Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 29 settembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 27 settembre 2016 il Presidente del Consiglio dei ministri ha rilanciato inaspettatamente, dopo mesi di silenzio, la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina nel corso dell'incontro per i 110 anni di Salini-Impregilo per «togliere la Calabria dall'isolamento e far sì che la Sicilia sia più vicina», specificando altresì come la realizzazione di un'opera inutile, costosa e faraonica come quella del «Ponte» possa generare 100.000 posti di lavoro;
    come ben noto e costantemente esplicitato attraverso numerosi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo presentati dal Gruppo Parlamentare Sinistra Italiana, il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina aveva già palesato significative carenze tecniche, al punto da essere sottoposto a ben 223 richieste di integrazioni da parte della commissione speciale di valutazione di impatto ambientale a cui la Stretto di Messina spa e il general contractor Eurolink, capeggiato da Impregilo, non avevano mai risposto conclusivamente;
    non è mai stato individuato, nonostante i ripetuti annunci e road show in Italia e all'estero, alcun partner privato disponibile a finanziare con propria quota un'opera il cui costo previsto era lievitato (dati di due anni fa) a 8,5 miliardi di euro, più del doppio di quello con cui il general contractor Eurolink aveva vinto la gara;
    sono stati già spesi 383 milioni di euro per il progetto e per il mantenimento della Stretto di Messina spa;
    l'insostenibilità economica del progetto è stata definitivamente dimostrata dagli studi degli advisor internazionali, che hanno stimato, nelle condizioni ottimali, un traffico automobilistico a regime – entro 25 anni dalla conclusione dell'opera – non superiore all'11 per cento della capacità complessiva del ponte, ovvero 11,6 milioni di auto l'anno, a fronte, appunto, di una capacità complessiva teorica dell'opera di 105 milioni di auto l'anno nelle due direzioni;
    l'insostenibilità dal punto di vista tecnico è stata sottolineata da molti recenti e accreditati studi che considerano un azzardo costruire un manufatto ad un'unica campata di 3.300 metri lunghezza a doppio impalcato stradale e ferroviario, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza in una delle zone a più elevato rischio sismico del mondo;
    l'inutilità dal punto di vista infrastrutturale è conseguenza dell'estrema fragilità della rete di trasporti su rotaia a sud di Salerno, con la realistica previsione di poter ridurre non più del 10 per cento i tempi di percorrenza ferroviaria da Roma alla Sicilia nel caso di costruzione del ponte;
    soprattutto, come evidenziato dalla stampa nazionale, i rappresentanti del Governo, e soprattutto il responsabile del dicastero delle infrastrutture e dei trasporti oltre che il Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina hanno sempre tenuto a specificare che, in ogni caso, si sarebbe dovuta dare priorità alla realizzazione di altre opere molto più cruciali per lo sviluppo infrastrutturale ed economico del Mezzogiorno, da cui dipende la rinascita del Paese;
    tale distonia appare, inoltre, tanto più grave e preoccupante anche alla luce del fatto che l'Italia, il nostro Paese, continua a caratterizzarsi per un'altissima percentuale di pere incompiute che sono arrivate nel 2014, avendo riguardo all'ultimo dato disponibile dell'Anagrafe delle opere, a quota 868 da 692 nel 2013, con un costo per ogni famiglia italiana calcolato dal Codacons pari a circa 166 euro, con uno spreco complessivo pari a 4 miliardi di euro e almeno 1,4 miliardi di euro per completarle;
    lo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Onorevole Graziano Delrio, ha sempre dichiarato che le opere incompiute, rappresentano la rottura del patto fiducia tra la pubblica amministrazione e i cittadini, ribadendo come «Noi dobbiamo attuare un piano che ci porti fuori dall'inconcludenza». Sulla stessa linea si è più volte espresso anche il presidente della Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) stigmatizzando come le opere incompiute rappresentino un grave danno di immagine per il Paese. Il record negativo delle opere incompiute, spetta tra le altre cose, proprio alla Sicilia che vede sul proprio territorio ben 215 opere rimaste incompiute (il valore assoluto massimo anche se la crescita dipende dal fatto che nell'anno precedente la regione non aveva comunicato il numero di incompiute). In Abruzzo le infrastrutture non portate a compimento sono passate dalle 33 del 2013 alle 40 del 2014; peggiore la situazione della Calabria: 64 incompiute del 2013, 93 nel 2014, mentre in Lombardia in un anno le opere non terminate sono passate da 19 a 35;
    a ciò si aggiunge che in data 27 settembre 2016, il Consiglio dei ministri ha approvato la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza e si punterebbe, per quanto risulta ad oggi, non essendo ancora stato il documento trasmesso in Parlamento, a uno spazio fuori dal patto di stabilità fino a 0,4 punti (circa 6 miliardi di euro) legati alle circostanze eccezionali sul fronte migranti e sisma del Centro Italia. Purtuttavia nello stesso tempo, il Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbe spingere, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo «glorificando» addirittura le «buone idee» del Presidente Silvio Berlusconi e non si capisce come queste due cose possano essere realmente coniugabili;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo il disastro alluvionale di Genova, il recentissimo disastro ferroviario in Puglia e il drammatico sisma che ha colpito il nostro Paese il 24 agosto 2016 con quasi 300 morti e decine di feriti che continuano a lottare contro la vita e la morte, si dovrebbe vergognare nel rilanciare un'opera assurda come il Ponte sullo Stretto di Messina in una delle aree territoriali più sismiche del Paese, come pure dimostrato dal tragico terremoto che rase al suolo la città di Messina il 28 dicembre del 1908;
    al netto di questo, molti aspetti di tutte le vicende che negli hanno accompagnato la vicenda della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina rimangono ancora oscuri alla pubblica opinione;
    sono mesi che si parla del diretto coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze di cui le fondazioni bancarie possiedono il 18,4 per cento, nella verifica sulla reale fattibilità del Ponte sullo Stretto di Messina. Cassa depositi e prestiti che, tra le altre cose, stando quanto previsto dalla legge di stabilità 2016, dovrebbe integrare la propria mission anche con la qualifica di istituto nazionale di promozione, come definito dall'articolo 2, n. 3, del regolamento (UE) n. 2015/1017 del 25 giugno 2015 relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), secondo quanto previsto nella comunicazione COM(2015) 361 del 22 luglio 2015 della Commissione europea. In buona sostanza, la Cassa depositi e prestiti diventerebbe l'entità giuridica deputata ad espletare attività finanziarie su base professionale, cui viene conferito il mandato per svolgere attività di sviluppo o di promozione in relazione al FEIS finalizzato a sostenere, tra le altre cose, progetti per lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto anche mediante la creazione o la dotazione di nuove infrastrutture o di infrastrutture mancanti, anche in linea di principio aggiuntive a quelle previste dalla Rete TNT, da cui il ponte sullo Stretto appare attualmente escluso;
    particolare perplessità suscita pure il discorso relativo alle eventuali penali che lo Stato dovrebbe pagare in relazione alle procedure di contenzioso afferenti alle vicende del ponte sullo Stretto di Messina;
    uno dei principali motivi addotti dal Ministro dell'interno Angelino Alfano, per sostenere la realizzazione dell'opera è che piuttosto che pagare delle penali sarebbe preferibile costruire il ponte;
    con il Governo Monti erano state stanziate risorse per l'eventuale pagamento di penali a seguito delle decisione di bloccare la realizzazione del «Ponte», pur tuttavia le principali associazioni ambientaliste italiane (FAI-Fondo ambientale italiano, Italia Nostra, Legambiente, MAN-Associazione ambientale per la natura, WWF) che da sempre seguono l'annosa vicenda legata al ponte sullo stretto di Messina ritengono che non debba essere pagata nessuna penale, tanto che già un anno fa, e segnatamente il 3 ottobre 2014, avevano inviato una lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e all'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, per chiedere un incontro finalizzato a discutere delle presunte penali richieste per la mancata realizzazione del ponte sullo stretto di Messina dove si legge: «...Le scriventi associazioni – da sempre interessate alle vicende del ponte sullo Stretto di Messina (un'opera il cui costo al 2012 era di 8,5 miliardi di euro e nel 2012 si aggirava attorno ai 6,2 miliardi di euro) – hanno avuto, proprio a questo proposito incontri il 29 gennaio scorso con il Commissario liquidatore della Stretto di Messina Spa, consigliere Vincenzo Fortunato e il 20 febbraio scorso con il Capo di gabinetto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Giacomo Aiello e con il responsabile della Struttura di Missione delle infrastrutture strategiche dello stesso Ministro Ercole Incalza da cui è emersa la comune convinzione che, alla luce dei rapporti contrattuali tra SDM Spa e il GC, non ci sia alcuna penale da pagare. Infatti, vale la pena specificare che all'articolo 11.19 del Contratto 2006 si fanno decorrere i 540 giorni dalla consegna da parte del GC al Soggetto Aggiudicatore (SDM SpA) del “progetto definitivo completo di tutti documenti e delle integrazioni eventualmente richieste”, con l'obbligo in caso di inadempienza di far scattare quanto previsto dall'articolo 44.3 sempre del Contratto 2006 nel quale si prevede obbligo di pagare al GC solamente le prestazioni correttamente eseguite al momento del recesso, nonché un aggravio del 10 per cento rispetto alla somma totale delle prestazioni. È evidente quindi che il Progetto definitivo (PD) non può essere considerato “completo” se mancano le “integrazioni richieste”, che sono quelle che si hanno nell'ulteriore fase della procedura di VIA sul PD come viene stabilito dall'articolo 185, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006. Il fatto che non sia mai stato consegnato un PD completo viene confermato dall'allora di SDM Spa e di ANAS Spa Pietro Ciucci nella sua lettera del 9/11/2011 (Prot. U 2011-1128) in risposta alle richieste di chiarimento in merito al PEF contenute in una lettera del 25/10/2011 delle associazioni ambientaliste (ns. Prot. DG443/11 SLcp-wwfi in cui letteralmente si dice nell'ultima pagina, primo capoverso: “in ordine al progetto definitivo dell'Opera, sono state avviate e sono attualmente in corso di svolgimento, ai sensi di legge, la procedura volta al rilascio della VIA da parte del Ministero dell'Ambiente, in relazione alle varianti introdotte al Progetto Preliminare e quella per le determinazioni della Conferenza dei Servizi, entrambe propedeutiche alla finale deliberazione del CIPE sul progetto medesimo”. Peraltro, la situazione non cambia, nella sostanza, anche se si prende in considerazione l'articolo 5.2 dell'Atto integrativo 2009 del Contratto 2006. Il richiamato articolo dell'Atto integrativo 2009, che fa salvi gli articoli da 11.16 a 11.20 del Contratto 2006 (e quindi anche l'articolo 11.19), introduce una nuova “fattispecie” e quindi, nella sostanza, un nuovo motivo di recesso, che fa partire i 540 giorni dal momento consegna da parte del GC a SDM SpA del “Progetto definitivo dell'opera intera” e, a fronte di inadempienza da parte del CIPE, stabilisce che sia riconosciuto ad Eurolink il pagamento delle spese sino a quel momento sostenute, più un 5 per cento di indennizzo sulle spese sostenute. Ma la definizione di “progetto intero” usata nell'articolo 5.2 dell'Atto integrativo 2009, non supera comunque la definizione del “progetto definitivo completo di tutti i documenti e delle integrazioni eventualmente richieste” dell'articolo 11.19 del Contratto 2006, come viene ammesso tra le righe dallo stesso Ciucci nella lettera dell'ottobre 2011. La sostanza è che il GC Eurolink non ha mai consegnato alla SDM SpA un PD “intero” o “completo” che dir si voglia che abbia accolto le integrazioni richieste di una procedura di VIA alla fine della quale si è deciso di non decidere. E soprattutto – è evidente — che a carico dello Stato non c’è alcuna penale da pagare». E infine: «Di questo vorremmo parlare con lei, disponibili anche a fornirle la documentazione in nostro possesso, conosciuta dai Ministeri competenti, a suffragio delle nostre valutazioni e indicazioni di prospettiva»;
    a questa lettera l'attuale Governo non ha mai dato risposta;
    non si comprendono le ragioni di tale atteggiamento, quando sarebbe quanto mai utile almeno capire se il Governo sia in grado di convenire con le valutazioni espresse a suo tempo dal consigliere Vincenzo Fortunato, il capo di gabinetto Giacomo Aiello e l'ex responsabile della struttura di missione delle infrastrutture strategiche Ercole Incalza;
    peraltro, il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Umberto Del Basso De Caro, rispondendo ad un question time svolto in Commissione VIII (Ambiente) della Camera dei deputati dall'onorevole Serena Pellegrino (Sinistra Italiana) aveva affermato che da parte del Governo «Non c’è alcuna volontà di tenere segreto alcun elemento del contenzioso fra lo Stato e il consorzio Eurolink, facendo ovviamente salvo il fatto che la quantificazione dell'ammontare delle penali che lo Stato dovrebbe pagare che può essere fatta solo in sede giudiziale»;
    di fatto, invece, è accaduto anche che durante la discussione delle mozioni sul sistema dei trasporti della regione Calabria e la riattivazione del progetto del ponte sullo stretto di Messina dello scorso settembre 2015, il Governo abbia esplicitamente subordinato il proprio parere favorevole sugli atti di indirizzo all'espunzione di tutti gli impegni delle mozioni presentate da Forza Italia e Lega Nord che impegnavano semplicemente a chiarire l'eventuale stanziamento di ulteriori risorse, anche a copertura degli oneri derivanti da procedure di contenzioso con riferimento alla realizzazione del Ponte sullo Stretto. Ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo si tratta di una particolare stranezza: del resto, se si è consapevoli di incorrere nel pagamento di eventuali penali, ci si chiede perché non impegnarsi formalmente a informare il Parlamento sullo stanziamento delle necessarie risorse per doverle pagare;
    secondo notizie riportate dal sito http://www.huffingtonpost.it nel mese di novembre 2015, circa un mese dopo l'approvazione della mozione n. 1-00993 Dorina Bianchi e altri ove si impegna il Governo «a valutare l'opportunità di una riconsiderazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina come infrastruttura ferroviaria, previa valutazione e analisi rigorosa del rapporto costi-benefici, quale possibile elemento di una strategia di riammagliatura del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno», una fonte di Governo avrebbe dichiarato a microfoni spenti che «Renzi aveva di fronte due strade. O chiedere all'Anticorruzione di Cantone che chissà come mai si occupa di tutto tranne che dello stretto di andare a vedere come si è creato un immane debito per lo Stato o riaprire il dialogo con Salini. Il premier ha scelto la seconda, riaprendolo informalmente negli ultimi mesi. E il dossier Ponte sullo Stretto è stato affrontato anche nei viaggi in Cina, da sempre si parla di capitali cinesi nell'operazione Ponte, e in Sud America dove, tra i rappresentanti di varie imprese, c'erano anche quelli di Impregilo.»;
    alla luce di quanto precede, va considerata la rilevanza politica delle recenti dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina,

impegna il Governo:

   ad astenersi da qualsiasi iniziativa volta a favorire in qualsiasi modo il rilancio e la realizzazione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, anche come infrastruttura ferroviaria, impiegando piuttosto tutte le risorse pubbliche nazionali ed europee disponibili per affrontare le vere emergenze e gli interventi di cui necessita il Paese che vanno dal dissesto idrogeologico alla sicurezza antisismica fino al completamento delle opere pubbliche rimaste incompiute;
   a chiarire i motivi per i quali la valutazione relativa alla riattivazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina non abbia coinvolto in prima battuta il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, bensì la Cassa depositi e prestiti che è comunque una società a partecipazione pubblica, e se vi sia un collegamento con le norme relative alla Cassa depositi e prestiti introdotte nell'ambito della legge di stabilità 2016;
   a chiarire la posizione del Governo in merito alle valutazioni espresse dal consigliere Innocenzo Fortunato, dal Capo di gabinetto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Giacomo Aiello, e dall'ex responsabile della struttura di missione delle infrastrutture strategiche Ercole Incalza in occasione del loro incontro con le associazioni ambientaliste citate in premessa ove è emersa la comune convinzione che alla luce dei rapporti contrattuali tra società Stretto di Messina Spa e il general contractor, non vi fosse alcuna penale da pagare;
   a presentare in Parlamento una relazione dettagliata che chiarisca l'eventuale stanziamento di risorse anche a copertura degli oneri derivanti dalle procedure di contenzioso in essere con riferimento alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e che, fermo restando che la quantificazione definitiva delle penali può essere determinata in via definitiva solo in sede giudiziale, fornisca elementi sull'ammontare della richiesta di penali vantata dal consorzio Eurolink, di cui Impregilo è capofila, nei confronti dello Stato per la mancata realizzazione del citato Ponte sullo Stretto di Messina.
(1-01372) «Scotto, Franco Bordo, Airaudo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    nel settore tessile e della moda, l'investimento realizzato dalle imprese finali per lo studio, ideazione e realizzazione delle collezioni (il cosiddetto «campionario») rappresenta un costo molto significativo, tenendo conto della necessità di progettare sempre nuovi modelli ad ogni stagione di vendita;
   l'articolo 4, commi da 2 a 4, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, ha previsto un'agevolazione, sotto forma di detassazione del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzate alla realizzazione di campionari (cosiddetto « bonus campionari»), a favore delle imprese che svolgono attività produttive classificabili nelle divisioni 13 o 14 della tabella ATECO 2007;
    l'attività di studio, ideazione e realizzazione delle collezioni da parte delle imprese dell'abbigliamento, è stata riconosciuta anche dall'Agenzia delle entrate in occasione del richiamato « bonus campionari», attivato nel 2011, come un'attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo, poiché la funzione di ricerca e sviluppo svolta dalle imprese di abbigliamento si concretizza nell'attività di ricerca e ideazione stilistica dei prodotti e nella realizzazione dei prototipi che ad ogni stagione vede impegnate le risorse creative interne alle imprese finali;
    l'attività di ricerca e sviluppo richiede, di conseguenza, notevoli risorse e assume una valenza strategica nel determinare il successo dell'impresa;
    con l'introduzione di un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo nel «decreto destinazione Italia» del dicembre 2013, il legislatore è tornato a promuovere l'innovazione attraverso lo strumento dell'incentivo fiscale: la misura introdotta nel 2013, che, però, non ha trovato attuazione per mancanza di copertura finanziaria, è stata poi modificata dalla legge di stabilità per il 2015 con l'obiettivo di renderla più efficace nell'incentivare sia gli investimenti, sia l'occupazione di personale con un profilo professionale qualificato;
    l'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha integralmente sostituito l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, con il quale è stato introdotto il credito di imposta per attività di ricerca in sviluppo, rinviando, nel comma 14, ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l'individuazione delle disposizioni applicative necessarie per poter dare attuazione al credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo;
    nella circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 16 marzo 2016, avente come oggetto il credito di imposta per attività di sviluppo previste dall'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, a pagina 13, si precisa che «per la concreta individuazione, nel contesto delle suddette attività di ricerca e sviluppo, delle attività da considerare ammissibili nell'ambito dello specifico settore del tessile e della moda, sono valide, in linea generale, le indicazioni fornite dal MISE con l'allegata circolare n. 46586 del 16 aprile 2009», che considera agevolabili, i costi sostenuti per svolgere le attività dirette alla realizzazione del contenuto innovativo di un campionario o delle collezioni e per la realizzazione dei prototipi, indicando in via orientativa, ma non esaustiva, come costi ammissibili: il lavoro del personale interno (stilisti e tecnici) impiegato nelle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le prestazioni dei professionisti (stilisti, altri consulenti esterni), le materie prime e materiali di consumo connessi alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi le lavorazioni esterne connesse alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le attrezzature tecniche specifiche (computer e software dedicato, macchinari), nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per l'attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, i fabbricati ed i terreni esclusivamente per la realizzazione dei laboratori utilizzati, nella misura e per il periodo in cui sono destinati alle fasi di ideazione e realizzazione dei prototipi;
    data l'importanza del settore della moda in Italia, al fine di scongiurare un'ulteriore riduzione dell'attività produttiva e la perdita di altri posti di lavoro, risulta urgente porre in essere iniziative volte a valorizzare gli investimenti innovativi che vengono effettuati nel campo della moda per creare i nuovi campionari,

impegnano il Governo:

