Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 30 settembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 26 settembre 2016 si è celebrata la terza Giornata internazionale per la totale eliminazione delle armi nucleari, istituita nel 2013 dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite in memoria del gesto del colonnello sovietico Petrov, che nel 1983 decise di non procedere con l'ordine di attacco nucleare verso gli Stati Uniti;
    il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon, in occasione di tale giornata, ha spiegato come «tristemente, molti Paesi continuano a includere la deterrenza nucleare nelle proprie dottrine di sicurezza. Ma recenti sviluppi hanno mostrato come le armi nucleari non siano in grado di garantire pace e sicurezza. Piuttosto, il loro sviluppo e possesso ha rappresentato una delle fonti principali per le tensioni internazionali. Nel frattempo continuiamo a vedere divisioni crescenti a riguardo del futuro di un disarmo nucleare multilaterale. Il prossimo ciclo di revisione del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare inizia nel 2017. Il Mondo non può permettersi un ulteriore turno di inazione.», concludendo con l'appello ad «impegnarci a lavorare per l'eliminazione totale delle armi nucleari con urgenza e con un senso di scopo collettivo. La nostra stessa sopravvivenza dipende da questo»;
    l'articolo VI del «Trattato di non proliferazione nucleare», concluso a Londra, Mosca e Washington il 1o luglio 1968, prevede che: «ciascuna Parte si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale»;
    la ICan, campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari, nasce come movimento globale che punta al disarmo nucleare totale attraverso lo strumento di una convenzione sulle armi nucleari che sia legalmente vincolante e sottoponibile a verifica. Tramite tale strumento si bandiranno la produzione, i test, l'utilizzo ed il possesso delle suddette armi, entro un termine massimo da stabilire. Una bozza di convenzione – preparata da diverse associazioni non governative – ha già ottenuto l'appoggio del segretario Ban Ki-moon. Fra le nazioni che si pongono come major sponsor di questa iniziativa vi sono Austria, Messico, Sud Africa, Brasile, Irlanda e Nigeria. Ad agosto 2016, inoltre, un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite a Ginevra ha formulato una raccomandazione – di concerto con ICan – affinché l'Assemblea generale convochi nel 2017 una conferenza al fine di negoziare «uno strumento giuridicamente vincolante per le armi nucleari, che porti verso la loro totale eliminazione»;
    a seguito della raccomandazione di cui al precedente paragrafo, il 22 settembre 2016 il Ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz, ha annunciato che il suo Paese si sarebbe unito agli altri Stati membri delle Nazioni Unite nel presentare una risoluzione, entro il mese di ottobre, per convocare i negoziati su uno strumento giuridico vincolante per vietare le armi nucleari nel 2017. Nello specifico, il Ministro Kurz ha dichiarato – durante l'Assemblea Generale di New York – che «l'esperienza dimostra che il primo passo per eliminare le armi di distruzione di massa è quello di vietarle attraverso norme giuridiche vincolanti»;
    il termine previsto per la presentazione della risoluzione al Primo Comitato della Assemblea generale, che si occupa di disarmo, è fissato per il 13 ottobre 2016. In seguito alla presentazione, le nazioni discuteranno la risoluzione e ne voteranno l'adozione fra l'ultima settimana di ottobre e la prima di novembre. Un secondo voto di conferma si svolgerà durante una sessione plenaria di dicembre;
    fra le diverse adesioni a tale iniziativa, occorre ricordare quella di Rete DisArmo, dei parlamentari per la non proliferazione ed il disarmo nucleare e dei sindaci per la pace (Mayors for Peace);
    con la mozione a prima firma Mogherini, approvata alla unanimità il 15 maggio 2012, si impegnava il Governo pro Tempore, fra le altre cose, a «svolgere un ruolo attivo a sostegno delle misure di disarmo e di non proliferazione nucleare in tutte le sedi internazionali proprie(...)» ed a «promuovere la formazione relativa alle materia del disarmo, della non proliferazione e del controllo degli armamenti, nel quadro delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e sul piano nazionale con particolare riferimento, in quest'ultimo caso, alla formazione professionale dei funzionari diplomatici e degli ufficiali delle Forze Armate»;
    diversi altri atti di indirizzo e controllo sono stati depositati, in tale direzione, durante la legislatura corrente sia dagli scriventi che dal gruppo interparlamentare per la pace;
    si registra la presenza, mai confermata completamente dai Governi italiani, di diversi e numerosi ordigni nucleari americani sul territorio italiano, nello specifico delle basi di Ghedi ed Aviano;
    il 30 giugno 201 l'Italia è stata eletta, con 179 voti, come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU per tutto il 2017,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile – sul piano nazionale ed internazionale – per farsi promotore della risoluzione che apre i negoziati su uno strumento giuridico vincolante per vietare le armi nucleari nel 2017.
(1-01373) «Duranti, Scotto, Marcon, Carlo Galli, Piras, Ricciatti, Costantino, Franco Bordo, Placido, Sannicandro, Pannarale, Airaudo».


   La Camera,
   premesso che:
    il progetto di impianto solare termodinamico della società «Gonnosfanadiga LTD», denominato «Gonnosfanadiga», attualmente in istruttoria presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, viene proposto in prima formulazione nel corso del 2012 presso gli uffici tecnici competenti della regione autonoma Sardegna (servizio valutazioni ambientali o SVA, precedentemente SAVI), e sottoposto nel gennaio del 2013 alla verifica di impatto ambientale preliminare o screening di competenza regionale, al quale può seguire o meno l'imposizione del procedimento di VIA, a seconda che si riscontrino possibili criticità o meno;
    nella fase iniziale l'impianto era afferente ai comuni di Gonnosfanadiga e Guspini, progettato su un'estensione di circa 211 ettari di terreni al netto delle infrastrutture accessorie, in zone classificate agricole nelle pianificazioni urbanistiche dei comuni interessati, presentato all'epoca dalla società Energo Green Renewables S.r.l.;
    l'impianto era destinato alla produzione di energia elettrica con potenza di 50 MW elettrici;
    a seguito delle prime osservazioni tecniche pervenute nell'ambito della procedura di screening (marzo 2013), la società proponente rimodula il progetto, apportando modifiche sostanziali, per le quali l'ufficio SVA della regione Sardegna impone nuova pubblicazione e nuovo procedimento di screening; al che la società proponente preferisce ritirarsi facendo decadere l'istruttoria, che viene archiviata come da prassi;
    ritirandosi, la società reiterava il comportamento attuato per altri due di tre progetti gemelli presentati in aree geografiche diverse della Sardegna, quando obbligata alla procedura di VIA;
    sostanzialmente la società a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo preferisce non sottoporre i progetti al procedimento di VIA regionale, evitando così di confrontarsi formalmente con i vari portatori d'interessi diffusi e particolari e con gli organi di controllo regionali, come dimostra presentando ricorso al Capo dello Stato, a tutt'oggi pendente, quando le viene imposto l'obbligo di valutazione di impatto ambientale per uno degli impianti proposti;
    in seguito a tali esiti la società proponente chiede che il progetto (con poche variazioni e sostanzialmente identico al precedente, salvo per l'utilizzo del raffreddamento ad aria invece che ad acqua, mantenendo inalterati altri impatti rilevati), sia valutato dalla commissione di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, facendolo per i presentatori del presente atto di indirizzo surrettiziamente e infondatamente assimilare alla disciplina degli impianti termici o impianti a combustione, scavalcando così la regione Sardegna;
    per ottenere tale assimilazione la società proponente chiedeva che fosse valutata non l'energia prodotta, e neppure quella in arrivo alle turbine del ciclo termodinamico a vapore, ma quella derivante dalla potenza dell'irraggiamento solare al suolo, moltiplicata per l'estensione interessata: in pratica con tale criterio qualunque campo, coltivato o incolto, è assimilabile a una centrale a combustione;
    tale criterio veniva accettato dalla commissione tecnica VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante lo spirito del limite di legge fosse invece quello di imporre una particolare tutela verso impianti particolarmente impattanti sull'ambiente;
    l'applicazione del criterio di cui sopra faceva superare all'impianto la soglia dei 300 MW termici, necessari per imporre la valutazione di impatto ambientale non più presso la sede regionale, ma presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    per quanto riguarda invece l'installazione dell'impianto in zone agricole, la società proponente ritiene congruente col suo status di «centrale termica» utilizzare le prerogative degli impianti per rinnovabili, con in più la possibilità di avvalersi dell'esproprio, diversamente dagli impianti fotovoltaici ai quali tale diritto è stato sottratto con apposito intervento legislativo;
    sotto tali condizioni il 25 marzo 2014 viene presentato il progetto a VIA a livello nazionale, riportato nel sito web ministeriale come: Impianto solare termodinamico della potenza lorda di 55 MWe denominato «Gonnosfanadiga» ed opere connesse interessante il comune di Guspini e Gonnosfanadiga dalla società «Gonnosfanadiga ltd», esteso su 227 ettari, aumentando l'areale richiesto di ben 12 ettari in funzione del raggiungimento della predetta soglia dei 300 MW termici;
    a seguito di nuove criticità sorte per le varie obiezioni e valutazioni tecniche presentate, la società rimodula ancora il progetto, ripresentato il 15 febbraio 2015 e attualmente in fase di istruttoria di VIA nazionale, che prevede la realizzazione dell'impianto solare termodinamico denominato «Gonnosfanadiga» di potenza elettrica lorda di 55 MW e della connessione elettrica a 150 kV in cavo interrato tra l'impianto e la esistente cabina di produzione di Villacidro;
    il progetto viene ripubblicato un'ultima volta il 31 marzo 2016, senza modifiche sostanziali e mantenendo tutte le criticità in essere;
    l'intervento interessa una vasta area della pianura del Campidano (grande quanto tutto il centro urbano della cittadina di Guspini), e situato a meno di 1 chilometro dallo stesso centro abitato, peraltro coinvolto nello smaltimento delle acque reflue industriali da recapitarsi nel vicino corso d'acqua Rio Terramaistus;
    ugualmente interessati sono i centri di Gonnosfanadiga e Villacidro, direttamente competenti in merito all'impianto e alle infrastrutture collegate;
    altri centri coinvolti per prossimità sono Pabillonis, Arbus, San Gavino M.le;
    il territorio interessato dal progetto è attualmente sede di attività del settore primario, come l'agricoltura e l'allevamento; l'area è parzialmente irrigua, e presenta una potenzialità agricola di pregio, viste le numerose coltivazioni confinanti di olivo le cui varietà maggiormente presenti sono la Nera di Gonnos, la Nera di Villacidro e la Pitz'e Carroga; in generale, le attività agricole rivestono un importante ruolo produttivo con allevamenti ovini ed ampie superfici destinate a colture cerealicole, erbai, pascoli naturali, pascoli arborati con sughera;
    la frammentazione delle coltivazioni, così come attualmente presente nel territorio, risponde naturalmente alla costruzione moderna di un ecosistema con colture non intensive, garantendo la sostenibilità ambientale e la protezione dell'avifauna selvatica, che trova in questo modo la possibilità di perpetuare la specie e mantenere il sostentamento quotidiano. La presenza di siepi, di aree boschive, di coltivazioni eterogenee, dei trifogli spontanei e dei cereali da seme è necessaria per il mantenimento della biodiversità animale e vegetale, come pure è importante la composizione floristica mista e autoctona per la qualità dei pascoli, e conseguentemente dei formaggi e dei mieli;
    la società non possiede, o possiede in misura inferiore al 50 per cento, terreni interessati dall'impianto previsto, ciò vale sia per il progetto qui trattato, sia per quelli simili, e la maggior parte dei proprietari è fortemente contraria alla cessione; l'approvazione del progetto comporterebbe espropri;
    l’iter di VIA nazionale è attualmente in corso, ed ha ricevuto ben due pareri negativi al progetto da parte della regione Sardegna (direzione generale difesa ambiente RAS) in data 22 ottobre 2015 prot. N. 0026482 e 14 giugno 2016 prot. N. 11624;
    anche il Ministero dei beni e delle attività culturali ha espresso parere negativo sul progetto attraverso i suoi organi centrali e periferici;
    in data 27 maggio 2016 il comune di Guspini, con lettera del sindaco, dottor ingegnere Giuseppe De Fanti, protocollo ministeriale in ingresso n. 0001970, ha inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla commissione tecnica di valutazione dell'impatto ambientale VIA e VAS, nonché alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ed alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari delle osservazioni inerenti alla violazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed un esposto per illegittimità procedurali;
    in data 6 giugno 2016 i comitati «Terra che ci appartiene», «NO Megacentrale», «Sa Nuxedda Free», «Terrasana Decimoputzu» e «Italia Nostra Sardegna» inviano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla commissione tecnica di valutazione dell'impatto ambientale VIA e VAS, nonché alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ed alla procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari delle osservazioni inerenti la violazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed un esposto per illegittimità procedurali;
    l'impianto causerebbe molteplici danni ambientali, primo fra tutti il consumo di suolo, che risulterebbe totalmente o fortemente compromesso su tutta l'area dalla realizzazione dell'impianto, che necessita di fondazioni profonde con plinti in cemento armato per garantirne la richiesta rigidità strutturale, alle quali si aggiungono 2 ettari completamente impermeabilizzati in cemento per la centrale e i serbatoi; il dissesto delle fondazioni diffuso su 70 ettari, si somma a uno ancora più grande su tutti i 227 ettari, sui quali le caratteristiche intrinseche dell'impianto impongono il livellamento a gradoni delle altimetrie, che nell'area presentano dislivelli di 24 metri: se ne ricaverebbe la perdita completa del suolo, con un'azione di rimodellamento morfologico che comporterebbe forti ingerenze sul reticolo idrografico superficiale minore, funzionale alle pratiche colturali, zootecniche e alla sostenibilità dell'ecosistema;
    complessivamente l'impianto assommerebbe nell'area la compromissione dei suoli, dell'assetto idrogeologico, del paesaggio e di specie faunistiche tutelate, la perdita di biodiversità e porterebbe danno alle attività agricole e zootecniche oggi esistenti, inoltre in caso di perdite dell'impianto introdurrebbe nell'ambiente sostanze inquinanti (18.500 tonnellate di nitrati di sodio e potassio, che faranno assoggettare l'area alla disciplina della Direttiva Seveso), più rifiuti solidi, liquidi e gassosi;
    rispetto agli strumenti di pianificazione, l'edificazione dell'impianto comporterebbe la creazione di un'area industriale di 227 ettari, un'estensione vastissima ulteriore alle zone industriali già presenti, un completo stravolgimento delle pianificazioni urbanistiche dei comuni coinvolti;
    l'implementazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili è bensì cruciale, ma esistono modalità e soluzioni alternative agli impianti proposti, e con minori problemi legati alla sostenibilità ambientale;
    sono 5 le proposte di impianti ad energia termodinamica solare proposti per la Sardegna dei quali 4 della stessa società proponente (1 sulla piana di Campeda, 1 sulla Valle dei Nuraghi, 3 sulle pianure del Campidano);
    i progetti proposti, con particolare riferimento alle pianure del Campidano e in capo alla medesima società proponente, vanno ad occupare rispettivamente 227 ettari per il progetto della «Gonnosfanadiga LTD» e 269 per il progetto della «Flumini Mannu LTD», interessante aree agricole comprese tra Villasor e Decimoputzu;
    i terreni in questione risultano in area urbanistica classificata come Zona E, quindi agricola, e non industriale e che tali impianti contrastano e deturpano in maniera irreversibile il tradizionale paesaggio agrario, cancellano le tradizioni alimentari locali e il patrimonio culturale e distruggono la diversità biologica e geologica presente nei territori interessati;
    le comunità locali, i consigli comunali, i comitati spontanei, le forze sociali e sindacali, nonché i proprietari delle terre hanno più volte espresso il loro parere contrario con osservazioni alla procedura di VIA, manifestazioni e assemblee pubbliche;
    la Sardegna è divenuta terra di speculazione energetica privata e ovunque si sta procedendo all'occupazione di suolo con minime e ininfluenti ricadute occupazionali o vantaggio economico per la collettività;
    persistono dubbi sulla legittimità della procedura di Via nazionale attualmente in corso e, a quanto consta ai presentatori del presente atto, vi sarebbe una ipotesi di una delega politica in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione alla definizione delle autorizzazioni per le società proponenti sui progetti di impianti solari termodinamici previsti per la Sardegna;
    va considerata la volontà delle popolazioni locali di rigettare in ogni modo l'ipotesi di costruzione degli impianti solari termodinamici nei territori sopraindicati ed in tutta l'isola;
    va tenuto altresì conto dei pareri sfavorevoli della regione Sardegna, manifestati attraverso il servizio valutazioni ambientali e la direzione generale della difesa dell'ambiente,

impegna il Governo:

   a bloccare in maniera immediata, attraverso ogni utile iniziativa, la procedura di valutazione di impatto ambientale nazionale relativa ai progetti «Gonnosfanadiga LTD» e «Flumini Mannu LTD», visti i pareri negativi delle comunità locali, della regione autonoma Sardegna, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dei proprietari e dei lavoratori delle terre in questione, negando alle società proponenti la possibilità di procedere con il progetto di costruire su terreni agricoli della Sardegna impianti solari termodinamici;
   ad assumere le iniziative di competenza per riportare la procedura di valutazione di impatto ambientale per i progetti proposti dalla «Gonnosfanadiga LTD» e «Flumini Mannu LTD» in capo agli uffici competenti in materia di valutazione di impatto ambientale della regione Sardegna, ai quali, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stata surrettiziamente sottratta;
   a non autorizzare impianti di produzione di energia elettrica in contrasto con gli strumenti di pianificazione ambientale ed energetica (PEAR) adottati o in via di adozione dalle regioni;
   ad assumere iniziative per rivedere la normativa vigente modificando l'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 al fine di consentire la realizzazione di impianti solari termodinamici di potenza superiore a 1 Megawatt nelle sole zone industriali (previo disinquinamento delle stesse) o nelle cave dimesse, e di rendere necessario per le società proponenti il possesso, attestato da atti pubblici, dell'area su cui si intende realizzare l'impianto, escludendo il ricorso a procedure di esproprio.
(1-01374) «Piras, Scotto, Duranti, Quaranta, Ricciatti».


