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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 2 agosto 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'intensificarsi degli attacchi terroristici da parte di gruppi di matrice islamica o da parte di singoli soggetti variamente ispirati dall'ideale jihadista costringe l'Italia e l'Europa a confrontarsi con le complessità di uno scenario internazionale che vede numerosi punti caldi e testimonia al contempo l'incapacità della comunità internazionale di risolvere i conflitti in atto attraverso processi di pacificazione politica;
    a sud dell'Europa sono nate forze regionali di grandissima influenza, oltre che di grandissima capacità finanziaria, che stanno indebolendo il ruolo europeo nello scenario internazionale;
    un ulteriore fattore di debolezza del «vecchio continente» è certamente da rinvenire nel fatto che la politica estera comune dell'Unione fatica a trovare visioni e posizioni condivise rispetto non solo alle modalità degli interventi ma anche rispetto alle priorità politiche;
    un esempio emblematico di questo è rappresentato dall'enorme flusso di denaro stanziato dall'Unione europea in favore della Turchia per congelare la rotta balcanica, frutto della prioritarizzazione solo di alcune Nazioni dell'Unione e che suscita enormi perplessità ora che il Presidente turco sta avviandosi di fatto a una gestione autoritaria del proprio potere;
    il fallito «golpe», infatti, è stato solo un utile pretesto per una ulteriore stretta rispetto ai diritti umani e una vastissima campagna poliziesca che ha portato in carcere quasi diecimila persone, sta dando luogo alla chiusura di università e giornali e all'intimidazione di tutti i rappresentanti dei maggiori poteri istituzionali quali la magistratura e le forze di difesa, i quali a migliaia stanno subendo arresti e limitazioni di ogni genere all'esercizio dei loro diritti e della loro libertà di pensiero e personale;
    la reintroduzione della pena di morte è solo l'esempio più clamoroso dell'attuale distanza tra la Turchia del Presidente Erdogan e i princìpi e diritti fondamentali sui quali poggia l'Unione europea, alla quale deve necessariamente fare seguito un atteggiamento di intransigenza da parte dell'Europa, anche e soprattutto con riferimento al processo di adesione all'Unione europea che la Turchia afferma di voler continuare a perseguire;
    la Turchia, inoltre, intrattiene una politica estera assai ambigua rispetto al fondamentalismo islamico e ai Paesi che lo sostengono e finanziano, nel cui quadro si colloca la sua collaborazione con l'Arabia saudita nel sostegno alla variegata opposizione siriana, e che appare, anch'essa, del tutto incompatibile con la lotta che l'Europa deve condurre contro simili organizzazioni;
    all'interno dell'Unione europea, con la decisione della Gran Bretagna di non farne più parte, stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza segni di scontento e disaffezione che potrebbero dare l'avvio a un processo di sgretolamento dell'intero progetto europeo se non si interviene con tempestività e chiarezza al fine di rilanciare l'Unione e le sue istituzioni e avviare un percorso che conduca a una loro maggiore democratizzazione;
    occorre riscrivere i Trattati istitutivi e tutti quelli di maggiore rilevanza, garantendo attraverso di essi il pieno rispetto dei fondamenti della democrazia, il primato dei popoli sulle esigenze finanziarie, il rispetto e la tutela delle capacità economiche e produttive delle singole Nazioni e la gestione unitaria di servizi strategici come l'energia o la difesa;
    l'attuale assetto e l'attuale gestione dell'Unione europea, che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'hanno resa schiava della tecnocrazia, vittima dello strapotere delle banche e delle lobby dei poteri forti, e l'hanno sottomessa al primato della finanza sulla politica e al gigantismo della Germania, segnano una distanza eclatante rispetto agli ideali dei padri fondatori, che sognavano un'unificazione politica e sociale del continente europeo che potesse scongiurare future guerre e cementare una comunione di ideali tra i suoi abitanti;
    gli errori commessi dalla comunità internazionale nell'approccio ai movimenti di rivolta popolare che hanno interessato il Medio Oriente e il Nord Africa a partire dalla fine del 2010, diventati noti come la «Primavera araba», hanno prodotto conseguenze devastanti sull'assetto di quell'area e hanno dato l'avvio a una situazione di instabilità, dalla quale alcuni di quegli Stati non sono ancora riusciti a uscire;
    mentre, infatti, in Tunisia c’è una seppur difficile transizione verso la democrazia, e in Egitto i militari si sono ripresi il potere dopo una breve parentesi di governo dei Fratelli Musulmani, in Libia, Yemen e Siria infuria la guerra;
    in Libia, nonostante l'accordo firmato nel dicembre 2015 in Marocco dai rappresentanti del Congresso di Tripoli e della Camera di Tobruk al fine della formazione di un governo di accordo nazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite, e i progressi in atto nella lotta contro l'Isis, la situazione rimane critica;
    la Libia è una nazione di importanza strategica per il Mediterraneo e l'Italia deve svolgere un ruolo prioritario nella sua pacificazione, unica via per controllare i flussi migratori che dalle coste libiche si riversano sul territorio nazionale;
    l'inadeguatezza dimostrata sinora dai Governi italiani in ordine alla problematica dell'immigrazione irregolare impone un tempestivo cambio di rotta e una più concreta e decisa presa di posizione nell'ambito dell'Unione, per ora solo interessata a controllare i flussi in entrata nelle altre Nazioni europee;
    in Siria, dove a partire dal 2011 la guerra ha causato circa 280 mila morti e milioni di profughi e di sfollati, continua a essere sistematicamente violato da tutte le parti in conflitto l'accordo per il cessate il fuoco faticosamente raggiunto nell'ambito dei colloqui di Ginevra dello scorso mese di marzo;
    alla già drammatica situazione delle popolazioni si aggiunge il peso delle sanzioni introdotte nel 2011 e che rendono impossibile qualunque trasferimento di denaro, anche a favore delle associazioni che si trovano sul territorio per programmi di aiuto e assistenza, e che hanno costretto alla chiusura aziende e reparti ospedalieri, e bloccato l'attività di centrali elettriche e acquedotti, a causa dell'impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o la benzina;
    al contrario, le sanzioni non hanno affatto frenato il traffico clandestino di armi e hanno determinato la creazione di un diffuso commercio di contrabbando;
    la coalizione internazionale promossa contro Daesh nel settembre 2015 e che ha dato l'avvio a raid aerei contro l'Isis non sta dando i risultati attesi e, nonostante alcune sconfitte, il califfato continua a controllare quasi il quaranta per cento del territorio siriano, la maggior parte della frontiera con l'Iraq nell'est, Raqqa e una parte di Aleppo nel nord, e Palmira nel centro;
    nel quadro della lotta allo Stato islamico occorre ripensare la strategia globale di alleanze, includendo Nazioni come la Russia e l'Iran, il cui ruolo potrebbe rivelarsi determinante nella regione ma che sono finora state volutamente marginalizzate dall'Europa;
    occorre ripensare le sanzioni imposte alla Russia che, oltre a danneggiare enormemente l'economia nazionale, rischiano di spingere quella Nazione verso pericolose alleanze in materia di politica internazionale;
    attualmente Daesh è l'organizzazione terroristica più pericolosa al mondo che può contare – secondo alcune stime di intelligence – su circa duecentomila miliziani sparsi in tutto il mondo e ottomila foreign fighters dislocati tra la Siria e l'Iraq, oltre ad avere cellule strutturate e preparate in numerosi altri Paesi, anche molto vicini all'Italia o nei quali abbiamo importanti interessi economici;
    in Libia, infatti, il gruppo Ansar Al Sharia, ex costola di Al Qaeda ora confluita nell'Isis, controlla parte del territorio ed è diventata una seria minaccia anche per chi controlla i giacimenti petroliferi della nazione;
    in Egitto è presente il gruppo Wilayat Sinai, responsabile dell'abbattimento dell'aereo civile russo nell'ottobre 2015, nelle Filippine si trova Abu Sayyaf, una delle organizzazioni più violente e banditesche del radicalismo islamico principalmente impegnata nei sequestri di persona, in Nigeria è tristemente noto il gruppo di Boko Haram colpevole di numerosi massacri e del rapimento avvenuto nel 2014 di circa duecento studentesse, e altre fazioni ben organizzate sono presenti in Libano, Yemen, Turchia e Tunisia;
    a queste si aggiungono le «cellule» prettamente europee, come quelle presenti in Belgio e in Francia, la cui altissima pericolosità è stata messa sotto gli occhi di tutto il mondo durante gli attentati di Bruxelles e Parigi;
    infine, è notizia delle ultime ore che in Kosovo esisterebbero ben cinque campi di addestramento dell'Isis, il più grande dei quali si troverebbe nelle immediate vicinanze di una base della Nato nella quale sono impiegati anche reparti italiani, fatto che rivela la crescente radicalizzazione che sta avendo luogo nel paese balcanico;
    la elevata diffusione di organizzazioni vicine all'Isis dimostra in maniera evidente da un lato come sia ormai inadeguato credere di poter fermare l'avanzata del Califfato solo attraverso un intervento nella zona siro-irachena e, dall'altro, la necessità di stroncare gli appoggi finanziari dei quali godono i jihadisti, primi tra tutti quelli che provengono dall'Arabia saudita e dal Qatar;
    in questo quadro vanno riviste anche le politiche commerciali, che dovranno essere improntate alla chiusura delle relazioni con le Nazioni che, a qualunque titolo, sostengono il Califfato e la scia di violenza e di terrore che lascia dietro di sé, e gli accordi che regolano la vendita di armi e munizioni;
    la minaccia terroristica che deriva all'Europa dal fondamentalismo islamico continua ad acuirsi e impone il potenziamento dello strumento militare che, invece, negli ultimi anni ha subito continue riduzioni di bilancio che non riconoscono il fatto che la difesa è una risorsa strategica;
    in occasione del vertice di Varsavia la Nato ha diffuso una nota di documentazione con i numeri su quanto spendono per la Difesa i governi dell'Alleanza dalla quale emerge come nel prossimo anno la funzione Difesa scenderà del 4 per cento e nel 2018 di un ulteriore 0,7 per cento, dopo aver stanziato per l'anno in corso 19,9 miliardi di euro, a fronte di 39,8 miliardi destinati al settore difesa dalla Francia e 37,1 miliardi dalla Germania,

impegna il Governo:

   ad impegnarsi, in ogni sede internazionale, affinché si provveda alla pacificazione dei conflitti in atto, con particolare attenzione alla situazione in Libia, rispetto alla quale l'Italia deve riappropriarsi di un ruolo di primo piano, anche intervenendo a sostegno delle azioni militari contro le basi dello Stato islamico site in quel territorio;
   ad esprimere una ferma posizione di condanna rispetto alla repressione in atto in Turchia, adoperandosi per il congelamento del processo di adesione di quello Stato all'Unione europea, almeno fino al momento in cui non torni a rispettare le regole fondamentali della democrazia;
   a promuovere l'avvio di un processo di riforma delle istituzioni che governano l'Unione europea, al fine di garantire maggiore democraticità al suo interno;
   ad assumere iniziative volte a potenziare il settore della difesa, riconoscendone il ruolo strategico e destinando ad esso maggiori stanziamenti;
   ad adottare iniziative per mettere in atto una maggiore e più incisiva attività di collaborazione tra le forze di intelligence in ambito europeo ed extraeuropeo, coinvolgendo tutte le Nazioni che contrastano l'Isis e le sue diverse articolazioni, e realizzando un servizio nazionale militare di volontari per le emergenze, formato da reparti periodicamente addestrati, aggregati a reparti già esistenti su base regionale e composti da cittadini italiani che intendano mettere la propria disponibilità al servizio della Nazione, con il compito prioritario della difesa della Patria, sancito dall'articolo 52 della Costituzione;
   a promuovere l'avvio di un processo in ambito europeo che sia volto all'inclusione di tutte le Nazioni che siano già impegnate o disponibili a impegnarsi nel contrasto all'espansione dello Stato islamico, tra le quali anche la Russia e l'Iran;
   in tale quadro, a sostenere in ambito europeo la necessità della cessazione delle sanzioni nei confronti della Russia;
   a chiudere ogni relazione commerciale con gli Stati che sostengono a qualunque titolo l'Isis e gli altri gruppi del fondamentalismo islamico, e ad interrompere le forniture di armi e munizioni attualmente in essere verso gli stessi Stati;
   ad assumere iniziative normative volte a realizzare una più efficace azione di prevenzione della diffusione del radicalismo islamico sul territorio nazionale, se del caso prevedendo l'introduzione di un reato specifico, e ad impedire l'afflusso di finanziamenti per centri culturali e moschee da parte di Stati che sostengono lo Stato islamico e il terrorismo jihadista;
   ad elaborare e mettere in atto interventi mirati a risolvere la problematica del costante flusso migratorio che interessa le coste italiane, a tal fine sollecitando nelle sedi opportune l'avvio della terza fase della missione EunavforMed.
(1-01335) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    lo scenario geopolitico attuale è in costante mutamento e l'instabilità regna sovrana. Secondo il Global Peace Index, nel 2016, il relativo indice ha subito un deterioramento dello 0,53 per cento rispetto all'anno precedente;
    guerre e conflitti hanno registrato una recrudescenza. Il numero totale dei conflitti è salito drasticamente, dai 31 del 2010 si è passati ai 40 del 2015. Anche il costo economico globale dei conflitti è rilevante. Nel 2015 è stato di 13,6 miliardi di dollari e rappresenta il 13,3 per cento dell'attività economica mondiale (prodotto mondiale lordo), ovvero 11 volte la dimensione degli investimenti diretti esteri a livello globale;
    secondo il rapporto annuale Global Trends dell'UNHCR, nel 2015 sono state 65,3 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria casa, ossia il più alto numero dall'indomani della seconda Guerra mondiale. Di queste 21,3 milioni sono rifugiati, 40,8 milioni sfollati interni e 3,2 milioni richiedenti asilo. I bambini rappresentano il 51 per cento circa del totale;
    sempre secondo il citato rapporto, nel 2015 sono state 12,4 milioni le persone costrette ad abbandonare per la prima volta la propria abitazione a causa di un conflitto o di persecuzioni e la maggioranza di essi sono sfollati interni (8,6 milioni);
    nello stesso anno, le vittime degli attacchi terroristici sono aumentate dell'80 per cento e soltanto 69 Paesi al mondo non hanno registrato eventi di terrorismo all'interno del proprio territorio;
    il terrorismo è quindi un fenomeno globale e i terribili attacchi che hanno sconvolto l'Europa negli ultimi mesi sono la prova che la guerra è arrivata fin dentro le nostre società;
    oggi possiamo dire che abbiamo un fronte interno ed uno esterno ed è quest'ultimo che ha scatenato il corso degli eventi che ci hanno portato ai tragici eventi dei nostri giorni, anche in casa nostra;
    una guerra, oramai globale, iniziata dall'amministrazione nord americana Bush con l'attacco all'Afghanistan nell'ambito della «guerra al terrorismo», risposta sbagliata agli attentati dell'11 settembre 2001, continuata con la sciagurata invasione dell'Iraq nel 2003 e protratta con l'intervento militare in Libia;
    l'esperienza delle campagne militari in Afghanistan, Iraq e Libia mostra che aver intrapreso guerre senza avere un progetto politico condiviso con le forze e le popolazioni locali sul futuro è stata una prassi che ha peggiorato e non migliorato la sicurezza globale, e soprattutto ha condannato il popolo afghano, iracheno e libico alla follia distruttiva della violenza e del terrore che oggi si estende dal Medio Oriente all'Africa e attraversa il Mediterraneo e arriva fino al cuore dell'Europa;
    lo scenario attuale mostra che, in Afghanistan, i Talebani oggi sono in grado di operare in circa l'80 per cento del Paese e controllando larghe porzioni di territorio si sono imposti con un proprio ruolo di primo piano nel sud e nell'est del Paese, mentre l'ascesa di Daesh è sempre più evidente ed è diventata una valida alternativa, seducente e determinata nella forte e preoccupante instabilità politica dello Stato;
    a distanza di 13 anni dall'invasione USA, oggi l'Iraq è occupato per un considerevole pezzo del suo territorio da Daesh, seppur con importanti perdite degli ultimi mesi, e ora quel Paese rappresenta la calamita di tutte le destabilizzazioni regionali, Siria in primis fra tutte, mentre la Libia è un pantano con la presenza di centinaia di milizie, con un governo d'unità nazionale capeggiato da Fayez al Sarraj in rotta con Tobruk e osteggiato dal potente generale Khalifa Haftar, prossimo al fallimento e con una preoccupante presenza di Daesh;
    in Libia in queste ore sono ripresi i bombardamenti statunitensi su richiesta del Governo di al Sarraj, mettendo in imbarazzo la Francia che formalmente appoggia il governo di unità nazionale ma che di fatto con la sua presenza in territorio libico è al fianco del generale Haftar, con l'obiettivo di consolidare i suoi interessi energetici e di estendere la sua presenza sotto il Sahel;
    la lotta a Daesh in Libia, così come avvenuto in Siria, oltre a registrare il conflitto tra le varie milizie regionali, segue la logica fin qui seguita delle guerre per procura, lanciate in questo caso in base alle promesse di accordi economici petroliferi;
    la guerra ha travolto Stati e frontiere e ha inasprito la storica rivalità tra il mondo sunnita e sciita all'interno dell'Islam, all'ombra delle ambizioni commerciali, finanziarie e geopolitiche delle grandi potenze mondiali che credevano di creare nuove democrazie e che, in realtà, hanno prodotto solo maggiore instabilità che oggi mette a repentaglio tutta l'umanità;
    in questo quadro di devastazione e macerie in cui sono stati ridotti Paesi come la Siria, l'Iraq, lo Yemen, la Libia e l'Afghanistan, appare chiaro come il «Califfato» abbia deciso, con gli attacchi di Parigi e Bruxelles e poi con la rivendicazione degli atti emulativi di Nizza e Monaco, di radicalizzare lo scontro, ipotizzando una reazione occidentale e con il probabile obiettivo di infiammare una sollevazione anti-islamica dettata dall'emotività e quindi moltiplicare i proseliti anche in Europa;
    oggi non ci si può permettere di dare forza a questo scontro e ogni ipotesi, anche guardando all'esperienza di 15 anni di guerra al terrore, va fermata sul nascere e sostituita con una diversa idea di società e di convivenza universale, fondata sugli stessi valori che sono stati brutalmente attaccati in Francia: libertà, uguaglianza, fratellanza;
    questa idea deve partire dalla messa in discussione del modello di sviluppo che si arricchisce con la produzione e vendita di armi che alimentano la spirale di violenza e terrore che imperversa alle porte, nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, e che poi si reprime con nuove armi e nuove guerre;
    negli ultimi cinque anni, mentre il Medio oriente bruciava, contemporaneamente cresceva del 30 per cento l’export di armi verso i Paesi dell'area medio orientale e del Nord Africa. Dalle relazioni inviate dal Governo alle Camere si evince che nel quinquennio 2010-2014 la meta principale delle armi italiane è stato il Medio Oriente. Secondo l'ultima relazione trasmessa nel 2015 le autorizzazioni all'esportazione degli armamenti italiani è aumentata del 200 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 2,6 miliardi a 7,9 miliardi di euro, registrando un vero e proprio boom. Ad esempio le transazioni autorizzate con l'Arabia Saudita sono passate dai 163 milioni di euro del 2014 ai 257 milioni del 2015;
    queste armi sono state vendute in Medio Oriente e attraverso la «triangolazione» con Paesi «nostri alleati», ma anche «alleati e finanziatori del Daesh», sono arrivati nelle mani dei terroristi e quindi si è al paradosso che combattiamo contro le armi che noi stessi abbiamo venduto in Medio Oriente;
    secondo l'Unodc, l'agenzia dell'Onu che si occupa di criminalità e droga, il 90 per cento dei traffici illegali di armi proviene dal commercio legale. Frutto della triangolazione o dell'aver armato gruppi che poi cambiano alleanze, come avvenuto in Iraq e Siria. La legge italiana lo vieterebbe, ma nei fatti, una volta che sono vendute ad acquirenti ufficiali, ad esempio le Monarchie del Golfo, possono facilmente finire nelle mani sbagliate, ovvero i gruppi terroristici;
    secondo l'Istituto universitario di alti studi internazionali e dello sviluppo che ha condotto la ricerca Small Arms Survey, Daesh ha avuto disponibilità di armi provenienti dall'Arabia Saudita e la stessa accusa grava sul Qatar. A quest'ultimo Emirato è bene ricordare che dal 2012 al 2014 l'Italia ha esportato armi per 146 milioni di euro e 35 milioni soltanto nel 2015. Il committente era quindi il Paese che per David Cohen, vicesegretario Usa al Tesoro con delega per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, ha «un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi». Queste dichiarazioni venivano rese a marzo del 2014, mentre a luglio dello stesso anno il Qatar, che ospita l'avveniristico quartier generale Usa in Medio Oriente di Al Udeid, inviava una commessa da 11 miliardi agli Usa in armamenti, inclusi elicotteri Apache, batterie di Patriot e missili anticarro Javelin;
    oltre a rifornire di armi i vari gruppi ribelli o apertamente terroristici, i Paesi sunniti del Golfo, come il Qatar, Arabia Saudita e Kuwait – quest'ultimo sempre, secondo David Cohen, definito «l'epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria» – formalmente nostri alleati nella coalizione anti-Daesh, in maniera più o meno indiretta, hanno finanziato attraverso donazioni i gruppi islamici dell'opposizione siriana, inclusi quelli estremistici come Al Nusra e Daesh;
    oggi Daesh, così come altre milizie e organizzazioni dell'arcipelago jihadista, ha in mano pozzi di petrolio, opere d'arte e anche caveau di banche conquistate nel conflitto, ma per arrivare fino a questo punto ha sfruttato le capacità di riciclaggio della finanza del Golfo e quindi ha beneficiato di donazioni «private» provenienti soprattutto dai Paesi del Golfo e transitate dal Kuwait;
    il sistema bancario del Kuwait – ossia il Paese che ha firmato un memorandum d'intesa sulla difesa con il nostro Paese l'11 settembre 2015, e che ha siglato un accordo per l'acquisizione di 28 caccia Eurofighter da un consorzio europeo in cui Finmeccanica, di cui il Ministero dell'economia e delle finanze è il principale azionista, avrà una commessa da 4 miliardi di euro, la più grande commessa mai ottenuta dall'azienda italiana – ha norme antiriciclaggio poco trasparenti e permette anche l’hawala, il trasferimento di denaro, anche all'estero, da individuo a individuo senza alcuna tracciabilità;
    in questi mesi è stata da più parti documentata la responsabilità del Governo turco e delle forze di intelligence turche nell'aver permesso che membri di Daesh e di altri gruppi jihadisti entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese, così come sono note le responsabilità della Turchia nell'aver aperto i valichi di frontiera ai terroristi; nell'aver permesso il rifornimento di armi, munizioni e supporto logistico;
    la Turchia quindi, alleato e membro della Nato, ha favorito in questi anni il passaggio di migliaia di foreign fighter europei, aprendo quella che è stata denominata come l’«autostrada della jihad» mentre al tempo stesso conduceva una «guerra sporca» contro le organizzazioni curde in Siria e in Iraq, che sono tra le poche forze che hanno causato una serie di sconfitte a Daesh e che hanno dato vita ad un'esperienza di convivenza pacifica tra curdi, arabi, assiri, caldei, aramaici, turcomanni, armeni, ceceni e altre minoranze;
    la stessa Turchia, che ha vissuto ore drammatiche durante il tentativo di golpe, poi fallito e al successivo contro-Golpe voluto dal presidente Erdogan che ha prodotto decine di migliaia di arresti e purghe a tutti i livelli dello Stato;
    i numeri dell'ondata repressiva scatenata in Turchia dalle autorità di Governo hanno allarmato l'Europa e gli Stati Uniti, che dalla solidarietà espressa al presidente turco e al Governo sono rapidamente passati alla preoccupazione per il rispetto dei diritti umani, a partire dalla possibilità che venga reintrodotta la pena di morte;
    immediatamente alla fine del golpe si è assistito a disumane scene di vendetta di piazza ed episodi di giustizia arbitraria, mentre da più parti è stata espressa profonda preoccupazione per la deriva autoritaria imposta al Paese dalle massime autorità turche al Governo del Paese man mano che venivano mostrate all'opinione pubblica mondiale le foto dei militari arrestati seminudi, legati mani e piedi, ammassati per terra;
    da mesi, come documentato dagli atti più volte portati all'attenzione della Camera dei deputati, il Governo turco ha iniziato una guerra contro le opposizioni democratiche e le minoranze presenti nel Paese; ha imposto il coprifuoco in numerose città dell'Anatolia del Sud Est (Kurdistan Bakur), colpendo i suoi stessi civili, provocando migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati; ha fatto arrestare e incriminare giornalisti, giudici ed oppositori di ogni tipo;
    le misure repressive post-golpe, gestite direttamente dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, stanno facendo scivolare il Paese velocemente verso un regime oppressivo e mettono a rischio la stabilità della Turchia stessa;
    la Turchia oggi non è un Paese sicuro e l'accordo Unione europea-Turchia sui rifugiati (o pseudo tale, in quanto sotto il profilo giuridico deve considerarsi alla stregua di una decisione dei Capi di Stato e di Governo e non un vero e proprio accordo dell'Unione europea) vìola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia;
    quanto emerge dall'applicazione concreta di questo pseudo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea, chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh appena citate;
    oggi l'Unione europea viene addirittura ricattata dal Governo turco, che minaccia di far saltare l'accordo se non verranno soddisfatte le sue richieste e quindi non si approvi il suo regime. È preoccupante che lo stesso modello di «accordo» con la Turchia si sta poi nei fatti applicando con le peggiori dittature del mondo: l'Egitto, l'Eritrea, il Sudan, la Somalia, il Gambia, solo per citarne alcune;
    oggi occorrerebbe istituire corridoi umanitari per agevolare l'arrivo in sicurezza di chi decide di scappare dalla sua terra e stabilire la possibilità di ottenere visti umanitari, che consentano anche il passaggio nei Paesi di transito, in luoghi attrezzati vicini alle zone di fuga; invece sorgono muri in tutta Europa. Come un tempo esisteva la Cortina di ferro, in Ungheria e Croazia oggi i muri assumono la forma fisica di rete metallica e filo spinato, mentre in Francia, Austria, Svezia e Germania vengono chiamati «momentanea sospensione di Schengen», che di fatto ripristinano le frontiere;
    anche l'Europa non è immune al mutato scenario geopolitico che mette a repentaglio la conquistata pace, l'affermazione della democrazia e la tutela dei diritti umani; in Europa oramai il dibattito politico è dominato da connotati fortemente nazionalistici e a tratti esplicitamente xenofobi, da veleni ideologici, da paure indotte, dagli stessi rigurgiti nazionalisti che hanno alimentato il consenso degli antieuropeisti britannici durante la campagna sul «Brexit»;
    le decisioni della NATO prese all'ultimo vertice tenuto a Varsavia devono ritenersi le più importanti dalla fine della guerra fredda soprattutto per una serie di misure politiche e militari preventive nei confronti della Russia; una delle principali questioni trattate al vertice di Varsavia riguarda il parziale superamento di un accordo stipulato con la Russia nel 1997, in cui si stabiliva che l'alleanza atlantica non può mantenere le proprie truppe da combattimento in modo permanente nei Paesi a est della Germania, a meno che le condizioni di sicurezza degli Stati alleati non siano in pericolo. Evidentemente, i rappresentanti dei Paesi dell'alleanza atlantica considerano cambiate queste condizioni, e nei fatti programmano delle azioni militari lungo quello che viene già chiamato «fronte orientale»;
    il vertice di Varsavia ha anche segnato una importante novità nelle relazioni NATO-Unione europea con la pubblicazione del primo comunicato congiunto tra la NATO, attraverso il segretario generale, Jens Stoltenberg, e l'Unione europea, nelle persone del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, con l'intento di annunciare il nuovo piano strategico di partnership;
    in questi anni poco o nulla è stato fatto per tagliare i canali tra Daesh, la galassia jihadista e i suoi Stati finanziatori. Nulla è stato fatto per svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi né per supportare le richieste di democrazia che nascevano dalle primavere arabe e dalle esperienze positive di convivenza tra i popoli che emergevano nel vicino oriente che, al contrario, sono state brutalmente attaccate dalla follia distruttiva della violenza e del terrore. Di contro, si è prestato colpevolmente – per interessi – il fianco a piccoli conflitti che sono cresciuti fino a diventare, nel tempo, incontrollabili;
    Daesh è un cancro e va estirpato, si vuole incutere terrore, suscitare una risposta repressiva e dimostrare così la non praticabilità della democrazia e l'inadeguatezza dei principi democratici, liberali e laici su cui si fonda l'Europa;
    è bene non dimenticare che i terroristi delle recenti stragi di Parigi e Bruxelles sono nati e cresciuti nelle città occidentali, in Europa, e che oltre alla repressione occorre una nuova grande opera di prevenzione. Sarebbe necessario lavorare sulle periferie trascurate, e sempre più dimenticate dalle istituzioni, che sono il luogo dove attecchiscono le parole dei predicatori dell'odio in assenza dello Stato;
    occorre per questo avere cura delle comunità e promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, fermando i predicatori d'odio da qualunque parte vengano, compresa la cultura del razzismo e il rischio di una crescente islamofobia. Si hanno a disposizione le «armi» del diritto e della democrazia per impedire che le società alzino muri invalicabili che producano discriminazioni e divisioni, e conducano a quanto sta drammaticamente accadendo al di là del Mar Mediterraneo e nel vicino Oriente;
    non è più rimandabile l'avvio nel nostro Paese di una strategia di contro-radicalizzazione mediante la formazione di operatori qualificati e una campagna di prevenzione che coinvolga la società civile e le istituzioni a tutti i livelli, partendo dalle scuole, vero primo livello dell'integrazione nella società, per l'individuazione del disagio e la prevenzione del rischio di radicalizzazione dei ragazzi e con l'obiettivo di creare una vera e propria rete sociale che, partendo proprio dalla scuola, coinvolga famiglie, associazionismo, istituzioni e accompagni i bambini, sin dai primi anni di vita, nel loro percorso di sviluppo del pensiero critico;
    bisogna invece intervenire nelle aree di crisi per trovare soluzioni di pace, senza alimentare ulteriori guerre, o sostenere nuovi e vecchi dittatori e senza sostenere le posizioni di organizzazioni terroristiche, promuovendo concretamente i processi di composizione dei conflitti e le transizioni democratiche con la società civile, il dialogo tra le diverse comunità,

impegna il Governo:

