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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 ottobre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici è fermo da sette anni e la situazione dovrebbe sbloccarsi con la prossima legge di bilancio, ma ancora non si conosce ufficialmente quale sarà lo stanziamento previsto dal Governo. Le ipotesi parlano di 700 milioni di euro complessivi: uno stanziamento insufficiente a garantire un adeguato aumento degli stipendi degli statali per i quali, secondo quanto richiesto dai sindacati, sarebbero necessari almeno 7 miliardi di euro per riequilibrare le perdite di potere d'acquisto delle retribuzioni dei lavoratori nei sette anni di blocco del contratto;
    inoltre, nella legge di stabilità per il 2016 il Governo ha indicato le risorse disponibili per i rinnovi contrattuali dal 1° gennaio 2016, di fatto contravvenendo così alle indicazioni contenute nella sentenza n. 178 del 2015 della Corte costituzionale riguardante l'illegittimità costituzionale delle norme che avevano disposto il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego;
    nella sentenza, infatti, tale illegittimità costituzionale è stata definita «sopravvenuta» dalla Corte a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, vale a dire il 29 luglio 2015. Nonostante ciò il Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha ignorato la Corte costituzionale e nulla ha previsto per il periodo compreso tra il giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale e il 31 dicembre 2015;
    tra le categorie di lavoratori pubblici maggiormente penalizzati dal blocco del rinnovo contrattuale, figura il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che lamenta da diversi anni una situazione asfittica dovuta a diverse problematiche divenute ormai croniche: disparità delle tutele previdenziali e di retribuzioni rispetto agli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile, carenze di organico e tagli strumentali;
    sul fronte delle tutele previdenziali, a sessanta anni per i vigili del fuoco scatta l'obbligo pensionistico, ma il sistema contributivo non prevede la norma dei «sei scatti». Ciò significa che a differenza dei dipendenti degli altri Corpi ai quali ogni cinque anni di servizio operativo ne sono conteggiati sei ai fini pensionistici, per il Corpo dei vigili del fuoco questa norma non è valida. Per i vigili del fuoco le retribuzioni a fine carriera oscillano tra i 1.300 e i 1.500 euro: inferiori di circa 300 euro rispetto agli altri, con una forbice che può arrivare fino a 700 euro. Considerato il lavoro altamente rischioso e qualificato da loro svolto, ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo, la differenza appare assolutamente ingiustificata;
    nel territorio italiano, che convive da sempre con stati di emergenza provocati da violenti eventi calamitosi come terremoti, alluvioni, esondazioni, frane e altro, è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ad assicurare tutti gli interventi tecnici necessari al fine di salvaguardare l'incolumità delle persone e l'integrità dei beni. I suoi interventi sono caratterizzati dal requisito dell'immediatezza delle prestazioni, che richiedono professionalità tecniche anche ad alto contenuto specialistico e idonee risorse strumentali. Eppure e nonostante sia unanime il riconoscimento del loro operato, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco subisce da anni tagli costanti di organico e di risorse strumentali e blocco del «turn over» in una misura tale da poter diventare una debolezza e un problema per la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
    con il blocco del «turn-over» l'età media dei vigili del fuoco si è assestata sui 50 anni, una soglia decisamente troppo elevata per le performance fisiche richieste a uomini impegnati in prima linea in situazioni estreme;
    anche per il suddetto motivo, a poco meno di 3 mesi dalla scadenza della graduatoria del concorso pubblico del 2008 a 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco e alla vigilia di un nuovo concorso pubblico per un numero di 250 unità, per i sottoscrittori della presente mozione, a salvaguardia della piena funzionalità del Corpo, sarebbe auspicabile che il Governo intervenisse con un provvedimento di proroga della graduatoria del 2008, sia per la pregressa carenza di organico, sia in prospettiva dei futuri pensionamenti, sia per la necessità di programmare in tempo quelle immissioni in ruolo degli idonei che si rendono indispensabili, poiché la conclusione delle nuove procedure concorsuali e le relative assunzioni non avverranno in tempi conciliabili con le necessità del Corpo dei vigili del fuoco e della loro preziosa attività svolta nel territorio italiano,

impegna il Governo:

   ad attenersi alle indicazioni contenute nella sentenza n. 178 del 2015 della Corte costituzionale e ad assumere iniziative per far decorrere i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici a far data dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   a intraprendere ogni possibile iniziativa al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico del Corpo dei vigili del fuoco a quello degli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile;
   ad assumere iniziative sia per prevedere un'ulteriore proroga della graduatoria del concorso pubblico del 2008, sia per ripristinare a pieno regime il turn-over, al fine di colmare le carenze organiche del Corpo dei vigili del fuoco, affinché venga così garantita la sicurezza di persone e cose nell'interno del territorio italiano.
(1-01387) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 2010 il personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco non fruisce dell'adeguamento della propria retribuzione all'aumento del costo della vita calcolato in base agli indici dell'Istat;
    tale situazione è stata determinata da provvedimenti emergenziali di sospensione dei rinnovi contrattuali, contro i quali è sopravvenuta la sentenza n. 178 del 2015 della Corte costituzionale che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale;
    ad oggi, tuttavia, a dispetto della citata sentenza della Corte costituzionale e ad eccezione delle misure che hanno comportato elargizioni una tantum, senza davvero migliorare stabilmente le retribuzioni ed il trattamento del personale del comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, non sono ancora stati previsti stanziamenti finalizzati ai rinnovi contrattuali di poliziotti, militari e vigili del fuoco;
    tale circostanza determina non solo la compromissione di diritti costituzionalmente riconosciuti a danno degli uomini e delle donne dei comparti delle Forze armate, delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco costretti ad operare in condizioni di estremo disagio, con contratti scaduti e retribuzioni bloccate, ma altresì una condizione di grave insoddisfazione del personale preposto alla fornitura di beni pubblici essenziali, quale la difesa armata della Repubblica, il mantenimento della sicurezza pubblica e l'espletamento del servizio tecnico urgente;
    la necessità di potenziare le politiche attive di sicurezza nazionale volte alla prevenzione di eventuali azioni terroristiche, anche attraverso forme di cooperazioni bilaterali e multilaterali, nonché le calamità naturali che hanno interessato l'Italia dal 2009, continuano a richiedere un forte impegno non solamente in termini economici, ma di risorse umane impiegate a difesa del territorio e di obiettivi sensibili e per il sostegno e l'aiuto alle popolazioni locali;
    la recente emergenza sismica verificatasi a cavallo tra Lazio, Marche ed Umbria ha evidenziato una volta di più la generosità, l'abnegazione, l'altruismo e l'efficienza delle Forze armate, delle forze dell'ordine e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco intervenuti a soccorrere le popolazioni colpite, oggetto di unanime apprezzamento da parte di autorità e cittadinanza;
    sorge anche da quanto appena accaduto in Italia centrale l'ulteriore esigenza morale di provvedere quanto prima, già in occasione della prossima sessione di bilancio, al ristoro del potere d'acquisto perduto dal personale del comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco;
    l'oggettiva carenza di organico sta inoltre sottoponendo a notevole pressione soprattutto le forze dell'ordine, chiamate, a fronteggiare anche le più pressanti esigenze ormai connesse alla protezione della popolazione dagli attacchi terroristici ed alla gestione dei flussi migratori in entrata nel nostro Paese;
    per effetto del blocco parziale del turn over le vacanze di personale nelle forze di polizia hanno ormai raggiunto le 45 mila unità rispetto alle piante organiche previste, mentre si dà corso ad un piano che comporta la soppressione di centinaia di commissariati di pubblica sicurezza;
    anche il parco mezzi e materiali risulta da anni avviato all'obsolescenza, circostanza che depotenzia sensibilmente la capacità d'intervento delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    rappresentano un problema ulteriore del personale anche le dotazioni individuali, dalle uniformi ai giubbotti antiproiettile scaduti, tanto nella polizia di Stato quanto nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
    incide, negativamente sul morale del personale delle forze di polizia, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, l'introduzione del reato di tortura, che rischia, nei fatti, di esporlo anche ad un importante contenzioso legale e forse anche di ricatti;
    rimangono altresì situazioni nelle quali il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco risulta non perfettamente equiparato a quello delle forze dell'ordine quanto a stipendi e garanzie di prestazioni in occasione di infortuni o comunque in relazione all'esposizione ai rischi insiti nello svolgimento delle proprie attività istituzionali;
    la sperequazione retributiva in danno dei vigili del fuoco sarebbe pari addirittura a circa 300 euro mensili ed è significativa anche nel settore delle indennità di rischio spettanti al personale in uniforme;
    il Corpo nazionale dei vigili del fuoco risulta in sofferenza anche sotto il profilo delle dotazioni organiche, di 3.854 operativi inferiore al totale previsto di 32.734 in pianta organica, corrispondenti a circa il 12 per cento della forza, anche se dovrebbero essere in programma nuove assunzioni, che serviranno anche ad assicurare l'espletamento di funzioni precedentemente spettanti al disciolto Corpo forestale dello Stato;
    per il reclutamento di nuovi vigili del fuoco sarebbe in particolare programmato un nuovo concorso, mentre risulta ancora aperta la graduatoria di un concorso per 814 posti indetto nel 2008, che annovera ancora ben 4.100 idonei;
    avverte disagi paragonabili anche il Corpo delle guardie penitenziarie,

impegna il Governo:

   a dare tempestivamente corso al dispositivo della sentenza della Corte costituzionale citata in premessa, avviando le procedure per il rinnovo dei contratti dei comparti difesa, sicurezza e vigili del fuoco ed accantonando le relative risorse finanziarie già all'interno del disegno di legge di bilancio di prossima presentazione;
   ad assumere iniziative per trasformare il cosiddetto «bonus 80 euro», introdotto dall'articolo 1, comma 972, della legge n. 208 del 2015 (stabilità 2016) a favore delle forze di polizia, dei vigili del fuoco e delle forze armate, da misura eccezionale e temporanea a detrazione d'imposta strutturale, che non costituisce aumento contrattuale;
   a procedere al rinnovo del contratto su base quadriennale, con decorrenza economica dal 29 luglio 2015, con aumento del valore del punto parametrale, di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 170 del 2007, a euro 192,20 annui lordi (fermo dal 2009 a 172,70); 
   a contemplare, in fase di previsione delle risorse da stanziare per il rinnovo dei contratti dei comparti in questione, le risorse occorrenti per rinunciare alla chiusura di circa 300 presidi di sicurezza sul territorio, tra uffici di polizia postale, ferroviaria, di frontiera nautica e commissari di prossimità;
   ad accantonare le risorse necessarie alla realizzazione del riordino delle carriere nel comparto sicurezza e vigili del fuoco, ormai promesso da anni e mai attuata contestualmente reintegrando le retribuzioni degli scatti perduti nel corso del blocco della contrattazione;
   a reperire, in fase di previsione degli stanziamenti finalizzati ai rinnovi contrattuali, le risorse occorrenti per l'ammodernamento dei mezzi e degli equipaggiamenti spettanti alle forze di polizia ed ai vigili del fuoco, nonché quelle necessarie allo svolgimento delle attività addestrative e di manutenzione, senza le quali le capacità d'intervento diminuiscono drammaticamente;
   a tener conto, in fase di ricontrattazione, anche delle risorse necessarie per rimuovere ogni residua discriminazione che ancora danneggi attualmente il personale dei vigili del fuoco di tutte le categorie, eliminando anche quelle interne che penalizzano volontari e discontinui, prevedendo in particolare l'estensione in suo favore dei migliori trattamenti previsti per l'esposizione a rischi professionali già riconosciuti agli appartenenti ai comparti difesa e sicurezza dalle norme dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2010;
   ad assumere iniziative per allentare ulteriormente, sfruttando anche sotto questo profilo le opportunità dischiuse dalla definizione della manovra pluriennale di bilancio, il blocco del turn over nel comparto sicurezza e vigili del fuoco, con la prospettiva di giungere alla sua completa rimozione nel più breve tempo possibile;
   ad accantonare, in fase di rinegoziazione contrattuale dei comparti in questione, anche le risorse occorrenti al graduale reintegro delle piante organiche della polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, rispetto alle quali si registrano vacanze di personale di ampiezza straordinaria, pari rispettivamente ad oltre 45 mila e 3.854 effettivi, nonché del Corpo delle guardie penitenziarie;
   ad assumere iniziative per prorogare la validità del cosiddetto concorso 814 per l'arruolamento nei vigili del fuoco almeno fino alla proclamazione dei vincitori del nuovo concorso.
(1-01388) «Molteni, Caparini, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Picchi, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 2010 è in essere il blocco degli adeguamenti, rispetto all'aumento del costo medio della vita, degli stipendi dei pubblici dipendenti;
    la Corte costituzionale con sentenza n. 178 del 2015 ha dichiarato illegittima la disposizione relativa al blocco della contrattazione collettiva, ritenendo lo stesso in contrasto con l'articolo 39, primo comma, della Costituzione, atteso che le continue proroghe di fatto hanno reso non eccezionale ma strutturale il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici;
    per perseguire l'obiettivo di contenimento della spesa pubblica, le misure adottate e reiterate nel tempo hanno introdotto di fatto una disparità di trattamento anche tra le categorie di dipendenti della pubblica amministrazione;
    a tutt'oggi non è stato rinnovato alcun contratto di lavoro, né risultano in corso né avviate trattative;
    la situazione di stato che si è venuta a creare determina una situazione di grave illegittimità nei confronti delle forze dell'ordine e delle forze armate, così come dei vigili del fuoco, che sono costretti a lavorare in condizioni di estremo disagio e di gravi difficoltà);
    il mancato rinnovo dei contratti, ignorando di fatto la sentenza della Corte costituzionale, ha aggravato ulteriormente la situazione, provocando ulteriori danni ai dipendenti pubblici;
    gli impegni sempre più gravosi, necessari per la prevenzione degli atti terroristici, e le continue calamità naturali, aggravate dal dissesto idrogeologico in cui versano molti territori del Paese hanno aumentato le richieste di intervento;
    nell'ultima tragedia del gravissimo terremoto nelle regioni del centro Italia si è riscontrato il lodevole ed indispensabile impegno delle forze dell'ordine delle forze armate e dei vigili del fuoco,

impegna il Governo:

    ad avviare le trattative per il rinnovo dei contratti di lavoro dei comparti forze armate, forze dell'ordine e vigili del fuoco, dando così seguito a quanto stabilito dalla sentenza n. 178 del 2015 della Corte costituzionale;
    a stanziare nel disegno di legge di bilancio 2017 le risorse necessarie per consentire lo sblocco degli aumenti contrattuali per i comparti soprandicati.
(1-01389) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    come noto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178/2015, ha condannato un'ingiustizia che si sta perpetrando ormai da anni nei confronti dei lavoratori pubblici, dichiarando l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti;
    è trascorso più di un anno dall'approvazione di una serie di atti di indirizzi che impegnavano il Governo ad adottare iniziative per riparare alle illegittime misure in questione, tuttavia, ad oggi, vige ancora tale regime di blocco reso, in sostanza, strutturale, da una serie di norme susseguitesi nel tempo e legate da un palese nesso di continuità per perseguire obiettivi di contenimento della spesa;
    il Governo è, quindi, ad avviso dei firmatari del presente atto, in ingiustificato ritardo nell'adempiere alla predetta sentenza che ha accertato la violazione di diritti costituzionalmente riconosciuti. Al riguardo, è necessario dare seguito, urgentemente, al provvedimento emesso dai giudici costituzionali procedendo, una volta per tutte all'adeguato stanziamento delle risorse finanziarie necessarie per il rinnovo dei contratti degli statali anche per escludere il danno all'erario dello Stato che conseguirebbe a seguito del buon esito dei ricorsi giudiziari presentati per il ritardo nell'ottemperanza della sentenza, come evidenziato nella mozione n. 01262 presentata in data 11 maggio 2016 dai deputati Rizzetto e altri;
    nell'ambito di tale manovra di rinnovo della contrattazione collettiva, una specifica attenzione deve essere rivolta al comparto sicurezza e, dunque, a coloro che fanno parte delle forze armate e di pubblica sicurezza e dei vigili del fuoco; tale settore, nel tempo, non solo è stato pregiudicato da una compressione retributiva più incisiva rispetto al resto del pubblico impiego, ma è stato interessato direttamente da ulteriori tagli di mezzi e risorse che ne stanno compromettendo l'operatività;
    è questa, pertanto, la giusta occasione per intervenire in un fondamentale comparto, promuovendo idonee iniziative anche per la revisione dell'ordinamento e delle carriere dei vigili del fuoco, delle forze armate e delle forze dell'ordine;
    per le predette manovre, è evidente che il Governo deve prevedere adeguate risorse finanziarie nella prossima legge di bilancio, considerando che è palesemente insufficiente lo stanziamento di trecento milioni di euro, a partire dall'anno 2016, disposto nella legge di stabilità del 28 dicembre 2015, n. 208, per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, incluso il comparto sicurezza e difesa;
    ed ancora, rispetto al personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, vanno previste specifiche iniziative per la stabilizzazione dei vigili del fuoco cosiddetti discontinui; gli stessi, pur rappresentando una figura strategica fondamentale del comparto per un efficace espletamento del soccorso pubblico, sono di fatto vigili precari, che a causa dei continui tagli alle risorse del settore sicurezza hanno subito un'incisiva diminuzione del corrispettivo, già modesto, e in migliaia rischiano la perdita del posto di lavoro a causa della prevista chiusura di numerosi distaccamenti volontari presso i quali prestano servizio; è paradossale che per supplire alla mancanza di personale che si determinerà nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco verranno indetti dei nuovi concorsi pubblici con ulteriore ed inutile spreco di denaro pubblico. Si deve, invece, intervenire al fine di ricollocare il personale discontinuo, senza apporre limiti di età, altrimenti verrebbe irragionevolmente dispersa la competenza di persone, dapprima formate dall'amministrazione pubblica e poi dalla stessa rese disoccupate; quindi, in considerazione della competenza e dell'esperienza assunta dai vigili discontinui, va elaborato un programma a lungo termine che preveda criteri per la stabilizzazione/ricollocazione di detto personale, anche riconoscendone, a determinate condizioni, la priorità nei bandi pubblici per vigili del fuoco; per quanto concerne poi i vigili discontinui che successivamente dovessero essere dichiarati non idonei ad espletare il servizio, si potrebbe prevedere la ricollocazione all'interno del personale non operativo,

impegna il Governo:

   ad adempiere urgentemente a quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015 e, a tal fine, a stanziare adeguate risorse finanziarie nel prossimo disegno di legge di bilancio per rimuovere, il regime di «blocco» della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, con particolare attenzione al rinnovo dei contratti del comparto dei vigili del fuoco, delle forze dell'ordine e delle forze armate, ciò anche per scongiurare il grave danno che comporterebbe per l'erario dello Stato l'accoglimento dei ricorsi presentati per ottenere la condanna del Governo per il grave ritardo nell'ottemperanza del predetto provvedimento e il conseguente risarcimento per i lavoratori pubblici;
   a considerare, nell'ambito della contrattazione e per i comparti in questione, l'esigenza di promuovere urgenti iniziative per salvaguardare il ruolo dei vigili del fuoco cosiddetti discontinui, consentendo la stabilizzazione di detto personale, senza apporre limiti di età anagrafica, presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco o comunque prevedendone la ricollocazione in altri enti.
(1-01390) «Rizzetto, Rampelli, Cirielli, Giorgia Meloni, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    da lungo tempo l'Italia si trova costretta ad affrontare la situazione di persone che lasciano i loro Paesi di origine per giungere sulle coste italiane con mezzi di trasporto improvvisati e di fortuna;
    queste persone, qualificate come «profughi» o «migranti», giungono in Italia principalmente via mare con sbarchi lungo le coste italiane o sono soccorse al largo dallo Stato italiano;
    all'arrivo sono dapprima trasferite nei centri di prima accoglienza, da lì suddivise e assegnate alle singole regioni in base alle quote definite dagli accordi con il Governo, e in seguito distribuite all'interno del territorio regionale e, quindi, nelle province;
    il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, ha previsto che nel caso in cui sia «temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all'interno delle strutture (...) a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l'accoglienza può essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, in strutture temporanee, appositamente allestite»;
    con il provvedimento del 5 novembre 2015, n. 11784, il prefetto di Padova ha individuato l'ex base militare di San Siro nella frazione di Bagnoli di Sopra (Padova) per ospitare i richiedenti asilo sbarcati sulle coste italiane a seguito dell'eccezionale afflusso di migranti provenienti dai Paesi africani, e ad analogo uso è stato destinato anche un immobile demaniale già ad uso militare sito in località Conetta del comune di Cona (Venezia) a disposizione della prefettura veneziana;
    i due centri di accoglienza, seppur collocati in province differenti, in realtà distano l'uno dall'altro appena cinque chilometri, e complessivamente ad oggi ospitano circa duemila persone ma che continuano ad aumentare, su un totale di poco meno di diecimila abitanti nel territorio che li accoglie, circoscritto ai comuni di Agna (Padova), Bagnoli di Sopra (Padova) e Cona (Venezia);
    sin dall'istituzione dei predetti centri sono emerse delle problematiche relative alle condizioni di accoglienza dei migranti al loro interno, con pesanti ripercussioni sulla popolazione e sul territorio ove sono collocate;
    tra tali problematiche spiccano il pesante sovraffollamento, le carenze nell'erogazione dei servizi fondamentali quali assistenza sanitaria, mediazione culturale, orientamento legale e altro, l'isolamento e l'assenza di reali possibilità di inclusione sociale, l'impossibilità di tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili, degrado, probabile prostituzione e attività di spaccio interno ed esterno alle strutture;
    l'elevato afflusso di migranti in una porzione di territorio relativamente piccola sta, inoltre, creando enormi disagi e difficoltà ai comuni contigui di Cona (Venezia), Agna (Padova) e Bagnoli di Sopra (Padova) ove quotidianamente i migranti si riversano in strada, piazze, giardini pubblici invadendo pubblici spazi, limitando la libertà dei residenti autoctoni, consumando bevande alcoliche a qualsiasi ora del giorno e spesso commettendo atti contro il pubblico decoro ed al limite dell'oscenità, anche importunando in modo invadente e volgare ragazze e donne del luogo;
    la situazione attuale in questi comuni presenta significative criticità dal punto di vista sociale, sanitario e di incolumità pubblica, dove la presenza costante, continua e massiva di tali presunti «profughi» genera allarme sociale, senso di insicurezza e difficoltà interrelazionali nella popolazione;
    la sensazione di insicurezza e paura nei residenti della zona è ulteriormente acuita da episodi quale quello accaduto il 7 ottobre 2016 presso il centro di San Siro, dove la energica protesta, quasi una rivolta, da parte dei migranti ospitati ha messo in allarme forze dell'ordine, cittadini e amministrazioni locali;
    pesanti risultano le limitazioni ai diritti che tutti i cittadini autoctoni di Agna, Bagnoli di Sopra e Cona trovano espressi nella Carta costituzionale: ci si chiede come si possano dire tutelati i diritti alla sicurezza, alla libertà di movimento, alla dignità e allo sviluppo della personalità, quando le persone ivi residenti non si sentono sicure nemmeno di uscire di casa, ovvero quando i genitori si sentono costretti a vietare ai propri figli di frequentare parchi e piazze per la paura che succeda qualche infausto accadimento; ne risulta una disparità di trattamento, in termini contrari, tra i presunti «profughi» e i cittadini italiani che alla luce della normativa costituzionale non appare conforme ai principi e alle idee ispiratrici della stessa Carta costituzionale;
    non si possono altresì escludere danni all'economia e al mercato immobiliare in questo territorio, con una probabile diminuzione del valore degli immobili ed un impoverimento delle attività commerciali e mercatali, e nemmeno si può sottacere il pericolo di terrorismo di matrice religiosa, il cui rischio si accresce esponenzialmente con l'aumentare della presenza di soggetti non identificati al momento del loro sbarco nel territorio dello Stato italiano, pericolo che diventa invasivo e pervasivo in ambito locale;
    si palesa, inoltre, il rischio di un aumento della commissione di reati comuni nell'ambito di questi territori da parte di tali soggetti, dato che gli stessi vengono abbandonati dalle istituzioni statali e non coinvolti in progetti inclusivi finalizzati ad una riqualificazione non solo in termini di opportunità di lavoro, ma soprattutto in termini consapevolezza di loro stessi, delle opportunità offerte e dei doveri insiti nel nostro ordinamento giuridico;
    infine, non si può non evidenziare anche il pericolo della diffusione sul territorio di malattie scomparse e dimenticate da tempo quali la tubercolosi, la scabbia, la sifilide, e altre, posto che, stando alle informazioni che arrivano dai centri, il personale degli enti gestori sembra non riuscire a compiere nemmeno gli accertamenti sanitari sui migranti ivi ospitati tantomeno a curarli,

impegna il Governo:

   ad assumere con urgenza ogni iniziativa necessaria diretta a chiudere in maniera definitiva i centri di accoglienza di Conetta di Cona (Venezia) e di San Siro di Bagnoli di Sopra (Padova) entro e non oltre il 31 dicembre 2016 ponendo fine alla lunga lista di violazioni della dignità umana in cui versano i tanti migranti accolti nelle due strutture, ponendo soprattutto fine al dissesto del territorio, profondamente leso dalla presenza dei due centri e assolutamente non in grado di accogliere ed integrare una tale massa di migranti, e liberando le popolazioni autoctone di Agna, Bagnoli di Sopra e Cona da questa sopraffazione ed oppressione che dura da oltre un anno e che sta ledendo i diritti civili e sociali delle stesse;
   ad intraprendere, con urgenza e con effetto immediato, ogni iniziativa necessaria volta a far sì che nessun nuovo richiedente asilo si accolto presso i due centri/Hub, di cui sopra, e che sia trasferito subito il più alto numero possibile di migranti verso altre strutture simili.
(1-01391) «Rampelli, Rizzetto, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione prevede che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
    è stata pubblicata sul sito dell'AIFA la lista dei centri autorizzati alla prescrizione dei farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs) per l'eradicazione dell'epatite C (n. 373 per il farmaco Sovaldi);
    il trend cumulativo dei trattamenti avviati per l'eradicazione dell'epatite C, con farmaci DAAs, al 27 settembre 2016, è pari a 55.804;
    risale al 12 novembre 2014 la determina dell'Aifa 1.353/2014 (Gazzetta Ufficiale n. 283 del 5 dicembre 2014) relativa al regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale Sovaldi;
    l'università Tor Vergata ha stimato che ci siano, oggi nel nostro Paese quasi un milione (circa 998.000) di casi di HCV RNA positivi di cui il 45 per cento (435.000) noti al sistema sanitario;
    i trattamenti con i farmaci DAAs avviati mensilmente risultano in media:
     a) 2.657 (55.804 trattamenti/21 mesi);
     b) per centro autorizzato: 7 (2.657 trattamenti/373 centri);
    si avvicina la scadenza delle disposizioni normative relative al fondo (1 miliardo di euro) per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi (comma 593 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014);
    è stato approvato dalla Conferenza Stato-regioni il 5 novembre 2015 il piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali B e C necessario per individuare strategie coerenti con le indicazioni fornite dalla 63o Assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità (21 maggio 2010) che considera «la gravità dell'epatite virale in quanto problema globale per la salute pubblica e la necessità di un'azione di sensibilizzazione nei confronti dei governi, delle parti sociali e delle popolazioni affinché siano messe in atto azioni per la promozione della salute, la prevenzione della malattia, la diagnosi ed il trattamento»;
    dalla risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-08970 del 23 giugno 2016, a prima firma Giulia Grillo, si è appreso che il fatturato al lordo delle restituzioni per i 31.068 trattamenti con farmaci DAAs, effettuati nel 2015, è stata pari a 1,6 miliardi di euro (netti 986 milioni);
    il comma 570 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 riguarda la predisposizione del programma di accesso ai trattamenti innovativi «in una prospettiva di sostenibilità del sistema(...)»;
    la mozione n. 1-01178 approvata all'unanimità dalla Camera in data 26 luglio 2016, a prima firma Giulia Grillo, impegna il Governo a predispone iniziative anche di tipo normativo volte a favorire la stipula da parte di Aifa di contratti che prevedano esclusivamente importi non superiori a quelli maggiormente favorevoli attualmente in vigore, anche considerando le clausole prezzo/volumi, nonché a far sì che il Ministero della salute presenti un piano nazionale di eradicazione del virus dell'epatite C;
    va tenuto conto dell'ordinanza del tribunale per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale di Roma del 2 settembre 2016 riguardante l'annullamento del provvedimento di sequestro, per la condotta di chi importa medicinali in assenza di autorizzazione al fine di metterli in commercio, in quanto nel caso di specie, la quantità limitatissima dei prodotti importata, l'accertata malattia e il possesso della prescrizione medica, non lasciavano dubbi in ordine alla destinazione esclusivamente ad uso personale dei prodotti importati;
    in una risposta ad un'altra interrogazione parlamentare, il sottosegretario De Filippo ha affermato che la tematica dei farmaci anti virali per l'epatite C: «presenta per il Ministero della salute profili di oggettivo rilievo ed interesse per la potenziale portata in termini di salute pubblica»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché vengano predisposte per farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs):
    a) un'adeguata normativa che recepisca le conclusioni dell'ordinanza indicata in premessa rispetto all'importazione di medicinali che, sebbene registrati anche in Italia, sono di fatto indisponibili;
    b) un'adeguata attività, in collaborazione con le regioni, per la realizzazione di uno screening di massa per l'individuazione di pazienti eleggibili per i trattamenti e, per il rilascio della relativa prescrizione medica;
    c) misure per il rimborso della spesa per l'acquisto dei farmaci, a seguito del rispetto di tutti protocolli previsti dall'attuale organizzazione dei centri di prescrizione, anche in considerazione della forte differenza di prezzo fra i trattamenti messi a disposizione dal Fondo sanitario nazionale e quelli decisamente più bassi, attualmente disponibili in altri Paesi;
    d) strategie coerenti con le indicazioni fornite dalla 63a Assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità (21 maggio 2010) ove si considera «la gravità dell'epatite virale in quanto problema globale per la salute pubblica e la necessità di un'azione di sensibilizzazione nei confronti di governi, delle parti sociali e delle popolazioni affinché siano messe in atto azioni per la promozione della salute»;
    e) un'attenta attività di vigilanza e controllo presso i luoghi di produzione dei medicinali equivalenti.
(1-01392) «Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Nesci, Caso, Brugnerotto, D'Incà».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    il Corpo nazionale dei vigili del fuoco rappresenta a delle realtà più importanti per la sicurezza dei cittadini e del nostro Paese, e ha sempre risposto con impegno straordinario alle attese dei cittadini in tutti i compiti di prevenzione, vigilanza e soccorso tecnico urgente ai quali esso è preposto per legge, rivelandosi spesso decisivo per la salvezza di numerose vite umane;
    negli ultimi anni, peraltro, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha realizzato uno sforzo straordinario per riuscire, con decrescenti risorse finanziarie e con carenze di organico, a sopperire alle numerose richieste di intervento della popolazione per le piccole e grandi emerge e che hanno colpito il nostro Paese;
    va però ricordato che il Corpo dei vigili del fuoco soffre, da sempre, la presenza di una forte componente di personale precario, costituito dai vigili del fuoco cosiddetti discontinui, che costituiscono una figura strategica del Corpo nazionale, pur essendo privi di contratto a tempo indeterminato, e non potendo essere richiamati in servizio per più di 14 giorni consecutivi, e per massimo di 160 giorni l'anno;
    queste professionalità, infatti, vengono frequentemente richiamate in servizio per colmare le cosiddette carenze di organico, garantiscono l'operatività dei comandi provinciali integrando le squadre di intervento e spesso sono utilizzati per svolgere attività di ordinaria amministrazione all'interno dei comandi;
    la figura del vigile del fuoco discontinuo, dunque, non va confusa con quella dei vigili del fuoco volontari che svolgono la loro opera invece nei distacca enti volontari, ossia in sedi del Corpo costituite esclusiva ente da personale volontario, spesso dislocate in aree territoriali maggiormente isolate, dove la presenza di distaccamento permanente rappresenterebbe un onere troppo gravoso per la pubblica amministrazione;
    la sovrapposizione tra queste due figure assai diverse tra di loro, ma definite dalla legge entrambe come «volontarie», è stata accresciuta dalla legge n. 183 del 2011 che ha introdotto al decreto legislativo n. 368 del 2001 una lettera c) bis con la quale si è stabilito che «i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, non costituiscono rapporti di impiego con l'amministrazione», determinando così per i discontinui la perdita, su un piano formale, dello status di precari;
    appare di fondamentale importanza sottolineare la necessità di procedere ad a chiara suddivisione tra il personale volontario che presta la propria attività all'interno dei distaccamenti volontarie dei posti di vigilanza, da inserirsi in un apposito albo dei volontari, e il personale richiamato in servizio per le esigenze dei comandi provinciali, da inserire in un diverso albo;
    non c’è dubbio, infatti, che sia giunto il momento di affrontare in modo complessivo e strutturale il fenomeno del precariato anche all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, distinguendo tra coloro, che sia pur in modo discontinuo, svolgono funzioni in tutto e per tutto equiparate a quelle svolte dai colleghi a tempo indeterminato, e le funzioni cosiddette «volontarie», che al pari di quanto avviene per i volontari della protezione civile, sono svolte da chi ha dichiarato la disponibilità a prestare la propria opera al servizio della comunità in caso di emergenza;
    alla luce di quanto premesso, occorre anche avviare percorso progressivo che possa, da un lato, stabilizzare il maggior numero possibile di discontinui e, dall'altro, individuare percorsi di valorizzazione delle esperienze acquisite per tutti coloro che non possano partecipare alle prove concorsuali,

impegna il Governo:

   ad adottare opportune iniziative per istituire due diversi albi, uno per il personale richiamato in servizio per le esigenze dei comandi provinciali, e l'altro il personale volontario che presta la propria attività all'interno dei distaccamenti volontari;
   ad assumere iniziative per superare la previsione secondo la quale i richiamati in servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non abbiano rapporti di impiego con l'amministrazione;
   a prevedere incremento pari ad almeno il 10 per cento dei posti riservati ai volontari richiamati in servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nell'ambito del concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco, anche stabilendo a favore di questa categoria un limite di età maggiormente flessibile, alla luce dell'esperienza maturata sul campo;
   ad assumere iniziative per introdurre una riserva di posti, pari ad almeno il 10 per cento, in tutti gli altri concorsi che prevedano l'accesso dall'esterno ai vari ruoli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a favore del personale volontario richiamato in servizio dei vigili del fuoco con il possesso dei requisiti previsti;
   ad assumere iniziative per prevedere che il personale volontario richiamato in servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, inserito nell'elenco dei centri dell'impiego, possa godere, alla luce dell'alto livello di professionalità conseguito, di una specifica prelazione per l'accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti da impiegare in servizi ausiliari e di supporto, come ad esempio nel caso di officine specializzate e controllo negli accessi;
   ad assumere iniziative per introdurre la possibilità di rilascio, da parte dei comandi provinciali dei vigili del fuoco, di attestati di frequenza ovvero di attestati di idoneità, ove previsti dalle disposizioni vigenti, per addetto alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nelle attività lavorative a rischio di incendio basso, medio o elevato, al personale volontario che nell'ultimo quinquennio abbia svolto almeno periodo di richiamo in servizio;
   a valutare l'opportunità di prevedere a formazione mirata per quei soggetti per i quali, anche a causa dell'età anagrafica, è più difficile a stabilizzazione nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e che potrebbero utilmente essere re-impiegati in servizi ausiliari e di supporto, anche alla luce dell'esperienza maturata;
   a prevedere quanto prima la riapertura dei corsi dedicati al personale volontario che presta la propria attività all'interno dei distaccamenti volontari, presidi di indiscutibile valore di cui il sistema di soccorso pubblico non può e non vuole fare a meno.
(7-01117) «Fiano».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'esito del referendum del 24 giugno 2016, col quale è stato avviato il processo di uscita dall'Unione europea della Gran Bretagna, comporta significative conseguenze sui mercati finanziari, stante l'importanza della London Stock Exchange nel panorama delle borse europee: una di queste conseguenze è la futura necessità, per i principali operatori bancari e finanziari, di ricollocare le proprie sedi operative all'interno dell'Unione Europea;
    la Borsa italiana, con sede nella città di Milano, è una delle principali piazze finanziarie europee per volume d'affari ed adeguatezza dell'infrastruttura: al fine di incentivare dunque la riallocazione a Milano delle sedi operative dei principali operatori di mercato, è necessario predispone un adeguato contesto giuridico nazionale, un insieme di regole che incentivino gli attori internazionali ad investire in Italia anche sotto il profilo delle risorse umane; in particolare, occorre incentivare il rientro dei lavoratori italiani altamente qualificati e specializzati del settore bancario, finanziario ed assicurativo e, più in generale, di tutto il settore economico, che attualmente risiedono all'estero;
    per quanto riguarda il contesto normativo, si ricorda che un primo intervento ha riguardato il rientro di professionalità scientifiche e appartenenti al mondo della ricerca: l'articolo 17 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, ha introdotto incentivi per il trasferimento nel territorio italiano di docenti e ricercatori universitari; la norma prevedeva, per i due periodi di imposta successivi al trasferimento, l'imponibilità ai fini IRPEF dei redditi di lavoro dipendente o autonomo nella misura del 10 per cento e l'esclusione dalla formazione del valore della produzione netta ai fini IRAP; tale norma è stata prorogata dall'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e dall'articolo 1, comma 14, della legge 23 dicembre 2014, n. 190; i benefici sopra descritti continueranno ad essere fruibili per i docenti e ricercatori che inizieranno a svolgere la loro attività in Italia fino al 31 dicembre 2017;
    successivamente, la legge 30 dicembre 2010, n. 238, ha introdotto incentivi fiscali per il rientro in Italia di cittadini dell'Unione europea che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia, i quali studiano, lavorano o hanno conseguito una specializzazione post lauream all'estero: il beneficio consiste in una riduzione della base imponibile IRPEF al 20 per cento per le lavoratrici ed al 30 per cento per i lavoratori, con riferimento al reddito di lavoro dipendente, d'impresa o di lavoro autonomo; l'articolo 10, comma 12-octies, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, ha prorogato al 31 dicembre 2017 gli incentivi fiscali disciplinati dalla predetta legge;
    tuttavia, con l'articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015 – emanato in attuazione della delega per la riforma del sistema fiscale, di cui alla legge n. 23 del 2014 – si è provveduto a disciplinare nuovamente la materia del rientro dei lavoratori all'estero; le nuove norme hanno introdotto un'agevolazione temporanea, ma operante a regime, per i lavoratori che rivestono ruoli direttivi, ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione e che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti e impegnandosi a permanere in Italia per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato: per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente prodotto concorre alla formazione del reddito complessivo nella misura del settanta per cento del suo ammontare; l'attività lavorativa va prestata prevalentemente nel territorio italiano, deve essere svolta presso un'impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa; le agevolazioni previste si applicano per un periodo limitato, ossia a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi; la norma chiarisce che le agevolazioni si applicano anche ai beneficiari delle misure di cui alla legge n. 238 del 2010; il predetto articolo 16 del decreto legislativo n. 147, contestualmente, nel quadro del riordino delle vigenti agevolazioni sul rientro dei lavoratori dall'estero, ha abrogato le norme del decreto-legge n. 192 del 2014 che – come accennato – avevano prorogato l'efficacia dell'agevolazione di cui alla legge n. 238 del 2010, a partire dal 6 ottobre 2015;
    da ultimo, l'articolo 1, comma 239, della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha consentito ai lavoratori rientrati in Italia coi benefici della legge n. 238 del 2010 entro il 31 dicembre 2015 di optare (entro il 1o giugno 2016) per l'applicazione, nel periodo in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo, tra:
     a) il regime disposto dalla legge n. 238 del 2010, nei limiti e alle condizioni indicati dalla legge stessa (la menzionata parziale detassazione IRPEF dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d'impresa, rispettivamente dell'ottanta e del settanta per cento per lavoratrici o lavoratori);
     b) in alternativa, il regime previsto dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, che prevede, in presenza dei requisiti di legge, di sottoporre il reddito di lavoro dipendente a IRPEF per il settanta per cento del suo ammontare (con detassazione del 30 per cento);
    di fatto, se un lavoratore rientra oggi in Italia dopo aver lavorato all'estero, gli incentivi di cui può usufruire sono solo quelli previsti dal decreto legislativo n. 147 del 2015, se ricorrono i requisiti previsti dalla normativa: questo perché i lavoratori contemplati dalla legge n. 238 del 2010 potevano, sì, optare per i benefici fiscali previsti dal predetto decreto legislativo, ma solo esercitando l'opzione entro la fine di giugno 2016, come chiarito dai provvedimenti attuativi dell'Agenzia delle entrate; il termine per esercitare l'opzione è quindi ormai scaduto; inoltre, i benefici fiscali previsti dalla legge n. 238 del 2010 dureranno fino al 31 dicembre 2017, ma solo per i lavoratori rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2015: di conseguenza, le consistenti agevolazioni della citata legge n. 238 del 2010 non sono più operative per i nuovi rimpatriati;
    nell'ottica di garantire all'Italia una effettiva crescita in ambito scientifico, tecnico gestionale, progettuale, ma anche del settore assicurativo, bancario, economico e finanziario, nonché per attrarre investimenti internazionali, occorre investire sia per rimpatriare i cervelli fuoriusciti dall'Italia o dall'Europa, sia per attrarre risorse qualificate estere capaci di portare competenze e reti di relazioni in Italia;
    sembra necessario aggiornare la normativa in vigore, aumentando in termini di durata e quantità i benefici fiscali per i cervelli che vogliono entrare nel nostro Paese, non limitando il beneficio ai soli cittadini italiani o europei, ma potenziandone l'estensione anche a coloro che sono di altre nazioni, sempre dotati di quella alta qualificazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per estendere di un anno la durata del beneficio fiscale di cui al decreto legislativo n. 147 del 2015, prevedendo una detassazione decrescente nel tempo e ampliando l'ambito soggettivo di applicazione della norma anche ai lavoratori di nazionalità non europea;
   ad assumere iniziative per introdurre disposizioni di favore specificamente dedicate al settore bancario, finanziario, economico e assicurativo, ampliando ulteriormente la durata o la consistenza del beneficio fiscale;
   a chiarire che la detassazione opera anche riguardo al reddito prodotto eventualmente all'estero che, comunque, non deve rappresentare l'attività prevalente e non esclusiva rispetto al reddito di lavoro prodotto in Italia, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, lettera c), del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
   ad assumere iniziative per estendere il beneficio fiscale anche all'IRAP, chiarendo che gli emolumenti percepiti non concorrono alla formazione del valore della produzione netta;
   ad assumere iniziative per conferire maggiore certezza al requisito della prevalenza dell'attività lavorativa in Italia;
   ad assumere iniziative per rendere più gravose le conseguenze della decadenza dal beneficio, per evitare il mero vantaggio fiscale, eventualmente obbligando il lavoratore a risiedere in Italia per almeno tre anni successivi al trasferimento;
   ad adottare iniziative per rendere più stringente la prova della residenza fiscale ai fini della concessione dell'agevolazione, eliminando tuttavia il requisito dell'iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE);
   ad assumere iniziative normative per consentire che l'esercizio dell'opzione sia fatto dal lavoratore dipendente altamente qualificato al momento dell'assunzione, nonché, per monitorare la forza attrattiva della norma, per inserire, nelle comunicazioni di assunzione, un campo obbligatorio che segnali il lavoratore come soggetto potenziale beneficiario del diritto e la presenza o meno della scelta al centro per l'impiego competente, facendo sì che analoghe informazioni siano riportate nella dichiarazione dei redditi, per dare evidenza della scelta fatta ed estendere la facoltà di optare per tale regime anche in fase di dichiarazione.
(7-01115) «Pagano, Bombassei».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante la legge di stabilità per il 2016, è stato ridefinito l'assetto del sistema tributario degli enti locali, prevedendo, tra l'altro, misure compensative del minor gettito Imu e Tasi conseguente all'attuazione del nuovo sistema di esenzione introdotto dal medesimo provvedimento che riguarda anche l'ampliamento del perimetro delle esenzioni Imu sui terreni agricoli;
    sempre in relazione alle norme di fiscalità immobiliare, il citato provvedimento attribuisce ai comuni, per l'anno 2016, un contributo di complessivi 390 milioni di euro, volto a compensarli relativamente ai limiti massimi posti alle aliquote d'imposta della Tasi;
    a fronte della citata compensazione, l'articolo 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015, dispone la sospensione, per l'anno 2016, dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti territoriali, al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015;
    l'assetto del sistema tributario degli enti locali, tuttavia, necessita di ulteriori modificazioni di alcuni aspetti particolari che riguardano nello specifico: la necessità di chiarire l'ambito di applicazione dell'esenzione Imu per i terreni cosiddetti non propriamente agricoli e la sospensione dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali, con riguardo all'ipotesi di esclusione dei tributi propri istituiti nell'autonomia comunale e non attribuiti da legge dello Stato;
    con riferimento al primo punto, risulta necessario individuare la definizione e l'estensione dei terreni non propriamente agricoli in modo da determinarne l'esclusione dal campo di applicazione dell'Imu rispetto a quanto attualmente previsto dalla normativa vigente;
    come chiarito anche in sede di svolgimento di alcuni atti di sindacato ispettivo, l'assimilazione dei terreni non propriamente agricoli ai terreni agricoli esenterebbe dall'Imu i soli immobili ricadenti in aree montane o di collina, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, ubicati nei comuni delle isole minori e quelli con specifica destinazione, ossia con immutabile destinazione agro-silvo-pastorale, comportando la conseguente applicazione dell'imposta municipale anche ai cosiddetti «orticelli» situati nelle zone di pianura che non rispettino i requisiti sopra indicati;
    detto orientamento è confermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7369 dell'11 maggio 2012 in cui è stato statuito che per terreno agricolo si intende «il terreno adibito all'esercizio delle attività indicate nell'articolo 2135 del codice civile» e che tale definizione, in conformità con i precetti di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, va intesa nel senso che il presupposto dell'imposta resta integrato in presenza del possesso di terreni suscettibili di essere destinati a tale utilizzo, e non in conseguenza dell'effettivo esercizio su di essi, delle attività predette;
    in tal senso, è necessario pertanto fissare un livello minimo dimensionale al di sotto del quale tali terreni si considerano non suscettibili di essere destinati all'esercizio delle attività dell'imprenditore agricolo indicate nell'articolo 2135 del codice civile;
    con riferimento al secondo punto, l'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in tema di federalismo municipale, attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. L'imposta può essere istituita da: comuni capoluogo di provincia; unioni dei comuni; comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte;
    l'imposta, istituita con deliberazione del consiglio comunale, è applicabile con criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino all'ammontare di 5 euro per notte di soggiorno (l'articolo 14, comma 16, lettera e) del decreto-legge n. 78 del 2010 ha consentito a Roma Capitale di elevare tale importo massimo a 10 euro per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria);
    ai sensi della normativa vigente, il relativo gettito è destinato a interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali e ai relativi servizi pubblici locali;
    l'imposta di soggiorno non è «attribuita» ai comuni da legge dello Stato, bensì trattasi di un tributo proprio «istituito», o meno, nella loro autonomia dai comuni; per tale considerazione quindi dovrebbe essere escluso dall'applicazione della citata sospensione;
    nel caso si ritenesse invece l'imposta soggetta alla sospensione occorre considerare che le norme in esame consentono comunque anche di fare salve alcune specifiche ipotesi; in primo luogo, sono fatte salve le disposizioni previste per le regioni in situazione di disavanzo sanitario; è inoltre fatta salva la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell'accesso alle anticipazioni di liquidità; viene esclusa dalla sospensione anche la tassa sui rifiuti (Tari); infine, la misura non si applica agli enti locali in predissesto e dissesto e non rientrano nell'ambito della norma le tariffe di natura patrimoniale quali la tariffa puntuale, sostitutiva della Tari, il canone alternativo alla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche – Tosap ovvero il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche Cosap;
    l'applicazione della limitazione imposta dalla legge di stabilità per il 2016 alla possibilità di istituire l'imposta di soggiorno o di modificarne la regolamentazione appare in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto determina, di fatto, un'evidente discriminazione tra i comuni che avevano già istituito tale imposta prima dell'entrata in vigore della legge di stabilità 2016 e gli altri comuni;
    trattandosi di un'imposta di carattere locale, non applicata ai cittadini residenti nello stesso comune, ma a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive di territori classificati come località turistica o città d'arte, sarebbe opportuno riconoscere le peculiarità dell'imposta di soggiorno nell'ambito dei tributi locali quale imposta di scopo volta a finanziare interventi in materia di turismo e in particolare la fruizione e il recupero dei beni culturali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per specificare la definizione e l'estensione dei terreni non propriamente agricoli, in modo da determinarne, a decorrere dal 2017, la completa esclusione dal campo di applicazione dell'Imu rispetto a quanto attualmente previsto dalla normativa vigente;
   ad adottare le opportune iniziative normative per consentire, a decorrere dal 2017, ai comuni che non lo avessero ancora fatto di istituire l'imposta di soggiorno e a quelli che l'hanno istituita di modificarne regolamentazione e aliquote, riconoscendone in tal senso la peculiarità della destinazione del gettito e recuperando la parità di trattamento tra gli enti locali.
(7-01116) «Fragomeli, Lattuca, Lodolini, Giorgis, Guerra, Pagani».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nel poligono di Capo Frasca, utilizzato per addestramento militare, sulla costa occidentale di Sardegna, ordigni inesplosi a terra e in mare hanno creato, spesso, enormi danni alla flora e fauna;
   in merito all'incendio che nel 2014 distrusse circa 30 ettari di macchia mediterranea e, ai boati di alcuni aerei che, avendo superato la barriera del suono, causarono panico tra i cittadini e tra i turisti sulle spiagge della Sardegna, la prima firmataria del presente atto a interrogato più volte il Governo;
   gli addestramenti impegnano un'area di sicurezza interdetta alla navigazione e alle attività dei pescatori e le marinerie dei comuni di Arbus, Guspini, Terralba, Arcidano, Marceddì, Cabras, Riola Sardo, Oristano;
   il protocollo di intesa del 1999 tra la regione autonoma della Sardegna e il Ministero della difesa per il riconoscimento degli indennizzi alle cooperative di pescatori, penalizzati nelle attività di pesca, esclude dal risarcimento le marinerie adiacenti al poligono e, in particolare ai pescatori di Marceddì, Arbus, Terralba, Cabras, Riola Sardo, S. Vero Milis, S. Giusta, Marrubbiu, Arborea, Oristano; l'articolo 332, comma 5, del codice dell'ordinamento militare del 2010, prevede, invece, che: «al pagamento degli indennizzi per tutti gli sgomberi e le occupazioni di cui al comma 1, nonché per eventuali danni, si provvede con le modalità previste dal comma 15 dell'articolo 325»;
   nel 2013 il Ministero della difesa ha assicurato alle cooperative della zona una immediata risoluzione del problema, ma ad oggi non ci sono stati atti concreti conseguenti;
   risulta, da notizie di stampa, che circa 600 pescatori, in stato di agitazione, se non avranno risposte positive nel più breve tempo possibile, proseguiranno l'azione nella zona interdetta –:
   quali iniziative possibili e urgenti il Governo intenda intraprendere per il riconoscimento degli indennizzi a favore di tutti i pescatori che operano nei pressi del poligono di Capo Frasca e delle marinerie dell'oristanese, poiché lesi nei propri diritti;
   se possa essere valutata l'opportunità di procedere alla revisione del protocollo d'intesa siglato con la regione autonoma della Sardegna il 9 agosto 1999 per includere gli aventi diritto all'indennità di cui in premessa penalizzati dall'interdizione di tratti di mare dovuta alle esercitazioni militari, sulla base delle norme previste dagli articolo 7 e 15 della legge n. 898 del 1976, dalla legge n. 104 del 1990 e dal citato protocollo d'intesa e dalla successiva integrazione dell'8 settembre 2005.
(2-01502) «Pes, Cinzia Maria Fontana».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   come si è appreso da notizie di stampa, dal 6 ottobre 2016 (a partire già dall'incontro di calcio con la Spagna) e fino al 2018, il main sponsor della nazionale di calcio italiana e delle altre selezioni italiane sarà intralot, società dei gruppo Gamenet attiva nel mondo scommesse e uno dei maggiori concessionari di gioco in Italia;
   il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, ha dichiarato che l'intento di questa operazione vuole essere quello di avviare «una partnership incentrata sui valori, visto che una parte fondamentale dell'accordo prevede l'impegno in attività sociali, rafforzando così il lavoro della Federcalcio nella promozione della cultura della legalità e per la diffusione di comportamenti consapevoli all'interno del mondo del calcio»;
   tuttavia, tale scelta appare, agli occhi non solo di varie associazioni dei consumatori, un connubio molto pericoloso a livello d'immagine nel contesto della lotta al gioco d'azzardo e alle scommesse;
   Roberto Tascini, presidente dell'Adoc, ha infatti dichiarato: «Guardiamo con profondo scetticismo alla sponsorizzazione della Nazionale di calcio da parte di un operatore del betting, al di là delle finalità dell'accordo, sicuramente nobili, espresse dalla Figc e da Intralot, poiché a livello d'immagine e di impatto psicologico sui consumatori, in particolare minorenni e anziani, appare quantomeno inopportuno collegare un simbolo dello sport per tutti gli italiani, quale è la squadra di calcio nazionale, al mondo delle scommesse e dell'azzardo»;
   è bene ricordare che nel 2014 la Commissione europea è intervenuta in materia di gioco d'azzardo patologico (Gap) con una raccomandazione sul gioco d'azzardo online, con cui ha stabilito i principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli, sottolineando la necessità di fornire informazioni ai giocatori circa i rischi cui vanno incontro, di realizzare una pubblicità responsabile, di vietare ai minori l'accesso al gioco d'azzardo online, di creare un conto di gioco per determinare l'identità e, soprattutto, l'età del consumatore, con fissazione di un limite di spesa e messaggi periodici su vincite e perdite, realizzate; e, ancora, di prevedere linee telefoniche per fornire assistenza ai giocatori, un'attività formativa anche per i dipendenti delle case da gioco e campagne di informazione sui rischi legati al gioco d'azzardo;
   nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), peraltro sono state approvate anche disposizioni limitative della pubblicità, con riferimento sia agli orari in cui sono vietati i messaggi pubblicitari nelle tv generaliste sia ai contenuti dei messaggi stessi;
   appare inopportuno che a fare da sponsor della nazionale di calcio, vista e seguita da milioni di italiani, sia una società attiva nel mondo delle scommesse, anche in ragione dei recenti scandali legati al calcio scommesse, che hanno gravemente compromesso la trasparenza e l'onestà del mondo dello sport e del calcio in particolare –:
   atteso che la vicenda, ad avviso degli interpellanti, dimostra chiaramente che il divieto di pubblicità inserito nella legge di stabilità 2016 è facilmente aggirabile, se non intenda assumere iniziative normative per estenderlo anche alla pubblicità indiretta, soprattutto per quanto riguarda le sponsorizzazioni sportive per evitare il ripetersi di episodi del genere.
(2-01503) «Mantero, Simone Valente, Baroni, Basilio, Lorefice, Di Vita, Silvia Giordano, Colonnese, Grillo, Nesci, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la Ministra della difesa, Roberta Pinotti, si è recata nei giorni scorsi in Arabia Saudita per alcuni incontri di alto livello. I media sauditi riportano che la Ministra è stata ricevuta il 4 ottobre 2016, dal Re saudita Salman e successivamente dal Vice principe ereditario e Ministro della Difesa, Muhammad Bin Salman;
   i media sauditi riportano che, nei colloqui con re Salman, la Ministra Pinotti abbia discusso «le modalità per rafforzare le relazioni bilaterali» e abbia «passato in rassegna i recenti sviluppi sulla scena regionale ed internazionale». Con il vice principe ereditario, invece, sono state discusse «le modalità per migliorare le relazioni bilaterali, soprattutto nel settore della difesa». Al centro di questi colloqui – riporta il sito Tactical Report – vi sarebbero stati «contratti navali» che, trattandosi di Ministri della difesa, è da ritenere siano di tipo militare. Si comprende così chiaramente la ragione della presenza nella delegazione italiana del segretario generale delle difesa e direttore nazionale degli armamenti, il generale di squadra aerea, Carlo Magrassi;
   Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo, ha commentato: «L'evidente riserbo, con poche notizie diffuse, del Ministero della Difesa su questa visita e sull'oggetto specifico dei contratti navali è motivo di forte preoccupazione». «Lo è soprattutto in considerazione delle attività militari e dei bombardamenti sauditi in Yemen. Da marzo dell'anno scorso, infatti, l'Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione militare che, senza alcuna legittimazione da parte delle Nazioni Unite, è intervenuta nel conflitto in Yemen con pesanti bombardamenti anche sulle zone civili, tra cui alcune strutture sanitarie di Medici senza Frontiere, notoriamente segnalate come tali a tutti i contendenti»;
   la scorsa settimana a seguito delle pressioni dell'Arabia Saudita, il Consiglio dell'Onu per i diritti umani non ha accolto la proposta di una commissione internazionale indipendente d'inchiesta sulle violazioni del diritto umanitario in Yemen. L'indagine di una commissione indipendente era stata richiesta dall'Alto commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra'ad Al Hussein; richiesta che era inizialmente stata sostenuta dai Paesi dell'Unione europea, tra cui l'Italia, ma poi ritirata dall'Unione europea senza alcuna motivazione. Il Consiglio dell'Onu per i diritti umani ha dovuto pertanto accettare la proposta, sostenuta da un gruppo di Paesi arabi, di una inchiesta da parte delle autorità yemenite. Secondo le Nazioni Unite più del 60 per cento delle vittime tra i civili yemeniti, che ammontano ad oltre 3.800 morti, sarebbero stati causati dai bombardamenti indiscriminati della coalizione saudita. Lo stesso Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon ha ripetutamente condannato i bombardamenti della coalizione saudita sulle zone abitate da civili;
   Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha dichiarato: «Non passa giorno senza che dallo Yemen non arrivino notizie di attacchi contro civili od obiettivi civili da parte della coalizione guidata dall'Arabia Saudita. Eppure Riad continua a ostacolare ogni tentativo di indagare in modo imparziale e obiettivo sui crimini di guerra. Il suo atteggiamento ostile all'accertamento delle responsabilità dovrebbe essere oggetto di forti critiche da parte della comunità internazionale, che invece continua a premiarla – inclusa l'Italia – con un trattamento di riguardo e con forniture di armi»;
   nel febbraio 2016 Parlamento europeo ha votato con ampia maggioranza una risoluzione nella quale ha chiesto all'Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di «avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita», ciò alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall'Arabia Saudita nello Yemen e del continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita che violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;
   la legge n. 185 del 9 luglio 1990 sancisce che l'esportazione «di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione, devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La legge vieta specificamente l'esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione» –:
   se il Governo non intenda fornire ogni informazione utile riguardo alla visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita di cui in premessa;
   se il Ministro della difesa, non intenda dare risposte chiare e puntuali su tutte le attività di promozione di contratti per mezzi militari, in particolare con i Paesi accusati di crimini di guerra e che violano pesantemente i diritti umani.
(2-01499) «Marcon, Duranti».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1997, dopo il terremoto che aveva interessato Marche e Umbria, in quarantacinque giorni furono sistemate, provvisoriamente, oltre 3.500 persone. Oggi sembra che siano necessari almeno sette mesi per sistemare 2.304 terremotati nell'area di Amatrice e Castell'Arquata del Tronto;
   il dopo-terremoto del 2016 ha programmato un iter che prevede due liste: la white list, per imprenditori onesti e la black list per imprenditori sospetti. Le scelte di assegnazione d'incarico per la ricostruzione della zona ovviamente ricadranno tra le imprese incluse nella prima lista, escludendo quelle che sono nella black list; ma, in questo modo, anche molte altre imprese, che stanno solo aspettando di poter dimostrare la propria competenza e la propria onestà, saranno escluse;
   sembra che le strutture di legno previste per Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto abbiano costi che superano quelli previsti per le comuni abitazioni. Il prezzo al metro quadro per i moduli abitativi provvisori è infatti di 1.075 euro (contratto Consip del 25 maggio 2016 per «fornitura, trasporto, montaggio di Sae – soluzioni abitative in emergenza»). Il costo per le strutture di legno della zona terremotata supera il valore di tutti i tipi di edifici nuovi e in muratura nella provincia di Rieti e nella zona di Amatrice prima del terremoto: 990 euro al metro quadrato per un appartamento, 840 euro per una casa di edilizia economica, 1.000 euro per una villa. Quotazioni immobiliari che nei paesi confinanti con l'area del disastro scendono a 790 euro al metro quadro per un appartamento, 740 per una casa economica, 840 per una villa in ottime condizioni. Si tratta di dati forniti dall'Agenzia del territorio;
   inoltre sembra che i contratti, firmati il 25 maggio 2016, suddivisi in tre lotti, siano stati tutti vinti da aziende legate alla Lega Coop, riunite intorno al «Consorzio nazionale servizi» di Bologna, lo stesso attraverso cui uno degli imprenditori romani arrestati, Salvatore Buzzi, si era garantito alcuni appalti di «mafia Capitale». Ad Amatrice, il contratto previsto con questa azienda, fornitura, trasporto e montaggio di ciascuna delle casette di legno, costerà 66 mila euro, Iva esclusa, più i costi di esproprio dei terreni, le opere di urbanizzazione, gli allacciamenti, eventuali urgenze;
   la Commissione di controllo sui bilanci dell'Unione europea e la Corte dei conti europea hanno dimostrato come ogni spesa inutile, eccessiva o fuori norma durante le emergenze sottrae importanti risorse economiche alla ricostruzione e alla prevenzione dei disastri. È convinzione diffusa che le case prefabbricate previste per Amatrice e dintorni provocheranno uno strascico di costi incontrollabili: dagli indennizzi per gli espropri dei terreni alla spesa per le piattaforme di cemento armato su cui costruire i quartieri di legno, dalle opere urbanistiche definitive all'inutile distruzione di territorio;
   anche i trasferimenti in albergo, (600 euro a famiglia) costituiscono un costo a giudizio dell'interrogante eccessivo;
   per quanto concerne la gestione dei letti attivati, sono quasi il doppio di quelli necessari. La Protezione civile informa che per 2.672 persone sfollate e 967 volontari in servizio, sono tuttora allestiti 7.467 posti. Si tratta di strutture per l'interrogante inutili a più di un mese dal sisma, come risulta probabilmente eccessivo anche il numero di persone attualmente impegnate, con i relativi costi per le indennità di missione. Il record è della regione Lazio: 558 volontari con rimborsi di circa 103 euro al giorno a persona –:
   quali siano i criteri sulla base dei quali si è scelto il modello delle casette in legno prefabbricate, dati i costi complessivi che comportano;
   come si stiano monitorando eventuali sprechi anche in termini di strutture organizzative, oltre che logistiche. (3-02541)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale del Mercure, oggetto di tre atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante ad oggi senza risposta, è in attività grazie ad una autorizzazione rilasciata dalla regione Calabria il 24 novembre 2015 – decreto n. 13359 – che prevede l'osservanza di tutta una serie di prescrizioni vincolanti. L'ente parco, su iniziativa del dottor Ferdinando Laghi, componente del consiglio direttivo del Parco nazionale del Pollino, ha da tempo sollecitato ad Enel assicurazioni circa l'avvenuto adempimento di tali prescrizioni, nonché una audizione della stessa Enel, ad oggi ancora priva di riscontro, presso il consiglio direttivo per avere delucidazioni su tale ottemperanza, oltre che su aspetti ulteriori riguardanti il funzionamento della centrale;
   a Castrovillari (CS), il 25 luglio 2016, si è tenuto il consiglio direttivo dell'ente parco nazionale del Pollino nel quale, tra gli altri ordini del giorno, si è discussa l'approvazione dello statuto dell'Osservatorio ambientale sull'attività della centrale Enel del Mercure, nonostante la seduta fosse stata preceduta dalla consegna da parte del dottor Laghi di richiesta di rinvio per mancato rispetto dei termini di convocazione oltre che per incompleto inoltro della documentazione relativa ai vari punti. La seduta si è svolta ugualmente con la giustificazione di una convocazione di urgenza non formalizzata, tuttavia, per tempo, come la prassi richiede;
   l'implementazione di un progetto «vede i componenti dell'osservatorio legati a Enel da un doppio filo: innanzitutto perché “è finanziato dalla stessa Enel con 100 mila euro all'anno per otto anni; e poi perché l'associazione è composta da coloro i quali ricevono da Enel i soldi previsti dall'accordo, ovvero 750 mila euro una tantum per le regioni Calabria e Basilicata e 1 milione e 100 mila euro per otto anni per i comuni”. Al parco andranno (articolo 7 accordo di compensazione) 500.000 euro l'anno per otto anni. Ciò genera una situazione nella quale il “controllore coincide con il controllato”». Tutto ciò, ovviamente, rende risibile ogni pretesa di indipendenza dell'Associazione (alias osservatorio ambientale), in quanto è difficile immaginare che Enel operi investimenti economici di tale rilievo che possano ritorcersi contro i propri interessi. A quanto sinora asserito si aggiunga che l'Osservatorio pagato da Enel sarebbe ospitato nella sede dell'ente parco il cui presidente per statuto diverrebbe anche il presidente del consiglio di amministrazione dell'Osservatorio;
   il vicepresidente di Isde Italia, partendo dal presupposto rappresentato dal parere negativo sull'impianto espresso dal direttore, ha chiesto notizie sulla deroga al piano del parco che prevede che all'interno del suo territorio una «centrale elettrica abbia la potenza inferiore ai 3 MW e non gli attuali 41 MW». Il primario lamenta, altresì, “un'assoluta marginalità del direttore dell'osservatorio, cui lo statuto conferisce solo meri poteri consultivi, non vincolanti e senza alcun potere decisionale”. Proprio per questo “dubita che una personalità di assoluto prestigio si presti a ricoprire un incarico, per un ente per giunta sub giudice, senza alcun potere concreto in quanto non avrà autorità né autorevolezza”»;
   un altro aspetto su cui il rappresentante del Forum «Stefano Gioia» chiede spiegazioni ha riguardato il controllo a campione delle biomasse, ricordando che il «quantitativo introdotto all'interno del parco porta con sé una serie di specie animali e vegetali alloctone che vanno sicuramente a ledere le biodiversità». Citando gli esempi «di funghi e zanzara tigre non certo appartenenti alle specie autoctone (alcuni parlano anche della xylella e del punteruolo rosso n.d.r.)», ma «introdotti nell'ecosistema locale proprio dal trasporto del ceppato proveniente da chissà dove, perché è impossibile reperire nelle zona, o nell'intero Mezzogiorno, la biomassa necessaria ad alimentare l'impianto»;
   la costituzione dell'Osservatorio ambientale, collide, irrimediabilmente, con il dissenso espresso dall'organo tecnico-gestionale (direttore ente parco) dello stesso ente che ora si fa promotore della costituzione dell'osservatorio, avvalorando e prestando pericolosa acquiescenza ad una situazione di fatto (funzionamento della centrale in spregio delle condizioni poste alla riattivazione) su cui pendono ricorsi ed esposti giudiziari. Il provvedimento autorizzativo è sub judice in quanto verrà esaminato dal Tar di Catanzaro il prossimo ottobre;
   l'osservatorio ambientale è stato definito «uno specchietto per le allodole». A parere dell'interrogante bisognerebbe valutare l'iniziativa nell'ottica dei vantaggi per le popolazioni coinvolte in termini di difesa dei beni comuni quali ambiente, salute, occupazione, mentre, invece, si assiste alla solita dipendenza dai potentati politico economici;
   un simile organismo, secondo l'interrogante, per come è stato concepito e organizzato, non ha alcuna attendibilità né rilevanza tecnico-scientifica. La sua attività risulterebbe un mero duplicato di quanto già viene svolto da Enti istituzionali (come ad esempio le Arpa). Se si ritiene che l'attività e, ancor prima, l'opportunità della presenza della centrale Enel debba essere tecnicamente valutata - per la tutela della salute delle popolazioni della Valle del Mercure e della biodiversità del parco del Pollino – un mezzo realmente efficace è quello della valutazione di impatto sanitario (VIS), strumento potente e universalmente ritenuto adeguato in casi del genere, non solo per l'aspetto sanitario, ma anche per quello di impatto generale, ivi compreso quello ambientale ed economico, nonché, inoltre, in ambito di programmazione economica. E una VIS, ovviamente a centrale ferma, è stata esplicitamente richiesta già da circa 2 anni dall'allora presidente dell'ordine dei medici della regione Basilicata, oltre che da società scientifiche internazionali, riconosciute dall'OMS (ISDE Internazionale) –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla vicenda riportata in premessa e se non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza affinché venga sospesa ogni attività valutativa concernente la centrale prima dell'audizione dell'Enel e sia procrastinata la valutazione degli adempimenti relativi all'Osservatorio ambientale a dopo il pronunciamento del TAR;
   se non si ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché, per sanare il conflitto di interesse in essere, Enel non finanzi l'osservatorio, ma siano tutti gli associati a partecipare, in proporzione ai propri bilanci provvedendo alla costituzione di una commissione VIS che, a centrale ferma, avvii la procedura valutativa;
   se non si intenda garantire piena conoscenza della relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 e, in caso contrario, quali siano i fattori ostativi che non consentano di ottemperare a tale richiesta. (5-09729)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato 3 atti di sindacato ispettivo n. 5-00116 del 14 maggio 2013, n. 4-09672 del 2 luglio 2015 e n. 5-06308 dell'8 settembre 2015, ad oggi senza risposta, evidenziando le principali criticità collegate alla riattivazione della centrale termoelettrica del Mercure nel comune di Laino Borgo (Cosenza);
   nel succitato ultimo atto di sindacato ispettivo dell'interrogante si è chiesto, senza successo, che fosse garantita piena conoscenza ai deputati della relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 nel quale la regione Calabria e la regione Basilicata si sono espresse a favore della riattivazione della centrale;
   l'iter autorizzativo, iniziato nel 2000, è durato oltre 10 anni, fino alla sentenza del Consiglio di Stato del 1o agosto 2012 (n. 4400/2012) che ha annullato l'autorizzazione della regione Calabria e azzerato, di fatto, il progetto ENEL. La regione Calabria, tuttavia, ha indetto, senza perder tempo, una Conferenza di servizi, nel tentativo di «sanare» le irregolarità così da riattivare la centrale ma, il 18 dicembre 2013, il TAR di Catanzaro è intervenuto bocciandola e bloccandone così il funzionamento. L'udienza di merito del ricorso proposto dall'ENEL al Consiglio di Stato, fissata per il 14 ottobre 2014, non si è tenuta, in quanto la regione Calabria ha riconvocato la conferenza di servizi – nella quale il direttore dell'Ente parco ha ribadito la sua opposizione – ed il Responsabile della Conferenza ha inviato la documentazione del caso al Consiglio dei Ministri che ha dato parere favorevole alla centrale in data 11 giugno 2015 (Consiglio dei ministri n. 67). Il decreto vincola il tutto al rispetto delle prescrizioni indicate nella Conferenza di servizi, nonché ad una deroga, da parte delle regioni Calabria e Basilicata, circa la potenza della centrale, rispetto al piano del parco che prevede, attualmente, per le centrali a biomasse, potenze massime quasi 20 volte inferiori a quella della centrale del Mercure. Il 24 novembre 2015, infine il dipartimento sviluppo economico della regione Calabria ha emanato un decreto autorizzativo ad avviso dell'interrogante di dubbia regolarità sotto il profilo formale e sostanziale, a partire proprio dalla mancata osservanza di quanto contenuto nel provvedimento del Consiglio dei ministri;
   la centrale sorge nel cuore del Parco Nazionale del Pollino che dal 17 novembre 2015 è entrato a far parte del patrimonio dell'Unesco oltre ad essere Zona di Protezione Speciale (ZPS) dell'Unione europea. L'Ente Parco del Pollino, Ente di governo del territorio, ha dato parere negativo alla riattivazione della centrale;
   allo stato attuale, manca l'autorizzazione AIA-VIA (iter autorizzativo mai concluso), sono scadute le valutazioni di incidenza (VI) delle regioni Calabria e Basilicata e manca la valutazione di Impatto sulla salute (VIS) delle emissioni della centrale sulle popolazioni residenti richiesta dai vertici internazionali dell’International Society of Doctors for Environment (ISDE) e dal Presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Potenza. La quale VIS, seppur non formalmente obbligatoria, diversamente dalle altre ricordate autorizzazioni, appare comunque fortemente indicata per una realistica valutazione dell'impatto della centrale sulle popolazioni residenti, nonché per rispondere concretamente al diffuso e forte allarme sociale determinato dal progetto Enel, segnatamente tra i cittadini dei Comuni maggiormente interessati di Viggianello e Rotonda;
   l'Enel, soggetto autorizzato alla riattivazione della centrale, non ha provveduto alla bonifica – disposta circa 10 anni fa dalla Procura di Castrovillari – dei materiali tossici e cancerogeni illegalmente interrati nell'area della centrale;
   permangono evidenti rischi di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella riattivazione della centrale avvalorate da: denunce da organi di informazione e associazione Libera su rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata (mafia dei boschi) a seguito delle forniture di biomasse, intimidazioni denunciate dal sindaco di Saracena (Cosenza), minacce e aggressioni agli oppositori della centrale –:
   come sia possibile che il Governo abbia rilasciato parere favorevole alla riattivazione della centrale del Mercure in mancanza dell'autorizzazione AIA-VIA e della valutazione di impatto sulla salute e con le valutazioni di incidenza delle regioni Calabria e Basilicata scadute;
   come sia possibile che il Governo abbia espresso parere favorevole alla riattivazione della centrale ben sapendo che questo andrà a compromettere l'ecosistema del parco nazionale del Pallino e se non ritenga opportuno intervenire affinché venga garantito il pieno rispetto della normativa a tutela parco;
   quali siano stati i motivi per cui non sono stati rispettati né i vincoli sulle aree protette a livello nazionale né le direttive dell'Unione europea riguardanti la tutela della flora che ad avviso dell'interrogante determineranno, di certo, l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie;
   se non intenda chiarire come già richiesto nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-06308 dell'8 settembre 2015, quali siano i motivi per cui venga di fatto negata a deputati che ne fanno richiesta la relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015. (5-09733)