   La Camera,
   premesso che:
    nella fase finale della seconda guerra mondiale, in particolare nel triennio 1943-1945, l'Italia si è liberata dalla dittatura e dall'occupazione straniera e ha riconquistato: pace, libertà, indipendenza e unità nazionale e della Patria. Ciò è stato anche possibile grazie alla Resistenza, alla Guerra di liberazione e al sacrificio di migliaia di donne e uomini, civili e militari;
    i testimoni e gli eredi di quelle esperienze fondative della Repubblica, le associazioni combattentistiche e partigiane, così come le istituzioni e tutti i poteri pubblici hanno il dovere di coltivare e favorire la memoria e l'educazione delle nuove generazioni ai valori, ai principi e ai propositi della Costituzione della Repubblica;
    non meno fondativo è il sacrificio di decine di migliaia di italiani, civili e militari, trucidati dagli occupanti nazisti e dai militi della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) in Italia e all'estero, in particolare nel corso della fase finale della seconda guerra mondiale e di cui ancora poco diffusa è la conoscenza e la memoria;
    oltre 2.300 fascicoli riguardanti tali eccidi che hanno causato dai 15 ai 20 mila morti per gran parte anziani, donne e bambini, nonché militari – nell'immediato dopoguerra furono sottratti ai magistrati militari territoriali e oggetto poi di occultamento come dimostra il rinvenimento, nel 1994, nelle stanze della procura generale militare, di 695 fascicoli «archiviati provvisoriamente» nel 1960, ciò in contrasto con la Costituzione e con l'ordinamento, relativi a centinaia di processi riguardanti appunto tali fatti criminosi;
    a partire dal 1994 alcuni processi sono stati celebrati e numerose condanne all'ergastolo comminate, anche se nessun condannato ha poi nei fatti, scontato un solo giorno di prigione, soprattutto per il rifiuto del Governo della Germania ad applicare l'esecuzione delle pene comminate;
    studi recenti evidenziano come gran parte dei detti fascicoli durante gli anni della loro giacenza a Roma presso la procura generale militare, furono aperti e richiusi rapidamente senza eseguire reali indagini. E solo tra il 1994 e il 1995, allorché essi vennero trasmessi alle procure militari territoriali competenti, processi sono stati istruiti e celebrati per lo più a partire dal 2003 e ancora ve ne sono in corso;
    su 695 fascicoli rinvenuti, delle oltre 300 indagini istruite e portate a compimento, sono state effettuate pressoché tutte dalle procure militari di: La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010, oltre che da quella di Roma dal 2010 in poi;
    non vi è dubbio sull'impegno encomiabile delle magistrature militari territoriali che ovviamente non hanno potuto evitare le nefaste conseguenze dell'occultamento dei fascicoli;
    particolarmente gravi appaiono i casi relativi agli eccidi di militari italiani compiuti in territorio estero all'indomani dell'8 settembre 1943 soprattutto nelle isole greche (Cefalonia) nei Balcani, nei campi di prigionia;
    con legge del 15 maggio 2003, n. 107, è stata istituita la Commissione bicamerale di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti che ha concluso i propri lavori nel 2006 con la votazione di due relazioni (una di maggioranza e una di minoranza);
    il 15 febbraio 2016 i materiali relativi ai 695 fascicoli occultati sono stati desecretati e resi disponibili sul sito web della Camera dei deputati insieme alla documentazione prodotta dalla Commissione bicamerale d'inchiesta;
    è necessario, per chiudere con dignità la vicenda delle stragi ’43-’45, un'assunzione di responsabilità da parte dello Stato italiano per l'occultamento pluridecennale dei fascicoli che ha impedito il corso della giustizia ed esprimere altresì sentimenti di sincero rammarico nei confronti dei familiari e degli eredi oltre che delle città e dei paesi che furono teatro delle stragi. Ciò significa fare i conti con la nostra storia anche nei suoi passaggi più drammatici e rafforzare così la democrazia;
    il dovere della memoria è imposto dall'esigenza di chiudere la vicenda delle stragi ’43-’45 con l'attenzione che esse meritano, con l'accertamento della verità e col risarcimento, almeno morale, ai pochissimi superstiti ed ai loro familiari e con adeguate «riparazioni». Per altro verso, la memoria ragionata delle stragi è indispensabile oggi, in un contesto in cui i rigurgiti neofascisti in tutta Europa trovano il proprio humus anche nell'ambiguo e pericoloso revisionismo storiografico, che da decenni ormai viene ad evidenziarsi sempre di più, sino a posizioni di vero e proprio negazionismo;
    il ripetersi, in Italia come in Europa, di manifestazioni che rievocano un passato davvero tragico, rende necessario rafforzare la conoscenza dei fatti e delle barbarie compiute dal fascismo e dal nazismo occupante, in modo da creare gli antidoti necessari perché fatti del genere non accadano mai più;
    occorre chiudere definitivamente in modo dignitoso una pagina tremenda della storia del Paese. Ciò non per spirito vendicativo ma con intenti di collaborazione quali quelli già in essere tra Italia e Germania per il chiarimento e la condanna unanime delle atrocità compiute in danno dei diritti umani, così come ribadito dal Presidente Gauck e dal presidente del Parlamento europeo Shultz, in alcune visite a Marzabotto, e Sant'Anna di Stazzema, oltre che dal Ministro della giustizia tedesco, in altra occasione, a Civitella;
    in una di queste circostanze, del 2002 a Marzabotto, a cui era presente anche il Presidente della Repubblica italiana pro tempore; il Presidente della Germania ha avuto modo di sottolineare significativamente, come la «conciliazione non possa essere oblio». E proprio a questo fine è stato raggiunto negli anni scorsi, un accordo tra i Ministri degli affari esteri di Italia e Germania e l'ANPI (Associazione nazionale partigiani d'Italia), integrato poi successivamente dall'apporto dell'INSMLI (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia) per la creazione di un completo «Atlante delle stragi compiute in Italia negli anni dal 1943 al 1945, dai nazisti tedeschi e dai fascisti». Il progetto, già realizzato, ha richiesto tre anni di lavoro. È stato finanziato dalla Germania ed è a disposizione degli studiosi. Per il suo completamento ha concorso un contributo italiano reso possibile da un progetto dell'ANPI, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione del 70o della Liberazione;
    peraltro, con la sentenza del 3 febbraio 2012 la Corte internazionale dell'Aja purtroppo ha accolto il ricorso della Germania contro le sentenze dei tribunali militari italiani, che condannavano la Repubblica federale di Germania – come responsabile civile – a risarcire le vittime delle stragi e gli altri danni cagionati; la motivazione dei giudici dell'Aja si basa purtroppo sui principi del diritto internazionale consuetudinario per cui uno Stato sovrano non può essere soggetto alla giurisdizione di un tribunale straniero, senza possibilità di deroghe. Tesi che, in concreto, finisce per equiparare quelli che vanno intesi a tutti gli effetti come «crimini contro l'umanità» a mere azioni belliche. Questi eventi invece, vanno ben al di là delle atrocità connaturate con ogni guerra e dunque, dovrebbero essere perseguibili sempre ed ovunque;
    la sentenza della Corte dell'Aja ha lasciato aperta la via della conciliazione tra i due Stati, per addivenire ad un accordo per l'attuazione delle pene;
    è stata istituita una Commissione di storici italo-tedeschi, che ha depositato la sua relazione conclusiva nel 2013, formulando anche una serie di «raccomandazioni» perché si realizzino gli obiettivi della verità e della giustizia,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, perché sia assicurata l'esecuzione in Germania delle sentenze, sotto il profilo penale e civile, emesse dai tribunali italiani in relazione alle stragi del 1943-1945 a carico di criminali tedeschi ed, eventualmente, a perseguire per lo stesso scopo soluzioni conciliative come indicato nella sentenza della Corte dell'Aja;
   ad assumere iniziative presso la Repubblica federale Tedesca per far sì che ai primi atti di riparazione compiuti facciano seguito iniziative concrete e consistenti di risarcimento e/o di riparazione da parte della Germania, secondo le richieste formulate da molte associazioni e dall'ANPI e depositate al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   ad appoggiare e sostenere, per quanto di competenza, l'attuazione dei progetti recepiti, in tutto o in parte, dalla Repubblica federale di Germania, mediante concreto sostegno – ove richiesto – ad organismi, enti ed associazioni;
   ad attivare, nell'ambito delle proprie competenze, tutti gli strumenti volti a favorire la conoscenza e lo studio delle vicende sopra richiamate, anche al fine di contribuire all'approfondimento delle cause e degli effetti;
   ad adottare iniziative atte a facilitare, sostenere e promuovere studi e ricerche storiche, anche a livello territoriale, in merito ai tragici effetti delle stragi, nonché a promuovere e sostenere tutte le misure necessarie per la conservazione dei luoghi di memoria, con particolare riferimento alla seconda guerra mondiale, alla lotta partigiana, ed a tutto ciò che può essere utile per impedire che sulle tragiche vicende di quegli anni finisca per cadere l'oblio, contribuendo così non solo all'accertamento della verità, ma anche alla diffusa conoscenza dei fatti ai fini di una efficace prevenzione per il futuro e della formazione di una vera memoria collettiva;
   a informare con continuità il Parlamento in merito all'impatto e all'efficacia delle misure adottate e agli eventuali risultati conseguiti.
(1-01375) «De Maria, Villecco Calipari, Gribaudo, Quartapelle Procopio, Montroni, Fabbri, Gnecchi, Baruffi, Incerti, Patrizia Maestri».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   dalla risposta all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-02285 svolta il 22 maggio 2012, si apprende, tra l'altro, da Dino Piero Giarda, l'allora Ministro per i rapporti con il Parlamento: «...La segreteria del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ha comunicato che sin dal 2000 la società Deiulemar risulta essere stata sottoposta ad indagini giudiziarie per abusivo esercizio dell'attività finanziaria a seguito dell'emissione di prestiti obbligazionari. Nel 2002 la Banca d'Italia ha inviato all'autorità giudiziaria una segnalazione ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale, denunciando l'anomalo volume dei prestiti obbligazionari iscritti a bilancio negli esercizi 1999 e 2000. Nel 2006 sempre la Banca d'Italia ha negato alla Deiulemar l'autorizzazione, all'epoca necessaria ai sensi dell'articolo 129 del T.U.B., ad emettere un prestito obbligazionario di 50 milioni destinato ad un'offerta pubblica di sottoscrizione presso il pubblico indistinto. Sulla questione la Commissione nazionale per la società e la borsa ha comunicato che, in data 18 aprile 2012, il tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato con sentenza il fallimento della società. Dalla sentenza emerge tra l'altro che diversi obbligazionisti hanno presentato denuncia alla locale procura della Repubblica sin dallo scorso anno, non avendo ottenuto il rimborso e il pagamento degli interessi sui titoli. In merito a tate denuncia, la Consob ha precisato che non risulta essere pervenuta alla stessa alcun tipo di segnalazione né da parte dei soggetti interessati né da parte dell'autorità giudiziaria competente. Le obbligazioni emesse dalla Deiulemar non sono negoziate sui mercati regolamentati. Dall'esercizio sociale 2004 la società è emittente di obbligazioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante. Quale emittente di obbligazioni diffuse, la società è comunque tenuta al rispetto delle relative disposizioni legislative regolamentari, tra le quali una generale informativa nei confronti del pubblico. Con riguardo invece alla diffusione di titoli irregolari, in data 23 gennaio 2012 il socio unico dell'emittente ha presentato un esposto all'autorità giudiziaria in merito alla messa in circolazione di certificati irregolari di tipo obbligazionario al portatore intestati alla Deiulemar compagnia di navigazione (...) l'importo complessivo delle obbligazioni irregolari in circolazione sarebbe pari a circa 684 milioni di euro, mentre i portatori delle stesse risulterebbero nel numero di circa 10.500. Sempre secondo quanto sinora emerso, i sottoscrittori delle obbligazioni irregolari versavano gli importi relativi alle sottoscrizioni per contanti o per assegno intestato all'amministratore unico o ancora mediante bonifico bancario su conti intestati al medesimo. I debiti in questione infatti erano contratti direttamente dall'amministratore unico. Tale dato risulta confermato dalle indagini da ultimo svolte dalla società di revisione Kpmg, la quale, nell'ambito della nota del 16 aprile scorso, ha rappresentato che alla data attuale non sono emersi elementi che portino a ritenere che la gestione delle obbligazioni irregolari sia transitata nella contabilità della società e nei conti bancari ad essa intestati...»;
   dalla risposta riportata nel resoconto stenografico d'Aula relativo all'interpellanza urgente n. 2-00031 del 16 maggio 2013 che si richiama in toto, si apprende, tra l'altro, da Alberto Giorgetti, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze pro tempore: «(...) In particolare, apparentemente, le obbligazioni irregolari presentano le medesime caratteristiche di quelle regolari; tuttavia le stesse non solo sono del tutto prive dei requisiti formali e sostanziali tali da poter essere correttamente definite come obbligazioni, ma risultano, altresì, del tutto estranee alla sfera di riferibilità della società. I citati titoli sono viziati da nullità assoluta e, pertanto, non qualificabili alla stregua di obbligazioni, neppure irregolari. Gli stessi sembrano, piuttosto, da ritenersi del tutto inesistenti come titoli obbligazionari, data l'assenza degli elementi minimi costituivi di questi ultimi. A tal proposito, il responsabile avrebbe personalmente dichiarato che la situazione debitoria derivante dall'emissione dei titoli in questione «era riferibile esclusivamente alla sua persona». (...) I debiti in questione, infatti, «erano contratti direttamente dall'amministratore unico, che gestiva rimborsi ed interessi, senza contabilizzarli nel bilancio della società e all'insaputa del collegio sindacale». Tale dato risulta confermato dalle indagini da ultimo svolte dalla società di revisione KPMG, la quale, ha rappresentato che «alla data attuale (...) non sono emersi elementi che portino a ritenere che la gestione delle obbligazioni irregolari sia transitata nella contabilità della società e nei conti bancari ad essa intestati». Allo stato attuale degli accertamenti, l'estraneità della società alla raccolta di denaro effettuata dal signor Iuliano e la conseguente falsità dei certificati consegnati ai risparmiatori sembra escludere che, nella fattispecie, vi sia stata un'offerta di prodotti finanziari da parte della Deiulemar, cui sia ricollegabile un obbligo di prospetto informativo...»;
   la risposta relativa all'interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze n. 5-01317 del 30 ottobre 2013, richiamata in toto, riconferma l’iter del coinvolgimento delle autorità di vigilanza nella vicenda e la loro cooperazione con la giustizia, anche in campo internazionale: «(...) con riferimento alla vicenda della società Deiulemar Compagnia di Navigazione S.p.A. chiedono se Unità di informazione finanziaria e la Banca d'Italia abbiano posto in essere tutte le azioni prescritte dalla normativa vigente. (...) La UIF ha, inoltre, trasmesso all'Autorità giudiziaria le segnalazioni di operazioni sospette ricevute sui soggetti sottoposti a indagini, nonché le informative ottenute nell'ambito dei rapporti di collaborazione internazionale fra Financial Intelligence Unit (...)»;
   dalla «Relazione avente ad oggetto lo stato di crisi della società “Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a.”» del 10 maggio 2012, reperibile in internet, redatta dall'avvocato Luciano Imparato e dal professore avvocato Gennaro Terracciano su incarico del comune di Torre del Greco con delibera n. 63 del 7 marzo 2012, si apprende: «Deve precisarsi che le informazioni assunte ai fini della presente relazione sono state, esclusivamente, reperite sulla base di documenti ufficiali della società “Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a” che includono i documenti pubblicati sulla Camera di commercio, i comunicati resi dalla società ai sensi degli artt. 114 e 116 del Testo Unico delle Finanza (Dlgs. n. 58/1998) e dell'articolo 66 del regolamento di attuazione del Dlgs. N. 58/98 concernente la disciplina degli emittenti, le informazioni assunte negli incontri ufficiali con i rappresentanti della società, nonché si fondano sulla motivazioni contenute nella sentenza di fallimento emessa dai Tribunale Civile di Torre Annunziata in data 2 maggio 2012. (...) 2) Le attività svolte. 2.1. A seguito della comunicazione dell'incarico avvenuta ufficialmente in data 16/3/2012, si è, immediatamente, provveduto a prendere contatti con l'amministratore della società avv. Roberto Maviglia, al fine di conseguire la documentazione ufficiale utile alla ricostruzione della vicenda in questione. 2.2. In data 8 marzo 2012, si è presenziato all'incontro richiesto dal Sindaco presso la sede dell'Assessorato al Lavoro e alla Formazione della Regione Campania, al quale hanno partecipato l'Assessore Severino Nappi, in qualità di coordinatore della Cabina di regia per la gestione dei processi di crisi e di sviluppo, l'amministratore della società e alcuni rappresentanti sindacali. Nei corso dell'incontro, sono state richieste all'amministratore, estraneo alla proprietà, garanzie sull'esistenza di risorse finanziarie capaci di consentire ai risparmiatori di non perdere i propri investimenti e ai dipendenti il proprio posto di lavoro, sia pure nel tempo e nell'ambito di un percorso di rilancio dell'impresa. L'amministratore della società confermava, a quella data, il conferimento da parte dei soci di risorse per circa 75 milioni, nonché la volontà manifestata dal soci di mettere a disposizione beni immobiliari per circa 50 milioni. In particolare, veniva comunicato l'avvio delle procedure per far confluire, nella disponibilità della società, le partecipazioni azionarie della società Deiulemar Shipping s.p.a e Ledi Shipping s.r.l detentrici della proprietà di una flotta di circa 18 navi. (...) Si è successivamente provveduto a prendere contatti con la direzione generale della Consob, al fine precipuo di illustrare all'organo di vigilanza, lo stato dell'arte sulla vicenda. In particolare in data 2/4/2012 è stato organizzato un incontro con il Direttore generale della Consob (...) 2.8. Successivamente, alle ore 18.00 dello stesso giorno si è presenziato all'incontro tenutosi presso l'Hotel Sakura in Torre del Greco al quale erano presenti il Sindaco, l'amministratore della società ed un socio della stessa (omissis), che hanno fornito informazioni sull'evoluzione della vicenda sui piano giudiziario, ed in particolare sullo svolgimento dell'udienza tenutasi presso il Tribunale civile di Torre Annunziata 18 aprile, avente ad oggetto la delibazione in merito alla dichiarazione di fallimento della società armatoriale. Inoltre i rappresentati della società hanno illustrato, per le vie brevi, i contenuti essenziali della proposta di concordato, che venivano rappresentati, quanto alle percentuali di soddisfazione del ceto degli obbligazionisti, in questi termini: riconoscimento di una percentuale pari al 52% del valore nominale delle obbligazioni, rispetto a tale valore riconoscimento del 24% in contanti, il 38% in obbligazioni ed il restante 38% in azioni della società. Inoltre i rappresentanti della società provvedevano ad aggiornare i presenti in ordine agli impegni che avevano preso i singoli soci, quanto alla messa a disposizione a favore della Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a. di beni personali e quote societarie di altre società. (...) 2.9. In data 22 aprile 2012 alle ore 17.00 si è presenziato ad ulteriore incontro organizzato dall'amministratore e dai soci della società (omissis), tenutosi presso la sede dell'Hotel Sakura, nell'ambito del quale l'amministratore ed i soci hanno illustrato nei dettaglio le soluzioni proposte nel piano di concordato depositato. In particolare, i soci hanno illustrato il progetto di costituzione di una public company, resa possibile in virtù della esecuzione della deliberazione assembleare del 23 aprile 2012, con la quale i soci riapprovano la situazione economico-patrimoniale della società al 29 febbraio 2012, a seguita delle attività di censimento dei certificati obbligazionari, dalla quale emergeva un patrimonio netto negativo della società pari a Euro 858.877.901,15 che include anche la voce relativa al fondo rischi per pretese dei portatori di certificati c.d. irregolari, già menzionato nel comunicato diffuso dalla società in data 18 aprile 2012 e che, senza considerare il citato fondo rischi, evidenzierebbe un patrimonio netto negativo pari a Euro 136.414.620,57. (...) 3. La sentenza di fallimento: In data 2 maggio 2012 il Tribunale civile di Torre Annunziata ha emesso sentenza di fallimento della società “Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a.” Come si apprende dalla lettura della sentenza le richieste di dichiarazione di insolvenza della società sono state presentate anche da creditori appartenenti alla categoria dei soggetti detentori dei certificati c.d. irregolari. (...) quanto alla sussistenza dello stato di insolvenza, il Tribunale ha ritenuto che lo stesso emergerebbe proprio dalle notizie diffuse da mesi dagli organi di stampa, alla quale peraltro, ha più volte fatto richiamo la stessa amministrazione societaria nei comunicati aziendali. Inoltre, ulteriori circostanze che depongono ai fini della declaratoria dell'insolvenza fanno riferimento alle denunce presentate dagli obbligazionisti alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, aventi ad oggetto il mancato rimborso degli interessi sui titoli, nonché la circostanza che sia stata proprio la società ad effettuare un «censimento» di tali titoli obbligazionari, indice quest'ultimo di una condotta palesemente irregolare, in quanto violativa delle modalità e del limiti previsti dall'articolo 2412 c.c. Sotto tale ultimo profilo, il Tribunale sostiene che attraverso tale modalità sia stato riversato sugli obbligazionisti il rischio d'impresa, in misura ampiamente maggiore che sugli azionisti, in contrapposizione con i principi generali propri delle società di capitali: «Con l'ovvia conseguenza che il denaro versato e non rientrante nella somma deliberata per l'emissione del prestito obbligazionario, non è confluito nelle casse della società e, quindi nei relativi libri sociali, ma altrove....» Per cui viene aggiunto che: «Né alcun dubbio può sussistere che trattasi di debito della società: la spendita del nome della stessa, l'intestazione del titoli, il successivo riconoscimento apposto sugli stessi (v. timbro “Documento presentato in data... ai fini della richiesta di ricognizione e riconoscimento” sono tutti elementi d'assoluto conforto e conformi ai principi civilistico commerciali tra l'altro già adottati da questo Tribunale in altra procedura fallimentare (Dimaiolines). Ai fini della legittimazione, tutti i soggetti ricorrenti hanno, pertanto, dimostrato di possedere uno o più titoli di credito nei confronti della resistente, nei cui confronti la Deiulemar appare inadempiente, avendo in concreto, dimostrato di non possedere la liquidità necessaria per estinguere detti debiti e risultando in questa sede ininfluente ogni valutazione sulla capienza patrimoniale non trattandosi di società posta in stato di liquidazione.» Infine, viene aggiunto che sintomatico indizio dell'insolvenza è stato anche il sistematico «svuotamento» del patrimonio sociale, attraverso il trasferimento di molteplici unità navali ad altro soggetto giuridico, la Deiulemar Shipping s.p.a., unitamente alla cessione di un ramo d'azienda, comprendenti due unità navali alla Ledi Shipping s.r.l. (...) in dipendenza del percorso motivazionale adottato dal giudice, il portatore di un certificato obbligazionario, in sede di ammissione al passivo, non dovrà richiedere al Tribunale il previo accertamento che quel titolo sia effettivamente riconducibile alla società fallita e che dunque quest'ultima sia ritenuta debitrice nei confronti dei portatore. Ciò in quanto, il Tribunale ai fini della dichiarazione di insolvenza della società – richiesta anche da soggetti detentori di certificati obbligazionari che, a detta della società, non risultavano registrati nelle scritture contabili – ha dovuto, preliminarmente, verificare la legittimazione attiva del creditore, e dunque accertare che quel titolo potesse essere considerato come titolo di credito nei confronti della società, e dunque idoneo a configurare la legittimazione attiva a richiedere il fallimento. In detta prospettiva, la valutazione del giudice ha così implicato un accertamento della natura giuridica di detti certificati, che a detta del Tribunale non possono che essere riconducibili alla società “Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a”, richiamando, a riguardo, altro precedente giudiziario relativo al fallimento della società “Dimaiolines”, per il quale il Tribunale aveva provveduto a riconoscere come emesse da quest'ultima i titoli obbligazionari che non risultavano dalla stessa contabilizzati. (...) Ciononostante, si rileva che alla luce della motivazioni seguite dai Tribunale nella sentenza di fallimento, che attribuiscono precipua rilevanza distrattiva alle cessioni di ramo d'azienda compiute, che hanno portato al sostanziale scorporo dalla Deiulemar Compagnia di Navigazione delle attività armatoriale per effetto della attribuzione alta Deiulemar Shipping s.p.a, e alla Ledi Shipping s.r.l. di gran parta dei patrimonio sociale della prima, è presumibile ritenere che i curatori fallimentari possano attivare iniziative recuperatorie, nonché richiedere l'estensione dei fallimento anche alle società cessionarie, al fine di incrementare l'attivo patrimoniale della Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a. Del resto ulteriore indicatore che potrebbe far propendere implicitamente per la rilevanza distrattiva delle suddette operazioni, sembrerebbe desumersi dai comunicati ufficiali pubblicati sul sito internet aziendale ove l'organo amministrativo dà atto della redazione di scritture private sottoscritte dai soci, formalizzate alla data del 29/2/2012, attraverso le quali i soci si sarebbero impegnati a richiedere ai rappresentanti degli strumenti giuridici cui ne è riconducibile la titolarità, di far sì che sia apportato alla società Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a., il 100% delle quote societarie di Deiulemar Shipping S.p.A, che, a sua volta, detiene il 100% delle quote societarie di Ledi Shipping S.r.l. Parvero, deve evidenziarsi che tali misure erano stata preordinate dai soci proprio al fine di rafforzare la base patrimoniale della società emittente Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a, e che le stesse risulterebbero esplicate nella proposta di concordato presentata in data 17/4/2012, all'evidente finalità di massimizzare il grado di soddisfazione dei creditori obbligazionisti...»;
   dall'articolo di «PLUS24» (il Sole 24 Ore) dell'11 giugno 2016, a firma Stefano Elli, dal titolo «Deiulemar, crack annunciato – La compagnia dal 2001 era nei mirino di Bankit Uic e Uif per abusivismo Chiarissime le avvisaglie – Ma nessuno stop», si legge: «Ricapitolando. Gli obbligazionisti della Deiulemar Compagnia di navigazione di Torre del Greco sono più di 10 mila, il danno complessivo del crack supera gli 800 milioni di euro. Una catastrofe i cui danni, forse, si sarebbero potuti limitare. Secondo le ricostruzioni effettuate da Plus24 emerge con chiarezza documentale che le autorità di controllo da almeno sedici anni seguivano con attenzione selettiva le peripezie di quella che è stata efficacemente ribattezzata la Parmalat del mare. E, almeno in questo caso, non si può affermare che la qualità dei controlli effettuati sia stata blanda o distratta. Sì perché non solo Banca d'Italia e l'Uic (l'Ufficio italiano dei cambi poi Uif, Unità di informazione finanziaria) sapevano dal 2000 della raccolta abusiva della Deiulemar, ma si erano pure attivate per «bloccarne» le attività. Nel 2000 infatti venne ispezionata la Banca di Credito popolare di Torre del Greco. Emerse proprio durante quella verifica l'esistenza di un agguerrito concorrente della banca sul fronte della raccolta remunerata: la Deiulemar, appunto. Nel febbraio dei 2001, poi, informazioni di maggior dettagli davano conto di operazioni inquadrabili senza mezzi termini come abusiva raccolta. Non è tutto. Addirittura, a quanto risulta a Plus24, sin dall'ottobre del 2001 risultava aperto un fascicolo alla procura di Torre Annunziata Mentre due mesi prima, nell'agosto del 2001, all'Uic erano state trasmesse almeno cinque segnalazioni di operazioni sospette a carico di persone collegate a uno dei proprietari della Deiulemar, l'armatore Michele Iuliano. Di più: ancor prima dei 2000, più precisamente nei 1997, Banca d'Italia era già consapevole che la Deiulemar volesse virare verso la finanza. La società aveva, infatti, richiesto l'iscrizione all'elenca speciale previsto dall'articolo 106 dei testo unico bancario. La richiesta venne respinta. Perché ? Non solo perché mancavano i presupposti, ma pure perché Iuliano (il «capitano», deceduto per un malore durante una perquisizione della Gdf subito dopo il fallimento) risultava già allora sotto indagine per riciclaggio. Nel febbraio dei 2002 poi, fu la stessa Banca d'Italia a denunciare alla procura della Repubblica di Torre Annunziata (attraverso la Guardia di Finanza) un'attività particolarmente intensa di raccolta di risparmio configurabile come abusiva. Non basta. Tra il 1999 e il 2012 l'Uic prima e l'Uif dopo avevano ricevuto una messe di segnalazioni di operazioni sospette che riguardavano frequenti versamenti e bonifici di piccole entità soprattutto su conti correnti personali intestati a Iuliano. A giudizio di chi si era attivato per segnalare le operazioni poco chiare, quelle movimentazioni sarebbero state il frutto di attività negoziali che avrebbero riguardato proprio le obbligazioni emesse dalla Deiulemar. Nei dettagli sarebbe stato Iuliano ad avere utilizzato i propri conti personali raccogliendo fondi da parte di soggetti privati a gestendone le somme in quella che si configurava come un'attività di, vera a proprio gestione non autorizzata. Nonostante le denunce, gli esposti, le segnalazioni, le ispezioni, però, la macchina del crack ha continuato a stritolare vittime e denaro nel suo micidiale ingranaggio senza che nulla si interponesse per impedirlo. Una sorta di Vajont finanziarlo che offre la plastica raffigurazione di come in troppi casi un'occhiuta vigilanza formale, corrisponda una capacità d'intervento davvero insufficiente»;
   sempre a firma Stefano Elli, sullo stesso numero di Plus24, l'articolo dal titolo «Sdf, trepida attesa per la Cassazione – Nella Società di fatto c’è il grosso degli attivi della bancarotta», ove si legge tra l'altro «(...) Perché la pronuncia della Cassazione e così importante ? Perché la Sdf contiene il grosso del patrimonio indirettamente aggredibile per eventuali riparti. E non a caso nel comitato dei creditori della Sdf c’è anche la stessa curatela di Dcn. Neppure un euro degli oltre 800 milioni distratti o dissipati dai responsabili del crack, infatti è entrata nella casse della società operativa, trasformando la ricostruzione dell'attivo e del passivo in una sciarada per i curatori. Non così la Sdf, nella quale sono state fatte indirettamente confluire numerose proprietà immobiliari, cespiti e altri attivi, superstiti dalla sistematica espoliazione già architettata dai responsabili del crack (e da raffinatissimi esperti di ingegneria societaria) attraverso la costituzione di un reticolo di società fiduciarie, trust lussemburghesi e maltesi. Tra i cespiti finiti indirettamente nella Sdf, immobili a suo tempo già conferiti nel Fip, il Fondo immobili pubblici e misteriosamente confluiti nella rete di Srl riconducibili agli armatori falliti» –:
   se il Governo, vista la palese responsabilità della pubblica amministrazione nella vicenda, non intenda adoperarsi al fine di trovare le risorse per ristorare i risparmiatori truffati e le famiglie di chi si è tolto la vita;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze, vista l'impotenza del Governo italiano nei confronti delle Autorità cosiddette di vigilanza, viste le risposte fornite agli atti di sindacato ispettivo nonostante l'esistenza di documenti discordanti, non intenda, congiuntamente agli altri membri del Governo, prendere in considerazione una riforma delle Autorità stesse o quantomeno dei poteri del CICR, al fine di garantirne un controllo pubblico, visto il palese fallimento della loro «indipendenza».