   a sostenere la composizione della storica questione mediorientale e del conflitto israelo-palestinese, dando attuazione alle mozioni votate in Parlamento il 27 febbraio 2015, a partire dal riconoscimento dello Stato di Palestina come impulso alla ripresa dei negoziati di pace;
   con specifico riferimento alla Siria, a promuovere con gli altri partner internazionali la ricostruzione delle aree liberate dalla presenza dello Stato Islamico nel Rojava e nel resto del nord della Siria, facendo sì che la Turchia apra le frontiere per permettere il passaggio dei convogli umanitari, al contempo favorendo il dialogo tra le forze democratiche del Paese e gli attori regionali, lavorando per la ripresa dei negoziati di pace e quindi la road map tracciata dal vertice di Vienna a cui devono essere invitate anche le altre parti in conflitto, le istituzioni autonome del Rojava-Siria del nord e le Forze siriane democratiche (SDF);
   con riferimento all'Iraq, a favorire la composizione di un governo inclusivo che non discrimini le minoranze non-sciite del Paese;
   a intraprendere urgenti iniziative per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e a proporre in sede europea e nei consessi internazionali una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   ad assumere iniziative, anche in collaborazione con gli altri partner internazionali, per interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   ad adoperarsi per impedire insieme alla comunità internazionale il commercio illegale che finanzia i gruppi terroristici, a cominciare da Daesh, prevedendo sanzioni per gli Stati che permettono il contrabbando del petrolio;
   ad arginare il flusso dei foreign fighters soprattutto assumendo ogni utile iniziativa nei confronti della Turchia e a chiedere che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato ONU e che la Turchia cessi immediatamente ogni forma di ostilità nei confronti delle milizie curde dello YPG/YPJ e dello HPG che stanno combattendo contro Daesh in Siria e Iraq;
   a riconoscere formalmente le istituzioni autonome della Rojava-Siria del Nord;
   ad adoperarsi con tutti i mezzi a propria disposizione affinché riprenda il processo di pace tra Turchia e Pkk e affinché quest'ultimo sia cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali;
   ad avviare un'azione diplomatica nei confronti della Turchia, finalizzata al rispetto dei diritti umani, delle minoranze e dello Stato di diritto;
   a promuovere attività di spionaggio mirato anche con forme di intelligence tradizionali a discapito di una sorveglianza di massa, scarsamente efficace e costosa, non solo in termini di diritti civili, promuovendo attività coordinate tra le agenzie di intelligence degli Stati europei e aumentando i fondi ad esso destinati, anche riducendo le ingenti spese per le campagne militari all'estero, costose e controproducenti;
   a promuovere misure per il dialogo interculturale e interreligioso contro l'emarginazione, e quindi per l'integrazione e contro l'odio, avviando una vera strategia di contro-radicalizzazione, affinché si debellino le motivazioni e le radici che conducono alla radicalizzazione e al terrorismo;
   a sostenere la revoca dell'accordo Unione europea-Turchia per contrarietà al diritto europeo, alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 10, terzo comma, della Costituzione italiana e più in generale ai principi fondamentali della nostra civiltà giuridica e della nostra tradizione democratica e a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati» attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
   a sostenere, in sede europea, tutte le iniziative tese alla cancellazione o in subordine, all'alleggerimento significativo delle sanzioni dell'Unione europea nei confronti della Federazione russa;
   a chiedere in sede europea un approfondimento sulla partnership strategica tra Unione europea-NATO come definita dall'ultimo vertice di Varsavia, chiedendo che non ci debba essere mai una sovrapposizione della NATO e dell'Unione europea nella risoluzione dei conflitti, a partire dall'Ucraina e nel rapporto con la Russia;
   a lavorare per la stabilizzazione della Libia, coinvolgendo gli altri partner europei e membri della NATO, scongiurando ulteriori azioni militari e soprattutto con l'obiettivo di limitare gli interessi strategici stranieri in terra libica che sono alla base della destabilizzazione del Paese;
   ad adoperarsi per la ricomposizione della crisi in Tunisia, coinvolgendo i Paesi dell'Unione europea per la predisposizione di un programma di aiuti economici finalizzati alla stabilizzazione del Paese;
   a mettere in atto tutte le iniziative diplomatiche a disposizione per favorire la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba, a partire dalla rimozione totale del «bloqueo», anche in considerazione degli accordi bilaterali sottoscritti dal nostro Paese il 13 luglio 2016 sul trattamento del debito di Cuba, attuativi dell'intesa multilaterale firmata a Parigi il 12 dicembre del 2015 da Cuba e da 14 Paesi creditori;
   a valutare iniziative diplomatiche finalizzate alla restituzione a Cuba della base navale statunitense di Guantanamo.
(1-01336) «Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    i tanti segnali di incertezza, di tensione o di vera e propria crisi internazionale che caratterizzano il 2016, con un acuirsi nelle ultime settimane, richiedono il massimo grado di razionalità e di responsabilità nella lettura degli accadimenti e nella prospettazione delle possibili azioni di ricomposizione, pena il rischio di accentuare gli effetti nefasti di quella che autorevolmente è stata definita una sorta di «tempesta perfetta»: a livello internazionale è in atto da tempo una tendenza negativa, di inedita intensità, che sottolinea la crisi di ogni ordine mondiale precedente e regolato da super potenze, nonché l'assenza di nuovi paradigmi o comuni punti di intesa, la risorgenza di pulsioni nazionalistiche o unilateralistiche e una crescente sfiducia delle opinioni pubbliche e delle classi dirigenti nella possibilità di una gestione comune delle sfide economiche e di sicurezza, come confermano fenomeni tra loro assai differenti ma tutti in vario modo dirompenti quali la Brexit, la mancata gestione europea dell'immigrazione o il dilagare del terrorismo;
    si esprime una forte preoccupazione per alcuni atteggiamenti della Russia e della Cina che ripropongono antiche tentazioni egemoniche con iniziative unilaterali ovvero con un multilateralismo muscolare che rischiano di rendere più fragile l'intero ordine internazionale;
    l'ormai cronica emergenza umanitaria legata alle migrazioni, la guerra siriana, il difficile processo di ricostruzione delle istituzioni libiche, gli attentati jihadisti in Europa e in oriente, il voto per la Brexit e più in generale la crisi del progetto di integrazione europea e il dilagare dei populismi, il tentativo di golpe in Turchia, lo stallo in cui versa il processo di pace israelo-palestinese, sono tutte minacce intrecciate che, da un lato rendono il Mediterraneo un crocevia di tensioni globali, insicurezza, terrorismo, crisi regionali, dall'altro, possono comportare l'indebolimento della risposta europea;
    in un contesto di tali complessità, l'unica reale prospettiva di incidenza per un Paese come l'Italia è quella di operare per il rafforzamento della rule of law a livello internazionale, nonostante la crisi delle istituzioni internazionali, nella prospettiva di realizzare un ordine mondiale basato sul rispetto dei diritti umani, sulla libertà e pari dignità dei popoli, sulla risoluzione democratica e pacifica delle controversie e su di una più equa distribuzione delle risorse; a tal fine l'Italia è impegnata a consolidare e a qualificare le alleanze e le coalizioni internazionali di cui fa parte, in primis l'Unione europea, la Nato e l'Onu, in continuità con la tradizione delle strategie internazionali perseguite dall'Italia, nel rispetto della lettera e dello spirito dell'articolo 11 della nostra Costituzione, che ricordiamo essere strutturato su tre parti armoniche e d'insieme: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; il consenso a limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia tra le nazioni, la promozione del multilateralismo sotto forma delle organizzazioni internazionali rivolte a pace e giustizia;
    per quanto attiene il rilancio del progetto europeo, dopo l'esito del referendum nel Regno Unito, è indispensabile affrontare quanto prima alcune questioni di fondo riguardanti le istituzioni comunitarie e alcuni meccanismi economici, quali il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, consolidando le sue funzioni legislative in tutti gli ambiti di azione dell'Unione e formalizzando il suo potere di nomina del presidente della Commissione europea, o la questione della revisione del patto di stabilità e del fiscal compact;
    l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea apre per il continente una nuova fase, caratterizzata da incognite e incertezze, ma anche da nuove speranze fondate sull'esistenza di un patrimonio comune di valori, idee e tradizioni che ci unisce come europei e dal quale ripartire per un rilancio del progetto europeo. L'Unione europea dovrà continuare ad essere per i suoi cittadini un sogno di pace e di reciproca comprensione, di speranza della dignità umana, di libertà, democrazia, certezza del diritto, solidarietà e di umanismo. Questi valori sono il vero capitale per il nostro futuro comune, nella ferma convinzione che l'Unione europea rimane la migliore risposta alle sfide di oggi. Ciò implica una svolta nella politica economica europea, sulla quale anche il Fmi, nonché le opinioni pubbliche europee e il Parlamento europeo hanno aperto una riflessione critica nel senso che il rigore che deve riguardare la spesa pubblica corrente non può essere esteso agli investimenti, pubblici e privati; di qui la necessità di mettere in campo nuovi strumenti quali gli eurobond e di rimettere in discussione le caratteristiche del patto di stabilità e del fiscal compact;
    occorre proseguire nel sostegno alla strategia per rafforzare l'Unione europea e la sua azione esterna e di sicurezza di fronte alle sfide del XXI secolo, promossa dall'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Da questo punto di vista, se da un lato la Brexit implica la perdita di uno Stato membro, con una rilevante dimensione militare, dall'altro, apre nuove opportunità e pone nuove esigenze per il rafforzamento della difesa europea;
    il vertice dei Capi di Stato e di Governo della Nato, che si è tenuto a Varsavia l'8-9 luglio 2016, ha affrontato un contesto molto delicato per la sicurezza euro-atlantica, caratterizzato da tensioni con la Russia sul «fianco est» e da una crisi migratoria e dal terrorismo internazionale jihadista, entrambi alimentati da crisi e conflitti, sul «fianco sud»;
    nell'ambito del difficile, ma indispensabile dialogo con la Russia, le pur necessarie misure dissuasive devono essere affiancate dal compimento di ogni sforzo per salvaguardare il rapporto di cooperazione con tale Paese, quale partner per la composizione delle crisi nel vicinato comune, nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente, mantenendo e rafforzando un approccio di fermezza e dialogo. Questa linea, insieme ferma e dialogante, deve puntare a favorire il superamento delle tendenze unilateralistiche e dunque aggressive presenti nella strategia del Governo russo;
    nell'ambito del cosiddetto «fianco sud», il medesimo vertice ha quindi accolto le richieste dell'Italia sulla necessità di contribuire a promuovere stabilità e sicurezza nel vicinato e in particolare nel Mediterraneo. A tale proposito è da menzionare che la nuova missione navale Sea Guardian sostituirà l'attuale Active Endeavour, con un ampio mandato per assolvere lo spettro completo di compiti associati alla sicurezza marittima, e inoltre che, per supportare l'Europa nell'affrontare la crisi migratoria, la Nato non solo continuerà ad assistere Grecia, Turchia e Frontex nell'Egeo ma potrà fornire supporto logistico, capacità di intelligence, ricognizione e sorveglianza, all'operazione UE Eunavfor Med Sophia;
    in occasione del medesimo vertice di Varsavia è stata sottoscritta una Dichiarazione congiunta Ue-Nato, che lo stesso Segretario generale della Nato ha definito «storica», per garantire una più stretta cooperazione tra le due organizzazioni su temi sensibili come le minacce ibride, la cyber-sicurezza e la sicurezza marittima, lo scambio di informazioni e le esercitazioni comuni;
    sulla gestione dei flussi migratori, l'Italia, per collocazione geografica e per vocazione umanitaria e culturale, rappresenta il primo punto di riferimento per il sud del mondo e per la stessa Europa, un ruolo che svolge con generosità e intelligenza;
    oltre ad aver utilmente portato la sensibilità e l'attenzione della Nato sul Mediterraneo, nell'ultimo vertice di Varsavia, l'Italia ha coerentemente perseguito negli ultimi anni una politica di sensibilizzazione di tutta l'Unione europea al tema del governo delle migrazioni fino a proporre un piano complessivo, sia di misure immediate sia di medio lungo periodo per uscire dall'emergenza denominato « migration compact», fondato su un partenariato strategico con i Paesi africani del Sahel e dell'Africa subsahariana, che rappresentano le principali sorgenti dell'emigrazione da quel continente;
    importante tappa di questo processo è stata la prima Conferenza ministeriale Italia-Africa del 18 maggio 2016, organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con la partecipazione di oltre 40 Ministri dei Paesi africani di numerosi ambasciatori e rappresentanti di organizzazioni internazionali presenti e operanti in Africa;
    i recenti e drammatici episodi verificatisi in Europa, nei Paesi del Medio Oriente e in Asia, hanno evidenziato l'innalzamento della minaccia terroristica di matrice jihadista. In particolare, gli attentati terroristici in Francia, ideati e compiuti da cittadini regolarmente residenti sul territorio europeo e che all'interno dello stesso circolavano liberamente, mostrano ancora una volta quanto il contrasto al terrorismo internazionale va realizzato in maniera unitaria senza far distinzione tra sicurezza interna ed esterna;
    il terrorismo rappresenta una minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità di ciascun Paese, ma soprattutto ai diritti e alla libertà dei suoi cittadini e malgrado le accresciute misure di sicurezza a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché la crescente cooperazione tra i Paesi europei ed extra europei, la minaccia terroristica in territorio europeo rimane altissima e sembra destinata a persistere nei prossimi anni;
    nel Medio Oriente e adesso anche in Francia Daesh ha messo nel mirino i cristiani vittime di assassini e di persecuzioni; specie in Francia l'integralismo islamico sta attaccando in varie forme gli ebrei parte dei quali stanno tornando in Israele; la determinazione nel colpire con una forte carica simbolica le altre religioni ha come obiettivo di generare una guerra di religione; gli interventi dei leader religiosi musulmani e del Papa hanno dato prova di grande equilibrio e lungimiranza nell'evitare questa trappola;
    l'azione di destabilizzazione militare portata avanti dal Daesh, in primo luogo in Siria, in Iraq e in Libia si affianca all'opera di proselitismo attraverso la rete e in particolare i social media alimentando il mito della sua presunta forza vincente. Un'opera che, per essere contrastata e sconfitta, necessita di una decisa azione non solo sul piano militare, che sta già conseguendo costanti e decisi successi, ma richiede un coinvolgimento delle comunità musulmane e dei Paesi islamici e un impegno sul piano sociale e culturale; per altro verso è indispensabile che le comunità musulmane non solo si esprimano in modo netto contro il terrorismo e si adoperino attivamente e pubblicamente per un contrasto alla radicalizzazione, isolando e denunciando i fiancheggiatori del terrorismo presenti al proprio interno, ma, come ha fatto il rettore di Al Azhar, contrappongano ad esso la interpretazione pacifica dell'Islam;
    da questo punto di vista, è sicuramente chiara, anche a fronte dei risultati ottenuti sul terreno, la necessità di rafforzare la coalizione che combatte contro Daesh in Iraq e Siria e a cui l'Italia partecipa con un ruolo di primo piano, tra l'altro sia con l'addestramento dei soldati e della polizia iracheni, sia con il coordinamento del gruppo internazionale di contrasto alle attività di finanziamento di Daesh; sia potenziando il sistema di collaborazione e di condivisione delle intelligence nonché di specifiche iniziative di investimento nella cybersecurity; ma altrettanto chiara deve essere una strategia di relazioni internazionali che porti a rimuovere alcune ambiguità e connivenze che caratterizzano l'azione di alcuni Paesi dell'area medio orientale;
    con il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 2015 il nostro Paese ha dato, all'indomani degli attentati alla rivista parigina Charlie Hebdo, una prima concreta ed efficace risposta alla minaccia del terrorismo jihadista e al contrasto del fenomeno dei foreign figthers attraverso la repressione dell'arruolamento e dell'organizzazione di trasferimenti con finalità di terrorismo, così come la repressione dell'istigazione e dell'apologia all'attentato terroristico sempre con l'aggravante dell'utilizzo di strumenti telematici o informatici, per arrivare alle intercettazioni preventive in caso di indagini sul terrorismo;
    le iniziative in corso sotto l'egida delle Nazioni Unite per promuovere il dialogo diretto fra le parti e la riconciliazione nazionale, mettere fine all'emergenza umanitaria e contrastare la presenza di gruppi jihadisti nelle regioni meridionali del Paese, devono consentire di porre fine all'intervento militare della coalizione di Paesi arabi richiesto dal Governo legittimo dello Yemen;
    pieno sostegno va assicurato da parte italiana alla piena attuazione delle varie risoluzioni e prese di posizione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, tra cui la risoluzione n. 2216, per l'avvio di una transizione politica. In questo contesto è necessario che tutte le parti rispettino gli obblighi del diritto internazionale umanitario e, in particolare, l'incolumità dei civili e del personale umanitario;
    la chiara condanna del golpe militare in Turchia, espressa dall'Italia e da tutta l'Europa, non può impedire un giudizio fermo e coerente di indisponibilità a giustificare vendette, epurazioni, violazioni dello Stato di diritto o limitazioni degli spazi democratici, tutte azioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani e i pilastri della civiltà giuridica europea che la Turchia si è impegnata a rispettare con la firma della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Tali azioni repressive indiscriminate rischiano, oltre che di peggiorare il contesto democratico del Paese – in prospettiva – e comprometterne la stabilità, di pregiudicare indefinitamente le prospettive della sua adesione all'Unione europea. Non è in alcun modo accettabile l'adozione di quelle misure repressive messe in atto in queste ultime settimane dal Governo turco, che, ben oltre i responsabili reali o presunti del golpe hanno colpito decine di migliaia di giudici, giornalisti, docenti, avvocati, responsabili unicamente di essere sospettati di scarsa lealtà verso il partito al potere. Tutto questo, pur tenendo in considerazione i danni provocati dalla incoerente ed intermittente politica di alcuni Stati membri nei confronti del processo di adesione della Turchia alla Unione europea;
    nei giorni successivi al fallito golpe per rovesciare il Presidente della Turchia Racep Tayyp Erdoğan, e precisamente il 22 luglio il segretario generale del Consiglio d'Europa Thorbjørn Jagland ha ricevuto una comunicazione ufficiale dal Governo turco, nella quale le autorità di Ankara annunciano la volontà di derogare alla CEDU. La possibilità di deroga è prevista dall'articolo 15 della Convenzione. Questo dà facoltà agli Stati che ne sono parte di sospendere temporaneamente l'applicazione di alcuni diritti «in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione», e di prendere le misure necessarie per far fronte all'emergenza;
    lo stesso articolo 15 della CEDU prevede dei limiti a tale sospensione innanzitutto di tempo, ma anche che esistano dei diritti assolutamente inderogabili quali il diritto alla vita e la proibizione della tortura; a tale proposito preoccupano le intenzioni espresse dal Governo turco di ripristinare la pena di morte che la Turchia ha abolito in tutte le circostanze aderendo alla CEDU e in particolare al Protocollo n. 13;
    la Turchia, per la sua posizione strategica nell'area del Mediterraneo e per il ruolo che rappresenta all'interno della Nato e non ultimo per il ruolo nella gestione dei migranti che fuggono dalle guerre del Medioriente, non può essere una democrazia dimidiata, ma deve rafforzare lo Stato di diritto interno e la salvaguardia dei diritti umani; al tempo stesso le recenti prese di posizione polemiche espresse dal presidente Erdogan testimoniano un'assoluta mancanza di conoscenza dei princìpi fondativi della Costituzione della Repubblica italiana ai quali non solo non intendiamo rinunciare ma pensiamo possano essere riferimento anche fuori dai confini del nostro Paese;
    con la Conferenza di Roma del 2015, gli accordi di Skirat e la risoluzione n. 2259 delle Nazioni Unite e soprattutto con l'insediamento a Tripoli del Governo di accordo nazionale nel marzo di quest'anno, la situazione in Libia, anche grazie alla tenace determinazione del nostro Paese che ha coinvolto con successo la gran parte della comunità internazionale, ha cominciato a conoscere una svolta in direzione della stabilizzazione;
    a questo percorso di coinvolgimento internazionale l'Italia ha affiancato immediatamente quello per un rafforzamento del consenso intralibico al Governo Sarraj attraverso il coinvolgimento delle istituzioni locali e di quelle che governano le risorse petrolifere e una paziente opera di tessitura diplomatica finalizzata alla massima inclusione nel processo di stabilizzazione delle tribù e delle fazioni ancora in campo;
    l'Italia ha lavorato e continuerà a lavorare per l'integrità territoriale della Libia in ragione del fatto che una eventuale divisione del Paese aumenterebbe il conflitto interno strumentalizzato e strumentalizzabile da altre potenze regionali, e che solo una Libia unita può rappresentare una garanzia di stabilità per la popolazione libica e un interlocutore credibile e affidabile per l'Africa e per il Mediterraneo;
    l'insediamento del Governo Sarraj con l'avallo delle Nazioni Unite ha determinato le condizioni per l'arretramento di Daesh a Sirte, passato in un anno a controllare da 9000 a 20 chilometri quadrati di territorio grazie alla battaglia che vede protagoniste le milizie di Misurata insieme alla Petroleum Facilities Guard e, da ultimo, anche con il sostegno aereo a obiettivi mirati assicurato dagli Stati Uniti, su richiesta dello stesso Governo di accordo nazionale come previsto anche dalla risoluzione n. 2259 del Consiglio di sicurezza; la risoluzione n. 2259 delle Nazioni Unite, approvata all'unanimità dai membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu il 23 dicembre 2015, con particolare riferimento al capoverso n. 12, legittima il rapido intervento in Libia degli Stati membri dell'ONU in risposta alle minacce terroristiche alla sicurezza di tale Paese e a sostegno del nuovo Governo libico impegnato a sconfiggere ISIL ed ogni suo alleato, e ciò sulla base della richiesta espressa da parte del Governo di accordo nazionale in tale senso e che è pervenuta nei giorni scorsi, come dichiarato dal Governo Sarraj, al fine di ottenere sostegno alle forze locali presenti sul terreno, per eliminare la minaccia terroristica rappresentata da Daesh, per il pieno successo dell'Accordo politico sulla Libia e per preservare la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale del Paese;
    l'Italia ha ospitato ripetutamente riunioni dei sindaci libici a dimostrazione di una strategia volta al coinvolgimento delle comunità e della società civile locali nel processo di stabilizzazione, di capacity building e di riconciliazione nazionale in Libia;
    l'insieme delle diverse situazioni di tensione ed i significativi impegni che vedranno nel prossimo futuro l'Italia protagonista negli organismi internazionali quali, l'organizzazione del Vertice G7 nel 2017 in Sicilia, la partecipazione in qualità di membro non permanente al Consiglio di sicurezza dell'ONU nel 2017, l'organizzazione del prossimo vertice sui Balcani occidentali che si terrà in Italia nell'estate del 2017, la presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) per l'anno 2018, designazione votata all'unanimità dai 57 Paesi membri, sono tutti passaggi che richiedono uno sforzo unitario del Paese e che confermano la necessità di una visione improntata sul consolidamento delle nostre alleanze strategiche,

impegna il Governo:

   a proseguire, nello spirito di Ventotene, nell'azione di cambiamento dell'Europa contribuendo a renderla più umana, più giusta, più vicina ai bisogni reali dei cittadini, più coesa e fortemente radicata nei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, a tal fine facendosi promotore – anche in vista dei 60 anni dal Trattato di Roma – di una grande iniziativa per mettere al centro proposte in favore di una nuova governance europea, soprattutto istituzionale e costituzionale, per superare la situazione di stallo e di debolezza dell'Europa, aggravata dall'esito del referendum britannico, con interventi capaci di rinnovare il progetto europeo, accrescere la legittimità democratica e recuperare il consenso dei cittadini;
   a proseguire e a potenziare il ruolo dell'Italia nelle sedi europee quale interlocutore propositivo e propulsivo, affinché il processo di integrazione europea sia contraddistinto da nuove politiche improntate alla crescita, agli investimenti, all'occupazione e alla promozione della cultura;
   a imprimere una rinnovata funzione guida dell'Unione europea sulla scena internazionale, rafforzando la sua autonomia strategica e potenziando le sue capacità operative attraverso il rilancio della prospettiva di una Difesa comune;
   a rendere rapidamente operativo, sulla scia delle proposte italiane, il migration compact europeo, come parte del superamento di fatto del sistema dell'asilo basato sugli Accordi di Dublino, con l'impegno a reperire nuove risorse e diverse fonti di finanziamento comunitarie, tali da rendere efficaci gli accordi di cooperazione e di partenariato con i Paesi terzi e africani, in particolare con quelli di origine e di maggiore transito di flussi migratori e di rifugiati;
   a proseguire nel sostegno, nel quadro delle misure volte a favorire il superamento delle ragioni strutturali dell'immigrazione di tipo economico ed ambientale, a forme di partenariato e di collaborazione economica e sociale, da affiancare agli interventi tipici della cooperazione internazionale, finalizzate alla individuazione di filoni di intervento in cui siano coinvolti gli operatori economici nazionali e dei paesi di destinazione;
   a proseguire nell'azione di orientamento dell'azione dell'Alleanza Atlantica in supporto delle missioni portate avanti dal nostro Paese e dall'Unione europea per il controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale, per il soccorso in mare degli immigrati, per la prevenzione e la repressione dei traffici illeciti gestiti dalle organizzazioni criminali, anche quali forme di destabilizzazione e di finanziamento del terrorismo internazionale;
   a valutare la possibilità di farsi promotore di una nuova strategia di relazioni internazionali volta a orientare e favorire il superamento di comportamenti omissivi o, addirittura, collusivi con il terrorismo internazionale e l'estremismo violento da parte di alcuni Paesi dell'area medio orientale;
   a continuare nell'impegno di contrasto a Daesh all'interno della coalizione internazionale contro il terrorismo;
   a portare avanti le iniziative di collaborazione e condivisione delle intelligence, a livello europeo e transatlantico e con i Paesi della regione, per prevenire e scongiurare la minaccia terroristica nei nostri territori, dedicando una specifica attenzione ed eventuali investimenti per il potenziamento della cybersecurity;
   a proseguire nell'azione di contrasto del radicalismo e del fanatismo religioso, attraverso il costante coinvolgimento delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese e delle diverse confessioni religiose, per la definizione di una vera e propria strategia nazionale, in linea con gli indirizzi definiti in sede comunitaria, dedicando una specifica attenzione alla formazione dei diversi operatori impegnati nella sicurezza nazionale, con particolare riguardo per coloro che svolgono la loro funzione all'interno delle strutture carcerarie o nei centri di accoglienza;
   a confermare, in raccordo con gli altri Paesi dell'Unione e con le istituzioni comunitarie, il giudizio di netta condanna per il golpe ed il tentativo di destabilizzazione della Turchia, quale alleato strategico in un'area di primaria importanza geopolitica, al contempo ribadendo l'indisponibilità a tollerare reazioni non compatibili con la civiltà giuridica europea;
   a perseverare nello sforzo di giungere a una definitiva conciliazione nazionale tra le diverse fazioni attive e operanti in Libia promuovendo un dialogo continuo e a trecentosessanta gradi che non escluda nessuno ma che tenga fermi due obiettivi fondamentali: il rafforzamento del Governo di accordo nazionale e l'integrità territoriale della Libia;
   a portare le questioni relative all'implementazione di una strategia di capacity building per la Libia all'attenzione delle istituzioni comunitarie e più precisamente dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, al fine di giungere ad una politica europea sulla Libia che sia univoca e senza ambiguità;
   a continuare a sostenere quanto il Governo di accordo nazionale farà per contrastare Daesh, anche nel solco di quanto previsto dalla risoluzione n. 2259 del Consiglio di sicurezza;
   a svolgere, in tutte le sedi diplomatiche opportune, qualsiasi iniziativa volta a una rapida attuazione degli accordi di Minsk, in modo da rendere sicura la stabilità statuale dell'Ucraina e al fine di ripristinare normali relazioni economiche e commerciali fra l'Italia e la Russia;
   anche in vista dei molteplici appuntamenti internazionali che vedranno un ruolo centrale per il nostro Paese, a proseguire nell'azione di consolidamento e di rilancio delle alleanze e delle coalizioni internazionali cui partecipa l'Italia.
(1-01337) «Rosato, Lupi, Monchiero, Locatelli, Cicchitto, Quartapelle Procopio, Carrozza, Cassano, Chaouki, Censore, Cimbro, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Garofani, La Marca, Manciulli, Monaco, Moscatt, Nicoletti, Pinna, Porta, Rigoni, Andrea Romano, Sereni, Speranza, Tacconi, Tidei, Villecco Calipari, Zampa, Dambruoso, Alli».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    dal 18 febbraio 2016 sono applicabili agli Stati membri dell'Unione europea le disposizioni di cui al regolamento (UE) n. 83, approvato dalla Commissione il 29 gennaio 2014, recante la disciplina dei tempi di volo, di servizio e di riposo degli equipaggi, con l'eccezione delle attività effettuate da velivoli «aerotaxi» (voli non di linea a domanda con velivoli aventi configurazione posti passeggeri non superiore a 19), velivoli impiegati in attività di emergenza sanitaria (EMS), velivoli impiegati in attività CAT con un solo pilota ed attività effettuata con elicotteri;
    il citato regolamento prevede i requisiti che devono essere soddisfatti da un operatore e dai suoi membri d'equipaggio in merito ai limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti relativi ai tempi di riposo per i membri d'equipaggio, definendo tempi di riferimento, alloggi, tipi di servizi, periodi e relativi riposi, nel minimo e nel massimo, oltre che le responsabilità dell'operatore e dei membri d'equipaggio;
    con specifico riferimento ai tempi di volo ed ai periodi di servizio, la nuova disciplina prevede regimi assai elevati;
    sussistono tuttavia ulteriori ipotesi di aggravio dei tempi di volo e di servizio con la previsione della riduzione dei periodi di riposo minimi e di circostanze impreviste durante le operazioni di volo che possono modificare i limiti sul servizio di volo, il servizio e i periodi di riposo a discrezione del comandante;
    a questo riguardo al titolo 2, ORO.FTL.205 Periodo di servizio di volo (PSV), lettera, in merito alle «Circostanze impreviste durante le operazioni di volo — Discrezionalità del comandante», si prevede un aumento delle ore massime di volo, senza cambiare equipaggio, di due ore;
    l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) è un'agenzia dell'Unione europea a cui sono stati attribuiti dei compiti specifici di carattere normativo ed esecutivo nel campo della sicurezza aerea;
    la missione dell'Agenzia è: fornire innanzitutto un servizio di consulenza tecnica alla Commissione europea, assistendola nella stesura dei regolamenti per la sicurezza aerea in vari settori e fornendo informazioni di carattere tecnico per la conclusione dei relativi accordi internazionali; eseguire certi compiti di carattere esecutivo relativi alla sicurezza aerea, come la certificazione dei prodotti aeronautici e delle organizzazioni coinvolte nella loro progettazione, produzione e manutenzione;
    l'Agenzia europea per la sicurezza aerea è stata istituita dal regolamento del Consiglio (CE) n. 1592/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2002;
    una prima estensione delle competenze dell'Agenzia in materia di operazioni di volo, di certificazione del personale di bordo e di autorizzazione degli operatori di Paesi terzi è stata disposta con il regolamento (CE) n. 216/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che, tra l'altro, ha abrogato il già citato regolamento (CE) n. 1592/2002;
    ai sensi dell'articolo 9 bis del Regolamento (UE) n. 83/2014 della Commissione del 29 gennaio 2014 recante modifica del regolamento (UE) n. 965/2012 che stabilisce i requisiti tecnici e le procedure amministrative per quanto riguarda le operazioni di volo ai sensi del regolamento (CE) n. 216/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, «l'Agenzia effettua un esame continuo dell'efficacia delle disposizioni concernenti i limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti relativi ai tempi di riposo contenuti negli allegati II e III. Entro il 18 febbraio 2019 l'Agenzia presenta una prima relazione sui risultati di questo riesame»;
    la norma ORO.FTL.120 introduce nella regolamentazione FTL il Fatigue Risk Management o gestione del rischio di affaticamento (FRM) ;
    nei casi in cui la FRM sia richiesta dal presente capo o da una specifica di certificazione applicabile, l'operatore deve stabilire, implementare e mantenere una FRM come parte integrale del suo sistema di gestione;
    l'operatore deve adottare delle azioni di mitigazione quando la procedura di garanzia della sicurezza della FRM mostra che il livello di sicurezza richiesto non viene mantenuto;
    il FRMS è un sistema che, grazie alla gestione dei rischi derivati dalla fatica operativa degli equipaggi, permette di deviare, anche parzialmente o per un settore della attività, dalle norme prescrittive previste dalla normativa Parte ORO.FTL;
    il FRMS si sviluppa e si interfaccia con il Safety Management System (SMS) dell'operatore. In accordo alla norma ORO.FTL.125 lo schema di impiego FTL e l'eventuale FRM, devono essere approvati dall'autorità competente;
    lo sviluppo di un FRMS si basa essenzialmente sulla valutazione di riporti ed informazioni acquisite nel tempo, relative all'attività interessata;
    il FRMS si avvale di uno staff di persone responsabili e prevede il diretto coinvolgimento dell'accountable manager per ciò che concerne la disponibilità di risorse umane e finanziarie (Operator's FRM policy);
    il FRMS è soggetto a continuo controllo, gestione e valutazione e monitoraggio delle prestazioni da parte delle persone responsabili, dell’accountable manager, nonché dell'autorità competente (FRM Safety Assurance Processes);
    il monitoraggio continuo delle prestazioni deve garantire un continuo processo di sviluppo e miglioramento degli indicatori (FRM Promotion Process);
    l'ENAC approva il FRMS solo se è dimostrata esistenza, attuazione ed efficacia delle procedure; (L'operatore che, per esigenze operative, intenderà avvalersi di un sistema FRM approvato da ENAC in accordo alla ORO.FTL.120 e al DOC ICAO 9966, dovrà preventivamente implementare un processo interno all'impresa per la valutazione e la gestione dei rischi connessi alle operazioni interessate, secondo i principi dell'FRMS;
    il processo preventivo di FRM interno ha lo scopo di permettere l'individuazione dei rischi, la loro gestione e lo sviluppo del sistema FRM, acquisire dati e informazioni, sviluppare studi scientifici e costituisce un «trial period» che servirà all'operatore al fine di ottenere la successiva approvazione del FRMS steso da parte di ENAC;
    al momento dell'approvazione del FRMS, ENAC terrà conto di quanto svolto dall'operatore nel processo FRM interno svolto in precedenza e valuterà i risultati di safety ottenuti;
    sono quindi gli Stati membri che devono collaborare e provvedere a trasmettere i dati relativi a possibile affaticamento all'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA), secondo l'articolo 9-bis introdotto dalle nuove ORO ftl,

impegna il Governo

anche in relazione alla nuova regolamentazione, ad attivarsi presso l'Enac affinché vengano recuperati i dati e le informazioni di cui necessita l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA), relative a possibile affaticamento ai sensi dell'articolo 9-bis introdotto dalle nuove norme ORO ftl.
(7-01072) «De Lorenzis, Spadoni».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 – «Legge – quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e diritti delle persone handicappate» dispone che «a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa»;
    la circolare Inps n. 211 del 1996 consentiva ai dipendenti delle aziende private di suddividere i tre giorni di permesso mensile esclusivamente in sei mezze giornate, prendendo a riferimento per il calcolo della mezza giornata l'orario di lavoro giornaliero di fatto osservato. In seguito ad indicazioni ministeriali l'Inps ha previsto la possibilità di frazionare in ore i tre giorni di permesso nel limite di 18 ore (messaggio Inps n. 15995/2007);
    successivamente il messaggio dell'Inps 18 giugno 2007, n. 15995 avente ad oggetto «Frazionabilità dei permessi giornalieri di cui al comma 3 della legge n. 104 del 1992 – modifica criteri» l'Inps rende noto che «al fine di fornire una soluzione unitaria al problema della frazionabilità dei permessi lavorativi dei familiari di portatori di handicap grave, data la diversa soluzione interpretativa adottata dagli enti previdenziali, Inps e Inpdap, con proprie circolari (Inps n. 211 del 1996 e Inpdap n. 34 del 2000), il Ministero del lavoro e della previdenze sociale, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso di cui al comma 3 della legge n. 104 del 1992, anche frazionandoli in permessi orari. Tale frazionamento, comunque, non potrà portare al superamento delle 18 ore mensili. Ciò premesso, con decorrenza immediata, le sedi dovranno uniformarsi all'orientamento interpretativo Ministeriale sopra esposto»;
    con il successivo messaggio n. 16866 del 28 giugno 2007, l'Inps affronta nuovamente la questione della frazionabilità dei permessi fornendo ulteriori istruzioni per il calcolo del numero massimo di ore fruibili nel mese;
    a tale proposito l'Inps ribadisce che il limite orario mensile opera solo se i permessi sono utilizzati, anche solo parzialmente, frazionandoli in ore e non in giornate intere. Il massimale di diciotto ore si applica esclusivamente ai lavoratori con orario di lavoro di trentasei ore settimanali articolato in 6 giorni lavorativi. Al fine di quantificare il numero massimo di ore mensili di permesso Inps indica un algoritmo di calcolo da applicare alla generalità dei lavoratori con orario normale di lavoro determinato su base settimanale;
    per i dipendenti della pubblica amministrazione, la frazionabilità dei tre giorni di permesso nel limite di 18 ore mensili è prevista dalla circolare INPDAP n. 34 del 10 luglio 2000 che, al punto 4.2 dispone che «... I medesimi soggetti hanno diritto, in luogo dei tre giorni di permesso in esame, al corrispondente frazionamento orario nei limiti delle diciotto ore mensili. La fruizione parziale dei giorni di permesso, o delle ore previste in alternativa, non da diritto al godimento del residuo nel mese successivo»;
    la circolare del ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione – ufficio personale pubbliche amministrazioni servizio trattamento del personale, 5 settembre 2008, n. 8 chiarisce che «In base al combinato disposto dell'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e dell'articolo 20 della legge n. 53 del 2000, soggetti legittimati alla fruizione di permessi sono i genitori e parenti o affini entro il terzo grado che assistono una persona con handicap in situazione di gravità, conviventi o, ancorché non conviventi, se l'assistenza è caratterizzata da continuità ed esclusività. Secondo l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 in esame, i genitori di figli con handicap grave e gli altri soggetti legittimati possono fruire di tre giorni di permesso mensile. In questa ipotesi la legge non prevede alternativa rispetto alla tipologia di permesso, che è giornaliero. Tuttavia in alcuni contratti collettivi, per venire incontro alle esigenze dei lavoratori che prestano assistenza, è stato stabilito che tali permessi giornalieri possono essere fruiti anche in maniera frazionata, cioè ad ore, ed è stato fissato il contingente massimo di ore (18). Anche in questo caso vale il ragionamento sopra esposto: poiché questi permessi giornalieri sono disciplinati direttamente dalla legge, è la legge stessa che dovrà stabilire un eventuale monte ore, mentre il contingente delle 18 ore previsto dal Contratto collettivo nazionale di lavoro vale solo nel caso in cui il dipendente opti per una fruizione frazionata del permesso giornaliero»;
    la circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 13 del 2010, «Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità – banca dati informatica presso il Dipartimento della funzione pubblica – legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 24», in merito al frazionamento in ore dei permessi giornalieri rinvia alla circolare del dipartimento funzione pubblica n. 8 del 2008 paragrafi 2.2 e 2.3 «dove si ribadisce che il limite delle 18 ore mensili è da applicarsi solo nel caso in cui i permessi si utilizzano in modo frazionato e che questa possibilità sia prevista dal contratto di lavoro»;
    per il personale del servizio sanitario nazionale, l'articolo 21, comma 6, del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 1o settembre 1995, del comparto sanità (e negli analoghi delle aree dirigenziali) sui permessi retribuiti si limita a richiamare l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per stabilire che tali permessi non sono computabili ai fini del raggiungimento dei limiti ivi fissati e che non riducono le ferie ma non prevede la possibilità di fruirne ad ore;
    per il personale del comparto scuola il Contratto collettivo nazionale di lavoro del 29 novembre 2007, all'articolo 15, comma 6, si limita a far presente che «i permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 sono retribuiti come previsto dall'articolo 2, comma 3-ter, del decreto-legge 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge 27 ottobre 1993 n. 423, e non sono computati ai fini del raggiungimento del limite fissato dai precedenti commi né riducono le ferie; essi devono essere possibilmente fruiti dai docenti in giornate non ricorrenti»;
    l'Aran dichiara che la modalità di fruizione in ore di tali permessi, ad oggi, non può essere accordata al personale afferente al comparto università;
    l'articolo 9, comma 3, lettera c), del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001, del comparto Ministeri prevede che «i permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, non sono computati ai fini del raggiungimento del limite fissato dai precedenti commi e non riducono le ferie e possono essere fruiti anche ad ore nel limite massimo di 18 ore mensili»;
    i dipendenti del comparto regioni ed autonomie locali relativamente ai permessi dell'articolo 33 della legge n. 104 del 1992, il lavoratore interessato può fruire anche ad ore, ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 6 luglio 1995, dei tre giorni di permesso;
    i Contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto scuola e del comparto sanità e università non prevedono la possibilità per i dipendenti di usufruire in modo frazionato di permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, a differenza dei dipendenti del comparto Ministeri e del comparto regioni ed autonomie locali;
    i tre giorni di permesso ex lege n. 104 del 1992, fruibili sia dal lavoratore disabile per se stesso, che dal familiare che presta assistenza, possono essere fruiti anche in modo frazionato non da tutte le categorie di dipendenti, ma solo dai dipendenti del settore privato e dai dipendenti di alcuni comparti, creando di fatto una diseguaglianza tra i lavoratori,