   D'UVA, VILLAROSA, FERRARESI e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto ministeriale 18 luglio 2016, denominato «revisione piante organiche magistratura», ha inteso procedere alla rimodulazione delle piante organiche degli uffici giudica ti e requirenti di primo grado, anche non direttamente interessati da modifiche al relativo assetto territoriale, al fine di realizzare una distribuzione delle risorse disponibili idonea a conseguire una maggiore efficienza del sistema giudiziario;
   tale provvedimento viene predisposto in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, recante «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», nonché per assicurare la «piena operatività della revisione delle circoscrizioni giudiziarie realizzata con i citati decreti legislativi nn. 155 e 156/2012», così come riportato nello stesso schema di decreto;
   la «Relazione tecnica definitiva sul progetto di rideterminazione delle piante organiche del personale di magistratura negli uffici giudiziari di primo grado», allegata allo schema di decreto ministeriale, stabilisce come tale progetto di revisione intervenga «all'esito dell'adozione delle recenti misure volte ad arginare la costante riduzione degli organici del personale amministrativo conseguente ad una lunga stagione gestionale segnata da rigide politiche di contenimento della spesa pubblica»;
   se tale principio può ritenersi certamente auspicabile, questo non risulta tuttavia applicato dallo schema di decreto in alcuni distretti territoriali, i quali subirebbero consistenti riduzioni organiche;
   dalla lettura della «tabella A» allegata allo schema di decreto ministeriale 18 luglio 2016, è possibile rilevare una riduzione nella determinazione della nuova pianta organica dei tribunali ordinari di due unità per l'ufficio di Messina e di una unità per l'ufficio di Patti (Messina);
   analogamente, nella determinazione della nuova pianta organica delle procure della Repubblica vengono sottratte tre unità per il distretto di Messina, una per ognuno degli uffici che lo compongono, Messina, Patti (Messina) e Barcellona (Messina);
   tali riduzioni risultano per gli interroganti allarmanti non soltanto in quanto ideale proseguimento delle politiche di costante riduzione degli organici citati dallo stesso decreto, ma soprattutto in considerazione della peculiare condizione del territorio considerato, il quale, è noto, presenta una forte presenza criminale e mafiosa;
   oltre alla già conosciuta presenza della criminalità organizzata nel territorio barcellonese, considerato tra i più pericolosi per densità mafiosa, con importanti infiltrazioni nei settori politici e imprenditoriali, è necessario ricordare come tutto il territorio messinese sia oggi soggetto ad un aumento del livello di criminalità che non può non essere considerato;
   si ricordi, tra le altre, la recente visita della commissione bicamerale antimafia presso la città di Sant'Agata di Militello (Messina) all'indomani del tentativo di agguato avvenuto ai danni del presidente del parco dei Nebrodi, che ha costituito l'occasione per approfondire la questione relativa al fenomeno della cosiddetta «mafia dei pascoli»;
   in quella stessa occasione la commissione auspicò una forte risposta per un settore fondamentale di cui le mafie si appropriano, sottraendolo allo sviluppo ed alla crescita delle terre siciliane, con la conseguente necessità di predisporre interventi adeguati ad arginare il fenomeno;
   per tali ragioni non può ritenersi adeguato un provvedimento che dia un segnale di arretramento da parte dello Stato, ovvero un provvedimento che, anziché rafforzare le unità, ne disponga una considerevole riduzione, una decisione quindi tanto preoccupante quanto, ad avviso degli interroganti, inopportuna –:
   se il Governo non ritenga urgente ripristinare le unità che verrebbero sottratte al distretto di Messina sulla base dello schema di decreto ministeriale di cui in premessa, già oggetto delle citate politiche di riduzione del personale amministrativo nel settore della giustizia, al fine di consentire l'idoneo presidio da parte di tali organi in un territorio ad alta densità criminale. (5-09736)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la modernizzazione del sistema dei prodotti ha favorito la crescita di filiere lunghe, con conseguente consistente impatto ecologico e ambientale negativo, dovuto al numero di passaggi intermedi nella compravendita dei beni;
   la filiera corta e i prodotti a chilometro zero offrono molteplici vantaggi, riducendo il numero di imprese implicate nella filiera, così salvaguardando l'ambiente mediante la riduzione delle esternalità negative;
   con l'ordine del giorno n. 9/03194-A/035 presentato alla legge 28 gennaio 2016, n. 11, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee in materia di appalti, il Governo si è impegnato a prevedere la possibilità per le stazioni appaltanti di introdurre nei bandi per l'aggiudicazione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, criteri preferenziali di valutazione delle offerte, nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino ad utilizzare, per l'esecuzione dell'appalto, beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero, anche individuando ipotesi specifiche in cui le amministrazioni ricorrono a tale modalità premiali di valutazione delle offerte;
   il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, con cui tale delega è stata esercitata, prevede all'articolo 95, comma 13, unicamente che le amministrazioni indichino nel bando di gara il maggior punteggio relativo all'offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull'ambiente;
   la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di prevedere un meccanismo premiale per le imprese che, in caso di aggiudicazione, utilizzano beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero, sembrerebbe potersi ricomprendere, in via interpretativa, nella predetta disposizione, trattandosi di beni di minore impatto per la salute e l'ambiente;
   una definizione di beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero non è comunque contemplata a livello normativo, con conseguente possibilità di difformità di applicazione, potendosi fare riferimento, rispettivamente, alla assoluta mancanza di intermediari commerciali o alla sussistenza di un solo passaggio intermedio tra produttore e consumatore, nel primo caso, e, nel secondo, a criteri di prossimità geografica o di distanza tra area di produzione e di trasformazione non ben individuati;
   la necessità di rispettare i principi comunitari in materia di appalti, relativi alla parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, suggerisce la necessità di un'interpretazione e applicazione uniforme della predetta normativa, anche al fine di evitare eventuali violazioni del diritto eurounitario, o eventuale contenzioso per le amministrazioni aggiudicatrici;
   secondo il parere del Consiglio di Stato su quello che è poi divenuto il citato decreto legislativo n. 50 del 2016, il Governo può intervenire con eventuali correttivi per ampliare e integrare la base normativa del testo, anche mediante le correzioni e integrazioni che l'applicazione pratica renda opportune –:
   se il Governo ritenga di avere dato pienamente seguito all'ordine del giorno indicato in premessa mediante la previsione di cui al citato articolo 95, comma 13, del decreto legislativo n. 50 del 2016 o se ritenga necessario intervenire a tal fine mediante ulteriori iniziative normative correttive;
   se, al fine di consentire una interpretazione e applicazione uniforme del criterio premiale dettato in materia, il Governo intenda comunque assumere iniziative per una definizione normativa di beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero. (4-14459)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'edizione di mercoledì 5 ottobre 2016 del Corriere della Sera, in un articolo titolato «Se il dirigente prescritto in un caso di corruzione rappresenta l'Italia in Ue» a firma di Milena Gabanelli e Giulio Valesini, riferisce della situazione controversa in cui si troverebbe un dirigente di fascia A del Ministero della salute, Pasqualino Rossi, assegnato alla fine del 2015 alla Rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea;
   in particolare, l'articolo mette in evidenza una vicenda giudiziaria nella quale sarebbe incorso Pasqualino Rossi quando era dirigente dall'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco);
   nel dettaglio, gli articolisti riferiscono che, in qualità di dirigente dell'Aifa, «nel 2008, dopo due anni di indagini, viene arrestato dal procuratore di Torino Raffaele Guariniello, insieme ad altri funzionari pubblici e dirigenti di società di intermediazione nel settore farmaceutico. L'accusa è di corruzione»;
   secondo il Gip di Torino, così come riportato negli atti che motivano il provvedimento, «Da quanto emerso, si registra una totale assenza nel Rossi dell'interesse per la tutela della salute pubblica»;
   dall'articolo emergerebbe che il dirigente sia stato sottoposto dalla procura a intercettazioni e pedinamento per mesi, attività che avrebbe fatto affiorare una situazione dalla quale «Ne esce il ritratto di un funzionario pubblico alla continua ricerca di soldi, per mantenere un tenore di vita al di sopra delle sue possibilità. Per questo, secondo i magistrati, passa informazioni riservate agli informatori farmaceutici e agevola le pratiche per l'approvazione dei farmaci in commercio. Questa attività viene ricompensata con denaro e regali»;
   tra le altre cose, l'articolo riporta anche la circostanza che il dirigente, nell'ambito della medesima inchiesta, avrebbe ricevuto «una bustarella nascosta dentro ad un giornale. Il passaggio di mano è immortalato in un video girato dai Nas di Roma»;
   secondo quanto riportato nell'articolo, il tribunale di Roma, al quale erano stati trasferiti gli atti per competenza, nel settembre del 2015 avrebbe emesso la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di tutti gli imputati;
   nel frattempo, la carriera del dirigente sarebbe proseguita, da prima, con il trasferimento dall'Aifa al Ministero della salute, dove avrebbe ricoperto un incarico di consulenza, studio e ricerca presso la direzione generale per i rapporti con l'Unione europea e rapporti internazionali, successivamente, alla fine del 2015, avrebbe dato la disponibilità per essere assegnato alla sede della rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea;
   da quanto esposto, emergerebbe una situazione fortemente controversa che vedrebbe un alto dirigente, coinvolto in passato in un procedimento giudiziario con l'accusa di corruzione, seppure prosciolto per prescrizione, chiamato a ricoprire un delicato incarico in seno a un organismo europeo –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quale sia stato l’iter, nonché i criteri e i requisiti, per la selezione e la designazione del dirigente all'incarico presso la sede della rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea;
   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare se vi siano stati comportamenti omissivi o inosservanza delle procedure di controllo nel procedimento di selezione e designazione del dirigente;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla vicenda esposta in premessa. (5-09730)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   MATARRESE, VARGIU, DAMBRUOSO e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2016 si è verificato il crollo della falesia all'altezza della spiaggia libera denominata «Tre buchi» a Monopoli;
   il tratto di costa interessato dal crollo risulterebbe instabile a causa di fenomeni di dissesto idrogeologico dovuti all'erosione del tufo calcarenitico della falesia costantemente fessurata dalle mareggiate;
   già a giugno 2014, tramite l'interrogazione n. 3-00874, gli interroganti hanno posto all'attenzione del Governo il problema dell'erosione e del relativo crollo della falesia che caratterizzò la costa in provincia di Lecce e, in particolare, nei comuni di Andrano, Castrignano del Capo, Gagliano del Capo, Diso, Tricase, Racale, Tiggiano, Alessano e Porto Cesareo;
   nella risposta il Ministro interrogato evidenziò l'impegno del Governo volto a mitigare il rischio idrogeologico in Puglia, riferendo di aver «(...) sottoscritto con la regione Puglia un accordo di programma per il finanziamento di 84 progetti, di cui 5 ricadenti nell'ambito nei comuni della provincia di Lecce, per un importo complessivo di oltre 194 milioni di euro, di cui oltre 36 milioni statali, interamente erogati sulla contabilità speciale del comitato delegato (...)»;
   secondo quanto riferito nella risposta, «(...) la legge di stabilità pone a disposizione nel periodo 2014-2020 quasi 55 miliardi di euro per la programmazione di interventi strutturali, di cui una parte per la mitigazione del rischio idrogeologico. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto alle regioni di segnalare eventuali nuovi criticità. Al riguardo, la regione Puglia ha iscritto 99 interventi, di cui 9 nella provincia di Lecce e tra questi uno solo per la stabilità nella falesia in località Torre dell'Orso per un importo di due milioni di euro (...)» –:
   se tutta la costa pugliese sia stata oggetto di puntuale monitoraggio finalizzato al rilievo delle criticità connesse a fenomeni di dissesto idrogeologico e quali siano gli interventi già programmati per la prevenzione e la mitigazione di questi fenomeni e per la relativa messa in sicurezza della costa, se tra le criticità già segnalate dalla regione Puglia al Governo vi sia anche quella che ha recentemente interessato Monopoli e se vi siano relativi interventi oggetto di accordi di programma. (3-02548)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221 (in Gazzetta Ufficiale n. 13 del 18 gennaio 2016), dispone misure in materia di tutela della natura e sviluppo sostenibile, valutazioni ambientali, energia, acquisti verdi, gestione dei rifiuti e bonifiche, difesa del suolo e risorse idriche (cosiddetto collegato ambientale);
   l'articolo 5 della citata legge destina, nel limite di 35 milioni di euro, la quota di risorse di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la realizzazione di un programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro, nell'ambito dei progetti a cui è possibile destinare il 50 per cento dei proventi delle aste del sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas-serra;
   al riguardo, dal sito dello stesso Ministero, si ha notizia che nel mese di luglio 2016 sarebbe stato firmato il decreto per l'assegnazione, attraverso un bando pubblico rivolto agli enti locali, dei 35 milioni di euro previsti dal «collegato ambientale» per il già citato programma di mobilità sostenibile;
   a tutt'oggi non risulta, tuttavia, alcuna pubblicazione del bando di finanziamento né iniziata la fase attuativa che consenta la realizzazione delle misure strategiche messe in campo per realizzare quella programmazione di mobilità sostenibile –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi circa la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del bando di finanziamento riguardante i 35 milioni di euro previsti dal cosiddetto collegato ambientale per il programma nazionale di mobilità sostenibile e dei decreti attuativi per stabilire i criteri finalizzati a ripartire i fondi. (5-09727)


   SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato in un comunicato stampa diffuso dagli organi di informazione della provincia di Avellino da parte del comitato «No Trivellazioni Petrolifere in Irpinia», nel mese di ottobre 2016 scadono i termini di sospensione del permesso di ricerca Nusco, stabiliti dal Ministro dello sviluppo economico il 4 aprile 2015 per 18 mesi, in attesa della pronuncia della commissione tecnica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, deputata alla verifica dell'istanza di VIA per il progetto Gesualdo-1, che dovrà esprimersi sul progetto di trivellazione petrolifera prevista a ridosso del centro abitato del comune di Gesualdo;
   nella nota stampa si legge testualmente: «Alle obiezioni di natura tecnico-amministrativa evidenziate nelle osservazioni trasmesse alle varie commissioni di valutazione, si aggiunge adesso un altro fattore di rischio, che evidenzia, ancor di più, la sostanziale incompatibilità delle ricerche petrolifere in questo territorio. Dopo l'accelerazione imposta a livello statale, il tratto conclusivo della superstrada Lioni-Grottaminarda a breve vedrà l'inizio dei lavori di completamento del lotto Frigento-Grottaminarda, che interessa direttamente l'area individuata per le ricerche petrolifere»;
   il progetto riguarda, infatti, la realizzazione di un tunnel di collegamento, il cui tracciato dista non oltre 100 metri dal sito scelto dalla Italmin Explorations. Tale circostanza potrebbe comportare una conflittualità tra i lavori di scavo di un tunnel e quelli di trivellazione di un pozzo petrolifero;
   il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle è da sempre contrario ad una politica energetica che punti sulla risorsa «petrolio» con le conseguenti attività di estrazione che comportano problematiche fortemente impattanti per l'ambiente;
   ad oggi, a quanto consta all'interrogante, non risulta in corso nessun procedimento per la valutazione di impatto ambientale del progetto Gesualdo-1 da parte della direzione per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per verificare la compatibilità ambientale delle due opere di cui in premessa previste nello stesso luogo, bloccando definitivamente il progetto di ricerca Nusco ed evitando ulteriori fattori di rischio per l'ambiente e per le comunità locali. (5-09728)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il 9 maggio 2016, il Premier Matteo Renzi scriveva sul suo profilo Facebook: «Abbiamo lanciato ieri (nel corso di un'intervista a Che tempo che fa) un appello a tutti gli italiani. Segnalateci i luoghi dell'identità e della bellezza che hanno bisogno di un aiuto economico e finanziario per ripartire. L’email è semplice: bellezza@governo.it. Ci sono pronti 150 milioni di euro che vanno assegnati entro il 10 agosto. Le segnalazioni dovranno arrivare entro il 31 maggio»; «segnalate i luoghi che a vostro giudizio aiutano il nostro territorio a essere comunità. Perché su questo tema ci giochiamo il futuro dell'Europa, vedrete...»;
   contestualmente, sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri veniva pubblicato un comunicato che ufficializzava l'iniziativa specificando che «una commissione ad hoc stabilirà a quali progetti assegnare le risorse»;
   le e-mail arrivate sono state 139.759, i luoghi segnalati circa 8.000, riportati su una cartina geografica, in stile Google Maps, con segnaposto colorati non ingrandibili, né cliccabili;
   all'indirizzo e-mail bellezza@governo.it si potevano segnalare, oltre a edifici bisognosi di restauro, anche progetti culturali da finanziare. Insomma, se la segnalazione del cittadino può sembrare poco sensata per i restauri, potrebbe invece essere tenuta in considerazione per altre iniziative;
   a quattro mesi dall'annuncio, la commissione che avrebbe dovuto stabilire a quali progetti assegnare le risorse, non risulta essere stata nominata;
   il decreto di stanziamento, promesso per il 10 agosto 2016, non è stato mai emanato. Quindi, a tutt'oggi, non c’è una graduatoria né un progetto scelto. Insomma, come scrivono i giornali, cogliendo nel segno, sembra trattarsi di un «progetto evaporato»;
   non è chiaro, inoltre, quali siano le caratteristiche che i progetti dovrebbero soddisfare per ricevere un contributo perché non risulterebbe alcun bando (o non è facilmente reperibile) che indichi le specifiche, e, si ribadisce non si sa da chi sarà composta questa fantomatica commissione esaminatrice –:
   quali siano le reali motivazioni sottese all'iniziativa in questione – che a parere dell'interrogante si configura come «uno strampalato televoto» che dovrebbe premiare certi luoghi piuttosto che altri – considerando che in presenza di fondi straordinari, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dovrebbe disporre sia degli strumenti per intervenire laddove necessario, sia delle professionalità in grado di distinguere quali siano le priorità;
   quale sia, ad oggi, lo stato dell'arte relativo al progetto ampiamente pubblicizzato a maggio 2016 dal Presidente del Consiglio dei ministri, segnatamente in merito al decreto atteso per agosto 2016 relativo alla composizione e alle competenze della commissione di cui in premessa che, se sarà unica, dovrà decidere su operazioni molto diverse tra loro.
(2-01501) «Fantinati».

Interrogazione a risposta immediata:


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la capitale europea della cultura è una manifestazione nata nel 1985 per promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico e culturale dei Paesi membri dell'Unione europea. Ogni anno il titolo viene trasferito a due città di due Stati membri;
   nell'ottobre del 2014 il Ministro interrogato ha annunciato che Matera sarebbe stata la capitale europea per la cultura nel 2019 assieme alla città bulgara di Plovdiv. L'investitura ufficiale è avvenuta a metà 2015;
   a partire dalla metà degli anni ’90 le capitali della cultura sono state protagoniste di uno sviluppo infrastrutturale e turistico. Glasgow nel 1990 ha avuto una crescita del 50 per cento degli arrivi stranieri, diventando la terza destinazione del Regno Unito. Anche Liverpool 2008 ha avuto 9,7 milioni di turisti, con un incremento del 34 per cento rispetto al 2007;
   per Marsiglia, la Francia ha speso circa due miliardi di euro per il collegamento del Tgv con Parigi e la riqualificazione del porto. Liverpool ha rifatto tutto il porto e il centro storico. Genova nel 2004 ha riqualificato il centro storico e ultimato il progetto di Renzo Piano per l'area portuale;
   il piano finanziario contenuto nel dossier di candidatura prevede investimenti per 565 milioni di euro. Per ora sono disponibili 28 milioni di euro del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e 25 milioni di euro della regione;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha assicurato che Matera sarebbe stata, dopo l'Expo 2015, l'occasione su cui concentrare strumenti e risorse per connettere Matera con il resto del mondo, valorizzando le sue risorse culturali dalla cifra millenaria;
   l'impressione, ad oggi, è che non ci siano strumenti e risorse al pari delle altre capitali europee della cultura per dispiegare le potenzialità che l'evento dovrebbe assicurare;
   mancano meno di 800 giorni al 2019 e niente è stato cantierizzato –:
   quali ulteriori risorse ritenga opportuno prevedere per Matera capitale della cultura 2019 nel disegno di legge di bilancio per il 2017 e nel biennio successivo e quali siano i tempi di avvio delle attività previste dal relativo piano finanziario.
(3-02542)

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con determinazione dirigenziale n. 58/BE del 04/09/2015 il comune di Pescara ha affidato al dottor agronomo Massimo Rabottini il servizio di verifica Vta integrata vina per 950 essenze arboree;
   la relazione finale fitostatica condotta su 1240 individui arborei del patrimonio verde del comune di Pescara, inviata da Rabottini in data 26 luglio 2016, rappresentava la necessità di abbattere 139 piante, in quanto ascritte alla classe «D» (pericolo estremo prot. SIA-ISA) e di effettuare operazioni di alleggerimento della chioma per 287 alberi in quanto ascritte classe «C/D»;
   in seguito a ciò il comune di Pescara con procedura di somma urgenza ha disposto i lavori di messa in sicurezza delle alberature cittadine al fine di eliminare il pericolo per la pubblica incolumità attraverso l'ausilio di ditte specializzate per l'abbattimento e per la messa in sicurezza delle alberature in data 19 agosto 2016;
   nel verbale di somma urgenza del comune di Pescara redatto il giorno 23 agosto 2016 dal Responsabile unico del procedimento degli interventi di messa in sicurezza si legge che «è emerso che alcune di esse (alberi) dimorano nelle aree sottoposte a vincoli paesaggistici, meglio precisati nell'elenco allegato; si è pertanto interessata la competente soprintendenza ad esprimere eventuali prescrizioni entro il 29/08/2016 ai sensi del decreto legislativo 42/2004, preso atto che si può comunque operare sin da subito sugli alberi non ricadenti nel vincolo in argomento»;
   in data 29 agosto 2016 il comune di Pescara ha avviato le operazioni di taglio degli alberi considerati da abbattere. Tali azioni hanno provocato la protesta di cittadini e associazioni ambientaliste che si opponevano al taglio degli alberi, in quanto ritenevano che alcuni di essi non necessitavano di essere rimossi;
   in data 23 agosto 2016 la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio dell'Abruzzo prendeva atto con nota prot. 1717 della relazione fitostatica allegata all'istanza trasmessa dal comune di Pescara con nota PEC del 17 agosto 2016, mentre in data 16 settembre 2016 con nota prot. 2994 la Soprintendenza comunicava al comune di Pescara di ritenere necessario un approfondimento della problematica degli abbattimenti degli alberi, in considerazione della rilevanza paesaggistica e monumentale;
   pertanto invitava il comune stesso ad indire un tavolo tecnico al fine di concertare le azioni riguardo ai migliori modi per garantire sia la sicurezza pubblica che la tutela del patrimonio paesaggistico e culturale legato alle alberature;
   durante le operazioni di taglio degli alberi, secondo quanto esposto anche alla magistratura dalle associazioni ambientaliste, sono stati tagliati alberi non indicati nella relazione di Rabottini;
   nel comune di Pescara in data 19 settembre 2016 si è riunito un tavolo tecnico con la presenza della Soprintendenza e con la Guardia forestale della provincia di Pescara, in cui si è deciso di sottoporre ad ulteriori verifiche «strumentali» le alberature non ancora oggetto di intervento –:
   in relazione alla procedura attuata dal comune di Pescara, quali siano i profili di competenza che spettano alla Soprintendenza archeologica, delle belle arti e del paesaggio dell'Abruzzo e se tali competenze siano state rispettate;
   se risulti che il comune di Pescara abbia presentato, come prescritto dalle norme in vigore, il censimento degli alberi monumentali;
   se tra gli alberi individuati dalla relazione di cui in premessa ci siano piante tutelabili ai fini prescritti dalle norme in vigore;
   quali siano le iniziative avviate dalla Soprintendenza archeologica, delle belle arti e del paesaggi dell'Abruzzo in relazione alla vicenda del taglio degli alberi nel comune di Pescara. (4-14454)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il poligono di tiro di Capo Frasca è il terzo d'Europa per estensione territoriale e si estende in un'area di 14 chilometri quadrati, sul territorio del comune di Arbus, nella costa sudoccidentale della Sardegna;
   la segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e soprattutto in mare e le attività di esercitazioni aria-terra fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni, i pescatori, le cooperative e le marinerie di Arbus, Guspini, Terralba, Arcidano, Marceddì, Cabras, Riola Sardo, Oristano;
   in base all'articolo 332 del codice dell'ordinamento militare – decreto legislativo n. 66 del 2010 – ai commi 1 e 5, che richiama il comma 15 dell'articolo 325 dello stesso ordinamento è previsto un indennizzo in favore delle attività che vedono leso il loro diritto di impresa;
   l'attività della pesca nei tratti di mare interdetti adiacenti al poligono di Capo Frasca è fortemente penalizzata dalle limitazioni dovute alle attività militari, ma i pescatori, in particolare dei comuni di Arbus, Oristano, Terralba, Santa Giusta, Cabras, Arborea, Marrubiu non sono inseriti tra i beneficiari degli indennizzi come previsto dalle leggi n. 898 del 1976 e n. 104 del 1990 e dal protocollo d'intesa siglato nel 1999 tra il Ministero della difesa e la regione autonoma della Sardegna;
   il protocollo d'intesa del 1999 tra il Ministero della difesa e la regione autonoma della Sardegna recante disposizioni in merito all'articolo 15 della legge n. 898 del 1976 riconosce che le marinerie interessate all'erogazione degli indennizzi siano quelle di Sant'Antioco, Calasetta, Sant'Anna Arresi, Teulada, Porto Scuso, Domusdemaria, Buggerru, Carloforte iscritte al Compartimento Marittimo di Sant'Antioco ed adiacenti alle aree interdette del poligono di Capo Teulada, e di Tortoli, Villaputzu, Tertenia, Lotzorai, Siniscola, Orosei, Posada, Dorgali, iscritte all'ufficio circondariale marittimo di Arbatax e agli uffici locali di Cala Gonone e Siniscola, adiacenti al poligono interforze del Salto di Quirra;
   sono pertanto escluse dagli indennizzi le cooperative di pescatori, le marinerie e le imbarcazioni delle province del Medio Campidano e del Golfo di Oristano, ed in particolare dei comuni di Arbus, Terralba, Cabras, Riola Sardo, S. Vero Milis, S. Giusta, Marrubiu, Arborea, Oristano iscritte al compartimento marittimo di Oristano, tutte adiacenti al poligono di tiro di Capo Frasca e fortemente penalizzate nell'attività della pesca dai tratti di mare interdetti per le esercitazioni militari;
   l'area marina che circonda il poligono di Capo Frasca è interdetta permanentemente alla navigazione civile per 3 miglia marine, sulla base di una ordinanza del 2005. Tale condizione – creando una sorta di campana intorno alla penisola del poligono – taglia letteralmente in due l'area di Costa Verde (Arbus) dall'area di Marceddì (Terralba) e Torregrande (Oristano), ovvero le uniche due aree dove sono presenti strutture portuali. La maggior parte delle imbarcazioni, inoltre, non è in possesso della licenza per navigare oltre le 3 miglia, generando in tal modo il paradosso che conduce a una condizione di violazione delle ordinanze e delle norme di navigazione sia che si attraversi l'area marina interdetta, sia che la si circumnavighi;
   il 13 ottobre 2015 il comune di Arbus ha inoltrato al Ministero della difesa una comunicazione nella quale segnala sia il problema dell'area interdetta che la questione dell'interdizione permanente ordinata nel 2005, suggerendo altresì il contenimento dell'interdizione sul piano temporale, rendendola temporanea, ovvero limitata all'effettivo esercizio dell'attività militare e quindi a un calendario certo delle esercitazioni, nonché sul piano dell'estensione, contenendo nelle 2 miglia marine l'area di interdizione alla navigazione;
   la risoluzione conclusiva n. 8-00142 a prima firma Piras, approvata dalla IV Commissione difesa della Camera dei deputati il 27 Ottobre 2015, avente ad oggetto «il riconoscimento di indennizzi per la limitazione dell'attività di pesca alle cooperative pescatori dei Comuni adiacenti il poligono di tiro di Capo Frasca», impegnava il Governo, fra le altre cose «ad attivare un tavolo di concertazione Stato, Regione, Enti Locali insistenti nell'area, associazioni di rappresentanza dei lavoratori della pesca, al fine di definire condizioni e criteri – certi e verificabili – di accesso al beneficio dell'indennizzo, al fine di prevenire possibili abusi.»;
   il tavolo tecnico di concertazione, istituito ai sensi della risoluzione dalla presidenza della regione Sardegna, ha visto coinvolti rappresentanti dello Stato Maggiore della difesa, del Ministero della difesa, regione, enti locali e associazioni di categoria dei pescatori, si è riunito in un clima di serena e reciproca collaborazione nei primi mesi del 2016 e, dopo quattro riunioni plenarie regolarmente convocate, ha concluso i suoi lavori il 3 marzo 2016, raggiungendo e sottoscrivendo un accordo completo e condiviso su tutte le tematiche affrontate, confermando la ragionevolezza delle istanze che sono state oggetto dei lavori;
   le associazioni di categoria e gli enti locali coinvolti hanno scritto in data 22 giugno 2016 una missiva a tutte le istituzioni interessate, tra cui il Ministero della difesa, la regione Sardegna e tutti i componenti della Commissione, proclamando lo stato di agitazione;
   ad oggi viene constatata l'assenza di improcrastinabili riscontri ufficiali da parte del Governo sulle urgenti tematiche approfondite. Nello specifico, inoltre, il documento conclusivo del tavolo di concertazione di cui sopra – conclusosi il 3 marzo 2016 – è stato inviato con resoconto ufficiale «prot. Nr. 0002384» dalla regione Sardegna al Ministero della difesa;
   a partire dal 4 ottobre 2016 – in concomitanza con l'inizio delle esercitazioni di terra e di mare oltre che data la presenza della Commissione di inchiesta sull'uranio in visita in quei giorni presso tutti i poligoni della regione Sardegna – le parti coinvolte nella vertenza hanno dichiarato ed iniziato una mobilitazione che non avrà soluzione di continuità –:
   se i Ministri interpellati non intendano attivarsi immediatamente per sanare questa iniqua situazione e per scongiurare l'inasprimento della vertenza in questione, considerata sia la delicatezza del tema della presenza militare nelle terre e nei mari di Sardegna, che gli impegni precedentemente assunti con la risoluzione n. 8-00142.
(2-01504) «Piras, Duranti, Scotto, Quaranta, Ricciatti, Carlo Galli».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CORDA, FRUSONE, BASILIO, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Famiglia Cristiana del 2 ottobre 2016 ha pubblicato la foto di una bomba «inerte» sganciata dai sauditi sulla capitale dello Yemen, Sana'a;
   si tratta di una MK82, simile ad altre vendute dall'Italia all'Arabia Saudita usate per bombardare lo Yemen, in azioni denunciate a livello internazionale come crimini di guerra;
   per la sua particolarità questa bomba non esplode, rivelando così codici e numeri che parlano italiano. L'identificativo «Ncage code» (Nato, commercial and government entity) corrisponde a Rwm di Domus Novas in Sardegna: A4447. Di questa bomba è leggibile anche l'intero codice Nato: Nsn 1325-15-150-5814;
   si tratta del Nato Stock number, un codice numerico a 13 cifre che identifica ciascun pezzo militare inventariato dal Ministero/dipartimento della difesa di ogni singolo Stato, in italiano numero unico di codificazione (nuc);
   l'archivio Nsn center è on line. Inserendo il numero di codice di questa bomba escono tre registrazioni. Una come Imz spa, una come Ministero della difesa-direzione generale degli armamenti e una terza come Rwm. Si apprende, quindi, che questa bomba nella sua vita ha avuto tre codici:
     a) A0392 corrisponde a Imz spa;
    b) A2955 corrisponde a direzione generale degli armamenti aeronautici;
    c) A4447 corrisponde a Rwm;
   il codice Ncage, apposto prima del lancio in Yemen da parte dei sauditi, è quello di Rwm. L'Imz è il produttore dell'involucro. Nel mezzo, tra le due fabbriche di armi di Vicenza e di Domus Novas, c’è il transito attraverso la direzione armamenti del Ministero della difesa italiano;
   quindi, questa bomba prima di essere sganciata sullo Yemen (seppure come involucro vuoto) era del Ministero della difesa italiano. Non si comprende come possa essere stata poi ceduta a Rwm che, a sua volta, l'ha venduta ai sauditi;
   nella sua recente visita in Arabia Saudita la Ministra interrogata era accompagnata – cosa inusuale – dal segretario generale della difesa e direttore nazionale degli armamenti Carlo Magrassi, cosa che fa pensare a nuove commesse di armi italiane ad un Paese in guerra;
   la legge n. 185 del 1990 vieta la vendita di armi a Paesi in guerra. L'Onu e il Parlamento europeo hanno invitato la comunità internazionale a cessare di armare i contendenti in Yemen –:
   come sia possibile che bombe con codice del Ministero della difesa-direzione generale degli armamenti abbiano colpito la popolazione civile dello Yemen e come ritenga compatibile ciò con la legge n. 185 del 1990. (3-02546)


   MOSCATT, AIELLO, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, D'ARIENZO, FONTANELLI, FUSILLI, GALPERTI, LORENZO GUERINI, LACQUANITI, LODOLINI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, PAOLO ROSSI, SCANU, STUMPO, VALERIA VALENTE, VILLECCO CALIPARI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aspirazione a costituire una difesa europea ha avuto origine sin dalla metà degli anni ’50 con la Comunità europea di difesa, per arrivare nel 1992 alla definizione dei compiti di Petersberg stabiliti per la gestione di un'eventuale crisi e la risoluzione dei conflitti e, successivamente, integrati nell'Unione europea con il trattato di Amsterdam;
   il Consiglio europeo di Colonia del 1999 stabilì, tra l'altro, la successiva costituzione di un comitato di politica e sicurezza, un comitato militare, uno stato maggiore internazionale ed un'agenzia degli armamenti; negli anni 2000, nel più ampio quadro dei trattati di Amsterdam e Nizza, la nuova figura dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune elaborò la nuova «strategia europea in materia di sicurezza» e l'Unione europea divenne, quindi, responsabile di condurre alcune missioni di mantenimento della pace;
   l'attuale Alto rappresentante dell'Unione europea ha presentato nel mese di giugno 2016 il nuovo documento denominato «Strategia globale dell'Unione europea in materia di politica estera e di sicurezza», che costituisce una fondamentale pietra angolare su cui poter costruire un futuro efficace ed efficiente della sicurezza europea, come testimoniato dal recente vertice di Ventotene con Francia e Germania in cui l'Italia ha rivestito un ruolo di primo piano;
   in tale momento storico in cui l'Europa deve fare i conti con la «Brexit», c’è assoluta necessità di condividere una strategia comune che possa facilitare il tema della sicurezza e della difesa dell'Unione europea per troppo tempo posto ai margini delle discussioni sulla politica comune europea;
   la difesa europea è tema di stringente attualità, testimoniato dal rinnovato impulso a trattare l'argomento nel Consiglio informale dei Ministri della difesa dell'Unione europea, tenutosi a Bratislava nel mese di settembre 2016, nel quale l'Italia ha presentato una sua proposta concreta e particolarmente apprezzata;
   tali iniziative hanno evidentemente lanciato un segnale politico molto forte, evidenziando la volontà di procedere con convinzione verso un approccio proattivo – non più differibile – teso al rafforzamento della politica di difesa e sicurezza comune, in una prospettiva di maggiore integrazione tra gli Stati membri;
   l'Italia ha presentato prima a Bratislava e l'11 ottobre 2016 a Bruxelles ai parlamentari europei italiani un documento dal titolo «La visione italiana per una difesa europea più forte», che contiene alcune proposte per istituire una forza multinazionale europea –:
   come l'Italia intenda dare concreta attuazione agli obiettivi di difesa comune, così come delineati nei consessi europei.
(3-02547)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da poco è avvenuta la sostituzione dell'amministratore delegato di Monte dei paschi di Siena Fabrizio Viola con Marco Morelli, che, secondo notizie di stampa, già nel 2009 era a conoscenza di perdite nascoste pari a 200 milioni di euro, da cui sarebbe partita la crisi che l'attuale amministratore delegato dovrebbe ora risolvere con un improbabile aumento di capitale da 5 miliardi di euro;
   Morelli, inoltre, potrebbe essere definito inidoneo dalla Banca d'Italia per il comportamento «di particolare gravità» che assunse nell'operazione «Fresh» (l'aumento di capitale riservato a Jp Morgan per 950 milioni di euro finalizzato all'acquisizione di Antonveneta);
   il Ministero dell'economia e delle finanze starebbe svolgendo il coordinamento dei principali azionisti di Monte dei paschi di Siena, in qualità di azionista di riferimento (con il 4 per cento): lo confermerebbero il ruolo svolto dal Ministero dell'economia e delle finanze nella selezione dell’advisor Jp Morgan per il progetto di risanamento (aumento di capitale e cessione dei crediti deteriorati), nella sostituzione dell'amministratore delegato Fabrizio Viola e nelle negoziazioni che sarebbero in corso con fondi sovrani ed investitori privati di Paesi stranieri (sembra che Qatar e Cina siano interessati all'operazione);
   non si conosce se corrisponda al vero il fatto che il Ministro interrogato abbia riportato al presidente di Monte dei paschi di Siena Tononi il giudizio negativo suo e del Presidente del Consiglio dei ministri sull'operato dell'ex amministratore delegato Viola e, quindi, l'invito alla sostituzione e quali siano gli elementi di pubblico interesse definiti durante l'incontro tra il Presidente del Consiglio dei ministri e l'amministratore delegato di Jp Morgan, a seguito del quale la banca americana ha assunto il ruolo di capofila del progetto di risanamento di Monte dei paschi di Siena;
   non si conosce, inoltre, se il Ministero dell'economia e delle finanze prenderà parte all'aumento capitale di Monte dei paschi di Siena e a quali condizioni, né chi si sta occupando di studiare la fattibilità e gli effetti delle possibili alternative, in modo da evitare incertezze se il ricorso al mercato non fosse attuabile;
   ad oggi, si presentano diverse ipotesi per il risanamento: procedere con le negoziazioni con i fondi sovrani ed investitori stranieri (attraverso cui potrebbero essere prospettate forme di rendimento garantito o privilegiato per questi investitori); intervenire per risarcire i piccoli risparmiatori (nel caso di una conversione di obbligazioni subordinate vendute alla clientela al dettaglio in capitale di Monte dei paschi di Siena); nazionalizzare Monte dei paschi di Siena o attivare la procedura di bail in (nel caso di mancanza di interesse da parte del mercato) –:
   se il Ministro interrogato voglia urgentemente chiarire quale strada tra quelle esplicitate in premessa intenda adottare per il risanamento di Monte dei paschi di Siena. (3-02545)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio cremonese, parmigiano e piacentino, vi è una significativa presenza di imbarcazioni che navigano sul fiume Po;
   le persone imbarcate cambiano settimanalmente, mentre i mezzi natanti sono sempre gli stessi, quindi si presume un'attività di noleggio con e senza conduttore, in quanto le persone imbarcate non possono essere i possessori o gli intestatari del natante;
   ciò di fatto configura un'attività commerciale che sfrutta le risorse fluviali e che pare non risulti sconosciuta agli organi di vigilanza;
   il noleggio di imbarcazioni in Lombardia ed in Emilia Romagna è regolato come segue: licenza per noleggio rilasciata dal comune, iscrizione delle imbarcazioni al «R.u.d.l.n.», licenza di navigazione rilasciata dall'ufficio navigazione della motorizzazione, obbligo di applicazione sulla prua delle imbarcazioni, su entrambi i lati, della ragione sociale dell'azienda, del club o dell'associazione, obbligo dell'applicazione su entrambi i lati della barca del numero di matricola rilasciato dall'ente regionale porti, registrazione su apposito registro degli occupanti l'imbarcazione con data e ora di partenza e di arrivo;
   sul fiume queste «organizzazioni» sembrano essersi divise il territorio con concessioni di pesca virtuali;
   le attività in questione risultano ubicate in alcuni comuni dell'asta del fiume, tra cui, a quanto risulta all'interrogante, Torricella di Sissa (Parma) con circa 7/9 barche da circa 10 anni e Cremona con 6/7 barche da circa 5 anni;
   l'attività di noleggio di imbarcazioni di queste organizzazioni è svolta da marzo a novembre in maniera continuativa. Navigando nei siti internet, a quanto consta all'interrogante si può facilmente dedurre che ogni barca è affittata settimanalmente a due o tre persone a circa euro 1000 –:
   se il Governo intenda attivare opportune verifiche, per quanto di competenza, affinché si faccia luce su tali attività al fine di ottenere un quadro d'insieme della situazione ed in merito alla posizione non solo reddituale e fiscale, ma anche operativa e settoriale dell'attività sopracitata. (4-14460)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attesa dell'adeguamento delle linee secondarie pugliesi alle nuove forme di sicurezza, che secondo le previsioni richiederà non meno di 2 anni e una somma compresa fra i 200 e i 300 milioni di euro, dal 1o ottobre 2016 le tratte ferroviarie non dotate di sistema SMCT devono essere percorse ad una velocità di 50 chilometri orari;
   il problema del trasporto ferroviario pugliese non consiste solo nel completare l'installazione del sistema di controllo della marcia sui treni, quanto soprattutto nell'eliminazione dei passaggi a livello privati: 400 sulle Sud-est e 30 su FerGargano, oltre alle complicazioni causate dal passaggio di competenze fra Ufficio speciale a impianti fissi e Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, che sembra aver bloccato tutto per i prossimi 6 mesi;
   i rallentamenti, che arrivano anche a registrare maggiorazioni di 10 minuti su ogni tratta, stanno inevitabilmente dirottando la domanda verso i servizi su gomma, con il conseguente sovraffollamento degli utenti nelle tratte e negli orari in cui viaggiano i pendolari;
   l'integrazione annunciata dei trasporti a favore degli utenti della tratta Barletta-Bari, è stata disattesa e nella stazione di Corato, ad eccezione di un paio di casi, tra l'arrivo dell'autobus e la partenza del treno si attendono mediamente 20 minuti;
   è inaccettabile che per collegare due capoluoghi di provincia distanti appena 50 chilometri si impieghino circa 90 minuti, pagando, fra l'altro, un biglietto o un abbonamento che non è stato minimamente ridotto –:
   se non ritenga opportuno farsi promotore, per quanto di competenza, dell'istituzione di un tavolo di concertazione che coinvolga tutti i soggetti interessati, al fine di addivenire ad una soluzione condivisa che tuteli il diritto alla mobilità degli abitanti pugliesi che si servono dei treni nella tratta Barletta-Bari per recarsi regolarmente a scuola o lavoro. (4-14455)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la provincia di Bolzano ha deciso unilateralmente di revocare la possibilità di essere accolti a tutti coloro i quali, benché «vulnerabili», siano arrivati sul territorio per chiedere asilo senza essere inviati direttamente dal Ministero. Questo è il contenuto della circolare del direttore della ripartizione politiche sociali della provincia autonoma di Bolzano, ispirata dalla assessora provinciale al sociale Martha Stocker, in materia di accoglienza dei cosiddetti profughi «vulnerabili» (donne in gravidanza, donne con bambini piccoli o persone malate, e altro), la parte più debole delle persone che si trovano in stato di bisogno;
   si tratta di un provvedimento in continuità con i precedenti rifiuti della stessa provincia di aderire allo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e di offrire un'accoglienza dignitosa alle persone che fanno richiesta d'asilo in provincia di Bolzano, lasciandole senza servizi essenziali ai quali avrebbero diritto, come la scuola d'italiano, l'orientamento legale, offerte formative, e altro;
   attualmente i profughi in provincia di Bolzano sono 1.400 su una popolazione di oltre 500.000 abitanti: una quota facilmente sostenibile dal territorio. Si preferisce, invece, creare vere e proprie situazioni di emergenza concentrandole tutte, peraltro, nel capoluogo attuando, a giudizio degli interpellanti, la cinica e irresponsabile filosofia del «peggio li trattiamo, meno ne arrivano». In questo modo si aumenta la sofferenza delle persone e si moltiplicano le tensioni sociali e le situazioni di disagio;
   la «circolare Critelli», in sostanza, esclude dall'accoglienza temporanea quasi tutti i profughi «vulnerabili» perché esclude coloro che hanno attraversato altri Paesi europei o extra europei nei quali potevano chiedere asilo e rincara la dose, per quanto riguarda le famiglie, prevedendo l'accoglienza delle mamme e dei figli minori, ma solo di età inferiore ai 14 anni. Il padre e altri membri adulti del nucleo familiare sono esclusi a meno che non siano gli unici adulti del gruppo familiare. Vuol dire, in sostanza, centinaia di persone a spasso in situazione di forte disagio e, comunque, una divisione di molti nuclei familiari;
   a parere degli interpellanti sono comprensibili le proteste delle Caritas, del vescovo Ivo Muser e di tante associazioni di fronte a questo crudele «muro» burocratico identico a quelli che si sono costruiti nel resto d'Europa;
   a giudizio degli interpellanti la circolare dovrebbe essere ritirata o, comunque, dichiarata illegittima in quando nega diritti fondamentali a persone in stato di bisogno e la provincia dovrebbe finalmente attuare una politica di accoglienza e integrazione seria e adeguata –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire, per quanto di competenza, per prevenire qualunque azione che possa portare a pericoli per l'ordine pubblico favorendo l'inserimento e la distribuzione nel territorio di persone che vivono sulla propria pelle già un pesante disagio;
   se il Ministro interrogato non ritenga di avvalersi, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltre alle amministrazioni statali interessate, la Conferenza delle regioni, l'UPI e l'ANCI, così come analogamente il prefetto del comune capoluogo di regione attiva e presiede i tavoli di coordinamento regionale, aperti alla partecipazione di regione, province e comuni con il compito di realizzare a livello locale le strategie operative definite dal tavolo nazionale, al fine di esercitare tutte le iniziative possibili per il pieno coinvolgimento della provincia di Bolzano nello SPRAR in modo che essa possa ricevere un'appropriata quota di rifugiati.
(2-01500) «Kronbichler, Scotto».

Interrogazione a risposta immediata:


   MILANATO, BRUNETTA, SECCO e ALBERTO GIORGETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi il Veneto registra la presenza di 12.359 richiedenti asilo; la situazione è molto critica nella provincia di Padova, in particolare nel centro di accoglienza di Bagnoli, dove qualche giorno fa ha avuto luogo una vera e propria rivolta dei profughi ospitati nell'ex base militare di San Siro, che denunciavano con cartelli in francese e in inglese le condizioni del centro;
   a Bagnoli i migranti sono stipati in poco spazio e in condizioni precarie; la presenza del centro crea poi un'evidente tensione nella popolazione locale; l’hub di Bagnoli ospita circa mille migranti (a fronte dei 120 inizialmente assegnati) e si trova a soli 6 chilometri da un altro centro in sovraffollamento (Conetta);
   le drammatiche condizioni del centro di Bagnoli hanno sollevato l'allarme del dipartimento immigrazione del Ministero dell'interno; il capo dipartimento, Mario Morcone, ha infatti dichiarato che è necessario trovare delle soluzioni sul territorio padovano per «svuotare Bagnoli di almeno metà delle presenze». E ancora: «Stiamo ragionando con il Ministero della difesa, niente è escluso a priori, nemmeno Abano»;
   tali dichiarazioni giungono all'indomani delle rassicurazioni della prefettura di Padova in merito alla sospensione del progetto di trasformare la caserma del «I Roc» di Abano Terme in hub provinciale per l'accoglienza dei profughi;
   la scelta di dislocare i richiedenti asilo nella ex base Nato del «I Roc» a Giarre, frazione del comune di Abano Terme – ente locale commissariato nel mese di giugno 2016 – rischierebbe di colpire al cuore l'economia del comune, che vive quasi interamente di turismo; sarebbero infatti inevitabili le ricadute negative per il comparto turistico legato al centro termale della città, che dà sostentamento a circa cinquemila famiglie;
   il dubbio, a parere degli interroganti, è che se oggi Abano avesse un sindaco in carica, e quindi un consiglio comunale e un interlocutore politico in grado di reagire ad un’«imposizione» dall'alto, forse le scelte sarebbero comunque altre;
   lo stesso commissario prefettizio, Pasquale Aversa, aveva infatti avuto modo di dichiarare di essere «un lavoratore dipendente», che non avrebbe potuto decidere in merito all'istituzione del nuovo centro di accoglienza –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire definitivamente le intenzioni in merito al progetto di trasformare la caserma del «I Roc» di Abano Terme in un centro di accoglienza e quali siano gli interventi previsti nella provincia di Padova per superare l'emergenza del sovraffollamento del centro di Bagnoli. (3-02544)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministro dell'interno del 24 febbraio 2014 veniva indetto un concorso pubblico per titoli, finalizzato all'assunzione di 37 atleti da assegnare alle Fiamme oro (i gruppi sportivi della polizia di Stato), con a esso inquadramento nel ruolo agenti assistenti della polizia di Stato;
   all'articolo 1 del suddetto bando si prevedeva l'assunzione di un'atleta di sesso femminile per la disciplina pesistica categoria 58 chilogrammi;
   con un altro decreto del Ministero dell'interno, il n. 333 del 6 giugno 2014, si pubblicavano la graduatoria di merito e la relativa dichiarazione dei vincitori;
   per la predetta disciplina «pesistica femminile Kg. 58», per la quale avevano concorso quattro candidate, risultava vincitrice Simona Boschi;
   tale circostanza destava notevole stupore nell'ambito delle società sportive aderenti alla FIPE (Federazione italiana pesistica), atteso che l'accesso ai gruppi sportivi militari o di polizia e riservato ad atleti di alto livello, ritenuti di interesse nazionale, e componenti delle squadre nazionali;
   l'atleta risultata vincitrice era ed è invece pressoché sconosciuta nell'ambito del ristretto giro dei praticanti l'attività agonistica pesistica a livello nazionale;
   Simona Boschi aveva in effetti scavalcato in graduatoria atleti di livello indiscutibilmente superiore come Martina Pascutto, campionessa italiana Under 17 in carica nella categoria 58 chilogrammi;
   seguivano ricorsi e da ultimo un pronunciamento del Tar del Lazio, avverso a Simona Boschi e favorevole a Martina Pascutto;
   con la sentenza del Tar del Lazio n. 11289/2014 del 30 ottobre 2014, la giustizia amministrativa ha accolto il ricorso in cui si ipotizzava che la certificazione rilasciata dalla FIPE (Federazione italiana pesistica) fosse erronea, se non addirittura deliberatamente falsificata, a vantaggio di Simona Boschi;
   l'erronea valutazione dei titoli e dei conseguenti punteggi assegnati che aveva consentito l'assunzione della Boschi veniva ritenuta illegittima, provocando di conseguenza la sua retrocessione nella graduatoria;
   a seguito della medesima sentenza del Tar, Martina Pascutto veniva invece legittimamente dichiarata vincitrice del concorso, assunta in servizio nei ruoli della polizia di Stato e quindi impiegata in qualità di atleta nei Gruppi Sportivi Fiamme Oro, nella sezione sollevamento pesi;
   le pratiche concernenti Simona Boschi sarebbero state altresì viziate da numerose ulteriori irregolarità rilevate dalla giustizia amministrativa –:
   se il Governo non intenda avviare le iniziative di competenza per accertare le responsabilità oggettive e soggettive degli attori coinvolti nella vicenda generalizzata in premessa;
   qualora ne ricorrano i presupposti, se il Governo non intenda disporre le eventuali ulteriori iniziative del caso, ivi compresa la rimozione dal reparto dei gruppi sportivi Fiamme oro delle persone che hanno convocato ai raduni-allenamenti degli atleti che non possedevano le caratteristiche adeguate a prendervi parte nonché delle autorità interne preposte al controllo di questi atti;
   se il Governo sia in grado di stabilire le cause che hanno consentito alla Simona Boschi di godere di un trattamento tanto privilegiato, ai fini del suo reclutamento. (4-14461)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, il 26 settembre 2016, su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha scelto la data del referendum popolare confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione sulla legge costituzionale «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione» per il giorno 4 dicembre 2016;
   il 6 ottobre 2016 presso l'aula magna dell'istituto tecnico statale Aterno-Manthonè di Pescara si è tenuto un incontro-dibattito sul referendum costituzionale; al confronto nell'ambito del quale entrambe le posizioni di voto sono state espresse da Francesco Bilancia e Giampiero Di Plinio, docenti dell'università D'Annunzio, ha partecipato anche il presidente della regione Abruzzo Luciano D'Alfonso. Come si evince dalle numerose note stampa, l'incontro conclude una serie di incontri, tenuti dal professor Bacceli con gli studenti delle classi quinte, volti all'approfondimento del progetto di revisione costituzionale approvato dal Parlamento, al fine di esercitare in modo consapevole il diritto di voto nel referendum;
   come si evince dalle dichiarazioni che Luciano D'Alfonso ha rilasciato alla stampa in occasione dell'incontro presso l'istituto tecnico statale Aterno-Manthonè di Pescara, l'intervento e la presenza dello stesso è stato palesemente orientato a favore del «SI», sbilanciando il dibattito in una direzione favorevole alla riforme costituzionale. Infatti, D'Alfonso dichiara che «dalla riforma del 2001 ad oggi la Corte Costituzionale è stata ingolfata di cause tra Stato e Regioni, per la marea di competenze che sono state assegnate alle regioni»; con questa nuova riforma, secondo D'Alfonso «almeno si precisano le competenze, cioè si dà alle regioni il potere del fare, ed è più chiaro il rapporto con infrastrutture e trasporti. Avremo meno materie, ma la cosa sarà compensata dalla presenza politica delle regioni nel nuovo senato, perché nel nuovo senato ci sarà anche la presenza “fisica” delle regioni. Esattamente come sostengo la clausola di salvaguardia ricordandomi cosa proposero in termini di istruzione e immigrazione alcune regioni del nord»;
   è evidente che la presenza di una carica istituzionale impersonata da un uomo di partito non garantisce un equilibrio nel dibattito e squilibra le posizioni. Ad avviso dell'interrogante, le istituzioni scolastiche in occasioni di tali confronti devono necessariamente garantire, oltre al pluralismo delle idee, anche un equilibrio sostanziale delle voci presenti invitando, semmai, al confronto anche le controparti politiche;
   ad avviso degli interroganti, questa situazione potrebbe ripetersi in tutte le istituzioni scolastiche italiane, per cui è necessario ribadire la dovuta imparzialità delle istituzioni scolastiche nell'ambito di tali attività –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per garantire l'imparzialità nelle attività formative della scuola, anche in quelle extracurricolari, che abbiano quale tema la riforma costituzionale del 4 dicembre 2016, e se intenda assicurare tale imparzialità, ove ne ricorrano i presupposti, anche attraverso l'emanazione di un'apposita circolare in cui si impegnino e vincolino i dirigenti scolastici ad assicurare un'equa presenza di esponenti e rappresentanti delle ragioni del «Si» quanto di quelle del «No», appartenenti sia ai vari schieramenti politici, sia ai comitati referendari. (5-09731)


   PANNARALE e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con una circolare del 4 ottobre 2016 rivolta a docenti, famiglie ed allievi, e pubblicata sul sito istituzionale della scuola, il dirigente scolastico dell'istituto superiore «Galileo Ferraris» di Caserta, Professoressa Antonietta Tarantino, ha diramato le modalità con le quali gli stessi avrebbero dovuto partecipare l'8 ottobre 2016, in orario scolastico, al corteo, gemellato con Milano e denominato «Marcia per la vita» ed indetto per l'abrogazione delle legge n. 194 del 1978;
   nella stessa circolare la manifestazione, chiamata «NO194 per l'abrogazione referendaria della legge 194» veniva pubblicizzata alle famiglie degli studenti come una generica marcia per ricordare l'opera del Premio Nobel per la Pace Madre Teresa di Calcutta, recentemente ritornata alla ribalta in occasione della sua santificazione ma anche per le sue gravi affermazioni sull'aborto quale «distruttore della pace»;
   oltre a rassicurare le famiglie sulla presenza di adeguato personale docente accompagnatore, che avrebbe dovuto vegliare per tutto il tempo della manifestazione sugli alunni, la circolare evidenziava che anche altre scuole casertane avrebbero aderito all'iniziativa, facendo pertanto anche un'operazione promozionale dell'evento. Inoltre, la stessa circolare precisava che i docenti presenti al corteo avrebbero registrato le presenze degli alunni, facendo intendere che la partecipazione degli stessi all'iniziativa fosse obbligatoria, poiché al contrario gli studenti assenti avrebbero dovuto l'indomani rientrare in classe muniti di giustificazione;
   la suddetta circolare, che, obbligando di fatto gli studenti a mobilitarsi contro la legge n. 194, aveva nel frattempo causato un eco d'indignazione e scatenato un'accesissima polemica sui social network, è stata successivamente revocata da una seconda circolare del 7 ottobre, per non meglio specificati «motivi organizzativi interni»;
   l'iniziativa del dirigente scolastico dell'istituto Ferraris che avrebbe permesso agli studenti di partecipare durante l'orario scolastico ad una manifestazione pubblicizzata da tempo dagli stessi organizzatori come antiabortista, rappresenta, a parere delle interroganti, un cattivo esempio di indottrinamento ed una gravissima violazione del principio cardine di laicità dello Stato e delle istituzioni che lo rappresentano;
   il Ministro interrogato ha prontamente inviato degli ispettori presso un altro istituto che nei giorni scorsi si è fatto promotore dell'evento, il Foscolo di Teano, al fine di approfondire le ragioni che hanno determinato il dirigente scolastico a prendere parte all'iniziativa antiabortista –:
   se non ritenga di dover urgentemente disporre un'ispezione anche nei confronti di tutti gli altri istituti che alla vigilia della cosiddetta «Marcia per la vita» avevano comunque avallato la manifestazione, incluso l'istituto superiore «Galileo Ferraris» di Caserta. (5-09735)


   VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, LUPO, SIBILIA, FERRARESI, LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale (ASN), volta ad attestare la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per essere ammessi a partecipare alle procedure di chiamata di professori di prima o di seconda fascia da parte delle università;
   con decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, è stato emanato il regolamento concernente il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso al ruolo dei professori universitari;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 7 giugno 2012 ha emanato il decreto n. 76, concernente «Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell'attribuzione dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, ed esplicitante le modalità di accertamento della qualificazione dei commissari ai sensi dell'articolo 16, comma 3, lettere a), b) e c) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e degli articoli 4 e 6, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222»;
   per l'espletamento delle procedure dell'abilitazione scientifica nazionale è necessario costituire commissioni nazionali che per ciascun settore siano composte da cinque membri;
   con l'emanazione del decreto direttoriale n. 181 del 27 giugno 2012, è stata avviata la procedura per la formazione delle commissioni nazionali per il conferimento dell'abilitazione alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia;
   a norma dell'articolo 7 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, per ciascun settore scientifico-disciplinare è stato a suo tempo previamente formato un elenco in ordine alfabetico dei docenti candidati ad entrare in commissione, a ciascuno dei quali è stato assegnato il numero d'ordine corrispondente alla posizione occupata nella lista;
   l'articolo 7 comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, prevede che il sorteggio avvenga tramite procedure informatizzate, preventivamente validate da un, comitato tecnico composto da non più di cinque membri e nominato con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   con nota del Ministero pubblicata sulla pagina web della abilitazione scientifica nazionale sono state stabilite le modalità di sorteggio delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222. Tale nota, al punto n. 3), ha previsto che per ciascun settore concorsuale tutti gli aspiranti commissari sono collocati in ordine alfabetico per cognome e nome, ed è attribuito un numero d'ordine progressivo a ogni docente nella lista; al punto n. 4), ha fissato la seguente procedura, cosiddetta norma anti-brogli: «Si determina il numero N massimo, pari al numero dei componenti la lista più numerosa tra quelle partecipanti alla procedura di sorteggio. Si procede quindi a estrarre una sequenza casuale senza ripetizioni dei numeri da 1 a N massimo che comprenda una e una sola volta tutti i numeri suddetti. La sequenza è unica per tutte le commissioni onde garantire la massima sicurezza e semplicità della procedura»; al punto n. 5), si procede alla formazione delle commissioni, sulla base delle liste numerate secondo quanto indicato al punto 3) e della sequenza generata secondo quanto indicato al punto 4);
   contravvenendo alla previsione che imponeva l'unicità della sequenza numerica, relativamente alle tornate di abilitazione 2012 e 2013 a quanto consta agli interroganti si sarebbe estratta una stringa differente per ognuno dei diversi giorni in cui, inopinatamente, si sono tenuti i sorteggi;
   né il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, né altra fonte normativa conosciuta all'interrogante, stabilisce quali siano le modalità di funzionamento delle procedure informatizzate di estrazione a sorte dei membri delle commissioni giudicatrici;
   l'unico dato certo è quanto stabilito dal decreto ministeriale del 12 giugno 2012, n. 158, in cui ci si limita ad istituire un Comitato tecnico per la validazione delle procedure informatiche;
   qualunque procedura di estrazione a sorte di collegi aventi funzioni giudicanti deve essere improntata alla massima trasparenza in ogni suo passaggio;
   a tal fine le modalità tradizionali di sorteggio hanno sempre comportato la verifica preventiva sulle schede o su altro supporto corrispondenti al numero dei commissari da nominare, l'allestimento di un'urna apposita, il suggello della medesima a scopo di custodia, l'estrazione in pubblica udienza, sotto il controllo di pubblici ufficiali esterni all'amministrazione interessata, tenuti ad attestare la correttezza di tutte le operazioni e a redigere apposito verbale; anche per le procedure informatizzate, in luogo delle modalità manuali, occorrerà perciò individuare, previamente, le garanzie di trasparenza idonee e adeguate al mutato sistema di estrazione a sorte;
   non si è a conoscenza delle modalità tecniche di funzionamento della procedura informatica da validare, circostanza che non consente di verificare la correttezza delle operazioni effettuate, dell'elaboratore designato e software prescelto, delle modalità di funzionamento del meccanismo automatico diretto a determinare la casualità dell'estrazione, sicurezza delle chiavi crittografiche relative all'algoritmo di sorteggio, dei soggetti autorizzati all'accesso nel sistema, delle modalità protette dell'ingresso medesimo, dei presidi a tutela della inalterabilità dei dati (controllo dei file di log), dei report di verifica del corretto funzionamento del sistema, della modalità manuale o elettronica di attivazione finale del programma;
   a giudizio dell'interrogante, secondo quanto è reso pubblico sul portale dell'abilitazione scientifica nazionale, la procedura di formazione delle commissioni giudicatrici è carente di ogni requisito idoneo a garantire la verifica del risultato con particolare riferimento alle modalità di formazione della sequenza numerica per la formazione delle commissioni –:
   per quale motivo non sia stata utilizzata la stessa sequenza generata per la formazione di tutte le commissioni concorsuali;
   quali siano le modalità tecniche di funzionamento della procedura informatica da validare, dell'elaboratore designato, quale sia il software prescelto, quale sia il funzionamento del meccanismo automatico diretto a determinare la casualità dell'estrazione, quali siano i soggetti autorizzati all'accesso nel sistema ed ogni altra procedura utilizzata nell'operazione di sorteggio della sequenza numerica, dei presidi a tutela della inalterabilità dei dati (controllo dei file di log), dei report di verifica del corretto funzionamento del sistema;
   in quale documento ufficiale siano codificate le procedure da eseguire per l'estrazione della sequenza numerica;
   se per il futuro il Ministro intenda utilizzare procedure più trasparenti, che garantiscano la formazione delle commissioni giudicatrici anche utilizzando la stessa sequenza generata per tutti i settori concorsuali. (5-09737)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da circa 6 anni è attivo a Lecce l'istituto di nanoscienze del Cnr, come sede distaccata di Pisa, nel quale operano circa 30 persone tra ricercatori, studenti, dottorandi, assegnisti e professori che con le loro ricerche e pubblicazioni hanno contributo ad importanti scoperte in campo scientifico;
   si apprende dalla stampa e dalle preoccupazioni degli stessi ricercatori che ad agosto 2016, senza preavviso e senza motivo, il Cnr ha comunicato di voler chiudere detto istituto precisando che si tratterebbe di motivazioni né scientifiche né economiche, ma «strategiche»;
   in seguito a ciò molti di coloro che lavorano in questo istituto, seppur giovani e validi professionisti, sono stati messi dinanzi alla necessità di doversi anche trasferire a Pisa;
   sempre dalla stampa si apprende che la strategia del Cnr, in linea con il piano nazionale di ricerca, sarebbe quella di accorpare nella sede di Pisa nanotecnologie e nanoscienze di Lecce garantendo professionalità e posti di lavoro –:
   quali siano i motivi che hanno indotto il Cnr a decidere di sopprimere l'istituto di nanoscienze di Lecce;
   se corrisponda, al vero che l'istituto verrà unificato a quello di nanotecnologie e, in caso affermativo, se il Ministro interrogato non ritenga preferibile che sia mantenuta l'autonomia tra i due istituti a garanzia delle professionalità delle persone che vi lavorano;
   quali siano le previsioni di investimenti del piano nazionale della ricerca per il Mezzogiorno e per la Puglia e quali le strategie per combattere la cosiddetta «fuga di cervelli» che tanto sta depauperando questo territorio. (4-14453)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa, l'interrogante ha appreso che a Reggio Emilia, su un autobus dell'azienda dei trasporti Seta, un bimbo down è stato multato, perché in possesso di un biglietto che consentiva una corsa più breve di quella che stava svolgendo;
   il bambino ha regolarmente acquistato e timbrato il proprio titolo di viaggio a bordo del mezzo, ma evidentemente per un'incomprensione con il bigliettaio aveva ottenuto un tagliando che permetteva un altro tipo di corsa;
   sempre da notizie di stampa risulta che l'azienda dei trasporti Seta abbia contattato la famiglia per scusarsi; intanto, però, il bambino è tornato a casa agitato, faticando a spiegare l'accaduto e affermando di non voler più prendere il tram, come risulta da un post su Facebook pubblicato dalla madre –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro interrogato, perché sia sempre favorita l'inclusione sociale e la possibilità di esercitare i propri diritti, affinché episodi come quello descritto in premessa non abbiano a ripetersi. (5-09734)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Germania nasce nel 2014 la società Foodora, attiva nel servizio di consegna a domicilio di pasti preparati in ristoranti convenzionati;
   il sistema prevede la prenotazione attraverso app o sito e il trasporto tramite bicicletta;
   in Italia inizia ad operare come Foodora Italia nel 2015 nelle città di Milano e Torino, con attività in rapidissima crescita;
   i lavoratori impegnati nel trasporto erano inizialmente ingaggiati con contratti che prevedevano un compenso orario vicino ai 5 euro, per poi passare ad inquadrarli come liberi professionisti pagati 2,70 euro a consegna;
   i lavoratori sono tenuti a fornire a proprie spese bicicletta, smartphone e spese telefoniche, ma sono tenuti a indossare divise aziendali e di fatto sottoposti a una organizzazione del lavoro stabilita da Foodora;
   in data 8 ottobre 2016 a Torino circa 50 operatori hanno dato vita a una manifestazione di protesta, per segnalare condizioni di lavoro e di retribuzione non adeguata, invitando i clienti a sostenere la loro vertenza;
   in risposta, gli amministratori di Foodora Italia hanno comunicato la disponibilità a colloqui individuali, escludendo a priori qualsiasi possibilità di rappresentanza collettiva, con ciò ponendosi fuori da ogni volontà di corrette relazioni industriali;
   in data 10 ottobre 2016 si viene a conoscenza dalla stampa del fatto che due promoter della società, accusate di aver solidarizzato con la protesta, sono state di fatto licenziate, attraverso il blocco dell'accesso alla app che consente di lavorare;
   questo comportamento da parte dell'azienda appare agli interroganti lesivo di fatto del diritto del lavoro, senza che si possa invocare la cosiddetta sharing economy come giustificazione di comportamenti lesivi di diritti fondamentali, quali quello alla manifestazione del proprio pensiero e alla lotta per migliorare le proprie condizioni di lavoro –:
   se il Ministro interrogato non intenda attivarsi, anche tramite iniziative ispettive, per verificare quali siano i rapporti di lavoro in essere presso Foodora e se questi non si configurino di fatto come di lavoro dipendente;
   se il comportamento succitato dell'azienda sia in linea con le previsioni normative sul diritto alla mobilitazione e alla rappresentanza sindacale;
   se il Ministro interrogato non intenda convocare un tavolo istituzionale, coinvolgendo le parti interessate al fine di verificare: le motivazioni relative ai licenziamenti di fatto avvenuti, mediante il divieto di accesso alla app che consente di lavorare, a seguito delle iniziative di Torino e Milano dei 50 operatori; le reali condizioni di lavoro e i relativi contratti presso l'azienda Foodora;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed improcrastinabile intervenire anche assumendo iniziative normative per disciplinare i rapporti di lavoro nelle start up che operano nell'ambito della sharing economy, tenuto conto che si stanno evidenziando notevoli problematiche sia contrattuali che relative ai diritti dei lavoratori come accaduto nei giorni scorsi con la società Foodora Italia.
(4-14457)


   D'ATTORRE e MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che l'A4 Costruzioni manderà in mobilità i 44 lavoratori che hanno costruito la bretella di Alte Ceccato;
   con un sit in davanti al casello di ingresso dell'autostrada a Montecchio, i dipendenti della società, una volta chiamata Serenissima Costruzioni, si sono trovati per protestare contro l'apertura della procedura di mobilità nei confronti di 44 addetti su 140 dipendenti;
   questa decisione è stata respinta con forza da Fillea-Cgil, Filca-Cisl, Feneal-Uil di Vicenza che sostengono la possibilità di attivare strumenti alternativi, come la cassa integrazione straordinaria;
   l'A4 Costruzioni è controllata al 100 per cento da A4 Holding Brescia-Padova, di recente acquisita per 51,4 per cento dal gruppo spagnolo Abertis;
   tutto sarebbe riconducibile alla riforma dei contratti pubblici che dovrebbe obbligare i concessionari autostradali a garantire che almeno l'80 per cento dei lavori di ampliamento e manutenzione della rete stradale finisca sul mercato. Alessandro Fabris di Filca-Cisl ha affermato che ancora mancano i decreti attuativi perché c’è una vertenza a livello nazionale che è stata aperta proprio su questo settore. Nonostante ciò l'A4 Costruzioni ha fatto partire un'operazione di ristrutturazione e quindi la società ha dichiarato gli oltre 40 esuberi. Sono gli stessi operai che hanno costruito la bretella e gli impiegati che hanno seguito la parte amministrativa. Qui si parla di licenziamenti senza che siano prese in considerazione alternative;
   molti operai sono veneti, altri invece provengono da varie parti d'Italia: Sicilia, Campania e Puglia. Queste persone hanno lasciato la famiglia per lavorare lontano e ora si ritroveranno senza un posto di lavoro. Sono uomini e donne che hanno dato tanto alla società e vengono ricambiati con il licenziamento;
   Massimo Esposito di Fillea-Cgil ha sostenuto che, con queste mobilità, si svuoterà di un terzo la loro attività di costruzioni e che i sindacati stanno tentando altre strade per non lasciare i lavoratori a casa;
   i vertici aziendali hanno comunicato ai sindacati che, una volta definitivamente concluso il cantiere della bretella e considerato che la maggior parte dei lavori non potranno più effettuarsi « in house», non sarà possibile dare questi in subappalto ad A4 Costruzioni. Ma dato che A4 Holding dispone di oltre mille dipendenti, i sindacati sostengono che potrebbero assumere i lavoratori considerati in esubero;
   a fronte della scelta aziendale, quindi, le organizzazioni sindacali hanno dichiarato lo stato di agitazione e il primo sciopero si concretizzerà proprio dove inizia la bretella, aperta al traffico poche settimane fa;
   Giacomo Pirro di Feneal-Uil ha commentato: «Tempo addietro la società, a cantiere avanzato aveva già operato delle mobilità e aveva detto che i dipendenti che restavano sarebbero stati il gruppo fondante dell'azienda che doveva competere nel mercato libero. Ciò indipendentemente dal cambio di proprietà. Contrariamente alle promesse che erano state fatte, oggi ne ha aperto altre. Ci sentiamo presi in giro»;
   nelle prossime settimane le organizzazioni sindacali incontreranno la regione Veneto per approfondire il tema dei licenziamenti. L'A4 Holding, interpellata sulla questione, ha risposto che per il momento non ha alcuna dichiarazione da rilasciare –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano convocare urgentemente un tavolo di confronto con le parti sociali per scongiurare la perdita di posti di lavoro e trovare un'intesa fra le parti;
   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di accelerare le definizioni dei decreti attuativi relativi alla riforma dei contratti pubblici per garantire ai lavoratori di cui in premessa i diritti acquisiti. (4-14458)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni la Rai sta mandando in onda uno spot realizzato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
   lo spot elenca una serie di risultati positivi che deriverebbero dall'approvazione definitiva della riforma costituzionale ed è chiaramente finalizzato ad avviso degli interroganti ad orientare le intenzioni di voto del pubblico verso il «sì»;
   il contenuto dello spot ad avviso degli interroganti non solo non realizza una completa, corretta e imparziale informazione rispetto alle posizioni in campo, ma è anche chiaramente ingannevole, fazioso e tendenzioso;
   la Rai è la concessionaria di un servizio pubblico per il quale i cittadini pagano e, in quanto tale, deve trasmettere delle notizie che non siano espressione di una sola parte politica o di una sola forza in campo, ma deve fornire tutte quelle informazioni che permettano al pubblico di formarsi un'opinione propria –:
   se il Governo non ritenga di ritirare lo spot di cui in premessa, sostituendolo con uno i cui contenuti garantiscano la completezza, la correttezza e la neutralità dell'informazione. (3-02543)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   le adozioni dall'estero, che erano state 4.130 nel 2010, sono crollate negli ultimi anni: l'ultimo dato del 2015 indica 2.216 bambini adottati;
   la Commissione adozioni internazionali (CAI), ente che sovrintende le adozioni internazionali in Italia, in oltre 2 anni si è riunita una sola volta, il 27 giugno 2014, in occasione del suo insediamento, cioè da quando la commissione in oltre 2 anni è stata di fatto presieduta dalla dottoressa Silvia Della Monica;
   nello stesso periodo si sono succedute proteste e manifestazioni di piazza finalizzate a rappresentare il malcontento di genitori, enti, associazioni ed addetti ai lavori a causa di una gestione delle adozioni internazionali totalmente deficitaria per l'assoluta assenza di informazioni da parte della dottoressa Della Monica e di conseguenza della stessa CAI;
   il 21 giugno 2016, il Governo Renzi ha nominato la Ministra interrogata presidente della CAI; oggi, la stessa non è ancora riuscita ad incontrare il suo predecessore ed a ottenere il passaggio delle consegne;
   secondo un articolo pubblicato sul sito online Panorama.it, il Ministro interrogato ha convocato Della Monica l'11 luglio 2016, ma senza alcun risultato;
   il 20 luglio 2016, in audizione in Commissione giustizia, la Ministra interrogata dichiarò che avrebbe convocato la CAI «già in settembre», ma alla data di oggi la CAI non è ancora stata convocata –:
   per quali ragioni la Ministra interrogata non abbia ancora convocato la Commissione adozioni internazionali come dichiarato in audizione alla Camera dei deputati e quali iniziative intenda adottare per fare in modo che la CAI si smuova da questo immobilismo nell'esclusivo interesse dei bambini e dei genitori in attesa di adozione. (4-14456)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la salute dei lavoratori è un bene prezioso da tutelare per legge (decreto legislativo n. 81 del 2008). La sua tutela compete al datore di lavoro e i costi per esercitarla gravano sul medesimo;
   dal 1992 la categoria professionale degli insegnanti ha subito quattro riforme previdenziali «al buio» (cioè senza valutazione della variabile salute) che l'hanno proiettata dalle « baby-pensioni» ai 66 anni e 7 mesi per la quiescenza;
   la medesima categoria non ha mai visto riconosciute le proprie malattie professionali che, secondo gli studi attualmente disponibili in Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e altri Paesi, sono prevalentemente di natura psichiatrica, a causa dell'alta usura psicofisica per l'esercizio della professione (helping profession);
   l'attività di prevenzione dello Stress lavoro correlato (Slc) prevista nel decreto legislativo n. 81 del 2008 non è stata finanziata con fondi ad hoc e dunque non è stato possibile informare i docenti circa i loro rischi, né formare i dirigenti scolastici circa le loro incombenze medico-legali (tutela della salute dei docenti e dell'utenza in primis);
   l'articolo 28 del richiamato decreto legislativo n. 81 del 2008, totalmente disapplicato per l'interrogante, in quanto non finanziato con fondi ad hoc, prevede specificamente la tutela del lavoratore secondo genere ed età. Poiché le donne rappresentano l'82 per cento del corpo docente, risulta particolarmente penalizzato e dunque discriminato il genere femminile che presenta peraltro un'età media di 50,2 anni: periodo in cui il rischio depressivo risulta quintuplicato rispetto all'età fertile;
   lo spostamento degli accertamenti medici nei capoluoghi di regione, così come l'accentramento nella sola Roma della commissione di II Istanza per i ricorsi ai provvedimenti medici, rendono secondo l'interrogante assolutamente impervio ed economicamente oneroso, per il lavoratore ammalato, l'esercizio dei propri diritti in materia di tutela della propria salute in virtù delle lunghe trasferte;
   con apposita disposizione normativa (articolo 15, legge 128 del 2013) è stata inopinatamente disposta l'integrazione della commissione medica di verifica con un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca designato dall'ufficio scolastico regionale, nonostante lo stesso: a) non possieda competenze mediche; b) non possa venire a conoscenza della diagnosi in quanto datore di lavoro; c) non abbia uno specifico mandato in seno al Collegio Medico –:
   se intendano assumere iniziative normative al fine di individuare e riconoscere ufficialmente le malattie professionali degli insegnanti, processando ed elaborando i dati nazionali dei collegi medici di verifica in possesso dell'ufficio III del Ministero dell'economia e delle finanze;
   se intendano assumere iniziative per finanziare l'attività di prevenzione dello stress lavoro correlato prevista dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e per formare i dirigenti scolastici in materia di tutela della salute dei lavoratori come previsto dal decreto ministeriale n. 382 del 1998, che risulta per l'interrogante inapplicato;
   considerato che può essere riconosciuta come «discriminazione di genere» la mancata attuazione di attività per la prevenzione dello Stress lavoro correlato in ambiente scolastico, ove l'82 per cento dei docenti sono donne, se intendano assumere iniziative per l'implementazione di tali attività, di cui possono beneficiare le insegnanti;
   se intendano assumere iniziative normative per ripristinare gli accertamenti medici presso i collegi medici di verifica provinciali, anziché nei capoluoghi regionali e le commissioni di II istanza nelle quattro sedi precedenti (Milano, Roma, Napoli, Bari);
   se intendano assumere iniziative per revocare l'integrazione della commissione medica di verifica con un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, designato dall'Ufficio scolastico regionale ovvero provvedere a nominare un medico in rappresentanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che possieda le competenze sanitarie specifiche. (4-14462)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel 2014 e nel 2015, alcune inchieste giornalistiche e una successiva indagine della magistratura romana denominata «mondo di mezzo» hanno rivelato l'esistenza di un'organizzazione criminale «indigena» che – anche grazie ad una delinquenziale intesa tra pezzi di classe politica e classe imprenditoriale – ha per anni avvelenato il Governo della città di Roma;
   secondo quanto emerso dalle indagini, molte delle società coinvolte nell'inchiesta sono di natura cooperativa;
   in particolare, da una ricerca svolta sulle fonti di stampa, risulta che siano rimaste a vario titolo, sia direttamente che indirettamente, coinvolte nelle indagini relative all'inchiesta «mondo di mezzo» le seguenti società cooperativa: 1) Cooperativa 29 Giugno ONLUS, 2) 29 Giugno Servizi Società Cooperativa di Produzione e Lavoro, 3) Cooperativa Speciale ABC, 4) Eriches 29 Consorzio di Cooperative Sociali, 5) Dioniso Cooperativa Sociale, 6) Formula Sociale Società Cooperativa, 7) Casa Comune 2000, 8) Consorzio Formula ambiente, 9) Formula Sociale società cooperativa, 10) Formula Sociale società cooperativa sociale integrata a responsabilità limitata Onlus 11) La Cascina Cooperativa, 12) Domus Caritatis Società Cooperativa Sociale, 13) Tre Fontane Società Cooperativa Sociale, 14) Osa Mayor Cooperativa Sociale Onlus, 15) Mediterranea Cooperativa Sociale Onlus, 16) Edera Società Cooperativa Sociale, 17) CNS – Consorzio Nazionale Servizi Società cooperativa, 18) Consorzio Sol.co, 19) Tre Fontane Cooperativa Sociale, 20) Cooperativa Deposito Locomotive;
   quella relativa a «mafia capitale» è in realtà solo una delle inchieste che negli ultimi anni hanno lasciato intravedere un sempre più evidente collegamento tra politica e criminalità organizzata e mondo cooperativo, sempre più spesso coinvolto in tali scandali;
   infatti, altre indagini hanno coinvolto reti di cooperative: in particolare il consorzio Gesconet, riconducibile a Pierino Tulli, oggetto dell'interrogazione n. 4-08463 del 18 marzo 2015 che non ha avuto ancora risposta, al quale si contesta un'evasione complessiva di 1,7 miliardi di euro e vede indagate 62 persone per reati tributari, bancarotta e riciclaggio. Agli interpellanti risulta che a questo consorzio, è direttamente o indirettamente collegata una moltitudine di cooperative e consorzi tra cui: Consorzio Nord, Consorzio Centro, Consorzio Sud, La Mega Coop, Omega Group società cooperativa, Logistica Service, Cooperativa Storage S.c.r.l., Consorzio SAPP, Euro log società cooperativa, Punto lavoro società cooperativa, New services soc. coop., Log-out soc. coop., Consorzio C.L. in liquidazione coatta amministrativa, Consorzio C.P. – fallito, Gesco Centro Società consortile per azioni – fallita, Server Coop, Fin. Servizi, New Services, Maxima, Active, Log Out, New Energy, Work People, La Fiumicinese Giovanile di Produzione e Lavoro, Be Coop, Progettazione Restauri Consolidamenti, Edilmor, Cassiopea Coop, Even, El.Da. Soc Copp., C.E.D.E.S., Clean Services, Sicurint, D. & F., Ge. Tra. Ma., Logistic Services;
   per quanto riguarda la vicenda legata alla gestione del C.a.r.a. di Mineo, da diverse fonti stampa, si apprende che le cooperative coinvolte sono: Sisifo, capofila dell'Associazione temporanea d'imprese, il consorzio Sol Calatino, la Casa della solidarietà, Senis hospes, La Cascina e Pizzarotti s.p.a. (proprietaria della struttura);
   come noto, le società cooperative sono sottoposte alla vigilanza da parte del Ministero dello sviluppo economico, secondo quanto disposto dal decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, recante «Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi»;
   gli interpellanti ritengono di fondamentale importanza – anche al fine di accertare l'utilità e l'efficacia delle ispezioni ministeriali – appurare se negli anni a cui si riferiscono le accuse della magistratura tali società cooperative siano state oggetto di revisione da parte del Ministero delle sviluppo economico e con quale esito –:
   quali siano le date in cui le cooperative citate in premessa sono state negli ultimi dieci anni oggetto di eventuale ispezione e/o revisione da parte del Ministero dello sviluppo economico ai sensi del citato decreto legislativo n. 220 del 2002 e quale sia l'esito di tali ispezioni e/o revisioni, anche con riferimento a tutti gli eventuali soci delle suddette società che hanno la forma di cooperativa.
(2-01505) «Pesco, Luigi Di Maio, Crippa, Dadone, D'Ambrosio, Manlio Di Stefano, Dieni, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nuti, Parentela, Petraroli, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Tripiedi, Vacca, Vallascas, Vignaroli, Zolezzi».

