell'aria, è stato istituito presso il Ministero dell'ambiente un coordinamento tra i rappresentanti di tale Ministero, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Unione delle province italiane (UPI) e dell'associazione nazionale comuni italiani (ANCI) nonché delle agenzie e degli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (ISPRA, ISS, ENEA, CNR). Nel contesto di tale coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria ed in relazione agli strumenti di pianificazione.
  Inoltre, il Ministero dell'ambiente ha da tempo avviato una strategia volta alla individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del bacino padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un importante accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  Nel merito, tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socioeconomici. Tra le misure di breve, medio e lungo periodo per il contrasto dell'inquinamento atmosferico nel bacino padano, si citano, ad esempio, l'elaborazione di proposte normative condivise sulla riforma degli attuali sistemi di riqualificazione energetica degli edifici, sull'individuazione di linee guida nel settore agricolo o nel settore dei trasporti, sull'aggiornamento dei vigenti piani urbani della mobilità nonché per la predisposizione di studi relativi alla revisione dei limiti di velocità dei veicoli di trasporto di passeggeri e merci nelle zone del bacino padano.
  In particolare, per le regioni del bacino padano è previsto l'impegno ad adottare ed attuare tali misure nei propri territori attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria, che sono gli strumenti previsti dalle norme nazionali di settore per garantire il rispetto dei valori limite per la protezione della salute umana stabiliti dalle disposizioni comunitarie.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'ANCI per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale ed alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le regioni, le province autonome e l'ANCI si sono impegnati a promuovere ulteriori misure, tra cui, il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel quartiere Lunghezza sito nel municipio VI Roma delle Torri è presente una discarica abusiva dove originariamente era presente una cava per l'attività estrattiva di materiale piroclastico;
   lo scarico abusivo di rifiuti si è protratto all'interno della stessa dalla metà degli anni 70 fino agli anni 90;
   il piano di lavoro, approvato in «Conferenza di Servizi», prevedeva la bonifica integrale dell'area da parte del comune di Roma capitale che, ad oggi, non è ancora avvenuta;
   il 12 ottobre 2012 è stato presentato e approvato dall'assemblea  un ordine del giorno, all'interno del quale si chiedeva che le entrate derivanti dagli accordi TAV – Roma capitale, cifra pari a 3.038.000 euro, fossero impegnate nella totale bonifica dell’ex discarica e con la parte restante trasformare la zona in parco;
   i cittadini, nell'ambito della «conferenza di servizi» hanno chiesto una indagine epidemiologica;
   l'area della discarica è interessata dal tracciato della linea ferroviaria Tav, è attraversata dall'autostrada A24 ed è attraversata da un elettrodotto;
   il municipio VI a seguito di una richiesta da parte di gestore Vodafone ha indicato l'area come alternativa al lastrico solare offerto da un privato in via Ancarano 18;
   via Ancarano e la discarica sono limitrofi ed entrambi interessati dall'impatto delle precedenti menzionate opere (TAV, A24, elettrodotto, discarica);
   la legge quadro sull'inquinamento elettromagnetico – legge n. 36 del 2001 – prevede di attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 191 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in ambito europeo, la risoluzione dal Parlamento europeo del 4 settembre 2008 «Valutazione intermedia del piano d'azione europeo per l'ambiente e la salute 2004-2010», denuncia l'aumento dei casi di elettrosensibilità e raccomanda di «ridurre l'esposizione alle radiazioni elettromagnetiche», mentre la risoluzione del Consiglio d'Europa del 27 maggio 2011 invita i Paesi membri a fissare «limiti cautelativi di esposizione alle microonde per lungo termine (...), in accordo con il principio di precauzione»;
   numerose risoluzioni di scienziati indipendenti come l’International commission for electromagnetic safety (ICEMS) e il Gruppo Bioinitiative, citati rispettivamente dal Consiglio d'Europa e dal Parlamento europeo come riferimenti scientifici indipendenti promuovono l'abbassamento dei limiti di sicurezza in quanto gli attuali standard non si basano sulle evidenze biologiche, e sempre più numerosi sono gli studi scientifici che dimostrano una maggiore incidenza di leucemie e linfomi nei bambini — e una maggiore mortalità per leucemia per tutte le età — in prossimità di fonti di emissione di onde elettromagnetiche;
   su impulso della Commissione europea, nell'ottobre 2011 è stato, approvato dal Ministero dello sviluppo economico il piano nazionale banda larga, finalizzato all'adeguamento infrastrutturale del Paese;
   medici, fisici, biologi, ingegneri ricercatori rappresentanti politici rappresentanti di associazioni, di comitati legalmente costituiti e di fondazioni, stanno denunciando i gravissimi rischi per la salute e per l'ambiente connessi all'esposizione crescente a campi elettromagnetici da radio frequenze che sono emessi da cellulari tablet, computer collegati in rete senza fili antenne Wi-fi, ripetitori radio televisivi e della telefonia mobile (DECT, GSM, UMTS E LTE);
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato nel 2011 la radiofrequenza come possibile cancerogeno per l'uomo in classe 2B, smentendo che esistono solo effetti termici di tali campi; tanto che, sono emerse in poco tempo nuove evidenze scientifiche dei rischio cancerogeno;
   le emissioni elettromagnetiche di questi dispositivi di telecomunicazioni vanno a sommarsi alle altri fonti di inquinamento presenti sul quadrante compreso nella discarica;
   la realizzazione di un traliccio di telefonia mobile, comprometterebbe l'eventuale avvio di riqualificazione ambientale della zona e preclude la realizzazione del parco –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopracitati e di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se ritenga che sussistano i presupposti per avviare, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica in relazione agli effetti sulla popolazione della citata installazione;
   se non ritenga il Ministro interrogato di disporre al riguardo ogni verifica e attività ispettiva, anche da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), per constatare lo stato di inquinamento dell'area. (4-09860)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la legge quadro sulla protezione dalle esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge 22 febbraio 2001, n. 36) sancisce, tra l'altro, quali principi fondamentali, la tutela dell'ambiente e del paesaggio e la promozione dell'innovazione tecnologica e delle azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili.
  In particolare, l'articolo 8, comma 1, «nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competente dello Stato e delle autorità indipendenti» alla lett. c) attribuisce alle regioni, la competenza circa «le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti radioelettrici, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti».
  Le regioni, inoltre, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, i quali possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
  L'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi viene autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge n. 36 del 2001, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge n. 36 del 2001, e relativi provvedimenti di attuazione.
  Segnatamente allo svolgimento di dette verifiche, l'articolo 14 attribuisce alle amministrazioni provinciali e comunali l'esercizio delle funzioni di controllo e vigilanza sanitaria ed ambientale, utilizzando le strutture delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
  In ogni caso, si segnala che la competente direzione del ministero provvederà a richiedere alla ragione Lazio, al comune di Roma e all'ARPA una esauriente informativa sui fatti segnalati.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Da ultimo, si fa presente che le politiche del Governo in materia di comunicazione vanno nella direzione del più ampio sviluppo tecnologico, difatti, come annunciato dal Presidente del Consiglio, sono in uno stato avanzato i progetti innovativi della banda larga che consentiranno al nostro paese di assumere, anche in tal senso, un ruolo leader in Europa, permettendo al contempo anche il ricorso a tecnologie con una migliore compatibilità ambientale.
  Per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane gli organi di stampa hanno riferito i particolari di un'inchiesta che ha portato all'arresto di quattordici persone in relazione al furto di 15 milioni di euro, avvenuto tre anni fa, ai danni di una filiale del Banco di Napoli di Foggia;
   da un articolo de la Repubblica.it dell'11 marzo 2015, ripreso poi da altri quotidiani, è stata diffusa la notizia di un presunto «interessamento» del deputato Lello Di Gioia, presidente della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, ai fini del recupero di una parte della refurtiva sottratta dalle cassette di sicurezza dell'istituto di credito;
   nello specifico, gli organi di stampa fanno riferimento a un rapporto della squadra mobile secondo il quale il deputato – che comunque non è indagato essendo del tutto estraneo ai fatti criminosi – avrebbe avuto contatti con alcuni indagati esercitando «un ruolo di intermediazione per far recuperare una parte della refurtiva in possesso della banda»;
   l'interessato ha recisamente smentito ogni coinvolgimento nella vicenda;
   tenuto conto che al parlamentare non viene mosso alcun addebito da parte degli inquirenti e che oltretutto l'informativa di polizia non risulterebbe neppure dall'ordinanza con la quale è stato disposto l'arresto degli indagati, ci si chiede in primo luogo in base a quali presupposti il predetto rapporto sia stato redatto ed in secondo luogo come mai il citato rapporto, suscettibile di arrecare un evidente danno di immagine a una personalità che ricopre importanti incarichi politici e istituzionali, sia stato reso noto e diffuso alla stampa –:
   di quali elementi – da acquisire anche, per quanto riguarda il Ministro dell'interno, attraverso una indagine amministrativa – dispongano i Ministri interrogati al riguardo e quali iniziative di competenza intenda adottare. (4-10168)

  Risposta. — Il tema della diffusione delle notizie acquisite nel corso delle indagini e, dunque, coperte da segreto investigativo, sollevato dall'interrogante con l'atto ispettivo in esame è, in via generale, particolarmente delicato, posto che detta diffusione è potenzialmente dannosa sia per le persone coinvolte, sia per l'attività investigative condotte dagli organi inquirenti.
  Nel caso segnalato dal deputato Di Lello, le notizie diffuse riguardavano il deputato Raffaele Di Gioia, presidente della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, il quale – secondo quanto riportato dagli organi di stampa – sarebbe stato interessato dalle indagini relative al recupero di una parte della refurtiva oggetto, quattro anni, fa di un furto nelle cassette di sicurezza presso il caveau della filiale di Foggia del Banco di Napoli.
  Sulla base delle informazioni acquisite dalla competente articolazione ministeriale, la quale ha richiesto chiarimenti alla procura della Repubblica di Foggia, si è appreso che il nome di Raffaele Di Gioia era indicato nella relazione conclusiva trasmessa dalla squadra mobile di Foggia all'esito delle indagini svolte nell'ambito del procedimento n. 8848/12 RGNR.
  In tale informativa, secondo quanto comunicato, si faceva riferimento anche; ai «contatti» intercorsi tra alcuni soggetti implicati nel furto e Raffaele Di Gioia, che, all'epoca dei riferiti contatti, non ricopriva ancora la carica di parlamentare. I contatti, elencati in un'annotazione di servizio ed emersi dalle attività di intercettazione ambientale disposte, sono stati giudicati però non rilevanti dalla procura che, coerentemente, non ha provveduto all'iscrizione nel registro delle notizie di reato del nominativo di Raffaele Di Gioia. Tale circostanza ha indotto i magistrati della procura ad emettere un decreto di apposizione di «omissis» delle parti dell'informativa della squadra mobile relative alla posizione di Raffaele Di Gioia e, conseguentemente, a provvedere allo stralcio di tali atti dal procedimento.
  Gli atti in questione, pertanto, non sono stati allegati alla richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura in data 19 novembre 2014, né, conseguentemente, all'ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari in data 6 marzo 2015.