impegna il Governo

ad avviare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di consentire a tutti i lavoratori, legittimati dall'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, a fruire anche un modo frazionato dei permessi garantiti dalla legge n. 104 del 1992, indipendentemente dal Contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento.
(7-01073) «Cominardi, Mantero, Tripiedi, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Colonnese, Nesci, Lorefice».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la situazione relativa alla condizione femminile nella Turchia di Erdogan era già critica prima del golpe del 15 luglio, tant’è che la CEDAW nei giorni precedenti al golpe aveva incontrato una delegazione turca proprio per una valutazione rispetto ai diritti delle donne in Turchia;
   la Turchia è una società sempre meno laica e sempre più machista che in pochi i ha cancellato la presenza femminile dalla politica, mercato del lavoro e dall'economia;
   il presidente Erdogan ha esternato spesso sul fatto che l'uguaglianza di genere è una storpiatura, potenziale deriva della società e ragione delle violenze: le donne – ha detto Erdogan – sono madri ed educatrici (per cui quelle senza figli sono «incomplete, deficienti») e non sono uguali agli uomini sostenendo che sia «contro natura»;
   altrettanto difficile immaginare che la piazza che lo acclama sia distante da simili convinzioni La denuncia arriva da associazioni femministe e organizzazioni di donne: gli abusi sessuali e le minacce si moltiplicano con le piazze piene di sostenitori dell'Akp e squadre punitive alla caccia di traditori;
   il gruppo parlamentare delle donne dell'Hdp, il Partito democratico dei popoli, lancia l'allarme: «La mentalità militarista e maschilista» che domina la politica turca sta causando un pericoloso ciclo di violenze, «la lotta [al putsch] non è stata per la democrazia, ma per il potere». «Il golpe, l'arretratezza dell'Akp, i raid jihadisti, tutti hanno come target le donne», scrive l'University Women's Collective;
   in questi giorni molte sono le descrizioni di abusi sessuali e di minacce di stupri alle familiari di presunti golpisti, atti fisici e verbali che riducono la donna e il suo corpo a mero bottino di guerra. Una china preoccupante che ha le sue radici nella profonda e repentina trasformazione della società turca: da anni il numero di femminicidi è in costante aumento (+1400 per cento dal 2003 al 2010, 1.134 dal 2010 al 2015, con il picco di 413 proprio lo scorso anno), insieme al tasso di violenze sessuali;
   contemporaneamente a calare è il tasso di occupazione femminile e quello di partecipazione politica. La misura l'hanno data le elezioni anticipate di novembre: se la sinistra pro-kurda dell'Hdp ha ulteriormente incrementato il numero di candidate, tra le fila dell'Akp (il partito del presidente) le donne sono quasi scomparse, 69 su 550 candidati. Una presenza evanescente: nel Governo c’è solo una ministra, in 43 città nessuna donna è presente nel consigli comunali;
   nel mercato del lavoro, dopo la caduta a picco post-2002 (quando l'Akp divenne forza di Governo), il tasso di occupazione femminile ha cominciato a risalire dal 2008. Alla partecipazione non corrisponde però un miglioramento delle condizioni di lavoro e di carriera: le donne sono impiegate per lo più nell'educazione, la sanità e l'agricoltura, hanno salari inferiori a parità di livello e sono più soggette ad entrare nel mercato senza tutele del lavoro nero; restano lontane dai vertici di aziende pubbliche e private e sono totalmente assenti dagli alti ranghi delle forze armate;
   il World Economic Forum ha pubblicato un dato sconcertante: nel 2015 la Turchia è 130o su 140 Paesi per tasso di disparità tra generi, ultima tra i paesi cosiddetti sviluppati. «La misoginia dell'Akp non è una novità – commenta la giornalista Burcu Karakas – Ci aspettano giorni difficili. Tutto sarà più duro con questo radicamento del conservatorismo». Alle politiche governative e alle violenze tra le mura domestiche e nelle strade, si è aggiunta in questi giorni un'altra – inattesa – spada di Damocle: le rivelazioni di Wikileaks;
   fra i documenti pubblicati dal sito ci sono infatti informazioni dettagliate su milioni di cittadini turchi. A destare preoccupazione è uno speciale database «femminile»: informazioni sulle donne di 79 province su 81 sono state rese pubbliche. Numeri di telefono, indirizzi di casa, nel caso di donne membri dell'Akp anche i numeri di carte d'identità. A cosa sia servita una simile pubblicazione resta un mistero: le uniche vittime sono cittadini e cittadine, visto che tra le mail non c’è nulla proveniente da Erdogan e dal suo entourage;
   nei giorni scorsi la notizia della disposizione dell'Alta Corte di Istanbul in base alla quale i reati di pedofilia, e nello specifico commessi nei confronti di minori di 15 anni, sono da considerare alla stregua di abusi sessuali ordinari. Una legge che potrebbe avere dei risvolti devastanti: già ora, 3000 uomini accusati di stupro di minori hanno sposato le loro giovani vittime, pur di sfuggire alla pena;
   tutto quanto riportato è in palese violazione con quanto disposto dalla Convenzione di Istanbul –:
   quali azioni il Governo intenda porre in essere nei confronti della Turchia in merito alla palese violazione della Convenzione di Istanbul sottoscritta dalla Turchia nel 2011 ratificata nel 2012 ed entrata in vigore nel 2014 e pertanto strumento giuridicamente vincolante;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di attivarsi in sede europea e internazionale, per portare l'attenzione su quanto sta accadendo in Turchia al fine di ottenere prese di posizione condivise capaci di fermare o mitigare quanto esposto in premessa;
   se il Governo non ritenga di richiamare per consultazioni l'ambasciatore italiano in Turchia magari coordinando misure simili con altri Paesi europei e extraeuropei;
   come si concili la posizione del Governo nei confronti della Turchia con le posizioni assunte dall'Italia nei confronti del rispetto della Convenzione di Istanbul.
(2-01449) «Martelli, Costantino, Duranti, Gregori, Nicchi, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Airaudo, Franco Bordo, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, NESCI, GRILLO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 nell'Unione Europea il cancro è stato responsabile della morte di quasi 1,3 milioni di persone e in Italia il 30 per cento dei decessi è causato proprio da questa patologia con una spesa per i farmaci antineoplastici che nel 2014 si è collocata al primo posto;
   gli italiani vivi dopo una diagnosi di tumore nel 2010 sono stati stimati in 2.587.347, pari al 4,4 per cento della popolazione. Nel 2015, sono stati diagnosticati, secondo le elaborazioni dell'Associazione italiana registri tumori (Airtum), 366 mila nuovi casi di tumore, cioè circa mille nuovi casi al giorno; decessi sono stati 175 mila, il 30 per cento del totale e la seconda causa di morte nel Paese; i pazienti in cura sono stati 3 milioni;
   i costi di questa malattia investono solamente il settore socio-sanitario: nel 2014 i tumori hanno rappresentato la causa prima del riconoscimento degli assegni di invalidità e delle pensioni di inabilità con un trend in costante crescita nel corso degli ultimi anni;
   secondo l'International Classification of Functioning Disability and Healt dell'Organizzazione mondiale della sanità, nonostante la realtà e i numeri, la riabilitazione oncologica continua ad essere inclusa in modo frammentato all'interno di diverse tipologie riabilitative riferite ad altri gruppi di patologie. Questa soluzione appare inaccettabile, in quanto condanna il paziente a un percorso riabilitativo discontinuo, frammentato, parziale, focalizzato esclusivamente sul recupero della funzione fisica lesa dalla malattia e non sul completo recupero cognitivo, psicologico, sessuale, nutrizionale e sociale;
   nello schema del decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di prossima approvazione, non è stata inserita tra le prestazioni e i servizi garantiti ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale la riabilitazione oncologica; di fatto sono state ignorate le evidenze scientifiche, i dati sulla prevalenza e sulla guarigione da tumore in Italia, le proiezioni sul numero di persone in vita dopo una diagnosi di tumore recente o lontana nel tempo;
   in questo modo i costi economici e sociali dell'assistenza della riabilitazione oncologica continuerebbero ad essere a carico delle famiglie;
   solo un progetto riabilitativo multiprofessionale può garantire il completo reinserimento della persona nel suo percorso di vita e, senza la previsione specifica della riabilitazione oncologica nel decreto che aggiornerà i livelli essenziali di assistenza, le disparità territoriali nell'accesso alle prestazioni e ai servizi ad essa connessi aumenteranno mettendo a dura prova la coesione sociale. Senza le attività necessarie per la presa in carico dei malati guariti o cronicizzati, si allungherà l'elenco dei diritti negati;
   già nel 2015 la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e l'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) avevano chiesto, invano, al Governo di riconoscere la riabilitazione oncologica nella sua specificità e non di includerla all'interno di altre tipologie riabilitative;
   quasi il 5 per cento della popolazione del nostro Paese vive una diagnosi di cancro come ricordato da con Carmine Pinto, presidente Aiom;
   ben 2 milioni di cittadini possono dire di aver sconfitto la malattia. Questi sono numeri importanti che evidenziano la necessità di aggiornare la tipologia di assistenza che viene data ai pazienti oncologici, offrendo loro non solo le migliori terapie, ma anche una buona qualità di vita durante e dopo le cure;
   purtroppo, ancora troppi oneri sono a carico delle famiglie, che devono spesso provvedere a proprie spese all'assistenza al parente in difficoltà –:
   se il Governo non ritenga necessario e doveroso modificare la bozza dello schema di decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza affinché possa essere garantita un'adeguata assistenza a tutti i cittadini che hanno avuto una diagnosi di cancro e se non ritenga opportuno riservare nel testo del decreto almeno un'area specifica per le attività e i servizi compresi nella riabilitazione oncologica. (4-13988)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione n. 1907 del 2 novembre 2015 la giunta della provincia autonoma di Trento ha provveduto alla soppressione della scuola elementare di Soraga, presidio scolastico di insegnamento in lingua ladina presso l'omonimo comune della Val di Fassa. La predetta deliberazione è stata oggetto dell'interrogazione 4/11263 ed è tuttora senza risposta;
   con parere del 14 dicembre 2015 l'Autorità per le minoranze della provincia di Trento, la quale è stata istituita con legge provinciale 19 giugno 2008, n. 6, al fine di esercitare i poteri di valutazione, vigilanza e di ispezione per la corretta attuazione della normativa di tutela e promozione delle minoranze linguistiche, si auspica che la giunta provinciale intenda derogare all'assunzione del provvedimento di chiusura, almeno sino al momento dell'effettiva attuazione in tutte le scuole di valle del piano plurilingue, già previsto dalla Scola Ladina de Fascia. Il tutto a garanzia dell'effettiva tutela e promozione della lingua minoritaria. Nel parere l'Autorità motiva il parere evidenziando che il percorso formativo (cosiddetto bilinguismo) intrapreso dagli alunni di Soraga nei precedenti anni scolastici è connotato da elementi di specificità rispetto ai percorsi adottati nelle altre scuole di Moena e di Vigo e, secondo quanto appreso, lo stesso ha riportato esiti di peculiare successo ed efficacia in tema di valorizzazione della lingua minoritaria, utilizzata nel predetto progetto, quale lingua veicolare. È stato altresì riscontrato un positivo collegamento in continuità con la scuola materna di Soraga. L'Autorità ritiene inoltre che un'eventuale chiusura della scuola di Soraga non dovrebbe avvenire prima dell'effettiva introduzione, in tutte le scuole della valle di Fassa, del percorso plurilingue (italiano, ladino, tedesco e inglese), percorso che allo stato non è ancora attivato e che consentirebbe agli alunni di Soraga una sorta di continuità con quello intrapreso negli anni precedenti. Infine, l'Autorità esprime la preoccupazione di disperdere i risultati del progetto formativo specifico della scuola di Soraga preso atto delle necessità riorganizzative di Vigo e del fatto che l'attuazione del progetto plurilingue nella scuola di Moena appare di non immediata e facile esecuzione;
   il consiglio comunale di Soraga con voto unanime approva la delibera n. 52 del 30 novembre 2015 a favore del mantenimento della scuola. In allegato alla stessa vi è il documento a difesa della scuola elementare di Soraga nel quale si ribadisce l'appello a non sopprimere la scuola per evitare di interrompere il processo di crescita degli alunni iscritti che hanno peraltro dimostrato una preparazione pari se non superiore alla media degli alunni degli altri plessi scolastici. Il documento è stato sottoscritto da tutti i sindaci della valle di Fassa e dalla Procuradora del Comun General de Fascia oltre che da 845 cittadini;
   in data 13 gennaio 2016 (prot.n. A001/14338/16DF-es) il presidente della provincia autonoma di Trento invia una nota al coordinatore del Comitato Amici della scuola di Soraga confermando la scelta adottata nella suddetta delibera e ritenendo che, a differenza di quanto espresso dall'Autorità per le minoranze, la Scola Ladina de Fascia ha fornito ogni più ampia garanzia circa l'adozione di impostazioni organizzative volta a tutelare l'apprendimento della lingua di minoranza con garanzia di prosecuzione dei percorsi formativi intrapresi negli anni scorsi;
   a far data dal 1o marzo 2016 il sindaco del comune di Soraga comunica al Comitato Genitori Amici della Scuola di Soraga (prot. n. 703) che, in riferimento alla lettera del 25 gennaio 2016 n. 241 al presidente della provincia avente ad oggetto la chiusura della scuola di Soraga, non è pervenuta alcuna risposta da parte del presidente della provincia autonoma di Trento. Ciò nonostante la telefonata del 26 febbraio 2016 per sollecitare riscontro;
   in data 4 marzo 2006 il Comitato presenta ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ai sensi degli articoli 8 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 1199 del 1971 e dell'articolo 3, comma 4, della legge 205 del 2000 con notifica presso corte d'appello di Trento prot. n. 2338 del 4 marzo 2016 e versamento contributo unificato iscrizione a ruolo del 3 marzo 2016. Il ricorso è contro la provincia autonoma di Trento per l'annullamento parziale, previa sospensiva, della suddetta deliberazione provinciale 1907 del 2015. Il Comitato ritiene che per la comunità ladina della valle di Fassa vi sia stata una disparità di trattamento rispetto alla minoranza linguistica cimbra, la quale non ha subito provvedimento di soppressione di sedi scolastiche all'interno della parte del primo ciclo di istruzione. Nel ricorso il comitato richiama all'attenzione anche il suddetto parere dell'Autorità per le minoranze e la contrarietà del consiglio comunale di Soraga alla chiusura e, sotto il profilo procedurale, evidenzia i vizi di pubblicazione della deliberazione provinciale 1907 del 2015, la quale non reca segnatura di protocollo ministeriale, né estremi di pubblicazione; non è stata infatti pubblicata sul bollettino ufficiale regionale pur essendo un piano di sviluppo, e non reca inoltre gli estremi per l'eventuale ricorso;
   in data 4 marzo 2016 il Comitato invia copia degli atti del ricorso al Presidente della Repubblica a mezzo del Ministero dell'interno, affari interni e territoriali – ufficio III affari legali e contenzioso lanciando un appello per chiedere un intervento volto al rispetto dei diritti delle minoranze affinché l'Italia rimanga sempre esempio di democrazia;
   l'articolo 6 della Costituzione sancisce che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per favorire la tutela dei diritti costituzionali delle minoranze, che potrebbero essere compromessi da iniziative come quella della chiusura della scuola sopracitata, almeno sino al momento dell'effettiva attuazione in tutte le scuole di valle del piano plurilingue, già previsto dalla Scola Ladina de Fascia. (4-13991)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione» che modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania, sopprimendo il secondo livello di valutazione da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;
   con la citata legge, approvata il 31 maggio 2016, il presidente della giunta nomina il direttore generale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni ed è stata quindi soppressa la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nomini il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso;
   il Presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, nelle riunioni di giunta del 13 e 20 luglio 2016, ha provveduto sulla base della nuova legge varata dalla regione alla nomina dei direttori generali: dell'Asl Napoli 1, dell'Asl Napoli 2, dell'Asl Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'Asl Caserta, dell'Asl Salerno;
   a seguito dell'interpellanza urgente 2-01388 e dell'interrogazione a risposta immediata in commissione 5-09157 sono stati illustrati i profili di incostituzionalità della citata legge regionale per palese contrasto con le norme nazionali ovvero con il decreto legislativo n. 502 del 1992 e con la legge n. 124 del 2015 (cosiddetta delega Madia), norme entrambe che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;
   in occasione della discussione della citata interpellanza, il sottosegretario alla salute Vito De Filippo, ha fatto presente che nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sarà garantita la massima attenzione tenuto conto della materia così delicata come quella indicata dalla interpellanza sopra richiamata del M5S ed ha aggiunto che riguardo ai profili d'incostituzionalità sia fondamentale, anche soprattutto proprio la citata «legge delega Madia» e lo schema di decreto legislativo di imminente attuazione (poi varato il 28 luglio 2016);
   in riferimento all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-09157, riferita alla legge della regione Campania n. 15 del 2016, il Ministero della salute ha comunicato che, in data 6 luglio 2016, ha evidenziato la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento affari regionali – com’è noto la decisione finale di impugnare la medesima legge compete al Consiglio dei ministri;
   il 28 luglio 2016 Consiglio dei ministri ha varato il decreto legislativo in applicazione dell'articolo 11, lettera p) della legge delega sulla pubblica amministrazione, che detta i criteri per il conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, e di direttore dei servizi sociosanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;
   le regioni potranno procedere a nominare direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale che fisserà una rosa di 3-5 nomi da sottoporre al presidente della regione;
   il decreto istituisce l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. L'elenco, istituito presso il Ministero della salute, dovrà essere aggiornato con cadenza biennale;
   nel decreto sono individuati anche requisiti necessari per ricoprire le cariche apicali in sanità: un età inferiore a 65 anni, possedere un'esperienza almeno quinquennale maturata nella sanità o settennale in altri settori, sia nel pubblico che nel privato, aver conseguito l'attestato relativo al corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria attivato dalla regione, essere incluso nell'apposito elenco nazionale (con un punteggio da 75 a 100) e entro due anni dovrà raggiungere gli obiettivi prefissati dalla programmazione regionale. E chi decade per aver violato gli obblighi di trasparenza non potrà più entrare nell'elenco nazionale;
   il Premier Matteo Renzi, ha commentato dopo l'approvazione da parte del Governo del decreto legislativo che detta i criteri per la nomina dei manager in sanità «Mai più la sanità nelle mani della politica peggiore. Il tema è la trasparenza, il merito, le persone giuste alla guida della sanità»;
   il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, al termine del Consiglio dei ministri ha affermato «Abbiamo deciso di puntare a nuovi modelli di selezione dei manager della sanità. Il metodo che applichiamo privilegia merito e trasparenza»;
   lo stesso giorno in cui è stato varato dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo che detta criteri più trasparenti per la nomina dei vertici sanitari, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n. 15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta nomina direttamente il direttore generale e sopprima il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali –:
   quali siano le ragioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n. 15 del 2016, nonostante i profili di incostituzionalità rilevati dallo stesso Ministero della salute e l'esigenza di una maggiore indipendenza dalla politica delle nomine apicali in sanità, dichiarata lo stesso giorno dal Presidente del Consiglio dei ministri come riportato in premessa. (4-13996)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale del Mercure, oggetto di tre atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante ad oggi senza risposta, è in attività grazie ad una autorizzazione rilasciata dalla regione Calabria il 24 novembre 2015 – decreto n. 13359 – che prevede l'osservanza di tutta una serie di prescrizioni vincolanti. L'ente parco, su iniziativa del dottor Ferdinando Laghi, componente del consiglio direttivo del Parco nazionale del Pollino, ha da tempo sollecitato ad Enel assicurazioni circa l'avvenuto adempimento di tali prescrizioni, nonché una audizione della stessa Enel, ad oggi ancora priva di riscontro, presso il consiglio direttivo per avere delucidazioni su tale ottemperanza, oltre che su aspetti ulteriori riguardanti il funzionamento della centrale;
   a Castrovillari (CS), il 25 luglio 2016, si è tenuto il consiglio direttivo dell'ente parco nazionale del Pollino nel quale, tra gli altri ordini del giorno, si è discussa l'approvazione dello statuto dell'Osservatorio ambientale sull'attività della centrale Enel del Mercure, nonostante la seduta fosse stata preceduta dalla consegna da parte del dottor Laghi di richiesta di rinvio per mancato rispetto dei termini di convocazione oltre che per incompleto inoltro della documentazione relativa ai vari punti. La seduta si è svolta ugualmente con la giustificazione di una convocazione di urgenza non formalizzata, tuttavia, per tempo, come la prassi richiede;
   l'implementazione di un progetto «vede i componenti dell'osservatorio legati a Enel da un doppio filo: innanzitutto perché “è finanziato dalla stessa Enel con 100 mila euro all'anno per otto anni; e poi perché l'associazione è composta da coloro i quali ricevono da Enel i soldi previsti dall'accordo, ovvero 750 mila euro una tantum per le regioni Calabria e Basilicata e 1 milione e 100 mila euro per otto anni per i comuni”. Al parco andranno (articolo 7 accordo di compensazione) 500.000 euro l'anno per otto anni. Ciò genera una situazione nella quale il “controllore coincide con il controllato”». Tutto ciò, ovviamente, rende risibile ogni pretesa di indipendenza dell'Associazione (alias osservatorio ambientale), in quanto è difficile immaginare che Enel operi investimenti economici di tale rilievo che possano ritorcersi contro i propri interessi. A quanto sinora asserito si aggiunga che l'Osservatorio pagato da Enel sarebbe ospitato nella sede dell'ente parco il cui presidente per statuto diverrebbe anche il presidente del consiglio di amministrazione dell'Osservatorio;
   il vicepresidente di Isde Italia, partendo dal presupposto rappresentato dal parere negativo sull'impianto espresso dal direttore, ha chiesto notizie sulla deroga al piano del parco che prevede che all'interno del suo territorio una «centrale elettrica abbia la potenza inferiore ai 3 MW e non gli attuali 41 MW». Il primario lamenta, altresì, “un'assoluta marginalità del direttore dell'osservatorio, cui lo statuto conferisce solo meri poteri consultivi, non vincolanti e senza alcun potere decisionale”. Proprio per questo “dubita che una personalità di assoluto prestigio si presti a ricoprire un incarico, per un ente per giunta sub giudice, senza alcun potere concreto in quanto non avrà autorità né autorevolezza”»;
   un altro aspetto su cui il rappresentante del Forum «Stefano Gioia» chiede spiegazioni ha riguardato il controllo a campione delle biomasse, ricordando che il «quantitativo introdotto all'interno del parco porta con sé una serie di specie animali e vegetali alloctone che vanno sicuramente a ledere le biodiversità». Citando gli esempi «di funghi e zanzara tigre non certo appartenenti alle specie autoctone (alcuni parlano anche della xylella e del punteruolo rosso n.d.r.)», ma «introdotti nell'ecosistema locale proprio dal trasporto del ceppato proveniente da chissà dove, perché è impossibile reperire nelle zona, o nell'intero Mezzogiorno, la biomassa necessaria ad alimentare l'impianto»;
   la costituzione dell'Osservatorio ambientale, collide, irrimediabilmente, con il dissenso espresso dall'organo tecnico-gestionale (direttore ente parco) dello stesso ente che ora si fa promotore della costituzione dell'osservatorio, avvalorando e prestando pericolosa acquiescenza ad una situazione di fatto (funzionamento della centrale in spregio delle condizioni poste alla riattivazione) su cui pendono ricorsi ed esposti giudiziari. Il provvedimento autorizzativo è sub judice in quanto verrà esaminato dal Tar di Catanzaro il prossimo ottobre;
   l'osservatorio ambientale è stato definito «uno specchietto per le allodole». A parere dell'interrogante bisognerebbe valutare l'iniziativa nell'ottica dei vantaggi per le popolazioni coinvolte in termini di difesa dei beni comuni quali ambiente, salute, occupazione, mentre, invece, si assiste alla solita dipendenza dai potentati politico economici;
   un simile organismo, secondo l'interrogante, per come è stato concepito e organizzato, non ha alcuna attendibilità né rilevanza tecnico-scientifica. La sua attività risulterebbe un mero duplicato di quanto già viene svolto da Enti istituzionali (come ad esempio le Arpa). Se si ritiene che l'attività e, ancor prima, l'opportunità della presenza della centrale Enel debba essere tecnicamente valutata - per la tutela della salute delle popolazioni della Valle del Mercure e della biodiversità del parco del Pollino – un mezzo realmente efficace è quello della valutazione di impatto sanitario (VIS), strumento potente e universalmente ritenuto adeguato in casi del genere, non solo per l'aspetto sanitario, ma anche per quello di impatto generale, ivi compreso quello ambientale ed economico, nonché, inoltre, in ambito di programmazione economica. E una VIS, ovviamente a centrale ferma, è stata esplicitamente richiesta già da circa 2 anni dall'allora presidente dell'ordine dei medici della regione Basilicata, oltre che da società scientifiche internazionali, riconosciute dall'OMS (ISDE Internazionale) –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla vicenda riportata in premessa e se non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza affinché venga sospesa ogni attività valutativa concernente la centrale prima dell'audizione dell'Enel e sia procrastinata la valutazione degli adempimenti relativi all'Osservatorio ambientale a dopo il pronunciamento del TAR;
   se non si ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché, per sanare il conflitto di interesse in essere, Enel non finanzi l'osservatorio, ma siano tutti gli associati a partecipare, in
proporzione ai propri bilanci provvedendo alla costituzione di una commissione VIS che, a centrale ferma, avvii la procedura valutativa;
   se non si intenda garantire piena conoscenza della relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 e, in caso contrario, quali siano i fattori ostativi che non consentano di ottemperare a tale richiesta. (4-14000)


   NESCI, PARENTELA e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissario per l'attuazione del piano di rientro, Massimo Scura, convocò, per il 9 febbraio 2016 alle ore 9, il direttore generale del dipartimento politiche della salute della regione, Riccardo Fatarella, il direttore generale dell'asp di Catanzaro Giuseppe Perri e il presidente della commissione dell'asp di Crotone per l'autorizzazione e l'accreditamento, Luigi d'Orazio;
   la convocazione di tale incontro segui alla redazione del verbale relativo alla verifica del possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi presso l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, ossia il policlinico dell'ateneo del luogo;
   il verbale in parola, redatto in data 20 gennaio 2016 dalla competente commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento, fu trasmesso all'asp di Catanzaro il 21 gennaio 2016;
   la legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, al comma terzo dell'articolo 65 prescrive: «L'accreditamento definitivo di singoli reparti e servizi di strutture delle aziende sanitarie o di singoli reparti o servizi delle aziende ospedaliere già attivi, riconvertiti o ristrutturati nonché delle sperimentazioni gestionali di cui all'articolo 9-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, è differito alla ultimazione degli adeguamenti complessivi delle strutture dove gli stessi sono collocati. Pertanto dalla loro attivazione le stesse strutture devono essere considerate provvisoriamente accreditate. I nuovi servizi realizzati, nell'ambito di processi parziali di riconversione in atto e in coerenza con le indicazioni del P.S.R. e degli atti aziendali, devono parimenti essere considerati provvisoriamente accreditati nelle more dell'accreditamento complessivo delle strutture all'interno delle quali sono collocati»;
   il decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010 stabilisce, modificando con l'articolo 4 l'apposito regolamento n. 13 del 2009, che «gli atti di autorizzazione sanitaria all'esercizio e di accreditamento istituzionale sono rilasciati dalla Regione alle strutture sanitarie, socio-sanitarie, nonché ai singoli professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente al possesso dei requisiti individuati dal regolamento 1o settembre 2009, n. 13, sulla base delle verifiche svolte in ambito aziendale dalle commissioni aziendali e dal conseguente parere del legale rappresentante dell'azienda sanitaria, fermo restando a definizione del fabbisogno e del volume delle attività individuate dalla programmazione regionale»;
   lo stesso decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, modificando, con l'articolo 4, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che: «La commissione aziendale, ad esito della verifica effettuata presso gli studi dei singoli professionisti e presso le strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, elabora la propria relazione di verifica e la inoltra al legale rappresentante dell'azienda sanitaria che, a sua volta, la trasmette alla regione, all'interno dell'atto deliberativo attestante il previsto parere. La regione, ad esito del procedimento e sulla base della preventiva verifica sulla conformità delle prestazioni rispetto al fabbisogno di assistenza definito dagli atti di programmazione regionale, può rilasciare: il parere sulla compatibilità del progetto, in caso di autorizzazione alla realizzazione; l'autorizzazione sanitaria all'esercizio; l'accreditamento istituzionale»;
   in merito all'applicabilità delle predette norme, lo stesso decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, modificando con l'articolo 5, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che «il presente regolamento disciplina le procedure espressamente attivate dal dipartimento regionale tutela della salute e politiche sanitarie e trasmesse alla commissione dal direttore generale ovvero dal rappresentante legale delle aziende sanitarie»;
   con nota del 5 agosto 2015, prot. n. 241005, il direttore generale del dipartimento regionale della Calabria per la tutela della salute, professor Riccardo Fatarella, comunicò ai deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela – i quali avevano rappresentato gli esiti della loro visita del 13 luglio 2015 presso l'unità operativa di cardiochirurgia di cui sopra – l'attivazione della «procedura di verifica del possesso dei requisiti di legge presso l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro», all'uopo allegando la nota – prot. n. 240607 del 5 agosto 2015 del dirigente per l'accreditamento, dottor Salvatore Lopresti, trasmessa al commissario straordinario dell'asp di Crotone, al commissario straordinario dell'asp di Catanzaro dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute, nonché commissario straordinario dell'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» Catanzaro (policlinico universitario);
   alla luce della normativa sopra richiamata non vi è dubbio – come osservato nell'interpellanza urgente n. 2-01277, presentata dalla prima firmataria del presente atto il 16 febbraio 2016 nella seduta n. 570 e svolta il 19 febbraio 2016 – che la commissione di controllo dei requisiti dell'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro sia stata inviata nel rispetto delle norme vigenti, dal dirigente regionale di competenza e in ossequio alla disciplina sull'accreditamento di cui alla citata legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, e al decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010, che, per come sopra citato, compendia l'articolo 12 della legge n. 24 dei 2008 in materia di regolamento circa «le modalità operative ed i criteri per la composizione delle commissioni aziendali per l'autorizzazione sanitaria e l'accreditamento»;
   a fortiori, l'articolo 12 del regolamento per l'accreditamento, innovato e recepito dal decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010 – adottato, come figura in premessa, sulla base del verbale della riunione interministeriale del 27 ottobre 2010 in cui «Tavolo e Comitato ritengono inopportuno e fonte di possibili conflitti di competenza affidare la verifica dei requisiti a commissioni costituite da dipendenti dell'azienda le cui strutture necessitano di verifica» — contiene lo schema delle verifiche di competenza, da cui emerge con chiarezza che la commissione dell'asp di Crotone effettua le verifiche per l'asp di Catanzaro, la quale, stando all'articolo 12 della legge n. 24 del 2008, come le altre aziende sanitarie provinciali attiva, «avvalendosi delle proprie strutture ordinarie, nonché delle commissioni di cui all'articolo 12 sistemi di controllo di verifica sia sulla permanenza dei requisiti strutturali, organizzativi e professionali che, relativamente alle strutture pubbliche e private accreditate, sull'appropriatezza delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate, disponendo le occorrenti attività ispettive almeno ogni due mesi a campione»;
   dell'attivazione della riferita procedura di controllo era al corrente il direttore generale dell'asp di Catanzaro, avendo ricevuto apposita comunicazione del 5 agosto 2015, a seguito della quale non avrebbe eccepito alcunché;
   a seguito della riferita procedura di controllo è emersa, a giudizio degli interroganti, una situazione molto grave in relazione al reparto di cui si tratta, già in parte segnalata dall'ex primario, professor Attilio Renzuili, che da direttore dell'unità operativa il 5 febbraio 2013 inviò al direttore sanitario e al direttore generale dello stesso policlinico – come al rettore dell'università di Catanzaro, al dipartimento regionale per la tutela della salute e al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, della Calabria – una richiesta di provvedimenti a fronte di «n. 6 casi di sepsi grave su n. 60 pazienti operati, con una incidenza del 10 per cento ed un mortalità del 5 per cento»;
   contestualmente, il Renzulli rilevò che «l'assenza (...) di una sala operatoria separata e distinta, sotto il profilo strutturale/architettonico, dalle altre esistenti nell'unico blocco operatorio, implica il passaggio di personale e pazienti, non afferenti l'unità di cardiochirurgia, con nette conseguenze sotto a profilo infettivo/contaminatorio»;
   contestualmente, il Renzulli aggiunse «che l'unità operativa di cardiochirurgia del campus di Germaneto, rappresenta l'unica unità operativa di cardiochirurgia in Italia non dotata, in via esclusiva». Precisò, che dette «carenze architettonico strutturali sono gravissime ed espongono il paziente che ha subito un intervento chirurgico (...) a rischi gravissimi e non tollerabili, che possono portare anche a conseguenze nefaste»;
   in data 4 marzo 2013, il Renzulli fu ricoverato per malattia presso il policlinico universitario di Catanzaro;
   in data 6 marzo 2013, il Renzulli fu sospeso cautelativamente dall'incarico direttoriale, con delibera dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» n. 128 del 2013);
   in data 7 marzo 2013, per il professor Pasquale Mastroroberto la scuola di medicina e chirurgia dell'università di Catanzaro propose la nomina a direttore dell'unità di cardiochirurgia in argomento, giusto lo stesso giorno formalizzata dal rettore con proprio decreto, n. 157 del 2013, e con delibera, in pari data, n. 130 del 2013 dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini»;
   in data 15 marzo 2013, con lettera ai vertici dell'azienda ospedaliera e al medico di competenza, il Renzulli chiese di essere sottoposto ad accorgimenti finalizzati a verificare l'idoneità psico-fisica;
   in data 19 marzo 2013, il Renzulli fu convocato per la predetta visita di accertamento, prevista il 26 marzo dello stesso anno;
   in data 27 marzo 2013, in ordine alla suddetta comunicazione del 5 febbraio 2013, il Renzulli fu audito da una commissione aziendale interna, che non ritenne di poter evidenziare «colpe a carico dei responsabili e del personale medico ed assistenziale, che gli episodi di sepsi possono essere ricondotti a picchi che si presentano nelle strutture assistenziali ad elevata intensità di cura»;
   in un'intervista pubblicata il 21 maggio 2013 sulla testata on line « Lamezia in strada», registrazione n. 2/2011 presso il tribunale di Lamezia Terme, si rende conto della vicenda di «tre decessi di pazienti con infezioni acute: degenti in terapia intensiva» nell'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, a seguito della quale l'intervistato, professor Attilio Renzulli, che all'epoca era direttore di tale unità operativa, inviò – come si legge nella medesima fonte giornalistica – «una lettera esposto indirizzata ai dirigenti dell'azienda e alla procura della Repubblica» di Catanzaro, chiedendo in proposito «interventi urgenti»;
   in data 25 settembre 2013, il Renzulli fu reintegrato con delibera dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» n. 625 del 25 settembre 2013, per l'esito degli accertamenti compiuti circa la di lui idoneità psico-fisica e da direttore fu poi sostituito, in definitiva, dal Mastroroberto, anche per via del contenuto del verbale della scuola di medicina e chirurgia del 18 dicembre 2014, il cui consiglio preferì il Mastroroberto poiché aveva vinto l'abilitazione quale docente universitario di I fascia e per il medesimo organismo risultava quindi più idoneo all'incarico di specie, a direzione universitaria;
   in data 21 novembre 2014, il giudice per le indagini preliminari dottoressa Abigail Mellace, archiviò, su proposta del pubblico ministero titolare, dottoressa Fabiana Rapino, il procedimento penale avviato dalla procura di Catanzaro a seguito del riferito esposto del Renzulli, datato 24 maggio 2013;
   benché nell'esposto in questione fosse stato richiesto di verificare l'effettivo svolgimento del succitato consiglio, il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari concludevano nel senso precisato, a giudizio degli interroganti del tutto indipendentemente dall'allarme formalizzato dal Renzulli sui decessi in seguito a sepsi e sulle carenze del reparto; tali carenze oggi risulterebbero per gli interroganti confermate nel verbale della commissione regionale di controllo;
   dal rammentato verbale della commissione di controllo emerge che il legale rappresentante del policlinico universitario, il dottor Antonio Belcastro, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 14 ottobre 2015, sotto la propria responsabilità ha dichiarato che «l'unità operativa di cardiochirurgia possiede i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi previsti dalla normativa vigente», ma la commissione di controllo ha accertato l'esatto contrario;
   la riferita dichiarazione, che a regola dovrebbe ricalcare quella da rendere obbligatoriamente, secondo l'articolo 14 della legge regionale n. 24 del 2008, risulterebbe quindi in estremo contrasto con quanto accertato e certificato nelle conclusioni dalla commissione aziendale per l'autorizzazione e l'accreditamento, rinvenibile alle pagine 9 e 10 del prefatto verbale, le cui ulteriormente esplicitate dal presidente, dottor Luigi D'Orazio, nella comunicazione del 3 febbraio 2016, prot. n. 11648, indirizzata al direttore generale dell'asp di Catanzaro e attestante che l'unità operativa di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro «non possiede, al momento dei sopralluoghi e della stesura della relazione finale, i requisiti strutturali e tecnologici previsti dalla legge regionale n. 24 del 2008 e dal regolamento n. 13 del 2009»;
   dal verbale della commissione di controllo di cui si tratta, alla luce della visita dei deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela dei 13 luglio 2015 presso la predetta unità operativa di cardiochirurgia, emerge, a giudizio degli interroganti, il tentativo di sanare, attraverso una mera separazione di spazi, peraltro ancora non compiuta, la riscontrata mancanza della terapia intensiva dedicata, invece in Calabria obbligatoria e presente, per esempio, presso la cardiochirurgia del policlinico Gemelli di Roma, dell'ospedale Niguarda di Milano, dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dell'Humanitas Gavazzeni di Milano, degli Ospedali riuniti di Ancona e dell'ospedale San Camillo-Forlanini di Roma;
   dal riferito verbale emergerebbe la mancanza di una sala operatoria a fronte delle due previste dalla norma e la dotazione di soli 10 posti letto a fronte dei 14 previsti dalla normativa di riferimento;
   dal verbale in questione emergerebbe, inoltre, la mancata definizione e identificazione, sia nei numero che nella dislocazione, dei posti letto, nonché un numero di infermieri di gran lunga inferiore al numero previsto dalla normativa;
   dal verbale in parola emergerebbe, quindi, la mancanza della figura del cardiologo e del terapista della riabilitazione, nonché la mancanza della figura di un tecnico manutentore di struttura;
   nello stesso verbale si legge di un numero di interventi in circolazione extracorporea pari a 216, ben inferiore rispetto ai 300 previsti dalla normativa;
   nel medesimo verbale si legge della mancanza delle autocertificazioni dei singoli dirigenti medici, che non hanno indicato la propria casistica degli interventi negli ultimi cinque anni, come prevede la specifica norma;
   nel verbale è scritto, ancora, della mancata verifica periodica, obbligatoria, delle attrezzature elettromedicali nel rispetto delle scadenze previste dalla specifica norma;
   soprattutto, il verbale attesta la mancanza nell'unità operativa in parola del programma delle analisi batteriologiche, dei relativi risultati e del registro di prevenzione e controllo legionellosi, nonché la mancanza degli interventi per la prevenzione e il controllo della legionellosi;
   il verbale attesta, inoltre, la carenza di documentazione relativa alla nomina di rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, alla nomina dei medico competente, alla sorveglianza sanitaria per le lavoratrici madri, alla formazione ed informazione del personale;
   nel verbale si legge, infine, della mancanza del documento di valutazione dei rischi completo di data e firma del datore di lavoro, del medico competente del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché della mancanza dei giudizi di idoneità di tutto il personale afferente all'unità operativa di cardiochirurgia e degli operatori afferenti alle unità operative funzionali ad essa;
   con il decreto del commissario ad acta n. 21 del 10 febbraio 2016, il commissario Massimo Scura e il sub-commissario per il rientro dal disavanzo sanitario regionale, Andrea Urbani, hanno annullato – rectius, revocato – la succitata procedura di verifica, ritenendola illegittima;
   allo stato dei fatti, a quanto consta agli interroganti, l'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» è l'unica struttura «pubblica», pur in possesso di accreditamento provvisorio – ope legis – per la quale è stato avviato, in epoca antecedente alla legge regionale n. 19 del 2009, un procedimento di verifica del possesso di autorizzazione e di accreditamento;
   il dipartimento regionale di competenza ha, dunque, come più sopra narrato, richiesto la verifica del possesso dei requisiti;
   nel caso della cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini», il procedimento è stato dunque avviato per la verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento definitivo della commissione incrociata di Crotone in ottemperanza alla legge regionale n. 19 del 2009, e successive modifiche ed integrazioni e non, come secondo gli interroganti erroneamente contenuto nel decreto del commissario ad acta n. 21 del 2016, per la verifica del mantenimento dei requisiti di una struttura già accreditata, proprio perché la verifica del possesso dei requisiti era in itinere e non si era mai conclusa;
   la commissione dell'asp di Crotone ha sempre informato della procedura in questione la struttura commissariale per il rientro dai disavanzi, che non si è mai pronunciata in merito, se non alla conclusione del procedimento di verifica esitato nella delibera n. 72 del 2016 dei dirigente generale dell'asp di Catanzaro, che ha proposto la sospensione delle attività della riferita unità operativa di cardiochirurgia, al fine di risolvere criticità evidenziate dalla commissione di controllo;
   in ordine alla legittimità dell'adozione del decreto del commissario ad acta n. 21 del 10 febbraio 2016, il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale avrebbe dovuto, a giudizio degli interroganti, rispettare le norme sul procedimento amministrativo stabilite dalla legge n. 241 del 1990, e cioè dare la comunicazione di cui all'articolo 7 della citata legge e consentire la partecipazione a procedimento di cui agli articoli 9 e 10;
   inoltre, il commissario ad acta non ha, nel caso di specie, provveduto ad annullare un «provvedimento» definitivo e completamente formato, bensì ha proceduto ad annullare, a parere degli interroganti, impropriamente, un intero iter procedimentale in corso e i relativi atti endoprocedimentali;
   il riferito decreto del commissario ad acta n. 21 del 2016 è stato adottato sulla base di una presunta violazione di norme sul procedimento e senza dare atto, a quanto consta agli interroganti, di quali fossero concretamente le ragioni di interesse pubblico che a tale annullamento d'ufficio hanno condotto il commissario ad acta e il sub-commissario;
   nel caso di specie, pertanto, a giudizio degli interroganti non è stato rispettato l'obbligo di adeguata motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 3 della legge n. 241 del 1990, posto che, essendo stata impedita la partecipazione procedimentale, la motivazione del provvedimento è conseguentemente inficiata da un grave difetto d'istruttoria;
   emerge dunque, per gli interroganti, per tabulas che il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria e il sub-commissario hanno ampiamente travalicato la facoltà di procedere alla «rimozione, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, dei provvedimenti, anche legislativi, adottati dagli organi regionali e i provvedimenti aziendali che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e dei successivi programmi operativi, nonché in contrasto con la normativa vigente e con i pareri e le valutazioni espressi dai tavoli tecnici di verifica e dai Ministeri affiancanti», agli stessi concessa in base al punto n. 13 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, posto che gli stessi non hanno proceduto alla rimozione di «provvedimenti», bensì di atti che non costituiscono affatto un «provvedimento» in senso tecnico-giuridico;
   con nota avente protocollo n. 0061534 del 25 luglio 2016, il direttore generale dell'asp di Catanzaro ha trasmesso alla prima firmataria del presente atto la relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro in ordine alla verifica dei requisiti tecnologici, strutturali e organizzativi e dell'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, nel febbraio 2016 attivata dal competente dipartimento della regione Calabria, come si legge nella premessa del medesimo atto, «al fine esclusivo di prevenire rischi per la sicurezza e la salute dei pazienti»;
   alla luce delle risultanze degli accertamenti compiuti dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Crotone;
   la succitata relazione conferma, drammaticamente, che dagli accertamenti compiuti dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro rimangono intatte le criticità del predetto reparto – già evidenziate dalla corrispondente commissione in seno all'asp di Crotone – sulla rianimazione dedicata ai pazienti cardiochirurgici, deve essere esclusiva, come confermato dal dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute nell'audizione del 26 aprile 2016 nella Commissione speciale di vigilanza del consiglio regionale della Calabria;
   in quella sede, lo stesso dirigente, professor Riccardo Fatarella, disse testualmente: «A me non piace che si chiudano le strutture pubbliche per altri motivi, però qui il motivo c'era: ce ne sono due, uno che è venuto fuori e un altro che verrà fuori. Con il decreto 70 — di cui vi parlavo prima – le strutture pubbliche o private che non raggiungono un certo livello di produzione di attività vanno chiuse. La cardiochirurgia di “Mater Domini” non raggiunge quel livello di produttività. Appena funzionerà a pieno regime la cardiochirurgia di Reggio, il dipartimento, la Regione e i commissari dovranno spiegare a se stessi e poi alla comunità e a chi fa vigilanza in tutte le sedi perché si tiene aperta, pur avendone già due che funzionano»;
   Fatarella precisò: «Abbiamo la «Sant'Anna», la clinica privata accreditata e contrattualizzata, specializzata in cardiochirurgia che fa circa 800 procedure l'anno, “Mater Domini” che ne fa 250, il minimo è 300 di un certo tipo, non di qualsiasi, poi speriamo che a Reggio si parta e si possa ridurre quella mobilità dei pazienti e dei nostri cittadini, magari, verso Messina o verso questa parte più vicina della Sicilia»;
   con riferimento all'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, lo stesso dirigente generale proseguì: «Quindi avremo il problema, comunque, di questa cardiochirurgia che chiude il venerdì, che non fa urgenza, se non sotto molte insistenze, perché l'urgenza cardiochirurgica, ad oggi, è garantita nei modi in cui è garantita dalla struttura accreditata della “Sant'Anna”»;
   «nel merito della vicenda del controllo dei requisiti, i requisiti – aggiunse il professor Fatarella nella sede rammentata – di cui disponeva e dispone il policlinico erano, oggettivamente, insufficienti, tant’è che la Commissione di Crotone li aveva elencati: alcuni erano particolarmente critici da un punto di vista della sicurezza, come la terapia intensiva non nelle immediate vicinanze, e altri probabilmente un po’ più formali e meno sostanziali»;
   «la procedura normale – specificò il dirigente generale Fatarella, in merito alla verifica dei requisiti del reparto in esame – come si sarebbe dovuta svolgere ? Come in parte si è svolta: la Commissione incrociata è andata a controllare, ha fatto delle prescrizioni, l'azienda sanitaria di Catanzaro ha fatto una delibera trasmessa al dipartimento di chiusura, ma era una chiusura con prescrizioni, cioè “io ti chiudo, ma appena ti adegui, ti riapro”, non c’è una chiusura assoluta, è una chiusura per mancanza di requisiti, quindi è una chiusura che avremmo potuto chiamare apertura con prescrizioni, è la stessa cosa, “purché ti rimetta in regola”»;
   Fatarella ribadì quindi la necessità, per i pazienti di quel reparto cardiochirurgico, «della terapia intensiva in forma esclusiva, come vuole la legge, perché i pazienti cardiochirurgici sono (...) immunodepressi ancor più critici, perché se si ferma il cuore, tutto il resto se ne parla poco, perché non c’è»;
   «purtroppo, i commissari — aggiunse Fatarella nella ricordata sede — non hanno capito che si stava risolvendo il problema, perché si stava risolvendo, purché si fosse... anche “Mater Domini”, come a parole aveva dichiarato di essere, disponibile ad adeguarsi quindi di lì a pochi giorni l'avremmo potuto risolvere però passando nel rispetto delle normative»;
   «questa storia, questo percorso – rimarcò Fatarella – non lo hanno voluto portare a compimento, hanno revocato gli atti della commissione di Crotone, dell'asp di Catanzaro e indirettamente anche del dipartimento che aveva attivato la procedura nell'estate, grosso modo, 2015. Se ne assumeranno le responsabilità, io spero che non succeda nulla, però, se succedesse, i nomi i cognomi sono ben noti ci chi si è preso la briga di fare così»;
   come evidente, le dichiarazioni del professor Fatarella non sono politiche, non promanano, cioè, da un'autorità cui la legge assegna responsabilità di tipo politico e secondo gli interroganti confliggono, invece, con le ricostruzioni del sottosegretario alla salute, professor Vito De Filippo, di cui alla risposta alla succitata interpellanza urgente di merito, della deputata Dalila Nesci;
   nella rammentata risposta ii sottosegretario De Filippo ebbe a precisare, dopo aver fornito rassicurazioni sull'argomento: «si fa altresì, presente – concludo – che i dati, che sono in nostro possesso e che sono da noi elaborati, del Programma Nazionale Esiti, che Agenas annualmente presenta, relativi all'unità operativa di cardiochirurgia Mater Domini dell'azienda ospedaliera universitaria, in relazione ai risultati in termini di mortalità, onorevole Nesci, a trenta giorni dopo gli interventi di bypass aortocoronarico isolato, sono seguenti: nel 2010 vi era una percentuale del 4,4 per cento; nel 2011 era cresciuta al 5,8 per cento; nel 2012 era cresciuta ancora al 7,2 per cento; invece, nel 2013 è scesa al 3 percento e nel 2014 era ancora più bassa, ovvero il 2,2 per cento»;
   «ciò – disse il sottosegretario – proprio per riferire, senza ovviamente riprendere nomi e cognomi, come ha fatto l'onorevole Nesci, che la valutazione di questa struttura, anche in una situazione complessa come la sanità calabrese, ci sembra di apprezzabile attività»;
   a tale ultimo riguardo si evidenzia il riferito problema, insuperabile, del numero degli interventi del reparto di cui si tratta, inferiore alla normativa per come certificato dalle due citate commissioni aziendali per l'autorizzazione l'accreditamento e per come ribadito dal dirigente generale del dipartimento regionale di competenza;
   alla luce della succitata relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento in seno all'asp di Catanzaro in merito alla verifica sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cui si tratta, a giudizio degli interroganti è d'uopo rimarcare che le 2 sale operatorie devono essere esclusive; che è insufficiente il numero rilevato di interventi totali e in CEC; che resta da verificare se il policlinico universitario abbia realmente prodotto i registri di manutenzione periodica degli impianti e degli apparecchi elettromedicali, poiché dalla relazione ciò non si riesce a capire; che non si sa se siano stati prodotti i giudizi di idoneità di tutti i dipendenti dell'unità operativa, visto che prima non era stato identificato neppure il medico competente;
   inoltre, nella relazione si accenna appena, a giudizio degli interroganti, alle analisi eseguite e ai registri per la profilassi della legionella e delle infezioni batteriche, sia con riferimento agli impianti di climatizzazione di tutte le aree interessate sia ai rubinetti, sicché bisognerà capire se sono state prodotte le certificazioni dei risultati, non figuranti nella relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Crotone;
   ancora, dalla relazione della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Catanzaro non si può dedurre, a giudizio degli interroganti, se siano state prodotte le autocertificazioni dei medici con la relativa casistica operatoria degli ultimi 5 anni;
   nella medesima relazione si attesta che in reparto sono presenti il cardiologo, il terapista della riabilitazione et coetera, ma non si specifica se sia stata prodotta la relativa documentazione che comprovi che le dette figure sono in organico all'unità operativa anche solo tramite autocertificazione;
   per ultimo, dalla relazione in parola non si evince se sia presente un tecnico della manutenzione e non risulta il certificato di qualità;
   tra i contestatori politici dell'iniziativa dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle Nesci e Parentela sulla sicurezza della Cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro vi è il consigliere regionale della Calabria Domenico Tallini, che, come figura nell'articolo al link abbreviato http://bit.ly/2atjlhE, ha obiettato ai medesimi parlamentari di volere la chiusura del reparto, poi riferendo che «come Forza Italia, difendiamo con ostinazione la nostra Università», con questo per gli interroganti deviando dal problema di fondo, cioè la mancanza della terapia intensiva dedicata e la presenza di carenze strutturali, tecnologiche e organizzative;
   le carenze in parola erano già state certificate, all'epoca delle riferite dichiarazioni del Tallini, dalla commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'asp di Crotone, con la conseguente deliberazione, la n. 72 del 2016, dell'asp di Catanzaro e l'immediata revoca dell'intera procedura di verifica dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto in predicato da parte della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria;
   nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, relativa al procedimento penale n. 9339/2009 della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, si fa riferimento a conversazioni in cui si accenna al fatto che il Tallini avrebbe ricevuto l'appoggio elettorale di una cosca di ’ndrangheta nelle elezioni regionali del 2010 –:
   se alla luce dei gravissimi fatti esposti in premessa e di quello che agli interroganti appare un aggiramento dei problemi già posti con la citata interpellanza urgente, non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza per procedere all'immediata revoca dell'incarico del commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di verificare l'esistenza di eventuali presupposti per attivare gli strumenti di controllo previsti dal combinato disposto degli articoli 146 e 143 del Tuel. (4-14004)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono d'interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra Anas e la società Strada dei Parchi spa. In seguito, in data 29 novembre 2010, è stato sottoscritto l'atto di recepimento della delibera del Cipe n.  20 del 13 maggio 2010 di approvazione della medesima convenzione che fissa la scadenza della concessione al 31 dicembre 2030. I tratti autostradali in concessione sono la Roma-L'Aquila-Teramo pari a chilometri 159,3, la A24 diramazione grande raccordo anulare-tangenziale est di Roma pari a chilometri 7,2 e la Torano-Avezzano-Pescara di chilometri 114,9;
   la formula tariffaria applicata al pedaggio autostradale è stabilita dalla delibera del Cipe 39/2007 e dalla delibera del Cipe 319/1996. Al fine di determinare la variazione percentuale della tariffa si tiene conto:
    del valore del tasso d'inflazione programmato;
    di una quota che consente il recupero degli investimenti realizzati dalla società autostradale concessionaria l'anno precedente a quello di applicazione dell'incremento;
   i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle autostrade e gli oneri degli investimenti di nuove infrastrutture vengono recuperati dalla società Strada dei Parchi spa attraverso il pedaggio e i conseguenti incrementi. È evidente, quindi, che ogni investimento per nuove infrastrutture debba apportare un beneficio alla collettività che, di fatto, sostiene gran parte del costo;
   ogni anno Strada dei Parchi chiede ed ottiene un adeguamento tariffario che si somma a quello dell'anno precedente;
   già nel 2014 la società Strada dei Parchi spa aveva chiesto un aumento del pedaggio pari al 10,39 per cento, ricevendo l'autorizzazione da parte delle autorità competenti per una quota pari all'8,28 per cento. Nel periodo 2009-2015 l'aumento complessivo della tariffa del pedaggio ha raggiunto quasi il 40 per cento provocando numerose e continue proteste;
   i ricavi da pedaggio nel 2013 si sono attestati attorno ad una cifra pari a 137,6 milioni di euro, mentre nel 2014 pari a 148,9 milioni, riscontrando un numero di transiti per chilometri sia dei veicoli leggeri che pesanti in decrescita;
   secondo quanto appreso dai media locali, Strada dei Parchi spa ha presentato un progetto ai Ministeri competenti per la realizzazione di 40 chilometri di nuove gallerie a doppia canna che consentirebbero di accorciare l'autostrada che collega l'Abruzzo a Roma;
   secondo le fonti di stampa, il costo di questo progetto è di circa 5,5 miliardi di euro e, secondo la società concessionaria, rappresenterebbe un investimento privato, finalizzato a ridurre il tragitto stradale di circa trenta chilometri, in cambio di un prolungamento dei tempi di concessione sulla gestione del tratto autostradale di 45 anni che consenta di poter incamerare per altrettanti anni i pedaggi;
   la Società Strada dei Parchi spa, con nota prot. PR006284/2015 del 9 aprile 2015, ha presentato alla regione Abruzzo un progetto di messa in sicurezza di alcuni tratti autostradali mediante le varianti al tracciato ai fini del rilascio del parere tecnico preliminare;
   seconda un documento della regione Abruzzo, con nota prot. PR016092/2015 del 7 agosto 2015 la società Strada dei Parchi spa, ha trasmesso un aggiornamento del progetto preliminare di adeguamento e messa in sicurezza delle autostrade A24 e A25 con corrispondente studio di fattibilità. Stando a quanto contenuto nei documenti della regione Abruzzo, il progetto si è sviluppato in attuazione all'articolo 1, comma 183, della legge n. 228 del 14 novembre 2012 che ha la seguente formulazione: «In considerazione della classificazione delle autostrade A24 e A25 quali opere strategiche per le finalità di protezione civile per effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003 e successive modificazioni e della conseguente esigenza di procedere all'adeguamento delle stesse alla normativa vigente per l'adeguamento sismico e la messa in sicurezza dei viadotti sulla base dei contenuti delle OPCM n. 3274 del 2003 e n. 3316 dei 2003 e successive modificazioni, per l'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria a norma del decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264, e successive modificazioni per l'adeguamento alla normativa in materia di impatto ambientale e per lavori di manutenzione straordinaria delle dette autostrade, nonché per la realizzazione di tutte le opere necessarie in conseguenza del sisma del 2009, ove i maggiori oneri per gli investimenti per la realizzazione dei citati interventi siano di entità tale da non permettere il permanere e/o il raggiungimento delle condizioni di equilibrio del piano economico finanziario di concessione nel periodo di durata della concessione stessa, il Governo, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, rinegozia con la società concessionaria le condizioni della concessione anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza». La relazione contenuta nel dossier allegato alla legge di stabilità 2013 – legge 24 dicembre 2012, n. 228, spiega che le norme in questione «dispongono che il Governo rinegozi, fatta salva la preventiva verifica della compatibilità in sede comunitaria con la società concessionaria delle autostrade A24 e 425 le condizioni delle concessioni, anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza. Ciò in considerazione della classificazione delle autostrade A24 e A25 quali opere strategiche e della conseguente esigenza di procedere:
    all'adeguamento delle stesse alla normativa vigente per l'adeguamento sismico e la messa in sicurezza dei viadotti;
    all'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria;
    all'adeguamento alla normativa in materia di impatto ambientale;
    allo svolgimento dei lavori di manutenzione straordinaria di dette autostrade;
    alla realizzazione di tutte le opere necessarie in conseguenza del sisma del 2009.