   ad adottare iniziative specifiche per il settore del tessile e della moda, in particolare per le attività, citate in premessa, che sono dirette alla realizzazione del campionario, delle collezioni e dei prototipi;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative di carattere normativo, per specificare quali siano le attività agevolabili e i relativi costi ammissibili al credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo per il settore tessile e della moda, ferme restando le disposizioni comunitarie vigenti in materia di aiuti di Stato.
(7-01109) «Abrignani, Sottanelli, Francesco Saverio Romano, Rabino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Mottola, Parisi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GASPARINI, CASATI e MAURI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Milano-Bresso «Franco Bordoni Bisleri» è collocato in una delle aree più popolose della Città metropolitana di Milano, e all'interno del più grande parco pubblico d'Europa: il Parco Nord;
   il Parco Nord è una realtà fortemente voluta dai cittadini che si sono impegnati per la sua realizzazione e sono partecipi alla sua gestione. Per anni si sono battuti per la ricollocazione dell'aeroporto in altra sede, considerandolo incompatibile con la presenza del Parco e hanno successivamente accettato la presenza dello stesso con le limitazioni previste dall'accordo siglato nel 2007;
   l'aeroporto opera sotto la giurisdizione della direzione aeroportuale Lombardia dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC);
   l'Ente nazionale per l'aviazione civile disciplina l'accesso e la circolazione attraverso proprie ordinanze e, nello specifico con l'ordinanza n. 3 del 2011 del 15 novembre 2015, alla quale si è di recente succeduta l'ordinanza n. 7 del 2016 del 15 giugno 2016, che è in vigore dal 1o luglio 2016;
   il regolamento di scalo del 2011 costituiva il punto di caduta degli accordi intercorsi con il protocollo d'intesa del 31 luglio 2007, sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Milano, Consorzio Parco Nord Milano, comuni di Bresso, Cinisello Balsamo e Milano: infatti detto protocollo, ponendo fine ad un lungo conflitto, aveva costituito soluzione di mediazione sul tema dell'incompatibilità dell'aeroporto con il grande polmone verde di Parco Nord;
   in particolare l'articolo 2 del più volte citato protocollo in tale ottica escludeva opere o interventi che si potessero configurare come un potenziamento della capacità di traffico;
   il regolamento di scalo n. 1 del 15 dicembre 2011, infatti, individuava quali soggetti operanti all'interno dell'aeroporto: Aero Club Milano, Elite Aviation, a.o.p.a (aircraft oweners and pilots association) Italia e cap (club aviazione popolare);
   tale tipologia di operatori configurava l'aeroporto come scuola per piloti o infrastruttura per piccoli aerei da turismo (traffico consentito vfr – ovvero volo a vista);
   il nuovo regolamento di scalo adottato da Ente nazionale per l'aviazione civile ed in vigore dal 1o luglio del 2016, tradisce, a giudizio degli interroganti, lo spirito ed il dettato del protocollo del 2011: per un verso, ampliando operatività dello scalo al traffico comunitario civile di aviazione generale e di aerotaxi, senza limitazione per il numero di posti; per altro, individuando una molteplicità di soggetti concessionari tra i quali la società Sky service che avrà compiti di controllo delle nuove operazioni commerciali (per le quali si procede, di regola, con volo strumentale);
   è evidente che – alla luce della complessa storia conflittuale su accennata – l'impegno ad evitare interventi che potessero aumentare la capacità di traffico non era (e non può) essere interpretato in modo restrittivo, con riferimento ad interventi infrastrutturali, bensì come un impegno ad astenersi da qualunque iniziativa che produca tale effetto, ivi compresa l'adozione di un nuovo regolamento di scalo che produca tale effetto;
   poco prima dell'adozione del regolamento di scalo n. 7 del 2016 (datato 15 giugno) il prefetto di Milano ha rilevato le inadeguate misure di sicurezza dell'aeroporto e con decreto prefettizio del 22 marzo 2016 ha regolato le attività di volo in arrivo e in partenza dallo scalo per garantire la tutela della sicurezza pubblica, in costanza di un'utilizzazione della infrastruttura per tipologia di traffico diversa da quella in esercizio dal 1° luglio 2016;
   inoltre, la diversa destinazione di utilizzo – oltre che tradire gli accordi a suo tempo intercorsi – costituisce una modifica che si palesa per gli interroganti tanto più grave ove si consideri che, il comune di Bresso e quelli limitrofi hanno una popolazione tra le più dense d'Italia. (Bresso 7765 abitanti per chilometro quadrato, Sesto San Giovanni 6975 abitanti per chilometro quadrato, Cinisello Balsamo 5900 abitanti per chilometro quadrato);
   la diversa destinazione di traffico, inoltre, non avrebbe dovuto comunque prescindere da una verifica dei livelli di inquinamento acustico ed ambientale e del deterioramento della qualità della vita degli insediamenti urbani limitrofi, che risulta agli interroganti essere stata totalmente omessa dal nuovo regolamento ENAC;
   ed infine, al confine est dell'aeroporto è presente il sito demaniale che ospita provvisoriamente un centro di accoglienza di migranti gestito dalla Croce rossa italiana;
   il consiglio comunale di Bresso, alla presenza di rappresentanti di Enac il 25 maggio 2016 ha votato all'unanimità il mandato al sindaco per farsi promotore presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il prefetto di Milano ed Enac affinché l'aeroporto di Bresso rimanga una scuola per piloti e uno spazio per piccoli aerei da turismo, evidenziando anche la preoccupazione delle popolazioni dei comuni limitrofi all'area dell'aeroporto «per la presenza di una pista di atterraggio di dimensioni ridotte e di un sistema di sicurezza e antincendio non adatto a voli di dimensioni elevate» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per quanto di competenza, per garantire il rispetto degli impegni formalizzati nel protocollo di cui in premessa, con particolare riferimento alla recente assunzione di iniziative che avrebbero come effetto il potenziamento delle capacità di traffico;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire adeguati livelli di sicurezza, salute e contrasto all'inquinamento ambientale e acustico per le popolazioni limitrofe allo scalo aeroportuale;
   se il Governo intenda convocare i sottoscrittori del più volte citato protocollo d'intesa per verificarne la corretta attuazione, con particolare attenzione alla tutela della sicurezza e della salubrità dell'ambiente, in merito alle quali si sono espresse le istituzioni locali e i cittadini interessati, che si sono costituiti in comitati a difesa del Parco Nord, per la tutela dell'ambiente e per la sicurezza.
(5-09644)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato, secondo l'articolo 100 della Costituzione, è «organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione»;
   l'articolo 19 della legge 27 aprile 1982, n. 186, prevede che i posti vacanti nella qualifica di consigliere di Stato, siano conferiti, nella ragione di un quarto «a professori universitari ordinari di materie giuridiche o ad avvocati che abbiano almeno quindici anni di esercizio professionale e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, o a dirigenti generali od equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche nonché a magistrati con qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d'appello o equiparata» e che la nomina abbia luogo attraverso «decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri»;
   la legge prevede altresì che vi sia un parere espresso dal Consiglio di presidenza;
   i requisiti d'accesso, i compiti ed il rilievo costituzionale del Consiglio di Stato richiederebbero l'individuazione, per la carica di consigliere di Stato, di personalità di comprovata professionalità e che la scelta sia basata sul merito;
   da ciò che emerge da notizie apparse sugli organi di stampa, tuttavia, le nuove nomine sottoposte dal Governo al parere del Consiglio di Stato non risponderebbero a tali requisiti, visto che esse sarebbero risultate controverse e non avrebbero dato adito ad una votazione unanime da parte della commissione chiamata ad esprimere il prescritto parere;
   in particolare, particolarmente contestata sarebbe la proposta della dottoressa Antonella Manzione, attuale capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, sia perché ella non rientrerebbe nei limiti d'età previsti dallo stesso Consiglio di presidenza, sia per il fatto che sia già stata più volte contestata la mancanza di requisiti della stessa per ricoprire adeguatamente l'incarico che essa ricopre attualmente e che le dà accesso al ruolo di consigliere di Stato;
   l'evoluzione della normativa, e da ultima l'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha di fatto ampliato la possibilità da parte degli organi politici di intervenire sulla carriera di un dirigente all'interno della pubblica amministrazione;
   questo comporta la necessità di garantire un adeguato livello di terzietà e professionalità ad organi di rilievo costituzionale come il Consiglio di Stato –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda, anche alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, sulla dirigenza, proporre iniziative di natura normativa per introdurre requisiti più stringenti per garantire la professionalità e la terzietà dei consiglieri di Stato di nomina governativa. (4-14344)


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si sono riscontrati nel nostro Paese fenomeni di dissesto idrogeologico che hanno toccato aree montane, di pianure e di mare;
   eventi alluvionali come quelli di Genova, Messina, Milano, della Versilia ecc. dimostrano come le azioni dell'uomo quali l'eccessiva cementificazione e l'aggressione (tombinatura, restrizioni, interferenze e altro) dei corsi d'acqua e dei versanti mettono inevitabilmente a rischio cose e persone;
   le turbolenze meteo, definite dagli esperti di natura «equatoriale» che ormai stanno colpendo diverse parti del nostro Paese obbligando enti e privati ad adottare misure sempre più sofisticate per far fronte a piogge torrenziali che cadono in aree circoscritte e rovesciano pesanti quantitativi d'acqua;
   nel recente terremoto di Amatrice le dichiarazioni governative a tutti i livelli sono state orientate verso la difesa del suolo attraverso finanziamenti di opere connesse anche alla mitigazione del rischio idrogeologico;
   con l'insediarsi del Governo Renzi si è costituita una nuova struttura presso Palazzo Chigi (unità di missione – Italia sicura) che di fatto ha il ruolo di coordinatrice dell'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle regioni in materia di difesa idrogeologica;
   in particolare, il territorio lombardo è costituito da aree collinari e montane per il 53 per cento di aree di pianura per il 47 per cento; il reticolo principale gestito da regione Lombardia è costituito da circa 790 corsi d'acqua della lunghezza di oltre 8.000 chilometri; la fascia metropolitana che percorre la regione da Milano a Brescia è una delle più estese d'Europa e densamente urbanizzate e popolate;
   le regioni del Centro-Nord (Lazio, Umbria, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Piemonte, Val d'Aosta, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) costituiscono geograficamente e geologicamente un territorio complesso e di difficile gestione nella sua difesa ai rischi di alluvione, smottamenti, frane, valanghe e altro. Inoltre, esistono bacini fluviali più importanti del Paese che costituiscono elementi utilizzati da sempre per diverse funzioni traendone molteplici benefici;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la struttura di missione Italia sicura hanno da tempo avviato una campagna ricognitiva inerente alle necessità di progettazione e realizzazione di opere di difesa del suolo;
   tutte le regioni hanno inserito nel sistema «RENDIS» (software opportunamente creato per la definizione di una banca dati nazionale) le proprie necessità di finanziare opere di difesa idrogeologica;
   la regione Lombardia attraverso i futuri enti attuatori ha predisposto n. 302 progetti per un ammontare complessivo di circa 771.800.786,20 euro;
   fin dal 2013 il Governo ha nominato un proprio commissario governativo che ha gestito un primo accordo («finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico») fra regioni e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e successivamente ha individuato, in molte regioni, nei presidenti della giunta la figura commissariale avviando con taluni di loro un secondo accordo di programma definito «rischio idrogeologico delle aree metropolitane»;
   complessivamente in Lombardia questi due accordi ammontano a 363.300.701 euro:
    primo accordo; n. 166 progetti/interventi per un ammontare complessivo di 217.640.700,00 euro;
    secondo accordo; di n. 8 progetti/opere per un ammontare complessivo di 145.660.001,00 euro;
   nel recente convegno organizzato dall'Unità di Missione – Italia Sicura e regione Lombardia «progettare l'assetto idrogeologico» è stato dichiarato che sono a disposizione per le regioni del Sud 5,8 miliardi euro e per le regioni del Centro-nord di soli 1,8 miliardi;
   la legge n. 147 del 27 dicembre 2013 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in particolare all'articolo 1, comma 6, recita: «la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione è determinata, per il periodo di programmazione 2014-2020, in 54.810 milioni di euro. Il complesso delle risorse è destinato a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord»;
   la ripartizione è stata strutturata e mutuata dai principi dell'Unione europea che concentra gli sforzi economici nelle aree ad Obiettivo 1 (aree depresse / sottoutilizzate);
   la difesa idrogeologica è necessaria prevalentemente nelle regioni del Centro nord viste le caratteristiche morfologiche di questi territori e il proliferare di situazione di rischio per l'incolumità pubblica –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare allo scopo di evitare la sopracitata sperequazione fra Centro-nord e Sud, anche in funzione delle prossime programmazioni;
   se il Governo non ritenga opportuno porre all'attenzione della Conferenza Stato/regioni il tema sopraindicato al fine di definire una soluzione più equa anche rispetto alle reali necessità esposte in premessa. (4-14345)


   BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni appare con rilievo nella stampa e nei media una visita in America Latina del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con incontri organizzati debitamente dal corpo diplomatico in loco che si risolvono in meeting a sostegno del «SI» al referendum relativo alla legge «Renzi Boschi»;
   tali incontri vengono poi corroborati con dichiarazioni e interviste promozionali sulle reti Rai, nei quali il Ministro in discorso, ad avviso dell'interrogante, da vero testimonial promozionale, reclamizza il «Si» e la connessione della sua opera con gli italiani all'estero;
   tali visite abbiano carattere promozionale risulta anche pacificamente dall'esame dell'informazione, nella quale si spiega al colto e all'inclita che visto il «testa a testa» il «voto organizzato» degli italiani all'estero se sollecitato e guidato può risultare determinante e che a tale scopo il Ministro Boschi è stato mandato in Sud America, senza che seguano cenni di smentita di sorta;
   nella sostanza la trasferta latinoamericana del Ministro Boschi appare all'interrogante un «raid» elettorale, compiuto con mezzi e strutture istituzionali a spese dei cittadini con sostegno della Rai e, dunque, a carico di tutti i cittadini e non dei comitati del «SI» aut similia –:
   se non si ritenga richiamare il corpo diplomatico interessato ai doveri super partes propri della funzione di rappresentanza diplomatica;
   se non si ritenga di dover con viva urgenza richiedere al Ministro impegnato in quello che appare all'interrogante un «raid» promozionale un pronto rientro in sede e il rimborso di ogni spesa sostenuta sin qui dalla Repubblica per il sostegno del «Si» nella trasferta sudamericana;
   se non si ritenga doveroso invitare il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento a rimettere le deleghe, risultando evidente una reiterata inadeguatezza ai compiti relativi alle funzioni. (4-14354)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi accompagnata dal suo staff è in missione in Sud America per un viaggio di Stato finalizzato all'incontro con alcune comunità italiane;
   da fonti di stampa si apprende che la Ministra, nell'ambito degli incontri programmati, è parte attiva come promotrice del «SI» sulla riforma costituzionale, poiché i cittadini italiani all'estero voteranno per corrispondenza tre settimane prima della consultazione referendaria del 4 dicembre 2016;
   dunque, parrebbe che il viaggio istituzionale della Ministra sia in realtà un vero e proprio viaggio di campagna elettorale tra gli italiani che vivono in Sud America;
   pertanto, qualora la Ministra Boschi abbia effettivamente deciso di intraprendere il viaggio in Sud America per mere ragioni di campagna elettorale è evidente che il popolo italiano si trova nella condizione di dover farsi carico dei costi di trasferta intercontinentale, comprese le indennità di trasferta dello staff a seguito della Ministra –:
   a quanto ammontino i costi a carico dello Stato per la missione della Ministra Boschi e del suo staff;
   se, come dichiarato, il viaggio è istituzionale, quali siano le tappe previste durante la visita in Sud America e quali siano le finalità degli incontri programmati;
   se non ritengano doveroso pubblicare i costi del viaggio intrapreso in Sud America e le motivazioni dello stesso;
   quali siano le ragioni che hanno portato la Ministra Boschi e il Governo a programmare la visita istituzionale in Sud America proprio a poche settimane dal voto degli italiani all'estero sul referendum costituzionale;
   quale sia il mezzo usato dalla Ministra Boschi e dal suo staff per raggiungere il Sud America e le successive tappe in programma. (4-14355)


   GIANLUCA PINI e FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato sulla stampa nazionale, è iniziato un viaggio del Ministro per le riforme istituzionali, Maria Elena Boschi, che toccherà Buenos Aires, Montevideo, Porto Alegre, Brasilia e San Paolo;
   scopo della missione istituzionale sarebbe quello di convincere gli elettori italiani residenti all'estero a votare «si» in occasione del referendum confermativo della riforma costituzionale che avrà luogo il 4 dicembre 2016;
   il Ministro Boschi sarebbe stato incaricato di svolgere un ciclo di interventi sulle riforme istituzionali in vari consessi e con un tourbillon di incontri, cene e conferenze a stretto contatto con imprenditori, grandi elettori e personalità influenti nei Paesi toccati dal viaggio;
   la missione comporta non meno di un totale di trenta ore di volo di Stato, per un costo stimato dal quotidiano Il Giornale in circa 300 mila euro;
   l'ufficio stampa del Ministro Boschi ha smentito il costo, affrettandosi a precisare che per il viaggio in Sud America sono stati spesi 12.625 euro per tutta la delegazione (Ministro e tre persone dello staff) che han viaggiato non con voli di Stato ma di linea ed in economy;
   qualunque siano la cifra spesa e le modalità di viaggio, si tratta comunque, a parere degli interroganti, di una campagna elettorale a carico dei contribuenti e, dunque, nei fatti alquanto impropria e scorretta;
   sembra inoltre siano in programma ulteriori viaggi da parte di altri esponenti del Governo, mentre altri risultano già aver avuto luogo –:
   quando sia stato programmato il viaggio in Sudamerica del Ministro Boschi;
   quando sia stato autorizzato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri il viaggio in questione;
   in quale voce di spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri rientrino i 12.625 euro di costo sostenuti per tutta la delegazione del Ministro Boschi andata in Sud America ovvero se i voli di linea, compresi quelli interni, siano stati pagati personalmente e direttamente dai viaggianti;
   a quanto ammontino complessivamente le risorse che il Governo conta di stanziare per pubblicizzare la causa del «sì» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 con missioni all'estero di suoi esponenti. (4-14356)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   ai Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro si è recato, in rappresentanza del Governo, il Sottosegretario onorevole Luca Lotti, pur non avendo la delega allo sport;
   l'onorevole Lotti, infatti, è Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega all'informazione e comunicazione del Governo, all'editoria, alla pianificazione, preparazione e organizzazione degli interventi connessi alle Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra mondiale, a promozione e svolgimento di iniziative per le celebrazioni del 70o anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione;
   tra le diverse iniziative messe in campo a favore del «SI» al referendum costituzionale vi è anche il Comitato «Brasile per il Si» alla cui inaugurazione ha partecipato proprio il Sottosegretario Lotti nel mentre della missione a Rio de Janeiro per assistere ai Giochi Paralimpici;
   sorge il dubbio, all'interrogante, che la missione sia stata un'occasione per il rappresentante del Governo, per promuovere la campagna elettorale per il «SI» al referendum costituzionale tra gli italiani che vivono all'estero –:
   per quali ragioni abbia scelto di inviare in rappresentanza del Governo ai Giochi Paralimpici un Sottosegretario non avente la delega per lo sport. (4-14357)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FALCONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2016, gli elettori del Ticino hanno deciso di approvare il referendum antitransfrontalieri, premiando l'iniziativa popolare «Prima i nostri» della destra nazionalista Udc che ha ottenuto il 58 per cento di consensi;
   con l'approvazione del referendum si stabilisce «di privilegiare sul mercato del lavoro, a qualifiche simili, i lavoratori che vivono sul territorio rispetto a coloro che vengono dall'estero»;
   si chiede, inoltre, che «nessun cittadino del territorio del Ticino venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell'afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)», mentre «nelle relazioni con i Paesi limitrofi» le autorità dovrebbero modulare «il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone»;
   i promotori del referendum chiedono ora una modifica della Costituzione ticinese che deve essere autorizzata dal Governo della Confederazione Svizzera;
   il Consiglio di Stato ticinese – l'esecutivo cantonale – ha ricordato i problemi di applicazione di «Prima i nostri», ma ha annunciato che verrà «costituito un gruppo di lavoro per elaborare un testo di legge che applichi il nuovo articolo costituzionale»;
   la Svizzera non è uno Stato membro dell'Unione europea, ma persegue la sua politica europea sulla base di accordi settoriali bilaterali, beneficiando dell'accesso al mercato dell'Unione e dovendo, quindi, sottostare e riconoscerne le libertà fondamentali, tra cui la libertà di circolazione;
   la portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas, ha ricordato, nei giorni scorsi, che il risultato «non renderà più facili i negoziati già in corso» e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker ha più volte chiarito che le quattro libertà fondamentali del mercato unico sono inseparabili, per ribadire che, nel contesto svizzero, la libertà di circolazione dei lavoratori è fondamentale;
   intanto, però, noncurante dei moniti della Commissione europea, una parte significativa dei cittadini della Confederazione svizzera ha ribadito il suo orientamento sul tema, tanto che il referendum approvato, segue all'approvazione di un altro referendum del febbraio 2014 «contro l'immigrazione di massa», col quale si è stabilito che entro tre anni la Confederazione svizzera dovrà fissare dei tetti massimi per i permessi di dimora e contingenti annuali per tutti gli stranieri, calcolati in funzione dei bisogni dell'economia; sul mercato del lavoro la preferenza sarà data agli svizzeri e i trattati internazionali contrari a queste regole, come l'Accordo di libera circolazione delle persone con l'Unione europea (UE) dovranno essere rinegoziati;
   di recente, inoltre, le autorità del Ticino hanno imposto l'obbligo di presentare il casellario giudiziale per il rilascio dei permessi di dimora e di lavoro, per cui l'Italia ha già chiesto alla Commissione europea di avviare una procedura di infrazione contro la Svizzera;
   sempre in Ticino è stata bocciata l'iniziativa «Basta con il dumping salariale», promossa da uno schieramento di sinistra per fronteggiare le polemiche su un livello medio più basso dei salari dei frontalieri;
   ogni giorno oltre 60 mila persone arrivano nel Cantone svizzero dall'Italia; in Svizzera vivono circa 600 mila italiani e tra l'Italia e la Svizzera c’è una lunga frontiera che rappresenta una delle porte verso il nord e il mercato unico;
   da un articolo di Repubblica Economia e Finanza si apprende che l'IRE, l'Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, su mandato del Parlamento ticinese e del Ministero delle finanze elvetico ha condotto un'approfondita ricerca frutto di un'indagine realizzata su 328 aziende; dalla suddetta ricerca emergerebbe che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti» e che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire»;
   nonostante, quindi, un forte apprezzamento dei lavoratori stranieri, e quindi italiani, da parte delle aziende ticinesi derivante dall'elevata professionalità degli stessi, la direzione politico-sociale verso cui il Ticino, ma anche l'intera Svizzera, si sta orientando sembra, invece, manifestare una sempre più crescente insofferenza verso tali lavoratori ma, in particolar modo, verso i lavoratori italiani, rilevato che il maggior numero di frontalieri viene proprio dal nostro Paese;
   l'applicazione del voto referendario potrebbe avere delle gravissime ripercussioni sui lavoratori frontalieri italiani e causare, di conseguenza, una grave frattura con la Confederazione che potrebbe inficiare anche i vantaggi derivanti da accordi Unione europea-Svizzera –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare nei confronti della Confederazione svizzera per fronteggiare le suddette misure che appaiono in contrasto con l'accordo europeo sulla libera circolazione delle persone del 1999, manifestamente discriminatorie nei confronti dei lavoratori italiani e in contraddizione con lo stato delle relazioni bilaterali;
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare affinché venga promossa da parte dell'Unione europea un'azione mirata nei confronti della Confederazione svizzera tesa al riconoscimento della libera circolazione, della parità di trattamento e della protezione sociale dei lavoratori frontalieri nell'Unione europea;
   quali iniziative concrete intenda adottare il Governo per tutelare, con immediato effetto, i lavoratori frontalieri italiani. (5-09630)


