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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 1 agosto 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la conduzione della politica estera è responsabilità del Governo, ma il Parlamento può esprimere degli indirizzi ai quali improntarla, anche al di fuori delle circostanze nelle quali il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionali rende proprie comunicazioni alle Camere su problemi o questioni più o meno contingenti;
    l'ambiente internazionale si presenta estremamente dinamico, fattore che contribuisce ad acuire la necessità di un confronto più frequente tra Governo e Parlamento in merito alle scelte fondamentali della politica estera;
    nel breve volgere di pochi mesi, sono numerose le novità intervenute in scacchieri di grande rilevanza per il nostro Paese;
    in Turchia, ad esempio, è fallito un tentativo di colpo di Stato, al quale l'esecutivo locale sta reagendo con una massiccia campagna repressiva, che sta assumendo le forme di un'epurazione di massa nei confronti di militari, magistrati, accademici, insegnanti e giornalisti, con sospetti abusi nei confronti di coloro che sono stati imprigionati e l'eventualità di una reintroduzione della pena di morte per i responsabili di quanto è accaduto;
    tali sviluppi in atto in Turchia costituiscono una palese smentita di quanto il Governo di Ankara asserisce essere stato fatto per agevolare l'ingresso del proprio Paese nell'Unione europea ed un giusto motivo per bloccare la continuazione delle trattative finalizzate a questo esito;
    la sospensione dei finanziamenti erogati dall'Unione europea per preparare la Turchia alla sua accessione all'Europa comunitaria sembra conseguentemente opportuna, anche come leva per cercare di condizionarne il comportamento liberticida. A considerazioni analoghe si presta anche la prosecuzione del programma che prevede la concessione di fondi alla Turchia in cambio del suo impegno a controllare i flussi migratori diretti verso il continente europeo;
    proseguono nel frattempo le ostilità in Siria e nelle regioni irachene ancora soggette al cosiddetto Stato Islamico, che tuttavia sta perdendo terreno, mentre sono sempre presenti altre forze più o meno riconducibili all'Islam politico radicale e al jihadismo, che combattono il legittimo governo siriano e cercano l'attivo supporto dei Paesi occidentali;
    in Libia, fatica intanto ad affermarsi la cosiddetta soluzione unitaria ed inclusiva, che dovrebbe portare l'esecutivo diretto da Fayez al Serraj ad assumere il pieno controllo del Paese, con l'appoggio politico e militare delle Nazioni Unite ed alcuni Stati, occidentali e non;
    la Russia continua ad esser sottoposta ad un regime sanzionatorio piuttosto incisivo, che ha comportato l'adozione di contromisure specifiche da parte di Mosca, in ragione dell'annessione della penisola di Crimea e del conflitto in atto nel Donbass, mentre gli Stati Uniti ne cercano la collaborazione per porre fine al conflitto in atto in Siria e più in generale stabilizzare il Medio Oriente;
    alla Russia, incredibilmente, è tornata a guardare la stessa Turchia, che ha evidente necessità di evitare la completa compromissione della propria industria turistica e dei propri obiettivi di geopolitica energetica;
    proprio la strategia adottata da Mosca nei confronti della Turchia dopo l'abbattimento del jet russo che aveva sconfinato nei cieli turchi nel novembre 2015 costituisce interessante termine di paragone rispetto alla scelta europea di elargire fondi al Governo di Ankara affinché trattenga sul proprio territorio i migranti irregolari in fuga dall'Asia centro-meridionale e dal Medio Oriente;
    l'Alleanza Atlantica, fulcro della politica di sicurezza nazionale del nostro Paese dal 1949 ad oggi, ha iniziato a mostrare finalmente interesse per il cosiddetto fronte sud, anche se permane troppo forte la pressione esercitata al suo interno dal raggruppamento baltico, che sta imponendo alla Nato un pericoloso ritorno alla contrapposizione frontale con la Russia;