Interrogazioni a risposta immediata:


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   appare grave la scelta comunicata da Almaviva di chiudere gli stabilimenti di Roma e Napoli, con il licenziamento di 2.511 lavoratrici e lavoratori, dopo un lungo periodo di contratti di solidarietà e di taglio degli stipendi;
   è altrettanto inaccettabile, a giudizio degli interroganti, anche il tentativo di scaricare la responsabilità sulle lavoratrici e sui lavoratori, nonché sulle rappresentanze sindacali per presunte indisponibilità a misure di riorganizzazione aziendale, ai fini dell'incremento della produttività;
   parimenti appare inaccettabile la proposta aziendale di trasferimento coatto di 154 operatori impegnati nella commessa Enel dalla sede di Palermo a quella di Rende;
   a giudizio degli interroganti le responsabilità di questi gravi licenziamenti, oltre che dell'azienda, sono di chi continua ad indire gare ad evidenza pubblica seguendo la logica del massimo ribasso, che giustificano trattamenti economici minimi e la violazione di qualsiasi norma fondamentale a tutela del diritto del lavoro e dei diritti sindacali;
   dall'audizione al Senato della Repubblica del 5 ottobre 2016 del Ministro interrogato sulle linee programmatiche del suo dicastero non si rileva alcun intervento normativo per contrastare il fenomeno della delocalizzazione delle attività produttive o comunque per aumentare i controlli, al fine di garantire il rispetto di quelle poche norme vigenti nell'ordinamento che risultano di fatto disapplicate, come nel caso di Almaviva;
   il Governo dovrebbe agire con maggiore decisione nelle iniziative di contrasto e nei tavoli istituzionali di crisi come quello di Almaviva –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, si intendano mettere in campo al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori di cui in premessa e, in particolare, se il Governo intenda convocare con immediatezza i vertici aziendali di Almaviva per raggiungere un accordo di stabilizzazione della crisi occupazionale in corso.
(3-02549)


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   rispetto ai maggiori Paesi sviluppati, l'apparato produttivo italiano si distingue per l'elevato numero di imprese attive e una dimensione media di queste più ridotta;
   nelle microimprese con meno di 10 addetti si concentra quasi il 95 per cento delle 4.338.766 imprese, il 47,7 per cento degli addetti, il 25,4 per cento dei dipendenti, il 28,9 per cento del fatturato ed il 33,8 per cento del valore aggiunto;
   le imprese di maggiori dimensioni sono, invece, 3.320 unità e assorbono il 18,6 per cento del totale degli addetti, il 27,7 per cento dei dipendenti, il 28,8 per cento del fatturato e il 27,6 per cento del valore aggiunto complessivo;
   la principale caratteristica delle piccole e medie imprese italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l'espressione più completa nei distretti industriali;
   i distretti industriali italiani rappresentano, dunque, uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente a gestione familiare;
   i distretti industriali italiani si sono sviluppati in maniera largamente autonoma durante gli ultimi decenni, concentrando le loro attività su settori specifici (tessile, abbigliamento, meccanica, cuoio, legno ed altro) nei quali hanno acquisito e sviluppato vantaggi competitivi particolarmente rilevanti. Nei distretti insistono non solo le realtà produttive, ma anche tutti i fattori specializzati di produzione: i fornitori, anche di macchinari, la logistica, la formazione, la ricerca e la finanza. Si potrebbe dire che i distretti «sono» il territorio;
   il modello dei distretti non è «il passato»: esso riveste un grande ruolo per il futuro dell'economia italiana e non va considerato alternativo ad altre forme, complementari ed utili, come le reti d'impresa –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per favorire lo sviluppo dei distretti industriali italiani, che costituiscono un fondamentale punto di riferimento per lo sviluppo della media e piccola impresa italiana che rappresenta uno dei «volani» per la crescita economica del Paese. (3-02550)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale del Mercure, costruita nel 1962 tra le province di Potenza e Cosenza come centrale termoelettrica per la produzione elettrica, era costituita da 2 gruppi da 75 megawatt. Ad oggi, il primo è stato chiuso e dismesso nel 1993 mentre il secondo, chiuso nel 1997, è stato riconvertito a biomasse nel 2000 e depotenziato a 35 megawatt;
   il 25 settembre 2001 Enel Produzione spa ha presentato un progetto di riattivazione del gruppo della centrale termoelettrica riconvertito a biomasse a cui si sono fermamente opposti i cittadini della Valle del Mercure, l'Ente parco nazionale del Pollino nonché la regione Basilicata e la provincia di Potenza per via dei rischi per la salute connessi al funzionamento della centrale oltre ai danni economici che ne deriverebbero per il turismo;
   nonostante la sentenza n. 4400 del 2012 del Consiglio di Stato, depositata il 1o agosto 2012, abbia bocciato definitivamente il progetto di Enel, con decreto n. 16459 del 19 novembre 2012 la regione Calabria dipartimento n. 5/attività produttive, settore politiche energetiche ha autorizzato la riattivazione della sezione due della centrale contro il parere dell'Ente parco nazionale del Pollino, ente gestore del territorio su cui sorge la centrale;
   l'interrogante, da notizie a mezzo stampa, è venuto a conoscenza della decisione del Consiglio dei Ministri di dare il via libera alla riattivazione ed esercizio della Centrale del Mercure;
   la centrale ricade pertanto in un sito che può considerarsi tra i più tutelati del mondo. La fauna ivi residente – peraltro particolarmente protetta nelle sue diverse componenti – consta di ben 17 specie di uccelli in allegato I della direttiva 79/409/CEE, 3 in allegato II della medesima direttiva, 2 mammiferi in allegato B e D della direttiva 92/43/CEE (ovvero, prioritari per l'Unione europea), 3 specie di anfibi in allegato B e D (ugualmente prioritari), invertebrati; inoltre vi sono piante, e molte altre specie sia vegetali che animali da tutelare, che vanno a formare 11 unità ambientali zoologiche. Nelle zone limitrofe alla centrale esistono, poi, colture a marchio DOP: nei comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, infatti, si coltivano due prodotti pregiati che hanno ottenuto con decreto del 2 aprile del 2008 la protezione transitoria grazie alla quale i produttori possono utilizzare in ambito nazionale la denominazione DOP e precisamente: la melanzana rossa e i fagioli bianchi;
   la centrale richiede una considerevole quantità di legno vergine con un impatto insostenibile per la biodiversità del Parco;
   a parere dell'interrogante, delle associazioni ambientaliste e dei comitati che da anni si battono contro la riapertura della centrale occorre proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino da un'iniziativa che arrecherebbe, direttamente e indirettamente – attraverso, ad esempio, il transito di ben oltre cento veicoli pesanti al giorno, necessari al trasporto dell'ingente quantità di biomassa necessaria ad alimentare la centrale, su strade, poste all'interno del perimetro del parco, assolutamente inidonee a sopportare un tale impatto veicolare – un danno gravissimo ed irreversibile, danneggiando così non soltanto aspetti naturalistici di grandissimo pregio, ma anche il concreto sviluppo economico ed occupazionale cui l'area del parco è, per sua stessa natura, vocata;
   i mezzi d'informazione hanno denunciato il pericolo di infiltrazioni criminali, in quanto il principale fornitore delle biomasse dell'Enel è stato più volte sottoposto a provvedimenti restrittivi per la frequentazione con ambienti della malavita calabrese;
   all'interrogante non risulta che ENEL abbia prodotto valutazioni dell'impatto delle emissioni della centrale sulla salute delle popolazioni residenti nella Valle del Mercure. Il presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Potenza infatti ha sollecitato una Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS);
   ENEL inoltre, non ha prodotto valutazioni dell'impatto delle emissioni della centrale sulla salute delle popolazioni residenti nella Valle del Mercure. I Vertici dell'Associazione internazionale Doctors for Environment presente in 32 Paesi del mondo e riconosciuta da ONU e OMS sollecita una Valutazione di impatto sulla salute (VIS);
   non sono state fornite informazioni dettagliate sulle quantità di amianto rimosse dal gruppo sottoposto a bonifica, né sulle modalità della bonifica, né sul suo effettivo completamento alimentando voci che riportano la non completa rimozione dell'amianto che, si dice, sarebbe stato semplicemente ricoperto dal gruppo due della centrale. Altro motivo di allarme tra i cittadini sarebbe la presenza di cattivi odori nell'area circostante la centrale oltre a disturbi generali che hanno colpito nel maggio 2013 alcuni escursionisti;
   l'interrogante ha già ricordato nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-00116, presentato in data 14 maggio 2013, che «la centrale provoca l'immissione nell'aria di diossine, furani e polveri sottili presenti nei fumi di combustione con effetti cancerogeni a carico della popolazione locale e possibilità di contaminazione dei prodotti e colturo a marchio DOP. Vari studi hanno, infatti, evidenziato la presenza di diossine oltre i limiti ammessi nel latte e nei suoi derivati provenienti da allevamenti situati in prossimità di centrali a combustione di biomasse e inceneritori;
   studi condotti in Svezia (Molnar P, Gustafson P, Johannesson S, Boman J, Barregard L, Sallsten G: Domestic wood burning and PM2.5 trace elements: Personal exposures, indoor and outdoor levels. Atmospheric Environment 2005) evidenziano una maggiore esposizione a zinco, rame, piombo e manganese nelle famiglie che utilizzavano legno per il riscaldamento domestico; altri studi condotti su popolazioni esposte alle emissioni da combustione di biomasse evidenziano effetti sull'asma e sulla funzionalità respiratoria (Boman BC, Forsberg AB, Jarvholm BG: Adverse health effects from ambient air pollution in relation to residential wood combustion in modern society. Scand J Work Environ Health 2003); ulteriori studi condotti in Svezia evidenziano come le famiglie svedesi che utilizzano legna, rispetto ai controlli, hanno una maggiore esposizione a benzene e 1-3 butadiene (Gustafson P, Lars B, Bo S, Gerd S: The impact of domestic wood burning on personal, indoor and outdoor levels of 1,3-butadiene, benzene, formaldehyde and acetaldehyde. Journal of Environmental Monitoring 2007); l'Istituto nazionale ricerca sul cancro di Genova, ha evidenziato come nei Paesi appenninici dove l'uso della legna da ardere nelle stufe è diffuso, siano alte le concentrazioni di benzo(a)pirene e altri idrocarburi aromatici cancerogeni che notoriamente si producono durante le combustioni di biomasse. C’è da dire che la combustione di legna e altre biomasse solide in impianti industriali ad alta efficienza termica e con adeguati trattamenti dei fumi riduce queste emissioni, ma non le annulla» –: 
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro dell'ambiente al fine di proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino, il cui straordinario ecosistema rischierebbe di essere gravemente compromesso dalla riattivazione della centrale;
   se non ritenga opportuno che vengano svolte delle verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare il diritto alla salute delle popolazioni della Valle del Mercure facendo chiarezza sulle attività connesse alla bonifica dell'amianto contenuto nei due gruppi costituenti la centrale;
   quali iniziative intendano adottare per evitare che gli elementi di contrasto con il quadro normativo comunitario possano determinare l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia, con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie. (5-09732)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione De Maria e altri n. 1-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Locatelli, Pastorelli.

  La mozione Fiano e altri n. 1-01385, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Binetti, Paola Bragantini, Antezza, Amoddio.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Terzoni n. 5-09333 del 2 agosto 2016.

   Interpellanza Mantero n. 2-01496 del 7 ottobre 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vacca e altri n. 4-09496 del 17 giugno 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09737.

  Interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-09672 del 2 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09732.

  Interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-11532 del 21 dicembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09733.

  Interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-14000 del 2 agosto 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09729.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nelle Marche opera da circa trent'anni la Cooperativa Cooperlat, che rappresenta ben 11 cooperative di produzione del latte e del latte fresco di qualità, con un fatturato medio nell'ultimo triennio di circa 240 milioni di euro e con una produzione di 270 milioni di litri di latte lavorato e suoi derivati, che sono commercializzati in Italia e all'estero;
   in occasione del rinnovo delle cariche sociali dello scorso 26 aprile 2011 si è determinata una grave spaccatura all'interno della compagine sociale, ponendosi in contrapposizione le cooperative che conferiscono la totalità del latte prodotto e le cooperative che conferiscono solo parzialmente il latte di loro produzione, benché rappresentino questi ultimi la maggioranza numerica dei soci della Cooperlat;
   i conferitori parziali, unitisi in cartello elettorale, approfittando anche della mancanza di un regolamento elettorale interno, nell'ultima assemblea per il rinnovo delle cariche sociali del 26 aprile 2012 hanno occupato la totalità delle cariche sociali di governo e di controllo della stessa Cooperlat, ignorando la minoranza, con conseguenti e perduranti atti di sfavore verso le cooperative di minoranza, determinando così gravi danni economici e d'immagine ai soci e ai territori di riferimento come quello piceno, con la chiusura nel giugno 2014 dello stabilimento ex Coalac che lavorava il latte fresco di qualità, nonostante rappresentasse il prestigio del marchio «Tre Valli» della Cooperlat;
   dopo due ispezioni straordinarie (la prima chiusa senza rilievi con verbale del 22 novembre 2012; la seconda che si è chiusa con un rilievo con verbale del 1206)2014), che non hanno prodotto alcun effetto rispetto alla violazione delle più elementari e fondamentali regole cooperativistiche e del principio di mutualità, in data 30/09/2014 la Cooperativa Coalac ha richiesto una ulteriore ispezione straordinaria, agli organi di vigilanza sull'attività cooperativistica della Cooperlat di codesto Ministero e ha adito l'autorità giudiziaria ordinaria denunciando:
    a) la violazione dello Statuto nella formazione della compagine sociale, in quanto è stata negata la rappresentatività dei territori regionali delle cooperative socie nel Consiglio di Amministrazione, quantunque espressamente previsto;
    b) la rappresentanza della minoranza dei soci a conferimento totale del latte rispetto a quelli a conferimento parziale, i quali monopolizzano attraverso loro rappresentanti negli organi decisionali il governo e il controllo della Cooperlat, ponendo in essere scelte, azioni e comportamenti lesivi degli interessi dei soci di minoranza a favore dei soci di maggioranza;
    c) le gravi perdite di bilancio nel 2013 del Gruppo Cooperlat durante tutta la gestione della nuova compagine sociale, così come certificato da ben due ispezioni straordinarie di codesto Ministero (4.102.806 euro da parte di Abit Piemonte e 1.384.386 euro da parte di Fattorie Marchigiane);
    d) l'assottigliamento costante della mutualità prevalente passata dal 56,32 per cento per l'anno 2010 al 50,86 per cento per l'esercizio 2013, a causa di un perverso gioco speculativo delle cooperative di   produzione a conferimento parziale, le quali hanno preferito collocare sul libero mercato maggiori quantitativi di latte prodotto quando i prezzi erano migliori di quelli pagati dalla Cooperlat, contravvenendo così non solo ai principi mutualistici che giustificano il regime di privilegio fiscale per le cooperative, ma anche danneggiando gli interessi dei conferitori totali di latte che si sono visti restringere i loro margini di utile;
    e) la compressione del sacrificio dello scopo mutualistico con la esclusiva predominanza nel Consiglio di Amministrazione e nel Collegio Sindacale dei soli rappresentanti delle cooperative di produzione del latte a conferimento parziale, con palese violazione del principio solidaristico;
    f) la commistione tra rappresentanti preposti agli organi ed enti di controllo e preposti agli organi e cooperative controllate, con specifico riferimento alla Confcooperative che, in base al decreto legislativo 220/2002 e all'articolo 2 dello statuto della Cooperlat («Aderisce alla Confederazione Cooperative Italiane ed alla sua struttura territoriale»), esercita la vigilanza ordinaria sulle cooperative come la Cooperlat, il cui segretario regionale delle Marche è componente del consiglio di amministrazione insieme al presidente di Confcooperative della provincia di Pesaro e al Presidente nazionale del settore latte di Confcooperative, con evidente conflitto di interessi tra controllore e controllato;
    g) la sostanziale inapplicabilità dello Statuto il quale affida l'arbitrato alla Confcooperative nazionale per dirimere eventuali conflitti tra soci o violazioni statutarie;
   il rinnovo delle cariche sociali è avvenuto nei termini dianzi richiamate, con l'Assemblea dei soci del 26 aprile 2012 per il triennio 2012-2015, senza alcuna Regolamento di votazione, con conseguente diffida da parte degli ispettori di codesto Ministero – giusta intimazione nel verbale di ispezione delle 12 giugno 2014 – a sanare tale «vulnus» con l'approvazione di un nuovo Regolamento, il quale è stato adottato dall'Assemblea dei soci in data 10 settembre 2014, con congelamento formale e sostanziale della situazione esistente, dal momento che consente ad ogni socio di esprimere tante preferenze quanti sono i componenti del Consiglio di Amministrazione da eleggere, riproponendo quindi l'egemonia del cartello delle cooperative a conferimento parziale del latte anche per il prossimo triennio 2015-2017, con conseguente conferma del vizio di origine nell'Assemblea del 26 aprile 2014;
   il rischio di «default» – così come si ravvisa nel verbale della ispezione ministeriale del 12 giugno 2014 – derivante dalla constatazione «... di un margine negativo, che significa come la stessa (Gruppo Cooperlat ndr) nel breve termine non sia in grado, con la somma delle liquidità totale delle realizzabilità, di coprire le passività correnti... la struttura finanziaria necessita di interventi di miglioramento...»; interventi che però finora non ci sono stati, perdurando la speculazione sul sovrapprezzo del latte conferito dai conferitori parziali a danno del bilancio Cooperlat, che nel 2014, diversamente da 2013, ha pagato agli stessi conferitori un prezzo più alto del latte rispetto al libero mercato, il quale ha registrato un crollo verticale del prezzo del latte, con il riflesso di un nominale incremento della mutualità prevalente, la quale però non si è tradotta anche, al momento, in utile aziendale ma, anzi, in un peggioramento dei conti –:
   se sia stata verificata la coerenza dell'adempimento relativo alla intimazione degli ispettori ministeriali, di cui al verbale del 12 giugno 2014, relativa alla necessità di approvare un regolamento elettorale, con principi mutualistici di rappresentanza della minoranza nei centri di decisione e di controllo della Cooperlat, dal momento che i risultati ottenuti, secondo l'interrogante smentiscono nella sostanza e nella forma, lo spirito della diffida degli stessi ispettori;
   se sia stata predisposta una ulteriore ispezione straordinaria e se non si intende promuoverla nel più breve tempo possibile, con lo scopo di verificare se esistono le condizioni di «commissariare la Cooperlat» dopo aver accertato le circostanze segnalate in premessa. (4-08664)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, nel confermare quanto già evidenziato con la risposta all'interrogazione n. 4-03103 in merito alla seconda ispezione straordinaria effettuata dal Ministero dello sviluppo economico e conclusasi a settembre 2014, si forniscono i seguenti aggiornamenti relativi alle ulteriori verifiche ispettive disposte dagli uffici preposti nei confronti della società cooperativa agricola Cooperlat.
  Al fine di accertare lo stato dell'ente dopo la chiusura della precedente ispezione straordinaria, nonché di monitorare la situazione sulla base anche di quanto già rappresentato con la precedente interrogazione sopra indicata, è stata disposta una nuova ispezione straordinaria che si è conclusa il 4 dicembre 2015.
  Quest'ultima ispezione si è svolta attraverso diversi accessi ispettivi durante i quali gli ispettori incaricati si sono recati presso la sede legale dell'ente e, alla presenza e con la collaborazione del rappresentate legale, nonché presidente del consiglio di amministrazione, signor Paolo Fabiani, assistito dal dottor Piero Cimarelli in qualità di consulente esterno, hanno visionato tutti i libri sociali, i bilanci 2013 e 2014 e acquisito in copia alcuni verbali delle riunioni di assemblea dei soci, del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale relativi all'ultimo anno.
  Gli ispettori hanno, inoltre, intervistato separatamente sia il direttore generale che il direttore amministrativo in qualità di segretario verbalizzante delle assemblee dei soci e del consiglio di amministrazione.
  Nel corso della verifica ispettiva, sono altresì pervenute agli ispettori istanze di audizione da parte dei legali rappresentanti delle cooperative socie Santangiolina e Co.a.la.c. Tali rappresentanti legali sono stati ascoltati, rispettivamente, il 22 settembre 2015 e il 4 dicembre 2015.
  Nelle suddette richieste venivano denunciate una serie di presunte irregolarità perpetrate dall'attuale organo amministrativo, in merito alle quali gli ispettori hanno relazionato puntualmente e ampiamente. I medesimi ispettori, previo esame dei verbali del consiglio di amministrazione e delle relazioni del collegio sindacale, hanno appurato che non potevano ravvisarsi i presupposti necessari a conferma delle irregolarità segnalate.
  Il 27 ottobre 2015, sono stati convocati i componenti del collegio sindacale, e in tale sede sono state approfondite alcune tematiche riportate nei verbali contenuti nei libri sociali.
  Gli ispettori, oltre a relazionare dettagliatamente in merito alla situazione generale dell'ente dal punto di vista economico e finanziario e del raggiungimento dello scopo mutualistico, hanno verificato, altresì, come l'approvazione del «Regolamento dell'Assemblea dei soci», avvenuta il 10 settembre 2014, abbia assicurato il raggiungimento di una pari rappresentatività, sia in assemblea che in seno al consiglio di amministrazione stesso, di ogni singola componente la cooperativa.
  In vigenza di tale nuovo regolamento, in data 5 maggio 2015 l'assemblea dei soci della Cooperlat, in sede di rinnovo delle cariche sociali per il triennio 2015-2017, ha eletto un nuovo consiglio di amministrazione nel quale 9 società cooperative su 13 appartenenti all'ente vengono rappresentate con un consigliere ciascuno. Si specifica a riguardo che la cooperativa Petrano e Latteria sociale Vipiteno non avevano richiesto l'inserimento dei propri delegati nella lista dei candidati consiglieri, mentre il consorzio cooperativa agricola Fattorie Marchigiane e il consorzio cooperativa agricola Abit Piemonte sono società controllate dalla Cooperlat. Pertanto, è stata garantita la rappresentanza di tutti i soci, sia in relazione alla loro natura che alla loro provenienza territoriale.
  Per ciò che riguarda, invece, lo stato del giudizio del ricorso al tribunale per irregolarità degli amministratori e dei sindaci (ex articoli 2545-quinquiesdecies del codice civile, 737 del codice di procedura civile e 25 del decreto-legge n. 5 del 2003) del 29 dicembre 2014, intentato dalla cooperativa CO.A.LA.C. nei confronti della Cooperlat, gli ispettori, in sede di audizione del rappresentate legale della CO.A.LA.C., hanno preso atto che il 12 febbraio 2015, il consiglio di amministrazione della stessa CO.A.LA.C. aveva deliberato di «...dare mandato al Presidente affinché comunichi al legale incaricato di soprassedere alla notifica del ricorso alla controparte» rinunciando, quindi, a continuare la suddetta azione legale.
  Per quanto attinente ai restanti aspetti di natura formale, la cooperativa risulta aver assolto sostanzialmente agli adempimenti previsti dalla normativa vigente: il consiglio di amministrazione ha posto in essere gli atti di propria competenza; i libri contabili e sociali risultano correttamente compilati e vidimati; le riunioni societarie sono verbalizzate in maniera esaustiva.
  Gli ispettori, pertanto, hanno ritenuto di poter esprimere un giudizio positivo e non hanno proposto provvedimenti sanzionatori.
  Il Ministero dello sviluppo economico, per quanto di propria competenza, continuerà il monitoraggio della cooperativa in parola, mediante l'attivazione di ulteriori ispezioni straordinarie, considerato che la ordinaria attività di revisione viene svolta dall'associazione nazionale cui l'ente è associata.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   ALBANELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» («decreto Balduzzi») ha modificato il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, per quanto riguarda la procedura di nomina dei direttori di struttura complessa. In particolare, il citato decreto-legge prevede che, ai fini del conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, la selezione venga effettuata da una commissione composta da tre direttori di struttura complessa appartenenti alla stessa disciplina dell'incarico da conferire. I componenti della commissione vanno sorteggiati da un elenco nazionale che raccoglie gli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa;
   la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in data 26 settembre 2013, ha approvato l'accordo ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano recante «Elenco nazionale dei direttori di struttura complessa ai fini della composizione delle commissioni di valutazione per il conferimento degli incarichi di struttura complessa per i profili professionali della dirigenza del ruolo sanitario». In questo accordo il Ministero della salute è stato individuato quale soggetto deputato alla gestione dell'elenco nazionale dei direttori di struttura complessa;
   per consentire la corretta alimentazione dell'elenco nazionale da parte di ciascuna regione è stato attivato il flusso informativo «elenco nazionale direttori di struttura complessa»;
   sulla base delle disposizioni contenute dal «decreto Balduzzi» prima richiamato, l'azienda ospedaliera per l'emergenza «Cannizzaro» di Catania, azienda di riferimento regionale per l'emergenza-urgenza ha indetto un nuovo bando per la nomina del direttore di struttura complessa di pronto soccorso che ha sollevato da più parti alcuni dubbi circa la correttezza dei requisiti richiesti per ricoprire tale incarico;
   il bando richiede, infatti, ai candidati il possesso di requisiti tanto specifici nonché l'assegnazione di punteggi elevati a coloro che abbiano operato in strutture di emergenza che possono insistere di fatto solo al Cannizzaro stesso;
   in particolare, i criteri preferenziali critici in relazione al punteggio che assegnano su un massimo di 50 punti con cui viene valutato il curriculum sarebbero, a quanto risulta all'interrogante:
    a) aver lavorato in un pronto soccorso con volumi di accesso superiore a 50.000 in un contesto ospedaliero con competenze specialistiche ad alta complessità (20 punti);
    b) aver lavorato in una struttura di medicina d'urgenza con più di 20 posti letto (l'unica in Italia al Cannizzaro con 24 posti letto) (6 punti);
   chi ha lavorato al Cannizzaro, al di là degli anni di servizio e delle funzioni esercitate ottiene 26 punti sui 50 disponibili, mentre chi ha svolto ruoli di posizione autonoma può raggiungere massimo 10, chi ha svolto attività didattica nella disciplina specifica ottiene 2 punti e chi ha fatto attività scientifica 4 punti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopraesposta e se non ritenga opportuno, nei limiti delle proprie competenze e nel rispetto di quelle regionali in materia sanitaria, assumere iniziative volte ad acquisire elementi sul caso di cui in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare il «decreto Balduzzi» nella parte in cui si disciplina il procedimento di nomina dei direttori di struttura complessa al fine di rendere il più trasparente possibile, tale procedura. (4-12890)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame dopo aver acquisito gli elementi dalla prefettura – ufficio territoriale del governo di Catania.
  Il decreto-legge n. 158 del 2012, convertito nella legge n. 189 del 2012, ha introdotto novità di rilievo sulle modalità di attribuzione degli incarichi di direzione di struttura complessa ai dirigenti sanitari appartenenti al servizio sanitario nazionale, conferendo alla regione di competenza il compito di individuare i criteri e le procedure per l'assegnazione dei suddetti incarichi.
  In base alla citata normativa, l'assessore della salute della regione Sicilia, in data 24 dicembre 2014, ha emanato il decreto di «approvazione delle linee di indirizzo regionale recanti i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa ai dirigenti sanitari (area medica, veterinaria e del ruolo sanitario), in attuazione dell'articolo 15, comma 7–bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni».
  A seguito dell'emanazione di tale decreto assessoriale, l'azienda ospedaliera per l'emergenza «Cannizzaro» di Catania, in data 8 settembre 2015, ha adottato il regolamento aziendale per il conferimento degli incarichi in questione e, previa sottoposizione dello stesso alle organizzazioni sindacali, che non hanno formulato alcun rilievo, ha ottenuto l'apposita autorizzazione regionale.
  Pertanto, in data 19 febbraio 2016, l'azienda ospedaliera ha indetto la selezione pubblica per titoli e colloquio per il conferimento dell'incarico di direttore di struttura complessa di medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza, prevedendo il profilo soggettivo del candidato e determinando i criteri e le modalità di valutazione, per la quale la commissione disporrà complessivamente di 100 punti, attribuibili nella misura del 50 per cento per il curriculum e del 50 per cento per il colloquio, in aderenza agli elementi di «specificità e concretezza» previsti dalle linee guida regionali «per la definizione del fabbisogno sotto il profilo oggettivo e soggettivo».
  Per quanto concerne il secondo quesito, occorre ricordare che l'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, è stato integrato dall'articolo 4 del decreto legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che ha dettato disposizioni in materia di dirigenza sanitaria e governo clinico.
  In particolare, la modifica apportata dal citato articolo 15, comma 7 e seguenti, ha delineato una nuova procedura per il conferimento degli incarichi di struttura complessa, al fine di introdurre meccanismi di selezione oggettiva del personale sanitario per privilegiare il merito e la trasparenza.
  Infatti, tale norma, pur mantenendo fermi i requisiti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997 (regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale) ha demandato alle regioni il compito di disciplinare i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi in questione, nel rispetto di specifici princìpi.
  È stato infatti previsto dal comma 7-bis, lettera a), che «la selezione sia effettuata da una commissione composta dal direttore sanitario e da tre direttori di struttura complessa nella medesima disciplina dell'incarico da conferire, individuati tramite sorteggio da un elenco nazionale nominativo costituito dall'insieme degli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa dei ruoli regionali del servizio sanitario nazionale».
  Al riguardo, proprio per garantire omogeneità nell'attribuzione degli incarichi, nella seduta della conferenza delle regioni e delle province autonome del 13 marzo 2013, le regioni hanno adottato un apposito documento intitolato «linee guida recante criteri generali per l'applicazione dell'articolo 4, comma 1, del decreto legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189» e hanno convenuto sulla necessità di individuare nel Ministero della salute il soggetto responsabile della tenuta e dell'aggiornamento del citato elenco nazionale.

  A tal fine, è stato sancito l'accordo Stato Regioni del 26 novembre 2013, con cui è stato istituito presso questo Ministero l'elenco nazionale dei direttori di struttura complessa, il quale viene periodicamente alimentato ed aggiornato dalle regioni e province autonome sulla base di specifiche modalità tecniche.
  Peraltro, nell'ambito degli incarichi di struttura complessa, il profilo da ricoprire è definito, di norma, sulla base della programmazione regionale, di quella aziendale, nonché delle attività e degli obiettivi che in tale contesto la struttura complessa è chiamata a svolgere, tenendo conto di un duplice profilo: oggettivo – afferente agli aspetti relativi al governo clinico e alle caratteristiche organizzative della struttura a cui afferisce l'incarico di direzione – e soggettivo – concernente le competenze professionali e manageriali, le conoscenze scientifiche e le attitudini ritenute necessarie per l'espletamento dell'incarico medesimo.
  Ciò richiede che l'individuazione della posizione da ricoprire sia connotata da elementi di specificità e concretezza, anche al fine di fornire alla commissione uno strumento idoneo a condurre il processo di valutazione nel modo più rispondente possibile alle necessità rilevate e nel rispetto dei princìpi di correttezza e imparzialità, considerato che le procedure ed i criteri per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa influiscono in modo decisivo sull'organizzazione aziendale e sull'attribuzione delle relative responsabilità.
  Peraltro, la normativa vigente prevede espressamente che l'Azienda dia adeguata pubblicità, tramite avviso, dei criteri e delle procedure per il conferimento degli incarichi in questione.
  Dal quadro normativo sin qui delineato, si evince che nell'ordinamento già sono presenti strumenti in grado di assicurare l'adeguata trasparenza delle procedure selettive volte al conferimento degli incarichi di struttura complessa.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   AMODDIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 26 febbraio 2013 è entrato in vigore il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, «Regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell'assetto organizzativo didattico dei Centri d'istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
   a decorrere dall'anno scolastico 2014-2015, sono stati attivati i centri provinciali per l'istruzione degli adulti ed i corsi di istruzione degli adulti, compresi quelli che si svolgono presso gli istituti di prevenzione e pena;
   il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, all'articolo 1, comma 2, riconduce, nelle norme generali per la graduale ridefinizione dell'assetto organizzativo e didattico dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti, ivi compresi i corsi serali, i corsi della scuola dell'obbligo e di istruzione secondaria superiore negli istituti di prevenzione e di pena attivati ai sensi della normativa previgente;
   pertanto, i percorsi di istruzione degli adulti negli istituti di prevenzione e pena, di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e lettera c), sono ricondotti ai centri di istruzione degli adulti, mentre i percorsi di istruzione degli adulti negli istituti di prevenzione e pena, di cui all'articolo 4, comma 1, lett. b), sono ricondotti alle istituzioni scolastiche presso le quali sono attivati i suddetti percorsi;
   il decreto interministeriale del 28 aprile 2016 di definizione della dotazione organica del personale docente per l'anno scolastico 2016/2017 prevede: «... per i percorsi di secondo livello, che rimangono incardinati presso gli istituti secondari di secondo grado, la riduzione dei quadri orari, il cui monte ore è pari al 70% dei corrispondenti corsi “diurni”, non comporta riduzione alla dotazione organica e le eventuali economie saranno utilizzate dalle medesime istituzioni scolastiche ...»;
   nonostante il superiore disposto regolamentare, nella dotazione organica del personale docente della provincia di Siracusa, si è verificata e si verifica una contrazione del monte ore e una riduzione della dotazione organica del personale docente negli istituti di prevenzione e pena –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro interrogato intenda verificare se nella provincia di Siracusa sia stata disposta la riduzione della dotazione organica del personale docente negli istituti di prevenzione e pena gli anni scolastici 2015/2016 e 2016/2017;
   se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative consequenziali necessarie ad assicurare il rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263, e del decreto interministeriale del 28 aprile 2016. (4-13807)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene rilevato che negli istituti di prevenzione e pena in provincia di Siracusa sarebbe stata operata, per l'anno scolastico 2016/2017, una riduzione di posti di personale docente nei percorsi di istruzione degli adulti, nonostante il decreto interministeriale 28 aprile 2016 preveda il mantenimento della relativa dotazione organica.
  La questione è stata sottoposta al competente Ufficio scolastico regionale per la Sicilia, il quale ha comunicato che in realtà la suddetta riduzione non si è verificata. Infatti, il numero delle cattedre assegnate per l'anno scolastico 2016/2017 è pari a 19, corrispondente a quelle funzionanti nel precedente anno 2015/2016, in presenza di un numero di alunni pressoché identico.
  Il citato ufficio ha, altresì, precisato che l'organico dei posti in argomento presenta la medesima consistenza anche nell'anno scolastico 2013/2014, e che l'attribuzione degli stessi posti è stata effettuata dall'Ufficio di ambito territoriale di Siracusa nel limite del contingente assegnato a livello provinciale, tenendo in debita considerazione le richieste formulate dai dirigenti scolastici interessati.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in un complesso scenario di transizioni demografiche e trasformazioni sociali, la valutazione del quadro epidemiologico e del sistema delle vaccinazioni a scopo preventivo assume una grande rilevanza. Lo stesso Comitato nazionale di bioetica ha recentemente espresso la necessità di recuperare la rete di sicurezza a favore dei soggetti non vaccinati (Mozione del 24 aprile 2015): la tendenziale diminuzione della copertura vaccinale, infatti, ha determinato un sensibile incremento di casistiche di malattie infettive che, molto spesso, hanno determinato il prematuro decesso dei soggetti contagiati (World Health Organization — International travel and health 2015);
   sebbene il piano nazionale di prevenzione vaccinale 2016-2018 del Ministero della salute (PNPV del 9 giugno 2015), abbia tenuto conto di questi dati estendendo, raccomandando ed offrendo gratuitamente ulteriori vaccinazioni, occorre registrare che, attualmente, il nostro ordinamento demanda al singolo individuo, la scelta di provvedere, o meno, alla vaccinazione. Nel caso dei minorenni, poi, tale scelta ricade in capo ai genitori, alcuni dei quali sembrerebbero negare la vaccinazione ai propri figli poiché influenzati dalle false percezioni, veicolate soprattutto via web sulla loro inutilità — o addirittura dannosità — (Rapporto Eurispes 2016);
   d'altro canto, il nostro ordinamento giuridico non prevede particolari conseguenze per le mancate vaccinazioni del minore: l'articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1999, n. 355, recante le modifiche in materia di certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie, infatti, precisa che «la mancata certificazione delle vaccinazioni non comporta il rifiuto di ammissione dell'alunno alla scuola dell'obbligo o agli esami». Pertanto, nonostante la comunità scientifica internazionale sia concorde nel ritenere le vaccinazioni in età scolare uno strumento insostituibile per la prevenzione di malattie infettive (World Health Organization — Congresso di Antalya, 18 marzo 2014), può accadere di registrare alunni frequentanti la scuola dell'obbligo privi delle vaccinazioni necessarie;
   in effetti, ciò è proprio quello che si è verificato nel recente episodio di Greve in Chianti (FI): 8 alunni, su una classe di 18, sono risultati privi di vaccinazioni ed hanno costretto un'altra alunna, affetta da una grave immunodeficienza che le impedisce di sottoporsi alle rivaccinazioni, al trasferimento immediato in un'altra classe elementare in cui, invece, la totalità degli alunni risultava vaccinato;
   orbene, oltre al fatto che la percentuale di alunni non vaccinati riscontrati nella classe elementare in questione può dirsi ben superiore alla soglia di rischio calcolata dall'Organizzazione mondiale della sanità, si rileva una sostanziale disparità di trattamento. Infatti, mentre i genitori degli alunni privi di vaccinazione hanno potuto scegliere di non provvedervi, senza alcun detrimento del diritto all'istruzione dei propri figli, i genitori dell'alunna affetta dalla patologia sono stati costretti a trasferire la propria figlia in un ambiente per lei sicuro, incidendo profonda ente sul momento formativo della bambina;
   come noto, infatti, nella scienza educativa il concetto di continuità educativo – didattica si riferisce al diritto di ogni alunno in situazioni svantaggiate di formarsi senza soluzioni di continuità, per ricercare un'integrazione funzionale ed armonica delle esperienze e degli apprendimenti) compiuti dal bambino. Nel caso di specie tale diritto, pur garantito dall'ordinamento vigente (Legge 5 giugno 1990, n. 148 e successive modificazioni ed integrazioni), non sembra sia stato equamente bilanciato con il diritto, ugualmente previsto, di non vedersi estromessi dal sistema scolastico, in quanto alunni privi dei certificati attestanti le vaccinazioni necessarie –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative che intende adottare a tutela della continuità educativa in situazioni analoghe. (4-11902)

  Risposta. — L'interrogante, prendendo le mosse da un episodio avvenuto in una scuola della provincia di Firenze, ove una studentessa di scuola primaria affetta da grave immunodeficienza era stata costretta a cambiare classe, a causa della presenza, per lei pericolosa, di ben 8 compagni (su un totale di 18 studenti) privi di vaccinazioni, chiede quali iniziative adottasse l'Amministrazione per tutelare la continuità educativa in situazioni analoghe.
  In merito al caso specifico della studentessa, iscritta alla classe prima, sezione A, della scuola primaria «Giuliotti» di Greve in Chianti (FI), si informa che l'ufficio scolastico territorialmente competente ha prontamente incaricato un dirigente tecnico di acquisire utili elementi, di verificare la frequenza scolastica e di fornire ausilio tecnico alla soluzione del caso medesimo.
  L'attività di verifica, che ha portato alla redazione di una relazione, ha evidenziato che il comportamento della scuola e della dirigente scolastica è stato improntato alla collaborazione con la famiglia e alla volontà di risolvere nel migliore dei modi la questione.
  Infatti, è stato rilevato che la soluzione adottata permette alla studentessa di continuare a frequentare regolarmente le lezioni e godere appieno del proprio diritto all'istruzione con una dose di rischio minima per la propria incolumità.
  In particolare, dalla relazione tecnica si evince che si è affrontato il problema con la fattiva collaborazione del dirigente scolastico e dell'ente locale interessato, spostando la studentessa in una classe prima di diverso plesso più consono alle imprescindibili esigenze di salute palesate, avendo nel contempo garantito alla famiglia il trasporto ed avendo assicurato alla minore un inserimento altrettanto valido nel gruppo dei pari. Tale soluzione, in conclusione, è risultata apprezzata dalla famiglia e funzionale alla tutela del diritto alla salute della bambina.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, DAGA, VIGNAROLI, RUOCCO, GRILLO, DI VITA, MANTERO, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, TERZONI e SARTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo INI spa (legale rappresentante dr. Faroni Delfo sede legale in Roma) è un istituto neurotraumatologico italiano, articolato in più divisioni è presente in molte aree del Paese. Tutte le strutture (circa 1000 posti letto e 1200 dipendenti) sono abilitate al ricovero, all'assistenza specialistica ambulatoriale e sono tutte accreditate con il servizio sanitario nazionale;
   la società in data 22 luglio 2015 ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per la riduzione di personale con conseguente collocazione in mobilità, riguardante n. 496 lavoratori addetti presso le unità produttive di Grottaferrata, Tivoli Guidonia, Veroli e Roma;
   nel verbale di accordo siglato in sede regionale a firma della CGIL, CISL UIL avallato dal funzionario responsabile del procedimento dottor Raffaele Fontana si legge:
   le motivazioni alla base del provvedimento, sono state oggetto di approfondito esame e discussione nell'ambito degli incontri tenutisi in sede sindacale;
   la fase sindacale conclusasi con un mancato accordo, ha spostato la discussione in sede regionale per l'espletamento della fase amministrativa. La seconda fase si è conclusa il 13 novembre 2015 e le parti hanno deciso di attivare, a superamento totale o parziale, della problematica, un contratto di solidarietà difensivo di cui al decreto-legge n. 148 del 1993, articolo 5, comma 5, convertito dalla legge n. 236 del 1993 e successive modificazioni e integrazioni;
   la società INI spa ricorrerà al contratto di solidarietà a decorrere dal 1° dicembre 2015 fino al 30 novembre 2017 (per un periodo di 24 mesi) per un numero massimo di 802 dipendenti addetti alle unità di Grottaferrata, Tivoli, Guidonia, Veroli, e Roma;
   a fronte della riduzione di orario, per i lavoratori alla medesima interessati, la retribuzione diretta ed indiretta e tutti gli istituti contrattuali saranno proporzionalmente ridotti in base alla prestazione lavorativa effettuata, salvo le provvidenze previste per legge;
   le parti ritengono congrua una riduzione oraria media, per il periodo 1° dicembre 2015-30 novembre 2017, non superiore al 60 per cento per singolo lavoratore dell'orario di contrattuale;
   durante l'incontro tenutosi in sede regionale il 5 novembre 2015, i rappresentanti della sigla sindacale SICEL hanno denunciato gravi e documentate circostanze in ordine alla gestione precedente per il ricorso al medesimo istituto della solidarietà e prima ancora della cassa integrazione posta in essere dal gruppo INI;
   nel verbale di mancato accordo infatti si legge che durante l'incontro del 5 novembre 2015 il SICEL ha letto in presenza di tutti i partecipanti alla riunione, la relazione tecnica a firma di un professionista sull'analisi dei prospetti paga in essa si denuncia che «il gruppo INI ha fatto ricorso al contratto di solidarietà in via continuativa da settembre 2013 ad agosto 2015. Dalle dichiarazioni (verbali) dei lavoratori e dall'analisi dei fogli presenza, si evince che i dipendenti abbiano prestato regolarmente prestazione lavorativa, pur se nei prospetti paga siano state evidenziate delle trattenute per ore di assenza per «Contratto di solidarietà». Inoltre i lavoratori hanno regolarmente svolto delle ore di lavoro straordinario. Ai lavoratori spetta il pagamento delle differenze retributive per le ore di lavoro svolto e non retribuito, oltre al versamento della contribuzione previdenziale omessa. Altro aspetto importante sono le somme recuperate dal datore di lavoro nei confronti dell'INPS per una assenza per «solidarietà» che di fatto, dalla documentazione analizzata non c’è stata;
   la seduta del 5 novembre viene sospesa, ma il responsabile regionale del procedimento dottor Raffaele Fontana, non intende interrompere la procedura e fissa l'incontro successivo per il 13 novembre 2015;
   segue un atto di diffida del SICEL all'attenzione del dottor Raffaele Fontana, del dottor Egidio Schiavetti del dottor D'Amato Alessio e al presidente Nicola Zingaretti. La diffida è corredata della relazione tecnica e precisa altresì che durante la riunione del 5 novembre 2015, alcuni dipendenti hanno sollevato dubbi anche sull'applicazione della Cassa integrazione guadagni on the job. I lavoratori hanno dichiarando che nel periodo di cassa integrazione firmavano al volo alcuni fogli presenza e tornavano immediatamente al lavoro nei reparti assegnati;
   nonostante la gravità dei fatti denunciati e l'atto di diffida sindacale, la procedura in sede regionale non viene sospesa, ma si consente il ricorso al contratto di solidarietà descritto;
   Equitalia vuole i fondi dall'INI, l'INI vuole i fondi dalla regione Lazio. Il conto di 495 licenziamenti lo pagheranno infine i lavoratori si legge in un articolo del 12 novembre 2015 su hinterland;
   nel verbale di mancato accordo a firma SICEL si appura che dal controllo della pianta organica della divisione INI Medicus di Tivoli (l'unica a disposizione della sigla sindacale), si registrano circa 50 unità lavorative carenti rispetto ai requisiti minimi richiesti per l'accreditamento, l'esposizione debitoria del gruppo sarebbe talmente preoccupante che la solidarietà non scongiura un epilogo più drastico e si ritiene di inoltrare le dovute segnalazioni agli organi competenti affinché controllino e intervengano su quella che appare essere una mala gestione di risorse pubbliche;
   il sindacato SICEL ha presentato formale denuncia nei confronti della società INI Spa per il reato di truffa aggravata ai danni della pubblica Amministrazione e dei singoli lavoratori dipendenti del Gruppo;
   inoltre, per i requisiti di accreditamento, i decreti devono riportare le attestazioni di conformità per il possesso dei «requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi e degli ulteriori requisiti per l'accreditamento di cui al DCA n. U00090/2010 con annessi allegati e ss.mm.ii.»;
   è indiscutibile, ad avviso degli interroganti, che la riduzione del 60 per cento della prestazione lavorativa dei dipendenti riduce del 60 per cento i requisiti organizzativi e di pari percentuale il livello assistenziale facendo di fatto venir meno i requisiti minimi previsti e quindi i criteri per mantenere l'accreditamento definitivo;
   occorre tener conto delle funzioni di rilievo pubblicistico svolte e dell'inserimento funzionale nel servizio sanitario nazionale;
   ad avviso degli interroganti il perseguimento di interessi pubblici, in uno con il finanziamento statale e con i controlli della Corte dei conti, fa sì che anche le strutture private che esercitino in forma societaria l'attività di pubblico interesse siano soggette agli stessi limiti;
   il potere imprenditoriale, infatti, nel momento in cui è esercitato con i finanziamenti pubblici e consiste in servizi per la collettività, cede il passo al buon funzionamento e alla legalità della pubblica amministrazione, poiché il danno che si verrebbe a creare sarebbe cagionato in concorso dallo Stato –:
   il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se al Governo risulti che se sussistano in capo al gruppo i requisiti richiesti ai fini dell'accreditamento al servizio sanitario nazionale;
   se il Governo non intenda attivarsi affinché vengano chiarite le ragioni per le quali non sia ancora stato sospeso o revocato l'accreditamento al servizio sanitario nazionale delle struttura sanitaria;
   se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti affinché, per il tramite del commissario ad acta per il rientro dei disavanzi sanitari, vengano assunte iniziative per la revoca dell'accreditamento, al fine di salvaguardare il fondamentale diritto alla salute dei cittadini, messo a rischio da una struttura sanitaria che appare priva dei requisiti minimi richiesti dalla normativa nazionale e regionale e, comunque, quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo. (4-12485)

  Risposta. — Il Ministero della salute risponde all'interrogazione parlamentare in esame sulla base degli elementi acquisiti presso la regione Lazio, attraverso la prefettura – ufficio territoriale del governo di Roma.
  In merito a quanto richiesto con l'atto parlamentare in esame, la regione ha comunicato che, con riguardo alle strutture INI divisione medicus e INI Villa Dante, il 13 maggio 2016 il direttore generale della ASL Roma 5 ha trasmesso la relazione del direttore del dipartimento di prevenzione della medesima ASL, attestando la permanenza dei requisiti minimi autorizzativi e di quelli ulteriori per l'accreditamento per le strutture oggetto della procedura di licenziamento collettivo ricadenti nel proprio territorio di competenza.
  Con riguardo alla struttura INI città Bianca, il 12 maggio 2016 il direttore generale della ASL di Frosinone ha riscontrato la non conformità rispetto alla consistenza delle dotazioni organiche relative al presidio di riabilitazione funzionale (codice 56) e alla RSA.
  Ai sensi dell'articolo 11, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2003, e del regolamento regionale n. 2/2007, il 30 maggio 2016 l'amministrazione regionale ha diffidato la struttura a ripristinare i requisiti minimi autorizzativi risultati carenti.
  La società INI s.p.a. ha preliminarmente contro dedotto, ai sensi della legge n. 241/1990 con nota del 31 maggio 2016 e, successivamente, con nota del 22 giugno 2016 ha comunicato di possedere la dotazione organica prevista dalla vigente normativa.
  In considerazione del dichiarato adeguamento, l'amministrazione regionale comunica di aver chiesto alla ASL di Frosinone di attivare le opportune verifiche, al fine del completamento dell’iter istruttorio avviato.
  Con riguardo, inoltre, alla struttura INI di Grottaferrata, la Regione afferma di essere in attesa di ricevere il previsto riscontro da parte della ASL Roma 6.
  La procedura posta in essere è regolata dall'articolo 16 r.r. n. 2/2007: l'amministrazione regionale, in presenza di accertata difformità perpetrata oltre la diffida ed accertata dalla ASL competente, ovvero dagli enti deputati al controllo, dispone la sospensione dell'autorizzazione all'esercizio e la chiusura della struttura, fino a quando non siano rimosse le cause che hanno determinato il relativo provvedimento.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BERGAMINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso termale denominato «Acque della salute» e noto anche come «Terme del corallo» di Livorno è considerato tra i primi in Italia, per eleganza, ingegneria, qualità, efficacia delle cure termali, ricchezza artistica, livello architettonico e stile liberty con il quale fu progettato e realizzato dall'ingegner Angelo Badaloni tra il 1903 ed il 1904;
   costruito in cemento armato (primo edificio in Toscana e tra i primi in Italia), fu medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Parigi (1904), ma, dopo i fasti iniziali, è giunto ai giorni nostri in stato di totale abbandono;
   da anni si valutano numerose ipotesi per il restauro, il recupero e la riqualificazione dell'intera struttura, ma, ad oggi, niente di concreto è stato fatto;
   nel marzo 2016 è stata approvata dal consiglio regionale della Toscana una mozione di Forza Italia che chiede per le suddette terme l'applicazione della legge n. 622 del 1996 «per la definizione di nuovi giochi ed estrazioni settimanali del gioco del Lotto», la quale prevede che ogni anno venga riservata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo una quota degli utili derivanti dal gioco per iniziative ed interventi culturali, ambientali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari del nostro Paese, nonché per interventi di restauro paesaggistico o di promozione della cultura del nostro Paese;
   nel 2007, per la regolamentazione del procedimento di assegnazione, venne incrementata la quota destinata al fondo ex articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'autorizzazione «alla spesa di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2016»;
   la mozione approvata dal consiglio regionale ha impegnato la giunta regionale «ad attivarsi per esprimere ogni possibile capacità di interlocuzione ed intervento interistituzionale al fine di favorire l'inserimento degli interventi di recupero dello stabilimento “Acque della Salute di Livorno”, tra gli interventi di destinazione della quota di proventi del gioco del Lotto da destinare a quanto disposto dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996» –:
   se il Ministro interrogato abbia attivato, per quanto di competenza, tutti gli strumenti in suo possesso per favorire l'inserimento delle «Terme del corallo» tra i beni al cui recupero si procede con i proventi del gioco del lotto, secondo quanto stabilito dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 e dalla conseguente normativa del 2007;
   se il Ministro interrogato possa fornire dettagli sui criteri con i quali tali fondi siano destinati ed allocati alle numerose strutture del nostro Paese che rientrano nelle categorie ricomprese tra quelle destinatarie dei fondi messi a disposizione dallo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (4-13503)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, premesso che, secondo l'interrogante, il complesso termale denominato «Acque della salute» e noto anche come «Terme del corallo» di Livorno, considerato tra i primi in Italia, versa attualmente in stato di totale abbandono e che da anni si valutano numerose ipotesi per il restauro, il recupero e la riqualificazione dell'intera struttura, ma, ad oggi, niente di concreto è stato fatto, chiede di sapere se il Ministero abbia attivato, per quanto di competenza, tutti gli strumenti in suo possesso per favorire l'inserimento delle «Terme del corallo» tra i beni al cui recupero si procede con i proventi del gioco del Lotto, secondo quanto stabilito dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 e dalla conseguente normativa del 2007, nonché se il Ministero possa fornire dettagli sui criteri con i quali tali fondi siano destinati ed allocati alle numerose strutture del nostro Paese che rientrano nelle categorie ricomprese tra quelle destinatarie dei fondi.
  A tal proposito si fa presente quanto segue.
  Il complesso monumentale denominato «Acque della salute, costituito da padiglioni principali, esedra, chiosco ottagonale, edicole, torrino, magazzini, appartamenti e parco», attualmente di proprietà del comune di Livorno, è stato sottoposto alle disposizioni della legge di tutela una prima volta con decreto ministeriale dell'8 maggio 1969 e, più di recente con provvedimento del 2 dicembre 2015, in ragione delle numerose e raffinate decorazioni in stile liberty, della originale ed eclettica architettura inserita in un parco che ne costituisce una cornice naturale ed elegante. La competente soprintendenza comunica che effettivamente tale complesso versa in stato di abbandono, con rischio di perdita dei pregevoli decori.
  In merito alla possibilità di finanziare la riqualificazione della struttura mediante i fondi del gioco del Lotto, occorre considerare che la consistenza di tali fondi è andata progressivamente diminuendo nel corso del tempo, fino ad arrivare all'attuale disponibilità di euro 46.314.259,73, che comprende l'incremento, pari a 10 milioni di euro, di cui all'articolo 1, comma 351, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016).
  Si rammenta che i fondi in parola sono assegnati sulla base di apposita programmazione che viene assentita dal Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici: lo schema di programma annuale viene reso pubblico sulla rete intranet e sul sito internet del Ministero per un periodo di sessanta giorni per eventuali modifiche prima della sua approvazione. È una programmazione destinata a interventi di tutela e di valorizzazione.
  L'attuale Governo ha posto comunque in primo piano l'importanza della conservazione e del restauro del patrimonio culturale del Paese e lo ha dimostrato attraverso gli stanziamenti legati ai «Grandi progetti» di cui al decreto-legge n. 83 del 2014 per un importo pari a 5 milioni per il 2014, 30 milioni per il 2015, 50 milioni per il 2016, 70 milioni per il 2017 e 65 milioni a decorrere dal 2018, nonché al «Fondo tutela» di cui alla legge n. 90 del 2014 (legge di stabilità 2015) per un importo pari a 100 milioni annui dal 2016 al 2020, nonché alla delibera Cipe 1 maggio 2016 che prevede un importo pari ad un miliardo di euro per il finanziamento del piano turismo e cultura, che stanno consentendo e consentiranno il raggiungimento di grandi obiettivi, nell'ambito della tutela del patrimonio culturale.
  Alla luce di tali elementi, sarà pertanto cura dell'amministrazione valutare con la massima attenzione le proposte che perverranno dai competenti uffici territoriali in ordine al possibile utilizzo di risorse provenienti dalle fonti sopra ricordate cui aggiungere il concorso delle istituzioni locali interessate per la salvaguardia e la valorizzazione del bene in parola, beninteso nell'ambito di un organico quadro programmatorio.
Il Sottosegretario di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismoAntimo Cesaro.