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai giornali di stampa del 29 settembre 2016 che l'inviato, Luigi Pelazza, della nota trasmissione italiana «Le Iene», che si trovava a Marrakech, è stato espulso dal Marocco con l'operatore, Mauro Pilai, che lo affiancava, poiché stava svolgendo un'inchiesta sulla prostituzione minorile;
   le autorità marocchine hanno proceduto al sequestro di tutto il materiale raccolto ai fini del servizio, con video e testimonianze che documentavano un grande giro di prostituzione minorile con ragazzi e ragazze di 13 e 14 anni in una rete che coinvolge turisti occidentali, turisti arabi e personaggi locali;
   alcuni agenti marocchini hanno arrestato l'interprete locale che affiancava l'inviato nell'inchiesta, mentre la troupe italiana è stata scortata all'aeroporto per l'espulsione e alla stessa è stato addirittura impedito di parlare e di incontrare funzionari o interpreti dell'ambasciata italiana; inoltre, ai due connazionali è stato richiesto di firmare documenti in francese, ma a tale pretesa si sono rifiutati posto che erano assenti funzionari dell'ambasciata italiana –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di verificare la legittimità delle motivazioni che hanno comportato l'espulsione degli inviati italiani dal Marocco e, in particolare, per quali ragioni sia stato impedito agli stessi di essere assistiti dai funzionari dell'ambasciata italiana, anche considerando che le autorità marocchine hanno richiesto la sottoscrizione di documenti non in lingua italiana, in assenza di un interprete.
(5-09641)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è nota da tempo la decisione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di mettere in vendita beni dello Stato;
   già nel 1862, il Ministro delle finanze Quintino Sella, rilevato che il debito dello Stato cresceva ogni anno in maniera esponenziale, pensò a «disammortizzare» vaste proprietà dello Stato propriamente detti demaniali;
   fino ai tempi più recenti, la gestione del patrimonio immobiliare dello Stato era regolata da una normativa con scarsi riferimenti a obiettivi di carattere economico. Con gli anni Novanta si è però affermato un indirizzo politico-legislativo ispirato alla gestione produttiva del patrimonio immobiliare pubblico;
   il primo intervento legislativo in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato è rappresentato dalla legge n. 35 del 1992 che regolamentava la «Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica»;
   con la legge n. 448 del 1998 (legge finanziaria 1999), il legislatore ha inoltre previsto un ulteriore strumento normativo per agevolare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare statale: il conferimento o la vendita dei cespiti a società per azioni;
   con l'emanazione dell'articolo 4 della legge 23 dicembre 1999 n. 488 sono state apportate ulteriori modifiche e innovazioni di notevole rilevanza per quel che riguarda la disciplina delle alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato;
   il patrimonio immobiliare dello Stato ha un valore di libro di poco sotto i 60 miliardi di euro: oltre 47 mila beni censiti, 32.691 fabbricati e 14.351 aree, che valgono rispettivamente 54,1 e 4,78 miliardi di euro (sono i dati che emergono dalla piattaforma «OpenDemanio» che l'Agenzia ha lanciato online: una mappa dell'Italia con i dati consolidati annualmente nel conto patrimoniale dello Stato sulla base della tipologia, della categoria di appartenenza e della distribuzione degli immobili, aggregati per regione e provincia);
   per effetto delle modifiche introdotte dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è stato altresì assegnato all'Agenzia per il demanio il ruolo di centrale di committenza per l'individuazione degli operatori a cui affidare l'esecuzione di tutti gli interventi manutentivi sugli immobili, con la sola eccezione di quelli ubicati all'estero riguardanti il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   il patrimonio immobiliare dello Stato gestito dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale conta nel mondo oltre 280 immobili (aggiornati al 31 dicembre 2015), da quanto si ricava dall'elenco pubblicato sul sito del Ministero, la cui responsabilità gestionale è affidata ai Consolati italiani che sovrintendono nelle rispettive circoscrizioni consolari;
   mancando una stima del valore di mercato e del valore reale dell'insieme del patrimonio immobiliare italiano all'estero, l'alienazione di esso rischia di essere condotta senza regole, senza strategia ed obiettivi finali e senza la dovuta trasparenza;
   è il caso di alcuni immobili appartenenti allo Stato italiano messi in vendita in Svizzera attraverso le aste senza considerare adeguatamente la storia di essi;
   l'asta è sicuramente una procedura corretta, perché serve a tutelare diversi interessi: quello economico dell'amministrazione e quello alla parità di trattamento tra potenziali contraenti;
   l'asta, è uno strumento di prevenzione della corruzione, e in base alla normativa vigente l'Amministrazione con la procedura d'asta si riserva anche di annullare, sospendere o revocare, secondo la normativa vigente, la procedura d'asta i ogni fase;
   non si è voluto ricorrere a tale disciplina nel caso delle ex sedi della Casa d'Italia di Locarno e Bellinzona, sebbene la Casa d'Italia fosse stata costruita dall'emigrazione italiana e poi donata allo Stato e nonostante il municipio di Locarno avesse chiesto la sua sospensione per permettere all'autorità comunale di predisporne l'acquisto nel rispetto nelle normative locali;
   lo stesso caso di Locarno, a quanto risulta all'interrogante, si sta verificando con la messa in vendita della Casa d'Italia di Lucerna, ex sede dell'agenzia consolare, la cui proprietà dello Stato risale al 1939, grazie ad una partecipazione finanziaria della comunità italiana di ben oltre 60 mila franchi dei 158 mila totali;
   negli ultimi anni, dal 2008, è stata costituita una fondazione il cui scopo è quello di tenere in vita la Casa d'Italia al fine di assicurarne la fruibilità alla comunità italiana locale e alle sue numerose associazioni;
   come si legge sul sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la scadenza della concessione della Casa d'Italia di Lucerna è prevista per il 1o gennaio 2017, ragione per cui sembra volersi cogliere tale dataper metterla in vendita onde evitare il rinnovo della concessione –:
   se si intenda rinnovare la concessione alla Fondazione della Casa d'Italia di Lucerna per permetterle di tenere fede agli impegni assunti con l'utenza, alle iniziative in calendario e ai programmi sociali allestiti, nel rispetto della missione per la quale è stata costituita;
   se il Governo intenda assumere iniziative per predisporre un piano di dismissione degli immobili al fine di permettere a soggetti italiani di organizzarsi per partecipare alle aste;
   se si intenda favorire la trattativa privata nell'eventuale vendita degli immobili – quelli di Lucerna in primis – favorendo gli attuali locatori in linea con quanto esposto in premessa, per assicurarne la continuità di pubblico servizio.
(4-14349)


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2014 è nato a Montreal (Canada) il Cesda (Centro scuola Dante Alighieri), inaugurato proprio in occasione della visita del Sottosegretario Mario Giro;
   il Cesda, oramai, da parecchio tempo ha iniziato i corsi di italiano ed ha stipulato in forma ottimale apposite convenzioni con diverse commissioni scolastiche del Quebec volte all'inserimento dell'italiano nel curriculum scolastico;
   a quanto consta agli interroganti il Cesda non riceverebbe i fondi pubblici cui avrebbe diritto;
   è risaputo che la Farnesina riconosce agli enti gestori operativi in Canada e in particolare in Québec un importante ruolo nella promozione della lingua e della cultura italiana;
   inoltre il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolge un'azione particolarmente intensa a favore della diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo, favorendo l'attuazione di corsi ad hoc tramite i contributi che il Cesda ha diritto ad avere, avendo tutti i requisiti per usufruire del capitolo di spesa n. 3153 che eroga fondi in favore dei connazionali all'estero –:
   per quali ragioni il Cesda, con sede a Montreal, non riceva i fondi pubblici a cui avrebbe diritto, nonostante operi con successo sul territorio, sia ben inserito nella realtà socio-politica del Quebec e abbia già firmato convenzioni per insegnare l'italiano curriculare ed extracurriculare nelle scuole del Quebec, con due tra le più importanti commissioni scolastiche del Quebec. (4-14353)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tetracloroetene (o tetracloroetilene o percloroetilene) è un alogenuro organico utilizzato nelle lavanderie a secco, come solvente per lo sgrassaggio dei metalli, nell'industria chimica e farmaceutica, altamente pericoloso per la salute umana;
   tale sostanza viene associata, dall'EPA, a rischio di sviluppare tumori alla vescica, linfomi e mielomi, ad effetti tossici per il sistema nervoso centrale, quello immunitario ed emopoietico, per il fegato per i reni e per gli organi riproduttivi. L'esposizione al tetracloroetene risulta, inoltre, essere causa di irritazione epidermica in quanto provoca dissolvenza dei tessuti adiposi. È un composto nocivo per inalazione e pericoloso per l'ambiente tanto che in Italia i rifiuti contenenti tetracloroetene sono etichettati come «rifiuti pericolosi»;
   la contaminazione da tetracloroetene delle matrici ambientali, in Italia, sta raggiungendo livelli allarmanti a fronte della de-industrializzazione e dismissione di siti dedicati alle attività industriali citate sopra tanto che il solvente è stato rinvenuto nell'acqua potabile, nei suoli, nell'aria, nelle falde acquifere profonde;
   molti sindaci hanno predisposto, a fronte delle evidenze scientifiche sui rischi per la salute umana, un divieto d'utilizzo di fonti idriche ad uso potabile in considerazione dell'inquinamento delle acque da tetracloroetene;
   in Piemonte, negli ultimi mesi, la stessa popolazione si è mobilitata al fine di lanciare l'allarme su tre distinti casi – a Carmagnola (provincia Torino) a causa dell'ex lavanderia industriale «Italdry» (http://www.ilcarmagnolese.it/), nel biellese a causa della dismissione delle numerose industrie tessili (https://www.arpa.piemonte.gov.) e nella città di Vercelli dove alcuni pozzi risultano contaminati da tetracloroetene e da svariate sostanze nocive a causa (secondo fonti stampa) della dismissione del sito industriale «Sambonet» (link: http://www.lastampa.it/2016/) – senza che gli enti locali abbiano predisposto alcun provvedimento al fine di limitare l'esposizione della popolazione al contaminante imputato;
   nel caso di Vercelli città, l'inquinamento dei pozzi (acqua di falda superficiale utilizzata da privati cittadini per uso irriguo e per l'allevamento animale) per via aerea si sta estendendo dall'iniziale zona Aravecchia ai quartieri vicini, con conseguente preoccupazione della popolazione (fonte Notizia Oggi Vercelli: prima pagina, articolo «Tumori record vicino ai pozzi contaminati» edizione del 19 settembre 2016), per la propria salute e la compromissione dell'ambiente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti ed intenda, per quanto di sua competenza, adottare le iniziative di competenza a tutela della popolazione locale e dell'ambiente interessato;
   se il Governo non ritenga necessario predisporre un piano di monitoraggio volto a sondare il livello di contaminazione degli impianti connessi all'uso del tetracloroetene e ad ora dismessi, nonché misure di tamponamento dell'inquinamento riscontrato prima che comprometta in maniera definitiva gli ambienti interessati e le falde acquifere profonde. (5-09622)


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 5 agosto 2016, nel corso di un incontro svoltosi presso la sala della giunta del comune di Pescantina (Verona), alla presenza del sindaco Luigi Cadura, del vice sindaco Paola Zanolli, dei consiglieri Simone Aliprandi, Emma Benedetti e Francesco Fiorato, nonché di esponenti del M5s, tra cui l'interrogante e il deputato Alberto Zolezzi e infine il portavoce locale Samuele Baietta, sono state menzionate nuove analisi condotte dall'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav) sui pozzi del sito di Ca’ Filissine, la discarica realizzata a Pescantina nel 1987;
   la discarica in questione costituisce un sito per rifiuti solidi urbani (Rsu), che presenta attualmente diverse problematiche legate soprattutto alla sua « mala gestio» (come riportato anche nell'ultima relazione della commissione parlamentare sui rifiuti) portata avanti negli anni sia da parte della società Daneco impianti spa, che gestisce l'impianto, sia dalle amministrazioni comunali che si sono succedute nel tempo;
   secondo quanto consta all'interrogante, Arpav, proprio in considerazione del fatto che si tratta di un sito per rifiuti solidi urbani, non ha mai eseguito analisi finalizzate alla rilevazione di radioattività nelle zone interessate –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza e alla luce di quanto descritto in premessa, circa i risultati derivanti dalle ultime analisi all'interno della discarica di Ca’ Filissine;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, anche per il tramite del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per procedere ad un rilevamento in merito alla presenza di materiale radioattivo nei luoghi adibiti al conferimento dei rifiuti nell'area in questione, nel corso degli anni.
   (5-09632)