    il futuro dell'Unione europea è stato messo in dubbio dalla scelta degli elettori britannici che in un libero referendum si sono espressi in favore del «Brexit», ovvero l'uscita del Regno Unito dall'Europa comunitaria;
    proprio il voto britannico dovrebbe spingere l'Europa ad avviare una riflessione profonda sulle cause della disaffezione dei cittadini comuni nei suoi confronti, tra le quali tuttavia gli effetti dell'evidente supremazia tedesca, delle scelte finora troppo timide nel controllo dei flussi migratori illegali e dell'austerità hanno certamente svolto un ruolo importante, se non decisivo;
    i flussi migratori che il nostro Paese fronteggia derivano da una molteplicità di fattori, tra i quali primeggiano la forte instabilità ai confini dell'Europa, l'utilizzo della leva migratoria da parte di Stati e poteri informali in chiave strategica, per ottenere benefici o vantaggi politici, e la stessa crescita economica dell'Africa, che ha generato le risorse indispensabili a finanziare la mobilità di un crescente numero di persone;
    intensità e velocità raggiunti dai flussi migratori non sono compatibili con il mantenimento a lungo termine degli equilibri sociali interni ai Paesi europei;
    mentre è impossibile negare soccorso ed assistenza a chi davvero fugge da persecuzioni politiche o dalla guerra, appare conseguentemente necessario ribadire che le frontiere dell'Unione europea restano chiuse ai migranti irregolari che tentano di accedervi per ragioni economiche;
    la collaborazione degli Stati attraverso i quali passano migranti è indispensabile per poter procedere ad una scrematura preventiva in loco che permetta di individuare le persone che realmente possano aspirare alla tutela internazionale, isolandole dalle altre;
    i flussi migratori si stanno confermando altresì come una delle vie di accesso all'Europa per aspiranti terroristi jihadisti e persone comunque incaricate di compiere attentati sul nostro Continente;
    la sicurezza europea è altresì minacciata gravemente dai giovani musulmani europei che la propaganda jihadista è riuscita a radicalizzare in questi anni, come hanno dimostrato le indagini condotte dopo gli attentati contro Charlie Hebdo, il Bataclan, l'aeroporto di Zaventem e, da ultimo, la Promenade des Anglais a Nizza;
    è quindi di grandissima importanza estendere la collaborazione con i Paesi le cui intelligence sono risultate finora più efficaci nel monitoraggio dei gruppi jihadisti, anche al di fuori dell'Alleanza Atlantica e dell'Unione europea, come la Russia ed alcuni Stati nord-africani, fra i quali spicca il Marocco, il cui Governo tra l'altro conduce da anni un programma di formazione controllata degli imam, interessante anche nella prospettiva del controllo delle moschee sorte nella nostra penisola;
    negli Stati Uniti d'America è in corso una campagna elettorale per determinare chi, tra Hillary Clinton e Donald Trump, succederà a Barack Obama alla guida del Paese. Ciascun candidato ha una propria visione dei rapporti tra il proprio Paese ed il resto del mondo che non spetta in questa fase ad alcun esponente dell'Esecutivo italiano di giudicare, sia perché ciò rappresenterebbe un'illegittima interferenza negli affari interni di un'altra nazione, sia per gli effetti che potrebbero conseguire all'eventuale sconfitta del candidato nei confronti del quale si sia manifestata una preferenza,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per avviare nell'Unione europea una profonda riflessione sugli errori che hanno convinto i cittadini britannici a votare in favore dell'uscita del Regno Unito dall'Europa comunitaria, approfittando della maggiore influenza che la nuova situazione sta regalando al nostro Paese per condurre un'azione più incisiva contro gli eccessi regolatori e la pratica di un'austerità che sta impoverendo molti Stati membri;
   a rivedere in profondità le proprie relazioni con la Turchia, condannando energicamente la repressione in atto dopo il fallito tentativo di colpo di Stato ed esigendo in sede europea il blocco dei negoziati per l'accessione dello Stato turco all'Unione europea nonché di tutti programmi ed accordi che comportino l'elargizione di fondi al Governo di Ankara;
