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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 5 agosto 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    con la dichiarazione dello stato di emergenza indetto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011 e successiva ordinanza n. 16355 del prefetto di Palermo del marzo 2011 veniva individuato il «Residence degli Aranci», sito nel comune di Mineo (CT), quale centro per dare accoglienza ai migranti sbarcati sulle coste italiane a seguito «dell'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa»;
    sin dall'inizio dalla sua istituzione emergevano delle problematiche relative alle condizioni di accoglienza dei migranti, che hanno poi caratterizzato il centro di Mineo anche negli anni a seguire. Tra tutte risultavano già evidenti il problema del pesante sovraffollamento, le gravi carenze nell'erogazione dei servizi fondamentali (assistenza sanitaria, mediazione culturale, orientamento legale, e altro), l'isolamento e l'assenza di reali possibilità di inclusione sociale, l'impossibilità di tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili;
    il Governo, con O.c.d.p.c. n. 33 del 28 dicembre 2012 recante «regolamento della chiusura dello stato di emergenza umanitaria e rientro nella gestione ordinaria da parte del Ministero dell'interno e altre amministrazioni competenti», decretava la fine dello stato di emergenza prevedendo però per il centro di Mineo una prosecuzione dell'accoglienza fino a giugno 2013, termine prorogato, poi, per ben quattro volte fino all'indizione del bando di gara aggiudicato nel giugno 2014;
    con una lettera del 27 maggio 2015 indirizzata al Ministero dell'interno il presidente dell'ANAC dichiarava illegittimo l'appalto per la gestione del centro di Mineo del giugno 2014;
    le indagini dirette dalla procura della Repubblica di Roma nel procedimento noto come «Mafia Capitale» portavano all'arresto di noti personaggi di spicco direttamente coinvolti con le vicende relative all'aggiudicazione della gara di appalto del centro di accoglienza di Mineo;
    nel mese di giugno 2015 il prefetto di Catania, su proposta del presidente dell'ANAC, applicava la misura straordinaria e temporanea del commissariamento dell'appalto per la gestione del centro di accoglienza di Mineo;
    nel novembre 2015 veniva risolto in anticipo l'accordo stipulato con il Consorzio dei comuni del calatino «Terre di accoglienza», relativo alla gestione del centro di accoglienza di Mineo, e veniva nominata una «struttura di missione» che ne subentrava nella gestione;
    negli anni si sono susseguiti numerosissimi report di denuncia ad opera di organizzazioni non governative, enti ed associazioni del terzo settore esperti in materia di immigrazione circa le condizioni di accoglienza dell'allora centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;
    emblematico della situazione di degrado ed abbandono all'interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è il caso del giovane richiedente asilo eritreo di soli 21 anni che moriva suicida nel dicembre del 2013 in un momento in cui il centro ospitava più di 4.000 migranti su una previsione di 2.000 posti disponibili;
    la «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate» effettuava una prima visita di ispezione presso il centro di accoglienza di Mineo nel mese di maggio 2015, nel corso della quale aveva modo di constatare ed approfondire tutte le criticità relative alle gravissime condizioni di accoglienza dei migranti quali sovraffollamento, degrado e condizioni igienico-sanitarie inaccettabili, isolamento, carenze strutturali e nell'erogazione dei servizi fondamentali dovuti, personale non formato, presenza di casi vulnerabili non presi in carico, attività illecite, abusi e prostituzione, fino ad una gestione del tutto non trasparente circa le forniture dei prodotti e le modalità di rilevazione delle presenze giornaliere dei migranti accolti a mezzo badge, deficitaria, e su cui la Commissione aveva cercato di chiarirne gli aspetti principali nel corso delle audizioni con i responsabili del centro;
    nel mese di giugno 2016 la procura della Repubblica di Caltagirone avviava una nuova indagine circa la presunta truffa legata ai rimborsi in favore dell'ente gestore per le presenze giornaliere dei migranti nel centro di accoglienza di Mineo emanando sei avvisi di garanzia;
    tra le persone indagate raggiunte da questi ultimi avvisi di garanzia a cura della procura della Repubblica di Caltagirone ve ne sono alcune che continuano a svolgere attività lavorativa all'interno del Centro, oltretutto con ruoli di responsabilità;
    sempre nel mese di giugno 2016 veniva pubblicato un rapporto denominato «Filiera sporca» promosso da associazioni del terzo settore che denunciava, inter alia, lo sfruttamento lavorativo dei migranti accolti nel centro di accoglienza di Mineo nella racconta delle arance;
    la «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate» effettuava una nuova visita di ispezione nel mese di luglio 2016 riscontrando le criticità rilevate nella precedente visita di maggio 2015, di fatto invariate;
    in data 19 luglio 2016 in audizione presso la «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate» il capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, ammetteva le difficoltà del Governo a ricollocare in altre strutture più idonee gli oltre 3.000 migranti presenti a Mineo, manifestando implicitamente una errata valutazione dei posti e centri necessari previsti dal piano di accoglienza nazionale per il 2016, nonostante fosse stato convenuto da più parti l'urgenza del superamento dei grandi centri per migranti;
    in quella stessa occasione il prefetto Morcone ribadiva come per la sostenibilità economica del centro di accoglienza di Mineo risultasse necessaria la presenza minima di 2.000 persone, in relazione al rimborso pro capite pro die percepito e ai costi di gestione, come a ribadire evidentemente che il grave problema di sovraffollamento è insito nella natura stessa di questo centro;
    il 6 giugno 2016 scadeva il termine di una procedura di gara indetta da Invitalia, centrale di committenza per il Ministero dell'interno, aperta ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016, per l'affidamento della «Fornitura e posa in opera della recinzione modulare all'interno dell'area da destinarsi ad hotspot per migranti presso il “Residence degli Aranci” di Mineo», per un importo complessivo pari a euro 1.147.712,04, oltre I.V.A. ed oneri di legge se dovuti;
    i centri cosiddetti hotspot, sul cui tema sono state depositate due interrogazioni parlamentari a risposta scritta (la n. 4-12896 del 19 aprile 2016 e la n. 4-13471 del 13 giugno 2016), nonché due interrogazioni a risposta immediata in Assemblea (la n. 3-02146 del 31 marzo 2016 e la n. 3-02349 del 29 giugno 2016), istituiti a seguito degli accordi previsti dall'Agenda europea sull'immigrazione, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo hanno già manifestato tutta la loro inefficacia e sono privi di fondamento giuridico nell'ordinamento italiano ed europeo;
    sul centro di accoglienza di Mineo indagano tuttora le procure di Roma, di Catania e di Caltagirone,

impegna il Governo:

   ad interrompere immediatamente ogni iniziativa volta a riqualificare il centro di accoglienza di Mineo, o parte di esso, e a destinarlo a centro cosiddetto hotspot;
   ad assumere con urgenza ogni iniziativa necessaria diretta a chiudere in maniera definitiva il centro di accoglienza di Mineo, entro e non oltre il termine di marzo 2017, ponendo fine alla lunga lista di violazioni della dignità umana in cui versano i tanti migranti accolti nella struttura;
   ad intraprendere, con urgenza e con effetto immediato, ogni iniziativa necessaria volta a far sì che nessun nuovo richiedente asilo sia accolto presso il Centro di Mineo, e che sia trasferito subito il più alto numero possibile di migranti in altre strutture, dando ovviamente priorità ai casi più vulnerabili.
(1-01342) «Lorefice, Brescia, Colonnese, Castelli, Grillo, Rizzo, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    all'interno del trimestrale Monitor anno XV n. 40 a cura dell'Agenas il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome ha dichiarato tra le altre cose come: «Alla vigilia di ogni riparto annuale delle risorse destinate al Servizio sanitario, nella Conferenza delle Regioni (ancor prima che ne assumessi la presidenza) i presidenti del Mezzogiorno hanno chiesto la revisione dei criteri di riparto. È un'esigenza che – accanto a una maggiore valorizzazione dei costi standard – dobbiamo cominciare a prendere seriamente in considerazione, magari anche attraverso quote premiali che riconoscano, anno dopo anno, le migliori performance per il recupero del divario. Bisogna mettere in moto il sistema non comprimendo le eccellenze, ma portando verso l'alto i parametri qualitativi laddove questi fatichino anche solo a rispondere ai Livelli essenziali di assistenza. Un miglioramento della sanità del Mezzogiorno è la migliore assicurazione per ulteriori sviluppi delle eccellenze in ogni regione del Paese»;
    l'Intesa in conferenza Stato-Regioni 10 luglio 2014, n. 82, concernente il nuovo patto per la salute per gli anni 2014-2016 prevede, al comma 1 dell'articolo 3, «assistenza ospedaliera» l'adozione del regolamento di definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni in attuazione dell'articolo 15 comma 13 lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135;
    il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, prevede:
     articolo 1, comma 2: «Le regioni provvedono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (p.l.) per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, nonché i relativi provvedimenti attuativi, garantendo, entro il triennio di attuazione del patto per la salute 2014-2016, il progressivo adeguamento agli standard di cui al presente decreto (...);
     articolo 1, comma « 3. Ai fini del calcolo della dotazione dei posti letti di cui al comma 2, in ciascuna regione:
   a) si fa riferimento alla popolazione residente in base ai criteri utilizzati per il computo del costo standard per il macro-livello di assistenza ospedaliera ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario standard regionale di cui all'articolo 27 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68;
   b) il numero dei posti letto per mille abitanti, calcolato in base alla lettera a), è incrementato o decrementato nel modo che segue per tenere conto della mobilità tra regioni (...)»;
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 521, prevede come: «Al fine di favorire la corretta ed appropriata allocazione delle risorse programmate per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale e per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), le disposizioni di cui ai commi dal presente comma al comma 547 disciplinano le procedure per conseguire miglioramenti nella produttività e nell'efficienza degli enti del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dell'equilibrio economico-finanziario e nel rispetto della garanzia dei LEA»;
    l'andamento della spesa sanitaria nelle regioni per gli anni 2008-2014 a cura di Agenas, ricavato dai conti economici inseriti nel NSIS (Nuovo sistema informativo sanitario del Ministero della salute), dimostra che vi sono regioni che riportano un importante saldo di mobilità positiva:
   Lombardia (+533 milioni di euro nel 2014);
   Veneto (+75 milioni di euro 2014);
   Emilia Romagna (+328 milioni di euro nel 2014);
   Toscana (+151 milioni di euro nel 2014);
    altre, al contrario hanno un'importante saldo di mobilità passiva:
   Liguria (-51 milioni di euro nel 2014);
   Marche (-46 milioni di euro nel 2014);
   Lazio (-201 milioni di euro nel 2014);
   Abruzzo (-70 milioni di euro nel 2014);
   Campania (-270 milioni di euro nel 2014);
   Puglia (-187 milioni di euro nel 2014);
   Basilicata (-39 milioni di euro nel 2014);
   Calabria (-252 milioni di euro nel 2014);
   Sicilia (-162 milioni di euro nel 2014);
   Sardegna (-66 milioni di euro nel 2014);
    nel recente Convegno (23 giugno 2016) organizzato da Confindustria il Ministro della salute ha dichiarato come regioni quali la Lombardia finanziano il proprio sistema sanitario regionale anche attraverso le risorse provenienti dalla mobilità attiva;
    per quanto riguarda l'offerta di posti letto ospedalieri a livello europeo, l'Italia (3,7 posti ogni mille abitanti determinati dal cosiddetto decreto Balduzzi) si colloca al di sotto della media europea (5,5 posti letto);
    pertanto appare opportuno non penalizzare, nella programmazione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, alcuna regione italiana, neanche se risulti avere un saldo positivo di mobilità;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche nell'ambito della prossima manovra di bilancio affinché per il periodo successivo a quello di attuazione del nuovo patto per la salute 2014-2016, venga rivisto il calcolo per la definizione dei posti letto indicato in premessa eliminando, attraverso una programmazione quinquennale, gli aspetti relativi all'incremento o decremento degli stessi per effetto della mobilità tra le regioni, facendo comunque salvi i posti letto attualmente disponibili nelle regioni italiane;
   ad assumere iniziative affinché eventuali maggiori oneri, provenienti dall'incremento dei posti letto, o da altri servizi sanitari (ad esempio prevenzione collettiva, assistenza domiciliare), da parte delle regioni con saldo di mobilità passiva trovino copertura attraverso la riduzione progressiva – quinquennio – delle quote cedute dalle stesse nei confronti delle regioni con saldo di mobilità positiva;
   ad assumere iniziative affinché quanto previsto nei periodi precedenti sia subordinato al rispetto dei piani di efficientamento presentati dagli enti individuati ai sensi dei commi 524, 525 e 535 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
(1-01343) «Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Nesci, Di Battista, Vacca».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VII e VIII,
   premesso che:
    il 13 luglio 2016 l'Unesco ha emesso una risoluzione in cui si sottolinea la condizione di forte rischio, specialmente ambientale, cui risulta esposta la città di Venezia. Tale risoluzione invita il Governo italiano, nonché le istituzioni locali competenti, a prendere provvedimenti entro febbraio 2017, presentando un report dettagliato sullo stato di conservazione del sito ed un pacchetto di misure urgenti che scongiurino l'inserimento di Venezia all'interno della danger-list che annovera siti minacciati o attraversati da guerre ed emergenze umanitarie;
    come si fa notare anche nel documento diffuso dall'Unesco, la città è immersa in uno degli ecosistemi più complessi e fragili in assoluto, il quale risulta sempre più compromesso da dinamiche di sfruttamento fortemente invasive, come il transito delle grandi navi passeggeri e commerciali all'interno della laguna e della città stessa;
    numerose sono state negli anni le indicazioni, anche formalmente vincolanti e provenienti dalle più alte istituzioni del Paese come il «decreto Clini-Passera» del 2013, atte ad impedire il transito delle mastodontiche navi da crociera nelle zone maggiormente a rischio della città e della sua laguna. Tuttavia, nella pratica, il transito di natanti che arrivano a toccare il peso di 96.000 tonnellate avviene quotidianamente tanto in laguna quanto nel Canale della Giudecca, principale arteria d'acqua della città che porta le navi a pochi metri da piazza San Marco e da alcune delle perle più preziose del patrimonio artistico veneziano;
    il fenomeno delle grandi navi in laguna si rivela rischioso peraltro non solo nell'eventualità di impatto che le tragedie del Giglio nel 2012 e di Genova nel 2013 hanno dimostrato più che verosimile, ma anche sul piano delle emissioni aeree e degli sversamenti in acqua, nonché per il fenomeno del moto ondoso che con la massiccia movimentazione dell'acqua cagiona un costante ed ulteriore scavo dei fondali, la cui tenuta garantisce (ora, purtroppo, sempre meno) la solidità degli edifici e della città intera;
    in un'ottica di salvaguardia della città da quest'ultimo fenomeno, unitamente a quello del pericoloso innalzamento delle maree, è stato concepito ed è in via di realizzazione anche il cosiddetto sistema Mo.S.E.. Una grande opera da sempre discussa in quanto prototipo realizzato, senza alcuna sperimentazione e senza previa, adeguata valutazione di impatto ambientale, in scala 1:1, con la conseguente permanenza di gravi e decisive incognite, come la sua stessa efficacia nell'arginamento delle maree, specialmente in caso di cattive condizioni atmosferiche, la certezza dei costi di realizzazione già fortemente lievitati negli anni insieme ai tempi, ma anche la manutenzione, argomento sul quale gli stessi progettisti ammettono di non poter fare previsioni in termini di spesa né di frequenza di intervento; esso risulta inoltre un sistema del tutto spiazzato nell'eventualità che l'aumento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici in atto imponga una sempre più frequente chiusura delle paratoie che tengono il mare fuori della laguna o addirittura ne imponga la chiusura perenne: in tal caso, tutt'altro che improbabile alla luce delle più accreditate previsioni sull'andamento del clima e dell'innalzamento atteso del livello dei mari, l'intero «sistema Mose» risulterebbe fuori causa, poiché non prevede uno scambio artificiale tra mare e laguna e condannerebbe quest'ultima allo stato di stagno chiuso (peraltro, ricevendo acque dall'entroterra, compresi gli inquinanti, aggravando la situazione), dimostrando infine tutta l'incongruenza di un sistema concepito, progettato e realizzato senza adeguate previsioni né verifiche (per evitare le quali si è infatti mosso il potente sistema corruttivo che la recente indagine della magistratura ha, finalmente, scoperchiato);
    ciò che, ancora, risulta fuor di dubbio sono i pesanti risvolti dell'opera sull'ecosistema lagunare che ha già subito un sensibile aumento della temperatura ed una conseguente modificazione della vita al suo interno, per quanto riguarda tanto la flora quanto la fauna autoctone e caratteristiche e la stessa circolazione delle correnti;
    i risvolti critici dell'opera in questione si sono ravvisati con tutta evidenza anche sotto il profilo della trasparenza, che la citata indagine ha portato alla luce insieme alle gravi responsabilità del concessionario unico al quale è stata affidata, il Consorzio Venezia Nuova, di numerosi attori istituzionali operanti all'interno della regione Veneto, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del magistrato alle acque e del comune di Venezia e perfino delle forze dell'ordine. Dinamiche che aggravano le condizioni di salute della città anche in prospettiva, specialmente tenendo conto del fatto che nemmeno la pesante vicenda giudiziaria è servita a modificare i vizi di un sistema che si dimostra sempre più opaco e foriero di corruzione diffusa;
    Venezia vive inoltre una profonda crisi anche sul piano economico-occupazionale, nonché di tenuta del welfare comunale. Una crisi determinata dai pesantissimi effetti del patto di stabilità, che ormai da anni hanno fatto precipitare la città in un circolo vizioso di sanzioni e conseguenti politiche di taglio al personale ed ai servizi comunali, di alienazioni ed operazioni di vendita del patrimonio quanto mai avventuristiche e dolorose per la collettività, sia per i dipendenti comunali penalizzati nello stipendio e nelle modalità di lavoro e di carriera, sia per i servizi erogati alla comunità;
    lo stesso sindaco non ha esitato inoltre ad azzerare di fatto, svuotandole di risorse e di competenze, le municipalità in cui si articola da decenni, in diverse forme, l'amministrazione della città di Venezia, contravvenendo a quanto previsto esplicitamente dallo stesso testo unico degli enti locali in una logica antidemocratica inaccettabile in questo Paese e di cui il Parlamento e il Governo devono essere resi consapevoli;
    un sindaco che, secondo i firmatari del presente atto, ha provocato una vertenza sindacale particolarmente significativa nel panorama cittadino e che vede infatti contrapposti l'amministrazione attuale, che sta attuando una politica di taglio spietato dei servizi comunali, e i lavoratori colpiti, ma anche i cittadini che vedono scomparire dall'oggi al domani servizi fondamentali;
    Venezia è una città evidentemente distante dal classico concetto di agglomerato urbano, alla quale tuttavia, da troppo tempo ormai, le istituzioni centrali non riconoscono, nei fatti (ancorché sia previsto dalla legge) alcuna specialità;
    l'intero porto di Marghera, eredità drammatica di un passato modo di produrre incurante della salute dei lavoratori e dei cittadini e dell'ambiente, necessita di un profondo ripensamento legato al suo risanamento ambientale che è la pre-condizione per rigenerare uno dei siti portuali e industriali maggiori del nostro Paese. La stessa Unesco evidenzia tutto ciò nel documento sopra citato, affermando quanto questo risanamento possa imprimere una svolta sulle questioni di carattere economico-occupazionale che affliggono questa parte straordinaria e grande del patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale dell'umanità intera, risposta scritta pubblicata 25 settembre 2013 nell'allegato al bollettino in Commissione VIII (Ambiente) all'interrogazione 5-01048, in cui il Governo ha affermato «In tale ottica il Presidente del Consiglio ha fissato, infatti, per il prossimo 1o ottobre un vertice con i Ministri coinvolti per la decisione definitiva che, nel dare applicazione al divieto di cui al predetto decreto Passera-Clini, dovrà, comunque, coniugare le esigenze di sicurezza, quelle di tutela ambientale e paesaggistica, senza tuttavia trascurare l'indiscussa rilevanza del valore economico che l'indotto turistico del porto rappresenta per la città di Venezia e per l'intera regione»,

impegna il Governo:

   a rispondere efficacemente e tempestivamente alle richieste esplicitate dalla risoluzione di cui in premessa, attivandosi sui problemi di impatto ambientale, entro i quali dovrebbe anche essere compresa un'iniziativa per avviare a soluzione l'epocale questione del risanamento ambientale di Porto Marghera;
   ad assumere iniziative per procedere fin da subito alla fissazione di un «numero chiuso» circa l'accesso delle grandi navi da crociera, nelle more di una celere decisione che porti ad escludere definitivamente il transito delle grandi navi nel canale di San Marco e nel canale della Giudecca;
   ad assumere iniziative normative, affinché la regolazione dei traffici marittimi nel canale della Giudecca e nel bacino di San Marco sia esercitata dal sindaco di Venezia, sentito il consiglio comunale, dando seguito a quanto sostenuto dal Governo pro tempore nella risposta all'interrogazione n. 5-01048.
(7-01080) «Pannarale, Zaratti, Marcon, Giancarlo Giordano, Pellegrino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 90 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 e le successive modifiche introdotte dal decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni dalla legge 21 maggio 2004 n. 128, hanno riformato la disciplina del regime fiscale delle associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 148, comma 3 del TUIR e all'articolo 4, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972, introducendo, altresì, il nuovo soggetto giuridico della società sportiva dilettantistica di capitali parificato a tutti gli effetti tributari con l'associazione sportiva dilettantistica: ne è scaturito un quadro normativo che ha comportato un deciso ampliamento della platea dei soggetti beneficiari, non senza aspetti controversi soprattutto in ordine alla diffusione accertata di comportamenti elusivi e fraudolenti da parte di soggetti «eterovestiti» la cui adesione alla normativa di settore è stata motivata esclusivamente dalla volontà di beneficiare delle relative agevolazioni fiscali e non già dal perseguimento degli scopi di pubblico interesse che sono immanenti alla volontà del legislatore;
   infatti, dal «progetto Ercole» della Guardia di finanza si evince che i controlli effettuati fino a gennaio 2016 su tali presunte elusioni fiscali riguardano 200 società ed i primi 35 accertamenti (per la maggior parte ristoranti, bar e palestre) hanno portato alla luce un'evasione che oscilla fra i 50 mila e i 70 mila euro, con punte di 100 mila euro;
   è di pochi giorni fa invece la notizia della maxi frode fiscale accertata dalla Guardia di finanza di Forlì nei confronti di quattro società che operano nel settore delle sponsorizzazioni e che, secondo i militari, avrebbero procurato un'evasione per oltre 36 milioni di euro. Le aziende, con sede a Forlì, Cesena e Rimini gestivano gli spazi pubblicitari in occasione delle partite casalinghe di una società marchigiana di pallavolo femminile che milita nel campionato di serie A1;
   le modifiche alla normativa fiscale di settore furono fortemente volute dal Coni per agevolare le piccole società del settore del calcio e per le attività senza scopo di lucro che avessero voluto investire nella realizzazione o ristrutturazione di impianti sportivi, ad esempio società di calcio, basket, volley e altro, consentendo la creazione di sodalizi che garantissero agli investitori il mantenimento della proprietà delle quote nominali di capitale versato, pur nel rispetto del divieto generale di distribuzione degli utili;
   è mancato, tuttavia, nell'impianto normativo posto a tutela del fenomeno sportivo dilettantistico, una precisa ed esaustiva declaratoria delle finalità ultime che devono governare gli attori del sistema, ossia il perseguimento di scopi di interesse collettivo che – unitamente al predetto divieto di distribuzione diretta ed indiretta degli utili – traccino una netta linea di demarcazione tra lo sport al servizio dei cittadini nei luoghi e nei tempi in cui si svolge la vita collettiva delle persone (città, quartiere, scuola, asilo, carcere, ospedale, e altro) e lo sport al servizio individuale dei consumatori: quest'ultimo – beninteso – legittimo come lo è ogni servizio che soddisfi lecitamente le preferenze degli acquirenti ma per il quale non si comprenderebbero le ragioni di un sistema così pervasivo di detassazione, dal momento che similari attività di benessere e miglioramento della qualità della vita (ivi compresa la lettura di libri, la visione di film al cinema o le attività di relax e divertimento) sono soggette a tassazione piena ovvero a forme decisamente più blande di leva fiscale;
   una carenza del tipo sopra evidenziato ha consentito non solo a soggetti senza scrupoli di trasformare attività sportive già gestite con finalità dichiaratamente lucrative in attività solo apparentemente non profit ma altresì di richiamare – con la stessa logica e motivazione – speculatori di ogni sorta a far parte del comparto in nome degli elevati indici di redditività garantiti dall'assenza di tassazione ai fini Iva e imposte dirette dei corrispettivi derivanti dalle attività istituzionali, del trattamento agevolato dei compensi sportivi di cui gli articoli 67, comma 1, lettera m), e 69 del TUIR (detassazione fino al plafond annuale di 7500 euro dei compensi per esercizio diretto dell'attività sportiva dilettantistica e per le collaborazioni a carattere amministrativo-gestionale non professionale e relativa connessa esenzione da contribuzione previdenziale), dal regime agevolato ex lege 398 del 1991 per la liquidazione forfettaria delle imposte dirette ed indirette derivanti dallo svolgimento di eventuali attività commerciali fino all'esenzione delle tasse locali sulla pubblicità e sui rifiuti e la riduzione delle accise sul gas metano;
   con la diretta ed inevitabile conseguenza che è pressoché impossibile per un onesto gestore commerciale fornire sul mercato i medesimi servizi senza riscontrare un'immediata antieconomicità, stante l'enorme forbice che le svariate forme di detassazione garantiscono a chi intende eludere il precetto costituzionale della compartecipazione alle spese pubbliche, indossando artatamente le vesti del soggetto senza finalità di guadagno al solo evidente ed illecito scopo di moltiplicarlo: ciò che si chiama concorrenza sleale e danno al funzionamento del libero mercato;
   è appena il caso di notare che l'articolo 53 della Costituzione impone a tutte le persone, fisiche e giuridiche – di partecipare al sostenimento della spesa pubblica. È questa la regola generale che ammette solo eccezioni precise e circostanziate: ogni forma di riduzione o esenzione del carico fiscale deve fondarsi su ragioni comprovate e condivise di interesse collettivo quali la promozione del consumo dei beni e servizi meritevoli come l'istruzione, la salute, e altro per citarne alcuni o di natura redistributiva;
   ne consegue l'esigenza di un duplice ordine di interventi da leggersi – secondo l'opinione di chi scrive – in senso lessicografico: la prima riguarda il sistema dei fini che governano lo sport dilettantistico, essendo evidente che senza un impegno ad innalzare i livelli di qualità della vita dei cittadini – soprattutto di quelli che non possono permettersi il costo individuale della pratica sportiva – non è ammissibile un sistema di detassazione che impone costi a carico dei contribuenti. Si dovrebbe, dunque, fornire una definizione di «sport sociale», con ciò intendendo lo sport che persegue obiettivi di lotta alla sedentarietà, all'obesità e ai cattivi stili di vita che causano malattia, dolore e spese a carico della sanità pubblica. Lo sport deve fungere da avamposto della lotta alle marginalità, al degrado sociale delle periferie, all'abbandono delle aree rurali e montane insegnando il rispetto delle regole ai giovani, aiutando malati, anziani, bambini e soprattutto le persone in difficoltà a ritrovare un consesso sociale inclusivo;
   non basta, peraltro, che l'ordinamento giuridico imponga simili finalità, ma è necessario, altresì, che ne esiga la concreta attuazione, in un'ottica di misurabilità e rendicontabilità delle prestazioni. L'Italia dispone di un ordinamento sportivo, retto dal CONI e amministrato da un sistema di federazioni, discipline associate ed enti di promozione riconosciuti che gestiscono il sistema del riconoscimento sportivo delle associazioni e società sportive dilettantistiche attraverso i meccanismi dell'affiliazione e della iscrizione nel registro Coni cui conseguono le prefate agevolazioni fiscali. Sarebbe dunque auspicabile che tale sistema, già esistente, venisse investito di adeguati compiti di verifica del conseguimento delle finalità istituzionali attraverso l'obbligo di controllo dei rendiconti dei bilanci sociali dei sodalizi il cui deposito periodico può essere imposto in formalità anche telematiche, a pena di radiazione dal registro CONI per i soggetti inadempienti, fatti salvi, beninteso, i legittimi diritti di opposizione e tutela giurisdizionale. Un simile intervento costituirebbe già di per sé una premialità per le organizzazioni impegnate veramente nella promozione sociale e un disincentivo alle speculazioni e agli artifizi;
   un secondo ordine di intervento riguarda la concreta operatività di un sistema di norme già esistente e sufficientemente pervasivo del quale tuttavia si ignora l'efficacia repressiva sulle condotte infedeli di quanti, nel mondo dello sport dilettantistico, utilizzano il quadro normativo di favore a beneficio del proprio tornaconto personale: il decreto legislativo 460 del 1997 impone una serie stringente di requisiti statutari per le associazioni (e società) sportive dilettantistiche che intendono beneficiare delle agevolazioni fiscali tra i quali il divieto di distribuzione anche indiretta degli utili. Sul punto, l'articolo 10, comma 6, del citato decreto considera, in ogni caso, distribuzione indiretta di utili o di avanzi di gestione:
    a) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l'organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell'organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, effettuate a condizioni più favorevoli in ragione della loro qualità. Sono fatti salvi, nel caso delle attività svolte nei settori di cui ai numeri 7) e 8) della lettera a) del comma 1, i vantaggi accordati a soci, associati o partecipanti ed ai soggetti che effettuano erogazioni liberali, e ai loro familiari, aventi significato puramente onorifico e valore economico modico;
     b) l'acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
    c) la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto-legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni;
    d) la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di 4 punti al tasso ufficiale di sconto;
    e) la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 per cento rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche;
   se la verifica del rispetto di talune delle sopracitate condizioni richiede l'accesso ispettivo presso la sede dell'associazione, ove è conservata la contabilità e la documentazione aziendale, ve ne sono altre – nella fattispecie quella sub c) relativa all'ammontare annuale degli emolumenti erogati agli amministratori che può essere facilmente rilevata, tramite il controllo delle certificazioni uniche, anche attraverso l'implementazione di poche modifiche ai vigenti modelli dichiarativi. Il compenso massimo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto-legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni ammonta ad euro 41.316,55 lordi annui e il superamento del predetto massimale costituisce una praesumptio iuris et de iure di distribuzione degli utili (si veda Ris. n. 38/E del 17 maggio 2010). Una simile verifica andrebbe estesa anche ai parenti entro il terzo grado ed agli affini delle persone che ricoprono cariche amministrative o che detengono quote del capitale sociale nelle società ed associazioni sportive dilettantistiche in quanto il summenzionato limite è sovente aggirato attraverso lo splitting delle somme in ambito familiare;
   per fronteggiare tali fenomeni elusivi ed evasivi, che drenano risorse altrimenti utilizzabili per la promozione del genuino fenomeno sportivo, servirebbe un controllo capillare del rispetto delle regole ma ciò richiederebbe l'investimento di consistenti risorse pubbliche, nell'attività di ispezione. In alternativa si potrebbe focalizzare l'attenzione su poche e mirate modifiche legislative funzionali ad escludere dall'iscrizione al registro del CONI – e quindi dal beneficio delle agevolazioni normative – quelle società ed associazioni che non organizzano attività sportiva con finalità di promozione sociale secondo i criteri da definirsi a cura del legislatore. L'intensificazione dei controlli automatici sulle certificazioni uniche dei soggetti che percepiscono emolumenti da parte dei sodalizi sportivi dilettantistici o altri sistemi equipollenti potrebbero disincentivare i comportamenti anomici da parte di chi intende utilizzare il sistema sportivo come uno strumento di distribuzione indiretta di utili, in frode ai principi legislativi enunciati –:
   se Governo possa quantificare, ad oggi, le società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali che beneficiano delle agevolazioni fiscali di cui in premessa, e quale sia la stima economica del presunto danno alle casse dello Stato generato dalla elusione ed evasione dei non aventi diritto;
   quali iniziative siano state intraprese fino ad oggi e quali siano in programma per fronteggiare il fenomeno descritto in premessa che continua a sottrarre risorse al reale settore terziario no profit arrecando, al contempo, il danno della concorrenza sleale alle sane attività commerciali di società sovente costrette a chiudere a causa della riduzione del portafoglio clienti. (5-09421)


   AGOSTINELLI, CECCONI e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Autostrada pedemontana lombarda opera in virtù di una concessione da parte del Ministero dei lavori pubblici in concerto con i Ministri del bilancio e del tesoro n. 1524 del 31 agosto 1990. L'avanzamento dei lavori è ostacolato da una serie di motivi e, in particolare, dagli extra costi passati nell'ultimo periodo da 1,7 miliardi di euro a 2,5 miliardi di euro e con crescenti contenziosi dovuti anche al fatto che i valori dei flussi di veicoli risultano di gran lunga inferiori a quanto previsto nella suddetta concessione, come si evince da numerosi articoli di stampa dai quali emerge che sulla realizzazione della Pedemontana lombarda sono in corso indagini della Guardia di finanza per un sospetto di corruzione;
   la società, dal 2015 al 2016 è stata presieduta dall'ingegner Massimo Sarmi, ex amministratore delegato di Poste Italiane s.p.a. e dal 14 luglio 2016, come si evince dal sito istituzionale della società, l'incarico di presidente è stato affidato all'avvocato Antonio di Pietro, ex magistrato e ex Ministro dei lavori pubblici;
   la nomina, ad avviso degli interroganti, è sorprendente in quanto lo stesso Di Pietro, nel periodo in cui è stato Ministro dei lavori pubblici, ha consentito di costituire i collegi arbitrali per i contenziosi riguardanti le concessioni dei piani di ricostruzione dei comuni di Ariano Irpino, Macerata e Ancona, nominando come arbitri di nomina ministeriali gli avvocati Domenico Condello e Ignazio Messina, entrambi esponenti del partito di Di Pietro di cui l'avvocato Messina è segretario nazionale;
   come già trattato in altri atti di sindacato ispettivo, ancora senza risposta, i lodi si sono conclusi con la condanna dello Stato a risarcire ben 250 milioni di euro al signor Edoardo Longarini per i lodi di Macerata e Ariano Irpino e 1,2 miliardi di euro per il lodo di Ancona: il lodo più alto in assoluto nella storia italiana. Appare agli interroganti assai discutibile che le persone hanno sostanzialmente danneggiato lo Stato trovino nuovi e considerevoli incarichi proprio nelle medesime materie in cui non hanno certamente brillato per lo Stato italiano;
   si ricorda peraltro che l'avvocato Di Pietro è beneficiario di pensione, come ex magistrato, e di vitalizio, come ex parlamentare –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti e se e quali iniziative di competenza intenda adottare per introdurre criteri più stringenti di trasparenza e professionalità delle nomine pubbliche, anche in considerazione della recente normativa relativa agli incarichi ai pensionati. (5-09423)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOGNATO, FOSSATI e SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina delle certificazioni o attestazioni mediche per le attività sportive agonistiche è attualmente regolata dal decreto ministeriale 18 febbraio 1982;
   tale regime viene anche applicato per quanto riguarda gli atleti di nazionalità estere che intendano partecipare agli eventi sportivi di carattere agonistico organizzati nel nostro Paese che prevedano una iscrizione individuale, indipendente dall'esser membri di rappresentative nazionali disposte dalle federazioni sportive dei Paesi di provenienza (in particolare, maratone, mezze maratone, gran fondo podistiche e ciclistiche);
   a tali atleti viene a tutt'oggi richiesto di esibire un certificato medico con lo stesso protocollo sanitario stabilito nella legge italiana, protocollo non riconosciuto all'estero e dunque non ottenibile;
   di conseguenza, si viene a configurare un conflitto tra le normative italiane e quelle dei Paesi di residenza degli atleti stranieri, i quali invece possono partecipare nel resto d'Europa a eventi di quei genere secondo le normative del proprio Paese;
   questa situazione sta penalizzando gli organizzatori di grandi eventi sportivi che non riescono ad essere concorrenziali con analoghe manifestazioni svolte all'estero, con il conseguente calo di partecipazione di stranieri partecipanti;
   gli organizzatori di eventi talvolta comunque richiedono agli iscritti stranieri una certificazione chiamata «health form» firmata da un medico del Paese di provenienza che attesti che la persona sia in grado di affrontare quello specifico tipo di evento;
   per gli eventi di carattere non agonistico la nota del Ministero della salute del 16 giugno 2015 ha esplicitamente affermato che gli obblighi sanitari valgono solo per i tesserati italiani –:
   quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, per eliminare le condizioni di oggettiva disparità degli stranieri in relazione alla partecipazione ad eventi sportivi ad iscrizione individuale che abbiano carattere agonistico organizzati nel nostro Paese;
   se un modello standard di « health form» definito e prodotto dal Ministero della salute, da rilasciare a cura di un medico del Paese di provenienza dell'atleta, possa rappresentare uno strumento valido ed esaustivo per assicurare la partecipazione degli atleti stranieri agli eventi organizzati sul territorio (4-14048)


   VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione Italiana dei ciechi (UICI), fondata a Genova il 26 ottobre 1920, eretta in ente morale con regio decreto 29 luglio 1923, n. 1789, è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), dotata di personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978. L'Unione è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, esercita le funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e dagli ipovedenti ad essa riconosciute con decreto-legge del Capo provvisorio dello Stato 26 settembre 1947, n. 1047 e confermate con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978;
   ai sensi del decreto-legge del Capo provvisorio dello Stato n. 1047, l'Unione «collabora con le competenti Amministrazioni dello Stato nello studio dei problemi della cecità e delle provvidenze a favore dei ciechi». Scopo dell'UICI è l'integrazione dei ciechi e degli ipovedenti nella società. A tal fine, promuove ed attua, anche mediante la creazione di apposite strutture operative, ogni iniziativa a favore dei ciechi e degli ipovedenti, in base a specifiche convenzioni con le pubbliche amministrazioni competenti o, relativamente a tipologie d'interventi non realizzate da queste, previa comunicazione alle medesime;
   il direttivo centrale di Roma dell'Unione italiana ciechi, in data 3 marzo 2016, ha commissariato la sua articolazione territoriale regionale che ha sede ed opera in Sicilia. Dalle motivazioni che si riscontrano dagli atti di adozione del provvedimento, emergono alcuni dubbi riguardo alla proporzione delle contestazioni sollevate e alla consistenza del provvedimento adottato;
   le stesse contestazioni sollevate, poi, ed il relativo deliberato di scioglimento del consiglio regionale siciliano dell'Unione italiana ciechi, suscitano preoccupazioni e dubbi circa le garanzie costituzionalmente riconosciute e tutelate e che sono volte ad assicurare il rispetto del principio della democrazia, della libertà e dell'autonomia, all'interno delle associazioni; esse fanno scorgere dubbi circa l'ipotesi di una vera e propria violazione del canone di correttezza e buona fede ex articolo 1375 codice civile che deve ispirare anche i rapporti sociali;
   il consiglio regionale siciliano dell'UICI è finanziato, in via ordinaria, con apposite previsioni di legge, dalla regione siciliana per l'espletamento di attività e servizi a sostegno dei bisogni dei ciechi e degli ipovedenti dell'isola ed un provvedimento di commissariamento, dunque, laddove non fosse pienamente conforme alla legge, rischierebbe di gettare ombre ed attivare procedure utili solo a compromettere e pregiudicare lo svolgimento di quelle fondamentali attività in favore di una categoria così sensibilmente debole e svantaggiata;
   il commissariamento, difatti, ha già gravemente minato la credibilità del consiglio regionale siciliano e dei componenti dell'organo commissariato ed incide sulla regolarità e l'efficacia dei rapporti quotidianamente intercorrenti con i soci nonché con le istituzioni politiche e amministrative regionali, rischiando di compromettere le importanti iniziative intraprese. I dubbi sulla legittimità del provvedimento, perciò, hanno inevitabilmente finito col provocare ferme denunce da parte di quanti lo hanno subito; denunce che si sono tradotte nella necessità di un ricorso giudiziario attualmente pendente davanti al foro competente di Roma;
   il consiglio regionale siciliano dell'UICI è stato promotore dell'istituzione della stamperia regionale braille per la produzione di materiale tiflotecnico, tiflodidattico e libri con caratteri ingranditi per ipovedenti e ogni altro materiale didattico, anche informatico, utile per l'inserimento scolastico e l'integrazione sociale dei minorati della vista. La stessa Unione regionale ha promosso la realizzazione del centro regionale Helen Keller per il recupero socio-lavorativo dei non vedenti e degli ipovedenti, mediante l'acquisizione delle tecniche di autosufficienza, autonomia personale, orientamento e mobilità in ambiente domestico, lavorativo interno ed esterno, anche attraverso l'uso del bastone bianco, con annessa scuola per cani guida per ciechi, allevamento, selezione ed addestramento dei cani guida, assegnazione del cane al non vedente ed educazione del non vedente all'utilizzo del cane guida. Numerose leggi regionali (si ricordano, tra le varie la legge regionale 7 agosto 1990 n. 28 e la legge regionale 30 aprile 2001, n. 4) sono state approvate per sostenere le iniziative del consiglio regionale dell'UICI. Le leggi finanziarie regionali, inoltre, stanziano ogni anno importanti contributi economici per finanziare le attività dell'Unione in ambito regionale;
   il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, così come modellato e poi approvato dal nuovo gruppo dirigente nazionale dell'associazione, ha cancellato del tutto la rappresentanza legale precedentemente assegnata a ciascuno dei presidenti provinciali e regionali dell'Unione italiana ciechi, prevedendo la concentrazione della stessa in capo al solo presidente nazionale. Tale previsione, decisamente accentratrice, ad avviso dell'interrogante, non solo è foriera di pregiudizi a scapito dell'autonomia patrimoniale e fiscale delle articolazioni locali dell'organizzazione, così come oggi tutelate dalla legge, ma rischia altresì di compromettere le prerogative e gli ambiti di interesse delle regioni autonome a statuto speciale e delle stesse regioni a statuto ordinario. Una condizione evidentemente pregiudizievole se si considera che l'eliminazione della rappresentanza legale dei presidenti regionali e provinciali del sodalizio pregiudica appunto l'opportunità di far ricorso ai sostegni finanziari ed ai contributi regionali, e ciò vale sia per le articolazioni regionali dell'organizzazione che già ne usufruiscono, sia per quelle che se ne potranno giovare –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, per quanto di competenza, il Governo intenda, predisporre un'attenta verifica del nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (attualmente depositato presso la prefettura di Roma ed al vaglio della stessa), al fine di limitare o, meglio, eliminare del tutto, il rischio che tale statuto possa contenere profili e caratteri anti-democratici tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e da compromettere nel contempo la struttura democratica dell'associazione. (4-14050)


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione n. 418 del 27 luglio 2016, avente ad oggetto «legge regionale 26 maggio 2016 n. 14 – aggiornamento piano straordinario di interventi per lo smaltimento delle ecoballe approvato con D.G.R. n. 828 del 23 dicembre 2015», nonché con la deliberazione n. 419 del 27 luglio 2016, avente ad oggetto «Adozione proposta di aggiornamento del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani ai sensi dei commi 2 e 6 dell'articolo 15 della Legge regionale 14/2016 ed avvio procedure di consultazione pubblica», la giunta regionale della Campania ha sostanzialmente modificato il piano regionale per la gestione dei rifiuti nonché ha modificato le sue intenzioni in ordine alle modalità con cui attuare lo smaltimento delle ecoballe presenti all'interno del territorio della regione;
   con le due deliberazioni di cui sopra viene stabilito che lo STIR di Giugliano non dovrà essere utilizzato per il trattamento delle ecoballe presenti da anni sul territorio campano, bensì dovrà essere utilizzato a servizio dell'ATO 2;
   viene altresì stabilito che è necessaria l'implementazione di due filiere di trattamento e precisamente:
    a) la prima finalizzata al recupero di materia in due impianti, per una potenzialità complessiva di trattamento di oltre 1.600.00 tonnellate;
    b) la seconda filiera di trattamento volta alla produzione di combustibile solido secondario in due impianti, da realizzarsi, rispettivamente, nell'area dello STIR di Caivano ed in un'area da identificare nelle zone limitrofe ai siti di stoccaggio principali per una potenzialità complessiva di circa 2.000.000 di tonnellate;
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 22 gennaio 2016 recante interventi straordinari per la regione Campania, prevede:
  «1. Al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 4 marzo 2010 (causa C-297/2008) e del 16 luglio 2015 (causa C-653/13), il Presidente della regione Campania predispone un piano straordinario d'interventi riguardanti:
   a) lo smaltimento, ove occorra anche attraverso la messa in sicurezza permanente in situ, dei rifiuti in deposito nei diversi siti della regione Campania risalenti al periodo emergenziale 2000/2009 e comunque non oltre il 31 dicembre 2009;
   b) la bonifica, la riqualificazione ambientale e il ripristino dello stato dei luoghi dei siti di cui alla lettera a) non interessati dalla messa in sicurezza permanente e l'eventuale restituzione delle aree attualmente detenute in locazione ovvero ad altro titolo.