   BRAGA, BRATTI, BERRETTA, BURTONE, ALBANELLA e RACITI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la cittadinanza di Misterbianco e Motta S. Anastasia, in provincia di Catania da quasi cinquanta anni convive e si misura con i gravi problemi legati alla presenza di due enormi discariche, ovvero quelle di contrada «Tiritì» e l'adiacente «Valanghe d'Inverno», a distanza di circa 500 metri dai rispettivi centri abitati;
   la discarica di Tiritì della Oikos s.p.a., gestita attualmente in regime commissariale, nasce a poco a poco, dagli anni Settanta, espandendosi senza regole e accogliendo enormi quantità di rifiuti non differenziati. Già nel 1992, a fronte di criticità di gestione e proteste della cittadinanza interessata, ne viene richiesta la chiusura prima accolta dall'amministrazione regionale siciliana e poi ritirata con la riapertura del sito nel 1997 a causa della cronica situazione emergenziale del ciclo dei rifiuti in Sicilia;
   il 19 marzo 2009 la regione siciliana con la firma dell'allora presidente Raffaele Lombardo al decreto n. 221 del 2009 autorizza l'ampliamento del sito di «Tiritì» a contrada «Valanghe d'Inverno», per altri 2.538.575,20 metri cubi di rifiuti non pericolosi. Tutto questo in un sito classificato a rischio frana R2, a pericolosità P2 e attraversato dal Torrente Rosa;
   dopo aver lavorato in regime provvisorio e a quanto si apprende dalla stampa con precario iter autorizzativo la ditta Oikos ha ottenuto l'autorizzazione AIA, con delibera di giunta n. 83 del 9 marzo 2010, relativa a una discarica e bioreattore «in fase di realizzazione e prossima alla messa in funzione», nonché l'autorizzazione AIA con determinazione di responsabile del servizio n. 221 del 23 marzo 2009 relativa all'ampliamento della discarica esistente in contrada Valanghe d'inverno, e ha dato comunicazione di avere attivato a decorrere dalla data del 10 aprile 2010 l'impianto di trattamento di cui alla determinazione del responsabile del servizio n. 661/08;
   in virtù delle gravi difformità segnalate dalla provincia regionale di Catania negli anni 2010-2011, l'assessorato ambiente ha convocato numerosi tavoli tecnici aventi ad oggetto le autorizzazioni precedentemente rilasciate. In data 5 aprile 2013 la Guardia di finanza di Catania eseguiva un decreto di sequestro preventivo d'urgenza nella discarica in contrada Tiritì, emesso dalla procura distrettuale per reati ambientali di cui agli articoli 29-decies e 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché gli articoli 110 e 674 del codice penale. Le indagini hanno altresì consentito di rilevare che la società Oikos non aveva ottemperato alle prescrizioni previste per l'utilizzo dell'impianto di discarica così come indicate nell'AIA rilasciata dalla regione. Inoltre, sarebbero stati individuati scarichi di percolato con sversamento nel suolo e nel sottosuolo lungo la valle denominata Sieli, nonché nei torrenti Cubba e Rosa;
   quasi contestualmente all'arresto del presidente di Oikos s.p.a. in data 8 agosto 2014, il prefetto di Catania emetteva con provvedimento n. 36608 un'informativa antimafia interdittiva nei confronti di Oikos a seguito di una richiesta di rilascio di informazioni in tal senso da parte del comune di Catania, cui seguiva, di concerto con l'Autorità nazionale anticorruzione, il commissariamento dell'impianto ai sensi dell'articolo 32 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, in considerazione della stringente necessità di garantire la continuità di un servizio pubblico essenziale ed indifferibile quale è il servizio di igiene urbana ed ambientale e di smaltimento dei rifiuti;
   il ciclo dei rifiuti in regione siciliana è ad oggi ancora dipendente da tali provvedimenti straordinari. In effetti, il 7 giugno 2016, la precedente ordinanza contigibile ed urgente in materia non era stata reiterata, poiché la regione attendeva l'accordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Tale vacatio legis, durata un giorno, ha comportato la chiusura della discarica di Siculiana e quella dell'Oikos di Motta Sant'Anastasia, con conseguenti problemi sulla raccolta dei rifiuti;
   a corredo di quanto sopraddetto sulla discarica Oikos spa, sita in Motta Sant'Anastasia (CT), la relazione della «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati» presentata in Assemblea il 12 settembre 2016 aggiunge inoltre che: «Proto Domenico era presidente della Oikos SpA, società che gestisce lo smaltimento di rifiuti non pericolosi a mezzo di una discarica sita in Motta Sant'Anastasia (CT), contrada Tiritì, come da autorizzazione AIA nr. DRS n. 562 del 27 giugno 2007. (...) Detta società aveva presentato agli uffici dell'assessorato in cui Gianfranco Cannova, dipendente dell'Assessorato regionale Territorio e ambiente e imputato, prestava servizio una richiesta di autorizzazione all'ampliamento della discarica nella limitrofa contrada Valanghe d'Inverno, anch'essa nel comune di Motta Sant'Anastasia. In sostanza Proto, all'epoca dei fatti gestiva due discariche, entrambe ai confini tra i comuni di Motta Sant'Anastasia e di Misterbianco, sempre in provincia di Catania: la prima discarica, sita in contrada Tiritì, era già operativa ed aveva provocato e lamentele della cittadinanza di Misterbianco per i cattivi odori e miasmi dalla stessa provenienti; la seconda discarica, sita nell'adiacente contrada Valanghe d'Inverno, era stata già autorizzata dalle autorità competenti, ma non era ancora operativa in quanto in attesa del collaudo dell'ampliamento richiesto dal Proto. Il comune di Motta Sant'Anastasia voleva ampliare il vincolo paesaggistico intorno al parco del castello di circa 200 metri un'iniziativa che, di fatto, sarebbe andata contro l'ampliamento della discarica sita in contrada Valanghe d'Inverno. Gli investigatori hanno dato atto che il sito privato di smaltimento rifiuti gestito dalla Oikos era tra i più grandi di tutta la Sicilia, con volumi d'affari di circa 30 milioni di euro di fatturato nel 2011. In particolare:
    la società disponeva di un'area autorizzata di 30 ettari, di cui 20 coltivati a RSU (rifiuti solidi urbani);
    la capienza della discarica era stimata intorno ai due milioni e mezzo di metri cubi;
    la struttura nella contigua contrada Valanghe d'Inverno – oggetto della richiesta di ampliamento – si trovava a ridosso del comune di Misterbianco, ma nel comune di Motta;
    i cittadini dei due paesi, come si evinceva dalle cronache locali e dall'attività di intercettazione, da anni si opponevano, riuniti in due comitati «No discarica», al detto ampliamento in contrada Valanghe d'Inverno, rivendicando il fatto che si tratterebbe in realtà di un impianto nuovo – non di un ampliamento – della capacità potenziale di tre milioni di metri cubi, che farebbero della discarica gestita dalla Oikos il sito emergenziale più grande dell'isola, preoccupati quindi delle ricadute sul piano della salubrità dei luoghi;
    il sito insisteva in una porzione di territorio ancora più ampia in quanto, nelle adiacenze della discarica, si trova una discarica di inerti e una cava di sabbia, di proprietà della società, per un totale complessivo che supera i 200 ettari;
    l'Oikos SpA da più di trent'anni opera nel settore della gestione ambientale, risultato dell'eredità imprenditoriale di tre generazioni;
   nell'ambito del riciclaggio, la Oikos gestisce un impianto di triturazione d'inerti, mentre, nell'ambito dei servizi di gestione ambientale, la Oikos si occupa dei Servizi di gestione dei rifiuti urbani all'interno del Consorzio SIMCO per i comuni dell'ATO CT3, ovvero della raccolta dei rifiuti in alcuni centri etnei per conto della Simeto Ambiente. Inoltre, come accertato dalla polizia giudiziaria, all'epoca dei fatti non pochi ostacoli si frapponevano alle discariche in esame, e infatti:
    il comitato «No discarica» di Misterbianco, nell'estate del 2011, aveva sollevato parecchi timori per il livello delle polveri sottili, chiedendo all'amministrazione regionale un intervento in tempi rapidi affinché si revocasse l'autorizzazione di ampliamento dell'impianto di smaltimento dei RSU e lo si delocalizzasse;
    ad inizio di agosto l'ARPA aveva comunicato che i valori d'inquinamento, registrati alla fine di giugno, delle polveri all'interno della discarica di contrada Tiritì erano al di sopra dei limiti consentiti dalla legge, ed aveva invitato il gestore della discarica ad adottare ed a comunicare le soluzioni messe in atto per abbassare tale limite;
    la discarica accoglie i rifiuti di diciannove comuni della fascia pedemontana;
    l'ampliamento, deliberato dal governo Lombardo con due distinte autorizzazioni il 19 marzo 2009 e il 4 marzo 2010, di fatto consentirà alla Oikos di triplicare le dimensioni e gli effetti dell'impianto: il conferimento dei rifiuti giungerebbe di tal maniera a circa 2,5 milioni di metri cubi, con evidenti maggiori e consistenti profitti;
    quale fosse l'interesse del presidente di Oikos SpA, Domenico Proto, nell'evitare intralci nel procedimento volto all'ampliamento è pienamente manifesto dalla nota da lui diramata in data 2 settembre 2011, ripresa in diversi siti Internet, con cui, con toni perentori, intimava: Oikos SpA si è già impegnata con diversi istituti bancari a sostenere esborsi economici, per investimenti direttamente o strettamente correlati ai predetti impianti autorizzati, per euro 31.622.264,10 di cui già spesi ad oggi pari ad euro 28.572.686,55. Risulta evidente che l'eventuale revoca in autotutela dei decreti ammessi provocherebbe ingenti ed ingiustificati danni economici all'intera collettività;
    il riferimento è alle autorizzazioni integrate ambientali concesse dalla Regione quando il governo di Raffaele Lombardo decise di bloccare gli inceneritori programmati da Cuffaro: anche l'impianto di contrada Tiritì era ricompreso nella lista delle dodici discariche da ampliare, eppure la discarica era già attiva da trent'anni, ad una distanza dai centri abitati ben inferiore ai 5 chilometri prescritti da una legge del 1994;
    da fonte di cronaca emerge anche una richiesta di revoca dell'ampliamento dell'impianto di contrada Tiritì sino a espandersi in contrada Valanghe d'Inverno, che il comune di Misterbianco ha reiterato con una nota del giugno 2012, a firma del sindaco Antonino Di Guardo, con cui si evidenziava: la mancanza della distanza minima prevista dalla legge che deve essere di oltre 5 chilometri dal centro abitato e la persistenza di odori nauseabondi con conseguenti disagi per la popolazione residente» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per pervenire in tempi brevi, alla chiusura degli impianti;
   quali iniziative, il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che la gestione dei rifiuti in Sicilia avvenga nel pieno rispetto dell'ambiente;
   per quale ragione sia ancora in aggiornamento dalla data di ultima modifica del 3 marzo 2016 (ore 14.36) e quindi non pubblicamente consultabile a rigore di legge la pagina web http://www.prefettura.it/catania/contenuti/173806.htm del sito ufficiale della prefettura di Catania – ufficio territoriale del Governo, pagina riferita ai compensi relativi ai proventi di gestione finanziaria dell’«Appalto per la realizzazione e l'esercizio della discarica sita in contrada Valanghe d'inverno, nel territorio di Motta S.Anastasia – Società OIKOS S.p.A». (5-09645)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante da tempo denuncia l'emergenza ambientale nel capoluogo della Piana di Gioia Tauro dove è esplosa una vera «bomba» ecologica, concretizzatasi in un flusso impressionante e continuo di percolato che, maldestramente irreggimentato, finisce nei pressi di una falda acquifera che, attraversando i terreni, raggiunge il fiume Budello e quindi il mare e in parte sbocca in un pozzo fino a qualche tempo fa utilizzato per irrigare le piante (soprattutto agrumeti) dei fondi limitrofi;
   ad essere incriminata è l'ex discarica, in contrada Marrella, utilizzata ed in proprietà della TEC Veolia – società che fino al 2012 ha gestito l'inceneritore di Gioia Tauro – cui sono stati apposti i sigilli, non ancora bonificata, dalla quale sembra fuoriesca percolato che scende a valle interessando il fondo privato di proprietà dei signori Murdaca/Condello;
   nel 2014, un incaricato del tribunale civile di Palmi trasmise al comune una relazione con i risultati delle indagini di laboratorio eseguite su alcuni campioni di terreno e di liquido prelevato dai pozzi che ne attestavano l'inquinamento e fu quindi emessa un'ordinanza comunale con cui si disponeva a tempo indeterminato il divieto di utilizzare quelle acque per l'irrigazione e il pascolo e di consumare alimenti lì prodotti;
   il 18 aprile 2016 la regione Calabria ha effettuato delle analisi sulle falde acquifere e superficiali del fondo Murdaca/Condello al cui esito, con determina n. 745 del 21 giugno 2016, ha decretato di indire, con somma urgenza, una gara per il «prelievo, trasporto e trattamento del rifiuto – classificato con CER 19.07.03 – (...) da conferire presso impianti autorizzati»;
   nella determina regionale si evince che la contaminazione è accertata, l'ipotesi dell'inquinamento del torrente Budello è concreta e che l'Amministrazione comunale Pedà, attualmente in carica «visto che si sono svolti diversi incontri con tutti i soggetti interessati» non poteva non conoscere le seguenti circostanze:
    la presenza di una «contaminazione già accertata della falda superficiale in corrispondenza del fondo privato Murdaca/Condello»;
    la necessità «di contenere ogni potenziale situazione di pericolo, anche alla luce della presenza del torrente Budello nelle immediate vicinanze del sito»;
   è prevista una spesa di 650.000 euro per il 2016 e 2017 per il prelievo e trasporto di 13 mila tonnellate di percolato a 50 euro a tonnellata –:
   se il Governo non ritenga necessario ed opportuno valutare se sussistano i presupposti per promuovere, per quanto di competenza, un'ispezione del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente così che venga individuata l'origine del percolato e vagliata l'ipotesi di inquinamento del torrente Budello, informandone, al contempo, correttamente l'ignara ed inerme popolazione gioiese. (4-14358)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «codice dei beni culturali e del paesaggio», immobili ed aree di notevole interesse pubblico sono sottoposti a vincoli paesaggistici e monumentali;
   Piazza Garibaldi, nel comune di Massa Marittima (provincia di Grosseto) fa parte di tali luoghi ed è conseguentemente sottoposta, per qualsiasi intervento od utilizzo, ad una «autorizzazione paesaggistica» o «accertamento compatibilità paesaggistica», nonché ad «autorizzazione monumentale» ai sensi dell'articolo 21, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sopracitato, da parte della soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio competente (in questo caso quella delle province di Siena, Grosseto e Arezzo);
   Piazza Garibaldi è la piazza principale del paese e rappresenta, con il centro storico circostante, anch'esso vincolato, uno spazio strategico multifunzionale per promuovere eventi, manifestazioni ed appuntamenti tematici di varia natura atti a valorizzare le peculiarità territoriali, incentivare l'offerta turistica e ricettiva e rivitalizzare conseguentemente il tessuto sociale, economico ed occupazionale cittadino (come solitamente accade in questa tipologia di centri abitati minori);
   si apprende da fonti stampa che, negli ultimi mesi, sarebbero stati annullati numerosi eventi di varia natura e che si dovevano svolgere proprio in piazza Garibaldi. Tali eventi avrebbero previsto esclusivamente l'installazione di strutture removibili come gazebo o palchi di lieve entità;
   sempre secondo i mass media la causa di tali forfait sarebbe da attribuire alle numerose segnalazioni pervenute alla soprintendenza competente (a ridosso peraltro delle manifestazioni già programmate da tempo) ed alla stessa direzione Generale del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo. In seguito a tali segnalazioni la stessa soprintendenza avrebbe richiesto approfondimenti tecnici per una valutazione positiva relativa ai vincoli paesaggistici e monumentali, il cui iter risultava poi incompatibile con le tempistiche previste dagli organizzatori, costretti conseguentemente ad annullare gli eventi;
   in merito a tale situazione lo stesso sindaco di Massa Marittima ha dichiarato a mezzo stampa che in seguito a tali segnalazioni «siamo diventati una sorta di sorveglianza speciali e la Soprintendenza, io credo per non avere rogne, utilizza con noi una prudenza che non riserva ad altri comuni» –:
   se quanto esposto in premessa, relativamente all'intervento della Soprintendenza archeologia, belle arti e Paesaggio delle province di Siena, Grosseto e Arezzo rispetto alle iniziative promosse in piazza Garibaldi e poi annullate a seguito di segnalazioni, corrisponda al vero e se l'operato di tale soprintendenza costituisca una prassi adottata in relazione a tutti gli eventi similari, anche promossi negli altri comuni del territorio di competenza, ovverosia se per tutti gli eventi organizzati sulle vie e sulle piazze tutelate ai sensi dell'articolo 10, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, venga richiesta l'attivazione di analoga procedura autorizzativa. (5-09626)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 agosto 2016 un articolo del quotidiano «IL CITTADINO» di Lodi, annuncia il trasferimento della caserma dei carabinieri dal comune di Paullo a quello di Tribiano;
   Paullo, città di oltre 11.500 abitanti, ospita dagli inizi del secolo scorso la caserma dei carabinieri. Sino al 1960 la stazione si trovava nella parte antica del comune, nel 1961 l'amministrazione comunale realizzò una nuova palazzina che sorge nella piazza centrale di Paullo e confinante con il municipio, proprio per essere utilizzata come caserma dei carabinieri. Tale edificio venne, nel 1982, ampliato per realizzare nuovi spazi a disposizione dell'Arnia;
   grazie alle richieste da parte del comando della stazione, tendenti a maggiori spazi più consoni, alle esigenze dell'Arma (in primo luogo, per ottenere una maggiore adeguatezza degli uffici amministrativi), le amministrazioni comunali che si sono succedute hanno previsto nel piano di governo del territorio tuttora vigente di Paullo, la realizzazione della nuova caserma dei carabinieri, che non si è ancora potuto procedere a realizzare per mancanza di risorse finanziarie. In particolare, la passata amministrazione comunale ha presentato in data 24 gennaio 2014 al comando dell'Arma una proposta a firma dell'allora, vice sindaco, ora attuale sindaco, di ampliamento della caserma, in attesa della costruzione della nuova struttura, realizzabile con costi molto contenuti e di immediata attuazione. Tale proposta non risulta agli atti aver avuto riscontro;
   il susseguirsi di voci e per ultimo la pubblicazione del predetto articolo, ha creato preoccupazione tra la cittadinanza e l'amministrazione comunale di Paullo. L'interrogante ritiene quindi che vi sia la necessità di avere un chiarimento da parte delle autorità competenti sulla reale situazione e sulla fondatezza o meno del trasferimento della caserma dei carabinieri da Paullo (comune di 11.500 abitanti) a Tribiano (comune di circa 3.500 abitanti);
   l'interrogante ritiene non molto sensato un eventuale spostamento di una caserma dei carabinieri da un centro cittadino di 11.500 abitanti, ad un centro rurale di circa 3.500 –:
   se corrisponda alla realtà dei fatti ciò che è descritto nell'articolo di cui in premessa;
   qualora ciò trovi conferma, come il Governo intenda motivare tale scelta.
(4-14339)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIACOMONI e BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici sono realtà, spesso di modesta entità, costituite da lavoratori autonomi e professionisti non iscritti ad albi che offrono consulenze utilizzando prevalentemente il proprio lavoro intellettuale senza ricorrere a beni strumentali di rilievo;
   per le ragioni di cui sopra, essendo il «prodotto» di tali realtà costituito in buona sostanza dalle conoscenze e dalle abilità del singolo associato, gli studi associati e le realtà semplici raramente ricorrono all'assunzione di personale dipendente o all'acquisto di beni strumentali e si considera che svolgano attività di lavoro autonomo e non di impresa;
   la Corte di cassazione, più volte sollecitata dai contribuenti sulla sussistenza dell'obbligo per tali realtà di pagare l'imposta regionale sulle attività produttive, la cosiddetta Irap, si è pronunciata in maniera talvolta discordante, adottando però un orientamento che aveva come comune denominatore l'idea che non fossero tenuti al pagamento dell'Irap i soggetti non dotati di un'autonoma organizzazione, intendendosi con quest'ultima definizione la presenza di personale dipendente ed il ricorso a beni strumentali di rilievo;
   l'orientamento di cui sopra era talmente consolidato che diversi studi associati e società semplici versavano l'Irap e poi ne chiedevano, ed ottenevano, il rimborso;
   tuttavia, le recenti sentenze n. 7291/2006 e n. 7371/2016 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno completamente ribaltato il precedente orientamento affermando che le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici esercenti attività di lavoro autonomo sono sempre soggette ad Irap, indipendentemente dalla struttura organizzativa della quale si avvalgono;
   migliaia di contribuenti, la cui unica colpa è quella di aver rispettato una normativa poco chiara basandosi su ripetute sentenze interpretative della Corte di cassazione, si trovano ora esposti al rischio di dover versare non solo l'Irap «arretrata» ma anche gli interessi e le sanzioni pari al 90 per cento del dovuto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda sopra esposta e se non intenda assumere iniziative normative per fare chiarezza sulla materia;
   se non intenda assumere le iniziative di competenza per sanare quantomeno le situazioni pregresse, fino a poco tempo fa non considerate violazioni. (5-09628)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 59 del 2016 stabilisce la possibilità di ottenere un rimborso automatico parziale per alcune categorie di risparmiatori-investitori colpiti da una perdita patrimoniale a seguito della procedura di risoluzione adottata per la Banca Popolare dell'Etruria spa, la Banca Marche spa, la Carife spa e la Carichieti spa;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), del medesimo decreto-legge n. 59 stabilisce che tale possibilità riguardi solo «la persona fisica, l'imprenditore individuale, anche agricolo, e il coltivatore diretto, o il suo successore mortis causa, che ha acquistato gli strumenti finanziari subordinati indicati nell'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità per il 2016), nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi»;
   nel suddetto modo si escludono tutti coloro che abbiano acquistato titoli obbligazionari subordinati sul mercato secondario, secondo la discutibile premessa che questi abbiano agito a fini speculativi e comunque disponendo di informazioni adeguate;
   in questi giorni sono state ricevute numerose segnalazioni di casi di impossibilità di adesione alla procedura di cui in oggetto, determinati da cambi di intestazione della proprietà dei titoli avvenuti all'interno dello stesso nucleo familiare, anche con parziale continuità di rapporto: è il caso, ad esempio, di obbligazioni acquistate all'emissione da due coniugi congiuntamente, e poi transitate nella disponibilità di uno solo dopo una causa di divorzio; oppure di una cointestazione fra due fratelli, con la successiva liquidazione ad uno fra loro;
   tali o altri simili passaggi avrebbero formalmente determinato la cessione del titolo e il suo immediato riacquisto sul mercato secondario, con conseguente perdita del diritto al risarcimento;
   appare del tutto evidente che tali situazioni esulano dalla finalità della norma in oggetto, che evidentemente si preoccupa di rendere possibile il rimborso all'interno dello stesso gruppo famigliare, tanto da prevedere espressamente il caso del successore mortis causa;
   sembra tuttavia che, in assenza di un provvedimento che fornisca rapidamente un'interpretazione autentica della norma, in molti si vedranno pregiudicati un loro diritto, dovendo eventualmente affidare all'autorità giudiziaria la loro soddisfazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per porvi celermente rimedio. (5-09636)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   anche a seguito delle procedure di infrazione avviate dall'Unione europea nei confronti dell'Italia, i medici italiani specializzati tra il 1978 e il 2006 hanno avviato molteplici azioni di rivalsa contro lo Stato italiano per avere riconosciuto il proprio diritto alla adeguata remunerazione del corso di specializzazione;
   tali azioni di rivalsa hanno comportato negli anni pronunce dei tribunali che sono costate allo Stato italiano più di cinquecento milioni di euro, mentre le stime dei potenziali esborsi futuri ammonterebbero a cinque miliardi di euro, anche in relazione alle cause ancora pendenti;
   da tempo sono in corso tentativi transattivi da parte del legislatore, finalizzati all'individuazione di equi risarcimenti forfettari, stabiliti per legge, in grado di chiudere definitivamente la partita giudiziaria;
   in ambito parlamentare sono state presentate delle proposte di legge che affrontano la questione dei medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione dal 1978;
   il 14 settembre 2016, il viceministro dell'economia e delle finanze Enrico Zanetti, intervenendo alla trasmissione «In onda» su LA 7, ha manifestato la volontà del Governo di chiudere positivamente l'annoso contenzioso;
   l'eventuale accordo transattivo potrà essere adito soltanto dai medici che avessero fatto richiesta di risarcimento all'atto dell'approvazione di una eventuale nuova legge da parte del Parlamento –:
   se sia confermata la volontà del Governo, come anticipata dal vice ministro Zanetti, di chiudere con un'iniziativa normativa di carattere transattivo la suddetta nota vicenda in materia di risarcimenti dovuti ai medici che hanno svolto la propria attività di specializzazione senza ricevere i compensi previsti dalla normativa comunitaria. (4-14351)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) – ente di diritto pubblico non economico sottoposto alla attività di vigilanza da parte del Ministero della giustizia, disciplinato nell'ordinamento giuridico italiano dalla legge n. 1395 del 1923, dal regio decreto n. 2537 del 1925, dal decreto luogotenenziale 382 del 1944 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005 – e, alla stregua di altri organismi che presentano le medesime caratteristiche, un'istituzione prevista dallo Stato per l'autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge, al fine di garantire la qualità delle attività svolte dai professionisti appartenenti ad una determinata categoria;
   a tal proposito, è opportuno sottolineare in questa sede che, nel corso degli anni, oltre alle funzioni che sono proprie di tali soggetti giuridici collettivi – inerenti, principalmente, alla vigilanza sul mantenimento della disciplina fra gli iscritti, alla tutela del mercato, al regolare e legittimo esercizio della professione ed al potere di emanare provvedimenti di carattere disciplinare – si è aggiunta una prerogativa, non specificamente delineata all'interno delle disposizioni di legge, relativa ad una forma di rappresentanza istituzionale degli interessi delle categorie professionali la cui natura, tuttavia, è ad oggi quanto meno dibattuta – ed in parte non sorretta da puntuali riferimenti normativi – e rispetto alla quale si auspica un intervento chiarificatore del legislatore;
   dall'analisi comparata dei dati contenuti nei bilanci consuntivi del Consiglio nazionale degli ingegneri, relativi agli anni dal 2012 al 2015 emerge un non trascurabile incremento delle uscite correnti; alcune importanti voci di spesa sono, infatti, lievitate di anno in anno: dalle spese del personale alle manutenzioni ordinarie degli uffici, dai contributi ad organismi rappresentativi delle professioni tecniche alle spese telefoniche e per trasferte, dai costi per i servizi informatici ed i sistemi informativi alle attrezzature ed ai mobili d'ufficio;
   a tal proposito, la direzione generale della giustizia civile presso il Ministero della giustizia – ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 55, comma 2, lettera a) – è chiamata, tra le altre cose, ad esercitare, nell'ambito delle proprie competenze, una funzione di vigilanza su alcuni ordini professionali, controllo che si esplica attraverso richieste di chiarimenti ai consigli degli ordini professionali e, in talune ipotesi, tramite lo svolgimento di attività di carattere ispettivo;
   il Ministero, con nota prot. m_dg.DAG.15/09/2016.0166068.U del 15 settembre 2016 ed ai sensi dell'articolo 5, comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, ha indetto le elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale degli ingegneri; le votazioni si svolgeranno il 14 novembre 2016, mentre le candidature dovranno essere presentate esclusivamente il 24 ottobre 2016;
   nell'ottica di favorire il processo volto a migliorare l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica e, conseguentemente, al fine di realizzare una effettiva riduzione degli sprechi all'interno delle strutture organizzative statali e territoriali, gli interroganti ritengono sia indispensabile provvedere, da un lato, nel senso di un più serio ed adeguato controllo sui bilanci degli enti e, dall'altro, nella direzione dell'individuazione di nuovi meccanismi e strumenti in grado di assicurare una più adeguata gestione della spesa pubblica –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per la risoluzione delle problematiche esposte in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, anche nell'ambito delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale degli ingegneri, in ordine alla gestione economica e finanziaria di quest'ultimo.
(4-14346)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi più di trent'anni dall'inizio dei lavori per la costruzione, in Molise, della diga di Ponte Chiauci che ricade nel territorio di tre comuni, Pescolanciano, Civitanova del Sannio e Chiauci, tutti comuni molisani, sul quale grava l'80 per cento della struttura;
   l'invaso, gestito dal Consorzio di Bonifica Sud di Vasto, è un imponente sbarramento sul fiume Trigno, che doveva soddisfare le esigenze idriche della Bassa Valle del Trigno e della zona industriale di San Salvo;
   della realizzazione di una diga a Chiauci si cominciò a discutere per la prima volta nel 1922; da allora sono trascorsi 94 anni ma la costosissima opera, dalle proporzioni gigantesche, 70 metri di altezza, 141 di lunghezza per una portata potenziale di oltre 14 milioni di metri cubi d'acqua, è a tutt'oggi incompiuta;
   le opere per la realizzazione della mastodontica diga hanno cancellato un'area di enorme valore ambientale, le gole di Chiauci; lo sbarramento è stato realizzato nella gola della «Foce», un canyon naturale di eccezionale bellezza, dove era possibile ammirare una cascata, con un salto altissimo, marmitte, grotte e rapide impetuose;
   le gole di Chiauci, prima della loro distruzione, rappresentavano un luogo di elevatissimo interesse naturalistico e paesaggistico, uno dei luoghi più interessanti del fiume Trigno e dell'intero Molise;
   ancora oggi sono nella fase di realizzazione le strade circumlacuali, mentre restano da completare altre opere previste ma non finanziate, necessarie per potere invasare la diga alla massima quota:
    sistemazione a valle dei dissipatori dello «Ammasso roccioso»;
    completamento del laghetto di Pescolanciano;
    difesa di sponda nei comuni di Mafalda e Montenero di bisaccia (richiesta dalla Autorità di Bacino);
    sistemazione e recupero ambientale dell'area di cava e della forra;
   attualmente, si è ancora lontani dal riempimento della diga perché, per consentire l'invaso sperimentale di 9.000.060 di metri cubi e quello definitivo di 14 milioni e duecentomila metri cubi sono, infatti, necessarie le opere propedeutiche sopradescritte per un totale di circa 25 milioni di euro, solo parzialmente finanziati nel Masterplan Abruzzo e Molise;
   in data 19 settembre 2012, le regioni Abruzzo e Molise hanno stipulato un nuovo protocollo d'intesa in sostituzione del precedente sottoscritto il 24 gennaio 2008, per la «Realizzazione e gestione delle opere connesse alla utilizzazione delle acque del fiume Trigno – Diga di Ponte Chiauci sul fiume Trigno: Lavori di completamento»;
   le regioni hanno concordato di affidare all'Autorità di Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno le attività tecniche propedeutiche all'attuazione del protocollo d'intesa, la costituzione di un Comitato preposto all'attuazione del protocollo stesso e hanno disciplinato le attività ponendole sotto la responsabilità del «Comitato per l'attuazione del protocollo d'intesa»;
   a seguito di una serie di riunioni, il presidente del comitato, Segretario generale dell'Autorità di bacino Liri-Garigliano e Volturno, ha proposto di rivedere nuovamente il protocollo d'intesa;
   dopo aver espropriato le aree, tutte molisane, e dopo essere stata realizzata solo in parte la diga, l'accordo del 2012 tra Molise e Abruzzo ha garantito solo una minima permanenza di acqua nella diga;
   il sacrificio di rinunciare a una parte tanto importante del proprio territorio era stato accettato dai residenti nella prospettiva di interventi di compensazione e politiche di valorizzazione turistica del lago artificiale, ma la direzione che la vicenda ha preso è tutt'altra e preoccupa molto le comunità locali ciò che si verifica, infatti, è un prelevamento senza limite dell'acqua in invaso, con la conseguenza di lasciare al territorio solo un fondale melmoso;
   il protocollo d'intesa, stipulato nel 2012, ha completamente ignorato le istanze dei territori interessati dall'infrastruttura, consentendo un utilizzo della risorsa idrica senza limiti; laddove scorreva il fiume Trigno con la sua rigogliosa vegetazione, oggi vi è una conca desolata e melmosa, priva di acqua, soprattutto nei periodi estivi, quando la risorsa idrica viene costantemente prelevata;
   per il completamento dei lavori della diga di Chiauci, il nuovo codice dei contratti pubblici, approvato con il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, impone una nuova disciplina che ha impatti sulla maggior parte degli interventi previsti nel Masterplan, in quanto le progettazioni relative ad esso sono state avviate sulla base del dettato dei vecchio Codice dei contratti di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006;
   il nuovo codice, infatti, è applicabile solo alle procedure e ai contratti per i quali i bandi e gli avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore (articolo 216);
   per tale motivo le stazioni appaltanti ritengono che potrebbe verificarsi un differimento dell'apertura dei cantieri di oltre 18 mesi per la rivisitazione dei progetti per uniformarli al nuovo dettato legislativo che – tra l'altro – prevede:
    l'effettuazione di tutte le indagini geognostico-geotecniche sin dalla fase dello studio di fattibilità tecnico-economica (ex progetto preliminare);
    lo svolgimento dello Studio Ambientale ma, soprattutto:
     la verifica preliminare dell'interesse archeologico;
   il territorio sul quale insiste la diga, già impoverito dalla perdita di una grande superficie di terreni e boschi, oggi è ulteriormente danneggiato dal cambiamento del clima e da situazioni igienico/sanitarie e ambientali inaccettabili;
   la diga di Chiauci doveva rappresentare il volano di sviluppo dell'intero territorio dell'Alto Molise, invece i giovani del paese, col passare degli anni, sono stati costretti ad abbandonare la loro terra per trovare altrove le opportunità che gli consentano di sopravvivere –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere i ministri interrogati per favorire il completamento, entro breve termine dei lavori della diga di Chiauci con particolare riguardo alla realizzazione della seconda traversa in località Ponte Nuovo a ridosso del Baby Park;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per prevedere misure di mitigazione dell'impatto dell'opera anche fissando in accordo con le regioni interessate una quota intangibile d: risorsa idrica, da preservare in diga per le funzioni ambientali, paesaggistiche e turistico-ricreative della zona;
   se, in tale contesto, si intenda valutare di assumere iniziative, per quanto di competenza, per prevedere la corresponsione di forme compensative per il danno subito dal comune di Chiauci, tra le quali la partecipazione o compartecipazione all'eventuale costruzione di una o più centrali idroelettriche da realizzarsi sul territorio interessato dall'opera, nonché la definizione con il comune di Chiauci dei livelli massimi di prelievo dell'acqua al fine di evitare pericoli per l'igiene e la salute pubblica nonché vistosi danni ambientali, come quelli che già si verificano;
   se si intendano valutare i presupposti per la creazione di un tavolo di coordinamento con le regioni Abruzzo e Molise, per favorire la revisione del protocollo d'intesa del 19 settembre 2012, prevedendo anche la partecipazione del comune di Chiauci;
   quali siano le iniziative e le attività che le stazioni appaltanti sono chiamate a svolgere per evitare che la nuova disciplina sui contratti pubblici possa determinare un rallentamento del completamento della diga di Chiauci. (5-09640)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta ufficiale del 29 gennaio 2016 è stato pubblicato il bando del concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 559 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, i quali, se in servizio, abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno;
   le prove scritte si sono svolte dal 4 al 6 maggio 2016 dopodiché, 13 maggio 2016 sono stati pubblicati i risultati della prova di cui sopra, comunicando che saranno ammessi a sostenere gli accertamenti dell'efficienza fisica, psicofisici ed attitudinali ai sensi dell'articolo 8, comma 9, del bando di concorso, i candidati che hanno riportato una votazione uguale o superiore a 8,625 decimi, nonché i candidati che partecipano per i posti riservati di cui all'articolo 1, commi 2 e 3 del bando di concorso, che ha o riportato una votazione uguale o superiore a 6 decimi;
   a partire dal 31 maggio 2016 e con una serie di successivi avvisi tutti pubblicati sulla Gazzetta ufficiale: 17 giugno, 29 luglio e 16 settembre 2016 si comunicava il rinvio della pubblicazione del diario degli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato disponga in merito ai fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per verificare le motivazioni che hanno portato a questi continui ritardi nello svolgimento del concorso e come intenda procedere al fine di una conclusione rapida della procedura concorsuale. (4-14337)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 27 ed il 28 settembre il comune di Marano di Valpolicella (VR) è stato sconvolto da un grave fatto di sangue;
   Luciano Castellani, 72 anni, titolare di una trattoria ubicata nella frazione di Valgatara, è stato ritrovato esanime e con le mani legate dietro la schiena dai militari della compagnia carabinieri di Caprino Veronese;
   la vittima era già stata recentemente oggetto di tentativo di furto;
   pare che nella medesima area geografica ci siano stati, quest'anno ed anche l'anno scorso, più o meno negli stessi periodi, ovvero durante e dopo la vendemmia (autunno) e durante e dopo la potatura delle viti (inverno), furti ed episodi simili addirittura a carattere ripetuto e massivo;
   nei periodi indicati, la ricchezza del territorio e l'offerta di lavoro in agricoltura attrae centinaia di lavoratori stranieri, in particolare dall'est europeo;
   pare anche che nel tempo ci siano stati furti di auto poi rinvenute dopo pochi giorni con un chilometraggio notevolmente superiore a quello del giorno del furto, quasi a testimoniare un uso per spostamenti di una certa rilevanza;
   nell'area della Valpolicella i residenti ammontano a circa 50.000 mila unità. A fronte di questo livello di densità abitativa sono presenti solo le stazioni dell'Arma dei carabinieri nei comuni di Negrar e Pescantina (quest'ultimo, però, non sarebbe strettamente compreso nell'area della Valpolicella). Attualmente, inoltre, i carabinieri di Negrar sono ripiegati presso il comune di S. Pietro In Cariano;
   come si può immaginare se i tanti furti avevano determinato un diffuso disagio nella popolazione residente, il fatto in questione ha creato uno stato di terrore al quale è più che doveroso corrispondere con azioni determinate e tempestive;
   sono già presenti fenomeni di autogestione della sicurezza pubblica da parte di cittadini riunitisi spontaneamente in comitati di varia natura –:
   posto che il dispositivo di sicurezza attuale per la Valpolicella appare assolutamente insufficiente, quali iniziative intenda assumere per riesaminarlo, anche attraverso una dedicata riflessione da parte del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica;
   se non ritenga doveroso programmare, per quanto di competenza, un'attività mirata di intelligence volta ad approfondire le presenze stagionali di stranieri nei periodi in cui questi vengono impiegati in un'area a forte vocazione vitivinicola ed agricola in generale;
   se siano emersi episodi operativi di un certo rilievo, ed in particolare a testimonianza di furti, nel corso dei controlli della polizia stradale lungo i tratti autostradali presenti in Veneto di collegamento da e per l'Est europeo;
   se siano in corso collaborazioni con le polizie dei Paesi dell'Est europeo, comunitari e non, volte ad individuare ed esaminare gli spostamenti di soggetti con precedenti di natura criminale. (4-14343)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI, PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 31 dicembre 2007 Giuseppe Veropalumbo, di 30 anni, venne ucciso da un proiettile vagante che gli entrò in casa, al nono piano di uno stabile in via Vittorio Emanuele a Torre Annunziata, trapassandogli il cuore mentre teneva in braccio la figlia di 14 mesi;
   le indagini sull'uccisione del signor Veropalumbo furono archiviate nel 2013 dall'allora procuratore Capo Guido Marmo, per «assenza di prove certe sull'identità» dell'omicida;
   nel 2014 arrivò una presunta svolta nell'inchiesta, grazie alle rivelazioni di due collaboratori giustizia, che in carcere raccolsero voci sul presunto responsabile della morte di Veropalumbo. Voci, però, mai suffragate da concreti elementi di prova;
   nel mese di luglio 2016, le rivelazioni del pentito di camorra, Michele Palumbo, da 6 in carcere e condannato in via definitiva all'ergastolo per l'omicidio del pregiudicato Ettore Merlino e collaboratore di giustizia dal 2015, hanno spinto la procura della Repubblica di Torre Annunziata a riaprire il caso. Nel corso di un interrogatorio Palumbo avrebbe indicato, come presunto autore del folle gesto, il pregiudicato C.C., ritenuto vicino al clan Gionta, che è stato iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio preterintenzionale;
   l'uomo, interrogato dal pubblico ministero titolare del fascicolo d'inchiesta, Silvio Pavia, ha negato ogni addebito. Le indagini del pubblico ministero sono proseguite con nuovi accertamenti, cercando i necessari riscontri e raccogliendo le testimonianze delle persone presenti in prossimità del luogo del delitto la sera del 31 dicembre 2007;
   nessuno dei convocati in procura ha risposto di ricordare o sapere fatti rilevanti e per questo motivo l'accusa ha chiesto al giudice l'archiviazione che è stata quindi accolta. A detta del Gip Antonello Fiorentino, nonostante gli sforzi investigativi, a distanza di così tanti anni risulterebbe impossibile risalire all'identità di chi uccise Giuseppe Veropalumbo, soprattutto per le incredibili circostanze in cui avvenne;
   Carmela Sermino, la moglie di Giuseppe, da presidente dell'Osservatorio comunale per la Legalità, istituito dal comune di Torre Annunziata, non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia. In una commovente lettera aperta, ripresa dai mass-media di tutta Italia ha definito il delitto del marito «omicidio di camorra», avvenuto per mano di un criminale che «ha premuto il grilletto senza preoccuparsi delle conseguenze del suo gesto; lo ha fatto con lucida follia, comportandosi da camorrista. Perché chi detiene un'arma e la utilizza in questo modo è un camorrista» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto narrato in premessa e se disponga di ulteriori elementi, per quanto di competenza, sulla vicenda;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sopportare il lavoro dell'Osservatorio comunale per la legalità del comune di Torre Annunziata, affinché possa continuare la sua attività di centro-anticamorra e il suo impegno di sostegno alle vittime. (4-14359)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 21 agosto 2016 la Ministra Stefania Giannini ha annunciato lo stanziamento di 140 milioni di euro «per aumentare le ore di pratica sportiva per tutti, con una particolare attenzione ai bambini diversamente abili, per incrementare la partecipazione degli studenti alle gare sportive regionali e nazionali, migliorare le palestre esistenti e costruirne di nuove, sostenere i nostri alunni atleti con sperimentazioni didattiche, che consentano loro di raggiungere il diploma senza dover rinunciare al sogno sportivo»;
   i primi 6,7 milioni di euro ha spiegato la Ministra, «li abbiamo stanziati in queste ore, attraverso il decreto per l'arricchimento dell'offerta formativa (ex legge 440, per gli addetti ai lavori);
   ha, inoltre affermato, che rispetto al 2015 le risorse dedicate allo sport sono state più che triplicate sostenendo che: «con questi fondi attiveremo una strategia nazionale di promozione dell'educazione motoria e dello sport a scuola, in collaborazione con le Federazioni Sportive e con il Coni» –:
   quali siano i tempi di stanziamento, le modalità e le finalità di impiego di tali risorse. (5-09625)