  Dalle informazioni apprese dalla procura di Foggia è anche emerso che la comunicazione alla stampa dell'avvenuta esecuzione della misura cautelare, nella notte tra il 10 e l'11 marzo 2015, è rimasta affidata in via esclusiva alla squadra mobile di Foggia, nel corso di una conferenza stampa, cui né il procuratore né altri magistrati della procura hanno preso parte.
  Sono state richieste le informazioni sollecitate dall'interrogante anche al Ministero dell'interno, il quale ha comunicato che le indagini relative al furto in questione erano affidate alla Squadra mobile della questura di Foggia ed al servizio centrale operativo della direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, coordinati dalla locale Procura della Repubblica. La nota del Ministero dell'interno riferisce, poi, che i risultati delle indagini sono stati compendiati in un'informativa conclusiva di 174 pagine (oltre allegati) depositata presso la procura della Repubblica il 6 agosto 2013, che non è stata mai resa nota agli organi di stampa.
  Sulla scorta delle informazioni acquisite e per i profili di competenza di questo Dicastero, non si delineano comportamenti disciplinarmente rilevanti ascrivibili ai magistrati titolari delle indagini, i quali, nella convinzione dell'irrilevanza processuale della posizione del deputato Di Gioia, hanno correttamente provveduto a cancellare dagli atti il suo nome, trasmettendo al giudice delle indagini preliminari solo gli atti utili e doverosamente mancanti delle indicazioni dei nominativi giudicati non utili.
  Sul punto, merita inoltre di essere sottolineato come l'unico profilo, in astratto, disciplinarmente rilevante riguarderebbe la decisione relativa all'iscrizione o alla non iscrizione operata nel registro delle notizie di reato. Secondo l'assetto ordinamentale vigente, com’è noto, le valutazioni relative ad essa rientrano tra le prerogative discrezionali dei magistrati requirenti, le quali devono trovare fondamento nel compendio delle emergenze acquisite: tale valutazione, dunque, non risultando nessun profilo di abnormità o di violazione di legge, non è suscettibile di censura nel caso di specie.
  Si rassicura, comunque, l'interrogante circa l'estrema attenzione che questo Governo riserva al sensibile profilo della riservatezza dei terzi coinvolti nelle indagini della magistratura. L'importanza riconosciuta dal Governo a tale aspetto si desume, infatti, anche dall'inclusione, tra i criteri di delega previsti nell'A.S. 2067 contenente «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena» – attualmente all'esame del Senato – di una norma in materia di intercettazioni. L'articolo 35 del citato disegno di legge ha proprio la finalità di tutelare maggiormente la riservatezza e la dignità della persone coinvolte dall'attività di indagine, attribuendo al pubblico ministero il potere si selezionare il materiale ritenuto rilevante ai fini delle indagini.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   un articolo pubblicato il 6 maggio 2016 da un autorevole quotidiano nazionale, riferisce di uno stanziamento di 40 milioni di euro che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha destinato alla riqualificazione dei capannoni del Cerimant, ubicati a Tor Sapienza, quartiere nella periferia est di Roma;
   nei piani del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la riconversione dei 7 capannoni del Cerimant dovrebbe dar vita ad un polo della creatività con spazi culturali e residenze per artisti;
   il Cerimant, un ex deposito militare ormai fatiscente, sorge in una zona desolata della capitale, tra magazzini e capannoni abbandonati da anni, scarsamente servito dalla rete di trasporto pubblico;
   tale progetto rientra nel programma del Ministero «Un miliardo per la cultura» che prevede investimenti su 33 siti in tutta Italia. Tra le eccellenze del patrimonio culturale da restaurare o riconvertire figurano tra gli altri la Reggia di Caserta (40 milioni di euro), il Museo di Capodimonte (30 milioni di euro), le aree archeologiche di Pompei ed Ercolano (50 milioni di euro complessivi), la Pinacoteca di Brera (40 milioni di euro), gli Uffizi (40 milioni di euro), il centro storico, il Duomo e S. Maria Paganica de L'Aquila (30 milioni di euro);
   a Roma, interessate agli interventi di valorizzazione e restauro saranno anche la facciata e il giardino di Palazzo Barberini (9 milioni di euro), l'ala Cosenza della Galleria nazionale d'Arte Moderna (15 milioni di euro), l'antico tracciato romano, fino a Brindisi, della Via Appia (20 milioni di euro);
   in merito ai capannoni del Cerimant, il quotidiano scrive che «forse è un caso, ma la struttura lautamente sovvenzionata si trova a due passi dal popolare quartiere Alessandrino, storico “feudo elettorale” di Michela Di Biase», attuale moglie del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, consigliere comunale uscente, presidente della commissione consiliare Cultura, politiche giovanili e lavoro e di nuovo candidata del Partito democratico alle prossime comunali di Roma;
   già nel 2013, il Ministro interrogato – all'epoca responsabile dei rapporti col Parlamento del Governo Letta ed ex segretario del Pd – era finito nella bufera per un sms da lui inviato agli iscritti romani del Pd con l'obiettivo di portare nel Consiglio comunale della Capitale Michela De Biase, all'epoca sua compagna –:
   quali elementi si intendano fornire in relazione ai fatti descritti in premessa e che, a parere dell'interrogante, destano più di qualche perplessità considerando che la condotta di un Ministro della Repubblica, nell'esercizio delle sue funzioni, dovrebbe essere improntata ad un rigore tale da fugare qualsiasi sospetto. (4-13214)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, dopo aver richiamata la decisione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), adottata nella seduta del 1o maggio 2016, di assegnare uno stanziamento di quaranta milioni, nell'ambito del Piano turismo e cultura, per il recupero e la valorizzazione del complesso ex militare Cerimant, situato a Roma, in località Tor Sapienza, l'interrogante solleva dubbi circa la correttezza della condotta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in quanto, secondo l'articolo di un quotidiano che l'interrogante cita testualmente, la struttura sovvenzionata «si trova a due passi dal popolare quartiere Alessandrino, storico «feudo elettorale» di Michela Di Biase», attuale moglie del Ministro.
  Il Cipe, nella seduta del 1o maggio 2016, nell'ambito dei beni culturali, ha assegnato un miliardo di euro, a carico del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) 2014-2020, al Ministero dei beni e delle attività culturali per il finanziamento del piano turismo e cultura, finalizzato a un'azione di rafforzamento dell'offerta culturale del nostro Paese e di potenziamento della fruizione turistica, con interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e per la messa in rete delle risorse culturali materiali e immateriali, con particolare riguardo al Sistema museale italiano. Sono altresì previsti interventi per il consolidamento di sistemi territoriali turistico-culturali. In particolare, a beneficiare del piano saranno grandi completamenti di interventi già in corso (quali Pompei, Ercolano, la Cittadella di Alessandria, la Reggia di Caserta e gli Uffizi di Firenze) oltre a nuovi interventi di importo complessivo di 170 milioni da ripartire fra interventi di valore inferiore a 10 milioni di euro con successivo provvedimento.
  Il finanziamento di cui sopra ha previsto anche un intervento di quaranta milioni per il recupero e la valorizzazione del complesso ex militare Cerimant, che si trova in località Tor Sapienza a Roma, per destinarlo a usi culturali e ricreativi.
  L'interrogante, nell'atto ispettivo presentato il 16 maggio 2016, riporta in maniera testuale, o riassume, brani di un articolo pubblicato, alcuni giorni prima, il 6 maggio, su un quotidiano.
  All'interrogante, però, è sfuggita la lettera che il Ministro ha inviato allo stesso quotidiano e che è stata pubblicata il giorno seguente.
  È opportuno, pertanto, per completezza e chiarezza, riportare qui, integralmente, la risposta del Ministro all'articolo di stampa, ampiamente citato, direttamente e indirettamente, dall'interrogante:
   «È vero. Tra i trentatré interventi finanziati con un miliardo di euro dal Cipe, uno dei più importanti, qualitativamente e quantitativamente, è il recupero della caserma Cerimant di Tor Sapienza. A fianco di progetti relativi a prestigiosi immobili dei centri storici, ve ne sono infatti alcuni che cercano di intervenire nella riqualificazione delle periferie urbane, vera sfida italiana dei prossimi anni e doveroso impegno per una cultura davvero progressista e di sinistra. In questo caso parliamo di un'area dismessa dell'esercito, collocata proprio in quella periferia romana che soltanto due anni fa fu teatro delle tensioni tra cittadini e immigrati e che diventerà un luogo per la cultura e la creatività, sul modello del famoso «104» realizzato nella periferia di Parigi, vediamo secondo voi cosa avrebbe dovuto fare il Cipe: rinunciare a questa operazione, così concretamente e simbolicamente importante, perché fino a tre anni fa mia moglie, nata e cresciuta in un'altra periferia vicina a Tor Sapienza, l'Alessandrino, è stata, e da molto prima di conoscermi, consigliere municipale ? E dato che nel 2013 è stata eletta consigliere comunale, facendo diventare quindi il suo «feudo», secondo il vostro astuto modo di ragionare, l'intera Roma, avremmo dovuto rinunciare a finanziare anche la Galleria nazionale di arte moderna o palazzo Barberini ? E per lo stesso motivo avremmo dovuto rinunciare a finanziare il completamento del Museo nazionale dell'ebraismo e della shoah perché si trova nel mio «feudo» di Ferrara, o gli Uffizi perché nel «feudo» del Presidente del Consiglio o ancora i musei Reali perché nel «feudo» di Fassino o Paestum perché in quello di De Luca e così via ?»
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   GULLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2015 una frana si è riversata sulla corsia occidentale dell'autostrada Palermo-Messina all'altezza di Letojanni;
   la frana ha messo in ginocchio la viabilità tra Catania e Messina, determinando la chiusura del tratto autostradale tra Giardini Naxos e Roccalumera in entrambi i sensi di marcia;
   nel mese di aprile 2015 vi era stato un altro avvenimento che ha inciso negativamente sulla viabilità siciliana, il cedimento del viadotto Himera sull'autostrada Palermo-Catania;
   il costante ripetersi di eventi franosi nell'isola indica un sempre maggiore rischio idrogeologico;
   negli scorsi anni eventi franosi hanno avuto esiti funesti (alluvioni e frane a Messina e Giamplieri);
   nonostante il pericolo per l'incolumità delle persone e il rischio del blocco della viabilità non risultano all'interrogante effettivi sistemi di prevenzione e monitoraggio di tali eventi –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per quanto di competenza per:
    a) prevenire fenomeni simili;
    b) prevedere meccanismi più rigorosi di controllo del rischio idrogeologico in Sicilia. (4-11043)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In attuazione a quanto disposto dal Governo con la Legge finanziaria per il 2010 (articolo 2 comma 240, legge n. 191 del 2009), inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, il Ministero dell'ambiente ha sottoscritto con le regioni specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico.
  In particolare, l'accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e la regione Sicilia è stato firmato in data 30 marzo 2010 e prevedeva il finanziamento di n. 173 interventi per un importo complessivo pari ad euro 304.337.176,92.
  Tale accordo di programma recepiva la proposta di programmazione per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico formulata al riguardo dalla regione, destinando quindi risorse al finanziamento di numerosi interventi su tutto il territorio regionale. Tra questi, figuravano anche importanti finanziamenti a favore di opere da realizzare in quei siti, in provincia» di Messina, già oggetto di gravi eventi franosi e di alluvione, quali Giampilieri (24 milioni di euro, Scaletta Zanclea (6,4 milioni di euro) e San Fratello (18 milioni di euro).
  All'accordo di programma hanno fatto seguito tre successivi atti integrativi, rispettivamente in data 3 maggio 2011, 28 ottobre 2014 e 20 gennaio 2015. Nell'ambito di tali provvedimenti, l'importo complessivo posto a finanziamento è stato ulteriormente incrementato, come di seguito indicato:
   1o atto integrativo in data 3 maggio 2011:
    21.251.185,84 euro – a favore di ulteriori interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da realizzare nel territorio della regione Sicilia.
   2o Atto integrativo in data 28 ottobre 2014:
    10.000.000,00 euro – ai sensi dell'articolo 1 lettera b dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3980 dell'11 novembre 2011, per il superamento dei contesti emergenziali determinatosi a seguito di eccezionali avversità atmosferiche;
    15.000.000,00 euro – a favore di interventi per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico nei comuni della provincia di Messina.

  Attualmente, quindi, l'accordo di programma prevede l'attuazione di n. 220 interventi, per un importo complessivo di 350.588.362,76 euro di cui:
   162.692.572,11 euro da parte del Ministero dell'ambiente, per la realizzazione di n. 91 interventi;
   12.756.002,61 euro con Delibera Comitato internazionale per la programmazione economica n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, per la realizzazione di n. 11 interventi;
   175.139.788,04 euro da parte della regione Sicilia per la realizzazione di n. 118 interventi.

  Lo stato di avanzamento di tali interventi, come dichiarato dal commissario straordinario delegato nella propria «Relazione delle attività 31 dicembre 2015», è il seguente: n. 114 ultimati; n. 54 in esecuzione; n. 9 in procedura di gara; n. 43 in progettazione.
  Per quanto riguarda, invece, le attuali e le future programmazioni degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, il Governo ha inteso riunificare in un unico strumento tutte le necessità del territorio, facendole confluire in un unico database, il ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi di difesa del suolo) dell'ISPRA.
  La procedura prevede che le regioni, ciascuna per il territorio di rispettiva competenza, inseriscano e validino, attraverso la compilazione di una apposita scheda, le richieste di finanziamento nel sistema citato. Le suddette richieste saranno valutate secondo le procedure, le modalità ed i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, per garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia nell'utilizzo di tali risorse rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In particolare, tale accertamento istruttorio si prevede venga effettuato, di volta in volta, non appena risultano disponibili le risorse da destinare per l'avvio delle nuove programmazioni.
  In tale contesto, di recente, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 – «Piano stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta al rischio», al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti e tempestivamente cantierabili di contrasto al rischio di alluvione, caratterizzati da un livello prioritario di rischio e ricadenti nell'ambito delle aree metropolitane e urbane.
  Tale piano, che prevede un investimento complessivo sul territorio nazionale pari, ad 1,3 miliardi di euro, stabilisce per la regione Sicilia la realizzazione di n. 8 interventi di contrasto al rischio di alluvione (Tabb. C e D), localizzati nelle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, per un importo complessivo pari a euro 95.286.165,19.
  Si rappresenta che la regione Sicilia ha al momento segnalato, nell'ambito del citato database ReNDiS, ai fini di nuove eventuali programmazioni per la rimozione del rischio idrogeologico, circa n. 1140 nuovi interventi, per un importo complessivo di oltre 2,7 miliardi di euro.
  In ultimo, va ricordato che il Governo si è di recente attivato per sottoscrivere i «Patti per il Sud», tra cui figura quello con la regione Sicilia nonché quelli con ognuna delle tre citate città metropolitane siciliane (Messina, Catania e Palermo).
  Con essi la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i rispettivi enti coinvolti condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche ed integrate, miranti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree industriali, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio metropolitano. In questo ambito, tra le linee di sviluppo e relative aree di intervento previste, figurano anche azioni nel campo delle infrastrutture e dell'ambiente.
  Al momento risultano già firmati, in data 30 aprile 2016, i rispettivi patti per le città metropolitane di Catania e Palermo in cui si identificano gli interventi prioritari e gli obiettivi da conseguire entro il 2017. Sono invece in avanzata fase di definizione i relativi patti con la regione Sicilia e con la città metropolitana di Messina.
  Tali interventi, attualmente espressi quale macrovoce, andranno quindi successivamente individuati nello specifico.
  Al riguardo, per quanto concerne gli interventi relativi al settore strategico «Ambiente», ed in particolare per i progetti per gli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, le parti si sono impegnate affinché, conformemente a quanto previsto dalla legislazione vigente, questi siano ammessi a finanziamento utilizzando i criteri di scelta e di attribuzione delle risorse che, ai sensi dell'articolo 10 comma 11 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 11, sono stati approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 recante «Individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico».
  Inoltre, ulteriori interventi di contrasto al dissesto idrogeologico si prevede risultino ricompresi all'interno dei patti con la regione Sicilia e con la città metropolitana di Messina, di prossima sottoscrizione.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   IACONO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   premesso che in data 27 marzo 2013 in GURI n. 76, è stato pubblicato il decreto 18 marzo 2013 con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello dello sviluppo economico hanno individuato le caratteristiche tecniche dei sacchetti per l'asporto delle merci, in attuazione dell'articolo 2, comma 2, decreto-legge n.2 del 2012 e successive modifiche;
   con il decreto-legge n. 2 del 2012, attualmente in vigore, si era consentita la vendita di sacchetti monouso biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432 e di quelli riutilizzabili, purché di adeguato spessore e contenenti una quota di plastica riciclata (cfr circolare del Servizio n. 10 del 08 febbraio 2012);
   all'articolo 1 del presente decreto sono definiti quali sacchi per l'asporto delle merci «sacchi messi a disposizione nel punto vendita a pagamento o gratuitamente per l'asporto di merci alimentari e non alimentari da parte del consumatore»;
   all'articolo 2 il suddetto decreto autorizzava la commercializzazione dei sacchi per asporto merci rientranti nelle seguenti categorie:
    a) sacchi monouso biodegradabili e compostabili, conformi a norma armonizzata UNI EN 13432: 2002
    b) sacchi riutilizzabili composti da polimeri diversi da quelli di cui alla lettera a) che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco; i sacchetti riutilizzabili con maniglia esterna alla dimensione utile del sacco sono, a loro volta, di due tipi, ognuno dei quali dovrà riportare la relativa e corrispondente dicitura:

    «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 200 micron – per uso alimentare»;
    «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 100 micron – per uso non alimentare»;
    c) i sacchetti riutilizzabili con maniglia interna alla dimensione utile del sacco che sono, pure, di due tipi, su ognuno dei quali dovrà essere riportata la relativa e corrispondente dicitura:
    «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 100 micron – per uso alimentare»;
    «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 60 micron – per uso non alimentare»;
   il suddetto decreto consente la commercializzazione dei sacchi riutilizzabili per l'asporto di merci, realizzati in carta, in tessuti di fibre naturali, in fibre di poliammide e in materiali diversi dai polimeri, fornendo altresì, ex articolo 3, le idonee modalità di informazione ai consumatori, in tema di utilizzo dei sacchi per asportò merci, su indicati;
   tale iniziativa del Governo specifica e meglio definisce le regole generali per la disciplina di una materia particolarmente complessa, tanto in tema di tutela dei consumatori, quanto sotto il profilo della salvaguardia ambientale;
   si ritiene tuttavia che una pari iniziativa andrebbe assunta anche con riferimento ad altri tipi di plastiche, per le quali si pone il tema di una più efficace regolamentazione della loro utilizzazione e soprattutto del loro smaltimento;
   in tal senso che tali riflessioni assumono un particolare rilievo se riferite al polistirolo espanso sinterizzato (EPS), che si produce usando un derivato del petrolio, lo stirene, che viene combinato con carbonio, idrogeno ed aria al 98 per cento in un processo di polimerazione che forma una struttura a celle chiuse che lo caratterizza; il polistirolo oggi viene largamente utilizzato per preservare i cibi o i prodotti farmaceutici dal caldo e dal freddo fino al momento in cui vengono acquistati dal consumatore finale;
   i problemi della gestione dei rifiuti di EPS sono attualmente soprattutto problemi logistici è regolamentari per l'organizzazione della raccolta di tali scarti e del loro smaltimento; infatti, se dall'un lato gli scarti di polistirolo espanso nella grande industria vengono riciclati ed usati per la produzione di nuovi imballi o per fare prodotti dell'edilizia, dall'altro lato ben più difficile risulta questa pratica per i contenitori che arrivano nelle nostre abitazioni e che registrano un largo utilizzo nel commercio, nelle attività produttive e nella piccola e media impresa;
   pare dunque di tutta evidenza come riciclare piuttosto che smaltire contenitori di polistirolo, che — è bene ricordarlo — non sono biodegradabili, appaia reso assai più complesso dall'assenza di regole generali per lo svolgimento di tali attività –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dare una regolamentazione certa all'utilizzo, al riciclaggio ed allo smaltimento dell'EPS, al fine di salvaguardare il nostro ambiente e tutelare la salute delle nostre comunità. (4-06311)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Con la nuova disciplina in materia di sacchetti per l'asporto delle merci, il Governo ha specificato e meglio definito le regole generali per la regolamentazione di una materia particolarmente complessa, tanto in tema di tutela dei consumatori, quanto sotto il profilo della salvaguardia ambientale.
  Sull'argomento viene richiesto che una analoga iniziativa andrebbe assunta anche con riferimento ad altri tipi di plastiche, sotto il profilo di una più efficace regolamentazione della loro utilizzazione e soprattutto del loro smaltimento. Tali considerazioni assumono un particolare rilevo se riferite al polistirolo espanso sinterizzato (EPS), che si produce usando un derivato del petrolio, lo stirene, che viene combinato con carbonio, idrogeno ed aria al 98 per cento un processo di polimerazione che forma una struttura a celle chiuse che lo caratterizza.
  A tal proposito si rappresenta che il polistirene è una materia plastica che viene utilizzata come imballaggio sia in forma sinterizzata (vaschette da gelato, vaschette per il pesce, seminiere, imballi per televisori e altri elettrodomestici), sia estrusa (ad esempio le vaschette che contengono la carne nei supermercati), sia come cristallo (i bicchierini, piatti e posate comunemente definiti di «plastica»).
  Essendo un materiale riciclabile al 100 per cento in tutte le sue forme, viene riciclato nei comuni in cui è attiva la raccolta differenziata e viene conferito nel cassonetto della plastica. Nel caso di contaminazione da alimenti, prima di conferirlo nella plastica, è opportuno pulirlo.
  Esistono diverse tipologie di riciclo dell'EPS; fra queste le più comuni sono:
   estrusione: in seguito ad una macinazione ed eventuale miscelazione degli scarti di EPS con materiale vergine, questo può essere inserito in un estrusore, per ottenere un prodotto granulato. L'estrusore consiste in un cilindro distinto in settori a diverse temperature, attraverso cui viene fatto passare l'EPS, che in tal modo si omogeneizza senza degradarsi;
   estrusione con degasaggio: nella zona di decompressione dell'estrusore può essere inserito un impianto di aspirazione, per eliminare i residui di agente espandente inclusi nella struttura cellulare. L'espandente così recuperato ha un mercato nel settore dei solventi a base di idrocarburi leggeri;
   riutilizzo nell'EPS: si tratta di una pratica molto comune, consistente nella riduzione quasi a livello di singola perla degli scarti di EPS e nella loro miscelazione con perle di materiale vergine, in diverse quantità, secondo il prodotto che si intende ottenere;

   alleggerimento: consiste nell'utilizzo degli scarti di EPS come inerte leggero, di malte per intonaci coibenti e caldane e per i calcestruzzi alleggeriti. Si tratta di tipologie di riutilizzo che richiedono materiali meno puri rispetto alle precedenti e anche rispetto al riciclo termico. Per quanto riguarda invece i laterizi alleggeriti, l'uso dell'EPS riciclato ha ancora limitate applicazioni, a causa dell'elevata purezza richiesta dal tipo di lavorazione.

  Al fine di incentivare il recupero ed il riciclo di tali rifiuti, inoltre, sono attive le Piattaforme EPS per rifiuti di imballaggio in polistirene espanso (PEPS) diffuse sul territorio nazionale e specializzate nel riciclo degli imballaggi di polistirene espanso. Tali impianti, legati da specifico contratto con il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica (COREPLA), ricevono e ritirano gratuitamente, nel rispetto di specifiche e limiti prestabiliti, rifiuti di imballaggi in EPS provenienti sia dalla raccolta dei rifiuti urbani in EPS sia dalla raccolta dei rifiuti assimilabili agli urbani.
  Alla luce del quadro sopra esposto, che garantisce, laddove è presente un efficiente sistema di raccolta di rifiuti, il recupero e riciclaggio dei rifiuti composti da EPS, il Ministero è comunque pronto a supportare ulteriori iniziative, con particolare riferimento ad enti pubblici e consorzi di filiera, volte a migliorare la gestione dei rifiuti in questione.
  Rimane peraltro fermo l'impegno di questo Ministero a monitorare costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 2 dicembre 2015 Cgil, Cisl, Uil, Libera, Legambiente, Associazione della Stampa e ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna, con una lettera aperta, hanno rivolto un appello al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della giustizia affinché vengano assunte le decisioni necessarie e stanziate le risorse per consentire lo svolgimento del processo «Aemilia», nel luogo preposto, la città di Reggio Emilia. Decisione fortemente sostenuta dai firmatari dell'appello;
   la scelta di mantenere la fase preliminare del processo in Emilia Romagna rappresenta uno sforzo straordinario per sostenere i costi previsti per lo svolgimento di un maxi-processo di mafia in questa regione;
   i firmatari dell'appello si sono costituiti come parte civile nel procedimento, insieme a numerose altre associazioni e istituzioni, con l'obiettivo di far emergere con determinazione la volontà di reagire della società emiliana-romagnola contro l'azione perpetrata dall'organizzazione «ndranghetista» che ha provato a mettere radici in questa regione e che ha prodotto effetti devastanti in numerosi settori economici e nella condizione di tantissime persone;
   chiunque abbia in questi anni messo in atto un'azione di contrasto alle mafie è stato in qualche modo colpito duramente;
   oggi però la volontà di reagire alle aggressioni subite da parte di un'intera regione è a rischio. Infatti, nelle scorse settimane, i difensori di diversi imputati hanno tentato di far spostare il processo in Calabria, trovando fortunatamente una ferma risposta di diniego da parte del giudice dell'udienza preliminare;
   è evidente che questa società e questa terra, così duramente aggredite dall'attività messa in atto dal sodalizio criminale, non possono vedere allontanarsi il luogo di svolgimento del processo dai «territori in cui sono state messe in atto le attività criminali di insediamento o di operatività del reato associativo di stampo mafioso»;
   si è di fronte ad «un'organizzazione criminale autonoma che dalla provincia di Reggio Emilia si irradia nel resto del nord-Italia con modalità specifiche e peculiari». Sarebbe paradossale l'allontanamento del processo da questi luoghi a causa di problemi di natura amministrativa;
   nell'aula, dove si celebrerà la giustizia in nome del popolo italiano, oltre agli imputati ed ai loro avvocati, è importate che sia garantita la presenza anche di quella parte di cittadini onesti che reagiscono ai sistemi mafiosi, a cominciare dai giovani delle scuole;
   con il suddetto appello, Cisl, Uil, Libera, Legambiente, Associazione della Stampa, ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna si uniscono alle richieste già avanzate nei giorni precedenti dalle Istituzioni e da tanti altri enti e associazioni affinché il processo «Aemilia» possa svolgersi a Reggio Emilia, e si aspettano, in particolare da parte dei Ministeri competenti e dal Governo nel suo insieme, il sostegno morale, civile e materiale al fine di mettere il tribunale e la città di Reggio Emilia nelle condizioni di esercitare in modo adeguato il diritto a veder svolgere in quel luogo il dibattimento, provvedendo agli allestimenti ed alle dotazioni di organico necessarie –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione alle richieste avanzate dagli enti e dalle associazioni di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire il necessario supporto organizzativo, amministrativo e logistico per assicurare che il processo in questione possa svolgersi nella sede del giudice naturale come richiesto da Cisl, Uil, Libera, Legambiente, Associazione della stampa e Ordine dei giornalisti dell'Emilia. (4-11474)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante evidenzia l'imponente impiego di risorse, umane e materiali, necessarie alla celebrazione del processo cosiddetto Aemilia.
  Chiede, pertanto, quali iniziative – sotto diversi e concorrenti profili – il Ministero della giustizia abbia assunto ed intenda assumere per garantire il regolare svolgimento della fase del dibattimento nella città di Reggio Emilia, sede in cui si radica la competenza territoriale.
  Come noto, le indagini coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna hanno ricostruito i tratti di una associazione per delinquere di tipo mafioso, di matrice calabrese ma delocalizzata stabilmente in Emilia Romagna, conducendo alla formalizzazione di oltre duecento contestazioni a carico di circa 240 imputati, molti dei quali sottoposti a misure cautelari.
  I risultati delle investigazioni, compendiati nelle sentenze di condanna già emesse dal giudice dell'udienza preliminare in seguito a richiesta di giudizio abbreviato e indicati nel decreto che dispone il giudizio, testimoniano – allo stato – lo straordinario impegno della magistratura e degli inquirenti nella ricostruzione di consessi qualificati, radicati fuori dei luoghi genetici delle più gravi forme di criminalità organizzata.
  La celebrazione del processo ha, di conseguenza, comportato l'esigenza di verificare dapprima l'utilizzabilità del palazzo di giustizia di Bologna, sede del tribunale distrettuale, per lo svolgimento dell'udienza preliminare e, successivamente, del tribunale di Reggio Emilia, competente per la successiva fase dibattimentale.
  Come noto, le competenze del Ministero della giustizia nell'individuazione di aule per la celebrazione dei processi che richiedano particolari modalità sono delineate dall'articolo 145-bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale. La norma prevede che «Nei procedimenti per taluno dei reati indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice, quando è necessario, per ragioni di sicurezza, utilizzare aule protette e queste non siano disponibili nella sede giudiziaria territorialmente competente, il Presidente della Corte d'appello, su proposta del Presidente del tribunale, individua l'aula protetta per il dibattimento nell'ambito del distretto. Qualora l'aula protetta non sia disponibile; nell'ambito del distretto, il Ministero della giustizia fornisce al Presidente della Corte d'appello nel cui distretto si trova il giudice competente l'indicazione dell'aula disponibile individuata nel distretto di corte d'appello più vicino».
  Quando ricorrano le condizioni previste dalla legge – celebrazione di processi per reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, codice di procedura penale, e ragioni di sicurezza – compete, pertanto, al presidente della corte d'appello, su proposta del presidente del tribunale, procedere all'individuazione di aule idonee. Solo laddove locali dotati dei necessari requisiti di sicurezza non siano disponibili nel distretto, il Ministero – su richiesta del presidente della corte d'appello – provvede ad indicare aule dotate delle richieste caratteristiche nel distretto viciniore.
  Per la celebrazione del processo Aemilia, nelle sue diverse fasi, non risulta pervenuta richiesta alcuna di esercizio delle prerogative previste dalla legge.
  Nondimeno, la competente articolazione del Ministero della giustizia è intervenuta a supporto degli uffici tanto per la celebrazione dell'udienza preliminare in Bologna, che per la successiva fase dibattimentale, attraverso l'assistenza dei tecnici ministeriali per verificare, di volta in volta, la praticabilità in concreto delle diverse ipotesi formulate dai capi degli uffici coinvolti.
  La celebrazione dell'udienza preliminare ha, difatti, richiesto la individuazione di locali idonei, in considerazione dell'imponente numero delle parti e dei difensori impegnati, nonché della partecipazione al processo a distanza di diversi imputati e delle connesse esigenze organizzative.
  In virtù delle intese raggiunte tra il presidente della regione Emilia Romagna ed i capi degli uffici è stato sperimentato un positivo modulo di interazione tra l'amministrazione centrale ed il territorio, che ha consentito l'adeguamento e l'allestimento di spazi fieristici garantendo, peraltro, l'utile reimpiego dei dispositivi messi a disposizione dal Ministero.
  L'udienza preliminare si è, pertanto, svolta nelle sede naturale di Bologna.
  Anche per quanto attiene alla celebrazione del dibattimento, e facendo seguito alle richieste avanzate dal procuratore della Repubblica e dal presidente del tribunale di Reggio Emilia, il Ministero della giustizia ha prestato attività di supporto per la verifica della idoneità delle aule del tribunale di Reggio Emilia, avviando le opportune interlocuzioni con gli uffici giudiziari e gli enti locali interessati.
  All'esito dei necessari approfondimenti e di incontri tecnici, svoltisi sul posto con l'amministrazione locale ed i capi degli uffici, la competente articolazione di questo Dicastero ha fornito il proprio assenso all'assunzione, da parte del comune di Reggio Emilia e con il contributo della regione Emilia Romagna, degli oneri di allestimento di un'aula speciale, assicurando l'esecuzione da parte dell'amministrazione delle attività riguardanti la multivideoconferenza e la videosorveglianza, in linea con le statuizioni del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna per quanto attiene agli aspetti relativi alla sicurezza.
  La direzione generale dei servizi informativi automatizzati ha, inoltre, fornito i dispositivi telematici ed elettronici utili a sostenere nel modo migliore la celebrazione del processo.
  Sono state, in tal modo, realizzate le condizioni perché anche il dibattimento potesse essere celebrato nella sede naturale di Reggio Emilia dove è, effettivamente, iniziato il 23 marzo 2016 ed è tuttora in corso, in locali resi funzionali e rispondenti ai necessari standard di sicurezza, secondo le statuizioni assunte dalla competente Conferenza permanente.
  Il Ministero ha, pertanto, profuso il massimo impegno per assicurare che il processo Aemilia potesse essere celebrato presso il tribunale di Reggio Emilia, nel rispetto tanto delle regole processuali che disciplinano la competenza per territorio, quanto delle esigenze più generali rappresentate dall'interrogante.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane di febbraio 2012 e nei primi giorni di marzo 2012, l'area del crotonese, in particolare la frazione di Papanice, è stata colpita da violenti fenomeni alluvionali, causando disagi e problemi alla popolazione;
   l'amministrazione comunale ha tempestivamente avviato un'analisi geologica e geomorfologica delle zone dell'abitato di Papanice, al fine di valutarne le condizioni e gli elementi di rischio;
   dai risultati dell'indagine – consegnata al segretario dell'autorità di bacino – è emerso che l'abitato di Papanice insiste sulla parte sommitale di rilievi collinari caratterizzati da una particolare morfologia, connotata dalla presenza di depositi biocalcarenitici e sabbiosi, che rende tutti i versanti dei rilievi particolarmente franosi, sia per quanto riguarda gli strati di terreno superficiale, sia per quanto riguarda gli strati più profondi; l'analisi ha sostanzialmente confermato le indicazioni del piano di assetto idrogeologico;
   durante gli intensi eventi meteorici sopra citati, i dissesti cartografati come quiescenti si sono attivati, interessando, in alcuni tratti, nuove porzioni di territorio; in diversi casi le corone di frana hanno subito una «migrazione» verso l'interno del Paese interessando alcuni fabbricati, per i quali sono state emesse ordinanze di sgombero a salvaguardia della pubblica incolumità;
   le principali cause dei dissesti in atto sono – secondo la relazione geologica – imputabili ai seguenti fattori:
    a) il contatto tra litotipi a diverso grado di permeabilità (argille sottostanti e sabbie nella porzione superiore), che favorisce i fenomeni di scivolamento dei litotipi sovrastanti;
    b) assenze o inadeguatezza delle opere di drenaggio, superficiali e profonde, a protezione del versante;
    c) appesantimento del bordo di terrazzo da edificazione;
    d) fattore antropico, cioè riempimento dell'area con materiale di riporto;
   gli interventi che dovrebbero essere fatti in zona sono i seguenti:
    a) potenziamento del sistema drenante profondo;
    b) palificazione dei tratti nei pressi dei quali insistono fabbricati;
    c) alleggerimento di fasce sul quale gravano manufatti in cemento armato;
    d) sistemazione del versante per facilitare lo scorrimento delle acque di ruscellamento;
   l'accordo di programma, sottoscritto in data 25 novembre 2010, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria, sulla base di quanto disposto dalla legge finanziaria 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191), articolo 2, commi 240 e 241, prevede nel comune di Crotone la programmazione del seguente intervento: «Interventi di consolidamento nel centro urbano della frazione Papanice, cona via Piae» per l'importo complessivo di euro 900 mila;
   è stata recentemente istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Struttura di missione denominate «Italiasicura» che ha avviato una fase di consultazione con le amministrazioni regionali per verificare e facilitare lo stato di attuazione degli interventi ricompresi negli accordi di programma stipulati dal MATT con le diverse regioni finalizzati alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico, ma, all'interrogante, non risulta vi sia traccia di interventi da attuare nel centro urbano di Papanice;
   sono, in tutta evidenza, indispensabili ingenti risorse per avviare gli interventi di messa in sicurezza necessari, mentre sembra che le disponibilità della regione Calabria siano insufficienti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per destinare adeguate risorse agli interventi necessari al ripristino dei danni subiti nel 2012 per effetto dell'alluvione che ha colpito la zona del crotonese, e in particolare la frazione di Papanice, agevolando le misure per mettere in sicurezza l'intera zona. (4-09946)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che l'azione di questo Ministero è rivolta principalmente all'individuazione ed al finanziamento degli interventi strutturali che agiscono per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico.