   a continuare la propria azione finalizzata alla sollecita rimozione delle sanzioni alla Federazione Russa, evitando tuttavia in futuro i ripensamenti che hanno contraddistinto in passato l'esplicitazione della posizione di dissenso italiana, prima formalizzata e poi ritrattata in almeno una circostanza;
   a ribadire che gli Stati Uniti e l'Alleanza Atlantica rimangono il perno della nostra politica di sicurezza;
   a perseguire, contestualmente, all'interno della Nato un riequilibrio delle sue priorità, che ne sposti il fuoco di attenzione dall'Est europeo al Mediterraneo, agendo quindi contro il radicalizzarsi della contrapposizione con la Russia, che ha caratterizzato le ultime decisioni assunte anche in occasione del Summit di Varsavia, malgrado tra Stati Uniti e Federazione russa si sia stabilita un'importante cooperazione nella lotta al sedicente Stato Islamico e per porre fine alla guerra civile in corso in Siria;
   a condizionare conseguentemente alcune scelte italiane in ambito Nato all'esigenza di non contribuire all'aggravamento delle tensioni con la Federazione russa, imponendo ad esempio alcune restrizioni alle regole d'ingaggio stabilite per le unità militari italiane che vengono rischierate a ridosso della Federazione russa o nei pressi di dove operano le Forze armate di quest'ultima;
   a proseguire la partecipazione italiana, alla campagna militare in atto contro il cosiddetto Stato Islamico;
   sul fronte «interno» della lotta al terrorismo transnazionale di matrice jihadista, ad accrescere la collaborazione tra i servizi informativi e di sicurezza italiani e quelli dei Paesi europei, dei membri della Nato non europei, di altri Paesi «amici», come la Federazione Russa, e di alcuni Stati della Sponda Sud del Mediterraneo, alcuni dei quali si sono dimostrati in grado di prevedere meglio di altri l'effettuazione di alcuni attentati;
   in relazione al conflitto in atto in Siria, a proseguire sulla strada del ristabilimento di rapporti con il legittimo Governo di Damasco e ad evitare di offrire qualsiasi genere di sostegno a gruppi radicali delle più varie estrazioni, alcuni dei quali hanno vantato rapporti diretti con al Qaeda, malgrado recenti operazioni che appaiono ai firmatari del presente atto «cosmetiche» di rebranding siano state intraprese per farlo dimenticare, come nel caso del sanguinario Fronte al Nusra;
   in rapporto alla crisi in corso in Libia, proseguire nello sforzo teso a far prevalere una soluzione unitaria, che permetta di tutelare al meglio i nostri interessi nazionali, avviando al contempo un processo di riconciliazione con l'Egitto, ferma restando l'urgenza di ottenere una versione credibile su quanto accaduto allo sfortunato Giulio Regeni;
   in materia di contrasto all'immigrazione illegale, ad esigere in tutte le competenti sedi internazionali l'adozione di politiche che rendano chiaro come nell'Unione europea non ci sia spazio per i migranti economici irregolari, effettuando respingimenti militarmente assistiti e operando affinché vengano creati nei Paesi di transito centri nei quali operare la selezione dei veri profughi meritevoli di ottenere tutela internazionale nell'Unione europea;
   ad evitare che membri del Governo dichiarino le proprie preferenze nella corsa alla Casa Bianca di qui all'8 novembre, anche allo scopo di predisporsi alla collaborazione con chiunque succederà a Barack Obama il 20 gennaio 2017.
(1-01333) «Gianluca Pini, Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Picchi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    da anni si assiste a una sequenza spietata di atti terroristici perpetrati da organizzazioni fondamentaliste islamiste, per un verso contro obiettivi e vittime occidentali, e per altro verso contro altri innocenti cittadini nel mondo arabo. L'elenco è ormai pressoché interminabile: dalle Due Torri a Madrid, da Londra a Copenaghen, da Parigi a Bruxelles, da Nizza alla Germania, dai turisti occidentali in Asia a quelli in Africa, fino al sacrilego atto di Rouen, con l'uccisione di un sacerdote, nel corso di una messa, sull'altare, dinanzi ai suoi fedeli;