  Al riguardo, è stato rilevato che potrebbero sorgere profili di criticità in merito alla quota di investimenti necessari agli adeguamenti indicati dalle norme. In particolare – attesa la necessità di garantire la compatibilità delle infrastrutture in esame alla normativa vigente – non appaiono chiari gli effetti per la finanza pubblica qualora non fosse garantito il raggiungimento per il concessionario dell'equilibrio finanziario della gestione delle autostrade, in considerazione dell'impossibilità di coprire l'eventuale passivo mediante l'incremento delle tariffe all'utenza»;
   il progetto preliminare elaborato da Strada dei Parchi spa, secondo il documento prot. RA/128354 della regione Abruzzo, ipotizza varianti nei seguenti tratti:
    Celano – Bussi – Tocco da Casauria;
    Magliano dei Marsi – Tagliacozzo – Carsoli, fino al confine con la regione Lazio;
    asse di interconnessione della A24 con la A14 a Roseto degli Abruzzi;
    asse di penetrazione urbana a Pescara;

   sia l'asse di interconnessione della A24 con la A14 a Roseto degli Abruzzi che l'asse di penetrazione urbana a Pescara, in realtà, sono nuovi tracciati che, utilizzando a giudizio degli interpellanti strumentalmente il dettato normativo, verrebbero realizzati;
   secondo quanto riportato da un articolo di stampa de il Messaggero del 12 luglio 2016, il geologo dell'INGV Fabrizio Galadini, in occasione di un incontro presso la provincia de L'Aquila, ha dichiarato che le gallerie che si vorrebbero realizzare dovrebbero intersecare tre faglie attive; quella del Fucino; quella di Capo Di Moro e quella della Valle Subequana;
   secondo quanto riportato nella relazione idrogeologica del «Piano di tutela delle acque» della regione Abruzzo, l'impatto sull'ambiente che queste opere comporterebbero è molto elevato; infatti, le modifiche piano altimetriche del tracciato esistente prevedono la realizzazione di gallerie che incontrano corpi idrici, come ad esempio quelli del Monte Sirente, e faglie attive; la velocizzazione e riduzione del percorso comporta l'eliminazione di alcuni degli attuali svincoli, l'abbattimento di alcuni viadotti e la dismissione di altri viadotti, la realizzazione di un nuovo tratto autostradale; nel progetto non pare sia prevista alcuna opera di manutenzione o adeguamento alle norme esistenti: gli assi di interconnessione di Roseto e Pescara, invece, rappresentano dei veri e propri nuovi tratti autostradali che si vanno a sovrapporre a tracciati già esistenti, come l'asse attrezzato Teramo-Mare (Superstrada Strada statale n. 80) e il raccordo autostradale 12 Chieti Pescara;
   il bacino imbrifero del Gran Sasso, il più grande d'Europa, dal quale scaturiscono le risorgive dei fiumi Pescara, San Callisto o Tirino con una portata complessiva di 15mc/secondo insistono nella zona in cui, pare, si vorrebbero realizzare le nuove gallerie;
   la proposta di variante V06 prevede un tunnel di svariati chilometri e la conseguente dismissione del tratto autostradale compreso tra i caselli di Pescina e quello di Prati Peligna-Sulmona;
   a fine gennaio 2016 in occasione di una visita a Sulmona del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Riccardo Nencini, la stampa riporta la seguente dichiarazione attribuita allo stesso: «So che è stata depositata una proposta, non l'ho ancora vista, so che l'impresa che l'ha depositata è pronta a fare un investimento notevole in Abruzzo è un progetto che va esaminato con l'attenzione richiesta tenendo conto di un'opportunità che deriva anche da un grande investimento – ha dichiarato il Viceministro –. Naturalmente, come tutte le opere che arrivano sul territorio con una certa forza, anche questa ha bisogno della convergenza del Ministero con le amministrazioni locali e ha bisogno di una verifica del piano economico, giudico però il fatto positivo, che ci sia una grande impresa pronta ad investire sul proprio territorio», confermando quanto riportato dalla stampa nei giorni precedenti riguardo all'esistenza di un progetto presentato dal gestore della Società Strada dei Parchi spa;
   secondo le dichiarazioni di Cesare Ramadori anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti conoscono il progetto tant’è che dalle notizie di stampa si apprende che è stata svolta una riunione l'8 ottobre 2015 tra la società Strada dei Parchi, regione Abruzzo, regione Lazio e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'Abruzzo non ha bisogno di sventrare altre montagne, né di spendere fondi dei cittadini acquisiti indirettamente attraverso un aumento vertiginoso dei pedaggi al fine di velocizzare solo di qualche minuto un tratto autostradale come quello gestito dal gruppo Toto. Infatti, i costi, benché sia previsto un investimento privato, sicuramente ricadrebbero sul cittadino che verrebbe penalizzato anche attraverso un ulteriore aumento del pedaggio, su un'autostrada che risulta tra le più care d'Italia e con gli aumenti maggiori registrati negli ultimi anni;
   il progetto, oltre a rappresentare un costo reale a carico della collettività soprattutto abruzzese e laziale, seppur indirettamente, taglierebbe fuori dalle principali arterie di collegamento l'intera valle Peligna, già in stato di sofferenza, e una intera zona del Parco della Majella;
   la documentata riduzione del traffico sulla Strada dei Parchi registrata negli ultimi anni denota, tra l'altro, la non necessità di ampliamento e ulteriore investimento sulla Strada dei Parchi; il collegamento dei trasporti dalla costa abruzzese verso la capitale necessiterebbe, invece, di un investimento sulla linea ferroviaria che attualmente percorre il tragitto in non meno di 3 ore e mezza rendendo del tutto difficoltoso l'utilizzo di tale mezzo soprattutto per i pendolari;
   un costo presunto di 5,5 miliardi di euro sicuramente non permette il raggiungimento per il concessionario dell'equilibrio finanziario della gestione delle autostrade, in considerazione dell'impossibilità di coprire l'eventuale passivo mediante l'incremento delle tariffe all'utenza e quindi richiederebbe allo Stato un impegno economico o una rinegoziazione della concessione autostradale;
   secondo un articolo di stampa apparso sul Messaggero del 27 luglio 2016, l'amministratore delegato di Strada dei Parchi spa avrebbe rilasciato la seguente dichiarazione: «Ovviamente tutta questo sarà possibile solo e soltanto se ci verrà rinnovata la concessione per ulteriori venti anni, cioè fino al 2050 perché se così non dovesse essere siamo pronti a recedere dal contratto e a farci revocare la concessione. Non possiamo far fallire la società per mettere in sicurezza una strada che tra quindici anni non gestiremo più» –:
   se presso i Ministeri e le autorità competenti siano stati presentati da Strada dei Parchi spa, progetti di varianti al tracciato delle autostrade A24 e A25 e, in caso di risposta affermativa, secondo quale mandato istituzionale specifico da parte del Ministero concedente;
   se la regione Abruzzo abbia prodotto atti trasmessi ai Ministeri e alle autorità competenti o promosso incontri istituzionali in merito alle varianti ed alla realizzazione delle infrastrutture ipotizzate dalla società concessionaria delle autostrade A24 e A25 e, in caso di risposta affermativa, quali siano questi atti, quali siano stati trasmessi, quale sia il contenuto e cosa abbiano risposto i Ministeri e le autorità competenti;
   se la regione Lazio abbia prodotto atti trasmessi ai Ministeri e alle autorità competenti o promosso incontri istituzionali in merito alle varianti ed alla realizzazione delle infrastrutture ipotizzate dalla società concessionaria delle autostrade A24 e A25 e, in caso di risposta affermativa, quali siano questi atti, quando siano stati trasmessi, quale sia il contenuto e cosa abbiano risposto i Ministeri e le autorità competenti;
   se siano stati svolti incontri istituzionali con i Ministeri o le autorità competenti, alla luce delle dichiarazioni di Cesare Ramadori, che hanno avuto come oggetto le ipotesi di varianti proposte da Strada dei Parchi spa e, in caso affermativo, quali siano gli esiti;
   quali sino le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a potenziare i collegamenti dalla costa abruzzese verso la capitale e Civitavecchia investendo sulla linea ferroviaria con l'obiettivo di ridurre i tempi di percorrenza per il trasporto ferroviario sia delle persone che delle merci;
   se i Ministri interpellati abbiano intenzione di valutare il rigetto di qualsiasi variante o ipotesi di realizzazione di infrastrutture che vadano ad incidere, anche parzialmente, o a mettere a rischio i corpi idrici e l'assetto idrogeologico esistente, anche attraverso una puntuale valutazione dell'impatto sull'ambiente delle opere ipotizzate;
   se il Governo interpellati abbiano intenzione di valutare il rigetto di qualsiasi variante o ipotesi di realizzazione di infrastrutture che insistono su zone ad elevato rischio sismico e in presenza di faglie attive, anche attraverso una puntale valutazione dei rischi e della pericolosità conseguenti e connessi alle opere ipotizzate;
   se il Governo abbia intrapreso le opportune iniziative di competenza volte a bloccare ogni altro aumento di pedaggio del tratto autostradale gestito da Strada dei Parchi spa;
   se il Governo abbia intrapreso opportune iniziative per bloccare ogni altro aumento dei pedaggi dell'autostrada che collega la costa adriatica a Roma – la A24-A25, già notevolmente più costosa delle autostrade A14 e A1;
   se l'attuazione dell'articolo 1, comma 183, della legge n. 228 del 14 novembre 2012 consenta varianti, con costi talmente elevati da raggiungere i 5,5 miliardi di euro, che prevedono la realizzazione di nuovi tratti di autostrade ed in particolare quelle contenute nei documenti prot. RA/128354 della regione Abruzzo;
   se l'eventuale autorizzazione alla realizzazione delle varianti di cui in premessa, nonché un eventuale prolungamento della concessione, siano compatibili con la normativa comunitaria;
   se le opere di cui in premessa possano essere realizzate in zone di protezione speciale o siti di interesse comunitario e, in caso di risposta affermativa, con quali modalità.
(2-01447) «Vacca, Del Grosso, Colletti, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Di Battista».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la Saras (Società anonima raffinerie sarde) è entrata in produzione nel giugno del 1966, in un'area della Sardegna meridionale – Sarroch (Cagliari) – di assoluto pregio paesaggistico e ambientale, fra le più fertili dal punto di vista agricolo, caratterizzata da un sistema di zone umide tradizionalmente dedicato alle attività della piccola pesca;
   Sarlux (attuale denominazione della Saras), società quotata in borsa, è la più grande raffineria del Mediterraneo e tratta circa 15 milioni di tonnellate l'anno di petrolio, il 25 per cento del totale della movimentazione navale di greggio;
   l'inquinamento prodotto in cinquant'anni di attività è penetrato nel territorio, nel sistema idrico, nei fondali marini e contamina l'aria, esponendo la popolazione locale tutta e i lavoratori a una molteplicità di agenti inquinanti, determinando innumerevoli casi di morti premature;
   nel gennaio del 2009, un importante film documentario d'inchiesta, prodotto dal regista Massimiliano Mazzotta, denominato Oil, ha messo in luce il gravissimo inquinamento dell'area, le profonde modificazioni ambientali e nella struttura sociale e la pesante complicità dello Stato in quello che appare essere un vero e proprio disastro ambientale;
   nel 2013 la prestigiosa rivista internazionale di epidemiologia dell'università di Oxford « Mutagenesis» ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta su 75 bambini delle scuole elementari di Sarroch;
   le conclusioni dell'indagine, condotte attraverso la comparazione con eguale campione di coetanei residenti in un'area di campagna, sono inequivocabili: «il nostro studio dimostra che i bambini residenti in prossimità del polo industriale di Sarroch presentano incrementi significativi di danni e alterazioni del Dna» rispetto agli standard di riferimento;
   nel 2014 l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), chiamata ad analizzare i costi sanitari e ambientali dell'industria, l'impatto sulle produzioni agricole e in termini di morti premature, ha classificato la Saras-Sarlux di Sarroch al 92o posto (su 1329) fra gli impianti più inquinanti d'Europa (l'Ilva di Taranto è al 29o);
   recentemente come riportato da tutti i principali quotidiani sardi, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ammesso la riconducibilità dell'inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle acque di falda nell'area di Sarroch alle attività della Salux-Saras, sostenendo altresì che l'azienda ha provveduto ad attivare le necessarie misure di messa in sicurezza delle falde;
   pare assolutamente blanda e insufficiente agli interpellanti la risposta del Ministro considerata l'attività ultradecennale della raffineria, oltre che la documentazione sopra citata;
   va reso atto che finora non vi è mai stato alcun approfondito studio epidemiologico di parte pubblica –:
   quali siano le iniziative di competenza poste in essere dai Ministri interrogati per conoscere, sul piano ambientale, epidemiologico e sanitario, le reali condizioni del territorio e delle popolazioni che lo abitano;
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano state poste in essere affinché Saras-Sarlux garantisca l'assoluto rispetto delle soglie di concentrazione previste dalla normativa vigente;
   quali siano le iniziative di competenza che si intendano porre in essere per mettere in sicurezza l'area, per riparare il danno ambientale e riconoscere un effettivo risarcimento al territorio.
(2-01450) «Piras, Zaratti, Ricciatti, Duranti, Quaranta, Scotto».

Interrogazioni a risposta immediata:


   LATRONICO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   da parecchi mesi trapelano dagli organi di stampa una serie di indiscrezioni sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per il settembre 2015, è slittata a data da destinarsi;
   l'Italia è l'unico Paese dell'Unione europea, con Portogallo e Grecia, che ancora non si è dotato di un deposito nazionale per le scorie nucleari e radioattive che ogni giorno vengono prodotte da ospedali e fabbriche. Secondo quanto riportato da organi di informazione, i territori potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari si trovano nel Sud della Puglia, in alcune aree della Basilicata ionica e del Molise, in qualche zona costiera della Campania, del Lazio e della Toscana, mentre sono escluse per ragioni economiche Sardegna e Sicilia e altre tre regioni – Marche, Umbria ed Emilia-Romagna – a causa del rischio sismico;
   sono trascorsi 12 anni da quando nel novembre 2003 uno «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato dalla Sogin individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata. Per il sito di Scanzano Ionico ci furono tali proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi e la critica maggiore che fu rivolta allora ai decisori pubblici fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee è pronta ed è il risultato di un lavoro che in base a 28 criteri di localizzazione individuati dall'Ispra (16 quelli esclusivi: dal rischio sismico a quello idrogeologico, dall'altitudine maggiore di 700 metri sul livello del mare alla vicinanza eccessive a coste, centri urbani e grandi vie di comunicazione, fino alla pendenza superiore al 10 per cento del terreno) ha portato ad escludere più del 99,9 per cento del territorio italiano. Quando verrà resa nota la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, si avvierà un processo di consultazione pubblica che durerà mesi durante i quali si attenderanno le autocandidature dei siti potenziali e si svolgeranno ulteriori approfondimenti fino all'individuazione del sito;
   qualora i vari passaggi previsti per il coinvolgimento della popolazione dovessero fallire, sarà il Consiglio dei ministri ad avere l'ultima parola sulla scelta del sito;
   nonostante la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla Sogin siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione lucana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga quanto prima di assumere le iniziative di competenza per rendere pubblica la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), nonché per tranquillizzare la popolazione e gli amministratori locali informandoli sullo stato procedurale reale della costruzione del deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi. (3-02449)


   MATARRESE, PIEPOLI, VARGIU e DAMBRUOSO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di informazione, 40 mila metri quadrati di terreni agricoli, ubicati in contrada Manganelli a Molfetta, sono stati sommersi ancora una volta da reflui urbani provenienti, secondo quanto riferito da esponenti del Wwf, dai depuratori di Ruvo e di Terlizzi;
   le osservazioni dei rappresentanti del Wwf, oggetto di un esposto presentato in procura, riferiscono di un vero e proprio «disastro ambientale con gravi conseguenze igienico-sanitarie e inquinamento della falda acquifera»;
   la causa sarebbe ascrivibile all'ostruzione dell'emissario del canale delle acque reflue provenienti dai depuratori dei comuni di Ruvo e di Terlizzi. La predetta ostruzione sarebbe stata individuata vicino alcune abitazioni in contrada Manganelli e sarebbe causata dalla fitta vegetazione e dalla mancata manutenzione ordinaria e straordinaria del canale di scarico;
   lo stato di fatto rappresenterebbe un chiaro problema non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista igienico-sanitario, in quanto i reflui hanno invaso oliveti e interi campi coltivati i cui prodotti potrebbero subire pericolose contaminazioni prima di essere rivenduti ai consumatori –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare affinché sia possibile bonificare l'area, nonché porre un definitivo rimedio al problema infrastrutturale individuato al fine di eliminare le continue inondazioni dei campi coltivati da parte dei reflui urbani, che attualmente sono causa di rilevanti problematiche non solo per l'ambiente, ma anche per la salute dei cittadini. (3-02450)


   BINETTI e BUTTIGLIONE. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   è accertato che a Roma sono presenti tra le 200 e le 300 tonnellate di rifiuti a terra. Tale grave situazione è stata denunciata dall'Ama che ha inserito questa stima nel piano operativo inviato il 27 luglio 2016 al sindaco ed all'assessore all'ambiente della capitale;
   la situazione dei rifiuti nella città eterna è gravissima e costituisce, proprio per il ruolo che riveste Roma, una vera e propria emergenza nazionale;
   in tale contesto è necessaria un'azione immediata ed un progetto a lungo termine che possano affrontare la gravità del momento e predisporre misure che ne impediscano il ripetersi in futuro;
   Roma ha dunque bisogno di un piano rifiuti che utilizzi tutte le energie e le misure disponibili, nel pieno rispetto della legalità e della trasparenza;
   notizie di stampa indicano che, dopo le dimissioni del presidente del consiglio di amministrazione di Ama, il nuovo assessore all'ambiente del comune di Roma (che aveva già svolto le funzioni di consulente dell'Ama nella precedente giunta e sul quale è in corso una fortissima contestazione da parte delle opposizioni per questioni che vanno chiarite con imprescindibile urgenza) sia impegnato nell'individuazione di un tecnico esperto nella gestione dei rifiuti;
   lo stesso assessore della nuova giunta capitolina ha comunque negato l'ipotesi di un commissariamento dell'azienda;
   il fatto che attualmente non ci sia un presidente del consiglio di amministrazione crea, tra l'altro, grandi problemi operativi alla stessa Ama, soprattutto in una situazione di degrado ambientale come quello che coinvolge oggi la città;
   occorre sottolineare come proprio la scorsa settimana, il Ministro interrogato ha invitato il sindaco della capitale a procedere, d'intesa con lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla soluzione del problema dei rifiuti, per tutelare i cittadini e giungere ad un pieno ripristino dello stato dei luoghi in modo da ripulire completamente la città;
   la gravissima situazione in cui versa Roma, nella circostanza, costituisce un caso di enorme rilievo nazionale ed internazionale –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, a seguito della gravissima situazione che si è venuta a creare con quella che gli interroganti ritengono una vera e propria emergenza rifiuti nella capitale, per individuare le misure finalizzate al definitivo superamento delle attuali criticità, evitando dunque che tornino a verificarsi situazioni del genere. (3-02451)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da molti mesi ormai, numerosi parchi nazionali attendono, a vario titolo, la nomina dei rispettivi organi dirigenziali: presidenti, membri del consiglio direttivo e direttori. Tali anomalie, attribuibili alle mancate intese tra autorità preposte, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regioni competenti, incidono pesantemente sulla gestione, determinando una precarietà che potrebbe pregiudicare e riflettersi sia sugli aspetti ambientali nonché, su quelli economici e di legalità, rischiando di compromettere anche la effettiva sopravvivenza degli enti stessi;
   queste problematiche, in cui versano numerosi parchi nazionali, fra cui quello delle Dolomiti Bellunesi, sono state già segnalate il 13 gennaio 2016 con una interrogazione a risposta in commissione ambiente della Camera (interrogazione n. 5-07341), allo stato senza risposta, a prima firma della deputata Terzoni Patrizia, con la quale le si chiedeva: «se non ritenesse urgente intervenire, per quanto di competenza, per porre fine alla situazione di emergenza nella quale si trovano ad operare i parchi nazionali e di esporre le eventuali azioni che intendesse porre in essere riportando anche un relativo cronoprogramma»;
   nel caso di specie dell'ente parco Dolomiti Bellunesi, si rilevava la mancata nomina della figura del presidente, il componente più importante dell'organo collegiale di Governo dell'area naturale protetta previsto dall'articolo 9 della legge quadro n. 394 del 1991, ed elemento essenziale per la legale rappresentanza ed il coordinamento delle attività degli enti parco;
   tale mancanza rischia di compromettere inoltre, così come denuncia l'esecutivo del comune di Gosaldo in una delibera inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alle autorità ed esponenti politici del territorio Bellunese, la possibilità di adottare ed intraprendere le azioni per accedere ai fondi e finanziamenti sia europei sia strutturali fino al 2020. Ciò determinerebbe un evidente danno sia per i comuni che ricadono nei territori dell'area protetta sia per quelli limitrofi che risentono comunque delle eventuali ricadute;
   a parere dell'interrogante, il protrarsi oltremodo di questa situazione di stallo, risulterebbe deleterio per la programmazione e lo sviluppo dei territori interessati e pertanto, la nomina degli organi dirigenziali, tra cui il presidente, è un elemento indispensabile per il corretto funzionamento istituzionale dei parchi nazionali che devono essere messi rapidamente nelle condizioni per svolgere efficacemente compiti a loro affidati tra cui la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, da considerare come il vero interesse generale che deve prevalere su interessi di parte o sugli equilibri politici dei diversi territori –:
   se intenda assumere iniziative normative urgenti, per quanto di competenza, volte a superare la situazione di stallo in cui versano molti parchi nazionali e nel caso di specie procedere nel più breve tempo alla nomina del presidente dell'ente parco delle Dolomiti Bellunesi;
   se intenda rendere pubbliche e trasparenti le relative operazioni di selezione della figure ricercate da scegliere tra persone di alto profilo professionale e ambientale, lontane da logiche spartitorie della pratica partitica, in grado di condurre gli enti parco con la necessaria competenza e lungimiranza che porti ad un conseguente rilancio di uno dei settori fondamentali per l'economia del territorio bellunese, ovvero la gestione e conservazione del nostro patrimonio naturale.
(4-13995)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   VIGNAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dagli elementi istruttori acquisiti dall'interrogante l'Automobile Club d'Italia è un ente pubblico non economico, posto sotto il controllo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e come tale soggetto al codice dei contratti pubblici che prevede la messa in gara di tutti i servizi che non siano attribuiti a società in house;
   la società ACI Global non sembra possedere i requisiti per essere considerata in house ed è presieduta dal Signor Aurelio Filippi Filippi che percepisce 120.000 euro all'anno per questa funzione che si sommano ai 4.815 euro che percepisce come presidente dell'AC di Lecce, carica che ha assunto in sostituzione dell'attuale presidente di ACI Italia, anch'esso di Lecce;
   la società ACI Global spa, tuttavia, svolge senza gara e in affidamento diretto diversi servizi per ACI e per gli Automobile Club locali, anch'essi enti pubblici non economici;
   in particolare, fornisce ai soci ACI l'assistenza tecnica e il soccorso stradale (fornendo il proprio servizio a un costo assolutamente fuori mercato: 22 euro ad associato contro i circa 10 sul mercato libero) nonché le prestazioni di natura assicurativa;
   i rapporti contrattuali vengono regolati da sempre con delle convenzioni triennali puntualmente prorogate, da ultimo, fino al 30 giugno 2019 (con deliberazione del consiglio direttivo del 16 dicembre 2015 e del 27 aprile 2016 disponibili sul sito ACI);
   gli ulteriori fondi pubblici che l'ACI, con quest'ultima delibera, ha deciso di versare ad ACI Global spa ammontano a euro 42.112.923,40, oltre IVA;
   la convenzione da ultima sottoscritta fa riferimento alla deroga, alle procedure di gara prevista dall'articolo 63, comma 2, lett. b), del codice lì ove permette le deroghe solo nel caso in cui «la concorrenza è assente per motivi tecnici»;
   è manifesta la impossibilità di considerare il soccorso stradale come servizio reso esclusivamente da ACI Global, in quanto basta andare su qualsiasi motore di ricerca web per constatare l'esistenza di una molteplicità di operatori economici che effettuano il medesimo servizio (per citarne solo alcuni: Europ Assistance, ESA, ANCSA, ANC e ASSI);
   il medesimo sistema di affidamento senza gara viene utilizzato per le società controllate da ACI Global come ACI infomobility spa, anch'essa non società in house alla quale l'ente affida la gestione eli tutti i servizi di infomobilità nazionale, regionale e locale erogati dall'ACI con una convenzione avente durata novennale;
   anche per questa attività vengono erogati ogni anno diversi milioni di euro di fondi pubblici senza alcuna procedura a evidenza pubblica;
   solo per il 2016 il generale dell'ACI in data 28 gennaio 2016 ha già deliberato di conferire una anticipazione di 2.409.000 euro, oltre IVA alla società ACI infomobility;
   il presidente di ACI Infomobility è il signor Piergiorgio Re, il quale percepisce per tale funzione la somma di euro 60.000 all'anno che si sommano agli emolumenti che percepisce come presidente dell'AC di Torino e come componente del consiglio direttivo dell'ACI;
   non risulta negli atti pubblicati che il signor Re si sia astenuto durante le votazioni del Consiglio direttivo sulla delibera che attribuiva alla società, da lui presieduta, le somme indicate ove ciò fosse confermato, si profilerebbe secondo l'interrogante un intollerabile conflitto d'interessi;
   in caso di omessa gara pubblica, a maggior ragione quando vi siano conflitti d'interesse, la giurisprudenza contabile appare concorde nel rilevare la presunzione di danno erariale –:
   quali iniziative d'urgenza intendano porre in essere, per quanto di competenza, in relazione agli atti di dubbia legittimità descritti in premessa e per recuperare le somme indebitamente attribuite;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per ripristinare la legittimità e l'economicità dell'azione dell'Automobile Club d'Italia e delle sue società partecipate. (4-13990)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   BARADELLO e PIEPOLI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2014 è stato emanato il decreto legislativo n. 8 che equipara i militari della riserva selezionata a quelli della riserva di complemento, abbassando i limiti massimi di età per l'impiego all'estero;
   appaiono evidenti le differenze oggettive, di preparazione e di motivazione che esistono tra i riservisti della selezionata e quelli di complemento;
   secondo il citato decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 8, per gli ufficiali superiori l'età massima è di 56 anni, mentre prima era di 62. Anche per gli ufficiali inferiori l'età è stata abbassata sensibilmente;
   in questo modo buona parte di questo personale esperto (medici, architetti, ingegneri, giornalisti, avvocati, ed altro), che fanno parte con professionalità, prestanza fisica e orgoglio della riserva selezionata, vengono di fatto messi da parte;
   vengono ingiustamente colpiti tanti che vivono la divisa del riservista della selezionata come uno dei momenti più alti e più vivi di essere italiano;
   ma oltre a questo, va anche persa tutta la preparazione, che il Ministero della difesa ha profuso con corsi specialistici e onerosi (ad esempio, con Psyops e Cimic), e l'esperienza maturata nei teatri operativi;
   molti ufficiali della riserva selezionata sono in questa situazione, mentre il momento storico richiede invece che tutte le forze specializzate, preparate e con esperienza nei teatri operativi, vengano messe a disposizione;
   appare, quindi, auspicabile un ripensamento per quel che riguarda i limiti di età, dato che ripristinare il precedente limite non comporterebbe alcuna spesa per lo Stato ed anzi le risorse impiegate in passato dal Ministero della difesa per la formazione continuerebbero ad essere utilizzate al meglio –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per porre rimedio ad una situazione inspiegabile per le persone coinvolte e che va a grave detrimento, in un momento storico così delicato, di tutto il settore della difesa, privato di importanti risorse. (3-02446)


   MOSCATT, AIELLO, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, D'ARIENZO, FONTANELLI, FUSILLI, GALPERTI, LORENZO GUERINI, LACQUANITI, LODOLINI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, PAOLO ROSSI, SCANU, STUMPO, VALERIA VALENTE, VILLECCO CALIPARI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa in data 1o agosto 2016 il Governo di unità libico ha chiesto ed ottenuto operazioni aeree statunitensi contro i militanti dell'Isis a Sirte. Tale richiesta è stata annunciata dal Premier al Serraj in conferenza stampa;
   da tali dichiarazioni sembrerebbe abbia chiesto direttamente agli Stati Uniti l'intervento aereo;
   gli attacchi sono iniziati a Sirte lunedì 1o agosto 2016;
   inoltre, nel corso dell'audizione – svoltasi il 26 luglio 2016 presso le Commissioni riunite e congiunte esteri e difesa di Camera e Senato – del Ministro interrogato con il Ministro Gentiloni, si è appreso del suo incontro con il Vice Primo ministro libico al Majbiri, nel corso del quale le è stata manifestata la difficile situazione a Sirte, ove la lotta contro il Daesh sta provocando numerosi morti e feriti libici –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti, nell'ambito delle sue competenze, su quale sia il coinvolgimento attuale e futuro del nostro Paese nelle azioni aeree portate avanti dagli Usa. (3-02447)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il settimanale l'Espresso ha riportato la notizia che in Kosovo esisterebbero ben cinque campi di addestramento organizzati dallo Stato islamico, nei quali «gli aspiranti jihadisti di etnia albanese, oltre a studiare l'arabo e il Corano, imparano a maneggiare le armi, si esercitano col tiro e apprendono nei boschi le tecniche di guerriglia», il tutto sotto la supervisione di alcuni ex militanti dell'Uck, l'esercito di liberazione albanese accusato di terrorismo e legami con la criminalità organizzata;
   l'Espresso riporta informazioni citate dall'agenzia russa Sputnik, secondo le quali i principali campi allestiti dallo Stato islamico sarebbero a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre altri più piccoli sarebbero stati individuati a Prizren e Pejë;
   il Kosovo è tuttora una nazione sotto tutela della Nato, nella quale risiedono migliaia di militari dell'Alleanza atlantica, e uno dei campi dell'Isis sorgerebbe proprio nelle vicinanze di Camp Bondsteel, attualmente la più grande e costosa base americana mai costruita al di fuori degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, nel quale vivono circa settemila persone;
   stando all'articolo citato, «a Camp Bondsteel secondo una versione mai smentita, ha lavorato anche Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” al servizio del califfo, noto per le sue atrocità (come le esecuzioni postate su Facebook raccontate da l'Espresso). E per la base Usa sarebbe passato pure Blerim Heta, un kamikaze che poi si è fatto saltare in aria a Bagdad»;
   il Kosovo si trova nel cuore d'Europa, dista poche centinaia di chilometri dall'Italia e sul suo territorio sono stanziati anche numerosi militari italiani –:
   di quali informazioni sia in possesso rispetto ai fatti esposti in premessa, in quali attività siano impiegati i militari italiani dispiegati in Kosovo e quali iniziative intenda assumere rispetto alla radicalizzazione di uno Stato che si trova nel cuore dell'Europa. (3-02448)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLTENI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GRIMOLDI, INVERNIZZI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'ultima notizia riguardante il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena, partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, è il contributo degli enti previdenziali privati con 500 milioni di euro ad Atlante 2;
   l'indicazione, tutta politica, arriva ufficialmente dall'invito dell'Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) di «sostenere l'iniziativa Atlante 2» per il salvataggio bancario, dopo la richiesta del Governo di immettere, appunto, 500 milioni di euro;
   secondo quanto riportato a mezzo stampa, la decisione dell'Adepp di investire nel fondo Atlante 2, attesa da qualche settimana, è stata formalizzata al termine dell'assemblea straordinaria dei vertici degli enti, che era stata convocata subito dopo l'incontro del 21 luglio 2016 tra una delegazione dell'associazione, guidata dal presidente Alberto Oliveti (Cassa dei medici), con il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ed il Ministro interrogato;
   è evidente quanto spinosa sia la questione per il Ministero dell'economia e delle finanze, considerato il duplice ruolo di azionista del Monte dei Paschi di Siena (4,024 per cento) e, insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di vigilante sulla gestione delle casse private;
   è altrettanto evidente che il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena mette mano alle pensioni dei liberi professionisti, per cui detta operazione contraddice i «principi di prudenzialità» cui dovrebbero attenersi le scelte di investimento degli istituti medesimi, al fine di garantire «che l'attività sia coerente con il profilo di rischio e con la struttura temporale delle passività da esso detenute, in modo tale da assicurare l'equilibrio finanziario, nonché la sicurezza, la redditività e la liquidabilità degli investimenti», come ricorda un documento pubblicato sul sito della stessa associazione che riassume tutte le normative cui sono sottoposti gli enti associati;
   la pericolosità dell'operazione è sita nella mancanza totale di chiarezza in merito a che titolo e con quali garanzie verrà fatto l'investimento –:
   quali chiarimenti intenda fornire in ordine al palese conflitto di interesse che, ad avviso degli interroganti, contorna l'operazione di cui in premessa e se e quali promesse siano state avanzate dal Governo per convincere l'Adepp a sostenere siffatta operazione. (3-02452)