  Il Ministero insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.

  La regione Calabria, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane citato, ha avanzato richiesta di finanziamento per sette interventi aventi progettazione definitiva, compresi nella sezione programmatica, per un importo complessivo di 9,8 milioni di euro di risorse statali.

Titolo intervento Città Imp. totale in euro Imp. richiesto in euro
Messa in sicurezza degli affluenti della fiumara Annunziata Reggio
Calabria

500.000,00 

500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Valanidi Reggio
Calabria

2.000.000,00 

2.000.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Gallico Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza del torrente Torbido Reggio
Calabria

800.000,00 

800.000,00
Intervento di sistemazione idraulica Pellaro, S. Giovanni e Macellari Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Intervento di sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Catona nel Comune di Re Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza fiumara Armo Reggio
Calabria

2.000.000,00 

2.000.000,00
Totale 9.800.000,00  9.800.000,00

  In relazione al Piano Nazionale 2015-2020, di seguito si riportano per ciascuna provincia della Calabria le richieste di intervento avanzate e validate dalla regione fino all'8 giugno 2016, tra le quali sono presenti diverse richieste ricadenti nel comune di Crotone – frazione Papanice.
  Tutte le richieste avanzate e validate saranno valutate secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, qualora si rendano disponibili le necessarie risorse finanziarie.

Provincia Somma imp. Tot. in euro Somma imp. rich. in euro Conteggio cod. istr.
Catanzaro 269.381.910,27  189.217.410,27  141
Cosenza 878.235.891,82  550.532.604,40  338
Crotone 123.121.555,44  121.749.055,44  92
Reggio Calabria 344.223.763,92  269.240.458,92  140
Vibo Valentia 112.933.893,06  93.692.060,12  77
Totale 1.727.897.014,51  1.224.431.589,15  788

  Si fa infine presente che i lavori relativi a 6 interventi previsti nel comune di Crotone dall'accordo di programma del 25 novembre 2010, sottoscritto tra questo Ministero e la regione Calabria, risultano, dalle informazioni ad oggi presenti nel sistema di monitoraggio ReNDiS, essere stati aggiudicati.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si sono registrati in Calabria fino a seicento millimetri di pioggia in 48 ore e venti che hanno raggiunto gli 80 chilometri orari;
   si tratta di alcuni dei dati registrati, negli ultimi giorni, dal centro funzionale multirischi dell'Arpacal, l'agenzia regionale per l'ambiente della Calabria, relativamente agli eventi meteorologici che hanno messo in ginocchio, per l'ennesima volta, un territorio vulnerabile e ad altissimo rischio idrogeologico come quello calabrese. In pratica una quantità d'acqua che di solito precipita durante l'intero periodo autunnale;
   è ancora presto per poter quantificare i danni poiché diverse località non sono ancora raggiungibili, ma le immagini che arrivano in rete sono significative e rappresentano una situazione drammatica. Gran parte del territorio della provincia di Reggio Calabria e di Catanzaro e tutt'ora sott'acqua;
   un'economia già fragile e precaria, incentrata soprattutto sulla produzione agroalimentare (olive, arance, limoni, clementini, mandarini e bergamotto) è andata distrutta;
   le infrastrutture come acquedotti, strade, ponti e ferrovie hanno subito ingenti danni. Diversi sono i movimenti franosi, già ampiamente conosciuti e non ancora messi in sicurezza, che hanno ripreso forza mettendo in grave pericolo abitazioni e insediamenti produttivi;
   il torrente Ferruzzano, nella locride, ha esondato spazzando via la strada statale 106 Jonica e la linea ferroviaria che collega Catanzaro a Reggio Calabria, un tratto di ferrovia è rimasta sospesa nel vuoto, le foto del disastro sono impressionanti. I treni in viaggio sono stati fermati nelle stazioni di Locri, Brancaleone e Roccella Jonica;
   a Taurianova nei pressi del torrente San Nicola è stato ritrovato il cadavere di Salvatore Comandè, l'uomo è stato trascinato dalle acque ingrossate del torrente per circa 250 metri dal luogo in cui si era fermata l'auto sulla quale viaggiava insieme alla figlia 17enne che è stata salvata da alcuni passanti. L'acqua che ha causato il disastro sulle strade di Taurianova, comune a forte rischio di dissesto idrogeologico, si incanala in una vecchia strada dismessa da anni che scende dalla montagna del comune di Cittanova, situata ai piedi dell'Aspromonte. In tanti oggi si chiedono se quest'ennesimo lutto poteva essere evitato, poiché per la raccolta delle acque piovane e per la messa in sicurezza del torrente San Nicola, nell'anno 2007 furono stanziati 900.000 euro. Tale progetto, denominato Fida-Lanzari, dal nome delle contrade dove doveva essere eseguito l'intervento, non risulta essere stato portato a compimento;
   gravi sono i danni causati alla condotta idrica comunale di Reggio Calabria provocati dalla piena di un torrente in località Pettogallico;
   le violente mareggiate sulla costa Jonica del Catanzarese e del Reggino hanno provocato ingenti danni a Siderno e Caulonia;
   lo stato di emergenza, dei territori colpiti dall'alluvione e dalle mareggiate del 31 ottobre e 1°-2 novembre 2015, è un dato di fatto e i tecnici della regione Calabria e della Protezione civile, nei prossimi giorni stileranno una prima lista con la relativa quantificazione economica dei danni, per poi avviare la procedura per la dichiarazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di calamità naturale –:
   quali iniziative urgenti il governo, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di mitigare i danni prodotti dalla recente alluvione;
   se non ritengano, anche in attesa, della dichiarazione formale dello stato di emergenza, adottare ogni necessaria iniziativa di carattere finanziario per ripristinare le infrastrutture danneggiate, procedendo di concerto con le istituzioni locali alla messa in sicurezza di un territorio molto fragile dal punto di vista idrogeologico;
   quali stanziamenti e programmi intendano adottare, nella prima iniziativa normativa utile, per dare sollievo ai comparti produttivi calabresi gravemente colpiti dagli ultimi eventi meteorologici.
(4-10963)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero, in coordinamento con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Peraltro, nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  La regione Calabria, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane citato, ha avanzato richiesta di finanziamento per sette interventi aventi progettazione definitiva, compresi nella sezione programmatica, per un importo complessivo di euro 9,8 milioni di risorse statali.

Titolo intervento Città Imp. totale in euro Imp. richiesto in euro
Messa in sicurezza degli affluenti della fiumara Annunziata Reggio
Calabria

500.000,00 

500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Valanidi Reggio
Calabria

2.000.000,00 

2.000.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Gallico Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza del torrente Torbido Reggio
Calabria

800.000,00 

800.000,00
Intervento di sistemazione idraulica S. Giovanni e Macellari Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Intervento di sistemazione idraulica per la messa in sicurezza della fiumara Catona nel Comune di Re Reggio
Calabria

1.500.000,00 

1.500.000,00
Sistemazione idraulica per la messa in sicurezza fiumara Armo Reggio
Calabria

2.000.000,00 

2.000.000,00
Totale 9.800.000,00  9.800.000,00

  In relazione al piano nazionale 2015-2020, di seguito si riportano per ciascuna provincia della Calabria le richieste di intervento avanzate e validate dalla regione fino all'8 giugno 2016.
  Tutte le richieste avanzate e validate saranno valutate secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, qualora si rendano disponibili le necessarie risorse finanziarle.

Provincia Somma imp. Tot. in euro Somma imp. rich. in euro Conteggio cod. istr.
Catanzaro 269.381.910,27  189.217.410,27  141
Cosenza 878.235.891,82  550.532.604,40  338
Crotone 123.121.555,44  121.749.055,44  92
Reggio Calabria 344.223.763,92  269.240.458,92  140
Vibo Valentia 112.933.893,06  93.692.060,12  77
Totale 1.727.897.014,51  1.224.431.589,15  788