    appare francamente inadeguato il tentativo di derubricare questi eventi, di volta in volta evocando l'irrilevanza del fattore religioso, oppure appellandosi a patologie mentali degli attentatori, oppure enfatizzando la reazione di panico (quasi fosse un sentimento inopportuno e fuori luogo) dell'opinione pubblica occidentale;
    occorre chiamare le cose con il loro nome. Purtroppo, in questo momento storico, nel mondo islamico sembrano prevalere il pensiero e l'azione di chi interpreta in modo violento, dogmatico e fondamentalista quel credo religioso. Quei gruppi, e il relativo « network» del terrore, si sono dati un obiettivo di lungo periodo – apertamente proclamato — e cioè la realizzazione di un grande califfato; nel cammino verso quel disegno di oppressione, perseguono intanto due strade intermedie: la semina di terrore attraverso azioni criminali diffuse (dirottamento ed esplosione di aerei, autobombe, attacchi suicidi in strade e aeroporti, assassinii plurimi anche in forme altamente simboliche e altro) e anche la destabilizzazione attraverso l'immigrazione di massa, peraltro con un forte rischio (finora largamente sottovalutato) di infiltrazioni fondamentaliste;
    finora, purtroppo, al di là di testimonianze molto minoritarie e marginali, non si è assistito a una dissociazione esplicita, di massa, inequivocabile, da parte del cosiddetto mondo musulmano «moderato». Da troppe parti e in troppi ambienti, prevale invece un silenzio inquietante;
    c’è un punto di fondo, «ideologico», che va messo a fuoco. Gli architetti del terrore non vogliono «solo» la nostra morte: rifiutano ogni altra legge ad eccezione della sharia, interpretata nel senso più violento ed estremista; rifiutano ogni distinzione tra religione e Stato; negano qualunque differenza tra peccato e reato; negano i diritti delle donne; negano il diritto stesso all'esistenza delle persone omosessuali; considerano alla stregua di una pratica perversa e decadente — quindi da punire — lo stile di vita occidentale; disprezzano la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, i fondamenti stessi della civiltà occidentale, il lascito che viene da migliaia di anni di storia e tradizioni, passando per Atene, Roma e Gerusalemme;
    occorre dunque, prima di ogni altra cosa, una piena consapevolezza del quadro in cui ogni azione internazionale e nazionale deve inserirsi,

impegna il Governo

   sul piano internazionale, a sostenere attivamente e anche a partecipare alle missioni internazionali volte a sradicare militarmente (in Medio Oriente e in Africa) Isis e le altre organizzazioni fondamentaliste, posto che dalla Siria alla Libia, i gruppi terroristici sfruttano da anni il vuoto e l'arretramento occidentale per avere basi logistiche, per gestire pezzi di territorio e lucrosi traffici petroliferi, per addestrare uomini, per ottenere supporto economico e logistico anche da entità statuali nel mondo arabo e che quindi una chiara sconfitta militare di Isis è una precondizione essenziale anche per evitare un più facile reclutamento di altri militanti estremisti, i quali saranno meno orientati ad aderire ad una causa perdente, sconfitta, battuta;
   sul piano interno, ad affiancare alla doverosa attività di sicurezza e intelligence, già in atto, alcune iniziative chiare ed esplicite ed in particolare quelle volte a pervenire: a) da un lato alla chiusura immediata delle moschee irregolari, di ogni luogo di culto irregolare e senza controlli, e quindi l'apertura solo di moschee e luoghi di culto autorizzati e controllati, dove si predichi necessariamente in italiano; b) dall'altro, a una svolta in materia di immigrazione, ponendo fine ad una logica di accettazione senza limiti, e vincolando l'accettazione — come accade da anni in altri Paesi occidentali — a flussi rigorosamente predeterminati sia nella quantità di persone accoglibili, sia nella loro tipologia, in base a numeri e profili concretamente compatibili con le esigenze del mercato del lavoro (settore per settore), in modo che chi arriva possa essere positivamente assorbito e messo al lavoro, considerato che una diversa linea di accoglienza senza limiti, senza prospettive di sistemazione e di occupazione, sarebbe un fattore di caos, e anzi un favore ai trafficanti di esseri umani e agli eventuali infiltratori di cellule del terrore.