   PESCO, VILLAROSA, RUOCCO, ALBERTI, FICO, PISANO, CASTELLI e GRILLO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il Monte dei Paschi di Siena stia predisponendo una cessione delle sofferenze con tre distinte operazioni:
    a) una tranche senior da 6 miliardi di euro per la quale verrà chiesto l'intervento della garanzia pubblica «Gacs»;
    b) una tranche definita «mezzanine» da 1,6 miliardi di euro riservata al fondo Atlante al quale verrà attribuito anche un corrispondente warrant;
    c) una tranche junior da 1,6 miliardi di euro a lunga scadenza da assegnare in opzione agli attuali soci;
   in particolar modo, da quanto si apprende da fonti stampa e dalle dichiarazioni dei principali esponenti del Monte dei Paschi di Siena, il valore complessivo della cessione sembrerebbe esser pari al 33 per cento del relativo valore nominale;
   è doveroso precisare che la cessione delle sofferenze di Carife, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti, in base ai parametri disposti dalle istituzioni dell'Unione europea, fu effettuata al 17,6 per cento del relativo valore nominale. Successivamente, in seguito alle verifiche effettuate dai consulenti indipendenti della Banca d'Italia, il valore di cessione delle sofferenze fu «ridefinito» al 22,4 per cento del relativo valore nominale. Se i parametri di valutazione utilizzati oggi per Monte dei Paschi di Siena fossero stati applicati alle sofferenze delle 4 banche, si sarebbero ottenuti 1.309 milioni di euro in più (900 circa secondo le valutazioni definitive) che avrebbero diminuito considerevolmente il peso delle perdite a danno dei risparmiatori;
   da approfondite analisi dei bilanci societari delle «4 banche» e di Monte dei Paschi di Siena emerge, poi, che i valori delle sofferenze con garanzia ipotecaria sono maggiormente favorevoli per le 4 banche: in media, le 4 banche espongono sofferenze con garanzia ipotecaria in misura pari al 56,50 per cento delle sofferenze complessive, contro il 44 per cento di Monte dei Paschi di Siena (dati al 31 dicembre 2015). Tale dato, di rilevante incidenza ai fini della valutazione dello stato patrimoniale e finanziario della banca, getta un forte sospetto sull'attuale manovra (politica) su Monte dei Paschi di Siena. Delle due l'una: o si riconosce un'eccessiva (ed errata) sottovalutazione delle sofferenze delle quattro banche, con tutte le note e pregiudizievoli conseguenze sulle tasche dei risparmiatori; o, in alternativa, si è ora di fronte ad una (voluta) sopravvalutazione delle sofferenze di Monte dei Paschi di Siena al fine di scongiurare «a tutti i costi» l'avvio della procedura di risoluzione, esponendo però a grossi rischi i soggetti chiamati ad intervenire nell'acquisto delle obbligazioni (tra cui anche enti di natura previdenziale);
   il sospetto si rafforza anche in considerazione delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi in merito alle presunte responsabilità politiche sull'attuale crisi di Monte dei Paschi di Siena, attribuite dal Presidente del Consiglio dei ministri a una «parte della sinistra, romana e senese, impicciona e incapace sia a livello territoriale che nazionale», che spingerebbe pertanto l'attuale classe politica di Governo (appartenente a quella stessa sinistra) verso una «doverosa» azione di salvataggio di Monte dei Paschi di Siena;
   a parere degli interroganti il sospetto di una precisa volontà politica sulla questione Monte dei Paschi di Siena diventa quasi una certezza se invece si considerano gli incontri a cena tra il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e l'amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon. Si rammenta che già in passato (precisamente nel 2008, anno in cui era direttore generale del Ministero dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli, oggi capo della divisione corporate and investment banking per Europa, Medioriente, Africa di JP Morgan) la banca Usa ha investito 490 milioni di euro nel prestito obbligazionario convertibile, il famoso «Fresh 2008» da 960 milioni di euro, che, insieme con l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, era servito a finanziare l'operazione Antonveneta. Ad oggi, invece, il piano di salvataggio riserverebbe un ruolo chiave a Jp Morgan quale banca capofila dell'aumento di capitale, per una cifra che potrebbe essere intorno ai 3 miliardi di euro, dello stesso Monte dei Paschi di Siena, necessario dopo la pulizia dei crediti –:
   quali siano le ragioni ed i parametri in base ai quali si ritenga corretto il valore complessivo di cessione delle sofferenze di Monte dei Paschi di Siena, pari al 33 per cento del relativo valore nominale, considerato che le «migliori» sofferenze di Carife, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti (per qualità di garanzia) sono state valutate quasi la metà, così determinandone l'avvio della procedura di risoluzione e le pregiudizievoli conseguenze sui risparmiatori. (3-02453)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   GEBHARD e ALFREIDER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Trentino-Alto Adige molte strutture ricettive, per riuscire a competere con le strutture concorrenti nei mercati limitrofi quali l'Austria, la Baviera e la Svizzera, si sono dovute dotare di un servizio di navetta o pulmino d'albergo, che viene utilizzato quotidianamente per il trasporto dei propri ospiti verso gli impianti di risalita, le piste da sci, le scuole di sci, i servizi di noleggio, le stazioni ferroviarie, gli aeroporti e altro;
   si tratta, nella maggior parte dei casi, di automezzi con capienza massima di 9 persone, compreso l'autista, figuranti anche come mezzo di pubblicità, essendo personalizzati con scritte, foto e recapiti della struttura ricettiva;
   l'attuale interpretazione della disciplina fiscale ai fini IVA ed imposte dirette è molto penalizzante, in quanto, ai fini IVA, è ammessa una deducibilità limitata al 40 per cento, ai fini delle imposte dirette, la deducibilità è limitata al 20 per cento con un tetto massimo del costo di acquisto pari a 18.075,99 euro;
   tale trattamento è da applicare a tutti gli oneri e spese inerenti ai suddetti automezzi (carburante, manutenzione, assicurazione, e altro) anche se essi sono utilizzati esclusivamente per finalità inerenti all'attività d'impresa ricettiva-alberghiera;
   negli anni ci sono state interpretazioni differenti su quali siano i «beni strumentali del soggetto passivo»: dapprima l'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 55 del 12 ottobre 2007, ha asserito che l'espressione «beni strumentali» deve essere riferita ai beni merce, cioè ai beni che formano l'oggetto proprio dell'attività svolta, mentre il dipartimento per le politiche fiscali del Ministero, con la successiva risoluzione n. 6 del 2008, ha affermato che «ai fini dell'integrazione del requisito in commento non rileva il fatto che i beni e i servizi acquistati formino o meno oggetto dell'attività propria dell'impresa, in quanto, dall'ambito applicativo di tale disposizione sono esclusi tutti i casi di integrale utilizzazione nell'attività d'impresa»;
   l'interpretazione ministeriale è risultata, quindi, più estensiva, escludendo la detrazione limitata ogni qual volta il contribuente possa dimostrare un utilizzo dell'autovettura esclusivamente per fini imprenditoriali e/o professionali, fattispecie facilmente dimostrabile per i beni in oggetto;
   ai fini delle imposte dirette la deducibilità integrale, pertanto, è ammessa per gli autoveicoli «utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa» e tali sono quei beni «senza i quali l'attività stessa non può essere esercitata»;
   sul punto l'Amministrazione finanziaria è stata chiara in diverse occasioni, nel senso che devono considerarsi tali «i veicoli senza i quali l'attività stessa non può essere esercitata – rientrano ad esempio nella fattispecie in esame le autovetture per le imprese che effettuano attività di noleggio delle stesse, gli aeromobili da turismo e le imbarcazioni da diporto utilizzati dalle scuole per l'addestramento al volo e alla navigazione» –:
   se ritenga opportuno chiarire, sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini delle imposte indirette, che le navette d'albergo, ovvero gli automezzi con capienza minima pari a sei persone e massima pari a nove persone compreso, il conducente, siano, ai fini delle imposte dirette, veicoli utilizzati esclusivamente nell'attività propria dell'impresa senza i quali l'attività stessa non può essere esercitata e, ai fini dell'IVA, considerate come strumentali e non soggette alle limitazioni del articolo 19-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica, n. 633 del 1972. (5-09338)


   LAFFRANCO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio 2016 il Presidente della Bielorussia Alexandr Lukashenko è stato in visita ufficiale in Italia dove ha incontrato, tra l'altro, il Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Vincenzo Amendola;
   la visita ufficiale del Presidente Lukashenko ha rappresentato un'importante occasione per ricostruire le relazioni politiche e commerciali della Bielorussia con l'Italia e, in generale, con l'Unione europea;
   a febbraio 2016 sono state rimosse le sanzioni a carico di Lukashenko e di altre 170 personalità bielorusse, stabilite dall'Unione europea nel 2011;
   di recente il Consiglio europeo ha espresso la volontà di proseguire «il dialogo sulle riforme necessarie per modernizzare la Bielorussia e sul potenziale di sviluppo delle relazioni con l'Unione europea (compreso un eventuale sostegno finanziario)» (fonte sito web del Consiglio europeo);
   anche se il Presidente Lukashenko sembra interessato a ricostruire le relazioni politiche, dal punto di vista commerciale non è possibile tuttavia rilevare il medesimo impegno;
   si registrano infatti elevati flussi prodotti contrabbandati provenienti dalla Bielorussia, con particolare riferimento al mercato delle sigarette;
   secondo l'ultimo rapporto KPMG «Project SUN» (studio sul mercato nero delle sigarette nell'Unione europea, Norvegia e Svizzera), nel 2015 l'Italia risulta tra i primi cinque Paesi per volumi di sigarette contraffatte e contrabbandate con 4,6 miliardi di sigarette illegali che determinano una perdita di entrate fiscali di circa 822 milioni di euro;
   la Bielorussia risulta essere la principale fonte di sigarette di contrabbando per il mercato italiano ed europeo;
   negli ultimi giorni è stato dato ampio riscontro sulla stampa («Quelle tasse evase dalle sigarette illegali» di Luca Sappino pubblicato sul sito online de «L'Espresso» il giorno 8 giugno e «sigarette illegali in Italia il business di Lukashenko» di Pietro Piovani pubblicato su «Il Messaggero» il giorno 12 giugno) di questo traffico illecito di sigarette;
   circa 6 miliardi di sigarette illegali consumate in Europa sono prodotte in Bielorussia dalla Grodno Tobacco Factory («GTFN»), azienda posseduta interamente dal Governo bielorusso;
   il mercato del tabacco della Bielorussia è direttamente controllato dal Consiglio dei ministri che determina le quote di produzione, supervisiona il mercato, detiene il monopolio all'importazione attraverso l'azienda statale Balarustorg, controlla la quasi totalità della distribuzione domestica;
   in Europa 1 sigaretta illegale su 10 appartiene ad uno dei marchi dell'azienda statale bielorussa, per una perdita in mancate accise per le cause europee pari a circa 1 miliardo di euro;
   negli ultimi anni si osserva un aumento delle cosiddette « illicit whites», sigarette prodotte legalmente in un Paese e destinate prevalentemente al contrabbando; la loro immissione sul mercato di destinazione non è autorizzata e la loro composizione, che spesso non risponde ai requisiti minimi di sicurezza previsti dalla normativa nazionale ed europea, aumenta i rischi per a salute umana;
   il nostro Paese risulta, tra quelli europei, il terzo per volumi di illicit whites (fonte: Transcrime, European Outlook on Illicit Trade in Tobacco Products, 2015) e secondo il citato rapporto KPMG, in Italia nel 2015 sono state commercializzate illegalmente quasi 3 miliardi di « illicit whites» delle quali 600 milioni di sigarette appartengono a marchi GTFN, pari a 600 tonnellate (erano 10 tonnellate solo nel 2009), comportando un danno economico pari a circa 100 milioni di euro in mancate accise e IVA;
   le sigarette di contrabbando rappresentano un'importante fonte di finanziamento della criminalità organizzata e delle cellule terroristiche nel nostro Paese;
   queste sigarette non sono sottoposte né ai controlli di qualità richiesti a livello europeo, ne pagano le tasse come le sigarette vendute legalmente, comportando rischi per la salute e danni erariali ingenti;
   secondo l'ultimo rapporto annuale della Guardia di finanza, nel 2015 i volumi di sigarette di contrabbando sequestrate dalla Guardia di finanza sono stati pari a 275 tonnellate (+37,5 per cento rispetto al 2014) –:
   quali iniziative intenda assumere, anche nelle opportune sedi internazionali e dell'Unione europea, nell'ambito delle sue competenze, al fine di bloccare il traffico di sigarette di contrabbando provenienti dalla Bielorussia, il quale sta determinando ingenti danni alle entrate erariali italiane, per il mancato gettito dell'accisa e dell'IVA, oltre che gravi pericoli per la salute dei consumatori. (5-09339)


   PELILLO e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, ha introdotto alcune norme sul trasferimento dei servizi di pagamento connessi al rapporto di conto di pagamento che consentono la «portabilità» del conto corrente, secondo quanto previsto della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, fondamentale per aumentare la mobilità dei consumatori, titolari di un conto di pagamento;
   secondo l'ultima indagine sui costi dei conti correnti, pubblicata da Banca d'Italia a dicembre del 2015, il costo medio di un conto corrente in Italia è di 82,2 euro, in crescita dello 0,4 per cento rispetto all'anno precedente; i conti accesi da almeno 10 anni e mai trasferiti ad altri intermediari costano circa il 20 per cento in più del costo medio (97,5 euro) mentre i conti aperti da 1 anno costano il 36 per cento in meno del costo medio (52,7 euro);
   nonostante l'oggettivo abbattimento dei costi in caso di portabilità, vi è una resistenza, da parte dei consumatori italiani, al cambiamento della propria banca;
   secondo quanto emerge da un'indagine realizzata nel 2015 dalla società di consulenza internazionale Oliver Wyman, un risparmiatore su venti in Italia rinuncia a cambiare banca per evitare il rischio di riscontrare problemi e disservizi e dover attendere tempi eccessivi per trasferire la propria posizione; secondo tale ricerca emergerebbe una forte disaffezione, da parte dei consumatori, nei confronti del sistema finanziario e una scarsa fiducia nei confronti dei presìdi a tutela dei propri diritti;
   la resistenza al cambiamento dell'istituto bancario da parte dei consumatori, è dovuta anche alla mancata definizione delle norme attuative del citato articolo 2 del decreto legge n. 3 del 2015 che dovrebbero prevedere l'indennizzo a favore del cliente per eventuali ritardi, nonché le modalità per trasferire anche il conto titoli;
   il comma 18, del citato articolo 2 del decreto-legge n. 3 del 2015, stabilisce infatti che, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, siano definiti i criteri per la quantificazione dell'indennizzo in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini per il trasferimento dei servizi di pagamento, nonché le modalità e i termini per il trasferimento, senza oneri e spese, su richiesta del consumatore, di strumenti finanziari da un conto di deposito titoli ad un altro, con o senza la chiusura del conto di deposito titoli di origine;
   i citati decreti ministeriali, che in sede di prima attuazione dovevano essere emanati entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge, non risultano ancora pubblicati –:
   quali siano i tempi per l'adozione dei decreti attuativi previsti dall'articolo 2, comma 18, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, volti a rendere completamente operativa la normativa sul trasferimento dei servizi di pagamento connessi al rapporto di conto di pagamento, in conformità alla direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014. (5-09340)


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 luglio 2016, con riferimento alla decisione del management del Monte dei Paschi di voler uscire dalla crisi che ha investito l'istituto di credito e risolvere le sofferenze che lo affliggono, imboccando la strada di una maxi cartolarizzazione sostenuta da un veicolo di prossima istituzione, il cosiddetto fondo Atlante 2, il Ministro interrogato ha affidato il suo commento ad uno scarno comunicato dai toni marcatamente trionfalistici con il quale ha elogiato la scelta dello stesso management di voler ricorrere al mercato, al fine di scongiurare il bail-in;
   invero, nel mercato operano, oltre ad attori privati, la mano pubblica per mezzo di una garanzia statale, la GACS, finalizzata ad agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza (i cosiddetti non-performing  loans) dai bilanci delle banche italiane, accanto ad un fondo di investimento, il cosiddetto Fondo-Atlante, auspicato dallo stesso Governo e volto a sostenere gli aumenti di capitale di alcune banche italiane ed acquistare crediti deteriorati, alcune Casse previdenziali, che sono enti di natura pubblica ed, infine, la Cassa depositi e prestiti, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il vero protagonista dell'operazione che dovrebbe consentire al Monte dei Paschi di aumentare il suo capitale di cinque miliardi di euro e di dare un taglio netto alle sue sofferenze per un valore di dieci miliardi di euro, sarà il Fondo Atlante (in versione rigenerata) nel quale dovrebbero confluire oltre alle risorse della Cassa depositi e prestiti anche quelle custodite dalle casse previdenziali;
   l'Adepp (l'associazione degli enti previdenziali privati), a parte alcuni distinguo come la sigla sindacale dei dottori commercialisti, ha infatti prontamente risposto alla moral suasion dei mesi scorsi del Governo di finanziare, con il proprio apporto, il Fondo Atlante, lasciando però ai consigli di amministrazione delle singole casse la decisione finale sulla partecipazione o meno al piano di salvataggio; lo stesso Governo, infatti, non potendo intervenire con soldi pubblici ha invocato l'aiuto delle Casse previdenziali, chiedendo loro un contributo di 500 milioni di euro, prelevando di fatto le risorse dai contributi versati dai professionisti per le loro pensioni;
   facendo un'analisi dei dati sulle casse previdenziali, Il Sole 24 Ore spiega che dal 2010 al 2015 i professionisti pensionati sono cresciuti ad un ritmo maggiore rispetto ai nuovi ingressi, registrando in sei anni un incremento pari al 22 per cento, contro un aumento di iscritti del 15 per cento, dati che denunciano che il tesoretto a cui il Governo vorrebbe attingere per salvare MPS, non sembra poi così solido;
   si tratta pertanto di un'ipotesi pericolosa per la sostenibilità di parte del sistema previdenziale: in generale, la salute dei fondi pensione dipende dalla ripresa dell'economia reale, ragione per cui attualmente quelli di vario tipo – aperti, chiusi, privati, pubblici, assicurativi, bancari, professionali, negoziali – faticano ad ottenere buona redditività per i loro patrimoni; il settore immobiliare non garantisce più nulla, se non in molti casi ingenti perdite; i titoli di Stato non rendono quasi niente. Gli investimenti obbligazionari rendono poco e tendono a diventare sempre più rischiosi; non a caso, nella delibera con la quale comunicava la sua disponibilità l'Adepp non ha potuto non ricordare di voler conoscere i dettagli dell'operazione e di essere «in attesa di ricevere le proposte tecniche per le necessarie valutazioni sui rischi e sul rendimento (...) e delle formali direttive da parte dei ministeri vigilanti in materia di investimenti»;
   l'operazione di trasferimento degli NPL della banca senese è programmata ad un prezzo esplicitamente superiore a quello di mercato: ciò comporta che chi partecipa alle relative operazioni di salvataggio deve attendersi fin da ora possibili perdite, anche consistenti, e comunque essere disponibile ad un investimento ad altissimo rischio;  
   non si capisce come questo possa essere compatibile con i princìpi di prudenzialità che necessariamente devono ispirare le scelte di investimento di istituti previdenziali di natura pubblicistica, caratterizzati dall'obbligo di versamento per tutti i professionisti che esercitino in Italia;
   salvaguardare la stabilità del sistema finanziario nazionale, e quindi anche la continuità di MPS, è un interesse di tutti, ma che non può essere scaricato sulle pensioni presenti e future di una parte del Paese;
   non è peraltro chiaro come possa sottrarsi alle previsioni dell'Unione europea sugli aiuti di Stato l'intervento di enti pubblici, quali sono le Casse previdenziali;
   se risponda al vero quanto riportato dai media nazionali, circa un accordo fra il Governo e le Casse previdenziali relativo a modifiche normative, in particolare di carattere fiscali, che farebbero seguito all'eventuale adesione delle stesse al suddetto Fondo Atlante, e sulla base di quale principio si escluda che la suddetta operazione non si configuri come «aiuto di Stato». (5-09341)

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da una settimana, come ha reso noto la stampa locale, l'Istituto poligrafico – zecca dello Stato s.p.a. ha raggiunto un accordo di collaborazione con la regione Valle d'Aosta per l'installazione nello stabilimento di Varrès della linea di produzione di targhe per autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori, storico asset industriale della sede foggiana dell'IPZS, la Cartiera di Foggia;
   tale spostamento, per altro non contenuto nelle linee guida del piano industriale presentato dall'azienda alle organizzazioni sindacali non più di un mese fa, si configura come il colpo di grazia assestato al tessuto industriale della Capitanata e mette a rischio la Cartiera, portando all'ennesima contrazione dei livelli occupazionali nel territorio;
   con la delibera di Giunta n. 959 datata 15 luglio 2016, la regione Valle d'Aosta ha destinato l'enorme cifra di 12 milioni di euro ad un accordo di collaborazione tra Finaosta s.p.a., società finanziaria interamente posseduta dalla regione autonoma della Valle d'Aosta, e l'Istituto poligrafico – zecca dello Stato s.p.a. con l'obiettivo di inaugurare la produzione di targhe ed aumentare di 25 unità le maestranze impiegate nello stabilimento;
   appare quantomeno inusuale, all'interrogante, che una regione, ancorché a statuto speciale destini ingenti investimenti nei confronti di una società integralmente controllata dal Ministero dell'economia delle finanze andando pesantemente a penalizzare l'attività produttiva di una delle sedi della stessa società pubblica di cui sopra;
   come se non bastasse, lo stabilimento valdostano risulta privo del necessario fabbricato coperto di circa 2.500 metri quadrati, e fondamentale per l'installazione della nuova linea di produzione e, come testimoniato dalla già richiamata delibera, IPZS s.p.a. ha manifestato la volontà di coprire per intero i costi di realizzazione;
   al contrario, lo stabilimento foggiano dispone attualmente di strutture e terreni con destinazione d'uso già vincolata ad area industriale;
   il lodevole proposito di aumentare l'occupazione della «Bassa Valle» con ricadute positive per l'intera regione contrasta pesantemente con l'esigenza di tutelare un numero consistente di posti di lavoro in una delle province più povere d'Italia, con tassi di disoccupazione elevatissimi;
   la siffatta operazione fa sorgere all'interrogante il fondato dubbio che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia deciso di disinvestire in Capitanata in favore di una regione, ben più florida da un punto di vista economico, unicamente in ragione della possibilità da parte di quest'ultima di sostenere un finanziamento di ingente portata;
   la Cartiera rappresenta uno degli ultimi stabilimenti industriali dell'intera provincia, l'unica fonte di reddito per decine di famiglie, nonché un pezzo di storia della città di Foggia che ha visto migliaia di propri concittadini avvicendarsi nello stabilimento, spesso anche in condizioni di sicurezza per nulla ineccepibili –:
   quali iniziative urgenti s'intendano assumere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e i profili industriali della sede foggiana l'Istituto poligrafico – zecca dello Stato s.p.a.;
   quali siano le motivazioni industriali e finanziarie che hanno portato alla scelta di spostare gli asset di cui in premessa in Valle d'Aosta, con la conseguente perdita del know how presente nella sede foggiana dell'Istituto non considerando gli obiettivi di coesione e convergenza che si dovrebbero applicare nel campo degli investimenti pubblici su siti produttivi. (4-13987)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   MELILLA, DANIELE FARINA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   Fabrizio P. è un pianista di 47 anni, di Chieti, malato di fibromialgia. La fibromialgia, o sindrome di Atlante, porta dolori muscolari fortissimi, insonnia, spossatezza e scarsa produzione di serotonina;
   dall'11 giugno 2016 è rinchiuso nel carcere di Madonna del Freddo a Chieti con l'accusa di coltivazione di cannabis;
   essendo malato di fibromialgia, Fabrizio P. assumeva a scopo terapeutico la marijuana. A detta del suo avvocato, da quando è in carcere le condizioni di salute dello stesso sono enormemente peggiorate: è molto dimagrito, non riesce a dormire e non può assumere alcune terapia sostitutiva. Rifiuta i medicinali a base di oppiacei per intolleranza, peraltro certificata da anni. Dunque, i medicinali a base di cannabinoidi sarebbero l'unico rimedio efficace per la sua patologia;
   è stato presentato un ricorso per il differimento della pena che è attualmente al vaglio del magistrato di sorveglianza di Pescara; inoltre, è stata depositata anche una relazione medico-legale dal dottor Giambattista Montini che dimostrerebbe la manifesta incompatibilità con il regime carcerario –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire immediatamente sulla delicatissima situazione del signor Fabrizio P., considerati sia i gravissimi problemi di salute, sia la manifesta incompatibilità con il regime carcerario, che rischiano di mettere seriamente a repentaglio la sua vita. (3-02444)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:


   FERRARESI, MICILLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta denominata «Carosello», avviata nel 2006 dalla procura di Napoli, ha messo sotto accusa un sistema che ha provocato, secondo i giudici, un disastro ambientale nel territorio di Acerra (Napoli), movimentando e scaricando illegalmente tonnellate di rifiuti tossici;
   il processo scaturito dall'inchiesta ha visto, il 29 gennaio 2015, la IV sezione penale di, corte d'appello di Napoli condannare a sette anni di reclusione Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, riconoscendoli colpevoli di traffico illecito di rifiuti e di disastro ambientale aggravato ai sensi dell'articolo 434 del codice penale, comma 2;
   così i giudici di appello descrivono le responsabilità dei fratelli Pellini: «Gli imputati non risultano meritevoli delle attenuanti generiche, in ragione delle allarmanti modalità della condotta posta in essere (...) La condotta si connota di particolare gravità, tenuto conto della professionalità serbata nell'azione criminosa e del grave allarme sociale che promana dal fatto»;
   come riportato nell'inchiesta svolta dal giornalista Nello Trocchia e pubblicata da « Il Fatto quotidiano» il 22 luglio 2016, seppur le motivazioni della citata sentenza siano state depositate il 23 aprile 2015 per quanto, dopo il ricorso per Cassazione presentato dagli avvocati degli imputati – e ricordando che, secondo la legge, gli atti debbono essere trasmessi «senza ritardo» al giudice dell'impugnazione –, al momento il fascicolo del procedimento penale non risulta ancora approdato presso la Corte di cassazione;
   secondo le ricerche effettuate in merito dell'avvocato di parte civile, è emerso che il mancato invio in Cassazione sia dovuto a «difetti di notifiche ed altri adempimenti da svolgere»;
   in assenza del fascicolo e della sua conseguente acquisizione, non è possibile fissare l'udienza ed arrivare alla definizione del processo, con il concreto rischio che intervenga la prescrizione, soprattutto nel caso in cui la Corte di cassazione dovesse decidere per l'annullamento con rinvio in corte di appello;
   negli ultimi dieci anni oltre un milione e mezzo di procedimenti penali sono andati perduti a causa della prescrizione, un fatto grave sia per la giustizia che non trova applicazione sia per i costi dei procedimenti che gravano inutilmente sulle casse dello Stato –:
   se, per quanto di competenza, data la particolare gravità e pubblica rilevanza delle illecite condotte riconosciute in secondo grado in capo ai soggetti condannati e sulle quali sarebbe fortemente auspicabile giungere alla formulazione di un giudizio definitivo, non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso la Corte d'appello di Napoli. (5-09346)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   analizzando la relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2015, è evidente come le spese di giustizia nei procedimenti penali e civili risultano esser diminuite nel 2015 rispetto all'esercizio precedente essendo stati stanziati 88,2 milioni di euro, a fronte degli stanziamenti definitivi di competenza del 2014, pari a 509 milioni;
   i fondi destinati al pagamento degli indennizzi per violazione del termine di ragionevole durata del processo sono stati nel 2015 pari 180 milioni di euro (nel 2014 erano circa 100 milioni di euro; 50 milioni nel 2013);
   dai dati forniti dalle corti di appello, risulta che nel 2015 sono stati emessi complessivamente n. 9.668 decreti di condanna per l'importo complessivo di 85,8 milioni di euro (di cui 76,7 milioni per indennizzi e 9,1 per spese di lite); nel 2015 sono stati pagati 142,3 milioni. Quindi, l'entità del debito pregresso, al 31 dicembre 2015, è pari a 399,9 milioni, parzialmente in diminuzione rispetto alla fine del 2014 a fronte di uno stanziamento per l'anno 2016 lievemente inferiore, pari a 177,72 milioni;
   la Corte dei Conti afferma dunque che «dalla rappresentazione sinottica degli stanziamenti di bilancio e dell'entità degli obblighi risarcitori per l'equa riparazione, emerge l'insufficienza delle risorse e l'urgenza sempre più acclarata di pervenire a soluzioni sia organizzative che funzionali per definire l'arretrato debitorio», osservando che l'efficienza organizzativa della giustizia e del settore giudiziario in generale sono elementi decisivi per il paese nell'ottica della crescita;
   gli esiti valutativi della Commissione europea del quadro di valutazione dell'Unione europea della giustizia 2016, nel rapporto pubblicato nel mese di aprile 2016, pur evidenziando ancora la lunghezza dei processi civili, riscontrano un miglioramento rispetto al 2013, con segnali di trasformazione positiva dell'efficienza del sistema giudiziario italiano, soprattutto per la diminuzione del numero delle cause civili pendenti e sul fronte dell'informatizzazione del processo ponendo dunque come obbiettivo sempre più urgente il raggiungimento di risultati concreti nel settore giustizia;
   tuttavia, permangono criticità nell'ambito delle spese per l'equa riparazione, dove la Corte dei conti ha riscontrato nuovi debiti fuori bilancio (85,7 milioni di euro) e nelle spese di funzionamento nel programma dell'Amministrazione penitenziaria (14,5 milioni di euro) evidenziando come non siano ancora risolte le situazioni debitorie pregresse, che, pur se ridotte nell'importo ancora dovuto, ammontano a 22 milioni per intercettazione e 399,9 milioni per equa riparazione;
   relativamente poi alla durata eccessiva dei processi, che ha comportato una notevole dimensione finanziaria della spesa dovuta per l'equa riparazione in applicazione della legge 4 marzo 2001, n. 89, il Ministero della giustizia aveva varato un piano straordinario diretto ad ottenere un progressivo rientro del debito, che al 31 dicembre 2015 risulta ancora notevole (399,9 milioni di euro), nonostante in diminuzione rispetto al passato;
   è da evidenziare inoltre che, al fine di ridurre la massa debitoria nel 2015, è stato sottoscritto un accordo di collaborazione con la Banca d'Italia;
   nonostante si siano registrati dei sensibili miglioramenti dei tempi di risoluzione del contenzioso di secondo grado (-6,9 per cento), del civile ordinario di tribunale (42,5 per cento) e del contenzioso commerciale in tribunale (-7,6 per cento), tuttavia dall'analisi effettuata con la «targatura degli affari civili pendenti», l'amministrazione ha rilevato che le cause ultra-triennali sono aumentate e le pendenze globali sono diminuite, ma sono invecchiate: risultano pertanto a rischio di indennizzo ex «legge Pinto» circa 3,5 milioni di cause –:
   quali iniziative urgenti di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere per migliorare i tempi di risoluzione del contenzioso garantendo la ragionevole durata dei processi. (5-09347)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 (Commissione per i procedimenti referendari) della legge della provincia autonoma di Bolzano 18 novembre 2005, n. 11, avente ad oggetto «Iniziativa popolare e referendum», al comma 1, prevede che entro 15 giorni dalla presentazione di richiesta di referendum è istituita la Commissione per i procedimenti referendari, la quale delibera sull'ammissibilità del referendum, riesamina i voti contestati e proclama il risultato dei referendum. La commissione è composta: a) da un magistrato del tribunale di Bolzano; b) da un magistrato della sezione di controllo della Corte dei conti avente sede a Bolzano; c) da un magistrato della sezione autonoma per la provincia di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa. Al comma 2 prevede che i componenti della commissione sono individuati mediante sorteggio, a cura del direttore della ripartizione provinciale servizi centrali, di un membro effettivo e di un membro supplente nell'ambito di ciascuna delle tre terne di nomi, proposti dai presidenti rispettivamente del Tribunale di Bolzano, della sezione di controllo della Corte dei Conti avente sede a Bolzano e della sezione autonoma per la provincia di Bolzano del tribunale regionale di giustizia amministrativa;
   l'articolo 16 (valutazione dell'ammissibilità dei referendum popolari nei comuni della provincia di Bolzano) della legge della regione Trentino-Alto Adige 9 dicembre 2014, n. 11 avente ad oggetto «Disposizioni in materia di enti locali», al comma 1, prevede che nei comuni della provincia di Bolzano la legittimità e la regolarità e quindi l'ammissibilità dei referendum popolari, sulla base di quanto stabilito nei singoli statuti e regolamenti comunali, viene valutata da una Commissione composta secondo quanto previsto dall'articolo 8 comma 1 della legge provinciale 18 novembre 2005, n. 11. Ai membri della Commissione competono le indennità di cui alla legge provinciale 19 marzo 1991, n. 6, previste per le commissioni a rilevanza esterna. Al comma 2 prevede che i componenti della commissione sono nominati dal consiglio dei comuni, previa intesa tra il consiglio dei comuni stesso e i presidenti del tribunale di Bolzano, della sezione di controllo della Corte dei Conti avente sede a Bolzano e della sezione autonoma per la provincia di Bolzano del tribunale regionale di giustizia amministrativa, e sono individuati mediante sorteggio, a cura del segretario del consiglio dei comuni, di un membro effettivo e di un membro supplente nell'ambito di ciascuna delle tre terne di nomi proposte rispettivamente dai Presidenti medesimi;
   l'articolo 16 del regio decreto n. 12 del 1941, al primo e secondo comma, prevede che: «I magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione. Salvo quanto disposto dal primo comma dell'articolo 61 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, non possono, inoltre, accettare incarichi di qualsiasi specie né possono assumere le funzioni di arbitro, senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura»;
   con circolare n. P. 22581 del 9 dicembre 2015 (delibera del 2 dicembre 2015) la Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha disposto, all'articolo 1.6, che per gli incarichi conferiti dalla legge esclusivamente a magistrati, non specificatamente individuati, con designazione disciplinata dalla stessa legge, chi procede alla designazione (di regola, il dirigente dell'ufficio ove il magistrato presta servizio) informa, preliminarmente, tutti i magistrati designabili, affinché esprimano la loro eventuale disponibilità all'incarico; la designazione deve avvenire, preferibilmente, tra coloro che hanno manifestato la propria disponibilità, con provvedimento motivato che dia conto delle ragioni della scelta effettuata. Ha altresì disposto all'articolo 1.7 che il designante comunica al C.S.M. l'avvenuta nomina, unitamente ad un prospetto degli incarichi in corso e di quelli espletati nell'ultimo biennio da tutti i magistrati dell'ufficio, con l'indicazione dei magistrati dell'ufficio che hanno dato la loro disponibilità;
   all'articolo 4 «Incarichi soggetti ad autorizzazione» la predetta circolare dispone che gli incarichi conferiti da legge regionale e da legge delle province autonome di Trento e Bolzano sono sottoposti al vaglio del C.S.M., affinché ne valuti l'autorizzabilità, secondo le disposizioni contenute nella parte terza della circolare in questione. I menzionati incarichi richiedono pertanto l'autorizzazione consiliare;
   all'articolo 25.1 «L'inosservanza della circolare» prevede che i comportamenti in contrasto con l'articolo 16 del regio decreto n. 12 del 1941 e con le direttive della medesima circolare sono valutati dal C.S.M. ai fini sia di eventuale applicazione dell'articolo 2 della legge sulle guarentigie, sia di eventuale comunicazione ai titolari dell'azione disciplinare;
   con decreto del direttore dell'ufficio provinciale affari istituzionali della provincia di Bolzano n. 22355 del 15 dicembre 2015 è nominata la Commissione per i procedimenti referendari. Tale commissione è costituita dai componenti effettivi: dottor Stefan Tappeiner per il tribunale di Bolzano, dottor Alessandro Pallaoro componente effettivo per la Corte dei Conti – sezione di controllo di Bolzano, dottoressa Edith Engl componente effettivo per il tribunale amministrativo regionale – sezione autonoma di Bolzano; e dai componenti supplenti, dottor Thomas Weissteiner, dottor Marcovalerio Pozzato e dottoressa Lorenza Pantozzi Lerjefors. Le spese relative ai lavori della commissione vengono precauzionalmente quantificate in una somma complessiva pari a euro 2.925,60. Lo svolgimento dell'incarico inizia il 15 dicembre 2015 e termina il 31 dicembre 2016;
   a quanto consta all'interrogante il dottor Tappeiner e il dottor Weissteiner sarebbero stati individuati senza sorteggio. Dagli elementi a disposizione sembrerebbe che l'incarico non sia stato assegnato in conformità alle modalità previste dagli articoli 1.6 e 1.7 della circolare n. P. 22581 del 9 dicembre 2015 e senza aver ottenuto l'autorizzazione prevista dall'articolo 4 della medesima circolare;
   sul sito del consiglio dei comuni non appare alcun documento che faccia riferimento alla nomina della commissione unica prevista dalla legge regionale. Tuttavia, dal verbale della seduta del consiglio comunale di Caldaro (Bolzano) del 30 dicembre 2015 si apprende dell'insediamento della commissione unica per i procedimenti referendari nominata dal consiglio dei comuni della provincia di Bolzano. Dal medesimo verbale risulta che la predetta commissione è stata nominata dal consiglio dei comuni il 4 dicembre 2015 ed è composta dai seguenti componenti effettivi: dottoressa Maria Cristina Erlicher per Tribunale di Bolzano, dottor Raffaele Dainelli sezione di controllo Corte dei Conti, dottoressa Margit Falk Ebner tribunale amministrativo regionale, e dai seguenti componenti sostituti: dottor Oswald Leitner, dottor Marcovalerio Pozzato e dottoressa Alda Dellantonio. Lo svolgimento dell'incarico inizia il 15 dicembre 2015 e termina il 31 dicembre 2016;
   in riferimento alla procedura di nomina della predetta commissione la dottoressa Maria Cristina Erlicher e il dottor Oswald Leitner non è stato specificato se siano stati individuati con sorteggio come previsto dall'articolo 16 della legge regionale n. 11 del 2014. Apparirebbe altresì che nemmeno i suddetti incarichi extra giudiziali siano stati effettuati conformemente alle modalità di nomina previste dagli articoli 1.6 e 1.7 della circolare n. P. 22581 del 9 dicembre 2015 e che non sia stata approvata l'autorizzazione prevista dall'articolo 4 della medesima circolare;
   in data 4 dicembre 2015 è approvata a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio della provincia autonoma di Bolzano la richiesta di indizione di referendum consultivo facoltativo sul disegno di legge provinciale n. 60 del 2015 recante «Norme sull'aeroporto di Bolzano». Al provvedimento sono succedute comunicazioni del Consiglio provinciale al presidente della provincia di data 9 dicembre 2015 e 10 dicembre 2015, ai sensi dell'articolo 12 della legge provinciale n. 11 del 2005;
   nella votazione popolare del 12 giugno 2016, indetta con decreto del Presidente della Provincia di Bolzano del 23 febbraio 2016, n. 622, è sottoposto il seguente quesito: «Volete che sia approvato il disegno di legge n. 60 del 2015, recante oggetto «Norme sull'aeroporto di Bolzano», per il quale in data 4 dicembre 2015 il consiglio della provincia autonoma di Bolzano ha deliberato l'indizione di un referendum consultivo?». Il disegno di legge proponeva un piano di rilancio dell'attività aeroportuale il cui obiettivo era il raggiungimento di 170.000 passeggeri annui prima del 2022. Sull'opuscolo informativo divulgato dall'amministrazione provinciale si riportava la notizia che il raggiungimento dell'obiettivo avrebbe portato ogni anno al territorio un valore aggiunto di 14,5 milioni di euro e un maggiore gettito fiscale di 2,2 milioni ciò a seguito di un sostegno finanziario provinciale di 2,5 milioni all'anno nel quinquienno 2017-2021;
   la dottoressa Elsa Vesco, presidente del tribunale di Bolzano, risulta essere legata da vincolo di matrimonio con il presidente di Assoimprenditori Alto Adige della provincia di Bolzano nonché vicepresidente di Confindustria Stefan Pan;
   il presidente di Confindustria della provincia di Bolzano Stefan Pan ha partecipato attivamente alla campagna referendaria sostenendo pubblicamente con forza le ragioni del piano di rilancio dell'aeroporto e la conseguente necessità di impiegare risorse pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. A titolo di esempio si menziona il ricevimento di Assoimprenditori di Bolzano svolto nel mese di gennaio 2016 presso un hangar dell'aeroporto bolzanino alla presenza di circa 500 imprenditori e del presidente della provincia Arno Kompatscher. In quel contesto, la sintesi del lungo intervento riportata integralmente sul sito della testata giornalistica Alto Adige Innovazione è stata: «L'Alto Adige rischia di morire di chilometro zero: l'autarchia e la chiusura come pensieri pericolosi, l'aeroporto come cavallo di battaglia dell'Alto Adige che vuole aprirsi al mondo»;
   all'interrogante risulta che gli interpelli per chiedere la disponibilità dei giudici per l'individuazione dei suddetti componenti delle commissioni previste dall'articolo 16 della legge regionale n. 11 del 2014 e dall'articolo 8 della legge provinciale n. 11 del 2005 sarebbero stati sottoposti ai giudici del tribunale di Bolzano solo in data 7 luglio 2016 ovvero posteriormente all'insediamento delle Commissioni stesse. In particolare, per il caso specifico della commissione provinciale, l'interpello sarebbe stato notificato solo dopo lo svolgimento delle procedure referendarie relative allo svolgimento sul rilancio dell'aeroporto di Bolzano;
   l'unico giudice ad aver dato la propria disponibilità per la nomina quale componente effettivo della commissione per i procedimenti referendari ai sensi dell'articolo 8 della legge provinciale n. 11 del 2005 è il dottor Stefan Tappeiner. Non è tuttavia nota la data in cui è stata protocollata la comunicazione di manifestazione della disponibilità;
   da come si sono succeduti i fatti sopra illustrati l'interrogante ritiene che vi siano elementi a sufficienza per ipotizzare che l'assegnazione degli incarichi ai componenti delle commissioni per i procedimenti referendari previste dalla legge regionale n. 11 del 2014 e dalla legge provinciale n. 11 del 2005 sia stata effettuata senza attivare una procedura aperta trasparente ed intelligibile, contrariamente a quanto dettagliato dalla circolare n. P. 22581 del 2015 della prima commissione del C.S.M.. A conferma della predetta ipotesi si potrebbe citare il fatto che le nomine del dottor Tappeiner, della dottoressa Erlicher, del dottor Weissteiner e del dottor Leitner non risulterebbero comprese nell'elenco pubblicato sul sito web del C.S.M. degli incarichi extragiudiziali autorizzati dal 14 novembre 2015 al 13 maggio 2016;
   la Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d'Europa (nota come Commissione di Venezia) nel codice di buona condotta sui referendum raccomanda l'istituzione di un organo imparziale competente per l'organizzazione del referendum, quale dovrebbe essere la commissione per i procedimenti referendari. Tale orientamento è stato peraltro rimarcato anche nel parere 797/2014 espresso sul disegno di legge di iniziativa popolare 1/XV della limitrofa provincia di Trento, nel quale la Commissione di Venezia ha ribadito l'importanza di una composizione imparziale ed equilibrata. L'interrogante ritiene altresì che l'imparzialità non sia stata garantita, poiché le procedure di nomina hanno presentato diverse lacune e sono state caratterizzate da un conflitto di interesse in carico al soggetto designante –:
   se si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive anche ai fini di eventuali azioni disciplinari nei confronti del presidente del tribunale di Bolzano, anche alla luce delle disposizioni previste dagli articoli 1.6 e 1.7 della circolare 22581 del 2015 del Consiglio superiore della magistratura.
(4-14003)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   TINO IANNUZZI, BORGHI e MANFREDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto Mercato San Severino-Salerno, svolge una funzione di valenza nazionale, collegando le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria; tale tratta è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina interminabili ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano la circolazione con, grave pericolo per gli utenti;
   il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono assolutamente necessari, presentando il raccordo Salerno-Avellino condizioni di sicurezza inadeguate e carenti, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale – due sole corsie per ogni senso di marcia – e per il livello del traffico assai elevato;
   il potenziamento del raccordo è una priorità nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   il costo complessivo del I lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, di circa 8,5 chilometri ed articolato in due distinti e collegati stralci funzionali, è stimato in 237 milioni di euro; tale lotto costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, il cui progetto di ammodernamento e messa in sicurezza deve essere rapidamente completato;
   il finanziamento di tale opera è stato oggetto di diverse e contraddittorie vicende, dettagliatamente elencate dagli interroganti in precedenti atti di sindacato ispettivo –:
   quale sia il quadro attuale e preciso sia del finanziamento, per 237 milioni di euro, del 1o lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino del Raccordo Salerno Avellino sia dei lavori relativi alla Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, di cui il predetto lotto è parte integrante. (5-09335)