(2-01483) «Pesco».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, LIUZZI, FICO, COMINARDI, SILVIA GIORDANO, CIPRINI, DALL'OSSO, PESCO, CHIMIENTI, DE ROSA, TONINELLI, LOMBARDI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SIMONE VALENTE, MANTERO, CASO, L'ABBATE, DELL'ORCO, CARINELLI, NICOLA BIANCHI e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2016, sul social network Facebook è stata aperta la pagina dell'utente Sara Giada Gerini, con lo scopo di denunciare il cattivo funzionamento dei sottotitoli per le persone sorde nei programmi RAI. Dalla stessa Gerini, giovane pallavolista di Cagliari, membro della nazionale sordi che ha partecipato a campionati italiani, europei, mondiali e olimpiadi, è stato anche creato l’hashtag; FacciamociSentire;
   con video e diversi articoli online pubblicati nella pagina, veniva evidenziato che il servizio dei sottotitoli messo a disposizione dall'ente radiotelevisivo pubblico risulta essere in ritardo rispetto alle scene, impreciso ed utilizza parole troppo semplici. La denuncia continuava specificando che i sottotitoli sono troppo spesso scritti in maniera abbreviata, utilizzano termini elementari non corrispondenti al parlato, atteggiamento quest'ultimo che ha portato più di un non udente a sentirsi considerato come poco intelligente da chi fornisce il servizio dei sottotitoli;
   in un'intervista rilasciata in data 15 settembre 2016 al sito online « urbanpost.it», la Gerini afferma che «non ci sono i sottotitoli a tutte le ore, né sui programmi RAI né su quelli Mediaset; quando ci sono, non sono corretti o perché esprimono concetti troppo semplici ed elementari, o perché mancano di sincronizzazione. Nel caso di edizioni straordinarie i sottotitoli sono assenti o comunque carenti. A volte è capitato che prima della proiezione di un film venisse comunicato la sottotitolazione per i non udenti, e che poi non sia comparsa. Un ultimo esempio: le parolacce non vengono scritte, ma sostituite con simboli. La persona udente può scegliere cosa guardare, mentre noi sordi siamo costretti a guardare ciò che ci propina la televisione, in base ai sottotitoli»;
   in un'altra intervista rilasciata in data 7 settembre 2016 al sito online « admaioramedia.it», sempre la Gerini chiede esplicitamente che «se non possono guardare la tv come tutte le altre persone che “sentono” più di noi, i sordi non devono pagare il canone RAI o quantomeno devono ottenere una tariffa scontata fino a quando non ci sarà un servizio di sottotitoli affidabile, che peraltro in troppi programmi neanche ci sono.»;
   il contratto di servizio RAI in vigore dal 2010 riguardante gli obblighi della RAI nei confronti delle persone con disabilità, nel 2014 ha subìto delle modifiche approvate dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
   nelle modifiche del contratto veniva sottolineato che «la RAI è tenuta ad accrescere il proprio impegno al fine di favorire l'accesso alla propria offerta multimediale e televisiva sul digitale terrestre e satellite alle persone con disabilità sensoriali e cognitive anche tramite specifiche programmazioni audiodescritte...». Inoltre, veniva specificato che «entro il 30 novembre 2015, si sarebbe arrivati a portare la sottotitolazione dell'85% della programmazione complessiva delle reti generaliste tra le ore 6 e le ore 24, nonché traduzione in LIS della messa domenicale e dell'Angelus del pontefice.» Al contratto del 2010 che indicava un «ampliamento progressivo della sottotitolazione ai diversi generi di programmazione, inclusi programmi culturali, di approfondimento politico, ecc., nonché incremento progressivo dell'offerta di programmazione audiodescritta e in modalità telesoftware (ora palinsesto web)», veniva aggiunta la volontà di portare un «incremento, non oltre il 30 novembre 2014, della programmazione audiodescritta relativa a trasmissioni in cui buona parte delle informazioni sia veicolata da immagini (come telefilm, film di azione o documentari culturali).» E ancora, ad implementazione di quanto stabilito nel contratto del 2010 che favoriva la «promozione della ricerca tecnologica per favorire l'accessibilità dell'offerta alle persone con disabilità e con ridotte capacità sensoriali e cognitive, in collaborazione con enti, istituzioni e associazioni del mondo delle persone con disabilità», veniva aggiunto nel nuovo testo «l'impegno, entro 90 giorni dall'entrata in vigore del contratto, a inserire nel palinsesto web i sottotitoli già apposti nelle trasmissioni audiovisive e a creare un archivio di sottotitoli, progressivamente, aggiornato secondo determinati criteri»;
    ad oggi, non è stato formalizzato il nuovo contratto di servizio con ancora le modifiche votate nel 2013 dalla Commissione di vigilanza RAI;
   come stabilito dal decreto 13 maggio 2016, n. 94, a partire dal 2016 il canone RAI verrà addebitato, in rate mensili, direttamente sulla bolletta per l'utenza elettrica. All'interno di tale norma non vi è distinzione tra utenti senza disabilità uditive e chi invece ne ha. A giudizio degli interroganti, nella stesura della norma non è stata fatta un'attenta valutazione riguardo l'esistenza di utenti del servizio radiotelevisivo pubblico non udenti e al tempo stesso intestatari della bolletta elettrica. Tale vicenda assume aspetti grotteschi, in considerazione del fatto che un non udente intestatario della bolletta elettrica si trovi a dover pagare anche il servizio radiofonico dei canali RAI pur non avendo, come logico comprendere, possibilità alcuna di poterne usufruire. Ciò comporta, per quest'ultima inevitabile impossibilità di poter usufruire in forma completa del servizio radiotelevisivo pubblico da parte dei non udenti, per la mancanza di efficienza e precisione del servizio dei sottotitoli, per la mancata formalizzazione del nuovo contratto di servizio, la motivata richiesta, da parte degli interroganti, di esulare dal pagamento del canone Rai i portatori dell’handicap considerato  –:
   se il Governo, per quanto spiegato in premessa, non intenda assumere iniziative per modificare il sopraindicato decreto n. 94 del 2016 al fine di escludere dal pagamento del canone Rai tutti i non udenti intestatari di bolletta elettrica;
   se in Governo non ritenga di assumere iniziative per prevedere il rimborso del corrispettivo versato per il pagamento del canone Rai a tutti i non udenti che hanno pagato le bollette elettriche successive all'entrata in vigore del decreto n. 94 del 2016;
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza, coinvolgere anche le emittenti private nella promozione e nel miglioramento del servizio dei sottotitoli per ogni programma trasmesso, raccomandando, come dovrebbe essere previsto anche per il servizio radiotelevisivo pubblico, la precisione temporale e la fedeltà della riproduzione dei testi riportati.
(5-09652)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GARAVINI e MALPEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 15 febbraio 1989, n. 54, ha stabilito per le pubbliche amministrazioni, gli enti locali e gli enti parastatali l'obbligo di rilasciare attestazioni, certificazioni e altri documenti a cittadini italiani nati in comuni già sotto sovranità italiana ed oggi compresi in territori di stati esteri, riportando come luogo di nascita unicamente il nome italiano del comune, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene;
   una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2012 ha confermato il principio secondo cui il luogo di nascita delle persone deve essere storicizzato, ovvero riferito al momento in cui l'evento della nascita si è verificato;
   sono pervenute alle interroganti segnalazioni da parte di cittadini che si sono visti rilasciare certificazioni non conformi al dettato normativo, riportando accanto al nome del comune di nascita la sigla «Yu» che identifica la Federazione Jugoslava o quelle degli attuali stati;
   la sopracitata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri aveva evidenziato le difficoltà riscontrate nel rispetto della disposizione in argomento, a causa di una carenza dei servizi informativi in uso presso gli uffici pubblici e privati, che non sono in grado di riconoscere come già italiani i comuni oggi appartenenti ad altri Stati nazionali –:
   se il Governo sia a conoscenza del perdurare delle difficoltà nell'applicazione della legge 15 febbraio 1989, n. 54;
   quali iniziative il Governo intenda promuovere affinché si possano adeguare tutte le certificazioni al dettato normativo. (4-14365)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   all'indomani dell'indizione del 4 dicembre 2016 quale data per il referendum costituzionale si è appreso che il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi si è recata in Sudamerica per incontrare, nell'ambito di una visita di Stato, o presunta tale, i Comitati per il «Si» al referendum;
   secondo quanto si apprende dai giornali, si tratta di tre tappe per ripercorrere la strada che ha portato alla consultazione e conquistare i 4 milioni di italiani all'estero: Buenos Aires, Uruguay e Brasile;
   la stessa Ministra avrebbe dichiarato che adesso l'Italia è «sulla buona strada, ma non va ancora bene come vorremmo. Per avere un Paese che funziona meglio abbiamo deciso di rivedere la nostra Costituzione. È un referendum decisivo, potete decidere se cambiare il nostro Paese votando sì, o se lasciare le cose come stanno votando no»;
   se fosse vero che tale viaggio sia stato organizzato utilizzando fondi pubblici per fare campagna elettorale sulla sua riforma, a parere dell'interrogante a vantaggio del PD, sarebbe davvero incredibile e non rispettoso dei sacrifici che quotidianamente il Governo chiede ai cittadini –:
   se il viaggio della Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento sia stato un «viaggio di Stato» e, nel caso positivo, se questo sia avvenuto nel rispetto della normativa vigente.
   (4-14373)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, CIPRINI, SIBILIA, DEL GROSSO, GRANDE, SCAGLIUSI, SPADONI e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   già con l'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-08846 dell'8 giugno 2016, a prima firma Sibilia, venivano evidenziate le criticità relative all'aggiornamento retributivo degli stipendi del personale a contratto negli USA, non sufficientemente adeguato alla normativa locale;
   nella risposta fornita, il sottosegretario Della Vedova affermava: «... confermo che la Farnesina ha recentemente accordato, con decorrenza 1o aprile 2016, un adeguamento retributivo del 5 per cento per tutti gli impiegati a legge locale e a legge italiana post ’97, accogliendo la richiesta avanzata in tal senso dall'Ambasciata d'Italia a Washington nel 2015. Tale aumento è stato deciso sulla base della normativa vigente (...) e delle condizioni del mercato del lavoro locale e dell'andamento del costo della vita»; tuttavia, non vi è menzione della prassi locale che vincola le retribuzioni all'inflazione e alla presenza di progressione economica, nonché avanzamento di carriera nell'ambito del proprio posto di lavoro, trattamenti non garantiti all'impiegato a contratto del Maeci negli USA;
   peraltro, risulta agli interroganti che il Ministero continuerebbe ad assumere personale a contratto a tempo indeterminato presso sedi estere quali Stati Uniti, Canada, Svizzera, Australia, Argentina con stipendi, ben superiori ai 5000 euro;
   dai bandi di assunzione pubblicati nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Francia si rileva che lo stipendio medio lordo offerto dai partner europei appare ben lontano dai citati 5.000 euro che attualmente sono la retribuzione negli Stati Uniti visto che si parla infatti di circa 3.500 dollari lordi o anche meno –:
   quali siano le ragioni dell'alto compenso del personale italiano a contratto nelle sedi citate in premessa e se non ritenga opportuno allineare i trattamenti economici del personale italiano a contratto nelle sedi citate in premessa non solo a quelli percepiti dai dipendenti pubblici dei Paesi nei quali prestano servizio, ma anche ai compensi previsti per il personale, con analoghe qualifiche, assunto alle dipendenze di altri Stati partner europei. (5-09655)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la condizione di dissesto nella quale versa il territorio della provincia di Avellino si ripresenta ogniqualvolta si acuisce il maltempo;
   il 18 settembre 2016, a causa delle piogge copiose, si sono verificati smottamenti in molte zone della provincia, slavine di fango e pietre e vari allagamenti, che hanno reso necessario l'intervento dei vigili del fuoco; la situazione più critica si è verificata ad Avellino in via Macchia, dove un muro in pietra è crollato, investendo due autovetture parcheggiate;
   il 7 ottobre 2016 una cospicua pioggia ha messo in ginocchio il serinese: decine di interventi per slavine di fango, movimenti franosi, allagamenti; alla frazione Troiani, la pioggia ha innescato il cedimento del terreno portando sulla strada pietre, fango e detriti, rendendola impraticabile; molti sono stati anche gli allagamenti di diversi locali situati ai piani bassi delle abitazioni del posto;
   nella stessa data, a Contrada Bagnoli, la slavina ha letteralmente bloccato un'autovettura in transito; a Manocalzati, un Tir in transito in via Tavernole è rimasto bloccato, sempre per l'invasione della sede stradale di detriti e fango;
   il 12 e il 13 settembre 2016, le abbondanti precipitazioni hanno causato danni al comune di Lacedonia: contrada Macchialupo, contrada Isca e contrada Forna sono state letteralmente sommerse dalla furia dell'acqua; interi tratti di strade sono stati distrutti e le famiglie sono rimaste isolate; un ponte è crollato in contrada Isca, isolando di fatto una famiglia che già aveva rischiato per il passaggio del fiume di fango a pochi metri dall'abitazione;
   in tale circostanza, gravissimi sono stati i danni alle vie di comunicazione; colpita in particolare la strada che collega il centro abitato di Lacedonia alla contrada Forna e al Lago San Pietro. La violenza delle precipitazioni ha letteralmente staccato interi pezzi di asfalto, e fatto sprofondare tratti di strada;
   il 25 luglio 2016 il maltempo ha provocato molti danni: sulla strada statale Ofantina, subito dopo Chiusano San Domenico, prima dello svincolo per San Mango, è franata una parte importante del Monte Tuoro. Fango, detriti, pietre, rami, e altro materiale sono finiti sulla carreggiata, arrecando disagi alla circolazione ed esponendo gli automobilisti a serio pericolo; detti fenomeni evidenziano che l'Irpinia ha bisogno di interventi concreti di risanamento e un'opera complessiva di prevenzione e di mitigazione del rischio idrogeologico. Non più interventi «tampone», che servono a risolvere le singole emergenze, ma un progetto per l'Irpinia che affronti il problema complessivamente in un'ottica di «manutenzione» del territorio e di prevenzione dei fenomeni;
   a giudizio dell'interrogante, l'Irpinia ha bisogno di un disegno strategico che superi ulteriormente la frammentazione delle competenze in tema di rischio idrogeologico;
   occorre rendere spendibili i fondi messi a disposizione per gli interventi, superando le difficoltà di ordine burocratico e tecnico che, troppo spesso, bloccano i lavori in corso d'opera o anche prima dell'avvio;
   in tal senso molto è stato fatto dal Governo con l'annuncio del piano 2015- 2020 che punta a dare un nuovo impulso alla programmazione e all'attuazione degli interventi;
   detto piano prevede un investimento di 7 miliardi di euro 6 anni, finanziato con la programmazione del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e con il cofinanziamento regionale;
   l'auspicio è che l'Irpinia possa beneficiare di tali risorse in base ad un'adeguata programmazione degli interventi e una sapiente opera di coordinamento –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare, alla luce dei fatti suesposti, per fronteggiare le difficoltà che l'Irpinia vive puntualmente quando le piogge si fanno copiose.