  Si fa presente, infine, che i lavori relativi all'intervento di mitigazione del rischio idraulico nel comune di Taurianova finanziato nel novembre 2008 da questo Ministero risultano, dalle informazioni ad oggi presenti nel sistema di monitoraggio ReNDiS, essere stati aggiudicati nel novembre 2015.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Arnetta è un torrente che scorre in Lombardia, attraversando le province di Varese e di Milano, appartenente al bacino del Ticino, nasce presso la frazione Torre San Quirico di Varese, quasi al confine con Gazzada Schianno, e scorre in direzione nord-sud parallelo all'Autostrada A8;
   da un articolo del quotidiano on-line «La Prealpina.it» del 21 settembre 2015 intitolato «Il muro crolla, allarme Arnetta» si apprende che dall'alluvione del mese di luglio 2015, un muro adiacente all'argine dell'Arnetta, situato in via Volta, ha ceduto franando nell'alveo senza provocare danni ad altre cose o esseri viventi, ma lasciando una preoccupante lacerazione nel muro che dà verso i parcheggi sotterranei di alcune palazzine di recente costruzione;
   nonostante i solleciti per un intervento che possa porre rimedio, nulla è stato fatto e si è ancora nella fase d'individuazione del soggetto deputato a intervenire;
   la responsabilità dovrebbe essere dei privati, ma soprattutto dell'Aspo, l'Agenzia interregionale per il fiume Po e solo in ultimo del comune di Gallarate;
   l'AIPO è stata istituita nel 2003, in sostituzione del magistrato per il Po, con quattro leggi approvate dai consigli regionali di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, con il compito di curare la gestione del reticolo idrografico principale del maggiore bacino italiano, occupandosi, essenzialmente, di sicurezza idraulica, di demanio idrico e di navigazione fluviale;
   per svolgere tali funzioni, AIPO è articolata con sedi territoriali nel bacino — da Torino (Moncalieri), fino a Rovigo — e ha la sua sede principale a Parma;
   AIPO, inoltre, è parte del «Servizio nazionale di protezione civile», di cui alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992, così come integrata e modificata dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012, in particolare per la gestione degli eventi di piena. Nell'architettura organizzativa definita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, l'Agenzia è chiamata a svolgere il duplice ruolo di centro di competenza — per la modellistica idraulica e lo sviluppo di procedure di gestione in emergenza a scala di bacino, a supporto tecnico della rete dei centri funzionali regionali e delle autorità istituzionali deputate al governo delle piene — e di presidio territoriale idraulico. Le funzioni di centro di competenza sono svolte dal settore PIM — ufficio per il monitoraggio idrologico e il coordinamento del servizio di piena, così come quelle di centro previsionale per il fiume Po e di segreteria tecnica dell'unità di comando e controllo (UCC), mentre l'azione sul territorio è svolta dai presidi territoriali idraulici dell'Agenzia in stretta collaborazione con il sistema di protezione civile;
   i blocchi burocratici e la situazione d'immobilismo dell'AIPO, più volte segnalato dall'ente locale secondo quanto dichiarato dall'assessore all'edilizia del comune di Gallarate, potrebbero causare gravi conseguenze in caso di un'alluvione simile a quella dello scorso anno –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda avviare, di concerto con gli enti locali, per ripristinare l'alveo del torrente Arnetta eliminando il rischio di esondazione in caso di alluvione;
   se il Governo non ritenga di eseguire una verifica sull'idoneità e funzionalità dell'articolazione complessiva del servizio nazionale di protezione civile. (4-10708)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al crollo di un muro adiacente all'argine dell'Arnetta, nel comune di Gallarate, in provincia di Varese, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Si premette che, per quanto attiene alle competenze relative alla cura e manutenzione dei fiumi, sono poste in capo allo Stato le funzioni di indirizzo finalizzate a fornire obiettivi e standard di tutela e di assetto del territorio – nelle sue componenti naturali ed antropiche – omogenei su tutto il territorio nazionale, anche in recepimento delle direttive comunitarie, e la programmazione degli interventi di difesa del suolo; mentre sono delegate alle regioni ed agli enti locali le funzioni di pianificazione e programmazione di settore, nel rispetto dei criteri e indirizzi individuati dallo Stato, nonché l'attuazione degli interventi ordinari e straordinari di mitigazione del rischio idrogeologico e di manutenzione del reticolo idrografico, ed i servizi di polizia idraulica e di presidio del territorio più in generale.
  Nel caso in argomento, ricadendo il dissesto lamentato nel territorio del comune di Gallarate, in provincia di Varese, afferisce alla regione Lombardia, nei diversi livelli in cui è articolata l'organizzazione regionale, la competenza in materia di programmazione e realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica.
  Al riguardo, si segnala che la regione Lombardia ha recentemente emanato la legge regionale 5 marzo 2016, n. 4, «Revisione della normativa regionale in materia di difesa del suolo, di prevenzione del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d'acqua», in cui vengono tra le altre disciplinate, nel caso di interventi di manutenzione dei corsi d'acqua, le relative competenze tra regione, enti locali e frontisti del tratto di alveo interessato.
  La competenza programmatoria, del resto, viene esercitata dalla regione sia negli strumenti ordinari della programmazione regionale (esempio programmi triennali opere idrauliche) sia negli strumenti di contrattazione programmata o negoziata tra la regione medesima ed il Ministero competente (da ultimo si segnala l'accordo di programma regione Lombardia-Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 4 novembre 2010 ed i successivi atti integrativi, finalizzato alla programmazione ed al finanziamento degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico).
  Ciò premesso, si riporta di seguito quanto comunicato a questo Ministero dalla Agenzia interregionale per il fiume Po (A.I.Po).
  Nel corso di un sopralluogo effettuato in data 5 marzo 2015, i funzionari dell'A.I.Po e della regione Lombardia hanno rilevato il crollo di un tratto di muro spondale sul torrente Arno in corrispondenza della proprietà condominiale di via Pozzoli.
  Successivamente A.I.Po ha intimato al condominio Carducci-Pozzoli di sgomberare l'alveo dai detriti, fatto che è avvenuto nelle settimane successive. A questo punto è iniziato un fitto carteggio tra i diversi enti coinvolti e lo studio legale incaricato dal condominio Carducci-Pozzoli che si è concluso nel luglio 2015.
  Anche la regione Lombardia ha avviato l’iter di competenza chiedendo più volte al condominio Carducci-Pozzoli di produrre idonea documentazione sulle opere realizzate, richieste anch'esse rimaste inevase. Nell'ottobre 2015 A.I.Po ha relazionato la regione Lombardia sullo stato dell'arte ribadendo quanto comunicato più volte al condominio Carducci-Pozzoli.
  Secondo quanto affermato da A.I.Po, il crollo del muro spondale ha origine dalla costruzione abusiva e mai autorizzata del muretto di recinzione lato fiume, opera accessoria alla realizzazione del condominio Carducci-Pozzoli. Tale muretto, realizzato in parte sopra al muro spondale esistente crollato e in parte in adiacenza ad esso, ha avuto un duplice effetto negativo sulla struttura esistente: da un lato ha aggiunto un carico statico ulteriore, dall'altro, non essendo presente alcuna opera di drenaggio delle acque, ha di fatto impermeabilizzato la sponda non permettendo più nemmeno il deflusso superficiale che avveniva naturalmente a gravità e che ha funzionato per decenni.
  Il condominio Carducci-Pozzoli, invece, tramite apposita relazione, ha evidenziato l'incongruenza della mappa catastale che identifica l'alveo del torrente ben oltre la posizione del muretto di recinzione.
  Si rappresenta infine che sulla vicenda è stato aperto un fascicolo dalla procura della Repubblica di Busto Arsizio, in seguito ad un esposto presentato dall'avvocato del condominio Carducci-Pozzoli. Conseguentemente la procura ha incaricato A.I.Po di relazionare in merito ai fatti in oggetto. La relazione finale è stata consegnata in data 13 aprile 2016 e non appena acquisita l'autorizzazione del giudice, sarà resa disponibile agli enti interessati (A.I.Po, regione Lombardia, comune).
  Per quanto riguarda la verifica da parte del Governo dell'idoneità e funzionalità dell'articolazione complessiva del servizio nazionale di protezione civile, si rammenta che è in corso l’iter parlamentare del disegno di legge « Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile». Attualmente è in corso l'esame del testo al Senato nelle Commissioni 1a (Affari-Costituzionali) e 13a (Territorio, ambiente, beni ambientali) in sede referente.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il primo ottobre 2015 la Sardegna nord e centro orientale è stata duramente colpita da una violenta alluvione che solo per un miracolo non ha provocato nuove vittime dopo la drammatica alluvione del novembre del 2013;
   il disastro si è, seppur con conseguenze meno drammatiche, ripetuto in tutta la Gallura e nel Nuorese con particolare riferimento ai comuni nell'area intorno a Torpè e Posada;
   coinvolta dall'alluvione anche la zona di Capoterra e del Cagliaritano;
   la Gallura ha già predisposto una prima stima dei danni;
   si tratta di un primo riscontro di 25 milioni di euro di danni;
   il primo quadro finanziario risulta indispensabile per intervenire immediatamente per risarcire i cittadini e le imprese colpiti da questo nuovo funesto accadimento e predisporre serie e non più rinviabili interventi tesi alla riduzione del rischio idrogeologico;
   Olbia ha ripartito la richiesta fra i risarcimenti per la città e quelli destinati all'agro;
   la prima stima avanzata dall'amministrazione comunale di Olbia si attesta su 300 mila euro per soccorso e assistenza degli alluvionati e per raccolta, stoccaggio e conferimento dei rifiuti;
   150 mila euro sono previsti per interventi di ripristino della viabilità, disostruzioni, pulizia delle strade;
   320 mila euro sono previsti per gli interventi immediati sui canali;
   sono stati chiesti anche fondi, 2 milioni e mezzo di euro, per gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico da spendere nei piani di risanamento di Santa Mariedda (600 mila euro), Isticcadeddu (500 mila) e Pasana (400 mila euro);
   l'intervento sull'agro è stato stimato in un milione e 200 mila euro;
   la richiesta del comune di Olbia è di 15 milioni e 200 mila euro per la riduzione del rischio idrogeologico nelle campagne;
   il comune di Golfo Aranci prevede risarcimenti per 57 mila euro per i primi interventi urgenti, di 720 mila euro per gli interventi di ripristino, 3 milioni di euro per gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico che prevede alcune opere idrauliche e la messa in sicurezza di alcune spiagge;
   il comune di La Maddalena ha deliberato per la richiesta di stato di calamità naturale con una richiesta danni di 700 mila euro, per gli interventi su diverse strade, che hanno subito degli smottamenti, oltre ai risarcimenti per i soldi spesi nei primi interventi urgenti;
   il comune di Loiri ha fatto una stima dei danni di 475 mila euro che riguardano principalmente danni alla viabilità cittadina e rurale;
   il comune di Arzachena ha avanzato una stima di 875 mila euro che comprendono i 200 mila euro destinati a risarcimenti dei privati e 675 mila euro per ripristinare strade urbane ed extraurbane;
   il comune di Palau ha subito danni per 700 mila euro, di cui 631 mila euro per risarcire i privati, 71 mila euro per ripristino della viabilità;
   tale quadro provvisorio si scontra con l'assoluta assenza di stanziamenti da parte del Governo per il risarcimento dei danni dell'alluvione del 2013 e la sostanziale assenza di concrete risorse per l'eliminazione del rischio idrogeologico;
   da una risposta del Governo, una settimana prima della nuova alluvione, ad una interpellanza urgente dell'interrogante si evince che il Governo medesimo non ha stanziato fondi per l'alluvione e per il rischio idrogeologico;
   il Governo in Aula aveva di fatto confermato che non esistono gli 81 milioni di euro annunciati per Olbia;
   ci sarebbe uno stanziamento di appena 16 milioni di euro che non sarebbero sufficienti nemmeno per pagare gli eventuali espropri di un piano devastante che prevede delle pericolosissime vasche di laminazione dentro il centro abitato;
   i finanziamenti per Olbia annunciati con enfasi ad agosto 2015 da Ministri e sodali olbiesi non esistono;
   ad affermarlo è lo stesso Governo che smentisce clamorosamente l'annuncio di uno stanziamento di 81 milioni per la mitigazione del rischio idrogeologico di Olbia;
   non esiste nessuno stanziamento di quell'entità ma appena di 16 milioni, appena il 20 per cento di quello annunciato e soprattutto nemmeno sufficiente a pagare una minima parte degli espropri necessari se si dovesse portare avanti quel piano inaccettabile che prevede di fatto la realizzazione di quattro dighe dentro la città;
   i progetti presentati dalla regione per Cagliari e Olbia non sono stati ritenuti finanziabili e quindi zero stanziamenti;
   per questo motivo la presenza e gli annunci del Ministro Galletti ad Olbia appaiono l'ennesimo vuoto proclama senza fondi e senza risposte serie e concrete;
   il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Bressa aveva testualmente dichiarato: «Gli ulteriori interventi proposti dalla regione per i comuni di Olbia e Cagliari, valutati in base ai criteri del suddetto DPCM, non sono rientrati tra quelli immediatamente finanziabili e sono pertanto stati inseriti nella sezione programmatica del Piano. Per quanto riguarda le questioni poste in materia di ambiente, riguardo alla questione dell'esiguità e assenza di proporzionalità delle risorse stanziate per il rischio idrogeologico, ossia 16 milioni di euro a fronte degli 81 milioni richiesti per Olbia e Cagliari, il Ministero dell'ambiente ha comunicato che, insieme alla struttura di missione contro il rischio idrogeologico, ha condotto la selezione degli interventi finanziabili secondo le procedure, i criteri e le modalità definite dal DPCM del 28 maggio 2015, quest'ultimo condiviso con le regioni e le province autonome in sede di Conferenza unificata. In seguito a tale selezione, tra gli interventi proposti dalla regione autonoma della Sardegna è risultato idoneo all'immediato finanziamento e pertanto inserito nella parte attuativa del Piano, l'intervento dal titolo “Opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia. Vasche. Lotto 1”, per un valore complessivo di 16.300.000 euro»;
   le affermazioni di agosto 2015 di esponenti del Governo della regione secondo le quali ci sarebbe stato uno stanziamento di 81 milioni di euro, sono dunque risultate destituite di ogni fondamento, mentre è accertato dunque che esiste solo un irrisorio e inutile stanziamento di 16 milioni di euro che non risulta utile a nessun tipo di intervento compiuto proprio perché non tiene conto di quanto realmente necessario per pagare le sole indennità espropriative;
   i ritardi e l'inconsistenza delle risorse finanziarie hanno messo ancora una volta a repentaglio la popolazione della Gallura e non solo;
   su questa ennesima alluvione e le sue conseguenze devastanti esiste ad avviso dell'interrogante una responsabilità politica e morale dei Governi che si sono succeduti dal 2013 ad oggi, proprio perché non solo non hanno risarcito i cittadini e le imprese ma non hanno fatto niente per affrontare il rischio idrogeologico;
   la demolizione del ponte sul fiume Siligheddu nel comune di Olbia, durante l'alluvione del 1° ottobre, ripristinato gravemente per volontà della protezione civile e con autorizzazioni a più livelli due mesi dopo la precedente alluvione del 2013 è un fatto grave sul quale occorre fare chiarezza;
   l'esistenza di numerosi punti che ostruiscono gravemente il flusso dell'acqua del fiume Siligheddu dentro la città di Olbia ha provocato numerose dighe interne al centro abitato provocando danni ingenti;
   blocchi al flusso dell'asta fluviale che molto spesso, come quello del ponte in via Vittorio Veneto, coincidono con la viabilità o con la rete ferroviaria statale come quello contiguo all'istituto professionale Amsicora –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative volte a stanziare risorse adeguate per riparare i danni privati e pubblici dell'alluvione del novembre 2013 e quella del 1° ottobre 2015;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per destinare risorse adeguate al contrasto del rischio idrogeologico, con uno stanziamento di non meno di 100 milioni di euro all'anno per il prossimo quinquennio;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover intervenire, previa verifica, per rimuovere tutti i blocchi viari e ferroviari, che generano pericolo per il deflusso dei corsi d'acqua dentro la città di Olbia a partire da quelli richiamati in premessa;
   se possa chiarire quale autorità abbia autorizzato il ripristino del ponte sul fiume Siligheddu. (4-10661)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  L'azione di questo dicastero è rivolta principalmente all'individuazione ed al finanziamento degli interventi strutturali che agiscono per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico. Al riguardo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione per il dissesto idrogeologico istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle Regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Le risorse assegnate a questo Ministero, di bilancio e Fsc (Fondo di sviluppo e coesione), sono distribuite con criteri condivisi e trasparenti, tenendo conto dell'effettiva criticità dell'area coinvolta e della immediata cantierabilità dell'intervento, attraverso l'applicazione dei criteri del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015. Si fa presente, altresì, che, attraverso l'impegno di questo Ministero, è stato possibile avviare nel corso del 2015 il piano stralcio aree metropolitane. Si sono affrontate situazioni emergenziali note, in Lombardia, in Liguria, in Veneto ed anche in Sardegna, per un importo statale di oltre 654 milioni di euro che, a partire dal 2016, sono direttamente assegnati al Presidente della regione in qualità di Commissario di Governo, in funzione dell'effettivo avanzamento della spesa di ciascun programma di interventi regionale.
  Il Ministero, inoltre, ha disponibili per il 2016 ulteriori 100 milioni di euro, assegnati dalla legge n. 147 del 2013, che sono destinati alla realizzazione del predetto piano stralcio nonché al Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico 2015-2020.
  Si ricorda, peraltro, che questo Ministero ha sottoscritto nel 2010 un Accordo di programma con la regione Sardegna che assegna, ad interventi volti ad affrontare situazioni di particolare criticità nel territorio regionale, un importo complessivo di risorse statali e regionali 100.734.402,56 euro.
  Inoltre, questo Ministero, in conseguenza dell'alluvione del novembre 2013 in Sardegna ha sottoscritto, il 3 dicembre 2013, il II atto integrativo all'accordo di programma citato, dell'importo di 5.998.000,00 euro (fondi di bilancio ministeriali) già trasferiti.
  L'atto prevede due interventi di mitigazione del rischio idraulico nei comuni di Olbia e di Bitti, le aree colpite dall'evento alluvionale.
  Si segnala, da ultimo, che l'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, al fine di consentire la celere predisposizione del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, favorendo le necessarie attività progettuali, ha istituito un Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. La delibera Cipe n. 32/2015 ha già assegnato a tale Fondo 100 milioni di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020, da attribuirsi secondo la chiave di riparto ordinaria prevista per i fondi di Fsc pari all'80 per cento al Sud e 20 per cento al Centro Nord.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il procuratore generale presso la Corte d'appello di Cagliari, Roberto Saieva, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ha pronunciato la seguente affermazione: «Nella esecuzione di questi delitti si è trasfuso l'istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione»;
   si tratta di un'affermazione, ad avviso dell'interrogante, intrisa di ignoranza e razzismo;
   le affermazioni pronunciate nella relazione davanti a magistrati e funzionari dell'amministrazione giudiziaria sarda e davanti a un rappresentante del Ministero della giustizia sono, secondo l'interrogante, di una gravità inaudita e necessitano di provvedimenti immediati;
   parlando degli assalti ai portavalori, «organizzati con grande dispiegamento di uomini e mezzi», il procuratore ha detto che «è agevole la considerazione che nella esecuzione di questi delitti si sia principalmente trasfuso l'istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione, crimine che sembrerebbe ormai scomparso»;
   parlando di omicidi, ha affermato che «sono delitti di impeto, talora connessi a situazioni di disagio personale e sociale, o riconducibili a dinamiche di criminalità comune, ovvero sorretti – e più spesso – da moventi che si radicano nella cultura degli ambienti agro-pastorali»;
   è secondo l'interrogante semplicemente inaccettabile parlare di «istinto predatorio tipico della mentalità barbaricina»;
   si tratta di concetti che appaiono all'interrogante dovuti a pregiudizi e vergognosi luoghi comuni, espressi in una occasione e in un luogo ufficiale come l'inaugurazione dell'anno giudiziario –:
   se non intenda valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare con riferimento a tale esponente della procura;
   se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per avanzare la richiesta di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 109 del 2006. (4-11931)