   DAGA, TERZONI, MANNINO, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2014 è stato approvato il decreto-legge n. 47 del 2014 convertito dalla legge 80 del 2014 che, all'articolo 1 prevede il finanziamento di due fondi, quello nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 e quello destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124;
   all'articolo 10 del decreto sono introdotte misure volte a favorire la riduzione del disagio abitativo attraverso l'aumento dell'offerta di alloggi sociali in locazione prevedendo al comma 6 che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni definiscono, qualora non siano già disciplinati da norme vigenti e per i casi non disciplinati da convenzioni già stipulate, i requisiti di accesso e di permanenza nell'alloggio sociale, i criteri e i parametri atti a regolamentare i canoni minimi e massimi di locazione, di cui al decreto ministeriale in attuazione dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 2007, n. 9, e i prezzi di cessione per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita. Le regioni, entro il medesimo termine, definiscono la durata del vincolo di destinazione d'uso, ferma restando la durata minima di quindici anni per gli alloggi concessi in locazione e di otto anni per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita o con patto di riscatto. Le regioni possono introdurre norme di semplificazione per rilascio del titolo abilitativo edilizio convenzionato e ridurre gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di cui al presente articolo. Al comma 7, si prevede che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e comunque anteriormente al rilascio del primo titolo abilitativo edilizio di pertinenza, i comuni approvano i criteri di valutazione della sostenibilità urbanistica, economica e funzionale dei progetti di recupero, riuso o sostituzione edilizia e determinano le superfici complessive che possono essere cedute in tutto o in parte ad altri operatori ovvero trasferite su altre aree di proprietà pubblica o privata, per le medesime finalità di intervento, con esclusione delle aree destinate all'agricoltura o non soggette a trasformazione urbanistica dagli strumenti urbanistici, nonché di quelle vincolate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
   all'articolo 3, comma 1, il decreto prevede: «1. All'articolo 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, anche in deroga alle disposizioni procedurali previste dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560. Il suddetto decreto dovrà tenere conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale. Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014, convertito dalla legge n. 80 del 2014, prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica; lo stesso articolo prevede che: «Il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla, completa attuazione del Programma»; l'articolo 14, del cosiddetto decreto-legge «giubileo», recante «Interventi in materia di edilizia residenziale pubblica», prevede: «Al fine di incentivare il programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica anche per prevenire fenomeni di occupazione abusiva, è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l'anno 2015 da ripartire sulla base del programma redatto ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80»; nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 29 ottobre 2015, in risposta all'interrogazione n. 5/06737, il Governo ha sostenuto che: «i fondi disponibili in questa prima fase renderanno possibile intervenire su circa 4400 alloggi con interventi di lievi entità e su oltre 18.000 alloggi con interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria. Ciò posto, è intenzione del MIT rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica con il rifinanziamento del programma di recupero mediante il reperimento di nuove risorse»;
   nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 10 febbraio 2016, in risposta all'interrogazione n. 5-07746, il Governo ha sostenuto che: «All'inizio del mese di dicembre 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto a mettere a disposizione dei bilanci regionali le prime risorse finanziarie limitatamente agli interventi di lieve entità per le annualità 2014-2015 con importo complessivo di 25 milioni di euro»;
   considerato che i sopracitati decreti prevedono l'ultimazione degli interventi di lieve entità entro 60 giorni dalla data del provvedimento regionale di concessione del contributo ai soggetti attuatori, i primi esiti del programma potranno essere conosciuti non prima del mese di aprile;
   all'articolo 11 il decreto, relativamente all'attuazione del provvedimento, rimanda a quanto previsto agli articoli 1, 4 e 10 –:
   se il Ministro interrogato, in base a quanto previsto dalle norme riportate in premessa, sia in grado di fornire i dati sullo stato di attuazione dell'intero provvedimento e, in particolare, relativamente allo stato di attuazione del programma di recupero previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014. (5-09336)


   PELLEGRINO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 161 del 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha dettato le disposizioni di attuazione dell'articolo 6, comma 5, del decreto-legge n. 102 del 2013 (convertito dalla legge n. 124 del 2013), con cui era stato istituito presso il Ministero stesso un fondo destinato agli inquilini «morosi incolpevoli»;
   l'articolo 2 del suddetto decreto ministeriale definisce «morosità incolpevole» la situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione di una perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare dovuta ad una delle seguenti ragioni: perdita del lavoro per licenziamento, accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell'orario di lavoro, cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale, mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici, cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente ed infine malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la consistente riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell'impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali;
   il fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli ha avuto una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
   il riparto delle somme è stato effettuato nel 2014 mediante l'assegnazione del 30 per cento della cifra disponibile a quelle regioni che avevano adottato le previste norme per la riduzione del disagio abitativo, ed il rimanente 70 per cento tra tutte le altre regioni e province autonome, mentre l'incremento del Fondo è stato ripartito in proporzione al numero di provvedimenti di sfratto per morosità emessi;
   la disponibilità complessiva relativa all'annualità 2015 è stata ripartita in proporzione al numero di provvedimenti di sfratto per morosità emessi, registrato dal Ministero dell'interno al 31 dicembre 2013 (il 30 per cento destinato a Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia, mentre il rimanente 70 per cento alle restanti regioni e province autonome);
   il decreto che doveva provvedere alla ripartizione delle risorse del 2016 introducendo miglioramenti al precedente decreto, nonostante sia stato approvato dalla Conferenza Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, non è stato adottato;
   ciò è avvenuto nonostante gli sfratti presi in considerazione dal decreto rappresentino oltre 80 per cento degli sfratti emessi dalla magistratura, così come verificato dalle ultime rilevazioni del Ministero dell'interno;
   la mancata ripartizione delle risorse colpisce maggiormente la Campania, dove in materia intervengono sostanzialmente solo le risorse nazionali;
   come se ciò non bastasse, il Fondo nazionale per le locazioni non ha ricevuto nessun finanziamento nazionale per il 2016;
   mentre molte regioni hanno provveduto a sopperire al mancato finanziamento governativo del Fondo nazionale per le locazioni, la Campania non ha ufficializzato alcun bando, mettendo in enorme difficoltà numerosi comuni;
   nel 2015 Napoli e la sua provincia hanno visto emettere 3303 provvedimenti di sfratto, di cui l'88 per cento per morosità; dal 2012 ad oggi il numero di sfratti per morosità nella provincia napoletana ha sempre rappresentato una percentuale superiore all'80 per cento del complessivo ammontare di sfratti;
   il disinteresse che il Governo ad avviso degli interroganti, sembra palesare in questi mesi nei confronti di una questione estremamente complessa ed importante come quella dei casi di morosità incolpevole rischia di mettere in ginocchio migliaia di famiglie in tutta Italia;
   se poi a ciò si aggiunge la crisi economica che ancora imperversa nel nostro Paese, e che ha colpito con ancor più ferocia il Mezzogiorno, diventa chiaro come la mancata assegnazione delle somme disponibili nel Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli ed il mancato rifinanziamento del Fondo nazionale per le locazioni rischia di lasciare letteralmente in mezzo ad una strada migliaia di famiglie campane –:
    se non ritenga doveroso, urgente ed improrogabile adottare il decreto ministeriale con il quale ripartire anche per il 2016 somme non inferiori a quelle del precedente biennio per gli inquilini morosi non colpevoli, e se non ritenga urgente assumere iniziative per rifinanziare il Fondo nazionale per le locazioni. (5-09337)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE, CUOMO e BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei recenti temporali che hanno interessato la zona nei pressi del piazzale antistante la stazione ferroviaria di Ferrandina, il piazzale medesimo è stato invaso da acqua e fango;
   i detriti non sono stati rimossi e quindi per i viaggiatori l'accesso alla stazione risulta assai complesso ed è del tutto evidente il danno di immagine che ne consegue, anche perché la stazione in questione di fatto è la porta d'accesso alla città di Matera per chi viaggia in treno lungo l'asse Tirreno/Jonio;
   purtroppo, non è la prima volta che si verifica una situazione del genere e già in altra circostanza il primo firmatario del presente atto aveva depositato un atto di sindacato ispettivo inerente all'inefficacia di alcuni lavori che erano stati realizzati presso il piazzale in questione;
   il problema riguarda anche la strada statale 407 Basentana, poiché il fango giunge presso la stazione dopo aver interessato anche la carreggiata dell'importante arteria stradale –:
   quali iniziative il Governo intenda avviare affinché Anas, per quanto concerne la sede stradale, e Rete ferroviaria italiana provvedano alla rimozione della fanghiglia e al ripristino del decoro per una stazione, quale quella di Ferrandina, che quotidianamente risulta essere uno snodo strategico per pendolari e turisti.
(5-09331)


   TERZONI, GALLINELLA, CECCONI, AGOSTINELLI, CIPRINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle regioni Umbria e Marche è in corso di esecuzione il progetto Quadrilatero, il quale prevede la realizzazione di un sistema di infrastrutture viarie, i cui assi rappresentano idealmente i quattro lati di un quadrilatero;
   il progetto viario della Quadrilatero consiste nel completamento e adeguamento di due arterie principali (l'asse Foligno-Civitanova Marche strada statale 77 e l'asse Perugia-Ancona statali 76 e 318), della Pedemontana Fabriano-Muccia/Sfercia e di altri interventi viari, idonei ad assicurare il raccordo con i poli industriali esistenti e, più in generale, a migliorare ed incrementare l'accessibilità alle aree interne delle regioni interessate;
   dal punto di vista strategico-logistico il progetto infrastrutturale viario ha l'obiettivo di inserirsi nel sistema delle principali dorsali del Paese, potenziando gli assi viari di attraversamento delle regioni Marche e Umbria al fine di migliorare il collegamento con le regioni circostanti e verso l'Europa;
    il progetto viario è suddiviso nei due maxilotti seguenti:
     a) maxilotto 1, il cui contraente generale è la Società di progetto Val di Chienti: strada statale 77 «Val di Chienti» tratto Foligno-Collesentino (completamento 4 corsie); strada statale 78 «Val di Fiastra» tratto Sforzacosta-Sarnano; Intervallive di Macerata e Tolentino-San Severino strada statale 3 «Flaminia» tratto Foligno-Pontecentesimo; Allacci strada statale 77 a strada statale 16 (Civitanova Marche) e a strada statale 3 (Foligno);
     b) maxilotto 2, il cui contraente generale è la società di progetto DIRPA2 Scarl: strada statale 76 «Val d'Esino» tratti Fossato di Vico-Cancelli e Albacina-Serra San Quirico (completamento 4 corsie); strada statale 318 di «Valfabbrica» tratti Pianello-Valfabbrica (completamento 4 corsie); Pedemontana delle Marche tratto Fabriano-Muccia/Sferci –:
   quanti fondi lo Stato abbia erogato e a quali soggetto per il pagamento degli indennizzi relativi agli espropri suddivisi per lotti e sublotti;
   quanti siano gli espropri per i quali sia già stato effettuato pagamento ed il loro relativo ammontare, suddiviso per lotti e sublotti;
   se al Governo risulti che siano stati effettuati degli espropri per i quali non sia stato disposto il relativo pagamento e, in caso di risposta affermativa, se non intenda darne la quantificazione aggregata per lotti e sublotti;
   chi abbia la responsabilità relativa alle procedure di esproprio e al loro indennizzo;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per garantire che i proprietari dei terreni espropriati ottengano il legittimo risarcimento nel più breve tempo possibile. (5-09333)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   da recenti numerose agenzie di stampa si è appreso dell'arrivo a Ventimiglia di 12 moduli abitativi che verranno gestiti dalla Croce rossa italiana nel centro di transito temporaneo per i migranti ubicato all'interno del Parco ferroviario del fiume Roja; il numero dei suddetti blocchi è in costante aumento e si attende l'arrivo di ulteriori moduli nei prossimi mesi;
   il Parco Roja, area dove sono pervenuti in questi giorni, i moduli abitativi, è di proprietà di Rete ferroviaria italiana e creato all'inizio degli anni ’90 come zona di parco merci per il traffico ferroviario e in corso di dismissione; su quest'area nei 2014 venne siglato un accordo di programma tra l'amministrazione di Ventimiglia, la regione, Rete ferroviaria italiana per la realizzazione di un'area produttiva industriale;
   la regolamentazione di questo centro temporaneo dev'essere ancora approvata e non si ha al momento contezza di come dovrà essere gestito, quanti migranti dovrà accogliere e per quanto tempo, ma secondo quanto si apprende dai mezzi di stampa ciascun migrante potrà decidere o meno di farsi identificare all'ingresso, sostenuto anche dall'ausilio di mediatori linguistici che dovranno illustrare le possibilità offerte dallo Stato italiano a seguito delle quali i migranti potranno valutare di andar via o chiedere lo status di profugo;
   eppure solamente il 7 maggio 2016 il Ministro dell'interno in occasione di un sopralluogo a Ventimiglia aveva annunciato la chiusura del centro di accoglienza e contestualmente garantito la predisposizione di un piano alternativo che avrebbe appianato la situazione che da un anno a questa parte attanaglia il comune della provincia di Imperia; in realtà, questo piano migranti si è rivelato del tutto fallimentare e con effetti deleteri per la comunità di Ventimiglia. Nel caso specifico e in esame ai rileva, invece, la nascita di una tendopoli lungo le sponde del Roja di migranti i quali vivono in condizioni disumane in mezzo al fango e alla sporcizia, contribuendo al degrado cittadino, a causa anche di una mancata intensificazione dei controlli e di una politica volta a limitare gli arrivi al confine;
   a seguita del blocco delle frontiere da parte della Francia avvenuto l'11 giugno 2015, il prefetto di Imperia (di concerto con le altre autorità competenti, tra cui il comune di Ventimiglia) aveva individuato una soluzione temporanea nella collocazione dei migranti in aree della stazione, adibendo alcuni locali ferroviari a dormitorio e mensa; per questo piano venne stilato un contratto di comodato d'uso tra Rete ferroviaria italiana e prefetto e un contratto di sub-comodato col comune di Ventimiglia;
   nel mese di marzo 2016 il prefetto di Imperia ha pubblicato un bando avente ad oggetto la gestione del servizio di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale sul territorio della provincia di Imperia presso strutture individuate dall'affidatario per un massimo di 500 posti a cui hanno partecipato 6 cooperative;
   Ventimiglia è sempre stata zona di transito di migranti che tentano di raggiungere la Francia e il Nord Europa, ma adesso risulta quanto più urgente ed opportuno intervenire in maniera più efficiente e incisiva, alla luce soprattutto delle ripetute richieste da parte dei cittadini che a gran voce chiedono attraverso raccolte di firme, comunicati stampa e manifestazioni varie, l'adozione di soluzioni adeguate e dignitose per i migranti e i cittadini;
   a causa dei nuovi flussi migratori, infatti, la situazione è nuovamente caduta nel caos, molti migranti cercano di sfuggire all'identificazione per paura dell'applicazione del Trattato di «Dublino III» e vivono in una condizione di mancata tutela istituzionale;
   sotto il profilo delle risorse finanziarie necessarie a fronteggiare i notevoli flussi migratori degli ultimi anni, occorre ricordare che l'Unione europea ha istituito degli appositi fondi destinati al sostegno delle politiche in materia di immigrazione degli Stati membri; nello specifico, si tratta del «Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami)» e del «Fondo sicurezza interna (Fsi)». In particolare, l'obbiettivo del Fami è quello di «contribuire alla gestione efficace dei flussi migratori e all'attuazione, al rafforzamento e allo sviluppo della politica comune di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea e della politica comune dell'immigrazione, nel pieno rispetto dei diritti e dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» –:
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda mettere in campo al fine di fronteggiare la drammatica situazione in cui versano i migranti e i cittadini di Ventimiglia da ormai un anno e come intenda garantire l'ordine pubblico, la sicurezza e le condizioni igienico-sanitarie a tutela dei cittadini;
   se siano state previste iniziative per stanziamenti ulteriori o fondi straordinari (eventualmente anche di concerto con la regione Liguria) per gestire meglio l'incresciosa situazione venuta a determinarsi;
   a quanto ammontino le risorse finanziarie europee (Fami) assegnare all'Italia per il periodo compreso tra il 2014 e il 2020 e, in particolare, le risorse stanziate per l'anno 2016 chiarendone il relativo impiego.
(2-01445) «Simone Valente, Brescia, Mantero, Lorefice, Colonnese, Dadone, Dieni, Zolezzi, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   quanto riportato da Il Giornale nell'edizione del 29 aprile 2016 conferma che le ripetute denunce della Lega Nord contro le politiche dell'immigrazione attuate da questo Governo sono tutt'altro che demagogiche;
   da mesi si ribadisce che le scelte del Governo sono fuori da ogni logica e fanno gridare vendetta in nome di chi è rimasto senza lavoro, di chi vive la crisi e di tutti quei cittadini che, per un motivo o per l'altro, hanno bisogno di un concreto supporto delle istituzioni;
   l'ultimo episodio a dir poco vergognoso è accaduto nel quartiere Salinella di Taranto, dove sono stati sfrattati, senza alcun preavviso, dal centro di accoglienza gestito dall'associazione ABFO presso una scuola comunale in disuso, 47 italiani bisognosi per poter ospitare gli immigrati che continuano a sbarcare senza sosta sulle coste italiane;
   a ritenere la situazione «disumana» e «inaccettabile» è addirittura il parroco del Sacro Cuore, don Luigi Larizza, che si è fatto avanti per ospitare nella propria parrocchia gli italiani sfrattati «io gli sto offrendo un tetto ma solo non posso fare molto. Nessuno li aiuta. Sono stati costretti a vivere per strada. A dormire in stazione, al pronto soccorso, nei giardini pubblici» (...) un 74 enne con problemi di salute «mi ha fatto pena. Dormiva in un giardino, ed era stato perfino aggredito dai cani randagi»; una signora invece «si è distesa per la prima volta su una stuoia della parrocchia, dopo dieci giorni passati nella sala d'attesa del pronto soccorso, seduta su una sedia»;
   per fotografare questa situazione vergognosa, il parroco usa la parabola del buon samaritano: «Oggi il buon samaritano è il popolo italiano, che paga le tasse, ma resta fuori dall'albergo. Gli albergatori, che ospitano solo clandestini, invece, incassano e basta. Se i 47 italiani fossero stati immigrati e clandestini, allora si sarebbe trovato posto confortevole e garantito anche per loro» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se non ritenga di dover urgentemente cambiare rotta nella politica d'accoglienza che, ad avviso dell'interrogante, suona sempre più come un insulto ai cittadini ed alle famiglie italiane. (4-13994)


   CARUSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della regione siciliana n. 296 del 6 luglio 2016 è stata decretata, su proposta del commissario regionale dell'ente, ai sensi dell'articolo 34 della legge regionale n. 22 del 1986, l'estinzione dell'istituzione pubblica di assistenza e beneficenza (IPAB) «Pennisi Alessi Allegra e Fresta» di Acireale, cedendo senza alcun vincolo di fine e facendo venire meno così le finalità socio-assistenziali statutariamente previste fin dalla fondazione dell'ente, sia il patrimonio immobiliare sia il personale al comune di Acireale;
   l'IPAB sopracitata da circa un quinquennio è commissariata dalla regione siciliana per l'amministrazione sia ordinaria che straordinaria, senza che si sia provveduto alla nomina e all'insediamento del consiglio di amministrazione statutariamente previsto per lo svolgimento e il governo dell'attività istituzionale;
   si osserva che ai sensi dell'articolo 17 dello statuto della medesima IPAB, anche lo Stato centrale partecipa nel consiglio di amministrazione, grazie alla nomina di un componente del consiglio di amministrazione da parte del prefetto di Catania, competente per territorio;
   non risulta all'interrogante che il succitato prefetto di Catania sia stato informato, né tantomeno coinvolto, nella decisione del commissario straordinario di richiedere la procedura d'estinzione;
   si ricorda che l'IPAB in questione gode di un rilevante patrimonio immobiliare, che per statuto viene impiegato nell'attività istituzionali e che di recente è stato utilizzato per fronteggiare l'emergenza immigrazione, accogliendo molte persone, soprattutto minori non accompagnati;
   a parere dell'interrogante, inoltre, la possibilità di estinzione di un IPAB va considerata solo come una mera opzione subordinata all'impossibilità di fusione con altra IPAB che svolga attività socio-assistenziali nello stesso territorio;
   altre due IPAB sono, invece, operanti del settore socio-assistenziale nel comune di Acireale e, se del caso si poteva esperire il tentativo di una fusione prima di procedere alla estinzione –:
   se il prefetto di Catania fosse o meno informato delle procedure decise dal commissario dell'ente, e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere qualora il prefetto, rappresentante dello Stato nell'IPAB citata, confermi di non essere stato informato della succitata decisione. (4-14001)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2016, le organizzazioni sindacali regionali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Gilda Unams Emilia-Romagna, con un comunicato congiunto, hanno denunciato le proprie preoccupazioni sull'organico del personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario per l'anno scolastico 2016/2017 e la condizione di criticità che, ormai da diversi anni, si ripete ogni estate costringendo le scuole all'incertezza della programmazione, compromettendo la qualità dell'offerta formativa, mettendo in fibrillazione le famiglie e condannando alla precarietà il personale della scuola;
   purtroppo, la questione posta allora trova ora conferma e provoca una vera e propria emergenza, dato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha assegnato i posti necessari alle reali esigenze della scuola dell'Emilia-Romagna, peraltro rappresentate dall'ufficio scolastico regionale e sostenute anche dai massimi livelli istituzionali della regione, «negando di fatto le ragioni oggettive alla base delle richieste», come dichiarato dai sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Gilda Unams Emilia-Romagna;
   l'assegnazione del cosiddetto organico di fatto, avvenuta in questi giorni, si è rivelata una pura operazione contabile, finalizzata unicamente a realizzare, a livello nazionale, un taglio di 1.192 posti rispetto allo scorso anno;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha predisposto una tabella che riporta i dati suddivisi per regione, con numeri slegati dal fabbisogno delle scuole, ad avviso degli interroganti senza alcun riferimento all'andamento demografico della popolazione scolastica, senza l'esposizione di alcun criterio oggettivo e trasparente;
   anche per questo anno la dotazione assegnata all'Emilia Romagna (2.904 posti, di cui 2.271 assommano a spezzoni orari già utilizzati in organico di diritto) è inadeguata e pregiudicherà il diritto allo studio o addirittura l'accesso ad esso, nonché un ordinario avvio dell'anno scolastico;
   l'Emilia Romagna è la regione in Italia che ha la percentuale più alta di aumento della popolazione scolastica (dagli ultimi dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, peraltro sottostimati, c’è un aumento del +0,6 per cento contro una media nazionale di –0,5 per cento) e quella con il rapporto più alto docenti/studenti (1/10,5 per cento contro una media nazionale di 1/10,1 per cento);
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ignorato nel calcolo della popolazione scolastica alcune migliaia di bambini che hanno richiesto l'iscrizione ad una scuola dell'infanzia statale, e ai quali verrà negato questo diritto, e anche tanti adulti che hanno espresso la volontà di reinserirsi in un percorso di formazione, attraverso la frequenza nei centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA);
   le organizzazioni sindacali della scuola dell'Emilia Romagna chiedono un'ulteriore assegnazione di almeno 600 docenti, per garantire ai ragazzi di iniziare l'anno scolastico in classi formate secondo le regole e in aule dove siano garantite le più elementari forme di sicurezza, coerenti con le norme vigenti. Qualora il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca rimanga sordo alle richieste, in Emilia vi saranno classi con 35 studenti, numero questo superiore rispetto a quanto indicato dallo Ministero nella circolare sull'organico di fatto, in cui si afferma che le richieste di sdoppiamento va o effettuate qualora il numero di alunni superi le 31 unità. Saranno inevitabili classi «pollaio» dove difficilmente sarà garantito un grado di sicurezza coerente con le norme vigenti;
   è inoltre necessario l'incremento di ulteriori 600 docenti di sostegno e di 1.100 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, anche a causa di problematiche ancora esistenti nelle zone del sisma. In particolare, per gli Ata si rileva che, pur in presenza di un «dimensionamento selvaggio», che ha prodotto in alcune province una rilevante perdita di posti di lavoro, non è diminuito il numero dei plessi scolastici, il numero degli alunni che necessitano di assistenza di base, che grava sui collaboratori scolastici, e il carico di lavoro degli amministrativi e dei tecnici;
   le organizzazioni sindacali rivendicano quanto sostenuto dal «patto per il lavoro», firmato il 20 luglio 2015 e firmato da regione, enti locali, organizzazioni sindacali e datoriali, forum del terzo settore, università e ufficio scolastico regionale dove l'impegno per il futuro del territorio dell'Emilia Romagna si fonda «su un'attenta ricognizione delle risorse e su una condivisione non solo degli obiettivi, ma anche delle condizioni indispensabili per generare (...) un nuovo sviluppo per una nuova coesione sociale (...) il destino economico e sociale di un territorio dipende dal livello qualitativo e quantitativo di istruzione dei suoi abitanti. La scolarità è la nuova discriminante sociale sia a livello individuale che collettivo. Per prevenire il circolo vizioso dello svantaggio sociale, è necessario investire sul diritto allo studio, sull'innalzamento dell'obbligo scolastico e sui servizi educativi per l'infanzia che rivestono un ruolo cruciale per la promozione del successo formativo, la riduzione delle disuguaglianze e per la garanzia del benessere sociale ed economico delle generazioni future»;
   le disposizioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece, smentiscono nuovamente il proclamato annuncio di investimenti sulla «buona scuola», che dovrebbe innanzitutto essere dotata di risorse umane e finanziarie e non essere privata addirittura di quelle indispensabili per l'ordinario funzionamento –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e delle gravi ripercussioni che provocherà al sistema scolastico della regione Emilia Romagna e se non ritenga opportuno intervenire affinché sia ripristinata una situazione accettabile e garantire, conseguentemente, quel diritto allo studio, che verrà altrimenti negato o reso inaccessibile. (4-13989)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a pochi metri dal litorale di Marina di Cottone, nella località di Fiumefreddo di Sicilia in provincia di Catania, si trova l'ex sede della SIACE, un immenso stabilimento industriale fondato nel 1964, rimasto attivo per oltre 20 anni, ma in seguito al fallimento avvenuto nel 1987 ve e progressivamente abbandonato e per lungo periodo utilizzato come parcheggio per le auto dei bagnanti che si recavano nella vicina spiaggia di Fiumefreddo;
   nel 2000, l'ex stabilimento Siace fu acquistato dalla provincia regionale di Catania, per un importo complessivo di oltre 17 miliardi di lire (accendendo un muto quinquennale con il 5 per cento di interessi) con un abbuono di 4 miliardi di lire per provvedere allo smaltimento della quantità di amianto e di altri rifiuti pericolosi;
   nello stesso anno iniziarono una serie di lavori allo scopo di trasformare il sito in un parco a tema, ma tutto si blocca e l'area rimane in un perenne stato di abbandono con i rivestimenti di amianto ed eternit;
   nel 2010 a seguito dell'appalto per la bonifica del lotto C della ex cartiera Siace, esperita dalla provincia regionale di Catania, la procura di Catania conclude le indagini giungendo alla conclusione che il materiale pericolo è stato rimosso ma smaltito in maniera non corretta; i reati contestati furono frode in pubblica fornitura, truffa e violazione della legge sullo smaltimento dei rifiuti;
   a pochi metri di distanza dalla Siace c’è un'altra ex cartiera, la Keyes, sequestrata nel 2008 perché nell'area del sito furono ritrovate, 500 tonnellate di amianto e tre silos ancora oggi esistenti, che conterrebbero sostanze chimiche, di dubbia composizione;
   si tratta di un'area di circa 40 ettari di terreno, nella quale sono state rilevate 1500 tonnellate di amianto alla SIACE e 500 tonnellate alla vicina Keyes, per un totale di 2000 tonnellate di materiali pericolosi;
   alle spalle delle due cartiere incriminate sorge un grosso centro abitato, Fiumefreddo di Sicilia, mentre a pochi metri di distanza c’è una delle zone balneari più incantevoli di tutto il litorale jonico etneo (Oasi di Marina di Cottone), frequentata dai tanti turisti e abitanti della zona e meta consueta, di tanti bagnanti che giungono da ogni parte dell'isola;
   ad oggi non ci sono dati ufficiali, ma nell'area delle due ex cartiere, negli ultimi anni, sono cresciuti i casi di tumore sia tra gli ex dipendenti, sia tra la popolazione e da varie testimonianze emerge che le morti dovute a malattie da tumore ci sono e sembrano che siano al di sopra della media nazionale;
   con il passare degli anni lo stato di crescente degrado dei materiali comporta un notevole rischio di incremento del rilascio di fibre pericolose nell'ambiente; al fine di evitare esposizioni indebite della popolazione sarebbe opportuno e urgente proseguire con la bonifica di tale area;
   il decreto legislativo n. 27 del 1997, il decreto ministeriale n. 471 del 1999, il decreto n. 152 del 2006 hanno definito i Sin siti interesse nazionale, come siti individuabili in relazione alle caratteristiche precipue, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante, in termini sanitari ed ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali;
   negli anni, ai lavoratori della Keyes è stato negato qualsiasi beneficio perché dalle perizie effettuate, i parametri di polveri sottili da fibra d'amianto erano al di sotto del livello che veniva all'epoca considerato un pericolo (5 ff/cc fibre/centimetro cubo, contro le attuali 0,1 ff/cc previsto oggi con il decreto legislativo n. 81 del 2008). Da allora sono passati più di vent'anni, ma purtroppo sono morti per tumore tanti lavoratori e tra questi proprio i sei turnisti delle caldaie della stessa Keyes –:
   se i Ministri interrogati sino a conoscenza di quanto descritto in premessa, se non ritengano necessario assumere iniziative per rivedere, in tale vicenda come in altre analoghe, i criteri per il riconoscimento delle tutele e dei diritti, anche di natura previdenziale, almeno in tutti i casi di decesso o in cui sia conclamata la sussistenza di patologie asbesto correlate;
   se non ritengano, alla luce di quanto riportato in premessa, che si renda necessario prendere in considerazione l'inserimento della città di Fiumefreddo di Sicilia nei siti da bonificare di interesse nazionale e al fine di garantire al più presto l'avvio della bonifica dell'area contaminata citata in premessa. (5-09330)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, NESCI, CRIPPA e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, pur essendo stati trasformati e assumendo personalità giuridica di diritto privato, rimangono titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni (si veda l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012, ha chiarito che la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti sopracitati, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo;
   la sentenza del Consiglio di Stato, sopra citata, in particolare scrive: «l'attrazione degli enti previdenziali nella sfera privatistica operata dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione (articolo 1 decreto legislativo citato); la natura di pubblico servizio, in coerenza con l'articolo 38 della Costituzione, dell'attività da essi svolte (articolo 2); il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale (articolo 3, per il cui comma 2 tutte le deliberazioni in materia di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere l'approvazione dei Ministeri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l'efficacia (articolo 3)»;
   la Corte dei conti, audita presso la Camera dei deputati nell'aprile 2016, in occasione dell'esame della risoluzione n. 7-00747 della deputata Lombardi, si è espressa in questo modo: «stante la delicatezza della missione affidata le casse privatizzate pur essendo soggetti privati esercitano, occorre ribadirlo, una funzione nel pubblico interesse – con un'attenzione particolare agli equilibri tra costi sostenuti e proventi conseguiti, [...] alla redditività del patrimonio»;
   la Corte, nella medesima occasione, ha stigmatizzato la mancata adozione, a distanza di quasi cinque anni dalla norma di legge che lo prevedeva (articolo 14, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98), del decreto interministeriale di disciplina dell'investimento delle risorse finanziarie delle casse dei professionisti che di fatto impedisce, ancora oggi, ogni valutazione di merito da parte dei soggetti preposti al controllo e alla vigilanza degli enti previdenziali. Analoga posizione critica è stata sottolineata dalla Covip intervenuta, nel medesimo ciclo di audizioni alla Camera dei deputati;
   la fondazione ENPAM (Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici) è sottoposta a vigilanza ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 del Ministero del lavoro e delle politiche sociale e del Ministero dell'economia e delle finanze;
   da alcuni mesi si susseguono notizie di un provvedimento legislativo volto all'istituzione di un fondo «Atlante 2» per salvare il Monte dei Paschi di Siena dai suoi crediti deteriorati; a tale fondo, si paventerebbe la partecipazione di ingenti capitali degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
   in un'intervista al Sole 24 Ore del 11 luglio 2016 al presidente di Adepp – Associazione degli enti privati di previdenza – Alberto Oliveti (che è anche presidente di ENPAM) dichiara: «Ci sono tre condizioni che potrebbero spingere le casse a partecipare ad Atlante 2: vogliamo che sia riconosciuta la nostra natura privata (...)»;
   dal sito di ADUSBEF (Associazione difesa utenti servizi bancari finanziari postali e assicurativi) l'11 luglio del 2016 si legge:
    il rendimento del 6 per cento del Fondo Atlante, alle attuali condizioni di tassi e di mercato contempla una rischiosità dell'investimento (...), analogamente all'accusa che le previdenze ENPAM e di Adepp possano tenere congelato un enorme patrimonio, che al contrario deve essere investito in maniera prudenziale, in titoli di Stato ed immobili, per poter pagare le future prestazioni previdenziali»;
   da Il Fatto Quotidiano del 12 luglio 2016 si legge: «Ma l'auspicata soluzione di mercato ancora non arriva (il lancio di un fondo Atlante 2 per intervenire sui crediti, deteriorati dell'istituto senese sembra ancora arenato)»;
   nella seduta del 21 luglio 2016, della Commissione parlamentare bicamerale di controllo delle attività degli enti gestori, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del risparmio previdenziale da parte dei fondi pensione e casse professionali, con riferimento agli investimenti mobiliari ed immobiliari e tipologia delle prestazioni fornite anche nel settore assistenziale, è stato udito Giuseppe Santoro, presidente di INARCASSA (Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti);
   alla domanda sulla contrarietà di Inarcassa al Fondo Atlante, il presidente di Inarcassa, Giuseppe Santoro ha dichiarato, nell'ambito della sopracitata audizione: «Inarcassa lo ha detto più volte e lo ha ribadito ieri al Ministro delle infrastrutture (...) Assumere un rischio in un'ipotesi di portafoglio di questo genere ci lascia perplessi. In questo senso, Inarcassa ha più volte affermato che non è interessata a questo investimento. Ovviamente, la situazione sarebbe diversa qualora alcune condizioni si riversassero su tutte le casse di previdenza, non solo su Inarcassa. La prima condizione è la natura privatizzata dell'ente a 360 gradi, come il presidente di questa Commissione ha più volte chiesto»;
   l'associazione Adepp (Associazione degli enti privati di previdenza) a cui fanno capo 19 casse di previdenza privata per un totale di due milioni di professionisti iscritti, ha deliberato nella sua assemblea del 25 luglio 2015 di sostenere l'iniziativa Atlante 2;
   da il Corriere della Sera del 25 luglio 2016, si legge: «Nel frattempo però la Commissione dell'Unione europea impone vincoli sull'intervento pubblico che scoraggiano gli investitori privati e rendono molto più difficile proprio la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena ...»;
   da il Corriere della Sera del 27 luglio 2016 si legge: «Così allora l'attenzione si sposta su Atlante, il fondo privato che dovrà farsi carico di acquisire le sofferenze in portafoglio a Siena. Atlante lunedì ha raccolto il via libera da parte delle casse Adepp per 500 milioni»;
   da il Sole 24 ore del 1o agosto 2016, si legge: «Sono state 16 Casse che hanno firmato la delibera Adepp del 25 luglio»;
   da il Corriere della Sera del 2 agosto si legge in merito all'investimento nel fondo Atlante2: «Ieri il presidente Adepp, Alberto Oliveti, ha detto che le casse previdenziali non vedono possibilità di redditività» –:
   nel caso di un eventuale investimento di 500 milioni di euro annunciato dall'associazione Adepp (Associazione degli enti privati di previdenza) nel fondo Atlante 2, come si intendano tutelare le prestazioni obbligatorie, che ammontano a circa 2 milioni, dovute dagli enti previdenziali ai propri iscritti, in termini di assistenza e di previdenza;
   se siano a conoscenza delle decisioni dei singoli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza nel merito dell'eventuale investimento di 500 milioni di euro nel fondo Atlante 2 e, in particolare, delle scelte dell'ENPAM;
   se non ritengano di tener conto dell'orientamento contrario dell'Inarcassa ad una partecipazione degli enti gestori al Fondo Atlante 2;
   se le diciannove casse di previdenza siano state messe in grado di valutare l'intera operazione del fondo Atlante 2;
   se siano a conoscenza dell'orientamento dell'Unione europea dinanzi ad un eventuale partecipazione di capitale delle casse previdenziali, che conservano una natura di pubblico servizio;
   se il Governo sia in procinto di adottare un'eventuale imminente iniziativa che privatizzerebbe del tutto gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, così come auspicato dalla dichiarazione del presidente di Adepp, Alberto Oliveti, e ribadito, in modo a giudizio degli interroganti contraddittorio, dal presidente di Inarcassa Giuseppe Santoro;
   se non ritengano di fornire elementi in merito al business plan del Fondo Atlante2, anche alla luce del coinvolgimento della casse previdenziale dei professionisti. (5-09334)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità richiama più volte il concetto di discriminazione. Nell'articolo 27, in particolare, viene sancito il divieto di «discriminare sulla base della disabilità con riguardo a tutte le questioni concernenti ogni forma di occupazione, incluse le condizioni di selezione, assunzione e impiego, mantenimento dell'impiego, avanzamento di carriera e le condizioni lavorative sicure e salubri»;
   l'interrogante è a conoscenza di personale assunto in Wind Telecomunicazioni s.p.a. nella sede romana, con avviamento al lavoro delle categorie protette con la percentuale d'invalidità del 50 per cento, assegnato al settore servizi generali, nella segreteria di direzione con molteplici funzioni sempre inerenti al lavoro di segreteria che, con il cambio di direzione, ha subito una serie di pressioni per essere allontanato non solo dal luogo di lavoro cui era stato assegnato per essere trasferito ad altro ma anche una serie di proposte di buona uscita per allontanarsi definitivamente dall'azienda;
   ad oggi, lo stato di salute, come nel caso della signora P.M., categoria protetta e con disabilità, è gravemente peggiorato in seguito ad una richiesta mai motivata da parte dell'azienda di trasferimento presso un'altra direzione, richiesta che è apparsa non solo immotivata ma anche penalizzante;
   il responsabile RSL/RSU in data 7 marzo 2016 ha inviato una mail ai vertici della direzione chiedendo espressamente di poter essere contattato prima di qualsiasi intervento che interessasse la signora P.M. come espressamente richiesto dalla stessa;
   tale richiesta era motivata dal cercare di ridurre al minimo quelle che potevano essere le conseguenze di un suo colloquio con human resource: la sua è, infatti, una nota situazione; si è addirittura reso necessario l'intervento dell'ambulanza per soccorrerla in seguito al forte stress subito;
   è evidente, come in questo caso, occorresse prestare particolari accortezze per tutelare la salute della signora poiché si potevano tranquillamente prevedere le conseguenze scegliendo di agire diversamente;
   l'iniziale proposta dell'azienda, del 18 febbraio 2016, di aderire al progetto del telelavoro, che la signora P.M. non aveva accettato, già aveva creato un forte scompenso emotivo, tale da generare preoccupazioni in un quadro già fortemente debilitato:
   l'intervento della rappresentanza sindacale unitaria era volto, proprio per questa ragione, ad evitare il ripetersi di episodi già accaduti in passato;
   la scelta aziendale di comunicare bruscamente alla signora P.M. il 2 marzo 2016, che sarebbe stata obbligata ad un cambio di attività, senza neanche provare ad attuare quelle accortezze che la rappresentanza sindacale unitaria aveva provato a suggerire, non ha fatto che aggravare una situazione già molto grave;
   la signora P.M., infatti, a quanto risulta all'interrogante non ha potuto neanche avvalersi della presenza di un rappresentante sindacale di fiducia;
   le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio;
   tali atteggiamenti, infatti, hanno comportato alla sua precaria salute un notevole peggioramento, in quanto è passata da un'invalidità iniziale del 50 per cento all'80 per cento e infine dal 2011 al 100 per cento (con disabilità motoria e riconoscimento della legge n. 104 del 1992);
   la definizione «categorie protette» si riferisce in particolar modo a soggetti svantaggiati, tra cui gli invalidi, e, chiaramente, riguarda la maggior parte dei destinatari delle leggi a sostegno del lavoro dei disabili;
   il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni. Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell'organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Lo stesso accertamento può essere richiesto anche dal datore di lavoro per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l'azienda –:
   se non ritenga opportuno, anche di fronte all'asserita azione di vessazione da parte dell'azienda nei confronti di una propria dipendente, assumere le iniziative di competenza, per il tramite delle articolazioni territoriali del Ministero, volte a verificare la correttezza delle procedure assunte dall'azienda nella gestione del rapporto di lavoro in osservanza della normativa di riferimento. (4-13992)