(1-01334) «Capezzone, Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA, MANNINO, LOREFICE, RIZZO, CANCELLERI, LUPO e NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 ottobre 2015, un evento franoso verificatosi in località Calatabiano (Catania), ha determinato la rottura di una tubazione dell'acquedotto Bufardo Torrerossa, condotta utilizzata per il trasporto idrico dal fiume Fiumefreddo alla città di Messina e ad altri comuni siciliani;
   la rottura della tubatura ha comportato una massiccia inondazione di fango e detriti nei quartieri della città di Calatabiano (Catania), e, allo stesso tempo, ha gravemente compromesso l'approvvigionamento idrico nel comune di Messina;
   in data 24 ottobre 2015, il quotidiano consultabile on-line La Gazzetta del Sud, riportando la notizia di tale guasto alla rete idrica, annunciava la possibilità di «disservizi in tutte le zone della città», ovvero la possibile «riduzione dell'orario di erogazione del servizio idrico», condizione che, tuttavia, si protrasse per quasi due settimane, determinando una condizione di gravissima emergenza che condusse lo stesso Governo a dichiarare lo stato di emergenza;
   nel medesimo articolo venivano riportate le dichiarazioni dei tecnici dell'Azienda Meridionale Acque Messina s.p.a. (AMAM), società affidataria del servizio di gestione delle risorse idriche per la città, i quali, confermando l'apertura della falla, annunciavano la necessità di riparare la condotta in una situazione assai complessa;
   secondo gli stessi tecnici, infatti, già in altre occasioni si verificarono guasti analoghi alla rete idrica messinese, sia a causa di frequenti smottamenti e frane del terreno su cui la conduttura risulta essere costruita, sia come conseguenza di una condizione di particolare inadeguatezza strutturale della stessa;
   nonostante le note criticità del sistema di approvvigionamento idrico, la città di Messina viene attualmente rifornita attraverso il solo impianto situato in località Fiumefreddo, il quale pur non assicurando una quantità d'acqua sufficiente per fornire la popolazione, in condizioni di instabilità strutturale, presenta condizioni tariffarie vantaggiose rispetto alle altre reti idriche utilizzabili;
   in considerazione di tali evidenze in data 4 novembre 2015 veniva presentata l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/01808, a prima firma D'Uva, attraverso la quale venivano richieste urgenti iniziative per la messa in sicurezza dei territori e, conseguentemente, una maggiore tutela per garantire un regolare approvvigionamento idrico;
   rispondendo ai questi posti dagli interroganti, il Ministro interrogato assicurava risorse adeguate ed interventi idonei a garantire un idoneo e necessario approvvigionamento idrico per la città di Messina, nonché per gli altri comuni interessati dal rischio del dissesto idrogeologico;
   nonostante le condizioni di elevata criticità del sistema di rete utilizzato per l'approvvigionamento idrico della città di Messina avessero da tempo sollevato la necessità di una sua urgente riorganizzazione, in data 23 luglio 2015 il quotidiano consultabile on-line « Tempostretto» riportava la notizia di due «focolai di probabile origine dolosa» i quali sarebbero la causa di incendio che «ha interessato cantiere dell'Amam posto a Calatabiano e che ha compromesso tubi flessibili che consentono all'acqua di affluire in città dall'acquedotto del Fiumefreddo»;
   lo stesso quotidiano sottolineava come gli «enormi ritardi a Calatabiano non hanno consentito di realizzare ancora una soluzione definitiva dopo la crisi di ottobre – novembre», evidenziando come a Calatabiano occorra «una soluzione definitiva, perché quella provvisoria adottata per far fronte alla crisi idrica di ottobre-novembre rischia di non durare a lungo. In estate i tubi flessibili sono soggetti a rischio incendio ed è proprio quello che è successo stamani»;
   l'incendio che ha causato la rottura delle tubazioni ha condotto ad una nuova, se pur limitata, emergenza, con una regolarizzazione della distribuzione idrica prevista in maniera graduale, in attesa dei necessari interventi tecnici sulla condotta interessata;
   in data 25 luglio 2016 il quotidiano consultabile on-line « La Gazzetta del Sud», sottolineava la necessità di considerare lo stato di temporaneità della soluzione, «la stessa che doveva garantire per soli 3-5 mesi l'approvvigionamento idrico della città e che dopo 8 mesi e 9 giorni era in balle di usura, eventi atmosferici, calamitosi e incendi. Quasi 9 mesi durante i quali la protezione civile regionale, malgrado lo stato di emergenza dichiarato dal governo, non è riuscita a completare la messa in sicurezza della collina»;
   se la condizione di emergenza poteva infatti condurre a interventi che garantissero, nel breve periodo, una soluzione temporanea, risultava evidente che queste non avrebbero potuto assicurare una gestione idonea del sistema di approvvigionamento in considerazione della stagione estiva, nel corso della quale frequenti risultano essere gli incendi anche di natura dolosa;