  Risposta. — Attraverso l'interrogazione in esame, l'interrogante riporta talune dichiarazioni, rese dal procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2016.
  Egli, riferendosi ad una serie di delitti di rapina consistiti in assalti a portavalori, ha pronunciato la seguente affermazione: «nella esecuzione di questi delitti si è trasfuso l'istinto predatorio tipico della mentalità barbaricina che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione» ed inoltre, riferendosi ad alcune fattispecie delittuose di omicidio, ha aggiunto come «sono delitti di impeto, talora connessi a situazioni di disagio personale e sociale o riconducibili a dinamiche di criminalità comune, ovvero sorretti da moventi che si radicano nella cultura degli ambienti agro-pastorali».
  Censurando le espressioni utilizzate, in quanto asseritamente esplicative di concetti legati a inaccettabili pregiudizi e luoghi comuni, anche in considerazione dell'ufficialità dell'esternazione, l'interrogante chiede al Ministro della giustizia di valutare l'opportunità di adottare iniziative ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare.

  Attraverso l'attività istruttoria, immediatamente demandata ai competenti uffici ministeriali, è stato anzitutto acquisito il testo dell'intervento svolto dal procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari nel corso della solenne cerimonia inaugurale dell'anno giudiziario 2016.
  Le espressioni in quella sede pronunciate, tuttavia, non sono state ritenute idonee ad integrare profili di rilevanza disciplinare a carico del magistrato.
  Secondo la competente articolazione amministrativa, difatti, attraverso la lettura complessiva del testo si evince che le affermazioni censurate sono legate a significativi dati di carattere oggettivo, asseverati all'esito di indagini preliminari svolte nell'anno precedente in relazione alle citate fattispecie criminose.
  Richiamando, in particolare, alcune complesse investigazioni inerenti gravi fatti di rapina, sostanziatisi in aggressioni armate a portavalori o in danno di istituti di credito, il procuratore generale ha operato una traslazione concettuale delle modalità predatorie che hanno tradizionalmente connotato i sequestri di persona, delitti storicamente maturati negli ambienti criminali della Barbagia, ricollegandole a più recenti fenomeni criminali, aventi sempre di mira il patrimonio delle persone.
  Riferendosi, inoltre, a gravi episodi di omicidio, dopo averne riscontrato un significativo incremento numerico, lo stesso magistrato ha precisato come si tratti di delitti ascrivibili a dinamiche di criminalità comune, sorrette da «moventi che si radicano nella cultura degli ambienti agro-pastorali».
  Nella nota trasmessa alla direzione generale dei magistrati, lo stesso procuratore generale ha, peraltro, chiarito di aver fatto riferimento agli specifici e ricorrenti moventi che avevano caratterizzato quelle fattispecie omicidiarie, sovente originatesi in «delitti di confine, contese per lo sfruttamento dei pascoli, furti di bestiame», richiamando il contesto pastorale del territorio sardo nel cui ambito lo stesso è maturato.

  Dall'analisi complessiva delle dichiarazioni ed alla luce degli approfondimenti svolti, la competente direzione ha ritenuto trattarsi di affermazioni che – lungi dal concretizzarsi in valutazioni di natura antropologica volte a denigrare i valori, la storia e la cultura delle popolazioni della Barbagia – erano solo funzionali a stigmatizzare icasticamente l'efferatezza di condotte, oggettivamente acclarate, anche nelle loro modalità e nei profili prettamente soggettivi, all'esito di molteplici e complesse investigazioni, pertanto prive di concreta idoneità offensiva rispetto a quei valori.
  Sulla base delle considerazioni innanzi esposte, non sono stati ravvisati, pertanto, profili di rilievo disciplinare nelle dichiarazioni rese e nelle valutazioni svolte dal Procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PISO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito legge 11 agosto 2014 n. 116 (cosiddetto decreto competitività) all'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), ha introdotto una ad avviso dell'interrogante non meditata modalità di classificazione dei rifiuti, in base alla quale se non si può dimostrare con analisi che il rifiuto speciale è innocuo, il rifiuto stesso è classificato come pericoloso. La norma è entrata in vigore il 18 febbraio 2015 (cioè 180 giorni dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 91);
   la classificazione dei rifiuti va effettuata dal produttore assegnando ad essi il codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, applicando la decisione 2000/532/Ce. Al fine di stabilire se il rifiuto è pericoloso o meno debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede; le indagini da svolgere richiedono di individuare i composti presenti nel rifiuto; determinare i pericoli connessi a tali composti ed infine di stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti;
   le modalità applicative del citato decreto-legge, sono più rigide rispetto alle prassi applicative delle norme comunitarie più comunemente praticate in Europa. Il risultato paradossale di tale ad avviso dell'interrogante improvvida iniziativa sta già direttamente colpendo gli impianti di recupero e di riciclaggio, che sono costretti a respingere i materiali, sino al 17 febbraio accettati, per il timore di incorrere nelle severe sanzioni della legge; gli inceneritori respingono camion pieni di combustibile prezioso, le discariche rifiutano i carichi di spazzatura non certificata;
   il mancato adeguamento della classificazione dei rifiuti comporta il rischio di pesanti sanzioni penali (fino a due anni di arresto per la non corretta classificazione dei rifiuti...) e rende di fatto «meno competitivo» il sistema produttivo sul quale graveranno oneri non sussistenti in altri Paesi;
   una quantità di materiali preziosi, dovrà essere esportata, smaltita, incenerita o sottoposta a processo di termovalorizzazione all'estero, generando un danno all'economia nazionale e un doppio profitto (importazione a titolo oneroso per l'Italia e profitti derivanti dalla termovalorizzazione) per i Paesi, quali Svizzera e Germania, che adottano regole meno rigide –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quali provvedimenti urgenti il Ministro intenda adottare, al fine di evitare il collasso del sistema di smaltimento e riciclaggio e maggiori oneri complessivi per il nostro Paese, derivanti dal disposto dell'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 116. (4-13894)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In premessa si deve precisare che ai sensi dell'articolo 184, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi o non pericolosi. In merito alle caratteristiche di pericolo, i commi 4 e 5 del citato articolo 184 stabiliscono che sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del citato decreto legislativo 152 del 2006.
  La classificazione dei rifiuti viene effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE, che istituisce l'elenco dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE, e riportata all'allegato D del decreto legislativo 152 del 2006.
  Il 18 dicembre 2014, la Commissione europea ha emanato il regolamento Unione europea 1357/2014 «che sostituisce l'allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai rifiuti, e che abroga alcune direttive» e la decisione 2014/955/UE «che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco europeo dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio».
  Il regolamento 1357/2014 contiene le indicazioni dell'Unione europea per l'attribuzione delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti e sostituisce le precedenti caratteristiche di pericolo, ovvero quelle da HI a H15, con le nuove caratteristiche da HP1 a HP15.

  La decisione 2014/955/UE modifica invece l'elenco europeo dei rifiuti, introducendo alcuni nuovi codici, sopprimendo alcuni articoli e sostituendo completamente l'allegato della decisione 2000/532/CE.
  Le disposizioni europee, modificate dal regolamento e dalla decisione sopra citati, sono state recepite nell'ordinamento nazionale negli allegati D ed I al Decreto legislativo n. 152 del 2006, relativi rispettivamente all'elenco dei rifiuti istituito dalla decisione della commissione 2000/532/CE ed alle caratteristiche di pericolo dei rifiuti. Sia il regolamento che la decisione si applicano in tutti gli Stati dell'Unione europea a far data dal 1o giugno 2015.
  Nelle more dell'organica revisione della normativa nazionale di settore, anche al fine di fornire i necessari chiarimenti di carattere operativo che discendono dal vigente rinnovato quadro normativo di riferimento, il Ministero dell'ambiente ha predisposto due circolari indirizzate alle regioni e province autonome, con le quali è stato specificato che il regolamento e la decisione sopra menzionati trovano piena ed integrale applicazione nel nostro ordinamento giuridico a decorrere dal 1o giugno 2015, ed inoltre che gli allegati D ed I del decreto legislativo n. 152 del 2006, contenenti le indicazioni per la classificazione dei rifiuti, non sono applicabili laddove risultino in contrasto con le nuove disposizioni dell'Unione europea.
  Alla luce delle informazioni esposte, le problematiche sollevate dall'interrogante possono trovare risposta nella normativa attualmente vigente, sopra richiamata, tenuto conto che la stessa non introduce alcun riferimento o obbligo di legge diverso rispetto a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   POLIDORI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il sito di cronaca e costume Dagospia, il 4 agosto 2015, riportava la seguente notizia: «Non dite al viceministro Carlo Calenda, delegato al made in Italy nel governo, che tale Anthony Peth, all'anagrafe Antonio Petretto da Alghero, sedicente quanto sconosciuto presentatore televisivo, si presenta ovunque come “ambasciatore del made in Italy nel mondo” forse perché testimonial della pubblicità di un piccolo pastificio. E a chi gli chiede da chi gli sia stata attribuita una carica così pomposa e altisonante risponde, col suo fortissimo accento sardo, che è stato nominato tramite un bando europeo (sic). Come se Bruxelles si occupasse ora anche di nominare “ambasciatori” dei prodotti tipici nazionali»;
   in effetti, da semplici ricerche effettuate sul web, risulta che tale presentatore di tv locali o piccoli canali televisivi, personaggio completamente sconosciuto al grande pubblico, rilascia da oltre un anno decine e decine interviste definendosi in modo inequivocabile «ambasciatore», parlando di ruoli istituzionali, decreti di nomina, e funzioni svolte nell'interesse del Paese;
   il signor Petretto non solo non smentisce gli equivoci sul presunto incarico di «ambasciatore», ma anzi parla nelle sue interviste di funzioni «istituzionali» e di essere «il più giovane ambasciatore della storia», alludendo chiaramente ad una carriera diplomatica, come ad esempio sul sito lifestylemadeinitaly.it: «Spesso le persone o i giornalisti mi chiedono come ci si sente ad essere l'ambasciatore più giovane della storia, quello che rispondo sempre è che non bisogna “tirarsela” perché si ha un ruolo istituzionale o di spicco nella società, ma anzi si ha una responsabilità nei confronti della propria nazione»;
   circa un calendario realizzato dal signor Petretto per, a suo dire, promuovere il Made in Italy, si legge sul quotidiano La Nuova Sardegna che «la realizzazione del progetto nasce da un'idea dell'organo direttivo del Made in Italy in collaborazione con Rm Consulting che gestisce il progetto nel mondo»;
   in una intervista all'emittente Keep Radio il signor Petretto parla addirittura di un decreto che sarebbe stato promulgato, presumibilmente dal Governo, fissando però la sede di questo organismo per la promozione del Made in Italy presso l'ambasciata degli Stati Uniti in Italia, cosa apparentemente piuttosto insensata: «finalmente è arrivata la lettera, tanto attesa, dalla Repubblica con il decreto nel quale mi viene stipulato un riconoscimento come primo ambasciatore del Made in Italy nel mondo con la sede dell'ambasciata d'America in Italia. Sono il primo nella storia così giovane a soli trent'anni»;
   nonostante i numerosi richiami all'Expo 2015 fatti dal signor Petretto nelle sue interviste, anche giocando con la parola «ambasciatore» e la sua asserita presenza presso il Padiglione Italia, è facilmente verificabile come lo stesso non sia mai stato nella lista degli «Ambassador di Expo 2015», tutte alte personalità di chiara fama e indubbio prestigio nazionale ed internazionale;
   le diverse versioni riportate nel tempo dal signor Petretto circa l'attribuzione di questo presunto incarico, inizialmente venutogli da aziende private nel settore alimentare collegate a bandi europei e da tale «organo direttivo» del Made in Italy, in seguito con un decreto di nomina con assegnazione di una sede per questo progetto presso un'ambasciata, rendono legittimi i dubbi sulla autenticità di tali affermazioni, perlomeno nella forma esposta dal signor Petretto;
   tale carica di «ambasciatore» inoltre utilizzata dal signor Petretto, come risulta in modo facilmente verificabile sul web e sui suoi profili nei social network, per ricevere prestazioni professionali retribuite quale presentatore di piccoli eventi locali, fiere paesane e concorsi di bellezza presso centri minori soprattutto del Mezzogiorno, ricevendo quindi compensi da aziende ed enti locali per garantire la partecipazione all'evento del sedicente «ambasciatore del Made in Italy nel mondo» –:
   se il Governo abbia effettivamente attribuito la carica di ambasciatore al signor Antonio Petretto, in che data, con quali criteri di individuazione, con quale provvedimento e sulla base di quali normative;
   quali requisiti presenterebbe il signor Petretto, essendo un personaggio privo di notorietà e qualifica, che si esprime addirittura con forte accento dialettale, per ricoprire un incarico di tale rilevanza, qualora fosse veritiero quanto lo stesso Petretto afferma, vale a dire quello di essere stato nominato con decreto «ambasciatore del Made in Italy nel mondo»;
   se il Ministro in interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare il marchio del Made in Italy ed evitare il ripetersi di evidenti abusi come quelli riportati;
   se il Ministro interrogato non ritenga che l'utilizzo incontrollato del titolo di ambasciatore del made in Italy, possa generare equivoci e confligga con i titoli e i ruoli diplomatici. (4-12427)