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa un uomo malato di cancro da tempo, ricoverato presso l'Ospedale Torrette dell'azienda ospedaliera universitaria «Ospedali Riuniti di Ancona», colpito da una compressione midollare avrebbe perso l'uso delle gambe per l'impossibilità di sottoporsi ad una seduta di radioterapia nel fine settimana a causa della chiusura del reparto il sabato e la domenica;
   il paziente ricoverato per un'occlusione intestinale nel reparto di gastroenterologia poco prima di Pasqua aveva improvvisamente perso la sensibilità alle gambe. Dalla risonanza magnetica cui era stato immediatamente sottoposto, era emerso che la colonna vertebrale era compromessa;
   la moglie dell'uomo, dopo essersi consultata con uno specialista che aveva prescritto di sottoporre il paziente alla radioterapia entro 48 ore per evitare danni irreversibili alla colonna vertebrale, si era rivolta al reparto di radioterapia per fissare una seduta per il giorno dopo, ma i medici del reparto le avevano risposto che il sabato e la domenica sarebbe stato impossibile a causa della chiusura del reparto;
   la seduta di radioterapia rinviata al lunedì successivo si è rivelata tardiva ed è accaduto il peggio. Secondo il racconto della moglie del paziente, una volta constatata la paralisi degli arti, alcuni sanitari dell'ospedale di Ancona avrebbero ammesso la necessità di un intervento maggiormente tempestivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, sulla base degli elementi a disposizione del Ministro, trovi conferma quanto accaduto;
   quali iniziative, per quanto di competenza e di concerto con le regioni, intenda assumere al fine di garantire, in generale, il pieno svolgimento del servizio di radioterapia nell'arco dell'intera settimana, considerando quindi il carattere di urgenza di questo genere di trattamento per la cura di specifiche condizioni cliniche. (4-13096)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame sulla base delle notizie fornite dal servizio sanità della regione Marche e dall'azienda ospedaliera universitaria di Ancona.
  In merito all'episodio oggetto dell'interrogazione è emerso quanto segue.
  Il paziente, affetto da una patologia grave e con plurimanifestazioni in vari apparati, ha eseguito l’iter diagnostico terapeutico previsto per questa tipologia di quadri clinici complessi.
  In merito alla problematica riguardante gli arti inferiori è stato riferito che, in data giovedì 7 aprile 2016, il paziente, nonostante le insistenze dei medici, ha rifiutato l'esecuzione di una risonanza magnetica del rachide prescritta dal neurologo, propedeutica alla radioterapia. Questa circostanza risulta dagli atti documentali dell'ospedale.
  Solo dopo ulteriori insistenze i sanitari sono riusciti a far effettuare l'esame il successivo venerdì 8 aprile. Questa successione di circostanze ha reso impossibile l'inizio di un tempestivo trattamento radiante per tentare di eliminare la compressione. I sanitari, peraltro, ritengono improbabile un esito positivo di tale procedura, data l'estensione della patologia risultante dal referto della risonanza magnetica dell'8 aprile 2016.
  Il reparto di radioterapia degli ospedali riuniti di Ancona è organizzato, al fine di ottimizzare le risorse, in 5 giorni alla settimana, garantendo contemporaneamente l'attività su quattro acceleratori lineari che lavorano in doppio turno 12 ore al giorno più due giorni alla settimana di trattamenti di brachiterapia, analogamente alla maggioranza dei centri di radioterapia nazionali.
  Il dirigente del servizio sanità ha rappresentato che è in corso una complessiva riorganizzazione delle attività della rete ospedaliera, finalizzata alla garanzia del migliore livello assistenziale, anche attraverso l'utilizzo massimale delle strumentazioni e l'adeguamento del piano assunzioni del personale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BINETTI e BOSCO. — Al Ministro della salute, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro della giustizia, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   esiste una legge dello Stato spesso criticata per un suo presunto «proibizionismo» e per questo attaccata con l'obiettivo di smontarne i divieti e lo stesso impianto;
   si tratta della legge n. 40, al centro di decine di ricorsi e di alcune sentenze della Corte Costituzionale che ne hanno alterato vari punti qualificanti; eppure non è mai stata tanto citata positivamente come negli ultimi mesi;
   per stornare, infatti, il sospetto che la disciplina delle unioni di fatto consentisse, tra le complicate pieghe dei suoi commi, di ottenere figli tramite utero in affitto è stato infatti ripetutamente evocato il divieto contenuto propri nella legge sulla procreazione medicalmente assistita del 2004;
   il comma 6 dell'articolo 12 della legge 40 afferma: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»);
   ebbene in questi giorni la violazione di questo comma è sotto gli occhi di tutti: alcune redazioni giornalistiche riferiscono infatti dell'arrivo in Italia di rappresentanti della clinica californiana dove Nicola VENDOLA e il suo compagno Ed TESTA hanno ottenuto una gravidanza con surroga da parte di una donna, pagata per questo;
   sembra che l'obiettivo del viaggio dagli Usa nel nostro Paese sia strettamente commerciale, per proporre quegli stessi servizi vietati dalla legge n. 40 nel comma in questione; a conferma di ciò tanto sul sito della clinica, la « Extraordinary Conceptions», si annuncia un calendario di incontri in Italia ed Europa per «consulti gratuiti e appuntamenti privati», probabilmente in alcuni alberghi delle diverse città toccate dal tour; la Extraordinary Conceptions si definisce azienda leader di maternità surrogata e si mette a disposizione delle coppie italiane andandole a trovare a Firenze, Milano, Roma, ecc. pronta a fornire non solo le madri in affitto ma anche tutti i servizi accessori (venditrici di ovuli incluse);
   il catalogo viene proposto dall'amministratore delegato in persona, Mario CABALLERO, che già l'anno scorso era stato in Italia per un tour analogo; dopo l'Italia, andrà a Ginevra, Zurigo e Barcellona;
   per contattarlo e prendere un appuntamento basta inviare un’email e attendere di essere contattato, riceverà anche il catalogo che mostra in modo spietato come la vita umana sia stata trasformata in merce, con l'angosciante tristezza dei prezzi accanto ai bambini –:
   in che modo si intenda far rispettare la legge n. 40 nel citato passaggio in cui vieta la pubblicità della maternità surrogata e se, come alcuni sostengono il divieto della stepchild adoption, ancorato alla legge n. 40, sia solo in attesa di un ulteriore cambiamento della legge, fino a farle includere anche questa violazione dei diritti della donna e del bambini. (4-13511)

  Risposta. — I fatti riferiti nell'interrogazione parlamentare in esame emergono da un'inchiesta giornalistica, e sono relativi ad un fenomeno, la «surrogazione di maternità», che l'Italia vieta espressamente e sanziona duramente.
  Infatti, al comma 6 dell'articolo 12 della legge n. 40 del 2004 è sancito che «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
  Anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, ha mantenuto fermo il divieto di tale procedura.
  Il Comitato nazionale di bioetica (CBN), sottolineando che la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio, sottoposto come un oggetto a un atto di cessione, si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano (mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004; mozione sulla compravendita di ovociti, 13 luglio 2007; parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi, 23 maggio 2013).
  In questi documenti il CNB ha ricordato e fatto proprio il disposto dell'articolo 21 della convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997): «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; disposto che, ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000), costituisce uno dei principi etici dell'Unione europea.
  La posizione del Ministero della salute è di assoluta condanna di ogni forma di maternità surrogata, in quanto contratto inaccettabile di compravendita di esseri umani, ed in quanto è una procedura che non può che avvenire mediante forme contrattuali rigide e vessatorie, necessariamente di tipo commerciale.
  Il Governo è impegnato ad assumere iniziative, a livello nazionale e internazionale, in tutte le sedi istituzionali sovranazionali, affinché la surrogazione di maternità, in ogni sua modalità e variante contrattuale, sia riconosciuta come nuova forma di schiavitù e di tratta di esseri umani, e sia quindi considerato un reato universalmente perseguibile.
  A seguito dell'episodio specifico citato nell'interpellanza in esame, il Ministro della salute, come dichiarato attraverso i mezzi di stampa, ha prontamente incaricato i carabinieri dei nuclei antisofisticazioni e sanità (NAS) di avviare un'indagine ad hoc, in considerazione delle disposizioni previste dalla legge n. 40 del 2004.
  È opportuno segnalare che, a seguito delle attività intraprese dai carabinieri NAS, l'amministratore delegato dell'azienda «Extraordinary Conceptions» ha disdetto tutti gli ulteriori appuntamenti in Italia ed è ripartito per gli Stati Uniti.
  Sulla questione, il Ministero della giustizia ha segnalato che la condotta avente ad oggetto qualsiasi forma di pubblicazione o commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, è già punita come reato dall'articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 e che tale reato è perseguibile d'ufficio.
  L'azione penale può essere esercitata a fronte di una condotta che integri la fattispecie incriminatrice, e si realizzi attraverso una concreta attività di pubblicizzazione.
  Per quanto attiene alla paventata modifica della legge n. 40 del 2004 in relazione alla cosiddetta stepchild adoption, il dicastero della giustizia non ha comunicato l'esistenza di disegni di legge a tale riguardo.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato dal Sindacato italiano lavoratori polizia (SILP) Cgil di Como, e ampiamente ripreso da organi di stampa locali, il 26 gennaio 2015, dopo le ore 1.30 di notte, nel corso dell'inseguimento di un'autovettura che non aveva rispettato l’«alt» intimato da una pattuglia della Polstrada di Busto Arsizio in provincia di Varese, interveniva anche una volante con equipaggio dell'Ufficio di prevenzione generale e soccorso pubblico della questura di Como; l'auto inseguita giungeva al confine italo-svizzero di Como Brogeda, forzava il valico ed entrava in territorio elvetico;
   secondo quanto riferito dalle fonti sopra citate, gli operanti della Polizia di Stato hanno seguito le procedure previste, contattando telefonicamente il centro di cooperazione (CCDP) di Chiasso, e ottenendo l'autorizzazione a proseguire l'inseguimento in territorio elvetico;
   anche la Polizia cantonale svizzera, informata dei fatti, intercettava l'auto in fuga e si poneva al suo inseguimento poi terminato nelle adiacenze di un'area di servizio autostradale in territorio elvetico a circa 10 chilometri dal confine italiano;
   nonostante l'autorizzazione alla prosecuzione dell'inseguimento in territorio elvetico, gli agenti della Polizia di Stato della volante comasca sono stati sottoposti a privazione della libertà da parte della polizia cantonale, disarmati e portati, dopo aver addirittura sottoposto il poliziotto conducente ad alcoltest, nella sede di Lugano, sottoposti ad interrogatorio ed infine scortati presso il confine italiano, dove venivano rilasciati intorno alle ore 7.00 della mattina successiva;
   da tale episodio, se confermato nei suoi tratti essenziali, emergono disfunzioni di sistema sul fronte istituzionale e organizzativo, che rischiano di compromettere la reciproca collaborazione tra polizia italiana e polizia svizzera a danno della sicurezza pubblica generale, in un territorio di frontiera, particolarmente sensibile; l'episodio inoltre mortifica il lavoro della Polizia di Stato, e di coloro che nel caso concreto hanno professionalmente agito per garantire la sicurezza pubblica e la prevenzione dei reati –:
   se il Ministro interrogato sia venuto a conoscenza dei fatti sopra esposti, se possa confermare il corretto comportamento degli operanti, se sia a conoscenza dell'attivazione immediata, durante l'evento segnalato, di canali diplomatici e di tutela nei confronti degli agenti della polizia di Stato di Como trattenuti in Svizzera; e, in caso negativo, quali siano le motivazioni per le quali ciò non sia avvenuto;
   se il Ministro intenda adottare misure finalizzate ad accertare eventuali responsabilità, ad evitare per il futuro il verificarsi di episodi analoghi, a regolare altrimenti i rapporti di cooperazione transfrontaliera con la Confederazione Elvetica e con il Cantone Ticino. (4-07920)

  Risposta. — Nella notte del 26 gennaio 2015, nel territorio del comune di Turate in provincia di Como, una pattuglia della polizia stradale di Busto Arsizio, durante un controllo, ha sottoposto ad alcoltest il conducente di una vettura che procedeva in modo irregolare.
  A controllo ancora in corso, il conducente è risalito a bordo della propria autovettura, dandosi alla fuga a forte velocità. Durante il successivo inseguimento il veicolo in fuga ha speronato ripetutamente la fiancata dell'auto di servizio della polizia stradale.
  Peraltro, presso la barriera autostradale Como-Grandate, la vettura ha abbattuto la sbarra del casello autostradale dirigendosi verso il valico di frontiera di Como-Brogeda. Di tale situazione è stata data comunicazione alla polizia elvetica.
  Una pattuglia della squadra volante di Como, subentrata nel frattempo nell'inseguimento, ha raggiunto a sua volta il valico autostradale e, dopo aver ottenuto rassicurazioni dalla propria sala operativa in merito all'acquisizione delle formali autorizzazioni per le vie brevi, è entrata in territorio elvetico.
  Nel contempo, sul fronte svizzero, una pattuglia della polizia comunale di Chiasso, ha posto fine alla corsa della vettura in fuga presso l'area di servizio di Coldrerio, a pochi chilometri dai confine di Stato, dove poco dopo è arrivata la volante della questura di Como.
  Presso l'area di servizio sono sopraggiunte altre due pattuglie del reparto mobile sottoceneri della polizia cantonale del Ticino, che hanno vietato ai due agenti italiani la prosecuzione di ogni ulteriore attività, ancorché in concorso con i colleghi svizzeri, intimando loro di consegnare le armi di ordinanza, in quanto non risultava essere stata concessa alcuna autorizzazione al loro ingresso in territorio elvetico.
  I poliziotti italiani sono stati quindi invitati ad esibire i documenti di identità, fornire le generalità e sono stati sottoposti a prova etilometrica, con esito negativo.
  Successivamente, i due agenti sono stati portati presso il comando di Lugano-Noranco, dove sono stati ascoltati separatamente in merito ai fatti avvenuti, con stesura di apposito verbale di interrogatorio.
  In seguito gli agenti della polizia di Stato sono stati scortati fino al valico autostradale di Como-Brogeda dove sono state riconsegnate le armi di ordinanza.
  Nella mattinata dello stesso 26 gennaio 2015, il coordinatore elvetico del centro comune di cooperazione di polizia e doganale di Chiasso (Ccpd) ha ribadito che l'inseguimento transfrontaliero era stato posto in essere in assenza dei presupposti normativi legittimanti. Posizione, questa, non condivisa dalla questura di Como, tant’è che il Dipartimento della pubblica sicurezza ha interessato il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al fine di richiedere formali chiarimenti alle autorità elvetiche.
  Per chiarire l'accaduto e, più in generale, per migliorare il livello e la qualità della cooperazione transfrontaliera, l'8 marzo 2015 si è tenuto, a Chiasso, il Comitato direttivo del citato Ccpd.
  Nell'occasione, presenti i vari responsabili elvetici e nazionali, sono state rappresentate da parte italiana la correttezza dell'operato della pattuglia della squadra volante e la puntuale attivazione delle procedure che legittimavano la prosecuzione dell'inseguimento in territorio elvetico.
  I responsabili svizzeri hanno fatto sapere di aver accertato un eccesso di zelo da parte degli operatori della Polizia cantonale del Ticino, frutto di un'azione posta in essere dagli stessi autonomamente e al di fuori degli schemi previsti per il caso di specie. Hanno auspicato e assicurato, per il futuro, una proficua collaborazione, in modo da scongiurare il ripetersi di analoghe spiacevoli situazioni.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale dell'Abruzzo il 5 aprile 2016 ha approvato la legge n. 11 del 2016 che modifica le leggi regionali n. 25 del 2011, n. 5 del 2015, n. 38 del 1996 e n. 9 del 2011, pubblicata in seguito sul Bollettino ufficiale della regione Abruzzo, serie speciale n. 59 del 14 aprile 2016;
   in particolare, la legge n. 11 del 2016, modifica la legge regionale 21 giugno 1996, n. 38 (legge-quadro sulle aree protette della regione Abruzzo per l'Appennino Parco d'Europa), inerente le aree protette regionali, che consente di svolgere attività di addestramento, allenamento di cani e lo svolgimento di gare cinofile sul tutto il territorio del parco regionale Velino Sirente e delle riserve regionali durante tutto l'anno;
   si ricorda che, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 17 ottobre 2007, le zone di protezione speciale (Zps) sono formalmente designate al momento della trasmissione dei dati alla Commissione europea e, come stabilito dal decreto ministeriale dell'8 agosto 2014, l'elenco aggiornato delle Zps deve essere pubblicato sul sito internet del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e si precisa che il parco in questione è segnalato nell'elenco;
   consentire le attività di addestramento e allenamento di cani all'interno delle aree protette e delle riserve regionali è una scelta a giudizio degli interroganti molto grave che non ha precedenti in nessuna altra regione italiana proprio perché viola le norme nazionali ed europee in materia di conservazione delle specie faunistiche presenti nelle aree protette e nelle riserve naturali;
   le specie protette faunistiche presenti all'interno del parco Sirente Velino e di altre riserve naturali abruzzesi sono molte e le più rappresentative sono quelle dell'orso marsicano, del camoscio e del lupo;
   il parco regionale è classificato come zona di protezione, speciale (Zps) ai sensi della direttiva dell'Unione europea n. 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
   inoltre, la nuova norma appare agli interroganti in contrasto con la legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991) e con la legge n. 157 del 1992 concernente l'attività venatoria e con la stessa legge regionale 21 giugno 1996, n. 38, modificata poiché, ad avviso degli interroganti, di fatto la legge regionale n. 11 del 2016, consente la caccia a danno di cervi, caprioli e altre specie faunistiche protette –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se il Governo ritenga opportuno valutare la sussistenza di presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione in relazione alla legge regionale n. 11 del 2016 approvata dal consiglio regionale d'Abruzzo che, a giudizio degli interroganti, appare in palese contrasto con la normativa nazionale ed europea in materia di tutela e conservazione delle Zps. (4-13065)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente la legittimità costituzionale dell'articolo 4 della legge della regione Abruzzo n. 11 del 5 aprile 2016, che modifica la legge regionale 21 giugno 1996, n. 38, al fine di consentire le attività di addestramento e allenamento di cani all'interno delle aree protette e delle riserve regionali, si rappresenta quanto segue.
  Il Dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport ha avviato sulla legge regionale indicata in oggetto l'istruttoria al fine di formulare una proposta al Consiglio dei ministri in merito all'eventuale proposizione di un ricorso in via principale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
  Nell'ambito dell'istruttoria, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con parere trasmesso in data 13 maggio 2016, ha evidenziato possibili profili di incostituzionalità relativamente all'articolo 4 della legge regionale n. 11 del 2016. Tale disposizione era considerata suscettibile di mettere in pericolo determinate specie animali prioritarie (quali il lupo, l'orso bruno marsicano ed il camoscio appenninico), in contrasto con l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante «attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat». Inoltre, il Ministero ha rilevato un possibile contrasto con la «Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa», adottata a Berna il 19 settembre 1979, e ratificata ed eseguita in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 503, che tutela la fauna selvatica, specie nel periodo della riproduzione, dell'allevamento e dell'ibernazione. Poiché lo svolgimento delle attività cinofile e cinotecniche può essere applicabile anche all'attività di allevamento e addestramento di cani da caccia, il Ministero ha evidenziato che la norma poteva contrastare anche con l'articolo 10, comma 8, lettera e), della legge quadro sulla caccia (legge n. 157 del 1992).
  Anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rilevato la possibile incostituzionalità dell'articolo 4, per contrasto con la legge n. 157 del 1992; con il decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 nonché con l'articolo 6, lettera c) della legge n. 503 del 1981 di ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa adottata a Berna il 19 settembre 1979. Inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rilevato un potenziale contrasto anche con la legge 394 del 1991 «Legge quadro sulle aree protette» che, all'articolo 11, comma 3, vieta lo svolgimento nei parchi di attività che possono compromettere la salvaguardia degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
  Alla luce dell'istruttoria svolta e delle suddette osservazioni, il Consiglio dei ministri nella seduta del 31 maggio 2016, ha deliberato l'impugnativa della legge della regione Abruzzo n. 11 del 2016.
  In particolare, il Consiglio dei ministri ha ritenuto che l'articolo 4, nella parte in cui consente lo svolgimento di attività cinofile e cinotecniche nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali guidate, controllate e speciali, pone un serio pericolo per la tutela di alcune specie animali, restringendo l'oggetto della tutela prevista dalle norme (nazionali, europee e internazionali) in materia di protezione della fauna (articolo 5 e articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997; articoli 2, comma 2, e 12, comma 1, lettere b) e d), direttiva 92/43/CEE; articolo 6, comma 1, lettera c) della «Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa», adottata a Berna il 19 settembre 1979, e ratificata con legge n. 503/1981; articolo 10, comma 8, lettera e); articolo 21, comma 1, lettera b) e articolo 30, comma 1, lettera d) della legge n. 157 del 1992; articolo 5, punto 1, direttiva 2009/147/CE; articoli 1, comma 3, lettera a); 11, comma 1, 3 e 4 e 12 della legge 394 del 1991 «legge quadro sulle aree protette»).
  Pertanto, il Consiglio dei ministri ha promosso il ricorso di legittimità costituzionale della disposizione per violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», e dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione, che impone al legislatore, anche regionale, il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
  Inoltre, il Consiglio dei ministri ha deliberato l'impugnativa anche dell'articolo 1 della medesima legge regionale n. 11 del 2016. Tale norma, che modifica l'articolo 12 della legge regionale 3 agosto 2011, n. 25, fissa il costo unitario per l'uso idroelettrico da utilizzare nel calcolo del canone annuo dovuto dal concessionario, facendo riferimento al parametro della «potenza efficiente», come definita dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico (Aeegsi). La previsione, che riproduce il contenuto di norme analoghe precedentemente impugnate dal Governo (articolo 11, comma 6, legge regionale n. 5 del 2016 e articolo 1, comma 2, lettera b), legge regionale n. 36 del 2015), incide sulla capacità di operare in pari condizioni sul mercato unico dell'energia elettrica, perché le imprese operanti in Abruzzo, gravate di un canone maggiore, andrebbero a competere con analoghi impianti che avendo, invece, un canone molto più basso, sono in grado di offrire sul mercato dell'energia prezzi più bassi di quelli degli impianti abruzzesi. Il ricorso di legittimità costituzionale della disposizione, pertanto, è fondato sul ravvisato contrasto con i princìpi in materia di tutela della concorrenza contenuti all'articolo 37, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012 e per conseguente violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieEnrico Costa.


   BRUGNEROTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Il Mattino di Padova del 26 aprile 2016 pubblica un articolo dal titolo «La massa d'acqua contaminata ha una mobilità sotterranea valutata in un chilometro e mezzo l'anno – Quella mina vagante nella falda avvelenata», relativo alla massa d'acqua contaminata dai pfas che giace nel sottosuolo del vicentino;
   l'articolo cita gli studi condotti dall'Arpav, secondo i quali «lo strato superficiale è costituito da una trentina di metri di materiale ghiaioso, quindi compare la falda freatica contaminata dalle sostanze perfluoroalchemiche. Qual è il pericolo ? Quando piove, il livello della falda si innalza con un effetto dilavante sul cumulo dei Pfas che non è una massa inerte ma ha una sua mobilità valutata nell'ordine di un chilometro e mezzo l'anno. Il rischio, insomma, è che i veleni si propaghino nelle zone limitrofe, inquinando ulteriori falde. Perciò urge un'opera di disinquinamento e rimozione della massa idrica che si annuncia tutt'altro che semplice»;
   l'articolo fa riferimento anche all'Ordine veneto dei geologi che segnala ritardi e carenze di tipo legislativo: «le acque sotterranee seguono, dal punto di vista normativo, tre riferimenti differenti: acque sotterranee, acque potabili e acque minerali. I limiti di legge per le varie tipologie di acque sono molto diversi, ipoteticamente la medesima acqua con il medesimo chimismo potrebbe essere conforme alla legge per la potabilità, ma contaminata per quella per le acque sotterranee. Certamente questi riferimenti disomogenei e talora assenti non aiutano l'utente ad avere chiarezza su cosa sta bevendo; ci si chiede quanto tempo ancora dovrà passare perché si spinga verso uno studio scientifico approfondito dei propri acquiferi regionali, requisito essenziale per trovarsi già pronti nel caso, non remoto, che compaia qualche altro nuovo contaminante» –:
   quali urgenti iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per far fronte al grave problema della falda freatica contaminata;
   se non si ritenga di dover intervenire urgentemente, anche attraverso un'iniziativa normativa atta a superare gli attuali limiti di legge distinti per tipologie di acque (acque sotterranee, acque potabili e acque minerali), giungendo ad un nuovo sistema a maggior tutela dell'utente;
   se siano previsti, per quanto di competenza e in accordo con le competenti istituzioni regionali, nuovi studi scientifici, così come auspicati dall'Ordine veneto dei geologi. (4-13032)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, attesa l'analogia della materia trattata.
  L'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con la regione del Veneto, ha condotto, nella zona interessata, uno studio in materia di inquinamento acquifero, al fine di caratterizzare l'esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in soggetti residenti in aree di alcune province del Veneto interessate da presumibile esposizione incrementale a questi inquinanti, rispetto a gruppi di popolazione di controllo residente in altre aree geografiche del Veneto, identificate in base ai dati disponibili sulla contaminazione da PFAS della filiera idrica. Nell'ambito dello studio è stata condotta anche un'analisi genetica con l'obiettivo di caratterizzare i soggetti arruolati per la presenza di una variante allelica del trasportatore renale OATP1A2 presumibilmente coinvolto nel bilanciamento secrezione/riassorbimento di tali sostanze.
  Sono stati selezionati i seguenti comuni:
   per l'area a esposizione incrementale: Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego;
   per l'area di controllo: Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso.

  I risultati dello studio sono stati illustrati dal responsabile scientifico dello studio per l'Istituto superiore di sanità in due presentazioni pubbliche organizzate dalla regione Veneto tenutesi a Venezia il 20 e 21 aprile 2016. Hanno partecipato a questi incontri i sindaci dei comuni coinvolti nello studio e rappresentanti della stampa.
  Tali risultati hanno evidenziato concentrazioni nel siero della maggior parte dei PFAS dei residenti nelle aree interessate dalla contaminazione delle acque significativamente superiori a quelle dei residenti delle aree identificate come di controllo. All'interno del gruppo degli esposti sono stati inoltre identificati sottogruppi a maggiore esposizione (residenti nella ULSS 5).
  Relativamente all'analisi genetica i dati ottenuti indicano che non c’è relazione tra i livelli di dose interna dei PFAS e il genotipo analizzato. Pertanto, la dose interna così come evidenziata dallo studio di biomonitoraggio è determinata essenzialmente dall'esposizione esterna e non dalle caratteristiche genetiche individuali studiate.
  L'Istituto medesimo ha, inoltre, fornito alla regione del Veneto le schede individuali delle analisi effettuate, per la restituzione dei dati alle persone arruolate per l'indagine, corredate da alcune note esplicative.
  Lo studio sugli allevatori è tuttora in corso: la regione del Veneto è in fase di arruolamento dei soggetti, per cui l'istituto è in attesa di ricevere i campioni sui quali effettuare l'analisi.
  In ultima analisi, si evidenzia che in data 2 maggio 2016 la regione Veneto ha trasmesso al Ministero della salute i risultati e le prime elaborazioni relative alla determinazione della concentrazione dei biomarcatori di esposizione nel siero e l'analisi genetica di una variante allelica del trasportatore renale OATP1A2. I dati forniti necessitano di ulteriori approfondimenti, anche in relazione a possibili correlazioni con gli esami anamnestici della popolazione sottoposta agli esami ematici, ma, dalla prima analisi statistica, confermano fenomeni di accumulo delle sostanze in esame nei pazienti esposti con una significatività di p<0.05.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Santa Lucia è un ospedale, inaugurato nel 2002, ad alta specializzazione di rilievo nazionale e i suoi servizi di assistenza medica sono insieme alla ricerca aspetto fondamentale della sua identità;
   nonostante l'importanza e il valore riconosciuto all'istituzione, la si trova in una situazione estremamente delicata, di cui si discute da anni, senza trovare una soluzione definitiva;
   il tema del destino della Fondazione torna periodicamente ad interessare anche i mezzi d'informazione, ed è necessario lavorare per una soluzione, evitando la crisi definitiva;
   tre scioperi sindacali negli ultimi due mesi e fornitori sempre più preoccupati di rientrare dai crediti da o la misura dei rischi di tenuta interna ed esterna dell'organizzazione, che da anni mette in campo tutte le proprie energie per continuare ad assicurare qualità delle cure e livelli di occupazione;
   la Fondazione resta punto di riferimento anche nazionale nell'ambito della neuro-riabilitazione, come dimostra il fatto che nell'anno 2015, la Fondazione ha effettuato 2011 ricoveri (ordinari e day hospital) e nei primi cinque mesi dell'anno 2016, 615 ricoveri (ordinari e day hospital);
   si osserva, inoltre, che la complessità dei pazienti ricoverati presso la Fondazione Santa Lucia continua a crescere secondo il calcolo oggettivo della Scala di Barthel e di altre scale funzionali;
   la scarsità dei finanziamenti pubblici non aiuta certo questa importantissima attività, così come rende difficile l'attività di ricerca, che insieme all'attività sanitaria costituisce il secondo ambito istituzionale di attività della Fondazione in qualità di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Nel periodo 2008-2015 i finanziamenti della «ricerca corrente», infatti, sono scesi del 28,6 per cento, nonostante la produttività scientifica della Fondazione sia salita nel medesimo periodo del 77,63 percento, secondo il calcolo dell’Impact Factor, standard di valutazione internazionale, utilizzato anche dal Ministero della salute;
   le molte richieste di ricovero che continuano a pervenire dimostrano, inoltre, che i cittadini, con i loro bisogni di salute, riconoscono alla Fondazione Santa Lucia qualità di eccellenza. I dati nazionali sull'attività di ricerca, che collocano la Fondazione nel gruppo delle tredici istituzioni che da sole realizzano il 50 per cento dell'intera produzione scientifica degli Irccs (otto di questi concentrati a Milano e in Lombardia !), confermano che la Fondazione è una risorsa, che non può andare persa;
   appare, quindi, necessario un intervento per evitare la chiusura della Fondazione con le gravissime conseguenze che si possono immaginare –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato per assicurare i livelli di assistenza sanitaria, i profili occupazionali e la qualità della ricerca scientifica della Fondazione Santa Lucia. (4-13890)

  Risposta. — I fondi della ricerca biomedica, negli ultimi sei anni, hanno subito una riduzione sistematica, passando da 307.000.000,00 euro per l'anno 2010 a 254.000.000,00 euro per l'anno 2016, a fronte dell'incremento del numero degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), i quali da n. 44 nel 2010 sono passati a n. 49 nel 2016.
  Nonostante tale situazione, il Ministero della salute ha mantenuto relativamente costante, nei limiti delle suddette disponibilità economiche, la quota dei fondi della ricerca corrente che sono risultati, nel periodo dal 2010 al 2016, in media, pari a 165.000.000,00 euro per anno.
  Occorre rilevare che, dal 2012 al 2015, è aumentata la produttività, in termini di «impact factor», della «fondazione Santa Lucia» e degli altri IRCCS, grazie anche all'attività di monitoraggio e valutazione della produzione scientifica compiuta dal Ministero della salute.
  L'effetto combinato dell'aumento del numero degli IRCCS destinatari del contributo ministeriale e dell'incremento della produttività dei ricercatori, ha determinato una diminuzione della remunerazione per singolo punto di «impact factor», che è passata da 2.784,5 euro nel 2012 a 1.630,79 euro nel 2015.
  È evidente, pertanto, che la diminuzione nel tempo dei finanziamenti per la ricerca corrente in favore della «fondazione Santa Lucia» è stata determinata dalla combinazione dei fattori richiamati.
  È opportuno ricordare, peraltro, che l'istituto in questione, negli ultimi quattro anni ha vinto numerosi progetti di ricerca cosiddetta finalizzata, selezionati con il sistema di «peer review», per un importo pari a 20.633.751,16 euro.
  A fronte di tale ulteriore sforzo economico di questo Ministero, tuttavia, si deve rilevare che un certo ritardo nell'erogazione finale dei fondi, nel corso del 2015, è stato dovuto alla circostanza che circa il 42% delle relazioni intermedie e finali trasmesse dall'Istituto stesso presentava criticità tali da richiedere ulteriori integrazioni e chiarimenti, ai fini dell'emanazione del prescritto parere tecnico indispensabile per dar corso all'erogazione dei fondi medesimi.
  Relativamente all'assistenza, si segnala che, su richiesta della «fondazione Santa Lucia» e della regione Lazio, il Ministero della salute ha costituito un tavolo tecnico, i cui lavori sono in corso di svolgimento, per trovare una soluzione concordata transattiva, volta a individuare opportune risposte allo stato di crisi in cui versa la fondazione, nella consapevolezza del valore scientifico e assistenziale da essa rappresentato per il servizio sanitario regionale e nazionale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia stradale di Vittoria insiste su una provincia, quella di Ragusa, che ha una superficie di 1.614 chilometri quadrati e una popolazione di 320 mila abitanti ed è probabilmente l'unica provincia italiana priva di autostrade;
   lo spostamento da una zona all'altra della provincia risulta improponibile per un ufficio come quello della polizia stradale di Ragusa che, priva del distaccamento di Vittoria, ha solo nel capoluogo un altro ufficio, causando problemi di spostamento sia per i poliziotti impiegati nella provincia ragusana, poiché non tempestivi negli interventi di chiamata da parte dei cittadini, sia per i cittadini stessi;
   il distaccamento della polizia stradale di Vittoria riesce con pochissimo personale a mettere su strada, più volte, anche una seconda pattuglia, oltreché quella del capoluogo ragusano, garantendo altresì nel quadrante h24 sempre una pattuglia;
   l'istituzione del distaccamento della polizia stradale di Vittoria ha origini e motivazioni superiori in quanto nella città di Vittoria è presente uno tra i più grandi mercati ortofrutticoli d'Italia con un volume di traffico veicolare elevato;
   la presenza della polizia stradale a Vittoria ha rappresentato e rappresenta un motivo di orgoglio e di sicurezza tra i cittadini nonché punto di riferimento per numerosi cittadini che devono recarsi presso gli uffici della polizia stradale di Vittoria provenienti anche dai comuni limitrofi;
   il territorio di Vittoria è una zona ad alta densità criminale e il volume svolto dagli 8 poliziotti presenti in quell'ufficio è, a giudizio dell'interrogante, encomiabile nonostante la carenza di personale;
   l'ufficio della polizia stradale di Vittoria è adiacente al commissariato di Vittoria. I due uffici distinti in compiti e mansioni dividono lo stesso garage per il parco delle autovetture e le ragioni che sottostanno alla chiusura, probabilmente relative alla «spending review», non troverebbero motivo di esistere poiché lo stabile, suddiviso in due palazzine, è indivisibile poiché collegato;
   a giudizio dell'interrogante e del sindacato «Autonomi di polizia», la chiusura del distaccamento della polizia stradale di Vittoria provocherebbe seri e documentati problemi di sicurezza e di ordine pubblico;
   si dovrebbe, piuttosto, provvedere ad aumentare l'organico del predetto ufficio anziché privare gli abitanti della presenza della polizia di Stato –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per evitare che accada quanto descritto in premessa. (4-03833)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura del distaccamento della polizia stradale di Vittoria, è legata – al pari della proposta di chiusura di altri uffici di polizia sul territorio nazionale – all'attuazione di un piano di razionalizzazione che è stato sottoposto al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza nei primi mesi del 2014, e che allo stato attuale non è ancora stato definito.
  Ciò in quanto è sopravvenuta, nel frattempo, la legge 7 agosto 2015, n. 124 – cosiddetta legge Madia – che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di provvedimenti normativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha individuato alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza e cioè «razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali».
  Si informa, pertanto, che si potrà procedere con il piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale solo quando sarà completato il percorso normativo avviato con la predetta legge di delega e che di recente ha visto aggiungere un ulteriore tassello, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 12 settembre 2016 del decreto legislativo attuativo n. 177 del 2016.
  Per completare l’iter normativo bisognerà ora attendere l'adozione del decreto del Ministro dell'interno che conterrà misure di razionalizzazione della dislocazione delle forze di polizia sul territorio, privilegiando l'impiego della polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio, fatte salve specifiche deroghe per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica.
  Il processo di riorganizzazione riguarderà anche le sedi della polizia stradale, dato che dagli inizi degli anni ’90 – periodo a cui risale l'ultimo processo di riorganizzazione – sono intervenute notevoli trasformazioni nella sicurezza dei traffici stradali, legate all'aumento dei volumi di traffico e ai cambiamenti delle direttrici principali.
  In ogni caso, si assicura fin d'ora che i contenuti di tale provvedimento saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento e di adeguamento organizzativo alla trasformazione tecnologica e infrastrutturale del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a meno di due chilometri da Tripoli sorge l'ultimo cimitero italiano, ormai un terreno infestato da sterpaglie;
   questo cimitero custodisce i corpi dei nostri soldati caduti ad El Alamein, fanti, aviatori, marinai ed i resti di 7800 italiani che vivevano in quella che dal 1912 al 1947 è stata una nostra colonia. Ora, con l'Isis, le spoglie mortali dei nostri connazionali rischiano di venire profanate, anzi, rischia di venire cancellata ogni traccia di quell'ultimo camposanto italiano dopo che il governo di Gheddafi, quando salì al potere, fece rimpatriare le salme di altri 28 mila italiani;
   dopo la caduta di Gheddafi le lapidi sono state divelte da jihadisti e bande criminali; quasi tutte le salme, almeno quelle non profanate, delle migliaia di italiani che qui riposavano, sono adesso conservate in un sacrario blindato e inaccessibile, come riportato da un reportage del Corriere della Sera;
   uno scenario che cozza nettamente con quello del vicino cimitero inglese, separato da quello italiano soltanto da 12 scalini, ancora intatto e ben curato;
   la ragione di un così diverso trattamento da parte delle bande jihadiste nei riguardi del cimitero italiano rispetto a quello inglese, secondo quanto riferisce l'attuale custode di quello che resta del nostro cimitero è semplice: il Regno Unito paga guardie armate e giardinieri, mentre il Governo italiano non ha assunto, per gli interroganti, iniziative adeguate per la tutela del suddetto cimitero italiano;
   già nel 2015, in molti avevano chiesto un intervento da parte del Ministero degli affari esteri;
   l'associazione ex allievi delle scuole cristiane in Libia e l'associazione italiani rimpatriati dalla Libia hanno, inutilmente, invocato un «blitz» finalizzato almeno al rimpatrio delle salme. A tal proposito, oltretutto, ci sarebbe anche un precedente significativo, quando cioè i servizi segreti italiani riuscirono con pochi fondi a rimpatriare le salme dei caduti italiani dalla Somalia, dopo che le corti islamiche avevano devastato il cimitero italiano di Mogadiscio;
   la vicenda del cimitero italiano in Libia è un altro insulto alla memoria dei morti italiani. E non si sta facendo nulla per porvi almeno un parziale rimedio;
   tra l'altro, il trasferimento dei resti degli italiani di questo ultimo cimitero in terra libica non è neanche tanto difficile. I resti sono in piccole cassette che possono venir stivate nei container;
   qualche mese fa, i jihadisti hanno sfondato il muro, entrando nel cimitero con un bulldozer e lo hanno profanato e devastato già due volte. Prima i ladri e adesso i fanatici islamisti;
   con i miliziani dell'Isis in giro per la Libia e con la probabile guerra civile fra il Governo di Tripoli e quello di Bengasi, il rischio che il cimitero venga, non solo profanato, ma addirittura cancellato coi bulldozer è reale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di recuperare le salme dell'ultimo cimitero italiano in terra di Libia. (4-13091)

  Risposta. — Nel cimitero cattolico di Tripoli riposano circa 8.200 salme (7.400 in tombe individuali e 800 in ossari comuni), nessuna delle quali appartenente a connazionali caduti in guerra.
  A seguito di una serie di atti vandalici, dovuti in primo luogo agli eventi rivoluzionari del 2011, l'area italiana del cimitero era stata ristrutturata quasi integralmente. A partire dagli inizi del 2014, si sono tuttavia verificati nuovi e ripetuti attacchi alla struttura, riconducibili in parte ad atti di avvertimento all'Italia per il suo ruolo a sostegno del dialogo in Libia, in parte a scontri tra gruppi armati locali o ad atti vandalici. Attraverso l'ambasciata a Tripoli, in questi anni il Governo italiano ha costantemente vigilato sulla struttura e sollecitato le competenti autorità libiche ad assicurarne la tutela, nonostante le difficoltà dovute all'abbandono dei luoghi da parte di molti guardiani, alla crescente debolezza del Governo libico e alla vastità del perimetro del sito. Purtroppo, il peggioramento del quadro politico e di sicurezza ha ulteriormente ostacolato la nostra a tutela del cimitero di Hammangi, soprattutto da quando l'aeroporto e la città di Tripoli sono sfuggite al controllo dell'autorità del Governo centrale nell'agosto-settembre del 2014.
  Quanto all'eventuale rimpatrio delle salme, si tratta di una operazione eccezionale, particolarmente articolata dal punto di vista logistico e di sicurezza, considerato anche l'elevato numero di salme presenti nel cimitero tripolino. Un simile intervento si potrebbe comunque effettuare solo con il progressivo, auspicato miglioramento delle condizioni di sicurezza nella capitale libica, che al momento, nonostante il nuovo Consiglio Presidenziale libico si sia insediato il 30 marzo 2016, non sono ancora sufficienti ad intraprendere un'operazione di così ampia portata. In ogni caso, una soluzione invasiva come il trasferimento delle salme dovrà essere attentamente vagliata in stretto raccordo con le famiglie dei defunti, eventualmente in collaborazione con l'Associazione italiani rimpatriati dalla Libia.
  In alternativa, vi sarebbe la possibilità, certamente preferibile sotto il profilo della tutela della memoria storica e culturale della presenza italiana in Libia, di mettere in sicurezza il sito, allocando i fondi necessari alla sua vigilanza e al suo ripristino della struttura. Peraltro, il progressivo consolidamento della presenza del Governo e di Accordo nazionale libico a Tripoli e il miglioramento del quadro di sicurezza renderà più agevole ed efficace il raccordo con le entità libiche, pubbliche e private, per garantire la sicurezza del cimitero di Hammangi. Si assicura pertanto, sin d'ora che il tema della sicurezza del cimitero di Hammangi verrà sollevato nel corso dei prossimi, abituali contatti a livello politico con le autorità libiche, insistendo sull'importanza accordata dall'Italia alla protezione della memoria dei suoi defunti e sulla nostra aspettativa che le autorità libiche si impegnino attivamente a tutela del sito. Parallelamente, si intende approfondire la possibilità di reperire le risorse per il rapido ripristino del sito, in condizioni di sicurezza, secondo quanto prospettato.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, BUSINAROLO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, COLONNESE, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DADONE, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FICO, FRACCARO e VILLAROSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   non vi è ancora un'univoca interpretazione sulla obbligatorietà dell'iscrizione dei professionisti o lavoratori esercenti attività autonome alla gestione separata INPS, istituita nel 1996;
   già a partire dall'anno 2009, l'Inps ha avviato la cosiddetta operazione Poseidone andando a verificare i redditi conseguiti da tali lavoratori autonomi nel 2004 e la corrispondente iscrizione ad una gestione previdenziale professionale;
   nello svolgimento dell'attività di accertamento dell'Istituto, in particolare nella verifica incrociata con le dichiarazioni reddituali (cosiddetta operazione Poseidone), nel corso della quale sono stati iscritti d'ufficio anche professionisti appartenenti ad albi professionali dotati di una propria Cassa previdenziale, sono emerse problematiche di applicazione tra quanto disciplinato dai regolamenti delle Casse previdenziali stesse, di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, e quanto previsto dalla normativa generale contenuta nella legge n. 335 del 1995 e nel relativo decreto attuativo decreto ministeriale n. 281 del 1996;
   l'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, prevede che «sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'Inps e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi»;
   per risolvere i dubbi interpretativi relativi alla individuazione dei soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata il legislatore è già intervenuto con l'articolo 18 comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011, prevedendo che «L'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata Inps sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11»;
   in particolare per gli iscritti agli albi degli architetti ed ingegneri, la normativa che disciplina l'iscrizione ad Inarcassa è contenuta nell'articolo 21 della legge n. 6 del 1981 e negli articoli 7 e 23 dello statuto della Cassa;
   in virtù dei princìpi contenuti nella legge n. 335 del 1995, anche il professionista – ingegnere o architetto – non dipendente, che esercita in modo non esclusivo e continuativo la libera professione è soggetto esclusivamente ad una contribuzione previdenziale presso la relativa cassa previdenziale: Inarcassa. Se il professionista esercita in modo non esclusivo la libera professione ed è anche dipendente, ad esempio docente, il proprio datore di lavoro corrisponde all'ex Inpdap i relativi contributi previdenziali (l'Inpdap dal 1° gennaio 2012 è confluita nella «super Inps»);
   tuttavia, accade che l'Inps iscrive d'ufficio nella gestione separata Inps i professionisti ingegneri e architetti liberi professionisti che svolgono anche un'attività di lavoro dipendente ed invia provvedimenti di riscossione con la richiesta di pagamento di contributi omessi, applicando pesantissime sanzioni, in quanto essendo percettori di reddito professionale non avevano versato alcun contributo previdenziale su tale entrata;
   molti sono i professionisti ingegneri e architetti nonché dipendenti che hanno impugnato tali avvisi: la magistratura del lavoro adita con numerose pronunce di merito ha annullato gli avvisi di addebito emessi a titolo di omissione di contributi dovuti alla gestione separata dichiarando insussistente l'obbligo di iscrizione alla gestione separata e di versamento dei contributi a carico degli ingegneri ed architetti liberi professionisti nonché dipendenti, poiché l'iscrizione alla gestione separata ha carattere residuale essendo obbligatoria «esclusivamente» per i lavoratori autonomi che esercitano una professione per la quale non sia obbligatoria l'iscrizione ad appositi albi (come invece lo sono gli ingegneri ed architetti che sono iscritti al rispettivo albo) ovvero per coloro che, pur iscritti, svolgano un'attività non soggetta a versamento contributivo, quale che ne sia la tipologia e natura, agli enti di previdenza per i liberi professionisti (come invece accade per gli ingegneri e architetti che sono tenuti a versare contributi a Inarcasse sul reddito prodotto): secondo le pronunce della magistratura, i presupposti necessari per l'iscrizione alla gestione separata non ricorrono, dunque, per gli architetti e ingegneri che sono anche dipendenti, poiché sono iscritti ad un apposito albo professionale ed in relazione all'attività che svolgono sono tenuti già al versamento contributivo in favore di un ente di diritto privato (Inarcassa) compreso tra quelli di cui al comma 11 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 (tribunale di Avellino, sentenza n. 1108/2015; tribunale di Genova, sentenza n. 1327/2014; corte di appello di Genova, sentenza n. 322/2015; tribunale di Rieti, sentenza n. 339/2013; corte di appello di Torino, sentenza del 27 novembre 2014; tribunale di Venezia, sentenza n. 498/2015; tribunale di Palmi, sentenza n. 783/2015; tribunale di Napoli, sentenza del 7 novembre 2013; tribunale di Milano, sentenza del 19 febbraio 2014; tribunale di Milano, sentenza n. 1417/2015); in questo periodo di grande crisi dell'edilizia che coinvolge anche i professionisti ingegneri e architetti già sofferenti per una congiuntura economica assai critica, questo contributo alle casse dell'Inps risulta insostenibile anche per il costo delle spese legali da sostenere, oltre che non dovuto come confermato dalle pronunce della magistratura di merito;
   è evidente, a parere degli interroganti, che le pretese creditorie portate dall'Inps sono frutto di una non conforme interpretazione delle norme da parte dell'Inps che numerose pronunce di merito hanno censurato –:
   se sia corretto che l'Inps iscriva alla gestione separata tutti i professionisti, ingegneri ed architetti, che esercitano la libera professione e che risultano già provvisti di una altra posizione di previdenza o di un rapporto di lavoro;
   quali urgenti iniziative, alla luce del problema descritto, il Governo intenda assumere per sospendere e annullare i provvedimenti di riscossione emessi dall'Inps e quali iniziative intenda adottare al fine di garantire una corretta interpretazione dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e dell'articolo 18, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 e di risolvere in tempi brevi il contenzioso crescente tra l'Inps e i professionisti interessati, sui quali non possono gravare gli effetti di una non conforme interpretazione della normativa e di differenti valutazioni da parte delle istituzioni interessate. (4-14274)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente all'iscrizione nella gestione separata presso l'Inps degli ingegneri e architetti che esercitano la libera professione e che svolgono anche un'attività di lavoro dipendente, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno evidenziare che il comma 12 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, nell'introdurre una norma di interpretazione autentica dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, ha delimitato gli ambiti di competenza della gestione separata e delle altre forme assicurative private e privatizzate (di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 96) confermando la possibilità che la separazione di competenza possa venire meno nei casi in cui le singole casse professionali prevedano, all'interno delle proprie norme istitutive, ipotesi di esclusione dall'obbligo assicurativo o di opzione di iscrizione.
  Al riguardo, l'Inps con circolare n. 99 del 2011, ha evidenziato la conformità del proprio orientamento alla citata norma di interpretazione autentica, ritenendo che la disposizione contenuta nel comma 26 dell'articolo 2 della legge n. 335 del 1995 debba essere letta in combinato disposto con quella di cui al precedente comma 25, che delega il Governo ad emanare norme volte ad assicurare «la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi».
  L'articolo 6 del decreto ministeriale n. 281 del 1996 recante: modalità e termini per il versamento contributivo alla gestione separata, confermando la chiave di lettura dei commi 25 e 26 dell'articolo 2 della citata legge n. 335 del 1995, ha chiarito che i liberi professionisti sono tenuti al pagamento del contributo alla gestione separata relativamente ai redditi professionali non assoggettati a contribuzione previdenziale obbligatoria presso la cassa di categoria di appartenenza. Vi rientrano, quindi, coloro che, pur svolgendo attività iscrivibile ad albi professionali, non sono tenuti al versamento del contributo soggettivo presso le casse di appartenenza, ovvero che hanno esercitato eventuali facoltà di non versamento e/o iscrizione, in base alle previsioni dei rispettivi statuti o regolamenti.
  A titolo esemplificativo ma non esaustivo, si possono verificare diverse situazioni, che comportano l'assenza d'iscrizione/versamento alla cassa di appartenenza:
   mancato raggiungimento di un livello minimo di reddito (ad esempio per la cassa avvocati fino all'entrata in vigore della legge 247 del 2012);
   esercizio di attività di tirocinio o praticantato (ad esempio per la cassa commercialisti);
   esistenza di altra copertura contributiva contestuale allo svolgimento della professione, a causa della quale la cassa di appartenenza esclude l'obbligo di versamento del contributo soggettivo, relativo all'attività professionale.

  Tali soggetti, in base alla norma di interpretazione autentica, continueranno ad essere destinatari dell'obbligo contributivo alla gestione separata Inps, in considerazione del fatto che i redditi percepiti non risultano assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria.
  Con riferimento allo specifico caso degli ingegneri e architetti che hanno anche lo status di lavoratori dipendenti, occorre precisare che trattasi di professionisti non tenuti al versamento del contributo soggettivo alla Inarcassa, ai sensi dell'articolo 7 del relativo statuto. Quest'ultimo articolo, peraltro, ribadisce quanto già espresso dall'articolo 21, comma 5, della legge n. 6 del 1981 che esclude dall'iscrizione alla cassa previdenziale gli ingegneri e gli architetti iscritti a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato.
  Pertanto, i redditi da lavoro autonomo prodotti dagli architetti e ingegneri che contestualmente hanno un rapporto di lavoro subordinato non possono essere assoggettati alla contribuzione obbligatoria presso Inarcassa ma sono assoggettati all'obbligo contributivo in favore della gestione separata Inps.
  Tanto premesso, per quanto concerne il regime sanzionatorio da applicare ai professionisti interessati dalla cosiddetta «operazione Poseidone», si rappresenta che l'Inps, con messaggio n. 000821 del 15 gennaio 2014, ha riconosciuto la possibilità di applicare la riduzione delle sanzioni civili limitandole alla sola misura degli interessi legali, così come previsto dall'articolo 116, comma 15, lettera a), della legge n. 388 del 2000.
  Da ultimo, l'Inps, con circolare n. 72 del 10 aprile 2015 ha fornito, anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale, i criteri generali per la corretta individuazione dell'ente competente in materia di previdenza per i liberi professionisti che svolgono attività professionale di ingegnere od architetto.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comunicato stampa relativo alla riunione del CIPE del 1° maggio 2016, presieduta dallo stesso Presidente del Consiglio, dà conto dell'avvenuta deliberazione, da parte del Comitato, di una serie di investimenti a valere sul fondo sviluppo e coesione (FSC);
   il FSC è lo strumento finanziario per le politiche nazionali di coesione che, in coerenza con le analoghe politiche europee, hanno lo scopo di combattere i divari strutturali di sviluppo tra le aree del Paese;
   la regola generale di ripartizione dei finanziamenti del FSC per la corrente stagione di programmazione 2014-2020 prevede che l'80 per cento delle risorse vadano alle regioni meno sviluppate del Sud e il 20 per cento a quelle del Centro nord;
   per principio generale, inoltre, i finanziamenti a carico del FSC devono essere per loro natura aggiuntivi e non sostitutivi della spesa ordinaria definita con leggi e tabelle di finanziaria;
   la delibera in argomento, secondo gli interroganti, ha violato per più versi questi semplici principi, in quanto ha indirizzato, tra gli altri, i seguenti finanziamenti:
    a) 500 milioni di euro a carico del fondo sviluppo e coesione al nuovo piano nazionale della ricerca, il cui finanziamento ordinario nel bilancio del Ministero responsabile era gravemente carente e inferiore al precedente, con ciò utilizzando queste risorse come sostitutive di finanziamenti ordinari e senza alcuna indicazione del vincolo di sistema a favore delle regioni meno sviluppate;
    b) 1 miliardo per finanziare un non meglio precisato «piano turismo e cultura» che, da fonti di stampa, consisterebbe in una sommatoria di microprogettualità territoriali prevalentemente nelle regioni più sviluppate, a giudizio degli interroganti con una palese violazione del principio base di funzionamento del FSC a favore del Mezzogiorno;
    c) 4 milioni di euro all'Istituto italiano per gli studi filosofici e all'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, con quella che gli interroganti giudicano una piccola ma ignobile operazione di favoritismo, in un momento in cui il bilancio del Ministero competente non supporta le attività del settore, nel quale molti istituti di cultura sono sull'orlo del collasso senza poter accedere ad alcun tipo di finanziamento pubblico –:
   se le notizie, tratte dal comunicato stampa presente sul sito del Governo, corrispondano a verità;
   quali ragioni abbiano giustificato quella che gli interroganti ritengano una così evidente lesione dei principi di funzionamento del fondo;
   come si intenda porre riparo alla situazione di dubbia legittimità e di sperequazione in tal modo prodotta;
   se si intenda proseguire con una simile gestione secondo gli interroganti opaca, abborracciata e irragionevole dell'unica fonte finanziaria che consente politiche di investimento materiale e immateriale e riequilibrio strutturale tra le aree del Paese;
   se chi ha proposto quella che appare agli interroganti una somma di tali illegittime decisioni in occasione della deliberazione del CIPE non ritenga di dover rassegnare le proprie dimissioni per rispetto del ruolo e dei potenziali beneficiari delle risorse in argomento. (4-13389)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione parlamentare in esame si rappresenta che gli interventi delineati nel programma nazionale per la ricerca 2015-2020, di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prevedono investimenti a valere su due macro categorie di fonti finanziarie:
   1. Finanziamenti strutturali a valere su diversi capitoli di competenza del Dipartimento per la formazione superiore e la ricerca, segnatamente quelli dedicati al Fondo ordinario degli enti (Foe) e al Fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo);
   2. Finanziamenti strutturali aggiuntivi, a valere sul Programma operativo nazionale (PON) Ricerca e innovazione 2014-2010 – cofinanziato da risorse comunitarie (Fesr e Fse) e risorse nazionali (Fondo di rotazione) – e sul piano stralcio ricerca e innovazione 2015-2017, cofinanziato dalle risorse del Fondo di sviluppo e coesione (Fsc) – previsto dal decreto legislativo n. 88 del 31 maggio 2011 che detta disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali.

  Il fabbisogno finanziario espresso dal Pnr è quantificato, relativamente al triennio 2015-2017, in complessivi 2.428,6 milioni di euro.
  Le risorse aggiuntive Pon ed Fsc e la coerenza delle iniziative previste, tanto nel Pon quanto nel Piano Stralcio, con quelle delineate nel PNR, assicurano adeguata massa critica per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, grazie anche all'efficientamento della spesa ordinaria a valere sul Foe e sull'Ffo attraverso strumenti e criteri premiali e di merito.
  Le risorse dell'Fsc – nel rispetto della legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 703, così come specificato nel piano stralcio – saranno impiegate per l'80 per cento nelle regioni del Mezzogiorno, il restante 20 per cento sarà impiegato per finanziare interventi nelle altre regioni del territorio italiano.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   COMINELLI, SBERNA, GALPERTI, GELMINI, ROMELE, BAZOLI, BERLINGHIERI, PISO, PICCHI e CAPARINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 4 luglio 2016 il cittadino italiano Federico Rosa nato a Brescia, in data 11 settembre 1969, manager ed agente di numerosi atleti di livello mondiale, è stato interrogato, previo invito a comparire, presso il commissariato antidoping di Nairobi in Kenya;
   Federico Rosa, è un affermatissimo manager di molti dei più prestigiosi atleti del panorama della maratona internazionale e plurivincitore delle maratone di Boston, New York, Chicago, Londra, Berlino, Rotterdam, Campionati Mondiali ed Olimpiadi;
   il manager veniva invitato a comparire il giorno dopo presso lo stesso commissariato e il 5 luglio gli veniva ritirato il passaporto, contestualmente veniva tradotto in custodia in una stazione di polizia;
   venerdì 8 luglio, dopo tre giorni, Federico Rosa veniva portato in tribunale e dopo aver pagato una cauzione di 300.000 scellini (circa 3.000 dollari) veniva rilasciato senza la restituzione del passaporto;
   l'accusa formalizzata al Federico Rosa è incentrata sulla testimonianza di un atleta keniota, Elijan Kiprono Boit, il quale ha dichiarato di aver ricevuto trattamenti dopanti dal 2004 al 2008;
   l'atleta in questione, a quanto risulta agli interroganti, ha esclusivamente intrattenuto rapporti di lavoro con il Rosa per meno di un anno, nel solo 2004, avendo poi cambiato manager e non è mai stato trovato positivo al doping;
   mercoledì 13 luglio Federico Rosa è stato riportato in tribunale e gli è stato notificato che, alla denuncia del Boit, si era aggiunta quella di Rita Jeptoo, già condannata a 2 anni di sospensione per doping;
   in virtù di questa ulteriore denuncia Federico Rosa è stato nuovamente trattenuto in custodia in una stazione di polizia;
   lunedì 18 luglio in tribunale, Federico Rosa ha ricevuto da parte del giudice, come condizione per il rilascio a piede libero, una richiesta di garanzia da effettuare a carico di due cittadini Kenioti per un importo di 500.000 scellini ognuno (circa 5.000 dollari);
   le garanzie richieste, a causa di una serie di lungaggini burocratiche, sarebbero giunte in ritardo (ore 16 locali) ed essendo il giudice andato via, Federico Rosa è rimasto in stato detentivo;
   in data 1° agosto 2016 si è svolta l'udienza per cui il giudice doveva pronunciarsi sulla richiesta di restituzione del passaporto, la domanda è stata accolta e a Federico Rosa è stato riconsegnato il passaporto –:
   se il Ministro interrogato abbia conoscenza puntuale della vicenda sopra riportata;
   se in che termini si sia, eventualmente, attivato per sostenere il nostro connazionale;
   quali eventuali iniziative intenda intraprendere per una vicenda che sta coinvolgendo un cittadino italiano sul quale da più parti, dal mondo dell'atletica e dello sport, sono pervenuti messaggi di stima e solidarietà per il riconoscimento di un lavoro sempre svolto nell'assoluto rispetto delle regole. (4-14014)

  Risposta. — Il signor Federico Rosa è stato sottoposto (all'inizio unitamente al padre Gabriele Rosa, poi escluso dalle accuse) ad un procedimento giudiziario in Kenya avviato dall'Unità narcotici del dipartimento di investigazione criminale (Cid), connesso alla sua attività professionale svolta nel Paese. Egli è titolare con il padre di una società che opera da molto tempo nel settore sportivo a livello internazionale, in particolare nella disciplina dell'atletica leggera.
  Le accuse rivolte al signor Rosa, confermate a metà luglio dalla magistratura keniana, riguardano alcune dichiarazioni che lo stesso signor Rosa avrebbe rilasciato tra il 2004 e il 2008 a proposito di sospetti casi di doping riguardanti tre atleti kenioti, la cui immagine sarebbe risultata pesantemente danneggiata con ripercussioni negative sulla loro carriera.
  L'Ambasciata d'Italia a Nairobi, avvisata dagli stessi Rosa, ha seguito la vicenda fin dal principio, prestando assistenza e mantenendo i contatti con le autorità locali, con l'avvocato italiano e con il legale keniano dei connazionali.
  Giova ripercorrere l’iter giudiziario che ha riguardato il nostro connazionale.
  Il 5 luglio 2016 si è svolta la prima udienza, alla quale era presente un funzionario diplomatico dell'Ambasciata e durante la quale il giudice ha confermato lo stato di fermo del signor Rosa sino alla conclusione delle indagini. Ne ha tuttavia disposto la detenzione presso la stazione di polizia di Gigiri, in cui sono garantite condizioni migliori di detenzione rispetto ai comuni penitenziari kenioti. Le indagini si sono chiuse il giorno 8, mentre l'11 luglio 2016 si è svolta la seconda udienza, nella quale sono state confermate le accuse a carico del signor Rosa. Nondimeno i suoi legali ne hanno ottenuto il rilascio su cauzione.
  Nella successiva udienza del 14 luglio 2016 – sempre alla presenza di un funzionario dell'Ambasciata – la Procura ha presentato un'ulteriore accusa avanzata da un'altra atleta – già condannata per doping dagli organismi internazionali competenti – la quale ha dichiarato di essere stata aiutata dal signor Rosa a far uso di doping nel 2014. L'imputato si è dichiarato non colpevole. I suoi avvocati hanno fatto istanza di rilascio del passaporto, per consentire al loro assistito la partecipazione alle imminenti Olimpiadi del Brasile al fine di poter seguire gli atleti che fanno riferimento alla sua società. La pubblica accusa si è opposta. Il giudice ha deciso di rinviare all'udienza del 18 luglio, nonostante la cauzione del signor Rosa fosse già stata versata. Alla luce dell'irritualità della decisione di prolungare il fermo di polizia nonostante il pagamento della cauzione, l'Ambasciata ha inviato una formale comunicazione alle autorità keniote, con apposita nota verbale, per chiedere il riconoscimento dei diritti dell'accusato.
  Nella quarta udienza, svoltasi il 19 luglio 2016, il giudice ha indicato come data di inizio della fase processuale l'8 agosto e rigettato nuovamente l'istanza per il rilascio del passaporto. Nell'udienza del 26 luglio 2016 non si è pervenuti ad alcuna decisione. Il successivo 2 agosto, sesta udienza, il signor Rosa ha riavuto il passaporto e ha quindi potuto recarsi alle Olimpiadi.
  L'ulteriore udienza, inizialmente fissata per il 26 agosto, si è poi svolta il 5 settembre 2016. Durante il dibattimento, il connazionale ha provveduto a riconsegnare il proprio passaporto alle autorità giudiziarie keniane, ottemperando alla condizione posta nell'udienza del 2 agosto.
  Il giorno successivo, il 6 settembre, le autorità locali hanno riconsegnato il passaporto al Rosa previa esibizione del biglietto di rientro a Nairobi entro la prossima udienza, fissata per il giorno 22 novembre 2016. Il connazionale è così rientrato in Italia, dove intende rimanere fino al ritorno a Nairobi per l'udienza di novembre.
  L'Ambasciata d'Italia a Nairobi, in stretto raccordo con la Farnesina, continuerà a prestare la massima assistenza al signor Rosa fino alla conclusione della vicenda giudiziaria che lo riguarda, affinché possa godere di tutte le garanzie previste dall'ordinamento locale e dai princìpi giuridici internazionali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2014 due operai italiani, Francesco Scalise e Luciano Gallo, originari di Pianopoli (CZ) e Feroleto Antico (CZ) sono scomparsi mentre si trovavano in Libia, in località Terna della Cirenaica, per eseguire dei lavori con la General World, un'impresa edile di Crotone che si occupa della costruzione di strade e di altre opere;
   i due operai sono stati rapiti da un gruppo armato che li ha costretti a scendere dal loro furgone e a salire su un altro veicolo nei pressi del villaggio Martuba, tra le città di Derna e Tobruk;
   il furgone con gli attrezzi da lavoro, utilizzati da Francesco Scalise e Luciano Gallo, è stato ritrovato abbandonato da alcuni operai della General World;
   il sequestro non è stato ancora rivendicato e a tutt'oggi i familiari dei due operai non hanno ottenuto alcuna notizia dalla Farnesina –:
   se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda attivare per fare chiarezza sulla vicenda dei due operai e dare così risposte certe e rassicuranti alle loro famiglie che da giorni vivono nell'angoscia e nell'attesa. (4-13764)

  Risposta. — Nella mattinata del 18 gennaio 2014 l'Ambasciata d'Italia a Tripoli è stata informata della irreperibilità dal giorno precedente, 17, di Francesco Scalise e Luciano Gallo, due operai italiani, entrambi di origini calabresi che si trovavano nelle vicinanze della città di Derna, situata nella provincia orientale libica della Cirenaica, per eseguire dei lavori con la società General World, che si occupa della costruzione di grandi opere pubbliche. L'allarme era partito dopo che i due operai non avevano fatto ritorno in cantiere alla fine del turno di lavoro. La segnalazione all'Ambasciata veniva fatta dal signor Angelo Scalise, fratello di uno dei due connazionali scomparsi, a sua volta avvisato da colleghi della medesima azienda. Il loro furgone, con gli attrezzi da lavoro, è stato trovato in una zona isolata da alcuni colleghi che si erano messi alla loro ricerca.
  Ricevuta la segnalazione dalla Ambasciata, la Farnesina prendeva immediatamente contatto con i familiari dei due connazionali (che intanto avevano ricevuto frammentarie informazioni) confermando la irreperibilità dei loro congiunti, ed attivava i competenti organi affinché fossero avviate attività di ricerca dei signori Scalise e Gallo.
  La vicenda si è conclusa positivamente il 7 febbraio 2014 con il rilascio dei due connazionali.
  Su quanto accaduto è tuttora aperto un fascicolo contro ignoti, presso la Procura della Repubblica di Roma, per il delitto di cui all'articolo 289-bis del codice penale (sequestro di persona a scopo di terrorismo).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Greco di Tufo, il Fiano e il Taurasi sono vini a denominazione di origine controllata e garantita diffusamente riconosciuti come prodotti di grande pregio; una caratteristica che scaturisce in ragione delle somme investite in qualità dalle cantine irpine, non solo per la produzione ma anche per la fase di imbottigliamento;
   la categoria dei vini docg comprende quelli prodotti in ben individuate zone geografiche;
   la individuazione dei vini docg è effettuata nel rispetto di una procedura indicata in un disciplinare di produzione;
   tale procedura è radicalmente cambiata sin dal 2010 in seguito all'attuazione della nuova normativa europea contenuta nel regolamento Ce, n. 479 del 2008, «Nuova OCM Vino»;
   detto regolamento è stato recepito in Italia con il decreto legislativo n. 61 dell'8 aprile 2010, ed è in vigore dall'11 maggio 2010;
   la qualità di vino docg è riservata a quei vini che hanno già ottenuto il riconoscimento di prodotto a denominazione di origine controllata (Doc) da almeno dieci anni e che siano considerati di particolare pregio, in ragione di ben specifiche caratteristiche qualitative;
   si tratta di vini che, rispetto alla media di quelli simili classificati DOC, hanno acquisito nel tempo una particolare rinomanza a livello nazionale ed internazionale;
   da quanto dichiarato da numerosi produttori residenti nelle aree docg irpine, c’è chi imbottiglia in località lontane immettendo sul mercato Fiano, Greco di Tufo e Taurasi a prezzi irrisori; una pratica, questa, che non solo non garantisce sempre la qualità imposta dal disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita, ma che crea anche difficoltà a quelle cantine che imbottigliano in loco assicurando, anche in questa fase della produzione, altissimi standard di qualità;
   non sempre questa qualità è garantita da chi, invece, imbottiglia altrove e vende il vino a prezzi di gran lunga inferiori a quelli fissati dalle cantine che hanno sede nel territorio Docg;
   il disciplinare di produzione dei prodotti a denominazione di origine controllata e garantita prevede che i vini siano sottoposti ad una iniziale analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico non solo in fase di produzione, ma anche in quella di imbottigliamento durante la quale gli esami devono essere ripetuti partita per partita;
   a giudizio dell'interrogante, un Taurasi rispondente alle prescrizioni del disciplinare docg non può essere venduto a pochi euro;
   a giudizio dell'interrogante, il Governo dovrebbe valutare l'adozione di regole più stringenti che non solo assicurino la qualità dei vini docg, ma soprattutto non espongano le cantine irpine a gravi pregiudizi economici derivanti da una concorrenza non sempre leale –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare i produttori irpini di vini docg da chi, aggirando le attuali disposizioni contenute nel relativo disciplinare, immette sul mercato significativi quantitativi di bottiglie di vino Fiano, Greco di Tufo e Taurasi a prezzi ingiustificabilmente bassi, arrecando danni ingenti a chi, invece, punta tutto sulla qualità nel pieno rispetto delle norme in vigore. (4-10975)

  Risposta. — In merito a quanto richiesto con l'interrogazione in esame, mi preme anzitutto evidenziare che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con le regioni e in linea con le pertinenti norme europee e nazionali in materia di protezione delle Dop e Igp dei vini, ha già adottato specifici provvedimenti che assicurano un efficiente sistema di gestione e controllo delle produzioni in tutte le fasi della filiera.
  In tale contesto, oltre a prevedere che tutte le partite di vini Docg (ivi comprese quelle imbottigliate fuori zona) siano sottoposte sistematicamente agli esami analitici ed organolettici, il Mipaaf ha affidato rilevanti funzioni di valorizzazione e promozione a numerosi Consorzi di tutela delle specifiche Dop e Igp; tra l'altro, quelli che hanno dimostrato di possedere la maggioranza qualificata, sia per numero di produttori che per produzione di vino nell'ambito delle specifiche Dop/Igp, collaborano con le autorità di controllo alla vigilanza, sia durante le fasi produttive che sul mercato (articolo 17 del decreto legislativo n. 61 del 2010).
  Ciò posto, rilevo che allo stato attuale non risulta che siano stati riconosciuti Consorzi di tutela per le Docg in questione. È evidente che l'organizzazione della relativa filiera in specifici Consorzi di tutela consentirebbe, previa autorizzazione ministeriale, di collaborare con gli organi di controllo e segnalare i casi di sospetta non conformità dei vini rispetto ai parametri qualitativi stabiliti dai pertinenti disciplinari.
  Segnalo, infine, che anche le associazioni di produttori dei vini in questione (oltre ai consorzi di tutela) possono attivare la procedura per inserire nei relativi disciplinari l'obbligo di imbottigliamento in zona di produzione.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Irpinia è stata colpita da una gelata tardiva che il 26 aprile 2016 ha arrecato danni ingentissimi ai vigneti, in particolar modo a quelli ubicati nelle vicinanze dei torrenti d'acqua, nelle conche e nelle zone più basse;
   tali danni sono stati acuiti dalla stagione anticipata che vede le piante giunte nella fase fenologica di «grappoli separati» e, pertanto, maggiormente vulnerabili alle gelate;
   non potendo più fruttificare, la produzione è compromessa;
   secondo gli esperti del settore, i danni si ripercuoteranno anche sull'annata successiva: per le varietà allevate a guyot, difficilmente si potrà ottenere un tralcio fruttifero; per le varietà allevate a cordone, molti speroni non emetteranno germogli;
   i comuni colpiti per l'area del Taursai docg sono: Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, S. Angelo all'Esca, S. Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano;
   i comuni colpiti per l'area del Fiano sono: Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Senno e San Michele di Serino;
   i comuni colpiti per l'area del Greco di Tufo d.o.c.g. sono: Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni;
   sono giunte notizie di danni anche nei comuni di Ariano Irpino, Nusco, Bisaccia, Torella dei Lombardi, Frigento, Villamaina e Grottaminarda –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare a sostegno dei tanti viticoltori irpini così duramente colpiti dalla gelata tardiva del 26 aprile 2016. (4-13073)

  Risposta. — Con riguardo alla segnalata e anomala ondata di maltempo che, il 25 e 26 aprile 2016 ha colpito alcuni territori della provincia di Avellino provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che la Regione Campania, a seguito delle verifiche di competenza per l'eventuale attivazione del Fondo di solidarietà nazionale, nei termini e con le modalità prescritte dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, ha rilevato danni solo alle produzioni assicurabili.
  Pertanto, gli interventi compensativi previsti dal predetto fondo non risultano attivabili.
  Ricordo infatti che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi, le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino al 65 per cento della spesa premi sostenuta.
  Vorrei peraltro segnalare che gli strumenti ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi assicurando, infatti, oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
  Inoltre, coloro che sottoscrivono polizze assicurative agevolate, in caso di danno, incassano gli indennizzi assicurativi in tempi molto più brevi e in misura più adeguata alle perdite subite rispetto agli interventi compensativi.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2012 il comune di Casapesenna (Caserta) è stato sciolto per infiltrazioni mafiose secondo quanto previsto dall'articolo 143 del testo unico sugli enti locali;
   secondo quanto si apprende dalle fonti di stampa dell'epoca e secondo quanto segnalato, all'interrogante, a Casapesenna la commissione d'accesso per accertare eventuali infiltrazioni della camorra era stata inviata dalla prefettura di Caserta nel febbraio 2012 dopo l'arresto del sindaco Fortunato Zagaria, accusato dalla direzione distrettuale antimafia di violenza privata nei confronti del suo predecessore Giovanni Zara aggravata dall'aver agito per favorire un clan camorristico, quello facente capo all'ex latitante Michele Zagaria, arrestato nel dicembre 2011 dopo quasi sedici anni di latitanza;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto segnalato all'interrogante, già qualche giorno dopo l'arresto dell’ex primo cittadino lo scioglimento era stato causato dalle dimissioni di 13 consiglieri comunali, ma in seguito la delibera del Consiglio dei ministri ha confermato la presenza dei condizionamenti posti in essere dal clan Zagaria; un pentito, Roberto Vargas, aveva parlato dell'ex sindaco Fortunato Zagaria come «un pupazzo nelle mani del boss»;
   anche la scoperta dei due bunker in uso a Zagaria nel periodo della latitanza, dotati di sistemi di comunicazione sofisticati ed estesi in tutto il paese, testimoniavano l'enorme numero di fiancheggiatori di cui il boss poteva godere. Gli stessi lavori per realizzare il bunker, secondo i pm della direzione distrettuale antimafia non potevano essere stati realizzati senza collusioni in comune;
   nel successivo mese di maggio 2014 si sono svolte le elezioni comunali che hanno visto la vittoria di Marcello De Rosa. Secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto segnalato all'interrogante, nelle ultime settimane la direzione distrettuale antimafia avrebbe accertato che tra lui e il suo predecessore Fortunato Zagaria, sospettato di aver favorito il clan dei Casalesi, vi erano continui contatti telefonici dal tono confidenziale durante i quali l'ex sindaco dispensava al candidato consigli, che spesso apparivano anche delle vere e proprie direttive;
   sempre secondo fonti di stampa e segnalazioni all'interrogante, gli inquirenti, alla luce degli appuntamenti presi subito dopo le elezioni, sarebbero indotti a ritenere l'esistenza di una relazione di subordinazione da parte di De Rosa nei confronti di Zagaria; nelle intercettazioni, vi sarebbe addirittura un SMS di De Rosa all'indirizzo di Fortunato Zagaria dal seguente contenuto: «Sei un grande grazie»;
   nel corso del mese di gennaio 2016, la lista civica di opposizione avrebbe deciso di dimettersi dal consiglio comunale, chiedendo anche ai subentranti di rinunciare alla surroga. Tale decisione sarebbe stata assunta dopo la pubblicazione delle citate interrogazioni che dimostrerebbero la totale contiguità tra l'amministrazione sciolta nel 2012 e l'attuale. Se si disponesse un nuovo scioglimento del consiglio comunale sarebbe il quarto negli ultimi anni;
   è evidente come la diffusione a mezzo stampa delle notizie sopra riportate non può che gettare ulteriore discredito sull'amministrazione di un territorio da anni martoriato dall'infiltrazione camorristica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga, per quanto di competenza, di avviare iniziative finalizzate alla verifica della sussistenza dei presupposti per procedere nuovamente allo scioglimento del consiglio comunale di Casapesenna ai sensi di quanto previsto dall'articolo 143 del testo unico degli enti locali. (4-11883)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione del Ministro dell'interno su un'asserita situazione di subordinazione dell'attuale sindaco di Casapesenna rispetto al precedente capo dell'amministrazione comunale, a tutt'oggi sottoposto a procedimento penale per concorso in violenza privata commessa con l'aggravante (agevolazione di associazione di tipo mafioso) di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito con legge n. 203 del 1991.
  Al riguardo l'interrogante, ricordando i ripetuti scioglimenti della civica assise di Casapesenna per infiltrazioni o condizionamenti di tipo mafioso, chiede di verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione di un nuovo, analogo provvedimento di rigore nei confronti dell'attuale amministrazione di quel comune.
  Si rappresenta che, effettivamente, il consiglio comunale di Casapesenna è stato sciolto più volte nel corso degli anni – in particolare nel 1991, nel 1996 e nel 2012 – per collegamenti, diretti o indiretti, con la criminalità organizzata.
  L'attuale amministrazione si è insediata a seguito delle consultazioni amministrative del 25 maggio 2014, al termine della gestione commissariale dell'ente, ai sensi – appunto – dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali.
  Si riferisce inoltre che, nell'ambito dell'attività di monitoraggio esperita sugli organi elettivi con l'ausilio delle forze di polizia, alcuni dei fatti segnalati nell'interrogazione sono tuttora al vaglio dell'autorità giudiziaria.
  Si assicura infine che la situazione del Comune di Casapesenna è attentamente monitorata dalla prefettura di Caserta che continuerà a seguire gli sviluppi delle vicende evidenziate, nell'esercizio delle proprie prerogative e nei limiti delle competenze dettate dalla legge.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Avellino, in località Gradelle ai Miracoli o Rampa Tofara, sono ubicati i resti del tempietto altomedievale di San Nicola dei Greci;
   il monumento, già attestato nel X secolo, conserva elementi di straordinario interesse storico e culturale: dal portale esterno archivoltato all'aula separata da colonne con capitelli e conci classici di reimpiego, dalla torre in pietrame listato alle decorazioni scolpite in tufo grigio e giallo delle finestre e dei portali;
   danneggiato dai terribili eventi sismici del 1980, il sito monumentale versa oggi in condizioni di inagibilità e fatiscenza: a distanza di trentasei anni dal terremoto, il tempietto di San Nicola dei Greci di Avellino è stato completamente abbandonato a una desolante incuria tra il disinteresse più totale;
   la mancata realizzazione dei previsti interventi post-terremoto di consolidamento e miglioramento sismico della struttura, il peggioramento del quadro fessurativo e deformativo, la vulnerabilità e l'avanzato degrado dei materiali e degli elementi costruttivi, l'assenza di protezione, le evidenti condizioni di rischio stanno pregiudicando la sicurezza e la stessa sopravvivenza del bene culturale;
   un'incredibile testimonianza di storia, architettura e archeologia dell'Alto Medioevo rischia di essere irrimediabilmente perduta anche per quelle che l'interrogante giudica le inadempienze e le condotte omissive dell'amministrazione dei beni culturali che avrebbe dovuto adottare già da tempo le misure necessarie per la conservazione dell'importante testimonianza artistica e culturale –:
   se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo abbia assunto iniziative per avviare il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale dell'immobile denominato chiesa di San Nicola dei Greci nel comune di Avellino;
   se siano stati intimati ai proprietari, possessori o detentori del bene culturale gli interventi necessari per assicurarne la conservazione ovvero provvedervi direttamente ai sensi dell'articolo 32 del codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se intenda chiarire la consistenza e i contenuti, per quanto di competenza, delle attività ispettive della Soprintendenza per le belle arti e il paesaggio di Avellino e Salerno in merito alla valutazione periodica dello stato di conservazione della chiesa di San Nicola dei Greci nel comune di Avellino, dell'individuazione delle criticità, delle verifiche dei furti e delle depredazioni;
   quali iniziative intenda assumere per una maggiore tutela del decoro del bene culturale e del suo contesto;
   se, vista l'urgenza, non ritenga necessario promuovere interventi diretti, straordinari e poco onerosi, relativi alla messa in sicurezza del tempietto altomedievale di San Nicola dei Greci nel comune di Avellino;
   se intenda assumere iniziative per concorrere, parzialmente o totalmente nella spesa, per il restauro conservativo dell'edificio monumentale allo scopo di recuperarlo e restituirlo alla piena fruizione da parte dell'intera collettività, fissando anche appositi accordi con la proprietà per l'accessibilità pubblica. (4-12634)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, premesso che nel comune di Avellino, in località Gradelle ai Miracoli o Rampa Tofara, sono ubicati i resti del tempietto altomedievale di San Nicola dei Greci e che il sito monumentale versa oggi in condizioni di inagibilità e fatiscenza, l'interrogante chiede di sapere se il Ministero abbia assunto iniziative per avviare il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale della chiesa, se abbia intimato ai proprietari del bene culturale gli interventi necessari per assicurarne la conservazione ovvero provveduto direttamente ai sensi dell'articolo 32 del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché quali iniziative il Ministero intenda assumere per una maggiore tutela del decoro del bene culturale e del suo contesto.
  A tal proposito si fa presente quanto segue, sentita la Soprintendenza paesaggistica competente per territorio.
  L'edificio di cui si tratta è situato nella parte del centro storico del comune di Avellino denominata «La collina della terra», prospiciente i ruderi del castello, situati a ridosso dell'altura posta all'incrocio dello sbocco del torrente San Francesco nel torrente Fenestrelle; sito in Rampa Tofara n. 28-30, esso è individuato in catasto al foglio 38. particella 994; le supposte origini altomedioevali dell'edificio non sono riscontrabili nei pochi elementi visibili dall'esterno sfuggiti alle continue manomissioni, di cui sono evidenti tracce in tutta la facciata in pietrame tufaceo con elementi decorativi in pietra grigia; è invece probabilmente verosimile un'origine, seppur medievale, più tarda dell'edificio.
  L'edificio, danneggiato dal terremoto del 23 novembre 1980 (come tutta la parte del centro antico di Avellino), non è stato oggetto di alcun intervento di recupero, sebbene tutti i fabbricati circostanti siano stati ricostruiti, riparati o restaurati: di esso, attualmente, restano in piedi dei ruderi piuttosto informi, dal quadro fessurativo severo, retti da puntellature, le più vistose delle quali, sulle aperture, costituite da blocchi di cemento.
  Da un sopralluogo effettuato in data 22 aprile 2016 da parte del funzionario architetto responsabile di zona della Soprintendenza, si è avuto modo di verificare le effettive gravi condizioni di degrado statico ed abbandono dell'edificio, denominato «Chiesa di San Nicola dei Greci» (come risulta anche da una tabella installata nei pressi della facciata), ormai incastonato tra fabbricati completamente ricostruiti, sebbene in un'area di elevato interesse storico.
  Essendo di proprietà privata, ma con quota di comproprietà comunale, esso risulta sottoposto alle disposizioni contenute nella parte seconda, articolo 10, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
  Di recente, la Soprintendenza territoriale ha autorizzato, per quanto di propria competenza, ai sensi codice e per effetto del decreto ministeriale n. 171 del 27 novembre 2014, un intervento per la messa in sicurezza della facciata e della copertura provvisoria, dopo che, a seguito di una diffida del comune (peraltro, come già detto, comproprietario insieme ad altri privati dell'immobile) fatta all'amministratore (delegato per la ricostruzione) e rappresentante del condominio ad intervenire con tempestività per l'eliminazione di pericoli per la pubblica incolumità, erano state prodotte varie comunicazioni, preventivi e relazioni sugli interventi da attuare per la messa in sicurezza della vecchia costruzione.
  Con la stessa nota la Soprintendenza, pur approvando l'intervento urgente proposto dall'ingegnere incaricato dall'amministratore di risistemazione della copertura provvisoria e della facciata, ha anche richiesto e fatto presente che per ogni ulteriore intervento sull'immobile, peraltro urgentissimo viste le condizioni di estremo degrado dell'edificio, doveva obbligatoriamente essere presentato per l'approvazione, ai sensi dell'articolo 21 del codice, idoneo progetto redatto, come per legge, da un architetto, con scheda tecnica per eventuali interventi relativi ai beni mobili e alle superfici decorate, redatta e sottoscritta da restauratori con specifica competenza ai sensi dell'articolo 202 comma 1, del codice dei contratti pubblici, nel pieno rispetto di quanto previsto nel titolo IV, capo II, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e nonché del titolo XI, capi I e II del relativo regolamento di attuazione approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010.
  Autorizzato l'intervento citato, e richiesto un progetto organico redatto nelle forme previste dalla vigente normativa, la Soprintendenza è, attualmente, in attesa che la committenza si renda parte attiva nell'intervento di salvaguardia dell'immobile, essendo tenuta a garantirne la conservazione, prima di avviare, secondo norma, la procedura di esecuzione degli interventi conservativi imposti ai sensi degli articoli 32, 33 e 34 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il Sottosegretario di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismoAntimo Cesaro.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2016 nel comune di Montevarchi (Arezzo) è stata iscritta nel registro delle unioni civili la prima coppia gay formata da due uomini;
   al fatto è stata data particolare enfasi con svolgimento dell'evento nell'auditorium comunale e, come se non bastasse, sono state portate anche le scuole, con il pretesto di festeggiare la Festa della Donna;
   durante l'evento i ragazzi hanno dovuto assistere anche alla proiezione del film «Lei disse sì» che racconta di un matrimonio tra due lesbiche;
   la medesima attenzione non c’è stata quando il sindaco di Montevarchi, il 16 febbraio 2016, ha premiato le coppie che avevano celebrato i 50 anni di matrimonio;
   l'interrogante ha registrato numerose lamentele di genitori che si sono sentiti coartati nel loro sacrosanto diritto di scelta del tipo di educazione da impartire ai propri figli;
   lei stessa, Signora Ministro, si era a suo tempo impegnata, rassicurando alcune forze politiche che l'avevano investita della problematica educativa, assicurando che simili argomenti sarebbero stati affrontati nelle scuole solo con esplicito consenso manifestato dai genitori in forma scritta, ma tutto ciò a Montevarchi non è accaduto –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, in un caso grave come questo, di chiedere conto ai presidi delle scuole del comune aretino di una simile scelta educativa.
(4-12493)