  2. Il piano di cui al comma 1, comprensivo del cronoprogramma, è approvato, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dai competenti organi regionali e costituisce variante del vigente Piano regionale di gestione dei rifiuti. Il piano approvato è immediatamente trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e dell'economia e delle finanze per le valutazioni di competenza che sono rese entro 20 giorni dal ricevimento. Il Piano è successivamente inviato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla Commissione europea.
  3. Ai procedimenti per il rilascio dei provvedimenti autorizzatori, ove occorrenti per l'attuazione dei singoli interventi, si applicano le disposizioni in materia di conferenza di servizi e di termini di conclusione dei procedimenti di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 26 novembre 2010, n. 196, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 2011, n. 1.
  4. Ai fini del finanziamento del Piano di cui al comma 1, è istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per l'anno 2015, di cui 70 milioni sono immediatamente trasferiti alla Regione Campania per le finalità di cui al comma 7 e i restanti 80 milioni sono trasferiti al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri per essere successivamente trasferiti alla Regione Campania sulla base dell'attuazione del cronoprogramma come certificata dal Presidente della regione.
  5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di rendicontazione delle spese sostenute a carico delle risorse del Fondo di cui al comma 4.
  6. In caso di mancata approvazione del Piano entro il termine di cui al comma 2 ovvero di mancato rispetto del cronoprogramma dell'attività, si applica l'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Rimane impregiudicata ogni questione riguardante le sentenze di cui al comma 1.
  7. In via d'urgenza, anche nelle more dell'approvazione del piano di cui al comma 1, il Presidente della regione Campania predispone e attua, previa approvazione della Giunta regionale, un primo stralcio operativo d'interventi per lo smaltimento di una quota non superiore al trenta per cento dei rifiuti di cui al comma 1, lettera a), mediante rimozione, trasporto e smaltimento, nonché mediante recupero energetico, presso impianti nazionali ed esteri, nel rispetto della normativa nazionale ed europea. A tale scopo, la regione Campania è autorizzata, ove necessario, all'utilizzo diretto delle risorse del fondo nei limiti di cui al comma 4.
  8. Alle procedure di gara per l'attuazione degli interventi di cui al presente articolo si applica il Protocollo stipulato dall'Autorità nazionale Anticorruzione e dalla regione Campania»;
   una siffatta manovra determina, ad avviso degli interroganti, un cambio di rotta che avrà necessariamente ripercussioni sul cronoprogramma relativo agli interventi di rimozione delle ecoballe e, conseguentemente, rischia di avere forti ripercussioni con quanto stabilito dall'articolo 2 del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015 di cui sopra;
   un simile modus operandi della regione Campania, inoltre, secondo gli interroganti, mette in dubbio gli impegni assunti con il Governo per il reperimento dei fondi necessari agli interventi in tema di smaltimento delle ecoballe –:
   se il Governo, dopo le dette delibere della giunta regionale della Campania, intenda dare continuità all'erogazione dei fondi destinati allo smaltimento delle ecoballe, anche in considerazione del fatto che il cronoprogramma di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015, ad avviso degli interroganti, subirà delle ripercussioni;
   quali garanzie possa dare il Governo in ordine alla continuità dell'erogazione di fondi statali finalizzati allo smaltimento delle ecoballe site nel territorio della regione Campania. (4-14052)


   ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014,  cosiddetto «Sblocca Italia», ha previsto all'articolo 35, comma 1, l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione a livello nazionale della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati, degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati e l'individuazione di ulteriori impianti di incenerimento da realizzare, per coprire il fabbisogno residuo del territorio nazionale;
   la Conferenza permanente per i rapporti Stato, regioni e province autonome il 4 febbraio 2016 ha reso a maggioranza, con espressione contraria di Lombardia e Campania, il parere sullo schema del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare recante «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani ed assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale»;
   nell'elenco degli impianti d'incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani ed assimilati a potenziare per coprire il fabbisogno residuo nazionale di trattamento dei rifiuti, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto, come riportato nella tabella C dell'articolo 5, risulta nella regione Lazio l'individuazione di un impianto da realizzare di capacità pari a 210.000 t/a;
   nel giugno 2012 è stato presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il piano per Roma contenente le linee guida atte a garantire sostenibilità e valorizzazione economica legate alla gestione dei rifiuti del comune di Roma, attraverso la riorganizzazione e il potenziamento della raccolta differenziata, del domiciliare/condominiale porta a porta e lo sfruttamento degli impianti di TMB della regione Lazio, perseguendo l'obiettivo prioritario del 65 per cento entro il 2016 di raccolta differenziata, valore che deve essere verificato attraverso l'effettivo riciclo/recupero di materiale (compost, carta, alluminio, plastica vetro e altro) con conseguente netta riduzione della frazione secca da trattare;
   il decreto legislativo n. 205 del 2010, all'articolo 4, che modifica l'articolo 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 6, specifica che le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo; il riciclo o ogni altra operazione di recupero di materia, sono adottate con priorità rispetto dall'uso dei rifiuti come fonte di energia;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ribadendo la necessità di nuovi impianti di incenerimento, conferma una politica di gestione dei rifiuti che non trova fondamento in alcuna direttiva comunitaria ed, anzi, si pone in netto contrasto con la strategia dell'Unione europea che nell'ambito della cosiddetta gerarchia dei rifiuti conferma la prevenzione, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio di materiali quale priorità rispetto alla valorizzazione energetica, quale sistema residuale di trattamento;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rispondere a una interrogazione a risposta immediata alla Camera il 3 agosto 2016, ha affermato che «(...) all'articolo 35 dello Sblocca Italia individua, nell'ambito della rete nazionale di termovalorizzatori, la necessità per la Regione Lazio di dotarsi di un impianto da 210 mila tonnellate, oltre che di costruire impianti di trattamento necessari a rispondere a un fabbisogno residuo di compostaggio che ammonta a circa 500 mila tonnellate/anno»;
   nella stessa risposta il Ministro ha quindi aggiunto «....chiedo al sindaco Raggi e al Presidente Zingaretti di usarlo e di non farsi condizionare dalla nota contrapposizione ideologica su quella norma che equivarrebbe a rassegnarsi a un'emergenza continua», confermando così la sua predilezione, quale strumento centrale per la gestione dei rifiuti, per la realizzazione di impianti di incenerimento;
   da quanto si apprende da organi di stampa in una recente seduta del consiglio regionale del Lazio il Governatore Nicola Zingaretti avrebbe affermato esplicitamente come «...seguendo l’iter della competenza regionale di pianificazione, sulla base del fabbisogno e della raccolta differenziata e dell'impiantistica confermo che non si reputa necessaria l'apertura di una procedura per un nuovo termovalorizzatore»;
   le citate affermazioni del Ministro sembrerebbero voler indirizzare con decisione gli enti territoriali competenti in materia di pianificazione e gestione del ciclo dei rifiuti alla realizzazione di un nuovo impianto d'incenerimento, nonostante più volte sia stato dimostrato da parte della regione Lazio che l'autosufficienza già garantita dall'attuale capacità di trattamento degli impianti in esercizio; quanto affermato sembrerebbe poco corrispondente agli interessi dei cittadini e della città di Roma e tale da poter favorire la «lobby dell'incenerimento» –:
   come si giustifichi l'individuazione dell'impianto d'incremento con recupero energetico di rifiuti urbani previsto dallo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, avente per la regione Lazio per una capacità di trattamento pari a 210.000 t/a, con il fabbisogno risultante dalla programmazione operata dalla medesima regione Lazio, e se non intenda escludere categoricamente l'ipotesi di assumere iniziative volte a pervenire al commissariamento in relazione all'emergenza rifiuti a Roma e nel Lazio. (4-14065)


   RUSSO e SARRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione»;
   in particolare, l'articolo 1, comma 1, della legge regionale sopra citata, nel modificare l'articolo 18-bis della legge regionale n. 32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, abroga il comma 5 e sostituisce il comma 6 del medesimo articolo 18-bis;
   i commi 5 e 6 dell'articolo 18-bis sopra citato prevedevano per la nomina dei direttori generali delle asl, una doppia selezione: la prima, ad opera di una commissione di esperti, volta alla formazione di un elenco regionale di idonei al conferimento degli incarichi di direttore generale; la seconda, avviata con apposito avviso pubblico rivolto esclusivamente agli iscritti negli elenchi, ad opera di un'altra commissione di esperti, volta a proporre al presidente della regione ed alla giunta una rosa di cinque candidati con i migliori punteggi;
   le disposizioni previste nella legge della regione Campania 8 giugno 2016, n. 15, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 si pongono a giudizio degli interroganti in evidente contrasto con la legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia) che, all'articolo 11, prevede una delega al Governo in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici ufficiali e specificatamente, alla lettera p), anche con riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario e di direttore dei servizi sociosanitari;
   il legislatore ha previsto che il decreto di delega dovrà prevedere, quale principio in materia di tutela della salute ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, una «selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni»;
   il 19 luglio 2016 la commissione affari sociali (XII) della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, (305) sul quale si sono espressi la Conferenza delle regioni e delle province autonome nonché il Consiglio di Stato;
   nel testo dello schema di decreto e in entrambi pareri resi dalle citate istituzioni si conferma la necessità di mantenere un meccanismo di nomina che, da un lato, preveda la formazione di un elenco, in questo caso nazionale, dal quale le regioni devono attingere e dall'altro, una procedura selettiva per titoli e colloquio, previo avviso pubblico dell'incarico da ricoprire, volte a determinare una rosa (rectius «tema») di nominativi tra i quali il presidente della regione individua il candidato più idoneo; nella terna proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte, presso la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del servizio sanitario nazionale;
   è dunque evidente secondo gli interroganti, che la legge regionale in questione si pone in netto contrasto con la normativa nazionale vigente violando l'articolo 117 della Costituzione, soprattutto nella parte in cui non prevede un'adeguata selezione da attuarsi per il tramite di un sistema cosiddetto bifasico come già presente nel vigente articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   il sistema di nomina dei direttori generali come stabilito dalla legge regionale 8 giugno 2016, n. 15, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale che ha censurato ogni norma contrastante con il sistema di stabilità gestionale e di indipendenza funzionale del direttore generale (Corte costituzionale n. 104 del 19 marzo 2007; Corte costituzionale 5 febbraio 2010, n. 34);
   il Ministero della salute con nota del 6 luglio 2016 ha ritenuto che le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 1, della legge regionale Campania n. 15 del 2016 possano essere censurate per la violazione del «principio di ragionevolezza», laddove sopprimono le procedure per la nomina dei direttori generali delle asl e ripristinano procedure che, pur compatibili formalmente con quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, operano una reformatio in peius rispetto alla garanzia di trasparenza ed imparzialità che il legislatore ha inteso assicurare con la riforma operata con la legge n. 124 del 2015, al fine di garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa;
   nonostante le evidenti criticità sopra riportate, il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, durante le sedute di giunta del 13 e 20 luglio 2016 ha provveduto, sulla base della legge regionale n. 15 del 2016, alla nomina dei direttori generali dell'asl Napoli 1, Napoli 2 e Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'asl di Caserta e dell'asl di Salerno;
   il 28 luglio 2016 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia e del Ministro interrogato, ha approvato, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria;
   nello specifico il decreto istituisce presso il Ministero della salute un elenco nazionale di quanti hanno i requisiti per la nomina a direttore generale delle aziende sanitarie italiane. L'elenco sarà stilato da una Commissione istituita presso il Ministero della salute e composta da 5 esperti che parteciperanno a titolo gratuito. Il direttore generale dovrà essere scelto all'interno di una rosa individuata da una commissione regionale tra gli iscritti all'albo nazionale in possesso di comprovati requisiti di merito. L'operato del direttore generale è sottoposto a valutazione e, in caso di gravi motivi o di una gestione che presenta un disavanzo importante, entro 30 giorni dall'avvio del procedimento, la regione provvede alla sostituzione. Il testo recepisce le indicazioni dei pareri parlamentari e tiene conto delle osservazioni della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato;
   nella stessa sede, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n. 15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta possa nominare direttamente il direttore generale e sopprime il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali –:
   se il Governo non intenda chiarire le motivazioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n. 15 del 2016, nonostante l'evidente violazione del principio di ragionevolezza rilevato dal Ministero della salute. (4-14076)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA, PORTA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
    con decreto del Ministro degli affari esteri pro tempore Massimo D'Alema, in adempimento dell'articolo 2, comma 70, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è stato istituito nel 2008 il museo dell'emigrazione italiana, inaugurato a Roma nell'ottobre del 2009 e temporaneamente ospitato presso il Vittoriano, in vista della ricorrenza del 150o anniversario dell'Unità d'Italia;
   il museo è nato come struttura permanente del Ministero degli affari esteri, che ha provveduto a realizzarlo e a curarlo, d'intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, che a sua volta ha nominato il direttore di concerto con il Ministero degli affari esteri e delle cooperazioni internazionale;
   il museo ha prolungato con alterne vicende, dovute in particolare alla diminuzione e poi all'assenza di specifici finanziamenti, la sua attività fino all'autunno del 2015, allorché il Ministro dei beni e delle attività culturali ha annunciato la conclusione della fase di temporanea ospitalità presso il Vittoriano e l'apertura di una fase di concertazione tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il comune di Genova, la locale università, la fondazione del museo del mare e la regione Liguria, volta al trasferimento del museo dell'emigrazione nel capoluogo ligure e all'incorporazione di esso nell'esistente museo dell'emigrazione del MuMa;
   alla fine di luglio 2016, su autorevoli organi di stampa nazionali, si è denunciato un imbarazzante inquinamento del sito online del museo, restato in funzione anche dopo la chiusura dell'istituzione a Roma, da parte di siti pornografici, nonostante che il primo firmatario del presente atto, su sollecitazione di un visitatore australiano, avesse segnalato fin dal 23 marzo 2016 al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e quest'ultimo, in seguito, al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale la sgradevole situazione;
   quanto evidenziato dai media, tuttavia, non corrisponde precisamente a quanto accaduto. Infatti, così come già segnalato dagli interroganti, ci sembra che si trovi dinanzi a un caso di Domain Grabbing (accaparramento di nomi di dominio) che coinvolge il dominio museonazionaleemigrazione.it, che, a quanto consti all'interrogante, sarebbe stato acquistato nel novembre del 2015 e intestato ad un non meglio identificato soggetto. Associato al dominio vi era un sito web dove, nascosti tra le righe di quelli che sembravano articoli seri, erano state inserite parole chiave che facevano preciso riferimento e reindirizzavano a siti e contenuti pornografici;
   negli approfondimenti culturali e scientifici fatti con esperti e studiosi di migrazioni in vista dell'istituzione del museo, si era delineato un profilo scientifico dell'istituzione orientato a inserire la vicenda emigratoria italiana nel quadro delle migrazioni contemporanee; a collegare l'esperienza dell'esodo degli italiani con l'acquisizione da parte del nostro Paese di una condizione di terra di approdo per milioni di migranti; a superare un taglio tradizionalmente espositivo a favore di un sistema a rete, sostenuto da un ampio ricorso alla multimedialità, allo scopo di valorizzare il grande patrimonio di conoscenze e rappresentazioni presente tanto nei musei sia nei centri di ricerca specializzati italiani, che nelle più importanti istituzioni museali internazionali; a dare il giusto risalto al grande esodo meridionale, alla più recente emigrazione in Europa e alle forme di mobilità che si stanno sviluppando negli ultimi anni;
   la mancanza di chiarezza sulla possibilità di fare del museo nazionale l'asse di raccordo di una rete inclusiva delle molteplici esperienze sviluppatesi a livello territoriale nel corso di un secolo e mezzo di emigrazione italiana, esperienze che già trovano una convincente espressione in musei da tempo esistenti, in Italia e all'estero, e in centri di ricerca specializzati, può fare insorgere incomprensioni e fraintendimenti, che si sono per altro già manifestati, sulla capacità del museo di dar conto del carattere complesso e poliedrico sia dell'emigrazione che dell'immigrazione che hanno caratterizzato e continuano a contrassegnare la società italiana –:
   se e quali iniziative siano state intraprese per garantire la tutela del nome di dominio del museo dell'emigrazione ma anche di eventuali altri nomi di dominio simili, come ad esempio museonazionaleemigrazioneitaliana.it museoemigrazioneitaliana.it che sono al momento liberi;
   se si abbia intenzione di assumere iniziative per aprire presso il NIC (Network Information Center per l'Italia) una procedura di opposizione che permetta la riassegnazione del dominio;
   se e quando, una volta riassegnato il dominio, si intendano porre in atto le dovute iniziative di competenza affinché i motori di ricerca restituiscano quali risultati i corretti riferimenti istituzionali;
   se e in quale modo, all'atto della predisposizione del nuovo progetto scientifico del museo nazionale dell'emigrazione, si intenda salvaguardare l'esigenza di rispondere alla primitiva impostazione del museo, caratterizzandolo come luogo di rappresentazione del Paese sia sul versante dell'esodo e delle nuove mobilità che su quello dell'approdo e dell'accoglienza, nonché come rete di connessione e di valorizzazione delle altre istituzioni museali esistenti. (4-14071)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   numerosi cittadini e diversi organi di informazione hanno riportato immagini inequivocabili sui lavori in corso nel comune di Villavallelonga (L'Aquila) nell'alta Vallelonga sulla strada che porta ai Prati d'Angro – Fontana dell'Aceretta, con l'asfaltatura, all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo, di circa 3 chilometri di strada precedentemente sterrata (tratti località Ciafassa – Valle Cervara e valle Cervara – Fontana dell'Aceretta);
   in parte il territorio interessato dai lavori è all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e della relativa zona di protezione speciale, codice IT7120132, «Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise»;
   l'intero percorso della strada in questione ricade all'interno del sito di interesse comunitario, codice IT7110205 «Parco nazionale d'Abruzzo»;
   i lavori, dell'importo di almeno 411.000 euro, consistono sostanzialmente nell'asfaltatura della strada e in alcuni limitati lavori di posa di gabbionate;
   risulta che l'ente Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise abbia concesso il 30 gennaio 2015 il proprio nulla osta, nonostante non fosse stato redatto dal proponente, il comune di Villavallelonga, l'obbligatorio studio di incidenza ambientale; nello stesso nulla osta si chiede di depositare lo studio di incidenza ambientale successivamente nonostante sia noto che tale procedura deve essere svolta preventivamente rispetto alle autorizzazioni, in particolare quelle ambientali, come chiarito dalla Commissione europea nelle Linee guida La gestione dei siti della Rete Natura2000. Guida all'Interpretazione  dell'Articolo 6 della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE»,  pagina 38;
   peraltro si evidenzia che l'ente parco ha richiesto il deposito dello studio di incidenza ambientale e non già l'espletamento della valutazione di incidenza ambientale;
   la Corte costituzionale con la sentenza n. 117/2015 e la Suprema Corte di Cassazione, sezione III, con la sentenza n. 9308/2011 hanno chiarito il carattere preventivo della valutazione di incidenza ambientale;
   nell'istruttoria tecnica dell'ente parco del 12 gennaio 2016 a firma Cinzia Sulli e Carmelo Gentile, oltre ad evidenziare numerosi impatti negativi dell'intervento, si rilevano importanti problematiche di rappresentazione ed intelligibilità del progetto; inoltre, si sostiene che nel piano di assestamento forestale del comune di Villavallelonga sarebbe prevista per la strada oggetto dell'intervento solo la manutenzione ordinaria, peraltro su un tratto più breve dei 10 chilometri autorizzati (la metà);
   appare evidente per gli interroganti un difetto di istruttoria in quanto il direttore dell'ente parco ha rilasciato il nulla osta positivo senza aver chiarito le criticità segnalate in istruttoria sull'esatta collocazione degli interventi e senza un preventivo chiarimento dei dati tecnici su cui vi erano dubbi, come ad esempio gli aspetti relativi al piano di assestamento forestale citato, visto che qui ci troviamo di fronte ad un progetto che è da considerarsi in buona parte come intervento ex novo;
   nel nulla osta del 30 gennaio 2015, nonostante in istruttoria fosse stato evidenziato adeguatamente l'aggravio di rischio di investimento per la fauna selvatica e in particolare per l'Orso bruno marsicano (Ursus arctos) derivante dai lavori di asfaltatura, l'ente parco autorizza la posa dell'asfalto per tutta la lunghezza della strada fino alla Fonte dell'Aceretta e lo svolgimento dei lavori dal 1o luglio in poi; addirittura gli istruttori sentono di dover mettere agli atti che è un paradosso che per la tutela della fauna si impongano limiti e vincoli su arterie primarie e dall'altro lato si promuove l'asfaltatura di un asse di penetrazione ai pascoli in un'area fondamentale per l'orso bruno;
   nel nulla osta del gennaio 2015 si consente l'accesso tra Madonna della Lanna, limite del parco e vallone Ciafassa, all'interno del parco, a tutti di giorno e si prevede solo un divieto notturno ai non autorizzati senza però prevedere alcuna sbarra; invece si impone una sbarra per la chiusura notturna della strada da località Ciafassa verso monte, con accesso, non distinto in diurno o notturno, consentito solo agli aventi diritto; pertanto, in quest'ultimo caso, la sbarra dovrebbe rimanere aperta di giorno per un accesso ai soli aventi diritto prevedendo, quindi, un servizio quotidiano di apertura all'alba e al tramonto, mediante intervento diretto di addetti per tutto l'anno oppure, evidentemente, telecontrollo;
   si evidenzia che, oltre ai lavori all'interno del territorio del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, tra Madonna della Lanna e Fontana dell'Aceretta, sono previsti lavori di ripristino anche nel tratto esterno al Parco tra Villavallelonga a Madonna della Lanna per diversi chilometri, tutti all'interno del sito di interesse comunitario in un'area fortemente utilizzata dall'orso bruno e dal lupo (Canis lupus) e in cui la strada si sviluppa sostanzialmente in rettilineo tra aree aperte con filari e siepi e tratti boscati; per questa parte del tracciato non vi è alcun riferimento specifico a misure di mitigazione del rischio di investimento della fauna nel nulla osta del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, se non un richiamo del tutto generico e privo di riferimenti tecnici progettuali ad interventi volti a garantire la presenza di corridoi e passaggi per la fauna;
   successivamente al rilascio del nulla osta diverse associazioni ambientaliste hanno sollevato fortissimi criticità, sia di metodo rispetto alla legittimità del provvedimento dell'ente parco, che di merito rispetto alla gravità di autorizzare l'asfaltatura ex novo di una strada sterrata tra località Ciafassa e località Fone dell'Aceretta;
   il direttore dell'ente Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, in risposta alle preoccupazioni sollevate dalle associazioni aveva assicurato che la procedura di valutazione di incidenza ambientale sarebbe stata pubblicizzata dall'ente parco onde assicurare la fase di partecipazione; ricordiamo che la stessa Commissione europea, nella procedura Pilot 6730/14/ENVI sulla valutazione di incidenza ambientale ha evidenziato l'obbligo per lo stato membro di assicurare adeguate forme di trasparenza e partecipazione a tali procedure; tra l'altro l'articolo 6 della Convenzione di Aarhus e le relative linee guida sull'applicazione della Convenzione, chiariscono che qualsiasi progetto che possa avere un potenziale impatto sull'ambiente, ivi compresi progetti non sottoposti a valutazione di impatto ambientale, deve avere una fase in cui il pubblico interessato possa esprimere osservazioni sulla documentazione;
   ad oggi non risulta dagli interroganti che il proponente o l'ente parco abbiano pubblicato la documentazione relativa allo studio di incidenza né gli atti finali (pareri e atto conclusivo di valutazione di incidenza ambientale);
   in ogni caso il comune di Villavallelonga deposita presso l'ente parco a fine maggio 2016 lo studio di incidenza ambientale redatto dall'ingegnere Antonio Capassi. Nello studio di incidenza il redattore non solo omette del tutto di prendere in considerazione tre specie di uccelli particolarmente protette a livello comunitario segnalate come nidificanti nell'area (Calandro Anthus campestris, Tottavilla Lullula arborea e Averla piccola Lanius collurio) ma per tutte le specie, senza citare alcun dato o pubblicazione e in maniera del tutto autoreferenziale, considera l'intervento come avente impatto «nullo», escludendo quindi effetti negativi su sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale. La stessa localizzazione degli interventi è presentata in maniera del tutto fuorviante. A pagina 52 si scrive testualmente «Si tratta comunque di interventi in parte esterni al sito di interesse comunitario». A pagina 53 dello studio il redattore sostiene che «Gli ambiti di progetto, tutti localizzati esternamente ai Siti, non comportano la frammentazione diretta dei siti stessi». Ora, è pacifico, consultando la cartografia ufficiale del sito di interesse comunitario attraverso il portale cartografico nazionale, che è vero l'esatto opposto, a giudizio degli interroganti, e, cioè, che la stragrande parte dell'intervento, 9.600 m. su 10.000 m. si situa internamente al sito di interesse comunitario, Codice IT7110205 «Parco nazionale d'Abruzzo»; l'unica parte che risulta esclusa è quella immediatamente a ridosso del centro abitato di Villavallelonga da largo Crocicchia al parcheggio del Cimitero;
   nonostante quelle che appaiono agli interroganti evidenti anomalie ed omissioni dello studio di incidenza ambientale, l'ente parco risulta aver rilasciato il 29 giugno 2016 il proprio parere di competenza in senso favorevole, atto che si discosta in diversi punti dal nulla osta rilasciato a gennaio 2015. Il parere è favorevole nonostante nella parte delle premesse l'ente parco giunge a conclusioni sostanzialmente diverse rispetto all'estensore dello studio di incidenza ambientale per l'impatto sull'orso bruno marsicano, sul lupo appenninico e sul picchio dorsobianco. Secondo il direttore dell'ente parco queste specie, a seguito dell'intervento così come presentato dal comune di Villavallelonga, potrebbero addirittura abbandonare l'area a causa della continua perturbazione dell’habitat. Le altre specie di avifauna di prateria protette dalla normativa comunitaria presenti, Calandro, Tottavilla e Averla piccola, non vengono nominate neanche dal direttore del parco nonostante cui l'esistenza del piano della zona di protezione speciale in cui per l'Alta Vallelonga lo studio specialistico sull'avifauna allegato al piano abbia rilevato tramite ben 12 rilievi di campo un'alta frequenza delle tre specie citate;
   a questo punto è opportuno evidenziare che l'orso bruno marsicano è specie prioritaria e che l'articolo 6, comma 4, della direttiva 43/92/CEE «Habitat» prevede che se si giunge a conclusioni negative – e quelle del direttore lo sono nei fatti – l'eventuale parere favorevole può essere concesso esclusivamente adducendo «considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.»;
   in ogni caso il direttore dell'ente parco nel parere favorevole sullo studio di incidenza ambientale introduce una serie di prescrizioni: si richiede di non procedere più con l'asfaltatura nel tratto finale verso monte tra l'incrocio con il vallone Cervara e la Fontana dell'Aceretta; in secondo luogo, prevede una seconda sbarra in località Madonna della Lanna per la chiusura notturna della strada, mentre l'accesso da quel punto verso monte sarà consentito solo agli aventi diritto. Con il combinato disposto dei due provvedimenti, si avrebbero quindi due sbarre, entrambe chiuse di notte, la prima (Madonna della Lanna) più a valle posta al confine del parco con accesso diurno consentito agli autorizzati, l'altra (Ciafassa), più a monte, avente le stesse prescrizioni di accesso. Per il tratto esterno al parco ma interno al sito di interesse comunitario (Villavallelonga – Madonna della Lanna) non è prevista alcuna misura di mitigazione del rischio di investimento della fauna;
   nel parere sullo studio di incidenza ambientale si pongono due ulteriori prescrizioni. La prima è relativa all'adozione di un regolamento di accesso concordato con l'ente parco; la seconda riguarda l'adozione di un protocollo d'intesa per la gestione naturalistica e turistica dell'intera valle. Ad oggi, tali documenti non risultano agli atti;
   pertanto l'ente parco, con nulla osta e il parere sulla valutazione di incidenza ambientale, a parte le questioni sulla consistenza giuridica di quest'ultimo, risulta essersi espresso favorevolmente sull'asfaltatura ex novo del tratto di strada sterrata tra località Ciafassa e località Fonte dell'Aceretta, nonostante allo stesso tempo ne richieda la chiusura al traffico ordinario;
   il giorno stesso del rilascio del parere sullo studio di incidenza ambientale da parte del direttore dell'ente parco, secondo quanto riportato nell'ordinanza sindacale del comune di Villavallelonga n. 18/2016 del 1o luglio 2016, il geometra Loredana Ranalletta, direttore dei lavori, segnalava al sindaco la necessità di chiudere l'accesso alle auto nella valle per permettere lo svolgimento dei lavori a partire dal 4 luglio 2016;
   le associazioni, prima verbalmente e poi con note ufficiali del 10 giugno 2016 (stazione ornitologica abruzzese), provvedevano a sollevare fortissime critiche all'operato del Parco anche presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiedendo di evitare l'intervento in quanto autorizzato in pieno periodo riproduttivo dell'avifauna protetta dalla Direttiva 147/2009/CE e, in particolare, di tre specie di passeriformi: Averla piccola, Calandro e Tottavilla. La stazione ornitologica abruzzese faceva notare che lo studio di incidenza era stato redatto da un ingegnere privo delle conoscenze naturalistiche adeguate, tanto che erano omessi i dati in possesso dell'ente parco, prodotti proprio per la redazione del piano di gestione della zona di protezione speciale, circa la presenza nell'area con elevate densità delle già ricordate specie protette. Il mese di luglio è caratterizzato per queste specie da un'attiva fase di nidificazione che può risultare negativamente influenzata dal disturbo di lavori quali quelli in corso nella valle;
   nel frattempo, i lavori sono partiti proprio da monte, località Aceretta, asfaltando alcuni chilometri di strada a scendere. Secondo quanto riportato nell'ordinanza dell'ente parco n. 3/2016 del 13 luglio 2016 le guardie del parco già l'11 luglio 2016 avevano rilevato che erano in corso i lavori propedeutici per la stesa dall'asfalto proprio nel tratto, Vallone Cervara-Fontana Aceretta in cui secondo il parere sullo studio di incidenza ambientale dell'ente parco avrebbero dovuto evitare l'asfaltatura;
   invece di bloccare immediatamente i lavori l'11 luglio 2016 non appena ravvisata l'inosservanza del parere dai guardiaparco, come risulta dalla successiva ordinanza di blocco dei lavori parziale, l'ente parco provvedeva ad inviare una diffida al comune di Villavallelonga che evidentemente non serviva allo scopo in quanto i lavori il 13 luglio risultavano praticamente terminati nel tratto in questione con l'asfaltatura con bitume di color nero, come testimoniamo numerose fotografie divulgate dalle associazioni;
   il 13 luglio le associazioni avvertivano prima verbalmente il coordinamento territoriale per l'ambiente del CFS del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e poi inviavano dettagliati esposti. Seguiva l'ordinanza di blocco parziale dei lavori nel tratto Fontana Aceretta - Valle Cervara da parte dell'ente parco. Nel rimanente tratto Ciafassa-Valle Cervara, della lunghezza di circa 1,5 chilometri, i lavori autorizzati dall'ente parco sono proseguiti e sono praticamente terminati;
   il giorno 20 luglio 2016 l'ente parco emanava un'ordinanza di ripristino dei luoghi esclusivamente per il tratto vallone Cervara-Fonte dell'Aceretta, per circa 1,5 chilometri;
   solo il sabato 23 luglio, a ben 13 giorni dalla lettera di allarme della stazione ornitologica abruzzese e a 12 giorni dalla prima segnalazione proveniente dai guardiaparco circa l'inosservanza delle prescrizioni contenute nel parere per la valutazione di incidenza ambientale, si poneva sotto sequestro esclusivamente il tratto finale Valle Cervara-Ciafassa, dove i lavori erano praticamente terminati; come detto sul resto della strada, anche sul tratto Ciafassa-Valle Cervara precedentemente sterrato i lavori di asfaltatura sono stati portati a termine;
   la Commissione Europea, nell'ambito della procedura Pilot, già ricordata ha stigmatizzato vari aspetti delle procedure di valutazione di incidenza ambientale in Italia: l'affidamento della competenza a comuni che non hanno le capacità tecniche; la mancanza di trasparenza e pubblicità; l'affidamento della stesura degli studi di incidenza ambientale a tecnici privi di adeguate professionalità in campo naturalistico; il mancato utilizzo di conoscenze esistenti sia nella fase di redazione che nella fase di valutazione. Tutte criticità che appaiono evidenti anche nel caso in esame, in considerazione che la legislazione della regione Abruzzo affida ai comuni la competenza per la valutazione di incidenza ambientale per numerose categorie di opere anche dentro i Parchi nazionali;
   l'attuale legislazione nazionale, in combinato disposto con le norme della regione Abruzzo, determinano quindi il paradosso che gli atti di un piccolo comune di 900 abitanti, privo di adeguati apparati tecnici nel settore naturalistico, possano essere sovraordinati – e stiamo parlando di tutela e gestione di specie ed habitat di interesse comunitario – rispetto al parere di un ente nazionale quale il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, visto che tale parere è di tipo obbligatorio ma non vincolante, fermo restando l'obbligo da parte del comune di controdedurre adeguatamente;
   il Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano prevede tra le azioni dà intraprendere per la tutela della popolazione appenninica di Orso bruno marsicano la chiusura delle strade ai non autorizzati che servono foreste e pascoli; tale misura è prevista anche dalla legge regionale della regione Abruzzo n. 3/2014, articoli 37 e 45;
   il Parco d'Abruzzo, sulla base di questa norma e del Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano, l'8 maggio 2015 in una lettera a firma del suo presidente, dottor Antonio Carrara inviata a diversi comuni, tra cui Villavallelonga, evidenziava che la necessità di chiudere al traffico ordinario della strada sterrata dei Prati d'Angro, insieme ad altre strade elencate con precisione; tale nota era inequivocabile, anche nel definire «sterrata» la strada oggetto della presente interrogazione. Il presidente Carrara evidenziava la necessità di apporre una sbarra consentendo l'accesso ai soli aventi diritto, come d'altro lato prescrive la legge regionale 3 del 2014. Il presidente Carrara, nella parte finale della nota, chiariva ai comuni che per la tutela dell'orso bruno queste misure erano importantissime, richiamando anche l'applicazione del Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano sul quale c'erano ritardi proprio nell'adozione dei provvedimenti per la chiusura delle strade. Ricordiamo che il direttore del Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano in questi ultimi mesi ha ripetutamente risposto alle associazioni, anche con una missiva diretta anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; sostenendo che la strada fosse già asfaltata e che si trattava di semplice manutenzione;
   a riprova che sia il tratto Ciafassa-Valle Cervara, che quello Valle Cervara-Fonte dell'Aceretta fossero entrambi sterrati precedentemente all'intervento le associazioni ambientaliste e gli organi di informazione hanno divulgato foto inequivocabili antecedenti all'intervento di asfaltatura;
   negli atti amministrativi di questa vicenda quali il nulla osta del gennaio 2015 del Pnalm, il parere sullo studio di incidenza ambientale del Pnalm, la relazione di compatibilità paesaggistica redatta dal comune di Villavallelonga, la relazione tecnica sul progetto redatta dal comune di Villavallelonga, lo studio di incidenza ambientale del comune, l'intervento viene presentato come mero ripristino di una strada già asfaltata; addirittura nella relazione paesaggistica quando si descrive lo «stato attuale dell'opera», al momento della progettazione il comune scrive trattarsi di strada asfaltata;
   nell'ultima relazione disponibile del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sull'applicazione del Patom, quella relativa al secondo semestre 2015 – punto 11, per quanto riguarda la chiusura delle strade, si fa riferimento all'individuazione di 20 strade da chiudere secondo la legge n. 3 del 2014; considerata la coincidenza dei numeri, probabilmente ci si riferisce alla già ricordata nota dell'ente parco tra cui proprio la strada in questione dei Prati d'Angro;
   attraverso il progetto Life Arctos la Commissione europea ha finanziato l'apposizione di diverse sbarre finalizzate a limitare l'accesso incontrollato degli automezzi su strade e piste forestali;
   la legge n. 3 del 2014 non prevede una differenziazione di chiusura di tipo temporale (diurna/notturna), ma semplicemente la chiusura al traffico ordinario;
   il comune di Villavallelonga ha inserito nel programma triennale delle opere pubbliche 2014-2016 la realizzazione di un impianto di risalita di arroccamento per raggiungere gli impianti di Pescasseroli dal proprio territorio, partendo proprio da Fonte dell'Aceretta;
   il consiglio direttivo dell'ente parco d'Abruzzo il 27 luglio 2016, convocato in seduta straordinaria, ha deliberato una serie di iniziative per far fronte alle criticità che l'intervento ha sollevato; tali decisioni non appaiono, però agli interroganti, pienamente incisive e chiare per rivalutare le scelte adottate dalle strutture tecniche dell'ente rispetto all'asfaltatura ex novo del tratto Ciafassa-Valle Cervara, nonostante le evidenti discrasie tra lo stato di fatto dei luoghi, dimostrata da inoppugnabili documentazioni fotografiche, e i presupposti citati dai funzionari dell'ente alla base del nulla osta e del parere sulla V.INC.A. e, cioè, la preesistenza dell'asfaltatura anche in questo tratto;
   inoltre il consiglio direttivo ha stabilito di opporsi all'ampliamento del bacino sciistico di Pescasseroli al territorio di Villavallelonga; se le premesse alla base della deliberazione lasciano intendere una posizione di contrarietà a nuovi bacini sciistici, la decisione, almeno dal punto di vista urbanistico, non appare agli interroganti congrua in quanto parte del territorio del comune di Villavallelonga già ricade all'interno del bacino sciistico o, meglio, dell'area complessa così definita dall'articolo 6 delle Norme tecniche di attuazione del piano paesistico della regione Abruzzo vigente; tali aree sono sottoposte alla definizione di progetti speciali territoriali, che prevedono l'intesa tra ente parco e regione, progetto che per l'area di Pescasseroli-Villavallelonga non è stato ancora definito –:
   se l'ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise fosse a conoscenza, al momento del rilascio del nulla osta di gennaio 2015, dell'intenzione del comune di Villavallelonga di realizzare un impianto di sci proprio dal punto di arrivo della strada;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per modificare la normativa che definisce le procedure per la valutazione di incidenza ambientale, facendo diventare vincolante il parere dell'ente parco oppure, meglio, assegnando per i siti Natura2000 ricadenti in tutto o in parte in un'area protetta nazionale, direttamente ai gestori delle aree protette la competenza per la valutazione di incidenza ambientale, in linea con quanto indicato dalla Commissione europea;
   dovendo rispondere della corretta applicazione della direttiva 43/92/CE «Habitat» e della direttiva 147/2009/CE «Uccelli» come ritenga di garantire il rispetto della normativa europea sia per quanto riguarda l'aggravio dei rischi per l'orso bruno, anche nel tratto di strada al di fuori del parco ma all'interno del Sic, sia per l'avifauna protetta a livello comunitario;
   se non giudichi necessario intervenire secondo i propri poteri di indirizzo e controllo degli atti deliberativi degli enti parco per disporre che in autotutela si proceda specificatamente ad una complessiva rivisitazione dei nulla osta e dei pareri rilasciati, anche con riferimento al tratto Ciafassa-Valle Cervara precedentemente sterrato, anche in considerazione del fatto che il proponente appare aver rappresentato uno stato dei luoghi e delle cose fuorviante e, cioè, aver dichiarato l'esistenza di una strada già asfaltata per tutta la lunghezza; se non ritiene, altresì, di chiedere all'ente parco di specificare ulteriormente in merito alla realizzazione di un impianto di risalita nell'area di Pescasseroli e Villavallelonga, considerato che, per gli interroganti, l'ente parco dovrebbe esprimere un dissenso alla realizzazione di nuovi impianti di risalita e, semmai, richiedere il futuro stralcio dell'area complessa del territorio del comune di Villavallelonga o al momento della predisposizione del progetto speciale territoriale o al momento dell'approvazione definitiva del piano del parco o al momento della redazione del nuovo piano paesistico regionale, la cui procedura è attualmente in corso presso la regione Abruzzo;
   quali iniziative intenda assumere per ripristinare lo stato dei luoghi all'interno del territorio del Parco nazionale e, cioè, dalla Madonna della Lanna fino alla Fontana dell'Aceretta, ivi compreso il tratto Ciafassa-Val Cervara che l'ente parco ha fatto asfaltare ex novo e, alla luce degli obiettivi del piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano per mettere in sicurezza per l'attraversamento della fauna e, in particolare, lupo e orso bruno, il tratto Madonna della Lanna-Villavallelonga esterno al parco ma interno al sito di interesse comunitario. (3-02462)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, GAGNARLI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 2006/7/CE con il fine di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell'ambiente e a proteggere la salute umana stabilisce disposizioni in materia di:
    a) monitoraggio e classificazione della qualità delle acque di balneazione;
    b) gestione della qualità delle acque di balneazione;
    c) informazione al pubblico in merito alla qualità delle acque di balneazione;
   la direttiva prevede, per stabilire la qualità delle acque di balneazione, che gli Stati membri provvedano al monitoraggio della presenza e della concentrazione di enterococchi intestinali ed Escherichia coli;
   Enzo Funari, responsabile per la qualità degli ambienti acquatici e delle acque di balneazione dell'Istituto superiore di sanità, ha recentemente dichiarato che «L'Organizzazione mondiale della sanità ha esaminato molti studi epidemiologici, da cui è emerso che nella balneazione di solito i rischi maggiori sono legati alla contaminazione microbiologica»;
   la Direttiva europea quindi non prevede in alcun modo l'analisi chimica delle acque di balneazione;
   lo stesso Funari ammette che a causa di queste limitazioni nei controlli esistono delle contraddizioni inaccettabili come quella specifica di Rosignano Solvay, in provincia di Livorno, sede dal 1912 del primo stabilimento italiano della multinazionale chimica Solvay;
   in questa zona del litorale toscano, dove sono presenti le spiagge bianche che hanno assunto tale colore dalla mole di carbonato di calcio scaricato negli anni dall'azienda chimica, le acque sono dichiarate di qualità eccellente, mentre a poca distanza, alla foce del fosso Lillatro, vige il divieto di balneazione permanente a causa degli scarichi industriali inquinanti che il fosso scarica in mare;
   da fonti stampa si apprende che in un report realizzato dall'agenzia nel 2014 proprio sulla «qualità delle acque marino costiere spiagge bianche prospicienti lo scarico Solvay di Rosignano», viene rilevato come nell'area di influenza dello scarico dell'azienda l'acqua viene classificata come di qualità eccellente anche se lo stato chimico-fisico delle stesse viene considerato dall'ARPAT come non buono. Sarebbero infatti stati rilevati superamenti «dei limiti previsti per il mercurio e il tributilstagno, nel punto di monitoraggio di Rosignano. Il tributilstagno non sembra collegato alla presenza dello scarico dello stabilimento, ma il mercurio, rilevato anche in quasi tutti gli altri corpi idrici marino costieri della Toscana, è stato sicuramente influenzato, in maniera determinante, dal contributo antropico dovuto alla presenza dello stabilimento Solvay». La stessa agenzia ha rilevato continui superamenti anche per la quantità di ferro, alluminio e manganese nelle acque di scarico dell'azienda chimica;
   un riscontro oggettivo sulla qualità delle acque viene fornito dallo stato delle praterie di posidonia oceanica che rappresenta un buon indicatore della qualità dell'ecosistema e che proprio di fronte alla costa di Rosignano ha registrato un notevole arretramento verso il largo;
   Funari, che ha avanzato una richiesta di revisione della direttiva europea, sostiene che se anche la direttiva europea al momento non prende in considerazione per la classificazione delle acque altri elementi come la presenza dalle meduse, dei cianobatteri, delle alghe tossiche o l'alta concentrazione di contaminanti chimici, «ciò non toglie che le autorità locali non debbano monitorarle. La normativa comunitaria non contempla i contaminanti chimici, ma dà alle autorità locali il compito di tutelare la salute pubblica» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative per attivare su tutto territorio nazionale un sistema di monitoraggio e di classificazione in grado di fornire un quadro più completo della qualità delle acque balneari;
   se non ritenga di dover intervenire anche a livello europeo per sostenere un rafforzamento di quanto previsto dalla direttiva europea 2006/7/CE nell'ottica di una reale salvaguardia degli ecosistemi e della salute umana. (5-09406)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   già nel mese di maggio 2013 il Ministero della salute informava la regione Veneto e il dipartimento provinciale dell'Arpav di Vicenza, che uno studio dell'Irsa-Cnr aveva evidenziato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle acque potabili di alcuni comuni della provincia di Vicenza, raccomandando gli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze in oggetto e l'attivazione delle conseguenti iniziative di tutela delle acque;
   la regione Veneto chiedeva quindi al Ministero della salute ed all'Istituto superiore di sanità (ISS) informazioni su eventuali rischi per la popolazione dovuti alla presenza dei PFAS nelle acque;
   il Ministero della salute nel mese di luglio 2013 inviava alla regione Veneto il parere dell'Istituto superiore di sanità, dal quale emergeva che anche se non vi era un rischio immediato per la popolazione, in applicazione del principio di precauzione, era necessario adottare adeguate misure per ridurre i rischi e controllare la contaminazione delle acque da destinare e destinate al consumo umano nei territori interessati;
   a seguito di tali indicazioni, L'Arpav procedeva ad effettuare dei campionamenti, volti all'individuazione dei possibili responsabili della contaminazione così come evidenziata nello studio Irsa-Cnr. I campionamenti svolti hanno interessato il collettore fognario Arica che recapita, nel corso d'acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta, i reflui dei 5 depuratori della zona ovest del Vicentino; lo scarico di 5 impianti di depurazione (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) e gli esiti analitici portavano poi ad effettuare campionamenti anche allo scarico industriale, recapitante al depuratore di Trissino, della società Miteni spa;
   dalle risultanze dello studio dell'Arpav, a quanto risulta agli interroganti sarebbe emerso che l'impianto di depurazione di Trissino, a cui è allacciata la Mitemi spa, contribuisce per il 96,98 per cento all'apporto totale di Pfas scaricati nel Fratta-Gorzone e sarebbe stato evidenziato che tali impianti di depurazione non erano in grado di abbattere questo tipo di sostanze, nonostante la Mitemi avesse installato un impianto di filtrazione mediante assorbimento a polimeri con capacità di abbattimento dichiarata di circa il 99 per cento. Appare quindi agli interroganti di tutta evidenza il nesso causale tra gli scarichi della Mitemi spa e la contaminazione della falda acquifera;
   nel frattempo si è venuto a delineare uno scenario inquietante che assume le caratteristiche di un vero e proprio disastro ambientale, allargatosi ad ampie aree del Veneto e che coinvolgerebbe 350 mila veneti in 78 comuni (tra le province di Verona, Vicenza e Padova), dove sono a rischio inquinamento i corsi d'acqua e conseguentemente la potabilità della risorsa idrica per tutti i comuni interessati;
   dal punto di vista ambientale, l'Arpav sta effettuando controlli senza soluzione di continuità, su tutto il territorio veneto che è stato valutato e suddiviso in diverse aree a seconda della presenza o meno e dell'entità degli inquinanti rilevati. Dal punto di vista sanitario i controlli pare che dovranno durare una decina d'anni per verificare nel tempo gli eventuali effetti sulla salute e farne una valutazione epidemiologica, con costi stimati in oltre 100 milioni di euro l'anno, da effettuarsi su tutti i residenti dell'area «di massima esposizione» delineata nei comuni di Albaredo d'Adige, Alonte, Arcole, Asigliano Veneto, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Brendola, Cologna Veneta, Legnago, Lonigo, Minerbe, Montagnana, Noventa Vicentina, Poiana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Terrazzo, Veronella, e Zimella, per un totale di 109.029 persone. La sorveglianza è stata organizzata per tutti ed esente ticket e prevede l'effettuazione di una serie di esami: colesterolo totale, hdl, ldl; glicemia, emoglobina glicata; creatinemia e filtrato glomerulare; enzimi epatici: alt e aat; ormoni tiroidei: ths; acido urico; esame urine: microalbuminuria; pressione arteriosa. Il secondo livello prevede i necessari approfondimenti rivolti a coloro che dovessero presentare anomalie negli esami. Saranno poi chiamati a sottoporsi alla valutazione tutti i cittadini compresi tra 14 e 65 anni ed i controlli verranno ripetuti ogni 12 mesi;
   i fatti su esposti, dovuti all'emissione di dette sostanze, precludono i servizi naturali delle singole risorse coinvolte e determinano un evidente danno ambientale ed una vera e propria emergenza –:
   se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative normative volte ad assicurare la più ampia tutela della salute e dell'ambiente, così come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, obbligando in modo stringente l'operatore, ritenuto responsabile del danno ambientale, ad adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere ed eliminare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana, e ad adottare le misure immediate di ripristino necessarie. (4-14043)