   (5-09646)


   MARZANA, RIZZO, DE ROSA, MANNINO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 23 settembre 2016, alle ore 3, l'equipaggio della nave Mustafa Kan ha lanciato l'SOS perché iniziava a imbarcare acqua dalla sala macchine;
   la «Mustafa Kan» è una nave cargo da 7 mila tonnellate e lunga 136 metri, battente bandiera panamense, gestita dalla Kanlar Denizcilik che era in viaggio da Dakar (Senegal) a Sibenik (Croazia) quando, probabilmente per una falla alla struttura, ha iniziato a imbarcare acqua a 24 miglia dalla costa siracusana e più precisamente al largo del Porto di Avola e, soprattutto, dell'Area Marina Protetta del Plemmirio, una delle riserve naturali più suggestive e importanti della Sicilia;
   se da una parte è consolante sapere che i 16 componenti dell'equipaggio sono stati tutti tratti in salvo, permangono forti timori sulla possibile dispersione di carburante e oli in mare e sul destino delle 8 mila tonnellate di fosfato d'ammonio che potrebbero inabissarsi in un fondale profondo circa 2 mila metri;
   ad oggi il mercantile è quasi completamente sommerso e rovesciato e, sebbene al momento non si registrino sversamenti, è palpabile la preoccupazione per i possibili effetti che un simile carico potrebbe causare all'ecosistema marino;
   secondo gli esperti il fosfato di ammonio causa l'eutrofizzazione del mare, ossia la proliferazione e crescita rapida delle piante acquatiche, la cui decomposizione provoca la diminuzione di ossigeno e di conseguenza la drastica riduzione degli organismi viventi. Pertanto, una eventuale contaminazione recherebbe un danno enorme alla ricca biodiversità del tratto di mare interessato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, abbia avviato per il recupero del carburante contenuto nei serbatoi e dei fusti contenenti fosfato di ammonio;
   come stia monitorando l'area marina interessata al fine di rilevare e rimuovere gli eventuali rilasci di idrocarburi e di altri inquinanti dannosi per tutto l'ecosistema marino;
   se e come intenda procedere alla richiesta di risarcimento danni e pagamento delle spese sostenute nei confronti della Kanlar Denizcilik che ha gestito la nave cargo «Mustafa Kan»;
   quali iniziative normative il Ministro interrogato intenda adottare, anche in raccordo con gli altri Stati, al fine di vietare il transito delle navi cargo che trasportano materiali inquinanti in prossimità di siti naturalistici. (5-09648)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 3 agosto 2016 i consiglieri comunali, di Arcinazzo Romano (RM) Luca Marocchi e Antonio De Santis con un esposto indirizzato ai diversi enti territoriali competenti, tra i quali il nucleo operativo ecologico dei carabinieri, hanno denunciato la presenza di traversine ferroviarie impregnate di creosoto all'interno del parco pubblico S. Giovanni Bosco in località Altipiani di Arcinazzo, zona dalle caratteristiche geomorfologiche di natura carsica e classificata ad alto valore paesaggistico;
   secondo quanto denunciato dagli amministratori locali, la presenza di tale materiale era emersa già nel 2013 nel corso di una seduta della commissione comunale tutela e sviluppo Altipiani come risulterebbe da verbale del 13 aprile 2013, senza che ciò abbia prodotto alcuna azione di bonifica;
   il creosoto risulta da tempo classificata sostanza tossica, altamente cancerogena e catalogata quale rifiuto speciale pericoloso, quindi non più riutilizzabile ai sensi dell'attuale normativa ambientale e senza un corretto smaltimento può provocare notevoli rischi per l'ambiente e la salute di quanti ne vengano a diretto contatto;
   dal punto di vista dei rischi connessi alla produzione ed all'uso di manufatti di legno trattati al creosoto, si sottolinea che qualificati studi clinici ed epidemiologici hanno definitivamente stabilito la cancerogenicità del benzo[a]pirene contenuto in esso e particolarmente dannosa viene ritenuta la prolungata esposizione per contatto;
   nel nostro Paese risulterebbe ancora frequente l'immissione sul mercato come «usato tolto d'opera» di traversine ferroviarie dismesse ed utilizzate in diverse opere di sistemazioni stradali e di contenimento terre, sottraendo tali prodotti dall'applicazione di qualsiasi disposizione della disciplina di smaltimento dei rifiuti –:
   se sia a conoscenza di quanto denunciato dagli amministratori locali del comune di Arcinazzo Romano e quanto secondo le risultanze note al Ministro risulti ancora diffusa nel Paese la prassi relativa alla commercializzazione delle traversine ferroviarie dismesse impregnate di creosoto. (5-09650)


   AGOSTINELLI, TERZONI e CECCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in data 29 gennaio 2009 sono state rilasciate 2 autorizzazioni della durata di 42 anni alle ditte Fatma s.p.a. (protocollo n. 833 del 29 gennaio 2009 del comune di Serra San Quirico) e Cava Gola della Rossa s.p.a. (protocollo n. 832 del 29 gennaio 2009 del comune di Serra San Quirico) per estrazione di calcare massiccio dalla cava Gola della Rossa;
   il calcare massiccio è un materiale costituito per la quasi totalità da carbonato di calcio; il calcare massiccio estratto dalla cava ha un tenore di carbonato di calcio › al 98 per cento (98,6 – 99,1 per cento);
   le autorizzazioni prevedono che «l'uso e la destinazione finale del materiale estratto dovranno essere quelli previsti ai sensi dell'articolo 3 della legge regionale n. 71 del 1997, in conformità alle previsioni di cui al punto 3.3 del P.R.A.E. ed al punto 4.1. della relazione del P.P.A.E. di Ancona»;
   l'articolo 3, comma 2, della legge regionale n. 71 del 1997 considera il calcare massiccio con purezza › al 98 per cento «“riserva strategica della Regione”, per il quale il P.R.A.E. riconosce particolari sviluppi produttivi esclusivamente per segmenti di mercato ad elevato valore aggiunto, quali industrie chimiche ed affini e tecniche innovative di escavazione»;
   il paragrafo 5,3 della relazione tecnico illustrativa del piano provinciale attività estrattive di Ancona dispone che «il P.P.A.E. conformemente al P.R.A.E. ed alla legge regionale n. 71 del 1997 considera inoltre il calcare massiccio con purezza › al 98 per cento come materiale strategico di interesse regionale per il quale il P.R.A.E. riconosce particolari sviluppi produttivi esclusivamente per segmenti di mercato ad elevato valore aggiunto, così come definito all'articolo 1 della legge n. 33 del 1999 e, quindi, non compreso nei quantitativi del fabbisogno di materiale destinato agli inerti per costruzioni»;
   il punto b) dell'allegato A della delibera di giunta regionale n. 476 del 2004 di «approvazione degli indirizzi generali concernenti la verifica di compatibilità dei P.P.A.E. con il P.R.A.E.», con riguardo al calcare massiccio › al 98 per cento, consente l'esclusione dal computo dei livelli produttivi definiti dal P.R.A.E. quando l'estrazione è effettuata per segmenti di mercato ad elevato valore aggiunto, vale a dire industrie chimiche (micronizzati, calce) ed affini (industria alimentare, carta);
   il Tar Marche (sentenza n. 1445/2009), chiamato a pronunciarsi sulla legittimità delle autorizzazioni rilasciate alle ditte Fatma s.p.a e Cava Gola della Rossa s.p.a., ha ritenuto il ricorso infondato chiarendo che il punto 3.3.4 della relazione tecnica illustrativa generale del P.R.A.E. ed il paragrafo 4.1. della relazione tecnico illustrativa generale del P.P.A.E. di Ancona, individuano tra i possibili impieghi del calcare massiccio con purezza › al 98 per cento, anche la produzione di pietrisco per conglomerati cementizi ed inerti fini per la produzione di conglomerati bituminosi, oltre ai prodotti per l'industria chimica, farmaceutica, agroalimentare, ornamentale ed altri settori di mercato con elevato valore aggiunto;
   lo stesso Tar Marche ha escluso che la produzione di inerti da parte delle due ditte autorizzate configuri un abuso di posizione dominante, in quanto l'estrazione realizzata di calcare massiccio con purezza superiore al 98 per cento (300.000 mc/a) rappresenta il 6 per cento del totale complessivo previsto a livello regionale ed il 19 per cento della categoria A6; si tratta quindi di operazione rilevante ma non di monopolio (negli stessi termini anche C. di St. n. 7507/2010 secondo cui l'utilizzo di calcare massiccio con purezza › al 98 per cento resta parallelo e non sovrapponibile a quello del calcare stratificato);
   attualmente il calcare massiccio estratto in Cava Gola della Rossa è utilizzato per produrre tutti i tipi di inerti per costruzioni: non solo conglomerati cementizi e bituminosi (i soli considerati ammissibili da Tar e Consiglio di Stato), ma anche industria del calcestruzzo, industria dei conglomerati bituminosi, industria alimentare, industria di ceramica e vetro, industria della cellulosa, vernici, gomma, farmaceutica e chimica (si veda pagina 4 della relazione economico-finanziaria allegata al progetto di riconversione industriale e riqualificazione ambientale dell'area Gola della Rossa;
   nel sito web Cava Gola della Rossa – home è riportato che il calcare estratto è usato per produrre inerti per l'industria delle costruzioni quali aggregati di frantumazione ed aggregati di macinazione impiegati per realizzare calcestruzzi, stabilizzati, massicciate stradali, gabbioni per muri di contenimento, opere drenanti: si tratta degli stessi inerti per costruzioni che si ricavano anche dalle ghiaie e dai calcari stratificati estratti dalle altre 8 cave della provincia di Ancona; eppure in base alla citata delibera di giunta regionale n. 476 del 2004 il calcare massiccio estratto in Cava Gola della Rossa è materiale extra-budget, scomputato dai livelli produttivi definiti dal PRAE in quanto produzione destinata a segmenti di mercato ad elevato valore aggiunto (industria chimica ed affini);
   il 5 dicembre 2012 la Gola della Rossa s.p.a. ha presentato domanda di concordato preventivo con i creditori; in data 2 febbraio 2013 la seconda sezione civile del tribunale di Ancona ha aperto la procedura, poi omologata con decreto n. 1958/2015 del 9 aprile 2015;
   nel settembre 2015 la società Cava Gola della Rossa s.p.a. è stata scissa e parte del patrimonio, compresa l'attività estrattiva, è stato trasferito ad una nuova società, la Gola della Rossa mineraria s.p.a. Anche la collegata Fatma s.p.a. è stata scissa e l'attività estrattiva trasferita alla Fatma srl (successivamente incorporata dalla Gola della Rossa Mineraria spa);
   alle due nuove società, nate in seguito alla scissione, sono state volturate le autorizzazioni rilasciate dal comune di Serra San Quirico nel 2009;
   il tribunale di Ancona in sede di omologa ha autorizzato la Gola della Rossa Mineraria s.p.a. a contrarre finanziamenti prededucibili per un importo massimo di 800.000 euro;
   l'attuazione dell'originario progetto di riconversione industriale e riqualificazione ambientale dell'area Gola della Rossa prevede, invece, investimenti per decine di milioni di euro, di cui 8,5 milioni di euro per la realizzazione dell'impianto per la produzione dei micronizzati per le industrie chimiche e affini (cfr. la relazione economico finanziaria), sicché, ad avviso degli interroganti, le capacità economiche delle ditte dovevano essere considerate venute meno in via definitiva dal dicembre 2012, cioè dal momento stesso della presentazione della richiesta di concordato preventivo da parte della Cava Gola della Rossa s.p.a.;
   l'articolo 9, comma 2, lettera l), della legge regionale n. 71 del 1997, «progetto di coltivazione», dispone che: «al progetto di coltivazione deve sere allegata una dichiarazione attestante l'idoneità tecnica ed economica del richiedente ad eseguire lavori di escavazione e recupero con particolare riferimento ad impianti ed ai relativi macchinari ... e gli interventi di recupero ambientale relativi al progetto proposto»;
   l'articolo 19 della medesima legge regionale, al comma 5, dispone che «l'autorità competente provvede alla sospensione delle autorizzazioni, delle concessioni e dei permessi di ricerca indicando contestualmente i termini per l'adempimento qualora: a) venga riscontrata l'inosservanza del progetto approvato» ed al comma 6 che «l'autorità competente dichiara decadute le autorizzazioni, le concessioni e i permessi di ricerca nei casi seguenti: ... d) qualora sia venuta in via definitiva meno la capacità tecnica o economica dell'imprenditore»;
   l'inosservanza del progetto è un dato di fatto: dopo 7 anni dall'autorizzazione ancora non è stato realizzato l'impianto per la produzione di micronizzati per l'industria chimica e affini, mentre si producono inerti per sottofondi, massicciate e rilevati stradali, in violazione dell'articolo 3 comma 2 della legge regionale n. 71 del 1997;
   attualmente sul sito web Gola della Rossa mineraria – prodotti e impieghi – non vengono più indicati gli inerti ottenuti da un calcare massiccio con purezza superiore al 98 per cento; nel sito della nuova società viene riportato che la Gola della Rossa mineraria spa è specializzata nell'estrazione e nella lavorazione del carbonato di calcio dal quale si ricavano inerti granulari e in polvere per vari usi aventi un tenore di CaCo3 = 98 per cento; tenore che viene riportato anche nelle fatture di vendita di vari inerti;
   quindi, la Gola della Rossa mineraria s.p.a. dichiara che il materiale estratto ha un tenore di carbonato di calcio non superiore al 98 per cento, a giudizio degli interroganti in palese contrasto con l'articolo 3, comma 2, della legge regionale n. 71 del 1997 che consente l'autorizzazione della cava quale «riserva strategica della regione», esclusivamente per l'estrazione di carbonato di calcio con purezza superiore al 98 per cento;
   l'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004) nel disciplinare la procedura per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica dispone al comma 14 che «le disposizioni dei commi da 1 a 13 si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere incidenti sui beni di cui all'articolo 134, ferme restando anche le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 8 luglio 1986, n. 349»; il richiamato articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 8 luglio 1986 n. 349 a sua volta dispone che il Ministero dell'ambiente esercita: «le funzioni di competenza dello Stato nelle materie di cui all'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in materia di cave e torbiere, da esercitarsi di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato»;
   la circolare n. 24 dell'8 novembre 2011 del Ministero per i beni e le attività culturali – direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea – avente ad oggetto «decreto-legge n. 70 del 2011 – modifiche al procedimento di autorizzazione paesaggistica – circolare esplicativa» (prot. n. 35009), chiarisce che «la rilevante sostituzione del comma 14 comporta che, a partire dal 13 luglio 2011, la nuova procedura di cui all'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 debba essere applicata sia per le attività di coltivazione di cave e torbiere, che per le attività minerarie di ricerca e di estrazione incidenti sulle aree sottoposte a vincolo paesaggistico. È stata dunque stabilita l'esclusiva competenza di questo Ministero per il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica per le succitate attività (...) Per quanto attiene alle autorizzazioni rilasciate precedentemente a tale data (13 luglio 2011) si applica la disciplina previgente, rimanendo le scelte soggette al controllo di legittimità del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare. A riguardo si richiamano le puntuali indicazioni fornite nel parere dell'Ufficio legislativo, nonché il contenuto dell'acclusa nota n. 16791 del 5 agosto 2011 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» –:
   se, ai sensi dell'articolo 146, comma 14, del decreto legislativo n. 42 del 2004 e dell'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 349 del 1986 e alla luce della circolare esplicativa del Ministero per i beni e le attività culturali n. 24 dell'8 novembre 2011 (prot. N. 35009), si intendano assumere iniziative per tutelare le aree sottoposte ai vincoli paesaggistici e ambientali di Gola della Rossa minacciate dalla prosecuzione delle attività di estrazione sopraindicate. (5-09653)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 9 agosto 2016, il Corriere di Verona pubblicava un articolo intitolandolo: «Il soprintendente Magani nei guai per il post sisma»;
   Fabrizio Magani, da circa un anno e mezzo, ricopre la carica di soprintendente alle belle arti e al paesaggio di Verona;
   secondo quanto riferito dal quotidiano, Magani «rischia il rinvio a giudizio nell'ambito di un'inchiesta che lo vede coinvolto come ex dirigente regionale dei Beni culturali in Abruzzo, incarico che ha ricoperto fino all'aprile 2014 (...) il 7 settembre, si terrà davanti al gup aquilano la seconda (e forse decisiva) parte dell'udienza preliminare che vede sotto accusa oltre a Magani anche altri quattro imputati. In ballo ci sono i lavori per la ricostruzione nel post terremoto: ipotizzando i reati di turbativa d'asta e peculato, il pm Antonietta Picardi ha chiesto il processo per l'attuale soprintendente alle Belle Arti e al Paesaggio di Verona»;
   al centro dell'inchiesta «si configura la procedura negoziata per l'affidamento del servizio legale e del supporto giuridico al Mibac Abruzzo (Ministero beni culturali e paesaggistici, ente di cui Magani era direttore), stazione appaltante nel post sisma per gli interventi sul patrimonio ecclesiastico. Secondo la ricostruzione delineata dalla procura abruzzese, la nomina degli avvocati chiamati a svolgere l'incarico per conto del Mibac, sarebbe avvenuta in maniera illegittima»;
   tra gli imputati, Magani era stato accusato di peculato, ma, successivamente, il pm ha chiesto la modifica del capo d'imputazione in truffa ai danni dello Stato. Scrive ancora il Corriere di Verona: «Magani — sostengono gli inquirenti — avrebbe disposto il pagamento di 60 mila euro a favore dell'avvocato Marascio per assistenza legale a 4 gare di appalto mai indette. L'affidamento a Marascio prevedeva un corrispettivo forfettario di 12 mila euro per un massimo di 12 gare. Le indagini hanno dimostrato che nonostante la direzione avesse indetto solo 8 gare, Magani ha disposto pagamenti a favore del legale per 144 mila euro, vale a dire di 12 gare». Non solo, perché «Magani — prosegue ancora l'accusa — senza attendere la fine dell'incarico iniziale ha poi sottoscritto una proroga per altri 3 mesi obbligando l'ente al pagamento, sempre a favore di Marascio, di un ulteriore importo di 91 mila euro che in tutto o in parte non potevano essere eseguite entro il termine prefissato contrattualmente» –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti per quanto di competenza;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere nei confronti del dottor Magani che, ad avviso dell'interrogante, non garantirebbe i principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione. (4-14370)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   come si apprende dagli organi di informazione si è dimessa la presidente della Cassa di Risparmio di Cesena, Catia Tomasetti, eletta meno di otto mesi fa alla guida dell'istituto di credito e conseguentemente si sono dimessi anche il vice presidente e alcuni consiglieri di amministrazione;
   alla base di questa decisione vi sarebbe la volontà dello «schema volontario» del Fondo Interbancario di tutela dei depositi di nominare direttamente gli amministratori tant’è che non risulta non essersi dimesso Guido Bossina chiamato il 15 luglio 2016 a ricoprire la carica di direttore generale proprio su indicazione del fondo;
   il fondo interbancario ha effettuato nell'ultima assemblea dello scorso mese di luglio un aumento di capitale pari a 280 milioni di euro acquisendo 560 milioni di nuove azioni al prezzo di 0,50 euro ciascuna, ricordando che il loro valore iniziale si aggirava intorno ai 14 euro, con punte anche di 19 euro, e giungendo a controllare il 93,5 per cento delle azioni della Cassa di Risparmio;
   sarebbe quindi in previsione la convocazione di due assemblee dei soci di cui una ordinaria per la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione e un'altra straordinaria per modificare lo statuto dell'istituto di credito introducendo la figura dell'amministratore delegato attualmente non prevista;
   è del tutto evidente che tale dinamica rischia di recidere definitivamente i legami tra la Cassa di Risparmio ed il territorio fattore che suscita forte preoccupazione anche nel tessuto economico e sociale cesenate –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle dinamiche in atto per quanto concerne la situazione della Cassa di Risparmio di Cesena e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché siano salvaguardati i risparmiatori e sia tutelato il rapporto tra banche e territorio che, come nel caso di specie, è imprescindibile per il futuro delle aziende e di questa in particolare, anche in considerazione della storia dell'istituto di credito e della forte svalutazione già subita da parte degli azionisti.