   D'INCÀ, BUSINAROLO, SPESSOTTO, COZZOLINO, BRUGNEROTTO e DA VILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Ferroli è da tempo in crisi occupazionale e di produzione, fino all'epilogo di qualche giorno fa, in cui l'amministratore delegato ha presentato il piano industriale, che, sostanzialmente, restringe il perimetro d'azione italiano dell'azienda termomeccanica ai soli stabilimenti di Verona (San Bonifacio) e Siena (Casole d'Elsa). Fonderie e logistica verranno chiusi, nessuno escluso. In tutto, si tratta di circa 600 esuberi, compresi i 130 di Alano;
   le cifre nascondono una realtà lacerante per territori, già duramente colpiti dalla crisi. Si tratta di donne e uomini in cassa integrazione a zero ore da un anno, che spesso non sanno come pagare l'affitto, come fare la spesa e pagare le bollette, la scuola per i propri figli e, a volte nipoti, trattandosi di maestranze anziane, che superano abbondantemente la cinquantina e non sanno come arrivare serenamente alla fine del mese, lontani come sono dalla pensione per lo sciagurato impatto della «legge Fornero» (decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011);
   il dramma di quelle terre e di quelle unità produttive era noto. Il destino della «banca del caldo» di Colmirano era segnato da tempo;
   ad aprile 2015 il presidente della regione uscente e poi riconfermato, Luca Zaia, aveva dichiarato nel periodo di campagna elettorale che, in merito alle difficoltà, che stava attraversando la Ferroli «Al tavolo con le banche la Regione farà da garante», facendo visita al presidio permanente dei dipendenti, a San Bonifacio, e affermando: «Il nostro obiettivo non è la mobilità ma dare a voi e alle famiglie un nuovo futuro»;
   già nel 2015 si ventilavano esuberi e licenziamenti aziendali e Zaia, accompagnato da una decina di compagni di partito, alleati di Governo e candidati al consiglio regionale, aveva dichiarato ai dipendenti e a Paola Ferroli, neo presidente pro tempore dell'azienda, la disponibilità ad aprire un tavolo con «Veneto Sviluppo», per risolvere i problemi, definendo gli ammortizzatori sociali «una battaglia d'ufficio» e annunciando l'attivazione di un piano industriale attraverso la finanziaria «Veneto Sviluppo»;
   ora l'esito esiziale. Il piano industriale presentato dall'azienda prevede una riorganizzazione complessiva di tutta l'azienda, dalla gamma di prodotti alla rete commerciale, senza escludere gli impianti produttivi, ormai obsoleti, Punteranno alla «creazione di un modello di business sempre più internazionale, snello e agile che mette al centro la qualità dei prodotti, la fluidità dei processi produttivi per eliminare inefficienze e rinnovare un business model obsoleto che hanno portato l'azienda quasi al fallimento». Sembrerebbe, secondo gli interroganti, una confessione del fallimento della dirigenza nella conduzione aziendale da diversi anni a questa parte ed invece la soluzione proposta appare agli interroganti come la confessione di aver beneficiato della cassa integrazione, senza rilanciare l'azienda nel suo complesso o quantomeno salvare il maggior numero di lavoratori, perseguendo solo la sopravvivenza dell'azienda medesima, attraverso il sacrificio di 536 lavoratori. Si tratta, come al solito, di percorrere la strada più comoda e facile per risolvere i problemi creatisi negli ultimi anni, facendo pagare il prezzo più alto ai lavoratori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione venutasi a creare nei territori interessati dagli stabilimenti dell'azienda Ferroli e se non ritengano quanto mai necessario e urgente avviare un tavolo di lavoro dell'unità di crisi del Ministero dello sviluppo economico con i rappresentanti dei lavoratori, con le istituzioni del territorio, la giunta regionale per scongiurare l'ipotesi degli oltre 500 esuberi e licenziamenti, attraverso una ridefinizione concordata di un piano industriale meno penalizzante per le sole forze del lavoro. (4-13999)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi tre anni, l'attività di sindacato ispettivo condotta da parte del Movimento 5 stelle nei confronti degli enti di previdenza ha documentato e sottoposto all'attenzione degli organi competenti le «relazioni pericolose» e le vicende nebulose che riguardano la gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare delle casse previdenziali, in particolare con riferimento alla cassa degli agenti e rappresentanti di commercio;
   risalgono a ottobre 2013 le dimissioni del vicepresidente di Enasarco, Andrea Pozzi, il quale denunciava investimenti rischiosi posti in essere dall'ente a discapito dei suoi iscritti; nella sua lettera di dimissioni si leggeva: «Mi sono reso conto che alcuni investimenti importanti della fondazione erano in perdita e che i gestori di tali investimenti in perdita a mio giudizio non erano adeguati»;
   già nel mese di febbraio 2013, l'ex vicepresidente aveva accusato il presidente di Enasarco Brunetto Boco di negligenza, recriminando investimenti fatti attraverso veicoli off shore con sede in paradisi fiscali, senza peraltro darne comunicazione alla Banca d'Italia;
   a questo riguardo, l'ex presidente di Enasarco, Donato Porreca, sul numero di il Mondo, autorevole rivista nell'informazione economica, del 7 giugno 2013, pubblicava una lettera aperta in cui attaccava i vertici della Fondazione, muovendo delle accuse precise agli attuali vertici, non solo sugli investimenti nei titoli «tossici», ma anche sulla dismissione immobiliare: «... si è frettolosamente accantonato il piano di dismissioni già predisposto ed approvato dagli organi di amministrazione e governativi per procedere al cosiddetto piano Mercurio che dopo anni e anni e dopo costi gravosi è ancora lontanissimo dalla conclusione con grave danno della fondazione, degli inquilini e degli stessi stabili privi di manutenzione ordinaria e straordinaria ...»;
   il «piano Mercurio» consiste nel prendere il patrimonio immobiliare dell'Ente, farlo supervalutare, conferirlo ad un fondo immobiliare di cui l'ente detiene le quote e mettere a bilancio la plusvalenza generata dalle supervalutazioni che andrà a coprire le perdite finanziarie causate dagli investimenti temerari di cui sopra il «progetto Mercurio» è stato firmato nel 2008 dall'Enasarco guidata da Boco e i sindacati, tra cui Unione inquilini, anche nella persona di Guido Lanciano, tesoriere nazionale del sindacato medesimo;
   in base al relativo atto pubblico di compravendita risulta che Brunetto Boco ha comprato due case nello stesso periodo: una a Roma, in via Bosio, ed una a Milano; egli risulterebbe all'interrogante l'unico inquilino di immobili di proprietà Enasarco che abbia beneficiato di due prelazioni; Boco, in comunione con la moglie, il 23 ottobre 2014, comprava l'appartamento di via Bosio nella Capitale ad un prezzo pari a 420 mila euro: sette vani con box auto e terrazzo, per un valore di mercato a giudizio dell'interrogante decisamente superiore rispetto a quanto corrisposto dal presidente dell'ente;
   nella vicenda in questione sarebbero coinvolti i seguenti soggetti, oltre a Boco: l'architetto Sandro Tibaldeschi, dirigente di Enasarco e nominato procuratore speciale da parte del presidente della Cassa medesima;
   Guido Lanciano e Walter Petrucci, iscritti al sindacato Unione inquilini, rivelano essere stati nominati procuratori speciali da parte dei coniugi Boco; nella procura a Lanciani peraltro, dalle notizie a disposizione degli interroganti, sembrerebbe mancare la clausola di rinunciare ai vizi occulti e a qualsiasi garanzia di legge che Enasarco imponeva agli altri inquilini –:
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno verificare che nelle circostanze descritte in premessa il patrimonio immobiliare di Enasarco, nello specifico con riferimento alla compravendita effettuata da Brunetto Boco, sia stato gestito seguendo le procedure previste dalla legge, al fine di individuare eventuali responsabilità di una gestione che appare di dubbia legittimità degli immobili di proprietà dell'ente previdenziale. (4-14002)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, CATANOSO, FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi oltre centomila agricoltori hanno manifestato in diverse piazze italiane (Palermo, Potenza, Termoli e Bari) per la «giornata in difesa del grano italiano», promossa da Coldiretti; poco prima, anche i coltivatori aderenti alla Cia e a Confagricoltura avevano organizzato sit-in e presidi in varie città d'Italia (ad Alessandria e a Torino, dove è stato regalato il pane in piazza Castello);
   nel giro di pochi mesi le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 per cento del valore: si pagano appena 18 centesimi per un chilo, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione; in questo caso si scende addirittura a 16 centesimi al chilo. Si tratta di prezzi largamente al di sotto dei costi produttivi, che determinano perdite fino al 50 per cento sulla scorsa campagna di commercializzazione;
   senza un'inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni «spregiudicate» dall'estero, il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano, in un Paese che, paradossalmente, esporta il 50 per cento della pasta che produce;
   a rischio non ci sono solo la produzione di grano, i lavoratori in essa occupati e l'indotto della filiera, ma anche un territorio di due milioni di ettari, il 15 per cento del territorio nazionale, a rischio desertificazione;
   il mercato del grano, caratterizzato da un eccesso di offerta ormai strutturale, è inquinato da comportamenti di tipo speculativo e anticoncorrenziale, che danneggiano i produttori; all'origine della crisi ci sono però anche alcune scelte di politica agricola, dal disaccoppiamento degli aiuti dell'Unione europea (slegati dalla produzione 10 anni fa, con l'aggravante di aver cristallizzato una distribuzione dei sussidi che premia poche grandi aziende), allo smantellamento degli altri due pilastri della politica europea: il sostegno alle esportazioni e la protezione alle frontiere, con clausole di salvaguardia sempre più difficili da attivare;
   il Ministro interrogato ha già annunciato l'attivazione di diverse misure, tra cui la moratoria dei mutui, lo studio di un'assicurazione sul reddito, una contrattualistica più trasparente tra agricoltori e industria, una commissione unica nazionale per la fissazione dei prezzi e l'immediata applicazione di un piano cerealicolo, le cui risorse siano dedicate unicamente alle imprese che usano esclusivamente grano italiano;
   le misure annunciate rischiano, però, di essere insufficienti e tardive, considerato il livello di sofferenza raggiunto nelle campagne –:
   quali siano e con quali tempi le iniziative urgenti che il Ministro interrogato intende portare avanti volte a superare la grave crisi che attanaglia i produttori italiani di frumento e come si intenda, in particolare, intervenire per garantire una più equa redistribuzione del valore e ottenere la massima trasparenza nella formazione del prezzo, sostenendo così la redditività degli agricoltori e un sistema produttivo che genera ricchezza, occupazione e salvaguardia ambientale. (3-02445)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il punto nascita dell'ospedale di Vipiteno è destinato ad essere chiuso entro la data del 31 ottobre 2016 come deliberato dalla giunta della provincia autonoma di Bolzano del 12 luglio 2016. Il reparto di maternità dell'ospedale di Vipiteno (Bolzano) rappresenta una vera e propria eccellenza italiana nell'ambito dell'assistenza alla nascita;
   presso il punto nascita di Vipiteno viene erogata un'assistenza rispettosa della fisiologia e dei diritti fondamentali della persona umana, con una grande attenzione verso la relazione mamma-bambino. I bisogni della donna e del neonato, insieme al rispetto e alla cura ottimale di entrambe, sono l'obiettivo di tutto il personale medico, ostetrico e infermieristico. Per questo motivo molte donne provenienti da altre regioni scelgono di andare a partorire presso il punto nascita del presidio ospedaliero di Vipiteno;
   eppure questo reparto sta per chiudere a causa dei tagli sanitari. Ma se chiuderà questo reparto l'Italia perderà un'eccellenza unica nel suo genere;
   per comprendere la qualità della cura erogata si deve evidenziare che in questo ospedale:
    1) il diritto alla libera autodeterminazione della donna viene rispettato, consentendo alle partorienti di scegliere autonomamente la modalità di parto che preferiscono;
    2) il diritto alla salute delle donne viene protetto tramite la riduzione dei medicinali e dell'uso di apparecchiature cliniche, senza con ciò perdere di vista la salute e la sicurezza di madre e bimbo. Si ricorda che l'Oms – Organizzazione mondiale della sanità raccomanda un livello di cure più basso possibile compatibilmente con la sicurezza;
    3) la dignità della donna è rispettata tramite la limitazione allo stretto indispensabile dei clisteri, della tricotomia del pube e rispettando la sua privacy, come raccomandato dall'Oms;
    4) il diritto all'integrità fisica viene realizzato tramite la riduzione delle episiotomie di routine e delle misure per indurre il parto. Anche il tasso di tagli cesarei è di gran lunga più basso della media nazionale;
    5) i diritti del neonato vengono rispettati praticando il taglio ritardato del cordone ombelicale, il sostegno all'allattamento, garantendo una cura amorevole e un contatto immediato con i genitori (il cosiddetto processo del «bonding»), accogliendo la nuova famiglia, padri e fratellini inclusi, in un ambiente confortevole e ospitale;
    6) le infermiere affiancano le neo-mamme sostenendole nell'allattamento. La nursery viene gestita come rooming-in, consentendo alla mamma di tenere il neonato con sé in camera giorno e notte, potendo però affidarlo in qualunque momento alle infermiere del nido;
    7) per il sostegno all'allattamento materno il reparto ha ottenuto già nel 2002 il riconoscimento dell'Unicef come «ospedale amico del bambino» ed è stato nuovamente certificato dall'Unicef nel 2015;
    8) il modello di cura è improntato ad un'ostetricia moderna che tende al miglioramento continuo, al servizio della donna, per valorizzare le competenze fisiologiche di madre e bambino, rispettandone i diritti, la cultura e i valori;
    9) il reparto maternità di Vipiteno realizza pienamente le azioni 1 e 5 suggerite, in occasione della Prima giornata nazionale della salute della donna del 22 aprile 2016, dal tavolo 1 «Sessualità, fertilità e salute materna» e confluita nelle direttrici di azione del Manifesto della salute della donna, promossa dal Ministero della salute, in particolare: «Promuovere la medicina della felicità quale integrazione tra conoscenze mediche e dialogo comunicativo (medicina narrativa) ed equità, per una medicina centrata sulla donna»;
   il programma del Ministero della salute, attraverso l'accordo Stato-regioni del 2010, promuove misure volte a sviluppare modelli di ri-organizzazione della rete dei servizi per raggiungere una maggiore appropriatezza nell'assistenza al percorso nascita, con una riduzione dei tagli cesarei e di ogni altra pratica lesiva dell'integrità psico-fisica della donna e del neonato;
   il punto nascita di Vipiteno possiede i requisiti previsti dall'accordo Stato-regioni, in particolare raggiunge il numero di 500 parti all'anno e può garantire la presenza attiva, 24 ore su 24, 365 giorni l'anno, di quattro figure mediche: ostetrica, ginecologo, anestesista e pediatra, come si evince dal calendario di copertura dei turni già inviato dall'ospedale di Vipiteno alla provincia autonoma di Bolzano;
   la giunta comunale di Vipiteno si è occupata della prossima chiusura del reparto nascite affermando che comporterebbe una limitazione estrema dell'offerta sanitaria e della qualità della vita nell'Alta Val d'Isarco;
   la giunta della provincia autonoma, ad avviso della giunta comunale di Vipiteno, avrebbe ignorato la richiesta di mantenere il punto nascite dell'ospedale di Vipiteno espressa da migliaia di cittadini oltre che dalla risoluzione votata all'unanimità da parte di tutti i consigli comunali dell'Alta Val d'Isarco;
   la giunta ripete nuovamente i molti argomenti che sono a favore del mantenimento del reparto nascite:
    nel 2014 la soglia minima delle 500 nascite prevista in Italia è stata sfiorata con 488 parti;
    dall'inizio del 2016 sono già venuti al mondo 280 bambini nell'ospedale di Vipiteno e quindi la soglia minima di 500 parti verrà agevolmente superata, conseguentemente non servirà un'autorizzazione eccezionale da parte del Ministero;
   il fatto che molti nascituri provengano da altri comprensori è la prova della qualità e la fiducia che esprime questo reparto;
   secondo il direttore medico dell'ospedale di Vipiteno tutti gli standard di sicurezza e strutturali che il Ministero della salute richiede sono assicurati. I medici specializzati per anestesia, ginecologia e pediatria, come anche il servizio di ostetricia, sono confermati e per questo non ha senso indicare come ultimo termine il 29 luglio 2016;
   la distanza tra Vipiteno e Bressanone supera i 30 chilometri. Inoltre le distanze delle valli laterali dall'ospedale di Bressanone arrivano a 70 chilometri. Ad esempio, anche Merano è distanziata da Bolzano di soli 20 chilometri;
   in considerazione dell'elevata qualità del reparto nascite di Vipiteno, la quasi totalità delle abitanti dell'Alta Val d'Isarco ha o partorito nel loro ospedale, mentre, nel 2015, 193 donne provenienti da Val d'Isarco, Bassa Atesina, Val Pusteria e Val Sarentino hanno messo al mondo il proprio figlio nell'ospedale di Vipiteno. Questa è la prova che le mamme a Vipiteno si sentono assistite in modo eccellente dal punto di vista della qualità e della sicurezza. Detto questo, è incomprensibile che tutte queste persone non possano più scegliere l'ospedale di Vipiteno solamente a causa di un ordine dall'alto;
   la chiusura del reparto nascite dell'ospedale di San Candido non ha risolto il problema legato al personale medico dell'ospedale di Brunico. C’è da aspettarsi che l'eventuale chiusura del reparto di Vipiteno non risolverà i problemi dell'ospedale di Bressanone. Il rischio è quello che in futuro sia l'Alta Val d'Isarco, che la Val d'Isarco non avranno un reparto nascite funzionale né a Vipiteno, né a Bressanone. A causa della vicinanza di Vipiteno a Innsbruck c’è la reale possibilità che il personale medico e paramedico scelga di spostarsi oltre il confine e quindi che le aziende sanitarie dell'Alto Adige perderanno anche queste risorse;
   il dibattito sulla chiusura dei punti nascita e/o sul loro numero, a detta dell'interpellante non è solo questione di parti più o meno sotto la soglia di 500/anno. Il problema andrebbe affrontato da un'altra angolazione, il parto non è una malattia, ma un fatto naturale: Organizzazione mondiale della sanità (Oms) su «La prevenzione e l'eliminazione dell'abuso e della mancanza di rispetto delle donne durante l'assistenza al parto nelle strutture ospedaliere». Tale dichiarazione evidenzia quali siano i trattamenti che le donne subiscono durante l'assistenza al parto e in particolare: «l'abuso fisico diretto, la profonda umiliazione e l'abuso verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), la mancanza di riservatezza, la carenza di un consenso realmente informato, il rifiuto di offrire un'adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, il rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, la trascuratezza nell'assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna, la detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all'impossibilità di pagare. Inoltre, adolescenti, donne non sposate, donne in condizioni socio-economiche sfavorevoli, donne appartenenti a minoranze etniche, o donne migranti e donne affette da HIV sono particolarmente esposte al rischio di subire trattamenti irrispettosi e abusi». L'Oms evidenzia che l'abuso e la mancanza di rispetto nell'assistenza al parto violano i diritti umani delle donne, quali enunciati nelle dichiarazioni universali. In particolare i maltrattamenti durante il parto violano il diritto costituzionale alla salute delle donne e dei bambini. Si ritiene che nessun obiettivo di salute, sia individuale che pubblica, possa essere raggiunto. Nel nostro Paese negli ultimi anni si è assistito a una progressiva medicalizzazione dell'evento nascita con un incremento del tasso dei tagli cesarei non giustificato sul piano clinico e con effetti potenzialmente dannosi sulla salute a breve e a lungo termine delle madri e dei bambini, come affermato dalla più recente dichiarazione dell'Oms sul numero di tagli cesarei;
   da alcuni mesi è nata nel nostro Paese la campagna #Bastatacere, che per la prima volta in Italia parla di «violenza ostetrica», una tipologia di violenza contro le donne, già classificata da legislazioni di Paesi dell'America latina e che consiste nell'appropriazione del corpo e del processo riproduttivo delle donne da parte del personale medico attraverso trattamenti disumani e degradanti e la medicalizzazione del processo del travaglio e del parto. Tali abusi producono la perdita di autonomia della donna e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità con conseguenze sulla qualità della vita;
   la nascita, nonostante la contrazione dei nati, rimane la causa più frequente di ricovero nelle strutture sanitarie italiane. Promuovere e validare percorsi di buone pratiche per l'assistenza prenatale, intrapartum e postnatale sono aspetti cruciali della pratica ostetrica e una priorità di salute pubblica. A partire dalle indicazioni contenute nel Progetto obiettivo materno infantile del 2000 fino all'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010: Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e della appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo, il Paese ha cercato di favorire la riorganizzazione e l'integrazione dei servizi territoriali a ospedalieri con l'obiettivo di migliorare l'appropriatezza delle cure perinatali;
   va considerata la prossima scadenza del 29 luglio 2016 per la richiesta di deroghe rispetto alle chiusure di punti nascita da parte della provincia autonoma di Bolzano –:
   se la Ministra interpellata sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, se non intenda approfondire le motivazioni che portano alla chiusura del centro nascita di Vipiteno considerato d'eccellenza, e se non intenda intraprendere tutte le iniziative di competenza affinché il centro, in sinergia con la provincia autonoma, mantenga il servizio offerto;
   se la Ministra non intenda assumere iniziative per appurare il perfetto funzionamento del reparto e l'elevata qualità della cura erogata;
   se la Ministra riconosca o meno al suddetto centro un particolare valore per il lavoro svolto e l'approccio umanizzante e di cura che viene praticato per la madre, il neonato e tutta la famiglia nel momento della nascita;
   se la Ministra interpellata non ritenga di chiarire le scelte operate nella redazione delle linee guida intrapartum relative al parto fisiologico;
   quali iniziative la Ministra interpellata intenda assumere per privilegiare centri che lavorano per un approccio umanizzante della nascita come quello di Vipiteno, tenuto conto che, a seguito della campagna mediatica #BastaTacere, è emerso un quadro allarmante di abusi nel parto e di violenza ostetrica riferito dalle donne, di cui il caso dell'Ospedale Riuniti di Reggio Calabria è uno dei più evidenti;
   se non ritenga la Ministra interpellata di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno (anche se questo non è il caso del centro nascita di Vipiteno che supera la soglia dei 500 parti/anno) e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore;
   se, all'interno di un avviato processo di razionalizzazione dei centri nascita e di una riduzione della loro presenza, non si ritenga di riflettere maggiormente su questa decisione e non si intenda mantenere una diffusione sul territorio più capillare;
   se la Ministra interpellata non reputi opportuno specificare, nel processo di razionalizzazione dei centri nascita in Italia, se sia presente in parallelo un forte investimento nell'aggiornamento delle linee guida e nella formazione degli operatori sanitari, in modo che all'accorpamento dei centri corrisponda un incremento dei livelli assistenziali volti a personalizzare il momento della nascita e a realizzare una cura rispettosa e di qualità, determinante per la buona riuscita del parto e per la salute prossima e futura del neonato e della madre.
(2-01448) «Zaccagnini, Kronbichler, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in materia di introduzione dei farmaci monodose, il comma 591 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, prevede che: «Al fine della razionalizzazione e del contenimento della spesa farmaceutica (...) sulla base di una proposta elaborata d'intesa con l'AIFA e con la Federazione nazionale degli ordini dei medici-chirurghi e degli odontoiatri, nel rispetto dei princìpi e delle disposizioni europei e compatibilmente con le esigenze terapeutiche, sono individuate le modalità per la produzione e la distribuzione in ambito ospedaliero, in via sperimentale per un biennio, di medicinali in forma monodose»;
   già l'articolo 1-ter del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 87, recante disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci non rimborsabili dal servizio sanitario nazionale, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 149, prevedeva che l'Agenzia italiana del farmaco, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con proprio provvedimento individua tra i farmaci le specialità per le quali devono essere previste anche confezioni monodose o confezioni contenenti una singola unità posologica;
   il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», all'articolo 11, comma 12, prevedeva che «Al fine di razionalizzare il sistema distributivo del farmaco, anche a tutela della persona, nonché al fine di rendere maggiormente efficiente la spesa farmaceutica pubblica, l'AIFA, con propria delibera da adottare entro il 31 dicembre 2012 e pubblicizzare adeguatamente anche sul sito istituzionale del Ministero della salute, revisiona le attuali modalità di confezionamento dei farmaci a dispensazione territoriale per identificare confezioni ottimali, anche di tipo monodose, in funzione delle patologie da trattare (...)»;
   secondo le disposizioni sopra descritte già dall'ottobre 2005 e poi dal gennaio 2013 e infine da una data imprecisata del 2015 si sarebbero dovuti reperire in farmacia i medicinali monodose o confezioni ideali adatte alle singole patologie;
   da recenti statistiche sui consumi dei farmaci in Italia, risulta che, ogni anno, le famiglie sprecano una quantità elevata di medicinali, gettando farmaci per circa 80 euro, sui 400 spesi annualmente, in quanto non utilizzati;
   oltre ad evitare lo spreco di farmaci e contribuire al contenimento della spesa farmaceutica la confezione monodose aiuta il paziente ad avere una maggiore consapevolezza nella gestione del farmaco;
   l'evoluzione tecnologica delle linee di produzione del farmaco ha da tempo risolto i problemi di eventuali sovra-costi nella realizzazione delle confezioni monodose, nonché quelli derivanti dalla necessità di tracciare le singole dosi ai fini della sicurezza del sistema sanitario; a tal fine tramite appalto-concorso potranno essere individuate le migliori soluzioni;
   la mozione n. 1-01325 Binetti, Calabrò, Bosco, approvata con il parere favorevole del Governo prevede l'impegno di «garantire un costruttivo prosieguo dei lavori del tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica, al fine di poter contare, entro il 31 dicembre 2016, sui benefici di nuove disposizioni volte a revisionare in modo organico e sistematico tutta la materia della governance farmaceutica». In tale sede si ritiene opportuno riconsiderare i benefici derivanti dall'utilizzo dei farmaci monodose  –:
   quali siano i motivi della mancata attuazione del comma 591 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, in materia di distribuzione e utilizzo dei farmaci monodose e, in particolare, i motivi per cui l'Agenzia italiana del farmaco non abbia ad oggi provveduto ad elaborare la proposta ivi prevista;
   se non si ritenga opportuno nell'ambito del tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica individuare una proposta volta a dare attuazione alle norme già vigenti in materia di farmaci monodose, tenuto conto di quanto espresso in premessa, al fine di realizzare un risparmio di spesa a suo tempo stimato in 3 miliardi di euro.
(3-02443)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza del 22 luglio 2016 il sindaco di Bernalda (Mt) vietava l'uso dell'acqua potabile presso la frazione di Serramarina;
   a seguito della suddetta ordinanza comparivano presso la piazza principale del borgo turistico di Metaponto una serie di autobotti con acqua potabile, pur non rientrando la citata frazione nell'ambito degli effetti della ordinanza di divieto;
   a seguito delle analisi effettuate da Acquedotto Lucano, società erogatrice del servizio, presso i serbatoi di Demanio Campagnolo Alto e Demanio Campagnolo Basso, serbatoi che alimentano la frazione di Serramarina e anche il lido di Metaponto oltre che una contrada rurale del comune di Montescaglioso, si riscontrava che nessun parametro risultava essere al di sopra delle soglie consentite;
   tuttavia, a scopi meramente prudenziali ed in attesa di ulteriori riscontri da parte dell'Arpab, l'Acquedotto Lucano affermava con comunicato stampa che l'acqua non doveva essere né bevuta né usata per altri scopi alimentari fino a nuova comunicazione assicurando il servizio sostitutivo tramite autobotti;
   il sindaco di Bernalda, successivamente, lo scorso fine settimana ha emesso una nuova ordinanza disponendo il divieto dell'uso dell'acqua potabile anche presso la frazione di Metaponto Lido a causa di un «inconveniente igienico sanitario»;
   l'acqua viene erogata sempre attraverso autobotti di Acquedotto Lucano;
   questo periodo dell'anno Metaponto Lido e meta di migliaia di turisti e tale inconveniente rappresenta, oltre ad un ovvio ed evidente pericolo per la salute, anche un duro colpo all'economia locale;
   strutture alberghiere, lidi, ristoranti, e tutte le attività economiche e commerciali di una località turistica come Metaponto rischiano di veder compromessa la propria stagione;
   occorre avere certezza circa le ragioni dell'inconveniente igenico-sanitario al fine di avere una trasparenza nell'ambito delle informazioni che fino ad ora risultano essere state frammentate alimentando ulteriore incertezza e preoccupazione;
   se alla luce di quanto esposto in premessa il Governo non intenda per quanto di competenza, investire l'Ispra e l'Istituto superiore di sanità di un controllo circa la salubrità dell'acqua e se non intenda, ove tale situazione dovesse ulteriormente proseguire, valutare l'opportunità di assumere iniziative per prevedere misure di sostegno per l'economia turistica di Metaponto, in considerazione dei disagi che si stanno registrando. (5-09332)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le notizie che giungono dall'assessorato alla sanità della regione siciliana stanno determinando la crescita delle proteste dei cittadini di Taormina e di tutta la Sicilia orientale;
   l'assessore Baldo Gucciardi ha confermato, dal 2017, il trasferimento del reparto di cardiochirurgia pediatrica dall'ospedale «San Vincenzo» di Taormina all'Ospedale dei Bambini «Giovanni Di Cristina» sito nel capoluogo siciliano;
   il decreto di trasferimento è da considerarsi imminente. «La Giunta ha formalizzato la mia proposta. Dopo tanto parlare si va avanti», così risponde l'assessore alle dure critiche che arrivano nei suoi confronti dalla Sicilia orientale;
   a quanto pare, prima della pausa estiva, l'assessore firmerà il decreto che istituirà l'unità operativa complessa di cardiochirurgia pediatrica dell'Arnas civico di Palermo, cui appartiene l'ospedale pediatrico. Poi bisognerà individuare chi sarà a guidare il nuovo reparto, e ci sarà anche da affrontare la questione dei medici da selezionare e dell’équipe da costituire, nonché la formazione del personale infermieristico;
   particolarmente assurde a questo punto sono da considerare le dichiarazioni fatte dall'assessore a luglio, quando cercò di «rassicurare sindaci, amministratori, parlamentari e cittadini» che «con decreto adottato nessun reparto è stato cancellato in nessun ospedale della Sicilia rispetto agli atti aziendali a suo tempo approvati» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione;
   se lo spostamento di un polo di eccellenza, già pienamente funzionale, come quello di Taormina ad una struttura di Palermo, che lascia sguarnita di un presidio di cardiologia pediatrica un'area così importante della Sicilia, sia dettato da esigenze di razionalizzazione della spesa imposte dal piano di rientro dai disavanzi sanitari e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare una soluzione che pregiudica, secondo l'interrogante, i livelli essenziali di assistenza nell'area sopra richiamata e che oltretutto richiederà ulteriori risorse per il reclutamento e la formazione di nuovo personale.
(4-13993)