   VILLAROSA, PESCO, ALBERTI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area del comprensorio del Mela ha un'estensione di 184,88 chilometri quadrati, una popolazione di 55.286 abitanti (ISTAT, aprile 2014), una densità di 299 abitanti per chilometro quadrato. Nel comprensorio è stata istituita l'area ad elevato rischio di crisi ambientale (AERCA) nel 2002;
   nel 2006 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito l'area industriale di Milazzo (Milazzo, Monforte San Giorgio, Pace del Mela, San Filippo del Mela, San Pier Niceto) quale sito di interesse nazionale (SIN). L'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 afferma che «i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali»; inoltre, riporta che: «All'individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con Decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le regioni interessate». Tali aree devono essere sottoposte ad interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza d'emergenza, bonifica, ripristino ambientale ed attività di monitoraggio;
   il «nucleo industriale di Milazzo – Valle del Mela», realizzato nel periodo 1958-1971, presenta numerosi impianti ad elevato rischio di incidenti rilevanti. La Raffineria di Milazzo (oggi ENI/Q8), entrata in funzione il 23 agosto 1961, consta oggi di tre impianti a idrogeno (HGU1, HGU2 e l'HMU3, avviato nel 2013), oltre al cogeneratore a idrogeno LC Fining presente in pochissimi siti mondiali e in aree semidesertiche, realizzato all'indomani dell'incidente del 3 giugno 1993, che con 7 morti e 16 feriti rappresenta il più grande incidente industriale italiano per numero di vittime;
   adiacente alla raffineria sorge anche la centrale termoelettrica dell'ENEL (Edipower dal 2002, oggi Edipower/A2A), sita in contrada Archi a San Filippo del Mela, costruita nel periodo 1968-1969 ed entrata in funzione nel 1971 alimentata attualmente a olio combustibile denso – OCD, ma per alcuni anni a orimulsion, il noto combustibile fossile a base di bitume;
   nell'area è stato realizzato recentemente un nuovo Terna a 380 KV i cui cavi sono totalmente aerei e nessun tratto è stato realizzato in galleria schermata. Nella vicinissima area industriale di Giammoro (Pace del Mela) esistono anche altre industrie ad elevato impatto ambientale come l'impianto per il riciclaggio di accumulatori al piombo (Ecological Scrap Industry – ESI), entrato in attività il 18 ottobre 1999;
   allo stato attuale delle conoscenze scientifiche sono alquanto evidenti e preoccupanti i risultati che emergono dagli studi effettuati nel comprensorio del Mela sin dagli anni ’80; tra i più recenti:
    studio dell'Organizzazione mondiale della sanità sui disturbi respiratori dei bambini della Valle del Mela (WHO Europe – European Center for Environment and Health, dipartimento di Statistica «G. Parenti» – Unità di Biostatistica – università di Firenze, dottor Annibale Biggeri, I disturbi respiratori e l'indagine epidemiologica sui bambini della Valle del Mela, 30 aprile 2009), effettuato su 2506 bambini tra i 6 e i 10 anni delle scuole primarie dell'area di Milazzo-Valle del Mela, in cui sono state dimostrate le associazioni tra i livelli degli inquinanti nell'aria e i disturbi respiratori dei bambini (in particolare cronicizzazione dell'asma);
    studio sulla metilazione del DNA delle cellule nasali che provocano infiammazioni e l'asma nei bambini (Andrea Baccarelli, Franca Rusconi, Valentina Bollati, Dolores Catelan, Gabriele Accetta, Lifang Hou, Fabio Barbone, Pier Alberto Bertazzi, Annibale Biggeri, Nasal cell DNA methylation, inflammation, lung function and wheezing in children with asthma, Epigenomics, febbraio 2012, Vol. 4, No. 1, pp. 91-100). I fattori che determinano cambiamenti di metilazione del DNA sono associati con l'infiammazione asmatica e sono prodotti dagli inquinanti dell'area di Milazzo, i cui effetti non si fermano all'apparato respiratorio ma coinvolgono anche il sistema cardiocircolatorio (aumentando di fatto il rischio di incidenti cardiovascolari come trombosi, ictus e infarti);
    studio di Legambiente Sicilia sull'inquinamento industriale nel 2010 (Mal'aria industriale 2012 – L'aria di Sicilia: Augusta/Melilli/Priolo, Gela e Milazzo, 20 dicembre 2012) mette in risalto alcuni record di emissione di determinati inquinati a livello nazionale, la raffineria di Milazzo è 8a a livello nazionale per i valori di SOx S02, è 1a a livello nazionale per i valori di composti organici volatili non metanici – NMVOC, è 5a a livello nazionale per i valori di benzene, è 2a a livello nazionale per i valori di nichel. La Centrale Termoelettrica di San Filippo del Mela è 7a a livello nazionale per i valori di cromo;
    studio del professor Francesco Squadrito sul biomonitoraggio dell'area di Milazzo – Valle del Mela (iniziativa per la tutela della salute e per la protezione delle popolazioni delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale esposte a «distruttori endocrini» quali i metalli pesanti: area di Milazzo – Valle del Mela, dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università degli studi di Messina, Istituto superiore della sanità, OMS – Organizzazione mondiale della sanità, regione Sicilia, 2013, pp. 22), che ha analizzato i campioni biologici di 200 bambini tra 12 e i 14 anni della Valle del Mela, rilevando valori abbondantemente superiori al limite umano per alcuni metalli pesanti che potrebbero avere ripercussioni sul sistema endocrino e riproduttivo (nichel a San Filippo del Mela; cromo a San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e Milazzo; cadmio a Santa Lucia del Mela, San Filippo del Mela, Milazzo, Gualtieri Sicaminò, San Pier Niceto, Pace del Mela);
    studio di Legambiente sulle aree inquinate italiane (a cura di Stefano Ciafani, Andrea Minutolo, Giorgio Zampetti, Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà? Risanare l'ambiente, tutelare la salute, riconvertire l'industria alla green economy, 28 gennaio 2014), in cui vengono riportate analisi per eccesso di mortalità per malformazioni congenite nel SIN di Milazzo associate ad emissioni di determinati inquinanti della Raffineria di Milazzo;
    terzo rapporto «S.E.N.T.I.E.R.I.» – (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento. Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri; epidemiologia & prevenzione, supplemento 1, marzo-aprile 2014), in cui si evidenziano eccessi, rispetto ai dati nazionali, di patologie del sistema urinario, di malattie respiratorie e di tumori della tiroide nel SIN di Milazzo (nel quale vengono considerati soltanto tre comuni: Milazzo, San Filippo del Mela e Pace del Mela), mentre risultano messi in evidenza gli eccessi per tutti i tumori nelle donne, di tumori alla tiroide e malattie nefrosiche negli uomini, malattie respiratorie croniche per entrambi i generi, nell'intera area ad elevato rischio di crisi ambientale del comprensorio del Mela;
    un'indagine epidemiologica sulla patologia prevalente condotta presso i medici di base del comune di Santa Lucia del Mela nel quinquennio 2008-2012 (promotori dottor Rosario Torre e Sindaco Antonino Campo), nella quale sono stati registrati tutti i pazienti con le seguenti malattie: tumori (dato complessivo); malattie onco-ematologiche (leucemia, mieloma multiplo, linfomi); patologie della tiroide (dato complessivo) e tumori della tiroide (dato già inserito nella categoria tumori); patologie delle vie respiratorie. I dati saranno allargati al periodo 2013-2014 e confrontati con quelli provenienti da altri comuni della Valle del Mela e con un'area di confronto posta al di fuori dell'area a rischio ambientale;
   già in passato sono stati registrati cali di produttività che interessano soprattutto determinate colture, un fenomeno che è stato analizzato soltanto per gli effetti prodotti al suolo da due agenti inquinanti, l'ozono (O3) e l'anidride solforosa (SO2) [ENEA, Uno strumento per valutare gli effetti ambientali e sanitari degli inquinanti aeriformi emessi da insediamenti produttivi e per indirizzare la scelta di nuovi siti. Applicazione all'area di Milazzo, 2003]. Nei comuni del comprensorio di Milazzo si registra, infatti, un calo di resa per le patate (23 per cento a Milazzo, 27 per cento a Santa Lucia del Mela, 28 per cento a Pace del Mela, 30 per cento a San Pier Niceto, per quanto riguarda l'O3; 1 per cento a Milazzo, 6 per cento a Santa Lucia del Mela, per quanto riguarda l'SO2), per i pomodori (11 per cento a Milazzo, 14 per cento a Santa Lucia del Mela, 16 per cento a San Filippo del Mela e San Pier Niceto, per l'O3), per gli aranci (24 per cento a Milazzo, 28 per cento a Santa Lucia del Mela, 38 per cento a Merì, per l'O3; 4 per cento a Pace del Mela, 7 per cento a Merì, 8 per cento a Santa Lucia del Mela, per l'SO2) e per il grano (40 per cento a Santa Lucia del Mela, 48 per cento a Castroreale, per l'O3; 4 per cento a Castroreale, 6 per cento a Santa Lucia del Mela, per l'SO2);
   il monitoraggio ambientale nell'area ad elevato rischio è quasi del tutto assente già in regime di ordinaria attività, poiché alcune centraline, principalmente quelle installate dalla provincia di Messina, risultano non funzionanti e perché, quelle funzionanti, monitorano soltanto pochissimi agenti inquinanti;
   il CTR (Comitato tecnico regionale, composto dalle amministrazioni interessate, dall'Arpa, dall'Inail e dai vigili del fuoco), nella delibera del 17 maggio 2012, aveva dato parere negativo sul rapporto di sicurezza degli impianti della raffineria di Milazzo e diffidato il gestore ad adottare, entro 60 giorni, le necessarie misure e richiedendo ben undici chiarimenti, riguardanti soprattutto il rischio sismico e il rischio idrogeologico;
   la società Edipower spa in data 18 settembre 2015, ha presentato per la procedura VIA-AIA un progetto per un impianto di valorizzazione energetica alimentato a CSS (combustibile solido secondario) da realizzarsi nella centrale termoelettrica esistente di San Filippo del Mela (ME);
   nelle vicinanze ed all'interno della CTE di San Filippo del Mela sono presenti le seguenti aree tutelate: area di interesse archeologico, tutelata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera m), distante circa 300 metri in direzione ovest dal progetto, formata da due siti archeologici identificati come insediamenti-necropoli ed insediamento identificato-ville e casali, corsi d'acqua tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera c) per i territori compresi nei 150 metri dalla loro sponda situato ad est rispetto al sito di progetto, a circa 100 metri di distanza, la fascia di rispetto è apposta al Rio Cucigliata mentre ad ovest, a circa 1 chilometro di distanza, è apposta al Torrente Corriolo;
   recentissimi saggi effettuati dalla soprintendenza di Messina all'interno della centrale Edipower hanno evidenziato in una delle aree libere (non trasformate da scavi per costruzioni) la ulteriore presenza di antiche strutture rurali. L'impianto del CSS della centrale di San Filippo del Mela dovrebbe essere realizzato in un'altra di queste aree non trasformate ma non ancora indagate a fini archeologici;
   l'impianto di valorizzazione energetica del CSS in progetto ricade quasi interamente nell'area soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, articolo 142, comma 1, lettera a), corrispondente ai territori costieri compresi nei 300 metri dalla linea di battigia;
   l'area naturale più vicina al sito di intervento è il SIC ITA030032 denominato «Capo Milazzo», localizzato a circa 6,2 chilometri in direzione Nord Ovest rispetto al TMV. La legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), al comma 116, ha inserito le zone di Grotte di Ripalta-Torre Calderina e di Capo Milazzo tra le aree marine di reperimento di cui all'articolo 36, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, alle lettere ee-quinquies ed ee-sexies, istituendo di fatto un'Area Marina Protetta intorno al Capo Milazzo e distante qualche chilometro;
   le giunte comunali dei comuni di Condrò, Pace del Mela, Roccavaldina, Monforte San Giorgio e San Pier Niceto hanno già emanato delibere contro l'utilizzo del CSS nella centrale termoelettrica di San Filippo del Mela. Ad oggi circa 20 consigli comunali dei comuni dell’hinterland hanno già deliberato contro l'utilizzo del css nella centrale Edipower di San Filippo del Mela;
   i cittadini dei comuni di San Filippo del Mela, Gualtieri Sicaminò e Pace del Mela hanno espresso un loro forte dissenso alla realizzazione del progetto presentato da Edipower con un referendum consultivo. Nei comuni di Gualtieri Sicaminò e di Pace del Mela la percentuale del «NO» ha superato abbondantemente il 90 per cento. Nel comune di San Filippo del Mela invece, non è stato raggiunto il quorum previsto (ha votato il 42 per cento degli aventi diritto) ma la percentuale dei «NO» è stata comunque molto alta superando il 95 per cento dei votanti;
   il progetto Edipower non è compatibile con il piano rifiuti della regione siciliana;
   la regione siciliana ha dichiarato ripetutamente di essere interessata non alla costruzione di grandi inceneritori come quello Edipower (510.000 tonnellate/anno) ma solo a piccoli inceneritori;
   il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo pronunciandosi sulla compatibilità ambientale, ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (con nota prot. n. 34.19.04 del 2 dicembre 2015) ha espresso parere contrario all'intervento concernente il progetto «Centrale termoelettrica di San Filippo del Mela», presentato dalla società Edipower spa, per le motivazioni di incompatibilità paesaggistica e di contrasto con le prescrizioni, le direttive e gli obiettivi indicati dal piano territoriale paesaggistico dell'ambito 9, in conformità al parere espresso dalla soprintendenza ai beni culturali e ambientali della provincia di Messina;
   le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004);
   dalla data di adozione del piano (4 dicembre 2009) non sono consentiti interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela del piano stesso, ai sensi del comma 9 dell'articolo 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   il pronunciamento negativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale comporta la conclusione negativa della valutazione di impatto ambientale;
   le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi del citato decreto legislativo se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni, ai sensi dell'articolo 183 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   non risultano emanate leggi che prevedano espressa modificazione alle disposizioni ed ai principi del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   risultano ampiamente superati i 150 giorni previsti per la conclusione della valutazione di impatto ambientale dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e decorrenti dalla data di presentazione dell'istanza (18 settembre 2015) –:
   se il Ministro non ritenga opportuno rispettare le disposizioni normative citate e rilasciare immediatamente parere negativo nell'ambito dell'istruttoria della procedura valutazione di impatto ambientale con effetti negativi anche sulla procedura di autorizzazione integrata ambientale, avviata da Edipower, con l'istanza del 18 settembre 2015. (4-14060)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Entella si forma nel comune di Carasco dalla confluenza di tre torrenti: il Lavagna (il principale dei tre), il Graveglia e lo Sturla;
   con letto ampio e ciottoloso compie il suo breve percorso formando la piana omonima (seppur piccola è una delle maggiori della regione) andando poi a sfociare nel golfo del Tigullio (Mar Ligure) tra le città di Chiavari e Lavagna. Pur estremamente breve, è con poco meno di 15 m3/s di modulo medio annuo il principale corso d'acqua della città metropolitana di Genova per volume d'acqua direttamente sfociante nel mare. La foce del Medio corso del fiume Entella è un sito di interesse comunitario (SIC IT1332717) rientrante nella rete natura 2000;
   la progettazione di una diga da parte della città metropolitana di Genova, da edificarsi sulla sponda di Lavagna del fiume Entella, quale primo lotto di una più ampia opera di potenziamento della viabilità delle città di Chiavari, Lavagna e San Salvatore, ha provocato fin da quando fu resa nota, alcuni anni fa un ampissimo dissenso sia tra i proprietari dei fondi privati interessati, sia tra la stragrande maggioranza dei cittadini, della zona, consapevoli dei deterioramenti irrimediabili che l'edificazione della cosiddetta diga arrecherebbe ad uno dei pochi territori pianeggianti e «vergini» dell'intera regione ligure;
   è già da molti anni che si continua a parlare e discutere sull'arginatura della sponda lavagnese del fiume Entella a protezione dalle eventuali esondazioni acquee in corso di piena del fiume stesso. Il progetto del dottor Paolo Perfigli è in fase di ultima approvazione e prevede l'innalzamento di un muro spondale difensivo dell'altezza dalla base di circa cinque metri («diga Perfigli») su tale sponda lavagnese, mentre non si hanno notizie pubbliche certe su eventuali altri rinforzi d'argine sul percorso terminale e non del fiume Entella;
   quindi, come anche rimarcato da molti, tale struttura, «diga Perfigli», risulta essere un'opera difensiva solo per un tratto di fiume e sembra essere totalmente al di fuori di una progettualità globale di difesa di tutta l'arginatura del fiume Entella;
   il 7 luglio 2016 è stata depositata da parte dell'euro parlamentare Tiziana Beghin l'interrogazione a risposta scritta riguardante il progetto denominato «Diga Perfigli» che «prevede la costruzione di un argine probabilmente lungo 1,5 km, largo 15 m e alto 4 m sulla sponda di Lavagna del fiume Entella. Il corso del fiume costituisce zona SICIT1332717. L’iter progettuale è terminato e la Regione Liguria sta predisponendo il bando di gara. Tuttavia, in violazione della direttiva 92/43/CEE, la valutazione d'incidenza esistente è stata compiuta successivamente all'approvazione del progetto stesso. Inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto il 29 aprile 2016 informazioni sugli “interventi di mitigazione del rischio idraulico del fiume”, affinché vengano in particolare evidenziate “le interrelazioni che esistono o che potrebbero scaturire tra l'intervento, la pianificazione di gestione in materia di acque e il rischio alluvioni (direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE)”. È bene segnalare altresì che l'alluvione del novembre 2014 che ha colpito i comuni situati lungo il corso del fiume ha coinvolto maggiormente le zone antecedenti quelle interessate dal progetto. Può pertanto la Commissione far sapere:
    1. se il progetto deve essere sottoposto a nuova valutazione d'incidenza;
    2. se il progetto deve essere sottoposto a valutazione d'impatto (direttive 2011/92/UE, 2014/52/UE);
    3. se, a seguito delle perplessità del Ministero e degli eventi del novembre 2014, può verificare la compatibilità del progetto con le direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE e, in generale, con la normativa europea in materia ?»;
   sul sito change punto.org è riportata una petizione diretta al Presidente del Consiglio Matteo Renzi in cui emergono evidenti criticità di carattere tecnico tali da porre in sintesi dubbi sulle valutazioni e sulle conseguenti programmazioni previste per la realizzazione di tale opera. La cosiddetta Diga «Si dovrebbe sviluppare per l'intero tracciato del vecchio argine napoleonico, detto “Seggiun”, dal Ponte della Maddalena alla foce, ergendosi come barriera insormontabile tra le due porzioni di piana, delle quali la parte verso il fiume pensata per diventare “alveo attivo” e quindi totalmente inutilizzabile anche per attività agricole o similari e destinata conseguentemente e inevitabilmente al totale abbandono nel giro di pochi anni (...)»;
   dalla stessa petizione emergono aspetti poco chiari e che «richiederebbero una immediata revisione delle previsioni di progetto, basata su una rilettura scientifica ragionata dei principali fattori su cui si basano le attuali modellazioni idrauliche, una urgente mitigazione dei rischi reali, mediante il ripristino e l'eventuale potenziamento/consolidamento di tutte le protezioni già esistenti (seggiun, argini, ecc.), l'adeguamento della rete di smaltimento delle acque meteoriche sulla piana, una costante e metodica pulizia dell'alveo del fiume e degli argini, una definitiva messa in sicurezza idraulica della città di Lavagna, attuata attraverso una progettazione esecutiva di opere che tenga conto del valore unico del territorio della Piana sotto l'aspetto ambientale e paesaggistico, individuando con chiarezza e univocità soluzioni e tempi di realizzazione, valutando le reali esigenze e le legittime istanze di chi vi lavora e vi abita da generazioni»;
   a parere degli interroganti l'Oasi faunistica dell'Entella e al S.I.C. (sito di interesse comunitario) rischia di subire danni consistenti nei riguardi del patrimonio floro-faunistico, poiché un progetto di tale impatto ambientale avrebbe conseguenze dannose per lo stesso clima della zona –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati, intendano adottare in relazione a quello che appare agli interroganti un'evidente errore di progettazione dei lavori proposti e per tutelare un sito di interesse comunitario rientrare nella rete Natura 2000 che risulterebbe compromesso da tale opera;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare affinché vengano valutate nuove ipotesi progettuali in relazione al rischio idrogeologico dell'area onde evitare pericolosi impatti sulle matrici ambientali preesistenti;
   se il Governo non intenda valutare la possibilità di promuovere, per quanto di competenza, un tavolo tecnico partecipativo atto a coinvolgere i cittadini interessati ai lavori sopra descritti e i comitati locali per la valutazione di opere di minor impatto ambientale. (4-14073)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto riportato su un articolo pubblicato online sul sito www.estense.com in data 20 luglio 2016, è stato siglato un accordo strategico di collaborazione fra la città di Comacchio e il Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann), considerato il più importante museo al mondo di antichità romane che, come noto, ospita l'immenso patrimonio di reperti provenienti dagli scavi di Pompei ed Ercolano;
   tale accordo, realizzato tra il direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini, ed il direttore del Museo Bellini di Comacchio, prevede il trasferimento di una parte dei tesori archeologici di Pompei ed Ercolano dal deposito napoletano all'area espositiva lagunare;
   nello specifico, il succitato protocollo di collaborazione prevedrebbe una cessione temporanea di due anni di parte dei tesori archeologici di Pompei ed Ercolano, che potrà comunque essere rinnovata e il «timore più grande dei napoletani» e di Barbara Giardiello, attivista e giornalista, è che «tale cessione temporanea possa tramutarsi successivamente in donazione»;
   la stessa Giardiello, in risposta alla stipula del succitato accordo, con un articolo apparso online sul sito www.change.org, ha lanciato una petizione che, come da lei stessa dichiarato, ha intento divulgativo, nell'ottica di fermare lo scempio dell'ennesima «ruberia»;
   a tale petizione aderiscono ufficialmente diverse associazioni, tra cui Rinascita Artistica del Mezzogiorno (RAM), Associazione per il Meridionalismo Democratico, Centro Studi officina Volturno, Associazione MI.MI.AR.T.S e Democrazia e Legalità;
   in particolare, Dario Marco Lepore, direttore della succitata associazione RAM è oltremodo favorevole ad una revisione dell'accordo, ricordando come non sia la prima volta che collezioni museali partenopee vengano trasferite, come fu il caso dei 121 dipinti della collezione Farnese portati a Parma a titolo di «risarcimento» nel 1921;
   oltracciò, l'Associazione «Uguaglianza e Libertà» ha chiesto, attraverso il suo presidente Maria Giovanna Castaldo, che siano immediatamente resi pubblici gli atti relativi all'accordo, dato che, in base a quanto asserito dalla Giardiello, sul portale del comune di Comacchio non sarebbe stato reso pubblico il protocollo d'intesa originale, ma soltanto il verbale di deliberazione della giunta comunale del 13 luglio 2016, n. 175, con bozza di protocollo d'intesa;
   nell'intenzione di «volersi opporre in tutti i modi allo scippo delle opere», è stato nuovamente riproposto il progetto ambizioso di Dario Marco Lepore di trasformare Palazzo Fuga, meglio conosciuto come Real Albergo dei Poveri, nel più grande museo del mondo, dove quindi potrebbero essere esposte le opere che invece si è deciso di cedere al comune di Comacchio;
   una proposta del genere è ciò che tutti i napoletani e le succitate associazioni chiederebbero da tempo, «dato che luoghi simbolo come Palazzo Fuga aspettano da anni di trovare un nuovo utilizzo che ne valorizzi le enormi potenzialità»;
   è doveroso, inoltre, ricordare che Palazzo Fuga è di proprietà del comune di Napoli e, dunque, su un semplice quanto grandioso progetto come questo, non graverebbero sicuramente i costi per l'affitto di tale edificio;
   si è addirittura parlato di retroscena che potrebbero gettare ombre sulla vicenda, dato che Antonio Luongo, ex consigliere comunale di Napoli, ricorda che «la nomina del direttore Paolo Giulierini, aretino come la ministra Boschi, è stata fortemente voluta nell'ottobre del 2015 dal Ministro Dario Franceschini, nato proprio a Ferrara, provincia nella quale si trova il comune di Comacchio, che, con la mostra delle opere del Mann, intende rafforzare la propria candidatura a capitale della cultura per il 2018»;
   nondimeno, il malcontento nella popolazione partenopea è stato alimentato dai cambiamenti di programma dello stesso direttore Paolo Giulierini, che, in un'intervista a la Repubblica, pubblicata online il 6 ottobre 2015, aveva invece dichiarato: «i depositi sono il grande potenziale del museo, utilizzeremo i reperti non esposti per mostre che penseremo noi e devono essere allestite come azione di un percorso di riallestimento del museo stesso che così, mostra dopo mostra, cambierà continuamente le esposizioni»;
   gli intenti della popolazione napoletana e delle associazioni culturali, così come espressi dalle dichiarazioni di Barbara Giardiello, non sarebbero di «battaglia al Mann, quanto piuttosto di salvaguardia di un patrimonio immenso che appartiene alla nostra terra e che è sulla nostra terra che deve trovare la più decorosa ed opportuna collocazione, in un futuro sempre più ricco di occasioni espositive, culturali, ricettive» –:
   se ed eventualmente in che modo il Ministro interrogato ritenga opportuno e doveroso attivarsi, per quanto di competenza, per ovviare ai rischi insiti nell'accordo di collaborazione fra la città di Comacchio e il Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann), con particolare riguardo a quelli che derivano sempre dai trasferimenti di reperti storici e delicati, a causa di problemi di sicurezza e dei frequenti incidenti che avvengono durante il trasporto;
   se non ritenga principio ragionevole e giusto che il patrimonio culturale e storico proveniente da Ercolano e Pompei sia valorizzato e reso fruibile ai turisti all'interno del territorio partenopeo stesso, attraverso il rafforzamento di una reale « buffer zone» Pompei e/o la valorizzazione delle potenzialità di Palazzo Fuga;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato in merito a quanto esposto in premessa.
(5-09414)


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2016 il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e il Ministro interrogato, Dario Franceschini, si sono recati a Taranto per l'inaugurazione della nuova ala del MArTa (Museo archeologico, nazionale di Taranto), uno dei poli museali pugliesi più importanti che raccoglie testimonianze uniche della storia e della civiltà della Magna Grecia;
   l'unicità dei reperti archeologici presenti nel MArTa ha fatto sì che il Ministro interrogato inserisse il museo tarantino nella lista dei 20 musei nazionali dotati di autonomia speciale, perché considerati di rilevante interesse nazionale;
   la nuova ala del museo, ubicata al secondo piano dell'ex Convento dei Frati Alcantarini risalente a metà del XVIII e sede del MArTa dal lontano 1887, raccoglie in otto sale reperti e testimonianze archeologiche dell'epoca che va dalla preistoria all'età ellenistica, tra cui la famosa tomba dell’«Atleta di Taranto», fiore all'occhiello del polo museale tarantino, un unicum nel suo genere, in quanto di nessun altro atleta dell'antichità è stato rinvenuto l'intero sepolcro intatto;
   è indubbio che il MArTa, con i suoi numerosissimi reperti tra statue, anfore, vasi, corredi funerari, medaglie, monili e ori, che testimoniano 6.500 anni di storia dell'antica capitale della Magna Grecia, rappresenti un ottimo punto di partenza per la riconversione e valorizzazione culturale ed economica della città di Taranto ed è quindi ovvio che, proprio per questo motivo, debba esserne incentivata e supportata l'attività attraverso iniziative culturali di rilievo mirate anche a favorire il circuito turistico pugliese e tarantino nello specifico;
   purtroppo, a pochi giorni di distanza dall'inaugurazione, la nuova ala al secondo piano del MArTa potrebbe restare chiusa per una grave carenza di personale. Nella nota del 5 luglio 2016, prot. n. 1143, la direttrice del Museo archeologico nazionale di Taranto, dottoressa Eva Degl'Innocenti, ha informato il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della grave carenza di personale nel polo museale, richiedendo esplicitamente la copertura di determinante figure professionali, quali: n. 1 addetto al crowdfunding e foundraising, marketing, n. 1 addetto alla comunicazione e promozione, n. 2 funzionari amministrativi, n. 3 assistenti amministrativi-gestionali, n. 1 informatico e web-master, n. 6 funzionari archeologi, n. 1 architetto, n. 1 archivista, n. 8 unità di personale di accoglienza, fruizione e vigilanza;
   nella nota, in riferimento alle 8 unità di personale di accoglienza, fruizione e vigilanza la direttrice del MArTa specifica la motivazione della sua richiesta, affermando che «il personale ora in dotazione è del tutto insufficiente a garantire l'apertura al pubblico del percorso espositivo del II piano del Museo di prossima inaugurazione che si terrà nel mese di luglio 2016, alla presenza del Ministro On.le Dario Franceschini e probabilmente del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi»;
   alle richieste presentate nella nota n. 1143 dalla dottoressa Degli Innocenti, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha risposto con la circolare n. 127 del 20 luglio 2016 in cui il direttore generale per l'organizzazione, dottoressa Marina Giuseppone, ha invitato tutti gli uffici e istituti centrali e periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a individuare presso le proprie sedi unità di personale «interessate a prestare servizio, temporaneamente nelle more dell'espletamento delle procedure di mobilità interna volontaria» presso il MArTa;
   il semplice reclutamento di volontari temporaneamente trasferiti dalle loro strutture d'origine al MArTa non è di certo una soluzione definitiva per la grave carenza di personale del polo museale tarantino e andrebbe probabilmente a creare vuoti in quegli Istituti a cui verrebbero sottratte unità di personale;
   quella del 5 luglio 2016 non è la prima nota inviata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in cui la direttrice del MArTa denuncia la «grave carenza di personale» che «si evidenzia anche dalle tabelle di dotazione organica elaborate dalla Sede Centrale del Mibact in cui si indicano n. 74 unità di personale dell'organico di cui il Museo Nazionale di Taranto dovrebbe essere dotato»;
   qualora non si ovviasse a tale mancanza in tempi brevi, è chiaro che il MArTa si vedrebbe costretto a chiudere la nuova ala appena inaugurata, per la quale non è attualmente in grado di offrire un servizio di accoglienza, vigilanza e fruizione, rinunciando così alla possibilità di rilanciare la propria attività e di confermare il prestigio della propria collezione che lo ha reso, insieme ad altri 19 poli museali, museo nazionali dotato di autonomia speciale;
   dopo una ristrutturazione durata quasi diciotto anni dell'antico convento che lo ospita, il Museo archeologico nazionale di Taranto potrebbe perciò restare inattivo privando la città, già notoriamente afflitta da diverse problematiche, di quella spinta per la sua rinascita e valorizzazione su basi culturali e non più industriali che un museo d'eccellenza come il MArTa potrebbe sicuramente rappresentare –:
   se non intenda chiarire i motivi che hanno impedito al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di accogliere nell'immediato la richiesta di unità di personale per il Museo archeologico nazionale di Taranto segnalata in più note da parte della direttrice del museo, soprattutto in vista dell'inaugurazione della nuova ala a cui ha presenziato il 29 luglio 2016;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di porre rimedio tempestivamente e in maniera definitiva alla grave carenza di personale presso il MArTa, così contribuendo in maniera non indifferente alla rinascita di una città che in questo particolare momento necessita assolutamente di supporto da parte del Governo. (5-09416)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Villa Pellegrini Marioni Pullè è una villa situata a Chievo (frazione di Verona);
   neopalladiana, la veste attuale della villa è dell'architetto Ignazio Pellegrini (XVIII secolo);
   l'entità e le caratteristiche del complesso immobiliare compreso fra le pertinenze di Villa Pullè, ora di proprietà dell'Inps (quindi dello Stato), come risulta da una perizia dell'INPS del 18 gennaio 1988, sono così identificate: Villa Pullè metri quadrati 2.713; fabbricato ex sanatoria metri quadrati 2.384; orto botanico e parco metri quadrati 47.557; azienda agricola 1: fabbricato metri quadrati 562; terreni metri quadrati 23.301; azienda agricola 1: fabbricato metri quadrati 607; terreni metri quadrati 38.574;
   l'immobile, sottoposto a tutela vincolistica ai sensi della legge 1o giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse storico-artistico, si trova da oltre mezzo secolo in un pietoso, colpevole e inaccettabile stato di incuria e totale abbandono. Durante questo periodo la villa e le opere d'arte in essa contenute sono state oggetto di saccheggi e danneggiamenti insanabili;
   il compendio di Villa Pullè (di cui fa parte anche l'ex sanatorio, oggi Istituto Alberghiero Berti) fu ceduto il 1o aprile 1919 dai Miniscalchi-Erizzo al Consiglio ospitaliero di Verona per la cura della tubercolosi (TBC) e cessò la sua funzione quando la gestione delle cure fu trasferita all'INPS. Da allora è iniziata un'assurda disputa fra il comune di Verona e l'Istituto nazionale di previdenza sociale perché ciascuno riteneva d'essere proprietario dell'immobile e delle sue pertinenze;
   Villa Pullè rimane comunque patrimonio culturale della cittadinanza e non può essere considerato dall'INPS come patrimonio da dismettere, nell'intento di colmare il disastroso stato finanziario delle casse dell'ente;
   sono molteplici gli aspetti che rendono la villa e il suo parco strategici: l'area verde della villa può consentire il passaggio di una pista ciclabile gradevole e sicura che connetterebbe quella esistente, presente sulla riva del Camuzzoni, e quella che prosegue verso Bussolengo evitando un tratto molto pericoloso su via Berardi, proprio dalla piazza del Chievo sino alla doppia curva posta dopo via del Pinedo; la zona di verde intorno alla villa rappresenterebbe un'ottima occasione per ripristinare il rapporto tra aree cementificate e verde di cui la città è carente, dato il debito di area verde che la città deve riscuotere come contropartita ai 5 milioni di metri cubi di cemento previsti dal piano degli interventi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   quali iniziative, di competenza il Governo, intenda assumere per scongiurare il pericolo della privatizzazione e restituire alla Villa e alle sue pertinenze una funzione di pubblica utilità. (4-14045)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGONZI e ZANIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 2 febbraio del 2015 si è svolta nella prefettura di Piacenza una riunione sulla situazione collegata alla chiusura dell'Aeroporto militare di San Damiano, comune di San Giorgio, sede del 50o Stormo dell'Aeronautica militare italiana alla quale hanno partecipato rappresentanti delle autorità militari e civili;
   i rappresentanti dell'Aeronautica militare hanno informato del trasferimento del personale operativo entro l'estate del 2016 e garantito, per un periodo medio-lungo, la presenza del restante personale per assicurare il mantenimento delle infrastrutture dell'Aeroporto nonché confermato la continuità nell'uso del patrimonio alloggiativo di San Giorgio e San Polo;
   nella stessa riunione è stata prefigurata anche la possibilità dell'uso dell'aeroporto per altri impieghi che potranno essere successivamente verificati, prevedendo quindi la possibilità di valutare progetti alternativi da realizzare nella struttura aeroportuale non più in uso dall'Aeronautica militare –:
   quali siano i tempi e le modalità previsti nel dettaglio per la progressiva dismissione dell'aeroporto di San Damiano e le conseguenti valutazioni di eventuali progetti alternativi. (5-09400)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito il 3 agosto 2016, il dirigente dell'Arpas Sardegna Massimo Cappai, nella nuova audizione convocata per chiarire aspetti sulla gestione del poligono, rispondendo alle domande dell'interrogante affermava che dentro il poligono di Teulada esiste un'area riservata dove è stato realizzato un deposito riservato che contiene i residui dei missili Milan e dei materiali radioattivi utilizzati dentro la base. Affermava inoltre che non vi è tracciabilità del materiale radioattivo ivi presente e che l'Arpas, in base ad una delega della procura di Cagliari, ha chiesto la tracciabilità di tali materiali, ma non ha ricevuto risposte circa i loro quantitativi e le modalità del loro smaltimento;
   secondo queste affermazioni non è dato conoscere la tracciabilità dei missili al torio utilizzati dentro la base e che fine avessero fatto sia i residuati che quelli non esplosi;
   in base a queste dichiarazioni risulta sconosciuto il tracciato di queste scorie radioattive con l'ammissione che quei dati richiesti non sono mai stati consegnati alla procura di Cagliari;
   è sconvolgente il fatto che dentro la base di Teulada sia stato realizzato un vero e proprio deposito radioattivo senza che nessuna autorizzazione in tal senso sia stata mai concessa da nessuno;
   è di una gravità inaudita che questa notizia emerga in una Commissione d'inchiesta e nessuno abbia mai fatto quanto era necessario per impedire questa nefasta realizzazione dentro il poligono;
   le affermazioni del dirigente dell'Arpas rese in Commissione non lasciano adito a dubbi: i missili Milan al torio sono stati utilizzati abbondantemente dentro la base/poligono di Teulada e ad essere presa di mira non è stata solo la penisola interdetta, ma secondo le dichiarazioni rese, sono ben tre le aree (Seddas Crobeddu, Perda Rosa, Cogarittu) in cui l'Arpas ha rinvenuto residuati radioattivi di missili Milan con la lunetta di lancio ancora radioattiva;
   è fin troppo evidente che dinanzi a queste ammissioni dei delegati della procura rese nella Commissione di inchiesta sull'uranio impoverito appare sempre più grave l'atteggiamento del Ministero della difesa che tiene tutto in modo assolutamente riservato e, ad avviso dell'interrogante, poco trasparente;
   è gravissimo che non esista un tracciato puntuale di ogni residuato bellico radioattivo considerato proprio l'impatto sull'ambiente e sulla stessa salute umana, dei militari e dei civili;
   aver affermato in Commissione che il Ministero della difesa ha negato il tracciato dello smaltimento lascia aperta, a giudizio dell'interrogante, un'inquietante ipotesi, quella dello smaltimento illegale di tali residui bellici;
   non avrebbero dovuto avere nessuna difficoltà i vertici militari a fornire dettagli su come sono stati rimossi, da chi, come e dove sono state smaltite tali scorie radioattivo legate all'utilizzo dei missili all'interno del poligono;
   le dichiarazioni del dirigente dell'Arpas sono sconvolgenti anche per quanto riguarda altri due aspetti: le soglie di inquinamento all'interno del poligono e l'estensione dell'uso dei Milan oltre la penisola Delta (interdetta);
   sul grado di inquinamento la situazione, secondo l'interrogante, è abbondantemente variata con la modifica di legge: prima della modifica delle norme in materia ambientale non erano mai state fatte azioni di campionamento all'interno della base e i livelli di inquinamento si sarebbero rivelati inferiori alle norme solo dopo l'innalzamento delle soglie votato dal Parlamento;
   a questo si aggiunge che non sono mai state fatte indagini sulla carne del bestiame, ma solo sui derivati lattiero-caseari;
   elemento che, secondo l'altro audito, il professor Biggeri, sarebbe stato indispensabile per ogni tipo di analisi e ricaduta sulla catena alimentare. Una mancata verifica davvero inspiegabile rispetto alla gravità della situazione;
   si apprende con soddisfazione che la procura sta operando anche sul fronte del reato ambientale considerati gli elementi che risultano esaminati dalla stessa Agenzia per la protezione ambientale;
   si tratta di una questione che più di un anno fa l'interrogante aveva sottoposto alla procura con le produzioni di analisi e comparazioni cartografiche che dimostravano la devastazione ambientale;
   è ora di fare chiarezza sulla gestione di un sito di importanza comunitaria costantemente aggredito e violentato, mettendo a rischio l'ambiente, la salute dei militari e di tutti i civili;
   si tratta di fatti e riscontri ormai troppo evidenti per essere ancora nascosti e omessi dallo Stato e non solo –:
   se sia a conoscenza di questo deposito riservato radioattivo all'interno della base di Teulada;
   quale sia il contenuto di tale deposito;
   in base a quali autorizzazioni avvenga tale stoccaggio;
   chi nominalmente abbia autorizzato tale stoccaggio all'interno della catena di comando della base;
   se non ritenga di fornire l'esatto tracciato di tutti i missili Milan e del loro utilizzo;
   se non ritenga di dover sospendere ogni tipo esercitazione in attesa di verificare tutti gli elementi necessari alla puntuale bonifica del sito;
   quali siano le società incaricate dello smaltimento delle parti radioattive del munizionamento e quando siano stati affidati tali incarichi;
   quale sia l'ammontare dei compensi per tali prestazioni e quando si siano verificate le relative liquidazioni;
   quali sia il motivo della mancata consegna di tali tracciati alla procura di Cagliari. (4-14075)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   innumerevoli articoli di stampa da anni segnalano i rischi connessi al mercato dei documenti falsi, cui sarebbe opportuno che il Governo prestasse maggiore attenzione, in considerazione della crescente minaccia terroristica. A titolo di esempio, nel solo primo semestre del 2016 si citano: «Duecento jihadisti spariti in Germania si erano finti profughi cristiani con passaporti falsi» (10 aprile 2016 Il Giornale); «A Bari girandola di documenti falsi» (18 marzo 2016 Gazzetta del Mezzogiorno); «Accordo Turchia UE: boom di visti in nero» (23 maggio 2016 Il Giornale); «Bari centrale dei documenti falsi» (30 marzo 2016 Libero); «Camorra e Jihad uniti nel business passaporti falsi» (29 marzo 2016 Libero); «Dalla Bulgaria i visti falsi per i Jihadisti in Italia» (29 aprile 2016 Sole); «ISIS ha 15.000 passaporti da falsificare» (18 marzo 2016 Libero); «Jihadisti attraversano Europa con passaporti falsi» (26 marzo 2016 Repubblica); «Mercato dei visti: una miniera d'oro» (18 aprile 2016 Giornale); «Passaporti ai kamikaze la rete in Italia» (27 marzo 2016 Messaggero);
   nei primi giorni di luglio 2016 la stampa ha pubblicato numerosi articoli su una indagine condotta dalla polizia di Stato di Fiumicino che ha sgominato un'organizzazione criminale dedita al traffico di passaporti italiani destinati alla distruzione e che, invece, venivano immessi sul mercato clandestino; si veda anche l'interrogazione n. 4-13943, a cui integralmente ci si richiama;
   la polizia di frontiera italiana ha condotto per due anni un'inchiesta approfondita, originata dal fatto che in alcuni aeroporti italiani e turchi erano stati fermati migranti in possesso di passaporti sospetti poiché erano originali, ma con il numero di serie che risultava appartenere ad uno stock di 4000 passaporti spedito dalla questura di Milano alla Zecca dello Stato per la distruzione, a causa del chip biometrico difettoso;
   dalle carte emerge che almeno 300 di questi 4000 passaporti sarebbero stati sottratti da alcuni dipendenti infedeli dell'Istituto Poligrafico dello Stato e ceduti ad esponenti della criminalità, dediti alla falsificazione dei documenti ed alla attribuzione di identità false;
   l'organizzazione era costituita prevalentemente da algerini e marocchini con basi a Roma e Napoli e con ramificazioni a Parigi, Molenbeek ed Istanbul; i passaporti sono stati collocati sul mercato mondiale dei documenti falsi, paiono destinati ad alcuni Paesi in particolare, Turchia, Marocco, Tunisia, Siria, Iraq Afghanistan;
   la procura di Roma ha emesso 11 provvedimenti cautelari, che hanno riguardato anche tre tra funzionari e dipendenti dell'Istituto Poligrafico dello Stato, accusati, a vario titolo, di aver sottratto i documenti d'identità dai magazzini o nel corso delle procedure di distruzione della Zecca dello Stato stessa; in tale ambito si osserva, con sconcerto, che le imputazioni sollevate nei confronti degli indagati (sia stranieri, che, soprattutto, italiani), sono sin troppo blande rispetto ai potenziali rischi futuri che le loro attività illecite potrebbero generare;
   in merito all'inchiesta della procura di Roma l'Istituto Poligrafico (IPZS) ha precisato che il personale coinvolto nell'indagine già da tempo era stato allontanato dal processo di lavorazione di passaporti o di altri documenti di identità; inoltre «(...) il nuovo management di IPZS, d'intesa col MEF, ha modificato le procedure di gestione dei resi e della distruzione dei passaporti difettosi, tracciando le fasi di lavorazione e incrementando sostanzialmente il livello di sicurezza con sistemi tecnologici avanzati. Inoltre, è stata sostituita tutta la linea di responsabilità manageriale della produzione e della sicurezza»;
   tuttavia, le problematiche sulla sicurezza e la qualità delle lavorazioni all'interno del Poligrafico sono ricorrenti: è fatto noto che nel corso degli ultimi anni sono scomparse anche diverse partite di carte di identità sbagliate o sottratte ai magazzini;
   inoltre, dal gennaio 2015 sono segnalate partite difettose di bollini farmaceutici, che sono equiparati alle carte valori e sono destinati a garantire la tracciabilità e la sicurezza dei farmaci, la cui inaffidabilità ha prodotto persino il blocco della distribuzione di taluni farmaci; nonostante le rassicurazioni del Ministero della salute, il Poligrafico ad oggi starebbe continuando ad immettere sul mercato bollini con codici cancellabili e quindi facilmente riciclabili sul mercato nero; anche in questo caso le carenze interne del Poligrafico finiscono coll'avvantaggiare la criminalità organizzata, come già affermato nell'interrogazione 4-11290, tuttora senza risposta;
   nell'articolo «Può un Ente dello Stato compromettere i sistemi di sicurezza dei farmaci» pubblicato su Panorama.it del giugno 2016 viene sollevata l'inquietante ipotesi che in questa sconcertante serie di alterazioni al buon andamento delle lavorazioni e alla sicurezza dei procedimenti ci sia qualcosa di più di quello che il Poligrafico (con dichiarazioni a posteriori) liquida come «errori di fabbricazione» o «difetti nelle fasi di lavorazione» o «ritardi nell'adeguamento tecnologico» o «attività illecite di dipendenti infedeli»;
   si segnala pertanto ai Ministeri interrogati la necessità di garantire la massima sicurezza, aderenza ai protocolli e precisione delle attività condotte dagli enti di Stato che operano in ambiti sensibili; questo per evitare il rischio crescente che un terrorista possa compiere una strage di innocenti anche grazie al fatto che documenti falsi, ottenuti perché un dipendente dello Stato infedele è afflitto da problemi di gioco (questo è quello che riporta la stampa), gli consentono di circolare indisturbato per l'Europa –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e con riferimento a quanto esposto in premessa, assumere iniziative affinché l'Istituto Poligrafico garantisca, in termini preventivi e non successivi, la massima sicurezza, aderenza ai protocolli e precisione delle attività sensibili condotte al suo interno;
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno, in considerazione dei rischi di favoreggiamento del terrorismo internazionale e della criminalità organizzata, assumere iniziative per ampliare le fattispecie e inasprire le sanzioni penali a carico dei colpevoli di atti solo apparentemente minori, ma in grado di generare conseguenze gravissime, nonché rafforzare la vigilanza su tutte le attività degli organi e degli enti statali cui sono affidate attività e lavorazioni sensibili.
(2-01456) «Tancredi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana, il consiglio comunale di Torino ha approvato una delibera, in via di urgenza, con la quale si autorizza la società FSU srl a rifinanziare un debito di circa 154 milioni di euro (nascente, in parte, da un finanziamento concesso da Intesa Sanpaolo con scadenza 2021 e, in parte, per esposizione per derivati verso Goldman Sachs) con un nuovo finanziamento concesso da Intesa Sanpaolo scadente nel 2026 e rimborsabile in dieci anni, il tutto a fronte della concessione in pegno da parte di FSU di azioni IREN (forma di garanzia tra l'altro non prevista dagli articoli 206 e 207 del T.U.E.L.) e del rilascio di una lettera di patronage da parte del comune di Torino;
   FSU è una società partecipata al 50 per cento ciascuno dai comuni di Torino (tramite la società FCT, 100 per cento comunale) e Genova, a suo tempo costituita proprio per la gestione delle partecipazioni al capitale di IREN S.p.A., della quale FSU detiene il 35,94 per cento delle azioni;
   secondo quanto contenuto nella stessa delibera si apprende che il rifinanziamento sarebbe prodromico ad una scissione di FSU, operazione che consentirebbe ai soci pubblici di ottemperare agli obblighi di razionalizzazione introdotti dall'articolo 1, comma 611 della legge di stabilità 2015; si apprende, altresì che il rifinanziamento sarebbe stato concesso nell'interesse della Città, perché consentirebbe di azzerare l'esposizione di FSU per derivati, esposizione che, per quanto di competenza di FCT, socio al 50 per cento di FSU, potrebbe in realtà essere azzerata utilizzando parte del ricavato della vendita da parte di FCT di 14 milioni di azioni di risparmio IREN dalla stessa detenute;
   quest'ultima operazione è stata infatti recentemente autorizzata dalla Giunta municipale e, ai valori attuali, porterà nelle casse di FCT circa 20 milioni e mezzo di euro;
   al contrario, il comune di Torino, per il tramite di FSU, concede di fatto in pegno ad Intesa Sanpaolo – senza apparente giustificazione – tutte le azioni di IREN detenute da FSU;
   è vero, infatti, che Intesa Sanpaolo non eserciterà i diritti amministrativi in relazione a dette azioni, ma fra tre anni, alla scadenza del patto, sarà invece in grado di influenzare in modo sostanziale il rinnovo o meno del detto patto parasociale poiché il già presidente di IREN, ora presidente di compagnia Sanpaolo e azionista di Intesa Sanpaolo, potrebbe, per il tramite del pegno delle azioni IREN concesso ad Intesa Sanpaolo, continuare ad esercitare una certa moral suasion su IREN;
   nella lettera di patronage, si legge come la città di Torino si obblighi: «a fare in modo che nell'amministrazione della FCT e della FSU siano sempre seguiti i criteri della più oculata gestione, in modo che quest'ultima possa sempre adempiere ad ogni obbligazione assunta nei vostri confronti in dipendenza della concessione del finanziamento ed ai sensi del Contratto di Finanziamento». Detto obbligo configura, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, una promessa del fatto del terzo ai sensi dell'articolo 1381 del codice civile, con la conseguenza che la città di Torino sarà tenuta ad indennizzare Intesa Sanpaolo qualora FCT ed FSU non adempieranno a quanto promesso dalla stessa città di Torino;
   in relazione al contratto di finanziamento proposto da Intesa Sanpaolo, si segnala che è stata allegata alla delibera il solo Term Sheet nel quale, però, non sono elencati gli impegni (contrattuali ed economico-finanziari) assunti da FSU con la sottoscrizione del finanziamento;
   conseguentemente non è stato possibile conoscere quali sono i possibili casi di inadempimento posti a carico di FSU;
   non è stato possibile sapere, inoltre, se nell'ambito del contratto di finanziamento, Intesa Sanpaolo presta sin da ora il suo consenso alla scissione di FSU e alla ripartizione proporzionale del finanziamento Intesa Sanpaolo e delle relative garanzie;
   ciò che potrebbe far pensare che il consenso alla scissione non sia ancora stato dato è la precisazione contenuta nell'atto di pegno (articolo 3.2) in cui si specifica che, in caso di scissione di FSU, salvo che Intesa Sanpaolo non si sia avvalsa – della facoltà di recesso di cui all'articolo 12.3 del contratto di finanziamento, ciascuna delle società risultanti dalla scissione risponderà esclusivamente per la parte di finanziamento assegnata; Intesa Sanpaolo dovrebbe comunque ancora prestare il consenso alla, e favorire la scissione essendo tenuta a consentire il rispetto della legge da parte di FSU;
   l'interrogante non comprende perché la città di Torino debba concedere in pegno 424.999.223 azioni IREN di proprietà di FSU del valore complessivo di quasi 600 milioni di euro (ai valori attuali di borsa) e debba anche rilasciare ad Intesa Sanpaolo una lettera di patronage definita «debole» dalla maggioranza ma che, nell'opinione dello stesso interrogante, ma anche della stessa giurisprudenza, sembra invece configurare degli obblighi non necessari, poiché il rimborso del finanziamento sarebbe più che garantito dal flusso di dividendi;
   a costanza di dividendi IREN e a costanza di partecipazione detenuta indirettamente dalla città di Torino in IREN, il rimborso del finanziamento, infatti, sembrerebbe più che garantito nei prossimi dieci anni dal semplice flusso dei dividendi che dovrebbero ammontare, nei prossimi dieci anni, a circa il 150 per cento, del finanziamento concesso da Intesa Sanpaolo;
   tale operazione celerebbe, ad avviso degli interroganti, la necessità di prorogare la scadenza del mutuo di Intesa San Paolo che, in considerazione dei dividendi medi (0,052/0,055) per azione distribuiti da IREN negli ultimi quattro anni, non sarebbe interamente rimborsabile, utilizzando i dividendi, entro il 2021, restando in essere per circa 25/30 milioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga di assumere iniziative, anche normative, per chiarire quali siano gli obblighi di legge in merito alle forme di garanzia relative al rifinanziamento di un debito da parte di un ente locale in casi come quello di cui in premessa. (5-09398)