(2-01482) «Lattuca, Roberta Agostini, Luciano Agostini, Galperti, Giulietti, Parrini, Mazzoli, Bruno Bossio, Baruffi, Ferrari, Ginefra, Stumpo, Giorgio Piccolo, Lodolini, Speranza, Laforgia, Peluffo, Tidei, Lenzi, Fragomeli, Richetti, Malpezzi, Malisani, Carra, Sani, Boccadutri, Marco Meloni, Rampi, Marco Di Maio, Ferro, Marchetti, Gnecchi».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in data 1o giugno 2016, l'associazione Adusbef, ha inviato un esposto alla Consob dal seguente tenore:
    «negli ultimi due anni, ad ogni scadenza trimestrale, il gruppo Sole 24 Ore ha inondato il mercato d'informazioni trionfaliste sull'andamento della società: una sfilza interminabile di notizie che hanno rappresentato e rappresentano un quadro della realtà aziendale in forte crescita su tutti i fronti. Puntualmente, soltanto poche righe davano conto di perdite importanti all'ultima riga dei comunicati ufficiali. In contemporanea l'allora presidente, Benito Benedini, ha proclamato in più occasioni pubbliche l'avvenuto, definitivo risanamento del gruppo. Nel frattempo, le quotazioni del titolo sono crollate, con forti perdite per gli investitori. Ora, nelle settimane scorse, il nuovo presidente, Giorgio Squinzi, ha dichiarato, in una intervista al Corriere della Sera e nell'intervento all'ultima assemblea di Confindustria, che il gruppo Sole 24 è tutt'altro che risanato. Trattandosi di una società quotata, la Consob avrebbe il dovere di ufficio di fare chiarezza sullo stato effettivo dei conti aziendali. In particolare, la società evita di fornire al mercato numeri decisivi per comprendere qual è l'andamento effettivo del gruppo. A partire dal dato più importante di tutti: l'andamento delle vendite distinguendo copie cartacee vendute in edicola, abbonamenti cartacei, abbonamenti digitali singoli, abbonamenti digitali venduti a pacchetto (le cosiddette copie multiple). Il forte sospetto è che il numero complessivo fornito al mercato superi di gran lunga quello reale. La certezza è che i ricavi risultano di gran lunga inferiori a quelli che dovrebbero risultare dalle copie dichiarate. Qual è la redditività effettiva delle vendite del quotidiano annunciate dalla società ? Di sicuro gli incrementi dichiarati della diffusione non si traducono né in lettori, né in ricavi. Secondo l'ultima rilevazione 2015 (Audipress 2015/111) il Sole 24 Ore ha 879.000 lettori, addirittura –8,2 per cento dalla rilevazione precedente (che ne indicava 957.000), a una distanza molto ampia non solo da Corriere e Repubblica (oltre 2.350.000 lettori) ma anche piuttosto significativa rispetto a Stampa, Resto del Carlino, Messaggero (con lettori compresi all'incirca fra 1.300.000 ei 1.050.000). I trend non appaiono in crescita anche considerando un periodo più lungo: ad esempio nella rilevazione Audipress 1/2013, i lettori erano poco più di 900.000. In più, caso unico nell'editoria internazionale, ogni copia digitale del Sole 24 Ore risulta avere 0,63 lettori circa, mentre in genere ogni copia ha più lettori. Clamorosa è la correlazione fra l'andamento delle copie del quotidiano Sole 24 Ore certificate dalla Ads, che certifica la diffusione dei giornali, e quello della Posizione finanziaria netta del gruppo (Pfn, l'indicatore più incontrovertibile della salute aziendale, cioè la sua capacità di creare cassa). Nel I quadrimestre 2012, il Sole dichiarava 265.500 copie, con una Pfn ancora positiva e pari a 35,9 milioni di euro. In quattro anni, le copie del Sole sono salite a 382.000 (+ 44 per cento), un risultato apparentemente eccezionale nel mercato editoriale. Il problema è che nel frattempo la Pfn è passata a –20,5 milioni (si sono bruciati –56,4 milioni)»;
   in data 18 settembre 2016, Giorgio Meletti, ha pubblicato un articolo sul « Fatto Quotidiano» dal titolo: «I conti segreti del Sole 24 Ore, la maxi-perdita che minaccia Confindustria. In sei mesi il buco è arrivato a 30 milioni»;
   in sostanza, Il Sole 24 Ore – scrive Meletti – è la «municipalizzata di Lorsignori» che predicano bene, ma offrono 4,6 milioni di euro di buona uscita al direttore Napoletano, come premio per aver prodotto – assieme ad altri moralisti – un buco da 30 milioni in 6 mesi, ed aver quasi azzerato 250 milioni di euro a 27 mila malcapitati risparmiatori. Dalla quotazione, il Sole «perde sempre e usa i soldi chiesti alla Borsa per tappare i buchi dell'allegra gestione e i mega stipendi dei direttori maestri nelle prediche sul rigore»;
   «L'appuntamento per la resa dei conti è già fissato per giovedì prossimo, 22 settembre, alla riunione del consiglio direttivo della Confindustria. Il presidente Vincenzo Boccia ha scelto la strada della voluntary disclosure: a nove anni dalla quotazione in Borsa del Sole 24 Ore per la prima volta gli industriali si sentiranno raccontare – a porte chiuse – la verità sui conti del loro prestigioso quotidiano. Boccia, che pure è uomo prudente, non poteva far altro dopo che l'amministratore delegato Gabriele Del Torchio gli ha presentato la sua diagnosi. Del Torchio, entrato solo tre mesi fa al posto di Donatella Treu, ha trovato nei conti del Sole 24 Ore le classiche cose che «voi umani non potete nemmeno immaginare». I conti semestrali, la cui approvazione è stata rinviata al 30 settembre con un comunicato che lasciava presagire tempesta, presentano, stando alle indiscrezioni di queste ore, una perdita di 30 milioni di euro. L'anno scorso la semestrale si era chiusa con un rosso di 8 milioni, ma a fine 2015 la perdita era esplosa a 24. Stavolta Del Torchio, dicono nei corridoi aziendali, vuole scrivere nella semestrale una previsione per fine anno più contenuta, con una perdita di 45 milioni su tutto il 2016 contro i 30 per sei mesi. Non avrebbe alternative. Il patrimonio netto (capitale sociale più riserve) del Gruppo Sole 24 Ore, eroso da un'emorragia mai fermata dalla quotazione, è sceso a 80 milioni e non è più in grado di sostenere il peso di perdite così elevate. L'operazione verità decisa da Boccia porta al massimo la tensione dentro il Sole 24 Ore e nella stessa Confindustria. Del Torchio sta facendo le bucce alla gestione della Treu, e ha fatto capire di non escludere di chiederle conto nelle forme dovute di alcune scelte poco comprensibili. Ma nel clima incandescente sono coinvolti il direttore del quotidiano confindustriale Roberto Napoletano, l'ex presidente della società editrice Benito Benedini e il suo successore Giorgio Squinzi, che da presidente di Confindustria aveva benedetto la filiera Benedini-Treu-Napoletano. In particolare venerdì è esplosa la grana della super buonuscita (si parla di 4 milioni di euro) riconosciuta al direttore con una lettera firmata dal solo Benedini il 3 febbraio 2015. Dopo tre mesi di braccio di ferro Del Torchio ha ottenuto da Napoletano la rinuncia a quel privilegio “per sensibilità a fronte della situazione economica della società”. La mossa di Del Torchio conferma l'orientamento di arrivare in tempi rapidi alla nomina di un nuovo direttore. Del Torchio addebita a Napoletano la responsabilità di aver gestito, in stretta collaborazione con la Treu, l'operazione degli abbonamenti digitali multipli venduti a una misteriosa società di Londra e che sono stati censurati dall'Ads (Accertamento diffusione stampa) come un modo di dopare i dati diffusionali del giornale, e con essi il prezzo di vendita delle pagine pubblicitarie. La perdita di 30 milioni in sei mesi indicata da Del Torchio è il risultato di una verifica dei conti e delle spese della gestione precedente, i cui risultati sono apparsi così imbarazzanti da indurre lo stesso Del Torchio a segretarli. Napoletano venerdì stesso ha spiegato alla redazione che quella garanzia gli era stata riconosciuta dall'allora presidente dopo che la modifica del contratto giornalistico aveva ridotto il massimo delle mensilità di indennità (da 32 a 20) riconosciute ai direttori in caso di licenziamento senza giusta causa. Queste sono le delizie che ci riserva la Confindustria: prima predicano l'inevitabile compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, poi ottengono contratti di lavoro peggiorativi delle condizioni dei loro dipendenti, operai o giornalisti che siano, però proprio a chi si è maggiormente distinto nella predica sul rigore (per gli altri) si restituisce sottobanco ciò che si è tolto a tutti. Altra delizia. Quotano in Borsa il Gruppo Sole 24 Ore, si fanno dare 250 milioni da 27 mila malcapitati risparmiatori e dal quel giorno il Sole perde sempre e usa i soldi chiesti alla Borsa per tappare i buchi dell'allegra gestione e i mega stipendi dei direttori maestri nelle prediche sul rigore. Oggi quei 27 mila risparmiatori hanno perso il 90 per cento del loro capitale, e il Sole continua a fare la predica sugli sprechi del settore pubblico e delle municipalizzate. Adesso pare che Del Torchio abbia scoperto che il Sole è la municipalizzata personale di lorsignori. A spese degli altri, naturalmente»;
   gli incrementi della diffusione dichiarati non si sarebbero tradotti né in lettori, né in ricavi, alla luce dell'ultima rilevazione 2015 (Audipress 2015/111), secondo la quale Il Sole 24 Ore ha 879.000 lettori, addirittura –8,2 per cento dalla rilevazione precedente (che ne indicava 957.000), a una distanza molto ampia non solo da Corriere e Repubblica (oltre 2.350.000 lettori), ma anche piuttosto significativa rispetto a Stampa, Resto del Carlino, Messaggero (con lettori compresi all'incirca fra 1.300.000 e i 1.050.000);
   sarebbe opportuno chiarire se la «super buona uscita» riconosciuta al direttore del quotidiano confindustriale Roberto Napoletano - cui parrebbe, secondo fonti di stampa, aver rinunciato – dall'ex presidente della società editrice Benito Benedini, (pari a circa 4,6 milioni di euro) sia compatibile con i risultati di bilancio, che in soli 6 mesi avrebbe registrato una perdita di 30 milioni di euro;
   le prediche quotidiane di Confindustria sugli sprechi del settore pubblico e delle municipalizzate, come sull'inevitabile compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, per contratti di lavoro peggiorativi delle condizioni dei loro dipendenti, operai o giornalisti che siano, ad avviso degli interroganti costituiscono un beffardo cattivo esempio alla luce della cattiva gestione dei conti, probabilmente manipolati alla luce di costi, ricavi, copie vendute, che la Consob avrebbe il dovere di verificare con attenzione e rigore;
   il presidente del collegio sindacale de Il Sole 24 ore avrebbe inviato una segnalazione alla Consob, sulla preoccupante situazione dei conti e sulla dorata buona uscita del direttore Napoletano, e la Consob avrebbe chiesto lumi alla luce dell'esposto Adusbef –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche ai sensi del dodicesimo comma dell'articolo 1 del decreto-legge n. 95 del 1974, in relazione a quanto esposto in premessa e, in particolare, circa gli effetti che la raccolta di 250 milioni di euro dalla quotazione in borsa del gruppo il Sole 24 ore, abbia determinato sui 27 mila malcapitati risparmiatori, considerata la mala gestio de il Sole 24 ore, che sembra abbia utilizzato il pubblico risparmio per tappare i buchi della disinvolta gestione e dei mega stipendi dei direttori «maestri nelle prediche sul rigore», facendo conseguire perdite superiori al 90 per cento dell'investimento iniziale;
   se il Governo intenda adoperarsi per chiarire l'effettivo andamento delle vendite tra copie cartacee vendute in edicola, abbonamenti cartacei, abbonamenti digitali singoli, abbonamenti digitali venduti a pacchetto (le cosiddette copie multiple), rappresentando il numero complessivo fornito al mercato, considerato che, a parere degli interroganti, Il Sole 24 ore avrebbe dichiarato un dato di gran lunga superiore a quello reale;
   se il Governo intenda assumere iniziative urgenti di carattere normativo, per evitare che la gestione disinvolta delle imprese quotate in borsa, possa bruciare il valore dei risparmi investiti, con l'aggravante di un quotidiano di Confindustria che predica rigore nei conti pubblici e nella gestione delle municipalizzate, diventando, come in questo caso, ad avviso degli interroganti, esso stesso una sorta di municipalizzata ad personam a spese degli altri.
(2-01484) «Pesco, Villarosa, Alberti, Ruocco, Della Valle, Crippa, Brugnerotto, Caso, Cariello, Da Villa, Tripiedi, Cominardi, Ciprini, De Rosa».

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO e GIACOBBE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2015 è in vigore la legge 23 dicembre 2014 n. 190 che, all'articolo 1 comma 112, prevede quanto segue: «Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori attualmente in servizio, con effetto dal 1o gennaio 2015, senza corresponsione di ratei arretrati, non si tiene conto dei provvedimenti di annullamento delle certificazioni rilasciate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva»;
   a seguito dell'introduzione della predetta norma l'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) ha emanato la circolare applicativa n. 51 del 26 febbraio 2015, con la quale ha individuato i destinatari della norma in questione nei «lavoratori in servizio al 1o gennaio 2015, per i quali sia stata annullata la certificazione rilasciata dall'INAIL per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», precisando altresì che, per effetto della sanatoria di cui sopra, «ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, sono privi di effetto i provvedimenti di annullamento, adottati dall'INAIL, delle certificazioni rilasciate dallo stesso Istituto assicuratore»;
   tuttavia, l'Inps, investito delle domande dei lavoratori in possesso dei requisiti previsti dalla disposizione di legge e dalla circolare sopra citate, non l'ha ritenuta applicabile a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato;
   questo è stato quindi impedito e si impedisce ai lavoratori in questione, alcuni dei quali addirittura ammalatisi nel frattempo di patologie amianto correlate, di accedere al trattamento pensionistico;
   gli oneri economici per la liquidazione delle pensioni di tali lavoratori rientrano nella copertura finanziaria prevista dal medesimo articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014;
   infatti, la norma introdotta nell'ordinamento con la legge di stabilità per l'anno 2015 è stata emanata al fine di risolvere una volta per tutte le questioni sorte a seguito della indiscriminata revoca da parte dell'Inail delle certificazioni di esposizione all'amianto a suo tempo rilasciate, con le note gravi ripercussioni sulle posizioni lavorative e pensionistiche degli assicurati;
   le norme approvate dal Parlamento – con il chiaro proposito di salvaguardare i diritti acquisiti dai lavoratori nei lunghi anni intercorsi fra il rilascio delle certificazioni e la revoca delle stesse – hanno inteso mettere fine ad una vicenda che ha a lungo occupato le corti liguri, ripristinando «per legge» le certificazioni di esposizione a suo tempo rilasciate dall'Inail;
   per effetto dell'articolo 1, comma 112, della legge di stabilità 2015, quindi, non si può più tener conto del provvedimento con il quale l'Inail aveva «annullato» le dichiarazioni di esposizione ad amianto dei lavoratori, sicché tali dichiarazioni rilasciate dall'ente accertatore «sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali» – ritornano ad essere valide «ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall'articolo 13, comma 8, della Legge 27 marzo 1992 n. 257 e successive modificazioni»;
   ciò anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 8, della legge n. 179 del 2002;
   la norma sopravvenuta aveva una chiara natura «sanatoriale», con lo scopo di fare sì che, decaduto per legge il provvedimento di revoca, le certificazioni Inail recuperassero la loro piena validità indipendentemente dall'esito degli accertamenti di merito svolti nei giudizi previdenziali aventi ad oggetto la sussistenza dell'esposizione ad amianto ultradecennale superiore alla soglia di cui agli articoli 24 e 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991 (0,1 ff/cc);
   la disciplina di cui al comma 112 ha istituito una nuova via di accesso ai benefici per coloro che si sono ammalati per patologie amianto correlate, con requisiti propri quanto a presupposti di fatto e decorrenza del diritto;
   la nuova normativa, di carattere eccezionale e quindi di stretta interpretazione, costituisce una disciplina con portata innovativa rispetto all'impianto originale della legge n. 257 del 1992, come è dimostrato dai requisiti richiesti e dalle limitazioni in essa previste (come la mancata corresponsione di arretrati e l'esclusione dei soggetti già pensionati);
   la ratio della disposizione è la medesima che ha contraddistinto i precedenti interventi legislativi volti a salvaguardare pensionati e lavoratori in relazione al loro diritto ai benefici previdenziali secondo quanto già certificato molti anni prima dall'Inail ed accreditato dall'Inps nelle loro posizioni assicurative;
   la portata innovativa di tutte le discipline «sanatoriali» emesse tra il 2009 e il 2014 e la loro indipendenza/alternatività rispetto all'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto appaiono ancor più evidenti con riferimento all'ultimo intervento legislativo in materia, come risulta chiaramente dai lavori parlamentari che ne hanno preceduto l'emanazione;
   in particolare, la relazione tecnica della legge di stabilità 2015 con la quale è stato presentato in commissione alla Camera dei deputati e successivamente al Senato il comma 112, illustra lo scopo della disposizione così testualmente affermando: «A seguito di una indagine della Procura di Genova, avviata circa 7 anni fa e tuttora in corso, riguardante presunte irregolarità nel rilascio di certificazioni INAIL relative all'esposizione all'amianto per i lavoratori dell'area industriale e portuale genovese, sono stati avviati degli accertamenti e delle verifiche da parte di INPS e INAIL che hanno determinato la revoca di migliaia di certificazioni di esposizione all'amianto già rilasciate a lavoratori di stabilimenti e reparti dove è stato utilizzato l'amianto. Tali revoche hanno riguardato sia i lavoratori in attività sia i lavoratori già pensionati lasciando, in alcuni casi, alcune persone prive di sostegno economico. Attraverso alcuni provvedimenti legislativi approvati negli ultimi anni (in particolare nel 2009, 2011 e 2013) si è posto parziale rimedio a dette situazioni. Da questi provvedimenti legislativi sono rimasti esclusi oltre 700 lavoratori esposti all'amianto (molti dei quali sottoposti a regime di ammortizzatori sociali) che non hanno potuto usufruire del pensionamento. L'emendamento è finalizzato a consentire anche a questi lavoratori di godere dei benefici pensionistici previsti per l'esposizione all'amianto rendendo, così, possibile in presenza dei necessari requisiti, l'accesso al trattamento pensionistico a far data dal 1°gennaio 2015»;
   come emerge anche dalla successiva relazione tecnica della commissione parlamentare, la nuova disciplina è tesa a consentire agli ultimi «700 lavoratori» colpiti dalla revoca della certificazione Inail di accedere comunque al pensionamento attribuendo «per legge» valore di requisito costitutivo alla stessa certificazione revocata, purché non ottenuta con dolo accertato giudizialmente in via definitiva;
   a tale scopo, la norma ha ricevuto apposita copertura finanziaria calcolata sull'onere economico necessario ad erogare i trattamenti pensionistici a partire dal 1o gennaio 2015: «Pertanto è stato valutato il maggior onere per lo Stato derivante dalla concessione dei benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto qualora a detti lavoratori venisse riconosciuta la validità della certificazione...». L'onere che ne deriva per la finanza pubblica è duplice e consiste: – nell'intero importo della pensione per il periodo di anticipo nel conseguimento del diritto; – nella maggior quota di pensione dovuta alla maggiore anzianità assicurativa acquisita (fino alla estinzione della pensione stessa). Si è ipotizzato che dei circa 700 soggetti interessati ne verranno liquidati 400 nel corso del 2015 e i restanti nel corso del 2016;
   il diritto al pensionamento sulla base della maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto è quindi direttamente legato alla riacquistata validità della certificazione Inail, risultando ininfluente qualunque altro requisito connesso all'accertamento dell'esposizione stessa;
   le finalità della nuova disciplina erano peraltro state già poste all'ordine del giorno n. 9/1248-A-R-/141 della Camera dei deputati, illustrando dettagliatamente l'intento di conseguire una maggiore equità sociale e di porre rimedio alle storture generate nel corso degli anni (oltre sette dall'inizio dell'indagine della procura di Genova);
   dall'esercizio indiscriminato del potere di autotutela e dalle alterne vicende dei singoli procedimenti giudiziari che avevano creato stridenti disparità di trattamento tra lavoratori che operavano nelle stesse mansioni e negli stessi ambienti di lavoro, riporta il citato ordine del giorno: «Per i lavoratori ancora in attività permane una situazione per cui la revoca delle certificazioni non consente di accedere ai benefici previsti per gli esposti all'amianto; è opportuno quindi operare affinché si possa individuare una soluzione in grado di salvaguardare le certificazioni già rilasciate dall'INAIL anche per questi lavoratori, lasciando impregiudicata, ovviamente, l'azione della magistratura nell'accertamento di eventuali casi di dolo»;
   le considerazioni suddette sono rafforzate dalle seguenti: sono state revocate anche certificazioni di lavoratori in cui è stata accertata l'insorgenza di patologie derivanti dall'esposizione all'amianto;
   nel contenzioso legale attivato dai singoli lavoratori interessati viene riconosciuto il diritto ai benefici previsti, nella maggioranza dei casi;
   la revoca delle certificazioni da parte dell'Inail è avvenuta in modo massivo e, a quanto risulta agli interroganti, non a seguito di verifica della loro illegittimità;
   nelle altre realtà territoriali, in ambito nazionale, i lavoratori nelle stesse condizioni, con gli stessi requisiti, occupati spesso in siti produttivi delle stesse aziende, con stesse lavorazioni e condizioni ambientali di lavoro, hanno visti riconosciuti, sulla base della stessa normativa e identiche procedure, i benefici previdenziali derivanti dall'esposizione all'amianto;
   i dati del Registro nazionale mesoteliomi non lasciano dubbi, purtroppo, sulla pesantissima incidenza di questa patologia nella regione Liguria;
   l'articolo 42-ter inserito in corso di esame del decreto-legge n. 69 del 2016 ha – pur in modo parziale – recepito l'esigenza di un intervento volto a tutelare i suddetti lavoratori;
   con l'ordine del giorno n. 9/1248-A-R-/141 la Camera ha impegnato «il Governo a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13 comma 8, della legge 27 marzo 1992 n. 257, rendendo inoltre senza effetti – salvo il dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate»;
   la legge 23 dicembre 2014 n. 190, all'articolo 1, comma 112, definisce in modo esplicito il suo unico limite di efficacia in un giudicato (di natura penale) che abbia accertato il dolo del lavoratore e, tra i limiti di funzionamento della norma di legge, non rientra anche il giudicato civile relativo all'accertamento del superamento della soglia di rischio ex articolo 24 e articolo 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991, elemento estraneo alla fattispecie sanatoriale;
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 istituisce una prestazione nuova, diversa (per quantità e data di efficacia) da quella che sarebbe spettata sulla base dell'impianto originario dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 come modificato dall'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003;
   l'interpretazione della norma in esame come istituente un nuovo diritto diretto ai lavoratori (e solo ad essi), le cui certificazioni erano state revocate dall'Inail è stata accolta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità nello stesso senso indicato dalle precedenti normative sanatoriali sulla materia. La Corte d'appello di Genova, con articolata sentenza, ha precisato in modo chiaro ed esaustivo le problematiche legate al coordinamento della normativa sopravvenuta di cui all'articolo 1, comma 112 della legge n. 190 del 2014, con il previgente impianto normativo in materia di benefici amianto (Corte d'appello di Genova, sentenza n. 35 del 30 gennaio 2015, relatore dottor Bellé, in causa Di Bernardini Paolo/Inps). In particolare, la Corte d'appello ha evidenziato che «...La domanda di accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto, utile al riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, legge n. 257 del 1992 e quella di applicazione della sanatoria di cui all'articolo 1, comma 112, cit., pur producendo in gran parte analoghi effetti, non sono tra loro coincidenti»;
   «nell'un caso (accertamento dell'esposizione), la verifica giudiziale e la pronuncia di merito si fondano sul positivo accertamento di un certo grado di esposizione ad amianto. Nell'altro caso (sanatoria) ciò che fonda il diritto non è un tale accertamento di merito, quanto piuttosto quello di una fattispecie costituita dal susseguirsi di una certificazione INAIL favorevole e della successiva revoca di essa ... La fattispecie della sanatoria è ... autonoma e giustifica, per ragioni di tutela dell'affidamento poste a base dell'intervento legislativo, in sé stessa il riconoscimento del beneficio negato, purché sussista, a parte il caso di dolo dell'interessato, una originaria certificazione INAIL, poi revocata dallo stesso Ente»;
   l'impostazione della Corte d'appello di Genova dà conto di come la certificazione Inail, revocata perda la connotazione di elemento probatorio liberamente apprezzabile dal giudice per diventare, invece, elemento costitutivo della nuova fattispecie;
   la Corte con sentenza n. 233 del 2015 si è pronunciata anche sull'eccezione di giudicato formulata dall'Inps per non avere il lavoratore impugnato la sentenza di primo grado in punto accertamento dell'esposizione qualificata; la Corte ha affermato in proposito: «L'eccezione formulata dall'INPS, secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato quanto alla statuizione di insussistenza dell'esposizione qualificata ad amianto, va disattesa ... Seguendo la prospettazione dell'INPS il giudicato sarebbe sceso non sul rigetto del beneficio contributivo ... bensì sul requisito dell'esposizione qualificata; va dunque rilevato che tale requisito non è più richiesto dalla normativa sopravvenuta che si limita a far rivivere, sul punto, gli effetti della certificazione INAIL revocata. Deve dunque ritenersi che l'appellante ben potesse, con la proposizione del gravame, invocare l'applicazione della normativa sopravvenuta di cui all'articolo, 1 comma 112, della Legge 190 del 2014, idonea a fargli conseguire il petitum suddetto, senza dover necessariamente formulare censure avverso il capo della sentenza che aveva negato la sussistenza dell'esposizione qualificata»;
   sia pure indirettamente, la questione è anche stata affrontata e risolta nel medesimo senso dalla Corte di cassazione la quale ha affermato il principio per cui lo ius superveniens che introduca «una nuova disciplina del rapporto controverso» può trovare applicazione nel corso del giudizio di legittimità «alla (sola) condizione necessaria che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell'ordinamento in materia di processo in Corte di cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l'individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – richiedono che il motivo di ricorso, con cui è investito, anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua propria. ... Dalla esposizione della censura si evince, infatti, con chiarezza, dalla sentenza sopra richiamata che «la doglianza investe direttamente il provvedimento caducatorio della certificazione rilasciata dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992. Ne consegue che il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, attinente agli effetti dei provvedimenti atti a incidere sulle certificazioni quali quella in argomento, utili ai fini pensionistici, assume rilievo ai fini della decisione del motivo di ricorso sub 1. Pertanto la questione investita dal novum normativo deve reputarsi rientrare nell'ambito della materia devoluta all'esame di questa Corte con l'impugnazione ...» (Cassazione, Sezione Lavoro sentenza n. 20988/2015 del 16 ottobre 2015);
   il bene tutelato dalla legge n. 257 del 1992 e dalle sue successive modificazioni è il diritto alla salute del lavoratore sotto il profilo della «riparazione» del danno potenziale all'aspettativa di vita, comportato dalla esposizione ad un materiale letale come l'amianto;
   i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 112, della legge sopra citata non sono stati e non potevano essere fatti valere nei giudizi instaurati e conclusi prima della promulgazione della stessa;