  Risposta. — L'interrogante esprime perplessità in ordine a quanto avvenuto in data 5 marzo 2016 nel comune di Montevarchi (AR), allorché alcuni studenti hanno assistito alla celebrazione di una «unione civile».
  Al riguardo è utile ricordare, preliminarmente, che le scuole godono di una propria autonomia amministrativa, didattica e organizzativa, riconosciuta a livello costituzionale e regolata dall'articolo 21 della legge n. 59 del 1997 e dal regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. In coerenza con gli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione e nel rispetto della libertà di insegnamento, delle scelte educative e formative dei genitori e del diritto ad apprendere degli studenti, l'autonomia è lo strumento e la risorsa attraverso cui adottare metodi di lavoro, tempi di insegnamento, soluzioni funzionali alla realizzazione dei piani dell'offerta formativa e alle esigenze e vocazioni di ciascun alunno.
  Riguardo allo specifico episodio sopra segnalato, l'ufficio scolastico regionale per la Toscana ha acquisito una dettagliata relazione dal competente dirigente scolastico, dalla quale si evince che alla citata celebrazione hanno assistito alunni maggiorenni o pressoché maggiorenni, le cui famiglie sono state preavvisate, che l'iniziativa è stata programmata nei modi consueti e consoni alle uscite didattiche e che la stessa non ha suscitato nella scuola polemiche o critiche di rilievo, anche perché collocata in un contesto aperto al dibattito sul tema.
  Più nel dettaglio, è stato riferito che ogni anno le amministrazioni comunali di Montevarchi o di San Giovanni Valdarno, nei cui territori hanno sede istituti d'istruzione secondaria superiore, promuovono un'iniziativa pubblica, a cui sono invitate a partecipare delegazioni di studenti, per celebrare la «giornata internazionale dei diritti delle donne».
  Quest'anno, su proposta dell'amministrazione comunale di Montevarchi, l'iniziativa è stata prevista per il giorno 5 marzo e il programma prevedeva la visione del film «Lei disse sì» ed un dibattito con le autorità intervenute. A conclusione del dibattito sarebbe seguita l'iscrizione di una coppia di cittadini nel registro delle unioni civili.
  Il tema dell'iniziativa, alla quale hanno aderito un alto numero di istituzioni presenti nel territorio, è stato ritenuto dall'istituzione scolastica coerente con l'educazione alla cittadinanza e conforme agli obiettivi fissati nel piano di miglioramento della scuola medesima.
  Come sopra detto, alla scuola non è pervenuta alcuna rimostranza o critica da parte di docenti, studenti e genitori.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione in cui versa il complesso immobiliare ferrarese noto come Palazzo degli Specchi è all'origine di rilevanti preoccupazioni della popolazione residente nelle zone circostanti ed è già stata portata all'attenzione degli enti locali territorialmente competenti ed altresì della regione Emilia-Romagna, in particolare con l'interrogazione n. 1296 alla quale ha risposto l'assessorato regionale delle politiche per la salute;
   tale situazione, che persiste e si aggrava, è stata ampiamente generalizzata anche in atti di sindacato ispettivo, in particolare nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11799, presentata il 26 gennaio 2016 dall'onorevole Gianluca Pini, tuttora in attesa di risposta da parte del Ministro interrogato;
   le condizioni oggettive di degrado in cui si trova l'immobile — documentate già nella dichiarazione di inagibilità ed inabitabilità della struttura, risalente al 21 giugno 2004 e la circostanza che all'interno del suo perimetro e dentro i suoi locali si consumino molte attività illecite, dallo spaccio di droga allo sfruttamento della prostituzione, dovrebbero indurre ad assumere misure drastiche;
   nulla è cambiato dal 2004 relativamente ai profili di rischio sanitario e di incendio concernenti il Palazzo degli Specchi. Al contrario, il fatto che la struttura sia occupata da decine di clandestini, forse addirittura 150, è all'origine di attività assai pericolose, come il rogo dei rifiuti e l'accumulo di sporcizia, documentato anche fotograficamente;
   sarebbe conseguentemente auspicabile un'immediata nuova verifica da parte del soccorso tecnico urgente, per quanto riguarda la solidità e l'agibilità dell'immobile;
   dei 150 stranieri extracomunitari che occupano illegalmente il Palazzo degli Specchi sarebbe inoltre ignota persino la provenienza, malgrado alcuni blitz effettuati dalle forze dell'ordine abbiano condotto negli scorsi mesi all'identificazione e denuncia di qualche clandestino;
   è stata segnalata all'interno del Palazzo degli Specchi anche la presenza di minori;
   la drammatica situazione in cui si trova il Palazzo degli Specchi è stata anche all'origine di una manifestazione promossa dalla Lega Nord ferrarese, i cui militanti sono saliti sul tetto dell'immobile per denunciarne il degrado;
   il persistente svolgimento di attività vietate e la necessità di identificare tutti coloro che vivono illegalmente dentro il Palazzo degli Specchi di Ferrara dovrebbero comunque determinare iniziative più radicali, in particolare un intervento di sgombero da parte delle forze di polizia, se non addirittura la demolizione della struttura, per il cui risanamento sarebbe stata a suo tempo preventivata una spesa di 40 milioni di euro, da ritenersi ormai insufficiente alla luce del degrado patito dall'immobile –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per porre fine alla situazione di degrado in cui versa l'immobile noto come Palazzo degli Specchi a Ferrara e se, in particolare, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti per ripristinare la legalità al suo interno, oltre che ogni altra iniziativa di competenza richiesta da inderogabili ragioni di sicurezza. (4-13203)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante fa riferimento alla situazione di degrado in cui versa un immobile noto come Palazzo degli specchi, evidenziando come al suo interno si consumino molte attività illecite e dimorino irregolarmente oltre un centinaio di cittadini stranieri.
  Il predetto complesso immobiliare sorge da oltre venticinque anni in un vasto sito della prima periferia di Ferrara. Si tratta di una struttura imponente che, poco dopo la chiusura del cantiere nel 1989, è rimasta inutilizzata e in condizioni di abbandono.
  Il mancato impiego degli spazi, unitamente all'assenza di misure di vigilanza privata e all'inefficacia di quelle di difesa passiva, ha determinato negli anni sia un decadimento strutturale interno del plesso, sia un forte degrado del cortile adiacente, utilizzato nel tempo da soggetti intenzionati a compiere furti e atti di vandalismo.
  I cittadini residenti nelle vie limitrofe hanno effettuato diverse segnalazioni alle forze dell'ordine circa presenze sospette all'interno del complesso; segnalazioni a cui hanno fatto seguito numerosi interventi delle pattuglie di servizio, con esito spesso negativo.
  Verosimilmente, la struttura in argomento ha spesso offerto un «riparo di fortuna» a soggetti senza fissa dimora. Solo in un'occasione è stata riscontrata l'effettiva presenza abusiva, all'interno dei locali, di quattro cittadini rumeni, tutti denunciati per invasione di terreni ed edifici.
  Non si può escludere tuttavia che, stante la molteplicità dei varchi che consentono il libero accesso alla struttura, taluni soggetti utilizzino i locali in disuso come rifugio e si diano facilmente alla fuga al momento dei controlli, effettuati comunque in fasce orarie diverse tra loro.
  Si precisa che, all'interno dell'area interessata, non sono stati rilevati episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, né è stata riscontrata la presenza di persone dedite alla prostituzione, contrariamente a quanto rilevato in alcune vie limitrofe.
  Non vi sono inoltre risultanze investigative dalle quali possa dedursi che nel complesso in argomento abbiano luogo attività illecite organizzate, non essendosi evidenziato un apprezzabile incremento degli avvenimenti delittuosi nelle sue immediate vicinanze.
  Per quanto riguarda, invece, gli aspetti collegati alla sicurezza dell'immobile, si informa che i vigili del fuoco di Ferrara hanno effettuato diversi sopralluoghi, nel corso dei quali è stata riscontrata una situazione di degrado generalizzato all'interno dell'edificio, che pur non presentando criticità sulle strutture portanti, è risultato inagibile per carenze igienico-sanitarie, impiantistiche, nonché riguardanti elementi secondari di completamento, quali vetrate, porte e infissi.
  In uno dei sopralluoghi è stata rilevata anche la presenza di parti di copertura e vetri pericolanti parzialmente rimossi dal personale intervenuto. L'Amministrazione comunale ha, quindi, disposto l'immediata transennatura della porzione di pubblica via sottostante le parti pericolanti e ha ingiunto alla proprietà, con ordinanza sindacale del 23 dicembre 2015, la realizzazione delle opere necessarie alla messa in sicurezza del fabbricato nel tratto interessato dalla presenza di materiale pericolante.
  In ogni caso, la definitiva soluzione della situazione di degrado in cui versa il Palazzo degli specchi è legata alla riqualificazione dell'intero sito. Il relativo progetto, già in itinere, è imperniato sul conferimento del sito medesimo in un fondo di investimento immobiliare costituito dalla Cassa depositi e prestiti, dall'ACER (Azienda Casa Emilia-Romagna), da una società di costruzioni, quale soggetto appaltatore dei lavori, e dalla proprietà.
  La previsione è che i lavori di ristrutturazione, per un investimento complessivo di 40 milioni di euro, portino alla realizzazione entro il 2018 di circa 270 alloggi di « social housing» con canoni calmierati ed uno studentato da 110 posti letto, nonché della nuova sede del comando di polizia municipale.
  Allo stato, le parti in causa sono in attesa di conoscere le determinazioni che la Cassa depositi e prestiti assumerà sul finanziamento dell'operazione.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, TOFALO, MICILLO, PISANO, LUIGI DI MAIO, SIBILIA, LUIGI GALLO, FICO, BARONI, CHIMIENTI, COMINARDI e GRILLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 marzo 2015, su richiesta della procura di Napoli, sono state emesse undici ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei vertici della Cpl Concordia, del sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino e di un funzionario del comune di Ischia;
   la Cpl Concordia è un'impresa cooperativa nata nel 1899, ha la sua sede principale Modena, comprende al suo interno 70 società, con una compagine sociale di 806 soci, 1.592 addetti e un fatturato di 413 milioni di euro all'anno;
   la Cpl Concordia si occupa di energia in tutti i suoi aspetti: dall'approvvigionamento e distribuzione alla vendita e contabilizzazione di gas ed elettricità, alla produzione mediante sistemi tradizionali o impianti rinnovabili. Dalla progettazione all'attuazione di soluzioni che migliorano l'efficienza energetica producono risparmio di risorse per clienti pubblici e privati;
   sono 150 i comuni italiani ed esteri in cui CPL Concordia gestisce le reti gas: fra questi l'isola di Ischia e il gasdotto sottomarino di 13 chilometri che collega Napoli all'isola. Anche la vicina isola di Procida sarà a breve servita da un nuovo metanodotto. Tra i progetti salienti spicca il piano di metanizzazione della Sardegna dove, attraverso la holding Ichnusa, CPL Concordia sta realizzando 1.500 chilometri di rete per servire 84 comuni;
   gli arresti sono scattati per l'appalto relativo alla metanizzazione dell'isola di Ischia. Secondo i magistrati il sindaco del Pd Ferrandino avrebbe ricevuto dalla Cpl Concordia la stipula di due «fittizie convenzioni» con l'Hotel Le Querce di Ischia (di proprietà della famiglia del sindaco), ciascuna da 165 mila euro, a fronte della «messa a disposizione» di alcune stanze durante le stagioni estive 2013 e 2014 per i dipendenti della società modenese. Altre «utilità» ottenute dal sindaco sarebbero state l'assunzione del fratello, Massimo Ferrandino, quale consulente della Cpl Concordia e almeno un viaggio tutto spesato in Tunisia. Secondo l'accusa sarebbe stato proprio grazie all'interessamento del sindaco ed alla complicità dell'architetto Silvano Arcamone, dirigente dell'ufficio tecnico di Ischia, che l'appalto di metanizzazione dello stesso comune (capofila del progetto) e di quelli di Lacco Ameno e Casamicciola Terme è stato affidato alla Cpl;
   l'inchiesta coordinata dai pubblici ministeri Woodcock, Carrano e Loreto e condotta dai reparti speciali del Comando per la tutela dell'ambiente del colonnello Sergio De Caprio, è iniziata nell'aprile 2013 ed ha portato alla luce, secondo l'accusa, un sistema di corruzione basato sulla costituzione di fondi neri in Tunisia da parte della Cpl Concordia con cui retribuire pubblici ufficiali per ottenerne i «favori» nell'aggiudicazione di appalti;
   nell'ordinanza di custodia cautelare, il gip di Napoli Amelia Primavera sottolinea, tra l'altro, che «per comprendere fino in fondo e per delineare in maniera completa il sistema affaristico organizzato e gestito dalla Cpl Concordia, appare rilevante soffermarsi sui rapporti intrattenuti tra i vertici della cooperativa e l'esponente politico che è stato per anni il leader dello schieramento politico di riferimento per la stessa Cpl Concordia (...) ovvero l'On. Massimo D'Alema»;
   secondo quanto riportato dal fattoquotidiano.it, «dalle carte dell'inchiesta emergono strettissimi rapporti tra la operativa Concordia e il politico: tre versamenti regolarmente registrati per totali 60 mila euro da Cpl Concordia alla Fondazione Italiani europei (di cui l'on. D'Alema è presidente e fondatore); l'acquisto di 500 libri di D'Alema, per un valore di 4.800 euro, e di 2.000 bottiglie di vino prodotto da sua moglie»;
   l'on. Massimo D'Alema rivendica i suoi rapporti «trasparenti» con la Cpl Concordia, (...) ma sul sito della Fondazione Italiani europei di questi rapporti non c’è traccia, e nel motore di ricerca interno il nome della coop restituisce zero risultati»;
   da notizie di stampa, sempre del 30 marzo 2015, sono riportate le intercettazioni, agli atti dell'inchiesta, in cui il dirigente della CPL arrestato Francesco Simone, parla di Massimo D'Alema sottolineando la necessità di «investire in Italianieuropei dove D'Alema sta per diventare Commissario Europeo» in quanto «... D'Alema (...) ci ha dato delle cose»;
   dagli atti dell'inchiesta emerge che la Cpl ha anche sponsorizzato la presentazione del volume «Non solo euro» dell'ex leader del Pd a Ischia, l'11 maggio 2014, con l'interessamento del sindaco Giosi Ferrandino. Francesco Simone, parlando al telefono con il sindaco, candidato Pd alle elezioni europee sottolinea l'importanza dell'evento: «...sotto la campagna elettorale faremo una cosa...» e poi «...questo pure è un segnale forte che ti appoggia tutto il partito...». «Ferrandino – scrive il gip – si mostra molto entusiasta»;
   in un'altra recente inchiesta, era stato iscritto nel registro degli indagati dell'ex presidente della CPL Concordia, Roberto Casari, per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui lavori di metanizzazione compiuti tra il 1999 e il 2003 a Casal di Principe e in altri sei comuni del casertano;
   opere realizzate non a norma, con rischi per la sicurezza dei cittadini, sostiene la direzione distrettuale antimafia di Napoli, in quanto dagli scavi condotti a Casal di Principe è emerso che le tubature erano state interrate a 30 centimetri di profondità invece che ai 60 previsti dalla normativa, mettendo quindi a rischio la sicurezza della popolazione;
   secondo l'ipotesi accusatoria, la Cpl si sarebbe aggiudicata l'appalto a Casal di Principe con l'appoggio della fazione dei Casalesi, guidata da Michele Zagaria, e i subappalti sarebbero stati poi distribuiti alle ditte locali indicate dai boss;
   secondo quanto riportato da un articolo del fattoquotidiano.it del 1° marzo 2015 a firma di Vincenzo Iurillo «L'inchiesta coordinata dai pm Cesare Sirignano, Catello Maresca e Maurizio Giordano e dal Procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli ha preso il via dalle rivelazioni del boss del clan dei Casalesi Antonio Iovine»;
   nei verbali firmati dal collaboratore di giustizia e nelle dichiarazioni rilasciate durante il «processo Fabozzi» sui legami tra camorra e politica negli appalti di Villa Literno, Iovine ha parlato dell'affare della metanizzazione nel Bacino Campania 30, la zona dell'Agro Aversano. Secondo il pentito, la realizzazione della rete del gas nei sette comuni di San Marcellino, Frignano, Villa Literno, Casapesenna, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Villa di Briano, avviata negli anni Novanta e affidata a Cpl Concordia in «concessione di servizio pubblico» – che prevede la costruzione e la successiva gestione della infrastruttura – fu di fatto controllata dal clan dei casalesi, attraverso l'intermediazione dell'imprenditore Antonio Piccolo, un uomo di Michele Zagaria –:
   se e quali iniziative intendano intraprendere, al fine di impedire che la criminalità organizzata possa arrivare ad infiltrarsi in appalti e servizi pubblici;
   se si sia proceduto ad attivare un'attività ispettiva da parte del Ministero dello sviluppo economico nei confronti della Cpl Concordia e in caso positivo quali siano stati gli esiti e se ritenga comunque che vi possano essere i presupposti per un commissariamento delle stesse. (4-08624)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame, per quanto di propria competenza, rappresentando quanto segue.
  La Cpl Concordia, come noto ai deputati interroganti, è un gruppo cooperativo multi utility fondato nel 1899, attivo in Italia e all'Estero con circa 1800 addetti. Nel corso di questi ultimi anni, la società ha assunto una struttura sempre più articolata e complessa, che conta tra controllate e collegate oltre 70 società.
  Molte di queste società sono di scopo, cioè costituite per sviluppare specifiche attività; alcune di esse vedono la partecipazione degli enti locali interessati al servizio.
  La maggior parte delle società costituite nell'ultimo biennio afferiscono alla costruzione e successiva gestione di campi fotovoltaici. I settori in cui la cooperativa opera sono quelli del Gas, Energia, Cogenerazione, Biogas e biomasse.
  A seguito delle vicende giudiziarie esposte nell'atto in parola e, al fine di verificare la natura mutualistica dell'ente, la cooperativa CPL Concordia è stata sottoposta da parte del Ministero dello sviluppo economico ad un'ispezione straordinaria in quanto l'ente è aderente ad una associazione nazionale di rappresentanza. Il primo livello dei controlli è svolto, pertanto, dalla medesima associazione.
  Al momento dell'avvio dell'ispezione, che ha avuto inizio il 15 maggio 2015 e si è conclusa il 13 novembre 2015, in sede di accertamento la cooperativa risultava sospesa dalla White list, avendo il prefetto di Modena negato il rinnovo dell'iscrizione.
  Successivamente, in data 21 maggio 2015, il prefetto ha, inoltre, adottato le misure previste dagli articoli 31 e 32 del decreto-legge n. 90 del 2014, nominando due commissari straordinari e temporanei per sei mesi, con il compito di subentrare nell'esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, mentre, al consiglio di amministrazione della cooperativa è rimasta la competenza gestionale sui contratti stipulati con i privati e con i soggetti esteri.
  Parallelamente, la cooperativa, dopo l'avvio dei provvedimenti giudiziari, ha proceduto al rinnovo del consiglio di amministrazione e dell'organismo di vigilanza, escludendo gli amministratori e i lavoratori coinvolti nelle inchieste e ha posto in essere misure necessarie alla riorganizzazione aziendale.
  Gli ispettori incaricati hanno diffidato l'ente a sanare alcune irregolarità ed hanno ritenuto necessario, considerate le attività giudiziarie ancora in fase di svolgimento, rivedere la situazione economica e finanziaria della cooperativa alla luce della ristrutturazione, allora intrapresa dagli amministratori a salvaguardia dell'impresa, e verificare gli effetti di tale riorganizzazione per ciò che attiene al profilo mutualistico.
  È evidente che l'esclusione della cooperativa dall'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa, comportando l'impossibilità per la società di partecipare a nuove gare pubbliche di appalto e l'esclusione anche da quelle già aggiudicate, ma ancora in corso di esecuzione, ha implicato riflessi ben significativi sulla situazione economica e finanziaria della cooperativa.
  Gli ispettori hanno, pertanto, concentrato la loro attenzione sulle conseguenze finanziarie ed economiche che avrebbero potuto avere riflessi negativi sulla prosecuzione dell'attività aziendale e sul futuro perseguimento dello scopo sociale che consiste principalmente nel fornire occasioni di lavoro per i soci.
  In tal senso, hanno chiesto ai rappresentati dell'azienda di procedere ad un'analisi e ad una revisione del budget 2015, al fine di verificare potenziali ed eventuali circostanze degenerative e foriere di successive situazioni di insolvenza.
  Anche se la situazione nei confronti del sistema creditizio era, al momento della prima fase della verifica ispettiva, ancora in « bonis» e i flussi di cassa relativi alle previsioni dei mesi successivi evidenziavano un equilibrio tra le entrate e le uscite presumendo un perdurare della fiducia da parte dei creditori che potesse consentire l'adozione di nuovo piano industriale, gli ispettori hanno evidenziato che l'evoluzione finanziaria ed economica avrebbe comunque comportato l'adozione di misure di riduzione del personale con conseguenti richieste di ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori.
  In fase di accertamento ispettivo, nel verificare l'avvenuta regolarizzazione di quanto contestato in diffida, gli ispettori hanno rilevato in base all'esame dell'aggiornamento relativo all'indebitamento nonché, dall'esame dei bilanci consolidati, che la società ha posto in essere le misure necessarie per affrontare le criticità economico-finanziarie intervenute e ha attivato le procedure l'ottenimento degli ammortizzatori sociali anche in virtù del decreto legislativo n. 81 del 2015 (Jobs Act) che ha reso possibile l'estensione della CIGS alle imprese colpite da «interdittiva antimafia».
  È da sottolineare che – medio tempore – l'ente, con provvedimento della prefettura di Modena, dell'ottobre 2015, è stato nuovamente iscritto negli elenchi dei fornitori prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (white list).
  L'ispezione si è quindi conclusa senza proposta di provvedimenti sanzionatori.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   GREGORI, MARRONI, FERRO, TIDEI, MICCOLI e DAMIANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da tempo la categoria degli infermieri denuncia la scarsa qualità dell'assistenza sanitaria ai cittadini, nonché la carenza di personale infermieristico nelle strutture e sul territorio, una carenza che mette a rischio i livelli essenziali di assistenza e i dipartimenti di pronto soccorso, un elemento che, secondo i dati Eurostat, fa si che l'Italia abbia il rapporto cittadini/infermieri tra i più bassi d'Europa;
   a quanto risulta all'interrogante, a seguito di una verifica eseguita dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca riguardo la situazione occupazionale della categoria infermieristica, le stime parlano di oltre 30.000 disoccupati o precari a cui va aggiunto il dato di circa 5.000 infermieri che sono stati costretti ad emigrare all'estero;
   ormai è prassi assistere a concorsi dove si presentano 4/5.000 aspiranti per soli 1 o 2 posti disponibili; graduatorie parzialmente, se non completamente, inutilizzate fino alla loro naturale scadenza. A tutto ciò la risposta degli atenei è stata quella di raddoppiare i posti disponibili ai corsi di laurea infermieristica. La stima delle iscrizioni in corso è di circa 160.000 laureandi che al termine dei tre anni arrivano ad essere circa 10.000 neo laureati infermieri e inoccupati;
   secondo le organizzazioni sindacali, tutto ciò porta ad accettare, per necessità, impieghi sottopagati al minimo sindacale in cooperative, forme di volontariato, partite Iva monomandatarie e in strutture fatiscenti, ove i livelli di sicurezza per il personale sono insoddisfacenti –:
   se i Ministri interrogati intendano avviare un censimento nazionale, di concerto con le regioni e gli enti locali, per quantificare con esattezza il livello di carenza infermieristica sia nelle aziende ospedaliere che nelle aziende sanitarie locali, così come la presenza delle cooperative negli appalti pubblici e la loro efficacia e funzionalità anche in relazione ai costi del lavoro e alle condizioni lavorative degli infermieri e del personale socio-sanitario;
   se s'intenda, o meno, operare una riduzione del numero dei posti messi a disposizione dai corsi di laurea infermieristica, per non creare altra inoccupazione e arginare il forte divario tra l'eccessivo numero di personale del comparto sanitario nazionale e l'effettiva disponibilità ad essere impiegati, anche rispetto al mantenimento del blocco del turnover che proseguirà per tutto il 2014. (4-01237)

  Risposta. — La problematica affrontata nell'interrogazione parlamentare è da tempo all'esame del Ministero della salute, che ogni anno, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, determina il fabbisogno delle professioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 6-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
  Anche quest'anno è emerso il cronico scostamento tra il fabbisogno rappresentato dalle regioni per la figura professionale di infermiere e l'offerta formativa degli atenei.
  Si precisa che negli ultimi tre anni il fabbisogno espresso dalle regioni per la professione di infermiere, risulta nettamente e costantemente diminuito ancorché superiore al corrispondente numero dei posti disponibili per l'accesso ai corsi di laurea triennale messi a disposizione dagli atenei.
  Per migliorare il processo di previsione e pianificazione della forza lavoro sanitaria attualmente seguito in Italia, questo ministero ha aderito alla « Joint Action» europea, promossa dalla Commissione europea nell'ambito del « Action Plan for the EU Health Workforce» ed avviata con il « kick off meeting» ad aprile 2013.
  L'obiettivo della « Joint Action» è creare una piattaforma di collaborazione tra gli stati europei che consenta, sfruttando il valore aggiunto della cooperazione, di affrontare al meglio, prospettando possibili soluzioni, la carenza di professionisti sanitari in Europa prevista per i prossimi anni (quantificata in circa un milione di professionisti sanitari nell'anno 2020).
  Nell'ambito dell'iniziativa « Joint Action on Health Workforce Planning and Forecasting» questo ministero, che partecipa in qualità di leader di una delle linee di attività, ha avviato il 1o gennaio 2015 in Italia il progetto pilota finalizzato alla definizione di una metodologia condivisa per la determinazione del fabbisogno per il sistema sanitario nazionale, limitatamente alle figure professionali annoverate nella direttiva comunitaria 2005/36/CE, ossia medico chirurgo, infermiere, odontoiatra, farmacista ed ostetrica/o.
  Per la realizzazione del progetto in questione, tra le varie iniziative poste in essere, è stato anche costituito un comitato di coordinamento (Steering Committee) di cui fanno parte, tra l'altro, i rappresentanti delle amministrazioni regionali ed i referenti delle professioni oggetto del progetto pilota. Nella riunione tenutasi il 1o ottobre 2015 del suddetto comitato è stata approvata la proposta di modello di previsione che, sulla base delle ipotesi formulate e dei parametri inseriti, consente di stimare il numero dei professionisti «attivi» nel periodo compreso tra l'anno 2015 e l'anno 2040 e di approntare un'analisi di scenario, per ciascuna delle cinque figure professionali oggetto di studio.
  Tali modelli, sviluppati a livello nazionale e replicati per le regioni e province autonome, sono stati inviati ai componenti del citato comitato ed hanno rappresentato lo strumento utile alla determinazione del fabbisogno per l'anno accademico 2016/2017, tenuto conto che l'obiettivo specifico del progetto pilota per le cinque professioni interessate, coincideva con i compiti istituzionali di cui all'articolo 6-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992.
  La collaborazione con le regioni si è dunque rafforzata e in particolare, per l'anno accademico 2016/2017 le stime ottenute dalle regioni mediante l'applicazione della metodologia sviluppata nell'ambito del predetto progetto pilota, che tiene conto tra l'altro del personale già formato ma non ancora occupato, portano alla definizione di un fabbisogno per la professione infermieristica pari a 15.408 unità, corrispondenti ad una diminuzione di otto punti percentuali rispetto all'anno precedente.
  Il progetto pilota ha preso formalmente avvio il 1o gennaio 2015 e si è concluso con l'accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano perfezionato in data 9 giugno 2016, concernente la determinazione del fabbisogno delle professioni sanitarie per l'anno accademico 2016/2017, che ha approvato la metodologia condivisa per la pianificazione del personale sanitario sviluppata nell'ambito del progetto medesimo e relativa alle figure di medico chirurgo, odontoiatra, farmacista, infermiere ed ostetrica/o.
  La collaborazione tra questo ministero e le amministrazioni regionali è in linea con l'articolo 22 (gestione e sviluppo delle risorse umane), comma 4, del patto per la salute 2014-2016, che prevede l'introduzione di « standards» di personale per livello di assistenza, anche attraverso la valorizzazione delle iniziative promosse a livello comunitario, ai fini di determinare il fabbisogno dei professionisti sanitari a livello nazionale.
  Parallelamente alle regioni e province autonome, un ruolo fondamentale nel processo di determinazione delle esigenze di personale infermieristico per il sistema sanitario nazionale, è rivestito dalla Federazione nazionale dei collegi infermieri professionali assistenti sanitari e vigilatrici d'infanzia – IPASVI, che rappresenta un interlocutore fondamentale per il Ministero della salute ed è fonte di conoscenza delle problematiche delle specifiche professioni e dei relativi sbocchi occupazionali, dati preziosi ed indispensabili ai fini della programmazione.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha recentemente licenziato un provvedimento che decreta l'esclusione della Sicilia dalla ripartizione delle cosiddette «quote tonno», al contrario di quanto programmato per il resto delle regioni italiane;
   tale decisione ha suscitato la condivisibile protesta di tutte le organizzazioni professionali e di categoria del settore, nonché delle principali flotte pescherecce siciliane, comprensibilmente preoccupate per la drammatica ricaduta che essa avrebbe sulle già deficitarie condizioni di un comparto che, al contrario di quanto accade effettivamente, dovrebbe costituire uno dei principali cardini dello sviluppo economico della regione;
   perfino la regione siciliana ha giustamente unito la sua voce di vibrata protesta a quelle degli operatori del settore, addivenendo, su iniziativa dell'assessore regionale al ramo, On.le Antonello Cracolici, alla convocazione del consiglio regionale della pesca, al fine di concertare e pianificare tutte le iniziative ritenute opportune a salvaguardare la nostra marineria artigianale e costiera;
   tale provvedimento rappresenta a conti fatti un colpo ferale ad un tipo di attività, quella della pesca artigianale, che oltre a costituire una delle pratiche più diffuse in molte parti della fascia costiera sud occidentale, in primis Sciacca, Licata e Mazara del Vallo, rappresenta altresì uno dei più antichi e suggestivi tratti identificativi della tradizione e della storia marinara siciliana;
   non si prevede alcuna «quota tonno», a fronte di un esponenziale aumento di tale specie ittica, stimato dell'ultimo pari a circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente, benché il Mediterraneo sia letteralmente pieno di tonni che stanno prosciugando il mare delle specie di cui si alimentano, fra cui caratteristiche tipologie di pesce azzurro, sarde ed acciughe su tutti; alla luce di ciò, ben si comprende il danno enorme che viene arrecato a quelle flotte pescherecce la cui prevalente attività si concentra sulla pesca di tali specie;
   un tale provvedimento denota secondo l'interrogante quanto meno una non adeguata conoscenza delle attività di pesca che si svolgono nel Mediterraneo, nonché una altrettanto evidente mancanza di concertazione con le istituzioni regionali siciliane e con le organizzazioni professionali e di categoria;
   tale iniziativa appare ancor più incomprensibile laddove si pensi che essa muove in direzione diametralmente opposta a recenti direttive emanate dal Parlamento europeo in materia di pesca e cooperazione; il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione mirante a ripartire il 20 per cento delle «quote di tonno» nazionali, tenendo conto anche della pesca artigianale, non comprendendosi dunque le motivazioni di una tale esclusione, atteso che la Sicilia risulta ad oggi la marineria più grande ed importante d'Italia proprio nel settore della pesca artigianale –:
   quali iniziative abbia intenzione di assumere al fine di porre rimedio agli effetti devastanti che avrebbe tale provvedimento della direzione generale pesca sulla flotta siciliana e quali correttivi si intendano dunque apportare per salvaguardare le aspettative e gli incomprimibili diritti di quanti ancora in Sicilia fanno della pesca la loro principale attività lavorativa, contribuendo in significativa parte alla crescita ed allo sviluppo economico, occupazionale e perfino culturale dell'intera regione. (4-12581)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, mi preme anzitutto precisare che la quasi, totalità dell'intera flotta nazionale annualmente autorizzata alla pesca del tonno rosso mediante il sistema «palangaro», tecnicamente identificabile come artigianale (pari a 30 imbarcazioni in virtù dei rigidi massimali stabiliti dall'Unione europea), risulta operante e stanziale proprio in Sicilia.
  Peraltro, occorre tener presente che l'incremento del totale ammissibile di cattura (Tac) stabilito dall'Iccat per il triennio 2015-2017 rimane pur sempre ispirato ad un approccio precauzionale traducendosi, allo stato attuale, nel «congelamento» (sia in ambito internazionale che europeo) delle flotte autorizzate alla cattura della specie in parola.
  Pertanto, in linea con il vigente quadro normativo sovranazionale, con decreto ministeriale del 17 aprile 2015, si è provveduto a ripartire il contingente nazionale per il suddetto triennio. In particolare, per la corrente campagna di pesca (2016), è stato previsto un ulteriore incremento (6 tonnellate nette) della cosiddetta «quota indivisa», tradizionalmente destinata alla copertura della catture accessorie, ovvero quelle operabili dalle imbarcazioni non espressamente autorizzate (che, secondo i trend storici dei dati di cattura, sono in larga parte operanti e stanziali in Sicilia).
  Preciso infine che il provvedimento cui si fa riferimento nell'interrogazione ha meramente individuato gli operatori autorizzati per la corrente annualità.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2016 è stato pubblicato sul quotidiano on line di La Repubblica una denuncia contro la trasmissione televisiva di Mediaset condotta da Paolo Bonolis Ciao Darwin, da parte dell'assessora della regione Piemonte Monica Cerutti, con deleghe, tra le altre, alle pari opportunità, ai diritti civili e alle politiche per l'immigrazione;
   l'accusa di Monica Cerutti è che il programma «a Torino ha cercato razzisti e omofobi per sottoporli a un casting» per la partecipazione alla nuova edizione di Ciao Darwin che si basa su «contrapposizioni» tra due gruppi opposti;
   secondo quanto si apprende dal quotidiano, la notizia dei casting è comparsa sul sito istituzionale della Film Commission Torino Piemonte, e la selezione cercava uomini e donne con vari requisiti, tra i quali, «persone contrarie all'integrazione degli stranieri in Italia» e «persone contro i diritti delle unioni gay»;
   la Film Commission Torino Piemonte è una Fondazione senza fini di lucro, voluta e sostenuta finanziariamente dalla regione Piemonte e dalla città di Torino, che ne sono i soci fondatori. Operativa da settembre 2000, ha come primo scopo la promozione della regione Piemonte e del suo capoluogo Torino come location e luogo di lavoro d'eccellenza per la produzione cinematografica e televisiva. Oltre a sostenere le produzioni sul piano organizzativo, Film Commission Torino Piemonte contribuisce ad abbassare i costi di ospitalità con dei contributi legati all'impegno produttivo sul territorio e all'inserimento nella troupe di personale artistico e tecnico locale. Infatti, il casting si è tenuto presso la Sala Casting di Via Cagliari, sede della Fondazione;
   la segnalazione all'assessora Monica Cerutti è arrivata dal Coordinamento Torino Pride, nella persona del coordinatore Alessandro Battaglia che ha giustamente affermato: «Io sono per il confronto sempre e comunque, ma quello che per gli autori di Ciao Darwin può essere un gioco, poi si trasmette nella vita di alcune persone». Il coordinatore di Torino Pride ha ricordato che la trasmissione non è nuova a contrapposizioni di stampo sessista, tollerabili quando esiste un contraddittorio ma, in questo caso, si pone una domanda: «Come si selezionano razzisti e omofobi ? Cercano qualcuno che nel curriculum abbia scritto di aver menato una coppia gay ?»;
   il quotidiano Il Fatto, del 21 gennaio 2016, scrive di aver contattato la signora Teresa Di Modugno, la cui mail compare negli annunci insieme a quella dei produttori, e che la stessa ha affermato di essersi solo occupata di trovare la location e aver diffuso una mail arrivata da un'amica nella redazione. Inoltre, aggiunge: «Sono in contatto con loro e mi occupo delle relazioni con la Film Commission. Conosco la redazione e so per certo che non c’è nessun intento discriminatorio dietro»;
   se così fosse appare quantomeno insolito che, controllando sul sito della Film Commission Torino Piemonte, nella sezione casting, non appaia più l'annuncio per la selezione del 12 gennaio 2016, mentre ne risulta uno per il 9 e il 10 dicembre 2015, per persone con caratteristiche totalmente diverse dall'annuncio per il casting del 12 gennaio 2016;
   ammettendo anche l'ipotesi che si possa trattare di una montatura, risulta alquanto contraddittorio però che, sulla pagina di facebook di «Casting Di Modugno Teresa» il 13 gennaio 2016 sia stato pubblicato il seguente post: «Un grandissimo e particolare ringraziamento alla Film Commission Piemonte di Torino per aver collaborato al casting di Ciao Darwin di martedì 12 gennaio 2015» (si presume che per l'anno indicato sia stato commessa una svista, anche perché nell'archivio della Film Commission Piemonte alla medesima data del 2015 non risulta alcuna selezione per il programma Ciao Darwin);
   sempre da quanto si apprende dai giornali, negli uffici romani della SDL2005 srl, società di produzione televisiva, specializzata nell'organizzazione e gestione di casting personalizzati sulla base delle richieste del cliente (Mediaset il principale operatore televisivo privato italiano), si stupiscono: «Non è vero, noi non cerchiamo persone così». Ed effettivamente in altri annunci dei casting a Roma, Milano, Napoli e Bari tra le categorie di persone ricercate non compaiono omofobi e razzisti, ma «appartenenti alla comunità Lgbt» e African, Chinese, Bangladeshi, Indian, Romanian and Gipsy People. Tuttavia, sulla pagina Facebook del programma compare un'immagine con una domanda: «Sapresti dire cosa rappresenta il gay pride ?», in linea con la ricerca di «persone contro i diritti delle unioni gay»;
   Monica Cerutti ha dichiarato che la selezione di uomini e donne «contrari a immigrati e gay» si è effettivamente svolta il 12 gennaio. Si presume dalla sua dichiarazione quindi che abbia effettuato le opportune verifiche;
   la regione Piemonte, dice l'assessore, «si sta impegnando per approvare una legge contro ogni forma di discriminazione... Ho deciso di chiedere che il caso del casting omofobo e razzista a Torino, tenuto dalla trasmissione Ciao Darwin, venga segnalato all'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Le istituzioni non possono continuare a predicare nel deserto»;
   se da un lato per l'assessora trova inaccettabile la formula di reclutamento dei partecipanti alla trasmissione Ciao Darwin, c’è invece chi, come segretario del Pd piemontese e capogruppo nel Consiglio regionale, Davide Gafiglio, stempera la polemica, affermando che, nonostante trovi un casting per razzisti e omofobi personalmente di cattivo gusto e inopportuno, non crede che: «debba essere la politica a ricoprire il ruolo del censore sui contenuti di una trasmissione televisiva. Condivido il merito sollevato dall'assessora e mi preoccupa una simile deriva della proposta televisiva, ma lascerei il tema al livello culturale e non lo inserirei tra quelli della politica, che tra l'altro di problemi ne ha già parecchi»;
   secondo invece Monica Cerutti: «Si tratta di un vero e proprio schiaffo al rispetto delle persone e dei diritti di tutti e tutte. È inaccettabile che in un momento come questo, durante il quale l'odio nei confronti del diverso è sempre maggiore, ci siano programmi televisivi che vogliono alimentare xenofobia e omofobia. I media devono assumersi la responsabilità che hanno sulle spalle. Ci sono milioni di persone che purtroppo affidano la propria informazione e formazione esclusivamente alla televisione ed è impensabile che questa parli loro attraverso stereotipi, populismi e strumentalizzazioni»;
   è bene ricordare a questo punto il codice etico di cui si è dotato l'intero Gruppo Mediaset. Di seguito il testo: «Il Gruppo Mediaset, così come altri importanti gruppi e società a livello nazionale ed internazionale, si è dotato di un Codice Etico che definisce l'insieme dei valori che il Gruppo Mediaset riconosce, accetta e condivide, a tutti i livelli, nello svolgimento dell'attività d'impresa. I principi e le disposizioni del Codice Etico costituiscono specificazioni esemplificative degli obblighi generali di diligenza, correttezza e lealtà che qualificano l'adempimento delle prestazioni lavorative e il comportamento nell'ambiente di lavoro. I principi e le disposizioni del Codice Etico sono vincolanti per gli amministratori, per tutte le persone legate da rapporti di lavoro subordinato con le società del Gruppo Mediaset e per tutti coloro che operano per le società del Gruppo Mediaset, quale che sia il rapporto – anche temporaneo – che li lega alle stesse»;
   lo stesso codice etico all'articolo 10 recita: «Eguaglianza, non discriminazione, pari opportunità 1. Il Gruppo Mediaset rifiuta ed esclude ogni forma di sfruttamento dei lavoratori e di discriminazione delle persone in base a sesso, età, razza, lingua, nazionalità, religione, condizioni personali e sociali, orientamento sessuale, opinioni politiche e sindacali in tutte le decisioni che influiscono sulle relazioni con i propri interlocutori. 2. Il Gruppo Mediaset contrasta, pertanto, ogni comportamento o atteggiamento discriminatorio o lesivo della persona, delle sue convinzioni o preferenze. 3. Il Gruppo Mediaset si impegna a favorire la promozione delle pari opportunità con riferimento alle condizioni e alle opportunità di lavoro, alla formazione, allo sviluppo e alla crescita professionale, nel pieno rispetto della normativa vigente e dei valori che ispirano il presente Codice Etico»;
   il trattato dell'Unione europea all'articolo 2 afferma che «L'Unione è fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto per i diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati Membri in una società caratterizzata da pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza tra donne e uomini». L'articolo 3 specifica che «(l'Unione) combatterà l'esclusione sociale e le discriminazioni, e promuoverà la giustizia sociale e la protezione, l'uguaglianza tra donne e uomini»;
   in termini generali, la Convenzione delle Nazioni Unite CEDAW del dicembre 1979, entrata in vigore a settembre 1981 già richiedeva nel suo articolo 5 sugli stereotipi dei ruoli sessuali e dei pregiudizi che fossero adottate tutte le misure appropriate «Per modificare i modelli sociali e culturali di comportamento di uomini e donne, al fine di giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e consuetudini e tutte le altre pratiche che si basano sull'idea di inferiorità o superiorità dell'uno o altro dei sessi o sull'idea di ruoli stereotipati per uomini e donne»;
   è sempre bene ricordare inoltre l'articolo 3 della Costituzione italiana: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese –:
   se il Governo, alla luce delle notizie e delle informazioni riportate in premessa non ritenga opportuno acquisire elementi, per quanto di competenza e anche per il tramite del dipartimento per le pari opportunità, su quanto e se intenda assumere iniziative normative affinché venga evitata, nell'ambito della comunicazione televisiva e in ogni altra forma di comunicazione, ogni forma di discriminazione xenofoba e omofoba. (4-11772)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente il reclutamento di uomini e donne «contrari a immigrati e gay» per la partecipazione al programma televisivo di Mediaset condotto da Paolo Bonolis «Ciao Darwin», si precisa quanto segue, sulla base degli elementi forniti dai competenti uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Per quanto attiene alla segnalazione dell'assessora Monica Cerniti, di cui riferisce l'interrogante, in occasione della trasmissione televisiva di Mediaset «Ciao Darwin» e alla richiesta di conoscere le iniziative del Governo volte al contrasto delle discriminazioni xenofobe e omofobe nell'ambito della comunicazione televisiva si segnala che l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – UNAR, operante nell'ambito del dipartimento per le pari opportunità, dedica particolare attenzione alle attività di comunicazione.
  L'ufficio, da sempre, ha associato il suo impegno nel contrasto di ogni forma di discriminazione con la promozione di buone prassi per la rimozione dei fattori strutturali della discriminazione, con interventi di informazione, formazione e sensibilizzazione, ma anche di ricerca e monitoraggio costante delle discriminazioni. La strategia di accompagnare l'azione di contrasto alle condotte discriminatorie con una forte attività di sensibilizzazione e comunicazione sociale, oltre che con azioni positive per la rimozione delle cause determinanti dell'evento discriminatorio, ha permesso una riduzione della distanza tra le istituzioni e tutti coloro che sentono di aver subito una qualche forma di discriminazione.
  Pertanto, l'UNAR elabora campagne di sensibilizzazione e comunicazione, di educazione nelle scuole e di informazione nei luoghi di lavoro, volte a promuovere i principi della parità di trattamento, di non discriminazione e del rispetto dei diritti umani. Solo in tal modo si possono impedire o arginare comportamenti e atti discriminatori e si possono creare le basi per la nascita e il rafforzamento di una società realmente multietnica e rispettosa dei diritti umani.
  Le campagne di informazione promosse hanno l'obiettivo fondamentale di fornire la massima conoscenza degli strumenti di tutela esistenti e delle possibilità offerte dalla normativa di contrasto alle discriminazioni.
  Sono numerose infatti le attività di comunicazione che l'UNAR ogni anno organizza, rispettando un calendario convenzionale che prevede: la settimana contro la violenza e le discriminazioni (ottobre/novembre) con il coinvolgimento delle scuole, attraverso il Ministero dell'istruzione; la settimana contro il razzismo, giunta alla sua XII edizione (21 marzo); la giornata internazionale contro l'omofobia (17 maggio).
  L'UNAR ha realizzato iniziative di comunicazione anche attraverso l'utilizzo dei fondi europei, come il progetto «DYMOVE – Diversity on the Move», mirato al contrasto delle discriminazioni, in particolare sull'orientamento sessuale, con un focus sul diversity management nelle pubbliche amministrazioni e nelle public utilities (trasporti pubblici).
  Inoltre, si segnala l'iniziativa dell'UNAR del novembre 2015, di istituire un osservatorio media & internet per contrastare l’hate speech on-line. L'uso sempre più diffuso del web richiama la nostra attenzione sul ruolo essenziale che hanno i media per descrivere correttamente le varie situazioni di discriminazione e su quanto un linguaggio inappropriato possa esprimere un messaggio di intolleranza. Nel 2014, l'UNAR ha registrato 270 casi di hate speech on line, arrivati a oltre 1.000 nel 2015. L'osservatorio è stato costituito all'interno del contact center dell'UNAR con l'obiettivo specifico di monitorare, analizzare e contrastare il fenomeno dei discorsi di odio su scala nazionale. Attualmente, attraverso una piattaforma tecnologica innovativa, l'osservatorio media & internet è in grado di monitorare i contenuti ritenuti potenzialmente discriminatori sulle principali piattaforme di social network (facebook, twitter, youtube) e sui principali blog e testate on-line nazionali e locali.
  Infine, si segnala l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del 6 agosto 2015 del piano nazionale contro il razzismo, la xenofobia e l'intolleranza, elaborato sulla base di quanto disposto dai decreti legislativi 9 luglio 2003, n. 215 e n. 216, frutto di un percorso in cui sono stati coinvolti, oltre all'apposito gruppo nazionale di lavoro, di cui fanno parte 85 associazioni, i ministeri competenti in materia (lavoro, interno, istruzione, università e ricerca, salute, affari regionali, infrastrutture e trasporti, politiche agricole, alimentari e forestali), le regioni, gli enti locali e le parti sociali. Il piano, proposto ed elaborato dall'UNAR, rappresenta il primo esempio, a livello nazionale, di programma pluriennale interdisciplinare di interventi che coinvolgono le competenze di varie amministrazioni e della società civile, per rendere effettivo il principio di parità di trattamento e non discriminazione fra le persone. L'obiettivo principale del piano consiste nell'individuazione delle aree prioritarie su cui focalizzare l'attenzione per promuovere, nel triennio, azioni specifiche per prevenire e/o rimuovere le discriminazioni. Tali aree prioritarie sono sui seguenti assi di intervento: lavoro e occupazione; alloggio; educazione e istruzione; salute; rapporti con la pubblica amministrazione; forze di polizia; sport; mass media e comunicazione.
La Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   PATRIZIA MAESTRI, GNECCHI, DAMIANO, DI SALVO, BONOMO, PAOLA BOLDRINI, CARNEVALI, ARLOTTI, ROSTELLATO, VENITTELLI, TERROSI, RUBINATO, VICO, MORETTO, MONTRONI, MURER, D'INCECCO, MARIANI, SCUVERA, TULLO, MOGNATO, MIOTTO, CAMANI, MALPEZZI, CARLONI, ROMANINI, PATRIARCA, ALBANELLA, AMATO, ANTEZZA, ALBINI, ZANIN, PIAZZONI, CASELLATO, ROCCHI, GASPARINI, ROTTA e LATTUCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha disposto la proroga della sperimentazione, avviata per il triennio 2013-2015, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (articolo 4, comma 24, lettera b), e poi prorogato anche per l'anno 2016 dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2015), concernente la possibilità per la madre lavoratrice dipendente o iscritta alla gestione separata (ivi comprese le libere professioniste che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate) di richiedere, in sostituzione anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati, per un massimo di sei mesi;
   il successivo comma 283 ha previsto di estendere l'applicazione sperimentale del « voucher baby sitting» anche alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici, nel limite di spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2016, demandando ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni, la definizione dei criteri di accesso e delle modalità di utilizzo del beneficio per le nuove categorie interessate;
   nonostante il termine indicato sia ormai trascorso, non risulterebbe ancora adottato il decreto in parola così da rendere, allo stato attuale, inaccessibile il fondo alle lavoratrici autonome o imprenditrici alle quali è destinato;
   il 3 agosto 2016 con il messaggio n. 3285 l'Inps ha comunicato l'esaurirsi del previsto stanziamento di 20 milioni di euro per l'anno 2016 per il « voucher baby sitting» per le lavoratrici dipendenti ed in attesa delle eventuali rideterminazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha disposto di non prendere in considerazione ulteriori istanze –:
   se il Ministro interrogato non intenda provvedere con la massima sollecitudine all'adozione del decreto necessario a dare attuazione allo stanziamento di 2 milioni di euro per l'anno 2016 destinati ai « voucher baby sitting» per le madri lavoratrici autonome o imprenditrici;
   se non ritenga altresì di assumere le iniziative di competenza per integrare per il 2016 lo stanziamento di 20 milioni di euro previsto articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 per i « voucher baby sitting» destinati alle lavoratrici dipendenti o iscritte alla gestione separata INPS;
   se abbia considerato l'opportunità di assumere iniziative per prorogare anche per l'anno 2017 la sperimentazione « voucher baby sitting» tanto per le lavoratrici dipendenti quanto per le autonome o imprenditrici. (4-14180)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sull'erogazione del cosiddetto voucher baby sitting, si rappresenta quanto segue.
  Il 1o settembre 2016, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha adottato il decreto che regolamenta l'erogazione del cosiddetto voucher baby-sitting in favore delle lavoratrici autonome o imprenditrici, per il quale l'articolo 1, comma 283, della legge di stabilità 2016 ha stanziato la somma di due milioni di euro per l'anno 2016. Tale decreto è stato trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione di competenza e la successiva pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
  Si rappresenta, infine, che è intenzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali proporre, nell'ambito della legge di bilancio per il 2017, il rifinanziamento di tale beneficio sia in favore delle lavoratrici dipendenti che in favore delle madri lavoratrici autonome o imprenditrici, in una misura che potrà essere stabilita nell'ampio quadro delle risorse disponibili.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   MARCHETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Cantiano si celebra ogni anno la passione e morte di Cristo con un grande evento tradizionale: «La Turba». Una manifestazione coordinata e promossa dall'amministrazione comunale con il concorso dell'associazione culturale «La Turba». L'evento richiama migliaia di spettatori non solo dai paesi limitrofi e da tutta Italia, ma anche fuori dai confini nazionali che si inseriscono nel vasto flusso del turismo pasquale;
   la manifestazione richiede una grande organizzazione logistica, ma anche notevoli spese per l'allestimento di imponenti scenografie, di service tecnici e operazioni manutentive;
   con la legge n.702 del 4 agosto 1955, la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento degli affari regionali, turismo e sport – ufficio per le politiche del turismo, ha previsto lo stanziamento per la concessione di contributi a favore di enti pubblici e di diritto pubblico, per lo svolgimento di iniziative e/o manifestazioni turistiche;
   in diverse occasioni nel passato l'amministrazione di Cantiano ha beneficiato di contributi elargiti attraverso la legge 4 agosto 1955, n. 702 «Aumento dello stanziamento annuo per contributi da erogare a favore di iniziative di interesse turistico», in merito alla manifestazione della «Turba di Cantino»;
   le modalità per l'individuazione del beneficiario venivano disciplinate dai seguenti decreti:
    a) decreto ministeriale 5 agosto 2010, registrato alla Corte dei conti il 24 agosto 2010, registro n. 11, foglio n. 248, recante «Disposizioni per la concessione di contributo agli enti per iniziative e manifestazioni turistiche di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 702 ed all'articolo 8 della legge 22 febbraio 1982, n. 44, nonché disposizioni transitorie per la concessione di contributi ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 174»;
    b) decreto ministeriale 28 luglio 2011, registrato alla Corte dei conti il 7 ottobre 2011, registro n. 19, foglio n. 134, recante modificazioni e integrazioni al decreto ministeriale 5 agosto 2010 in materia di concessione di contributi per iniziative e/o manifestazioni turistiche ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 702, nonché istituzione del riconoscimento Patrimonio d'Italia per la tradizione;
    c) successivamente, è stato emanato il decreto ministeriale 29 marzo 2012 «Nuove disposizioni per la concessione dei contributi ai sensi delle leggi 4 agosto 1955, n. 702 e 4 marzo 1958, n. 174» (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18/08/2012), per regolamentare in maniera complessiva, organica e omogenea tutte le attività di concessione dei contributi, che va ad abrogare il decreto ministeriale di cui sopra;
   il comune di Cantiano (PU) ha ottenuto l'ultimo contributo (pari a euro 2.914,27) nell'anno 2013 (precisamente in data 16 gennaio 2013 attraverso comunicazione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri), in riferimento alla richiesta di contributo presentata nel primo semestre dell'anno 2011 per la manifestazione turistica «Realizzazione e rievocazione storica della TURBA, Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo»;
   le richieste per la concessione del contributo da parte dell'amministrazione comunale sono state inviate e presentate anche per quanto riguarda le annualità 2012, 2013 e 2014, ma, al momento, non si è avuto alcun riscontro e/o comunicazione alcuna, circa un eventuale riconoscimento o un eventuale diniego del contributo chiesto –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto espresso in premessa in ordine all’iter delle precedenti annualità di cui non si è avuto riscontro, se le misure previste dalla legge di riferimento risultano ancora finanziate, o se, in alternativa, possano essere individuate altri presupposti normativi sulla base dei quali poter finanziare simili eventi. (4-08812)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, premesso che annualmente il comune di Cantiano (PU) organizza una manifestazione denominata «Turba di Cantiano», per la quale, fino al 2011, è stato concesso un contributo ai sensi delle leggi 4 agosto 1955, n. 702 e 4 marzo 1958, n. 174, chiede notizie circa l'esito delle richieste di contributo presentate, per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla stessa amministrazione comunale, per le quali non si è ancora avuto riscontro e, più in generale, chiede di sapere «se le misure previste dalle leggi di riferimento risultano ancora finanziate, o se, in alternativa, possano essere individuate altri presupposti normativi sulla base dei quali poter finanziare simili eventi».
  La legge 4 agosto 1955, n. 702, «Aumento dello stanziamento annuo per contributi da erogare a favore di iniziative di interesse turistico», prevede l'assegnazione da parte dello Stato di contributi ad enti pubblici e di diritto pubblico, per iniziative e manifestazioni di interesse turistico.
  La legge 4 marzo 1958, n. 174, Modificazione delle norme sul finanziamento degli organi turistici periferici e sul credito alberghiero, prevede la concessione di contributi una tantum a favore di enti che, senza scopo di lucro, svolgono attività dirette a incrementare il turismo sociale o giovanile.
  L'articolo 8 della legge 22 febbraio 1982, n. 44, «Agevolazioni ai turisti stranieri», ha ampliato le finalità dell'intervento di cui alla citata legge n.702 del 2015, anche al fine di soddisfare le esigenze connesse con il processo di destagionalizzazione del movimento turistico, nonché quelle inerenti all'attuazione di iniziative di istruzione e qualificazione nel settore del turismo e dell'industria alberghiera e di iniziative promozionali del movimento cooperativo a livello nazionale ed internazionale, stendendo il contributo stesso anche agli enti morali e alle organizzazioni cooperative nazionali debitamente riconosciute.
  Nel corso degli anni 2010, 2011 e 2012 i Ministri pro tempore sono intervenuti più volte, con propri decreti e direttive, per disciplinare l'attività di concessione dei contributi in questione, che risultava ancora regolata da vecchie circolari degli anni ‘80.
  Il decreto 5 agosto 2010, «Disposizioni per la concessione di contributi agli enti per iniziative e manifestazioni turistiche di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 702 ed all'articolo 8 della legge 22 febbraio 1982, n.44, nonché disposizioni transitorie per la concessione di contributi ai sensi della legge 4 marzo 1958, n.174», emanato dal dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha previsto specifici criteri e parametri di valutazione delle istanze presentate per iniziative e/o manifestazioni turistiche, da sottoporre alla valutazione di una commissione tecnica prevista dallo stesso decreto.
  Successivamente il decreto del ministro del turismo del 28 luglio 2011, modifiche e integrazioni al decreto 5 agosto 2010 in materia di concessione di contributi per iniziative e/o manifestazioni turistiche ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 702, nonché istituzione del riconoscimento «Patrimonio d'Italia per la tradizione», ha apportato modificazioni e integrazioni al citato decreto del 5 agosto 2010, prevedendo, tra l'altro, l'istituzione del riconoscimento «Patrimonio d'Italia per la tradizione» per quelle manifestazioni e iniziative che, per le loro specifiche caratteristiche, si dimostrano particolarmente valide ai fini della qualificazione e valorizzazione dell'offerta turistica tradizionale italiana. Il provvedimento ha, anche, previsto l'istituzione di un Comitato, nominato con decreto del ministro del Turismo, ai fini della valutazione sia delle istanze di contributo presentate ai sensi delle leggi in parola, che di quelle presentate ai fini del riconoscimento «patrimonio d'Italia per la tradizione».
  Il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, con decreto del 29 marzo 2012, «Nuove disposizioni per la concessione dei contributi ai sensi delle leggi 4 agosto 1955, n.702 e 4 marzo 1958, n. 174», ha disciplinato nuovamente l'attività di concessione dei contributi ai sensi delle suindicate leggi.
  Da ultimo, con decreto del 14 novembre 2012 del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato per le tradizioni, con il compito di valutare le istanze di contributo presentate ai sensi delle leggi di cui sopra.
  A seguito del trasferimento, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 ottobre 2013, delle risorse umane, strumentali e finanziarie dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è reso necessario procedere all'emanazione di un nuovo decreto per disciplinare l'attività di concessione dei contributi previsti per legge.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con decreto del 13 febbraio 2014, ha ricostituito presso la direzione generale per le politiche del turismo il predetto Comitato per le tradizioni, già operante come commissione tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di valutare le istanze di contributo presentate ai sensi della legge 4 agosto 1955 n.702 e della legge 4 marzo 1958, n. 174, per gli anni successivi al 2011.
  Il suddetto comitato provvederà alla valutazione delle istanze presentate per colmare l'arretrato creatosi a seguito del passaggio delle competenze dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  La Direzione generale turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha proceduto, intanto, alla liquidazione dei contributi assegnati agli enti pubblici, dall'allora commissione tecnica prevista dal decreto ministeriale 5 agosto 2010, per manifestazioni e/o iniziative turistiche svolte nel secondo semestre dell'anno 2011.
  Con l'occasione si informa che è all'esame del Senato, in seconda lettura, la proposta di legge atto Senato n. 2371, già atto Camera n. 2497, «Modifiche alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, concernenti la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale».
  Il disegno di legge mira ad adeguare la legislazione italiana alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, resa esecutiva dalla legge n. 167 del 2009 ma mai attuata nel nostro ordinamento.
  L'articolo 2 della Convenzione sopra citata fornisce la seguente definizione del patrimonio culturale immateriale: «Si intendono per “patrimonio culturale immateriale” pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività culturale».
  La legge 26 febbraio 2006, n. 77, «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale”, posti sotto la tutela dell'Unesco» prevede misure di sostegno economico, rivolte però al solo patrimonio materiale dell'umanità.
  La proposta di legge in esame si propone di porre rimedio alla lacuna normativa, introducendo alcune modifiche alla legge n. 77 del 2006, per dare adeguata dignità all'immenso patrimonio culturale immateriale – di cui la manifestazione di Cantiano è un esempio – che rende unico il nostro Paese.
Il Sottosegretario di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismoAntimo Cesaro.


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che «resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata» sarebbero le accuse rivolte a dieci manifestanti, a nove mesi dalla protesta in occasione della prima visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi all'Aquila dell'agosto 2016 segnalati dalla Digos del capoluogo abruzzese all'autorità giudiziaria;
   sempre secondo fonti giornalistiche, i denunciati sarebbero tra gli attivisti e le attiviste del comitato 3e32 dell'Aquila e di quelli che si oppongono alle piattaforme petrolifere sulla costa adriatica abruzzese;
   il reato di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, contestato solo ad alcuni dei manifestanti sarebbe riconducibile alla presunta aggressione ad un'agente di iella sede comunale di Palazzo Fibbioni, anche se gli stessi comitati aquilani, in una conferenza stampa, mostrarono foto e video nei quali si evidenzia come l'agente fosse stata spintonata involontariamente da un proprio collega. Per tutti gli altri manifestanti, invece, il reato contestato è non autorizzata, essendo stato permesso inizialmente solo un presidio nella zona della Fontana Luminosa, nella parte opposta del centro a visita del Presidente del Consiglio;
   in una nota il Coordinamento « No Ombrina» sottolinea come le accuse siano del tutto prive di fondamento e numerosi video ne testimoniamo la veridicità;
   è evidente la limitazione contraria ai principi costituzionali del diritto di manifestare liberamente e pacificamente il proprio pensiero –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per chiarire una situazione gravissima che rischia di colpire senza motivi attivisti che esercitavano la libertà di manifestare le proprie opinioni. (4-12914)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha sollevato perplessità sull'operato delle forze di polizia durante la manifestazione di protesta svoltasi a L'Aquila il 25 agosto 2016, in occasione della visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a seguito della quale alcuni manifestanti sarebbero stati «accusati di resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata».
  Al riguardo, si rappresenta che, ricevuto con qualche giorno di anticipo il preavviso di tale manifestazione, la locale questura ha prescritto agli organizzatori di tenere l'evento in forma statica in Piazza Battaglione Alpini.
  In realtà, nel giorno indicato i manifestanti, giunti in gran parte dalle province di Chieti e di Pescara, hanno dato vita ad un corteo non autorizzato, verosimilmente per raggiungere la sede del comune in palazzo Fibbioni. Il palazzo comunale era infatti la prima tappa del programma di visita del Presidente del Consiglio, poi annullata proprio a causa della contestazione in atto.
  I manifestanti hanno anche tentato di forzare lo sbarramento delle forze dell'ordine e, nella circostanza, un assistente capo della polizia di Stato ha riportato la frattura del setto nasale.
  Poi i dimostranti si sono spostati verso la sede del «Gran Sasso Science Institute», altra tappa della visita del Presidente del Consiglio, lanciando sassi e uova contro gli operatori di polizia in servizio d'ordine pubblico, che presidiavano l'area adiacente detta struttura.
  Di tali accadimenti è stata informata l'autorità giudiziaria, che ha instaurato un procedimento penale, tuttora pendente, nel cui ambito è in corso un supplemento di indagine.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MORETTO e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la Risoluzione n.11/E del 17 gennaio 2014, l'Agenzia delle entrate in risposta ad un interpello ha fornito chiarimenti in merito all'aliquota IVA applicabile all'acqua di sorgente in bottiglia destinata al consumo umano;
   in particolare, l'Amministrazione finanziaria, pur riconfermando in via preliminare la sostanziale differenza delle acque minerali naturali dalle acque di sorgente, ne ha stabilito la completa equiparabilità economica, ai fini dell'applicazione dell'aliquota IVA ordinaria, anche alle acque di sorgente destinate al consumo umano, precisando che l'aliquota agevolata è applicabile alla sola acqua potabile e non potabile erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni, mediante l'allacciamento alla rete idrica comunale;
   il medesimo interpello richiama in ultimo lo Statuto del contribuente, con riferimento all'articolo 10, che tutela la buona fede del contribuente in presenza di norme di dubbia interpretazione, riconoscendo al caso l'esimente di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante le cause di non punibilità per l'autore della violazione, quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono e richiamando la non irrogabilità di sanzioni in caso di errata applicazione dell'aliquota per il tempo pregresso;
   la portata innovativa della risoluzione prodotta dall'Agenzia delle entrate ribalta integralmente, sino al momento della sua pubblicazione, la possibile e unanime interpretazione delle disposizioni di legge e la conseguente prassi commerciale di un intero settore, consolidatasi negli anni;
   l'intera categoria di soggetti passivi IVA che distribuiscono l'acqua di sorgente, comunemente confezionata in recipienti da 18/20 litri di capacità, i cosiddetti «boccioni», risulterebbe essersi tempestivamente uniformata a quanto previsto dall'Amministrazione finanziaria a seguito del richiamato chiarimento;
   a distanza di qualche anno dall'emanazione della Risoluzione, si ha notizia di verifiche effettuate dagli organi di controllo nel corso delle quali, pur osservando la non i applicabilità delle sanzioni, in ossequio alle conclusioni della risoluzione, si è proceduto alla contestazione di erronea emissione di fatture con applicazione di imposta ad aliquota agevolata e di relativa presentazione di dichiarazione annuale IVA infedele, con la conseguente richiesta di recupero della maggiore IVA (differenza tra il 10 ed il 22 per cento) per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della citata risoluzione;
   l'asserita incertezza interpretativa della fattispecie, nei periodi che hanno preceduto il chiarimento amministrativo, dovrebbe, in considerazione del principio della tutela dell'affidamento e della buona fede; escludere ogni efficacia retroattiva;
   la sola esimente di cui al citato articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, non può fornire tutela adeguata a salvaguardare il contribuente verificato dal danno economico/finanziario e di immagine commerciale che un'applicazione retroattiva della norma può produrre;
   la possibilità, poi, di ricorrere all'articolo 60, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che prevede per i contribuenti il diritto di rivalsa sulla maggiore imposta IVA relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni, si rivela pressoché vana, amministrativamente complicata ed onerosa, nonché commercialmente dannosa, considerata l'estrema numerosità della clientela, nonché la vetustà delle operazioni poste in essere;
   da ultimo va rilevato che l'IVA, oggetto di contestazione da parte degli organi di controllo, interessando nella stragrande maggioranza dei casi soltanto soggetti passivi, non produrrebbe alcun effetto finanziario per l'erario, traducendosi in una semplice «partita di giro», ma finirebbe per gravare ingiustificatamente sul soggetto accertato, che ne rimarrebbe definitivamente inciso, con la conseguenza che il tributo perderebbe la propria natura neutrale e si trasformerebbe in una sanzione impropria –:
   come intenda chiarire la portata della citata normativa al fine di escludere il recupero della maggiore IVA per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della richiamata risoluzione, evitando in tal modo che il tributo IVA perda la propria natura neutrale, data l'impossibilità dell'applicazione del meccanismo della rivalsa e della detrazione. (4-13248)

  Risposta. — Con il documento in esame gli interroganti pongono la questione dell'aliquota IVA applicabile alle cessioni di acqua di sorgente in bottiglia, destinata al consumo umano.
  In particolare, gli interroganti richiamano la risoluzione 17 gennaio 2014, n. 11/E dell'Agenzia delle entrate con cui è stato chiarito che alla stessa si rende applicabile l'aliquota ordinaria del 22 per cento, in quanto l'aliquota agevolata del 10 per cento, di cui al n. 81 della Tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, trova applicazione unicamente per l'erogazione di acqua «potabile» e «non potabile» ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i comuni (o con le società autorizzate all'erogazione del servizio), mediante l'allacciamento alle condotte idriche della rete idrica comunale.
  Gli interroganti lamentano che successivamente ai chiarimenti contenuti nella cennata risoluzione, sono state effettuate verifiche da parte dell'Agenzia delle entrate in esito alle quali è stata contestata agli operatori l'erronea emissione di fatture con applicazione di imposta ad aliquota agevolata con la conseguente richiesta di recupero della maggiore IVA (differenza tra il 10 ed il 22 per cento) per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della citata risoluzione.
  A parere degli interroganti, l'incertezza interpretativa in merito alla fattispecie in argomento, nei periodi che hanno preceduto il chiarimento amministrativo, dovrebbe escludere ogni efficacia retroattiva, in considerazione del principio della tutela dell'affidamento e della buona fede.
  Pertanto, gli interroganti chiedono al Governo iniziative volte a chiarire la portata della citata normativa al fine di escludere il recupero della maggiore IVA per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della richiamata risoluzione, evitando in tal modo che il tributo IVA perda la propria natura neutrale, data l'impossibilità dell'applicazione del meccanismo della rivalsa e della detrazione.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle entrate, si rappresenta quanto segue.
  La risoluzione 17 gennaio 2014, n. 11/E dell'Agenzia delle entrate trae origine da risposte a diverse istanze di interpello formulate ai sensi dell'articolo 11, della legge 212 del 2000 (Statuto del contribuente).
  L'Agenzia delle entrate, con la citata risoluzione, ha precisato che l'aliquota agevolata del 10 per cento (di cui al n. 81) della Tabella A, parte III, allegata al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972), è applicabile ai soli corrispettivi dovuti per la erogazione di acqua «potabile» e «non potabile», erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i comuni (o con le società autorizzate all'erogazione del servizio), mediante l'allacciamento alle condotte idriche della rete idrica comunale.
  Trattasi, in altre parole, del servizio generale di erogazione idrica, il cui corrispettivo – determinato applicando il regime tariffario in uso – è commisurato ai consumi (misurati tramite contatori intestati ai singoli utenti).
  L'aliquota ridotta consente, infatti, di ridurre i costi a carico della collettività per ottenere un servizio primario quale è l'erogazione dell'acqua.
  Lo stesso trattamento fiscale agevolato non si può, invece, estendere alle cessioni di acqua di sorgente, chimicamente simile all'acqua potabile, ma commercializzata al pari delle acque minerali, alle quali, a norma dell'articolo 5, comma 3, del decreto legge 15 settembre 1990, n. 261, va applicata l'aliquota ordinaria, attualmente del 22 per cento.
  Inoltre, a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 176 del 2011, è venuta meno la norma (articolo 10, comma 4, decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 105) che limitava la commercializzazione dell'acqua minerale in contenitori di capacità fino a 2 litri, consentendo, invece, l'utilizzazione di contenitori di capacità superiore (ad es. i cosiddetti «boccioni» da 18/20 litri) per la sola acqua di sorgente.
  In conformità alla disciplina comunitaria, trattandosi di applicazione di aliquote ridotte, è stata adottata un'interpretazione restrittiva.
  L'Agenzia precisa che lo stesso Allegato III consente agli Stati di applicare l'aliquota agevolata per le cessioni di «Prodotti alimentari (incluse le bevande, ad esclusione tuttavia delle bevande alcoliche) destinati al consumo umano», tuttavia il nostro legislatore, con il citato articolo 5, comma 3, del decreto-legge n. 261 del 1990, ha stabilito di assoggettare ad aliquota ordinaria le cessioni di acqua minerale e tale trattamento si estende anche alla commercializzazione, in tutte le sue forme (dalla bottiglia da 0.5 ai boccioni da 18/20 litri) dell'acqua di sorgente o acqua da tavola, che pur se chimicamente simile all'acqua potabile viene commercializzata al pari delle acque minerali.
  Per quanto concerne, il richiamo degli Onorevoli interroganti all'impossibilità per gli operatori di ricorrere all'articolo 60, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, si osserva che in base alla citata norma, «Il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».
  La predetta disposizione, introdotta nell'ordinamento giuridico dall'articolo 93, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, al fine di sanare la procedura d'infrazione europea in relazione alla previgente disciplina che non consentiva la rivalsa dell'imposta o maggiore imposta accertata, nel riconoscere il diritto del cedente/prestatore, seppur condizionato nel suo esercizio alla circostanza che l'imposta accertata sia effettivamente versata all'erario, assicura la neutralità dell'IVA coerentemente all'obiettivo dell'imposta: che è quello di «incidere» sul consumo finale e non, invece, di gravare sull'operatore economico.
  Con riguardo al meccanismo della rivalsa dell'imposta accertata con la circolare n. 35/E del 2013 l'Agenzia delle entrate ha precisato che «L'esercizio della rivalsa dell'IVA, ai sensi dell'articolo 60, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone la riferibilità dell'imposta accertata a specifiche operazioni e la conoscibilità del cessionario/committente».
  In particolare, con il predetto documento di prassi, è stato chiarito anche che «la maggiore imposta possa essere addebitata in via di rivalsa, a seguito del relativo pagamento, anche quando sia stata calcolata su una base imponibile determinata in via forfetaria, laddove sia comunque riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati cessionari o committenti. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui, in sede di accertamento, le operazioni effettuate nei confronti di un soggetto – considerate esenti da IVA – siano ripartite forfetariamente tra operazioni imponibili ed operazioni esenti. Diversamente va esclusa l'applicazione della rivalsa, ai sensi dell'articolo 60 settimo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, laddove l'imposta recuperata, non sia riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati soggetti (cfr. trattasi, ad esempio, dell'IVA dovuta a seguito di accertamento induttivo)».
  Tale soluzione interpretativa è necessitata dal meccanismo di funzionamento dell'IVA, disciplinato da norme sovranazionali (diritto dell'UE), di attuazione nazionale, che per assicurare la neutralità dell'imposta, ricollegano la rivalsa dell'IVA all'effettività dell'operazione cui si riferisce.
Il Viceministro dell'economia e delle finanzeLuigi Casero.


   OTTOBRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata redatta in seno al Consiglio d'Europa e aperta alla firma degli Stati a Strasburgo il 5 novembre 1992; fino ad oggi la Carta risulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d'Europa, con lo scopo di tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d'Europa che rischiano purtroppo di scomparire;
   il trattato, in vigore dal 10 marzo 1998, dopo il raggiungimento delle cinque ratifiche previste, risulta ratificato solo da 24 Stati, mentre i restanti 9 non hanno ancora avviato o esaurito le procedure allo scopo previste;
   il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita, sia pubblica che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell'uomo, previsto nel Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato e aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e conforme anche alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848;
   l'Italia ha firmato il trattato il 27 giugno 2000, ma non ha ancora ratificato perché durante la XIV, la XV, XVI e la XVII legislatura purtroppo non si è riusciti ad approvare o a iniziare l’iter di esame delle proposte di legge atte ad eseguire la ratifica;
   la Carta chiarisce quali debbano essere gli obiettivi e i princìpi ai quali gli Stati firmatari sono tenuti ad adeguare la propria politica legislativa: prima di tutto, riconoscere le lingue regionali come espressione di ricchezza culturale; rispettare l'area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria; agevolare e incoraggiare l'uso, orale e scritto, delle lingue in questione, sia nella vita privata che in quella pubblica; prevedere forme e mezzi per l'insegnamento e per lo studio di queste lingue, nonché promuovere studi e ricerche nelle università o presso istituti equivalenti;
   il recepimento della Carta è una delle condizioni richieste dalle istituzioni europee, segnatamente dal Consiglio d'Europa, per l'adesione di nuovi Paesi al contesto comunitario, ed è quindi opportuno che un Paese fondatore del Consiglio d'Europa, quale è l'Italia, provveda sollecitamente all'esecuzione di questo importante strumento internazionale; va dato atto peraltro che l'Italia, ancora prima di sottoscrivere la Carta nel 2000, ne aveva già dato di fatto un'attivazione sostanziale, approvando la legge n. 482 del 1999;
   lo Statuto speciale del Trentino Alto Adige è fondato sul pieno riconoscimento dei diritti dei tre gruppi linguistici conviventi nel territorio, e al riguardo l'articolo 2 dello Statuto stesso afferma: «nella regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali»;
   i tre gruppi riconosciuti in Trentino Alto Adige sono l'italiano, il tedesco sudtirolese e il ladino;
   è sul gruppo maggioritario di quest'ultimo, in Trentino, che grava la minaccia del misconoscimento e dell'estinzione, in quanto lo Statuto destina particolare rilievo alla tutela dei gruppi linguistici ladini insediati nel territorio delle due province, non distinguendo in linea generale fra i vari ceppi di appartenenza; per quanto riguarda il Trentino, è prevista riserva una complessa normativa a tutela dei ladini dolomitici insediati nella Valle di Fassa, ma non sono disciplinati ancora i diritti dell'altro gruppo linguistico ladino stanziato nella Valle del Noce;
   il gruppo ladino stanziato nella Valle del Noce è il più antico e il più numeroso, esso è diverso dal gruppo ladino dolomitico, per storia, dislocazione geografica, lingua e identità culturale; è sorto 2000 anni fa dall'innesto della lingua e della civiltà romana su quelle delle popolazioni retiche, stanziate nella Valle 500 anni prima di Cristo, ed insignito della cittadinanza romana nel 46 dopo Cristo con l'editto imperiale denominato «Tavola Clesiana»;
   detto gruppo, nel corso di duemila anni, ha mantenuto la propria lingua ladino-retica e la propria identità consolidata a plurisecolari forme di autonomia territoriale; solo da poco tempo ha rivendicato il riconoscimento della propria identità, per il fatto che, al contrario dei ladini dolomitici, essa non è stata mai minacciata dalla pressione dei popoli germanici, come accadde invece nella provincia di Bolzano;
   la richiesta di riconoscimento da parte del suddetto gruppo si basa anche sulla constatazione che, senza il supporto delle istituzioni, nessuna minoranza, per quanto radicata, nei tempi presenti è in grado di sopravvivere, tale richiesta si basa anche sul fatto che queste popolazioni, che già nel 2001 in sede di censimento si erano espresse per il riconoscimento della loro identità con percentuali significative, nel censimento del 2011 hanno rivendicato il riconoscimento con una percentuale nella Anaunia del 25 per cento dei dichiaranti e con una cifra complessiva di oltre 10.000 persone;
   è da rilevare che in base al suddetto censimento i ladini della Valle del Noce sono largamente il gruppo maggioritario in Trentino e rappresentano un quarto dei ladini della regione, oltre ad avere una ampia prospettiva di espansione dato che la Valle del Noce ha una popolazione di oltre 50.000 abitanti;
   la legge n. 482 del 1999 determina un diritto al riconoscimento delle rivendicazioni di questa parte significativa delle popolazioni, ma nonostante l'interessamento di alcuni dei commissari della Commissione paritetica dei 12 istituita presso la provincia di Trento per l'esame delle proposte di norma di attuazione dello statuto che hanno proposto un testo di una norma di attuazione che prevede questo riconoscimento; ma inspiegabilmente, tale proposta non è mai stata messa all'ordine del giorno, le legittime rivendicazioni delle popolazioni della Valle del Noce sono ancora inascoltate;
   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, al fine di garantire che la minoranza linguistica ladino-retica della Valle del Noce venga legalmente riconosciuta ed acquisisca tutti i diritti di cui finora gode solo la minoranza ladino dolomitica insediata nella Valle di Fassa. (4-13637)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Nel corso della riunione della commissione paritetica per le norme di attuazione del Trentino Alto Adige, tenutasi in data 9 luglio 2014, alcuni componenti hanno presentato alla Commissione una proposta di norme di attuazione recante modifiche al decreto legislativo 16 dicembre 1993 n. 592, aventi ad oggetto il riconoscimento e la tutela delle popolazioni ladine retiche della provincia di Trento. Tali modifiche, in particolare, erano tese a specificare la duplice provenienza della minoranza linguistica ladina dalla valle di Fassa e dalla valle del Noce, mediante la sostituzione della parola «ladino», presente all'interno delle varie disposizioni del predetto decreto legislativo, con la locuzione: «ladino dolomitico e ladino retico». Ciò al fine di conseguire, mediante lo strumento della norma di attuazione, pari riconoscimento e tutela per entrambi i ceppi linguistici ladini presenti nella regione del Trentino Alto Adige.
  Con nota del 27 aprile 2015 il Presidente della provincia di Trento, interpellato, tra gli altri, dal presidente della commissione paritetica per un preventivo avviso sulla cennata proposta di norma di attuazione, ha espresso riserve sulla proposta di modifica della norma di attuazione di cui decreto legislativo n. 592 del 1993, atteso che:
   lo Statuto, nel sancire la tutela delle minoranze linguistiche storiche residenti in Trentino, identifica «espressamente e chiaramente le località di insediamento delle minoranze presenti nel territorio provinciale, riferibili al gruppo linguistico ladino-dolomitico di Fassa (articolo 48) e alle popolazioni mòchene e cimbre dei comuni di Fierozzo, Frassilongo, Palù del Fersina e Luserna (articolo 102)»;
   le norme di attuazione successivamente emanate (decreto legislativo n. 592 del 1993) sono direttamente applicative «delle disposizioni statutarie riferite alle popolazioni ladina-dolomitica di Fassa, mòchena e cimbra, in ragione dell'elevato livello di tutela istituzionale, giurisdizionale e amministrativa delle predette minoranze rinvenibile nello stesso Statuto»;
   l'eventuale ricorso alla procedura per il riconoscimento delle minoranze linguistiche storiche prevista dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, che reca norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, deve avvenire per le regioni e province autonome mediante lo strumento delle norme di attuazione, in forza della norma di salvaguardia recata dall'articolo 18 della stessa legge a favore delle stesse regioni e province autonome.

  Tale giudizio negativo è stato esteso dal presidente della provincia di Trento, anche all'ipotesi di un'apposita norma di attuazione «calibrata su altre realtà afferenti a minoranze linguistiche storiche, non considerate dallo Statuto speciale e comunque da identificare sulla base di appropriati approfondimenti di carattere linguistico, nel rispetto dei criteri di bilanciamento enunciati dalla legge n. 482 del 1999 e avallati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale», considerato che «non si ritiene siano maturate le condizioni per un tale passaggio storico, sia dal punto di vista scientifico che della condivisibilità e sostenibilità anche rispetto al processo in corso di riforma istituzionale riguardante gli enti locali del Trentino».
  L’iter di approvazione della norma in argomento non è, pertanto, proseguito.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieEnrico Costa.


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in località, Cofino, nel territorio di Stefanaconi, a ridosso del comune di Vibo Valentia, a quanto consta agli interroganti, vi sono ripetitori posti nelle vicinanze di un'area espropriata diversi anni orsono per la realizzazione del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia;
   il sito, di rilevante interesse archeologico, era stato indagato in maniera sistematica per la prima volta da Paolo Orsi. Colpito dalla posizione panoramica e preminente del luogo, il celebre archeologo fece effettuare degli scavi tramite trincee in lungo e in largo sull'altura, fino all'individuazione di una struttura sacra: ciò che rimaneva di un tempio ionico costruito sul finire del V sec. a.C., delle dimensioni di m 27,5 x 18,10. Negli anni ’70, in aree ricadenti all'interno dello stesso santuario, sotto la direzione dell'allora ispettore di soprintendenza Claudio Sabbione e del dottor Ermanno Antonio Arslan, furono riportati alla luce a più riprese, con scavi di emergenza, altri edifici di carattere sacro. Poco più est del Tempio si rinvennero un muro di contenimento e una seconda struttura; a breve distanza emerse una statua marmorea a grandezza naturale, oggi esposta presso il Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia. Nei pressi delle vicine case popolari, durante i lavori intrapresi dalla Gescal, furono trovate altre strutture di età greca, una delle quali era stata sovrapposta ad un deposito votivo di statuette e vasi di età più antica. Un grosso muro in blocchi calcarei venne identificato nelle vicinanze. Dei numerosi reperti rinvenuti, diversi sono esposti nel locale museo archeologico. Altri siti localizzati nella stessa nella zona restituirono invece strutture e materiali di età romana;
   con i fondi attivati di recente dal comune, le strutture antiche presenti nella zona sono state riportate alla luce. I lavori, effettuati fra settembre e dicembre del 2015, hanno infatti messo a vista una serie di edifici di età greca, alcuni già scoperti nel corso del XX secolo e re-interrati, altri emersi oggi per la prima volta;
   l'edificio templare scavato e poi coperto nuovamente dall'Orsi nel 1921 è stato riportato in luce e, nonostante le pesanti spoliazioni subite in antico, presenta ancora oggi una certa monumentalità, grazie ai possenti blocchi del basamento e ai due rocchi di colonna superstiti. Davanti all'ingresso del tempio è emerso, inoltre, qualche metro più a Sud, un manufatto in blocchi di calcare nel quale, quasi certamente, è possibile riconoscere l'altare. Nei pressi dello stesso, ancora non del tutto scavate sono altre due strutture: una in laterizi e ciottoli, l'altra in blocchi di calcare. In un altro settore, il muro di contenimento e la struttura già rinvenuti negli anni ’70 sul lato est, sono tornati visibili;
   l'articolo 45 del decreto legislativo 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede che: «1. Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. 2. Le prescrizioni di cui al comma 1, adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici.»;
   nel complesso, la località Cofino è un sito di interesse paesaggistico che copre una visuale molto ampia, dall'Etna allo Stromboli, fino alle tutte le Isole Eolie nei giorni più limpidi. La sua rilevanza nel complesso circondariale è notevole, per il controllo visivo esteso sul golfo di Sant'Eufemia, la valle del Mesima, le Serre, da dove le strutture sacre ivi presenti dovevano essere ben riconoscibili;
   i ripetitori esistenti, oltre a deturpare l'ambiente circostante il tempio, sono, altresì, posizionati sul ciglio di un burrone che, in caso di cedimento del suolo, danneggerebbe di certo la struttura di età greca ivi ubicata;
   a giudizio degli interroganti l'importanza dei reperti trovati nel sottosuolo e la persistenza di strutture fisse a carattere monumentale rende necessaria ed urgente l'apposizione, sull'area in esame, del vincolo archeologico –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito alla vicenda esposta in premessa con riguardo agli aspetti di competenza e se non ritenga opportuno, da un lato, che venga imposto un vincolo indiretto, per scongiurare l'eventuale futura realizzazione di altre strutture fisse o temporanee che danneggino il decoro del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia, e dall'altro di consentire la contestuale rimozione e il dislocamento in altra sede dei ripetitori ivi presenti;
   se la Soprintendenza abbia verificato lo stato in cui versa il parco archeologico e se non ritenga che sia in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili e che siano danneggiate la prospettiva e la luce, oltre ad essere alterate le condizioni generali di ambiente e di decoro;
   se il Governo non ritenga opportuno elaborare con urgenza un progetto di recupero di tutta l'area che coinvolga enti locali, soggetti privati e associazioni accomunati dall'impegno per la tutela e la conservazione del patrimonio archeologico. (4-11920)

  Risposta. — Con riferimento al parco archeologico urbano di Hipponion, nel comune di Vibo Valentia, e alla presenza di alcuni ripetitori posti nelle vicinanze di un'area espropriata per la realizzazione del parco archeologico, l'interrogante chiede: se la competente Soprintendenza abbia verificato lo stato in cui versa il parco archeologico e se non ritenga che sia in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, siano danneggiate la prospettiva e la luce, oltre che alterate le condizioni generali di ambiente e di decoro; se l'Amministrazione non ritenga opportuno elaborare con urgenza un progetto di recupero dell'area che coinvolga amministrazioni e privati per la tutela e la conservazione del patrimonio archeologico.
  Riguardo alle questioni poste nell'atto ispettivo, la Soprintendenza archeologia della Calabria ha comunicato quanto segue.
  Nel 1921, sotto la direzione dell'archeologo Paolo Orsi, come ricordato dall'interrogante, furono rinvenuti i resti di un grande santuario di età greca costituito da un monumentale tempio di ordine ionico, da una favissa (deposito ipogeo di oggetti cultuali) riempita di ex-voto e da un pozzo di probabile utilizzo cultuale.
  Tra il 1971 e il 1975, in seguito alla costruzione di case popolari, la allora Soprintendenza archeologica della Calabria, in uno spazio ristretto tra le costruzioni, mise in luce una serie di importanti evidenze attribuibili allo stesso santuario: un poderoso muro costituito da una fondazione di grandi massi e scheggioni e un alzato in blocchi quadrati, con probabile funzione di terrazzamento o di delimitazione del santuario, un piccolo edificio quadrangolare e piccoli basamenti; diverse fosse allungate piene di ex-voto e altri scarichi di materiali votivi, che attestano una frequentazione sacra dell'area tra il VI e il IV sec. a.C.
  Nel 1974, durante alcuni sbancamenti per l'ampliamento e la sistemazione della strada Croce Nivera lungo il ciglio dell'altura, a strapiombo sulla valle del Mesima, furono rinvenute una statua femminile acefala in marmo e una favissa con materiali coroplastici rappresentanti divinità femminili con porcellino e fiaccola, databili al IV sec. a.C.
  Nel 1975 la Soprintendenza effettuò alcuni saggi lungo la strada di cui sopra, mettendo in luce un avanzo di struttura in blocchi di arenaria e l'angolo di un edificio costruito in laterizi e blocchi di arenaria, testimoniando la continuità di frequentazione dell'area almeno fino agli inizi dell'età romana imperiale.
  Con decreto ministeriale 28 novembre 1977 l'area delle particelle catastali 42 e 57 del foglio di mappa n. 34 del comune di Vibo Valentia, in cui erano state rinvenute le strutture e le stratigrafie di cui sopra, venne dichiarata di importante interesse archeologico ai sensi della legge 1o giugno 1939, n. 1089 e, quindi, sottoposta a tutte le disposizioni di tutela contenute in tale legge.
  Con successivo decreto ministeriale 20 novembre 1996 anche l'area del Còfino ricadente nel territorio comunale di Vibo Valentia fa dichiarata di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1089 del 1939 e quindi sottoposta a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa.
  Il Soprintendente regionale per i beni culturali e ambientali della Calabria, con proprio decreto n. 8 del 28 giugno 2002, dichiarò la pubblica utilità della stragrande maggioranza degli immobili di località Calino, al fine dell'espropriazione in vista della realizzazione del parco archeologico di Hipponion-Valentia. Con decreto ministeriale del 21 ottobre 2005, gli stessi immobili sono stati acquisiti al demanio dello Stato per la realizzazione del parco archeologico di cui sopra.
  Nel mese di settembre 2015 sono iniziati e sono tuttora in corso i lavori per la realizzazione del «Parco archeologico urbano della città Hipponion-Valentia», finanziati con 3.000.000,00 di euro nell'ambito del PAC/POIn, Programma operativo interregionale Fesr 2007/2013 «Attrattori culturali, naturali e turismo», a favore del Comune di Vibo Valentia.
  Nel corso di tali lavori, tra settembre e dicembre 2015, gli scavi archeologici hanno consentito di rimettere in luce il tempio già scoperto da Paolo Orsi e di individuare altre strutture e stratigrafie utili alla ricostruzione storica dell'area del santuario dall'età greca a quella romana.
  I lavori scavo, finalizzati alla fruizione e alla valorizzazione dell'area del Còfino sono in via di conclusione. Il cancello di accesso al parco ricadrà sulla via sulla quale sono poste i ripetitori cui si fa riferimento nell'interrogazione.
  La Soprintendenza archeologia della Calabria, pur ritenendo che la presenza dei ripetitori difficilmente possa interferire con la prospettiva e la luce dell'area archeologica, sta valutando se sussistano le condizioni per avviare il procedimento per l'apposizione di un vincolo indiretto al fine di evitare ulteriori elementi di disturbo del decoro del parco.
  Lo stesso istituto ritiene, anche, considerate l'altezza e la distanza dei ripetitori in questione dalle strutture archeologiche emerse e considerata la conformazione topografica degli ripetitori, posti sul ciglio del versante degradante a valle, mentre il parco si trova sulla sommità dell'altura, che l'integrità dei resti non possa essere danneggiata da eventuali cedimenti.
  Per quanto riguarda, infine, la tutela paesaggistica, la Soprintendenza belle arti e paesaggio della Calabria ha comunicato che la località Còfino non è sottoposta ad alcun vincolo di natura paesaggistica.
La Sottosegretaria di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismoDorina Bianchi.


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della comunicazione prot. n. 00600628 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel 2013, che segnalava la presenza anomala di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) diversi corpi idrici superficiali e nei punti di erogazione pubblici delle acque della provincia di Vicenza e comuni limitrofi, il dipartimento dell'Arpav di Vicenza, in collaborazione con le altre strutture dell'Agenzia e della regione, iniziava le prime indagini necessarie alla delimitazione dell'inquinamento e all'individuazione delle relative fonti di emissione;
   nel luglio 2013 le autorità informarono i cittadini sulla presenza nelle falde acquifere del Veneto, di tali composti, una nuova classe di inquinanti persistenti globali che resistono per anni nel sangue e per decenni nelle matrici ambientali;
   i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche chimiche di sintesi utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all'acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, eccetera) sono prodotti nel Nord-est da una multinazionale di Trissino (Vicenza) che, secondo l'ARPAV, li ha immessi per decenni direttamente nel fiume Agno e in un depuratore civile che scarica nel fiume Fratta-Gorzone, la cui acqua è usata per irrigare i campi e allevare gli animali;
   la scoperta fu del tutto casuale, ma per tre anni il fascicolo è rimasto fermo negli uffici della procura. «Non possiamo procedere perché i Pfas non sono previsti come inquinanti dalla legge italiana», avevano spiegato al ilfattoquotidiano.it fonti della procura di Vicenza, aggiungendo che «non vi è indicazione del limite di concentrazione di queste sostanze nell'acqua». Per contestare il reato di inquinamento delle acque serve «almeno uno studio epidemiologico»;
   la situazione è nel frattempo degenerata e ora è allarme nelle province venete di Vicenza, Verona e Padova. Sarebbero ben 59 i comuni interessati dall'inquinamento acquifero e, secondo l'assessore regionale alla sanità, sono più di 60 mila le persone contaminate nel cui sangue sono state ritrovate varie sostanze derivanti dall'inquinamento da Pfas. Concentrazioni «significativamente superiori» rispetto al resto della popolazione si legge nel biomonitoraggio condotto dall'Istituto superiore di sanità realizzato nei mesi scorsi. Di conseguenza, nei giorni scorsi vi è stato l'annuncio, da parte della procura di Vicenza, dell'apertura di un'inchiesta per danno ambientale a seguito di notizie di stampa;
   da Trissino a Montagnana, passando per Lonigo, Cologna Veneta e Vicenza tanti sarebbero i pozzi inquinati da queste sostanze che avrebbero una persistenza di ben 60 anni nell'acqua e di 5 nel sangue. Un vero e proprio disastro ambientale che tanto ricorda la terra dei fuochi; 
   la preoccupazione di tutti si rinviene nelle pagine de  ilfattoquotidiano.it: Si fa riferimento alla riunione del tavolo tecnico regionale sui Pfas, che si è svolta il 13 gennaio 2016, ed in particolare al verbale che la testata giornalistica avrebbe potuto consultare dove è racchiusa la paura dei tecnici: «Nessuna azione a tutela della salute, pericolo può estendersi in tutta Italia»;
   si tratta di un documento inedito, di cui ilfattoquotidiano.it sembra essere in possesso, e che rivela la tensione con cui le istituzioni riunite presso la regione Veneto stanno affrontando l'emergenza sanitaria relativa. Emergenza che gli stessi funzionari della direzione tutela ambiente della regione considerano «non sotto controllo»;
   al di là delle polemiche e delle reciproche accuse apparse su alcuni quotidiani in merito agli interventi più o meno tempestivi degli uni e degli altri in tale situazione di gravissima emergenza, l'intento deve essere quello di eliminare immediatamente le cause di inquinamento ed intervenire in modo rapido sulle conseguenze –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo abbia intenzione di porre in essere, in collaborazione con la regione Veneto, con l'Istituto superiore di sanità e con tutti gli enti preposti alla tutela della salute dei cittadini veneti e al risanamento ambientale, al fine di scongiurare un nuovo e drammatico disastro. (4-13049)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, attesa l'analogia della materia trattata.
  L'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con la regione del Veneto, ha condotto, nella zona interessata, uno studio in materia di inquinamento acquifero, al fine di caratterizzare l'esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in soggetti residenti in aree di alcune province del Veneto interessate da presumibile esposizione incrementale a questi inquinanti, rispetto a gruppi di popolazione di controllo residente in altre aree geografiche del Veneto, identificate in base ai dati disponibili sulla contaminazione da PFAS della filiera idrica. Nell'ambito dello studio è stata condotta anche un'analisi genetica con l'obiettivo di caratterizzare i soggetti arruolati per la presenza di una variante allelica del trasportatore renale OATP1A2 presumibilmente coinvolto nel bilanciamento secrezione/riassorbimento di tali sostanze.

  Sono stati selezionati i seguenti comuni:
   per l'area a esposizione incrementale: Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego;
   per l'area di controllo: Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso.

  I risultati dello studio sono stati illustrati dal responsabile scientifico dello studio per l'Istituto superiore di sanità in due presentazioni pubbliche organizzate dalla regione Veneto tenutesi a Venezia il 20 e 21 aprile 2016. Hanno partecipato a questi incontri i sindaci dei comuni coinvolti nello studio e rappresentanti della stampa.
  Tali risultati hanno evidenziato concentrazioni nel siero della maggior parte dei PFAS dei residenti nelle aree interessate dalla contaminazione delle acque significativamente superiori a quelle dei residenti delle aree identificate come di controllo. All'interno del gruppo degli esposti sono stati inoltre identificati sottogruppi a maggiore esposizione (residenti nella ULSS 5).
  Relativamente all'analisi genetica i dati ottenuti indicano che non c’è relazione tra i livelli di dose interna dei PFAS e il genotipo analizzato. Pertanto, la dose interna così come evidenziata dallo studio di biomonitoraggio è determinata essenzialmente dall'esposizione esterna e non dalle caratteristiche genetiche individuali studiate.
  L'Istituto medesimo ha, inoltre, fornito alla regione del Veneto le schede individuali delle analisi effettuate, per la restituzione dei dati alle persone arruolate per l'indagine, corredate da alcune note esplicative.
  Lo studio sugli allevatori è tuttora in corso: la regione del Veneto è in fase di arruolamento dei soggetti, per cui l'istituto è in attesa di ricevere i campioni sui quali effettuare l'analisi.
  In ultima analisi, si evidenzia che in data 2 maggio 2016 la regione Veneto ha trasmesso al Ministero della salute i risultati e le prime elaborazioni relative alla determinazione della concentrazione dei biomarcatori di esposizione nel siero e l'analisi genetica di una variante allelica del trasportatore renale OATP1A2. I dati forniti necessitano di ulteriori approfondimenti, anche in relazione a possibili correlazioni con gli esami anamnestici della popolazione sottoposta agli esami ematici, ma, dalla prima analisi statistica, confermano fenomeni di accumulo delle sostanze in esame nei pazienti esposti con una significatività di p<0.05.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con legge n. 91 del 1° aprile 1999 è stato istituito il Centro nazionale trapianti, il quale ha la propria sede in Roma, presso l'Istituto superiore di sanità;
   al suddetto Centro è stato affidato il coordinamento nazionale dell'attività di donazione, prelievo e trapianto di organi, tessuti e cellule. In particolare:
    il controllo, attraverso il sistema informativo delle donazioni, dei trapianti e delle liste di attesa;
    la definizione di linee guida e dei protocolli operativi;
    l'assegnazione degli organi per i casi di urgenza riferiti al bacino nazionale;
    la definizione dei parametri per la verifica della qualità e del risultato delle strutture per i trapianti;
    la promozione e il coordinamento dei rapporti con le istituzioni estere del settore;
   a questi compiti, la legge istitutiva aggiunge la collaborazione alla promozione dell'informazione sulle attività di donazione, prelievo e trapianti di organi tessuti e cellule, la gestione del sistema informativo e, più in generale, un ruolo effettivo nelle funzioni organizzative e gestionali del sistema trapianti;
   sino a circa due anni fa, la gestione dei donatori di organi e il conseguente trapianto era affidata a tre macroaree denominate: a) CIR-CIR-NIT, riguardante le regioni del Nord Italia; b) CIR-AIRT quelle del Centro Italia; c) CIR-OCST le regioni del Sud (Lazio compreso);
   ad oggi, la gestione dell'allocazione degli organi è stata presa direttamente in carico dal Centro nazionale trapianti con la creazione del Centro nazionale trapianti operativo;
   a quanto è dato sapere, in questa struttura, la cui responsabile è una dirigente infermieristica, sono impiegati cinque medici e cinque infermieri;
   attraverso la presenza di queste operatori, che di fatto rispondono alle chiamate telefoniche, le strutture locali segnalano la presenza dei possibili donatori di organi;
   l’iter per la donazione dell'organo, avviato tramite la suddetta segnalazione telefonica, si snoda attraverso l'accertamento della morte del donatore sino alla decisione di donare o meno gli organi (sia per l'espressione di volontà alla donazione sia per la idoneità o meno alla donazione stessa);
   una volta ritenuti idonei alla donazione sia il soggetto e che i relativi organi, il Centro nazionale trapianti operativo gestisce la distribuzione (allocazione) degli organi secondo precisi algoritmi e graduatorie di gravità ben definite. Quindi, a quanto è dato sapere, 10 persone, svolgendo turni per la copertura delle 24h, avviano un ulteriore procedimento per l'allocazione definitiva dell'organo o degli organi;
   l'attuale ubicazione del Centro nazionale trapianti operativo si trova all'interno dell'edificio dell'Istituto superiore di sanità di via Giano della Bella, n. 3°, in Roma, e precisamente in due stanze: in una sono presenti cinque postazioni dotate di computer che vengono utilizzate per lavori scientifici ed elaborazione dei dati; mentre nell'altra sono allestite le postazioni computerizzate e telefoniche per la gestione dell'attività di allocazione;
   a quanto consta all'interrogante, durante il giorno sono presenti, in turnazione, 2 infermieri e 2 medici, mentre la notte è presente un solo infermiere con reperibilità di un medico;
   a quanto è dato sapere, è stata recentemente avviata la costruzione – oggi in fase di ultimazione – di una struttura in muratura nell'area del parcheggio dell'Istituto superiore di sanità dove sarà trasferito il Centro nazionale trapianti operativo;
   sempre a quanto è dato sapere, tale struttura – ricca di rifiniture di pregio e curiose utilità (quali ad esempio una serra) – è costatata una cospicua somma –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   con quali fondi tale costruzione sia stata finanziata, e quali siano criteri seguiti per la sua progettazione e realizzazione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di verificare l'opportunità di impiegare in tal modo ingenti risorse pubbliche, ben potendo le medesime essere destinate a specifiche attività del Centro trapianti, ovvero all'implementazione dell'organico. (4-13922)

  Risposta. — La struttura ed il funzionamento del Centro nazionale trapianti sono regolati dall'articolo 8, comma 6, della legge 1 aprile 1999, n. 91. Oltre a funzioni di carattere organizzativo, tale legge affida al Centro nazionale trapianti anche funzioni di carattere operativo.
  Rientrano tra queste ultime l'assegnazione degli organi nei casi relativi alle urgenze, ai programmi definiti a livello nazionale e per i tipi di trapianto per i quali il bacino di utenza minimo corrisponde al territorio nazionale, nonché il controllo dello scambio di organi con gli altri Stati membri e con i paesi terzi.
  Inoltre, con il recepimento della direttiva europea 2010/53/UE relativa alle norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti, il Centro nazionale trapianti ha assunto anche la funzione di definire e gestire i protocolli operativi per l'assegnazione ad altre Regioni degli organi non utilizzati nell'ambito della Regione di provenienza.
  Dal 2000 sino al 2013 il Centro nazionale trapianti ha demandato la gestione delle funzioni operative ai centri interregionali, mantenendone peraltro la responsabilità rispetto alle istituzioni ed alla rete.
  All'epoca, la scelta venne condivisa da tutta la rete per diversi fattori: il primo dovuto al rispetto della storia di ciascuna aggregazione interregionale che si era formata attraverso complessi accordi sottoscritti tra le singole regioni aggregate; il secondo dovuto al fatto che i Centri interregionali avevano già un nucleo e una struttura operativa in grado di gestire programmi sovraregionali; non ultimo, il fatto che al Centro nazionale trapianti non vi erano le condizioni logistiche, strutturali, finanziarie, nonché il personale con il necessario «know-how» per attivare un coordinamento operativo nazionale.
  Nel 2011, a seguito di una rilettura della rete trapiantologica e a seguito di una generale razionalizzazione delle strutture e delle funzioni, si è avviato, in accordo con il Ministero della salute e con le regioni, un processo di accentramento delle funzioni precedentemente controllate e monitorate dal Centro nazionale trapianti ma operativamente delegate.
  Oggi, la rete nazionale trapianti, con l'accordo del Ministero e delle regioni, ha posto in essere le condizioni che consentono al Centro nazionale trapianti di esercitare le funzioni previste dalla legge n. 91/1999, integrate dai programmi di trapianto a carattere nazionale e internazionale che negli anni sono stati strutturati e attivati.
  Attualmente il centro nazionale operativo coordina i seguenti programmi:
   programma urgenze (cuore, fegato, polmone) e delle relative restituzioni;
   programma pediatrico (tutti gli organi);
   programma «split» (fegato);
   programma iperimmuni (rene);
   programma «cross over» (rene);
   trapianto da donatore vivente (fegato, rene);
   trapianto di intestino e multi viscerale;
   IGE – « Italian gate of europe» (attività di scambio di organi con altre nazioni);
   ricezione delle segnalazioni e gestione degli eventi e reazioni avverse gravi nei processi di donazione e trapianto di organi, tessuti e cellule.

  Nel riordino della rete, quindi, il Centro nazionale trapianti si pone come interlocutore operativo a livello nazionale, garantendo h. 24 il supporto necessario ai fini della gestione operativa dei programmi nazionali. La centralizzazione gestionale delle allocazioni, unitamente a quella delle liste di attesa per i programmi nazionali, ha dato ottimi risultati, provati dai dati, in termini di:
   fluidità e velocizzazione del percorso di allocazione, attraverso la standardizzazione dei processi;
   qualità e sicurezza dei processi, fornendo un'interpretazione univoca delle regole che attualmente disciplinano tali programmi, con un conseguente aumento dell'efficacia della loro applicazione;
   controllo in tempo reale delle donazioni, dei flussi allocativi e dell'esito dei processi;
   razionalizzazione dei trasporti di « équipe» e di organi, con una conseguente diminuzione dei costi per le regioni;
   aumento del numero dei trapianti attraverso l'ampliamento della platea di offerta.

  In un'ottica di razionalizzazione del sistema che tenga conto degli standard di qualità e di sicurezza, si può prendere atto dell'utilità che detto riordino ha determinato.
  Come ricordato poc'anzi, tra le ragioni che non hanno consentito al Centro nazionale trapianti di avviare, sin dalla sua costituzione, l'operatività diretta di dette funzioni, si annoverano la mancanza di personale qualificato da dedicare alle attività di coordinamento, nonché di strutture adeguate allo svolgimento di dette attività.
  Il coordinamento è stato avviato grazie all'ausilio e alla collaborazione del policlinico Umberto I di Roma, il quale per anni è stato sede del coordinamento interregionale OCST (Organizzazione centro sud trapianti) e sede dell’«Italian gate for europe», il coordinamento delle allocazioni di organi e tessuti da e per l'Europa.
  La struttura e gli spazi sono stati messi a disposizione dall'Istituto superiore di sanità (ISS). Lo stesso Istituto, infatti, avvisato della necessità di ulteriori spazi per lo svolgimento delle funzioni del centro nazionale operativo, nel 2012 ha avviato una ricognizione degli spazi a disposizione in grado di garantire lo svolgimento di dette attività, individuando, tra questi, un edificio staccato dagli altri complessi dell'ISS che ne consentisse una gestione autonoma e separata.
  Infatti, le funzioni svolte dal Centro nazionale trapianti hanno natura di carattere assistenziale e come tali necessitano di una operatività h. 24 e in tutti i giorni dell'anno, quando invece l'ISS svolge funzioni di ricerca e studio che non richiedono le medesime caratteristiche.
  Nel 2013 la direzione generale dell'ISS convocava la conferenza dei servizi per la ristrutturazione dell'edificio, facendo proprie, di fatto, le esigenze del Centro nazionale trapianti e avviava le procedure per la ristrutturazione dello stesso.
  La scelta di dedicare a dette funzioni un edificio autonomo, infatti, garantisce, per una operatività h. 24, spazi adeguati e la possibilità di operare all'interno di un edificio, contenuto nelle dimensioni, senza la necessità che edifici più grandi rimangano aperti in orari e giorni dell'anno in cui l'ISS non svolge attività.
  Inoltre, l'autonomia dell'edificio consente cablaggi e dotazioni di rete idonee a garantire in sicurezza l'operatività costante del sistema informativo trapianti, strumento indispensabile al funzionamento della rete trapiantologica.
  L'edificio è stato progettato e ristrutturato tenendo conto delle normative vigenti in tema di luoghi di lavoro e di risparmio energetico, al fine di un contenimento successivo delle spese di gestione e di manutenzione.
  Le gare di appalto per la ristrutturazione e per i servizi accessori, sono state condotte secondo le regole del codice degli appalti, determinando un contenimento dei costi rispetto ai relativi capitolati tecnici di appalto.
  La ristrutturazione dell'edificio è stata realizzata con i fondi destinati al Centro nazionale trapianti e, in particolare, con residui accumulati negli esercizi finanziari 2010 e 2011.
  Per quanto riguarda il costo dell'opera, si precisa che esso ammonta complessivamente a circa 826.000,00 euro, comprensivo delle spese sostenute per la progettazione dell'intervento edilizio (riguardante la demolizione della struttura preesistente e la ricostruzione del nuovo edificio da adibire a sede del Centro nazionale trapianti operativo), delle spese derivanti dal contratto di appalto (avente ad oggetto l'esecuzione dei lavori, le prestazioni di mano d'opera, le forniture di materiali e le opere murarie ed impiantistiche occorrenti per la realizzazione delle opere), delle spese relative alla connessione della nuova struttura alla rete dati/fonia dell'Istituto superiore di sanità (cablaggio strutturato, armadi di rete, componenti degli armadi di rete, ampliamento della centrale telefonica), dei costi relativi agli infissi, ai corpi illuminanti, agli arredi e ai mobili di ufficio.
  Peraltro, alcuni interventi effettuati nell'ambito dei lavori di costruzione del nuovo edificio (aggiornamento/ampliamento delle centrali telefoniche, interventi per il collegamento alla rete dati/fonia dell'ISS, implementazione delle componenti attive degli armadi di rete), hanno determinato un miglioramento e potenziamento delle infrastrutture tecnologiche dell'ISS, a beneficio dell'intero Istituto.
  La nuova struttura, di circa 200 metri quadri, consta di un ampio spazio centrale dedicato all'attività del coordinamento operativo: si tratta di un ambiente «open space» con 10 postazioni di lavoro, munite ciascuna di computer e apparecchiature telefoniche. Tale ambiente, delimitato su tre lati da una libreria/archivio a giorno, è circondato su due lati da un piano rialzato, sul quale sono ubicati:
   gli ambienti complementari a garantire la piena funzionalità del centro operativo, ovvero tre uffici singoli, dotati ciascuno di computer e telefono, e una sala riunioni;
   la zona servizi, comprendente un bagno e un bagno per disabili, con antibagno comune, una zona ripostiglio, il locale armadio di rete e il locale tecnico.

  Su un lato dell'edificio è presente una parete vetrata costituente la serra solare, soluzione adottata in quanto in grado di contribuire in maniera gratuita e sostanziale al riscaldamento invernale, oltre a garantire un'abbondante illuminazione naturale.
  Si precisa, inoltre, che l'avvio del processo di razionalizzazione della rete nazionale trapianti e la volontà delle regioni di avviare quanto prima il nuovo modello operativo, non hanno consentito al Centro nazionale trapianti di attendere l'ultimazione delle procedure di ristrutturazione dell'edificio, per cui su sollecitazione del centro stesso, l'ISS ha messo a disposizione alcune stanze già assegnate alle funzioni di un altro dipartimento in via temporanea e provvisoria.
  In riferimento alle risorse per l'organico, si ricorda che la legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 582, legge 28 dicembre 2015, n. 208), ha stabilito che i fondi precedentemente stanziati per le funzioni svolte dai coordinamenti interregionali, nonché quelli stanziati alle regioni per le attività concernenti la sicurezza per i trapianti vengano destinate al Centro nazionale trapianti per il coordinamento delle attività della rete trapiantologica.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio, il 27 aprile 2016, da parte del Presidente del Consiglio di «un Cipe straordinario che stanzierà 2,5 miliardi di euro per la ricerca e un miliardo di euro per cultura» sembra essere la risposta del Governo a nuovi investimenti nell'ambito della ricerca biomedica e scientifica;
   in tal senso, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) rappresentano le istituzioni fondamentali del Ministero della salute per pianificare e condurre la ricerca biomedica in campo nazionale. Si tratta di ospedali di eccellenza che perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialità o svolgono altre attività aventi i caratteri di eccellenza;
   in sostanza, questi istituti rappresentano la punta di diamante della ricerca clinico-traslazionale per la prevenzione, diagnosi e cura di una serie di patologie che hanno elevata incidenza e prevalenza nella popolazione italiana, come, ad esempio, le patologie cardiovascolari, quelle neurologiche, quelle muscolo-scheletriche ed i tumori. In Italia ci sono in tutto 49 Irccs;
   il compito di promuovere e coordinare l'attività scientifica negli Irccs in accordo con le linee guida del Ministero è affidato ai «direttori scientifici». Si tratta di posizioni di grande prestigio scientifico ricoperte da ricercatori di fama internazionale, autori di pubblicazioni e dotati di grande esperienza nel campo della conduzione e della amministrazione della ricerca scientifica;
   l'identificazione di direttori scientifici di alta qualità scientifica e di sapiente capacità amministrativa della scienza ha il potere di rilanciare la ricerca scientifica degli istituti pubblici (e privati), di incentivarne la produttività scientifica, e, attraverso una coerente abilità di identificare e sostenere le «eccellenze» istituzionali, di attivarne la dimensione internazionale, consentendo la diffusione e l'implementazione di nuove scoperte scientifiche nel campo della prevenzione, diagnosi e terapia di malattie ad alto impatto sociale. Sotto la direzione scientifica di grandi direttori scientifici, la ricerca biomedica italiana ha ottenuto risultati di rilevanza nazionale ed internazionale;
   recentemente, il Ministero della salute, ha indetto uno serie di bandi per la identificazione di «direttori scientifici» per alcuni Irccs nazionali. Attraverso specifici criteri di valutazione il Ministero della salute ha disegnato il profilo dei «direttori scientifici» definendone: a) la qualità dell'attività scientifica (calcolo dell’impact factor, page rank, citation analysis, posizioni di preminenza nel novero degli autori, continuità dell'attività scientifica, brevetti e altro); b) la capacità manageriale (direzione di istituti di ricerca, Irccs, Cnr, università, privati e altro nazionali o internazionali, per un minimo di cinque anni; organizzazione e mantenimento di laboratori e/o banche di materiale biologico e altro); c) la capacità di organizzazione della ricerca e di gruppi produttivi nazionali ed esteri ed infine le competenze specifiche;
   i criteri per la nomina dei «direttori scientifici» vengono valutati, sempre secondo il bando ministeriale, da una commissione composta da tre esperti della materia, anche stranieri, nella quale i membri istituzionali (direttore generale della ricerca del Ministero della salute e rappresentante della regione di appartenenza dell'Irccs considerate) partecipano solo come garanti delle procedure;
   i membri delle commissioni per definizione stessa del bando del Ministero della salute sono «...tre rappresentanti della comunità scientifica, anche di nazionalità straniera, di indiscussa fama internazionale nella disciplina, individuati tenendo conto dell'equilibrio di genere, tra i quali il Ministro nomina il Presidente»;
   dai dati pubblicati dal sito del Ministero della salute, per alcuni Irccs, come quello della Fondazione Istituto nazionale tumori di Milano (2014) e l'Istituto neurologico Besta sempre di Milano (2015), le commissioni sono state nominate in maniera conforme al bando. Per la composizione delle commissioni sono stati identificati ricercatori italiani di grande esperienza e produttività scientifica e quindi anche in grado di valutare e selezionare colleghi di altrettanta valenza scientifica;
   tuttavia, per altri Irccs, anche molto rilevanti in campo nazionale, come per l’«Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna» (Istituto leader nazionale per la ricerca clinica nel campo delle patologie muscolo scheletriche) (2016) e per la «Fondazione Irccs Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano» (2016), il Ministero della salute sembra all'interrogante aver utilizzato criteri molto diversi; mentre, per altri ancora, il dicastero, a quanto risulta all'interrogante, non ha indicato la composizione delle commissioni valutative, come ad esempio per l'Istituto nazionale tumori «Regina Elena» di Roma (il più grande Irccs pubblico italiano) (2016), l'Istituto di tecnologie avanzate e modelli assistenziali di Reggio Emilia (2015), l'Istituto oncologico Veneto di Padova (2014) e il «Centro neurolesi Bonino Pulejo di Messina» (2015);
   si deve, infine, aggiungere che, oltre alla qualità scientifica dei membri delle commissioni, si dovrà tener conto, ad avviso dell'interrogante, di eventuali potenziali conflitti di interesse tra membri delle commissioni e candidati che si presentano ai diversi concorsi (cioè di membri delle commissioni che hanno lavorato e pubblicato insieme ai candidati alle posizioni in oggetto e/o che lavorano presso gli stessi dipartimenti/unità dei candidati stessi). Tali casi si potrebbero certamente verificare dato il livello di qualificazione di commissari ed aspiranti e ciò potrebbe risultare fortemente limitante rispetto alla validità dei giudizi espressi dai commissari, in quanto si ridurrebbe la possibilità di libero giudizio e oggettiva valutazione di tutti i candidati secondo i criteri enunciati proprio dal Ministero –:
   se il Ministro sia a conoscenza di incongruità nella costituzione delle commissioni di valutazione in diversi Ircss nazionali e se sia a conoscenza di eventuali conflitti di interesse tra membri delle commissioni e candidati, e ai concorsi;
   per quali motivi per determinati istituti non si abbia la notizia della composizione delle commissioni;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire l'oggettiva valutazione dei candidati secondo reali criteri meritocratici e quindi l'eccellenza nella qualità scientifica dei direttori identificati o che saranno identificati.
   (4-13936)

  Risposta. — In merito a quanto delineato nell'interrogazione parlamentare in esame, si precisa che la normativa di riferimento per la composizione delle commissioni per la valutazione dei direttori scientifici degli enti in questione è costituita dal «Regolamento recante disposizioni in materia di direttori scientifici degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – Irccs», emanato con decreto del Presidente della Repubblica 26 febbraio 2007, n. 42.
  L'articolo 1, comma 4, di detto regolamento dispone che la commissione è costituita con apposito provvedimento del Ministro della salute ed è composta dal direttore generale della ricerca di questo Ministero, da un esperto in rappresentanza della regione interessata, e da tre rappresentanti della comunità scientifica di indiscussa fama internazionale nella disciplina di volta in volta considerata, anche di nazionalità straniera, tra i quali il Ministro individua il presidente.
  Nelle due procedure di selezione in esame, i rappresentanti della comunità scientifica sono stati scelti tra personalità del mondo accademico e scientifico esperti nella disciplina dell'ortopedia e della traumatologia per ciò che riguarda il Rizzoli di Bologna, e nella disciplina della cardiologia, pediatria e chirurgia toracica per quanto riguarda l'ospedale Maggiore di Milano, il quale ha ambiti di riconoscimento più ampi, attinenti alla «Urgenza ed emergenza nell'adulto e nel bambino» e alla «Riparazione e sostituzione di cellule, organi e tessuti»: pertanto, non si ravvisano criteri di diversità nella composizione delle commissioni stesse.
  In merito alla composizione delle commissioni per la selezione dei candidati alla direzione scientifica di altri Irccs, quali l'Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, l'Istituto di tecnologie avanzate e modelli assistenziali di Reggio Emilia, l'Istituto oncologico veneto di Padova, il Centro neurolesi Bonino Pulejo di Messina, si fa presente che i decreti di nomina delle commissioni citate, i cui componenti sono stati individuati utilizzando i medesimi criteri, sono stati pubblicati nel corso della procedura nel portale di questo Ministero, nel rispetto di quanto previsto nei bandi.
  Nella composizione delle commissioni per la selezione dei candidati alla direzione scientifica degli Irccs, si deve tener conto di eventuali potenziali conflitti di interesse tra membri delle commissioni e candidati, nella considerazione che gli stessi possono aver prodotto insieme lavori scientifici o possono lavorare nelle medesime strutture.
  Al riguardo, le ipotesi di conflitto di interesse sono tassativamente delineate dalla normativa e non sono state rinvenute nei casi in questione.
  Occorre osservare che, trattandosi di eminenti scienziati di una determinata disciplina che valutano scienziati di pari valore, non è infrequente che vi siano stati rapporti di collaborazione professionale.
  In un solo caso un componente, di comune accordo con questo Ministero, ha ritenuto opportuno chiedere la sostituzione, in quanto egli presta la propria opera professionale in una struttura diretta da uno dei candidati.
  Si sottolinea che anche in questo caso si è trattato di una valutazione di opportunità, e non di una fattispecie di incompatibilità prevista dalla disciplina normativa.
  È opportuno ricordare che il giudizio sui singoli candidati è espressione della commissione nella sua collegialità, e che i provvedimenti di nomina del direttore scientifico sono atti di alta amministrazione, in quanto adottati dal Ministro della salute sentito il parere del presidente della regione interessata.
  Da ultimo, quanto alla richiesta circa le iniziative da adottare al fine di garantire l'oggettiva valutazione dei candidati secondo reali criteri meritocratici, occorre evidenziare che i candidati scelti nel corso della corrente legislatura stanno dimostrando ottime capacità scientifiche e manageriali, a riprova della accurata selezione operata.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è un suono continuo, costante (esempio fischi, ronzii, fruscii, crepitii, soffi e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa. Questa patologia non è semplicemente un «disturbo molto fastidioso», come si usa spesso definirlo, ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia oltre il 10 per cento della popolazione;
   l'articolo 32 della Costituzione precisa che la salute del cittadino deve essere tutelata, ma nulla si sta facendo concretamente in questa direzione;
   vivere per mesi, anni, decenni, sentendo ininterrottamente nelle orecchie e nella testa rumori, anche multipli, che definire fastidiosi è riduttivo, è un vero e proprio stillicidio, che provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del ritmo sonno-veglia, del livello di attenzione e concentrazione, della vita di relazione. Questi fattori portano spesso ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici, quali alla morte per suicidio;
   la A.I.T.onlus (Associazione italiana tinnitus-acufene) si compone, ad oggi, di circa 2.000 iscritti, e i portatori di questo disturbo sono oltre i 5 milioni in tutta Italia. L'associazione riceve numerose telefonate da parte di persone che vengono colpite da questa malattia; numerosi sono anche gli spazi di discussione che si stanno creando su internet nei quali si cerca aiuto e si auspica che qualcosa o qualcuno intervenga per portare avanti la ricerca scientifica che a tutt'oggi è nulla –:
   quali iniziative di intervento concreto il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché si dia avvio a studi e ricerche su questa patologia al fine di assistere le persone affette da questo problema e dar loro speranza di cura. (4-13610)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame sulla base degli elementi acquisiti presso l'istituto superiore di sanità.
  L'acufene è un disturbo otologico che consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o entrambe le orecchie o nella testa.
  Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico. Nei casi più gravi, può arrivare a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha infatti chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.
  L'acufene ha un'alta incidenza. Studi condotti negli ultimi due lustri in diversi Paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l'Italia, una serie di studi dimostrerebbe come nel nostro Paese vi sia una prevalenza analoga, pari a circa il 15 per cento della popolazione.
  I centri di ricerca che studiano le basi biologiche dell'acufene hanno prodotto negli ultimi anni risultati rilevanti per la comprensione e la potenziale cura di questa patologia anche mediante tecniche innovative, come quelle del «neuroimaging». Ad esempio, è stato dimostrato che alterazioni dell'attivazione o della connessione tra diverse aree del sistema nervoso centrale, possano essere coinvolte nell'insorgenza di questa patologia, o possano essere usati come « marker» di efficacia di specifici trattamenti.
  Sebbene le cause dell'acufene siano ancora poco chiare, lo stile di vita può influenzare l'insorgenza di questa patologia. Infatti, il fumo, l'ipertensione, l'indice di massa corporea e l'ipercolesterolemia sono considerati come potenziali fattori di rischio aumentando la vulnerabilità alla patologia. È comunque importante sottolineare che gli aspetti psicologici risultino determinanti nell'insorgenza dell'acufene.
  Con lo scopo di valutare le iniziative da adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di finanziare la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, si potrà effettuare un attento studio dello stato dell'arte delle conoscenze di base e cliniche ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l'esame delle scoperte scientifiche più recenti.
  Potranno essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici delle divisione malattie infettive del presidio ospedaliero Trinità di Cagliari hanno inviato una missiva al direttore della divisione con la quale si palesa una situazione di una gravità inaudita relativa ai periodi dei periodici sbarchi di migranti richiedenti asilo che hanno fatto aumentare notevolmente i ricoveri ospedalieri degli stessi presso la divisione soprattutto di soggetti affetti da Tbc polmonare bacillifera con forme sostenute spesso da micobatteri multiresistenti;
   nella stessa comunicazione, a quanto risulta all'interrogante, si dichiara: la presenza di frequenti episodi di pazienti, anche con TBC bacillifera, che si sono allontanati dal reparto e non vi hanno fatto più ritorno. Tali episodi sono stati sempre segnalati alla prefettura ed alle forze dell'ordine;
   viene altresì denunciata la difficoltà nel poter garantire l'adeguato isolamento dei pazienti per mancanza di un numero di stanze di isolamento congruo alle nuove esigenze e per la presenza di pazienti ricoverati per patologie internistiche non infettive (ricoveri impropri);
   viene altresì denunciata l'assenza di un piano di gestione nei centri di accoglienza dei pazienti con sola scabbia che si ripercuote sul reparto, determinando ricoveri che occupano posti di degenza per eseguire una terapia che deve essere fatta a domicilio;
   viene denunciato inoltre un incremento dei casi di TBc polmonare sostenute da ceppi resistenti (MDR e XDR) –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa gravissima situazione;
   se intenda promuovere, con ogni strumento disponibile le verifiche di competenza in relazione alla gravissima situazione denunciata;
   se non intenda dichiarare tempestivamente lo stato di emergenza e procedere alla nomina di un commissario governativo, considerato che si è dinanzi ad un rischio, gravissimo per l'igiene pubblica con conseguenze che possono essere di una gravità inaudita;
   quali ulteriori iniziative intenda adottare con somma urgenza per fronteggiare questa drammatica situazione. (4-13767)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Grazie al funzionamento del sistema routinario di sorveglianza delle malattie infettive e del sistema di sorveglianza sindromica, attivato fin dal 2011, si può affermare che in Italia, nonostante i massicci flussi migratori irregolari, non sono stati evidenziati aumenti dell'incidenza e della prevalenza di malattie infettive che richiedono interventi di sanità pubblica.
  Si precisa che la tubercolosi (TB) è una malattia endemica nel nostro Paese, anche se è una patologia relativamente rara.
  L'incidenza da alcuni anni è stata inferiore a 10 casi di malattia/100.000 abitanti.
  In Sardegna, i casi di tubercolosi notificati nel 2014 sono stati in totale 90, di cui 28 in pazienti di nazionalità estera; nel 2015 sono stati in totale 81, di cui 19 in pazienti di nazionalità estera.
  I dati del 2016 sono in fase di elaborazione e la Regione li fornirà non appena possibile.
  La tubercolosi multiresistente è in lento ma progressivo aumento, e la proporzione di persone che completano il trattamento antitubercolare è inferiore agli standard definiti dall'organizzazione mondiale della sanità.
  È importante considerare anche il periodo di tempo trascorso dalla data di distacco dal paese di origine, oltre al grado di endemia della tubercolosi nel paese di provenienza: infatti, il rischio maggiore di sviluppare la tubercolosi si verifica durante i primi due anni dalla data di immigrazione.
  I dati del sistema di notifica delle malattie trasmissibili indicano come l'insorgenza della malattia, tra i cittadini non italiani, si verifichi tra il primo ed il secondo anno dall'arrivo in Italia, a testimonianza quindi del riacutizzarsi di infezioni pregresse, non attive al momento dell'arrivo in Italia.
  Relativamente alle problematiche riguardo alla gestione dei casi di tubercolosi presso il presidio ospedaliero «santissima trinità» di Cagliari, l'assessorato dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale della regione Sardegna ha fornito al Ministero della salute i seguenti elementi di risposta.
  L'assessorato regionale ha acquisito la relazione del direttore sanitario del presidio ospedaliero «SS. Trinità» e la relazione del direttore del dipartimento di prevenzione.
  La relazione del direttore sanitario fornisce informazioni sulla situazione strutturale (numero dei posti letto, requisiti di accreditamento) e organizzativa (personale medico, infermieristico, ecc.) del reparto di malattie infettive e sull'attività di ricovero, complessiva e per tubercolosi/sospetta tubercolosi, effettuata negli anni 2015 e 2016, nel medesimo reparto.
  I ricoveri per tubercolosi/sospetta tubercolosi sono attuati anche nel reparto di pneumologia e la relazione precisa il dato di attività per gli anni 2015 e 2016; inoltre, riporta il numero di ricoveri per tubercolosi/sospetta tubercolosi di pazienti migranti/extracomunitari sul totale dei ricoveri per tubercolosi/sospetta tubercolosi.
  Presso il presidio, ospedaliero «Santissima Trinità» di Cagliari, nel 2015, sono stati 26 i pazienti affetti da tubercolosi e confermati in laboratorio. Nel 2016, fino al 13 luglio, sono stati 26 i ricoveri per tubercolosi/sospetta tubercolosi, di cui 12 pazienti italiani, 14 migranti/extracomunitari, e 15 casi su 26 confermati in laboratorio.
  Presso l'unità operativa di pneumologia, nel 2015, sono stati ricoverati 14 pazienti, mentre al 13 luglio 2016 sono 7 i pazienti ricoverati.
  Si sottolinea che il tasso di occupazione complessivo dei posti letto del reparto di malattie infettive del presidio ospedaliero «Santissima Trinità» è stato pari al 78 per cento nel 2015 e all'80 per cento nel 2016, con una degenza media pari a 11,72 giorni nel 2015 e 12,76 giorni nel 2016.
  Pertanto, si ritiene che il reparto riesca a garantire il ricovero a tutti i pazienti con tubercolosi/sospetta tubercolosi.
  La relazione del direttore del dipartimento di prevenzione illustra il protocollo operativo seguito dalla ASL n. 8 di Cagliari per gestire e monitorare la tubercolosi e il ruolo dei numerosi servizi, territoriali e ospedalieri, coinvolti nelle attività di prevenzione, diagnosi e cura della malattia. Il protocollo è applicato anche alla popolazione migrante.
  Nella relazione viene evidenziato che esiste un problema di « compliance» dei migranti negli accertamenti e nelle cure, considerate le difficoltà oggettive di tipo interculturale e linguistico. Il problema è all'attenzione della regione e dell'azienda.
  Il «Piano regionale per l'accoglienza dei flussi migratori non programmati» (deliberazione della giunta regionale n. 25/3 del 3 maggio 2016) prevede azioni di tipo sanitario e sociale dirette all'integrazione del migrante, da svolgere in collaborazione con il sistema dell'accoglienza. Tali azioni concorreranno a migliorare la « compliance» e la gestione complessiva dei casi di tubercolosi.
  Inoltre, i controlli sanitari effettuati all'atto dello sbarco si inseriscono nel contesto organizzativo previsto e coordinato dalla prefettura di Cagliari per la gestione della fase di primo soccorso e assistenza ai migranti.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GIANLUCA PINI, MOLTENI, FEDRIGA, GUIDESI e GIANCARLO GIORGETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto dichiarato dal procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, il rischio che le carceri del nostro Paese diventino luoghi di radicalizzazione dei giovani musulmani reclusi sarebbe molto alto;
   secondo i dati in possesso del procuratore nazionale antimafia, la metà dei reclusi nei penitenziari minorili del nostro Paese sarebbe di religione musulmana;
   nelle celle delle carceri minorili sarebbero detenuti non meno di cinquecento ragazzi musulmani cui viene consentito di navigare su internet;
   è altamente verosimile che nel corso delle proprie navigazioni in internet, i giovani musulmani reclusi si imbattano in siti dediti alla propaganda jihadista, vettore potentissimo di radicalizzazione;
   esiste il rischio che una volta restituiti alla società, questi giovani completino il percorso di radicalizzazione accettando la prospettiva della militanza in organizzazioni come quella dello Stato Islamico o di al Qaeda, trasformando se stessi in una grave minaccia all'ordine pubblico ed alla sicurezza nazionale –:
   se risponda al vero che i giovani reclusi nelle carceri minorili abbiano diritto a fruire di internet, per quante ore al giorno ed in quali condizioni;
   se il Governo ritenga o meno pericoloso per i giovani minori reclusi l'accesso alla rete;
   quali siano gli orientamenti del Governo circa la capacità di radicalizzazione di cui i siti dediti alla predicazione jihadista dispongono;
   se nelle carceri siano stati predisposti sistemi di sorveglianza ed ascolto sulle comunicazioni via internet dei minori reclusi, con particolare attenzione a quelli di religione musulmana. (4-12830)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste nell'atto di sindacato ispettivo, vorrei, preliminarmente, evidenziare che abbiamo avviato un'intensa attività nelle carceri con lo scopo di analizzare, neutralizzare e contrastare quella zona grigia di proselitismo dei terroristi di matrice jihadista che fa presa soprattutto sulla seconda generazione di immigrati. È questa la fascia che, in altri paesi, ha subito maggiormente l'influenza delle predicazioni estremiste e che, per questo, è più esposta al rischio di radicalizzazione.
  Il circuito penitenziario consente, difatti, di acquisire notizie sul rischio di radicalizzazione con una certa facilità e, pertanto, è indispensabile assicurare la condivisione delle informazioni acquisite attraverso attività di monitoraggio.
  Presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stato, quindi, istituito un apposito servizio per il coordinamento delle informazioni che giungono dagli istituti penitenziari e per il collegamento con le altre forze di polizia e l'accesso alle banche dati, nazionali ed estere.
  Il sistema informatico messo a punto è, di conseguenza, in grado di alimentare il sistema informativo di Schengen.
  Sono stati, altresì, apprestati meccanismi in grado di consentire una rapida individuazione ed identificazione della nazionalità dei detenuti stranieri. In quest'ottica, il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno hanno sottoscritto un protocollo per la costante condivisione dei dati e delle informazioni tra le due amministrazioni.
  È stata, inoltre, rafforzata la collaborazione con il comitato di analisi strategica antiterrorismo, con ripercussioni sulla sicurezza nazionale: infatti, i soggetti ritenuti «pericolosi» sono segnalati e al momento della scarcerazione sono espulsi o sottoposti a specifiche attività di prevenzione da parte delle altre forze di polizia. In tale ambito di intervento, è a disposizione uno strumento tecnologico che consente l'accesso ai nominativi dei soggetti ritenuti pericolosi e segnalati, sotto il profilo terroristico, da 80 paesi del mondo. Attraverso questo programma è possibile, ad esempio, rilevare se un soggetto, ristretto per reati comuni, sia stato segnalato, invece, da un altro paese come pericoloso dal punto di vista terroristico.
  Un'altra importante collaborazione istituzionale è stata intessuta con la conferenza dei rettori delle università italiane: nell'ambito dell'accordo quadro sottoscritto nei mesi scorsi, si intende favorire lo scambio di esperienze di analisi e ricerca in atto in ambito internazionale e lo sviluppo di azioni comuni, anche al fine dell'evoluzione progressiva delle tecniche di prevenzione della radicalizzazione e del trattamento di soggetti già radicalizzati.
  A livello europeo, il Ministero della giustizia condivide dati, esperienze e «best practices» partecipando al Progetto denominato RAN (Radicalisation Awareness Network), istituito dalla Commissione europea allo scopo di creare una rete tra esperti e operatori coinvolti nel contrasto al fenomeno della radicalizzazione violenta.
  Nel medesimo contesto, inoltre, il ministero ha presentato alla Commissione europea il progetto RASMORAD P&P (Raising Awaress and Staff Mobility on Violent Radicalisation in Prison and Probation Services), elaborato da un consorzio al quale il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha partecipato unitamente ad altri nove partners europei e italiani, che è stato ritenuto dalla stessa commissione pertinente e pienamente coerente agli obiettivi di contrasto alla radicalizzazione in ambito penitenziario.
  Sulla base degli elementi emersi dalle descritte attività di monitoraggio, studio e coordinamento anche internazionale, le competenti articolazioni ministeriali hanno apprestato, negli istituti penitenziari, numerose misure organizzative di prevenzione e contrasto.
  La disposizione interna dei detenuti, ad esempio, è funzionale a ridurre i rischi di proselitismo o di pericolosi sodalizi con le altre consorterie criminali.
  I detenuti per reati di terrorismo internazionale sono, difatti, inseriti in un circuito penitenziario che prevede la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta.
  Analoga attenzione viene, in ogni caso, riservata anche ai circuiti comuni, che possono ospitare integralisti di spessore, detenuti per reati minori ed in grado, comunque, di influenzare una ampia schiera di soggetti deboli.
  Per questi motivi, annualmente, il nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria effettua una ricognizione capillare, al fine di rilevare alcuni degli indicatori elaborati a livello europeo per il rischio radicalizzazione: la pratica religiosa, i cambiamenti fisici, la routine quotidiana, l'organizzazione della stanza detentiva, il comportamento con le altre persone ed il commento sugli eventi politici e di attualità.
  I soggetti segnalati dagli istituti penitenziari per aver mostrato, in vario modo, adesione o compiacimento per gli attentati sono stati immediatamente inseriti nel monitoraggio e, nei loro confronti, è stata modificata il tipo di custodia, da «aperta» a «chiusa».
  Per una più completa preparazione degli agenti di polizia penitenziaria ad affrontare realtà così complesse sono stati, inoltre, istituiti specifici corsi di formazione, indirizzati a quanti prestano servizio presso gli istituti penitenziari a maggior rischio di radicalizzazione.
  Nel quadro così delineato, i dati acquisiti attraverso l'attività di ricognizione in corso mostrano che la situazione in Italia non è così allarmante come quella di altri paesi europei.
  Con specifico riguardo alla giustizia minorile a cui si riferiscono gli interroganti, rappresento che da un monitoraggio effettuato dalla competente articolazione ministeriale nel mese di aprile 2016 è risultato che – negli istituti penali per i minorenni – professano la fede islamica 58 detenuti stranieri su 206 e 5 detenuti italiani su 260.
  Inoltre, tra i minori e giovani adulti di fede musulmana presi in carico ai servizi minorili, 153 sono nati in Italia, di cui 16 collocati in comunità, 5 detenuti in istituti penali per i minorenni e 132 seguiti dagli uffici di servizio sociale.
  In carcere è alto il rischio che si diffondano forme di esclusione e isolamento, e su queste condizioni il radicalismo fa leva per trasformare l'isolamento in senso di vendetta e odio contro la società.
  In questa ottica, la tutela della libertà di religione risponde non solo alla necessità di tutelare un diritto fondamentale dei ristretti, ma anche all'esigenza di prevenire fenomeni di radicalizzazione e integralismo violento che possano essere favoriti da sentimenti di frustrazione e discriminazione religiosa.
  Per questo motivo, sono in corso di sottoscrizione protocolli d'intesa con le associazioni religiose a sostegno del diritto al culto, che possa concorrere a favorire, all'interno degli istituti penitenziari, la circolazione di anticorpi in grado di debellare focolai di odio sociale e religioso.
  In particolare, è garantita la possibilità di avvalersi, su richiesta, di un ministro del culto islamico per attività di sostegno spirituale e per la preghiera.
  Questa facoltà non risulta, tuttavia, essere mai stata esercitata dalla popolazione detenuta minorile, atteso che dal primo gennaio 2014 al maggio 2016 nessun imam ha fatto ingresso nei servizi. Diversamente, è stata registrata nel predetto arco temporale la presenza, presso i servizi minorili, di 108 mediatori culturali.
  Venendo all'accesso ad internet da parte dei detenuti nelle strutture minorili, riferisco che – secondo quanto rappresentato dalla competente articolazione ministeriale – i soggetti ristretti presso gli istituti penali per i minorenni, i centri di prima accoglienza e le comunità ministeriali, non hanno accesso al web.
  Tale accesso è consentito, per esclusive finalità di studio e formazione e comunque sotto la supervisione degli operatori penitenziari, solo in poche strutture ove il servizio internet è attivo, ed in particolare presso gli istituti penali per i minorenni di Milano, di Torino, di Pontremoli e presso la comunità ministeriale di Reggio Calabria.
  Risulta, allo stesso modo, controllato l'utilizzo da parte dei detenuti dei personal computers, consegnati solo a fronte di specifici motivi connessi alla formazione e privati di ogni sistema wireless (wifi, bluetooth, etc.) o di utilizzo delle porte Universal Serial Bus.
  Rappresento, altresì, che tutte le strutture penitenziarie minorili e i centri di prima accoglienza si stanno dotando della piattaforma audio/video web «Skype» al precipuo fine di favorire i contatti tra i giovani detenuti e i familiari. Tale accesso avverrà esclusivamente alla presenza degli operatori.
  Con riferimento alla seconda questione posta dagli interroganti in merito all'orientamento del Governo sulle potenzialità di radicalizzazione di cui taluni siti internet dispongono, evidenzio che sono state apprestate numerose misure tese a contrastare il fenomeno, nel pieno rispetto della libertà di espressione e di informazione anche on line.
  La riforma legislativa in materia di terrorismo adottata nell'aprile 2015 ha introdotto la possibilità di azioni efficaci, in grado di contrastare l'utilizzo del web da parte delle organizzazioni terroristiche. In particolare, l'autorità giudiziaria può richiedere ai fornitori di connettività l'inibizione dell'accesso a siti internet o la rimozione di contenuti che vengano utilizzati con finalità di terrorismo.
  Inoltre, è stata introdotta un'aggravante per i reati di istigazione ed apologia, ove vengano perpetrati per via informatica o telematica.
  L'Italia è stato uno dei primi paesi dell'Unione europea a dotarsi di tali misure di contrasto e sta ora svolgendo un ruolo propulsivo, in sede di negoziato della nuova direttiva dell'Unione europea sul terrorismo, affinché anche gli altri paesi dell'Unione li adottino in maniera coordinata ed uniforme.
  Vorrei, altresì, ricordare con soddisfazione l'adozione del codice di condotta sull'illecito incitamento all'odio on line, che abbiamo con forza sollecitato alla Commissione europea. Si tratta di uno strumento innovativo che richiama ad un'azione congiunta le grandi piattaforme di internet, le autorità statuali e le organizzazioni della società civile, in una virtuosa e capillare azione di contrasto a chi semina odio on line.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia ha assunto come obiettivo, sin dal 2014, quello «primario di procedere anche alla razionalizzazione della geografia dei distretti delle corti d'appello e di incidere su ulteriori assetti della originaria geografia giudiziaria, così superando alcuni angusti confini della legge di delega originaria e, nel contempo, ponendosi così le premesse per dare soluzione ai casi problematici che finora non hanno ricevuto adeguata considerazione»;
   con decreto ministeriale del 12 agosto 2015 è stata istituita la Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Come primo obiettivo assegnato all'organismo in questione quello di progettare: «lo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze»;
   in data 21 giugno 2013 la «CEPEJ – European Commission for the Efficiency of Justice – Commissione europea per l'efficienza della giustizia» ha pubblicato le «Linee guida per favorire le condizioni di accesso a un sistema giudiziario di qualità». Nel documento in oggetto si evince come i fattori da considerare preminenti nella definizione delle mappe giudiziarie siano divisi in due categorie: i «fattori chiave» – di primaria importanza – ed i «fattori aggiuntivi» che sono di rilevanza secondaria e che, se utilizzati in aggiunta ai primi, migliorano la completezza e la robustezza della analisi;
   i «fattori chiave» di predetto documento sono individuati in: densità di popolazione; dimensione dell'ufficio giudiziario; flussi di procedimenti e carichi di lavoro; ubicazione geografica; infrastrutture e trasporti. Per quanto invece riguarda i «fattori aggiuntivi» si può tenere conto di: informatizzazione; tecnologie audio/video disponibili e della cultura generale; industrializzazione del territorio; disponibilità di procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR/mediazione); disponibilità di avvocati; opportunità di assunzione di personale e di assegnazione di giudici nel territorio; cooperazione con sistemi e istituzioni esterne come il sistema penitenziario, le procure e la polizia;
   l'Unione regionale delle curie sarde ha ritenuto di interloquire con Governo e Parlamento al fine di scongiurare che la nuova iniziativa di riassetto territoriale della geografia giudiziaria incida sulla esistenza della sezione distaccata della Corte d'appello di Sassari oltre che degli stessi tribunali circondariali del distretto, che hanno già giustamente e positivamente superato indenni la prima fase del riassetto della geografia giudiziaria;
   nello specifico, infatti, a giudizio degli interroganti, nel caso della sezione di corte d'appello di Sassari, sono pienamente riscontrabili sia i cosiddetti «fattori chiave» che quelli «aggiuntivi», con particolare riferimento a:
    1) densità di popolazione: in quanto la sezione della corte d'appello in oggetto soddisfa l'esigenza di giustizia di utenti di oltre 650000 abitanti (ISTAT 2015), al netto dei numerosi flussi turistici che gravitano sul territorio stesso;
    2) dimensioni dell'ufficio giudiziario – flussi di procedimenti e carichi di lavoro: in quanto 1a corte in oggetto, pur classificabile di «piccole dimensioni» (ovvero con un bacino di utenza inferiore al milione di abitanti), presenta dei flussi di procedimenti superiori a talune sezioni autonome di corti di appello (come Trento e Campobasso e sostanzialmente equiparabili a quelli della sede centrale di Cagliari. Oltremodo, in caso di ridefinizione dell'assetto territoriale, il carico di lavoro di Sassari (che ha una media durata di procedimento calcolata in 458 giorni) andrebbe a gravare sulla corte d'appello di Cagliari, che già presenta un grado di performance peggiore (quantificabile in 540 giorni), con prevedibili e nefaste conseguenze per tutto il sistema giudiziario sardo, in termini di durata dei procedimenti, di efficienza del sistema e di amministrazione della giustizia;
    3) ubicazione geografica, infrastrutture e trasporti: dal punto di vista geografico, il territorio coperto dalla sezione distaccata di Sassari è estremamente vasto comprendendo i circondari dei tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausiana e si estende su oltre 11.600 chilometri. Considerando inoltre le distanze chilometriche fra le sezioni citate e la corte d'appello di Cagliari, che risultano fra le più alte d'Italia, data anche la particolare conformazione geografica della Sardegna, un'eventuale accentramento del servizio andrebbe quindi a porsi in contrasto con le richiamate linee guida, nella esplicita previsione della «accessibilità della sede» come uno dei «fattori critici» per la permanenza della sezione distaccata. Il tutto aggravato dalla grave carenza infrastrutturale e del sistema di trasporti, che rende oltremodo difficoltoso il raggiungimento del capoluogo di regione;
   Lanusei è un centro di circa 7000 abitanti, capoluogo dell'Ogliastra, area collocata nella Sardegna centro meridionale (fra le province di Cagliari, Nuoro ed Olbia), geograficamente e culturalmente omogenea e storicamente segnata da un forte isolamento, poco densamente popolata (circa 58000 abitanti su di un territorio che si estende per 1854 chilometri quadrati, diviso in 22 comuni), scarsamente collegata ai centri più popolosi dell'isola, stante una rete viaria che non consente lo scorrimento veloce. Si tratta di un territorio segnato da, forti problemi economici, che sconta in maniera pesante una politica di tagli e spending review, totalmente centrata sulla legge dei grandi numeri, invece che sul rispetto dei diritti della persona;
   il rischio della perdita del tribunale (che fra le altre cose risulta essere tra i primi 27 tribunali italiani in termini statistici e di definizione dei procedimenti) per le ragioni di riorganizzazione espresse in premessa, denunciato oltremodo dall'assemblea degli iscritti all'albo degli avvocati del foro di Lanusei, che ha deliberato l'astensione da tutte le udienze civili, penali ed amministrative per il periodo 16-24 novembre 2015, avrebbe ripercussioni sociali non indifferenti. La soppressione del tribunale, infatti, implicherebbe un ulteriore violento impatto economico sul territorio, con la perdita stimata di circa 500 posti di lavoro fra dipendenti e indotto, senza considerare le difficoltà che emergerebbero nella concreta amministrazione del territorio;
   per quanto espresso, quindi, la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei non solo sarebbe in contrasto con le linee guida comunitarie in materia di geografia giudiziaria, ma non comporterebbe ad avviso degli interroganti alcun risparmio per le finanze dello Stato, se non addirittura un paradossale aumento di costi sia in termini economici, che funzionali, oltre che arrecare un grave pregiudizio per i cittadini utenti di giustizia del territorio –:
   se, nell'ottica della ulteriore razionalizzazione degli uffici giudiziari, il Ministro interrogato non intenda tenere adeguato conto delle condizioni sopra espresse, con particolare riferimento alle specificità del territorio sardo, al fine di non precedere con la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei. (4-11187)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, gli interroganti paventano – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione di alcuni uffici giudiziari sardi, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione, secondo le conclusioni rassegnate dalla Commissione ministeriale per la riforma dell'ordinamento giudiziario.
  Chiedono, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici tracciate nella relazione conclusiva dei lavori.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, avendo comportato un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario, attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie, in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, dunque, certamente avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singoli Corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari.
  Si è imposta, dunque, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  Il Ministro ha, al riguardo, istituito una commissione di studio, presieduta dal professore avvocato Michele Vietti, alla quale sono state demandate attività di analisi e di studio finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i princìpi dettati dalla Carta Costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la Commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dagli interroganti – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali, come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca del miglior bilanciamento tra i vari interessi coinvolti, che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori, e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà essere ancora delineato e più ampiamente discusso.
  Le proposte formulate sono, pertanto, allo stato suscettibili di ulteriori riflessioni e valutazioni, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le professioni sanitarie nell'ordinamento italiano sono tutte quelle professioni in cui gli operatori lavorano in ambito sanitario, svolgendo attività di prevenzione, diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione;
   per l'abilitazione all'esercizio di tali professioni bisogna conseguire una laurea, a volte magistrale, sostenere l'esame di stato ed iscriversi ai collegi professionali di riferimento. Le professioni sanitarie sono poste sotto la sorveglianza del Ministero della salute;
   secondo una sentenza della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, la n. 300 del 2010, la disciplina e l'individuazione della figure professionali con i relativi profili e titoli abilitanti spetta allo Stato per il carattere necessariamente unitario, mentre è riservata alle regioni – ex articolo 117 della Costituzione – la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale;
   attualmente, come lamentato dagli stessi laureati in professioni sanitarie, non esiste a livello nazionale una norma che disciplini l'accesso ai tirocini post laurea, ma ogni regione con propri regolamenti detta delle direttive in materia. Tuttavia, l'accesso ai tirocini viene di fatto regolato in maniera autonoma dalle aziende sanitarie;
   la Federazione nazionale collegi professionali tecnici di radiologia medica in una nota, inviata al Ministero della salute, ha segnalato, ai fini della valutazione dell'offerta formativa per il 2014/2015, l'esistenza di una forte divergenza tra l'offerta formativa e la reale esigenza del mondo del lavoro; pertanto numerosi tecnici, una volta finita l'università, non trovano una reale collocazione nel mondo lavorativo;
   inoltre, non essendoci una normativa in merito ai tirocini post laurea, non tutti i professionisti del settore riescono esercitare la propria professione, anche gratuitamente e a proprie spese, presso le strutture sanitarie, in attesa di concorsi pubblici e/o contratti di lavoro definitivi;
   quanto segnalato per la sola professione sanitaria dei tecnici radiologi si potrebbe riferire, per analogia, anche alle altre le professioni sanitarie –:
   se non ritenga che esista una forte divergenza tra l'offerta formativa delle professioni sanitarie e le reali esigenze di inserimento nel mondo del lavoro delle professioni;
   come intenda intervenire per dare la possibilità a coloro che abbiano concluso il percorso formativo di svolgere la professione sanitaria scelta;
   quali iniziative intenda adottare per disciplinare i tirocini post laurea degli operatori delle professioni sanitarie e permettere loro il reale inserimento nella realtà lavorativa in attesa di un inquadramento definitivo. (4-10155)