   gli interroganti ritengono necessario per tali ragioni verificare la sussistenza di eventuali responsabilità in capo alla regione siciliana, con particolare riferimento ai vertici politici preposti ad assicurare un approvvigionamento idrico idoneo, ovvero all'azienda cui risulta a oggi affidata la gestione della rete idrica messinese;
   analogamente risulta urgente un intervento strutturale e non meramente provvisorio che scongiuri il susseguirsi di emergenze e cedimenti strutturali che costringano la popolazione a rimanere senza un'adeguata fornitura idrica  –:
   quali iniziative il Governo ritenga di intraprendere per verificare, nei limiti delle sue competenze, le responsabilità tecnico-amministrative che hanno condotto all'ennesima emergenza strutturale nel sistema di approvvigionamento idrico per la città di Messina;
   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare per assicurare gli adeguati livelli di sicurezza ed efficienza nel sistema di rifornimento idrico per la città di Messina, garantendo altresì che gli stanziamenti finanziari richiamati in premessa vengano urgentemente erogati al fine di consentire gli indifferibili interventi strutturali che scongiurino, in via definitiva, la possibilità di analoghe emergenze. (5-09320)


   DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della città di Venezia e del suo territorio dagli inquinanti delle acque è oggi affidata al provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia (nel seguito, provveditorato), ex magistrato alle acque, in forza di numerosi provvedimenti legislativi che costituiscono l'insieme delle «Leggi speciali per Venezia»: legge 5 marzo 1963, n. 366; legge 16 aprile 1973, n. 171; decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 1973, n. 962; legge 31 maggio 1995, n. 206; decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto col Ministro dei lavori pubblici, 23 aprile 1998, e successive modifiche e integrazioni; decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto col Ministro dei lavori pubblici, 30 luglio 1999, e successive modifiche e integrazioni; legge 28 luglio 2004, n. 192;
   il provveditorato è articolato in sette uffici di livello dirigenziale non generale; in particolare, l'ufficio 2 tecnico per la regione Veneto, con sede in Venezia, ha assunto, oltre ai compiti assegnati in via generale, anche tutti i compiti attribuiti all'ex ufficio tecnico per l'antinquinamento della laguna di Venezia (UTA);
   nello specifico, tale ufficio svolge:
    valutazione ed espressione di pareri sulla validità dei trattamenti di depurazione delle acque reflue recapitanti in laguna di Venezia;
    verifica della conformità al progetto degli impianti di depurazione realizzati, con obbligo di comunicazione all'autorità giudiziaria di situazioni di difformità o inadempienza;
    rilascio di autorizzazioni allo scarico dei reflui civili (6400 autorizzati ai sensi della legge n. 206 del 1995);
    rilascio di autorizzazioni e concessioni alle derivazioni di acqua lagunare e agli scarichi industriali (268 autorizzati ai sensi della legge n. 171 del 1993);
    monitoraggio del funzionamento degli impianti di depurazione presenti nel centro storico di Venezia e isole (175 impianti biologici e 160 impianti chimico-fisici) tramite sopralluoghi e sistema di controllo da remoto (120 impianti di depurazione telecontrollati);
     approvazione dei Piani di adeguamento ex lege n. 192 del 2004 in sede di conferenza dei servizi;
    georeferenziazione di tutti gli scarichi all'interno della conterminazione lagunare;
    attività dei propri laboratori di analisi di Venezia e Voltabarozzo (PD);
    verifica delle caratteristiche qualitative dei reflui scaricati in laguna rispetto ai limiti di legge (1200 campioni/anno, 85.000 parametri/anno);
    esecuzione di monitoraggi dello stato chimico delle acque lagunari e per la classificazione dei corpi idrici lagunari ai sensi della direttiva 2000/60/CE;
    monitoraggio in continuo della qualità delle acque della laguna tramite dieci stazioni fisse (12.000.000 dati/anno, rete Samanet, unica in Europa per dimensione e importanza);
   tali attività sono iniziate nel 1988, con l'ausilio di personale tecnico assunto dall'allora magistrato alle acque con contratto di diritto privato e successivamente entrato in ruolo nel 1994; sono proseguite poi, a partire dal 1996, in «sinergia» con un gruppo di lavoro composto da ventidue unità esterne, impiegate presso l'ufficio amministrativo e il laboratorio di analisi di Venezia, San Polo 737 e il laboratorio di Padova con sede a Voltabarozzo, Via Asconio Pediano n. 9;