   la disposizione di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 non è retroattiva ed anzi, esclude qualsiasi effetto della previsione in essa contenuta anteriormente alla sua emanazione (in tal senso si pone l'esplicita esclusione della corresponsione di arretrati);
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 ha modificato i presupposti dell'agire del lavoratore, sul piano sostanziale, consentendo di apprezzare la corrispondente azione come «nuova», rispetto a quella su cui si era formato il giudicato: la nuova norma ha radicalmente mutato la disciplina della situazione sostanziale di quei lavoratori per i quali, in passato, l'Inail avesse rilasciato una «valida» certificazione per l'accesso ai «benefici» da esposizione ad amianto che fosse poi stata «annullata»; dopo l'approvazione della norma citata, la certificazione Inail torna ad essere «valida» per il «conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», non dovendosi «tener conto» del suo «annullamento» in «autotutela» amministrativa. Ciò introduce una nuova regola sostanziale per le procedure amministrative di pensionamento e per i rapporti del lavoratore con l'ente previdenziale;
   sempre sulla questione si è recentemente pronunciato anche il tribunale di Genova, con sentenza 26 febbraio 2016 n. 165/16 (dottor Marcello Basilico): «Mutando la causa petendi vi è diversità di azione. Non può pertanto farsi valere il giudicato in questo giudizio ... Il diritto alle prestazioni pensionistiche per rivalutazione contributiva da esposizione all'amianto, ai sensi dell'articolo 1 comma 112 Legge 190/2014, sorge per effetto e nei limiti della certificazione INAIL successivamente annullata. La regola giuridica ed il bene della vita rivendicato dal quale è esclusa la corresponsione di arretrati sono diversi da quelli riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 comma 8 Legge 257/92 in conseguenza dell'accertamento della concreta esposizione ultradecennale oltre la soglia di 0,1 ff/cc. ... Il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale – anteriore peraltro all'entrata in vigore della Legge 190/2014 – non inficia dunque il diritto del ricorrente a far valere la nuova sanatoria»;
   la sentenza n. 165/16 del tribunale di Genova è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova con sentenza n. 350 del 16 settembre 2016 che ha respinto in toto l'appello presentato dall'Inps;
   la lettura costituzionalmente orientata della norma contenuta nell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, impone di ritenerla applicabile a tutti coloro che, alla data della sua entrata in vigore (1o gennaio 2015), siano in possesso dei requisiti da essa previsti, risultando come detto del tutto ininfluenti le vicende dei procedimenti amministrativi e giudiziari attinenti all'accertamento nel merito dell'esposizione qualificata ad amianto che hanno preceduto l'emanazione della norma;
   inoltre, verrebbe a crearsi una situazione di paradossale disparità di trattamento tra lavoratori che hanno agito in giudizio per l'accertamento dell'esposizione ad amianto e si sono visti respingere la domanda per mancato superamento (magari solo parziale) della soglia di 0,1 ff/cc e lavoratori che, pur avendo ugualmente subìto la revoca della certificazione non hanno ritenuto di adire l'autorità giudiziaria: l'accesso al pensionamento per effetto della nuova norma sarebbe condizionato dalla scelta del lavoratore di avere o meno contestato la legittimità della revoca anche in punto accertamento di fatto, con la conseguenza che verrebbe «premiato» chi ha fatto acquiescenza al provvedimento di annullamento rispetto a chi ha agito per vedersi comunque accertare il diritto;
   come ha osservato la corte d'appello di Genova, l'esclusione dall'ambito di applicazione della norma dei lavoratori per i quali sia stata accertata definitivamente l'insufficienza della esposizione ad amianto contrasta con la ratio della norma di salvaguardare in via generale l'affidamento in buona fede sull'atto emanato dall'INAIL e quindi il trattamento previdenziale ad esso connesso. Inoltre, si farebbe dipendere l'applicazione del beneficio previdenziale dalla durata del procedimento giudiziale per l'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto: a parità di accertamento negativo, la norma di sanatoria sarebbe applicabile a coloro per i quali il giudizio risulti ancora pendente in ogni stato e grado al momento di entrata in vigore della nuova normativa –:
   se trovi conferma quanto evidenziato in premessa e, quindi, se si intendono assumere iniziative per chiarire se la norma di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 vada applicata a tutti i destinatari da essa contemplati nell'ambito della copertura finanziaria prevista (700 lavoratori) e quindi anche a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali, secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato, anteriormente all'entrata in vigore della legge (1o gennaio 2015);
   in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda attivare per rimuovere le criticità relative all'applicazione della norma di cui all'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 consentendo l'accoglimento delle domande di rivalutazione contributiva e di pensionamento presentate. (5-09651)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 515, della legge n. 147 del 2013 e successive modificazioni ha previsto il trasferimento o la delega delle funzioni amministrative, organizzative e di supporto inerenti alla magistratura ordinaria, tributaria ed amministrativa e dei relativi oneri finanziari alla regione Trentino-Alto Adige/Südtirol;
   dalla predetta delega sono esclusi i magistrati e i dirigenti amministrativi, così come prospettato nell'ultima versione di schema di norma di attuazione del 28 giugno 2016 approvata dalla Commissione paritetica dei dodici ai sensi dell'articolo 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 e attualmente al vaglio dei Ministeri competenti per i previsti pareri definitivi;
   il citato schema di norma di attuazione prevederebbe l'entrata in vigore della delega in materia di giustizia il 1o gennaio 2017, mediante delega diretta delle funzioni dapprima alla regione e, successivamente, con possibilità di subdelega alle province autonome di Trento e di Bolzano;
   il decreto legislativo n. 240 del 2006 distingue il titolare dell'ufficio giudiziario, magistrato capo che organizza e gestisce l'attività giurisdizionale ed il personale di magistratura, dal dirigente amministrativo che organizza, gestisce il personale amministrativo, esercita il potere disciplinare e dipende funzionalmente dal magistrato capo dell'ufficio giudiziario;
   l'articolo 1, comma 6, del citato schema di norma di attuazione prevede invece una commissione mista, alla quale affidare il potere disciplinare sul personale amministrativo in servizio presso gli uffici giudiziari determinando, ad avviso dell'interrogante, una criticità istituzionale nella gestione del personale amministrativo in riferimento all'esercizio del potere disciplinare, considerato che il personale medesimo è soggetto da una parte alla dipendenza funzionale dal capo dell'ufficio giudiziario e dal dirigente amministrativo, e contemporaneamente, dall'altra, come stabilito dall'articolo 1, comma 2), lettera a), e comma 5), del medesimo schema, all'organizzazione amministrativa e gestionale della regione;
   il personale interessato alle variazioni di inquadramento amministrativo e gestionale è stimato in circa 400 dipendenti per l'intera regione;
   l'articolo 1, comma 8, dello schema riconosce il diritto di opzione a permanere nel ruolo statale per il personale non interessato al trasferimento nel ruolo regionale senza tuttavia delineare specifiche procedure per restare nell'ufficio o nell'amministrazione statale della giustizia o eventualmente in altri uffici statali provinciali, anche in soprannumero. Delinea, invece, l'avvio di una sorta di mobilità forzata mediante un limitato e teorico diritto di precedenza nei concorsi pubblici e nei processi di mobilità attivati sul territorio nazionale dal Ministero della giustizia;
   lo schema della norma di attuazione non prevede disposizioni per la riqualificazione professionale del personale che transiterebbe nei ruoli regionali;
   le incertezze determinate dal passaggio delle deleghe sono acuite dall'articolo 1, comma 9, del citato schema che prevede che al personale trasferito è assicurato il rispetto della posizione di inquadramento giuridico e del trattamento economico fondamentale in godimento con riferimento alle sole voci fisse e continuative, non correlate allo specifico profilo d'impiego nell'ente di provenienza. Tale ipotesi presenta pertanto aspetti limitativi e d'incertezza per il riconoscimento delle attuali mansioni e specifiche professionalità con l'aggravante che, pare, alcuni istituti del contratto regionale ad esempio la RIA) non possano nemmeno essere applicati –:
   in base a quali modalità e secondo quali principi verrà effettuato il controllo politico ed istituzionale sulla corretta attuazione della delega, con specifico riferimento al rispetto ed alla piena tutela e garanzia dei diritti acquisiti dal personale interessato, in particolar modo per la garanzia di un reale diritto di opzione, per un corretto inquadramento e la salvaguardia del trattamento economico complessivo spettante, nonché per l'uniforme e non discriminante applicazione delle procedure di riqualificazione professionale già avviate a livello nazionale e non previste nello schema di norma di attuazione, come peraltro già positivamente avvenuto in precedenti processi di delega delle funzioni statali alla regione Trentino Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di Bolzano. (4-14362)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il detettore di svio è un dispositivo meccanico antideragliamento con la funzione di arrestare immediatamente il convoglio nel caso in cui una ruota del vagone perda il contatto con la rotaia, anche se il macchinista non se ne avveda;
   l'Era (Agenzia europea per la sicurezza ferroviaria) non ha ancora oggi dichiarato obbligatorio sui carri che trasportano merci pericolose il citato dispositivo che, dai Paesi come la Svizzera, che lo adotta volontariamente, viene considerato una misura di massima sicurezza in quanto idoneo ad evitare vere e proprie stragi;
   la presenza di detto dispositivo, invero, secondo la consulenza disposta dalla procura di Lucca, nell'ambito del processo sulla nota e tragica strage di Viareggio, che ha causato 32 vittime a seguito del deragliamento di un treno carico di gpl in ingresso alla stazione, avrebbe impedito la strage in quanto la cisterna non si sarebbe rovesciata sui binari evitando l'esplosione;
   da allora le misure di sicurezza adottate, come la riduzione della velocità e l'implementazione della manutenzione, si sono rivelate insufficienti, visto il ripetersi di incidenti similari come quelli di Roma, Formia, Anagni; 
   il Ministro dei trasporti pro tempore, in risposta ad una interrogazione (l'interrogazione n. 4-04635 di martedì 20 ottobre 2009, seduta n. 235), affermò che «l'Agenzia italiana proporrà sempre in sede ERA, ..., l'obbligo di installazione di un apposito rilevatore inerziale di svio a bordo dei singoli vagoni utilizzati per il trasporto delle merci pericolose capace di far arrestare il convoglio se una ruota perde il contatto con la rotaia»;
   fonti di stampa (Strage di Viareggio, l'accusa: «Europa colpevole senza anti svio sui treni», di D. Francesconi, su Il Tirreno, Edizione Versiglia, del 17 settembre 2016) riferiscono di «una email del Ministero dei trasporti ed infrastrutture con la quale l'Italia dichiara la ferma convinzione di introdurre nel Rid 2013 l'obbligo del dispositivo anti svio per i carri trasportanti merci pericolose a partire da quelli più vetusti. Come era quello di Viareggio»;
   l'adozione del dispositivo a tutt'oggi non è obbligatoria per il trasporto di merci pericolose;
   da fonti di stampa ( Strage a Viareggio «FS investiva solo sull'alta velocità», di F. Sansa, su il Fatto Quotidiano, del 20 settembre 2016) emerge che Trenitalia avesse valutato l'installazione del dispositivo antisvio per il settore delle merci pericolose, ma poi avesse desistito non trattandosi di un settore «vetrina», rispetto a quella dell'Alta Velocità che consente di fare «apparizioni brillanti»;
   da rilevazioni in merito, il dispositivo risulta aver costi assai esigui e tempi brevi per l'installazione. Esistono sistemi in grado di garantire la sicurezza ferroviaria e di impedire il deragliamento, mediante la localizzazione dinamica del carro, attraverso l'interazione tra il sistema Gps e il sistema Gis per la localizzazione e visualizzazione della posizione dei carri, dotato di un'adeguata sensoristica di bordo, collegata a una centralina e poi ad un computer che consenta di operare un monitoraggio indipendente, serio, preciso e in tempo reale di ogni carro trasportante merci pericolose. Nel processo penale sulla strage di Viareggio, dalla requisitoria del pubblico ministero, di cui al verbale di udienza del 15 settembre 2016, emerge che «ogni carro allestito con questo sistema, molto più evoluto rispetto finanche all'antisvio, oggetto di un convegno di studi nel 2004 e di un progetto interno a Trenitalia nel 2005, sarebbe venuto a costare tra i seimila e gli ottomila euro. Il pubblico ministero in quella sede afferma: «ditemi voi se trentadue morti possono valere qualcosa in più di sei o settemila euro» –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative al fine di prevedere l'obbligo di installazione del detettore antisvio per il trasporto merci pericolose su rotaie;
   se il Ministro interrogato possa riferire in merito alla spesa necessaria per tale adeguamento, specificando il numero di carri merci che trasportano merci pericolose e i costi necessari per l'acquisto e l'installazione del dispositivo antisvio.
(5-09654)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, MELILLA e NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'acquisizione della società AnsaldoBreda da parte del gruppo giapponese, la sede Hitachi Rail Italy Reggio Calabria ha prodotto il primo di una parte dei 17 convogli driverless – senza conducente – commissionati per la metropolitana di Taipei;
   il valore complessivo della commessa, che vede impegnata al fianco di Hitachi Rail Italy anche Ansaldo Sts sul fronte del segnalamento, è pari a circa 200 milioni di euro (la quota di Hitachi è di circa 110 milioni);
   vista l'eccellenza a livello mondiale nel campo della produzione di convogli ferroviari lo stabilimento calabrese, che si conferma essere centrale e strategico per la società Hitachi, ha avviato la produzione, consegnandone il primo campione, di convogli commissionati dalla rete metropolitana di Lima, in Perù;
   il treno, in alluminio, ha una lunghezza complessiva di 108 metri, è largo 2,85 e può trasportare fino a 166 passeggeri seduti e 1.105 in piedi, raggiungendo la velocità massima di 90 chilometri orari. Il contratto, pari a circa 500 milioni di dollari, è relativo alla costruzione di 42 veicoli che verranno impiegati sulla linea 2 e sulla Linea 4 della « tube» peruviana, composta da 35 stazioni e 35 chilometri di tunnel;
   i convogli diretti a Lima sono transitati e partiti dal porto di Salerno, verosimilmente anche quelli diretti a Taipei, bypassando il porto di Gioia Tauro, che pure è uno dei porti più grandi d'Europa, sicuramente perché il porto di Gioia Tauro non può che fare transhipment, visto che, dopo decenni dalla sua costruzione, non è ancora dotato di un collegamento ferroviario;
   il porto di Gioia Tauro è il più grande porto in Italia per il throughput container, il 9o in Europa ed il 6o nel Mediterraneo, eppure non viene valorizzato nel suo ruolo strategico per il rilancio dei trasporti e dell'economia locale, lasciando che i prodotti di altissimo livello prodotti in Calabria vengano poi spediti in altri Paesi da un porto lontano dal luogo di produzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per riqualificare e valorizzare il porto di Gioia Tauro, come volano fondamentale dell'economia dei trasporti e del Mezzogiorno. (4-14360)


   ASCANI, GIULIETTI, SERENI e VERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il tratto stradale E45 Orte-Ravenna rientra nell'asse viario internazionale che collega il Nord Europa con l'Italia e, all'interno del territorio nazionale, essa si sviluppa sia su autostrade sia su strade statali: ad esempio, con specifico riferimento al tratto umbro, la E45 coincide, in parte, anche con il tracciato della strada statale 3-bis Tiberina e con la strada statale 675. Tuttavia, nonostante la dimensione infrastrutturale della E45 ricalchi, in buona parte, quella di obsolete reti stradali, essa svolge un importante ruolo di collegamento per la regione Umbria, attraversandola per ben 135 chilometri (dei 250 chilometri complessivi). Anche per via della sua estensione, dunque, la E45 costituisce per l'Umbria uno sbocco fondamentale per l'accesso ai corridoi europei (adriatico e tirrenico), connettendo le due province umbre di Terni e Perugia e attraversando numerose località di interesse paesaggistico-culturale, nonché diverse zone produttive e industriali della regione (fonte: Osservatorio regionale sulle infrastrutture di trasporto e logistica);
   è di tutta evidenza, dunque, la crucialità che l'infrastruttura in commento occupa nelle attività giornaliere degli abitanti della regione Umbria; attività non sono solamente di carattere commerciale, ma che coinvolgono ogni aspetto della quotidianità. Ciononostante, la scarsezza infrastrutturale della E45, e di cui si è già detto, non consente di sostenere i numeri della sua assidua frequentazione, né appare proporzionata alla rilevanza strategica che il tratto stradale in commento occupa. Invero, il dato più preoccupante, e che genera questa interrogazione, riguarda l'incidenza negativa sulla sicurezza stradale: il 37 per cento dei 92 comuni umbri registra, in media annua, più di due incidenti ogni 1.000 abitanti, e il 13 per cento di essi presenta un indice di mortalità superiore a 8,8 decessi ogni 100 incidenti. Tutto ciò avviene proprio in prossimità delle aree maggiormente abitate e attraversate dalla E45 (la rete viaria umbra con più alta densità di traffico) e per lo più causato dalla ridotta ampiezza media della carreggiata, ben al di sotto di quella standard (13/18 metri a confronto dei 25 metri standard – tutto Fonte: Istat – Focus sicurezza viaria);
   non si ignora che siano tuttora in corso interventi straordinari per consentire il miglioramento dell'indice di viabilità della E45 e che siano in programma azioni di messa in sicurezza del tratto stradale. Tuttavia, i dati summenzionati indicano la necessità di provvedere con maggiore celerità, anche nelle more della complessiva riorganizzazione infrastrutturale. Inoltre, la stampa locale riporta quotidianamente il bilancio delle morti occorse percorrendo questo tratto stradale: da ultimo, nel week-end del 24-25 settembre 2016, altre due donne sono rimaste uccise perdendo il controllo dell'auto a causa di uno dei numerosi restringimenti di carreggiata lungo i tratti in rifacimento; per le stesse cause, e in circostanze analoghe, hanno perso la vita altri due giovani ragazzi nei week-end precedenti. Un bilancio tragico, quindi, che richiede interventi tanto più urgenti per la prossimità del peggioramento delle condizioni meteorologiche dovute alla stagione invernale –:
   quali siano le iniziative adottate, per quanto di competenza, per la messa in sicurezza del tratto stradale umbro della E45 e in quali tempi e con quali modalità si svolgeranno gli interventi. (4-14361)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento dell'Unione europea n. 603 del 2013 istitutivo dell'Eurodac dispone, rispettivamente agli articoli 9 e 14, l'obbligo degli Stati membri di procedere «tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali... di ogni richiedente protezione internazionale di età non inferiore a 14 anni non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda» e «di cittadini di Paesi terzi o apolidi di età non inferiore a 14 anni che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un Paese terzo e che non siano stati respinti» da trasmettersi «quanto prima e in ogni caso entro 72 ore dopo la data del fermo»;
   già a dicembre 2015 la Commissione europea aveva inviato all'Italia una lettera di messa in mora, primo passo della procedura di infrazione europea, in merito alle carenze rilevate nella registrazione dei migranti arrivati sul proprio territorio, esortando l'Italia, dunque, ad attuare correttamente il regolamento Eurodac;
   la stessa Unione europea, a seguito degli attentati degli ultimi mesi, ha imposto agli Stati membri di procedere ad un inquadramento legislativo dell'attività degli hot spot e di «usare la forza» per la raccolta delle impronte digitali e delle foto-segnalazioni nei confronti dei migranti che oppongono resistenza;
   più recentemente, Gilles De Kerchove, coordinatore dell'antiterrorismo dell'Unione europea, in audizione lunedì 26 settembre 2016 al Parlamento europeo, ha ribadito che i flussi migratori sono stati utilizzati dai jihadisti dello Stato islamico per infiltrarsi in Europa e che la Libia sta diventando «un trampolino» per lo Stato islamico da cui pianificare attacchi verso l'Europa;
   il regolamento dell'Unione europea n. 603 del 2013, all'articolo 3, comma 5, delega agli Stati membri la disciplina della procedura di rilevamento delle impronte digitali;
   nonostante gli impegni comunicati dal Ministro interrogato, a marzo 2016, di procedere alla formulazione di una norma ad hoc, ad oggi, in Italia, la procedura di foto-segnalamento non è disciplinata da alcun atto avente forza di legge in grado di abilitare le forze dell'ordine, cui è demandato in pratica tale compito, ad effettuare un prelievo coattivo dei rilievi foto-segnaletici e delle impronte digitali nei confronti degli immigrati che a ciò oppongono resistenza;
   la questione dell'uso e l'impiego della forza nelle operazioni di foto-segnalamento, in mancanza, e nell'inerzia del Governo, di una previsione normativa che la disciplini in maniera precisa e tuteli le forze dell'ordine, è stata semplicemente demandata ad una serie di circolari, piuttosto vaghe sul punto in questione;
   in particolare, il 16 marzo 2016 è stata emanata una mera circolare interna con la quale gli agenti di polizia sono stati esortati e non autorizzati in base a specifiche disposizioni normative a utilizzare la forza, ove necessario, esponendoli con ciò ad enormi rischi, anche dal punto di vista legale;
   nonostante la necessità di aumentare e rendere rigorosi i controlli sui flussi migratori dalla Libia e dell'identificazione di chi sbarca sulle coste italiane, i nostri agenti di polizia non sono però in condizione di procedere al foto-segnalamento, come denunciato anche dal presidente del Sap, Gianni Tonelli, in mancanza di una norma che li tuteli e permetta loro di assolvere tale compito in maniera puntuale e precisa;
   tale lacuna normativa mette a rischio la sicurezza non solo dei nostri cittadini, ma di tutti gli europei –:
   quali iniziative normative il Ministro interrogato intenda adottare, al fine di adempiere correttamente alle disposizioni normative comunitarie e nazionali in materia, per consentire agli agenti di polizia di procedere al foto-segnalamento e all'identificazione puntale di tutti gli immigrati che varcano illegalmente i confini marittimi e terrestri italiani, autorizzandoli a ricorrere anche a misure coattive nei confronti di chi si rifiuti od opponga resistenza, e per prevedere tutele precise nei confronti delle forze dell'ordine nell'adempimento di tale attività. (4-14367)


   CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2016 la Guardia di finanza ha proceduto al sequestro della discarica della Solaria di Ghemme (NO). Da quanto si apprende dalla stessa stampa locale, l'istanza di sequestro sarebbe riconducibile al ritardo nel programma di lavori da parte della società di gestione (Daneco s.p.a.), alla mancanza del responsabile tecnico della messa in sicurezza e alla presenza di nuovi rifiuti sui quali sarebbero poi stati eseguiti accertamenti che avrebbero dovuto individuarne provenienza e pericolosità;
   a questa situazione va ad aggiungersi l'episodio del luglio 2016, quando il sindaco di Ghemme avrebbe firmato un'ordinanza urgente per la messa in sicurezza della zona della discarica;
   Arpa e Forestale infatti avrebbero verificato come le vasche di accumulo del percolato sarebbero al limite della capienza, con perdite dalle pareti laterali che determinerebbero una fuoriuscita di percolato che andrebbe a ristagnare nel bacino di contenimento, per poi interessare direttamente il suolo all'interno del bosco sottostante;
   secondo l'ordinanza, entro 10 giorni la ditta Daneco Impianti avrebbe dovuto provvedere al totale svuotamento delle vasche e, essendo il sito sotto sequestro, dovrebbero essere richiesti i permessi all'autorità giudiziaria;
   il mancato rispetto delle richieste comporterebbe l'applicazione di sanzioni penali dirette nei confronti della Daneco;
   Daneco s.p.a, impresa con sede legale a Milano, non sarebbe nuova a dinamiche simili;
   un percorso quasi analogo infatti lo si può trovare all'interno della relazione territoriale sulla regione Veneto prodotta e approvata dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti e in particolare nel paragrafo riguardante la discarica di Ca’ Filissine nel comune di Pescantina (VR), tema su cui la deputata Francesca Businarolo ha depositato l'interrogazione a risposta scritta n. 4/08260;
   nel dettaglio, all'interno della relazione si cita come «[...] il prefetto di Verona ha dichiarato, in occasione della sua audizione innanzi alla Commissione, che sono in corso approfondimenti per quanto riguarda, invece, i requisiti antimafia della Daneco, di competenza della prefettura di Milano, sede legale della società, posto che tuttora risulta mancante proprio il certificato antimafia» –:
   se il Ministro interrogato possa confermare l'assenza della certificazione antimafia relativa alla posizione dell'impresa Daneco s.p.a., rendendo disponibile la relativa documentazione. (4-14374)


   AIRAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 settembre 2016 un centinaio di persone, dalle 20,30 alle 21,45, hanno preso parte al presidio di protesta contro l'annunciato arrivo di un gruppo di 20-30 profughi a Carrù (Cuneo), che sarebbero ospitati nell'ex Consorzio agrario del paese, in viale Vittorio Veneto, vicino a piazza Mercato, in centro paese. I manifestanti si sono radunati intorno alle 20,30 in via Marconi di fronte alla casa del proprietario dell'ex Consorzio, l'avvocato Diego Manfredi, che è uscito per spiegare le sue ragioni;
   durante il presidio – presenti anche il sindaco Stefania Ieriti e parte della giunta comunale – non sono mancati slogan come «30 euro agli immigrati, niente soldi agli italiani» e proposte tipo «invece dei profughi ospitate gli sfollati di Amatrice». Il gruppo è stato controllato da carabinieri e polizia municipale;
   il sindaco Ieriti ha dichiarato: «Io rappresento i carrucesi, molti dei quali contrari ad accogliere i rifugiati. Il proprietario dell'immobile doveva informare il Comune, invece siamo venuti a conoscenza dell'accordo stipulato con la cooperativa Alpi del Mare solo l'altro giorno dalla Prefettura». Il proprietario, l'avv. Manfredi, ha risposto: «Avrei già potuto ospitarli due anni fa, nel marzo 2014, quando mi venne proposto la prima volta. Non l'ho fatto. Ho temporeggiato, ma ora è stata una decisione inevitabile». Il primo cittadino, rivolgendosi all'avvocato: «Come sai i contratti si possono rescindere. Quando il prefetto mi ha informata dell'arrivo dei profughi, ho detto: “Rispetto le direttive ministeriali, ma io sono contraria”»;
   il 27 settembre 2016 nel municipio di Carrù si è tenuto un incontro aperto alla popolazione tra l'amministrazione comunale e la cooperativa nel corso del quale la sindaca ha chiesto tempo e ipotizzato di spostare i profughi in capannoni fatiscenti abbandonati da anni molto fuori dal centro abitato –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire l'integrazione dei profughi nell'osservanza e nel rispetto delle decisioni della prefettura;
   quali iniziative, di competenza, il Ministro interrogato e la questura di Cuneo abbiano adottato o intendano adottare per impedire l'organizzazione di iniziative finalizzate alla diffusione di messaggi discriminatori, che possono, ad avviso dell'interrogante, determinare turbative per l'ordine pubblico ostacolando l'attività di istituzioni pubbliche, associazioni soggetti privati, chiamati a collaborare dalla prefettura di Cuneo nella gestione del piano di accoglienza previsto dal Governo.