   DONATI, VERINI, SERENI, ARLOTTI, PAOLA BOLDRINI, PARRINI, ASCANI, LODOLINI, CARRESCIA, ROMANINI e MORANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 59 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, contiene importanti, positive e risolutive novità per il rimborso degli investitori che hanno acquistato gli strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell'Etruria e del Lazio Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti spa;
   tra le suddette misure si evidenziano: la possibilità per gli investitori delle predette Banche in liquidazione, di poter richiedere al, fondo di solidarietà istituito con la legge di stabilità 2016, l'erogazione di un indennizzo forfetario solo nel caso in cui abbiano un patrimonio mobiliare di proprietà di valore inferiore a 100.000 euro o un ammontare del reddito lordo ai fini Irpef, nell'anno 2015, inferiore a 35.000 euro. In tal caso, il rimborso automatico permette in tempi più rapidi di avere 1180 per cento di quanto perso; in alternativa all'indennizzo forfetario veniva confermata la possibilità per gli investitori di accedere alla procedura arbitrale;
   il decreto attuativo per la procedura arbitrale, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 857, della legge, 28 dicembre 2015, n. 203 (legge di stabilità per il 2016), doveva essere adottato entro il 30 giugno 2016, ma allo stato attuale non risulta ancora emanato;
   la contemporaneità della definizione delle regole per l'accesso all'indennizzo forfetario o alla procedura arbitrale è un requisito indispensabile al fine di garantire ai suddetti investitori di poter scegliere quale strada intraprendere in piena e libera consapevolezza;
   il ritardo accumulato per l'emanazione dei decreto attuativo per la procedura arbitrale sta generando non poche difficoltà agli investitori, che non sono in condizioni di scegliere fra l'indennizzo forfetario e la procedura arbitrale, con la conseguente creazione di un clima di irritazione individuale e sociale;
   la valutazione delle sofferenze delle suddette quattro banche sembrerebbe inferiore a quella prevista per il Monte dei Paschi di Siena. Il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, tuttavia, prevede all'articolo 25, una prima valutazione provvisoria delle sofferenze, con la possibilità di una seconda valutazione definitiva –:
   quali siano i motivi della mancata emanazione del decreto attuativo per il risarcimento degli investitori con la procedura arbitrale tempi previsti dall'articolo 1, comma 857 della legge di stabilità per il 2016 e se intenda rendere noti i tempi per la sua approvazione;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per prevedere il prolungamento dei tempi per la presentazione della documentazione per l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario da parte degli investitori tenuto conto che un mese dei sei previsti nel decreto-legge n. 59 del 2016 è già trascorso;
   se non ritenga di verificare se ci siano le condizioni per assumere iniziative volte a fare ulteriore chiarezza sui criteri di valutazione delle sofferenze delle suddette quattro banche. (5-09407)


   PETRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con i provvedimenti nn. 553 del 2015, 554 del 2015, 555 del 2015 e 556 del 2015 del 21 novembre 2015, approvati dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreti in data 22 novembre 2015, la Banca d'Italia ha disposto, ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, l'avvio della risoluzione di quattro banche in amministrazione straordinaria: Banca delle Marche s.p.a., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - società cooperativa, Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti s.p.a.;
   con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, i cui effetti sono fatti salvi dall'articolo 1, comma 854, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono state costituite quattro società per azioni bancarie denominate Nuova Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., Nuova Banca delle Marche s.p.a., Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio s.p.a. e Nuova Cassa di risparmio di Chieti s.p.a., aventi per oggetto lo svolgimento dell'attività di «ente-ponte» ai sensi dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 180 del 2015, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, al verificarsi di adeguate condizioni di mercato, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate dalle banche in risoluzione, in conformità con le disposizioni del citato decreto legislativo;
   il Governo e la Banca d'Italia, in stretta collaborazione e intesa, agendo ciascuno in base alle proprie competenze e responsabilità, e a seguito di complesse interlocuzioni con le istituzioni europee, hanno dunque individuato, nella procedura di risoluzione della crisi delle quattro banche, una soluzione che assicurasse la continuità operativa degli istituti e il loro risanamento, preservando tutti i rapporti di lavoro in essere nell'interesse dell'economia dei territori in cui sono insediate, e la piena tutela dei risparmi di famiglie e imprese detenuti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie;
   sulla base del programma di risoluzione, articolato secondo uno schema di separazione delle attività per cui ciascuna delle quattro banche è stata separata – ai sensi dell'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 180 del 2015 – in una bad bank, priva di licenza bancaria, dove sono stati concentrati i prestiti in sofferenza, e in una bridge bank, dove sono state conferite tutte le attività diverse da quelle di dubbio realizzo, le citate «banche ponte» vengono provvisoriamente gestite, sotto la supervisione dell'unità di risoluzione della Banca d'Italia, da amministratori da questa appositamente designati;
   agli amministratori è stato attribuito il preciso compito di vendere le quattro good bank in tempi brevi al miglior offerente, con procedure trasparenti e di mercato; in conformità con le disposizioni del decreto legislativo n. 180 del 2015, l'intero capitale sociale di ciascun ente ponte è detenuto dal fondo nazionale di risoluzione;
   l'impegno finanziario immediato del fondo di risoluzione è, complessivamente per le quattro banche, così suddiviso: circa 1,7 miliardi di euro a copertura delle perdite delle banche originarie, circa 140 milioni di euro per dotare le bad bank del capitale minimo necessario a operare e circa 1,8 miliardi di euro per ricapitalizzare le good bank (recuperabili con la vendita delle stesse);
   la liquidità necessaria al fondo di risoluzione per iniziare immediatamente a operare è stata anticipata da tre grandi banche (Banca Intesa Sanpaolo, Unicredit e UBI Banca), a tassi di mercato e con scadenza massima di 18 mesi;
   la Banca d'Italia, in qualità di gestore del fondo nazionale di risoluzione, ha dunque invitato qualunque soggetto in possesso dei requisiti previsti dalle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili ai fini dell'ottenimento delle necessarie autorizzazioni di vigilanza, in grado di garantire la continuità operativa ed economica degli enti ponte, nonché la rapidità ed efficienza nella realizzazione dell'acquisizione, a presentare manifestazioni di interesse per l'acquisto di uno o più degli enti ponte o di tutti gli enti ponte, ovvero per una o più delle non-core entities, evidenziando che costituirà elemento positivo di valutazione la presentazione di offerte relative a tutti e quattro gli enti ponte e che presentino particolare attenzione agli ambiti territoriali di riferimento dei medesimi;
   il 12 maggio 2016 sono scaduti i termini per la presentazione delle offerte non vincolanti da parte dei soggetti abilitati alla partecipazione; in linea con le aspettative, circa metà di coloro che avevano manifestato iniziale interesse – private equity in prevalenza, banche e compagnie assicurative – hanno sottoposto una propria offerta non vincolante;
   il 22 luglio 2016 la Banca d'Italia ha reso noto che, nel rispetto dei termini previsti dalla procedura per la cessione delle good bank, sono pervenute tre offerte economiche impegnative, che verranno analizzate dagli advisor (Societè Generale come advisor finanziario, Oliver Wyman per la consulenza strategia e Chiomenti per gli aspetti legali); ulteriori comunicazioni dell'autorità nazionale di risoluzione seguiranno all'esito delle valutazioni;
   secondo indiscrezioni di stampa, fra le offerte economiche impegnative per l'acquisto delle quattro good bank rientrano quelle di due fondi, Apollo e Lone Star, il primo assistito nell'operazione da McKlnsey, il secondo da Bain; in entrambi i casi sembrerebbe che la valutazione sia per un ammontare tra i 500 e i 600 milioni di euro, cifra decisamente inferiore a quanto atteso rispetto alle risorse impiegate per ricapitalizzare le quattro good bank;
   la terza offerta giunta all'Autorità nazionale di risoluzione per le good bank riguarderebbe solo le società di assicurazioni Bap di Banca Etruria, un'eventualità prevista dal bando emesso a gennaio dalla Banca d'Italia;
   non avrebbe, invece, presentato un'offerta concreta, ma avrebbe scritto una lettera all'Autorità nazionale di risoluzione il fondo di private equity Apax, che si dichiarerebbe disposto a prendere eventualmente parte ad un piano di acquisto;
   la situazione economica che verrebbe ad individuarsi, qualora si rivelassero fondate le anticipazioni stampa richiamate, risulterebbe problematica, in considerazione del fatto che quanto incassato dalla cessione dei quattro istituti servirà, infatti, all'Autorità di risoluzione per rimborsare il prestito ancora in essere con Intesa, UniCredit e Ubi –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito a quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, nei limiti delle proprie competenze e nel rispetto di quelle della autorità di vigilanza, affinché venga individuata la migliore soluzione in questa cruciale fase di gestione della procedura di vendita relativa a Nuova Banca delle Marche spa, Nuova Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, Nuova Cassa di risparmio di Ferrara spa e Nuova Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. (5-09420)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2009 si è svolto il concorso, per titoli ed esami, per la selezione di 197 allievi finanzieri del contingente ordinario, riservato ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno (VFP1) ovvero in rafferma annuale (VFP1T), in servizio o in congedo;
   le prove del concorso si sono svolte e concluse tra il mese di marzo e quello di luglio del 2009;
   al termine delle prove fisiche, dei test attitudinali e delle visite mediche, ai concorrenti è stata comunicata la loro idoneità;
   la graduatoria definitiva del concorso in esame è stata pubblicata alla fine dell'anno 2009;
   nell'ambito dei 197 allievi finanzieri erano stati selezionati 70 concorrenti dalla graduatoria finale destinati al corso di addestramento per il Soccorso alpino della Guardia di finanza della durata di ben 8 mesi;
   oltre a questi primi 70 selezionati dalla graduatoria finale, poi fatta scorrere fino all'82o a causa di rinunce ed abbandoni, v'era una graduatoria di idonei che il comando generale della Guardia di finanza poteva utilizzare in caso di maggiori necessità di uomini;
   questa ulteriore necessità di uomini nel Corpo speciale degli alpini finanzieri si è presentata dopo pochi anni, nel 2011;
   il comando generale bandisce un altro concorso per 1250 allievi finanzieri, dai quali seleziona 20 alpini finanzieri mentre, contemporaneamente, v’è una graduatoria in corso di validità con più di 50 idonei a svolgere egregiamente quel ruolo –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per far sì che i 50 idonei del concorso 2009 per allievi alpini finanzieri vengano chiamati a prestare servizio nella Guardia di finanza. (4-14047)


   BRESCIA, SCAGLIUSI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto Poligrafico dello Stato nasce nel 1928 e acquisisce la sezione Zecca dello Stato nel 1978. Nell'anno 2002 l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato diventa s.p.a. (IPZS S.p.A.), con azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'Istituto ha la sua sede centrale a Roma e conta anche uno stabilimento produttivo a Foggia e uno, di recente istituzione, a Verrès in Valle d'Aosta;
   dal verbale della delibera n. 959 adottata dalla giunta regionale della Valle d'Aosta nell'adunanza tenutasi in data 15 luglio 2016 si apprende che l'IPZS s.p.a. ha manifestato a FINAOSTA s.p.a. la propria intenzione di ampliare lo stabilimento di Verrès con lo scopo di avviare una nuova linea di produzione di targhe per autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori, attraverso un investimento stimato di circa 12 milioni di euro, con impegno di lavoro per 25 persone;
   secondo quanto riportato nella delibera sopracitata, il nuovo stabilimento dell'Istituto poligrafico potrebbe essere realizzato su una parte dell'area locata da FINAOSTA s.p.a. e a oggi inutilizzata, attraverso la demolizione e il rifacimento di un capannone obsoleto e in disuso presente nel sito industriale di Verrès;
   la creazione di un polo industriale specialistico ed esclusivo dell'IPZS s.p.a. contribuirebbe alla crescita del livello occupazionale della Valle d'Aosta e rappresenterebbe un incentivo allo sviluppo del territorio regionale. Per queste ragioni la giunta regionale ha espresso un parere unanime e favorevole nella delibera di cui sopra, impegnandosi a promuovere la collaborazione con l'IPZS s.p.a. e invitando la FINAOSTA s.p.a. a individuare la soluzione contrattuale migliore per l'insediamento nel sito industriale di Verrès di uno stabilimento dell'Istituto poligrafico per la produzione di una nuova linea di targhe per veicoli;
   ad oggi, lo stabilimento della Zecca dello Stato presente e operante a Verrès conta 30 dipendenti e un dirigente e si occupa unicamente della realizzazione di tondelli per le monete, lavorando a volumi di produzione ridotti, con un giorno di cassa integrazione ogni quattro lavorativi;
   lo stabilimento di Foggia, invece, vanta una storia pluridecennale: istituito come società anonima nel 1934, nel 1936 diviene proprietà dell'Istituto poligrafico dello Stato che vi attiva, nel secondo dopoguerra, l'Officina filigrana per la realizzazione di carta filigranata per usi di legge. Nel 1971 si avvia la prima linea di produzione centralizzata delle targhe di circolazione per tutti i veicoli a motore e trainati immatricolati in Italia, mentre dal 1999 ha inizio la nuova produzione delle attuali targhe «europee»;
   sebbene presso lo stabilimento dell'IPZS di Foggia vengano realizzati diversi prodotti, tra cui carte filigranate di sicurezza per la stampa delle carte valori, carte comuni per la stampa di pubblicazioni ufficiali e per schede elettorali, ricettari medici per il servizio sanitario nazionale, bollini per farmaci e carta di sicurezza per le ricevute del gioco del lotto, la produzione di targhe di circolazione dei veicoli ne rappresenta il vero e proprio core business;
   la produzione delle targhe automobilistiche, affidata a 60 addetti, costituisce infatti circa il 50 per cento del fatturato complessivo dello stabilimento IPZS di Foggia. È indubbio che la realizzazione di un nuovo e di certo più tecnologico stabilimento dell'IPZS in Valle d'Aosta per la produzione di una nuova linea di targhe per autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori desti preoccupazioni nei lavoratori pugliesi, in quanto potrebbe portare a una conseguente riduzione delle unità di personale e, nella peggiore delle ipotesi, causare ripercussioni sul bilancio economico dello stabilimento foggiano –:
   se non intenda intervenire, per quanto di competenza e in qualità di azionista unico dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato s.p.a. al fine di chiarire quanto riportato in premessa, ovvero fornire delucidazioni riguardo alla realizzazione di un nuovo stabilimento per la produzione di targhe automobilistiche a Verrès in aggiunta a vello attivo già da decenni nella città di Foggia;
   quali iniziative intenda adottare al fine di tutelare sia i 60 dipendenti dello stabilimento IPZS s.p.a. di Foggia addetti alla produzione delle targhe per veicoli, sia lo stabilimento stesso, accertandosi pertanto che il nuovo sito di Verrès non comporti alcuna situazione di svantaggio per il bilancio economico del sito foggiano. (4-14054)


   MIOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   quattro consiglieri comunali del comune di Rosà (Vicenza) hanno presentato in data 30 ottobre 2014 un esposto-denuncia alla procura generale della Corte dei conti della regione Veneto in ordine all'accertamento di possibili danni erariali all'ente, oltre a profili di penale rilevanza nell'ambito del percorso amministrativo finalizzato alla realizzazione del nuovo polo scolastico San Pietro-Cusinati, in comune di Rosà (Vicenza);
   non risulterebbe ad oggi riscontrabile alcun esito del predetto esposto-denuncia né alcuna convocazione dei proponenti l'esposto-denuncia, nonostante la dichiarata disponibilità ad integrare la già copiosa documentazione depositata a corredo del medesimo atto;
   nel marzo del 2009 il sindaco di Rosà informa con un comunicato stampa che l'amministrazione sta valutando l'ipotesi di unificazione delle scuole elementari «S. Pellico» della frazione di San Pietro e «A. Fogazzaro» della frazione di Cusinati, entrambi risalenti agli anni ’70, ormai obsoleti e con spazi inadeguati e carenti dei requisiti di sicurezza. Il nuovo plesso scolastico sarebbe stato ipotizzato in zona baricentrica tra le frazioni di Cusinati e San Pietro;
   il 3 aprile 2009 la giunta comunale approva il progetto preliminare del nuovo polo scolastico in via Monte Nero in uno dei tre lotti, ricadenti in zona agricola, di proprietà della ditta FINIPAR srl (Ramonda) e occupati da stabilimenti adibiti all'allevamento intensivo di pollame. Il progetto prevede una spesa di complessivi 4,448 milioni di euro di cui euro 500.000 per acquisizione dell'area e 3.100.000 per realizzazione dell'opera (delibera della giunta comunale n. 69 del 2009);
   nell'ottobre del 2009, la giunta comunale adotta il piano triennale degli interventi e prevede la costruzione della scuola con un primo stralcio di 4 milioni di euro nel 2011, ed un secondo stralcio successivamente per 2 milioni di euro;
   nell'ottobre del 2010 la giunta comunale adotta il piano triennale degli interventi e prevede la costruzione del primo stralcio della scuola nel 2011 per 3 milioni di euro, e nel 2012 il secondo stralcio per 3 milioni di euro;
   nel 2011 (delibera della giunta comunale n. 39 del 2011) viene approvato un nuovo progetto preliminare con una spesa complessiva di 6,4 milioni euro di cui euro 2.500.000 destinati ad acquisizione dell'area;
   dopo circa 5 mesi l'Agenzia del territorio – ufficio provinciale di Vicenza (atto prot. n. 6038 del 2011) redige una stima delle proprietà FINIPAR incredibilmente coincidente con quanto previsto nella delibera della giunta comunale n. 39 del 2011;
   il 29 agosto 2011 il consiglio comunale (atto n. 32 del 2011) affida il mandato al sindaco di promuovere un accordo di programma con la ditta FINIPAR, che il sindaco firma in data 3 ottobre 2011, ma che viene ratificato dal consiglio comunale solo in data 28 novembre 2011 (del consiglio comunale n. 55 del 2011), quindi oltre il termine di 30 giorni dalla sottoscrizione pena decadenza ai sensi dell'articolo 34, comma 5, TUEL;
   con tale accordo di programma il comune si impegna ad acquisire per un corrispettivo di 2.500.000 euro uno dei tre lotti di terreno della FINIPAR per edificare la nuova scuola. Nella valutazione dei 2,5 milioni il comune si accolla l'onere per il deprezzamento conseguente all'abbattimento degli immobili insistenti sugli altri due lotti di terreno che restano di proprietà della FINIPAR;
   nel maggio 2012 a seguito rinnovo amministrazione il sindaco dichiara che il terreno per la realizzazione del polo scolastico è stato acquisito;
   il 13 luglio 2012 viene pubblicato avviso per selezione affidamento incarico di progettazione del nuovo polo scolastico (prot. n. 9202 del 2012);
   il 26 luglio 2012 l'Ordine degli ingegneri di Verona invia esposto all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) denunciando la difformità dell'avviso di selezione rispetto alla vigente normativa;
   il 27 luglio 2012 con determinazione n. 622 il responsabile dell'Area tecnica annulla, in via di autotutela, l'avviso di selezione per l'affidamento dell'incarico della progettazione del nuovo polo scolastico;
   nell'ottobre 2012 la giunta comunale adotta il nuovo programma triennale dei lavori pubblici inserendo nel 2013 il nuovo polo scolastico con un quadro economico di spesa di 7 milioni di euro ed informando che la progettazione è stata affidata agli uffici comunali;
   tra settembre ed ottobre 2013 alcuni privati sottoscrivono un atto d'obbligo con l'amministrazione di Rosà che prevede in base al principio della perequazione la cessione di una superficie utile alla realizzazione del nuovo polo scolastico a fronte della preliminare trasformazione urbanistica di parte dei terreni che restano di proprietà dei privati, in aree edificabili; la collocazione è prevista a poca distanza da altro edificio scolastico esistente e perciò viene meno la condizione baricentrica inizialmente prevista dal progetto del 2009;
   il 5 novembre 2013 il sindaco e Finipar srl sottoscrivono l'atto di scioglimento dell'accordo di programma del 2011 prevedendo la ripresa dell'allevamento avicolo sospeso per due anni, senza alcun onere a carico dell'Amministrazione comunale;
   l'atto di scioglimento è approvato dal consiglio comunale con delibera n. 48 del 23 dicembre 2013;
   contestualmente il consiglio comunale con deliberazione n. 49 del 2013 approva gli indirizzi per un nuovo accordo di programma che recepisce i contenuti dell'atto d'obbligo con accordo di perequazione definito nell'autunno 2013, individuando un'area in Via dei Dogi, non più baricentrica rispetto ai plessi esistenti;
   i cittadini delle frazioni di Cusinati e San Pietro contestano la scelta dell'ubicazione del nuovo polo nel centro di Rosà e raccolgono 1750 firme contro la nuova ubicazione, in risposta a queste pressioni il Comune tenta la individuazione di altri privati disponibili a definire un accordo analogo a quello concluso in regime di perequazione; in zona maggiormente baricentrica, ma senza successo;
   il marzo 2014 la giunta comunale (delibera n. 61 del 2014) modifica il programma triennale LL.PP. 2014/2016 inserendo nel 2014 il nuovo polo scolastico con una previsione di spesa pari ad euro 6.550.000;
   il 28 aprile il consiglio comunale approva con delibera n. 22 del 2014 una variante al piano degli interventi n. 1 del 2014 recependo un nuovo accordo di programma con Finipar srl e il 23 giugno approva con Del CC n. 38 del 2014 lo schema di convenzione tra comune di Rosà e ditta Finipar srl avente ad oggetto la cessione dell'area per la realizzazione del nuovo polo scolastico al prezzo di 1.530.000;
   il giorno successivo 24 giugno 2014 viene rogata dal notaio Muraro una convenzione (rep. n. 50786 racc. n. 19016) che presenta palesi difformità con lo schema approvato in consiglio comunale il giorno precedente;
   emergerebbero più vizi nella relazione di stima della proprietà Finipar redatta dall'Agenzia del territorio di Vicenza in data 11 luglio 2011 in quanto:
    a) mancherebbe l'attestazione della regolarità urbanistico-edilizia degli edifici presenti;
   b) mancherebbe la verifica di corrispondenza fra gli elaborati grafici del 1972 e gli edifici valutati;
   la variante urbanistica gennaio 2014 adottata con atto n. 22 del 2014 dal consiglio comunale determinerebbe la trasformazione urbanistica di due dei tre lotti Finipar: al comune verrebbe ceduto il lotto di metri quadrati 14.884 per costruire la scuola ma in compenso la Finipar otterrebbe la edificabilità su 21.366, metri quadrati di terreno agricolo;
   la predetta variante urbanistica trasformando in edificabile l'intera area Finipar entra in conflitto con le disposizioni regionali che in precedenza avevano negato la trasformazione urbanistica della medesima area;
   con la convenzione di cui alla delibera n. 38 del 2014 il prezzo di 1.530.000 comporta che il lotto agricolo acquistato è stato pagato al prezzo di 102,70 euro al metro quadro ed inoltre il comune si è accollato l'onere per demolire i capannoni insistenti nel lotto descritto oltre allo smaltimento dei materiali e delle coperture in amianto, peraltro concedendo la trasformazione in edificabile il lotto Finipar di 21.366 metri quadri: tale prezzo che appare sopravvalutato, non è stato sottoposto alla attestazione di congruità da parte della Agenzia del demanio;
   le difformità riscontrabili fra lo schema di convenzione approvato in consiglio comunale e l'atto notarile redatto il giorno dopo riguardano condizioni peggiorative per il comune e ad esclusivo vantaggio del privato: sparisce il termine «gratuitamente» all'articolo 2 del rogito, con ciò il comune si accolla la spesa della striscia di terreno Finipar necessaria per la strada di accesso alla scuola, precedentemente prevista in cessione gratuita al comune; è stato aggiunto un ulteriore onere per il comune obbligato a predisporre i sottoservizi a beneficio dei nuovi lotti residenziali Finipar, non previsti nello schema approvato in consiglio comunale; ed infine all'articolo 5 le spese relative e conseguenti alla stipula della convenzione sono state poste a carico del comune diversamente da quanto previsto dallo schema approvato in consiglio comunale nel giorno precedente alla stipula –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare una verifica da parte dei servizi ispettivi della finanza pubblica (S.I.Fi.P) al fine di accertare, per quanto di competenza, la regolarità e la correttezza della gestione amministrativo-contabile del comune di Rosà (Vicenza), con specifico riferimento alla costruzione del nuovo polo scolastico San Pietro-Cusinati.
(4-14068)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa rappresentano un quadro allarmante della situazione dei tribunali italiani in relazione alla produttività ed al numero di cause civili trattate: chiaramente non tutti i tribunali sono produttivi allo stesso modo;
   nelle sedi di tribunali di prima istanza i giudici nel 2015 hanno definito ciascuno 262 processi di contenzioso civile, mentre alcuni uffici hanno superato di molto questa soglia, fino a raddoppiarla, in altri ancora le cause portate a termine in un anno sono meno della metà;
   le variazioni sono piuttosto consistenti, ad esempio presso il tribunale di Foggia i giudici in media definiscono 644 procedimenti l'anno (dati del 2015), a Bolzano si sono fermati a 91 e a Napoli nord a 85; questi dati devono essere interpretati tenendo conto delle scoperture di organico sia di magistrati sia di personale amministrativo e del carico di lavoro che ogni anno si rinnova presso ciascun tribunale; in questo esempio il tribunale di Foggia ha un numero di iscrizioni a ruolo di quattro volte superiore a quello del tribunale di Bolzano;
   dai dati messi a disposizione dal Ministero della giustizia e riportati dai quotidiani nazionali solo 28 tribunali su 140 non hanno carenze d'organico fra i magistrati togati;
   in media il tasso di posti vacanti è del 9,8 per cento e conduce la graduatoria dei tribunali con più scoperture proprio il tribunale di Bolzano, che a fine 2015 registrava un meno 33,3 per cento;
   in linea generale, invece, considerando le scoperture tra i magistrati ed il personale amministrativo solo sei tribunali su 140 hanno le piante organiche complete alcuni addirittura con «esuberi», in 15 sedi i posti vacanti superano il 30 per cento, con il picco di Bolzano che si avvicina al 50 per cento;
   la complessa macchina della giustizia lavora quindi a differenti velocità a seconda del tribunale competente: gli scoperti negli organigrammi di cancellieri e funzionari o dei giudici togati ovvero il numero di cause sopravvenienti ogni anno ovvero ancora il numero dei fascicoli arretrati comporta risultati assolutamente differenti tra tribunali anche vicini;
   la media nazionale per concludere una causa civile di primo grado si attesta in quasi tre anni, 1.007 giorni: in due tribunali, Rovereto e Napoli nord (quest'ultimo ha iniziato a funzionare alla fine del 2013), il processo può durare anche meno di un anno, nei tribunali di Patti, Foggia, Vibo Valentia e Matera, la media può sorpassare i cinque anni o più;
   nelle corti d'appello le cause civili possono durare in media due anni e dieci mesi, 1.016 giorni, ed in Corte di cassazione si superano i tre anni, 1.222 giorni;
   alcuni articoli di cronaca locale a seguito della diffusione dei dati di cui si è parlato attestano il tribunale civile di Verona appena sotto la media nazionale per numero di giorni necessari per conseguire una decisione di primo grado: sono 785;
   785 giorni per ottenere la decisione in un procedimento civile sembrano davvero troppi;
   sebbene questo dato consegni al tribunale di Verona una produttività al di sopra della media nazionale (che è invece di 1007 giorni per un giudizio civile), appare in ogni caso eccessiva di fronte alla domanda di giustizia del tessuto socio-economico veronese, denso di aziende produttive che necessitano di una risposta rapida ai contenziosi commerciali pendenti;
   dover attendere mediamente quasi due anni e mezzo per ottenere una decisione civile di primo grado aggrava sensibilmente gli sforzi che gli imprenditori veronesi devono affrontare per restare competitivi sul mercato italiano ed estero;
   la mancanza di personale giudicante, oltre che amministrativo, contribuisce negativamente sulla velocità di gestione dei processi, provocando così un ovvio allungamento dei tempi decisionali del tribunale, già oberato da un endemico arretrato giudiziario che si aggrava quotidianamente;
   sul tema l'interrogante aveva presentato un'interrogazione a risposta in Commissione la n. 5-04370 del 22 dicembre 2014, seduta n. 356, alla quale non è ancora stata data risposta, sebbene sollecitata di recente;
   in quella sede si approfondiva questa stessa carenza cronica di personale nelle sezioni dei procedimenti penali nel tribunale di Verona, nelle quali operano otto magistrati monocratici e due magistrati onorari, il tribunale collegiale tiene quattro udienze al mese per ogni collegio, più le udienze straordinarie: ogni mese, quindi, vengono tenute tra 90 e 110 udienze penali;
   in quel momento, il presidente del tribunale era stato costretto a limitare il numero delle udienze: dal momento che è obbligatoria la presenza di un assistente in aula, che deve necessariamente assistere alle udienze, questo non può svolgere il lavoro di cancelleria, quale preparare le udienze, notificare gli avvisi e scaricare le sentenze;
   è proprio la carenza di personale nelle cancellerie il dato con cui il tribunale si deve confrontare, la soluzione adottata dal presidente del tribunale di Verona, in quella situazione, è stata quella di fissare due udienze in meno al mese per ciascun magistrato per consentire così di «liberare» una parte del personale delle cancellerie dall'assistenza in udienza e consentire loro di fare il proprio lavoro senza affanno;
   queste situazioni per le quali i presidenti dei tribunali italiani sono costretti, con grande sforzo e quotidianamente a far fronte alle immediate contingenze di carenze di personale e mancanza di fondi disponibili, sono uno degli effetti dei numerosi e recenti interventi legislativi di recente approvazione;
   a questa situazione si aggiunge, inoltre, la repentina decadenza dei giudici di pace in servizio sino al 31 maggio 2016, al compimento dei 68 anni, che sono decaduti di diritto per intervenuto raggiungimento dei limiti di età anagrafica in forza delle disposizioni del decreto legislativo n. 92 del 2016 entrato appunto in vigore il 31 maggio 2016;
   tale decreto legislativo che vorrebbe costituire la riforma della magistratura onoraria riscrive anche il mandato dei giudici di pace che potranno esercitare, se di nuova nomina, due mandati da 4 anni, per un massimo di 8 anni e per quelli in servizio non vi potranno essere più di 4 mandati da 4 anni ciascuno, per un periodo massimo di 16 anni, tutto ciò sempre purché i magistrati di pace già in servizio non abbiano compiuto il 68esimo anno di età, termine ultimo per l'esercizio del mandato dopo il quale la decadenza giunge inesorabile ispo iure;
   la decadenza diffusa sul territorio nazionale ha causato non pochi disagi spesso negli uffici dei giudici di pace più piccoli dove le piante organiche sono state letteralmente falcidiate dall'entrata in vigore di questa norma;
   in molti uffici comunque l'effetto primario della decadenza massiva dei giudici di pace ha comportato l'aggravarsi dei disagi già evidenziati in precedenza relativamente alla carenza di magistrati giudicanti, togati e non;
   le cause assegnate ai giudici di pace decaduti saranno riassorbite dagli altri dello stesso ufficio restati in servizio con ovvie conseguenti ripercussioni negative in punto di produttività e media di conclusione del contenzioso arretrato, unitamente all'incremento di cause sopravvenienti che saranno assegnate ai pochi giudici di pace rimasti;
   il fatto ancor più aberrante è costituito dalla mancanza, ad oggi, dell'emanazione e dell'entrata in vigore dei decreti attuativi che dovranno descrivere le modalità ed i limiti per poter svolgere i nuovi concorsi dei nuovi giudici onorari di pace (GOP); i posti vacanti quindi non verranno rimpiazzati a breve;
   perché questi effetti delle riforme si possano esplicare, invece, in un'accelerazione della risoluzione delle controversie sarà necessario approvare provvedimenti che prevedano riforme a carattere organico, con spunti lungimiranti che offrano l'opportunità di intervenire con sistematicità sull'ordinamento giuridico e giudiziario al fine di uniformare la risposta della giustizia sul territorio nazionale e renderla più vicina alle esigenze dei cittadini e delle imprese –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione, per poter quantificare e fornire dati aggiornati sulla consistenza numerica del personale amministrativo di cancelleria, di magistrati togati ed onorari, nonché dei giudici di pace in ruolo, rispetto al numero previsto dalla pianta organica dei tribunali e degli uffici dei giudici di pace in Italia ed, in particolare, presso il tribunale e ufficio del giudice di pace di Verona;
   se possa fornire dati ed informazioni relativamente a quante unità del personale della giustizia, giudicante e non, svolgano le proprie funzioni effettivamente presso il tribunale, quanti siano invece eventualmente assegnate ad altri compiti, in Italia ed in particolare presso il tribunale e l'ufficio del giudice di pace di Verona;
   se e quali iniziative di competenza intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva, efficiente organizzazione delle attività di cancelleria presso i tribunali in Italia ed, in particolare presso il tribunale e l'ufficio del giudice di pace di Verona;
   se e per mezzo di quali iniziative ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine d'incrementare l'organico del personale giudicante ed amministrativo nei tribunali e negli uffici del giudice di pace italiani, onde ovviare alla carenza d'organi venutasi a determinare.
(5-09415)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia di cronaca dell'arresto, da parte dei carabinieri del comando provinciale di Milano, di Milena Ceres, 34 anni, coordinatrice di un asilo nido del quartiere Bicocca, a Milano, il Baby World di viale Sarca, ritenuta responsabile di una serie di maltrattamenti su bambini da due mesi a due anni, di percosse e di lesioni personali, e del titolare della struttura, Enrico Piroddi, 35 anni;
   grazie ad una attività di videosorveglianza avviata dal maggio 2016 dai carabinieri, l'arresto sarebbe avvenuto in flagranza di reato, dopo che i carabinieri stessi, che stavano monitorando le immagini di quello che avveniva nell'asilo, hanno assistito in diretta a un episodio di violenza eclatante: un'operatrice ha infierito su un bimbo di due anni, ospite dell'asilo, prima strattonandolo, poi tirandogli le orecchie con violenza e infine chinandosi su di lui e mordendolo a una guancia;
   il gip Stefania Pepe ha convalidato il provvedimento e disposto i domiciliari per la donna, mentre il Piroddi è stato rimesso in libertà con interdizione allo svolgimento dell'attività per 12 mesi;
   gli episodi contestati sono 25: piccoli dai 10 mesi ai due anni, sarebbero stati vittime di insulti, percosse, imboccamenti forzati e immobilizzazioni nei lettini, minacce, sarebbero stati inoltre rinchiusi in uno stanzino buio dove sarebbero stati trattenuti a lungo nonostante urla e pianti disperati;
   rientrano nello schema del delitto di maltrattamenti non soltanto le percosse, le minacce, le ingiurie e le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di scherno, di disprezzo, di umiliazione, di vilipendio e di asservimento che cagionano una durevole sofferenza morale;
   è indispensabile tenere sempre in conto che il reato determina nella vittima, accanto al danno materiale, anche un trauma psichico che deve essere sempre riconosciuto e valutato e che nella vittima minore è più grave visto che può avere grave, ripercussioni sulla sua crescita psico-fisica;
   nella struttura ci sarebbe stato anche un clima di assoluta omertà e gli arrestati avrebbero più volte mentito ai genitori per giustificare la presenza di lividi sui piccoli;
   l'asilo di Milano fa parte di una catena «Baby world» a cui aderiscono in franchising una decina di istituti in città e una ventina in provincia, ma anche molti altri in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Toscana e nel sito web si legge che si tratta di «un ambiente sicuro e accogliente dove i nostri piccoli ospiti possono crescere e imparare con gioia e serenità (...) L'asilo adotta un progetto educativo, consolidato (...) uno staff educativo altamente qualificato ed esclusivamente dedicato alla cura dei bambini e alla didattica (...)»;
   questo ennesimo fatto di cronaca ha sollevato nuovamente la questione della sicurezza negli asili nido e sull'attualissimo tema della videosorveglianza;
   Telefono Azzurro ha sollecitato un'attenta riflessione sulla necessità di cogliere i segnali di eventuali violenze subìte dai bambini, mentre la politica si sta concentrando sul tema della videosorveglianza nelle strutture;
   Telefono Azzurro sottolinea che un terzo dei casi gestiti dai numeri 1.96.96 e 114 emergenza infanzia riguarda casi di abuso e violenza, e nel 3 per cento dei casi responsabile del disagio psico-fisico è un insegnante o un educatore;
   nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 27 luglio 2016 il Garante dell'Infanzia, Filomena Albano, si è detta «favorevole alla videosorveglianza» ma con dei limiti precisi, come le telecamere a circuito chiuso accessibili solo su autorizzazione dell'autorità giudiziaria e in presenza di una segnalazione, e sottolineando che le criticità maggiori sono «gli accertamenti giudiziari che si rilevano spesso lunghi e complessi», e che «bisogna agire sulla prevenzione, migliorando il sistema di accesso alla professione degli educatori e con una proporzione nelle classi tra il numero dei bambini e degli insegnanti»;
   nel corso dell'audizione di cui sopra, sono emerse anche la difficoltà e la carenza di un monitoraggio accurato di tali casi di maltrattamenti dei minori nelle strutture scolastiche, per la difficoltà di valutare tutto il sommerso che in questi casi è rilevante, ma anche per la difficoltà stessa della semplice raccolta di dati, come sottolineato dalla Garante –:
   se i Ministri interrogati non considerino urgente attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia effettuato un monitoraggio più accurato di questi eventi di maltrattamento, anche ripensando le metodologie ora applicate, in modo da ricostruire un quadro completo della situazione e in base a quello, progettare con maggiore cognizione di causa gli improcrastinabili interventi di prevenzione;
   se non si consideri opportuno promuovere, per quanto di competenza, l'implementazione di specifiche verifiche di idoneità psico-attitudinale degli educatori e del personale di asili e strutture scolastiche e di controlli periodici delle strutture stesse e dei loro piccoli ospiti anche da parte di staff composti da pediatri e psicologi;
   se non si intenda altresì assumere iniziative, anche a livello normativo, affinché si possano abbreviare i tempi degli accertamenti, nonché si possa attuare un dovuto inasprimento delle pene previste per i reati di maltrattamenti su minori, come sostituire la sospensione dall'attività e dalla professione con il ritiro delle licenze e l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione stessa. (4-14057)


   PAGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fine 2011 sino ad agosto 2012, una giovane donna M.C. nella zona del senese, veniva sequestrata e brutalmente violentata;
   i fatti relativi alle violenze di gruppo sarebbero tutti certificati dagli accessi al pronto soccorso (sia di Siena sia di Poggibonsi);
   i fatti, come si può leggere dai certificati medici, sarebbero di inusitata gravità e, non solo contemplerebbero il sequestro di persona (articolo 605 c.p., procedibile d'ufficio), ma anche la violenza di gruppo (disciplinata dall'articolo 609-octies c.p., sempre procedibile d'ufficio) e la mutilazione di organi genitali femminili di cui all'articolo 583-bis (c.p.);
   i vari procedimenti erano (e sono) di competenza della procura della Repubblica di Siena;
   i vari certificati di pronto soccorso sono stati acquisiti uno ad uno; è stato aperto un fascicolo ed è stato iscritto a Mod. 44 contro soggetti allo stato ignoti;
   la procura di Siena non ha mai predisposto un sistema di protezione per la donna, madre di due bambini, e non avrebbe svolto, a quanto risulta all'interrogante, alcuna adeguata indagine nei confronti degli autori, né avrebbe mai posto sotto osservazione la persona offesa, pur potendolo fare, avendo agli atti dei vari fascicoli aperti, il nome di almeno un soggetto;
   la procura di Siena ha insistentemente chiesto alla donna di fare denuncia, ma costei, in preda al panico, non ha, ovviamente, seguito questo consiglio nel 2012;
   la procura di Siena ha posto nel febbraio 2012 sotto intercettazione il telefono della persona aggredita e da tali conversazioni della medesima con l'assistente sociale, con la psicologa, con l'amica e con la presidente di una associazione sul territorio di tutela alla donne maltrattate e fatte oggetto di varie e svariate violenze, si evince, con estrema chiarezza, il nominativo di uno degli aggressori e stupratori (il soggetto principale a lei legato da un rapporto perverso essendo il padre del primogenito);
   la procura di Siena nonostante ciò e nonostante sapesse il nominativo del soggetto in questione – non avrebbe mai svolto, a giudizio dell'interrogante, adeguate indagini nella immediatezza che avrebbero potuto portare a comprendere le dinamiche degli eventi; non risulta abbia iscritto il soggetto come avrebbe dovuto (ciò avrebbe consentito mirate indagini), non risulta abbia mai pedinato la persona offesa per comprendere come avvenissero i rapimenti e del caso sventarli, non risulta abbia mai messo in protezione la stessa che, quindi, lasciata a se stessa e sola (con due bambini piccoli) non aveva modo di porre in essere alcuna attività difensiva, non avrebbe svolto alcuna indagine nei confronti della vittima che portasse al rinvenimento di tracce biologiche fermandosi – inspiegabilmente – di fronte al comprensibile, quanto umano e difensivo mutismo della persona offesa (che si ricorda era posta a violenze di persone come sopra indicato);
   la procura di Siena non avrebbe compiuto quegli atti che si sarebbero resi necessari ed assolutamente urgenti per fare chiarezza sugli eventi, assicurare alla giustizia gli eventuali autori (che vista la situazione hanno agito in modo indisturbato), proteggere la vittima per consentirle di riferire in assoluta sicurezza per lei e per i suoi figli;
   la procura di Siena avrebbe omesso atti fondamentali e avrebbe così di fatto finito per agevolare l'agire di criminali efferati;
   la procura di Siena, senza alcun fondamento ed in assoluto dispregio delle norme di diritto sostanziale e processuale e delle norme costituzionali ed internazionali alle vittime avrebbe omesso gli atti minimi di tutela della persona offesa e della sua famiglia, principale necessità di fronte ad eventi così gravi e ripetuti in un breve lasso di tempo;
   la procura di Siena nel novembre del 2014 ha ricevuto esposto-denuncia del legale della persona offesa;
   la procura di Siena, nonostante l'evidenza delle prove, non sembra intenzionata ad agire nei confronti delle persone accusate dalla vittima, ora che è al sicuro (per quanto possibile), protetta da una rete amicale;
   la procura di Siena, peraltro, avrebbe gravemente minimizzato degli eventi che possono spiegare i fatti e fanno comprendere come parte di un tutto vi siano vari soggetti collegati tra loro a vario e diverso titolo;
   la procura di Siena, con l'evidente manifestazione di inazione e con le gravi omissioni precedenti, ha tenuto, secondo l'interrogante, un comportamento in fase di indagini preliminari che potrebbe esporre ad evidenti censure disciplinari e penali/civili –:
   se il Ministro, alla luce di quanto esposto, non ritenga di promuovere iniziative ispettive presso la procura di Siena ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-14074)