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PLACIDO, FRATOIANNI, PAGLIA e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo anno scolastico 2016/2017 per varie ragioni ha preso l'avvio in un clima di grande caos e di conflittualità;
   con la legge n. 107 del 2015, meglio nota come riforma della «Buona Scuola», il Governo, nell'intento di sanare l'atavico problema del precariato storico, ha promesso l'assunzione di circa 100.000 insegnanti ed il completo assorbimento in tre anni dei docenti che permangono ancora nelle graduatorie ad esaurimento;
   il piano assunzionale previsto per le fasi B e C, avviato dal Governo con la riforma delle «Buona Scuola», si basava sull'accettazione su base volontaria dell'incarico da svolgersi su scala nazionale in uno qualunque dei cento ambiti scolastici provinciali del Paese e senza preventivamente conoscere quali posti si sarebbero resi disponibili sul territorio, la quantità per le svariate classi di concorso e senza conoscere le modalità con cui sarebbero stati definitivamente collocati in ruolo;
   tali circostanze sembrerebbero aver determinato, secondo gli interroganti, i 45.000 docenti delle graduatorie ad esaurimento, a non partecipare, per motivi familiari o personali, alla suddetta fase assunzionale, nonostante avessero il diritto ad essere collocati in ruolo, e ad aspettare pazientemente la conclusione del procedimento di assegnazioni, confidando in quanto previsto per loro dalle vigenti modalità di reclutamento e dalla richiamata legge n. 107 del 2015, come l'assunzione a partire dal corrente anno scolastico 2016/2017 del 50 per cento del personale da concorso e del rimanente personale dalle Graduatorie ad esaurimento. L'articolo 1, comma 109, lettera c), della legge n. 107 del 2015, recita, infatti, che: «per l'assunzione del personale docente ed educativo, continua ad applicarsi l'articolo 399, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, fino a totale scorrimento delle relative graduatorie ad esaurimento; i soggetti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente sono assunti, ai sensi delle ordinarie facoltà assunzionali, nei ruoli di cui al comma 66, sono destinatari della proposta di incarico di cui ai commi da 79 a 82 ed esprimono, secondo l'ordine delle rispettive graduatorie, la preferenza per l'ambito territoriale di assunzione, ricompreso fra quelli della provincia in cui sono iscritti. Continua ad applicarsi, per le graduatorie ad esaurimento, l'articolo 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2009, n. 167,»;
   la ratio della norma, con il combinato disposto di quanto previsto dall'articolo 1-bis a seguito dell'approvazione del cosiddetto «emendamento Puglisi», in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 42 del 2016 («Disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca») che, in itinere, ha sostanzialmente consentito, anche per l'anno scolastico 2016/2017, a tutti i docenti, inclusi i neoassunti, di richiedere l'assegnazione provvisoria in una provincia di gradimento (assegnazione disposta nel limite dei posti disponibili sia su tutto l'organico dell'autonomia che sull'organico di fatto) in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia di immissione in ruolo, si è rivelato, nei fatti, una manovra pregiudizievole per gli iscritti nelle Graduatorie ad esaurimento e tale da compromettere il regolare scorrimento delle medesime;
   inoltre, il risultato della riforma del Governo ha comportato che i posti per legge riservati ai docenti in graduatoria ad esaurimento, venissero utilizzati per le assegnazioni provvisorie dei neoassunti, al fine di farli rimanere nelle loro province di residenza, calpestando ancora una volta i diritti professionali e lavorativi di quanti occupano da anni le graduatorie e lasciandoli senza incarico, senza ruolo, senza garanzie per il futuro;
   il carattere «facoltativo» della domanda di assunzione straordinaria non avrebbe dovuto, proprio in quanto tale, costituire oggetto di discriminazione o di scelte svantaggiose per quanti hanno deciso (sicuramente per validissimi motivi) di non presentarla. Inoltre, sempre nel rispetto dei diritti di questi ultimi sarebbe stato più giusto, ad avviso degli interroganti, prevedere che solo una parte dell'organico di fatto venisse utilizzato per le assegnazioni provvisorie, lasciando il restante per gli incarichi per le assunzioni a tempo indeterminato;
   ogni anno la mobilità nazionale riduce considerevolmente la probabilità di scorrimento delle graduatorie ad esaurimento; si tratta di un disagio, come si è visto, che quest'anno si è rivelato ancora più penalizzante per coloro che legittimamente non hanno accettato di produrre la domanda di partecipazione al piano straordinario di assunzioni volontarie della cosiddetta «Buona Scuola» ed affidare le proprie sorti professionali ad un algoritmo, ma piuttosto che aspettare l'applicazione della normativa vigente che, da sola, avrebbe dovuto garantire loro il riconoscimento dei diritti acquisiti;
   in diverse regioni meridionali sono in atto iniziative legali a tutela dei posti residuali delle graduatorie ad esaurimento contro le suddette assunzioni provvisorie –:
   alla luce di quanto esposto, se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere iniziative per procedere con urgenza all'assunzione a tempo indeterminato dei docenti inclusi nelle graduatorie ad esaurimento di cui la scuola ha immediato bisogno viste le migliaia di cattedre vacanti e disponibili annoverate indebitamente nell'organico di fatto;
   se non ritenga di dover escludere che in futuro possano concedersi ulteriori deroghe alla normativa in materia di mobilità scolastica che prevede la permanenza per almeno tre anni nella provincia di immissione in ruolo e l'assegnazione provvisoria o il trasferimento concessi sul 50 per cento delle disponibilità organiche;
   quanti siano i pensionamenti previsti per i prossimi anni nel comparto scuola, al fine di avere una previsione di massima di quanti posti di ruolo potranno essere assegnati a quel 50 per cento di docenti inclusi nelle graduatorie ad esaurimento che dovranno essere assunti entro il 2018. (5-09642)


   LUIGI GALLO, VACCA, BRESCIA, MARZANA, COLONNESE, GRILLO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2012 Consip S.p.A., per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, ha indetto una gara comunitaria a procedura aperta, suddivisa in un numero di tredici lotti e di importo massimo complessivo pari a euro 1.795.860.000, per l'affidamento dei servizi di pulizia ed altri servizi tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili, per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado e per i centri di formazione della pubblica amministrazione;
   in base a quanto riportato da un articolo pubblicato da www.ilfattoquotidiano.it in data 8 ottobre 2014, la succitata gara ha visto dei ribassi tali (in alcuni casi anche del 30-50 per cento da indurre le ditte a presentare un piano di riduzione consistente dell'orario di lavoro;
   oltracciò, è doveroso sottolineare che tra le ditte vincitrici della gara (la Dussmann in Puglia e Toscana; la Manutencoop in Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia e Trentino Alto-Adige; il consorzio Rti in Sardegna, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo Molise, Valle D'Aosta, Piemonte e Liguria), la Manutencoop, insieme al Consorzio Nazionale Servizi, è stata sanzionata con una multa pari a 110 milioni di euro (di cui 56 milioni al Consorzio Nazionale Servizi e 48,5 a Manutencoop) dall'Antitrust che ha stabilito che il bando è stato alterato dai Consorzi che avevano costituito un «cartello per restringere la concorrenza e condizionare gli esiti»; dalla lista di regioni destinatarie dei servizi da parte delle ditte vincitrici, tra l'altro, non è fatta alcuna menzione della Campania e della Sicilia, nelle quali il nuovo bando Consip non è stato neppure preparato e, in base a quanto previsto dal decreto-legge del 29 marzo 2016, n. 42, convertito, con modificazioni, dalla legge del 26 maggio 2016, n. 89, per far fronte ai lavori nel prossimo anno scolastico la soluzione è estendere fino al 31 dicembre 2016 i contratti in essere per tutte le regioni, con o senza convenzione;
   dunque, nonostante l'Antitrust abbia stabilito che il succitato bando è stato alterato dai Consorzi, la risposta alla situazione attuale è stata di fatto quella di prorogare i contratti in essere;
   proprio a causa di questa, esternalizzazione dell'affidamento di servizi di pulizia ed altri servizi tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili, gli ex «lavoratori socialmente utili» (Lsu), disoccupati o cassaintegrati che nel 2001 il Governo Prodi decise di stabilizzare all'interno delle scuole per i lavori di pulizia, impegnandosi a stanziare ogni anno le risorse necessarie per mantenerli, si sono ritrovati a vedersi sottrarre il lavoro che è stato inevitabilmente e cospicuamente ridotto a causa dei ribassi delle ditte che hanno vinto la succitata gara;
   con una sentenza del tribunale amministrativo regionale (TAR) della Campania (sezione quarta) datata 9 giugno 2016, si è espresso l'obbligo per il Ministero di dare esecuzione della stessa in favore di una lunga lista di ex-Lsu che avevano fatto esplicita richiesta finalizzata al perfezionamento della procedura di cui agli articoli 16 della legge del 20 febbraio 1987, n. 56, e 45 della legge del 17 maggio 1999, n. 144, per l'avviamento e l'assunzione degli stessi nella misura del 30 per cento dei posti messi a concorso;
   proprio in un documento indirizzato all'Autorità nazionale anticorruzione da parte dell'avvocato Francesco Allocca, in qualità di difensore dei succitati collaboratori/operatori scolastici ancora in attesa di assunzione, viene ribadito come in Campania da tempo si sta cerando di ottenere per via processuale che l'assunzione di questi lavoratori avvenga direttamente da parte dell'amministrazione scolastica e non dalle cooperative, determinando, così, un notevole abbattimento dei costi per lo Stato;
   l'Autorità anticorruzione ha segnalato il dovere e «la necessità di un intervento urgente affinché la gestione dei servizi sia ricondotta nell'alveo delle ordinarie procedure di affidamento» invitando a «non ricorrere più, in futuro, a sistemi derogatori» –:
   come il Ministro interrogato ritenga dar seguito alla sentenza del Tar indicata in premessa per stabilizzare la posizione ai tutti gli ex «lavoratori socialmente utili», nel rispetto della succitata normativa che prevede l'assunzione degli stessi nella misura del 30 per cento dei posti messi a concorso. (5-09643)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    secondo quanto riportato dalla stampa (http://www.avvenire.it) l'ufficio scolastico regionale calabrese si sarebbe letteralmente dimenticato dell'esistenza dell'istituto comprensivo «Moscato» di Oliveto, a Reggio Calabria;
   il paradosso è quello per cui, di fronte ad un plesso nuovo di zecca e con il materiale didattico a disposizione, la dirigenza si sarebbe scordata di destinare gli insegnanti per 18 studenti, tra cui un disabile;
   gli studenti, che si sono recati regolarmente a scuola, hanno trovato i cancelli chiusi, mentre le lezioni non sarebbero ancora iniziate;
   si attenderebbero, nello specifico, ancora i nomi dei professori di italiano ed inglese;
   la prospettiva per i ragazzi, in alternativa alla scuola del quartiere già pronta e totalmente nuova, è quella di una «classe-pollaio» di oltre trenta ragazzi alla sede centrale del circolo didattico, da raggiungere senza che sia stato neppure predisposto un servizio di trasporto –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni per cui all'istituto comprensivo «Moscato» di Oliveto, vicino a Reggio Calabria, non siano stati destinati gli insegnanti necessari a garantire le lezioni. (4-14340)