(4-14376)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   molti insegnanti precari, a seguito dell'entrata in vigore della legge cosiddetta della «Buona scuola», dopo 36 mesi di contratti a tempo determinato rischiano di essere esclusi sine die dall'insegnamento;
   si tratta di persone con un elevato grado di preparazione e che hanno maturato un'esperienza professionale di molti anni. Tra l'altro, molte volte, questi docenti hanno un'età elevata ed hanno familiari a loro carico;
   la normativa vigente non prevede l'inserimento dei docenti nella scuola per i professori della cosiddetta III fascia con lo scorrimento della graduatoria. In assenza, pertanto, di una disciplina normativa specifica per i suddetti docenti, questi ultimi potranno essere esclusi dal limite dei 36 mesi dopo aver svolto un servizio identico, per mansioni e responsabilità, a quella dei colleghi di lavoro;
   tra l'altro, occorre sottolineare come la Corte di giustizia dell'Unione europea sia intervenuta proprio sulla problematica degli insegnanti precari. Alla luce della pronuncia della suddetta corte appare evidente che risulta aleatorio il fatto che un lavoratore che abbia effettuato supplenze non possa ottenere un contratto a tempo indeterminato se non con l'immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria;
   per gli insegnanti di III fascia appare, pertanto, risulta necessario un nuovo percorso abilitante speciale (PAS) che permetta loro di insegnare a pieno titolo e in modo permanente nelle scuole del nostro Paese;
   inoltre, è opportuno ricordare come, secondo la direttiva europea n. 36 del 2005, gli insegnanti predetti (che, quindi, hanno svolto un servizio di 3 anni in 10 anni) maturino un vero e proprio diritto soggettivo all'immissione in ruolo;
   nonostante, pertanto, lo straordinario impegno del Governo per riformare il settore scolastico e per renderlo più efficiente, rimangono ancora delle problematiche, come quella evidenziata dalla presente interrogazione, che è necessario affrontare e risolvere con equità –:
   quali iniziative normative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche espresse in premessa anche al fine di assicurare ai suddetti docenti, la cui professionalità è evidente, la possibilità di insegnare a pieno titolo nelle scuole del nostro Paese.
(4-14368)


   IORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sono stati resi pubblici i risultati della valutazione dei progetti di interesse nazionale (PRIN), macro settore SH Scienze sociali e umanistiche approvati il 20 settembre 2016, prot. 1828;
   l'intera area delle ricerche pedagogiche (in parte confluita in SH4-14 Teaching and learning e in parte in altri progetti European research council – Erc) è stata esclusa poiché, fra tutti i PRIN valutati e accettati dalla Commissione nazionale di garanzia della ricerca come idonei al finanziamento, non ve ne sarebbe stato alcuno, tra quelli presentati dai docenti di area pedagogica, che, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe stato accolto e finanziato;
   non è stato possibile conoscere le motivazioni e i criteri che avrebbero condotto a scartare i progetti di area pedagogica;
   al contrario vi sono settori scientifico disciplinari che hanno avuto diversi progetti finanziati;
   va considerata l'importanza sociale del settore pedagogico e l'impegno che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca va profondendo per la modernizzazione e l'innovazione dell'educazione e della formazione nel nostro Paese, avvalendosi anche dello sforzo collettivo che i pedagogisti italiani assicurano, nelle diverse sedi in cui operano, per elevare la qualità dell'istruzione, anche universitaria, attraverso un processo di qualificazione dei loro studi, delle loro pubblicazioni e della loro significativa presenza sugli scenari della ricerca educativa europea e internazionale –:
   se, alla luce di più approfondite valutazioni, si intendano valutare i presupposti per riconsiderare i criteri di ripartizione dei fondi PRIN, al fine di non penalizzare un intero settore disciplinare e di poter includere anche PRIN per progetti di area pedagogica. (4-14369)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 26 settembre 2016 la Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento interrogata, ha organizzato un convegno presso il teatro Coliseo di Buenos Aires, promuovendo il «Sì» al referendum costituzionale insieme all'ambasciatrice italiana Teresa Castaldo;
   a prescindere dalle smentite sui costi sostenuti per il viaggio con finalità di propaganda elettorale, che è proseguito poi in Uruguay e in Argentina, per effettuare il quale sono stati utilizzati voli economici da parte della Ministra e del suo staff, ciò che è scandaloso, ad avviso degli interroganti, è l'utilizzo di parte delle rappresentanze diplomatiche italiane in appoggio ad una manifestazione politica e non solo per l'attività diplomatica della Ministra interrogata;
   la visita in Argentina della Ministra è stata infatti, secondo gli interroganti, l'occasione per un comizio ministeriale per il «Sì» e per promuovere il nuovo modo di fare politica del Presidente del Consiglio Renzi di fronte a circa 400.000 elettori italiani che vivono a Buenos Aires, incoraggiando ulteriori episodi di propaganda elettorale, dal momento che, per il 3 ottobre, è stata già preannunciata la presenza dell'ambasciatore italiano in Canada, Gian Lorenzo Cornado ad un'iniziativa per il «Sì» del circolo Pd di Toronto –:
   se la Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento non reputi inopportuno trasformare una visita istituzionale in una tappa elettorale;
   come il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda giustificare l'utilizzo delle rappresentanze diplomatiche italiane in appoggio a quelle che appaiono agli interroganti iniziative elettorali e non istituzionali dei rappresentanti di Governo. (4-14372)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2016 è stato pubblicato un appello promosso dalla Società italiana di epidemiologia psichiatrica e sottoscritto dalla maggior parte dei direttori dei dipartimenti di salute mentale italiani, finalizzato a portare alla luce le criticità del sistema per la salute mentale italiano;
   l'appello, rivolto a istituzioni regionali e nazionali, evidenzia la drammatica situazione delle strutture dedicate alla salute mentale sia relativamente alla qualità dei servizi, che alla motivazione del corpo professionale: tagli alla sanità operati negli ultimi anni, restrizioni al turn over del personale, riduzione dei centri di responsabilità per l'accorpamento delle ASL, creazione di dipartimenti di salute mentale « monster» per oltre 1 milione di abitanti e snaturamento dei principi fondanti la salute mentale di comunità, ossia la prossimità dei punti di accesso con i livelli di governo, il radicamento territoriale, il legame con le comunità locali;
   nell'appello di legge che i servizi per la salute mentale (SSM) hanno subito un processo di sotto-dimensionamento proprio quando tutte le statistiche indicano un aumento delle condizioni di disagio psichico nella popolazione: si calcola, ad esempio, che solo nel periodo 2006-2013 il numero delle persone che presentano sintomi di interesse psichiatrico (ansia e depressione, innanzitutto) sia cresciuto di oltre 1 milione;
   inoltre, i servizi per la salute mentale devono anche confrontarsi con bisogni nuovi, come la gestione territoriale dei pazienti psichiatrici autori di reato, le condizioni di disagio psichico di utenti extra-comunitari, la vera e propria «epidemia nascosta» di persone che presentano contemporaneamente disturbi psichiatrici e abuso di sostanze;
   tali condizioni erano già state denunciate nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario nazionale del 2013. Da allora, se si esclude la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, nulla è stato fatto per migliorare la rete dei servizi per la salute mentale, chiamata quotidianamente a garantire il diritto alla cura di centinaia di migliaia di cittadini con problemi di salute mentale;
   mancano inoltre, secondo quanto emerge dall'appello, i dati certi su come, quanto e dove vengano utilizzate le risorse destinate al servizio per la salute mentale e quindi le condizioni effettive del sistema di cura per la salute mentale nel contesto regionale e nazionale –:
   se in base alla situazione esposta in premessa non intenda, per quanto di propria competenza, e con la collaborazione delle regioni, rendere pubblici i dati relativi al funzionamento dei sistemi locali per la salute mentale ai modelli organizzativi adottati, alle risorse umane ed economiche effettivamente impiegate, al grado di raggiungimento degli obiettivi di piano regionale e nazionale, ai livelli di efficacia ed inclusione sociale conseguiti;
   se intenda mettere in atto tutte le iniziative di competenza necessarie al fine di superare le carenze segnalate dalla citata Commissione di inchiesta nel 2013, verificando quanto i differenti sistemi regionali siano in grado di perseguire gli obiettivi definiti nel piano di azione nazionale per la salute mentale approvato in Conferenza unificata il 24 gennaio 2013 e promuovendo le misure per garantire in modo uniforme sul territorio nazionale il diritto alla cura e all'inclusione sociale delle persone con disturbi psichiatrici.
   (5-09647)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZOLEZZI, GRILLO, BARONI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 settembre 2016 è stata data risposta all'interrogazione in Commissione del deputato Carra n. 5/09291 in merito alla situazione della struttura complessa (S.C.) di oncologia dell'ASST «Carlo Poma» di Mantova, situazione attenzionata anche dall'interrogazione a risposta scritta n. 4/13952 presentata dall'interrogante sullo stesso tema e pubblicata lo stesso giorno, 27 luglio 2016;
   entrambe le interrogazioni richiedevano, fra l'altro, un'ispezione presso tale ASST. Nella risposta scritta il Ministero della salute ha informato della procedura per l'acquisizione di informazioni e dati dalla regione Lombardia e di aver disposto l'ispezione ministeriale per accertare il corretto funzionamento della struttura ospedaliera, ispezione avvenuta in data 12 e 13 settembre 2016, di cui si attendono gli esiti;
   è emerso altresì che la procura di Mantova ha avviato un'indagine sulla base di un esposto presentato in procura dalle dottoresse Pisanelli e Adami; da notizie di stampa il primario della S.C. Cantore è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo e altre imputazioni;
   per quanto concerne altri dati emersi da notizie di stampa, in particolare a riguardo della riduzione della spesa sanitaria relativa a farmaci oncologici codificati da linee guida internazionale (come pemetrexed, lenalidomide, capecitabina e altri) si attendono specifiche, ma si presuppone che l'utilizzo di tali farmaci sia stato ridotto in maniera drastica nel primo periodo di conduzione del reparto da parte del dottor Cantore per poi risalire dopo le segnalazioni delle due dottoresse alla direzione aziendale;
   il dottor Cantore già nel reparto di precedente conduzione, l'oncologia di Massa Carrara, ha stimolato l'utilizzo di una pratica definita «terapia locoregionale», di somministrazione di farmaci oncologici che agli interroganti appaiono di vecchia generazione per via vascolare locale relativamente all'organo bersaglio (fegato, mammella e altri);
   sulla piattaforma Talete, sono state pubblicate le linee guida, seguite dalla S.C. di oncologia di Mantova per quanto riguarda il trattamento del cancro del pancreas. La bibliografia appare agli interroganti autoreferenziale e non aggiornata e comprende articoli di vario tipo: studi osservazionali secondo gli interroganti non controllati, revisioni limitate, studi di fase 1 e uno di fase 3 non in cieco e che parrebbero in contrasto con la metodologia internazionale CONSORT, su riviste per lo più di basso impact factor, e addirittura una lettera ad editore. Nessuna delle voci riportate compare nelle linee guida ASCO (American society of clinical oncology);
   nella comunità medica internazionale da tempo per linee guida si intendono delle raccomandazioni, relative a diagnosi, trattamento e monitoraggio, la cui «forza» si basa su una gerarchia di prove scientifiche che sono costituite, in linea generale, dai RCT, trials randomizzati e controllati, e metanalisi di questi trials;
   sia nel caso del cancro del pancreas localmente avanzato, che per il cancro del pancreas metastatico il Journal of clinical oncology (JCO) dell'agosto 2016 non fa alcun riferimento a terapia locoregionali, in arteria, Gli interroganti segnalano che tale procedura da un punto di vista economico presenta caratteri particolari, un importante guadagno per la struttura che la pratichi (per il rimborso delle procedure invasive e di radiologia interventistica eseguite) e una scarsa spesa relativa ai farmaci da somministrare –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noti gli esiti dell'ispezione eseguita presso la SC oncologia dell'ASST di Mantova;
   se il Ministro interrogato ritenga utile verificare, per quanto di competenza, che la terapia locoregionale, non inserita in linee guida internazionali, in corso in taluni casi presso l'ASST «Carlo Poma» di Mantova, sia inserita in un trial registrato, ovvero se ritenga utile l'esecuzione di studi sulla somministrazione di farmaci oncologici per via locoregionale, in modo da valutare in maniera autorevole tali procedure mediche in corso presso l'ASST «Carlo Poma» di Mantova e chiarire dal punto di vista strettamente sanitario tutte le questioni relative alla citata S.C., con possibili risvolti positivi anche di livello nazionale. (4-14371)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il 27 gennaio 2015 si sono chiuse le indagini preliminari sui presunti casi di assenteismo nel comando dei vigili urbani del comune di Ancona;
   le indagini sono state condotte dal pubblico ministero Paolo Gubinelli;
   i vigili raggiunti da avviso di garanzia sono 6, cinque dei quali accusati di essersi assentati ingiustificatamente: si tratta del tenente Mauro Mancini (arrestato il 25 settembre 2014, perché sorpreso a casa mentre un collega timbrava il cartellino per lui), dell'agente Alessandro Tesei (che avrebbe coperto Mancini e che, a sua volta, si sarebbe assentato dal lavoro durante l'orario di servizio), del capitano Daniele Mentrasti, dell'agente Giovanni Mellino e del tenente Luca Martelli (Il Resto del Carlino del 1o febbraio 2015);
   l'accusa nei loro confronti è di truffa e di violazione dell'articolo 55-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001 (cosiddetto «Legge Brunetta»), che prevede anche il licenziamento per i dipendenti pubblici assenteisti. Per l'agente Samuele Santilli, accusato di aver percepito illegittimamente 4 ore di straordinario, invece, l'accusa è stata di truffa aggravata in concorso con il tenente Mancini (Il Resto del Carlino del 1o febbraio 2015; Il Messaggero del 3 febbraio 2015);
   Assenteismo durante i turni di lavoro, è questo l'addebito principale mosso nei confronti degli indagati;
   tutto è partito da una lettera anonima del 3 ottobre 2013, recapitata all'ufficio di polizia giudiziaria dello stesso Corpo di polizia municipale del comune di Ancona, che evidenziava una totale anarchia in fatto di controlli sulle entrate e le uscite dal lavoro (http://www.corriereadriatico.it);
   dalle carte dell'inchiesta emergerebbe l'esistenza di «una cupola» all'interno del comando della polizia municipale di Ancona, «un gruppo ben affiatato di ufficiali e agenti che, nel tempo, si muovevano con forza all'interno del comando, mettendo in piedi una sorta di consorteria con l'obiettivo di ottenere benefici personali in cambio» (Il Resto del Carlino del 6 febbraio 2015, «una cupola all'interno del comando»);
   le indagini, portate avanti dallo stesso nucleo di polizia giudiziaria del comando di Ancona, hanno svelato pesanti irregolarità nella gestione del dispositivo marcatempo (http://www.corriereadriatico.it) Tutte le intercettazioni ambientali e videofotografiche sono avvenute a cavallo tra la fine di agosto e settembre 2014 (Il Resto del Carlino del 6 febbraio 2015, «una cupola all'interno del comando»);
   dalle intercettazioni è emerso un quadro di «contatti non sempre professionali in chat, intrighi, minacce e giochi di potere»; le indagini nei confronti del tenente Mancini hanno permesso di appurare, attraverso una serie di riscontri incrociati, tecnici e ambientali, un «modus operandi» ben congegnato, consolidato e reiterato nel tempo. In una intercettazione del 23 agosto 2014, ad esempio, il Tenente Mancini rassicurava un collega circa la successiva presentazione di un certificato medico per ottenere dei giorni di riposo non dovuti, mentre, il giorno prima, sempre in una intercettazione, lo stesso Mancini negava, per motivi di personale antipatia, alcune ore di straordinario ad un responsabile della sezione commercio che aveva presentato richiesta per un agente;
   secondo la procura i sei indagati erano capaci di muoversi dentro e fuori il palazzo con una semplicità disarmante (Corriere adriatico del 29 gennaio 2015, «Quei sindacalisti meritano una lezione»);
   in più occasioni i rappresentanti sindacali di alcune sigle si sono rivolti al comandante del corpo al fine di evidenziare le irregolarità all'interno del comando e, per tale motivo, gli stessi sono stati oggetto, in più occasioni, durante le conversazioni tra alcuni degli indagati, di veri e propri insulti e tentativi di trovare il sistema, grazie al ruolo di funzionario dell'ufficio servizi del Mancini, di atti di prevaricazione nei loro confronti (Corriere adriatico del 29 gennaio 2015, «Quei sindacalisti meritano una lezione»);
   al termine delle indagini, il 25 settembre 2014, il Tenente Mancini veniva arrestato in flagranza ad Osimo, mentre era nella sua abitazione privata, dai suoi stessi colleghi della sezione di polizia giudiziaria del comando dei vigili urbani di Ancona (Corriere Adriatico del 27 settembre 2014, «il vigile torna libero ma sarà processato»;
   in data 26 settembre 2014, la misura preventiva dell'arresto veniva convalidata dal G.I.P. Ferma restando l'ipotesi di reato, la Corte di Cassazione con sentenza n. 35099 del 21 settembre 2015, su ricorso del Mancini, ha disposto l'annullamento del provvedimento di convalida dell'arresto (Corriere Adriatico del 27 settembre 2014, «il vigile torna libero ma sarà processato»). Precedentemente al giudizio della Corte di Cassazione, il Mancini Mauro, in data 23 gennaio 2015, a sua volta, ha proposto formale querela-denuncia nei confronti del Maggiore Caglioti, che si era occupato dell'indagine ed anche dell'arresto, per una serie di reati anche gravi, tra i quali l'abuso d'ufficio e la rivelazione di segreto istruttorio (Il Resto del Carlino del 5 aprile 2015, «Inchiesta sull'assenteismo. Sotto accusa il denunciante»;
   il pubblico ministero incaricato della questione ha archiviato la querela nei confronti del Maggiore Caglioti, ma il Mancini Mauro, forte della citata sentenza di annullamento del provvedimento di convalida dell'arresto, ha proposto opposizione al GIP il quale, a sua volta, in data 28 ottobre 2015, ha disposto l'archiviazione del procedimento penale a carico del Maggiore CAGLIOTI (Il Messaggero del 1o novembre 2015, «In tribunale archiviato procedimento su Marco Caglioti»);
   la stessa querela, nel frattempo, veniva trasmessa all'autorità anticorruzione del comune di Ancona e, poi, girata all'ufficio provvedimenti disciplinari, che apriva procedimento disciplinare nei confronti del Maggiore Caglioti (Il Resto del Carlino del 20 novembre 2015, «Indaga sugli assenteisti e rischia il posto: è rivolta»; cfr. contestazione di addebito disciplinare Prot. RIS n. 19476 del 19 febbraio 2015);
   peraltro, proprio in virtù della trasmissione della querela all'autorità anticorruzione, al Mancini venivano concesse le garanzie previste dalla cosiddetta legge Brunetta (ex articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001), con conseguente impossibilità di procedere in sede disciplinare nei suoi confronti; le stesse garanzie di cui all'articolo 54-bis, invece, a quanto risulta all'interrogante sono state paradossalmente negate a chi aveva denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, portandoli a conoscenza dell'amministrazione del comune di Ancona (Il Resto del Carlino del 5 aprile 2015, «Inchiesta sull'assenteismo. Sotto accusa il denunciante») e, ciò, nonostante l'istanza formale del Maggiore Caglioti di applicazione, anche nei propri confronti, delle guarentigie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 (cfr. «riscontro a nota iscitta al prot. RIS n. 19476 del 19 febbraio 2015», protocollo generale del comune di Ancona, 18 marzo 2015);
   lo stesso Caglioti, tra l'altro, nella sua qualità di funzionario della sezione di polizia giudiziaria del Comando di polizia giudiziaria municipale del comune di Ancona, con comunicazione del 9 novembre 2015, indirizzata al segretario generale ed al dirigente-ufficio provvedimenti disciplinari del comune di Ancona, avente ad oggetto «trasmissione atti provvedimento di archiviazione rgnr 639/15 e rg.gip 1158/15», prot. n. 138730-bis), provvedeva alla tempestiva trasmissione del provvedimento di archiviazione del gip di Ancona, richiedendo, pertanto, la chiusura del procedimento disciplinare attivato nei suoi confronti;
   eppure, in data 10 novembre 2015, sempre su segnalazione dell'Autorità anticorruzione e trasparenza del comune di Ancona, veniva notificato avviso di apertura di procedimento disciplinare anche nei confronti dell'agente Gambini Daniele, anch'egli appartenente alla sezione di polizia giudiziaria del comando di polizia municipale di Ancona e, anche lui, tra i partecipanti all'indagine sull'assenteismo nello stesso comando, per gli stessi fatti già contestati al Maggiore Caglioti, fatti per i quali quest'ultimo era già stato giudicato dal GIP con archiviazione del caso (cfr. contestazione di addebito disciplinare, Ufficio procedimenti disciplinari, prot. RIS n. 138492/III.13 del 9 novembre 2015);