  Risposta. — La problematica affrontata nell'interrogazione parlamentare è da tempo all'esame di questo Ministero, che ogni anno, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, determina il fabbisogno delle professioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 6-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
  In sede di programmazione del fabbisogno nazionale anche quest'anno è stata segnalata e rappresentata al Ministero della salute, dalla Federazione per la professione di tecnico sanitario di radiologia medica, l'emergente crisi occupazionale per effetto di un fabbisogno progressivamente e significativamente decrescente.
  A tal proposito si rappresenta, infatti, che il fabbisogno espresso dalle regioni, pur rimanendo, in valore assoluto, al di sopra del dato comunicato dalle categorie professionali, ha mostrato negli ultimi anni un « trend» fortemente decrescente, tanto che il dato comunicato per l'anno accademico 2016/2017 risulta molto vicino all'analogo valore indicato dalle rispettive categorie professionali. In particolare, per la professione di tecnico di radiologia medica, il fabbisogno regionale negli ultimi quattro anni è diminuito di 42 punti percentuali, passando da 1.478 unità dell'anno accademico 2011/2012 a 853 unità comunicate per l'anno accademico 2016/2017.
  La questione dei tecnici di radiologia è da anni all'attenzione di questo Ministero: infatti, già a partire dall'anno accademico 2011/2012, il Ministero della salute aveva proposto una riduzione del numero di tali professionisti da formare rispetto al dato rappresentato dalle regioni.
  Tale proposta, discussa nella riunione tecnica della Conferenza Stato-regioni, non fu accolta perché, richiedendo una ulteriore consultazione in ambito regionale, non avrebbe consentito di perfezionare l'accordo Stato-regioni entro la prima seduta utile.
  Negli ultimi anni accademici, nuovamente questo Ministero ha avanzato l'ipotesi di una riduzione rispetto al fabbisogno complessivamente espresso dalle regioni, variazione che, in questi casi, è stata accolta e recepita negli accordi Stato-regioni del 25 luglio 2012, del 19 settembre 2013, del 12 giugno 2014, del 7 maggio 2015 e del 9 giugno 2016.
  In particolare, per l'anno accademico 2016/2017, avendo le regioni manifestato un fabbisogno pressoché invariato rispetto a quello relativo all'anno precedente, questo Ministero ha ritenuto opportuno proporre, in sede di Conferenza Stato-regioni, una riduzione del fabbisogno complessivo di tali professionisti, determinandolo in 800 unità rispetto alle 853 comunicate dalle regioni e province autonome.
  Per migliorare il processo di previsione e pianificazione della forza lavoro sanitaria attualmente seguito in Italia, questo Ministero ha aderito alla « Joint Action» europea, promossa dalla Commissione europea nell'ambito dell’«action Plan for the EU Health Workforce» ed avviata con il « kick off meeting» ad aprile 2013.
  L'obiettivo della «Joint Action» è creare una piattaforma di collaborazione tra gli Stati europei che consenta, sfruttando il valore aggiunto della cooperazione, di affrontare al meglio, prospettando possibili soluzioni, la carenza di professionisti sanitari in Europa prevista per i prossimi anni (quantificata in circa un milione di professionisti sanitari nell'anno 2020).
  Il Ministero della salute è impegnato in questo progetto sin dalla sua fase embrionale ed in «partnership» con l'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) è «leader» di uno specifico gruppo di lavoro (Work Package 5) denominato «Exchange of good practices in planning and forecasting methodologies».
  Lo scopo del WP5 è elaborare una piattaforma volta alla condivisione ed allo scambio, tra gli Stati membri della Comunità europea, di buone pratiche e metodologie previsionali attualmente utilizzate, che definisca, in modo più puntuale, il fabbisogno di personale in campo sanitario, analizzando le eccellenze e tenendo conto del contesto culturale e strutturale in cui agiscono.
  La durata prevista per l'intero progetto è di tre anni e le professioni inizialmente considerate sono quelle annoverate nella direttiva comunitaria 2005/36/CE, ossia medici, infermieri, odontoiatri, farmacisti ed ostetriche.
  Al di là del respiro europeo del progetto e degli obiettivi di interesse comunitario prefissati, la «Joint Action» assume una forte rilevanza anche all'interno del nostro Paese e apporta un grande valore aggiunto alla programmazione ed alla definizione dei fabbisogni di professionisti sanitari, dal momento che, al gruppo di lavoro come «partners» del progetto stesso, aderiscono anche le regioni italiane.
  La collaborazione con le regioni si è rafforzata dall'inizio del 2016, ossia dal momento in cui le amministrazioni regionali sono diventate protagoniste del cosiddetto «progetto pilota» che prevede, a partire dalle buone pratiche, la sperimentazione di un modello di programmazione del personale sanitario da effettuarsi, oltre che in un Paese europeo, nelle regioni e province autonome partners della «Joint Action».
  Il progetto pilota ha preso formalmente avvio il 1o gennaio 2015 e si è concluso con l'accordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, perfezionato in data 9 giugno 2016, concernente la determinazione del fabbisogno delle professioni sanitarie per l'anno accademico 2016/2017, che ha approvato la metodologia condivisa per la pianificazione del personale sanitario sviluppata nell'ambito del progetto medesimo e relativa alle figure di medico chirurgo, odontoiatra, farmacista, infermiere ed ostetrica/o.
  La collaborazione tra questo Ministero e le amministrazioni regionali è in linea con l'articolo 22 (gestione e sviluppo delle risorse umane) comma 4, del patto per la salute 2014-2016, che prevede l'introduzione di «standards» di personale per livello di assistenza, anche attraverso la valorizzazione delle iniziative promosse a livello comunitario, ai fini di determinare il fabbisogno dei professionisti sanitari a livello nazionale.
  Anche la problematica concernente i tirocini post laurea è nota a questo Ministero ed è in corso di approfondimento lo studio di possibili iniziative per trovare le soluzioni più opportune.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   QUARTAPELLE PROCOPIO, NICOLETTI, TIDEI e ZAMPA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con il Migration Compact, il Governo ha sviluppato un virtuoso modello per migliorare l'efficacia delle politiche migratorie esterne dell'Unione europea, confermando l'impegno italiano per assicurare un ruolo di responsabilità ai partner regionali nella gestione e nel contenimento dei flussi di migranti e di rifugiati, nel pieno rispetto dei diritti umani e favorendo al contempo lo sviluppo sostenibile nei Paesi di origine e di transito;
   nel quadro della conferenza interministeriale che si è tenuta a Roma il 28 novembre 2014 è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta dei ministri in rappresentanza dei 28 Paesi dell'Unione europea e di Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Tunisia; tale dichiarazione, nota come «processo di Khartoum», promuove gli scambi d'informazioni, sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche, con gli obiettivi di regolare il flusso di migranti, sostenendo lo sviluppo nei Paesi d'origine e di transito dei migranti, e di sviluppare efficaci strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti e di esseri umani;
   negli ultimi anni, il Sudan è diventato uno dei principali Paesi di transito per milioni di profughi e migranti provenienti dal Corno d'Africa e dall'Africa sub-sahariana che cercano di farsi strada attraverso la Libia al fine di raggiungere le coste europee; le Nazioni Unite registrano infatti che siano circa 4 milioni i profughi dall'Eritrea, dalla Somalia, dalla Repubblica democratica del Congo, e dalla Repubblica centro-africana in transito nell'area;
   secondo accreditati organi d'informazione tra i quali i tedeschi «der Spiegel» e «Ard», il 23 marzo 2016, il Comitato dei Rappresentanti permanenti presso il Consiglio dell'Unione europea avrebbe discusso un piano che prevede forme di collaborazione con i Paesi del Corno d'Africa, al fine di arginare i flussi di migranti verso l'Europa con uno stanziamento tramite l'EU Emergency Trust Fund di 40 milioni di euro per otto Paesi africani tra cui il Sudan;
   il progetto prevedrebbe che l'Unione fornisca macchine fotografiche, scanner e server per la registrazione dei migranti al regime sudanese, in aggiunta all'offerta di servizi di formazione della polizia di frontiera sudanese, e alla costruzione di due centri di raccoglimento dotati anche di celle di detenzione;
   gli stessi organi d'informazione riportano che il Ministro tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico avrebbe recentemente confermato l'esistenza di un piano d'azione vincolante, specificando tuttavia che dovrebbero ancora esserne perfezionati i relativi piani d'attuazione;
   la Corte penale internazionale dell'Aja ha emesso un mandato di arresto nei confronti del Presidente del Sudan Omar Al Bashir per accuse relative al suo presunto ruolo nel genocidio e crimini contro l'umanità nel conflitto del Darfur;
   il rischio che si profila è che il regime sudanese utilizzi i finanziamenti e la tecnologia offerta dall'Unione europea per registrare non solo i rifugiati, ma anche i cittadini sudanesi con l'obiettivo di ottenere un controllo capillare e totalitario sulla popolazione;
   come riportato da der Spiegel, Amnesty International ha denunciato un sistema di torture da parte dei servizi segreti sudanesi ai membri dell'opposizione;
   dai rapporti di «Human Rights Watch» si evince che vi siano forme di collaborazione tra alcuni esponenti del regime sudanese e alcune reti criminali coinvolte nel traffico di esseri umani;
   l'Agenzia Habeshia (AHCS) riporta che il 16 maggio per ordine del governo di Al Bashir la polizia avrebbe condotto rastrellamenti nei quartieri dove in genere si concentrano i profughi e, in seguito ad una rapida comparsa davanti alle autorità, circa 380 di loro sarebbero stati espulsi consegnati alla polizia di frontiera eritrea; nell'arco della giornata del 18 maggio altri 600 migranti sarebbero stati fermati e rischierebbero ora il rimpatrio forzato verso un Paese, l'Eritrea, considerato tra i più repressivi e autoritari del mondo e in cui la situazione dei diritti umani continua ad essere estremamente preoccupante, anche secondo quanto affermato dai più recenti rapporti dell'Alto Commissariato ONU dei diritti umani –:
   come intenda assicurare che il piano di cooperazione con il Sudan discusso in seno alle istituzioni dell'Unione europea sia accompagnato da iniziative che garantiscano l'effettività delle misure di contrasto al traffico di esseri umani da parte del Governo sudanese, nonché da misure di garanzia per la tutela dei diritti dei migranti, dei profughi e dei richiedenti asilo nel Paese. (4-13335)

  Risposta. — Come ricordato anche dall'interrogante, il Sudan è paese di origine, transito e destinazione dei migranti, in quanto situato su una delle principali direttrici verso le coste libiche. Il 6 per cento dei migranti sbarcati in Italia nei primi 5 mesi del 2016 proviene infatti dal Sudan, che accoglie, tuttavia, anche moltissimi rifugiati e sfollati interni (più di due milioni di persone si trovano in diversi campi profughi) tra cui non solo gruppi in continuo arrivo, ma anche quelli in situazione di « protracted displacement», con evidenti ripercussioni sulla popolazione locale.
  Il Sudan riveste pertanto un ruolo cruciale nel quadro del dialogo politico della UE con i paesi di origine e transito dei flussi migratori, in particolare nell'ambito del processo di Khartoum, iniziativa regionale lanciata dall'Italia nel corso del semestre di Presidenza della Unione europea nel 2014 con i paesi dell'Africa orientale, oltre ad Egitto e Tunisia (in prospettiva anche la Libia). Tale processo garantisce un monitoraggio stringente degli impegni assunti dai partner africani in materia di gestione dei flussi migratori e di lotta alla tratta e al traffico di esseri umani, anche nel contesto dell'attuazione del piano d'azione adottato in occasione del vertice Unione europea – Africa sulle migrazioni svoltosi l'11 e il 12 novembre 2015 a La Valletta. Il paese beneficia di diversi progetti finanziati dal «Fondo Fiduciario di emergenza dell'Unione europea per affrontare le cause profonde delle migrazioni in Africa», istituito a margine del summit di La Valletta. Il fondo in parola, che ha una dotazione di 1.881 miliardi di euro, è destinato a finanziare progetti in 23 Paesi africani nelle tre aree geografiche di Sahel, Corno d'Africa e Nord Africa, su quattro principali assi di intervento:
   a) sviluppo economico, creazione di opportunità d'impiego, focus su giovani e donne nelle comunità locali, sostegno al reinserimento dei migranti nelle comunità di origine;
   b) resilienza e sostegno ai servizi sociali di base, focus sulle popolazioni locali e sulle categorie più vulnerabili, inclusi rifugiati e sfollati;
   c) gestione della migrazione, capacity building per lo sviluppo di strategie nazionali fondate sui diritti, prevenzione e lotta al traffico di esseri umani, ritorni e riammissione, asilo, migrazione legale, sinergie tra migrazione e sviluppo;
   d) governance, stato di diritto, aspetti di sicurezza e sviluppo.

  L'Italia ha sin dall'inizio attivamente sostenuto l'istituzione del Trust Fund, di cui il nostro paese è membro fondatore e secondo donatore con un contributo aggiuntivo di 10 milioni di euro a valere sul bilancio della cooperazione allo sviluppo (importo erogato nel dicembre 2015), per favorire un approccio integrato che non si limiti a tener conto degli aspetti di sicurezza e di accoglienza, ma anche dello sviluppo socio-economico dei paesi di origine dei flussi.
  In tale ambito si segnala che sono stati assegnati all'Italia due progetti nel settore sanitario proposti dalla nostra cooperazione allo sviluppo che vedono il Sudan tra i paesi beneficiari: « Strengthening resilience for refugees, IDPs and host communities in Eastern Sudan» (del valore di 12 milioni di euro) e una delle componenti del « regional Development & protection Program» (RDPP) per il Corno d'Africa (del valore di 2 milioni sui complessivi 15 stanziati a favore dell'RDPP). Entrambe le iniziative sono destinate al miglioramento dell'accesso ai servizi sanitari di base per i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le comunità ospitanti presenti sul territorio sudanese. Il Sudan beneficia inoltre di parte dei 40 milioni di euro del progetto «Better Migration Management (BMM)», programma regionale sempre finanziato con fondi del Trust Fund UE e affidato dalla Commissione UE ad un consorzio di stati membri, tra cui l'Italia. Non sono state ancora stabilite le modalità di attuazione pratica dei programmi di assistenza al Sudan previsti nel BMM. Sono, infatti, ancora in discussione i progetti affinché sia garantito che le forme di aiuto che verranno eventualmente erogate al paese, inclusi gli equipaggiamenti civili che potrebbero essere consegnati, siano finalizzati esclusivamente ad una gestione delle migrazioni rispettosa dei diritti umani e degli obblighi internazionali delle parti in materia.
  Si segnala, infine, che il fondo fiduciario UE ha finanziato ulteriori progetti a favore del Sudan in materia di resilienza, sicurezza alimentare e mobilità, sostenuti dall'Italia nella fase di approvazione ma che non prevedono un ruolo diretto da parte della Cooperazione del nostro Paese.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione e il territorio dell'Alto Friuli, a seguito della revisione della geografia giudiziaria italiana da parte del Governo, ha di recente dovuto subire la chiusura del tribunale circondariale di Tolmezzo con i conseguenti ed ovvi gravissimi contraccolpi negativi sia sociali che economici;
   tale operazione ha indubbiamente sguarnito un presidio giudiziario di prossimità di un territorio che, per le sue particolari caratteristiche di area geograficamente molto estesa e di essere di fatto una vera e propria porta aperta verso il centro e l'est Europa (porta aperta purtroppo anche e soprattutto per quanto riguarda traffici legati all'immigrazione clandestina, al riciclaggio, all'importazione di armi e di sostanze stupefacenti), rischia seriamente di essere osservato con particolare interesse dalla malavita organizzata;
   sempre in tale territorio insiste un carcere di massima sicurezza in regime di 41-bis, e sembrerebbe che tale tipologia di speciale detenzione dovrebbe essere ancor più rafforzata, elevando notevolmente il rischio di infiltrazioni malavitose nel già debole territorio dell'Alto Friuli;
   per il territorio dell'Alto Friuli si prospetta un ulteriore pesante sacrificio imposto dalla revisione dei costi in corso da parte dello Stato italiano, ovvero il trasferimento del 3° reggimento artiglieria da montagna di stanza a Tolmezzo presso la caserma «Cantore», verso la caserma «Spaccamela» di Udine o, in alternativa, la caserma «Lesa» di Remanzacco, avvenimento che aggiungerebbe danni economici e sociali ad un territorio già demograficamente fragile;
   in questi giorni, infine, si è appreso dalla stampa dell'intenzione del Ministero dell'interno di sopprimere alcuni uffici e commissariati della polizia di Stato sul territorio provinciale di Udine, tra i quali risulterebbe essere anche il commissariato di Tolmezzo, e che ciò dovrebbe avvenire in tempi molto brevi;
   pur nell'ambito della consapevolezza che è necessario ottimizzare le risorse, rimane fermo il convincimento che prima di tutto debba essere tutelata la sicurezza della popolazione montana, non privandola, inoltre, di ulteriori servizi che depaupererebbero oltre ogni ragionevole misura il territorio –:
   quali siano le indicazioni ministeriali in merito alla ridefinizione dei presidi di polizia di Stato in provincia di Udine;
   se non ritenga opportuno scongiurare la ventilata soppressione del commissariato di Tolmezzo, alla luce della già grave situazione economica, sociale e demografica del territorio dell'Alto Friuli. (4-04603)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel sottolineare l'importanza del Commissariato di pubblica sicurezza di Tolmezzo, chiede di adottare le iniziative necessarie a scongiurarne la paventata chiusura, evidenziando gli effetti negativi che questa misura produrrebbe sulla sicurezza dei cittadini.
  Si rappresenta che la questione sollevata è legata, al pari della proposta di soppressione di altri uffici di polizia sul territorio nazionale, all'attuazione di un piano di razionalizzazione sottoposto al parere delle Autorità provinciali di pubblica sicurezza nei primi mesi del 2014 e allo stato attuale non ancora definito.
  Ciò in quanto è sopravvenuta, nel frattempo, la legge n. 124 del 7 agosto 2015 – cosiddetta legge Madia – che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di provvedimenti normativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha individuato come criteri direttivi da seguire nel riordino del sistema della sicurezza «la razionalizzazione e il potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali».
  Pertanto, si potrà procedere con il piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale solo quando sarà completato il percorso normativo avviato con la predetta legge di delega e proseguito con l'emanazione, proprio questo mese, del decreto legislativo n. 177 del 2016.
  Per completare l’iter normativo bisognerà ora attendere l'adozione del decreto del Ministro dell'interno – prevista entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione del predetto decreto legislativo – che ridisegnerà la presenza delle Forze di polizia sul territorio, privilegiando l'impiego della Polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio, fatte salve specifiche deroghe per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica.
  In ogni caso, si assicura fin d'ora che i contenuti di tale provvedimento saranno dettati esclusivamente da obiettivi di efficientamento dell'azione delle Forze di polizia e di adeguamento della loro organizzazione alla trasformazione tecnologica e infrastrutturale del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del cittadino.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo di stampa pubblicato in data 11 giugno 2015 l'Agenzia Capitolina sulle tossicodipendenze, attraverso un sistema di «affidamenti diretti, cooperative rosse e milioni di euro affidati in maniera poco chiara» avrebbe «riprodotto in piccolo l'affare Mafia Capitale»;
   stando al medesimo articolo «dalla sua creazione, i servizi forniti dall'Agenzia sulle tossicodipendenze sono stati gestiti nella stessa maniera con cui Buzzi teneva in scacco i lavori delle cooperative sociali romane sparsi per la capitale. I soldi venivano stanziati e affidati a organismi senza regolari procedure: addirittura dal 2000 al 2009 l'assetto dei servizi comunali messi a gara e gli affidamenti venivano rinnovati anno dopo anno e non “bando dopo bando”. Dal 1998, anno della sua istituzione, per 11 anni l'operato dell'Agenzia si è svolto in assenza delle linee guida che sarebbero dovute essere fornite dal Consiglio Comunale, contravvenendo a quanto sancito dal “Regolamento di Organizzazione e Funzionamento dell'Istituzione«»;
   come per la gestione dei servizi per l'accoglienza, sempre stando a quanto pubblicato, anche con riferimento alla gestione dei fondi per la lotta alle tossicodipendenze e delle relative strutture, alcune cooperative avrebbero goduto di affidamenti diretti e proroghe, ricevendo importi di centinaia di milioni di euro senza partecipare ad alcun bando di gara;
   il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, istituito dall'articolo 127 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, è ripartito annualmente tra le regioni affinché queste provvedano al finanziamento dei progetti finalizzati alla prevenzione e al recupero dalle tossicodipendenze e dalla dipendenza dall'alcol –:
   se siano state effettuate verifiche, da parte del Ministro interrogato, sulle cooperative coinvolte nei fatti descritti in premessa. (4-09480)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante cita alcune notizie di stampa che riferiscono la presunta esistenza di un «sistema» di affidamenti diretti e di proroghe ad alcune cooperative sociali da parte dell'agenzia capitolina sulle tossicodipendenze per la gestione dei servizi per la lotta alle tossicodipendenze, si riscontra quanto segue.
  Si richiama, in via preliminare, la legge 8 novembre 1991, n. 381, recante la «Disciplina delle cooperative sociali», la quale dispone, tra l'altro, all'articolo 1, comma 1, che le «cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi sociosanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate».
  Il successivo, articolo 4 precisa a tal riguardo che «nelle cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condonati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'estero (..omissis..)».
  L'articolo 5 stabilisce, al comma 1, che gli enti pubblici, compresi quelli economici e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purché detti affidamenti siano di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria e purché siano finalizzati all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. L'articolo stabilisce, altresì, che le convenzioni di cui al citato comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza (tale ultimo periodo è stato introdotto dall'articolo 1, comma 610, della legge 23 dicembre 2014 n. 190, – legge di stabilità 2015).
  L'ultima modifica recata all'articolo 5, comma 1, della legge n. 381 del 1991 esclude, quindi, che si possa procedere ad affidamenti «diretti» di contratti pubblici in favore delle cooperative sociali di tipo b), richiedendo la norma stessa un previo confronto concorrenziale, ancorché in deroga alle specifiche procedure di aggiudicazione contemplate nel codice.
  In tal senso si è espressa l'ANAC ritenendo che ai fini dell'affidamento di servizi e forniture alle cooperative sociali di tipo b), le stazioni appaltanti debbono procedere al previo esperimento di una procedura selettiva, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza, così come prescritto dalla disciplina di settore (v. ANAC determinazione n. 3/2012 e parere AG39/2015/AP del 27/05/2015).
  Ciò premesso, in esito a quanto richiesto dall'interrogante si riferisce che gli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico hanno provveduto, non disponendo di un elenco degli enti che hanno beneficiato a qualsiasi titolo di affidamenti diretti o di altre tipologie di contributi, ad effettuare una consultazione del sito internet dell'Agenzia capitolina, al fine di poter verificare la situazione degli enti cooperativi ai quali risultano essere stati affidati incarichi in qualità di «gestori di servizi di accoglienza o di strutture di assistenza per la prevenzione ed il recupero dalle tossicodipendenze».
  Dei 19 enti cooperativi rintracciati sul sito, per i quali è stato possibile individuare con certezza il codice fiscale, è risultato che 12 sono aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza. Per tali enti il primo livello dei controlli, come noto, viene svolto dalle stesse associazioni e la vigilanza ministeriale si esplica attraverso verifiche ispettive ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 220 del 2002 (ispezioni straordinarie). Quest'ultime vengono attivate sulla base di segnalazioni di pubbliche autorità, esposti di privati o sulla base di specifici programmi ispettivi, anche a campione.
  Per le restanti 7 società cooperative il Ministero dello sviluppo economico ha attivato regolarmente l'attività di revisione.
  Esaminato l'arco temporale che va dal biennio di revisione 2009/2010 al biennio 2015/2016, si è potuto costatare, infatti, che per 4 enti la revisione si è conclusa anche previa diffida a sanare le irregolarità riscontrate, senza proposta di provvedimento sanzionatorio, per la società la revisione si è conclusa con la proposta di scioglimento per atto d'autorità con nomina del liquidatore del 24 settembre 2014, per la società cooperativa la revisione è attualmente in corso, per un'altra, invece, il Ministero, oltre ad aver espletato la revisione ordinaria ha disposto un'ispezione straordinaria poiché la stessa era inserita nel programma di vigilanza straordinaria attivato nei confronti delle società cooperative e consorzi coinvolti nelle indagini della procura della Repubblica di Roma denominata «Mafia capitale».
  La citata ispezione si è conclusa, previa diffida all'ente a sanare irregolarità di natura formale, senza proposta di provvedimento sanzionatorio. Tuttavia, in data 28 dicembre 2015 la cooperativa è stata sottoposta nuovamente ad una revisione ordinaria, attualmente in corso, al fine di monitorare la situazione attuale dell'ente.
  Il Ministero dello sviluppo economico nell'ambito delle proprie funzioni di vigilanza si rende comunque disponibile ad avviare ulteriori controlli, anche sulla base di segnalazioni circostanziate che dovessero pervenire.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio interuniversitario per il calcolo automatico dell'Italia nord orientale (CINECA) è un consorzio senza scopo di lucro formato da settanta università, quattro enti di ricerca nazionali e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, alla cui vigilanza è sottoposto;
   il Consorzio, monopolista dei servizi informatici nel pubblico, occupa settecento dipendenti e ha un fatturato annuo di oltre cento milioni di euro;
   il 23 marzo 2016 il consiglio consortile del CINECA ha designato come nuovo direttore generale, con un compenso da duecentoquarantamila euro l'anno, il signor David Vannozzi, già membro del consiglio di amministrazione del medesimo ente su indicazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la designazione del suddetto consigliere è avvenuta nonostante lo stesso sia attualmente sotto processo per truffa e falso in atto pubblico nell'ambito di una vicenda giudiziaria nata nel 2012, quando era direttore amministrativo dell'azienda sanitaria locale di Firenze;
   proprio al tribunale di Firenze il 6 marzo 2016 aveva avuto luogo la prima udienza del processo che lo vede imputato per una storia di immobili acquistati dall'azienda sanitaria locale a costi e condizioni che agli inquirenti fanno ipotizzare i reati di falso in atto pubblico, truffa aggravata, abuso d'ufficio e turbativa d'asta;
   il processo, tuttavia, sembra essere avviato verso l'estinzione per intervenuta prescrizione, e tanto sembra essere bastato al consiglio del CINECA per designare Vannozzi come prossimo direttore generale;
   meno di un anno fa la dirigenza del CINECA era stata allontanata a causa di presunte irregolarità ed episodi di malagestione, quali investimenti sbagliati, gestione poco trasparente dei conti e informazioni nascoste al consiglio, e contemporaneamente era stato licenziato anche l'amministratore delegato di Kion, la software house di Cineca che eroga per conto del consorzio servizi amministrativi agli studenti e ai docenti, anch'egli per presunte irregolarità nella gestione della società;
   stando alle notizie riportate dai giornali il Consorzio dovrebbe gestire anche il prossimo concorso della scuola per l'assunzione di sessantamila insegnanti;
   poco più di un mese fa, il 25 febbraio 2016, l'interrogante aveva già segnalato con un precedente atto di sindacato ispettivo (n. 4-12265) diverse irregolarità nella gestione del CINECA ma senza ricevere alcuna risposta da parte del Ministro interrogato –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito nell'ambito dei propri poteri di vigilanza;
   se risponda al vero che il consorzio CINECA, nonostante la scarsa trasparenza rispetto alle sue attività a più riprese denunciata, sia candidato a gestire un mastodontico quanto delicatissimo concorso per assumere decine di migliaia di docenti, molti dei quali precari da oltre dieci anni. (4-12723)

  Risposta. — L'interrogazione in esame pone due questioni:
   la nomina del nuovo direttore generale del Cineca;
   gli affidamenti degli incarichi al Consorzio da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

  Quanto al primo punto, acquisiti elementi utili dal Consorzio, si riferisce che, su mandato del proprio Consiglio di amministrazione e con apposito avviso pubblicato nelle forme di legge il 2 aprile 2015 il Cineca ha avviato la procedura per individuare il soggetto professionale cui affidare la selezione di una risorsa idonea a ricoprire l'incarico di direttore generale del Consorzio. All'esito della procedura, con delibera del consiglio di amministrazione del 28 settembre 2015, tale incarico è stato affidato alla società Praxi s.p.a.
  Il profilo di riferimento, elaborato collegialmente dagli organi del Consorzio, ha richiesto un'ampia e approfondita competenza in ruoli direzionali nella gestione di organizzazioni complesse ad alto contenuto professionale, solide competenze economico-finanziarie e di gestione e sviluppo del personale, ottima padronanza della lingua inglese. Si sono ritenute, inoltre, distintive le attività ed i risultati ottenuti, in posizioni mission critical, in contesti sia nazionali che internazionali, in organizzazioni impegnate nello sviluppo di tecnologie avanzate e nel trasferimento applicativo di tecnologie.
  La selezione dei possibili candidati, che è stata condotta sulla base del progetto approvalo e tramite i canali disponibili al soggetto affidatario, ha consentito di valutare la posizione di oltre quattrocento candidati potenziali, provenienti per circa l'80 per cento dalle inserzioni e per il restante 20 per cento dai data-base e dal network consulenziale dell'agenzia selezionatrice. Tutti sono risultati in possesso di laurea, con maggiore concentrazione nel settore economico-scientifico, il 75 per cento di essi proveniva dal settore privato e circa l'8 per cento dal pubblico.
  In adempimento alle previsioni dell'avviso, la società affidataria ha predisposto una short list di cinque candidati con i relativi curricula da sottoporre al Consiglio di amministrazione del Cineca. L'elenco comprendeva anche la persona del dottore Vannozzi in considerazione delle esperienze dalla stessa maturate come direttore generale dell'Università Sant'Anna di Pisa; quale direttore amministrativo dell'Azienda sanitaria di Firenze: nonché come componente del consiglio di amministrazione del consorzio. Incarico da cui il dottore Vannozzi, in data 8 marzo 2016, ha presentato le proprie dimissioni.
  Successivamente, in conformità con quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lett. d), del vigente Statuto del Cineca, con delibera dell'11 marzo 2016 il consiglio di amministrazione ha formalizzato al consiglio consortile la proposta del suddetto aspirante a direttore generale, in quanto ritenuto il più adeguato a ricoprire tale ruolo. Il consiglio consortile ha infine deliberato di conferirgli l'incarico di direttore generale con delibera del 23 marzo 2016.
  Per quanto concerne le modalità di affidamento di incarichi al Cineca da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, occorre precisare che i rapporti tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Cineca rientrano nella relazione organizzativa così detta di « in house providing».
  Al riguardo, occorre evidenziare che il Consiglio di Stato, nel parere n. 298 del 30 gennaio 2015, ha confermato la sussistenza di tale relazione organizzativa, facendo riferimento alle disposizioni dell'articolo 2 della direttiva europea n. 24/2014.
  «(...) Non vi è alcun dubbio, infatti, anche ad avviso della Sezione, che nella specie sussista il requisito del controllo analogo, esercitato sul Consorzio da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e ciò per effetto sia della partecipazione di quest'ultimo al capitale e agli organi direttivi dell'ente, sia dell'attribuzione di talune specifiche prerogative, tra le quali il potere di approvare eventuali modifiche allo Statuto del Cineca e il diritto di veto sulle più importanti deliberazioni del Consiglio consortile». Inoltre «Quanto al requisito dello svolgimento dell'attività prevalente nei confronti dei soggetti pubblici consorziati va rilevato innanzitutto, come anche giustamente osservato dal MEF, che il Consorzio non ha scopo di lucro, come stabilito nel terzo comma dell'articolo 1 dello Statuto, e che i compiti previsti dall'articolo 3 seguente possono riassumersi nell'esclusivo svolgimento di prestazioni da parte del Consorzio a favore degli Enti consorziali. Va inoltre evidenziata la funzione di necessaria strumentalità delle prestazioni di altissimo rilievo tecnologico che il Consorzio svolge nell'ambito della ricerca universitaria, senza le quali quest'ultimo non potrebbe svolgersi con la dovuta efficienza e modernità, oggi più che mai richieste dal progresso scientifico e dal quotidiano confronto con le analoghe istituzioni degli altri paesi».
  La successiva sentenza n. 2660 del 2015, adottata dal Consiglio di Stato nell'ambito del contenzioso citato dagli interroganti, ha confermato la posizione di indiscussa primazia riconosciuta al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'ambito dell'organizzazione e del funzionamento del Cineca facendo riferimento, in particolare, alle previsioni statutarie che stabiliscono le prerogative del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca significativamente più estese rispetto a quelle riconosciute agli altri consorziati.
  Per tale ultimo aspetto, ovvero il rapporto tra il Cineca e gli altri consorziati, occorre evidenziare che il legislatore è intervenuto di recente con una specifica disposizione normativa (commi da 11-bis a 11-quater dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 2015).
  Tale disposizione prevede che mediante apposite modifiche statutarie, sia assicurato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e gli altri enti consorziati esercitino sul Cineca, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che sussistano le ulteriori due condizioni previste dalla direttiva 2014/24/UE ora attuata con il decreto legislativo n. 50 del 2016 per la sussistenza dell'istituto dell’in house providing, ossia l'assenza di partecipazione di capitali privati e lo svolgimento di oltre l'80 per cento delle attività per le amministrazioni controllanti.
  In proposito, si evidenzia che, coerentemente con la citata disposizione, è attualmente in corso una modifica dello Statuto del Cineca volta all'adeguamento del testo al quadro comunitario di riferimento in materia di in house providing.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   RICCIATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto annuale dell'Osservatorio mercato del lavoro della regione Marche è un report approfondito sul mercato del lavoro regionale che affianca analisi ed elaborazioni sul mercato del lavoro ad un quadro delle tendenze generali per le variabili economiche più importanti del sistema produttivo marchigiano;
   dal rapporto di quest'anno emerge come nel primo semestre dell'anno 2014 si sono registrati circa 130.000 avviamenti al lavoro, numero sostanzialmente stabile rispetto allo stesso periodo del 2013, che però si era chiuso con un saldo negativo di 15.000 unità tra assunzioni e cessazioni;
   la Ires-Cgil delle Marche ha sottolineato come dal rapporto risulti evidente un continuo processo di precarizzazione. Le assunzioni a tempo indeterminato sono in calo di 1.950 unità rispetto alle 11.950 dello stesso periodo dell'anno precedente, e rappresentano il 9,2 per cento del totale, vale a dire meno di un'assunzione su dieci avviene per un lavoro stabile;
   si riscontra in particolare una continua crescita (3.200 in più rispetto all'anno precedente nella regione Marche) dei contratti a termine, che interessa il 55,6 per cento delle assunzioni. Di converso, si registra una diminuzione della durata dei contratti (57.800 inferiori ad un mese, la metà dei quali meno di 4 giorni);
   desta particolare interesse il dato sull'apprendistato, figura indicata da più riforme del lavoro come lo strumento principale di ingresso del mondo del lavoro, che tuttavia nelle Marche, lo scorso anno, ha rappresentato solo il 4,5 per cento delle assunzioni;
   ha registrato invece una crescita rispetto all'anno precedente la figura del contratto di somministrazione (14,2 per cento del totale degli avviamenti). È diminuito il ricorso al contratto di lavoro intermittente (6,4 per cento del totale) e al lavoro parasubordinato (5,7 per cento del totale);
   nel 2013 i voucher riscossi nelle Marche sono stati oltre 919 mila e hanno interessato oltre 20.000 lavoratori, dato che denota evidentemente un largo ricorso al lavoro occasionale;
   lo scenario del livello occupazionale regionale risente inoltre – sempre secondo i dati dell'Osservatorio – di un consistente ricorso alla cassa integrazione, che, nel solo mese di novembre 2014, ha toccato la cifra record di sei milioni di ore (894 mila di cassa integrazione guadagni ordinaria, 1 milione di cassa integrazione guadagni straordinaria e 4,1 milioni di ore di cassa in deroga), in aumento del 21,3 per cento rispetto all'anno precedente;
   dai dati riportati emerge una evidente tendenza al ricorso di contratti a termine (in varie forme) per le nuove assunzioni, da un lato, e una progressiva «distruzione» di posti di lavoro a tempo indeterminato (come lascia presupporre il massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni), dall'altro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga prioritario anche alla luce dei dati citati, assumere iniziative per incentivare la figura del contratto a tempo indeterminato, e circoscrivere le ipotesi di ricorso a forme di lavoro precarie;
   quali iniziative, anche in fase di elaborazione dei decreti attuativi della legge delega n. 183 del 10 dicembre 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014, intenda adottare per rendere più «conveniente» il ricorso al lavoro a tempo indeterminato. (4-07408)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, concernente le iniziative che il Governo intende attuare per rendere più conveniente il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e circoscrivere le ipotesi di ricorso alle forme di lavoro precario, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, occorre precisare che l'obiettivo perseguito dal Governo con l'insieme delle misure rientranti nel cosiddetto Jobs act, nonché con i provvedimenti attuativi della legge delega n. 183 del 2014, è stato quello di favorire il rilancio dell'occupazione, in particolare quella stabile, e di riformare il mercato del lavoro ed il sistema delle tutele.
  In particolare, tra le diverse disposizioni volte a favorire la stabilità della occupazione si menzionano, a mero titolo esemplificativo, quelle contenute nel decreto legislativo n. 81 del 2015 che hanno abrogato le disposizioni sulle collaborazioni a progetto contenute nel decreto legislativo n. 276 del 2003.
  L'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, infatti, introduce una presunzione di subordinazione per quelle collaborazioni ritenute sostanzialmente non genuine, stabilendo che, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica alle collaborazioni coordinate e continuative che si concretizzano in prestazioni esclusivamente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente.
  Inoltre, l'articolo 54 del medesimo decreto ha introdotto una sorta di «sanatoria» dei precedenti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché delle prestazioni svolte dai soggetti titolari di partita IVA, al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo.
  In particolare, il citato articolo prevede che, dal 1o gennaio 2016, i datori di lavoro privati che assumono con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, ovvero titolari di partita IVA, potranno vedersi estinguere, a determinate condizioni, gli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, fatti salvi gli eventuali illeciti accertati dagli organi di vigilanza prima dell'assunzione del lavoratore.
  Infine, si segnala che l'articolo 1, comma 178, della legge n. 208 del 2015 (cosiddetta legge di stabilità 2016) ha previsto la proroga dello sgravio contributivo, introdotto con la legge di stabilità per 2015, per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nell'anno 2016.
  Lo sgravio contributivo si sostanzia nell'esonero dal versamento del 40 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL per rassicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 24 mesi.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   RICCIATTI, PAGLIA, FERRARA e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo rappresenta per l'Italia una risorsa economica fondamentale, capace di contribuire nel 2103 per il 10,3 per cento al prodotto interno lordo nazionale e per lo 11,6 per cento all'occupazione;
   esiste ormai un consenso diffuso sull'importanza decisiva del fattore ambientale nel determinare la capacità attrattiva di un Paese;
   l'Italia avrebbe, quindi, un forte interesse nel tutelare il proprio territorio, investendo nel riequilibrio di aree compromesse da decenni di sfruttamento e incuria e soprattutto evitando di gravarlo di nuovi carichi inquinanti;
   la strategia energetica nazionale e il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» sembrano purtroppo andare in direzione opposta, puntando sulla moltiplicazione della capacità estrattiva nazionale di petrolio e gas in terra e in mare, con tutto ciò che questo comporta in termini di impatto ambientale negativo;
   al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano 115 permessi di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in terraferma e 66 in mare). Le regioni con il maggior numero di titoli minerari in terraferma, per la maggior parte inattivi e in attesa di autorizzazioni, sarebbero l'Emilia Romagna (72), la Lombardia (31) e Basilicata (31);
   informazioni più aggiornate sono pubblicate sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico, direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, dove si trovano l'elenco delle concessioni di coltivazioni vigenti, la carta dei titoli minerari, la carta degli impianti con relativa selezione in base alla regione, le istanze per il conferimento di concessioni di coltivazione e l'elenco delle società titolari di concessioni di coltivazione;
   ciononostante, non si conosce ad oggi l'attuale mappa delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, mentre si susseguono in particolare allarmi sulla stampa relativi a nuove concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, anche in aree particolarmente sviluppate sul piano turistico –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato in ordine ai fatti descritti in premessa e quali elementi di dettaglio intenda fornire, per quanto di competenza, sulla attuale mappatura delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, considerate le ricadute negative che ne potrebbero derivare sotto il profilo del rilancio del turismo e se non intenda dare contezza sul sito internet del proprio dicastero delle aree del Paese a vocazione turistica dove sono presenti istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi. (4-10193)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo cui si risponde l'interrogante manifesta preoccupazione per le conseguenze negative sull'ambiente derivanti dalla moltiplicazione della capacità estrattiva nazionale di petrolio e gas in terra e in mare, favorita dalla strategia energetica nazionale e dal decreto-legge «Sblocca Italia», ritenendo che l'impatto negativo sull'ambiente determinerebbe una diminuzione della capacità attrattiva del Paese con conseguenze dannose per il turismo, fondamentale risorsa per l'economia nazionale.
  Si chiede, pertanto, quale sia la posizione del Ministero, quali elementi di dettaglio si intenda fornire, per quanto di competenza, sulla attuale mappatura delle concessioni di esplorazione, prospezione ed estrazione di idrocarburi, già in essere o in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, e se non si intenda «dare contezza sul sito internet del proprio dicastero delle aree del Paese a vocazione turistica dove sono presenti istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi».
  Le procedure amministrative relative alle concessioni di ricerca e coltivazione degli idrocarburi rientrano nelle competenze del Ministero dello sviluppo economico. All'interno di tali procedure sono previste anche valutazioni ambientali, cui partecipa questo Ministero, attraverso le sua articolazioni centrale e periferiche, qualora si tratti di acquisire pareri in merito alla tutela di beni culturali e del paesaggio.
  Sono questi, in sostanza, i termini e i limiti in cui questo Ministero ha titolo ad intervenire in materia.
  Per quanto attiene poi agli strumenti volti ad assicurare pubblicità e trasparenza ai relativi procedimenti amministrativi, si fa presente quanto segue.
  Sul sito internet del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono pubblicati i decreti di valutazione di impatto ambientale emessi dal Ministro titolare di quel dicastero, in alcuni casi di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. A corredo degli stessi, il sito offre alla consultazione un'ampia documentazione, tra cui anche i pareri rilasciati da questa amministrazione (http://www.va.minambiente.it/it-IT).
  A ciò si può aggiungere che sul sito internet di questo Ministero sono pubblicati i decreti di valutazione di impatto ambientale firmati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  La direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche-ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico, sul proprio sito istituzionale, già pubblica l'elenco dei decreti emanati, la cartografia dei titoli minerari e impianti, delle zone marine aperte alla ricerca e coltivazione di idrocarburi delle aree vietate alla ricerca e coltivazione di idrocarburi, della piattaforma continentale italiana, il monitoraggio regionale e quello delle aree marine, l'elenco delle società titolari di permessi e concessioni, l'elenco dei permessi di ricerca vigenti e delle istanze per il conferimento di permessi di ricerca e di permessi di prospezione, l'elenco delle concessioni di coltivazione vigenti e delle istanze per il conferimento di concessioni di coltivazione (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/home.asp).
  Su tale sito, curato dall'Amministrazione titolare della competenza specifica, è, pertanto, già possibile avere puntuale contezza delle aree del Paese a vocazione turistica ove sono presenti impianti o per le quali sono state presentate istanze di nuove concessioni di coltivazioni di idrocarburi.
La Sottosegretaria di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, risulterebbe in corso di adozione un decreto ministeriale per la revisione della piante organiche degli uffici giudiziari di primo grado, in conseguenza alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie;
   sulla base della proposta elaborata dal dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, il tribunale di Parma risulterebbe escluso dagli aumenti dell'organico, in quanto, benché sulla base del numero dei residenti nel circondario abbia diritto ad un aumento di 4 giudici e un ulteriore giudice in ragione del numero medio delle sopravvenienze calcolato con riferimento al quinquennio 2006-2010, il positivo rapporto tra pendenze e sopravvenienze impedirebbe ogni ulteriore assegnazione;
   in questo modo il tribunale di Parma risulterebbe significativamente penalizzato rispetto a tutti gli altri tribunali dell'Emilia-Romagna per i quali sono invece previsti incrementi del numero dei giudici, talora in misura consistente, anche sulla base di situazioni nella sostanza quanto meno equivalenti sotto il profilo delle dimensioni del bacino d'utenza, e tuttavia apparentemente non gravate da pendenze e sopravvenienze confrontabili, per lo meno sotto il profilo qualitativo, con quelle attualmente in carico agli uffici giudicanti parmensi;
   analogamente, la proposta non riconosce alla procura della Repubblica di Parma alcun rafforzamento dell'organico, sebbene anche in questo caso la situazione dell'ufficio sia in concreto più gravosa rispetto a quella di altre procure emiliane paragonabili per dimensioni, per le quali sono invece previsti aumenti della pianta organica;
   i riscontri numerici sulla base dei quali sarebbero fondate le previsioni di potenziamento dell'organico elaborate dal Ministero, non terrebbero in adeguata considerazione il reale carico di lavoro degli uffici giudiziari di Parma che risente, inevitabilmente, della ricchezza e della vitalità del tessuto imprenditoriale provinciale classificata dal CENSIS al 12° posto su scala nazionale;
   è da non trascurarsi, inoltre il fatto che il circondario di Parma non è purtroppo esente dal fenomeno della criminalità organizzata;
   gli uffici giudiziari di Parma risultano essere ancora fortemente gravati dai procedimenti civili e penali scaturiti dal crack Parmalat che ancora li impegneranno per numerosi anni, con inevitabili ripercussioni sui tempi d'esame degli altri procedimenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della necessità di aumentare il numero dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Parma e se non ritenga di adottare tutte le più utili iniziative di competenza al fine di adeguare alle reali esigenze del territorio la dotazione organica dei giudici in servizio presso il tribunale di Parma. (4-14101)

  Risposta. — Nella consapevolezza che le esigenze di sviluppo del Paese richiedono amministrazioni pubbliche capaci di elaborare e attuare una programmazione efficace, di migliorare la qualità dei servizi e di conseguire un significativo recupero di efficienza per assicurare la soddisfazione delle esigenze degli utenti e il perseguimento degli obiettivi istituzionali, l'azione del Ministero della giustizia è stata improntata, negli ultimi anni, all'adozione di nuovi modelli organizzativi e di funzionamento degli uffici centrali e periferici.
  Al riguardo, l'adozione del nuovo regolamento di organizzazione del Ministero di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015 rappresenta un indispensabile supporto al cambiamento organizzativo e tecnologico degli uffici giudiziari, sostenendo i processi di rinnovamento dei relativi assetti organizzativi e lo sviluppo delle tecnologie in tutti i servizi dell'amministrazione della giustizia.
  Nella delineata prospettiva, il progetto di una ridefinizione complessiva degli organici degli uffici giudiziari si inserisce in una linea di intervento di più ampio respiro, fondata sulla necessaria complementarietà tra le misure di carattere normativo e quelle di innovazione organizzativa.
  Un razionale dimensionamento degli organici delle sedi giudiziarie risulta, difatti, fondamentale passaggio di ogni strategia di modernizzazione e potenziamento dell'organizzazione giudiziaria, quale indispensabile supporto delle politiche giudiziarie finalizzate a realizzare una struttura ordinamentale idonea a fornire adeguata risposta alla domanda di giustizia.
  In particolare, la revisione delle piante organiche dei magistrati risponde all'esigenza – più volte segnalata anche dal Consiglio superiore della magistratura – di contribuire a restituire efficienza al sistema giudiziario, consentendo l'apertura – all'esito della riforma della geografia giudiziaria, i cui effetti, come noto, si sono cristallizzati il 13 settembre 2014, allo spirare del termine di due anni per l'adozione dei cosiddetti decreti integrativi di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 14 settembre 2011, n. 148 – di una fase di modellamento dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari, necessaria per superare alcune disfunzioni riconnesse ai limiti della legge di delega originaria.
  Il progetto sintetizza l'esito del lavoro svolto dal tavolo di coordinamento istituito nel gennaio 2016 presso il mio gabinetto per la definizione delle nuove piante organiche di tutti gli uffici giudiziari, giudicanti e requirenti, di primo grado, ed analizza e conclude l'articolato piano di raccolta, elaborazione ed analisi dei dati statistici condotto dalle competenti articolazioni a far tempo dall'ottobre 2014.
  Si è tenuto conto, inoltre, nella fase di rielaborazione del quadro cognitivo complessivamente disponibile, degli elementi informativi e di giudizio emersi nell'ambito del confronto tecnico sviluppatosi in seno al comitato paritetico CSM – Ministero della giustizia, come noto istituito per l'individuazione di soluzioni condivise in materia di organizzazione giudiziaria.
  Le attività di elaborazione, analisi e valutazione così condotte hanno contribuito ad indirizzare lo sforzo di perseguimento dell'obiettivo di ottimizzazione della allocazione delle risorse organiche disponibili in misura compatibile con l'attuale assetto dimensionale ed organizzativo degli uffici giudiziari, rivelando la necessità di un approccio metodologico mirato a realizzare riassetti compensativi nell'ambito dei distretti o di macro-aree geografiche omogenee sotto il profilo socio-economico.
  In particolare, una più approfondita elaborazione statistica ha evidenziato che i molteplici dati considerati per la individuazione della «domanda di giustizia» abbisognano di continue integrazioni e di costante arricchimento degli indici di determinazione dell'effettivo carico di lavoro degli uffici.
  L'analisi è stata elaborata mediante l'impiego di numerosi parametri, alcuni utilizzati come fattore quantitativo diretto, mentre altri hanno assunto carattere di strumento di verifica e controllo dei risultati conseguiti e, se del caso, di fattore correttivo dei medesimi.
  L'individuazione e la considerazione riservata ai diversi indicatori è stata coniugata – come premesso – con le esigenze derivanti da fondamentali scelte di politica giudiziaria, con particolare riferimento alla necessità di dare adeguata risposta alla domanda di giustizia delle aree territoriali cui corrispondono i tessuti produttivi più rilevanti del Paese e dei quali è essenziale il sostegno dei processi di crescita, quanto di corrispondere alle peculiari esigenze di presidio del ruolo della giurisdizione sia nei territori caratterizzati dalla presenza di endemici e pervasivi fenomeni di criminalità organizzata, sia laddove comunque si avvertano precipue esigenze di salvaguardia e promozione della coesione sociale.
  Nell'alveo delle politiche di recupero dell'efficienza del sistema giudiziario, il progetto di revisione delle piante organiche del personale di magistratura è, inoltre, destinato ad essere soggetto ad una fisiologica azione di monitoraggio e verifica operativa, così da consentire l'adozione, ove necessario, di opportuni interventi integrativi e correttivi.
  Tale progressivo scrutinio di razionalità ed efficacia delle scelte dovrà alimentarsi del contributo di informazioni e valutazioni degli uffici giudiziari e della classe forense, che potranno così partecipare ad un innovativo percorso di revisione «permanente» delle piante organiche, che tenga conto dell'esperienza applicativa delle iniziative di riforma.
  Nel contesto così delineato, le piante organiche del personale di magistratura degli uffici giudiziari parmensi sono state – diversamente da quanto rappresentato nell'atto di sindacato ispettivo – incrementate rispettivamente di tre posti di giudice per il tribunale e di un posto di sostituto procuratore per la procura della Repubblica.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini (i cosiddetti «City User»).
  Alla stregua della lettura combinata dei predetti indicatori, pertanto, il tribunale e la procura della Repubblica di Parma sono stati dotati di unità aggiuntive, nel più ampio incremento del personale di magistratura del distretto, che vede complessivamente assegnati agli uffici giudiziari emiliani 22 posti di giudice e 6 di sostituto procuratore della Repubblica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 178 del 2012 è stato emanato con lo scopo di mutare la Croce rossa italiana (CRI) da ente pubblico non economico ad associazioni private di volontariato, le diverse sezioni territoriali dell'associazione sono divenute autonome e ognuna ha ottenuto la propria indipendenza economica, ma esse sono consociate dal principio di «unità», e sono sostenute in gran parte da finanziamenti privati;
   la privatizzazione della CRI avrebbe dovuto generare un risparmio notevole per il bilancio dello Stato valorizzando, inoltre, l'attività di volontariato puntando altresì ad un risanamento della gestione dell'Ente e parallelamente alla riduzione del contributo pubblico e alla crescita di quello privato, prevedendo ricollocamento di personale in esubero presso altre pubbliche amministrazioni;
   all'interno delle relazioni sullo stato di attuazione del decreto legislativo 178 del 2012 numeri 4-5 e 6, presentate dal Ministero della salute si evince come risulti complesso ridurre il numero del personale (Relazione n. 5 al 30 giugno 2015, sezione «Risorse umane») in quanto CRI è afflitta dalla piaga del precariato e foriera di un contenzioso infinito (ad esempio incentivo – posizione MEF 7336 – stabilizzazione del personale a seguito delle leggi finanziarie 2006-2007). All'interno della relazione n. 5 al 30 giugno 2015, sezione «Aspetti finanziari relativi al personale», si legge inoltre che «è lievitato il costo del personale a seguito del processo di stabilizzazioni in atto (personale civile da 1193 unità il 31.05.2013 a 1388 unità al 30.06.2015)». All'interno della relazione si legge inoltre che «Come già segnalato ampiamente da molto tempo – il contributo statale non è più sufficiente a coprire l'intero costo del personale che, a titolo esemplificativo nel bilancio consuntivo 2014 assorbiva il 108,84 per cento dei contributi erogati dalla Stato»;
   l'affermazione riportata, oltre ad apparire alquanto singolare in quanto a bilancio non risulta presente il personale precario che veniva retribuito esclusivamente attraverso una parte del ricavato derivante dalle attività convenzionali (gran parte provenienti dal circuito emergenziale 118 operando per il quale gli autisti-soccorritori hanno acquisito anche quindicennale esperienza), sottolinea che la totalità dei finanziamenti pubblici serva a coprire le competenze stipendiali del personale «di ruolo», sia esso tecnico, amministrativo e dirigenziale;
   nel corso degli anni 2014-2015 sono risultati vani i tentativi di far transitare il personale dalla CRI pubblica alle neonate associazioni private denominate associazioni di promozione sociale (APS) in quanto, solo una percentuale del 1,7 per cento del personale, di ruolo o in attesa di stabilizzazione, ha rinunciato a tale diritto transitando e mantenendo il contratto privato, come indicato all'interno dell'interrogazione n. 5/06700 presentata in data 16 ottobre 2015;
   in molte regioni italiane il personale tecnico, pur essendo considerato «in sovrannumero» – «interessato da percorsi di mobilità» e non «eccedentario» (Relazione n. 6 al 31 dicembre 2015 – pagina 16) è stato estromesso, dalla metà del 2014, dalle attività di autista soccorritore ed al suo posto sono stati assunti nuovi dipendenti con contratto privatistico (ad esempio in Campania, Emilia Romagna, Lombardia...) mentre tale personale viene usato per attività a costo vivo per l'ente pubblico CRI (ora ESACRI) senza che sia previsto un rimborso (ad esempio per il soccorso di prossimità);
   in altre regioni (ad esempio Piemonte), invece, il personale pubblico della CRI svolge ancora la medesima attività di autista soccorritore presso le neonate associazioni di promozione sociale mantenendo il proprio contratto. Le APS, adoperando il personale in convenzioni che prevedono un rimborso, restituiscono la quota percepita per gli stipendi al Comitato Centrale CRI;
   la scelta di non impiegare questo personale nell'attività da esso sempre espletata, oltre ad aumentare il deficit di bilancio di Croce rossa italiana, permette, inoltre di aprire la strada ad ulteriori contenziosi legali che i lavoratori stanno intentando contro l'ente e, oltre a configurare un mancato ritorno economico ai danni dello Stato; tale scelta comporta inoltre per l'interrogante un aumento dei costi sociali ed indiretti derivanti dalla deflessione nella qualità dei servizi erogati ai cittadini sia per la scarsa esperienza dei neoassunti (ai quali non è concesso potersi affiancare ai colleghi anziani), nonché per il vuoto normativo presente all'interno del circuito dell'urgenza-emergenza che sta generando per l'interrogante situazioni al limite della legalità (vedasi ultimi reportage televisivi e giornalistici); il tutto con conseguenti ricadute sulla cittadinanza;
   la legge 208 del 2015, articolo 1 comma 397, recita che gli autisti-soccorritori della CRI devono essere assorbiti, anche in sovrannumero, all'interno degli enti/aziende sanitarie del Servizio sanitario nazionale e che le spese per il loro trattamento economico deriverà dalla quota di finanziamento del Servizio sanitario nazionale erogato annualmente alla CRI e quindi all'Ente pubblico;
   per lo Stato non si evince alcun risparmio economico in quanto, come emerso dalle relazioni Ministeriali menzionate, la totalità dei fondi pubblici viene utilizzata dalla CRI per la copertura delle competenze stipendiali e questi fondi continueranno ad essere elargiti dallo Stato in quanto, il 1° gennaio 2018 anche le ultime unità di personale rimasto in Cri-Esacri verrà trasferito presso altre amministrazioni con corrispondente trasferimento delle risorse economiche all'ente che accoglierà i lavoratori;
   neppure la componente volontaristica a quanto consta all'interrogante appare entusiasta del processo di privatizzazione della CRI tanto che, oltre a prendere atto delle oggettive osservazioni pervenute, risulta scarsissima la partecipazione della stessa alla vita politica delle associazioni (una sola candidatura alla presidenza nazionale, così come in molte regioni e province e comitati locali che risultano già essere stati commissariati –:
   se, alla luce di quello che appare agli interroganti il palese disattendimento dei principi ispiratori che sono stati alla base del decreto legislativo n. 178 del 2012, non ritenga necessario assumere iniziative urgenti per sospendere gli effetti normativi derivati dall'applicazione del decreto legislativo n. 178 del 2012 e per rivedere il processo di riordino di CRI affinché si possa pervenire ad una reale, efficace ed efficiente riorganizzazione e non a quella che appare una fallimentare privatizzazione che, oltre a non apportare alcun risparmio alle casse dello Stato, priva i dipendenti della dignità e del lavoro ma, soprattutto, crea danni economici, etici, sanitari e sociali ai cittadini. (4-13371)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Dal 1o gennaio 2016 le funzioni esercitate dalla precedente associazione italiana della croce rossa (C.R.I.) sono state trasferite alla costituita Associazione della croce rossa italiana; gli organi dell'ente strumentale alla Croce rossa italiana sono stati nominati con decreto ministeriale 29 dicembre 2015.
  Lo statuto provvisorio del suddetto ente strumentale è stato adottato in data 1o giugno 2016, con decreto interministeriale, debitamente registrato dall'organo di controllo, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo n. 178 del 2012 e dell'articolo 10, comma 7-bis, del decreto-legge n. 210 del 2015 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2016.
  L'articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, ha esteso al personale dell'Ente strumentale alla croce rossa italiana le disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che disciplinano la ricollocazione del personale delle province in mobilità.
  Al riguardo, si segnala che, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, è stato registrato in data 24 giugno 2016 dalla Corte dei conti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato il 25 marzo 2016, recante i criteri e le modalità di equiparazione del personale già appartenente al Corpo militare al personale civile della Croce rossa italiana; tale provvedimento è di fondamentale importanza ai fini dell'applicazione al predetto personale dell'ente strumentale alla Croce rossa italiana della procedura di mobilità in questione, già avviata dal dipartimento della funzione pubblica.
  A tale proposito, sono stati recentemente pubblicati sul «portale mobilità» del suddetto dipartimento della funzione pubblica, la graduatoria nazionale provvisoria ed i risultati dell'incrocio tra domanda e offerta dei posti resi disponibili dalle amministrazioni, relativi anche al personale dipendente della Croce rossa italiana.
  Ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n. 178 del 2012, al fine di coordinare e supportare il processo di mobilità del personale, è operante la sede di confronto istituita presso il dipartimento della funzione pubblica, alla quale partecipano rappresentanti dello stesso dipartimento, dei Ministeri della salute, dell'economia e delle finanze e della difesa, dell'ente strumentale alla croce rossa italiana e dell'Associazione della croce rossa italiana, delle regioni e delle organizzazioni sindacali del personale della Croce rossa italiana.
  Si segnala che, in esito alla conclusione della prima fase della procedura in questione, dal mese di settembre 2016 vengono collocati 681 dipendenti presso le amministrazioni richiedenti.
  Si è proceduto all'avvio della seconda fase, con la quale sarà collocato il restante personale.
  Si rammenta che l'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo n. 178 del 2012, come modificato dal comma 397, dell'articolo 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), prevede che gli enti e le aziende del Servizio sanitario nazionale, anche delle regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari e ai programmi operativi in prosecuzione degli stessi, sono tenuti ad assumere con procedure di mobilità, anche in posizione di sovrannumero e ad esaurimento, il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato della Croce rossa italiana e quindi dell'ente con funzioni di autista soccorritore e autisti soccorritori senior, limitatamente a coloro che abbiano prestato servizio in attività convenzionate con gli enti medesimi per un periodo non inferiore a cinque anni.
  Nell'ambito del tavolo tecnico con i rappresentanti regionali, nella riunione del 2 agosto 2016, si è condivisa l'ipotesi di far decorrere dal 1o gennaio 2017 le assunzioni del personale in mobilità di cui al menzionato articolo 6, comma 7, del decreto legislativo n. 178 del 2012, in considerazione della complessità della relativa procedura e del conseguente trasferimento alle regioni delle quote di contributo alla Croce rossa italiana corrispondenti ai costi del personale trasferito; nelle more dell'espletamento della medesima procedura, è stata segnalata alle Regioni la possibilità di utilizzare, già nel corrente anno 2016, il personale in questione con lo strumento dell'avvalimento di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 178 del 2012, ai sensi del quale il personale medesimo della Croce rossa italiana, previa convenzione, può prestare temporaneamente la propria attività presso altre pubbliche amministrazioni, anche con oneri a carico del finanziamento pubblico del predetto Ente, che rimane esclusivamente responsabile nei confronti del lavoratore del trattamento economico e normativo.
  In tal modo sarà possibile impiegare proficuamente il personale presso le amministrazioni richiedenti già prima della conclusione del procedimento di mobilità.
  Da ultimo, si segnala che sono in corso di approvazione il regolamento di organizzazione e funzionamento e la nuova dotazione organica dell'ente strumentale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ROSTAN. – Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento il 5 febbraio 2014 ha provveduto alla conversione in legge del decreto-legge n. 136 del 2013 «Terra dei Fuochi»;
   il testo definitivo, licenziato dal Parlamento, ha previsto, tra le varie disposizioni in esso articolate a tutela dell'ambiente e nell'ambito delle strategie di contrasto ai roghi tossici, l'introduzione del reato di combustione dei rifiuti, una spinta alle attività di bonifica dei suoli inquinati, il conferimento di poteri speciali al prefetto di Napoli, la creazione, presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di un gruppo per il monitoraggio, la mappatura dei terreni inquinati, l'uso dell'esercito e lo screening sanitario gratuito per i cittadini residenti in Campania e Puglia;
   il testo, inoltre, ha previsto il coinvolgimento, ai fini delle attività di monitoraggio ambientale e dello stato di salute della cittadinanze residente in Campania ed in Puglia, ed in particolare nei territori a rischio inquinamento e roghi tossici, dell'Istituto superiore della sanità, nonché l'implementazione dello studio «sentieri»;
   la legge, inoltre, ha accolto anche molte delle richieste fatte da comitati e associazioni ambientaliste in sede di audizione, con particolare riferimento alla previsione di particolari strumenti di accelerazione delle bonifiche, l'utilizzo dell'Esercito a scopo di sorveglianza, nonché l'istituzione di un fondo ad hoc (fondo unico giustizia) alimentato dalla confisca dei beni provenienti dalle attività della criminalità organizzata e dai guadagni legati agli eco-reati per reperire risorse per le bonifiche;
   alta è l'attenzione dell'opinione pubblica circa lo stato di applicazione delle norme contenute nel decreto-legge sulla «terra dei fuochi», nonché fortissime sono le aspettative e le speranze delle popolazioni residenti in Campania, ed in particolare, nell'area a nord di Napoli, nel casertano e nell'agro nolano, territori martoriati dalle eco-mafie che, negli anni, non hanno mai esitato di fronte alla possibilità di assicurarsi facili e cospicui guadagni attraverso lo sversamento abusivo di rifiuti tossici e di roghi dolosi;
   nonostante i buoni propositi del legislatore, ad oltre due anni dalla sua entrata in vigore, non accennano a diminuire, nella terra dei fuochi, i roghi tossici e gli sversamenti abusivi di rifiuti;
   si sta diffondendo, tra le popolazioni residenti, che pure hanno accolto con favore e speranza il testo di legge sopra descritto, un preoccupante sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni e questo proprio a causa del forte rallentamento che stanno subendo le modalità di attuazione del decreto-legge «terra dei fuochi», con particolare riferimento al dispiegamento dell'Esercito, all'avvio delle bonifiche, al contrasto ai roghi tossici, ancora molto diffusi con frequenza praticamente giornaliera;
   tra i territori più colpiti dal fenomeno dei roghi tossici figurano, ormai stabilmente, i comuni di Giugliano in Campania. Melito di Napoli, Casoria, Casalnuovo, Afragola, Scampia (popoloso quartiere della città di Napoli) e Qualiano, per i quali si rende indispensabile un aumento dei controlli da parte delle forze dell'ordine a supporto delle forze di polizia locali;
   nell'ultimo mese, in soli tre giorni, in tre zone del giuglianese e precisamente presso la cosiddetta area «Gesen», a ridosso di un vecchio campo Rom dismesso, presso la zona ASI e presso le vie di accesso del campo Rom di Via San Francesco a Patria, si sono sprigionati tre grossi incendi di natura dolosa, aventi ad oggetto sterpaglie miste a rifiuti tossici per i quali la procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli nord avrebbe aperto un'inchiesta;
   e ancora, pochi giorni addietro, alla periferia di Napoli, al confine tra il capoluogo ed i comuni di Casoria, Afragola e Casalnuovo, all'altezza del centro commerciale IKEA, si è levato uno dei roghi tossici più gravi del 2016, almeno finora, che ha visto bruciare grossi cumuli di rifiuti, copertoni ed alcune baracche del campo Rom di Contrada Salice, con alcune fiamme che sono arrivate a lambire l'impianto di una nota società di lavorazione e trattamento di carburanti;
   occorre fornire una risposta immediata, rapida e capillare avverso un fenomeno sempre più diffuso ed emergenziale e che sta mettendo fortemente a rischio la salute ed il futuro di intere comunità –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare per accelerare, incrementare e migliorare la sinergia tra le varie istituzioni coinvolte nel presidio del territorio per il contrasto del fenomeno dei roghi tossici tanto diffuso nella cosiddetta terra dei fuochi. (4-14173)

  Risposta. — Per contenere il fenomeno dei roghi dolosi di rifiuti, l'amministrazione dell'interno ha da tempo messo in campo un complesso dispositivo di intervento, dispiegando un'azione articolata su più livelli e con il coinvolgimento, accanto a tutte le componenti statali interessate, dei vari organi di governo del territorio, in primis la regione e i comuni, e dell'associazionismo; il tutto nel quadro delle attività previste nel patto per la terra dei fuochi, attuate con il coordinamento dei prefetti di Napoli e Caserta e dell'incaricato del Governo per il contrasto del fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania.
  Al fine di fronteggiare al meglio un fenomeno plurifattoriale quale quello in questione si è optato dunque per un approccio di tipo interistituzionale e coordinamentale che si è rivelato alquanto proficuo.
  Ed in effetti i dati evidenziano che, a decorrere dal 2013, si è registrata una netta diminuzione degli interventi di spegnimento di incendi di rifiuti.
  Circostanza quest'ultima non casuale, considerato che proprio a cavallo tra il 2013 e il 2014, il Parlamento ha approvato, su impulso del Governo, un provvedimento di urgenza, il decreto-legge n. 136 – di cui si fa menzione nell'interrogazione – contenente un ricco strumentario di misure volte ad affrontare le criticità ambientali, agricole, socio-economiche e sanitarie legate all'illecito smaltimento dei rifiuti in Campania. Tra tali misure, l'introduzione del delitto di illecita combustione dei rifiuti e l'autorizzazione ad impiegare i militari delle forze armate, in affiancamento alle forze di polizia, nelle attività di controllo della terra dei fuochi finalizzate alla prevenzione dei reati di criminalità ambientale.
  I dati relativi al 2015 hanno confermato ed ampliato il calo del fenomeno, con un 63 per cento in meno in provincia di Caserta e un 42 per cento in meno nell'area metropolitana di Napoli rispetto al 2012.
  Le statistiche più recenti, riguardanti i primi sei mesi dell'anno in corso, evidenziano che la flessione prosegue per la città metropolitana di Napoli con un ulteriore 10 per cento in meno rispetto allo scorso anno e il 55 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2012. Diversamente, in provincia di Caserta, dove – come si è detto – maggiore era stata finora la contrazione del fenomeno, negli ultimi sei mesi si è registrato un dato in aumento del 10 per cento rispetto al 2015, ma comunque in netta diminuzione rispetto al 2012 (60 per cento in meno).
  V’è da dire che il dato al rialzo nel Casertano si spiega essenzialmente con le difficoltà amministrative, organizzative e finanziarie che alcuni comuni stanno incontrando nell'esercitare le proprie competenze ordinarie, tra le quali quella della raccolta dei rifiuti urbani e assimilati.
  Va evidenziato, al riguardo, che negli ultimi due mesi sia in provincia di Napoli che di Caserta sì sono registrati alcuni incendi di vaste dimensioni e di diversa matrice, che hanno riacutizzato la preoccupazione e l'allarme nella cittadinanza a causa della successione ravvicinata nel tempo, della localizzazione in comuni compresi nell'area della terra dei fuochi e del collegamento alla questione dei rifiuti.
  In particolare, si è trattato di episodi incendiari appartenenti a tipologie non omogenee, rispetto alle quali le pubbliche autorità hanno adottato ulteriori iniziative di prevenzione, modulate alla specificità dei contesti.
  E così, rispetto agli incendi di vegetazione, strettamente legati alla stagione secca e alle alte temperature stagionali, sono state date per tempo precise direttive alle amministrazioni comunali, agli enti parco e agli enti proprietari delle strade perché attivassero una serie di misure di prevenzione antincendio tra cui la pulizia del sottobosco, la realizzazione di barriere frangifuoco, il taglio delle sterpaglie, e organizzassero un primo intervento, anche con l'impiego di volontari, nel periodo di massima pericolosità. Sempre gli enti locali sono stati sollecitati ad effettuare, anche con il supporto delle società regionali in house, interventi tempestivi di pulizia e di rimozione dei rifiuti sversati in zone esposte a particolare rischio di incendi di vegetazione e sterpaglie.
  Quanto agli incendi in prossimità o all'interno di insediamenti rom, le amministrazioni comunali sono state sensibilizzate ad attuare uno sforzo supplementare volto a garantire presso tali strutture, unitamente all'ordinaria e indispensabile attività di raccolta dei rifiuti urbani, anche urgenti interventi straordinari di rimozione di quelle tipologie di materiale, che presentano una maggiore capacità di combustione e di propagazione dei fumi tossici.
  In questo specifico ambito, si registra negli ultimi tempi l'adozione da parte dell'Autorità giudiziaria di provvedimenti di sequestro e sgombero di alcuni campi, a causa delle situazioni di grave degrado igienico, sanitario e ambientale degli stessi e dalla perpetrazione di condotte illegali, tra le quali appunto la combustione di rifiuti. Su impulso della prefettura, sono stati avviati con il comune capoluogo e quello di Giugliano e con il sostegno finanziario del Ministero dell'interno, percorsi di miglioramento complessivo delle condizioni di vita e dell'integrazione sociale dei rom – che nell'intera provincia sono circa 4500 – subordinati all'adesione da parte degli stessi a comportamenti improntati al rispetto delle regole di civile convivenza.
  Per quanto riguarda gli incendi dolosi di rifiuti, per i territori più esposti a tale rischio, compresi nei comuni di Castel Volturno, Giugliano, Acerra e Caivano, i prefetti competenti e l'incaricato del Governo per il contrasto del fenomeno hanno promosso e coordinato, fin dalla primavera, numerosi incontri per la predisposizione di specifiche misure che prevedono interventi di risanamento dei siti storici di abbandono dei rifiuti, di rimozione urgente dei rifiuti a rischio di incendio, di potenziamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, di rafforzamento delle misure di vigilanza e di repressione dei fenomeni, anche con il ricorso a telecamere mobili nascoste e a sistemi di videosorveglianza.
  Con l'obiettivo di rafforzare ulteriormente la vigilanza sui territori più esposti, è stata di recente approvata dai comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica di Napoli e Caserta una nuova pianificazione dei servizi mirante a concentrare nelle 24 ore, su sei quadranti operativi, i 200 uomini dell'Esercito ugualmente distribuiti tra le province di Napoli e Caserta.
  Nel contempo viene sperimentata una modalità di impiego variabile del contingente militare, che coniuga le esigenze di vigilanza ravvicinata dei siti più sensibili con il controllo ad ampio raggio lungo gli assi viari di usuale transito dei veicoli che trasportano illegalmente rifiuti e con postazioni di osservazione nelle aree nevralgiche per individuare e fermare i responsabili dello smaltimento illegale e dei roghi.
  Finora i militari in questione:
   hanno effettuato 138 fermi di persone sospette, avviate ai presidi di polizia per il prosieguo amministrativo o di polizia giudiziaria;
   hanno censito e segnalato ai comuni per le attività di rimozione di competenza 1809 siti di abbandono dei rifiuti;
   sono intervenuti su 356 luoghi di incendio in atto.