   MICCOLI e VERINI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Samuele Landi, nato ad Arezzo il 21 agosto 1965, è stato sottoposto a procedimento per la bancarotta di Eutelia spa (dichiarazione di insolvenza del 26 maggio 2010);
   la bancarotta di Agile srl (dichiarazione di insolvenza del 20 aprile 2010) è stata dichiarata rispettivamente dal tribunale penale di Arezzo e di Roma;
   i reati ascritti, secondo l'accusa, erano stati commessi, nella qualità di presidente ed amministratore pro tempore delle suddette società, in concorso con gran parte dei membri della sua famiglia ed a soggetti che, a vario titolo, avevano ricoperto cariche societarie nelle predette aziende;
   il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, in sede di indagini, su richiesta della procura della Repubblica, aveva emesso delle misure cautelari personali nei confronti di tutti gli indagati, compreso Samuele Landi;
   il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, dottoressa Elvira Tamburelli, su richiesta della procura della Repubblica, in data 13 ottobre 2010, avendo ritenuto Samuele Landi irreperibile, pronunciava decreto di latitanza;
   il dottor Landi sembrava essersi trasferito presso gli Emirati Arabi e precisamente Dubai;
   i suddetti procedimenti sembrano essere iniziati in contumacia;
   nell'ambito del procedimento penale n. 276/07 RGNR e n. 1130/11 RG GIP (riunito al procedimento n. 775/10 RGNR, proc. n. 2614/10 GIP) il tribunale di Arezzo, in composizione collegiale, in data 20 aprile 2015 (sentenza n. 655/2015 depositata il 21 ottobre 2015) rilevando la responsabilità penale di Samuele Landi ha emesso una condanna a 9 anni di reclusione;
   oltre a quanto sopra, anche nell'ambito del procedimento penale n. 45548/2011 RGNR e n. 3290/2012 RG GIP, il tribunale penale di Roma, sezione 8 collegiale, in data 5 dicembre 2014 (sentenza n. 38400/014 depositata il 5 marzo 2015) rilevando una responsabilità penale dello stesso Landi ha emesso condanna per anni 6 di reclusione;
   nel medesimo procedimento, a causa delle conseguenze dei fallimenti, 750 lavoratori su 2000 si sono costituiti parte civile;
   per il citato Landi, oltre la condanna penale, è stato sentenziato il pagamento delle spese di lite e delle provvisionali, a favore dell'Amministrazione giudiziaria Agile srl e di ciascuno dei lavoratori costituiti in giudizio;
   stante l'irreperibilità del soggetto citato egli si è sottratto alla pena detentiva, nonché al pagamento delle provvisionali riconosciute ai lavoratori;
   avverso entrambe le sentenze di condanna è stata proposto appello dalla difesa dell'imputato rispettivamente alla cognizione della corte di appello di Firenze e alla corte di appello di Roma;
   per quanto attiene il processo di appello n. 5732/015 alla cognizione della sezione 2 della corte di appello, impugnazione depositata dalla difesa Landi nei termini di legge, è stata avanzata dal difensore-procuratore delle parti civili richiesta di fissazione di sollecita udienza;
   per l'esecuzione delle provvisionali «immediatamente esecutive» la fissazione dell'udienza, in gran parte dei casi, avviene in modo celere;
   nel caso in esame il presidente ha fissato udienza per il giorno 14 dicembre 2017 (tra circa un anno e mezzo);
   in permanenza dell'irreperibilità del Landi gli organi competenti hanno raggiunto un accordo di cooperazione giudiziaria tra il Ministero della giustizia e gli omologhi organi di Dubai;
   in tale accordo – firmato dal Ministro della giustizia Orlando a Dubai e nel quale rientrano le vicende penali dell'ex amministratore delegato di Eutelia – i due Paesi si impegnano alla reciproca collaborazione per ciò che riguarda l'applicazione delle condanne definitive, ma anche per le inchieste ed i processi in corso. Samuele Landi, infatti di ha già 2 condanne (non definitive ma solo di primo grado): nove anni ad aprile 2016, dal tribunale di Arezzo e sei anni da quello di Roma per il filone Agile. Inoltre, ci sono due ordini di custodia cautelare a suo tempo emessi su richiesta delle procure di Roma (ancora Agile) e Arezzo –:
   se il Ministro interrogato abbia posto in essere delle iniziative, per quanto di competenza, per dare seguito all'accordo bilaterale menzionato; in caso contrario, quali iniziative di competenza intenda intraprendere e con quali tempistiche.
(4-14077)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   SECCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la superstrada a pedaggio denominata «Pedemontana Veneta» è un'infrastruttura, in corso di realizzazione, che collegherà il comune di Montecchio Maggiore (Vicenza) a quello di Spresiano (Treviso), intersecando, nel suo percorso, i distretti industriali di Thiene-Schio, Bassano del Grappa e Treviso, finendo per interconnettersi con 3 autostrade (l'A4, l'A31 e l'A27): l'arteria stradale avrà una lunghezza complessiva di circa 95 chilometri;
   le attività di redazione della progettazione definitiva, sono state avviate dal commissario delegato in data 4 settembre 2009, e sono terminate con la consegna del progetto agli uffici preposti in data 5 gennaio 2010;
   successivamente, il responsabile del procedimento in data 8 gennaio 2010, ha provveduto alla pubblicazione dell'avviso di avvio del procedimento ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, fissando il termine per le presentazioni delle osservazioni all'8 febbraio 2010;
   con decreto del commissario delegato n. 10 del 20 settembre 2010, si è provveduto all'approvazione, con prescrizioni, del progetto definitivo della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 2, comma 2, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3802 del 15 agosto 2009, dichiarando, tra l'altro, l'opera di pubblica utilità, urgente ed indifferibile, e sottolineando che l'approvazione del progetto stesso costituisce variante agli strumenti urbanistici comunali vigenti;
   da notizie in possesso dell'interrogante, la cantierizzazione dell'opera è avvenuta il 10 novembre 2011 a Romano d'Ezzelino (Vicenza) e nel 2012 sono iniziati i lavori al principio della nuova strada, mentre nel bassanese i cantieri sono stati aperti il 4 febbraio 2013, sicché la fine dei lavori è stata prevista per il 2017 con entrata in servizio prorogata al 2019;
   l'infrastruttura, realizzata in finanza di progetto dall'ATI SIS SCpA – Itinere SA che gestirà l'opera e ne riscuoterà il pedaggio per 39 anni, avrà un costo di 2.391 milioni di euro, di cui 173 provenienti da fondi pubblici;
   tuttavia, in un momento di grave crisi economica, che comporta anche una diminuzione dei volumi di traffico (e conseguentemente di pedaggi) ed in considerazione dell'aumento dei costi che ha comportato l'accoglimento di osservazioni dei comuni interessati per opere «compensative» del disagio arrecato e «bretelle» di collegamento, i suddetti contributi saranno alquanto limitati;
   da notizie di stampa, pubblicate sul quotidiano il Gazzettino (Vicenza-Bassano) in data 29 luglio 2016, è emerso che l'aumento smisurato dei costi della Pedemontana Veneta abbia fatto emergere numerose criticità: da Bassano del Grappa, che è sempre stato lo snodo fondamentale nonché il centro dell'area relativa alla superstrada pedaggiata, sono partiti molteplici richiami da parte degli industriali che hanno chiesto di concludere – senza se e senza ma – i lavori, nonché hanno sottolineato gli sprechi e i pericoli che incombono sui cittadini a causa di contratti che prevedrebbero rimborsi di risorse pubbliche ai concessionari dell'opera in caso di dati di traffico inferiori ai trend previsti;
   a quanto consta all'interrogante, dodici importanti imprenditori veneti, di cui vengono riportate di seguito le generalità, avrebbero posto all'attenzione del Governo e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti una missiva all'interno della quale si richiedeva il completamento della superstrada pedemontana;
   suddette persone e le relative aziende sono le seguenti: Giovanni Rana, patron dell'omonimo pastificio; Dario Brendolan, titolare della catena dei supermercati Famila; Enrico Zoppas, industriale dell'acqua San Benedetto; Harald Antley, di Aspiag Service (catena ipermercati Despar); Diego Carron, della omonima impresa di costruzioni; Marcello Cestaro, proprietario dell'Unicomm (Emisfero e A&O); Augusto Guerriero della Lattebusche; Alessandro Mezzalira, a capo di Fitt Group (leader mondiale nella produzione di tubi per l'irrigazione); Sergio Pedon, padrone della omonima azienda di lavorazione e distribuzione di cereali; Federico Pengo, industriale dei casalinghi; Giuseppe Ramonda, proprietario della omonima azienda di abbigliamento e Bruno Veronesi, azionista di maggioranza della holding Veronesi Group (comprendente i pollami Aia e i salumi Negroni);
   i summenzionati imprenditori, all'interno della succitata lettera, si sarebbero dichiarati preoccupati, attoniti e sbalorditi dalle notizie emerse sulla stampa locale e nazionale affermando che: «È impensabile abbandonare al loro destino i cantieri disseminati lungo tutto il percorso della superstrada, con pezzi più o meno completati, trincee già scavate e opere connesse oramai avviate. Non siamo dei tecnici né dei politici, ma siamo consapevoli di una cosa, avendola vissuta ogni giorno sulla nostra pelle: quando un'opera viene iniziata deve essere portata a termini a qualsiasi costo. Non esiste un uomo d'impresa che inizia una nuova fabbrica e la lascia a metà»;
   gli stessi hanno inoltre aggiunto: «La pedemontana è fondamentale per il nostro territorio (...) Il nostro auspicio, da cittadini prima che da imprenditori, è che il summit tra Veneto strade, regione Veneto, Consorzio Sis, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Cassa dei Depositi e Prestiti sia il primo passo per trovare velocemente una soluzione. È evidente che la costruzione dell'opera non possa certo ricadere tramite penali pesantissime sui cittadini veneti, che già contribuiscono largamente con le loro tasse al bilancio dello Stato. Bisogna che ognuno faccia la sua parte: il Governo, la Regione e le imprese costruttrici» –:
   quali orientamenti intenda esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per il prosieguo dei lavori della superstrada Pedemontana Veneta;
   se corrisponda al vero che dodici fra i maggiori imprenditori veneti sui cui territori insiste l'opera avrebbero scritto al Governo e, in particolare, al Ministro interrogato nel tentativo di dissuaderlo dall'idea di lasciare incompiuta l'opera succitata;
   se non ritenga che la realizzazione della suddetta opera viabilistica porterebbe numerosi benefici in favore delle imprese, dei lavoratori, dei cittadini, dei pendolari e dei turisti;
   se non ritenga doverosa assumere iniziative per procedere allo stanziamento dei fondi in favore dei cittadini e delle imprese che sono stati interessati dalle espropriazioni di terreni entro 180 giorni dalla data in cui tali beni sono stati sottratti;
   se, nel caso in cui non si ritenga di portare a compimento l'opera, intenda assumere iniziative per stanziare degli appositi fondi volti a riportate la situazione come era precedentemente all'avvio dei lavori, nel rispetto dei cittadini e delle imprese che in quei territori hanno subito per anni i disagi dei cantieri aperti e di pesanti modifiche alla viabilità e numerosi danni al suolo e al sottosuolo. (3-02460)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


TULLO, GIACOBBE, BASSO e CAROCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Genova è uno dei principali scali europei ed è il primo tra i porti italiani nel settore container (oltre 2,2 milioni di TEU nel 2015); con oltre 6.000 accosti movimenta 51,3 milioni di tonnellate di merce all'anno; uno studio curato da Nomisma-Prometeia-Tema per conto dell'autorità portuale di Genova presentato il 31 maggio 2016 ha analizzato i rilevanti effetti economici e sociali della filiera portuale genovese sulla città metropolitana, sulla Liguria e sul Paese;
   la recente riforma della governance delle autorità portuali, in nuove autorità di sistema portuale vedrà costituirsi una realtà (AdSP della Liguria occidentale) che unisce gli scali di Genova e Savona e Vado Ligure; attualmente il traffico su ferro dai porti di Genova e Savona rappresenta circa il 40 per cento di quanto viene movimentato dalla portualità italiana e, con l'ampliamento del traffico previsto rispetto agli investimenti programmati e in fase di realizzazione a Genova e a Savona, a partire dalla futura piattaforma Maersk che si sta realizzando a Vado Ligure che vedrà dal 2018 operativo uno dei più grandi ed automatizzati terminal container italiani (a servizio del quale l'autorità portuale di Savona sta realizzando rilevanti interventi sulla rete ferroviaria e sul terminal intermodale) conseguentemente aumenteranno i treni sul corridoio verso Rotterdam. Il 1o giugno 2016 è stato inaugurato il tunnel del San Gottardo, che con i suoi 57,1, chilometri è la galleria ferroviaria più lunga del mondo; a partire dall'11 dicembre sarà possibile raggiungere Milano da Zurigo in meno di tre ore; oltre ai 65 treni viaggiatori, sono previsti 250 treni merci, 70 più dei 180 attuali;
   appare evidente che per cogliere l'opportunità rappresentata dal nuovo tunnel del Gottardo è necessario rafforzare la capacità infrastrutturale ferroviaria, nonché potenziare gli scali, utilizzare i parchi esistenti, pervenire all'aumento delle tracce e al completamento del Terzo Valico dei Giovi;
   fondamentali e strategiche restano anche l'assistenza e la manutenzione del materiale rotabile; in questo quadro destano preoccupazione le prospettate chiusure dell'officina di Genova Rivarolo, impianto nel quale recentemente sono stati investiti circa 800 mila euro per il rinnovamento e l'adeguamento della struttura, e di quella savonese in cui vengono assemblate e rigenerate le batterie per tutto il materiale circolante in Italia inerente a frecce e alta velocità. Queste ipotizzate chiusure si andrebbero ad aggiungere a recenti riduzioni di funzioni manutentorie già attuate nelle officine di Genova Rivarolo e Genova Terralba, con pesanti conseguenze occupazionali dirette e sopratutto nell'indotto coinvolto –:
   se sia a conoscenza della volontà di chiudere l'officina di Genova Rivarolo e il centro di assemblaggio e manutenzione delle batterie di Savona;
   se siano state valutate le conseguenze negative che queste scelte comporterebbero sull'attività del trasporto delle merci, e le ricadute negative per l'occupazione che ne seguirebbe in particolare per l'indotto coinvolto. (5-09404)


   MANZI, LUCIANO AGOSTINI, CARRESCIA, LODOLINI, MORANI e PETRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 2012 ha istituito, a decorrere dal 2013, il fondo unico nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario e, successivamente, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013, ha definito i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni le risorse del Fondo medesimo;
   a decorrere dal 2013 l'importo complessivo del Fondo è stato di 4.929.254.467,00 euro e, in base alla ripartizione ministeriale, alla regione Marche è stata assegnata la quota di 107.490.609,00 euro;
   per il 2014, la consistenza complessiva del Fondo è stata ridotta a 4.918.620.000,00 euro e conseguentemente alla regione Marche sono stati destinati 106.840.577,87 euro;
   successivamente, a seguito dell'esigenza manifestata dalle regioni di garantire la corretta prosecuzione del trasporto pubblico locale, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 dicembre 2015, è stato modificato l'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 e stabilito che le eventuali decurtazioni delle risorse finanziarie accertate, a seguito della verifica degli obiettivi di razionalizzazione e di efficientamento fissati dal piano di riprogrammazione dei servizi predisposto dalle regioni l'anno precedente, fossero applicate all'anticipazione relativa all'anno successivo a quello in cui è effettuata la verifica;
   in base a tali modifiche alla regione Marche per il 2016, a fronte di uno stanziamento complessivo di 4.850.776.000,00 euro, spetterebbero 105.225.001, 23 euro, a cui vanno però sottratti i 3.250.217, 34 euro, relativi alle decurtazioni accertate, per una quota finale pari a 101.974.783,89 euro;
   tale decurtazione, secondo gli addetti ai lavori, è stata causata da un lieve decremento dei passeggeri, a sua volta dovuto ai tagli chilometrici che la regione Marche, pur tra le più virtuose, ha disposto negli anni 2012 e 2013, a fronte della carenza di risorse;
   la riduzione dei finanziamenti statali rischia di compromettere seriamente il futuro del trasporto pubblico locale marchigiano e con esso quello degli operatori del settore, ormai in affanno e degli operatori economici che basano la propria attività anche sulla rete di mobilità regionale;
   la carenza di risorse comporta inevitabilmente una contrazione del servizio, tre che l'impossibilità di investire sull'implementazione degli utenti e delle corse, che rischiano pertanto di ridursi sensibilmente il prossimo anno, con conseguenze particolarmente gravi soprattutto per le zone dell'entroterra;
   ciò accade in un territorio che oltre, ad un deficit di funzionamento del trasporto pubblico locale presenta un forte deficit infrastrutturale rispetto ad altre regioni, anche del centro Italia, particolarmente evidente nel settore del trasporto ferroviario, che pure la Regione Marche, comportandosi in maniera virtuosa, si è impegnata a gestire, senza ulteriori contributi da parte dello Stato;
   va nella giusta direzione l'emanazione del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 che prevede, tra l'altro l'incremento delle risorse destinate al trasporto pubblico locale per un importo pari a 74.476.600 euro per l'anno 2016;
   a parere di molti la situazione venutasi a creare è imputabile anche all'utilizzo del criterio della spesa storica per l'assegnazione delle risorse dallo Stato centrale alle regioni, in quanto esso creerebbe evidenti elementi di disequilibrio nell'erogazione dei flussi e disincentiverebbe i processi di risparmio virtuoso –:
   se il Governo ritenga opportuno porre in essere iniziative capaci di ristabilire un trattamento economico omogeneo per quanto concerne il trasporto pubblico locale e, in particolar modo, la ripartizione del fondo nazionale ad esso destinato, attraverso un incremento delle risorse destinate alla regione Marche oppure mediante il superamento del criterio della spesa storica, dato che, con questo tipo di ripartizione, regioni virtuose come le Marche, che hanno da sempre cercato di ridurre gli oneri dello Stato relative al settore dei trasporti, si ritrovano ingiustamente penalizzate e con esse gli operatori del settore ed economici a vario titolo coinvolti. (5-09408)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 29-bis del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «sblocca Italia», come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, interviene sul comma 2 dell'articolo 5 del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395, relativo al requisito dell'onorabilità dei titolari delle imprese di autotrasporto, prevedendo che tale requisito venga meno in capo alla persona che «sia stata oggetto di un'informativa antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 91 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni»;
   il 29 ottobre 2014, il Governo ha accolto l'ordine del giorno in Assemblea 9/02629-AR/005, impegnandosi a «valutare, nel rispetto della normativa vigente, l'opportunità di prevedere, fra le modalità attraverso le quali i soggetti operanti nell'autotrasporto possono dimostrare il requisito di cui sopra, quella dell'iscrizione degli stessi nelle cd. white list delle Prefetture, previste dall'articolo 1, commi da 52 a 57, del decreto legislativo n. 190 del 2012 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione del 18 aprile 2013 (pubblicato sulla GURI – Serie Generale n. 164 del 15 luglio 2013)» –:
   quale seguito sia stato dato all'impegno di cui al citato ordine del giorno;
   quante imprese di autotrasporto risultino ad oggi iscritte nelle white list delle prefetture, previste dall'articolo 1, commi da 52 a 57, del decreto legislativo n. 190 del 2012;
   quante imprese di autotrasporto siano state oggetto di informativa antimafia interdittiva, con conseguente venir meno dei requisiti di onorabilità per continuare la professione;
   con quali modalità alternative all'iscrizione in « white list» i soggetti operanti nell'autotrasporto possano attualmente dimostrare il requisito introdotto dal citato articolo 29-bis;
   quante imprese di autotrasporto abbiano prescelto tali modalità alternative. (5-09409)


   SANI e DALLAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Siena – Grosseto, parte integrante della E78, è inserita nel contratto di programma dell'Anas fin dal triennio «2003 – 2005». L'E78 è stata successivamente inserita nel documento «Priorità infrastrutturali» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conclusione della consultazione con le regioni. L'E78 è stata poi inserita nell'allegato infrastrutture del documento di programmazione economica e finanziaria 2008 – 2012;
   Anas è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. È una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ad operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   all'interno del tracciato complessivo della E78 riveste particolare interesse il completamento del tratto che collega Siena a Grosseto. Tale infrastruttura ha una fondamentale rilevanza per la mobilità e lo sviluppo economico, produttivo e sociale dell'intero centro Italia. Lungo tale arteria sono infatti presente flussi di traffico ingenti e diversificati lungo tutto l'arco dell'anno che interessano pendolari per lavoro e studio, turismo e commercio;
   nonostante l'infrastruttura sia stata ad oggi completamente finanziata i numerosi cantieri presenti lungo il tragitto ed i tratti fruibili ancora ad una corsia per senso di marcia stanno inevitabilmente creando disagi alla mobilità sull'intera tratta: i cantieri riguardano anche le opere accessorie necessarie per consentire ai territori in cui ricade l'opera di poterne fruire con l'efficacia;
   tra le opere principali finalizzate all'adeguamento a 4 corsie del tracciato dell'E78 risultano previste: 7 gallerie artificiali, 3 gallerie naturali, 6 viadotti, e 4 svincoli: Lanzo, Palazzo Lama, Casa di Pari, Pari;
   quest'ultimo (svincolo di Pari), indispensabile per garantire i necessari collegamenti tra il tratto stradale e le comunità interessate, risulta essere posizionato indicativamente tra il chilometro 5+900 e il chilometro 6+300 ed è caratterizzato dalla realizzazione di un sottopasso stradale di circa 44 metri il cui completamento necessita delle relative opere idrauliche e di contenimento;
   risulta agli interroganti che, per problematiche ancora non accertate, (probamente imputabili al reimpiego o allo smaltimento dei materiali di scavo ed ai connessi costi), Anas avrebbe assunto la decisione di non procedere alla realizzazione dello svincolo citato, con particolare riferimento alla deviazione per «Pari nord» insistente sua carreggiata sud in direzione Grosseto;
   se tale decisione fosse confermata, comporterebbe una gravissima penalizzazione per un'intera comunità, quella di Pari (frazione del comune di Civitella Paganico), in quanto la metterebbe in una condizione di isolamento con costi elevatissimi per residenti, pendolari, studenti ed imprese che operano in tale territorio e con ricadute negative anche dal punto di vista dell'attrazione turistica;
   l'impatto negativo di questa scelta risulterebbe ulteriormente aggravato, in quanto si inserisce in un contesto di già parziale adeguamento della «Due Mari» comportando, conseguentemente, ricadute importanti sulle scelte che hanno assunto i territori interessati proprio nell'ottica di un completamento definitivo di tale opera strategica;
   è pertanto di primaria importanza comprendere, con la massima celerità, quali siano i reali intendimenti di Anas in merito alla realizzazione dello svincolo sopracitato, al fine di poter mettere in atto ogni iniziativa utile finalizzata a scongiurare tale ipotesi di non realizzazione dell'opera in questione;
   gli enti locali e le associazioni economiche, sindacali e sociali hanno espresso grave preoccupazione per la vicenda. Il territorio di Civitella Paganico ha subito innumerevoli disagi nei lunghi anni durante i quali si sono protratti i lavori per l'adeguamento della strada di grande viabilità E78. Difficoltà che hanno danneggiato la popolazione e l'economia complessiva dell'area. La notizia della mancata realizzazione dello svincolo per accedere a Pari dalla superstrada arrivando da Siena penalizzerebbe ulteriormente una zona già marginale –:
   se quanto espresso in premessa riguardo alla intenzione di Anas di non procedere alla realizzazione dello svincolo di Pari, con particolare riferimento alla deviazione per «Pari nord» insistente sulla carreggiata sud in direzione Grosseto, corrisponda al vero e per quali motivazioni;
   se Anas abbia la possibilità di decidere unilateralmente di non realizzare un'opera accessoria già programmata e di notevole importanza per il tessuto sociale, economico e produttivo locale;
   ove tale intenzione fosse confermata, quali iniziative urgenti intenda assumere nei confronti di Anas affinché si possa scongiurare tale ipotesi, fortemente impattante in termini negativi per le intere comunità servite dallo svincolo in questione. (5-09412)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005 n.185, indipendentemente dall'immatricolazione dell'aereo su cui il personale di volo opera, le «misure di tutela del personale di volo» devono essere gestite ai sensi della normativa italiana;
   ai sensi dell'articolo 2 del sopracitato decreto legislativo «per personale di volo dell'aviazione civile si intende il personale di citi all'articolo 732 del codice della navigazione impiegato da un'azienda con sede legale o base delle operazioni nello Stato italiano»;
   da qualche anno si sono diffuse pratiche di impiego del personale di volo non uniformi sul territorio italiano, a danno della tutela del personale di volo, della sicurezza dell'aviazione e con evidenti conseguenze negative anche in tema di competizione sleale tra vettori;
   in questo panorama, alcune aziende disattendono interamente le disposizioni italiane di salute e sicurezza ed altre applicano solo in parte quanto previsto, creando in alcuni casi precedenti e pratiche non conformi e potenzialmente pericolose;
   il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, è stato introdotto nell'ordinamento italiano con un preciso scopo, descritto nel suo sottotitolo: «Il Governo è delegato ad adottare, (...) uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di saline e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, (...) garantendo l'uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati»;
   l'articolo 3 del sopracitato decreto legislativo specifica che il decreto «si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio» e, allo stesso tempo, precisa che le disposizioni contenute debbano essere applicate «tenendo conto delle effettive e particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative», rimandando la definizione delle stesse a specifici decreti «emanati dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali, (...) sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (...)»;
   ad oggi questi decreti non sono stati ancora emanati, nonostante la data ultima di scadenza fosse il 2010. La conseguenza più evidente di questa vacatio legis è un'applicazione disomogenea della normativa e, in alcuni casi, un'illegittima non applicazione;
   il personale di volo in Italia, inoltre, non ha un contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento che indichi quali debbano essere le minime misure di tutela, i minimi livelli salariali e previdenziali e il mansionario degli addetti;
   si ravvisano situazioni molto critiche in cui il personale di volo non ha un orario di lavoro giornaliero definito, in cui lo stesso personale si deve dedicare anche ad attività non di volo, sostituendosi agli addetti alle pulizie, per esempio, in assenza di valutazione del rischio, in totale mancanza di formazione e dispositivi di protezione, così come in assenza di sorveglianza sanitaria;
   nonostante questo sia noto e siano stati fatti anche esposti circostanziati dai lavoratori e azioni sindacali, non si palesa l'azione di alcun organo di vigilanza sull'aereo;
   restano esclusi dalla valutazione obbligatoria rischi, specifici importanti fattori tra i quali, il cosiddetto rischio Fatigue, affaticamento operativo: ad oggi in Italia infatti ancora nessun operatore ha implementato misura di tutela preventive, necessarie e richieste esplicitamente dal regolamento europeo 83/2014, ma applica i limiti massimi come prescrittivi, mettendo in serio pericolo oltre che la salute e sicurezza del personale di volo, la sicurezza del trasporto aereo;
   nonostante questo sia noto e siano stati fatti anche esposti circostanziati dai lavoratori e azioni sindacali, non si palesa l'azione di alcun organo di vigilanza per i rischi specifici di volo e del mezzo di trasporto aereo;
   per quanto attiene all'assistenza sanitaria specifica del personale di volo in Italia, è stata emanata una circolare ministeriale (19 agosto 2015) che ha creato confusione e gravi difficoltà operative sia agli assistiti, sia ai datori di lavoro, sia ai medici fiduciari a causa della mancanza di chiarezza relativamente alla possibilità per il fiduciario di emettere certificati con riconoscimento retroattivo dell'incapacità lavorativa per il giorno precedente a quello della data del rilascio;
   ad oggi, la circolare di agosto sembra impedire questa possibilità e obbliga l'uso delle guardie mediche, se la malattia insorge la domenica o in un giorno festivo, costringendo il navigante a rimanere fuori servizio fino al martedì successivo, poiché i servizi di continuità assistenziali non sono direttamente gestiti dal servizio assistenza sanitaria naviganti (SASN), che detiene la titolarità della certificazione medica per rientrare in servizio di volo, dopo una malattia, in Italia;
   la pratica del riconoscimento retroattivo dell'incapacità lavorativa, inoltre, come il Ministero della salute aveva affermato, era in linea con il decreto del Presidente della Repubblica del 28 settembre 1990, articolo 20, e, ancor oggi, il fiduciario può infatti andare a visita domiciliare il giorno seguente all'evento morboso. In tal caso, l'assistito SASN si troverebbe con un giorno di malattia scoperto e in balìa di un provvedimento disciplinare da parte del datore di lavoro;
   in caso di infermità, quando il navigante ci sbarca da un volo, può recarsi in aeroporto al presidio di pronto soccorso, dove viene visitato, eventualmente curato e dove riceve un certificato medico di sbarco; tuttavia, nella maggiore parte dei presidi medici nelle aerostazioni, non sono presenti medici SASN che possano certificare la chiusura della malattia e la conseguente abilità al volo. Tali strutture, inoltre, quasi sempre seguono orari d'ufficio –:
   se intendano assumere iniziative per chiarire quale sia la corretta definizione di «base delle operazioni», con specifico riferimento all'articolo 2 del decreto legislativo n. 185 del 2005;
   alla luce delle competenze del medico competente, ex decreto legislativo 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, e al ruolo del SASN e degli AME o dei centri aeromedici AEMC, quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati sulle relative competenze specifiche in merito all'organizzazione sanitaria, certificazioni mediche d'idoneità, alle licenze e agli attestati aeronautici, in maniera da fornire una corretta guida ai datori di lavoro e di conseguenza ai lavoratori e ai loro rappresentanti su chi deve fare cosa e relativi riferimenti normativi;
   se il Governo non ritenga necessario organizzare il tavolo tecnico volto a stilare le linee guida di valutazione dei rischi di volo, con la partecipazione attiva dei rappresentanti dei lavoratori e dell'Inail, in modo che tutto il materiale aggiornato venga organizzato e reso pronto ad essere costantemente somministrato per conoscenza alle compagnie aeree, ai lavoratori e agli enti che si occupano di vigilare la corretta applicazione delle norme, considerata l'assenza di decreti che dovrebbero tenere conto delle effettive particolari esigenze concesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative e in assenza di un'adeguata valutazione dei rischi per il personale sull'aereo nelle diverse compagnie che operano in Italia;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per fare chiarezza circa la definizione dell'ente che opera oggi da organo di vigilanza, ex decreto legislativo n. 81 del 2008, sugli aeromobili delle compagnie aeree con base delle operazioni in Italia e sulle linee guida relative alla compilazione dei certificati di malattia e alle modalità operative del personale di volo assistito;
   se non si ritenga utile assumere iniziative per rendere trasparente e comprensibile la questione relativa agli oneri dovuti ai presidi di continuità assistenziale (ex guardie mediche) per meglio intendere se nessun onere sia dovuto in forma diretta dal personale di volo che si reca da un presidio di continuità assistenziale per richiedere un certificato di apertura malattia;
   se non si ritenga urgente intervenire per garantire l'implementazione del «principio di precauzione», per poter reagire rapidamente di fronte ad un possibile pericolo per il trasporto aereo in Italia. (4-14041)


   SCAGLIUSI, DEL GROSSO, MANLIO DI STEFANO, VALLASCAS e GRANDE. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Trattato di Pace di Parigi, all'articolo 11, comma 2, dice che: «L'Italia cede alla Jugoslavia in piena sovranità l'Isola di Pelagosa e le isolette adiacenti. L'Isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata. I pescatori italiani godranno a Pelagosa e nelle acque circostanti degli stessi diritti di cui godevano i pescatori jugoslavi prima del 6 aprile 1941». Tuttavia, all'interrogante sono arrivate alcune segnalazioni relative al mancato rispetto, da parte della Croazia, del suddetto trattato;
   in data 4 febbraio 2016, la consigliera regionale pugliese, Rosa Barone, ha inviato una richiesta alla capitaneria di Porto di Molfetta, servizio sicurezza della navigazione e portuale sezione tecnica, per ricevere dati riguardanti lo sconfinamento di pescherecci appartenenti alla marineria di Molfetta in acque straniere;
   nella risposta della capitaneria di porto di Molfetta, datata 27 luglio 2016, si trova l'elenco dei pescherecci iscritti nelle matricole della capitaneria di porto di Molfetta catturati nelle acque croate, nonché apposita relazione descrittiva degli eventi in trattazione. In particolare, si legge che:
    la notte tra il 27 e il 28 gennaio 2000, il motopesca «ZOSMA», iscritto al n. 1063 dei Registri Navi Minori e Galleggianti (RR.NN.MM. e GG) della Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Molfetta, con quattro membri di equipaggio, ultimata la cala di pesca al limite delle acque territoriali croate, dopo aver proceduto al salpamento della rete mantenendo invariata la rotta, entrava all'interno delle acque territoriali croate. Alle ore 3 del mattino, con l'unità in navigazione ma non in attività di pesca ed ad una distanza di venti miglia dalle coste italiane (dunque fuori dalle acque territoriali italiane), nonché a 9 miglia nautiche dall'Isola di Pelagosa, il Comandante si accorgeva sul radar di bordo della presenza di un'imbarcazione (successivamente identificata quale motovedetta militare croata). Il motopesca tentava di fuggire e di lasciare le acque territoriali croate, ma da bordo della motovedetta venivano esplosi colpi di arma da fuoco che, pur colpendo l'unità, fortunatamente, non ferivano l'equipaggio. Il comandante del peschereccio fermava le macchine mentre militari croati salivano a bordo e gli intimavano di seguirlo, con l'unità, in territorio croato dove il peschereccio veniva trasferito nel porto di Lissa e dove il comandante veniva sottoposto a procedimento penale dalla locale autorità giudiziaria croata e condannato al pagamento di una somma di denaro, nonché al sequestro dell'unità. La mattina del 29 gennaio 2000, i membri dell'equipaggio del peschereccio venivano posti in stato di arresto e detenuti sino al pomeriggio del 31 gennaio 2000, ossia fino a quando è avvenuto il pagamento della multa irrogata. All'indomani, tutti e quattro i marittimi venivano imbarcati su un traghetto con destinazione Ancona. Il peschereccio successivamente veniva dissequestrato e rientrava in porto a Molfetta;
    il 1o dicembre 2000, il motopesca «MICHELANGELO», con quattro membri di equipaggio, si trovava in attività di pesca al largo della «Testa del Gargano» con rotta Sud-Est. Il comandante del peschereccio rilevava, dal radar di bordo, un'unità in avvicinamento, la quale, giunta ad una distanza di mt. 600/700, risultava trattarsi di motovedetta militare croata. Nel convincimento di trovarsi in acque internazionali, il comandante del peschereccio continuava l'attività di pesca mantenendo invariata la rotta. Poco dopo l'unità da pesca veniva affiancata dalla motovedetta croata e alcuni militari armati salivano a bordo del motopesca «MICHELANGELO», contestando l'abusivo esercizio di attività di pesca in acque territoriali croate. Gli stessi militari procedevano al ritiro dei documenti di bordo, ordinavano il salpamento della rete, informavano che il peschereccio avrebbe fatto rotta per il porto di Lissa e non consentivano al comandante del medesimo di rilevare dal G.P.S. di bordo l'esatta posizione dell'unità. Nel tardo pomeriggio, con due militari croati a bordo, il motopesca «MICHELANGELO», scortato dalla motovedetta croata, intraprendeva la navigazione per il porto di Lissa. Due ore dopo il fermo e con il peschereccio che nel frattempo aveva spento le macchine, il comandante rilevava al G.P.S. di bordo le seguenti coordinate: Lat. 42o 10.64’ N – Long. 016o 18.03’ E (che collocavano l'unità a circa 11,5 miglia a sud dell'isola di Pelagosa). Le unità giungevano nel porto di Lissa all'1.30 del 2 dicembre 2000. La mattina dello stesso giorno i militari croati procedevano al sequestro del pescato presente a bordo e trasferivano il comandante presso il locale tribunale croato per essere sottoposto al procedimento di rito. Ritenuto colpevole del reato contestato, lo stesso veniva condannato al pagamento di una pena pecuniaria, quindi veniva successivamente riaccompagnato a bordo. Il 4 dicembre, pagata la sanzione inflitta, l'autorità giudiziaria croata consentiva al Motopesca «MICHELANGELO» di lasciare il porto di Lissa. Il peschereccio, quindi, riprendeva la navigazione per le acque territoriali italiane, dove iniziava nuova attività di pesca;
    alle 21.30 del 7 giugno 2011 il Motopesca «MAVERIK», con cinque membri di equipaggio, navigava verso Sud con le reti immerse in acqua e circa 500 kg di pesce a bordo. Si avvicinava una motovedetta della polizia croata che intimava al motopesca di fermare i motori e di salpare la rete. Il comandante del motopesca verificava l'esatta posizione dell'imbarcazione, che risultava essere a circa 13 miglia a sud rispetto all'isola di Pelagosa. Alle ore 3.30, dopo aver salpato le reti, il vento da sud faceva scarrocciare il Motopesca verso terra (croata) e a bordo salivano tre poliziotti croati. Alle 4, il Motopesca MAVERIK sotto ordine dei poliziotti si dirigeva verso l'isola croata di Viso. Alle 10.15 del 7 giugno 2011 l'unità entrava in porto dell'isola di Viso. Durante la mattinata i poliziotti perquisivano il Motopesca. I militari, inoltre, procedevano al sequestro del quantitativo di pescato presente ancora nella rete, che risultava essere pari a circa 30 chilogrammi. Mentre, il prodotto presente a bordo, frutto dell'attività di pesca svolta in acque italiane, risultava essere pari a circa 470 chilogrammi. Tale quantitativo veniva riconosciuto dall'autorità croata come pescato in acque italiane. Durante la giornata, a turno, i marinai venivano identificati e ascoltati. Il giorno dopo, veniva dato avvio al processo per direttissima contro i cinque marittimi presso l'ufficio giudiziario di Viso. La sentenza stabilì la condanna dei marittimi ad una sanzione pecuniaria complessiva di euro 22.000 (commutata in cauzione per una somma pari a euro 21.750) e al sequestro del Motopesca per il reato di pesca in acque territoriali dello Stato croato. A esito del pagamento della cauzione, il magistrato autorizzava il rilascio dei marittimi. Il Motopesca, sottoposto a sequestro, veniva trasferito dall'isola di Viso, in una base militare di Spalato. Successivamente, il motopesca veniva ormeggiato nella predetta base militare e sottoposto a misura cautelativa (sequestro). Venivano effettuati rilievi fotografici di tutte le attrezzature esistenti a bordo da parte della polizia croata. I legali rappresentanti (reperiti in loco) preannunciavano all'autorità competente croata di proporre appello alla decisione del giudice di primo grado. La misura cautelativa (sequestro) veniva sospesa fino all'esito dell'appello. I marittimi venivano espulsi dallo Stato croato per un periodo di 12 mesi e rientravano nel porto di Ancona con un traghetto di linea il giorno 11 giugno 2011. Il peschereccio successivamente veniva dissequestrato e rientrava in porto a Molfetta –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa;
   se il Governo ritenga che sia stato violato da parte croata, il trattato di Pace di Parigi e in particolare l'articolo 11 comma 2, nonché quali iniziative intenda mettere in atto per assicurarsi che la Croazia rispetti gli accordi e permetta alle imbarcazioni italiane di agire in sicurezza e nel pieno rispetto degli accordi. (4-14066)


   CARDINALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le tariffe praticate sui voli di linea sulle tratte Roma-Catania, Roma – Palermo, ma anche per Milano, Torino, in particolare da parte di Alitalia sono particolarmente elevate;
   un volo preso su queste tratte arriva a superare costantemente i 400 euro ed è del tutto evidente per l'interrogante che ci si trova di fronte ad una discriminazione per i cittadini siciliani ed in particolare per quelli residenti nelle province di Caltanissetta ed Enna;
   vi è anche il problema relativo ad una inefficacia della cosiddetta continuità territoriale che invece trova una migliore e più incisiva applicazione per la Sardegna;
   Alitalia esercita di fatto un monopolio sugli slot siciliani ed è per questo, anche in considerazione della peculiarità della Sicilia, che la compagnia aerea dovrebbe prestare maggiore attenzione all'utenza nell'applicazione delle sue tariffe –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere, con urgenza, al fine di aprire un tavolo di confronto con le compagnie aeree, con la regione siciliana ed anche in sede comunitaria, al fine di raggiungere una vera applicazione del principio di continuità territoriale e promuovere una riduzione delle tariffe praticate lungo le tratte più importanti per la Sicilia. (4-14069)


   CARDINALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 121 Palermo-Agrigento risulta essere per chi la percorre un vero e proprio calvario;
   a causa dei lavori di ammodernamento lungo l'arteria sono stati installati ben 9 semafori che regolano il traffico a senso unico alternato;
   questa situazione determina un tempo di percorrenza di tre ore per percorrere circa 140 chilometri;
   cittadini segnalano difficoltà nel prendere aerei, arrivare puntuali a visite mediche o all'università, senza trascurare il trasporto merci e tutto ciò che ne consegue per il tessuto economico e produttivo del territorio;
   l'Anas si è impegnata a sincronizzare i semafori su alcuni tratti e a migliorare la situazione ma non è ancora sufficiente –:
   a fronte di tali disagi, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, intenda promuovere nei confronti dell'Anas per accelerare ulteriormente i lavori di ammodernamento che interessano la strada statale n. 121. (4-14070)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il Parlamento il 5 febbraio 2014 ha provveduto alla conversione in legge del decreto-legge n. 136 del 2013 «Terra dei Fuochi»;
   il testo definitivo, licenziato dal Parlamento, ha previsto, tra le varie disposizioni in esso articolate a tutela dell'ambiente e nell'ambito delle strategie di contrasto ai roghi tossici, l'introduzione del reato di combustione dei rifiuti, una spinta alle attività di bonifica dei suoli inquinati, il conferimento di poteri speciali al prefetto di Napoli, la creazione, presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di un gruppo per il monitoraggio, la mappatura dei terreni inquinati, l'uso dell'esercito e lo screening sanitario gratuito per i cittadini residenti in Campania e Puglia;
   il testo, inoltre, ha previsto il coinvolgimento, ai fini delle attività di monitoraggio ambientale e dello stato di salute della cittadinanze residente in Campania ed in Puglia, ed in particolare nei territori a rischio inquinamento e roghi tossici, dell'Istituto superiore della sanità, nonché l'implementazione dello studio «sentieri»;
   la legge, inoltre, ha accolto anche molte delle richieste fatte da comitati e associazioni ambientaliste in sede di audizione, con particolare riferimento alla previsione di particolari strumenti di accelerazione delle bonifiche, l'utilizzo dell'Esercito a scopo di sorveglianza, nonché l'istituzione di un fondo ad hoc (fondo unico giustizia) alimentato dalla confisca dei beni provenienti dalle attività della criminalità organizzata e dai guadagni legati agli eco-reati per reperire risorse per le bonifiche;
   alta è l'attenzione dell'opinione pubblica circa lo stato di applicazione delle norme contenute nel decreto-legge sulla «terra dei fuochi», nonché fortissime sono le aspettative e le speranze delle popolazioni residenti in Campania, ed in particolare, nell'area a nord di Napoli, nel casertano e nell'agro nolano, territori martoriati dalle eco-mafie che, negli anni, non hanno mai esitato di fronte alla possibilità di assicurarsi facili e cospicui guadagni attraverso lo sversamento abusivo di rifiuti tossici e di roghi dolosi;
   nonostante i buoni propositi del legislatore, ad oltre due anni dalla sua entrata in vigore, non accennano a diminuire, nella terra dei fuochi, i roghi tossici e gli sversamenti abusivi di rifiuti;
   si sta diffondendo, tra le popolazioni residenti, che pure hanno accolto con favore e speranza il testo di legge sopra descritto, un preoccupante sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni e questo proprio a causa del forte rallentamento che stanno subendo le modalità di attuazione del decreto-legge «terra dei fuochi», con particolare riferimento al dispiegamento dell'Esercito, all'avvio delle bonifiche, al contrasto ai roghi tossici, ancora molto diffusi con frequenza praticamente giornaliera;
   tra i territori più colpiti dal fenomeno dei roghi tossici figurano, ormai stabilmente, i comuni di Giugliano in Campania. Melito di Napoli, Casoria, Casalnuovo, Afragola, Scampia (popoloso quartiere della città di Napoli) e Qualiano, per i quali si rende indispensabile un aumento dei controlli da parte delle forze dell'ordine a supporto delle forze di polizia locali;
   nell'ultimo mese, in soli tre giorni, in tre zone del giuglianese e precisamente presso la cosiddetta area «Gesen», a ridosso di un vecchio campo Rom dismesso, presso la zona ASI e presso le vie di accesso del campo Rom di Via San Francesco a Patria, si sono sprigionati tre grossi incendi di natura dolosa, aventi ad oggetto sterpaglie miste a rifiuti tossici per i quali la procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli nord avrebbe aperto un'inchiesta;
   e ancora, pochi giorni addietro, alla periferia di Napoli, al confine tra il capoluogo ed i comuni di Casoria, Afragola e Casalnuovo, all'altezza del centro commerciale IKEA, si è levato uno dei roghi tossici più gravi del 2016, almeno finora, che ha visto bruciare grossi cumuli di rifiuti, copertoni ed alcune baracche del campo Rom di Contrada Salice, con alcune fiamme che sono arrivate a lambire l'impianto di una nota società di lavorazione e trattamento di carburanti;
   occorre fornire una risposta immediata, rapida e capillare avverso un fenomeno sempre più diffuso ed emergenziale e che sta mettendo fortemente a rischio la salute ed il futuro di intere comunità –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare per accelerare, incrementare e migliorare la sinergia tra le varie istituzioni coinvolte nel presidio del territorio per il contrasto del fenomeno dei roghi tossici tanto diffuso nella cosiddetta terra dei fuochi.
(2-01455) «Rostan, Causi, Verini, Manfredi, Miccoli, Capozzolo, Rocchi, Chaouki, Valiante, La Marca, Bossa, Censore, Salvatore Piccolo, Carloni, Famiglietti, Sgambato, Argentin, Morani, Rotta, Boccadutri, Zan, Minnucci, Quartapelle Procopio, Giorgio Piccolo, Preziosi, Rampi, Ribaudo, Ragosta, Currò, Impegno».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni si sono registrati in Sicilia una serie di atti vandalici che hanno riguardato diversi istituti scolastici;
   la scuola Livio tempesta di Catania, nella zona Playa così come scuola media «E. Fermi» di Francofonte in provincia di Siracusa hanno subito gravissimi danni;
   sono stati distrutti laboratori informatici, aule e registrati danni a molti strumenti di supporto didattico;
   sono in corso indagini, ma non vi è dubbio che risulta davvero inquietante che ad essere colpite siano delle scuole;
   le scuole rappresentano, soprattutto in un territorio come quello della Sicilia, un presidio di legalità –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di aiutare i suddetti istituiti a ripristinare rapidamente la loro operatività. (5-09402)


   CAPONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2016, a Vernole (Lecce), dinanzi alla filiale della Banca Popolare Pugliese, il portavalori dell'istituto di vigilanza Cosmopol, arrivato per la consegna del contante, è stato preso di mira e assalito da tre persone che, i volti coperti da passamontagna, hanno immobilizzato e rapinato le guardie per poi darsi alla fuga con un bottino «di 150 mila euro e due pistole»;
   tutte le ricostruzioni giornalistiche descrivono una scena da far west, con i malviventi entrati in azione imbracciando fucili a canne mozze e, subito dopo la rapina, intenti ad incendiare un furgone, esplodendo in aria colpi di fucile;
   sebbene fortunatamente l'episodio non abbia causato vittime tra i cittadini e i clienti già in attesa dell'apertura della filiale, si comprende il panico generatosi nella popolazione, tra gli impiegati della banca e anche – forse soprattutto – nei dipendenti dello stesso istituto di vigilanza;
   in effetti, benché appaia certo che guardie e azienda abbiano rispettato, così i commenti sulla stampa, le procedure, pur tuttavia dal segretario provinciale della Flaica-Club è stato rilevato come «tra turni massacranti e doppi turni il lavoro diventa sempre più difficile». E ancora: «Su quel furgone uno dei tre lavoratori oggi (ieri, ndr) avrebbe dovuto lavorare anche di pomeriggio. La Flaica ha presentato molti esposti, supportati dalle verifiche dell'Ispettorato del lavoro: purtroppo però la Prefettura competente, quella di Avellino, non ha mai fornito alcun riscontro»;
   a questa voce si aggiungono anche quelle del segretario provinciale ligi Sicurezza, che sottolinea di aver «chiesto più volte al prefetto un incontro con tutte le aziende della vigilanza privata per discutere dell'applicazione del contratto nazionale e del rispetto del decreto 269 del 2010 e del decreto legislativo 81 del 2008: se fossero rispettati, ci sarebbero più legalità e maggiore rispetto per i lavoratori. Quando sei costretto a fare tante ore di straordinario, poi non sei lucido», e della segretaria provinciale Fisascat-Cisl, che parla di un problema annoso e conferma: «Abbiamo più volte sollecitato interventi della Prefettura, perché questi lavoratori svolgono a tutti gli effetti un servizio pubblico ma a livello contrattuale non sono garantiti. Addirittura dopo la liberalizzazione delle tariffe, ci sono aziende che si aggiudicano appalti per la vigilanza privata con ribassi tali da scalfire anche il minimo salariale previsto dal Ministero. Sta di fatto che abbiamo risorse umane armate che vivono alla giornata, con un salario che non supera 1.100 euro mensili»;
   in effetti lo stato di precarietà e difficoltà degli istituti di vigilanza del Salento parrebbe confermato anche dalla vertenza in atto Securpol Security «azienda che gestisce una parte dei servizi di vigilanza e guardiania della Asl di Lecce» e che, a quanto si apprende dalla stampa, «non paga gli stipendi da maggio (mancano le mensilità di giugno, luglio e la 14esima) e nei confronti di una ventina di dipendenti ha un arretrato di altre tre mensilità (ottobre, novembre e 13esima)». Una situazione di difficoltà cui probabilmente farà fronte la stessa asl, che «potrebbe versare direttamente ai dipendenti le somme dovute all'azienda», come peraltro previsto dalla legge, mentre è attesa per i prossimi giorni la convocazione da parte della prefettura di Lecce di un incontro con i vertici di Securpol e Asl (già previsto e poi saltato la scorsa settimana all'ultimo momento) in cui si delineerà un crono programma, e in attesa della «gara regionale che dovrebbe partire a settembre e che dovrebbe unire i lavori da appaltare relativi alle Asl di Lecce e Brindisi» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e della situazione di precarietà lamentata dai rappresentanti dei lavoratori degli Istituti di vigilanza circa il rispetto del decreto n. 269 del 2010 e del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'incontro richiesto dagli stessi alla competente prefettura di Avellino e se non ritengano nell'ambito delle rispettive competenze di poter sollecitare lo svolgimento dello stesso;
   se non ritengano necessario, nell'ambito delle rispettive competenze, promuovere l'avvio di un monitoraggio a scopo conoscitivo, in merito ai bandi di appalto per la sicurezza nel territorio salentino, verificando la sussistenza di ribassi sotto la soglia minima salariale prevista e indicata e, ove tali ribassi siano riscontrati, quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (5-09411)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   è in corso di svolgimento il concorso interno per 1400 vice ispettori della polizia di Stato, concorso bandito nel mese di settembre 2013, per il quale sono state presentate circa 22.000 domande. Dopo una prima prova preselettiva svolta il 16 giugno 2014 ed articolata con 80 quesiti a scelta multipla su ben cinque materie di diritto, superata da circa 7000 candidati, il 29 gennaio 2015 si è svolta la prova scritta, consistente nella stesura di un elaborato di diritto penale che verteva sulla descrizione della struttura del reato e sulle cause di giustificazione e che si riteneva superata con il punteggio di 35/50. Quasi un anno dopo, il 17 dicembre 2015, sono stati resi noti i risultati della prova scritta e, anche tenendo conto della semplicità della tratta proposta per agenti ed ufficiali di p.g. in servizio da almeno 12 anni, sin da subito numerosissimi candidati esclusi e quasi tutte le organizzazioni sindacali della polizia di Stato, hanno ravvisato delle anomalie che sono state prontamente illustrate al dipartimento della polizia di Stato ed al signor Ministro dell'interno;
   con grande sorpresa si è appreso che la commissione ha ritenuto di ammettere alla successiva prova orale solo 2127 candidati. Ciò che spicca è la presenza tra gli idonei alla prova scritta di oltre 1400 candidati ex aequo, tutti con punteggio di 35/50, ovvero 2/3 degli idonei tutti giudicati nello stesso singolo cinquantesimo corrispondente al minimo punteggio utile all'ammissione alla prova orale. Di più, spicca un numero spropositato di temi valutati con i punteggi di 28 e 25, a fronte di nessun elaborato valutato 34 e di appena 73 candidati il cui elaborato è stato valutato con un punteggio compreso tra 30 e 33, come se si fosse passati da un 7 pieno attribuito ad oltre 1400 candidati ad un voto compreso tra 5 e 5,5 per quasi tutti gli altri. La rilevante e curiosa anomalia statistica è stata in seguito certificata dal professor Alessandro Polli, docente di statistica economica presso l'università La Sapienza di Roma, come scientificamente impossibile;
   alla luce di quanto sopra, i candidati esclusi, riunitisi in un'associazione denominata «Tutela & Trasparenza», hanno acquisito tutti gli atti del procedimento amministrativo, compresi tutti gli elaborati che la commissione ha giudicato idonei. L'analisi del materiale in argomento, ha fatto emergere un gran numero di elaborati che, pur valutati idonei, non risultano assolutamente migliori di tantissimi altri valutati non idonei, come se la linea di demarcazione tra idoneo e non idoneo non fosse stata uniformemente applicata;
   tra gli elaborati giudicati idonei ne spiccano alcuni con grossolani errori grammaticali, come nei casi di candidati che scrivono a, o oppure anno senza la h, perquoto con la q, coscenza senza la i, endicap al posto di handicap, distinsione con la s, leggittimo con 2 g, l'ascriminante anziché la scriminante, un azione ed un omissione senza apostrofo, e altro;
   altri elaborati giudicati idonei, al netto della pedissequa copiatura di vari articoli del codice penale e della Costituzione, constano di poche righe di testo (in un caso ne sono state contate appena 17 !); dunque, per ottenere l'idoneità, ai candidati esclusi sarebbe bastato trascrivere gli articoli del codice penale;
   numerosissimi sono i casi di elaborati giudicati idonei nonostante la presenza di errori concettuali di diritto come nel caso di candidati che confondono l'elemento soggettivo del reato col soggetto attivo, che citano tra gli elementi essenziali della struttura del reato il precetto e la sanzione, che letteralmente scrivono «Il reato è una norma prevista dalla legge», che non sanno cosa sia la causalità al punto da scrivere sempre casualità, che, demolendo le basi del diritto penali, civile ed amministrativo, scrivono che i reati si distinguono in illeciti civili e amministrativi per diverse nature delle sanzioni (delitti e contravvenzioni);
   il giudizio della commissione che ha valutato idoneo un elaborato in cui è scritto: «all'uscita della banca se il rapinatore non impugna l'arma direttamente non si è autorizzati a sparargli ad altezza petto bensì alle gambe per evitargli la fuga» appare, all'interrogante se non irragionevole, arbitrario;
   è davvero singolare, per non dire sospetto, il fatto che tra gli elaborati giudicati idonei ve ne siano numerosi per larghi tratti identici a documenti presenti in rete o a libri di testo;
   uno degli elaborati giudicati idonei è risultato addirittura sovrapponibile per il 90 per cento ad un testo reperibile su internet, mentre un altro è apparso del tutto identico ai passaggi di ben 7 diversi documenti presenti in rete, tra i quali una tesi di laurea, tutto questo nonostante, come è ovvio, non si potessero consultare libri di testo né si potesse accedere al web durante le prove d'esame;
   la commissione ha peraltro espulso ben 38 candidati durante la prova ed ha annullato altri 38 elaborati in sede di correzione in quanto copiati;
   è infine a dir poco curioso il fatto che tra gli elaborati giudicati idonei ve ne siano alcuni con segni e diciture che non avrebbero motivo di essere presenti sul compito, come nel caso dei candidati che hanno scritto: mi dispiace non sono riuscito a trascrivere il testo in bella copia oppure si ringrazia per l'attenzione o ancora nota per il funzionario che valuterà: per mancanza di tempo lo svolgimento della traccia continua nel foglio della brutta copia contrassegnata dal numero di pagina 6 oppure sono spiacente ho ultimato il tempo, si voglia leggere l'ultima parte dell'elaborato sulle ultime due pagine della brutta copia contrassegnate. Grazie scusate;
   in considerazione di quanto emerso, e sommariamente qui riprodotto, sono centinaia i poliziotti che, ritenendosi danneggiati, hanno presentato ricorso al Tar o al Presidente della Repubblica, sobbarcandosi anche delle spese notevoli se rapportate alle retribuzioni e stabilendo una sorta di record per numero di 7 ricorsi ai concorsi pubblici, immobilizzando il Tar del Lazio;
   un numero ancora maggiore di candidati, anch'essi ritenendosi discriminati – dopo che il Capo della polizia prefetto Alessandro Pansa aveva assicurato la trattazione di tutte le istanze di rivalutazione degli elaborati di coloro che si ritenevano danneggiati – ha presentato un'istanza di ricorrezione del proprio elaborato;
   le prime 120 istanze di ricorrezione di cui sopra, esaminate dalla stessa commissione in due sessioni da 6 ore ciascuna, sono state rispedite tutte al mittente con la conferma del giudizio espresso, questo nonostante ognuno degli istanti avesse chiesto un giudizio in comparazione con un congruo numero di elaborati evidentemente non rispondenti ai criteri di valutazione;
   non poche appaiono le anomalie proprio riguardo alla composizione della commissione esaminatrice, presieduta da un prefetto a.r. da oltre tre anni, nonostante la normativa richiamata nel bando prevedesse che non potesse essere nominato presidente di commissione un prefetto a.r. da oltre tre anni; un suo componente, inoltre, era anche l'autore del testo di preparazione al concorso, di cui era coautore un consigliere del TAR del Lazio, stesso organo amministrativo deputato a giudicare i ricorsi; altri componenti non erano neppure laureati in Legge, in antitesi alle previsioni normative in materia di concorsi che prevedono che i componenti delle commissioni per i concorsi pubblici debbano essere scelti tra esperti nelle materie d'esame;
   nonostante tutto quanto precede, il concorso in argomento si è svolto in maniera spedita e anche nella prova orale ed in quella attitudinale si sono registrate delle anomalie;
   la prova orale, ad esempio, è stata caratterizzata da due diverse sessioni (mattutina e pomeridiana) che si sono svolte nella stessa giornata, ma la delibera del giudizio viene comunicata solo alla fine della seconda sessione e diversi candidati esclusi hanno lamentato anche qui delle evidenti disparità di trattamento;
   ancor più evidenti sono le contraddizioni emerse nella prova attitudinale, che è stata svolta malgrado al concorso partecipassero agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria aventi almeno 12 anni di servizio, da tempo anche assegnati ad incarichi superiori, visto che nel ruolo degli ispettori, proprio a causa dei «mancati concorsi», vi è una carenza di organico di circa 11.000 unità;
   ciò nonostante, dopo aver superato una prova preselettiva, una prova scritta ed una prova orale, alcuni candidati sono stati esclusi dal concorso in seguito a tali «accertamenti» che, pare, spesso hanno riguardato aspetti personali poco attinenti con il solo ruolo da ispettore –:
   se nello svolgimento del concorso di cui in premessa sia stato e sarà garantito il precetto costituzionale di cui all'articolo 97, comma 1: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione», atteso che il primo passo per l'attuazione del disposto costituzionale è legato a procedure di cristallina trasparenza per il reclutamento ed indefettibile certezza di preparazione dei candidati ai concorsi pubblici;
   quali iniziative il Governo assumerà in merito al prossimo corso di formazione per vice ispettore della polizia di Stato visto che, qualora fossero confermate le circostanze generalizzate in premessa, sarebbero state violate le norme sulla trasparenza nei concorsi pubblici;
   quali iniziative vorrà intraprendere il Governo, atteso che nel ruolo degli ispettori della polizia di Stato vi è una carenza organica di oltre 11.000 posti;
   quali iniziative vorrà prendere il Governo in ragione del fatto che l'imminente riordino delle carriere suggerirebbe di considerare l'ampliamento del numero dei candidati da ammettere al corso di formazione per vice ispettore della polizia di Stato;
   quali iniziative vorrà intraprendere il Governo per approntare una tutela in favore di quella parte di uomini e donne della polizia di Stato che dovesse risultare ingiustamente esclusa dal concorso;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per pervenire comunque ad un riequilibrio organico del ruolo degli ispettori, garantendo altresì, a tutti i candidati che saranno ritenuti meritevoli, una posizione di equità in adesione ai princìpi di cui agli articoli 3 e 97 della nostra Costituzione. (4-14042)


   RAVETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 luglio 2016 sul treno ad alta velocità Milano-Roma un gruppo di turisti faceva uso di coltelli da cucina per consumare il proprio pasto;
   analoghi episodi sono stati segnalati in diverse parti d'Italia, con frequenza allarmante; solo per citare alcuni casi, sul regionale Bergamo-Milano un 34enne senegalese, secondo gli investigatori la sera del 12 dicembre 2014 ha minacciato con un coltello una ragazza di 22 anni costringendola ad atti sessuali e a farsi consegnare il telefono cellulare;
   in data 23 luglio 2015 alla stazione di Alvignano, sul treno 7880 EAV, lungo la tratta Napoli-Piedimonte Matera il controllore del treno è stato accoltellato ad una gamba da un ragazzo di 25 anni, poiché era senza biglietto e rischiava quindi di essere multato;
   in data 22 aprile 2016 un uomo di 40 anni, per oltre due ore ha occupato i binari della linea Bologna-Verona bloccando la circolazione. L'uomo, con problemi psichici, aveva appena accoltellato l'anziana madre e minacciava di far male a chiunque si avvicinasse;
   gli episodi sopra riportati rivelano, secondo l'interrogante, come attualmente non vi sia alcun controllo né nelle zone adiacenti alle stazioni ferroviarie né sui treni stessi, e questione ben più grave, ad avviso dell'interrogante, è la mancanza di una norma ben precisa nel regolamento di viaggio di Trenitalia che vieti il trasporto di armi bianche –:
   quali siano le misure di sicurezza attualmente vigenti sui mezzi di trasporto, con particolare riferimento all'utilizzo di armi bianche, e quali iniziative intenda intraprendere il Governo per garantire, con maggior efficacia, la sicurezza dei passeggeri. (4-14046)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il susseguirsi di attentati e di stragi rivendicati dall'estremismo islamico sul territorio europeo desta preoccupazione e richiede una maggiore attenzione sia delle forze dell'ordine sia dell’intelligence nazionale ed internazionale, al fine di scongiurare ogni tentativo di ulteriore tragico evento. A maggior ragione in concomitanza con il periodo estivo che vede un elevato assembramento di persone in luoghi all'aperto, ancor di più in una regione come la Puglia, tra le più gettonate mete turistiche del momento e finita al centro delle indagini internazionali per essere stata terra di passaggio di diversi estremisti di cui si ipotizza il coinvolgimento nei vari attentati degli ultimi tempi;
   la Procura di Bari ha avviato accertamenti sui materiali rinvenuti in un appartamento al centro di Gravina di Puglia (Bari) e appartenenti a Chokri Chafroud, di nazionalità tunisina, che qui aveva trovato ospitalità da una coppia di connazionali. Il 37enne è stato arrestato in quanto sospettato dalla polizia francese di essere uno dei fiancheggiatori di Mohamed Lahouaiej Bouhlel, autore della strage di Nizza del 14 luglio scorso dove sono morte 84 persone, attentato rivendicato dallo Stato Islamico (ISIS) che ha affermato che l'attentatore era un suo «soldato»;
   la soglia di attenzione in chiave antiterroristica è molto elevata sia negli aeroporti di Bari e di Brindisi sia nei porti, a cominciare da quello del capoluogo pugliese considerato «luogo sensibile», perché le indagini dell'antiterrorismo europeo hanno dimostrato il transito di alcuni dei jihadisti coinvolti negli attentati in Francia e a Bruxelles;
   le recenti annotazioni dell’intelligence ipotizzano una possibile radicalizzazione di soggetti in Albania, Paese dal quale continuano a giungere gommoni carichi di droga come quello sequestrato dalla Guardia di finanza, martedì 26 luglio 2016, tra Cala Incina e Cala Corvino nel territorio di Monopoli (Bari) con a bordo 1,2 tonnellate di marijuana;
   nell'elenco stilato dalla polizia degli «obiettivi sensibili» nella città di Bari figurano la Basilica di San Nicola, uno dei principali luoghi di culto dell'Italia meridionale, ed il Teatro Petruzzelli. Per l'atteso e seguitissimo evento estivo salentino de «La Notte della Taranta» di Melpignano (Lecce) in programma il 27 agosto 2016, che lo scorso hanno registrato 200.000 presenze, sono previste zone di prefiltraggio e metal detector. Gli stessi controlli sono previsti anche negli altri concerti della rassegna nei paesi della Grecia salentina (dall'8 al 24 agosto in 17 tappe), per la festa di Sant'Oronzo a Lecce dal 24 al 26 agosto, la festa dei Martiri di Otranto dal 13 al 15 agosto. Mentre, come riporta la stampa regionale, prove tecniche di controlli più stringenti sono state effettuate per l'evento «Battiti Live» domenica 24 luglio in piazza Sant'Oronzo a Lecce, presidiata dagli agenti dell'antiterrorismo. Massima attenzione anche sulla manifestazione «Meraviglioso Modugno» in programma il 6 agosto a Polignano a Mare (Bari). Il prefetto di Lecce Claudio Palomba ha convocato diverse riunioni dopo la circolare diramata dal Viminale il 15 luglio, sollecitando alle forze dell'ordine e ai sindaci la mappatura degli obiettivi sensibili con particolare riguardo a quelli turistici: secondo le disposizioni del Ministero dell'interno, infatti, spiagge e litorali sono tra i luoghi da tenere sotto stretta osservazione, ad iniziare dalla cittadina di Gallipoli indicata come «la capitale del turismo balneare internazionale» e che potrebbe rappresentare un luogo dalla forte valenza simbolica alla luce dell'attentato sulla spiaggia tunisina di Sousse nel giugno 2015;
   Sharif Lorenzini, portavoce della comunità islamica in Puglia e presidente della comunità islamica d'Italia, ha chiesto un maggior coinvolgimento del mondo associativo musulmano nelle azioni di prevenzione e lotta contro il terrorismo, alla luce delle rivelazioni sui contatti tra Bouhlel e Chafroud, con una intervista a Il Corriere del Mezzogiorno del 21 luglio 2016 dove ha dichiarato: «Per poter reprimere ogni forma di attacco contro la nostra terra (la Puglia) è fondamentale un'azione coordinata tra la comunità islamica e le istituzioni italiane. Abbiamo fatto appelli e auspicato l'apertura di tavoli tecnici per mettere a disposizione la nostra intelligence interna, ma tutti sono caduti nel vuoto. Ora scriveremo al Ministro dell'interno Alfano per chiedere un incontro ufficiale»;
   il 27 e 28 agosto 2016, il Red Bull Cliff Diving World Series farà tappa a Polignano a Mare (Bari), cittadina a strapiombo sul mare e naturale scenario della gara di tuffi da grandi altezza che ha visto, lo scorso anno, la presenza assiepata sul costone roccioso e sulle spiagge limitrofe al luogo dell'evento nonché in mare sulle imbarcazioni, di oltre 55.000 spettatori. Un evento che pare non essere stato incluso tra quelli all'attenzione delle forze di polizia –:
   quali misure si stiano predisponendo per mantenere un livello di attenzione alto per le grandi manifestazioni che si terranno in Puglia, anche attraverso il dialogo con la locale comunità islamica, e se il Ministro interrogato intenda adottare le medesime misure di sicurezza, con l'impiego delle unità speciali antiterrorismo, per l'evento del 27 e 28 agosto 2016 a Polignano a Mare (Bari), visto il presumibile elevato numero di spettatori.
(4-14053)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come apparso anche sul giornale «La provincia di Como» del 3 agosto 2016, la condizione in cui versa la stazione San Giovanni di Como, nei pressi della quale sorgono sempre più numerosi accampamenti abusivi di immigrati, continua ad aggravarsi ed anzi, in brevissimo tempo, la situazione è diventata sempre più preoccupante ed ormai assolutamente fuori controllo;
   tale situazione è da tempo al centro dell'attenzione della stampa locale, su cui quotidianamente appaiono articoli di denuncia e aggiornamento, ed è stata recentemente anche oggetto di una apposita interrogazione rivolta dallo scrivente al Ministro in indirizzo, al fine di predisporre idonee e tempestive misure di intervento, che ad oggi non ha tuttavia avuto riscontro;
   nel frattempo, gli arrivi di immigrati stranieri clandestini nella stazione di Como continuano e fino a qualche giorno fa erano oltre trecento quelli presenti nei giardini della stazione San Giovanni, tra cui pare numerosi minori;
   «dopo due notti di brutto di tempo c’è anche chi ha cominciato ad organizzarsi con piccole tende da campeggio» ed i servizi assistenziali pare siano svolti, in qualche modo e comunque secondo le disponibilità, da associazioni di volontariato che improvvisano alloggio e vitto, nonché spettacoli teatrali, a beneficio degli immigrati accampati ed in assenza di un qualsiasi intervento governativo e delle autorità competenti;
   l'arrivo di immigrati nella stazione di Como non accenna a diminuire, ma anzi, di giorno in giorno, aumenta, senza alcun controllo sulle condizioni anche igienico-sanitarie dei bivacchi improvvisati in una vera e propria tendopoli, delle persone ivi accampate nonché delle strutture adiacenti nelle quali transitano, per la vocazione turistica della zona, numerosi viaggiatori;
   intanto, pare, dalla Svizzera continuino i respingimenti e i dati parlano di oltre 700 nuovi arrivi negli ultimi quattro giorni e di circa 400 persone che hanno alloggiato per una notte nelle infrastrutture della protezione civile svizzera prima di essere riaccompagnate alla frontiera con l'Italia;
   attualmente al confine sono tre le strutture svizzere di temporanea accoglienza, ma è al vaglio la creazione di una struttura unica capace di accogliere contemporaneamente 150 stranieri in attesa di riammissione semplificata –:
   quali iniziative immediate il Ministro interrogato intenda intraprendere per fronteggiare l'emergenza, ormai notoria, creatasi presso la stazione San Giovanni di Como, considerata anche la vocazione turistica della città e del territorio comasco e la presenza di numerosi minori negli accampamenti improvvisati presso la stazione;
   se gli immigrati accampati a Como siano stati identificati mediante prelievo delle impronte digitali ed inseriti nel sistema Eurodac, se abbiano fatto richiesta di asilo in Italia e da quali centri arrivino. (4-14062)


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 06095/2016 del TAR Lazio depositata in data, 24 maggio 2016 ha disposto la cancellazione del contributo per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno introdotto nel 2012;
   con la sentenza citata sopra sono specificamente annullati gli articoli del decreto ministeriale 6 ottobre 2011, che imponevano ai cittadini di Paesi terzi che chiedevano il rilascio o il rinnovo di permesso di soggiorno di pagare un contributo di importo variabile trae 80 euro e 200 euro;
   tale sentenza arriva dopo la scelta del TAR Lazio di ricorrere alla Corte di giustizia dell'Unione europea nel settembre 2015. La Corte di Giustizia ha quindi sentenziato che il contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno introdotto dall'Italia era in contrasto con la direttiva 2003/109/CE sui soggiornanti di lungo periodo e che gli Stati membri sono legittimati a subordinare il rilascio dei permessi di soggiorno alla riscossione di contributi, ma questi non devono avere né per scopo né per effetto di creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo;
   per effetto della sentenza il permesso va quindi rilasciato senza richiedere il contributo, solamente dietro il pagamento delle somme necessarie all'acquisizione della marca da bollo e delle spese relative alla stampa del documento ed al pagamento del servizio di Poste Italiane –:
   se gli uffici preposti sul territorio nazionale a svolgere la funzione di rilascio del permesso di soggiorno stanno effettivamente applicando la sentenza e quindi procedano al rilascio del permesso senza richiedere il pagamento del contributo cassato dal TAR Lazio;
   quali disposizioni il Ministero dell'interno (tramite circolari e/o altri strumenti) abbia impartito agli uffici competenti per dare applicazione alla sentenza;
   se tali disposizioni non siano ancora state emesse, in quali tempi vi sia intenzione di emetterle per adeguare l'operato dell'amministrazione alla sentenza.
(4-14063)


   NUTI, DI VITA, DI BENEDETTO, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2009 l'università degli studi di Palermo, rappresentata dall'allora rettore Roberto Lagalla, e l'associazione temporanea d'imprese (ATI) composta da Eltron s.r.l. in qualità di capogruppo, Medprom s.r.l. e Autoservizi Inzerillo s.r.l., stipularono una convenzione per la gestione del parcheggio all'interno della cittadella universitaria sita in Viale delle scienze a Palermo;
   tale convenzione, prevedeva da una parte la predisposizione di un servizio navetta all'interno della cittadella e l'installazione di videocamere di sorveglianza e, dall'altra parte, la concessione per 9 anni, della gestione dei parcheggi a pagamento con la destinazione del totale degli introiti all'A.T.I. aggiudicataria;
   questa convenzione suscitò sin da subito le proteste degli studenti universitari palermitani nonché dei sindacati dei lavoratori dell'università palermitana, in quanto avrebbe comportato un aumento spropositato dei costi a carico dei singoli utenti a fronte della fornitura di servizi limitati ed inefficienti;
   gli interroganti, concordando con le posizioni degli studenti, si ritengono contrari all'affidamento a privati di codesti parcheggi, in quanto ritengono assurda l'idea di lasciare completamente alle società aggiudicatarie i proventi della gestione degli stalli a pagamento, a fronte di un servizio navetta che si è recentemente dimostrato non soddisfacente, secondo quanto riferisce il comitato studentesco «Comitato No Uniparking»;
   agli interroganti risulta inoltre che nel 2011 il comune di Lecco abbia provveduto a ritirate l'affidamento della gestione di un parcheggio comunale in quanto la società Securgest s.r.l. di Casalnuovo (NA), della quale la società Eltron s.r.l. si avvaleva per espletare la gestione del servizio, era destinataria di informazione antimafia interdittiva da parte della prefettura di Napoli;
   a Roberto Lagalla è succeduto nel 2015 come nuovo rettore dell'università degli studi di Palermo, il professor Fabrizio Micari, il quale, in merito alla vicenda del parcheggio universitario dato in affidamento, in un articolo apparso sul Giornale di Sicilia del 17 luglio 2016, ha dichiarato che fu un errore affidare ai privati la gestione del parcheggio e che ha chiesto al gestore un incontro per ridefinire le clausole del contratto, denunciando che il servizio navetta gratuito ancora non era partito –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se ritenga opportuno, per le parti di competenza, anche per il tramite della prefettura di Palermo, accertarsi della regolarità della documentazione antimafia in relazione alla società Eltron s.r.l. di Genova, tenendo conto degli effetti dell'interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Napoli ai danni della società Securgest s.r.l. di Casalnuovo, legata in passato alla predetta Eltron s.r.l.. (4-14072)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto previsto dall'articolo 1, comma 79, della legge del 13 luglio 2015, n. 107, il dirigente scolastico «propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi»;
   i commi 79-82 della succitata legge disciplinano dettagliatamente la procedura, disponendo che il dirigente scolastico formula la proposta di incarico, che ha durata triennale, uniformemente con il piano triennale dell'offerta formativa, sono valorizzati il curriculum, le esperienze e le competenze professionali e possono essere svolti colloqui;
   l'incarico, dunque, è conferito dal dirigente scolastico e si perfeziona con l'accettazione dello stesso da parte del docente prescelto;
   oltracciò, al fine di «facilitare il compito dei dirigenti scolastici e dei docenti coinvolti e dare indirizzi comuni per l'avvio di un innovativo percorso che deve mantenere la correttezza formale e sostanziale dell'azione amministrativa, soprattutto in termini di trasparenza e di pari opportunità», in data 12 luglio 2016, con nota n. 2609, sono state emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca le indicazioni operative per l'individuazione dei docenti trasferiti o assegnati agli ambiti territoriali e il conferimento degli incarichi nelle istituzioni scolastiche;
   tra le tipologie di competenze che tali linee guida suggeriscono di valorizzare, oltre alla formazione, per individuare caratteristiche specifiche del profilo di ogni docente, la più importante fa riferimento alle esperienze;
   come riportato nell'allegato A del succitato documento, alcuni elementi a cui attenersi per una valida identificazione dei profili più adeguati ai piani triennali delle istituzioni scolastiche fanno riferimento ad esperienze lavorative in contesti scolastici diversi, all'utilizzazione di metodi didattici innovativi e laboratoriali, ma anche all'aver ricoperto ruoli organizzativi, aver curato particolari progetti interni alla scuola o in collaborazione con le altre agenzie del territorio;
   appare chiaro, dunque, che i criteri basilari a cui attenersi nella scelta del personale docente dovrebbero fare riferimento, come è giusto che sia, a formazione ed esperienza, necessarie per lo sviluppo di competenze, anche trasversali, che possano arricchire il lavoro degli stessi nelle nostre scuole;
   nonostante ciò, in base a quanto riportato su diversi articoli apparsi online tra il primo e il due agosto 2016, il dirigente dell'istituto comprensivo Pier Cironi di Prato e il dirigente dell'istituto comprensivo statale «A. Frank – Carradori» di Pistoia hanno chiesto che sia aggiunta alla e-mail di autocandidatura, prevista dalle linee guida, un video di due minuti massimo di durata, in cui il candidato/la candidata dovrebbe presentarsi e illustrare in sintesi le motivazioni della candidatura;
   se è pur vero che le linee guida, in quanto tali, permettano un certo grado di libertà ai dirigenti scolastici, sicuramente una tale libera iniziativa di queste due scuole pone non pochi interrogativi nei docenti che vi si sono imbattuti, soprattutto perché è espressamente richiesto negli avvisi di queste scuole che il video sia realizzato riprendendo il candidato, che si presenta e illustra in sintesi le motivazioni della candidatura, non in «mezzobusto», ma a figura intera;
   sarcastico è stato anche il commento del presidente Codacons Carlo Rienzi alla suddetta iniziativa, il quale ha affermato che «si tratta di una richiesta inaccettabile, che trasforma la scuola in un megareality show» e che si dovrebbero bloccare con urgenza eccessi di tale natura che mortificano gli insegnanti senza nulla apportare al miglioramento dell'istruzione, rischiando anzi di porre le basi nel creare disparità di trattamento tra i vari docenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa, nonché dei motivi, oltre che delle legittime conseguenze generate;
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato in merito a quanto esposto in premessa. (5-09417)


   CIMBRO, MURA e MAZZOLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'intervento normativo del Governo che ha, mediante la legge del 13 luglio 2015, n. 107, tentato di dare una soluzione definitiva e organica all'ingente e pluriennale contenzioso che ha investito determinate procedure concorsuali per il reclutamento dei dirigenti scolastici del nostro Paese, permangono ancora numerose criticità connesse al concorso di cui al decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – n. 56 del 3 luglio 2011;
   venendo al dettaglio normativo, con il comma 87 dell'articolo 1, la legge menzionata intende sanare i numerosi contenziosi pendenti coprendo, al contempo, la disponibilità dei posti vacanti e limitando le possibili conseguenze economiche legate alla prosecuzione dei numerosi contenziosi in essere: vengono perciò «definite le modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale, volto all'immissione dei soggetti di cui al comma 88 nei ruoli dei dirigenti scolastici»;
   nel successivo comma 88, sono poi individuate le categorie di partecipanti alle quali è rivolta la sanatoria; in particolare, questa riguarda «a) i soggetti già vincitori ovvero utilmente collocati nelle graduatorie ovvero che abbiano superato positivamente tutte le fasi di procedure concorsuali successivamente annullate in sede giurisdizionale, relative al concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale (...) 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio 2011; b) i soggetti che abbiano avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della presente legge, alcuna sentenza definitiva, nell'ambito del contenzioso riferito ai concorsi per dirigente scolastico di cui al decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004, e al decreto del Ministro della pubblica istruzione 3 ottobre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 76 del 6 ottobre 2006, ovvero avverso la rinnovazione della procedura concorsuale ai sensi della legge 3 dicembre 2010, n. 202»;
   con decreto ministeriale n. 499 del 2015 sono fissate infine le disposizioni sulle modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione, e della relativa prova scritta finale, per l'inserimento nei ruoli dirigenziali dei possessori dei requisiti previsti dal citato comma 88;
   da tale procedura concorsuale sono stati esclusi però tutti coloro i quali hanno un contenzioso ancora pendente avverso il concorso bandito nel 2011. Sono invece stati inclusi coloro i quali hanno superato tutte le fasi del medesimo concorso, annullato in sede giurisdizionale. Risultano altresì inclusi tutti coloro i quali hanno un contenzioso aperto riguardante le prove del 2004 e del 2006;
   si è creata un'evidente disparità di trattamento nei confronti di soggetti che si trovano nelle medesime condizioni: ossia candidati che hanno contenziosi ancora pendenti per concorsi effettuati in anni differenti ed un pregiudizio a danno di chi ha presentato ricorso per il concorso del 2011. Questo fatto ha generato e sta generando ulteriori ricorsi, questa volta avverso i citati provvedimenti normativi;
   si segnalano, inoltre, ulteriori disparità di trattamento in base alle decisioni assunte dalle diverse regioni sulla base dell'interpretazione che viene data alle disposizioni normative, anche in ordine alle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali di sanatoria. Gli eventuali aventi diritto all'inclusione aumentano in alcuni casi considerevolmente ed inspiegabilmente con conseguente indizione di ulteriori corsi di formazione volti all'immissione in ruolo di nuovi dirigenti scolastici. Ne consegue che alcune regioni stanno immettendo in ruolo numerosi dirigenti scolastici che vanno a coprire ruoli in regioni diverse;
   è utile e doveroso osservare più da vicino le vicissitudini recenti dei partecipanti al concorso del 2011; vicissitudini che possono essere esemplificative dell'incertezza del quadro generale nazionale: in Lombardia, il concorso del 2011 è stato annullato, unicum in Italia, due volte, con conseguente ribaltamento di molti fra i risultati della prima correzione. Un centinaio di promossi sono stati bocciati e successivamente ripescati o meglio sanati, con la legge n. 107 mentre, al contrario, duecento bocciati sono stati nella seconda correzione promossi, e sono tuttora dirigenti. Attualmente il concorso lombardo attende ancora altre sentenze del Consiglio di Stato chiamato ad esprimersi nel merito già il prossimo novembre. La condizione dei quarantotto ricorrenti non differisce dunque dai «sanati» prima menzionati;
   passando al caso campano, e procedendo per sommi capi: il concorso in questione è stato più volte interrotto per presunte gravi irregolarità, tuttora al vaglio della magistratura; e già durante la prova preselettiva erano emerse irregolarità sia nella procedura sia nel contenuto degli stessi test. Allo stato attuale, dopo ulteriori, diverse e alterne vicissitudini, i promossi non sono stati inseriti nella graduatoria di merito del Concorso, e risultano ugualmente esclusi nel provvedimento previsto dalla legge n. 107 del 2015;
   venti ricorrenti in Sardegna, cinquanta in Puglia, e trecento in Sicilia, sono ancora in attesa, da oltre tre anni, della sentenze di primo grado o secondo grado –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione creatasi in sede di attuazione della legge n. 107 del 2015 e con il successivo decreto ministeriale n. 499 del 2015;
   se il Ministro non intenda valutare la possibilità e l'opportunità di promuovere iniziative tese a dare risposte ai contenziosi di cui in premessa ancora in corso. (5-09422)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione e l'assegnazione delle dotazioni organiche del personale docente costituiscono adempimento preliminare di fondamentale importanza rispetto alla gestione delle operazioni e delle fasi relative alla mobilità, alle utilizzazioni e alle assunzioni del personale scolastico e, più in generale, rispetto al puntuale e ordinato inizio dell'anno scolastico;
   nella regione Veneto lo scorso anno scolastico è stato caratterizzato da numerose criticità dovute principalmente a carenze di organico di diritto del personale docente e nello specifico, così come segnalato dai dirigenti dell'ufficio scolastico regionale al suo Ministero già il 3 marzo 2016, le difficoltà hanno riguardato: 175 classi sovradimensionate che non era stato possibile sdoppiare (equivalenti a 289 posti mancanti), 1480 ore eccedenti all'orario prescritto di 18 ore (equivalenti a 82 cattedre risparmiate), 20 sezioni di scuola dell'infanzia non autorizzabili (pari a 40 posti mancanti), n. 8 turni pomeridiani di sezioni di scuola dell'infanzia non attivabili (pari a 8 posti), 130 cattedre di liceo musicale non inseribili al SIDI;
   a seguito di tali criticità, l'ufficio scolastico regionale. Veneto ha chiesto al dicastero un incremento dei posti dell'organico di diritto per l'anno scolastico 2016/2017 del personale docente delle scuole del Veneto, al fine di evitare il ripetersi delle numerose criticità che erano precedentemente emerse, che hanno penalizzato il servizio scolastico di queste regione;
   nonostante però tali segnalazioni il suo Ministero ha applicato all'ufficio scolastico regionale del Veneto, in organico di diritto 2016/2017 un'ulteriore riduzione di 92 posti rispetto all'organico di diritto 2015/2016;
   i dirigenti dell'ufficio scolastico regionale Veneto hanno provveduto pertanto, ad effettuare una ricognizione puntuale e dettagliata che consta di 28 file excel, nei quali sono state analiticamente motivate istituto per istituto, plesso per plesso, sezione per sezione, classe per classe, le necessità dei posti aggiuntivi per il rispetto dei parametri normativi e per evitare la formazione di classi in situazione di affollamento, non consentite dalle norme vigenti. Da ciò è conseguita la richiesta al  Ministero, dello scorso 30 giugno 2016, dell'assegnazione del numero indispensabile di posti di personale docente in sede di adeguamento dell'organico alla situazione di fatto per l'anno scolastico 2016/2017, calcolato in 48.530 posti che superano quelli dell'organico di diritto per l'anno scolastico 2016/2017 di 3.013 posti;
   è imminente il riparto dei 31.000 posti di organico di fatto del personale docente tra i 18 uffici scolastici regionali e occorre evitare i pesanti disagi sociali e le proteste delle famiglie, dei sindaci e delle associazioni, che potrebbero generarsi nella regione del Veneto –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative volte a soddisfare le esigenze e le istanze dell'ufficio scolastico regionale Veneto mediante l'assegnazione dei posti richiesti, come sopra descritto, necessari ad assicurare la piena ed efficiente funzionalità del servizio in tutta la regione. (4-14044)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 ha permesso l'immissione in ruolo di migliaia di docenti siciliani della scuola primaria che, però, si sono visti traditi nelle loro aspettative di vita, in quanto, dall'oggi al domani, si troveranno obbligati a lasciare le loro famiglie per raggiungere le sedi di servizio assegnate a migliaia di chilometri di distanza dalle proprie residenze;
   questo è dovuto a quella che appare all'interrogante come una disparità di trattamento tra i docenti inseriti nelle graduatorie ad inserimento, costretti a mobilità nazionale, ed i docenti inseriti nelle graduatorie di merito del concorso 2012, soggetti solo a mobilità provinciale;
   in questo modo, l'esperienza e le competenze acquisiti negli anni dai docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), che per anni hanno dimostrato passione e dedizione al loro lavoro, sempre in scuole diverse, funzionali all'amministrazione, vengono cancellate da criteri, a giudizio dell'odierno interrogante, iniqui e mortificanti;
   una delle possibili soluzioni per evitare questo «esodo» in atto e che possa risolvere in tempi stretti la questione, potrebbe essere l'estensione del tempo pieno o prolungato a tutte le scuole siciliane che permetterebbe, così, un considerevole aumento dei posti o cattedre disponibili;
   diversamente, si potrebbero fornire opportune «finestre» che permettano ai docenti ultrasessantenni di essere, quanto prima, posti in quiescenza così da liberare il maggior numero di posti possibili;
   molte regioni del Nord sono già arrivate al completamento delle operazioni di correzione degli elaborati e alla pubblicazione dei risultati, quindi, pronte all'inizio delle prove orali;
   anche in questa occasione, la disparità di trattamento che hanno dovuto subire gli aspiranti professori meridionali è evidente a causa, secondo l'interrogante, dell'inefficienza e dell'inefficacia dell'amministrazione scolastica delle regioni del Sud, amministrazione che, in molti casi, non ha dato avvio alla correzione delle prove scritte;
   a causa di ciò, ai candidati siciliani e del Sud Italia in generale non è permesso di aspirare ad una assunzione in tempi rapidi, diversamente da quanto promesso dal Ministro interrogato in numerose occasioni pubbliche;
   in Sicilia, in particolare, il concorso a cattedra, per titoli ed esami, relativo alle scuole primarie ed alle scuole dell'infanzia non è ancora iniziato, a quanto consta all'interrogante, a causa del fatto che la direzione scolastica regionale non ha ancora provveduto ad effettuare le nomine delle sottocommissioni e, quindi, a dare inizio alle procedure di correzione delle prove, informatizzate, espletate dai candidati –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-14059)


   DI LELLO e SGAMBATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del comma 79 dell'articolo 1, della legge 13 luglio 2015, n. 107, recante norme per la «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», a decorrere dall'anno scolastico 2016/2017, il dirigente scolastico può procedere, per i posti vacanti e disponibili, anche attraverso chiamate dirette;
   fermo quanto disposto dai commi 79 e 80, dell'articolo 1, della legge 107 del 2015, con la recente pubblicazione delle linee guida (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – prot. N. 2609/2016), il dirigente scolastico, nelle procedure della chiamata diretta, può indicare i criteri e le competenze che ritiene più opportuni, adeguati e coerenti con le finalità individuate e formalizzate nel rapporto di autovalutazione, nel piano di miglioramento e nel piano triennale dell'offerta formativa;
   pertanto, i dirigenti scolastici in questi giorni stanno pubblicando gli avvisi per le chiamate dirette, chiedendo ai docenti di inviare le autocandidature per i posti vacanti;
   secondo quanto previsto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con circolare del 22 luglio 2016 avente ad oggetto «Indicazioni operative per l'individuazione dei docenti trasferiti o assegnati agli ambiti territoriali e il conferimento degli incarichi nelle istituzioni scolastiche» i criteri di valutazione dei docenti fanno riferimento alle esperienze, alla formazione, altresì a titoli universitari, culturali e certificazioni;
   la stessa circolare prevede che il dirigente scolastico comunichi con specifico avviso i criteri di scelta (da tre a sei) e che esamini i curricula dei docenti inseriti nell'ambito, partendo da quelli che hanno presentato candidatura, fintanto che non individuano il docente a cui proporre l'incarico «eventualmente anche mediante colloqui, in presenza o in remoto (ad esempio videochiamata, Skype...). In ogni caso, la scelta del docente dovrà essere motivata»;
   la circolare recante le linee guida, inoltre, prevede che il docente, per presentare la propria candidatura ad una o più istituzioni scolastiche dell'ambito di destinazione, debba inviare una mail dove dichiara di corrispondere ai criteri previsti e la disponibilità ad accettare l'incarico;
   date le linee guida del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sopra enunciate, alcuni dirigenti scolastici, nel valutare i candidati si sono spinti ben oltre quanto previsto dalla legge, chiedendo espressamente – Istituto Comprensivo «Pier Cironi» di Prato e Istituto Comprensivo Statale «A. Frank-Carradori» di Pistoia – che sia aggiunta alla mail di autocandidatura un video a figura intera che, ovviamente, nulla ha a che vedere con i criteri previsti di esperienze, formazione e titoli e che nulla aggiungere merito alle capacità e utilità del docente stesso in capo all'Istituto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti nelle premesse, e se non ritenga di intervenire, con la massima urgenza, al fine di evitare atteggiamenti da parte dei dirigenti che nulla hanno a che vedere con il merito ma che piuttosto potrebbero trasformarsi in elementi di discriminazione che mortificano gli insegnanti, senza nulla apportare al miglioramento dell'istruzione. (4-14061)