   su incarico del Provveditorato, il concessionario unico Consorzio Venezia Nuova (CVN) ha reclutato progressivamente, a partire dal 1996, ventidue unità con contratti di collaborazione a progetto o di consulenza; consulenze e collaborazioni da sempre eseguite con continuità presso le strutture del Provveditorato. Nel 2007 tale personale viene assunto con contratto a tempo indeterminato dalla società Thetis SpA, che opera per conto del Consorzio Venezia Nuova, per garantire continuità e stabilità alle attività istituzionali dell'Ufficio antinquinamento presso le strutture del provveditorato;
   oggi il provveditorato finanzia le strutture e le retribuzioni del personale avvalendosi di fondi previsti in opportune perizie di esercizio di durata annuale, approvate dal comitato tecnico amministrativo, nelle quali sono indicate le figure professionali richieste per l'adempimento delle singole mansioni. Il CVN stipula a sua volta un contratto annuale con Thetis Spa (l'ultimo, con scadenza 31 dicembre 2016);
   attualmente il personale in forza all'ufficio antinquinamento risulta costituito da un dirigente, che peraltro svolge numerose altre attività istituzionali del provveditorato, cinque funzionari tecnici della pubblica amministrazione e ventidue unità di personale esterno con un perimetro di competenze professionali molto particolare, difficilmente reperibili allo stesso livello sul mercato, perché acquisite con l'esperienza fatta dal 1996, a stretto contatto sia con le istituzioni e gli enti preposti al governo delle acque lagunari, sia con i soggetti attuatori. Tale personale nel corso degli anni ha maturato conoscenze specifiche per adempiere all'unicità dei compiti istituzionali affidati all'ente;
   nell'eventualità in cui l'apporto delle figure professionali attualmente impiegate venisse meno, si rischierebbe un blocco non solo della sorveglianza e del controllo sugli scarichi in laguna, mettendo a repentaglio in modo grave la tutela della salute pubblica e dell'ecosistema, ma anche l'arresto dell’iter amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni allo scarico, con il conseguente rischio di paralisi per le attività produttive nell'ambito del territorio lagunare;
   con lettera del 4 dicembre 2015, il provveditorato comunicava al Consorzio Venezia Nuova la non necessità di procedere al rinnovo della concessione per l'anno 2017 in relazione al previsto passaggio di competenze alla città metropolitana;
   conseguentemente, il Consorzio Venezia Nuova, «in sedi diverse e reiteratamente», ha reso noto a Thetis spa «l'irrevocabile intento di non rinnovare per l'anno 2017 il contratto di fornitura di servizi, di monitoraggio ambientale e campionamento della laguna di Venezia»;
   il 30 giugno 2016, a seguito dell'eccedenza di personale determinata dalle suddette decisioni, la Thetis spa ha comunicato l'avvio di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale, ai sensi della legge n. 223 del 23 luglio 1991, e successive modifiche e integrazioni, riguardante i 22 lavoratori in forza presso le sedi operative di Venezia e Padova: si tratta precisamente del personale dedicato a svolgere le attività istituzionali dell'Ufficio Antinquinamento presso le strutture del provveditorato;
   la riforma contenuta nel decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, come convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, all'articolo 18, comma 3, si inserisce in un quadro giuridico e organizzativo che, a parere dell'interrogante, ne rende l'attuazione quanto meno problematica: da un lato, tutta la disciplina circa la specialità di Venezia si impernia sul principio dell'esclusiva competenza dello Stato sulla generalità delle materie che la interessano, e ha storicamente visto proprio nel magistrato alle acque il riferimento più importante per l'articolazione della specialità stessa; altrettanto incentrata su un piano di coordinamento tra funzioni, di carattere prettamente statale, si può definire l'impostazione da cui, nel 1907, nacque la figura istituzionale del magistrato alle acque nella sua forma moderna, impostazione poi rafforzatasi con la previsione di cui agli articoli 9 e 32 della Costituzione e, più di recente, confermata dal rinnovato articolo 117; d'altro canto, come già argomentato altrove, la riorganizzazione richiesta dallo scorporo di funzioni e risorse, umane e strumentali, tra provveditorato e città metropolitana, rischia quasi certamente di determinare una fase di incertezza che, specie in pendenza del completamento e collaudo finale dell'opera MOSE, potrebbe minare gravemente l'efficacia operativa di entrambe le amministrazioni nelle attività finora svolte dal provveditorato e dall'ex magistrato alle acque;