  Queste misure si aggiungono alle attività di contrasto condotte, su tutta l'area dei 90 comuni individuati in base alla legge, dalla task force delle forze dell'ordine e delle polizie locali contro i reati ambientali, che hanno effettuato dall'inizio delle operazioni:
   3.352 controlli sulle aziende per la verifica delle procedure di trattamento degli scarti di lavorazione;
   4.020 contravvenzioni per violazioni amministrative;
   1.329 denunce per violazioni ambientali, di cui 139 per il reato di incendio di rifiuti;
   108 arresti, di cui 75 per il predetto reato;
   564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti;
   340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto;
   500 mila euro di sanzioni amministrative.

  Per rendere ancora più incisiva la repressione, è operativo un tavolo di lavoro con la procura generale di Napoli e le procure della Repubblica di Napoli, Napoli nord, Nola, Santa Maria Capua Vetere per l'omogenea e tempestiva applicazione della normativa che ha introdotto di recente i nuovi delitti contro l'ambiente. A tal fine, si è tenuta una specifica attività di formazione interforze per «detective ambientali», diretta ad oltre 300 uomini delle Forze di polizia, dei vigili del fuoco e delle polizie locali.
  In parallelo, sul piano amministrativo sono in corso di attuazione misure per il supporto giuridico, tecnico e finanziario degli enti locali, funzionali alla realizzazione di interventi di bonifica, riqualificazione e telecontrollo del territorio, attuate mediante società in house della regione Campania nonché attraverso il sistema di prelievo – gratuito per i Comuni – degli pneumatici abbandonati su strade e aree pubbliche (finora pari a oltre 10 mila tonnellate) in attuazione del protocollo siglato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'incaricato del Governo e dalla società Ecopneus.
  Vi è, inoltre, un ampio coinvolgimento delle associazioni ambientaliste e civiche. In particolare, in attuazione del programma Europa per i cittadini, l'incaricato del Governo e la Federazione delle associazioni e dei comitati civici hanno costituito la rete degli osservatori civici per la tutela della salute e dell'ambiente, che conta già oltre 350 aderenti.
  La partecipazione e la collaborazione della cittadinanza si avvale, in particolare, anche dell'applicazione per smartphone «Aiutateci a spegnere i fuochi» che permette ad ogni cittadino, con l'invio di una semplice segnalazione geo-referenziata fotografica, di attivare gli interventi dei vigili del fuoco, dei comuni e delle forze dell'ordine sui luoghi di incendio e di abbandono dei rifiuti.
  Si rappresenta che l'impianto delle misure sinteticamente descritte è stato recepito nel piano di interventi approvato il 1o agosto 2016 dal comitato interministeriale di cui al citato decreto-legge n. 136 del 2013, che ha deciso nel contempo di sottoporre il documento all'esame del Cipe per attivare le necessarie fonti di finanziamento degli interventi previsti.
  Il piano operativo indica le linee di intervento e le misure da attuare in un contesto di ampio respiro che coniuga il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello – più che mai attuale – del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà attinenti allo smaltimento abusivo dei rifiuti, che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare possibili ricadute negative sul piano economico e dello sviluppo.
  Sotto lo specifico profilo della sicurezza, le misure indicate nel piano sono orientate a potenziare la capacità di contrasto dei fenomeni da parte delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco, dell'esercito e delle polizie locali, dotando tali organismi di strumenti tecnologici di supporto, quali i sistemi di video-sorveglianza, tele-rilevamento e geo-referenziazione per il pronto intervento, e mettendoli nelle condizioni di utilizzare a pieno e nella maniera più incisiva il nuovo codice penale dell'ambiente, attraverso un'attività formativa che coinvolge anche le procure.
  Il documento approvato tiene conto anche del fatto che l'azione di contrasto e repressione non può prescindere dal sostegno agli enti locali, cioè ai soggetti che, nella filiera istituzionale, hanno dimostrato maggiori difficoltà, per ragioni economiche e carenze strutturali, a dare seguito agli impegni assunti nell'ambito delle loro competenze di governo e di tutela del territorio. Proprio per tale motivo si prevede che una delle più cospicue delle linee di finanziamento sia destinata proprio ai comuni.
  Un ulteriore profilo che viene valorizzato è quello del positivo coinvolgimento della cittadinanza attiva, considerato un fattore chiave per arrivare a quel cambiamento di comportamenti, di modo di fare impresa e di amministrare, indispensabile a conseguire una soluzione definitiva e duratura al problema della terra dei fuochi.
  Si tratta, in sostanza, di un piano ambizioso che si articola in cinque anni, dal 2016 al 2020, nella consapevolezza che solo attraverso un lavoro di lungo periodo e costante si potrà incidere a fondo su una criticità così complessa e sedimentata negli anni.
  Infine, si informa che nella giornata di ieri si è tenuta una riunione presso la prefettura di Napoli, con la partecipazione di tutte le componenti istituzionali interessate delle province di Napoli e Caserta, promossa con l'obiettivo di definire ulteriori misure operative in tema di prevenzione e contrasto del fenomeno dei roghi.
  Sul versante dei controlli, è stato deciso di istituire, per il contrasto dello smaltimento illecito di rifiuti provenienti da attività economiche in nero e abusive, una task force composta, oltre che dalle Forze di polizia – con un ruolo specifico della Guardia di finanza –, dalla direzione territoriale del lavoro, dalle aziende sanitarie locali e dall'Inail.
  Anche i 200 militari dell'esercito attueranno i loro servizi con modalità rivisitate in relazione alle specifiche esigenze, secondo uno schema operativo più flessibile, avvalendosi tra l'altro dell'impiego di droni che la regione Campania si è dichiarata disponibile a fornire e che consentirà il monitoraggio h24 di aree più ampie e l'effettuazione di interventi più rapidi.
  Per favorire l'attività di monitoraggio e controllo delle aree a rischio e la tempestività della risposta di prevenzione e contrasto, la regione si è resa disponibile:
   a incrementare la rete di videosorveglianza con l'impiego di 200 web-cam e di telecamere «trappola» a raggi infrarossi a supporto dell'azione investigativa delle forze di polizia, in modo da consentire l'individuazione dei responsabili degli incendi;
   a implementare, quale elemento cardine per una mappatura puntuale e aggiornata in tempo reale dei fenomeni, la propria piattaforma informatica Iter, sulla quale già confluiscono tutti i dati e gli elementi informativi del sistema di protezione civile, dei vigili del fuoco, dell'esercito e delle altre componenti istituzionali, delle associazioni e dei privati cittadini;
   a fornire ai vigili del fuoco, per il ruolo fondamentale da essi svolto, un'ulteriore dotazione di mezzi di ultima generazione da dedicare unicamente agli interventi di spegnimento dei roghi.

  Tali iniziative sono inserite nel più ampio quadro di un piano regionale articolato in macro aree che contiene azioni e risorse rivolte a potenziare e accelerare la bonifica dei siti interessati da abbandoni e roghi di rifiuti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «H.D.S. Public Facilities Sud s.r.l.», è una società attualmente in liquidazione;
   sedici unità di personale furono assunte dalla «Headmost Division Service Facility Management s.p.a.» per un appalto ottenuto dal 1° maggio 2011 (e doveva essere fino al 2015) da «Ferservizi s.p.a.», afferente al gruppo «Ferrovie dello Stato»;
   dal 1° gennaio 2013 il suddetto personale fu spostato ad «HDS SUD P.F. SRL.» che era partecipata al 100 per cento da «Headmost Division Service Facility Management s.p.a.» con l'assenso di «FERSERVIZI SPA»;
   a quanto risulta all'interrogante «HDS PF SUD SRL.» sarebbe debitrice nei confronti del personale suddetto di quanto spettante per il lavoro effettuato alla propria dipendenza da giugno 2013, oltre ai contributi dovuti da luglio a settembre 2013;
   a settembre del 2013 l'appalto è stato rilevato da altra azienda che ha preso in carica i lavoratori, perché «Ferservizi s.p.a.» interrompeva il rapporto con «HDS PF SUD.» per inadempienza di quest'ultima da luglio 2013;
   da quel momento la «HDS PF SUD» si sarebbe resa irreperibile, finanche al prefetto di Napoli, annullando i numeri telefonici fino ad allora ad essa intestati, non ricevendo la posta inviata all'indirizzo Pec o alla sede legale e cambiando più volte nel giro di sei mesi l'amministratore unico;
   data tale irreperibilità, i dipendenti avrebbero intimato a mezzo posta gli adempimenti del pagamento delle retribuzioni, dei contributi, TFR e l'emissione del CUD 2013, senza ricevere risposta alcuna, nemmeno, dal liquidatore;
   «Ferservizi s.p.a.», nonostante l'obbligo solidale nei confronti dei lavoratori in questione, pur essendo perfettamente a conoscenza della situazione, non si è fatta carico, a quanto consta all'interrogante, del pagamento diretto ai lavoratori in questione;
   ciò è stato denunciato alla procura della Repubblica di Napoli;
   dal mese di giugno 2013 a ottobre 2013 i lavoratori in questione sono stati privati di ogni forma di reddito, perché la «HDS PF SUD SRL», prima di rendersi di fatto irreperibile, non aveva provveduto ad effettuare i licenziamenti ufficialmente;
   «Ferservizi s.p.a.» nel frattempo ha affidato per 21 mesi il servizio per cui erano stati assunti i dipendenti in questione (ovvero l'espletamento di una serie di servizi per la sede «Ferrotel» campana) ad altra società, la «CNCP», che a sua volta essendo un consorzio ha affidato servizio e dipendenti ad una consorziata, la cooperativa «Labor»;
   tale cooperativa ha circa 450 dipendenti;
   per assumere i lavoratori in questione la «Labor» ha chiesto ed ottenuto la rinuncia alle anzianità di servizio ed ai livelli lavorativi raggiunti, operando dunque assunzioni part time ed ex novo, con una perdita per i dipendenti neoassunti del 50 per cento dello stipendio, e promettendo in cambio la continuità lavorativa;
   invece il 15 aprile 2014 «Ferservizi s.p.a.» chiude l'impianto «Ferrotel» in questione e «CNCP» e di conseguenza «Labor», che con l'assunzione ex novo aveva fatto perdere ai dipendenti in questione la possibilità della mobilità, ha messo gli stessi in cassa integrazione straordinaria per non licenziarli;
   la cooperativa «Labor» non ha voluto prendere in considerazione soluzioni alternative come il contratto di solidarietà;
   gli altri 450 dipendenti sono in «solidarietà», ed ogni mese, non potendo da soli coprire i turni, vengono chiamati a fare straordinari, che potrebbero invece essere coperti dai lavoratori in cassa integrazione straordinaria con una diminuzione dei costi;
   la «Labor» ha anche rifiutato di anticipare la cassa integrazione guadagni straordinaria, quindi i primi fondi verranno erogati ai dipendenti in questione non prima di ottobre o novembre 2014;
   nel frattempo una quindicina di famiglie è messa in una condizione di completa ed inaccettabile invivibilità –:
   se non ritengano i Ministri di dover agire, per quanto di competenza, per tutelare i lavoratori in questione;
   se non ritengano opportuna l'apertura di un tavolo di confronto per trovare una soluzione che permetta agli stessi ed alle loro famiglie un'esistenza dignitosa e serena. (4-05354)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame per la parte di competenza del Ministero dello sviluppo economico, rappresentando quanto segue.
  Tale interrogazione concerne, infatti, le vicende della società H.D.S. Public facilities sud s.r.l., aggiudicataria di appalti di lavori per la Ferservizi spa del gruppo «Ferrovie dello Stato», che hanno coinvolto anche altre società divenute affidatarie dei medesimi lavori a causa della liquidazione della predetta H.D.S., tra cui il Consorzio nazionale cooperative pluriservizi e la società cooperativa Labor, con conseguenze negative per i lavoratori.
  Si informa, a riguardo, che il Consorzio nazionale cooperative pluriservizi (da ora Consorzio), aderente a Confcooperative, è stato assegnato al Ministero dello sviluppo economico in ispezione straordinaria il 26 novembre 2015. La citata assegnazione è avvenuta nell'ambito di un «programma straordinario di ispezioni» avviato in seguito alla costituzione di un tavolo di lavoro al quale hanno partecipato, oltre al Ministero dello sviluppo economico, le associazioni di rappresentanza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nonché l'Agenzia delle entrate.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha individuato a campione alcune categorie di cooperative da includere nel suddetto programma straordinario quali quelle di: produzione e lavoro con attività di logistica e pulizia, trasporto con attività di logistica e movimentazione, lavoro agricolo e sociale con attività di pulizia e logistica.
  Le verifiche al consorzio sono tuttora in corso poiché gli ispettori inviati hanno diffidato l'ente a sanare alcune irregolarità tra cui quella relativa alla categoria di iscrizione nell'albo delle cooperative (da quella di «produzione e lavoro» a quella di «altre cooperative»).
  Il consorzio, nelle more della diffida, nel presentare le sue controdeduzioni ha richiesto in merito un parere al Ministero stesso che, attesa la possibile rilevanza sistematica della questione, sarà sottoposto alla prima riunione utile della commissione centrale per le cooperative.
  Analoga attività ispettiva straordinaria, disposta in data 26 novembre 2015 è attualmente in corso nei confronti della società cooperativa Labor.
  Il Ministero dello sviluppo economico avrà cura di fornire gli esiti dell'attività ispettiva relativa ad entrambe le società, non appena si concluderanno gli accertamenti, rendendosi disponibile ad attivarsi su richiesta delle parti, al fine di affrontare le problematiche emerse.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Fonderie Pisano & C. è una società per azioni che si occupa di produzione di ghisa di seconda fusione;
   lo stabilimento della società in questione si trova dal 1961 nel quartiere Fratte di Salerno;
   la sentenza n. 415/2007 del tribunale di Salerno ha ritenuto responsabile la Fonderie Pisano & C. di danni ambientali e biologici a causa di attività fortemente inquinanti;
   ciononostante la società ha proseguito le sue attività, e la delocalizzazione dello stabilimento più volte annunciata non è mai avvenuta;
   negli ultimi anni centinaia di famiglie hanno denunciato problemi con le polveri ferrose emesse dalla fabbrica, che si depositano anche nelle abitazioni;
   è inoltre forte il timore che i tumori che hanno colpito diverse persone nell'area possano essere riconducibili ai fumi e agli scarichi delle fonderie;
   nel 2015, in occasione di un secondo processo per danno ambientale a carico della Fonderie Pisano & C., è stata segnalata la mancata osservanza di norme per la sicurezza dei lavoratori e, anche per via di un vetusto ed inadeguato sistema di captazione dei fumi di produzione, l'emissione di fumi contenenti polveri di natura cancerogena;
   si parlava, in particolare, di materiale particellare a base di piombo e cadmio, composti organici volatili (COV) contenenti, tra l'altro, monossido di carbonio, anidride carbonica, solventi aromatici, e anidride solforosa;
   a seguito anche di controlli straordinari effettuati dall'Arpac di Caserta, sono emerse numerose criticità ambientali, il 19 febbraio 2016 il Presidente della regione Campania ha emesso un provvedimento di sospensione temporanea delle attività della società;
   poco più di due settimane dopo la regione Campania ha concesso la ripresa delle attività produttive;
   il «Comitato Salute e Vita» ha recentemente segnalato la mancanza del certificato di prevenzione incendi per lo stabilimento della Fonderie Pisano & C.;
   tale mancanza, sommata alle altre già emerse nel corso degli anni, non fa che confermare lo scarso rispetto delle norme ambientali e relative alla salute e alla sicurezza dei lavoratori dello stabilimento;
   si parla, peraltro, di un'attività che per sua natura è ad alto rischio di incendi –:
   se non ritengano, per quanto di competenza, di dover assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza necessaria affinché presso lo stabilimento della Fonderie Pisano & C. vengano rispettati adeguatamente le norme a tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti;
   se non ritengano necessario assumere ogni iniziativa di competenza finalizzata a bilanciare i diritti lavorativi e occupazionali dei dipendenti della società ed il diritto alla salute degli stessi e degli abitanti della zona. (4-12726)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  In merito alla problematica in esame, la giunta regionale della Campania ha inteso precisare quanto segue.
  In data 28 gennaio 2016, le autorità regionali hanno acquisito le risultanze dell'ispezione straordinaria richiesta dall'autorità giudiziaria ed effettuata dal dipartimento Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania (Arpac) Caserta presso la «Ditta Fonderie Pisano & C. spa», ubicata in Salerno, da cui sono emerse numerose e gravi violazioni nella gestione degli impianti.
  In data 19 febbraio 2016, la ditta è stata diffidata a rimuovere le criticità riscontrate, con contestuale sospensione dell'attività per un tempo indeterminato.
  In data 2 marzo 2016, la ditta ha fatto richiesta di sopralluogo per la verifica delle attività di adeguamento, comunicando la rimozione delle criticità riscontrate da Arpac Caserta.
  Il giorno 8 marzo 2016, l'Arpac Salerno ha trasmesso verbale del sopralluogo di verifica degli interventi eseguiti dalla ditta per la rimozione delle criticità riscontrate, non evidenziando motivi ostativi alla ripresa dell'attività lavorativa, la quale è stata disposta il 9 marzo 2016, con prescrizioni in merito alle attività e controlli da svolgersi e in particolare:
   1) è stato fatto obbligo alla «Ditta Fonderie Pisano & C.» spa di effettuare, entro trenta giorni dal riavvio dell'esercizio, tutti gli autocontrolli previsti dal piano di monitoraggio e controllo. Il dipartimento Arpac di Salerno verificherà la regolarità delle misure ed il rispetto dei valori limiti di emissione;
   2) il dipartimento Arpac di Salerno, entro trenta giorni dal riavvio dell'esercizio, condurrà propri controlli, anche di tipo analitico;
   3) la «Ditta Fonderie Pisano & C.» spa deve produrre, entro quindici giorni dalla ricezione del provvedimento, istanza per la regolarizzazione amministrativa delle modifiche proposte e/o già attuate, anche se migliorative degli aspetti ambientali;
   4) l'Asl di Salerno valuta l'opportunità di attivare una rete di monitoraggio biologico, ambientale ed umano, che accompagni l'attuazione delle prescrizioni, per valutarne gli effetti dal punto di vista sanitario, in termini di tutela della salute dei lavoratori e della popolazione generale;
   5) il dipartimento Arpac di Salerno dovrà svolgere apposita attività ispettiva sull'installazione, con periodicità non superiore ai sei mesi.

  Con la medesima nota, alla direzione tecnica Arpac di Napoli è stato demandato l'incarico dell'urgente invio di apposita relazione di valutazione, di concerto con la competente dell'Asl, che per i diversi comparti ambientali e di intervento, verifichi, da un lato, la sussistenza ed applicabilità di tecnologie e pratiche operative ottimali, capaci di contenere al minimo l'impatto, dall'altro, dell'idoneità di tali tecnologie e pratiche a garantire la protezione della salute e dell'ambiente, individuando idonei strumenti per la verifica e il monitoraggio di tali aspetti, per consentire alle competenti autorità regionali la valutazione del ricorso alla procedura di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale o di variazione dell'installazione.
  In esito alla relazione di valutazione sarà disposta la procedura di riesame per l'autorizzazione integrata ambientale.
  Con nota del 6 aprile 2016, il comune di Salerno ha comunicato che l'Asl Salerno ha attivato, a partire dal 14 marzo 2016, uno studio epidemiologico osservazionale in collaborazione con il dipartimento di medicina e chirurgia dell'università degli studi di Salerno, attraverso l'osservatorio sulle malattie occupazionali ed ambientali, istituito con deliberazione dell'Asl di Salerno n. 59, del 25 gennaio 2016.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto produttivo della società «Val Ferro srl» di Prevalle, in provincia di Brescia, è stato sottoposto in questi giorni a sequestro preventivo dai carabinieri del Ros, in esecuzione di un provvedimento richiesto dalla procura distrettuale antimafia di Brescia, poiché, secondo l'accusa, avrebbe smaltito, insieme ai materiali ferrosi, significativi quantitativi di scorie contenenti policlorobifenili (PCB), sostanza altamente inquinante;
   il giudice avrebbe anche disposto la nomina di un amministratore giudiziario e la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare gli uffici di persone giuridiche e imprese nei confronti del proprietario della società e del figlio, indagati, insieme ad altre 15 persone, per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi;
   secondo l'indagine del Ros, e come affermato dai carabinieri, «la Val Ferro, attiva nel settore della raccolta di materiali ferrosi, smaltiva ingenti quantitativi di scorie contenenti PCB, occultandoli tra i carichi destinati al conferimento presso le acciaierie, con il conseguente abbattimento dei costi di smaltimento previsti per i rifiuti speciali pericolosi»;
   alcune riprese effettuate all'esterno dell'azienda confermerebbero i sospetti alla base dell'inchiesta avviata nel dicembre 2014, mostrando in che modo sarebbe avvenuta la ricezione di rottami, lo smistamento a cielo aperto e il successivo carico su camion, fino alla consegna poi in altre aziende;
   la pericolosità dei PCB e le loro potenzialità tossiche sono tristemente note dagli anni settanta: l'esposizione ai PCB al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, avrebbe effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013); la valutazione della IARC associa certamente melanoma e probabilmente tumore della mammella e linfomi non-Hodgkin con i PCB;
   il nuovo rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'Airtum (Associazione italiana registri tumori), che ha indagato il rapporto tra malattie e inquinamento in 44 siti di interesse nazionale, conferma l'ipotesi di un contributo dell'esposizione a PCB all'eziologia di queste patologie –:
   se non considerino necessario attivarsi, per quanto di competenza, per chiarire quali interventi siano già stati effettuati e quali siano previsti per monitorare il percorso compiuto da tali sostanze cancerogene e il danno ambientale avvenuto a causa dell'attività criminale di cui in premessa, nonché gli ulteriori interventi previsti per la messa in sicurezza delle zone conseguentemente contaminate, affinché si possa tutelare la salute dei cittadini coinvolti. (4-13411)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Brescia.
  L'Agenzia di tutela della salute (Ats) di Brescia ha effettuato, in data 12 luglio 2016, nella sede dell'azienda Val Ferro s.r.l. a Prevalle (Brescia), un sopralluogo congiunto con gli operatori dell’Équipe territoriale-Igiene Garda e con gli operatori dell’Équipe territoriale-Servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro Garda.
  Peraltro, la sede della Val Ferro s.r.l., azienda in possesso di autorizzazione per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi (rottami ferrosi), non è risultata accessibile, in quanto sottoposta a sequestro preventivo penale al momento del sopralluogo.
  Nel corso dell'ispezione è emerso che il comune di Prevalle aveva già provveduto ad effettuare, in seguito al sequestro, alcuni campionamenti di suolo in aree limitrofe all'azienda, i cui rapporti di prova, pervenuti alla Amministrazione comunale nel giorno della visita ispettiva ed acquisiti presso l'Ufficio tecnico comunale, mostravano assenza di contaminazione, sia da policlorobifenili (PCB) sia da metalli pesanti.
  Per quanto attiene alle acque sotterranee, la Val Ferro s.r.l. è allacciata all'acquedotto pubblico e non vi sono pozzi privati nel perimetro aziendale.
  Ve ne sono, invece, nei pressi; in particolare, due ad utilizzo industriale (a 50 e 200 metri di distanza) ed uno ad uso irriguo (a 120 metri di distanza).
  Al riguardo, l'ufficio tecnico comunale ha espresso l'intenzione di effettuare una ricerca di eventuali contaminanti.
  Relativamente ai pozzi pubblici, questi sono collocati a 600 e 2.000 metri dall'azienda stessa.
  Circa le acque di dilavamento, il personale dell'Ats ha rilevato, alle evidenze esterne, la presenza di pavimentazione in cemento lisciato.
  Le acque di prima e seconda pioggia risultano confluire, previo trattamento di separazione e successiva filtrazione tramite filtro a coalescenza e carboni attivi, rispettivamente, nella fognatura pubblica e negli strati superficiali del sottosuolo.
  L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) della Lombardia ha in corso, su disposizione dell'autorità giudiziaria, le analisi delle acque di prima e seconda pioggia, nonché dei materiali ferrosi, i cui esiti l'Ats intende acquisire per le conseguenti valutazioni e gli eventuali seguiti di competenza.
  Per quanto riguarda gli aspetti relativi all'applicazione degli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza dei lavoratori, non potendo il personale dell'Ats accedere all'azienda, né acquisire documentazione, sono stati avviati contatti con il medico competente per avere riscontri in merito alla sorveglianza sanitaria.
  Complessivamente, dalle evidenze documentali e dai primi riscontri sui suoli attorno all'azienda Val Ferro s.r.l. effettuati dal Comune di Prevalle, l'Azienda di tutela della salute di Brescia ritiene che non emergano elementi tali da indurre a considerare presente una contaminazione incidente sulla catena alimentare.
  Per completezza, l'Amministrazione comunale di Prevalle, al fine di tutelare la salute dei propri cittadini e per salvaguardare il territorio, oltre alle analisi sui campioni di terreno prelevati in aree attigue al sedime aziendale – che hanno dato esito negativo intende – intende proseguire con ulteriori campionamenti di terreno nelle aree circostanti all'azienda, nonché con le analisi dell'acqua dei pozzi di prima falda ad essa contigui.
  Inoltre, il Comune ha proposto ai cittadini residenti in prossimità della azienda Val Ferro s.r.l. la possibilità di effettuare gratuitamente, su base volontaria, analisi ematiche per la ricerca di eventuali contaminazioni da PCB.
  Da ultimo, si rappresenta che la provincia di Brescia, non avendo ricevuto alcuna formale segnalazione da parte degli organi coinvolti circa gli esiti degli accertamenti effettuati presso l'insediamento in questione, non ha adottato alcun provvedimento, riservandosi di chiedere alla competente Procura della Repubblica copia dei verbali di sopralluogo per le eventuali azioni di competenza.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SPESSOTTO, SPADONI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 agosto 2014, n. 125 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo», ha istituito l'Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), le cui funzioni e interventi in materia di cooperazione, fatti salvi i compiti attribuiti dalla legge istitutiva al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, coincidono in larga parte con quelli in precedenza gestiti dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ai sensi della legge n. 49 del 1987;
   lo statuto dell'Agenzia, emanato con decreto interministeriale n. 113 del 2015 ha disciplinato le competenze e le regole di funzionamento dell'ente, «nel rispetto dei criteri di efficacia, economicità, unitarietà e trasparenza degli interventi di cooperazione allo sviluppo», che consistono principalmente nello svolgimento di attività di carattere tecnico-operativo connesse alle fasi di istruttoria, formulazione, finanziamento, gestione e controllo delle iniziative di cooperazione internazionale;
   in particolare, il Ministro interrogato, coadiuvato dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, esercita i poteri di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia previsti dalla normativa vigente, mettendo in essere ogni azione o atto strumentale a garantire la coerenza dell'attività dell'Agenzia con la politica estera e con le vigenti disposizioni di legge, adottando fra gli altri direttive, approvando il bilancio preventivo e il conto consuntivo e verificando il raggiungimento degli obiettivi;
   il recente decreto-legge n. 67 del 16 maggio 2016, relativo alla proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2016, ha disposto la conferma di una serie di contratti di collaborazione a progetto, stipulati già in precedenza dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, prevedendo, come denunciato in una nota sindacale dal Coordinamento nazionale della FILP Affari esteri, un incremento dei compensi salariali;
   tali contrattisti, che prestano servizio a Roma, sembrerebbero essere stati assunti per chiamata diretta, senza alcuna procedura d'evidenza pubblica, e ciò per gli interroganti avverrebbe in contrasto con le norme che sanciscono la non rinnovabilità o l'estensione automatica dei contratti;
   nella richiamata nota sindacale, si legge in particolare che per 12 persone, si spendono oltre un milione e trecento mila euro, ossia 115 mila euro per ciascun contrattista l'anno, (senza contare le diarie di missione pari a circa 350/500 euro al giorno);
   inoltre, analogamente a quanto previsto in precedenti provvedimenti di proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali, il «decreto-legge missioni» presenta un carattere derogatorio rispetto al quadro normativo vigente in materia di controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché per i contralti di collaborazione coordinata e continuativa –:
   a fronte di quanto esposto in premessa, se il Ministro interrogato stanti i suoi poteri di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia, possa fornire delucidazioni in merito alla stipula o al rinnovo, da parte dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo di alcuni contratti di collaborazione a progetto, per compensi superiori ai centomila euro ciascuno, in favore di contrattisti dell'Agenzia, che non apparirebbero conformi in con le vigenti disposizioni normative in materia di rinnovabilità dei contratti. (4-13782)

  Risposta. — A partire dal 2011 e fino al 31 dicembre 2015, sulla base delle norme contenute nei cosiddetti «Decreti Missioni» che si sono succeduti in quel periodo, la Farnesina ha potuto conferire incarichi temporanei di consulenza a personale estraneo alla pubblica amministrazione in possesso di specifiche professionalità, nonché stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con l'obiettivo di realizzare progetti di cooperazione allo sviluppo e in deroga a una serie di disposizioni vigenti. Con particolare riguardo al trattamento economico dei contrattisti, si precisa che gli uffici della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo proponenti i singoli contratti hanno operato nella piena autonomia non essendo vincolati all'applicazione di particolari parametri. Le retribuzioni concordate, seppure non uniformi tra loro, sono state comunque regolarmente pubblicate sulla sezione «Amministrazione trasparente» del sito web del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. In nessun caso, inoltre, si è potuto parlare di contratti «rinnovati» o «automaticamente estesi», in quanto la rispettiva durata massima era stabilita sulla base di quanto disposto dal Decreto Missioni. È successo tuttavia che l'Amministrazione abbia stipulato alcuni contratti, in periodi successivi, con le medesime persone, tenendo ovviamente conto della professionalità acquisita e dei risultati raggiunti nel corso delle precedenti collaborazioni. Tutti i contratti di collaborazione con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si sono conclusi alla data del 31 dicembre 2015.
  L'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), subentrata alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nello svolgimento delle sue attività tecnico-operative a partire dal 1o gennaio 2016, a seguito dell'approvazione del decreto-legge n. 67 del 16 maggio 2016 di proroga delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia (convertito con modificazioni nella legge 14 luglio 2016, n. 131), ha stabilito due iniziative in materia di cooperazione internazionale allo sviluppo, concernenti rispettivamente:
   il supporto alle attività di preparazione, gestione, monitoraggio e controllo delle attività di cooperazione bilaterali e multilaterali;
   il supporto alle gestione e sviluppo di partenariati e azioni di cooperazione con i soggetti di cui al capo VI della legge n. 125 del 2014.

  Per lo svolgimento delle sue attività, di fronte alla oggettiva carenza del personale assegnato (6 dirigenti e 110 unità di personale) rispetto a quello previsto nella pianta organica (200 unità in totale, di cui 182 unità di personale e 18 dirigenti), l'agenzia, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni, ha deciso di avvalersi della professionalità e della competenza, in qualità di collaboratori esterni, di persone che avevano precedentemente collaborato con la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo in quanto ha ritenuto che questi possedessero professionalità essenziali per la cooperazione italiana, anche in chiave di continuità.
  Nonostante non vi fosse alcun limite nel decreto missioni, l'Aics ha ritenuto di avvalersi esclusivamente delle 12 unità già impiegate proficuamente in passato nelle attività di cooperazione di alto profilo. Si è trattato, in tutti i casi, di stipula di nuovi contratti e non di rinnovo o continuazione dei contratti precedenti.
  A conferma del fatto che i contratti in questione stipulati dall'Aics sono nuovi contratti e non mere prosecuzioni di contratti in essere, l'Aics ha stabilito in via autonoma una nuova e diversa parametrazione per le remunerazioni dei 12 collaboratori, in funzione della prestazione lavorativa richiesta dai nuovi contratti e della professionalità posseduta. Pertanto, ha stabilito di commisurare gli emolumenti da attribuire ai contrattisti a quelli delle figure professionali più simili per competenza, esperienza e livello di istruzione presenti in Aics ossia gli esperti (previsti dalla legge n. 49 del 1987 e dal decreto ministeriale n. 223 del 29 novembre 2011, oggi richiamati dall'articolo 32 della legge n. 125 del 2014). Le retribuzioni dei contrattisti sono state rese uguali agli stipendi lordi stabiliti per il personale esperto sulla base delle esperienze lavorative pregresse maturate nel privato e nel pubblico (3 livelli, il terzo pari a 44.637 euro lordi annui per il personale con esperienza di 5 anni, il secondo pari a 60.087 euro lordi annui per quelli con 10 anni e il primo pari a 73.340 euro annui lordi per il personale con più di 20 anni di esperienza). L'applicazione di tale criterio ha comportato la determinazione di una spesa complessiva lorda per le retribuzioni 2016 dei 12 contrattisti uguale a circa 675.000 euro, il 13 per cento in più rispetto alla spesa sostenuta dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel precedente anno solare.
  Una precisazione deve essere fatta sui poteri di indirizzo e vigilanza che spettano al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale con riguardo alle attività dell'Aics: tali poteri sono finalizzati – come risulta dal combinato disposto dell'articolo 17, comma 13, lettera b), della legge n. 125 del 2014 e dell'articolo 3 del decreto ministeriale n. 113 del 2015 – a «garantire la coerenza dell'attività dell'agenzia con la politica estera e con le vigenti disposizioni di legge». La Farnesina non ha invece alcun potere di controllo sui singoli atti organizzativi e gestionali assunti dall'Aics, dei quali non viene peraltro informata, né previamente né ex post, se non nei limiti di quanto indicato nei documenti propedeutici all'approvazione del bilancio.
  A quest'ultimo proposito si rammenta che, in base alla legge n. 125 del 2014, il controllo contabile sugli atti dell'Aics è operato da un collegio dei revisori (articolo 17, comma 13, lettera
m), mentre il controllo sulla gestione dell'agenzia è demandato alla Corte dei conti (articolo 17, comma 11).
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   TONINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una rivelazione anonima suffragata da immagini sono state rilevate criticità igieniche, nonché la scorretta conservazione dei farmaci nella farmacia comunale n. 3 del comune di Lodi, farmacia aperta all'interno dell'Ospedale Maggiore il 21 ottobre 2013 e aperta 24 ore al giorno dal 1° giugno 2014, come riportato anche dalla stampa locale (articolo «Scatoloni della farmacia comunale nell'Ospedale Maggiore collocati in un locale poco igienico», su il Giorno del 18 giugno 2016). La segnalazione è relativa alla presenza di scatoloni contenenti farmaci accatastati in un locale (sulle cui vetrate si legge «prossima apertura») ancora grezzo e in cemento arato, poggiati su bancali o a terra, esposti alla luce del sole, per i quali il timore è che non sia rispettati i requisiti di pulizia e di conservazione in ambienti climatizzati necessari al mantenimento dei farmaci nelle corrette condizioni per la successiva distribuzione al pubblico;
   se confermata, si tratterebbe di una situazione estremamente grave, potenzialmente da i osa per la gestione pubblica della farmacia, in capo all'Azienda farmacie comunali Lodi s.r.l. (A.F.C. Lodi s.r.1.) società il cui socio unico e ASTEM s.p.a., società per azioni a capitale pubblico partecipata da 35 comuni delle province di Lodi e Milano per la gestione dei servizi pubblici locali;
   la pericolosità della situazione è naturalmente molto maggiore non solo per i pur rilevanti motivi strettamente economici ma soprattutto per gli effetti sui fruitori dei servizio, dal momento che esso ha a oggetto la distribuzione e vendita di farmaci che, se non correttamente conservati, potrebbero esporre a pericolo la salute dei cittadini che li assumessero o che li hanno assunti;
   ciò anche in ragione dell'importanza della farmacia comunale in questione, che, come si è detto, è aperta all'interno del più importante ospedale della città e del territorio, 24 ore al giorno, e quindi fornisce un bacino molto elevato di cittadini;
   a questo proposito si segnala che la presenza di magazzini non idonei per la conservazione dei farmaci sarebbe stata già rilevata nel corso degli ultimi tre mesi nell'ambito delle ispezioni della competente ASL – ATS Milano Città Metropolitana, senza successivi interventi, senza dubbio necessari, cosa che giustifica il quesito che si va a formulare –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione di cui alla premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche promuovendo una verifica del comando dei carabinieri per la tutela della salute (Nas), per accertare le condizioni di conservazione dei farmaci di cui in premessa a garanzia della corretta gestione delle risorse pubbliche e della tutela della salute dei cittadini nel caso in questione. (4-13607)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla prefettura-ufficio territoriale del governo di Lodi presso l'agenzia di tutela della salute (A.T.S.) città metropolitana di Milano e l'azienda sanitaria locale di Lodi.
  L'azienda farmacie comunali Lodi s.r.l. vende prodotti farmaceutici all'interno di un locale, con annesso magazzino automatizzato, posto al piano rialzato dell'ospedale Maggiore di Lodi, nell'area commerciale ai lati del corridoio principale di accesso al nosocomio.
  L'uso di tali spazi è stato concesso con disposizione dirigenziale n. 321 del 12 novembre 2013, rilasciata dalla azienda ospedaliera della provincia di Lodi, alla quale è recentemente subentrata, a seguito della riforma della sanità lombarda, l'azienda sanitaria locale di Lodi.
  La farmacia in argomento (farmacia comunale n. 3) è aperta 7 giorni su 7 ed effettua il servizio notturno a battenti aperti, garantendo l'assistenza farmaceutica nelle ore notturne sia al comune di Lodi, sia ai 24 comuni limitrofi, fino al limite massimo di 120.000 abitanti, come previsto dall'articolo 92 della legge regionale n. 33 del 2009.
  In data 17 marzo 2016, a seguito di segnalazione del sindacato Cisal, la «commissione di vigilanza ispettiva sulle farmacie» dell'A.T.S. città metropolitana di Milano ha sottoposto la farmacia in questione ad una prima ispezione straordinaria, effettuata in collaborazione con il «Servizio di igiene e sanità pubblica».
  Nell'occasione è emerso che, rispetto ai locali indicati nell'autorizzazione rilasciata dall'ASL all'apertura della sede, risultavano essere stati adibiti a magazzino farmaceutico, senza permanenza di persone, due ulteriori locali, contigui ma non immediatamente adiacenti, non oggetto di autorizzazione preventiva dell'ATS Milano ed in parte non conformi (in particolare, uno dei due locali risultava essere a rustico, privo di pavimentazione e con pareti non tinteggiate).
  Risultava, tuttavia, la sussistenza di adeguate condizioni climatiche, necessarie per la corretta conservazione dei medicinali.
  Pertanto, attesa la necessità di contemperare l'urgenza di assicurare locali conformi e autorizzati con l'esigenza di garantire continuità all'assistenza farmaceutica erogata a favore della popolazione, la commissione di vigilanza aveva provveduto a fornire le necessarie prescrizioni di tipo igienico-sanitario, chiedendo che venissero presentate nuove planimetrie aggiornate per l'ampliamento dei locali, corredate dai certificati di agibilità e da quelli di conformità degli impianti.
  In data 31 marzo 2016, l'azienda farmacie comunali di Lodi presentava la documentazione richiesta e il successivo 20 aprile la integrava con una nota attestante che i lavori di messa a norma del magazzino a rustico, con posa di pavimentazione e tinteggiatura pareti, erano in corso dal 4 aprile, anche al fine di installare un magazzino robotizzato.
  In data 17 giugno 2016, l'ATS Milano ha effettuato una seconda ispezione straordinaria, durante la quale, con riferimento al magazzino rilevato a rustico nel corso della prima ispezione, è emerso che:
   1) il locale era stato pavimentato con piastrelle lavabili;
   2) l'impianto di aerazione centralizzato dell'ASL di Lodi, che garantisce le richieste condizioni di conservazione dei prodotti farmaceutici, era funzionante;
   3) i farmaci risultavano stoccati su bancali e all'interno di scatole di cartone, isolati dal pavimento.

  Nell'occasione, è emerso altresì che:
   4) le pareti non erano state ancora tinteggiate;
   5) l'impianto elettrico non era ancora stato messo a norma.

  Con riferimento all'ulteriore locale non preventivamente segnalato all'ATS, prospiciente la farmacia, è emerso che:
   6) le finestre erano dotate di vetri filtranti;
   7) l'impianto di aerazione centralizzato dell'ASL di Lodi, che garantisce le richieste condizioni di conservazione dei prodotti farmaceutici, era funzionante;
   8) i medicinali (poche scatole) e i presidi medico-chirurgici (alcuni) presenti nel locale risultavano stoccati sopra scaffalature metalliche e bancali;
   9) i farmaci non richiedevano condizioni di conservazione a temperature particolari (inferiori ai 15o) e non risultavano esposti alla luce diretta del sole.

  Nell'occasione, è emerso altresì che:
   10) il locale non era stato ancora pavimentato;
   11) le pareti non erano state ancora tinteggiate;

  Nel corso di tale seconda visita ispettiva, stante il periodo estivo, veniva verificata con particolare attenzione la sussistenza di idonee temperature, compatibili con la corretta conservazione dei farmaci.
  Per questo motivo, durante la visita, veniva richiesta la consulenza dell'ufficio tecnico dell'ASL di Lodi e veniva, altresì, richiesta la presentazione di una dettagliata relazione sul funzionamento dell'impianto di condizionamento centralizzato dell'ospedale.
  Nel verbale ispettivo redatto al termine dell'ispezione, l'ATS Milano diffidava l'azienda farmacie comunali dal mantenere i farmaci in magazzini non conformi dal punto di vista igienico e prescriveva di trasferirli, sino al termine dei lavori, in altri locali, già dichiarati idonei dall'ATS, di pertinenza della stessa azienda farmacie comunali.
  Nel medesimo verbale, l'ATS si riservava di valutare la possibilità di applicare una sanzione amministrativa e di effettuare eventuali comunicazioni all'autorità giudiziaria per i provvedimenti di competenza.
  Pochi giorni dopo la seconda visita ispettiva, in data 21 giugno 2016, l'azienda farmacie comunali di Lodi presentava ad ATS Milano la relazione tecnica richiesta, attestante l'esistenza di un impianto di mandata e ripresa d'aria filtrata a temperatura costante (18o in periodo estivo, 20o in periodo invernale), con manutenzione a carico dei Servizi tecnici dell'ASL di Lodi, dalla quale risultava che era stata sempre comunque garantita una temperatura ambientale idonea alla conservazione dei farmaci.
  Pur tuttavia, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda farmacie comunali di Lodi faceva rimuovere i prodotti farmaceutici rinvenuti nel locale prospiciente il punto vendita e comunicava che erano in corso gli ulteriori lavori di adeguamento del locale dotato di pavimentazione, al fine di garantire le condizioni igienico-sanitarie richieste dall'ATS.
  Al fine di poter programmare una ulteriore ispezione, in data 4 luglio 2016 ATS Milano chiedeva all'azienda farmacie comunali di Lodi di presentare un crono-programma degli interventi di messa a norma del suddetto locale.
  Il successivo 7 luglio l'azienda farmacie comunali di Lodi dichiarava conclusi i lavori di messa a norma igienico-sanitaria e dell'impianto elettrico, precisando altresì che in futuro sarebbero stati avviati nuovi lavori, in vista dell'installazione all'interno del locale di un sistema di gestione robotizzata.
  In data 22 luglio 2016, vista la vigente normativa di settore, l'unità di struttura complessa assistenza farmaceutica dell'ASL di Lodi applicava una sanzione amministrativa per il mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie.
  Per completezza di informazioni, si rappresenta che ATS Milano ha sempre regolarmente notiziato dell'attività condotta il Comando carabinieri nucleo antisofisticazioni e sanità di Cremona, al quale ha trasmesso i relativi verbali ispettivi.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   VACCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa del 19 aprile 2016, 10 manifestanti sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata a causa delle contestazioni verificatesi in occasione della visita di Matteo Renzi a L'Aquila il 25 agosto 2015;
   secondo le notizie riportate, gli agenti della digos avrebbero segnalato all'autorità giudiziaria una decina di manifestanti tra quelli del Comitato 3e32 e quelli di Ombrina Mare 2, giunti in città per protestare contro la realizzazione di un nuovo insediamento petrolifero sulla costa teatina. Su alcuni di loro si sarebbero concentrate le indagini per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, visto che sembrerebbe che un'agente donna della polizia, nei momenti più concitati in prossimità di Palazzo Fibbioni, nuova sede comunale, sia stata scaraventata contro i puntelli della scuola elementare Edmondo De Amicis riportando una contusione ad una spalla;
   secondo le notizie di stampa, per tutti gli altri manifestanti gli investigatori contestano la manifestazione non autorizzata;
   una nota del «Coordinamento No Ombrina» del 19 aprile 2016 precisa che «Il coordinamento apprende dalla stampa che vi sarebbero dei denunciati per la manifestazione a L'Aquila in occasione della visita di Renzi. Riteniamo le accuse del tutto prive di fondamento, per le più gravi basta guardare i video girati da testate locali e nazionali. Abbiamo già espresso rincrescimento per la poliziotta ferita ma fu a causa di un contatto tra lei e un collega. In generale non si può certo scaricare sui manifestanti l'approssimativa, caotica ed inadeguata gestione dell'ordine pubblico di quella giornata, addirittura con cariche a freddo tra i giornalisti. In questi anni abbiamo organizzato decine di eventi e diverse manifestazioni con migliaia o decine di migliaia di partecipanti senza che rimanesse a terra neanche una carta. Ci siamo presentati a L'Aquila con poche centinaia di persone, a volto scoperto e solo la bandiera No Ombrina tra le mani. Diversi manifestanti superavano la sessantina. Infine ricordiamo che le nostre istanze nel frattempo sono diventate leggi dello Stato votate dal Parlamento. Evidentemente avevamo ragione a contestare chi, come Renzi, non voleva ascoltare il popolo e le istituzioni abruzzesi»;
   effettivamente qualche giorno dopo le contestazioni del 25 agosto 2015 i comitati aquilani, in una conferenza stampa, mostrarono foto e video nei quali si mostrava come l'agente fosse stata spintonata involontariamente da un proprio collega;
   a giudizio dell'interrogante è alquanto singolare che si apprenda a mezzo stampa di indagini contro cittadini che manifestavano pacificamente il proprio dissenso contro le politiche di «petrolizzazione» del Governo solo all'indomani delle votazioni sul referendum contro le trivellazioni in mare;
   secondo l'interrogante, le eclatanti e riuscite manifestazioni di contrarietà alle politiche di «petrolizzazione» del Governo Renzi da parte di comitati di cittadini, ed in particolare del coordinamento No Ombrina, hanno indotto lo stesso Governo a promuovere la modifica di alcune norme proprio per bloccare il progetto Ombrina –:
   se il Governo intenda, per quanto di competenza, chiarire e verificare l'accaduto e alla luce di quanto espresso in premessa, quali siano i motivi che hanno indotto le forze dell'ordine alla inaccettabile gestione della manifestazione sopra richiamata. (4-12945)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha sollevato perplessità sull'operato delle forze di polizia durante la manifestazione di protesta svoltasi a L'Aquila il 25 agosto 2015, in occasione della visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a seguito della quale alcuni manifestanti sarebbero stati «accusati di resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata».
  Al riguardo, si rappresenta che, ricevuto con qualche giorno di anticipo il preavviso di tale manifestazione, la locale questura ha prescritto agli organizzatori di tenere l'evento in forma statica in Piazza Battaglione Alpini.
  In realtà, nel giorno indicato i manifestanti, giunti in gran parte dalle province di Chieti e di Pescara, hanno dato vita ad un corteo non autorizzato, verosimilmente per raggiungere la sede del comune in palazzo Fibbioni. Il palazzo comunale era infatti la prima tappa del programma di visita del Presidente del Consiglio, poi annullata proprio a causa della contestazione in atto.
  I manifestanti hanno anche tentato di forzare lo sbarramento delle Forze dell'ordine e, nella circostanza, un assistente capo della Polizia di Stato ha riportato la frattura del setto nasale.
  Poi i dimostranti si sono spostati verso la sede del «Gran Sasso Science Institute», altra tappa della visita del Presidente del Consiglio, lanciando sassi e uova contro gli operatori di polizia in servizio d'ordine pubblico, che presidiavano l'area adiacente detta struttura.
  Di tali accadimenti è stata informata l'autorità giudiziaria, che ha instaurato un procedimento penale, tuttora pendente, nel cui ambito è in corso un supplemento di indagine.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   VALIANTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni passati si è registrato un ennesimo caso di disservizio diagnostico riguardante l'ospedale di Vallo della Lucania «San Luca»: un infartuato è stato trasferito presso l'ospedale di Salerno «Ruggi» poiché l'angiografo in dotazione era guasto;
   negli ultimi mesi la stessa apparecchiatura, ormai obsoleta essendo in uso da più di 12 anni, ha funzionato a singhiozzo andando spesso in blocco;
   analoghi problemi si sono verificati all'apparecchiatura per la Tac. L'utilizzo corretto e tempestivo di macchinari diagnostici appare di primaria importanza per poter intervenire sui pazienti soprattutto se in condizioni critiche. Con un angiografo, ad esempio, attraverso l'esame della coronografia, si può diagnosticare un infarto e procedere ad un angioplastica per liberare l'arteria e salvare il paziente. Quanto appena descritto è tanto più veritiero considerando che l'ospedale in questione è classificato come Dea di III livello e, in seguito alla chiusura del nosocomio di Agropoli, ha subito un considerevole aumento di bacino di utenza. Il dipartimento d'emergenza e accettazione (Dea) indica un dipartimento dell'ospedale che assicura le funzioni di più alta qualificazione legate all'emergenza, tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica, secondo le indicazioni stabilite dalla programmazione regionale in modo da garantire una equilibrata distribuzione sul territorio. L'ospedale «San Luca» è destinatario di un nuovo macchinario angiografo e di uno per le Tac promessi e garantiti dall'Asl di Salerno ma l'attesa, causa lungaggini burocratiche, si sta protraendo da oltre un anno –:
   di quali elementi disponga, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, in merito alla situazione descritta in premessa. (4-07123)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base degli elementi di rilievo locale trasmessi dalla prefettura – ufficio territoriale del governo di Salerno.
  La Direzione generale dell'Asl di Salerno, pur precisando che presso il presidio ospedaliero «San Luca» di Vallo della Lucania non è attivo alcun dipartimento di emergenza con unità operative di cardiochirurgia, né di chirurgia toracica, ha effettivamente convenuto che il programmato rinnovo del patrimonio tecnologico non ha trovato, allo stato attuale, realizzazione, a causa di alcune problematiche di ordine burocratico.
  La stessa direzione generale ha, inoltre, aggiunto che le maggiori criticità registrate presso tale presidio ospedaliero derivano soprattutto da una carenza di personale, sia dirigente che di comparto, e che questo non consente di garantire un efficace funzionamento del servizio di emodinamica nelle 24 ore, né la continuità assistenziale delle unità operative di radiologia e neuroradiologia.
  L'azienda, nell'ambito di quanto previsto e stabilito nel piano regionale di rientro dal disavanzo finanziario sanitario, ha cercato di sopperire a tale difficoltà mediante la stipula di convenzioni con altre aziende sanitarie della regione Campania, per coinvolgere nelle citate strutture dirigenti medici qualificati, al fine di garantire la continuità assistenziale ed adeguati volumi prestazionali.
  Attualmente si è in attesa di approvazione, da parte della regione Campania, di alcuni atti di programmazione aziendale predisposti proprio per consentire la piena realizzazione di quelle attività indispensabili a garantire la salute dei cittadini presso i dipartimenti di emergenza e accettazione (Dea) di III livello, compreso il presidio ospedaliere di Vallo della Lucania, che rientra in tale classificazione.
  Per quanto riguarda l'angiografo, l'installazione della nuova apparecchiatura «non è stata ancora realizzata in quanto è risultato necessario provvedere alla progettazione e all'esecuzione di lavori di allestimento dei relativi locali di destinazione, sulla cui tempistica hanno inciso negativamente le divergenze tecniche registrate tra Siemens Spa, fornitore individuato dall'ASL Salerno tramite adesione a convenzione Consip, e la FC attività tecniche manutentive circa la ripartizione degli adempimenti contrattuali».
  In ordine all'apparecchiatura TAC «già prevista nella programmazione aziendale acquisti 2015, è necessario seguire la procedura di acquisizione tramite convenzione CONSIP e/o So.re.sa., al momento non attive».
  Peraltro, la direzione generale dell'Asl di Salerno ha segnalato che, attualmente, presso il presidio ospedaliero «San Luca» sono in funzione un macchinario angiografo, coperto da contratto di manutenzione «
full risk», tubo rx incluso, ed un'apparecchiatura TAC GE 64 «slide» installata ad ottobre 2010 e coperta da relativo contratto di manutenzione.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge attuale in materia della donazione del sangue da cordone ombelicale in vigore è il decreto ministeriale del 18 novembre 2009, modificato in data 22 aprile 2014. «Le unità risultate idonee all'uso trapiantologico vengono conservate presso strutture pubbliche, denominate “banche”, afferenti alla rete nazionale delle banche, coordinate dal centro nazionale sangue (CNS), in collaborazione con il centro nazionale trapianti (CNT), per gli aspetti relativi al trapianto. Attualmente la rete nazionale è costituita da 19 banche. Per garantire che la raccolta e la conservazione del sangue cordonale al momento del parto vengano svolte secondo standard operativi definiti, ai fini dell'autorizzazione e accreditamento delle banche, con l'accordo Stato regioni del 29 ottobre 2009, sono stati individuati i “requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici minimi per l'esercizio delle attività sanitarie delle banche di sangue da cordone ombelicale”, tenendo conto degli standard nazionali ed internazionali elaborati da Società scientifiche e gruppi internazionali. Con l'accordo Stato regioni del 20 aprile 2011, su “linee guida per l'accreditamento delle Banche di sangue da cordone ombelicale”, sono state fornite indicazioni alle regioni in ordine al numero delle banche che deve essere commisurato ai reali bisogni, e sono stati regolamentati, tra l'altro, anche i rapporti tra la banca e i punti nascita afferenti, inclusa la formazione del personale sanitario addetto alla raccolta, sulla base di protocolli concordati con la banca stessa.» così si legge nel testo della risposta del Governo ad un atto presentato dal sottoscritto n. 4-07564 in data 31 luglio 2015;
   non tutte le sale parto ospedaliere sono attrezzate, circa 300 i reparti di ginecologia e ostetricia che offrono il servizio; di contro, ci sono le banche private del cordone (dove per banche private s'intendono le agenzie private di procurement, società estere con una trentina di filiali in tutta Italia). Hanno siti web, alto livello efficienza ed offrono vari servizi assistenziali. Nel nostro paese, secondo quanto stabilito dalla legge, sono possibili solo la donazione eterologa, con la quale si dona il cordone ombelicale a beneficio della collettività, proprio come avviene per le donazioni di sangue, e la donazione dedicata, ovvero riservata al proprio neonato o un consanguineo per quelle famiglie ad alto rischio di malattie genetiche o che hanno già un bimbo malato. Sia la donazione eterologa che quella dedicata sono gratuite, a carico del Servizio sanitario nazionale e vengono gestite da una rete di 19 banche pubbliche;
   in data 13 marzo 2015 Elena Skoko, Presidente del Comitato per il Rispetto dei Diritti dei Neonati (CoRDiN), intervenendo ad un convegno svoltosi presso la Camera dei Deputati dal titolo: «Convegno Diritti Umani dei Neonati e la Donazione del Sangue Cordonale», specificava come: «[...] In Italia ci sono 19 banche pubbliche di sangue di cordone ombelicale. Già nel 1999 il dott. Sirchia scrisse che ne basterebbero 1-2, argomentando con il fatto che più banche e più sacche ci sono, più crescono i costi di mantenimento rispetto al fabbisogno. Questo dato viene confermato da uno studio svizzero del 2010 Thomas Bart, “Cost effectiveness of cord blood versus bone marrow and peripheral blood stem cells, ClinicoEconomics and Outcomes Research” il quale conclude che l'attuale sistema di raccolta di cellule staminali da sangue cordonale andrebbe rivisto in rapporto alla raccolta di cellule staminali provenienti da adulti, cioè dal midollo osseo. L'articolo conclude che i costi della raccolta del sangue neonatale sono proibitivi per tutti i sistemi sanitari del mondo e vanno seriamente discussi dalle istituzioni preposte. Nell'ottica di una possibile promozione della raccolta, se dovesse avere successo, provocherebbe un buco incalcolabile al SSN. Dal punto di vista del consumo, se ci fossero 300.000 unità disponibili, secondo i ricercatori svizzeri all'occorrenza una piccola sacca di sangue neonatale costerebbe circa 82.000 euro, non 17.000 euro come adesso. Parlando degli standard qualitativi delle 19 banche nazionali, solo 4 hanno ottenuto l'accreditamento internazionale FACT, Centro Nazionale Sangue, Banche di sangue di cordone ombelicale. Quasi tutte le altre hanno soltanto certificazioni regionali, e una nemmeno quello. Nel 2013 la Banca di Sciacca di Palermo ha perso 20.000 sacche raccolte, tutte quelle che aveva, l'equivalente della raccolta annua nazionale»;
   oggi la comunità scientifica internazionale non raccomanda la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale solo per il proprio bambino, perché in realtà queste cellule oggi risultano più utili per altri soggetti compatibili che non per i donatori stessi. Nella cura della leucemia, per esempio, non si consiglia il trapianto di cellule proprie (conservate alla nascita) perché potrebbero già contenere componenti di fragilità o difetti che hanno portato alla leucemia. La comunità scientifica dunque raccomanda la donazione solidaristica delle cellule staminali contenute nel sangue del cordone ombelicale, che saranno conservate in banche pubbliche, a favore di tutti e dunque anche del proprio bambino o di un fratellino. Le malattie per le quali i vantaggi derivanti dall'uso di cellule staminali emopoietiche (cioè del sangue) sono scientificamente provate sono gravi malattie del sangue: leucemie, linfomi, talassemie, alcune immunodeficienze, difetti metabolici. Non ci sono invece terapie consolidate per il trattamento di malattie come diabete, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla. Molti siti internet di banche private fanno riferimento a 70 patologie curabili, ma è un messaggio fuorviante, in realtà le malattie curabili appartengono alle cinque grosse categorie di cui sopra. Inoltre questi siti si enfatizzano la prontezza del trattamento e i benefici. Sono parole più dettate dal marketing che non dall'evidenza scientifica. Le banche commerciali straniere che offrono questo servizio (specificando sempre ciò che intendiamo per banche private), chiedono un pagamento iniziale di circa mille-2 mila euro a cui vanno poi aggiunte quote annuali di 100-200 euro. La donazione alle banche pubbliche è gratis, a carico del servizio sanitario nazionale. Considerati i costi di conservazione, le banche pubbliche restringono le donazioni ai casi in cui il sangue del cordone ombelicale abbia tutte le caratteristiche di qualità richieste. Inoltre non sempre il personale è disponibile. In Lombardia ci si è concentrati sui grossi ospedali. L'obiettivo è di triplicare l'inventario (da circa 28 mila donazioni a 90 mila) per avere una copertura ottimale della popolazione, come negli Stati Uniti. In un articolo apparso in data 26 ottobre 2011 sulla rivista online «Oggi Scienza» dal titolo: «Tutte le bugie delle banche private del cordone» si descriveva come: «[...] È la cosiddetta conservazione “autologa”, a uso e consumo personale del neonato. È vietata in Italia (a meno di non rivolgersi, appunto, a società estere), eppure va molto di moda. Più di 60 mila genitori negli ultimi dieci anni hanno spedito a San Marino, in Svizzera, Belgio, Germania o Gran Bretagna il cordone del neonato. Perché — viene detto loro — se un giorno il bimbo dovesse ammalarsi di tumore, leucemia o linfoma, talassemia e altre terribili malattie “potenzialmente curabili”, come sclerosi multipla, diabete, paralisi, distrofia muscolare, potrà utilizzare le sue cellule staminali come “pezzi di ricambio”. La paura fa novanta. E tanti accettano di sottoscrivere quella che viene presentata come “un'assicurazione biologica”, al prezzo di circa 2 mila euro tutto compreso. Nemmeno tanto. Peccato che le cose non stiano così. Sul business dei cordoni ombelicali (che dai primi anni 2000 a oggi ha fruttato almeno 150 milioni di euro) è intervenuta anche l'Antitrust. Sei banche private del cordone (Smart Bank, Cryosave Italia, Futura Stem Cells, Future Health, Sorgente e Crylogit Regener) sono finite nel mirino dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato per pubblicità ingannevole. In particolare, il provvedimento chiede di rettificare bugie e omissioni riguardanti: tempi di conservazione delle sacche cordonali (garantiti fino a 20-25 anni, mentre la letteratura scientifica fissa il limite a 15-16 anni), reali applicazioni terapeutiche del trapianto autologo, numero di trapianti autologhi effettivi e procedure per il rientro dei campioni. [...]»;
   a quanto risulta all'interrogante, le banche, in Italia raccolgono ogni anno decine di migliaia di donazioni private di sangue cordonale-neonatale, con corresponsione di pagamento, per l'esportazione all'estero dove le sacche di sangue vengono crioconservate, non risulta tuttavia che alcuna unità di sangue cordonale-neonatale proveniente da banche private (definite come sopra) sia mai stata utilizzata, inoltre nelle brochure delle banche private di raccolta del sangue viene raccomandata la massima raccolta di cellule e quindi si presume che il clampaggio avvenga prima dei 60 secondi –:
   se il Ministro interrogato non intenda razionalizzare e ridurre il numero di banche pubbliche, visti anche l'insostenibilità economica di un sistema attualmente articolato in 19 banche pubbliche;

   se non intenda verificare gli standard qualitativi delle banche pubbliche ed in particolare rendere vincolante per tutte l'accreditamento internazionale FACT e se non intenda agire per sospendere dall'attività le banche pubbliche senza credenziali in regola fino al raggiungimento dell'accreditamento necessario;
   se non intenda verificare lo standard qualitativo della banca di Sciacca, già oggetto nel 2013 della perdita della totalità delle sacche di sangue conservate;
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, se non ritenga, altresì, necessario avviare un'indagine per verificare l'operato delle agenzie che agiscono per procura per le banche private estere e se non si ritenga inutile la loro esistenza e da vietare la donazione autologa per evidente inutilizzazione delle sacche conservate all'estero per conto dei privati cittadini assumendo il principio di precauzione per salvaguardare la salute dei neonati finché non siano certe le evidenze scientifiche che attestino un beneficio o un danno alla salute dei donatori, quest'ultimo anche solo interpretabile come un depotenziamento delle autonome capacità rigenerative dell'organismo umano attraverso il bagaglio di cellule staminali che vengono trasgredite dalla placenta al neonato nei primi minuti di vita;
   se non si intenda verificare la corretta informazione pubblicitaria delle agenzie che svolgono in Italia la mediazione contrattuale fra genitori dei donatori e banche private all'estero e se in particolare non si intenda indagare circa il reale rispetto in caso di donazione dei necessari 60 secondi per effettuare il clampaggio e la donazione;
   se non ritenga opportuno, verificare quali siano i reali tempi di clampaggio di queste raccolta e quali siano le informazioni di carature promozionale e di carattere sanitario in possesso dei genitori su rischi e benefici della donazione offerta civile strutture private;
   se in base a quanto narrato in premessa, non reputi, ai fini di un'adeguata informazione ed in virtù della legge sulla trasparenza, chiarire, attraverso anche la pubblicazione sul sito del Ministero della salute, i costi della raccolta del sangue da cordone ombelicale da parte delle banche private, ed altresì chiarire le pratiche che rientrino nei canoni previsti dall'ordinamento, distinguendole da quelle non a norma;
   se non intenda fornire tempestivamente informazioni circa ulteriori aggiornamenti delle linee guida e quale ente a livello istituzionale sia incaricato di sviluppare le medesime. (4-13246)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base degli elementi di rilievo trasmessi dal Centro nazionale sangue.
  La rete italiana delle banche pubbliche (Itcbn,
Italian cord blood network), istituita ai sensi del decreto del 18 novembre 2009, è costituita attualmente da 18 banche (non più 19 poiché due banche sono state riunite). Le banche di sangue del cordone ombelicale che ne fanno parte operano sulla base di requisiti omogenei di qualità e sicurezza pienamente conformi a quelli di matrice europea e agli standard internazionali universalmente riconosciuti. L'assetto della rete nasce da politiche di programmazione stabilite a livello regionale più che nazionale, commisurate ai bisogni del bacino di utenza, nell'ottica della razionalizzazione dell'impiego delle risorse del Servizio sanitario nazionale e della conformità agli standard internazionali, al fine di garantire elevati livelli di qualità e sicurezza. Il soddisfacimento dei bisogni è stato perseguito anche attraverso lo sviluppo di programmi di raccolta di sangue cordonale regionali e interregionali, finalizzate a favorire l'attività di raccolta su tutto il territorio nazionale.
  Per quanto attiene alla questione sollevata dall'interrogante circa i costi delle banche del sangue cordonale, si rappresenta che le banche del sangue cordonale sono individuate, nell'ambito della programmazione regionale, dalle singole regioni e province autonome, Autorità competenti per l'autorizzazione e accreditamento (articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 191 del 2007) e per l'organizzazione delle attività delle stesse, e che secondo quanto previsto dall'accordo 20 aprile 2010 (linee guida di accreditamento) il numero delle banche deve «essere commisurato ai bisogni del bacino di utenza, nell'ottica della razionalizzazione dell'impiego delle risorse del Servizio sanitario nazionale e della conformità agli
standard internazionali, al fine di garantire elevati livelli di qualità e sicurezza».
  Pertanto, recentemente, a fronte della necessità di individuare strategie organizzative in grado di coniugare sostenibilità, efficacia ed efficienza mantenendo la Rete stessa in posizione di avanguardia scientifica e tecnologica, è stata avviata, da parte del Centro nazionale sangue, in collaborazione con il Centro nazionale trapianti e con il dipartimento di diritto ed economia delle attività produttive della facoltà di economia dell'università degli studi «Sapienza» di Roma, un'analisi dei costi relativi al bancaggio del sangue cordonale e dei costi di gestione di una banca cordonale. Lo studio, che a breve verrà presentato, oltre ad essere motivo di confronto tra Ministero della salute, regioni, Centro nazionale sangue, Centro nazionale trapianti e registro Ibmdr, ha l'obiettivo strategico di condividere un processo di riorganizzazione e razionalizzazione della rete, finalizzato a consentire un elevato grado di sostenibilità della stessa, tenendo sempre presente il rilevante ruolo di Itcbn a livello internazionale.
  Oggi, infatti, il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) è una terapia consolidata per il trattamento di numerose patologie ematologiche (leucemie, linfomi, mielomi eccetera) e la possibilità di ottenere la guarigione del paziente attraverso tale procedura terapeutica dipende esattamente dalla possibilità di avere a disposizione più sorgenti di cellule staminali emopoietiche (da midollo osseo, da sangue periferico e da sangue cordonale) in modo da consentire ai clinici di scegliere il miglior donatore compatibile.
  In tale direzione quindi è promossa dalle Istituzioni la donazione del sangue cordonale che si fonda su un intento solidaristico basato sulla capacità di «recuperare» il sangue contenuto nella placenta e nel cordone, altrimenti destinato ad essere perso, al termine dell'espletamento del parto.
  Nessuna banca pubblica è «senza credenziali» dal momento che tutte le banche sono state ispezionate dalle autorità competenti nazionali e regionali, che hanno verificato la conformità a
standard qualitativi nazionali e internazionali, in base a quanto previsto nell'Accordo, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: «Linee guida per l'accreditamento delle Banche di sangue da cordone ombelicale» (rep. atti n. 75/CSR del 20 aprile 2011).
  Si rappresenta che tali linee guida riflettono quanto predisposto dagli
standard NetCord FACT. Tutte le banche, inoltre, sono certificate a norma UNI EN ISO 9000 (come richiesto nell'accordo, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano recante: «Requisiti organizzativi strutturali e tecnologici minimi per l'esercizio delle attività sanitarie delle banche di sangue da cordone ombelicale»; rep. atti n. 184/CSR del 29 ottobre 2009) e, per mantenere la possibilità di esportare le unità cordonali negli Stati Uniti, tutte le banche della rete hanno aderito al protocollo IND (Investigational new drug), previsto dalle autorità competenti statunitensi e che richiede la registrazione delle banche a FDA (United States Food and drug administration) e una qualificazione annuale dei processi delle singole strutture da parte di Nmdp (National Marrow Donor Program), il registro di donatori di midollo osseo statunitense.
  L'accreditamento NetCord FACT è un accreditamento professionale di eccellenza, su base volontaria, che da solo non è sufficiente a garantire i livelli di qualità ed efficienza necessari per l'accreditamento regionale previsto dalla normativa vigente sopracitata. Pertanto, solo il mancato raggiungimento di tale accreditamento istituzionale può determinare la sospensione dell'attività della struttura da parte delle regioni.
  Per quanto concerne la banca di Sciacca, risulta che la stessa, dopo numerose verifiche, ultima nel 2015, da parte delle autorità competenti (regione, Centro nazionale sangue e Centro nazionale trapianti), è stata valutata conforme e autorizzata al rilascio delle unità di sangue cordonale. Nel 2013 è stata avviata l'attività di smaltimento di unità cordonali conservate prima del 2008 per le quali non era possibile garantire livelli di qualità e sicurezza tali da poterle utilizzare a scopo clinico. Questa attività di eliminazione delle unità non idonee all'uso clinico non è, quindi, da considerare un «evento» casuale o fortuito, ma programmato nell'ambito di un progetto di riqualificazione dell'inventario della banca stessa. Inoltre, va sottolineato che non tutte le unità sono state comunque smaltite, dal momento che è in atto un progetto finalizzato al recupero di queste unità per uso di ricerca.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.