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11996 pubblicata il 5 febbraio 2016 l'interrogante poneva al Ministro interrogato problema relativo alle scuole secondarie di Villa San Giovanni (RC), dato che gli edifici messi a disposizione dalla provincia non risultavano adeguati per ospitare le lezioni, tanto per ragioni di spazio, quanto per l'adeguatezza dei locali;
   in questi mesi, purtroppo, la situazione si è ulteriormente aggravata per il fatto che un edificio, sito in via Marconi nella stessa città e che ospitava le classi dell'istituto Nostro-Repaci, è stato dichiarato inagibile a seguito di indagini strumentali per verificarne la staticità in caso di terremoto, come risulta da notizie apparse sulla stampa locale (http://www.strettoweb.com/);
   attualmente l'istituto Nostro-Repaci è suddiviso in 4 plessi, dei quali 2 in affitto: su uno di questi, a quanto consta all'interrogante, sono stati sollevati dalle sorelle del proprietario dubbi circa la reale agibilità della struttura;
   nel frattempo gli studenti, gli insegnanti ed il personale amministrativo sono obbligati a subire intollerabili disagi, dato che il continuo spostamento della docenza tra le sedi, la mancanza di una sede per gli uffici amministrativi e la segreteria, nonché l'assenza di una palestra, nell'anno in cui si avvia l'indirizzo sportivo del liceo, rendono evidente e reale la ripercussione della carenza di edifici scolastici sull'offerta formativa e sulla qualità del servizio –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga indispensabile intervenire, con ogni iniziativa di competenza, per accertare l'idoneità delle strutture utilizzate per ospitare gli alunni dell'istituto Nostro-Repaci e le ripercussioni sull'offerta formativa. (4-14341)


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   compito della scuola pubblica è quello di essere aperta ad ogni cittadino, compresi dunque gli studenti affetti disabilità, requisito senza il quale essa perde la sua stessa ragion d'essere;
   questo principio non deriva solo dal dettato costituzionale ma è stato recepito anche nella normativa vigente, dato che la legge n. 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza e il lavoro, nell'età adulta;
   l'interrogante ha sollevato più volte la questione della scarsa attenzione per gli studenti disabili presso le strutture scolastiche nella provincia di Reggio Calabria, come nelle interrogazioni n. 4-11571 e 4-12502, segno che non si tratta di fatti occasionali, ma di un fenomeno diffuso, che potrebbe pregiudicare il diritto allo studio in quel territorio;
   nei giorni scorsi è apparso sulla stampa locale, tra cui nell'articolo «Non è una scuola per disabili», pubblicato ne Il quotidiano del Sud il 22 settembre 2016, il caso di un ragazzo affetto da un ritardo psicomotorio iscritto al Liceo Artistico Panetta a Locri (RC) che non avrebbe visto garantito il suo diritto di frequentare le lezioni;
   l'Istituto, nonostante quanto richiamato circa la normativa in materia, non sarà in grado di riceverlo perché non ha adottato le condizioni contestuali alle sue necessità, che non permettono di applicare il piano educativo per lui predisposto;
   nonostante la mobilitazione della società civile, che su impulso dell'Associazione Amici di Nicola ha organizzato una manifestazione di protesta, e l'intervento del prefetto Michele Di Bari, non si ha ancora notizia di un intervento del Ministro interrogato sulla problematica esposta –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti e quali urgenti iniziative di propria competenza intenda assumere al fine di garantire la frequenza presso il liceo artistico Panetta di Locri anche allo studente di cui in premessa, garantendo il pieno diritto allo studio alle persone affette da disabilità anche nella provincia di Reggio Calabria. (4-14342)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 è diventata legge dello Stato il disegno di legge «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», definito dal Governo come il provvedimento per «La Buona Scuola»;
   la Ministra Stefania Giannini nel giugno 2016 affermava che la «supplentite» sta progressivamente diminuendo e che molto è stato fatto grazie alla legge cosiddetta della «Buona Scuola»;
   in realtà, nell'anno scolastico 2015/2016 ci sono state quasi 116 mila supplenze. La Ministra Stefania Giannini ha però asserito che nei prossimi tre anni verranno eliminate le supplenze che – permarranno solo per periodi brevi;
   le numerose sentenze per le quali il Ministero dell'istruzione, dell'università e delle ricerca è stato sanzionato e che riguardano la precarietà non risolta dalla legge cosiddetta della «Buona Scuola» hanno portato anche ad ingenti risarcimenti;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha pagato un risarcimento complessivo per 1 milione di euro (suddivisi per un gruppo di docenti);
   l'immissione in ruolo di docenti precari da anni sarebbe una soluzione che porterebbe alla risoluzione di due problemi: le numerose sentenze che hanno condannato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a risarcimenti nei confronti di diversi docenti non avrebbero più motivo di esistere e la disoccupazione, quindi «la supplentite» e il precariato, non sarebbero più un male tristemente noto e diffuso nel comparto scuola;
   quasi una cattedra su dieci, ad oggi, pare non aver ricevuto il proprio insegnante titolare e le ragioni sono molteplici: dal ritardo nelle pubblicazioni delle graduatorie di merito del concorso, fino alle operazioni di mobilità, passando per la mancanza cronica di docenti in alcune classi di concorso;
   la stima del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca riguarda 80 mila contratti a tempo determinato al 30 giugno 2017 o fino al termine delle attività didattiche ma, secondo i sindacati, si tratta di una stima alquanto «ottimistica» perché, con tutta probabilità, raggiungeremo ancora una volta quota centomila, tra l'altro dobbiamo tenere conto anche delle supplenze brevi, quelle per esempio legate alle assenze per malattia che finora sono state contenute soprattutto attraverso l'impiego (contestato) dei «docenti di potenziamento»;
   ad oggi, in provincia di Cremona, si riscontra un grave ritardo nella fase di assunzione dei docenti di ruolo;
   in provincia di Cremona, in data 26 settembre 2016, risultano ben 266 cattedre vacanti, a cui si aggiungono 217 posti di insegnanti di sostegno, per un totale di 477 docenti ancora da reperire, senza contare le centinaia di ore di insegnamento da coprire tra varie classi;
   la situazione peggiore si riscontra nelle scuole superiori, dove restano scoperti circa 162 posti, suddivisi sulle varie classi di concorso. Nelle scuole secondarie di I grado la situazione risulta critica, considerato che le cattedre vacanti sono 71, sempre senza contare i vari spezzoni, e ben 93 posti per il sostegno. Nelle scuole primarie si contano 32 posti vacanti, a cui se ne aggiungono altri 62 per sostegno e ben 251 spezzoni da coprire;
   gravissima è la condizione dell'attività di «sostegno», poiché mancano tantissimi insegnanti in questo settore. Un problema che penalizza ulteriormente giovani studenti e famiglie, costrette ad affrontare ulteriori difficoltà, tra cui la mancanza o scarsità di servizi di trasporto dedicati a persone con disabilità;
   la situazione risulta insostenibile per le migliaia di studenti delle scuole in provincia di Cremona, con difficoltà sia per le famiglie che alle scuole affidano i figli, sia per quanto concerne il regolare apprendimento –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per porre rimedio alla gravissima situazione esposta in premessa;
   come intenda intervenire per porre a risoluzione il problema del numero eccessivo di supplenti nelle scuole che appare evidentemente non risolto. (4-14347)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   anche per i docenti cosentini, così come per molti altri docenti del Meridione, l'applicazione dell'algoritmo utilizzato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per le operazioni della mobilità straordinaria, ha determinato numerosi errori ai quali i docenti hanno risposto avviando le previste procedure di conciliazione;
   risulta all'interrogante che a Cosenza, l'assegnazione di alcuni posti in un determinato ambito sia stata prevista a favore di docenti richiedenti che avevano ricevuto punteggi inferiori rispetto a colleghi che sono stati mandati fuori provincia;
   secondo le risposte che il CSA avrebbe fornito ai docenti coinvolti nelle errate assegnazioni, i docenti sarebbero stati mandati fuori provincia in seguito alla mancanza di posti assegnabili nello specifico territorio provinciale;
   risulterebbe invece all'interrogante che nel corso delle procedure di conciliazione, viceversa, alcuni docenti sarebbero giunti ad una conciliazione proprio sulla provincia di Cosenza, superando colleghi con posizioni più favorevoli;
   dalle dichiarazioni riportate sulla stampa di un dirigente sindacale della UIL-scuola risulterebbe che sarebbero stati costruiti alcuni posti fittizi nella provincia di Cosenza;
   in seguito alle vicende su indicate un gruppo di docenti denuncia irregolarità nelle assegnazioni dei posti sull'ambito provinciale di Cosenza –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di verificare se e quali irregolarità si siano riscontrate nelle procedure di mobilità e nelle assegnazioni provvisorie dei docenti da parte dell'ufficio scolastico provinciale di Cosenza, perché sia garantita a tutti i soggetti interessati la massima trasparenza dell'azione amministrativa e affinché siano corrette, se riscontrate, eventuali irregolarità.
(4-14352)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 9 dell'articolo 1, della legge n. 243 del 2004 prevede che, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, le lavoratrici possono conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, ove in possesso dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, (ossia 57 anni d'età per le lavoratrici dipendenti e 58 anni per le lavoratrici autonome), optando per la liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo. Si tratta del cosiddetto istituto «opzione donna»;
   l'articolo 1, comma 281, della legge 208 del 2015 (cosiddetta Legge di stabilità 2016), dispone che «al fine di portare a conclusione la sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, la facoltà prevista al predetto articolo 1, comma 9, è estesa anche alle lavoratrici che hanno maturato i requisiti previsti dalla predetta disposizione, adeguati agli incrementi della speranza di vita ai sensi dell'articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, entro il 31 dicembre 2015 ancorché la decorrenza del trattamento pensionistico sia successiva a tale data, fermi restando il regime delle decorrenze e il sistema di calcolo delle prestazioni applicati al pensionamento di anzianità di cui alla predetta sperimentazione»;
   con la sopra citata legge di stabilità è stata sanata l'interpretazione restrittiva data dalle circolari nn. 35 e 37 del 14 marzo 2012 e del messaggio n. 9231 del 28 novembre 2014 da parte dell'INPS, che aveva escluso dalla possibilità di accedere all'istituto dell’«opzione donna» le lavoratrici nate negli anni 1957-4958, estendendo quindi la suddetta facoltà di opzione anche alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2015 abbiano maturano un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni (per le gestioni esclusive dell'AGO 34 anni, 11 mesi e 16 giorni) e un'età anagrafica pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni e 3 mesi per le autonome a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico;
   pertanto, la data del 31 dicembre 2015, secondo l'interpretazione della circolare dell'INPS 45/2016, è da considerarsi quale termine entro il quale devono essere soddisfatti i soli requisiti contributivi e anagrafici per il diritto alla pensione di anzianità in regime sperimentale donna, fissando la decorrenza della pensione successivamente alla predetta data;
   tuttavia, l'errore della precedente restrittiva interpretazione della volontà del legislatore da parte dell'INPS, è stato «sanato» solo in parte, perché continuano a rimanere escluse le donne nate nel quarto trimestre del 1958, che matureranno i prescritti requisiti anagrafici di 57 anni e tre mesi (aumentati di ulteriori 4 mesi per effetto dell'adeguamento della speranza di vita), alla data del 23 luglio 2016;
   ai fini della prosecuzione dell'opzione in parola, il citato comma 281 dell'articolo 1, della legge di stabilità 2016 ha stanziato 160 milioni di euro per l'anno 2016 e 49 milioni di euro per l'anno 2017, stabilendo altresì che, qualora dal monitoraggio le suddette risorse dovessero risultare insufficienti «con successivo provvedimento legislativo, i risparmi determinati da risorse in eccedenza rispetto alle domande di pensionamento presentate saranno destinate a proseguire la sperimentazione oltre il 2015»;
   la proroga fino al 2018 attenuerebbe quantomeno alcune iniquità tra le lavoratrici le cui date di nascita si scostano di un solo semestre, ritrovandosi, le une rispetto alle altre, con un'attesa di circa 8 anni in più;
   secondo l'INPS le stime di adesioni all'istituto «opzione donna» per l'anno 2016 (escluse le pensioni già liquidate al 30 giugno 2016) sarebbero di 17.400 –:
   se, alla luce di quanto espresso in premessa, non ritenga opportuno assumere iniziative normative per eliminare dal comma 281 dell'articolo 1, della legge di stabilità 2016 il requisito dell'aspettativa di vita al fine di concedere «l'opzione donna» anche a tutte le lavoratrici, nate nel IV trimestre 1957-1958, che, diversa, ente non potrebbero accedere al pensionamento in quanto non in possesso dei requisiti richiesti a causa dell'inserimento dei 3 mesi di aspettativa di vita entro il 31 dicembre 2015;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché il termine 31 dicembre 2015 previsto per la conclusione della sperimentazione venga prorogato fino al 31 dicembre 2018;
   anche in previsione della prossima manovra di bilancio, se non intenda effettuare il citato monitoraggio al fine di garantire, qualora onere previdenziale risulti inferiore rispetto alle previsioni di spesa per opzione donna, che le risorse rimanenti e non utilizzate certificate dal cosiddetto «contatore» siano vincolate a consentire l'accesso al regime «opzione donna» anche alle nate nel quarto trimestre del 1956 e ad un'eventuale prosecuzione del medesimo regime sperimentale fino al 2018. (5-09631)


   CHIMIENTI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sandretto s.p.a. è un marchio storico piemontese della progettazione, costruzione e vendita di presse per lo stampaggio di materie plastiche ad iniezione. La società nasce nel 1946 a Torino, dal 1971 ha sede nello stabilimento di Pont Canavese (Torino) e può contare su filiali in tutto il mondo;
   nel luglio del 2008, per evitare il fallimento la società Sandretto Industrie è stata ceduta sotto la direzione del Ministero dello sviluppo economico, alla Romi S.A., produttore brasiliano di macchine utensili e presse ad iniezione, dopo che nel 2006 era stata posta in amministrazione straordinaria;
   per la cessione i lavoratori accettarono pesanti riduzioni dello stipendio per consentire il rilancio dell'azienda e in cambio il gruppo sudamericano promise di investire nell'operazione complessivamente 13,5 milioni di euro tra acquisto delle attività (5,5 milioni di euro), stock di materie prime, semilavorati e prodotti finiti in magazzino (2,4 milioni), iniezione di liquidità e nuovi investimenti nei successivi due anni (5,6 milioni di euro);
   il direttore e presidente della Romi, Livaldo Aguiar dos Santos, all'epoca dichiarò: «Con l'integrazione delle attività italiane Romi vuole raggiungere tre obiettivi strategici: ampliare l'area di distribuzione dei suoi prodotti, approfittando della vasta rete commerciale Sandretto; sviluppare un centro tecnologico in una regione caratterizzata da un radicato know-how nel settore delle macchine e continuare nella sua politica di sviluppo di una rete di fornitori a livello mondiale»;
   a distanza di soli tre anni, però, la situazione è andata peggiorando: i dipendenti, che al momento dell'entrata della Romi erano circa 300, si sono dimezzati. La stessa sorte è toccata anche alla produzione e al fatturato, così come riportato in un articolo apparso sul sito «L'isola dei cassintegrati» del 2 ottobre 2011;
   dei 5,6 milioni di euro che la società brasiliana si era impegnata ad investire nei due anni successivi all'acquisizione, ne sono stati spesi solo circa 3 milioni per favorire l'uscita di lavoratori in mobilità «volontaria». Inoltre, come si legge sempre nel suddetto articolo, la Romi Italia si è rivolta alle organizzazioni sindacali per ottenere un altro anno di cassa integrazione, un'ulteriore mobilità volontaria per circa 60 lavoratori, cessare del tutto la produzione e trasferire in Brasile i centri di lavoro di Grugliasco;
   il 25 luglio 2012 i 148 lavoratori degli stabilimenti di Grugliasco e Pont Canavese vengono posti per 12 mesi in cassa integrazione per crisi aziendale e, nel settembre del 2013, la società Scout One, società controllata dalla società belga Photonike e da una cordata di quattro imprese italiane, acquisisce per un euro dal gruppo brasiliano Romi la fabbrica e gli impianti Sandretto di Pont Canavese;
   la società Scout One si impegna ad assorbire tutti i 138 addetti rimasti, beneficiando di tre anni di cassa integrazione: il primo per crisi e i restanti per riorganizzazione. La società avrà in uso, gratuitamente fino al 2017, il marchio Sandretto e altri diritti di proprietà intellettuale (dominio web, disegni, brevetti) che Romi ha ceduto a Finpiemonte, la finanziaria della regione Piemonte;
   nel settembre 2013 la società Scout One si è costituita in società per azioni e ha cambiato la sua ragione sociale in Sandretto spa, con capitale sociale di oltre 420.000 euro ed un patrimonio di quasi 8 milioni. Contestualmente, la società ha trasferito la sede a Pont Canavese (Torino), presso lo storico stabilimento dell'azienda. Il bilancio societario nel 2013 viene chiuso in attivo e prosegue il processo di ristrutturazione dello stabilimento di Pont Canavese, dove vengono investiti 3,5 milioni di euro nella messa in sicurezza e ammodernamento dei macchinari, oltre che in progetti di sviluppo, prototipazione e collaudo delle nuove presse;
   a luglio 2015 la Sandretto spa annuncia che oltre alle presse ad iniezione e alle stampanti 3D, l'azienda di Pont Canavese costruirà anche impianti per la micro produzione di zucchero, ideati e progettati dalla azienda britannica Green Power Industries con la quale ha stretto un accordo di collaborazione con investimenti fino a 14 milioni di euro;
   il 10 marzo 2016 la società piemontese dirama un comunicato stampa per rispondere ad alcuni articoli pubblicati sulla stampa locale relativi ad un ritardo nel raggiungimento degli obiettivi contenuti nel piano industriale; dichiarazioni che il costruttore torinese ritiene «non aderenti alla realtà, che possono danneggiare il buon nome e la reputazione della stessa nonché condizionare i tempi pianificati per il raggiungimento del piano aziendale»;
   nel comunicato stampa si legge: «Sandretto ha già da tempo messo in atto iniziative qualificate ed investimenti specifici per assicurare ai propri dipendenti una assistenza altamente qualificata in relazione al proprio futuro professionale. La società in questo momento è perfettamente in linea con i piani di ristrutturazione stabiliti e prevede di realizzare felicemente l'ultima parte del programma, ovvero il pieno ritorno alle vendite ed alla distribuzione commerciale»;
   nonostante le rassicurazioni dei vertici dell'azienda torinese, i lavoratori della Sandretto di Pont Canavese ad inizio aprile 2016 indicono uno sciopero di otto ore. All'origine dell'agitazione c’è la preoccupazione sul futuro occupazionale, in quanto dei 120 addetti ereditati dalla precedente gestione Romi solo 30 sono tornati al lavoro, mentre a settembre scadranno i due anni di cassa integrazione per i 90 lavoratori rimasti a casa;
   in un'intervista rilasciata al quotidiano online «Polimerica» in data 17 maggio 2016 Fausto Ventriglia, il Ceo di Sandretto spa dichiara: «Il biennio 2015-2016 deve essere considerato come un periodo di transizione ma contiamo di raccogliere i primi frutti tra il 2017 e il 2018 [...] l'azienda ha qualche decina di milioni di euro di riserve, sufficienti per far fronte alla transizione»;
   nella suddetta intervista il dottor Ventriglia dichiara anche di poter ricavare ogni anno tra i 18 e i 20 milioni di euro grazie al segmento presse, e tra i 6 e gli 8 milioni di euro con la stampa 3D. Ma, nonostante le rassicurazioni e il fatto che i 127 posti di lavoro avrebbero dovuto essere garantiti allo scadere della cassa integrazione fissata per il prossimo 19 settembre, come si apprende da un articolo apparso in data 1o luglio 2016 sul quotidiano on line «La Sentinella del Canavese», la società invia a fine giugno 2016 una lettera via mail ai dipendenti con la quale comunica la messa in liquidazione della Sandretto spa a partire dal 29 giugno, avvertendo, inoltre, che l'accesso allo stabilimento è consentito solo a personale autorizzato e che le assemblee possono svolgersi solo al di fuori dai cancelli –:
   se i Ministri interrogati intendano aprire un tavolo di concertazione con la società Sandretto spa di cui in premessa e le organizzazioni sindacali, al fine di raggiungere un accordo che possa evitare i licenziamenti dei lavoratori o, eventualmente, garantire loro corsi professionali che possano facilitarne il reinserimento lavorativo. (5-09633)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Marcegaglia Buildtech, fondata nel 1959 e interamente controllata dalla famiglia Marcegaglia, è una holding industriale leader mondiale nella trasformazione dell'acciaio che opera in tutto il mondo impiegando 6.500 dipendenti in 43 stabilimenti in tutto il mondo, 60 unità commerciali e 210 rappresentanze commerciali;
   nei primi giorni di aprile del 2014 la società decide di chiudere entro la fine dell'anno lo stabilimento di viale Sarca, a Sesto San Giovanni in provincia di Milano, e di trasformare la fabbrica milanese in area dismessa trasferendo la produzione nello stabilimento di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria;
   ai 165 dipendenti viene chiesto, per mantenere il posto di lavoro, di acconsentire al trasferimento nello stabilimento ubicato ad un centinaio di chilometri dal capoluogo lombardo, dove però sono già previsti una quarantina di esuberi da parte della Marcegaglia spa;
   dopo un serrato scontro tra azienda e sindacati, con al centro della contesa l'ipotesi di accordo firmata il 5 giugno 2014 nella sede di Arifl, agenzia di regione Lombardia, quando i sindacati hanno chiesto all'azienda di garantire ai lavoratori che non accettassero il trasferimento la collocazione in una sede più vicina, come quelle di Corsico e Lainate, in provincia di Milano, di Lomagna (Lecco) o di Boltiere (Bergamo), la società non fornisce garanzie in questo senso e la rappresentanza sindacale unitaria aziendale si scioglie;
   il 16 giugno 2014 i sindacati hanno sottoscritto un accordo con il gruppo stabilendo un incentivo all'esodo pari a 30mila euro lordi per chi non accetti il trasferimento. L'accordo prevedeva per i lavoratori che avessero acconsentito al trasferimento in Piemonte un bonus di 150 euro lordi in busta paga in caso di raggiungimento dello stabilimento con il pullman dell'azienda. In caso contrario, avrebbero invece ricevuto 250 euro. La non accettazione della buonuscita o del trasferimento a Pozzolo avrebbe comportato la richiesta di cassa integrazione straordinaria per un periodo di due anni a partire dal 1o settembre 2014;
   a distanza di due anni si susseguono scioperi e manifestazioni dei 7 lavoratori rimasti in forze nello stabilimento di Sesto San Giovanni, i quali non sono disposti a trasferirsi a Pozzolo Formigaro. In diverse circostanze gli organi di stampa hanno riportato episodi in cui i dipendenti si sono incatenati o sono saliti sul tetto dello stabilimento Marcegaglia per manifestare il loro dissenso;
   il 7 giugno 2016 i lavoratori hanno protestato incatenati davanti alla prefettura di Milano e il 22 giugno, come riportato in un articolo pubblicato sul « Fatto Quotidiano» lo stesso giorno, un operaio è salito sul tetto della Marcegaglia Buildtech di Sesto San Giovanni minacciando di darsi fuoco –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di discussione con la società Marcegaglia Buildtech per tentare di ricollocare un numero comunque esiguo di lavoratori in uno dei quattro stabilimenti limitrofi a Milano, onde evitare il trasferimento a Pozzolo Formigaro di cui in premessa. (5-09634)


   CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Yesmoke è una fabbrica di sigarette sorta nel 2007 a Settimo Torinese, in provincia di Torino, dall'idea dei fratelli Carlo e Gianpaolo Messina che hanno trasformato un sito di vendita online di tabacco e suoi derivati in una delle uniche due fabbriche di sigarette presenti in Italia;
   i fondatori della società Yesmoke hanno fatto della battaglia contro le multinazionali del tabacco e l'abolizione del prezzo minimo dei pacchetti di sigarette la loro mission principale, come testimoniano i molteplici di articoli al riguardo e anche un documentario dal titolo «SmoKings», diretto dal regista Michele Fornasero;
   il 27 novembre del 2014 lo stabilimento viene posto sotto sequestro giudiziario, in seguito ad un'inchiesta per contrabbando, per disposizione delle Procure di Torino e di Francoforte sull'Oder, in Germania. L'intero complesso aziendale della Yesmoke di Settimo Torinese viene sottoposto a sequestro e affidato in custodia giudiziale ad un amministratore nominato dall'autorità giudiziaria;
   finiscono in carcere i due amministratori della Yesmoke, Carlo e Gianpaolo Messina, il procuratore della società, Paolo Arpellino, e il manager Oscar Parisi. La finanza accusa la società di evasione di accise per 70 milioni di euro e Iva per 20 milioni a seguito di movimenti fasulli di merci in società extraeuropee;
   attualmente la società è gestita dalla Special Tobacco, di Luca Calciolari e controllata dal gruppo arabo Modem Tobacco Corporation con sede negli Emirati Arabi, dopo l'avvio di una gara per l'affitto del ramo d'azienda deciso dai pubblici ministeri e dall'amministratrice giudiziaria Stefania Chiaruttini. In base al contratto stipulato la Special Tobacco paga l'affitto del ramo d'azienda di 25 mila euro al mese, oltre al 5 per cento sulle vendite in Italia e al 3 per cento su quelle estere;
   come risulta da un articolo apparso sul quotidiano online piemontese Lo Spiffero in data 18 aprile 2016, da quando l'attività della Yesmoke è stata rilevata dalla Special Tabacco è iniziato il declino della società, che ora mette a rischio 100 posti di lavoro. Infatti, sono stati accertati appena 50 giorni di produzione su 180 disponibili, il dimezzamento delle scorte in magazzino da 90 mila chili a 40 mila e la mancata presentazione della fidejussione a garanzia del magazzino fiscale. Quest'ultima, a seguito dei numerosi solleciti da parte dei Monopoli di Stato è stata da poco effettuata per un importo ridotto rispetto a quello pattuito;
   i lavoratori della Yesmoke, per scongiurare il fallimento della società, hanno proposto alla procura di Torino di rilevare la gestione del ramo d'azienda costituendo una cooperativa, nonostante sulla società incombano sia una richiesta di fallimento sia una proposta di concordato da parte dei proprietari;
   il tribunale di Ivrea ha dichiarato il fallimento della Yesmoke, affidandola al curatore fallimentare Dario Spadavecchia, che secondo quanto apparso in un articolo su Repubblica online, in data 7 giugno 2016 risulta esserne anche il custode giudiziario;
   secondo quanto si apprende dal medesimo articolo, la società avrebbe l'appoggio di un distributore specializzato nei paesi del Golfo Persico e di un'azienda che vorrebbe commercializzare sigarette con un marchio di motociclette –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per tutelare i dipendenti della società Yesmoke e della costituenda cooperativa di cui in premessa, al fine di mantenere l'attività produttiva e l'occupazione sul territorio piemontese, attraverso lo strumento del working buyout. (5-09637)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sistemi Informativi, facente parte integrante del gruppo IBM Italia, è una società nata nel 1979 che si occupa di progettare e realizzare soluzioni Information Technology complesse, operando nella pubblica amministrazione centrale e locale, nel settore bancario, nel settore finanziario e assicurativo, in quello delle telecomunicazioni, dell'industria e delle Utilities;
   la società, con sede legale a Roma, in via Carlo Veneziani, ha delle sedi a Torino, Milano e Perugia, e impiega complessivamente 958 addetti;
   il giorno 16 giugno 2016 la Sistemi Informativi ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 156 dipendenti, dichiarati in esubero con la motivazione del perdurare della crisi del settore IT (Information Technology), delle difficoltà nel reperire commesse nella pubblica amministrazione e per l'ammessa incapacità di costruire nuove prospettive di mercato;
   già nel giugno del 2013 l'azienda mise in cassa integrazione per un anno 292 dipendenti, molti a zero ore, e allo scadere dell'ammortizzatore sociale ad alcuni dipendenti furono proposti scivoli economici per l'uscita definitiva dall'azienda, riducendo così l'organico da 1.150 a 958 persone;
   nel 2013, il bilancio della Sistemi Informativi era in rosso di oltre 4 milioni di euro su un fatturato totale di 100 milioni, ma durante il periodo della cassa integrazione i sindacati hanno ottenuto un piano industriale denominato « Last Chance», che rilanciasse l'azienda e garantisse l'occupazione;
   il fatturato del 2015, presentato nel maggio 2016, è stato infatti portato a pareggio ma, nonostante questo, a giugno 2016 la Sistemi informativi ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per 156 dipendenti, senza tentare strade e percorsi alternativi che potessero garantire sostegno alle famiglie dei dipendenti in un momento di difficoltà – come dichiarato dalla Filcams Cgil in un comunicato stampa pubblicato sul suo sito in data 29 giugno 2016;
   nonostante il gruppo IBM abbia fatto sapere di avere in programma investimenti in Italia, in particolare lo stanziamento di 150 milioni di dollari per il lancio del primo Centro di eccellenza europeo di «Watson Health» a Milano, in collaborazione con il Governo, sono state inviate 135 lettere di licenziamento a Roma, 12 nella sede di Milano, 6 in quella di Torino e 3 negli uffici di Perugia –:
   se il Governo intenda aprire un tavolo di concertazione coinvolgendo la società Sistemi Informativi e la società IBM, affinché quest'ultima renda noto il suo progetto industriale e le sue intenzioni, al fine di intraprendere soluzioni quali ad esempio i contratti di solidarietà, senza ricorrere ai licenziamenti di cui in premessa;
   giacché si tratta di un settore, quello informatico e dell’Information Technology, che viene considerato in fase di crescita e che richiede sempre maggiormente figure professionali adeguate, se non ritenga indispensabile individuare delle soluzioni che tutelino i lavoratori che vi operano. (5-09638)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il crollo dei prezzi del grano italiano, rispetto allo scorso anno, ha causato agli agricoltori perdite per circa 700 milioni di euro;
   le quotazioni del grano duro destinato alla produzione di pasta hanno perso il 43 per cento del valore, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi al chilo;
   i compensi sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa anche delle manovre speculative di chi fa acquisti di grano sui mercati esteri da trasformare poi in pasta o pane made in Italy. Infatti, vi è una importazione sempre più massiccia di grano straniero, che crea danni devastanti alla produzione nazionale, ai livelli qualitativi assicurati e all'occupazione; si rischia, infatti, di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro. Si parla che siano a rischio circa 300mila aziende;
   il 30-40 per cento di grano duro, infatti, proviene da Paesi stranieri. Un pacco di pasta su tre contiene grano importato dall'estero. Nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento;
   l'industria alimentare nel 2015 ha moltiplicato le importazioni di grano straniero: quadruplicate dall'Ucraina e raddoppiate dalla Turchia. Ad esempio: si registra un +315 per cento dell'importazione dall'Ucraina di grano tenero (per il pane), mentre il Canada resta in testa per le spedizioni di grano duro (per la pasta);
   in pericolo non ci sono solo la produzione di grano e l'attività di oltre 300mila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari – il 15 per cento dell'intero territorio nazionale – a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione made in Italy;
   da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del made in Italy, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 400 per cento e quelli dal grano al pane addirittura del 1.450 per cento;
   esiste un problema importante che incide notevolmente sulla crisi del settore, ovvero la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine del grano impiegato nella produzione;
   è necessario provvedere a mettere in atto misure che tutelino sia i produttori che i consumatori per poter restituire un futuro al grano italiano: l'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima utilizzata nella pasta e nei derivati/trasformati; l'indicazione della data di raccolta (anno di produzione); il divieto di utilizzare un prodotto extracomunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta; infine, l'esigenza di fermare le importazioni selvagge a dazio zero;
   non è accettabile il fatto che il primo fornitore di grano duro dell'Italia quale è il Canada possa esportare a dazio zero, mentre applica una aliquota fino all'11 per cento all'ingresso della pasta in arrivo dall'Italia sul proprio territorio. È anche necessario estendere i controlli al 100 per cento degli arrivi da Paesi extracomunitari come l'Ucraina dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa;
   nei porti italiani continuano a giungere navi importatrici di grano che oltre a contribuire alla diminuzione del prezzo, hanno anche problemi di tracciabilità e salubrità del prodotto importato;
   la priorità italiana deve essere quella di agevolare la produzione di qualità e tutelare il reddito di chi produce e valorizza il grano 100 per cento italiano;
   il Governo ha finora fatto proposte «tampone» per contrastare il calo dei prezzi e dare respiro alle aziende della filiera. Una fra tutte inserire nel cosiddetto decreto «enti locali» un fondo di 10 milioni di euro per dare avvio a un piano nazionale cerealicolo che punta alla qualificazione della produzione italiana e consente ai trasformatori di acquistare sempre più prodotto made in Italy e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100 per cento italiano. Ma questo stanziamento è ben poca cosa, in quanto per la stessa finalità esistono i piani di sviluppo regionali –:
   quali iniziative intenda assumere per tutelare gli occupati, le produzioni agricole regionali e la qualità del made in Italy messi a rischio dal ribasso dei prezzi del grano e dall'invasione dei prodotti stranieri a volte anche di scarsa qualità e privi di controllo;
   quali iniziative intenda assumere per intensificare i controlli fitosanitari sulle importazioni dall'estero, in particolare da Paesi extracomunitari come l'Ucraina dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa, per una maggiore tutela della salute dei consumatori;
   se non ravvisi la necessità di assumere iniziative per rendere, urgentemente, obbligatoria l'indicazione in etichetta della provenienza geografica del grano utilizzato per la realizzazione di pane e pasta, perché c’è bisogno di uno strumento di protezione dei prodotti 100 per cento italiani, nonché di garanzia per i consumatori, che avranno così l'opportunità di scegliere consapevolmente quali prodotti consumare premiando, quindi, la qualità italiana. (5-09623)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE e D'INCÀ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la febbre catarrale degli ovini, più comunemente conosciuta come Bluetongue (BT), è una malattia infettiva virale non contagiosa dei ruminanti, riscontrata per la prima volta in Italia nel 2000, in Sardegna. Essa si manifesta in forma grave negli ovini, mentre in genere nella specie bovina non manifesta una sintomatologia rilevante e non produce conseguenze cliniche;
   in Italia, dei 26 sierotipi totali della malattia, è stata rilevata la circolazione dei sierotipi BTV1, 2, 4, 8, 9 e 16; dei quali, quelli che creano le più diffuse problematiche per la movimentazione degli animali, sono principalmente il sierotipo BTV 1 e il sierotipo BTV 4;
   per «contrastare» il diffondersi della malattia, il Ministero della salute ha adottato diversi dispositivi dirigenziali e, da ultimo, il n. 5662, del 14 marzo 2014 con cui vengono disposte alcune restrizioni (in base alla destinazione – macello o azienda – e dell'età degli animali – inferiori o superiori ai 90 giorni) alla movimentazione degli animali;
   i dispositivi adottati per gli animali da vita non creano particolari problemi alla movimentazione tra zone con presenza di stessi sierotipi, mentre più difficile è la situazione per gli animali che, dalle zone in restrizione, devono essere spostati in aree indenni o per gli animali destinati a zone con presenza di differente sierotipo. In questi casi l'animale deve essere vaccinato per il sierotipo o sierotipi non presenti nella zona di destinazione, oppure tenuto in stalle a prova di vettore e risultare negativo a due successive prove sierologiche (Elisa o PCR); oppure vaccinato per tutti i sierotipi presenti nella zona di partenza o tenuti in stalle a prova di vettore e risultare negativi a due successive prove sierologiche;
   in tale, complessa, situazione, l'assenza di un coordinamento tra le regioni, a cui è demandato l'acquisto dei vaccini, sta creando situazioni paradossali e di grave danno per le aziende interessate; creando, inoltre, le condizioni per una inaccettabile e controproducente profilassi a «macchia di leopardo»: alcune regioni hanno reso obbligatoria la vaccinazione di tutti gli animali delle specie sensibili, altre regioni solo una parte degli animali, alcune regioni hanno provveduto ad acquistare i vaccini necessari e altre no;
   l'acutizzazione della malattia avviene di volta in volta in diverse aree italiane e quest'anno la regione più interessata sembra il Veneto, in cui sono stati colpiti finora 67 animali tra bovini, caprini e ovini, destando preoccupazione negli allevatori, che, con il divieto di movimentazione del bestiame dalle stalle, rischiano ripercussioni sulle transazioni commerciali e sui prezzi dei capi da macellare;
   il regolamento (UE) n. 652/2014 dispone un cofinanziamento della Comunità europea alle spese inerenti l'acquisto, il magazzinaggio e la distribuzione di vaccini, nonché i costi dell'inoculazione;
   con la nota DGSAF n. 18322 del 14 luglio 2015 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha emendato il proprio provvedimento n. 5662, del 14 marzo 2014, prevedendo che ai soli fini della movimentazione degli animali, anche le associazioni e le organizzazioni di categoria possano acquistare i vaccini, fermo restando che le vaccinazioni vengano svolte dai servizi veterinari delle Asl o da veterinari libero professionisti incaricati dalle Asl competenti per territorio –:
   se si intendano fornire aggiornamenti sullo stato e sulla tipologia delle misure sanitarie miranti all'eradicazione della malattia di cui in premessa adottate dalle diverse regioni e se si ravvisi la necessità di mettere in atto azioni di coordinamento operativo in modo da omogeneizzare le azioni su tutto il territorio nazionale;
   se il Governo possa confermare, per quanto di competenza, che le spese legate a misure di profilassi di fatto obbligatorie, per le quali esiste la possibilità di ottenere il cofinanziamento della Unione europea, siano state in alcuni casi demandate ad esclusivo carico delle imprese interessate. (5-09635)


   TERROSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea, a dimostrazione della grande qualità delle produzioni nazionali, ma soprattutto del forte legame che lega le eccellenze agroalimentari italiane al proprio territorio di origine;
   il sistema delle indicazioni geografiche dell'Unione europea, infatti, favorisce il sistema produttivo e l'economia del territorio, tutela l'ambiente, perché il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità e sostiene la coesione sociale dell'intera comunità;
   secondo l'articolo 2, paragrafo 1, lettera a) del regolamento (UE) n. 510/2006 «[...] si intende per “denominazione d'origine”, il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.»;
   uno dei prodotti a denominazione d'eccellenza del made in Italy agroalimentare, tra i più famosi nel mondo, è il pecorino romano che rientra tra le 258 denominazioni italiane, iscritte nel registro delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite ai sensi del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012;
   il pecorino romano Dop è un formaggio a pasta dura e cotta, prodotto con latte fresco di pecora proveniente da greggi allevate alla stato brado; la zona di produzione del pecorino romano Dop comprende il territorio della regione Lazio, e ad oggi, prevalentemente quello della Sardegna: nel 1989 venne istituito il marchio Dop per il pecorino romano, estendendolo, per una singolare forma di «continuità» territoriale, alla provincia di Grosseto e alla regione Sardegna. Si tratta di un prodotto di primaria importanza per il sistema agroalimentare italiano con una grande visibilità sui mercati esteri;
   secondo lo studio realizzato dalla professoressa Anna Carbone (università degli studi della Tuscia – Viterbo, 2003) fino a tutti gli anni ’70 esisteva di fatto una differenziazione merceologica per la produzione laziale identificata come «Pecorino romano genuino» e quella sarda, quest'ultima individuata con la dicitura «Pecorino sardo tipo romano». Tale differenziazione è stata riconosciuta sul mercato, anche successivamente, in termini di differenza di prezzo a vantaggio della provenienza laziale e quantificabile con larga approssimazione in un 10-15 per cento (Anelli – De Santis, 1989; Ismea, 2002);
   sempre a detta dello stesso studio sopra citato, esiste uno spazio di mercato distinto per le due produzioni, quella laziale e quella sarda: nonostante il maggior prezzo, infatti, il prodotto laziale ha conservato un suo spazio occupando un segmento di mercato perlopiù nazionale e negli ultimi anni internazionale, che ne riconosce e apprezza la specificità. Nelle strategie commerciali dei caseifici sardi, al pecorino romano è stato assegnato un ruolo del tutto diverso poiché sono altre in quella regione le produzioni a denominazione considerate di più alta qualità;
   pertanto, ad una differenziazione di fatto della produzione non corrisponde una reale identificazione del prodotto, venduto nel suo insieme come «pecorino romano»;
   nel corso degli anni, molte imprese, specialmente del territorio laziale, sono uscite dal mercato e gli allevamenti più piccoli hanno cessato di esistere;
   ad oggi delle 38 aziende laziali che un tempo producevano l'apprezzato formaggio piccante ne è rimasta una sola, ricadente nel comune di Nepi (Viterbo), la quale ha incrementato negli ultimi anni il proprio fatturato del 20 per cento circa nonché il numero dei dipendenti che attualmente sono pari a 40, assicurando ai circa 400 allevatori, al contempo, il ritiro del latte in modo continuativo e tempi certi di pagamento;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il 9 marzo 2016 ha approvato il piano di regolazione dell'offerta del pecorino romano Dop proposto dal consorzio ed ha assegnato all'unica azienda laziale che produce pecorino romano, denominata «I Buonatavola Sini», una produzione massima pari a 6.000 quintali sul totale dei 270.000 quintali di produzione assegnati alle aziende sarde che producono il pecorino romano e a fronte dei 12.000 quintali trasformati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro interrogato non intenda adoperarsi per un riequilibrio delle quote di produzione da assegnare all'azienda laziale attualmente in attività, considerando lo splafonamento verificatosi nell'anno corrente, legato ad un andamento positivo delle richieste di pecorino romano provenienti soprattutto dal mercato americano, tenendo conto che il latte ritirato ai circa 400 allevatori è stato remunerato in tempi certi e che la stessa azienda impiega circa 40 persone e presenta buone prospettive di ulteriore crescita;
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per sostenere distintamente le produzioni di pecorino romano, laziale e sarda, le quali dovrebbero essere oggetto di chiara comunicazione al consumatore, poiché risultano di fatto differenziate sia per tipologia di prodotto, sia per spazi di mercato penetrati, sia per segmenti di domanda interessati. (5-09639)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il formaggio pecorino romano è prodotto nell'area delimitata di origine compresa tra le regioni Lazio, Sardegna e provincia di Grosseto in Toscana così come previsto dall'articolo 1 del disciplinare di produzione della Dop del pecorino romano pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 2009, n. 271;
   nel territorio del comune di Nepi e, in gran parte della regione Lazio, insistono molte aziende dedite alla pastorizia e alla lavorazione del latte di pecora, alcune delle quali producono il «pecorino romano» Dop che, per caratteristiche e qualità è considerato di eccellenza sia a livello nazionale che sul mercato internazionale;
   a far data dal 1996, a o di registrazione della denominazione, il marchio Dop del pecorino romano è stato esteso, per una singolare forma di «continuità» anche alla regione Sardegna e mantenuto negli anni;
   la «continuità» deriva dall'allevamento che è caratterizzato dalla presenza prevalente della razza sarda, che si è diffusa progressivamente dalla Sardegna in tutte le regioni centrali (Lazio, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo) e meridionali (Puglia, Campania, Basilicata, Molise), ma anche in quelle settentrionali (Liguria ed Emilia) della penisola ed anche in Paesi mediterranei quali Grecia ed Israele. Per la sua spiccata capacità di adattamento, la razza sarda è allevata in aziende di collina e di montagna, in condizioni di allevamento estensivo ed anche in zone irrigue, in allevamenti di carattere intensivo. Di conseguenza gli ovini presenti nel territorio laziale quanto alla razza appartengono certamente a quella sarda, ma, nel corso del tempo, hanno modificato la qualità del latte a causa dei diversi vegetali con cui gli animali vengono alimentati;
   con il decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 0001831 del 9 marzo 2016 «Recante regolazione dell'offerta del formaggio Pecorino Romano DOP» e con l'allegato «Piano di regolazione dell'offerta del Pecorino Romano DOP» si stabilisce, per l'annata in corso, cioè quella relativa al 2015/2016 e per le tre annate successive, che il limite di produzione annuo è «stabilito in 270.000 quintali di Pecorino Romano DOP con peso determinato alle 24 ore dalla produzione» pari a 27 milioni di chilogrammi, calcolato sulla base delle produzioni certificate degli ultimi cinque anni di ogni singolo caseificio;
   tali nuove indicazioni normative hanno come conseguenza la riduzione della quota di produzione annua di pecorino Dop per le aziende laziali, nello specifico per quelle della provincia di Viterbo con gravi e drammatiche ripercussioni economiche;
   ai sensi dell'articolo 150, paragrafo 4, lettera h), del regolamento (UE) 1308/2013 il piano di Regolazione dell'Offerta non deve creare discriminazioni, né arrecare pregiudizio ai piccoli produttori, in combinato disposto con le «Linee guida» allegate al decreto ministeriale del 12 ottobre 2012, n. 15164, che ha recepito il regolamento comunitario 261/2012, il quale concorda sul fatto che il Piano di Regolazione dell'Offerta non deve «creare discriminazioni», né «pregiudizio ai piccoli produttori» ai sensi dell'articolo 6;
   le conseguenze di tale contingentamento sarebbero dunque nefaste per l'economia del territorio sia in termini occupazionali che ambientali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere affinché si provveda alla revisione dei criteri di contingentamento del Pecorino Romano Dop in modo da non arrecare danno alle aziende laziali;
   quali iniziative intenda adottare, anche attraverso un'iniziativa normativa, per tutelare i produttori della filiera casearia presenti nell'ambito territoriale della regione Lazio attraverso la previsione dell'obbligatorietà dell'indicazione in etichetta della provenienza territoriale del latte e del luogo della sua trasformazione ai fini non solo della tutela del consumatore ma anche per la tracciabilità del prodotto stesso. (4-14336)


   VALLASCAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore agricolo della Sardegna sta attraversando da lungo tempo una fase di grave crisi che ha portato alla chiusura di diverse realtà produttive, con la conseguente riduzione delle superfici coltivate, delle produzioni tradizionali e dell'occupazione;
   la sofferenza del settore sarebbe determinata da una molteplicità di cause tra cui, solo per citarne alcune, le dimensioni contenute delle aziende – per estensione delle coltivazioni, per numero degli addetti, degli allevamenti e delle produzioni –, le caratteristiche del territorio e le difficoltà di allocare i prodotti a prezzi adeguati a compensare i costi di produzione;
   le aziende agricole della Sardegna opererebbero in condizioni di svantaggio competitivo, condizione che si sarebbe aggravata a seguito dell'ampliarsi dei mercati e dell'intensificarsi degli scambi commerciali tra gli Stati;
   a questo si aggiungerebbe la diffusione di pratiche commerciali scorrette nella filiera agroalimentare, che penalizzerebbero soprattutto i soggetti deboli come i produttori;
   questo stato di cose determinerebbe una condizione di sofferenza delle aziende, che si manifesterebbe nella bassa redditività dell'intrapresa, nella scarsa liquidità e, spesso, nell'indebitamento bancario dei produttori;
   in questo contesto, assumerebbero un ruolo determinante le misure di integrazione del reddito per le aziende riconosciute dall'Unione europea;
   negli ultimi anni si sarebbero registrati considerevoli ritardi da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), anche a fronte, sembrerebbe, di posizioni già verificate dalle procedure di controllo;
   la citata circostanza aggraverebbe le condizioni di sofferenza del comparto nella misura in cui, oltre alle contestazioni delle organizzazioni di categoria, la regione Sardegna avrebbe espresso la volontà di costituire un organismo pagatore regionale per conferire maggiore speditezza ai pagamenti e assicurare tempi certi alle aziende;
   nel mese di aprile 2016, nel corso di una manifestazione pubblica del comparto, sarebbe emerso che fossero ancora numerose le aziende sarde in attesa dei premi comunitari del 2013, alcune delle quali gravemente esposte con le banche: delle 37 mila domande presentate nel 2015, solo seimila sarebbero state istruite, e avrebbero avuto il via libera, ma in attesa di essere ancora pagate;
   secondo i dati emersi nel corso di quella manifestazione, sembrerebbe che fossero oltre 21 mila le domande di indennità compensativa non ancora caricate nel sistema;
   l'assessore regionale dell'agricoltura, in audizione davanti alla V commissione del Consiglio regionale, avrebbe affermato, il 13 aprile 2016, che «Il problema è che Agea ha già oggi pratiche istruite per circa 20 milioni di euro, ma non le liquida e questa situazione ci preoccupa fortemente anche perché dobbiamo avviare la procedura per la nuova domanda unica e dei nuovi PSR»;
   nel mese di aprile, Agea, a quanto consta all'interrogante, avrebbe sbloccato 17 milioni di euro per i pagamenti relativi al Psr 2007-2013 della Sardegna, un importo a saldo di 3.097 domande, mentre ad agosto l'Agenzia avrebbe decretato il pagamento delle indennità compensative relative a 8.397 domande per un importo di 19 milioni, 751 mila e 717 euro. Risulterebbero però ancora in corso i controlli propedeutici al pagamento automatizzato delle restanti domande;
   quanto precedentemente esposto rappresenterebbe una causa di ulteriore criticità di un comparto strategico per la Sardegna, la diffusione dell'attività agricola e il suo radicamento nei territori e nel tessuto sociale –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda adottare per rendere più spediti i procedimenti di pagamento dei premi comunitari agli agricoltori, anche in considerazione della grave situazione economica della regione Sardegna;
   quante siano le pratiche di pagamento in sospeso nei confronti degli agricoltori della Sardegna e quale ne sia l'ammontare economico;
   quali siano le cause dei ritardi dei pagamenti nei confronti degli agricoltori e allevatori della Sardegna. (4-14348)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2016, dalle testate giornalistiche si è appreso che a Trieste, una pediatra convenzionata addetta alle vaccinazioni ha contratto la tubercolosi polmonare; la scoperta della malattia è avvenuta soltanto mesi dopo, pertanto, avendo la professionista prestato assistenza a numerosi bambini, che potrebbero essere stati contagiati, i vertici dell'azienda sanitaria hanno deciso di sottoporre a controlli precauzionali i 3.500 bambini, in una fascia d'età che va da 0 a 6 anni, entrati a contatto con la pediatra nei distretti sanitari. Per circa 500-600 bambini vaccinati dall'operatrice è stato adottato anche il piano di profilassi;
   in base al principio di massima precauzione, è opportuno adottare un idoneo piano di prevenzione e condurre un'indagine rispetto al ceppo di origine di malattie di tal genere; ciò include un urgente esame anche sulla efficacia delle procedure di profilassi predisposte a fronte del massiccio numero di immigrati nel nostro Paese –:
   se e quali siano gli esami, nonché le tempistiche del loro espletamento, a cui sono sottoposti gli operatori del servizio sanitario che prestano assistenza ai minori;
   quali siano i controlli ed ogni attività prevista dai piani di profilassi che vengono compiuti rispetto ai numerosi ingressi, via terra, di immigrati e richiedenti asilo in Friuli Venezia Giulia. (5-09624)


   SGAMBATO, TARTAGLIONE, MANFREDI, CARLONI, DI LELLO, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, ROSTAN, VALIANTE, BOSSA e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania è dal 2009 in regime di commissariamento per la sanità, condizione che ha pesantemente inciso sulla qualità dell'assistenza socio-sanitaria e sui livelli essenziali di assistenza (LEA);
   negli ultimi tre anni ha tuttavia registrato, in virtù delle limitazioni imposte sul turn-over e sulla quantità e qualità dell'assistenza fornita, un bilancio positivo, che ha fatto registrare un avanzo pari a oltre 500 milioni di euro;
   esiste una migrazione di pazienti extraregionale per un valore di circa 400 milioni di euro, di cui 185 milioni per prestazioni di alta specialità, che mortificano le professionalità degli operatori sanitari della regione Campania, obbligando i cittadini a faticosi, dispendiosi ed umilianti trasferimenti;
   la quota di 24,5 milioni di euro concessi dal Governo a favore della case di cura private per ridurre il predetto fenomeno della migrazione sanitaria relativamente alle alte specialità è stata discutibilmente ripartita, con decreto commissariale n. 89 dell'8 agosto 2016, apparentemente senza tener conto della qualità e della quantità delle prestazioni specialistiche fornite, o se eseguite in ragione della provenienza della rete ospedaliera del 118;
   il TAR Campania, su ricorso dell'Associazione italiana ospedalità privata (AIOP), con decreto cautelare del 23 settembre 2016 ha sospeso la «clausola di salvaguardia» di dubbia legittimità presente nel predetto decreto commissariale;
   nel quadro generale della Campania, desta particolare preoccupazione la situazione della provincia di Caserta, che soffre di una cronica mancanza di posti letto, con una media di 2,3 posti letto ogni 1000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 3,7 su 1000;
   il piano ospedaliero, recentemente approvato dalla struttura commissariale con decreto n. 33/2016, pone solo parzialmente riparo a questo squilibrio, tuttavia indicando soluzioni di medio-lungo periodo e prevedendo 663 nuovi posti letto di cui 404 previsti per il plesso della Seconda università degli studi di Napoli, che sorgerà a Caserta non prima di tre anni;
   in particolare, nel comprensorio di Castel Volturno-Mondragone (CE), al limite verso il mare della cosiddetta «terra dei fuochi», in un contesto di profondo degrado urbanistico ed a fortissima immigrazione extracomunitaria stanziale e transeunte, agisce il presidio ospedaliero (P.O.) «Pineta Grande Hospital», struttura di altissima qualità professionale ed organizzativa con forte radicazione territoriale;
   il suddetto «Pineta Grande Hospital», dotato di un pronto soccorso ed inserito nella rete regionale dell'emergenza, eroga circa 50.000 prestazioni annue, svolgendo una funzione sanitaria insostituibile in un territorio che in estate arriva ad ospitare oltre 800.000 persone;
   lo stesso presidio ospedaliero riceve annualmente circa 500 trasferimenti per «competenza» dagli ospedali pubblici territoriali e non, in ragione delle prestazioni sanitarie di altissima specializzazione fornite (rianimazione, cardiochirurgia, chirurgia vascolare, U.T.I.C., cardiologia interventistica – emodinamica ed elettrofisiologia –, neurochirurgia, chirurgia toracica, T.I.N., chirurgia del fegato, del pancreas e dell'obesità, ortopedia e traumatologia, nonché ginecologia ed ostetricia);
   per il terzo anno consecutivo il budget annuo assegnato al presidio Pineta Grande di 39 milioni di euro è stato sforato di circa 15 milioni di euro, al fine di poter rispondere alle predette esigenze assistenziali richieste prevalentemente dal territorio e dalle aree limitrofe;
   tale sforamento, operato al solo fine di consentire l'inalienabile diritto alla salute dei cittadini, non consente alla struttura di operare al massimo delle proprie capacità, mettendo così a rischio l'occupazione del personale sanitario (circa 500 effettivi fra medici e infermieri) e la tenuta stessa di quello che rappresenta l'unico presidio ospedaliero del comprensorio di Castel Volturno-Mondragone –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati e se non ritenga opportuno promuovere rapidamente, per quanto di competenza, un tavolo istituzionale per la definizione dei crediti pregressi e per la rimozione dei limiti predefiniti sulla base delle sole esigenze finanziarie, che vanno a impattare direttamente sulla qualità della vita dei cittadini, negando il diritto alla salute previsto dall'articolo 32 della Costituzione, scongiurando così il rischio di chiusura delle strutture di assistenza, ed in particolare del presidio «Pineta Grande Hospital», che sarebbe conseguente alla sospensione dell'accreditamento per mancata sottoscrizione di un contratto fortemente penalizzante. (5-09627)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2016 l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha riclassificato gli anticoncezionali orali, facendoli passare dalla fascia A mutuabile a quella C a pagamento;
   il 26 settembre 2016, in coincidenza con la giornata mondiale della contraccezione, è stata trasmessa alle farmacie una circolare che informava della riclassificazione della pillola anticoncezionale;
   inserire i contraccettivi orali in fascia C non significa soltanto togliere un servizio – fino a due mesi fa a carico del servizio sanitario nazionale – ma anche non considerare tali farmaci indispensabili per la cura e la prevenzione di alcune patologie di cui spesso le donne soffrono;
   gli anticoncezionali, infatti, non hanno il solo scopo di prevenire gravidanze indesiderate, ma curano diverse disfunzioni dell'apparato riproduttivo; infatti, sono prescritti dai medici per salvaguardare l'utero e le ovaie evitando la crescita di fibromi o cisti ovariche oppure per curare l'endometriosi;
   oltretutto inserendoli nei farmaci a carico del paziente, vengono anche negati i diritti alla maternità consapevole e alla libertà di autodeterminazione di cui ogni donna ha diritto di scelta, diritti che devono essere salvaguardati nel rispetto delle normative nazionali e internazionali;
   si aggiunge che in molte regioni le strutture ospedaliere non garantiscono la presenza dei ginecologi non obiettori, penalizzando l'applicazione della legge n. 194. Va tenuto conto dei sempre minori servizi offerti dai consultori – che ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 194 – dovrebbero procedere a «la somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte riguardo alla procreazione responsabile e consentita anche ai minori»;
   ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 405 del 1979, i consultori dovrebbero oltretutto farsi carico della prescrizione di prodotti farmaceutici gratuiti;
   le campagne nazionali messe in campo di recente dal Ministero della salute, ad avviso degli interroganti, dimenticano la realistica e spesso drammatica situazione nella quale vivono le donne: mancanza di occupazione, disuguaglianza salariale rispetto all'uomo, mancanza di sostegno economico e nessuna tutela dei diritti riproduttivi e sessuali –:
   se la riclassificazione dei contraccettivi orali deriva da motivazioni scientifiche o politiche, oppure da una scelta di contenimento della spesa sanitaria;
   se il Governo per i motivi sopra esposti, non ritenga di dover assumere iniziative atte a pervenire a una revisione dell'elenco dell'AIFA e a riportare gli anticoncezionali orali nell'elenco dei farmaci di fascia A;
   se non si ritenga di dover promuovere un'adeguata programmazione per garantire e ampliare l'effettivo miglioramento dei servizi per quanto concerne la salute sessuale e riproduttiva;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per rivedere i tagli di spesa sanitaria che ledono quella parte della popolazione che più necessita di tutele ad hoc, per condizione economica, sociale e culturale;
   se siano stati valutati gli effetti della riclassificazione a pagamento della pillola anticoncezionale – considerata la già precaria situazione dell'applicazione della legge n. 194 del 1978 e lo smantellamento dei consultori – in termini di aumento degli aborti clandestini soprattutto nelle fasce più deboli e tra gli adolescenti;
   se non si ritenga di dover rendere pubblici dati concernenti la situazione attuale dei consultori e assumere ogni iniziativa di competenza, ove necessario, al fine di migliorare e rendere fruibili i servizi offerti al loro interno dai medici e dagli operatori;
   se non si ritenga opportuno, in considerazione di una corretta educazione sessuale e dei diritti riproduttivi e a una maternità consapevole, di dover avviare nelle scuole, progetti rivolti agli studenti adolescenti per fornire loro le corrette informazioni relative all'assistenza, alla consapevolezza del proprio corpo, alla sessualità informata e alla salute riproduttiva. (5-09629)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la stampa riporta notizie circa un'impennata di casi di malattie infettive che ha colpito la provincia di Agrigento;
   tra gli ultimi trecento migranti sbarcati a Porto Empedocle a fine settembre 2016 sono registrati 133 casi di scabbia che non hanno potuto ricevere le cure adeguate;
   nello stesso periodo al pronto soccorso dell'ospedale «San Giovanni di Dio» di Villaseta (AG) si è recata una cinquantenne con una sospetta meningite batterica che è stata subito trasferita in una struttura sanitaria più adeguata;
   un caso di tubercolosi che ha colpito tre bambini rumeni si è verificato nella scuola materna di Villafranca Sicula (AG), ha destato grande preoccupazione tra il personale scolastico e le famiglie dei bambini –:
   di quali elementi disponga il Governo circa la capacità dell'ospedale di Agrigento, non dotato di un reparto di malattie infettive, di garantire la tutela della salute pubblica in un territorio teatro di sbarchi di migranti che spesso necessitano di cure tempestive e mirate, al fine di evitare la diffusione di patologia da tempo scomparse nel nostro Paese;
   se siano stati attuati tutti i protocolli sanitari al fine di diagnosticare tempestivamente eventuali malattie infettive, debellare i casi accertati e contenere la diffusione della patologia. (4-14338)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sito industriale Elettrocarbonium di Narni (TR) è l'unico impianto italiano in cui si producono elettrodi di grafite, produzione come noto strategica per i fabbisogni dell'industria siderurgica;
   alla fine del 2013 la società S.G.L. Carbon spa comunicava la sua irrevocabile volontà di cessare le attività produttive in Italia e, conseguentemente, di mettere in liquidazione la società italiana. Tale intendimento non aveva ragioni di natura economica, ma era teso alla razionalizzazione della presenza in Europa della S.G.L.S.E., a detrimento dell'impianto italiano;
   al fine di scongiurare la chiusura, si è prodotta anche in conseguenza della mobilitazione dei lavoratori e delle istituzioni locali, una forte iniziativa sindacale ed istituzionale, che ha portato ad individuare un progetto di rilancio produttivo del sito in questione;
   tale progetto in sintesi prevedeva che la S.G.L. Carbon si assumeva l'impegno di cedere l'impianto produttivo a condizioni incentivate (prezzo simbolico e risorse per la bonifica e messa in sicurezza permanente della stessa) a un soggetto economico che si impegnasse a dare continuità all'attività produttiva e che sottoscrivesse con le istituzioni un accordo di programma per disciplinare le attività di messa in sicurezza e bonifica del sito e quelle di reindustrializzazione dello stesso fornendo idonee garanzie;
   sulla base di tale impegno si è proceduto a verificare che il progetto di rilancio produttivo più adeguato per il sito in questione era quello presentato dal gruppo Morex che prevedeva la costituzione di una nuova iniziativa imprenditoriale finalizzata alla produzione di elettrodi di grafite, nonché a sviluppare le ulteriori opportunità che il processo di reindustrializzazione del sito determinava;
   Morex spa ha provveduto a costituire la specifica società (M2I) poi denominata Elettrocarbonium srl che ha provveduto a sottoscrivere in data 27 gennaio 2015 con SGL Carbon in liquidazione e con SGL SE appositi atti contrattuali idonei a dare, per quanto di competenza, esecuzione al progetto di rilancio produttivo ed industriale del sito in questione;
   Elettrocarbonium srl non ha rispettato gli accordi sottoscritti e dopo mesi di occupazione abusiva, in data 22 settembre ha riconsegnato il sito alla SGL Carbon, legittima proprietaria. Di fatto ad oggi, ad eccezione della sorveglianza, tutti i lavoratori sono stati licenziati ed il sito deve essere ancora interessato dalle attività di bonifica;
   si è inoltre appreso, da notizie di stampa, che il liquidatore della SGL Carbon è in possesso di una reale manifestazione d'interesse per il sito produttivo di Narni. Ad oggi però, al di fuori delle dichiarazioni mezzo stampa, di tale nuova iniziativa industriale non se ne conoscono i contenuti –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato per la salvaguardia dell'impianto produttivo;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover convocare un tavolo che coinvolga le parti sociali e le istituzioni interessate per rendere più trasparenti e certi i passaggi di questa difficile situazione, innanzitutto per i lavoratori dell'azienda.
(4-14350)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Incerti e altri n. 7-01106, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Dell'Aringa, Fragomeli, Marantelli, Montroni, Vico, Ginato, La Marca, Scuvera, Romanini, Tullo, D'Incecco, Ribaudo, Taranto, Basso, Taricco, Pinna, Terrosi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Simone Valente n. 4-14236, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 settembre 2016 deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Colonnese, Crippa, Tofalo, Silvia Giordano.
   L'interrogazione a risposta scritta Gadda  e altri n. 4-14308, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paolo Rossi, Capozzolo, Tentori, Fragomeli, Galperti.
   L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pisano n. 5-09617, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pesco.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Ventricelli n. 4-13974, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 664 del 29 luglio 2016.

    VENTRICELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2016, è stata data notizia che nel carcere di Turi quattro agenti di polizia penitenziaria sono rimasti feriti dopo essere stati aggrediti da un detenuto di origini baresi, la prognosi sarebbe compresa tra i cinque e i venti giorni;
   la notizia è stata diffusa dal segretario nazionale del Sappe – Sindacato autonomo polizia penitenziaria –, Federico Pilagatti che a tal proposito ha divulgato una nota: «un detenuto ha prima tentato di aggredire il medico di turno durante una visita, ma è stato bloccato dagli agenti. Mentre veniva portato in un'altra stanza, il detenuto si è scagliato contro alcuni agenti, procurando loro lesioni. I poliziotti penitenziari sono riusciti comunque a chiudere in stanza il detenuto che ha reagito scagliando il letto in ferro contro la parete. Poco dopo, quando la situazione è tornata alla normalità, gli agenti sono stati accompagnati al Pronto soccorso più vicino.»;
   nella nota Sappe ha anche sottolineato una situazione di pericolo e di carenza di personale difficilmente sostenibile («l'aumento drammatico delle aggressioni a poliziotti, che in questi primi sette mesi ha già superato quelli avvenuti lo scorso anno»), e la circostanza che, «al momento dell'aggressione, nel carcere erano in servizio sette poliziotti, quattro dei quali sono stati coinvolti nell'episodio.»;
   a quanto appreso, inoltre, sembrerebbe che dopo l'aggressione un detenuto avrebbe accusato un malore e sarebbe arrivato personale del 118 per trasferirlo in ospedale con due unità di scorta che avrebbe dovuto presenziare presso il carcere; a tal proposito si è reso necessario un servizio di vigilanza, garantito con l'arrivo del comandante degli agenti di polizia penitenziaria e di alcuni poliziotti che erano liberi dal servizio;
   inoltre la UILPA Penitenziari, dopo un sopralluogo nel carcere turese: «nel periodo estivo le temperature che si registrano all'interno della struttura sono da altoforno e la mancata climatizzazione degli ambienti di lavoro crea non pochi problemi anche per la stessa incolumità fisica del personale. Nelle quattro sezioni detentive sono ospitati 135 detenuti (a fronte di una ricettività massima di 152) tutti con sentenze definitive. Il personale di polizia penitenziaria (90 unità a fronte delle 99 previste) in tre sezioni su quattro assicura la vigilanza a "regime aperto" e solo in una sezione (la 4a) è applicata la videosorveglianza con postazione remota. I turni di servizio sono articolati in otto ore, con ricorso allo straordinario "programmato". Due celle della 3a sezione sono destinate ad ospitare detenuti con minorazioni fisiche, anche se a Turi non è garantita l'assistenza sanitaria h. 24 (medico presente dalle 12 alle 24).» E, sempre continuando, evidenzia un altro annoso problema: «La prospicenza alle strade comunali – ha sottolineato Sarno – genera il fenomeno "dei lanci", ovvero spesso si tenta di introdurre sostanze stupefacenti nel carcere attraverso il lancio di involucri direttamente dalla strada ai cortili passeggi. Fenomeno arginato grazie alla puntuale e costante opera di bonifica messa in campo dal reparto di polizia penitenziaria.» –:
   se risultino già avviate le verifiche di competenza in ordine ai fatti in premessa;
   quali iniziative intenda mettere in atto per rafforzare la sicurezza nei luoghi di detenzione e per potenziare gli organici della Polizia penitenziaria. (4-13974)

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Risoluzione in Commissione Zaccagnini n. 7-01068 del 27 luglio 2016.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interrogazione a risposta in Commissione Gasparini n. 5-09063 del 5 luglio 2016.
   Interrogazione a risposta immediata in Commissione Paglia n. 5-09615 del 28 settembre 2016.