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   solo da qualche giorno – in grave ritardo rispetto alle altre regioni – la direzione scolastica siciliana ha provveduto alla composizione delle sottocommissioni per la correzione degli elaborati della scuole primaria e dell'infanzia;
   in altre regioni, quali la Lombardia, il Piemonte il Friuli e in Emilia Romagna risultano, invece, già completate le procedure di correzione degli elaborati e pubblicati i risultati per avviare così l'inizio delle prove orali;
   la proroga delle correzioni delle prove scritte in Sicilia sta determinando una gravissima disparità di trattamento tra i candidati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in tal caso, quali iniziative intenda assumere al fine di garantire l'avvio della correzione delle prove nei tempi previsti e procedere all'assunzione nei ruoli prima dell'avvio dell'anno scolastico. (4-14064)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da quanto ha potuto appurare l'odierno interrogante, il concorso a cattedra 2016 è stato caratterizzato da numerose irregolarità fin dai primordi nell'espletamento delle varie fasi concorsuali;
   il primo giorno di prove, il 28 aprile 2016, circa il 90 per cento delle commissioni non era costituito poiché non si trovavano docenti disposti ad autocandidarsi attraverso le procedure aperte su istanze on line;
   tali procedure sono state prorogate ed aperte più volte anche durante lo svolgimento della prova scritta. Il mancato insediamento delle commissioni ha, di conseguenza, comportato l'assenza delle griglie di valutazione della prova stessa;
   recentemente interpellato sulla questione, il Ministro interrogato ha risposta che: 1. Le griglie sono le stesse degli altri concorsi pubblici; 2. Le griglie saranno le stesse del concorso a cattedra 2012;
   il problema è stato che le procedure di questo concorso sono state completamente diverse rispetto ai precedenti e, comunque, rispetto agli altri concorsi pubblici e la prova scritta del concorso 2012 era completamente diversa rispetto all'attuale;
   dopo lunghe e farraginose ricerche, a metà maggio sono state pubblicate le commissioni. Si ricorda solo che le prove scritte si sono svolte dal 28 aprile al 31 maggio 2016 e solo dopo la fine delle prove scritte qualche commissione comincia a pubblicare le famose griglie, diverse per ogni classe di concorso e diverse per ogni ufficio scolastico regionale a dispetto di quanto dichiarato dal Ministro interrogato che queste famose griglie esistessero già;
   si procede, per molte classi di concorso, all'espletamento della prova pratica, prova svolta «al buio» ovvero senza conoscere né il risultato, né l'eventuale superamento della prima prova con l'evidente ed ovvio spreco di tempo e risorse proprie sia per i candidati, costretti a spostarsi presso sedi improbabili, ed anche per il Ministero stesso, visto che la correzione di ogni elaborato ha un costo e alla luce dei risultati, solo il 30 per cento dei candidati, sta accedendo agli orali, per cui sono state pagate a vuoto migliaia di correzioni;
   ovviamente, anche la prova pratica ha bisogno della sua griglia di valutazione, pubblicata molto spesso a prova già ultimata. Per le prove pratiche, il bando prevedeva l'estrazione della traccia 24 ore prima dello svolgimento della stessa, termine che in alcuni casi non è stato rispettato, poiché alcuni presidenti si sono rifiutati di dare lettura e pubblicazione della traccia estratta;
   ma il vero paradosso di questo concorso per l'interrogante è un altro: la prova scritta era così strutturata, 6 quesiti a risposta aperta computer based su contenuti, didattica e metodologia relativi alla classe di concorso per cui si concorreva e 2 batterie da 5 (ovvero 10 quesiti) a risposta multipla volti all'accertamento del livello B2 di conoscenza, della lingua prescelta dal candidato in fase di iscrizione;
   a parte il fatto che l'interrogante non comprende la necessità dell'accertamento del livello B2 di conoscenza della lingua straniera, visto che non serve neanche a dare l'abilitazione Content and language integrated learning per l'insegnamento, la prima difformità che risalta è che i quesiti in lingua (10) superino quelli relativi alla propria classe di concorso (6). La seconda difformità, a giudizio dell'interrogante risiede nel fatto che in fase di correzione nelle famose griglie di valutazione il peso dei quesiti in lingua è pari a 7 punti su un minimo di 28 punti necessario al superamento della prova (quindi un peso pari a un quarto), inoltre, per intendersi superata la prova era necessario conseguire un punteggio minimo nelle lingue;
   questo significa che, paradossalmente, era più importante rispondere correttamente alle domande relative alla lingua straniera, piuttosto che alle domande specifiche sulla propria classe di concorso;
   questo meccanismo ha fatto sì che circa il 70 per cento dei partecipanti non ha superato la/le prova/e scritta/e e non è riuscito ad accedere all'esame orale, pur avendo svolto degli ottimi compiti;
   a ciò va aggiunta, a giudizio dell'interrogante, l'assoluta incompetenza delle commissioni esaminatrici. Il più delle volte presiedute da docenti universitari, che dal punto di vista didattico e metodologico, hanno sicuramente un approccio diverso rispetto a quello del mondo della scuola i si rischia infatti di essere giudicati sui contenuti piuttosto che sulla didattica e sulla metodologia;
   posto che questo concorso è stato riservato solo agli abilitati, si presume che tra lauree, master, dottorati e abilitazioni, nel corso degli anni la conoscenza dei contenuti relativi alla disciplina, sia stata abbondantemente accertata, a seguito di ciò moltissime commissioni si sono dimesse in toto, due sono le spiegazioni per l'interrogante: o le commissioni non sanno fare bene il proprio lavoro, oppure c’è una tale disorganizzazione che nessuno vuole pagare personalmente per quelli che all'interrogante appaiono gli errori commessi dal Ministero nell'indire questo concorso;
   la cosa, inoltre, che da più da pensare è che il numero gli ammessi all'orale è nettamente inferiore rispetto ai posti messi a bando. Per cui un concorso bandito per coprire i vuoti d'organico nella scuola italiana rinnoverà l'eterno problema del costante ricorso alle supplenze;
   a giudizio dell'interrogante è stato bandito un concorso che sta costando un'enormità di danaro pubblico e ad oggi non risulterebbero esservi le risorse economiche per stabilizzare tutti i vincitori –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-14067)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il comparto della macellazione e lavorazione delle carni di Modena è investito in questi mesi da numerose vertenze sindacali finalizzate al riconoscimento di nuovi inquadramenti contrattuali per i lavoratori, dipendenti da società cooperative di servizi, impiegati nelle locali ditte del settore; al centro del conflitto è spesso posta la rivendicazione di estendere l'applicazione del contratto collettivo nazionale del lavoro del settore alimentare, utilizzato dalle società committenti, anche ai lavoratori occupati dalle cooperative nell'esecuzione degli appalti, dove invece viene applicato il contratto nazionale della logistica e dei trasporti; più in generale, le vertenze riguardano il rispetto delle norme e la corretta applicazione dei rispettivi contratti collettivi;
   in questo ambito si iscrive la vicenda specifica dell'azienda Castelfrigo srl, dove nel febbraio 2016, dopo una difficile trattativa, si era addivenuti ad un accordo positivo, sottoscritto tra le parti e impegnativo sia per la proprietà committente, sia per le due cooperative che operano in regime di appalto; tale accordo, promosso anche dalla prefettura di Modena e dalle amministrazioni locali interessate, è poi diventato la base di un tavolo di confronto più generale per affrontare l'insieme degli analoghi problemi che, in vario modo, investono tutte le aziende di quel distretto produttivo;
   ad oggi tuttavia non è stato possibile raggiungere alcuna intesa di carattere generale sui temi oggetto delle vertenze e si assiste in taluni casi ad un peggioramento delle relazioni, a partire proprio da Castelfrigo, dove, nei giorni scorsi, due rappresentanti sindacali sono stati licenziati dalla cooperativa appaltatrice;
   già nel febbraio 2016 i Ministri erano stati destinatari di una interpellanza urgente sulla vertenza apertasi presso Castelfrigo avente ad oggetto il rispetto delle norme e dei contratti collettivi di lavoro;
   il Governo, rispondendo all'interpellanza urgente, dichiarava tra le altre cose che:
    le verifiche condotte dalla direzione territoriale del lavoro su diverse imprese del comparto avevano fatto registrare «fenomeni di interposizione di manodopera, omissioni contributive, registrazioni infedeli sul libro unico del lavoro e violazioni della normativa in materia di orario di lavoro»;
    gli accertamenti ispettivi presso la Castelfrigo srl erano in corso e si impegnava pertanto «a fornire un dettagliato resoconto non appena saranno conclusi»;
    si impegnava poi «a monitorare i futuri sviluppi della vicenda» e ad adottare «provvedimenti sanzionatori, qualora dai predetti accertamenti emergessero violazioni di legge»;
    riconoscendo infine come quella vertenza fosse paradigmatica di quelle dell'intero comparto, si impegnava a seguire con attenzione la più complessiva vicenda del distretto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative ritenga di assumere, anche in considerazione degli impegni precedentemente presi nella risposta alla citata interpellanza;
   di quali elementi disponga il Governo circa le procedure di licenziamento di cui in premessa;
   se dai controlli effettuati dalla direzione territoriale del lavoro siano emerse presso Castelfrigo alcune irregolarità;
   se non si ritenga necessario assumere un'iniziativa più complessiva, di concerto con le parti sociali, al fine di dirimere talune questioni generali che investono il comparto della macellazione e della lavorazione delle carni.
(2-01457) «Baruffi, Ghizzoni, Incerti, Patrizia Maestri, Arlotti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NARDI e DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Jeppesen Sanderson, leader internazionale nel campo della cartografia aeronautica con sede centrale in Colorado e filiali in tutto il mondo è parte della compagnia Boeing, colosso del settore aerospaziale;
   nel 2007 Boeing ha acquistato la allora C-Map, azienda carrarese nata negli anni Ottanta e leader, al momento dell'acquisto, nel settore della cartografia nautica elettronica, facendola confluire in Jeppesen come divisione marittima;
   Jeppesen Italia srl con sede a Massa impiega ad oggi 62 lavoratori. È sede centrale della divisione Light Marine che produce cartografia elettronica e nuove tecnologie per la navigazione da diporto ed è presente in quattro continenti. La Jeppesen Italia ha fatturato nel corso del 2013 uro 18.987.719,00 e nel 2014 15.291.289,00;
   da giugno 2016 ad oggi Jeppesen Marine, di cui Jeppesen Italia è parte, è stata oggetto di ben due vendite: all'inizio di giugno Boeing ha ceduto l'azienda ad Altor 2003, fondo di investimento scandinavo; il 15 luglio Altor 2003 ha venduto Jeppesen Marine ad Altor IV e Goldman Sachs Merchant Banking Division;
   già nel 2015, quando Jeppesen era ancora in Boeing, Jeppesen Italia aveva aperto una procedura di licenziamento collettivo risorta in seguito con la mobilità volontaria di 9 dipendenti;
   in data 29 giugno 2016, la proprietà ha avviato una nuova procedura di licenziamento collettivo per 27 dipendenti su 62, tutti concentrati nel settore della produzione, lasciando invariata la struttura dirigenziale e facendo quindi ipotizzare l'intenzione di allocare la produzione in altra sede fuori dall'Italia;
   in data 5 luglio 2016 le rappresentanze sindacali aziendali hanno incontrato a Massa il presidente della giunta regionale della Toscana al fine di esporre la situazione in atto nello stabilimento e ricevendo rassicurazioni in merito alla volontà della giunta di seguire con attenzione l'evolversi della vertenza alla ex Jeppesen;
   in data 21 luglio 2016, la regione ha convocato l'azienda e le istituzioni locali; durante l'incontro purtroppo l'azienda non ha presentato il piano industriale;
   l'assenza di una strategia, il susseguirsi di due vendite nell'arco di due mesi e la permanenza in azienda della stessa classe dirigente che ha gestito Jeppesen Italia negli anni in cui le perdite di fatturato si sono inasprite e fondano ad avviso degli interroganti ragionevolmente, la preoccupazione che non siano in atto misure responsabili e concrete per la reale salvaguardia dell'occupazione, a vantaggio dei lavoratori e delle potenzialità economiche del territorio;
   l'azienda, come si apprende da fonti sindacali, ha declinato in apertura del procedimento la possibilità di avvalersi di ammortizzatori sociali, il che acuisce il timore di un mancato interesse della nuova proprietà per l'impatto sociale del proprio operato, cosa che contrasta con l'adesione di Altor ai «Principi per un investimento responsabile» che pure sono dichiarati dal fondo di investimento come linea guida volta all'impegno per la sostenibilità ambientale e sociale degli investimenti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se a fronte di tale situazione non intendano convocare con urgenza un tavolo istituzionale che coinvolga i rappresentanti dell'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali interessate per conoscere le intenzioni dell'azienda e tutelare i lavoratori coinvolti. (5-09399)


   PIAZZONI e ZAMPA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la professione di assistente sociale ricopre un ruolo centrale all'interno del sistema di welfare del nostro Paese, essendo parte essenziale e fulcro di quella rete di protezione a sostegno della società italiana. Un ruolo che ha visto crescere le richieste d'aiuto, per l'impatto della crisi economica sulle fasce più a rischio e più deboli della nostra società, e per l'avanzare di nuovi fenomeni della modernità: dalla solitudine degli anziani nelle grandi aree metropolitane, alla crescente povertà relazionale; dal peggioramento della condizione minorile alle separazioni coniugali, al crescente disagio abitativo;
   il taglio delle risorse destinate alle politiche sociali operato nell'ultimo decennio, vede ora, fortunatamente, una significativa inversione del trend, pur permanendo gli effetti sui servizi territoriali, via via depotenziati, con situazioni di particolare criticità in alcuni enti locali. A bisogni crescenti e nuovi bisogni, che vedono in prima linea nella programmazione e gestione degli interventi le risposte concrete date dal lavoro e dalla professionalità degli assistenti sociali, non è corrisposto un investimento nel rafforzamento dell'infrastruttura sociale, generando situazioni ambientali estremamente preoccupanti;
   uno studio del 2014 relativo al comune di Roma svolto dall'università Roma Tre e dal dipartimento politiche sociali del comune evidenziava come 45 dei 92 assistenti sociali intervistati dichiarassero di aver subito, nei due anni precedenti, almeno un atto di violenza da parte degli utenti o dei loro familiari. Di queste 45 persone, 42 riportavano di aver subito violenza verbale, 23 delle minacce, 6 violenza assieme verbale e fisica, 4 violenza fisica, mentre in 2 hanno dichiarato di aver subito stalking e sempre in 2 di aver subito altre forme di violenza, senza però esplicitarne la forma;
   sulla base delle rilevazioni dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali, nel solo periodo gennaio 2015 – maggio del 2016 si è verificato un numero allarmante di aggressioni a danno dei professionisti: ben 52, con solo riferimento alle forme più gravi, ovvero agli episodi che hanno fatto scaturire denunce alle autorità competenti;
   alcuni di questi episodi sono stati riportati dalle cronache nazionali e locali. Nel solo 2016: nel mese di marzo un'assistente sociale è stata aggredita in provincia di Pavia da persona in condizione di disagio abitativo, per l'impossibilità di fornire nell'immediato un alloggio di edilizia residenziale pubblica, riportando una prognosi di 21 giorni; nel mese di aprile a Bologna un'irruzione violenta presso il centro civico Lame (la quarta in pochi mesi) ha tenuto in scacco per tre ore utenti e dipendenti, costretti a barricarsi in ufficio; una situazione simile si è verificata nel mese di maggio presso gli uffici dei servizi sociali di Rho, dove l'intervento tempestivo delle forze di pubblica sicurezza hanno scongiurato il peggio; sempre nel mese di maggio a Prato una giovane donna ha preso a pugni l'assistente sociale che si occupava dell'affidamento del figlio;
   come dichiarato dal presidente dell'Ordine degli assistenti sociali del Piemonte, Barbara Rosina, in una recente intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, l'impossibilità per i servizi di poter offrire nell'immediato risposte concrete, a causa dell'assenza negli anni di una strategia di lungo periodo di rafforzamento degli stessi e di attenzione ai bisogni dei cittadini, porta all'esasperazione gli utenti che spesso si traduce in atti violenti e in vere e proprie aggressioni a danno del personale. Ma, al di fuori dei fatti che portano alle denunce e ai provvedimenti delle autorità competenti, a preoccupare sarebbe il clima continuo di violenza verbale cui gli assistenti sociali sono sottoposti e alla conseguente situazione di stress;
   il presidente dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi, ha più volte richiamato l'attenzione sulla frequenza di questi episodi: dalle minacce sotto l'abitazione di residenza, alle scritte intimidatorie sui muri per giungere sino agli episodi più violenti, conseguenza di un diffuso clima di tensione che, in un crescendo spesso fuori controllo, circonda il lavoro di quanti operano nei Servizi sociali;
   al di là dell'ineludibile necessità di effettuare investimenti nell'infrastruttura sociale del Paese, superando i limiti esistenti al potenziamento delle risorse professionali e dei servizi, appare sempre più urgente attivare nuovi sistemi organizzativi e strategie metodologiche per il trattamento dei casi più delicati e potenzialmente pericolosi, per gestire al meglio le situazioni di maggiore criticità;
   ancora più urgente appare tuttavia la necessità di far emergere la consapevolezza di un rischio che non può più essere sottovalutato, avviando specifici percorsi formativi che preparino gli operatori del sociale e gli stessi enti locali non solo a gestire situazioni del genere, ma anche a prevenire che queste ultime possano sfociare in episodi di pericolo reale per l'incolumità di operatori e utenti dei servizi sociali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa, quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda intraprendere e se non intenda promuovere, per quanto di competenza, appositi percorsi formativi volti alla prevenzione e alla gestione ottimale delle situazioni di rischio cui sono sottoposti quotidianamente gli operatori dei servizi sociali. (5-09418)


   TERROSI, GNECCHI, CUPERLO, PICCIONE, PATRIZIA MAESTRI, CAROCCI, FONTANELLI, PIAZZONI, ALBINI, LUCIANO AGOSTINI, MELILLI, GIUSEPPE GUERINI, MOGNATO, CAPOZZOLO e COVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Chef Express, spa è una società del settore della ristorazione che svolge la propria attività prevalentemente presso aeroporti, stazioni ferroviarie e autostrade, operando in regime di concessione;
   la sua attività inizia in Italia nel 2004 con il marchio MOTO, società partecipata con la multinazionale Compass. Dal 2008 Chef Express spa è un marchio del gruppo Cremonini;
   nella ristorazione autostradale Chef Express spa, attraverso la partecipazione a gare pubbliche di livello transnazionale, è subentrata alla società Autogrill spa o ad altri soggetti attivi nella stessa fascia di mercato;
   nel passaggio della gestione dei punti ristoro da Autogrill spa a Chef Express spa tutto il personale, ad eccezione del personale di direzione, è stato salvaguardato;
   nel codice etico adottato dalla società Chef Express spa, nel paragrafo recante «Principi etici», tra i criteri etici «che fungono da guida orientativa per il comportamento del codice etico» si rilevano il punto vii) Valore dei collaboratori e il punto viii) Rispetto dei diritti individuali e della dignità umana, nei quali si legge rispettivamente: «I collaboratori di Chef Express sono un fattore indispensabile per il successo della Società. Per questo motivo Chef Express tutela e promuove il valore dei collaboratori allo scopo di massimizzare il grado di soddisfazione ed accrescerne il patrimonio di competenze possedute» e «Chef Express ripudia ogni forma di lesione dei diritti individuali e della dignità umana, di schiavismo o di sfruttamento della manodopera minorile»;
   il Capitolo III del già citato codice etico, «Rapporti con i Collaboratori – Politica del personale», sottolinea come «la Società è consapevole della fondamentale importanza delle risorse umane per la stessa esistenza e lo sviluppo di un'azienda» e ancora «La Società, tramite la Direzione Risorse Umane, promuove una politica di gestione del personale volta alla prevenzione di qualsiasi discriminazione od abuso sui Collaboratori(...) e, inoltre, «Qualsiasi iniziativa riguardante i Collaboratori, quale ad esempio l'assegnazione di incarichi o ruoli, la promozione, il trasferimento, deve essere assunta unicamente in base al profilo professionale, nonché alla effettiva competenza e capacità del singolo dipendente»;
   nella sezione dedicata a «salute, sicurezza e ambiente», alla lettera «A. Salute e sicurezza» si sottolinea che Chef Express si orienta, tra gli altri principi e criteri fondamentali a «realizzare la prevenzione, mirando ad un complesso coerente di interventi che integrino tecnica, condizioni, organizzazione del lavoro, rispetto delle relazioni sociali e dei fattori ambientali»;
   da quanto appreso, a seguito di interlocuzioni avute con le organizzazioni sindacali, a partire dal 2015 si sarebbero verificate diverse criticità nella gestione del personale da parte dell'azienda;
   in particolare si sarebbero verificati, a carico dei, cosiddetti working manager di terzo livello, diversi trasferimenti in punti vendita anche molto distanti dal luogo di lavoro originario. Considerando che il personale interessato spesso lavora nello stesso settore da molti anni, è spesso risultato problematico il trasferimento del lavoratore e della sua famiglia. In alcuni casi la trattativa si sarebbe conclusa con la cessazione del rapporto di lavoro. In questi casi, risulterebbe che la società non abbia preso in considerazione eventuali demansionamenti e/o riposizionamenti chd avrebbero permesso al personale di continuare a lavorare nello stesso punto vendita;
   risulterebbe inoltre agli interroganti che i citati trasferimenti non siano stati preceduti da nessuna comunicazione formale alle rappresentanze sindacali, cosa che, invece, avrebbe permesso l'avvio di trattative mediate per la ricerca di una soluzione condivisa tra le parti;
   sembrerebbe anche che, a carico del resto del personale siano stati messi in atto comportamenti che potrebbero essere interpretati come azioni volte a un generale indebolimento dell'azione collettiva e a creare un clima intimidatorio nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, come l'adozione di contestazioni disciplinari e l'applicazione di sanzioni fuori misura, compreso il licenziamento, rispetto ai fatti contestati. Quanto detto, se corrispondesse a verità, fra l'altro, striderebbe con i propositi contenuti nel Codice Etico aziendale parzialmente riportato nei commi precedenti;
   altri comportamenti della Chef Express spa sembrerebbero andare nella direzione sopra dichiarata: ad esempio la richiesta avanzata da parte dell'azienda di affrontare il turno di notte in solitaria rifiutata dagli operai che si sarebbero trovati nella situazione di dover svolgere il proprio lavoro in condizioni di scarsa sicurezza, e non potendo garantire gli standard di qualità previsti;
   la società avrebbe proceduto all'assunzione di personale occasionale al fine di sostituire il personale in sciopero. Tale personale occasionale risulterebbe inoltre privo di qualsiasi formazione e tenuto ad effettuare turni in solitaria. Anche in questo caso, se i fatti fossero confermati, ciò avverrebbe per gli interroganti in aperta contraddizione con quanto affermato nel codice etico in materia di sicurezza. L'azienda avrebbe impiegato, a partire dal 2015, personale retribuito con voucher, ricorrendo a questo strumento nel tempo sempre più frequentemente. Si ravviserebbe, inoltre, una forte incongruenza per gli interroganti tra le numerose risoluzioni del rapporto di lavoro, da un lato e il consistente ricorso all'utilizzo dei voucher, dall'altro;
   infine, relativamente al punto Chef Express presente nell'area di servizio autostradale Tevere est, situato sulla A1 nel tratto Attigliano-Orvieto, direzione nord, nell'agosto 2015 le sigle sindacali Filcams Cgil e Fisascat Cisl inviarono una lettera congiunta all'Ispettorato del lavoro, sede di Viterbo, per denunciare le presunte irregolarità in special modo nell'utilizzo dei voucher –:
   se quanto esposto trovi conferma e se il Ministro ne sia a conoscenza;
   se non si ritenga di verificare, per quanto di competenza, se vengano attivati tutti i passaggi al fine di garantire la giusta intermediazione prevista dalla legge e operata dalle organizzazione sindacale nel rapporto tra la società Chef Express e i lavoratori;
   se, ad un esito negativo della verifica, non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a riportare all'interno dei punti vendita la giusta interlocuzione e collaborazione, aiutando così a ripristinare un clima disteso nelle relazioni tra il personale, operai e working manager, e la dirigenza aziendale;
   se non si ritenga di intervenire per limitare l'utilizzo improprio dei voucher sia in questa azienda, qualora se ne ravvisasse l'abuso, sia più in generale, considerando che il ricorso a questo strumento è stato per il 2015, in termini numerici pari a ottantotto milioni di voucher utilizzati e che per i primi mesi del 2016 se ne ravvisa un incremento del 45 per cento;
   se non si ritenga di assumere le iniziative di competenza affinché, per il tramite dell'Ispettorato del lavoro di Viterbo, sia dia risposta alle richieste avanzate dalle sigle sindacali Filcams Cgil e Fisascat Cisl in merito all'utilizzo dei voucher nel punto Chef Express situato presso la stazione di servizio Tevere est. (5-09424)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è ormai imminente lo smembramento e la vendita a blocchi di Hypo Bank;
   nonostante ci siano dei compratori disponibili, il Governo austriaco possessore del 99 per cento delle azioni di Hypo Bank, sembra essere intenzionato alla chiusura definitiva prevista per il 2018;
   a settembre 2016 inizia la seconda fase della procedura di licenziamento che in circa due mesi e mezzo lascerà senza lavoro 157 persone di cui molte dislocate in Friuli Venezia Giulia;
   la maggior parte dei friulani che saranno coinvolti nel licenziamento hanno un'età media inferiore ai 40 anni, con famiglie e mutui da sostenere;
   la Commissione europea esige che vi sia massima trasparenza nelle operazioni di vendita attraverso la gara e che si manifesti una discontinuità economica tra nuova e vecchia gestione;
   nonostante a settembre 2016, inizi la fase formale di licenziamento, esistono ancora i presupposti per evitare una vendita frazionata della società –:
   se il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, delle iniziative al fine di evitare lo smembramento e la vendita a blocchi di Hypo Bank, al fine di tutelare i posti di lavoro e l'integrità del sistema economico locale friulano.
(4-14055)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 luglio 2016, Associazione rurale italiana, divulgava il seguente comunicato stampa, dal titolo «ASSOSEMENTI ed i diritti dei contadini» nel quale si descriveva come: «(...) è stato recentemente pubblicata la notizia di un accordo tra Assosementi e l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF)»;
   in questo accordo si legge che: «(...) sul versante delle specie agrarie, ad esempio, la vendita o lo scambio di granella non certificata uso seme, oltre a costituire violazione della normativa sementiera (...)» e, ancora, «(...) nel settore sementiero orticolo, invece, è crescente il diffondersi di pratiche illegali quali la riproduzione vegetativa a mezzo talea o stubs (...)». «Noi contadini, consapevoli dell'enorme ricchezza di biodiversità che ci è stata trasmessa dalle generazioni di contadini che ci hanno preceduto nei passati millenni, con sapiente opera di selezione, scelta di sementi adatte ad ogni particolare ambiente e scambio di sementi fra coltivatori, affermiamo la nostra ferma volontà di continuare con coscienza, senso di responsabilità, impegno questa opera di creazione di diversità biologica adatta ai vari ambienti e fondamentale nel mantenere in vita le nostre aziende»;
   ad avviso dell'interrogante, Assosementi ha proposto un accordo ad una istituzione pubblica sulla base di un presupposto giuridicamente inesistente: nessuna legge italiana vieta la risemina di varietà certificate, quindi non esiste il presupposto della falsificazione per la granella scambiata tra contadini. Vi è da specificare inoltre che la legislazione sementiera italiana protegge le industrie sementiere nella commercializzazione di sementi certificate e cartellinate con una serie di disposizioni che le industrie sementiere debbono rispettare, molte di queste disposizioni però, per volere delle industrie stesse, sono sottoposte solo all'autocertificazione. L'Italia ha ratificato e poi legiferato per l'applicazione del «Trattato internazionale delle risorse genetiche per l'agricoltura e l'alimentazione» i cui articoli 6 e 9 riconoscono il diritto degli agricoltori di scambiare e vendere, oltre che seminare e riseminare, le proprie sementi «(...) e altro materiale di moltiplicazione» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere;
   se non reputi opportuno chiarire il senso e la portata dell'accordo proposto da Assosementi così come descritto in premessa;
   se il Ministro in interrogato non reputi necessario intervenire nel merito stesso di tale accordo, facendo sì che anche Assosementi rispetti la normativa nazionale e i trattati internazionali che proteggono il diritto degli agricoltori;
   come il Ministro interrogato intenda tutela nel nostro Paese, il diritto dei contadini di utilizzare e continuare ad utilizzare le sementi da essi prodotte per la semina e ri-semina nei campi che lavorano, e il diritto di scambiare queste sementi prodotte con altri contadini.
(5-09419)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la possibilità del pascolamento conto terzi, è pratica concessa a seguito dell'introduzione del principio del «disaccoppiamento» e della «condizionalità», introdotti con la revisione della Pac 2006; in sintesi, si poteva e si può dimostrare il mantenimento di buone condizioni agronomiche ed ambientali delle superfici ammissibili, indipendentemente dalla produzione. Con questo sistema si favorivano non solo i soggetti che utilizzavano i terreni per la produzione (allevatori), ma anche gli agricoltori proprietari, che, a prescindere dalla produzione, mantenevano i terreni in buone condizioni agronomiche ed ambientali. La pratica suddetta era utilizzata soprattutto nelle realtà di montagna e permessa anche dal modulo di richiesta della domanda unica. Praticamente, sulle superfici dichiarate a pascolo magro, era possibile il pascolamento sia con bestiame di proprietà, che con bestiame di proprietà di terzi;
   approfittando della suddetta normativa, alcuni allevatori, hanno preso in affitto alpeggi d'alta quota, per aumentare virtualmente la superficie agricola, al fine di riscuotere i premi Pac (cosiddetto «pascoli fantasma»);
   a seguito di continue, denunce per colpa di pochi disonesti, in data 11 ottobre 2013, Agea con circolare n. 979 del 2013, ha ammesso solo il «pascolamento diretto» facendo riferimento ad un audit della Corte dei conti dell'Unione europea dei 2009. Il Tar Lazio è intervenuto sospendendo per la campagna 2014 l'efficacia della succitata circolare a seguito di diversi ricorsi presentati dagli agricoltori, che si erano semplicemente attenuti alla normativa. Il 19 gennaio 2015, però, lo stesso Tar entra nel merito, rigetta il ricorso e restituisce validità alla circolare sospesa; questo consente ad Agea di disporre il blocco dei pagamenti per le domande in corso di validità. L'8 settembre del 2015, infine, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar Lazio e sancito, così, la validità definitiva della circolare Agea;
   mentre tutta la vicenda era sub iudice, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il 20 marzo 2015 con decreto 1922, all'articolo 9, comma 7, ha recepito la «ratio» della più volte citata circolare;
   dal 2006 al 2013 la pratica del pascolo presso terzi quindi è stata riconosciuta valida; mentre dal 2015 al 2020 la stessa è stata conferma, a dalla gran parte delle regioni interessate da tale consuetudine (tra queste anche la Calabria con delibera n. 70 del 6 luglio 2015). L'unico anno in cui non è stata riconosciuta, o meglio concessa e poi revocata, è stato il 2014, l'anno di riferimento per la formazione dei nuovi titoli Pac 2015-2020;
   dal 6 ottobre 2015 è iniziata la procedura di ricalcolo dei nuovi titoli Pac per il 2015-2020, per far ciò, si sta utilizzando il seguente criterio: importo percepito nell'anno 2014 e terreni dichiarati nell'anno 2015. Praticamente con questo criterio hanno penalizzato solo ed esclusivamente alcuni soggetti: non è stato infatti riconosciuto, nel valore dei nuovi titoli Pac, quello relativo agli stessi titoli attivati per le superfici dichiarate a pascolo magro con capi non appartenenti al beneficiario. Questo metodo ha decretato ufficialmente il tracollo per molte aziende piccole, medie e anche grandi con la conseguente perdita di decine di migliaia di posti di lavoro;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sollecitato da alcune organizzazioni agricole, quali Anpa, Confeuro, Confagricoltura, C.I.A., e Copagri, il 26 febbraio 2016, con prot. n. 860, ha inviato una nota all'Avvocatura generale dello Stato comunicando che, verso la fine del 2013 e per tutto il 2014, la quasi totalità degli allevamenti zootecnici italiani furono colpiti dall'epidemia di Blue Tongue, la stessa epidemia che ha costretto il Ministero della salute con nota prot. DGSAF 0017113-P-05/09/2013 di concerto con il CESME (centro studi malattie esotiche) ad adottare misure restrittive movimentazione degli animali a livello nazionale. Nella nota il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha chiesto agli Avvocati dello Stato se l'epidemia di blue tongue poteva essere ritenuta causa di forza maggiore e se inoltre, tale evento eccezionale poteva ricadere nei casi disciplinati dal regolamento comunitario n. 639 del 2014. L'articolo 19 del predetto regolamento prevede che, se un agricoltore è stato interessato da eventi di forza maggiore o da circostanze eccezionali nel corso dell'anno di riferimento (2014), il valore dei titoli all'aiuto può essere calcolato sulla base dell'ultimo anno di riferimento non interessato da eventi di forza maggiore o da circostanze eccezionali. L'Avvocatura dello Stato con nota 10811/2016 ha risposto al quesito del Ministero sostenendo che la pratica del pascolamento di terzi, da parte di agricoltori proprietari, affittuari, o titolari di un diritto d'uso del terreno, in una situazione di emergenza sanitaria nazionale, ha costituito l'unica soluzione, vista l'assoluta impossibilità di utilizzare animali custoditi altrove rispetto alla superficie del pascolo, per garantire il rispetto delle regole sulla condizionalità ambientale; basti pensare che anche chi voleva acquistare bestiame proprio da adibire al pascolamento, per gli stessi motivi, non è riuscito oggettivamente a reperirlo;
   nonostante ripetute e reiterate comunicazioni agli organi competenti, nonostante il riconoscimento dell'evento eccezionale, si è proceduto, purtroppo, al ricalcolo dei nuovi titoli PAC per il 2015-2020 utilizzando come base di calcolo l'importo percepito nel 2014, con la triste conseguenza che i pagamenti richiesti dagli agricoltori sulle superfici a pascolamento di terzi nel 2014, non solo non sono stati erogati per intero, ma sulle somme percepite nel 2014 ci sono stati e ci saranno degli ingenti recuperi da parte degli organismi pagatori regionali e di AGEA. Molte aziende, inoltre, nei prossimi 5 anni non percepiranno nulla, poiché i pochi titoli riconosciuti serviranno solo a compensare il debito derivante da questo assurdo ed iniquo calcolo;
   se non si procede a sanare tale anomala situazione le risorse non pagate agli agricoltori non andranno ad altri agricoltori italiani, ma saranno rimandate a Bruxelles, con una perdita di 26 milioni di euro all'anno e dunque di 130 milioni per i prossimi cinque anni per l'intero comparto. Così facendo, non si penalizzano solo i truffatori, ma indistintamente agricoltori e allevatori sparsi in tutt'Italia che avevano utilizzato e ancora utilizzano con onestà la pratica del pascolamento conto terzi –:
   se e come intenda risolvere la problematica sopra espressa e se non ritenga necessario applicare quanto previsto dal regolamento comunitario n. 639 del 2014, così da evitare perdite per l'intero comparto per 130 milioni di euro oltre a varie decine di migliaia di posti di lavoro che andranno in fumo. (4-14078)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, (articolo 5) ha introdotto un nuovo meccanismo di governo della spesa farmaceutica che lega la vigenza di un tetto nazionale per l'erogazione dell'assistenza farmaceutica territoriale a carico del Servizio sanitario nazionale, con un procedimento di ripiano a carico delle aziende farmaceutiche, che deve essere avviato in caso di sfondamento del tetto stesso;
   il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, oltre ad aver rideterminato il tetto della spesa farmaceutica territoriale all'11,35 del FSN, ha esteso il meccanismo di pay-back anche alla spesa farmaceutica ospedaliera, prevedendone un ripiano a carico dell'industria farmaceutica nella misura del 50 per cento dell'eventuale sfondamento a livello nazionale;
   dalla relazione tecnica di accompagnamento dell'atto Camera n. 3926 i pay-back attesi dalle aziende farmaceutiche per gli anni 2013-2014-2015 ammontano complessivamente a 1.988 miliardi di euro e tali somme non sono state versate alle regioni e province autonome di Trento e Bolzano se non in minima parte, in quanto il Tar Lazio, con successive sentenze, a partire dalla n. 4.538 del 25 marzo 2015, ha annullato la determinazione Aifa del 30 ottobre 2014, relativa al ripiano per dell'anno 2013. Inoltre, l'Aifa non ha proceduto ad adottare i provvedimenti per il ripiano per l'anno 2014, nonché la determinazione dei budget per l'anno 2015 e conseguenti provvedimenti per il ripiano, sempre per l'anno 2015;
   la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge finanziaria 2016) ai commi 702 e 703 dell'articolo 1 riporta, al fine di garantire il rispetto degli equilibri contabili delle regioni, come:
    comma 702. «Nelle more della conclusione, da parte dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), delle procedure di ripiano dell'eventuale sfondamento del tetto della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera per gli anni 2013 e 2014 e al fine di garantire il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, le regioni, in coerenza con quanto disposto dall'articolo 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modificazioni, accertano ed impegnano nel bilancio regionale dell'anno 2015, nella misura del 90 per cento e al netto degli importi eventualmente già contabilizzati, le somme indicate nella tabella di cui all'allegato A alla presente legge a titolo di ripiano per ciascuno degli anni 2013 e 2014. I predetti accertamenti e impegni sono effettuati nel bilancio finanziario dell'anno 2015, entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 13 novembre 2015, n. 179. Conseguentemente, gli enti del Servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 19, comma 2, lettere b) e c), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, iscrivono le predette somme nel proprio conto economico dandone evidenza nel modello CE IV trimestre 2015, di cui al decreto del Ministro della salute 15 giugno 2012, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, nelle voci relative ai codici AA0900 e A 0910»;
   comma 703, «a conclusione delle procedure di ripiano, da parte dell'Aifa, dell'eventuale sfondamento del tetto della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera per gli anni 2013 e 2014, ove si verifichi una differenza tra l'importo che ha formato oggetto di accertamento e di impegno ai sensi del comma 702 e quello risultante dalle determinazioni AIFA, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, conclusive delle predette procedure con riferimento a ciascuno degli anni 2013 e 2014, le regioni procedono alle relative regolazioni contabili, ai sensi di quanto disposto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118»;
   il decreto-legge 24 giugno 2016 n. 113 recante «Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio indica», all'articolo 21, dispone le misure di governo della spesa farmaceutica e di efficientamento dell'azione dell'Agenzia italiana del farmaco. Tra queste, al comma 2 del medesimo articolo, è periodo che:
    «l'Aifa, entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, pubblica sul proprio sito Internet l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015, da parte delle aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione all'immissione in commercio»;
   entro i successivi 15 giorni, le aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione all'immissione in commercio corrispondono provvisoriamente... la quota di ripiano a proprio carico per ciascuno degli anni 2013, 2014 nella misura del 90 per cento e per l'anno 2015 nella misura dell'80 per cento» dell'importo risultante dall'elenco di cui al periodo sopra indicato;
   il Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro della salute, in relazione a quanto disposto dall'articolo 21, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 113, con decreto, dispone che Aifa entro il 10 luglio 2016, comunica, pubblicandolo sul proprio sito internet l'importo provvisorio dovuto, nella misura del 90 per cento del pay-back 203 e 2014 e dell'80 per cento del pay-back 2015, da ciascuna azienda titolare di Autorizzazione di immissione al commercio (AIC) e da ciascun soggetto della filiera distributiva, per ciascuno degli anni 2013, 2015 e 2015 e per ciascuna regione e provincia-autonoma;
   le aziende farmaceutiche titolari di Aic, entro il 25 luglio 2016, secondo quanto disposto dall'articolo 21, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 113 sono tenute a versare all'entrata del bilancio dello Stato l'importo provvisorio dovuto, nella misura del 90 per cento del pay back 203 e 2014 e dell'80 per cento del pay-back 2015;
   in data 14 luglio 2016 sul sito dell'Aifa veniva pubblicato un «avviso alle aziende farmaceutiche» con il seguente contenuto: Governo della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera per gli anni 2013, 2014, 2015 (14 luglio 2016) – (Nota informativa caricamento delle distinte di pagamento):
    «L'Aifa, ai fini dell'attuazione dell'articolo 21, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (di seguito decreto-legge n. 113 del 2016), comunica che, a partire dalle ore 10.00 del giorno 18 luglio 2016, provvederà a rendere disponibili nell'ambito della piattaforma «Ripiano Spesa Farmaceutica decreto-legge n. 113 del 2016», a cui è possibile accedere dall'AIFA/FrontEnd: http://www.agenziafarmaco.gov.it/frontend/, le funzionalità che consentiranno ai titolari di Aic di caricare le distinte di pagamento (in formato pdf) relative agli importi comunicati ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto-legge n. 113 del 2016» –:
   se il Ministro interrogato possa indicare l'elenco contenente gli importi dovuti a titolo di ripiano per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle singole aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione all'immissione in commercio, così come previsto dal comma 2 dell'articolo 21 del decreto 24 giugno 2016, n. 113;
   se possa indicare l'elenco complessivo dei versamenti, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, da parte delle singole aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione all'immissione in commercio, così come previsto dal comma 2 dell'articolo 21 del decreto 24 giugno 2016 n. 113, nonché dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze adottato di concerto con il Ministro della salute, riguardo all'attivazione del fondo di cui al comma 23 dell'articolo 21 del medesimo decreto;
   quali siano le iniziative, per quanto di competenza, che il Governo intenda assumere in caso di mancata coincidenza tra gli importi indicati dall'Aifa e i versamenti effettuati dalle aziende farmaceutiche titolari di autorizzazione all'immissione in commercio, così come previsto dal comma 2 dell'articolo 21 del decreto 24 giugno 2016, n. 113. (5-09410)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è stata raggiunta l'Intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano n. 82 del 10 luglio 2014 concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016 ed in particolare l'articolo 3 «Assistenza Ospedaliera» che conviene sull'adozione del regolamento di definizione degli standard qualitativi, strutturali tecnologici e quantitativi all'assistenza ospedaliera;
   il comma 567 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, prevede come l'accertamento da parte della regione del mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali costituisce per il direttore generale grave inadempimento contrattuale e comporta la decadenza automatica dello stesso;
   il decreto 2 aprile 2015 n. 70, regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera riporta come: «Tutte le strutture sanitarie che concorrono a garantire gli obiettivi assistenziali debbono operare secondo il principio della efficacia, qualità e sicurezza delle cure, dell'efficienza, della centralità del paziente e dell'umanizzazione delle cure, nel rispetto della dignità della persona»;
   lo stesso, in particolare, al paragrafo 9.2 «Rete ospedaliera dell'emergenza» dell'allegato 1, indica come: «La rete ospedaliera dell'emergenza è costituita da strutture di diversa complessità assistenziale che si relazionano secondo il modello hub and spoke... Tali strutture sono in grado di rispondere alle necessità d'intervento secondo livelli di capacità crescenti in base alla loro complessità, alle competenze del personale nonché alle risorse disponibili»;
   il comma 524 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, indica come: Ciascuna regione, entro, il 30 giugno di ciascun anno, individua, con apposito provvedimento della giunta regionale, ovvero del Commissario ad acta... le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura, ad esclusione degli enti di cui al comma 536, che presentano una o entrambe le seguenti condizioni:
    a) uno scostamento tra costi rilevati dal modello di rilevazione del conto economico (CE) consuntivo e ricavi determinati come remunerazione dell'attività, ai sensi dell'articolo 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro. Le modalità di individuazione dei costi e di determinazione dei ricavi sono individuate dal decreto di cui al comma 526;
    b) il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, valutato secondo la metodologia prevista dal decreto di cui al comma 526;
   il comma 541 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che le regioni e le province autonome: « a) ove non abbiano ancora adempiuto a quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, adottano il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale nonché i relativi provvedimenti attuativi. Le regioni sottoposte ai piani di rientro, in coerenza con quanto definito dall'articolo 1, comma 4, del medesimo decreto, adottano i relativi provvedimenti nei tempi e con le modalità definiti nei programmi operativi di prosecuzione dei piani di rientro; b) predispongono un piano concernente il fabbisogno di personale, contenente l'esposizione delle modalità organizzative del personale, tale da garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili, in coerenza con quanto disposto dall'articolo 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161; c) trasmettono entro il 29 febbraio 2016 i provvedimenti di cui alle lettere a) e b) al Tavolo di verifica degli adempimenti e al Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei LEA (...)»;
   il comma 542 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 prevede che le regioni e le province autonome: «Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani di cui al comma 541, lettera b), nel periodo dal 1o gennaio 2016 al 31 luglio 2016, le regioni e le province autonome, previa attuazione delle modalità organizzative del personale al fine di garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro, qualora si evidenzino criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere, in deroga a quanto previsto dall'articolo 9, comma 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, a forme di lavoro flessibile, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese quelle relative al contenimento del costo del personale e in materia di piani di rientro (...)»;
   il Sole 24Sanità del 26 febbraio 2016 in un suo articolo riporta la bozza di decreto recante le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro aziendali e nella tabella di sintesi dell'applicazione della metodologia, di cui al comma 524 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208, risulta come la regione Sicilia abbia complessivamente otto aziende ospedaliere sottoposte a piano di rientro di cui cinque in base ai criteri stabiliti nella lettera a) e tre rispetto alla b);
   il decreto 14 gennaio 2015 dell'assessorato alla salute regione siciliana, con il quale la regione Sicilia approva la riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale;
   il decreto 5 agosto 2015 dell'assessorato alla salute regione siciliana con il quale la regione Sicilia approva le linee di indirizzo per la rideterminazione delle dotazioni organiche delle aziende del servizio sanitario regionale;
   il decreto 29 giugno 2016 dell'assessorato alla salute regione effettua un primo step organizzativo rispetto ai provvedimenti sopra riportati;
   in data 26 luglio 2016 veniva pubblicato sulla rivista Quotidiano Sanità, l'articolo «Sicilia. Ormai la rete dei Pronto soccorso è al collasso» a firma Riccardo Spampinato (Segretario regionale Cimo Sicilia), Pietro Pata (Segretario regionale Anaao Sicilia), Angelo Collodoro (Vice segretario Cino Sicilia), Massimo Geraci (Segretario aziendale Anaao). In particolare si riportano alcuni passaggi quali:
    «il ritardo nel completamento delle procedure di riordino della rete ospedaliera siciliana ed in particolare il ritardo nella stabilizzazione del personale afferente al Pronto Soccorso rischia di mettere in ginocchio tutto il sistema dell'emergenza-urgenza della regione»;
    «la carenza di personale medico ha raggiunto in tutte le aree di emergenza livelli di criticità insostenibili»;
    «il DA 1380 del 5 agosto 2015, che stabilisce i criteri per la determinazione delle dotazioni organiche per i Pronto Soccorso, è puntualmente disatteso...»;
    «il nuovo DA 1188 del 29 giugno 2016, che rappresenterebbe la “fase intermedia del processo di programmazione ai fini dell'adeguamento della rete ospedaliera agli standard del DM 70”, sembra in realtà tutt'altro. Non certo un atto che possa definirsi di allineamento, nemmeno tendenziale, al DM 70, se è vero come è vero che il numero di alcune strutture complesse, già al di sopra degli standard massimi previsti, è stato incrementato, mentre, al contrario, il numero di altre strutture complesse (come le MCAU), già al di sotto degli standard minimi, è stato ulteriormente ridotto»;
   occorrerebbe verificare se siano soddisfatti, per ogni singola azienda sanitaria siciliana, i requisiti posti al comma 567 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014 n. 190 –:
   quali siano gli esiti delle verifiche in merito a quanto previsto dal comma 541 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e se il Ministero, nel corso delle stesse, abbia individuato eventuali situazioni critiche, quali quelle descritte dall'articolo indicato in premessa;
   se sia a conoscenza delle misure attuate dalla regione siciliana in merito al comma 542 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208. (5-09413)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, DI VITA e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 18 agosto 2015, n.134, in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie, all'articolo 3, prevede «l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, con l'inserimento, per quanto attiene ai disturbi dello spettro autistico, delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili»;
   la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni ha escluso l'individuazione dell'autismo tra le psicosi. In particolare, l'ultimo DSM 5 (manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) ha eliminato le sottocategorie diagnostiche dei disturbi pervasivi dello sviluppo e ha unificato tutti i disturbi nella definizione di spettro autistico;
   nel DSM 5, testo redatto da una commissione di esperti nominati dall'associazione americana degli psichiatri che elenca le definizioni dei disturbi mentali che incontrano il consenso degli psichiatri e della comunità scientifica internazionale, il disordine dello spettro autistico viene inquadrato all'interno dei disordini del neurosviluppo con codice 299.00;
   nello schema del decreto di aggiornamento dei, livelli essenziali di assistenza, di prossima approvazione, l'autismo è invece incluso tra le psicosi, contrastando tale classificazione con tutta la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni, e provocando inoltre l'uscita dalla diagnosi di autismo al compimento dei 18 anni;
   nello stesso schema di decreto sono previsti dei pacchetti di interventi per molte singole disabilità, anche intellettive, come ad esempio la sindrome di Down, mancando invece l'intervento cognitivo comportamentale raccomandato dalla linea guida n. 21 dell'Istituto superiore di sanità (II trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti), la gran parte degli interventi specifici previsti dalle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, approvate e anche la Scala VINELAND, che viene richiesta dall'INPS per determinare la necessità dell'indennità di accompagnamento piuttosto che quella di frequenza;
   nel mese di luglio 2016 il Ministro interrogato, rispondendo ad una interrogazione a risposta immediata in Assemblea non ha di fatto spiegato la motivazione che ha spinto il Governo a decidere per questa tipologia di classificazione, che anche secondo gli stessi specialisti è errata –:
   quale sia la motivazione che ha determinato l'inserimento dell'autismo infantile tra le psicosi (codice 044.299.0) nello schema del nuovo decreto di aggiornamento, dei livelli essenziali di assistenza generando di fatto un peggioramento della classificazione della malattia e della relativa tutela dei diritti rispetto alle conquiste già ottenute negli anni;
   se non intenda, prima dell'approvazione definitiva del testo del decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza assumere iniziative per modificare tale classificazione conformandola all'alto parere della comunità scientifica internazionale e non escludendo l'autismo non infantile. (4-14056)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI, FERRARESI, CARINELLI, MANLIO DI STEFANO, ALBERTI, DE ROSA e TRIPIEDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   Formula Imola è una società a capitale misto pubblico-privato avente come scopo la gestione dell'Autodromo «Enzo e Dino Ferrari» di Imola, di proprietà dell'omonimo comune;
   Formula Imola, in particolare, ha per scopo sociale la gestione del compendio immobiliare denominato polo funzionale Autodromo di Imola;
   la società – aggiunge l'articolo 3 dello Statuto – «nel rispetto degli interessi generali e collettivi delle collettività che fanno riferimento al territorio imolese e per il perseguimento delle finalità sociali e sportive ha quale finalità propria l'organizzazione, nell'ambito affidatole, di eventi sportivi in genere, di eventi a carattere motoristico e non motoristico, fieristici, di spettacolo, di intrattenimento»;
   il circuito di Imola ha ospitato il Gran Premio d'Italia di Formula 1 nel 1980, nonché le ventisei edizioni del Gran Premio di San Marino di Formula 1 (dal 1981 al 2006), oltre a molte altre corse motociclistiche e automobilistiche di caratura mondiale (ad esempio le quattro edizioni del Gran Premio Città di Imola del Motomondiale, dal 1996 al 1999, le due edizioni del Gran Premio di San Marino del Motomondiale, nel 1981 e nel 1983, il Gran Premio d'Italia di Superbike);
   come noto, il Campionato Mondiale di Formula 1 costituisce il più importante evento sportivo automobilistico a livello globale e si svolge secondo la disciplina sportiva stabilita dalla Fédération Internationale de l'Automobile («FIA») – organismo internazionale per la regolamentazione di competizioni automobilistiche – nonché dalle varie federazioni sportive automobilistiche nazionali;
   in virtù di appositi accordi stipulati con la FIA, il complesso dei diritti di natura economica per lo svolgimento del campionato di Formula Uno, appartengono, invece, alla titolarità esclusiva delle società del gruppo «Formula One», e in particolare alla Formula One Management Ltd («FOM»), entità di diritto privato con sede in Gran Bretagna, riconducibile alla persona di Bernard Charles Ecclestone;
   tra queste, in particolare, e per quanto d'interesse nella presente vicenda, si segnalano le società Formula One Marketing Ltd. («FOMk») e la Formula One World Championship Ltd. («FOWC»), titolare, quest'ultima dei diritti esclusivi di sfruttamento commerciale del campionato, incluso il diritto di proporne il calendario e di aggiudicare ai promoter (cioè alle singole entità locali/nazionale) il diritto di ospitare, organizzare e promuovere gli eventi di Formula 1 (la stessa denominazione «Gran Premio di Formula Uno»);
   il Gran Premio d'Italia di Formula Uno («Gran Premio d'Italia») è una delle gare classiche del campionato mondiale ed è stato disputato nel corso delle varie edizioni presso l'Autodromo Nazionale di Monza nonché, come accennato, presso il circuito di Imola;
   il circuito di Monza, di proprietà dei comuni di Monza e Milano, è stato affidato in concessione alla Sias (si veda la delibera di giunta del comune di Monza n. 14 del 2008 del 15 gennaio 2008);
   Sias è una società appositamente costituita per tale scopo ed è integralmente partecipata dall'Automobile Club («AC») di Milano (direttamente per il 70 per cento e, per il restante 30 per cento, tramite la Immobiliare AC Milano Spa, società avente per oggetto il compimento di operazioni immobiliari e la gestione di immobili, detenuta al 100 per cento dall'AC Milano);
   la concessione dell'autodromo di Monza avrà durata di 19 anni, con scadenza al 31 dicembre 2026;
   solo per completezza, si segnala che la concessione tra i comuni di Monza e Milano e la Sias è stata impugnata in sede giurisdizionale non solo per «violazione dei principi di evidenza pubblica e di tutela della libera concorrenza che l'affidamento a trattativa diretta avrebbe determinato» ma anche perché le «condizioni economiche dell'affidamento» sono state «reputate svantaggiose per l'amministrazione con riferimento alle disposizioni di contabilità pubblica»;
   da circa cinque anni, tuttavia, le vicende finanziarie e giudiziarie, anche di notevole impatto mediatico, che hanno riguardato Sias e il suo management, hanno di fatto messo a rischio il rinnovo del contratto con FOM per lo svolgimento del Gran Premio d'Italia presso l'Autodromo di Monza anche per il periodo 2017-2021;
   in particolare, nel gennaio 2012 l'allora presidente di Sias denunciò, presso la Procura della Repubblica di Monza le irregolarità nella gestione pregressa della società; denuncia che ha condotto, nel corso del 2013 alla richiesta di rinvio a giudizio di 17 persone e, da ultimo a alcune condanne;
   il bilancio di Sias nel 2014, si è chiuso con perdite per oltre 3 milioni nel 2014 e oltre 1,5 nel 2015;
   l'Aci, costituita nel 1905 come federazione di alcuni AC locali, è oggi un ente pubblico non economico a struttura associativa avente come scopo, fra gli altri, di rappresentare e tutelare gli interessi dell'automobilismo italiano, del quale promuove e favorisce lo sviluppo (articolo 1 dello Statuto Aci);
   l'Aci, inoltre, svolge le funzioni di federazione sportiva nazionale per lo sport automobilistico riconosciuta dalla FIA, nonché componente del CONI, secondo la disciplina prevista dal proprio ordinamento (articolo 2, comma 5 del decreto legislativo n. 15 del 2004). In tal senso per il conseguimento dei propri scopi l'Aci «promuove, incoraggia ed organizza le attività sportive automobilistiche esercitando i poteri sportivi che gli provengono dalla FIA» (articolo 4 dello Statuto Aci);
   per quanto qui rileva, l'Aci, quale federazione sportiva, è l'unico soggetto titolare della denominazione Gran Premio «d'Italia» che, pertanto, in difetto di una sua preventiva autorizzazione, impedisce a chiunque di organizzare un Gran Premio di Formula 1 in Italia con tale titolazione (articolo 22 del Regolamento sportivo nazionale Aci, edizione 2016, secondo cui «La denominazione delle manifestazioni è soggetta al benestare dell'Aci» [...] «La denominazione di Gran Premio può essere autorizzata dall'Aci soltanto per le manifestazioni di rilevante importanza e secondo i criteri seguiti dalla FIA» [...] La denominazione di «Campionato», «Trofeo», «Challenge» o «Coppa» seguita dall'indicazione «Nazionale» o «Italiano» o «Italia» o «Aci» è riservata all'Aci);
   Sias per lo svolgimento del Gran Premio d'Italia, sin dal 2007, al fine di fronteggiare i costi organizzativi dell'evento nonché «per ottemperare ai relativi impegni economici assunti» verso la FOM ha già richiesto all'Aci alcuni contributi finanziari (delibera del Comitato Esecutivo Aci del 1o agosto 2013);
   si tratta, per il periodo 2007-2013 di un contributo, per quanto noto, complessivamente pari ad oltre 2 milioni di euro;
   a seguito delle incertezza sulla gara italiana per le edizioni 2017-2021 del campionato mondiale, stante le citate difficoltà di Sias, Formula Imola, nel perseguimento dei propri scopi sociali e considerata l'importanza del Gran Premio d'Italia sia per il prestigio della tappa italiana, sia per le ricadute positive sull'economia, si è con grande sforzo impegnata per mantenere in Italia lo svolgimento dell'evento presso il circuito di Imola;
   a tal fine, già il 15 giugno 2015, una delegazione della città di Imola, formata dal sindaco pro tempore da rappresentanti del Con.ami, socio pubblico di maggioranza di Formula Imola, nonché da Formula Imola stessa nella persona del suo presidente, ha avviato le trattative con Formula One Management (FOM), nella persona di Bernie Ecclestone, nell'ambito di un primo incontro a Londra;
   tali trattative sono proseguite con grande determinazione in ulteriori incontri nell'aprile e nel maggio del 2016 e sono infine culminate nella trasmissione, da parte di FOM, delle bozze di accordi per la promozione dell'evento e per la regolazione dei relativi diritti commerciali nella prospettiva del suo svolgimento presso l'Autodromo di Imola;
   parallelamente, anche l'Aci, con delibera del consiglio generale del 29 ottobre 2015, ha conferito mandato al presidente al fine di condurre le trattative finalizzate alla conclusione dell'accordo con la FOM per il Gran Premio d'Italia, per un importo massimo di 12,5 milioni di euro per una durata massima di 7 anni, ma con il diverso intento di svolgere l'evento presso l'Autodromo di Monza;
   la regione Lombardia, con la legge di assestamento al bilancio 2016, ha dato attuazione a quelle che prima erano solo dichiarazioni dei presidente Maroni, quanto all'uso di risorse regionali direttamente per il rinnovo del contratto del Gran Premio, riconoscendo all'Aci un contributo di 20 milioni di euro;
   infatti, nel provvedimento di assestamento al bilancio 2016, approvato dal consiglio regionale lombardo, in data 27 luglio 2016, – all'articolo 4 «Disposizioni finanziarie», si prevedono le seguenti disposizioni:
  «In relazione alle disposizioni di cui all'articolo 1 comma 341 della legge n. 208 del 2015 (Legge di stabilità 2016) e nell'ambito della promozione dell'Accordo di programma per la valorizzazione del Parco di Monza, al fine di garantire il rinnovo della concessione per il quadriennio 2017-2020 del Gran Premio d'Italia all'Autodromo di Monza, per gli anni 2017 e 2018, Regione Lombardia riconosce alla federazione sportiva nazionale Automobile Club d'Italia – Aci un contributo in conto esercizio di euro 10.000.000,00 per ciascun anno.
  La Giunta con proprio provvedimento stabilisce termini e modalità per l'erogazione delle risorse e individua i contenuti ai fini della stipula di apposita convenzione con la federazione sportiva nazionale Automobile Club d'Italia – Aci e con Società Incremento Automobilismo e Sport-Sias Spa»;
   Formula Imola il 23 maggio 2016, ha sottoscritto due accordi in relazione al Gran Premio d'Italia per il campionato mondiale 2017-2021 con svolgimento presso l'autodromo di Imola (gli «Accordi con FOM»):
   i) il primo, con FOWC denominato «Race promotion contract», avente ad oggetto il riconoscimento in favore di Formula Imola dei diritti necessari ad ospitare, organizzare e promuovere il Gran Premio d'Italia presso il circuito di Imola stabilendo il relativo corrispettivo;
   ii) il secondo con FOMk denominato «Circuits rights Agreement», comprensivo di un accordo suppletivo («Deed of variation») con cui le parti hanno disciplinato gli ulteriori diritti di sfruttamento economico dell'evento prevedendo l'impegno da parte di FOMk a fornire supporto a Formula Imola (i) sia per far sì che l'organizzazione del Gran Premio d'Italia risulti conforme ai regolamenti sportivi FIA; (ii) sia per ogni alta attività di gestione, pianificazione e logistica, nonché di marketing nazionale e internazionale connessa all'evento;
   gli accordi con FOM tenevano naturalmente conto del fatto che il legislatore, con l'articolo 1, comma 341 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta legge di stabilità per il 2016) aveva nel frattempo autorizzato l'Aci a sostenere le spese dell'evento di cui sopra;
   inoltre gli accordi con FOM sono stati necessariamente subordinati all'approvazione di Aci nella sua qualità di federazione sportiva motoristica nazionale;
   Formula Imola ha immediatamente trasmesso, sempre il 23 maggio 2016, gli Accordi con FOM, sia all'Aci che a FOM;
   ebbene, con il provvedimento, l'Aci, nella persona dei suo presidente, ha ritenuto che «la proposta inviata con comunicazione del 23 maggio .... non possa essere assolutamente accolta da Aci»;
   in particolare, l'Aci ha sostenuto che il «fondamento giuridico» del proprio coinvolgimento nell'organizzazione del Gran Premio d'Italia sarebbe costituito dal comma 341 che, a dire del presidente, avrebbe valorizzato lo «specifico rilievo che lo svolgimento del Gran Premio presso l'autodromo di Monza riveste per il settore sportivo, turistico ed economico nonché per l'immagine del paese in ambito internazionale»;
   sicché, stando al provvedimento, è in forza di tale disposizione che «Aci, Ente Pubblico, nel rispetto delle cogenti indicazione della legge ha in corso una trattativa diretta con FOM onde sottoscrivere il contratto a partire dal 2017»;
   secondo l'Aci, infatti, sarebbe solo «sulla base del concreto e tangibile peso storico che l'organizzazione di tale evento presso l'Autodromo di Monza» che il legislatore avrebbe inteso autorizzare l'Aci, o meglio «la federazione sportiva nazionale – Aci» a sostenere i costi di gestione dell'evento;
   l'Aci, per il tramite del suo presidente, si è quindi attribuita una sorta di diritto di esclusiva a sottoscrivere il contratto con FOM «per lo svolgimento del Gran Premio d'Italia a Monza e affermando di avere in corso una trattativa diretta con FOM, ha quindi rigettato la proposta di Formula Imola;
   con nota del 25 maggio 2016, Formula Imola ha ribadito le ulteriori ragioni, anche sotto il profilo dell'opportunità economica e di finanza pubblica che avrebbero dovuto indurre l'Aci (quantomeno) a valutare la candidatura del circuito di Imola al fine di mantenere in Italia la gara del Gran Premio di Formula 1 alle migliori condizioni possibili. A tale seconda nota, tuttavia, l'Aci, a quanto consta agli interroganti, non ha fornito alcun riscontro;
   l'Aci ha natura di ente pubblico e federazione sportiva nazionale e la legge di stabilità del 2016 la cita in qualità di finanziatore dell'evento sportivo e soggetto terzo rispetto ai gestori degli autodromi;
   le risorse finanziare che il legislatore consente all'Aci di impiegare al fine di finanziare la gara del Gran Premio di Formula 1 hanno natura pubblica –:
   come si concili con principi di par condicio, buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa e con gli obblighi posti dall'articolo 1, comma 341, della legge di stabilità per il 2016, che pone il divieto di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica per lo svolgimento del Gran Premio d'Italia di Formula 1, la condotta di Aci nell'utilizzo e nell'erogazione a soggetti di mercato delle risorse stanziate con il medesimo comma dell'articolo 1 della legge di stabilità, per il 2016;
   come il Ministro interrogato ritenga che l'interpretazione dell'articolo 1, comma 341, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 fornita da Aci, in relazione al coinvolgimento di Sias, si concilii con la normativa europea in materia di aiuti di Stato. (4-14040)


   MIOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 61 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994/97 dirigenza SPTA riguarda la determinazione  e ripartizione del fondo per la retribuzione di risultato dopo il passaggio dalla disciplina pubblicistica a quella privatistica. L'articolo citato attua il predetto passaggio stabilendo che il finanziamento di tale fondo è costituito «nel suo ammontare, dalla somma complessiva dei fondi di produttività sub 1 e sub 2 di cui agli articoli 57 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 – ripartita secondo le quote storiche spettanti a ciascun ruolo – determinata per l'anno 1993 e decurtata della percentuale dell'articolo 8, comma 3 della legge n. 537 del 1993»;
   il successivo contratto collettivo nazionale di lavoro del 12 luglio 2001, di interpretazione autentica del predetto articolo 61 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994/1997, specifica che per «quote storiche spettanti» si intendono le quote per il pagamento delle incentivazioni originariamente determinate ai sensi degli articoli 57 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990, applicati immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato con la decurtazione della percentuale prevista dall'articolo 8, comma 3 della legge n. 537 del 1993;
   in applicazione di tale norma le aziende sanitarie, alla luce anche del predetto contratto collettivo nazionale di lavoro di interpretazione autentica, stipulato il 12 luglio 2001, hanno calcolato il nuovo fondo di risultato in base alle quote storiche spettanti, intendendo, con tue espressione, quelle precedentemente assegnate a ciascun gruppo di personale, così come identificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 con riferimento agli accordi decentrati ed alle clausole ivi previste, vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell'applicazione dell'articolo 61 del contratto collettivo nazionale di lavoro n. 1994/1997, così come specificato nel testo ufficiale, reperibile sul sito dell'ARAN, dello stesso contratto collettivo nazionale di lavoro del 12 luglio 2001 (ultimo capoverso di pagina 3 del contratto);
   il passaggio dal precedente sistema, che prevedeva l'erogazione di quote di compensi incentivanti a fronte della effettuazione di un numero di ore di plus orario individuate con accordi decentrati, al nuovo sistema del fondo di risultato erogato in base al raggiungimento di obiettivi non doveva comportare oneri aggiuntivi diretti o indiretti. Infatti, lo stesso importo che prima poteva essere erogato individualmente o per categorie denominato come «incentivazioni» sarebbe ora stato erogato come retribuzione di risultato al raggiungimento degli obiettivi assegnati senza l'effettuazione del plus orario;
   è per questo motivo che l'ARAN nella propria relazione inviata con nota del 25 giugno 2001 prot. n. 9527 ha attestato l'assenza di aggravi alla spesa pubblica e parimenti la Corte dei conti con propria deliberazione n. 34 del 10 luglio 2001 ha certificato la non imputabilità di oneri aggiuntivi dovuti al contratto collettivo nazionale di lavoro di interpretazione autentica del 12 luglio 2001, purché nel determinare le risorse destinate a costituire il fondo per la retribuzione di risultato, si facesse riferimento al complessivo quadro normativo e contrattuale, comprensivo anche delle clausole contenute negli accordi decentrati a livello aziendale (pagina 5 deliberazione della Corte dei conti);
   nonostante ciò, da alcune sigle sindacali sono stati a suo tempo presentati ricorsi, accolti da alcune sentenze, per ottenere la determinazione del fondo di risultato non sulla base dell'importo complessivo derivante dalle quote storiche spettanti a ciascuna categoria, nella interpretazione sopra precisata, che fa riferimento ai «compensi spettanti sulla base degli accordi decentrati in vigore prima del nuovo fondo di risultato», ma dell'intero importo del precedente fondo, denominato fondo di incentivazione che per i dirigenti sanitari non medici ricorrenti era denominato fondo per la categoria B, equivocando sulla denominazione fondo per le incentivazioni, mentre in tutte le aziende era un fondo teorico di riferimento. Nella realtà, lo spettante a singolo dipendente ovvero alle categorie era determinato con accordi decentrati sulla base delle risorse disponibili in ogni azienda;
   il risultato di tale operazione interpretativa espone le aziende sanitarie che hanno in corso le cause ad un aggravio di spesa, assolutamente ingiustificato, stimabile in milioni di euro per ciascuna azienda a decorrere dalla costituzione del nuovo fondo di risultato, che è normalmente il 1997 ovvero il 1994 in relazione a qualche sentenza;
   infatti, si passerebbe, nella costruzione dei nuovi fondi che partono dal riferimento degli anni 1989-90, da importi quantificabili – ad esempio, per una piccola azienda con un organico medio di 16 dirigenti sanitari – in circa 300-400 milioni di lire, correlati ad un ipotetico plus orario per azienda di 7 ore per ciascun dirigente sanitario, che era il massimo consentito dai contratti nazionali vigenti (decreti del Presidente della Repubblica numeri 270 del 1987 e 384 del 1990) e quindi costituente l'importo più alto prospettabile secondo il vecchio regime, agli importi dell'intero fondo che poteva essere costituito, secondo le diverse realtà aziendali, anche da cifre di oltre 1 miliardo e 500 milioni di lire e più, con la conseguenze che partendo dal 1994 ovvero dal 1997 in relazione alle diverse sentenze dei giudici del lavoro l'onere è facilmente stimabile in decine di milioni di euro per ciascuna azienda;
   al riguardo, si evidenzia che in vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 la ripartizione del fondo di produttività era comunque effettuata sulla base del plus orario assegnato ai singoli dipendenti (plus orario che non potevi superare le 7 ore settimanali). Ciò determinava l'impossibilità giuridica di erogare l'intero importo del fondo stesso, atteso che valore complessivo delle ore di plus orario effettuabili annualmente dai dipendenti era, di norma, di gran lunga inferiore all'ammontare del fondo;
   va detto che il problema si è posto in riferimento a varie aziende ove i dirigenti interessati, assistiti da alcune organizzazioni sindacali, hanno formalizzato anche in giudizio richieste di rideterminazione dei fondi secondo quest'ultima interpretazione estensiva che vuole riferirsi agli importi totali dei precedenti fondi per le incentivazioni e non alle quote storiche spettanti. C’è peraltro il timore che analoghe pretese si estendano anche ad altre aziende presso le quali non si è ancora verificata una situazione conflittuale;
   a livello nazionale, l'eventuale accoglimento di tali richieste determinerebbe un incremento dei costi, considerati gli emolumenti arretrati da corrispondere e gli eventuali interessi legali e rivalutazione monetari, stimati in circa 3 miliardi di euro;
   la giurisprudenza sviluppatasi sulla questione non è univoca. La corte di appello di Venezia con sentenza n. 304 del 2011 si è pronunciata a favore della posizione dei dirigenti ricorrenti mentre la corte di appello di Milano con sentenza n. 305 del 2015 si è pronunciata in senso avverso. Poiché le sentenze di primo grado sono esecutive, i dirigenti che hanno ottenuto pronunce favorevoli possono procedere, ad esecuzione forzata. In tal senso, sta procedendo il tribunale del lavoro di Belluno che ha fatto notificare alla aussl 2 di Feltre l'atto di pignoramento per 4,8 milioni di euro a seguito della causa vinta da 18 dirigenti non medici della medesima Aussl. La notizia è apparsa sui quotidiani locali il 18 giugno 2016 ed ipotizza la possibilità che l'ufficiale giudiziario possa ritirare il fondo cassa delle prestazioni sanitarie ambulatoriali ed ospedaliere per applicare la sentenza che ha visto soccombere l'azienda sanitaria;
   per cercare di evitare che l'incertezza interpretativa possa determinare ulteriori contenziosi onerosi in sé stessi e soprattutto esborsi per effetto di provvedimenti giudiziali di rilevantissima entità, appare necessario un intervento urgente dei competenti Ministeri –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere per affrontare e risolvere la situazione descritta, suscettibile di determinare un aumento della spesa delle aziende sanitarie per svariati milioni di euro connessi alla erogazione di compensi incentivanti retroattivi. (4-14049)


   SORIAL. —Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato da Bankitalia di recente e riportato da diverse fonti di stampa, nella busta paga di 48 mila dirigenti pubblici ogni anno confluirebbero 800 milioni di premi, senza o quasi che vi sia alcuna giustificazione reale, ma con la sola motivazione dell'anzianità, visto che per ogni anno di età la gratifica si alza del 6 per cento;
   lo studio, a cura di due economiste della Banca d'Italia, Roberta Occhilupo e Lucia Rizzica, esamina le cosiddette pagelle dei dirigenti pubblici, e relative conseguenze in busta paga, prendendo a campione 2.159 dirigenti ministeriali, e sottolinea come «in media la retribuzione di risultato è pari a circa il 9 per cento della retribuzione totale per i dirigenti di prima fascia e al 12 per cento per quelli di seconda»;
   il «sostanziale appiattimento dei premi erogati, il cui ammontare risulta influenzato solamente dall'età» sarebbe tale che non conti nemmeno il titolo di studio, né altre competenze, considerato che «Il possesso di un titolo di studio post-laurea, la conoscenza delle lingue straniere, le esperienze lavorative pregresse, invece, non incidono sulla retribuzione di risultato. Neanche le competenze tecniche del dirigente sembrano avere un peso: i dirigenti che ricoprono cariche nei settori affini a quello di laurea ricevono una retribuzione di risultato pari a quella degli altri»;
   i premi verrebbero dati quasi nella stessa misura a tutti i manager: al Ministero dell'economia e delle finanze tutti i dirigenti di seconda fascia ricevono 6.900 euro, mentre al Ministero della salute 11 «manager» di prima fascia su 12 prendono 32 mila euro;
   le conclusioni della ricerca riferiscono di «inefficacia dell'attuale sistema di valutazione», additando tra le cause dell'insuccesso «regole rigide e farraginose che si applicano in modo indifferenziato», indipendentemente dal tipo di amministrazione, «una carente programmazione degli obiettivi strategici» e «l'insufficiente autonomia gestionale e organizzativa riconosciuta ai dirigenti»;
   di recente il Governo ha annunciato che il problema dei premi ingiustificati finirà: «La prima cosa che faremo – spiegano dal Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione – è indicare obiettivi chiari ai dirigenti. Si chiameranno “obiettivi della Repubblica”.» Chi fallisce vedrà cancellato il suo premio. E in casi gravi rischierà il posto», ma per ora si tratta di parole, mentre, nel frattempo, il Governo presenta come sua creatura gli «organismi indipendenti di valutazione», oiv, una serie di giurie chiamate in ciascuna amministrazione a dare le pagelle, ma questi in realtà esistevano già, essendo stati ideati dall'ex ministro Brunetta;
   inoltre, mentre il Governo proclama che l'autonomia dei componenti degli oiv sarà garantita perché faranno parte di un albo nazionale, allo stesso tempo, come indicato dal recente regolamento, sembra che questi saranno scelti dalle singole amministrazioni che hanno potere di nomina, sia pure all'interno dell'albo nazionale, e quindi sembra all'interrogante che i controllati sceglieranno i controllori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia il loro orientamento in merito e se non intendano attivarsi al più presto, per quanto di competenza, affinché questi sistemi di valutazione, a giudizio dell'interrogante, palesemente inadatti e tali da sprecare ingenti risorse, vengano modificati e aggiornati secondo un principio di reale meritocrazia e affinché la tanto proclamata autonomia dei componenti degli oiv sia davvero garantita, facendo in modo che non siano più i controllati a selezionare controllori. (4-14058)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO, CIRACÌ e CHIARELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane s.p.a. è una delle più grandi aziende di servizi postali, finanziari, assicurativi e telefonia mobile in Italia. È una società per azioni il cui capitale sociale è attualmente posseduto per il 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   Poste Italiane s.p.a. è il fornitore del servizio postale universale in Italia e adempie l'obbligo di servizio universale a norma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE2, e del decreto 17 aprile 2000 del Ministero delle comunicazioni che conferma la concessione del servizio postale universale a Poste Italiane;
   Poste Italiane garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato fino al 2026 e si impegna raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il piano strategico industriale 2015-2020, presentato dell'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio, prevede la riorganizzare del servizio sull'intero territorio nazionale in base alla effettiva domanda dei cittadini. In particolare, sono previsti un totale di 1064 interventi, 455 sportelli postali da chiudere, i più piccoli, e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici e che la posta venga consegnata a giorni alterni nel 25 per cento del territorio nazionale con ritocchi sulle tariffe;
   Poste Italiane ha chiuso il primo semestre 2016 con un utile netto di 565 milioni di euro, in aumento del 29,9 per cento rispetto ai 435 milioni di euro dello scorso anno e con ricavi totali del gruppo che hanno segnato una crescita del 10,9 per cento attestandosi a 17,7 miliardi di euro;
   in questi giorni sono in atto azioni di protesta da parte dei lavoratori degli uffici postali sia per le decisioni che il Governo ha assunto sulla prosecuzione del processo di privatizzazione del gruppo con il conferimento del 35 per cento delle azioni a Cassa depositi e prestiti e sia per l'applicazione del nuovo modello organizzativo del recapito e l'azione di ristrutturazione che stanno producendo un profondo mutamento della funzionalità del servizio;
   Poste Italiane spa ha previsto un piano di conversione dei contratti relativi agli sportellisti dei propri uffici da part-time a full-time per il 2015 per un totale di 480 conversioni con decorrenza rispettivamente dal primo di luglio 2015 e da settembre 2015 e per la regione Puglia sono state previste conversioni per un numero di 66 unità;
   alcune regioni italiane hanno più volte sollecitato l'azienda Poste Italiane a rendere più strutturato l'organico degli uffici ed, in particolare, degli addetti agli sportelli e nel piano di conversione del 2015 si nota poco equilibrio tra numero di conversioni ed ambiti territoriali;
   la riorganizzazione del servizio di recapito già avviata nel 60 per cento del territorio nazionale sta generando numerosi disservizi nella consegna della posta a danno degli utenti e si apprende che sia il servizio di recapito e sia quello di sportello soffrono di una carenza cronica di personale;
   si apprende da fonti sindacali che sono in atto numerose trasformazioni di rapporti di lavoro da part-time in full-time senza nessuna intesa e nessuna consultazione delle rappresentanze di settore. Con una nota del 23 luglio 2016 le organizzazioni sindacali di settore lamentano la mancanza di informazione sui territori dell'area Sud 1 (Basilicata, Molise e Puglia) che sono interessati dalle trasformazioni oltre che dei criteri da adottare sui territori per l'individuazione delle risorse part-time coinvolte;
   Poste Italiane avrebbe comunicato che le trasformazioni riguarderebbero i soli lavoratori assegnati al mercato privati e le province interessate saranno quella di Bari e quelle di Bari Andria e Trani, con 16 unità coinvolte, Brindisi con 8 unità e Lecce con 9 unità lasciando inspiegabili deficit su Taranto e Foggia;
   la nuova procedura gestionale, secondo i sindacati, presenterebbe gravi aspetti di arbitrarietà e discriminazione, creando un principio di disparità di trattamento tra lavoratori appartenenti allo stesso contingente ma che a distanza di pochi mesi subiranno trattamenti valutativi e di selezione assolutamente differenti interessando solo una parte del territorio pugliese;
   ad oggi in Italia risultano circa 11.000 lavoratori precari che attendono la trasformazione del contratto da part-time in full-time e sarebbe auspicabile avviare interventi atti alla valorizzazione delle risorse impiegate attraverso l'avvio di processi di politica attiva del lavoro per garantire un servizio universale postale efficace –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di verificare che la ristrutturazione in atto del gruppo Poste Italiane non metta a rischio posti di lavoro e il servizio di recapito postale e di sportello;
   se non si ritenga di promuovere un tavolo di confronto tra Poste Italiane e le altri parti interessate sui temi di una congrua dotazione di personale in tutti gli uffici e dell'erogazione di un servizio, di consegna e di sportello, tempestivo ed efficiente;
   se il Governo non reputi necessario attivarsi presso Poste italiane affinché siano mantenuti i livelli occupazionali e vi sia pieno rispetto degli accordi intrapresi con le organizzazioni sindacali in tema di personale dislocato presso ciascun ufficio e di investimenti da realizzare per promuovere l'ammodernamento e la diversificazione del servizio;
   se si intendano acquisire elementi in ordine ai criteri con i quali siano avvenute le scelte e la ripartizione delle conversioni da part-time a full-time per gli sportellisti nelle diverse regioni. (3-02461)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PIRAS, NICCHI, PLACIDO, MELILLA, QUARANTA, SANNICANDRO, PANNARALE, KRONBICHLER e DURANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Cagliari ha condotto una operazione in 70 province italiane giungendo al maxi sequestro di oltre otto quintali di pesce in scatolette di tonno rosso. Anche Fermo, con la sua costa, è finita al centro del sequestro con cinque persone indagate per frode in commercio e contraffazione di indicazioni geografiche;
   il titolo del blitz « Fine Tuning» è arrivato dopo mesi di indagini partite da un sequestro di 14,2 tonnellate di tonno rosso, stoccato in 35 mila confezioni pronte per essere immesse sul mercato;
   le scatolette erano irregolari, visto che sulle etichette venivano fornite indicazioni sulla provenienza del tonno e sulle caratteristiche organolettiche non conformi. Sulle confezioni veniva indicato «tonno pescato e lavorato seguendo le antiche tradizioni delle tonnare della Sardegna»;
   i finanzieri ha o però accertato che il to o, di ottima qualità, veniva pescato in altre aree del Mediterraneo;
   in questo modo le scatolette venivano vendute a prezzi più alti rispetto a quelli di mercato;
   dal sequestro l'indagine è proseguita per scoprire i rivenditori al dettaglio riscontrando irregolarità nelle Marche, oltre a Fermo anche ad Ancona e Pesaro;
   complessivamente sono stati sequestrati 821 chilogrammi di tonno in 2.465 confezioni. È stata accertata anche l'immissione fraudolenta in commercio con le indicazioni sbagliate per oltre 61.700 chilogrammi. «Sia chiaro – precisa la Finanza – il ritiro dal mercato del tonno, che non è nocive per la salute del consumatore è stato effettuato per evitare che quest'ultimo sia erroneamente convinto di acquistare un prodotto di nicchia» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   come il Governo interrogato intenda tutelare l'industria alimentare, il rispetto delle etichettature e la tracciabilità dei prodotti alimentari. (5-09401)


   MISIANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, commi da 13 a 19, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001), ha introdotto un sistema di detassazione ambientale denominata «Tremonti ambiente», che, fino al 26 giugno 2012, consentiva di detrarre dalla base imponibile del reddito di impresa (per imprese di piccola e media dimensione in regime di contabilità ordinaria) gli oneri per interventi eco-compatibili;
   in particolare, con la predetta norma, veniva consentita alle società, la possibilità di operare una variazione in diminuzione, in sede di dichiarazione dei redditi, per un importo pari al sovracosto dell'investimento realizzato, con un risparmio di imposta pari, mediamente, per i soggetti passivi IRES, al 27,5 per cento;
    il predetto strumento è stato utilizzato da svariate imprese, che hanno realizzato interventi di efficientamento energetico, anche mediante installazione di impianti fotovoltaico, che, come noto, beneficiano di un sistema di tariffazione incentivata;
   in particolare, l'articolo 9 del decreto ministeriale 19 febbraio 2007, rubricato «Condizioni per la cumulabilità degli incentivi», espressamente prevede che «Le tariffe incentivanti di cui all'articolo 6 e il premio di cui all'articolo 7 non sono applicabili all'elettricità prodotta da impianti fotovoltaici per la cui realizzazione sino o siano stati concessi incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale e/o in conto interessi con capitalizzazione anticipata, eccedenti il 20 per cento del costo dell'investimento»;
   in ordine alla cumulabilità, o meno, tra tariffe incentivanti e cosiddetto «Tremonti ambiente» è sorto un diffuso dibattito tra gli operatori del settore, che vede coinvolti anche gli studiosi della materia, non trovando una illuminata lettura e interpretazione del dettato normativo che potesse, al tempo, fare certa chiarezza perché diretta esplicitazione della volontà del legislatore;
    in data 18 novembre 2011 Assonime, al fine di tentare di giungere ad una soluzione problematica, ha espresso, con proprio approfondimento n. 8 del 2011, un parere secondo il quale il cumulo tra tariffe incentivanti e cosiddetto Tremonti ambiente dovesse ritenersi legittimo ed ammissibile sia per le tariffe di cui al cosiddetto il conto energia, che per le tariffe di cui al cosiddetto III e IV conto energia;
   solo con il decreto ministeriale 5 luglio 2012, il legislatore ha definitivamente chiarito, all'articolo 19, che «l'articolo 9, comma 1, primo periodo, del decreto 19 febbraio 2007 del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si intende nel senso che il limite di cumulabilità ivi previsto si applica anche alla detassazione per investimenti di cui all'articolo 6, commi da 13 a 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388», così palesando l'ammissibilità del cumulo, tra detassazione ambientale e tariffe incentivanti, senza, in effetti, specificare a quale conto energia il cumulo faccia riferimento;
   a mezzo di tale disposizione, è stato chiarito, che la «Tremonti ambiente» è assimilabile agli incentivi pubblici, previsti dal decreto ministeriale 19 febbraio 2007;
   con l'articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012 (cosiddetto decreto Crescita), entrato in vigore in data 26 giugno 2012 (quindi prima dell'entrata in vigore del cosiddetto V conto energia, vigente dal 27 agosto 2012), è stata abrogata la «Tremonti ambiente»;
   alla fine del 2012, il Ministero dello sviluppo economico, con propria nota, ha formulato un parere in merito ad una richiesta di chiarimento, allo stesso pervenuta con riferimento alla possibilità di cumulare la tariffa incentivante del conto energia con la detassazione ambientale, rilevando che le (sole) tariffe del II conto energia sarebbero cumulabili nei limiti del 20 per cento del costo dell'investimento, mentre, sempre a dire del Ministero dello sviluppo economico, le tariffe di cui al III e IV conto energia non sarebbero cumulabili con la detassazione;
   tale presa di posizione contrasta con il disposto del decreto ministeriale 5 luglio 2012, il cui articolo 19 non fa specifico riferimento ad alcun conto energia, limitandosi a rendere applicabili, appunto, anche alla cosiddetta «Tremonti ambiente», i limiti di cumulo previsti dal decreto ministeriale 19 febbraio 2007, che viene richiamato, peraltro, da tutti i successivi decreti ministeriali, eccezion fatta per il cosiddetto V conto energia;
   secondo il chiarimento fornito dal Ministero, peraltro, la decorrenza della cumulabilità, ha effetto solo dal 1o gennaio 2013, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 24 e 26 del decreto legislativo n. 28 del 2011, con la conseguenza che, essendo intervenuta, medio tempore, l'abrogazione della cosiddetta «Tremonti ambiente» l'orientamento fornito dal Ministero appare non del tutto coerente;
   allo stato, la situazione sopra rappresentata sta ingenerando notevoli dubbi in capo agli operatori privati interessati, che, in alcuni casi, pur avendo applicato la detassazione ambientale, sono costretti a non fruirne dal punto di vista sostanziale, e, sotto altro profilo, possono essere assoggettati a procedimenti di verifica da parte del G.S.E. — Gestore dei servizi energetici spa, che possono anche sfociare, nell'incertezza vigente in materia, in provvedimenti di decadenza totale dalle tariffe incentivanti, con evidente e notevole nocumento economico a carico degli stessi operatori –:
   alla luce di quanto sopra riepilogato, se sia intenzione del Governo assumere iniziative per dettare una specifica disciplina in merito al cumulo tra tariffe incentivanti e cosiddetto «Tremonti ambiente» che attenga non solo al I e II conto energia, ma anche ai successivi III e IV conto energia, che scontano un sostanziale vuoto normativo e che, in quanto emanati nella vigenza della detassazione ambientale in parola, si ritiene debbano avere medesimo trattamento rispetto ai precedenti conti energia. (5-09403)


   MOGNATO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Pilkington Italia s.p.a. di Porto Marghera insediamento storico della prima zona industriale, già Vetrocoke poi appartenente al gruppo Efim e SIV, quindi venduto a Pilkington (multinazionale inglese) ed è ora di proprietà della giapponese NSG;
   da sempre è considerato un sito di eccellenza per la produzione di vetro di base per l'edilizia, settore questo purtroppo segnato pesantemente da uno stato di crisi;
   dal 2012 il gruppo NSG ha più volte ribadito le difficoltà esistenti per il ciclo a caldo, pur confermando di voler continuare le attività di seconde lavorazioni e di vendite a clienti nel sito di Porto Marghera;
   nonostante gli sforzi fatti dall'azienda per il rilancio del sito produttivo, in questi giorni è stato sottoscritto con le organizzazioni sindacali e la rappresentanza sindacale unitaria, un nuovo contratto di solidarietà difensivo fino al 30 settembre 2017 che interesserà 132 lavoratori tra quadri/impiegati e operai al fine di salvaguardare i livelli occupazionali;
   secondo il rapporto sul mercato italiano dell'involucro edilizio nel 2015 e le previsioni per il 2016, a cura dell'ufficio studi economici UNICMI (Unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche dell'involucro e dei serramenti), si ipotizza una moderata ripresa degli investimenti nelle costruzioni residenziali e una lieve ripresa sugli investimenti in costruzioni e ammodernamenti destinati al terziario e alle attività commerciali prevedendo per il 2016 una ripresa del mercato con tassi di crescita della domanda nell'ordine del 2 per cento – 3 per cento;
    sono annunciati investimenti importanti nel settore vetraio di base a livello europeo e nazionale, come quello di 25 milioni di euro all'AGC Glass di Cuneo che prevede, tra l'altro, il progetto di riparazione a freddo della linea float e la costruzione di una centrale di cogenerazione del valore di circa 50 milioni per produrre elettricità e acqua calda per il riscaldamento;
   alla Sangalli Vetro Porto Nogaro spa è interessata la Sisecam, società turca che ha offerto 90 milioni di euro rispetto ai 54,5 milioni di euro dell'americana Guardian;
   alla Sangalli Vetro di Manfredonia sembra esserci un'attenzione per l'acquisto da parte di un'imprenditore greco –:
   in questo quadro di possibili nuovi scenari imprenditoriali, quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per sostenere il prosieguo dell'attività al fine di garantire anche allo stabilimento Pilkington di Porto Marghera un futuro produttivo e di evitare scelte industriali tese a privilegiare solo altri siti all'estero, scongiurando così nel futuro la perdita di posti di lavoro. (5-09405)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   è necessario che Poste Italiane ridiscuta con il Governo il suo piano di tagli dei servizi, chiusure di uffici e distribuzione a giorni alterni;
   la consegna della posta a giorni alterni, solamente da aprile 2016 interessa già più di mille comuni, comportando innumerevoli disservizi soprattutto alle cosiddette «aree montane»;
   il nuovo piano di distribuzione della corrispondenza e dei quotidiani a giorni alterni coinvolge 5.200 comuni italiani;
   è inaccettabile che Poste Italiane possa continuare a ridurre i servizi in alcune aree del Paese, che ritiene essere poco remunerative;
   molti dei territori interessati sono importantissimi per la raccolta del risparmio postale, contribuendo in maniera decisiva alla gamma di prodotti offerti da BancoPosta;
   anche a causa dell'alternarsi delle festività, accade che, in una settimana, i giorni in cui la corrispondenza viene recapitata si riducano a tre o nella peggiore delle ipotesi a due soli giorni;
   a causa dei molteplici ritardi nella consegna della corrispondenza, in moltissimi comuni dell'Emilia-Romagna, si sono verificati numerosi disagi legati soprattutto al pagamento delle bollette di luce e gas;
   a causa di ritardi nel pagamento delle utenze luce e gas a molti cittadini è stato sospeso il servizio;
   gli stessi portalettere ha o palesato numerose lamentele dovute alle condizioni di lavoro, trovandosi costantemente a dover consegnare il doppio della corrispondenza rispetto al periodo antecedente al taglio di risorse a Poste Italiane;
   notevoli disagi si registrano anche a causa della riduzione degli orari e dei giorni di apertura degli uffici, con conseguenze sulla vita quotidiana di tutti quei cittadini che vivono sulle montagne della zona appenninica e sono costretti a scendere in paese per espletare le loro commissioni;
   sono state convocate numerose manifestazioni e predisposte molteplici raccolte di firme per ovviare a questa dannosa problematica;
   la logica consegue a di questo taglio dei servizi non fa altro che causare file chilometriche agli sportelli nei rari giorni di apertura, lettere recapitate con infinito ritardo e bollette con costi maggiorati a causa dei ritardi nei pagamenti –:
   se il Governo intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, per ridiscutere urgentemente il piano di tagli dei servizi di Poste Italiane, affinché venga ripristinato un servizio consono alle reali esigenze dei cittadini nel rispetto delle condizioni generali per l'espletamento del servizio universale. (4-14051)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cenni e altri n. 5-09316, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luciano Agostini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato e altri n. 5-09380, pubblicata nell'allegato B i resoconti della seduta del 3 agosto 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tino Iannuzzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Benedetti n. 1-01330, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 662 del 26 luglio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'inquinamento da plastica in ambiente marino è un problema di dimensioni importanti: le ultime stime parlano di 5 trilioni di pezzi di plastica presenti negli oceani, con 269000 tonnellate di plastica galleggiante in superficie, mentre nei fondali si stima la presenza di 4 miliardi di pezzi per chilometro quadrato. Della plastica che finisce negli oceani il 90 per cento è costituita da microplastiche, ossia frammenti di dimensioni inferiori ai 5mm, derivanti sia dalla frammentazione di rifiuti di plastica di dimensioni maggiori, sia dalla presenza di microperle/microgranuli/microfibre negli scarichi a mare;
    in particolare, come rilevato dal programma Mediterranean Endangered (2011) per il Mediterraneo, le microplastiche costituiscono il principale responsabile della contaminazione di questo mare semichiuso e già fortemente antropizzato: si sta parlando di un volume stimato tra le 1000 e 3000 tonnellate solo di plastiche galleggianti, senza considerare quelle sommerse;
    non essendo biodegradabili a breve termine, microgranuli e microfibre sono inquinanti e pericolosi per la fauna marina, che spesso li assume tramite l'alimentazione. Sono ampiamente documentati dalla bibliografia scientifica gli impatti di queste microplastiche sugli stock ittici, con lesioni interne e problemi di crescita degli organismi che le hanno ingerite. Inoltre è documentato, data la natura idrofobica degli inquinanti organici persistenti (POP persistent organic pollutants, tra i quali sono famosi i PCB o il DDT) presenti nell'ambiente marino, che essi vengano assorbiti dalle microplastiche. Queste a loro volta li veicolano, una volta ingerite, agli organismi marini, causando problemi alla fertilità e al sistema immunitario degli stessi;
    microperle e microgranuli plastici possono essere usati come materie prime o ingredienti dalle industria della cosmesi. Il Regolamento (CE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici prevede nella composizione degli stessi anche l'uso di microperle e microgranuli ad uso esfoliante per la cute. Microperle e microgranuli sono, in alcuni casi, prodotti in polietilene (-C2H4-)n.  Questo polimero non è biodegradabile. Per quanto riguarda le dimensioni, sono spesso usate in dimensioni che possono variare dai 50 μm ai 5 mm;
    per quanto concerne i microgranuli, Paesi come USA e Australia, ma anche Olanda, nonché diverse aziende multinazionali hanno intrapreso campagne per eliminare queste composizioni dai prodotti, cosmetici e non, comunemente in uso. In particolare, negli USA il 28 dicembre 2015 è diventato legge il Microbead-Free Waters Act of 2015. Per quanto concerne l'Unione europea in materia di microgranuli il riferimento è appunto il Regolamento (CE) 1123/2009 che tuttavia contiene informazioni inadeguate sul profilo di rischio di questi materiali, non considerando la loro dannosità a livello ambientale;
    le microplastiche sono definite dalla comunità scientifica internazionale come particelle di polimeri sintetici con un diametro inferiore ai 5 mm. Tale definizione include le particelle nanoplastiche (con dimensione delle ordine dei nanometri) che possono derivare dalla nanotecnologia oppure dalla degradazione delle microplastiche dovuta alla permanenza in ambiente;
    resta aperto il fronte delle microfibre, la cui presenza nelle acque marine è anche, essa documentata a livello scientifico. In un campione di acqua marina si possono trovare microfibre di poliestere, nylon, acrilico e altre fibre sintetiche, principalmente della dimensione di 1 mm. La loro principale provenienza è dai tessuti sintetici dei vestiti che abitualmente vengono lavati: un singolo capo di abbigliamento può perdere in un lavaggio fino a 1900 fibre, fibre per le quali non sono previsti filtri nelle lavatrici;
    le microplastiche sono un parametro importante nella direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino 2008/56/CE; uno degli obiettivi di tale direttiva è che gli Stati membri prendano provvedimenti per raggiungere o mantenere un buono stato ecologico dell'ambiente marino entro il 2020. Uno degli undici descrittori qualitativi per la determinazione di un buono stato ecologico, nell'allegato è il punto 10). Le proprietà e le quantità di rifiuti marini non provocano danni all'ambiente costiero e marino: tale definizione, include le microparticelle, in particolare le microplastiche. Tuttavia, gli indicatori per il descrittore qualitativo 10) devono essere ulteriormente sviluppati e usati nelle valutazioni effettuate dagli Stati membri,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della normativa vigente sull'uso delle plastiche in Italia e per quanto consentito presso le competenti sedi europee, la dismissione della produzione e dell'uso di plastiche biopersistenti e l'incentivo all'uso di plastiche biodegradabili e compostabili secondo lo standard Uni-En13432;
   ad assumere iniziative per ridurre progressivamente l'uso di microgranuli e microperle in tutti i contesti dove, a seguito del loro utilizzo, finiscano dispersi nell'ambiente marino, fino a giungere al definitivo divieto;
   a promuovere, con il coinvolgimento del mondo dell'industria, incluse le imprese tessili e le compagnie di abbigliamento, la ricerca di tessuti sintetici costituiti da fibre biocompatibili e biodegradabili e, ove non fosse possibile, a promuovere l'uso di fibre riciclate o che contengano la minima quantità possibile di microfibre non biodegradabili;
   ad intraprendere una campagna d'informazione sui danni ambientali e per la salute di suddetti micro-granuli, contestualmente promuovendo l'uso di materiali sostenibili (ad esempio, plastiche biodegradabili anche in forma micrometrica, purché biodegradabili) segnatamente nel settore dell'abbigliamento e della cosmesi, così come in quei settori industriali che tipicamente producono una ingente quantità di questi rifiuti (ad esempio, industria di imballaggio, costruzioni, automotive ed, infine, pesca e cosmesi);
   a promuovere, presso le competenti sedi comunitarie, iniziative finalizzate:
    a) allo sviluppo, nell'ambito della decisione della Commissione del 1o settembre 2010 sui criteri e gli standard metodologici relativi al buono stato ecologico delle acque marine, dell'indicatore 10) relativamente al criterio 10.1.3 – Tendenze nella quantità, nella distribuzione e, se possibile, nella composizione di microparticelle (in particolare microplastiche) – per l'aspetto relativo agli impatti biologici e alla loro tossicità potenziale;
    b) all'ammodernamento dell'impianto di filtraggio delle lavabiancheria, anche sollecitando l'inserimento delle microfibre nelle sostanze oggetto della direttiva 2011/65/UE, comunemente conosciuta come RoHS Restriction of Hazardous Substances Directive;
    c) alla revisione dell'utilizzo di nanomateriali in ogni prodotto cosmetico, assicurando un livello elevato di protezione dell'ambiente e della salute umana, anche alla luce dell'articolo 16, paragrafo 11, del regolamento (CE) 1223/2009.
(1-01330)
«Benedetti, Basilio, Massimiliano Bernini, Cozzolino, Daga, Gagnarli, Lupo, Parentela, Sarti, Spessotto, Terzoni».