   PAOLO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso l'università degli studi di Ferrara, dipartimento di scienze biomediche e chirurgico-specialistiche, sezione di fisiologia umana, via Fossato di Mortara, 17/19 – 44121 Ferrara, il professor Luciano Fadiga, professore ordinario di fisiologia umana presso la facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Ferrara, ha richiesto ai sensi dell'articolo 8, comma 1 del decreto legislativo n. 116/1992, autorizzazione, in deroga all'articolo 3, commi 2 e 3 del decreto legislativo, per la conduzione di esperimenti su primati non umani, nell'ambito della sezione di fisiologia umana del dipartimento di scienze biomediche e chirurgico-specialistiche dell'università di Ferrara, per il seguente progetto di ricerca: «Dalla visione al controllo motorio: ruolo delle cortecce pre-motoria e motoria primaria nella pianificazione ed esecuzione di differenti prese di precisione»;
   l'associazione OSA, costituitasi nel 2014 e composta da ricercatori e scienziati – biologi, veterinari, psichiatri e altro – che promuovono, utilizzano e sostengono i metodi sostitutivi alla sperimentazione animale dal punto di vista anestesiologico e rispetto all'esperimento «Dalla visione al controllo motorio: ruolo delle cortecce pre-motoria e motoria primaria nella pianificazione ed esecuzione di differenti prese di precisione» (responsabile professor Fadiga, docente presso la sezione di Fisiologia Umana al dipartimento di scienze biomediche e chirurgico-specialistiche) in corso presso l'ateneo di Ferrara, rileva che nella richiesta di autorizzazione in deroga, a pagina 2, il professor Fadiga scrive: «Per quanto attiene al secondo punto in oggetto della presente domanda (esperimenti su animali senza anestesia) si sottolinea che tale eccezione riguarderà le osservazioni neurofisiologiche e le registrazioni dell'attività neuronale e non gli interventi chirurgici e le iniezioni di eventuali traccianti neuronali per i quali è invece prevista anestesia generale. Ma poche righe dopo, lo stesso professor Fadiga così conclude: «Al contrario tutti gli interventi chirurgici e le iniezioni di eventuali traccianti neuronali verranno effettuati dopo premedicazione anestetica»;
   tale frase denota, secondo gli interroganti, scarse conoscenze nell'ambito dell'anestesiologia animale, e non soltanto perché il professor Fadiga non è un veterinario, ma in quanto, prima sostiene che interventi chirurgici e iniezioni di traccianti neuronali saranno effettuati in anestesia generale, poi conclude che le stesse operazioni saranno condotte dopo premedicazione anestetica. Ora, la premedicazione anestetica (preanestesia), è solo un momento dell'iter che conduce all'anestesia generale. Con la preanestesia, l'anestesista medico veterinario, mediante l'uso di opportuni farmaci e dosaggi, si propone di sedare il paziente più o meno ansioso, di iniziare l'azione antalgica (cosiddetta Pre-emptive analgesia), ridurre il quantitativo di anestetici impiegati durante l'anestesia generale, inibire le secrezioni salivari, il vomito e tutto ciò che di nocumento possa accadere al paziente, compreso un risveglio agitato. Ciò che non prevede la preanestesia è la perdita di coscienza, elemento cardine dell'anestesia generale, assieme all'analgesia e al miorilassamento. Per questo motivo, gli interventi chirurgici e l'iniezione di traccianti neuronali non possono essere effettuati solo dopo premedicazione anestetica, come viene descritto dal professor Fadiga, a meno che non lo si voglia fare su un organismo cosciente, in grado di percepire un devastante dolore e di compiere movimenti inconsulti di ribellione incompatibili con operazioni chirurgiche di ben minore rilievo;
   sempre secondo l'associazione scientifica OSA si rileva una incongruenza nei dosaggi. Infatti nel protocollo sperimentale inviato al Ministero della salute e agli altri organi competenti, alla voce E) Metodologia e tecnica dell'esperimento, paragrafo «Tipo di anestesia», si legge «(...) Anestesia generale: associazione Tiletamina cloridrato e Zolazepam cloridrato (Zoletil, 20 mg/Kg i.m.) somministrata ad intervalli di 60 minuti»;
   nella relazione tecnico-scientifica, datata 18 marzo 2013, dal titolo «Dalla visione al controllo motorio: ruolo delle cortecce pre motoria e motoria primaria nella pianificazione ed esecuzione di differenti prese di precisione», al paragrafo «Interventi di chirurgia», si legge che: La medicazione preanestetica consiste nella somministrazione di Valium (0,2 mg/Kg i.m) e atropina solfato (0,5 mg i.m.) circa 30 minuti prima della induzione dell'anestesia mediante una combinazione di Tiletamina e Zolazepam (Zoletil, 10 mg/Kg i.m.) somministrata a intervalli di 60 minuti. Ora, nel protocollo sperimentale il dosaggio dello Zoletil è di 20 mg/Kg i.m., mentre nella relazione tecnico-scientifica diventa di 10 mg/Kg i.m.;
   il dosaggio del farmaco induttore risulta, nella relazione tecnico-scientifica, dimezzato rispetto al protocollo sperimentale;
   riguardo alla medicazione preanestetica nel protocollo la scelta del tranquillante è a favore del Valium, somministrato alla dose di 0,2 mg/Kg i.m. (per via intramuscolare) associato a 0,5 mg di Atropina solfato, sempre per via intramuscolare (non è specificato se si tratta di due iniezioni o di una singola iniezione con i due farmaci miscelati nella stessa siringa). È noto che il Valium, brand nome di una delle specialità a base di Diazepam, è veicolato dal glicole propilenico e, per questo motivo, il suo assorbimento per via intramuscolare è considerato imprevedibile. Si legge in Pharmamedix, a proposito del Diazepam: «L'assorbimento per via intramuscolare è erratico, dipende in parte dalla profondità dell'iniezione, dalla sede, dalla quantità di tessuto adiposo e dalla possibile precipitazione del farmaco a livello del sito d'iniezione» Ancora in Lumb & Jones Veterinary Anesthesia, varie edizioni, Williams e Wilkins: «Although is not recccomended diazepam has been admnistered intramuscolarly». Data dal 1976, la sintesi del Midazolam, benzodiazepina con caratteristiche simili al Diazepam, ma con peculiarità rivoluzionarie, tanto da essere considerata la prima vera benzodiazepina sintetizzata principalmente per uso anestesiologico. Una di queste peculiarità è che il Midazolam è idrosolubile a pH <4, il che elimina la necessità di solubilizzare la molecola nella preparazione iniettabile, favorendone un assorbimento predittivo e lineare, al contrario del Valium e delle altre specialità a base di Diazepam. (Bufalari – Lachin. Anestesia, pag. 97, 2012, Elsevier Ed.). Ancora in Lumb & Jones si legge: «Midazolam can be administered by either the intramuscolar or intravenous route»;
   risulta quindi incomprensibile la scelta, a giudizio degli interroganti, certamente sbagliata, del Valium nella medicazione preanestetica, come descritto nel protocollo sperimentale e ribadito nella relazione tecnico-scientifica;
   per quanto concerne l'induzione dell'anestesia la scelta dell'associazione Tiletamina – Zolazepam (Zoletil) potrebbe essere indicata per la contenzione farmacologica di animali selvatici o domestici, ma il suo uso per un'anestesia generale, per gli interroganti, lascia allibiti, specie quando si legge nel protocollo e nella relazione tecnica che verranno usate dosi intramuscolari subentranti ogni 60 minuti e solo, in caso di necessità, l'anestesia potrà essere approfondita con tiopentale o mantenuta con anestetico volatile (Isoflurano). Per gli interroganti nessun veterinario neolaureato, che abbia qualche vaga cognizione di anestesiologia, si sognerebbe mai di utilizzare un'associazione di fenciclidine (ketamina o tiletamina) e benzodiazepine per mantenere un'anestesia generale con dosi intramuscolari ripetute ogni 60 minuti. Peraltro il wash out dello Zoletil (Telazol in USA) usato per via intramuscolare nell'immobilizzazione dei primati è indicato come « variable from 15 to 40 minutes» in Lumb & Jones, Veterinary Anesthesia, varie ed. Williams e Wilkins. Nulla poi è dato sapere circa i circuiti respiratori usati e soprattutto quali tecniche di somministrazione d'ossigeno vengano impiegate;
   durante tale operazione, per altro, si ignora completamente se gli animali vengano o meno intubati, cosa evidentemente inaccettabile in un protocollo anestesiologico;
   riguardo l’équipe di anestesisti e chirurghi, si legge nella relazione tecnica che «l’équipe chirurgica è costituita da almeno due sperimentatori tra cui un medico chirurgo. I parametri cardiorespiratori vengono controllati da uno sperimentatore incaricato di mantenere costante anche il livello di anestesia». Non è dato sapere che formazione abbia questo «sperimentatore» se sia un anestesista umano o piuttosto, come si dovrebbe, un veterinario con comprovata esperienza in campo anestesiologico veterinario;
   la definizione di «sperimentatore» è quindi quanto mai vaga e vi è più che un fondato timore che a gestire queste pratiche non sia personale specificamente laureato e non solo per quanto previsto dalla normativa vigente;
   è doveroso specificare alcuni dubbi degli interroganti relativamente all'utilizzo del termine premedicazione, «costante» applicato dall'estensore della relazione tecnico-scientifica al livello di anestesia. Non si tratta di un banale rilievo semantico ma di un dettaglio rappresentativo della superficialità di queste documentazioni. Non esiste ovviamente un livello di anestesia «costante», ma semmai «adeguato», visto che, durante le fasi di un qualunque intervento, l'anestesia generale viene modulata a seconda della maggiore richiesta di analgesia o stato di coscienza o rilassamento muscolare. Non c’è nulla di meno «costante» di una corretta anestesia generale;
   dalla relazione tecnico scientifica fornita dal responsabile del progetto professor Fadiga emerge che la fase sperimentale della ricerca è preceduta da interventi chirurgici che consistono nell'apertura del cranio con perforazione delle meningi e della corteccia cerebrale, per impiantare elettrodi nonché una camera di registrazione e un sistema di fissaggio della testa al fine di tenerla immobile. A seguito dell'intervento chirurgico, il macaco viene messo in isolamento, tenuto in osservazione e gli vengono somministrati antibiotici e analgesici per evitare infezioni e dolore post operatorio derivanti dalla presenza di corpi estranei e dall'esposizione del tessuto cerebrale. Quando l'animale dimostra di avere superato l'operazione, comincia l'esperimento vero e proprio che è frutto di una fase preliminare della ricerca che prende il nome di condizionamento. Si legge poi, in calce all'allegato 1 della relazione tecnico scientifica: «Tutte le operazioni chirurgiche concernenti gli esperimenti di iniezione dei traccianti verranno compiute in anestesia generale. Dopo un periodo di sopravvivenza variabile da 2 a 45 giorni l'animale verrà sacrificato mediante dose letale di Tanax o barbiturici endovena dopo induzione di anestesia generale»;
   giova rammentare che il Tanax non è un farmaco il cui uso è stato autorizzato per i macachi (e più in generale per scimmie e primati non umani). Inoltre la detenzione e la somministrazione dello stesso deve comunque essere effettuata esclusivamente dal medico veterinario. Il Tanax è comunque soggetto alla disciplina del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 e successive modificazioni, tabella dei medicinali sezione A. In pratica va prescritto in triplice copia, ma non riferita alla ricetta del decreto legislativo n. 193 del 2006 in autoprescrizione per i medicinali di cui al decreto ministeriale 28 luglio del 2009 (che prevede gli eutanasici non stupefacenti in tabella dei medicinali sezione A) ma della richiesta in triplice copia di cui all'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990;
   nel novembre 2014 l'associazione Animal Defenders di Ferrara e nel marzo 2015 l'associazione Eital hanno presentato alcuni esposti al NAS per richiedere accertamenti e verifiche sullo stato di benessere e salute degli animali presenti nello stabulario dell'università di Ferrara poiché alle stesse giunsero segnalazioni relative a comportamenti illegittimi e perseguibili secondo quanto previsto dal codice penale;
   per gli interroganti non è possibile sostenere che questi animali vivano in una condizione di benessere che non comporti né dolore fisico, né angoscia. Se si trattasse di esperimenti non dolorosi non sarebbe infatti necessario il ricorso ad anestesia generale e ad analgesia protratta per vari giorni dopo l'operazione chirurgica;
   va rilevato che già a partire dalla stabulazione stessa, i livelli di ansia e stress degli animali non possono che essere notevoli ed evidenti. I macachi sono primati non umani, animali altamente gregari che necessitano della vita in comunità e in gruppi familiari, condizione che in laboratorio viene loro negata poiché ogni individuo viene segregato all'interno di gabbie singole di dimensioni inferiori a un metro cubo;
   dovrebbe essere accertato che siano stati presi in considerazione gli elementi scientifici che suggeriscono che il cervello di una scimmia non è il cervello di un uomo, diversa è infatti l'estensione della corteccia cerebrale nonché la localizzazione delle aree sensitive e motorie;
   l'Università di Ferrara dovrebbe compiere un atto di civiltà, anche in considerazione del fatto che l'87 per cento degli Italiani, secondo i dati Eurispes 2015, è contrario alla sperimentazione animale, favorendo la liberazione dei macachi detenuti presso il Polo chimico biomedico dell'università di Ferrara, per affidarli a centri di recupero e tutela di fauna esotica per la loro riabilitazione e la restituzione a una vita dignitosa e lontana dal dolore, deprivazione e gravi sofferenze;
   sarebbe fondamentale che l'università degli studi di Ferrara reinvesta i finanziamenti previsti per l'ampliamento dell'Animal Facility, per la realizzazione di un centro di ricerca all'avanguardia che sviluppi metodi innovativi e tecnologie avanzate che non prevedono l'uso di animali e siano quindi in grado di favorire il progresso della scienza medica ed essere realmente predittive per l'uomo –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano chiarire come l'autorizzazione di sperimentazioni su animali che vengono sottoposti a interventi fortemente invasivi e dotati di potere algico devastante, quando il dosaggio del farmaco cambia del 100 per cento dal protocollo alla relazione tecnico-scientifica si concili con la normativa vigente, considerato che la variazione del 100 per cento del dosaggio di un'associazione di due molecole/scelta per l'induzione dell'anestesia non è fatto irrilevante o sottovalutabile;
   se il Ministro della salute possa chiarire in che modo avvenga l'approvvigionamento dei farmaci veterinari, considerato che, per altro, alcuni di questi, secondo gli interroganti, sarebbero in uso in deroga;
   se il Ministro della salute intenda avviare un monitoraggio per verificare le condizioni di detenzione, di gestione e quindi anche di benessere degli animali utilizzati per la sperimentazione;
   se il Ministro della salute intenda chiarire le eventuali discrepanze tra il protocollo sperimentale inviato al Ministero della salute e lo svolgimento della sperimentazione;
   quali iniziative di competenza intenda avviare il Ministro della salute per verificare la corrispondenza tra le autorizzazioni alla sperimentazione e il reale svolgimento delle stesse e per verificare se sia un veterinario, un medico o piuttosto un tecnico a mettere in pratica ciò che è descritto nel protocollo di sperimentazione di cui in premessa, considerato che, per gli interroganti, solo e soltanto un veterinario potrebbe compiere le operazioni sopra descritte;
   se, nell'eventualità in cui sia stato avviato l’iter autorizzativo in deroga al Ministero della salute, quindi anche con il parere del Consiglio superiore di sanità, sia stato valutato che la tipologia di ricerca da sperimentare non sia già stata sperimentata e se non esistano altre metodologie per il raggiungimento degli obiettivi prefissi;
   se non si ritenga fondamentale assumere iniziative per superare la sperimentazione animale, soprattutto in considerazione del caso di cui in premessa, così invasivo per gli interroganti, e del fatto che, nel 2005, la prestigiosa rivista scientifica Science, definì la sperimentazione animale come «cattiva scienza», come dichiarato dal direttore dell'ECVAM (European Center for the Validation of Althernative Methods) professor Thomas Hartung, a vantaggio, quindi, di una più sicura ricerca in grado di garantire il progresso della scienza medica;
   se il Governo non ritenga di dovere assumere iniziative, anche normative, per evitare che nelle università, inclusa quella di Ferrara, si svolgano esperimenti come quelli descritti. (4-13998)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2016, la società J&P Industries, guidata dall'imprenditore marchigiano Giovanni Porcarelli che ha rilevato alcuni stabilenti dell'importante gruppo di elettrodomestici di Fabriano e Nocera Umbra, ha comunicato ai sindacati l'avvio della procedura di licenziamento collettivo per 400 lavoratori su 684;
   secondo quanto indicato dall'imprenditore Porcarelli, i problemi indicati ai Ministeri nella comunicazione di avvio della mobilità sarebbero relativi a «mutamenti del mercato» e a difficoltà nel rapporto con le banche;
   effettivamente, nell'ambito del tavolo di confronto aperto presso il Ministero dello sviluppo economico, nell'incontro del 10 maggio 2016, con la presenza dei commissari straordinari dell'Antonio Merloni spa, i rappresentati di Intesa San Paolo, Monte dei Paschi, UniCredit, Banca delle Marche, è emerso che, mentre Intesa San Paolo e UniCredit, così come UBI Banca, hanno deliberato la sottoscrizione dell'atto di transazione, riservandosi di definire il testo finale dello stesso, le altre banche hanno invece chiesto ulteriore tempo. In quella sede il Ministero dello sviluppo economico espresse l'assoluta necessità di: accelerare i tempi di delibera; definire il testo conclusivo dell'atto di transazione nel più breve tempo possibile; sollecitare l'adesione di J.P. all'atto di transazione; iniziare, infine, il confronto tra le realtà creditizie e J.P. rispetto ai finanziamenti a sostegno del piano industriale;
   l'area coinvolta dalla crisi del gruppo Merloni è interessata, infatti, da un accordo di programma per la disciplina degli interventi di reindustrializzazione sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico, dalla regione Umbria, dalla regione Marche, e da Invitalia, integrato con atto sottoscritto il 12 ottobre 2012, finalizzato alla salvaguardia e al consolidamento del tessuto imprenditoriale nonché al reimpiego e alla riqualificazione dei lavoratori della società; l'intervento agevolativo è attuato ai sensi della legge n. 181 del 1989, le cui risorse finanziarie ammontano a 26 milioni di euro;
   eppure il Governo, già sollecitato con l'interrogazione n. 3-01632 degli interpellanti – che paventavano il pericolo della perdita di competitività dell'azienda e l'impossibilità di continuare a svolgere regolarmente l'attività produttiva – assicurava l'impegno teso favorire in tempi celeri la conclusione dell'atto di transazione con le banche, «con l'obiettivo di individuare ogni possibile soluzione affinché questa importante realtà produttiva possa continuare ad operare, con salvaguardia dei livelli produttivi ed occupazionali»;
   grave è ora la situazione che rischia di far naufragare l'accordo di programma di reindustrializzazione con conseguenze nefaste sull'intero territorio e sui livelli occupazionali a causa della mancata sottoscrizione dell'accordo con le banche –:
   quali motivi abbiano impedito la celere conclusione dell'atto di transazione con le banche creditrici e quali iniziative di competenza abbia adottato il Governo;
   se il Governo intenda convocare urgentemente un tavolo di confronto con le parti interessate e le istituzioni regionali e locali e quali urgenti iniziative intenda intraprendere per favorire un accordo con gli istituti di credito che porti ad un ripensamento delle scelte dell'azienda e a un confronto tra i creditori e J&P Industries per l'erogazione della liquidità necessaria per accedere all'accordo di programma, al fine di scongiurare la definitiva chiusura dell'azienda e salvaguardare la produzione e l'occupazione.
(2-01446) «Ciprini, Terzoni, Gallinella, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Colletti, Colonnese».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della direttiva comunitaria 97/67/CE (recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 261 del 1999), si è aperta per la prima volta in Italia la concorrenza in ambito postale;
   con la direttiva europea n. 2008/6/CE l'Unione europea ha previsto che gli Stati membri aboliscano qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e adottino tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato (regolamentazione del servizio universale, accesso alle infrastrutture postali, determinazione dei prezzi e delle tariffe dei servizi postali);
   nella consultazione pubblica «Regolamento in materia di titoli abilitativi per l'offerta al pubblico di servizi postali» (indetta dall'Autorità AgCom con delibera n. 485/14/CONS), è stato rilevato che «l'attuale scenario di mercato è caratterizzato da un numero elevatissimo di soggetti abilitati all'offerta di servizi postali» e che «sotto tale profilo, la situazione italiana è assolutamente anomala se confrontata con quella esistente a livello europeo», non risultando ancora regolamentato il servizio universale e l'accesso all'infrastruttura postale;
   l'elenco rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico non prevede una sostanziale categorizzazione degli operatori postali operanti in Italia; da tale elenco si può evincere solamente che la maggior parte degli operatori si dedica al trasporto e consegna della corrispondenza in città (cosiddetti recapitisti con modalità non meglio specificate), mentre non risulta essere assolutamente specificato quali siano gli operatori retail che operano nel mercato postale nazionale attraverso la vendita di speciali etichette ed attraverso una propria rete di cassette di impostazione alternativa a quelle di Poste italiane;
   è stato registrato, in particolare, un aumento considerevole dei titoli abilitativi (licenze e autorizzazioni) rilasciati (quasi 900 sia nel 2012 che nel 2013) per un totale ad oggi di circa 4.000 titoli; ammonta a 2.516 il numero totale delle imprese che risultano in possesso di un titolo abilitativo e, in assenza di ulteriori informazioni sulla tipologia di attività postale concretamente svolta dai soggetti abilitati, si può ragionevolmente presumere che la maggior parte dei soggetti abilitati a diverso titolo ad operare nel settore postale svolgano un ruolo di intermediazione o siano attivi solo in alcune specifiche fasi della catena logistica dei servizi postali e operino in ambito locale;
   la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ammette una difficoltà nell'individuare l'attività concretamente svolta dai soggetti abilitati e la loro esatta collocazione nella catena logistica dei servizi postali e del loro ambito d'azione (locale o nazionale), così come gli stessi operatori sottolineano la necessità di ottenere una chiara distinzione, attraverso una categorizzazione che tenga conto dell'attività prevalentemente erogata: attorno a questa infatti, ciascun operatore struttura la propria società considerando il mercato di riferimento, il grado di incidenza nella catena logistica dei servizi postali e l'area di operatività (locale, regionale o nazionale);
   con riferimento alla consultazione pubblica dell'Agcom sullo «Schema di regolamento licenze e autorizzazioni» tenutasi 17 novembre 2014, la stessa Autorità afferma che in ambito retail «la differenziazione territoriale costituisce una proposta interessante sebbene non sia stata espressamente prevista dalla normativa nazionale». «L'Autorità si appresta a sostituire una regolamentazione che è in vigore dal 2000 e che vede oggi un numero di titoli abilitativi che non ha eguali in Europa»;
   a differenza di molti altri Stati europei (Regno Unito, Spagna, Polonia, Germania, Norvegia e Belgio), l'adeguamento richiesto dall'Unione europea e avvenuto tanto lentamente da non essere stato completato del tutto e così, a distanza di 16 anni, gli operatori postali che intendono offrire un servizio di tipo retail, ovvero basato su un concetto di vendita di servizio postale con business model basato sull'efficacia di raccolta dalla propria rete, si imbattono in una regolamentazione per certi aspetti limitante in quanto ancora in via di definizione;
   infatti, mentre altrove gli operatori postali privati intenzionati ad entrare nel mercato nazionale possono limitare il rischio d'impresa in quanto la normativa vigente gli consente di poter stipulare con l'ex monopolista accordi commerciali individuali e non discriminatori, differenti tra di loro per via delle caratteristiche del servizio offerto, in Italia, il rischio di impresa è elevatissimo perché, anche a fronte di un elevato investimento iniziale già sostenuto, gli operatori postali entranti non sono sufficientemente tutelati ed hanno poche possibilità di raggiungere nuovi accordi commerciali adeguati e ragionevoli con l'ex monopolista di Stato, in grado di consentire la nascita e lo sviluppo di un libero mercato;
   si registra, d'altra parte, che alle attuali condizioni di mercato, alcuni operatori postali privati eroganti servizio retail si sono dimostrati addirittura capaci di ripristinare il tradizionale servizio postale nei territori montani e morfologicamente più svantaggiati del Paese;
   il Regno Unito, ad esempio, è tra i Paesi che hanno regolato il fenomeno attraverso l'adozione di uno specifico codice di condotta, tramite il quale l'autorità di regolamentazione ha inteso definire alcune «procedure postali operative comuni». Tali disposizioni stabiliscono le modalità di restituzione della posta di altri operatori, introducendo anche dei criteri per la valutazione dei costi applicabili alle operazioni connesse. Il codice funge da accordo di « default», volto ad assicurare che, in assenza di accordi sottoscritti tra i fornitori di servizi postali e l'operatore designato di fornire il servizio universale postale, siano comunque applicate delle disposizioni in grado di assicurare agli utenti la corretta fornitura del servizio;
   anche la Spagna, nel recepire la normativa europea sulla liberalizzazione del comparto postale, ha previsto una forte tutela della concorrenza in ambito postale, tra l'altro obbligando l'ex incumbent ad accettare accordi differenti con i nuovi operatori postali e a mettere a disposizione la propria rete postale presente sul territorio, nonché istituendo una commissione di sorveglianza e risoluzione di conflitti entro tempi certi –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per regolamentare e gestire la comprovata nascita di una sana concorrenza in questo settore che ha già attirato investimenti e creato nuova occupazione anche assumendo iniziative per procedere ad un riconoscimento della categoria di operatori postali privati di tipo retail capace di tutelare la qualità offerta al consumatore finale e di assoggettare tutti questi operatori al rispetto di una medesima normativa infrastrutturale, fiscale e di reciprocità contrattuale orientata al costo di mercato ed ai costi emergenti, che consenta di stipulare specifici accordi con l'ex monopolista o altri operatori postali di tipo privato appartenenti alla medesima categoria. (5-09342)


   MOGNATO, TULLO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane ha più volte affermato che l'azienda intende investire come nodi strategici del proprio sviluppo sulla gestione del risparmio postale da un lato, e sull’e-commerce dall'altro;
   per quanto riguarda in particolare l’e-commerce, Poste Italiane già oggi è il primo consegnatario di pacchi per Amazon, tanto che il comparto pacchi ha realizzato un incremento dei volumi del 12,4 per cento nel 2015 rispetto alla precedente annualità, per un totale di 86 milioni di consegne in un anno;
   in quest'ottica, diventa pertanto strategico disporre di centri logistici di smistamento in prossimità dei grandi nodi infrastrutturali, primi fra tutti gli aeroporti, per sostenere la propria competitività rispetto ad una concorrenza particolarmente forte e attiva, che cerca a sua volta di conquistare fasce di mercato nell’e-commerce;
   emblematico è in tal senso il caso del polo aeroportuale di Venezia, ove la società di gestione Save ha di recente siglato un accordo con il vettore DHL per la creazione di un polo logistico di 19.000 metri quadrati con un investimento di 35 milioni di euro;
   la società NEXIVE ha recentemente inaugurato un proprio centro, proprio in prossimità dell'aeroporto Marco Polo di Venezia, in quanto questa area ha un tasso di infrastrutturazione molto elevato, a partire dall'interconnessione aeroporto/autostrada e, in prospettiva, aeroporto/alta velocità-capacità ferroviaria;
   a fronte di tale situazione, Poste Italiane dispone proprio a ridosso del sedime aeroportuale del Centro Postale di Venezia-Tessera, da cui deriverebbe una condizione di oggettivo vantaggio rispetto agli altri competitori;
   Poste Italiane, negli ultimi anni ha depotenziato il Centro Postale di Venezia-Tessera, trasferendo buona parte degli impianti di meccanizzazione in altre strutture;
   così facendo si sono liberati spazi che potrebbero essere impiegati per ospitare tecnologie di ultima generazione per la lavorazione dei pacchi, così da candidare il Centro di Venezia-Tessera come lo stabilimento principale da un punto di vista strategico e logistico del Veneto grazie alla sua posizione;
   Poste Italiane non ha fin qui chiarito se il Centro Postale di Venezia-Tessera rientri a pieno titolo tra gli investimenti prioritari nella gestione pacchi derivante dall’e-commerce, con una posizione a giudizio degli interroganti contraddittoria rispetto all'effettiva potenzialità produttiva del sito –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, perché Poste Italiane chiarisca se e come il Centro postale di Venezia-Tessera possa essere riqualificato all'interno della strategia di progressivo potenziamento della gestione dell’e-commerce, in ragione dell'indubbia situazione di vantaggio che esso offrirebbe all'azienda su scala territoriale veneta e dell'intero Nord-est, chiarendone le prospettive di sviluppo nell'ambito del piano industriale e la conseguente inalienabilità della struttura e della area in cui insiste. (5-09343)


   LIUZZI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale è una grande visione di digitalizzazione e modernizzazione del Paese volta allo sviluppo di competenze e infrastrutture digitali, per migliorare l'efficienza dei processi, la qualità della vita dei cittadini alimentando opportunità di conoscenza, culturali, sociali ed economiche;
   l'Agenda digitale europea, pone la banda larga come una delle sette iniziative chiave della strategia Europa 2020, prevedendo tra i suoi obiettivi banda larga di base per tutti entro il 2013 e accesso a reti di nuova generazione (velocità pari o superiori a 30Mbps) per tutti i cittadini europei entro il 2020;
   nel 2015 il Governo ha elaborato il piano strategico per la banda ultra larga e l'11 febbraio 2016 le regioni hanno condiviso in sede di conferenza Stato-regioni un piano per lo sviluppo della banda ultra larga sul territorio nazionale, sottoscrivendo un accordo quadro;
   in un articolo giornalistico, pubblicato sulla versione online del quotidiano « La Repubblica» il 25 luglio 2016 a firma di Alessandro Longo, dal titolo «I buchi nella rete della banda larga: 1,2 milioni di case fuori da ogni bando» si evidenzia che da un'analisi dei bandi attraverso i quali saranno stanziati i primi 1,4 miliardi di fondi pubblici emergerebbero significative criticità;
   anzitutto i bandi prevedono come facoltativa la copertura delle cosiddette «case sparse» localizzate nel territorio nazionale, lasciando di fatto agli operatori ampia discrezionalità circa la copertura o meno di tali aree che coinvolgono 1,4 milioni di cittadini residenti;
   la seconda criticità riscontrata riguarda la competitività delle imprese. Secondo quanto emerge dal citato articolo gli operatori sembrano privilegiare con riferimento ai collegamenti per le imprese, in particolare nel «Cluster B», collegamenti di tipo FTTE (Fiber To The Exchange) piuttosto che FTTB (Fiber To The Building), con ciò non garantendo le migliori condizioni possibili di connessione per le imprese localizzate nelle aree interessate;
   nel quadro descritto l'articolo citato riporta una dichiarazione di Raffaele Tiscar, tra i redattori della strategia governativa, il quale evidenzia che «Non ci sono più i tempi tecnici per fare la rete pubblica banda ultra larga, nemmeno entro il 2022 (termine entro il quale devono essere spesi i fondi europei relativi)» a dimostrazione dei ritardi e delle inefficienze che caratterizzano la strategia governativa –:
   quali iniziative intenda intraprendere nell'ambito del piano strategico del Governo, al fine di garantire la massima copertura possibile in termini di banda ultra larga per la popolazione residente e di assicurare alle imprese, in particolare alle piccole e micro imprese, connessioni adeguate alla rete internet che appaiono cruciali per assicurare la competitività delle stesse. (5-09344)


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti stampa, Poste Italiane ha recentemente tagliato drasticamente il servizio di recapito postale in una delle più importanti città del Mezzogiorno, Palermo, e come ha commentato il sindaco della città sicula, Leoluca Orlando: «appare del tutto incomprensibile la scelta di Poste Italiane che ha deciso la drastica riduzione del servizio di recapito della corrispondenza a Palermo, unica fra le grandi città metropolitane senza la consegna giornaliera con un taglio del servizio che ne danneggia pesantemente la qualità oltre che determinare gravissime ripercussioni occupazionali. Non è pensabile che il processo di privatizzazione in atto venga compiuto mortificando il ruolo postale di Poste italiane, pur comprendendo la volontà aziendale di diversificare l'offerta includendo tradizionalmente non affini a Poste». I lavoratori dell'azienda hanno dunque deciso di scendere in sciopero nei prossimi giorni contro le decisioni dei vertici di Poste;
   manifestazioni analoghe si stanno verificando un po’ in tutta Italia. La scorsa settimana, davanti alla prefettura di Cremona, una delegazione di sindaci e di lavoratori di Poste italiane, insieme alla partecipazione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, ha dato vita ad un presidio. I problemi legati al servizio postale stanno coinvolgendo un numero crescente di persone anche in quella zona. Ma scioperi e protese sono stati organizzati anche a Milano, Genova, Bari, Taranto, Campobasso, Firenze, Pavia, Mantova e in tanti altri luoghi, segno che la preoccupazione di cittadini e lavoratori per la definitiva privatizzazione di Poste Italiane spaventa in molti e mette a repentaglio le garanzie di continuità ed efficienza del servizio postale universale;
   la scelta di effettuare il recapito a giorni alterni sta creando disagi in ampia parte del Paese e disservizi ai cittadini e alle imprese. Contemporaneamente, si registrano situazioni inaccettabili in vari centri di smistamento e distribuzione in cui giacciono enormi quantitativi di posta che non viene consegnata;
   i sindacati di categoria delle Poste hanno incontrato unitariamente i vertici dell'Anci nazionale, per illustrare anche ai rappresentanti dei comuni italiani le preoccupazioni e le ricadute sociali sulle comunità del Paese derivanti dalla privatizzazione di Poste Italiane;
   il rischio è che la totale privatizzazione della più grande azienda del Paese possa ulteriormente desertificare il territorio, privandolo di servizi sociali necessari, specie nelle realtà montane e nelle ruralità dove si assiste già alla chiusura dei piccoli uffici e al recapito al recapito a giorni alterni;
   allo stesso tempo, stiamo assistendo ad a vera e propria offensiva nel campo della logistica e dell’e-commerce che rappresenta una sfida per la sostenibilità economica di Poste.Amazon, azienda americana, leader nel campo dell’e-commerce, nei giorni scorsi ha annunciato 500 milioni di euro di investimenti in Italia e l'apertura di due centri a Torino e uno vicino a Roma, quest'ultimo sarà il più grande dopo quello di Piacenza che è già operativo;
   sembra dunque, assolutamente necessario ripensare il ruolo degli uffici postali, riconosciuti unanimemente come presidi territoriali socialmente fondamentali, aprendo a proposte che provengano da ovunque (cittadini, organizzazioni, imprese, e altro), immaginando nuove sinergie territoriali capaci di utilizzare l'impatto del digitale e dell'automazione e della logistica integrata per mantenere la rete territoriale degli sportelli postali –:
   quali iniziative urgenti s'intendano avviare, per quanto di competenza, affinché il servizio di recapito postale su tutto il territorio nazionale venga ripristinato nella sua regolarità, prestando particolare attenzione alle zone più periferiche, ma anche ai grandi centri urbani e garantendo i livelli occupazionali interessati, anche alla luce del processo, di definitiva privatizzazione di Poste Italiane. (5-09345)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'IBM (International Business Machines Corporation) è un'azienda statunitense, tra le maggiori al mondo nel settore informatico; produce e commercializza hardware e software, offre infrastrutture, servizi di hosting, servizi di cloud computing e consulenza in settori che spaziano dai mainframe alle nanotecnologie;
   in Italia IBM ha come principale cliente la pubblica amministrazione: Poste, Trenitalia, RTI, Ministero dell'interno, Ministero della difesa, Cassa depositi e prestiti, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Fincantieri, regione Veneto, Fiera di Milano e Snam;
   a marzo 2016 la crescita in Italia del mercato digitale si è attestata intorno all'1 per cento. Malgrado ciò IBM Italia ha ritenuto l'incremento «troppo lieve» per compensare sei anni negativi ed ha deciso di aprire una procedura di licenziamento collettivo per circa 300 dipendenti (11 marzo 2016);
   negli ultimi tre anni la multinazionale ha impresso una forte accelerazione alla propria riorganizzazione e trasformazione, che si è però tradotta in un taglio complessivo di oltre il 20 per cento della forza lavoro nel nostro Paese;
   negli anni ’90 il colosso dell'informatica produceva nel nostro Paese hardware e software occupando oltre 13 mila dipendenti. Da allora, la smobilitazione è stata costante ed ora il numero degli occupati è sceso a circa 3 mila addetti, un innegabile affievolimento dell'impegno della IBM nel mercato italiano;
   dai dati delle organizzazioni sindacali si apprende che i posti di lavoro persi sono stati:
   527 nel 2012: 367 dimissioni incentivate, 128 spontanee, 30 avvenute per cessione di ramo d'azienda retail store solutions a Toshiba Global Commerce Solutions srl, infine 2 licenziamenti individuali;
   664 nel 2013, considerando i 23 dipendenti assunti in seguito all'acquisizione del ramo d'azienda Mondadori. Nello specifico: 209 dimissioni incentivate, 103 spontanee, 140 in seguito a procedura di mobilità e 59 per cessione di ramo d'azienda a Lenovo e 106 derivanti dalla cessione della divisione ACG, che effettuava applicazioni di contabilità per il mercato nazionale al gruppo Team/System; infine 1 licenziamento individuale;
   761 nel 2014, considerando 144 assunzioni. Le dimissioni incentivate sono 85, 130 dirigenti licenziati (di cui 60 nell'ambito della seconda procedura di mobilità), 485 per due procedure di mobilità tra quadri e impiegati e infine 2 licenziamenti individuali;
   a fine 2015 IBM Italia ha esternalizzato a Modis, del gruppo Adecco, 306 lavoratori con la cessione di un ramo d'azienda. Il trasferimento del rapporto di lavoro è stato impugnato da circa 285 lavoratori;
   dopo i quattro anni indicati la forza lavoro di IBM Italia, dirigenti inclusi, è passata da 7.143 a 5.531 dipendenti (dato all'undici marzo 2016) mentre nello stesso periodo l'occupazione, a livello di gruppo (IBM Italia, Sistemi Informativi, VTS, e altre) è scesa dagli 8.700 ai 7.000 dipendenti circa;
   il 26 aprile 2016, la trattativa in sede sindacale prevista dalla legge n. 223 del 1991, si è conclusa con un mancato accordo ed il 24 maggio 2016 è stato convocato un incontro sulla vertenza al Ministero del lavoro;
   l'azienda IBM Italia, in data 17 maggio 2016, non si è recata all'audizione prevista presso la Commissione lavoro del Senato, suscitando la reazione delle organizzazioni sindacali che hanno dichiarato il proprio sconcerto di fronte al palese atteggiamento di chiusura della società, una indisposizione al confronto che, a detta delle organizzazioni sindacali, si è protratta sino ad oggi;
   in una simile crisi versa anche l'azienda «Sistemi Informativi s.r.l.», leader nella progettazione e realizzazione di complesse soluzioni di Information e parte integrante del gruppo IBM Italia. Anch'essa opera in settori come: pubblica amministrazione, bancario, assicurativo, telecomunicazioni ed industria;
   in data 16 giugno 2016, l'azienda, con una lettera indirizzata a Unindustria ed alle rappresentanze sindacali unitarie/rappresentanze sindacali aziendali ha comunicato la propria decisione di «dar seguito a una riduzione di personale con conseguente collocazione in mobilità di nei confronti di 156 dipendenti», ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991;
   le motivazioni addotte dalla società sono il perdurare della crisi del settore information thecnology, le difficoltà nel reperire commesse nella pubblica amministrazione e l'accertata assenza di nuove prospettive di mercato;
   le aree maggiormente interessate al provvedimento sono la divisione global business, services e le funzioni di supporto amministrativo così detto funzioni di staff da cui conseguono vari esuberi. La sede più colpita è Roma con 135, seguono Milano con 12 e Torino con 6;
   secondo le organizzazioni sindacali le motivazioni addotte dall'azienda per la mobilità sono pretesto e le responsabilità del «rosso» nel bilancio ricadono sulla politica di disinvestimento nell'area dell'aggiornamento delle competenze dei dipendenti. I dati forniti dai sindacati confermerebbero che dal 2011 al 2015, a fronte di oltre 55 milioni di euro di consulenze esterne, vengono spesi solo 74 mila euro circa per la formazione e l'aggiornamento tecnico del personale. Secondo il delegato Filcams – Cgil F. Tranfaglia, l'azienda sta disinvestendo in Italia proprio sulle figure che lavorano a progetti che riguardano la pubblica amministrazione, mentre non si tagliano i costi per la consulenza esterna sistemistica. In breve, questi fatti rappresenterebbero la strategia della IBM per uscire dall'Italia;
   il ricorso alle consulenze esterne, in generale, oltre ad essere lecito, è economicamente vantaggioso ma, per essere tale, dovrebbe essere limitato a casi particolari e/o brevi periodi. Diversamente, l'uso di tale opportunità, per lungo tempo e per larghi strati applicativi, oltre a nascondere un basso ritorno di investimenti a medio e lungo termine potrebbe incidere negativamente proprio su quel know-how vantato dalle aziende. Stante proprio il rapporto di indipendenza dall'azienda, il consulente è sicuramente più attratto al ripetersi della consulenza che non a farla crescere;
   in merito alla procedura di licenziamento collettivo di 156 lavoratori, in data 27 luglio 2016, presso la sede della UIR Roma Lazio si è tenuto l'ultimo incontro in fase sindacale tra le organizzazioni sindacali, le rappresentanze sindacali unitarie e Sistemi informativi ai sensi della legge n. 223 del 1991. L'azienda in tale sede ha ribadito con fermezza che i licenziamenti da operare rimangono strutturali, di conseguenza le organizzazioni sindacali hanno ritenuto «irricevibili» proposte che non contemplino alcuna mediazione accettabile;
   il 30 luglio 2016, sempre ai sensi della legge n. 223 del 1991; si è conclusa la fase sindacale con un verbale di mancato accordo: è stata avviata quindi la richiesta di confronto in sede amministrativa, della durata di 30 giorni;
   in data 24 febbraio 2016, nel corso della visita al centro Watson Healt di Boston, il Presidente del Consiglio dei ministri ha firmato un accordo con IBM per il riutilizzo di alcuni spazi (30.000 metri quadri) e di alcune strutture di Expo 2015 a Rho, poco fuori Milano;
   il fine dell'intesa sottoscritta è di inaugurare un nuovo quartier generale europeo della società IBM per il Watson Center che si occuperà di sviluppare l'agenda sanitaria italiana: dai controlli e dagli aggiornamenti delle cartelle cliniche all'ottimizzazione delle voci di spesa della stessa sanità pubblicati, dagli esperimenti genetici alla ricerca per la cura del cancro;
   l'accordo descritto rientra nel progetto Human Tecnopole, per la riorganizzazione e il rilancio dell'area di Expo, fortemente voluto dal Governo. L'impegno economico previsto è di 150 milioni di euro per dieci anni, la creazione di circa 600 posti di lavoro;
   a giudizio dell'interrogante tale impegno renderebbe di nuovo il nostro Paese appetibile per gli investitori esteri e lo ricollocherebbe in un ruolo di rilevanza nel settore dell'alta tecnologia e della ricerca –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la salvaguardia occupazionale dei lavoratori di Sistemi Informativi srl e di tutto il gruppo IBM e per il ripristino delle normali relazioni sindacali;
   se il Governo intenda convocare un tavolo di confronto con le parti sociali, presso il Ministero dello sviluppo economico, anche in virtù delle importanti commesse pubbliche e private del gruppo IBM e alla luce del progetto descritto Human Tecnopole per la riorganizzazione e il rilancio dell'area di Expo, considerato che l'impegno in materia, sottoscritto a Boston tra il Governo italiano e, l'IBM il 24 febbraio 2016, potrebbe rilanciare il settore dell'alta tecnologia e della ricerca. (5-09329)

Interrogazione a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto denunciato dalla Filtcem Cgil di Catania presso i locali della Myrmex, laboratori d'eccellenza nel settore della farmaceutica già di proprietà della Pfizer e sul cui futuro è in corso una delicatissima vertenza, sarebbero venuti a mancare cinque macchinari;
   la presunta sottrazione di macchinari, ove confermata, avverrebbe in un momento assai particolare per il futuro dei 62 lavoratori licenziati;
   i lavoratori si sono costituiti in cooperativa e si stanno adoperando per la predisposizione di un business plan e per poter accedere alla partecipazione di bandi pubblici il tutto finalizzato a non disperdere un know how di assoluto e indiscutibile valore;
   sarebbe opportuna una maggiore vigilanza sull'intera vertenza, anche affinché la regione ottemperi agli impegni assunti e sia possibile salvare una realtà importantissima nel panorama produttivo regionale in un settore strategico –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di verificare quanto riportato in premessa e tutelare il futuro dei lavoratori Myrmex, in considerazione della complessa vertenza che ancora non ha trovato una soluzione. (4-13997)

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Palmieri n. 3-02396, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baldelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-13883, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ribaudo.

  L'interrogazione a risposta orale Zaccagnini n. 3-02432, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Kronbichler.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ginefra n. 5-09304, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ventricelli.

Pubblicazione
di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Bechis n. 5-09254, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 660 del 22 luglio 2016.

   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   a Foggia in zona Passo del Corvo – Arpinova – a marzo 2005 fu allestito in via provvisoria (durata massima della permanenza non avrebbe dovuto superare i 9 mesi) un campo profughi che da un censimento del 2014 (ultimo noto) risulta composto da 73 moduli abitativi, al cui interno vi sono 66 nuclei familiari così suddivisi 9 famiglie italiane, 1 rumena, 1 croata, 1 serba e 54 macedone per un totale di 279 residenti di cui 128 sono minori;
   nel succitato campo si stima siano presenti, suddivisi in 15 nuclei familiari, 58 individui irregolari di cui 25 minori;
   il totale dei residenti all'interno del campo tra regolari e irregolari è di 184 adulti e 151 minori;
   la nazionalità predominante all'interno della su descritta comunità, denominata scientificamente «Rom Khorakhanè Manjup», è quella macedone di origine religiosa musulmana, le cui ultime due generazioni sono nate in Italia;
   per gli alunni in età di obbligo scolastico residenti al campo c’è un servizio di scuolabus diverso e separato per i bambini italiani di etnia rom da quelli italiani di etnia italiana (una bambina) anche se residenti nello stesso campo;
   tutti i container hanno l'allaccio di acqua corrente anche se la pressione di questa non consente a tutti i residenti di poter utilizzare il servizio contemporaneamente e si sono dovuti organizzare i turni per l'utilizzo dell'acqua generando in alcuni casi attriti specie nei mesi estivi. Per i residenti che non hanno un modulo abitativo il rifornimento avviene riempiendo dei bidoni da amici che mettono a disposizione il loro rubinetto;
   adiacente a questo insediamento, con cui divide i precari servizi indispensabili quali acqua e energia elettrica, ci sono i locali dell'ex CARA occupati da poche famiglie non rom, normalmente identificati come i foggiani del campo nomadi;
   questo unico agglomerato suburbano è collegato alla città di Foggia con un servizio bus chiamato «corsa speciale», ossia con un servizio di trasporto pubblico locale diverso e separato dalle normali corse suburbane che si fermano a circa 1 chilometro, nei pressi della scuola professionale di Agraria all'incrocio tra la strada per San Marco in Lamis e la strada per La Rocca;
   questa situazione, ad avviso degli interroganti, di «apartheid», di separazione razziale, è emersa in tutta la sua brutalità quando, per inefficienze dell'amministrazione comunale di Foggia, per i bambini di etnia rom non è cominciato il servizio di trasporto scolastico, lo «scuola bus» mentre lo stesso servizio, fornito dall'azienda di trasporto pubblico locale partecipata del comune di Foggia ATAF, iniziava regolarmente per i bambini delle altre borgate e per l'unico bambino in età scolare figlio di una famiglia foggiana di residenti al campo;
   il motivo della mancata attivazione del servizio di trasporto scolastico per i bambini di etnia rom, come da dichiarazioni del dirigente del servizio politiche sociali e prevenzione del comune di Foggia, è da imputare alle difficoltà di assicurare il servizio di mediazione culturale per l'accompagnamento dei bambini rom a scuola aggiudicato solo a metà ottobre, in quanto il servizio è stato appaltato con modalità e tempi che hanno permesso il regolare inizio del servizio dal 1o settembre 2014;
   questa situazione di emarginazione sociale patita dai bambini rom è aggravata dalle precarie condizioni igieniche del campo segnalate dal dirigente del servizio sociale e prevenzione al sindaco di Foggia con ripetute lettere;
   in una lettera del 4 febbraio 2015 il dirigente scrive: «In primis si notizia la S.V. (il Sindaco) che l'Assessorato scrivente, nel corso del mese di settembre (2015), ha chiesto al competente Servizio Ambiente di provvedere alla pulizia generale del campo ed al ritiro dei rifiuti che da tempo non vengono smaltiti, tenuto conto che tale disservizio sta provocando un consistente proliferare di ratti ed insetti vari che rendono invivibile l'ambiente circostante ed all'interno del campo. Tale richiesta è rimasta sinora inevasa. Lo stesso dirigente torna a sollecitare gli interventi indifferibili, ma non ancora eseguiti, affermando: «in data 17 giugno c.a., accompagnato dal maresciallo Perta del comando di Polizia Municipale, ho effettuato un sopralluogo nel campo Nomadi sito a Borgo Arpinova al fine di verificare personalmente le condizioni igienico strutturali dello stesso che, oggettivamente, sono risultate ben lontane dai canoni di una funzionalità almeno da mediocre sopravvivenza». Sempre nella stessa lettera il dirigente, parlando delle baracche sorte a fianco ai container, scrive: «Appare davvero faticoso immaginare che accanto a tali liquami fecali le suddette famiglie debbano provvedere alle normali attività giornaliere come quelle del pranzo e della cena in condizioni di fetore e di pericolosità igienico sanitaria che rende “una scommessa continua”, la loro esistenza»;
   la situazione di degrado igienico del campo può causare l'innesco di epidemie, e quindi mettere a rischio l'intera popolazione;
   in queste condizioni di separazione razziale e di precarie condizioni igieniche, è davvero difficile immaginare percorsi virtuosi di integrazione ed emancipazione per i giovani bambini di etnia rom;
   all'interno del campo non esiste una condotta fognaria;
   la situazione in cui versa il campo non garantisce i diritti dell'infanzia –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo al fine di garantire una efficace integrazione che tuteli pienamente i diritti dei minori e delle persone lasciate in questo stato di terribile abbandono;
   se il Governo non intenda avviare un'accurata verifica in ordine al corretto utilizzo dei fondi statali ed europei stanziati in quasi mezzo secolo con l'obiettivo di raggiungere una piena integrazione del popolo Rom e che attualmente parrebbe abbiano ottenuto quale risultato solo putridi accampamenti lasciati al caso e alla buona volontà degli sfortunati residenti;
   se il Governo non intenda promuovere, per quanto di competenza, una tempestiva verifica sanitaria nei campi più a rischio come quello di Foggia, al fine di evitare pandemie e quindi garantire il diritto universale alla salute.
(5-09254)

Ritiro di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Latronico n. 5-07169 del 3 dicembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Mognato n. 5-08735 del 20 maggio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Oliaro n. 5-08996 del 24 giugno 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente n. 5-09225 del 20 luglio 2016;
   interrogazione a risposta orale Zaccagnini n. 3-02432 del 29 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Piras n. 4-13964 del 29 luglio 2016.