  Risposta. — Si segnala innanzitutto che Anthony Peth – all'anagrafe Antonio Petretto – è sconosciuto al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Agli atti della Farnesina non vi è infatti alcun decreto di nomina di ambasciatore a nome del predetto, né il signor Petretto è mai entrato nei ranghi della carriera diplomatica.
  Si ricorda ad ogni buon fine che, ai sensi dell'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, le funzioni di capo di rappresentanza diplomatica (incluse, quindi, quelle di ambasciatore) sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Si assicura infine che la trattazione delle questioni economico-commerciali – tra le quali si annovera la promozione del made in Italy – viene svolta unicamente attraverso i canali istituzionali, ovvero attraverso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari italiani all'estero, cui spetta per legge il coordinamento degli uffici di ICE-Agenzia e degli altri enti preposti all'internazionalizzazione delle imprese, sulla base delle linee generali della Farnesina.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2011 è stata installata una stazione radio base di telefonia cellulare presso l'immobile sito in Roma, in via Francesco Gentile n. 135, a seguito di una domanda di autorizzazione presentata dalla società Ericsson Telecomunicazioni Spa al dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune di Roma, per conto del gestore telefonico Wind Telecomunicazioni spa;
   la stazione radio base è stata installata ad una distanza minima dalle abitazioni civili (meno di venti metri) e da un plesso scolastico che ospita più di mille bambini di età compresa tra i tre e i tredici anni (meno di cinquanta metri), in contrasto con il Protocollo d'intesa firmato nel 2004 tra il comune di Roma e i principali Gestori di telefonia mobile, in cui si fissa una distanza minima di 100 metri per le installazioni vicine ai cosiddetti «siti sensibili»;
   i residenti, preoccupati per i rischi alla salute, hanno proposto ricorso giurisdizionale contro l'autorizzazione formatasi per silenzio assenso, nonché nei confronti di ogni provvedimento con cui il comune di Roma ha ritenuto regolare l'autorizzazione dell'installazione;
   il 27 gennaio 2014, con la sentenza n. 1021, il TAR del Lazio, ha accolto il predetto ricorso, disponendo l'annullamento del provvedimento di autorizzazione rilasciato per silenzio assenso dal comune di Roma in favore dalla Ericsson Telecomunicazioni spa e della Wind Telecomunicazioni spa, per l'installazione della stazione radio base di via Francesco Gentile n. 135;
   successivamente, Wind Telecomunicazioni Spa ed Ericsson Telecomunicazioni Spa hanno proposto appello al Consiglio di Stato avverso il predetto provvedimento giurisdizionale di annullamento dell'autorizzazione;
   il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 306 del 23 gennaio 2015, ha respinto l'appello presentato dai gestori di telefonia nei confronti della richiamata pronuncia del TAR del Lazio, confermando la decisione di annullare il provvedimento autorizzatorio ed ogni altro atto con il quale sia stata consentita l'installazione della stazione radio base in via Francesco Gentile n. 135;
   l'annullamento del titolo da parte del giudice amministrativo implica il dovere di rimuovere immediatamente la stazione radio base, dal momento che l'assenza di un valido ed efficace provvedimento autorizzatorio rende la sua installazione illegittima ed abusiva;
   essendo decorso un considerevole lasso temporale dalla data di emanazione delle citate pronunce del giudice amministrativo e risultando la stazione radio base ancora posizionata presso il condominio di via Francesco Gentile n. 135, all'inizio del mese di giugno 2015, i residenti hanno notificato a tutti i soggetti istituzionali coinvolti — compresa, per conoscenza, la Procura della Repubblica — un atto di diffida a rimuovere l'antenna, dando finalmente esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato;
   pochi giorni dopo la notifica dell'atto di diffida, i residenti ricevono, a loro volta, la notifica di una richiesta di revocazione della sentenza del Consiglio di Stato da parte di Wind Telecomunicazioni Spa. L'udienza era fissata per il 30 luglio 2015;
   il comune di Roma si è formalmente costituito in giudizio, nonostante l'Assemblea di Roma Capitale abbia approvato, il 14 maggio 2015, la delibera concernente il regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di telefonia a – Roma, in cui si vieta di installare antenne, parabole ripetitori sui tetti ed anche nel raggio di 100 metri dei cosiddetti «siti sensibili» (ospedali, case di cura e di riposo, asili nido e scuole, oratori, orfanotrofi, parchi gioco e su edifici abusivi), come nel caso di via Francesco Gentile;
   il codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, all'articolo relativo ai procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici prevede che l'installazione delle stesse sia «autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell'Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione»;
   i cittadini residenti nella zona si trovano a dover sopportare un ulteriore, grave, peso economico e psicologico, sentendosi altresì lasciati soli dall'amministrazione locale –:
   alla luce della vicenda descritta in premessa se non ritengano di promuovere una revisione della normativa relativa all'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, anche con riferimento ai criteri da utilizzare nei procedimenti autorizzatori da parte degli enti locali, tutelando in via prioritaria la salute dei cittadini evitando che possano ripetersi casi come quello di cui in premessa.
(4-10194)

  Risposta. — Occorre premettere che le autorizzazioni generali per le reti e i servizi di comunicazione elettronica sono disciplinate dal Capo II (articoli 25-39) del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259. Tali autorizzazioni possono essere assoggettate esclusivamente al rispetto delle condizioni elencate nelle parti A, B e C dell'allegato 1 del su menzionato codice.
  Con riferimento all'atto in esame, si sottolinea che il comma 5 lettera A dell'allegato 1 stabilisce che «Condizioni delle autorizzazioni generali sono: [...] Rispettare la normativa ambientale e la pianificazione urbana e rurale, obblighi e condizioni relativi alla concessione dell'accesso o dell'uso del suolo pubblico o privato e condizioni relative alla co-ubicazione e alla condivisione degli impianti e dei siti, conformemente al capo V del Titolo II del codice e inclusa, ove applicabile, qualsiasi garanzia finanziaria o tecnica necessaria ad assicurare la corretta esecuzione dei lavori di infrastruttura».
  Il titolare dell'emittente quindi, in possesso del nulla osta autorizzativo rilasciato per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico solo ai fini radioelettrici, dovrà comunque provvedere all'acquisizione delle necessarie autorizzazioni presso i competenti enti locali, in ottemperanza a norme, regolamenti e disposizioni urbanistiche ed ambientali in vigore.
  Ne consegue che se la vigente normativa nazionale e locale, viene rispettata, essa risulta già adeguata ad evitare episodi quali quello descritto dall'interrogante. Ed infatti, proprio nel caso in esame il mancato rispetto delle norme ha portato il giudice amministrativo a pronunciarsi contro la decisione di autorizzazione del comune di Roma: con la più recente sentenza del 3 marzo 2016, il Consiglio di Stato, sulla base della attuale normativa vigente, ha respinto l'appello presentato dai gestori di telefonia dichiarando inammissibile il ricorso in revocazione e condannando la ricorrente Wind Telecomunicazioni s.p.a. al pagamento delle spese.
  Va infine evidenziato per completezza di informazioni che il quadro normativo italiano relativo alla regolamentazione delle emissioni elettromagnetiche ha come elemento base la legge quadro 36/2001 recante «protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici», con livelli di emissione tra i più bassi in Europa.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi rapporti Istat, rispetto agli anni precedenti, si segnala che in Italia la quantità dei prodotti fitosanitari distribuiti per essere utilizzati nel trattamento delle coltivazioni agricole risulti in calo del 5,7 per cento rispetto all'anno precedente considerato e addirittura del 19,8 per cento se ci si confronta con il 2002. Diminuisce rispetto al passato sia la quantità di prodotti nocivi, sia di quelli molto tossici e tossici rispettivamente del 15,6 per cento e 3,8 per cento;
   nel nostro Paese si riduce anche la quantità dei principi attivi consentiti in agricoltura biologica e contenuti nei prodotti fitosanitari (-8 per cento rispetto al 2011). La contrazione dei principi attivi, insieme con quella dei formulati che li contengono, determina anche una riduzione nella concentrazione delle sostanze attive presenti nei prodotti fitosanitari, che, rispetto al 2011, scende dal 49,6 al 46,1 per cento;
   il tema di EXPO Milano 2015 è «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e intende includere tutto ciò che riguarda l'alimentazione, importantissima per la salute di ogni persona, dall'educazione alimentare alla grave mancanza di cibo che affligge molte zone del mondo, alle tematiche legate alla riduzione dell'uso dei pesticidi agli OGM;
   recentemente, come si evince da un'intervista apparsa sul Corriere della Sera del 1° maggio 2015, il Ministro dell'ecologia, dello sviluppo sostenibile e dell'energia Ségolène Royal ha dichiarato un impegno del Governo francese nelle riduzione dell'uso dei pesticidi in agricoltura e ha stabilito il completo divieto da fine 2016 della polverizzazione di pesticidi di pesticidi in città, villaggi e generalmente in spazi pubblici e, in particolare, sarebbe fatto «divieto alle persone pubbliche di utilizzare o far utilizzare agrofarmaci per la cura di spazi verdi, foreste, strade per passeggiate, accessibili o aperte al pubblico» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle citate misure assunte dal Governo francese e quale sia la posizione del Governo italiano in merito;
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per arrivare prima alla riduzione e gradualmente al divieto dell'uso dei pesticidi nel trattamento del verde pubblico e del verde negli spazi pubblici. (4-09160)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, con decreto ministeriale 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), in attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.
  Il predetto piano, adottato ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, prevede una serie di azioni che porteranno ad una progressiva riduzione dei rischi e dell'uso dei prodotti fitosanitari, con effetti positivi per la tutela dell'ambiente e la protezione della salute umana.
  Le azioni previste dal PAN sono le seguenti:
   a) formazione obbligatoria degli utilizzatori di prodotti fitosanitari, dei venditori e dei consulenti nonché la sensibilizzazione e l'informazione del pubblico;
   b) ispezione periodica obbligatoria delle attrezzature utilizzate per la distribuzione dei prodotti fitosanitari (irroratrici), allo scopo di ridurre le perdite di pesticidi nell'ambiente;
   c) applicazione dei principi di «difesa fitosanitaria integrata», con il ricorso a metodi fisici, biologici e agronomici per il controllo dei parassiti delle piante coltivate e comunque alternativi ai tradizionali mezzi chimici;
   d) limitazione dell'impiego di prodotti fitosanitari in prossimità dei corsi d'acqua e in aree specifiche (aree frequentate dalla popolazione e aree naturali protette), al fine di garantire la protezione delle acque superficiali e sotterranee, la tutela degli ecosistemi e della salute della popolazione potenzialmente esposta;
   e) prevenzione dell'inquinamento da fonti puntuali durante le fasi di stoccaggio e preparazione dei trattamenti fitosanitari;
   f) promozione dei metodi di produzione agricoli a basso o nullo impiego di prodotti fitosanitari, come il metodo di produzione biologico.