   solo in data 10 dicembre 2015, finalmente, l'ufficio procedimenti disciplinari del comune di Ancona ha disposto la chiusura del procedimento disciplinare nei confronti del Maggiore Caglioti e dell'agente Gambini, in ragione della archiviazione del procedimento penale che li vedeva coinvolti (cfr. comunicazione dell'ufficio procedimenti disciplinari del comune di Ancona indirizzata all'agente Gambini, Prot. RIS n. 153471 del 10 dicembre 2015);
   appare paradossale che, sulla base di una semplice querela presentata dal Mancini, i principi che reggono le norme anticorruzione non possano essere applicati a coloro che sono indagati per reati gravissimi, come le indagini hanno dimostrato, e che, invece, gli stessi si vedano ampiamente tutelati dalla stessa Autorità che li dovrebbe perseguire. Allo stato attuale, quindi, tutti gli indagati continuano tranquillamente a svolgere la propria attività all'interno del comando, ad eccezione del Mancini Mauro e del Tesei Alessandro che, invece, sono stati trasferiti in altri uffici del comune (http://www.ilrestodelcarlino.it);
   appare altresì anomalo che nessun procedimento disciplinare, a quanto consta all'interrogante sia stato, invece, attivato nei confronti del dirigente della polizia municipale, dottor Massimo Fioranelli, tenuto a vigilare sul comportamento dei suoi sottoposti;
   da fonti stampa («Il Comune premia anche i vigili indagati», di Alessandra Caminetti, dal Corriere Adriatico del 4 novembre 2015 si apprende, inoltre, che ad entrambi gli agenti indagati risulta conferito il premio di produttività relativo all'anno 2014 (circa 700 euro) –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza in relazione alla vicenda dei vigili della sezione di polizia giudiziaria del comando del comune di Ancona, che hanno partecipato alle indagini nei confronti dei colleghi assenteisti, senza godere delle guarentigie di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, soprattutto in considerazione dell'archiviazione del procedimento penale a loro carico, e se in particolare ritenga che sussistano i presupposti per l'avvio di iniziative ispettive anche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del medesimo decreto legislativo. (4-14364)


   MURER e MOGNATO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge n. 124 del 2015, sancisce il trasferimento all'INPS delle funzioni di accertamento medito legali (visite fiscali) sui dipendenti pubblici assenti dal servizio per malattia dando vita, così, al polo unico di medicina fiscale, con la previsione, per lo svolgimento di dette funzioni, del prioritario ricorso ai medici inseriti nelle liste ad esaurimento di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   le visite fiscali possono essere svolte sia al domicilio indicato dal lavoratore che presso i centri medico legali dell'INPS nel caso in cui il lavoratore sia risultato assente oppure per particolari verifiche sanitarie e/o amministrative;
   con la determinazione presidenziale n. 147 del 12 novembre 2015, l'INPS ha effettuato una selezione per un contingente di 900 medici a cui conferire incarichi di collaborazione professionale finalizzati all'espletamento delle attività medico legali da svolgere presso i centri dell'Istituto;
   alla pagina 4, punti 3 e 4, la deliberazione riporta: «considerato che nell'arco temporale della graduatoria dalla quale attingere il contingente dei 900 medici potrebbero intervenire ulteriori esigenze istituzionali, derivanti da sopravvenute prescrizioni normative legate al costituendo Polo Unico di medicina fiscale e rilevata pertanto, nella prospettata ipotesi, l'esigenza di attingere nella medesima graduatoria il personale medico necessario per l'espletamento delle relative attività...»;
   in risposta alla interrogazione n. 5-08489 presentata dalla prima firmataria del presente atto il sottosegretario Rughetti ha precisato che le «ulteriori esigenze istituzionali richiamate dalla predetta determinazione», riguardano le attività di istruttoria e l'espletamento delle visite ambulatoriali in caso di assenza al controllo presso il domicilio;
   sia nell'avviso pubblico che nel contratto sottoscritto dai 900 medici convenzionati è riportato che «L'attribuzione dell'incarico è incompatibile con Io svolgimento dell'attività di medico fiscale, in quanto iscritto nelle liste speciali su base provinciale di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125»;
   nella risposta alla interrogazione presentata dal deputato Rizzetto n. 3-02438, il Sottosegretario Rughetti ha affermato che la prescrizione inserita nell'avviso e nel successivo contratto discende unicamente da considerazioni di opportunità legate alla natura delicata e complessa delle funzioni che i medici convenzionati sono chiamati a svolgere, tali da richiedere che gli stessi non risultino, nemmeno potenzialmente, in conflitto d'interesse;
   a tal fine, con il messaggio 2882 del 30 giugno del 2016, la direzione generale dell'INPS ha emanato disposizioni alle sedi per sospendere, dall'incarico di medico di controllo, quelli ai quali è stato conferito anche l'incarico di medico convenzionato;
   nonostante il conflitto d'interesse, come rilevato sia dall'INPS che dal Governo, e il mancato rispetto dei principi e criteri direttivi individuati dal Parlamento con la legge delega, i 900 medici convenzionati reclutati direttamente dall'Istituto svolgono sia attività di accertamento di invalidità civile sia visite fiscali ambulatoriali nonché attività di istruttoria che i centri medico legali dell'INPS effettuano sulla certificazione della malattia e sui verbali delle visite –:
   se il Governo, per evitare il conflitto di interessi evidenziato in premessa, sia orientato ad assumere iniziative per indicare che tutti gli accertamenti medico legali, sia domiciliari che ambulatoriali, nonché le attività di istruttoria che i Centri medico legali INPS effettuano sulla certificazione di malattia, vengano effettuati in via prioritaria dai medici inseriti nelle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. (4-14375)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, GRIBAUDO, DAMIANO, GASPARINI, LA MARCA, MINNUCCI, CARLONI, BONOMO, FABBRI e DI SALVO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Alstom Ferroviari Spa vanta solide radici nella storia industriale italiana e, con 2.600 persone occupate in Italia e un fatturato pari a un 1 miliardo di euro, rappresenta, sia per numero che per importanza dei progetti realizzati, nonché per contenuto tecnologico, una delle principali realtà industriali italiane nel settore ferroviario;
   ad oggi Alstom con il segmento Alstom Service Italia distribuito su 21 cantieri/depositi di Ferrovie dello Stato italiane in Italia ha un ruolo primario nel Service e come costruttore treni con il sito Alstom Ferroviaria Savigliano e di Sesto San Giovanni ed ancora per il segnalamento con il sito Alstom di Bologna ed anche nelle infrastrutture;
   a novembre 2015, le attività di Alstom nel settore dell'energia, a livello mondiale, sono state cedute a General Electric;
   il sito produttivo di Savigliano, è uno dei complessi di eccellenza per quel che concerne la realizzazione di treni regionali (JAZZ) e ad alta velocità (NTV – PENDOLINO) e, a partire dal 2011, questo sito ha rappresentato su scala nazionale un caso di eccellenza, aggiudicandosi commesse importanti; ad oggi sono occupati 830 dipendenti tra operai ed impiegati che con le ditte esterne arriva all'incirca ad un migliaio di dipendenti;
   nell'incontro avuto presso l'Unione industriale di Cuneo del 20 settembre 2016 e nel successivo incontro presso Assolombarda di Milano con i vertici di Alstom Italia è stato garantito che con le commesse attuali si potrà lavorare fino a dicembre 2017;
   da gennaio 2018 è previsto uno scarico di lavoro sino ad agosto-settembre 2018, mese in cui si presume comincerà lo sviluppo dei primi 47 treni regionali sui 150 convogli totali. I suddetti treni fanno parte di un contratto quadro che durerà sei anni, con una possibile proroga di altri tre, sulla quale Trenitalia avrà il diritto di esercitare l'opzione del 30 per cento sull'ordine totale. Questi 47 treni non satureranno il sito di Savigliano, considerato il fatto che il 40 per cento del lavoro (vale a dire progettazione e produzione) sarà fatto in Italia, mentre il restante 60 per cento sarà svolto all'estero;
   la dirigenza Alstom parrebbe confidare nel secondo e terzo ordine da parte di Ferrovie dello Stato italiane dello Smart Coradia, per dare lavoro al sito di Savigliano. La carenza di lavoro del sito Alstom di Savigliano è dovuta alla nuova missione industriale che Alstom vuole praticare. Pare infatti che durante l'incontro all'Assolombarda non siano state chiarite le problematiche aperte sulla commessa dei 150 treni regionali e che l'azienda mantenga uno stato di ambiguità, non dichiarando se intenda portare le commesse in Italia o all'estero;
   la volontà di Alstom di imporre a 16 dipendenti del magazzino TLS di Savigliano di trasferirsi da lunedì 3 ottobre 2016 a Sesto San Giovanni, parrebbe contraddittoria stante che la stessa società avrebbe in questo sito dichiarato degli esuberi. Purtroppo, su questa problematica, in data 22 settembre 2016, la multinazionale francese ha rifiutato la possibilità di un accordo con le rappresentanze sindacali. Conseguentemente, dal 3 ottobre 2016, i 16 dipendenti citati dovranno trasferirsi a Sesto San Giovanni pena il licenziamento;
   relativamente al sito di Savigliano, la sua nuova missione parrebbe essere individuata come «centro di eccellenza per il pendolino» la cui progettazione quindi verrebbe svolta Savigliano, mentre il lavoro di manufacturing verrebbe svolto nella stessa città solo qualora il Paese acquirente il prodotto non richieda espressamente che lo stesso venga prodotto sul proprio territorio;
   per quanto riguarda, invece, il cosiddetto «treno regionale Smart Coradia», Alstom Savigliano perderebbe la missione di centro di eccellenza (produzione e progettazione) del treno regionale, ma sarebbe inserita nel progetto europeo treno regionale Smart Coradia che prevederebbe la progettazione della carrozza a Savigliano, sia per il mercato domestico che estero, la progettazione degli interni carrozza a Valencienne, sia per il mercato domestico che estero, la progettazione del carrello a Salzgitter, la progettazione del fitting elettrico a Parigi e Salzgitter e la progettazione ed il coordinamento e sviluppo dei nuovi progetti a Parigi;
   da informazioni raccolte parrebbe che la produzione del progetto treno regionale Smart Coradia nel caso in cui il mercato di vendita sia quello domestico verrebbe sviluppata a Savigliano in una percentuale pari al 40 per cento, mentre nel caso in cui il mercato di vendita sia invece estero, la produzione verrebbe effettuata in siti dove i costi produttivi sono inferiori che, come risaputo, potrebbero essere in alcuni Paesi dell'est europeo nei quali vi sono insediamenti Alstom, quali la Polonia con Alstom Katowice, siti che offrono un mercato produttivo e della manodopera con costi nettamente inferiori a quello italiano;
   dette informazioni supporterebbero, purtroppo, le preoccupazioni delle maestranze, delle rappresentanze sindacali e del territorio ed il rischio di una rilocalizzazione della produzione sarebbero purtroppo più che concreti;
   nessuna certezza vi sarebbe al momento relativamente al fatto che il 2o e 3o lotto dei treni regionali italiani Smart Coradia siano sviluppati in Italia anche considerando che Alstom parrebbe aver sostenuto che, terminata la commessa dei 150 treni per Trenitalia, il mercato del treno regionale nel nostro Paese sarebbe saturo, comportando che il lavoro sullo Smart Coradia destinato ad altri Paesi chiederebbe ai nostri siti produttivi di confrontarsi con altri siti Alstom europei, notoriamente con costi nettamente inferiori;
   in tema di occupazione, Alstom avrebbe confermato alle organizzazioni sindacali il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, sia in progettazione che in produzione;
   alla luce delle considerazioni elencate, il sito di Savigliano vive una forte preoccupazione per una possibile delocalizzazione del lavoro per treni regionali italiani ed esteri, come anche delle attività connesse a «Smart Coradia», di cui pare che lo stabilimento saviglianese si occuperà solo del 40 per cento del processo produttivo;
   le preoccupazioni delle rappresentanze sindacali riunite e dei sindacati si legano al fatto che Savigliano, a causa di questa nuova piattaforma, potrebbe perdere il ruolo di riferimento europeo nella produzione di treni regionali;
   si aggiunga a detta preoccupazione la recente notizia, a quanto risulta agli interroganti, della volontà dell'azienda di appaltare a una ditta esterna la Sala Metrologica che interessa due dipendenti;
   inoltre, la Alstom spa ha negato una possibilità di accordo per risolvere la situazione dei 16 lavoratori del Tsl del magazzino di Bologna e Savigliano, nonostante i coordinatori avessero richiesto un mese di moratoria ai trasferimenti ad Alstom, un aumento dell'incentivo all'uscita e la ricerca nel sito di provenienza delle ricollocazioni ed inoltre l'azienda ha dato risposta negativa alla richiesta dei segretari di effettuare la produzione dei treni Smart Coradia in Italia, affermando di non essere «tenuta a sviluppare la suddetta commessa nei siti italiani», scelte che hanno portato il 27 settembre 2016 a 8 ore di sciopero con presidio e picchetto dei cancelli in tutti i siti Alstom Italia con richiesta di incontro urgente fatta dalle organizzazioni sindacali di Fim, Fiom, Uilm, in regione Piemonte, regione Emilia Romagna e regione Lombardia;
   dopo che le nuove commesse avevano in qualche modo dato una risposta alle richieste dell'azienda di programmi di ammodernamento di materiale rotabile in Italia, così da giustificare e motivare l'investimento sul territorio, questa presa di posizione dell'azienda preoccupa e mette in allarme tutte le maestranze di Savigliano ed in generale dei siti produttivi italiani;
   a questo si aggiunga la recente conferma da parte di Alstom Power spa dell'esubero di 106 lavoratori di Sesto San Giovanni, cui è stato proposto di scegliere tra due opzioni: il licenziamento con incentivo economico o il trasferimento negli stabilimenti di Piemonte, Toscana, Campania e Puglia, tutto ciò, nonostante i sindacati avessero richiesto un fermo delle lettere di licenziamento con relativa chiamata per colloquio, per riaprire la strada di valutazione di un'eventuale vendita dell'attività di Sesto San Giovanni –:
   alla luce delle recenti prese di posizione del Ministero dello sviluppo economico, quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati circa la situazione descritta e quali iniziative intendano intraprendere per salvaguardare il futuro di una realtà produttiva di alta specializzazione, come l'Alstom Ferroviaria Spa, nello specifico del sito di Savigliano;
   se non ritengano necessario attivare uno specifico tavolo tra le parti sociali e le aziende coinvolte, al fine di individuare soluzioni e azioni che si muovano nella direzione di un mantenimento delle eccellenze lavorative italiane, con l'obiettivo anche di salvaguardare i numerosi posti di lavoro a rischio. (5-09649)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la rete dei gestori di impianto per la distribuzione di carburante soffre da anni di una profonda crisi derivante dalla contrazione dei volumi di vendita e da una mancata ristrutturazione della rete che vede ancora oggi la presenza di oltre 22.000 impianti a fronte di una diminuzione dei consumi di 38,6 miliardi di litri, ovvero il 18,96 per cento in meno rispetto ai livelli pre-crisi (2007);
   in questa grave situazione, sembra delinearsi anche un atteggiamento sindacabile da parte di Eni, secondo quanto emergerebbe dalle dichiarazioni oggetto dell'articolo apparso sul quotidiano La Sicilia del 18 settembre 2016;
   la querelle aperta dai gestori risale al 2012. Dopo la conclusione dell'iniziativa commerciale detta «Scontone», che innescò una forte concorrenza fra le compagnie petrolifere, Eni ha introdotto un sistema chiamato «Cluster» innescando una concorrenza inter brand con prezzi di cessione spesso molto diversi tra un impianto e l'altro, anche se insistenti nello stesso bacino di utenza. Contestualmente, la suddetta società introduceva una nuova forma di distribuzione, riconvertendo gli impianti forzatamente lasciati dai gestori in «impianti easy» una rete di impianti totalmente automatizzata, con prezzi al pubblico del carburante nettamente inferiori rispetto a quelli che la società sembrerebbe aver imposto ai gestori di praticare;
   inevitabili le ripetute proteste dei gestori in crisi alle quali, per mesi e mesi, l'Eni sarebbe rimasta inerte, proseguendo nella sua politica, che appare agli interroganti sorda ai lamenti dei gestori e persino alle disposizioni di legge (articolo 17, legge 24 marzo 2012, n. 27);
   stante la totale assenza di riscontri da parte della società Eni, con la inevitabile prospettiva di vedere svanire anni e anni di duro lavoro e per evitare la perdita della loro unica fonte di sostentamento, i gestori della rete, sono stati costretti, a quanto consta gli interroganti, a contravvenire all'esclusiva e rivolgersi al mercato libero, avendo però cura di non interrompere completamente il rapporto di fornitura con Eni e acquistare il prodotto dallo stesso fornitore cui oramai acquista ENI dopo lo smantellamento della raffineria di Gela (Lukoil).
   pur nella nuova condizione, tali gestori hanno sempre tenuto a ribadire ad Eni la loro disponibilità ad una immediata inversione di tendenza con ritorno al rispetto dell'esclusiva, nella misura in cui ENI avesse rispettato il legittimo diritto del gestore ad avere una equa retribuzione ed un prezzo imposto al pubblico in grado di mantenerlo concorrenziale rispetto agli impianti presenti nel suo bacino di utenza. Tanto è che, a seguito del rinnovo dell'accordo economico nazionale del dicembre 2014, che ha previsto al punto 2.8 che l'Eni avrebbe fornito ai propri gestori il carburante a «condizioni eque e non discriminatorie» in modo da «essere competitivo rispetto agli altri impianti...», questi gestori ritornarono a rifornirsi esclusivamente da Eni;
   ma da lì a poco, appena qualche settimana dopo, Eni ha ripreso con la precedente politica e costretto i gestori oltre a contravvenire nuovamente al vincolo di esclusiva; anche a citare in giudizio la società, richiamandola alle proprie responsabilità ed a risarcire i fortissimi danni sin lì cagionati alle gestioni, ridotte sull'orlo del fallimento;
   Eni, rifiutando qualsiasi ipotesi di accordo che non poteva non essere legata alla certezza del mantenimento futuro del posto di lavoro per i gestori, senza il minimo scrupolo e disconoscendo in toto le sue responsabilità, ha chiesto e ottenuto dal giudice monocratico provvedimenti d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile per la riconsegna immediata degli impianti –:
   se il Ministro interrogato se sia a conoscenza dei comportamenti operati da Eni, che è azienda a partecipazione pubblica, nei confronti dei propri gestori;
   se possa informare se sia in atto un piano strategico-industriale che preveda la riorganizzazione della rete di vendita dell'Eni; (4-14363)


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il 15 settembre 2016, il Parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, una risoluzione sull'applicazione della direttiva sui servizi postali;
   il testo della risoluzione approvata fa esplicito riferimento alla necessità che il servizio universale continui a essere fornito nella misura massima, cioè debba almeno comprendere consegna e ritiro per cinque giorni a settimana per ogni cittadino europeo. Inoltre, al fine di soddisfare l'obbligo di servizio universale è importante mantenere ben funzionanti le reti postali, con un numero sufficiente di punti di accesso nelle regioni rurali, remote o scarsamente popolate;
   le indicazioni emerse dalla citata risoluzione approvata in sede di Unione europea si pongono in contrasto con i piani di forte ridimensionamento del servizio postale; la necessità di procedere alla riorganizzazione postale non deve penalizzare le zone decentrate e meno popolate, che anzi, proprio in virtù della loro condizione, dovrebbero poter fruire, a pieno, del servizio postale;
   l'interrogante ha raccolto in particolare le forti preoccupazioni dei rappresentanti dell'Unione Valle Savio costituita tra i comuni di Cesena, Bagno di Romagna, Mercato Saraceno, Montiano, Sarsina, Verghereto e dell'Uncem della regione Emilia Romagna, che hanno rappresentato, tra le numerose questioni, i disagi legati ai diffusi ritardi nella consegna della corrispondenza, ad esempio, delle bollette di luce e gas;
   in una recentissima pronuncia, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da dodici comuni friulani contro la chiusura o il ridimensionamento orario di uffici postali talvolta decentrati, ma non sempre posti in territori spopolati; in sostanza il tribunale amministrativo regio- nale ha disposto la riapertura degli uffici postali dei comuni friulani interessati –:
   se i Ministri interrogati, anche alla luce della recente risoluzione approvata dal Parlamento europeo, intendano intraprendere iniziative, per quanto di competenza, per ridiscutere urgentemente il piano di ridimensionamento dei servizi di Poste Italiane, ripristinando, in tal modo, un servizio che sia adeguato alle reali esigenze dei cittadini, nel rispetto delle condizioni generali del servizio universale.
(4-14366)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli n. 5-07217 del 16 dicembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-14364.