  Si ritiene opportuno segnalare che con decreto ministeriale 10 marzo 2015 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 marzo 2015) sono state stabilite linee guida che prevedono specifiche misure di mitigazione del rischio da applicare nelle aree naturali protette e in prossimità dei corsi d'acqua.
  Inoltre, con decreto 15 luglio 2015 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 luglio 2015), sono stati definiti indicatori per valutare l'efficacia delle azioni previste dal PAN. Gli effetti delle misure previste dal PAN, in termini di minori impatti sull'ambiente e sulla salute umana, potranno pertanto essere valutati, nel medio periodo, grazie agli indicatori previsti.
  Pur non essendo state destinate risorse finanziarie specifiche per l'attuazione della citata direttiva 2009/128/CE, le attività di ricerca volte allo sviluppo di strategie di difesa innovative e sostitutive dei tradizionali prodotti fitosanitari potranno essere incentivate dalle Amministrazioni competenti nel quadro della programmazione dei Fondi Strutturali 2014-2020.
  In particolare, alcune delle misure agro-ambientali previste dai programmi regionali di sviluppo rurale sono direttamente o indirettamente connesse alle azioni previste dal PAN, come peraltro previsto all'articolo 2, comma 3, del citato decreto legislativo n. 150 del 2012, che richiama la necessità di armonizzare le disposizioni relative all'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari con le politiche di sviluppo rurale, i programmi di sviluppo rurale (PSR), i regimi di sostegno e la condizionalità.
  Per quanto riguarda l'iniziativa del governo francese per la riduzione dell'uso di pesticidi nelle aree frequentate dalla popolazione (parchi pubblici, spazi verdi in aree urbane, eccetera), il PAN prevede esplicitamente al capitolo A.5.6.1 l'esclusione in tali aree dell'uso di buona parte dei prodotti fitosanitari ad azione erbicida (quelli che riportano in etichetta determinate frasi rischio o indicazioni di pericolo) e l'esclusione dell'uso di buona parte dei prodotti fitosanitari ad azione fungicida, insetticida e acaricida (capitolo A.5.6.2.).
  Le autorità competenti a livello locale debbono inoltre stabilire le aree nelle quali l'impiego dei prodotti chimici ad azione erbicida è comunque interdetto nonché le aree in cui l'uso dei mezzi chimici è ammesso unicamente nell'ambito di un approccio integrato con mezzi non chimici.
  Per quanto riguarda l'utilizzo di prodotti ad azione fungicida, insetticida e acaricida, le autorità locali dovranno privilegiare misure di controllo dei parassiti di tipo biologico, privilegiando comunque trattamenti con prodotti fitosanitari a basso rischio e con prodotti contenenti sostanze attive ammesse in «agricoltura biologica».
  Le regioni e le province autonome, per facilitare l'applicazione delle disposizioni previste dal PAN, potranno predisporre linee di indirizzo relativamente all'utilizzo dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione e dovranno altresì definire protocolli tecnici per regolamentare l'uso dei prodotti ad azione fungicida, insetticida e acaricida nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili.
  Una valutazione preliminare del grado di attuazione delle misure previste dal PAN potrà avere luogo dopo il 31 dicembre 2016, scadenza entro la quale le regioni e le province autonome dovranno fornire il quadro aggiornato sullo stato di attuazione delle azioni di competenza, ai sensi dell'articolo 6, comma 8 del citato decreto legislativo n. 150 del 2012.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le eventuali criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il «rapporto nazionale pesticidi nelle acque» presentato da Ispra in questi giorni, contiene i dati delle indagini svolte nel biennio 2013-2014 sulla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, in termini di frequenza di ritrovamento e distribuzione dei valori delle concentrazioni;
   a livello nazionale, nelle acque superficiali nel 2014, su un totale di 1284 punti di monitoraggio analizzati, 821 (63,9 per cento) sono contaminati da pesticidi, 529 dei quali (41,2 per cento) con concentrazioni superiori ai limiti dell'acqua potabile. Nelle acque sotterranee nell'anno 2014, su un totale di 2463 punti di monitoraggio, 780 (31,7 per cento) sono contaminati, 221 dei quali (9,0 per cento) sopra ai limiti dell'acqua potabile. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili;
   Pietro Paris, responsabile sostanze pericolose dell'Ispra, ha pubblicamente dichiarato che la copertura del territorio nazionale, tuttavia, è ancora largamente incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali. Infatti, due regioni, il Molise e dalla Calabria, non hanno inviato nessun dato, mentre i dati per le acque sotterranee, non sono stati riportati da ben cinque regioni (oltre a quelli di Calabria e Molise, mancano i dati Basilicata, Campania e Puglia);
   in alcune regioni la contaminazione è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 70 per cento dei punti delle acque superficiali, come in Veneto, in Lombardia, in Emilia Romagna, con punte del 90 per cento in Toscana e del 95 per cento in Umbria. Nelle acque sotterranee la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia con il 50 per cento dei punti, in Friuli con il 68,6 per cento in Sicilia con il 76 per cento;
   nonostante esistano tecniche di coltivazione che fanno a meno, o riducono la necessità di prodotti chimici, come l'agricoltura biologica, l'agricoltura integrata o l'agricoltura di precisione (tecnica agricola di precisione che mira all'esecuzione di interventi agronomici tenendo conto delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo impiegando una strategia gestionale all'avanguardia e moderne strumentazioni), in Italia, solo in agricoltura si utilizzano circa 130.000 tonnellate all'anno di prodotti fitosanitari [ISTAT, 2014], che contengono circa 400 sostanze diverse. Mentre per i biocidi (pesticidi in grado di distruggere una grande varietà di organismi appartenenti a gruppi più o meno distinti tra loro) non si hanno informazioni analoghe sulle quantità e manca un'adeguata conoscenza degli scenari d'uso e della distribuzione geografica delle sorgenti). Nel complesso sono state cercate 365 sostanze, ma il rapporto evidenzia che le regioni cercano in media 73 sostanze nelle acque superficiali e 72 in quelle sotterranee (quando sono posti in commercio nel Paese 400 principi attivi);
   le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti, sono il glifosato (una sostanza considerata probabilmente cancerogena dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità) e il metabolita AMPA, che sono cercati esclusivamente nelle regioni Lombardia e Toscana e, solo dal 2014, sono presenti con frequenze rispettive del 19,1 per cento e del 41 per cento;
   nelle acque superficiali la percentuale di punti contaminati è aumentata di circa il 20 per cento in quelle sotterranee di circa il 10 per cento. Inoltre, i dati rilevano come sia aumentato il numero medio di sostanze nei campioni, infatti sono state trovate fino a un massimo di 48 sostanze diverse contemporaneamente. Dagli studi prodotti finora emerge che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico. Gli organismi acquatici sono sottoposti ad esposizione multipla. Nel 45,3 per cento dei punti delle acque superficiali monitorati, infatti, ci sono almeno due sostanze, e nel 7,8 per cento dei punti ci sono più di 10 sostanze. Nel 17,6 per cento dei punti delle acque superficiali ci sono almeno 2 sostanze, e nel 2 per cento più di 10. Il fenomeno è probabilmente sottostimato, come già evidenziato il numero di sostanze cercate, infatti, è generalmente non abbastanza rappresentativo di tutte quelle usate nel territorio;
   le acque superficiali e le acque sotterranee, in cui confluiscono i pesticidi, possono essere fonte di approvvigionamento di acqua potabile. Anche i prodotti della terra costituiscono fonte di alimentazione per uomini ed animali. La presenza di pesticidi nell'acqua e negli alimenti è confermata da indagini svolte a livello comunitario [EFSA, 2015; EEA, 2011]. L'indagine, condotta dall'EFSA ha pubblicato nel 2013 un rapporto [EFSA, 2015] sui risultati del monitoraggio dei pesticidi negli alimenti. Pone in particolare rilievo la presenza di miscele di sostanze negli alimenti. In questo rapporto, le lacune conoscitive non consentono un'adeguata valutazione del rischio, che ad oggi è basato sulla singola sostanza, con una possibile sottostima del rischio complessivo, in quanto ad oggi la normativa europea non prevede una valutazione completa e integrata degli effetti cumulativi dei vari componenti di una miscela in relazione anche alle diverse vie di esposizione. Permangono, come si rileva da numerosi fonti scientifiche, le preoccupazioni in relazione alla molteplicità delle miscele di composizione non nota riscontrabili nell'ambiente. Sono escluse, inoltre, dalla vigente valutazione del rischio, quelle sostanze chimiche la cui singola concentrazione è al di sotto del livello di non effetto, ma la cui azione congiunta con altre potrebbe dar luogo ad una tossicità complessiva rilevante. La causa più preoccupante, però, è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili;
   i dati riportati dal rapporto dell'Istat evidenziano che ad oggi non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque, per tutta una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti. Questo fa sì che i dati dell'entità e della diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, considerando anche che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze –:
   in considerazioni dei preoccupanti elementi evidenziati in premessa, quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare affinché venga garantito un omogeneo, completo ed efficiente monitoraggio sulla presenza dei pesticidi e, più in generale, anche sulla presenza di miscele di agrofarmaci;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda promuovere tutte le iniziative necessarie a garantire la copertura uniforme su tutto il territorio nazionale per tale monitoraggio, e nello specifico quali azioni intenda promuovere ed intraprendere;
   se il Governo intenda adottare iniziative per garantire un'opportuna omogeneità dei monitoraggi e della loro elaborazione e dei relativi protocolli a livello nazionale;
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere con riferimento ai casi in cui dalle regioni non siano stati forniti i dati necessari alla realizzazione del monitoraggio;
   se il Governo, a fronte di quanto riportato in premessa, non reputi doveroso modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, introducendo vincoli molto più stringenti per la riduzione dell'uso degli agrofarmaci;
   se il Governo, per quanto di competenza, non intenda avviare iniziative che favoriscano forme di agricoltura meno impattanti, dal biologico all'integrato fino all'agricoltura di precisione. (4-13334)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, con decreto ministeriale 22 gennaio 2014 è stato adottato il Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012, concernente l'attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.
  Il predetto piano nazionale prevede una serie di azioni, la cui attuazione dovrà portare ad una riduzione dei rischi dei prodotti fitosanitari, con effetti positivi per la tutela dell'ambiente e la protezione della salute umana.

Tali azioni prevedono, in sintesi:
   a) la formazione obbligatoria degli utilizzatori di prodotti fitosanitari, dei venditori e dei consulenti nonché la sensibilizzazione e l'informazione del pubblico;
   b) l'ispezione periodica obbligatoria delle attrezzature utilizzate per la distribuzione dei prodotti fitosanitari (irroratrici), allo scopo di ridurre le perdite di pesticidi nell'ambiente;
   c) l'applicazione dei principi di «difesa fitosanitaria integrata», con il ricorso a metodi fisici, biologici e agronomici per il controllo dei parassiti delle piante coltivate e comunque alternativi ai tradizionali mezzi chimici;
   d) la limitazione dell'impiego di prodotti fitosanitari in prossimità dei corsi d'acqua e in aree specifiche (aree frequentate dalla popolazione e aree naturali protette), al fine di garantire la protezione delle acque superficiali e sotterranee, la tutela degli ecosistemi e della salute della popolazione potenzialmente esposta;
   e) la prevenzione dell'inquinamento da fonti puntuali durante le fasi di stoccaggio e preparazione dei trattamenti fitosanitari;
   f) la promozione dei metodi di produzione agricoli a basso o nullo impiego di prodotti fitosanitari, come il metodo di produzione biologico.

  Per quanto riguarda le azioni di tutela delle aree naturali protette e dell'ambiente acquatico, sono state stabilite con decreto ministeriale 10 marzo 2015 linee guida che prevedono specifiche misure di mitigazione del rischio da applicare in prossimità dei corsi d'acqua e nelle aree naturali protette. La scelta delle misure più appropriate nelle aree oggetto di tutela, in relazione alle specificità territoriali e ai diversi obiettivi di protezione, è demandata, ai sensi del punto A.5.1 del Pan, alle regioni e alle province autonome nonché agli enti gestori delle aree naturali protette.
  Inoltre, allo scopo di valutare l'efficacia delle azioni previste dal Pan, sono stati definiti, con decreto ministeriale 15 luglio 2015, alcuni indicatori per valutare il grado di attuazione e l'efficacia delle misure previste. Tra questi, un indicatore è basato, appunto, sulla frequenza di ritrovamento e sulla distribuzione dei valori di concentrazione delle singole sostanze attive e dei metaboliti rilevati nelle acque superficiali e sotterranee: i risultati delle elaborazioni effettuate dall'istituto superiore per la protezione e la Ricerca ambientale (Ispra), sulla base dei dati forniti dalle Regioni, sono alla base del rapporto citato in premessa dagli Interroganti.
  Gli effetti delle azioni previste dal Pan in termini di minori impatti sull'ambiente e di maggiore protezione della salute umana, potranno essere valutati nel medio periodo, sulla base del set di indicatori stabilito con il citato decreto ministeriale 15 luglio 2015.
  Una prima valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi previsti dal Pan potrà comunque avere luogo dopo il 31 dicembre 2016, scadenza stabilita dal decreto legislativo n. 150 del 2012, all'articolo 6, comma 8, entro la quale le regioni e le province autonome dovranno fornire un quadro aggiornato sullo stato di attuazione delle azioni di competenza.
  Pur non essendo state destinate risorse finanziarie specifiche per l'attuazione della citata direttiva 2009/128/CE, le attività sperimentali e di ricerca volte allo sviluppo di strategie di difesa fitosanitaria integrata, innovative e sostitutive dei tradizionali prodotti fitosanitari, potranno essere promosse dalle amministrazioni competenti affinché la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 fornisca adeguati supporti al settore della difesa fitosanitaria integrata e al metodo di produzione biologico, al fine di assicurare una piena attuazione del Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
  Inoltre, le misure agro-ambientali previste dai Programmi regionali di sviluppo rurale (Psr) sono in molti casi direttamente o indirettamente connesse alle azioni previste dal Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. La correlazione tra le misure previste dai Psr e le azioni previste dal Pan è peraltro richiamata all'articolo 2, comma 3, del citato decreto legislativo n. 150 del 2012, laddove è menzionata l'opportunità di armonizzare le disposizioni relative all'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari con le politiche di sviluppo rurale, i programmi di sviluppo rurale, i regimi di sostegno e la condizionalità.
  Si segnala altresì che nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2015, su proposta della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato approvato il decreto legislativo n. 172 del 2015 «Attuazione della direttiva 2013/39/ UE, che modifica le direttive 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque».
  Il provvedimento modifica alcune disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo unico ambientale), e riguarda gli standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque. L'obiettivo è combattere l'inquinamento idrico rafforzando il monitoraggio dello stato delle acque.
  Il decreto aggiorna, recependo le indicazioni della normativa europea, gli elenchi delle sostanze chimiche ritenute maggiormente pericolose con 12 nuove sostanze tra cui componenti contenuti in prodotti fitosanitari, sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione, rivedendo inoltre i livelli di concentrazione di altre 7 sostanze già incluse nell'elenco, in linea con i parametri indicati dall'Unione europea. Vengono definiti anche i termini e le modalità certe con cui eseguire il monitoraggio sulle acque e contestualmente viene introdotto l'obbligo di un continuo controllo delle sostanze presenti nell'elenco definito dalla Commissione europea.
  Le regioni e le province autonome, avvalendosi delle agenzie regionali per l'ambiente, applicano gli Standard di qualità ambientale (Sqa), con l'obiettivo di raggiungere il buono stato chimico delle acque entro il 2021 per le sostanze individuate in passato ed entro il 2027 per le nuove sostanze individuate.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle discipline di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della regolamentazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.