   il citato decreto-legge n. 90 del 2014, sempre all'articolo 18, comma 3, dispone tra l'altro: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 marzo 2015 su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono individuate le funzioni già esercitate dal citato magistrato delle acque da trasferire alla città metropolitana di Venezia, in materia di salvaguardia e di risanamento della città di Venezia e dell'ambiente lagunare, di polizia lagunare e di organizzazione della vigilanza lagunare, nonché di tutela dall'inquinamento delle acque. Con il medesimo decreto individuate, altresì, le risorse umane, finanziarie e strumentali da assegnare alla stessa città metropolitana in relazione alle funzioni trasferite»;
   appare all'interrogante estremamente verosimile che le determinazioni assunte dal provveditorato e conseguentemente trasmesse a Thetis spa dal Consorzio Venezia Nuova siano state assunte nell'ambito di una pianificazione ispirata dalla consapevolezza del trasferimento di funzioni previsto dal citato decreto-legge n. 90 del 2014, e dall'aspettativa che il quadro regolatorio sulla base del quale la città metropolitana avrebbe potuto organizzare le risorse umane e strumentali per adempiere a tali funzioni, che si sarebbe dovuto adottare entro il 31 marzo 2015, sarebbe stato a essa noto perlomeno nei primi mesi del 2016, consentendole di attuare le azioni necessarie con un margine di anticipo congruo;
   tuttavia, il termine sopra indicato è trascorso da quasi 16 mesi senza che il decreto del Presidente del Consiglio in parola sia stato a tutt'oggi adottato. Articoli della stampa locale (Il Gazzettino – Venezia Mestre, 16 giugno 2016, p. 8) riportano indiscrezioni secondo cui un primo schema di decreto, circolato tra le parti, avrebbe evidenziato una lacuna nella parte relativa alla dotazione dei fondi con cui fare fronte ai compiti trasferiti, imponendo quindi una revisione che ha richiesto ulteriore tempo. Risulterebbe altresì che il provveditorato abbia fornito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un elenco dettagliato dei capitoli di spesa che dovranno andare in carico alla città metropolitana, con indicazione delle corrispondenti competenze, le quali comprenderanno, oltre alle funzioni già storicamente svolte, anche quelle relative al completamento e alla (già necessaria) manutenzione del MOSE. Risulterebbe infine, secondo l'articolo citato, che nella attuale bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui è prevista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale nei tempi più celeri, si indichi che, per svolgere tutta la mole di lavoro prevista, «si dovrà assorbire in toto il personale che di questi argomenti si occupa da anni, anche se non direttamente dipendente del Provveditorato» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e come si giustifichi il grave ritardo nell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 18 del decreto-legge n. 90 del 2014 che, a giudizio dell'interrogante, è alla base di una rischiosa situazione di incertezza circa il reperimento e l'inquadramento delle risorse umane indispensabili per svolgere le delicate funzioni per le quali è stato finora determinante l'apporto delle ventidue unità applicate da Thetis spa nell'ambito del contratto di fornitura di servizi, di monitoraggio ambientale e campionamento della laguna di Venezia affidatole dal Consorzio Venezia Nuova, nonché, parallelamente, dell'allarmante prospettiva occupazionale delle ventidue persone interessate dal provvedimento di licenziamento collettivo di Thetis spa; quali iniziative il Governo intenda sollecitamente intraprendere per superare positivamente tali incertezze;
   se il Governo, nella redazione dell'adottando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, abbia predisposto meccanismi e risorse che assicurino, in forma strutturale e permanente, la continuità delle cruciali attività finora svolte in collaborazione tra Thetis spa e l'ufficio antinquinamento presso le strutture del provveditorato, che incidono profondamente sulla tutela ambientale e quindi sulla salute del bacino coinvolto e che in alcuni casi, come per il rilascio di autorizzazioni e concessioni alle derivazioni di acqua lagunare e agli scarichi industriali, sono determinanti per il corretto prosieguo delle attività civili e produttive di quel territorio. (5-09324)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 4 dell'articolo 1 della legge n. 203 del 2012 recante «Disposizioni per la ricerca delle persone scomparse» prevede che «Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, l'ufficio di polizia che ha ricevuto la denuncia promuove l'immediato avvio delle ricerche e ne dà contestuale comunicazione al Prefetto per il tempestivo e diretto coinvolgimento del Commissario Straordinario per le persone scomparse nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge 22 agosto 1988, n. 400 e per le iniziative di competenza, da intraprendere anche con il concorso degli enti locali, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del sistema di protezione civile, delle associazioni del volontariato sociale e di altri enti, anche privati, attivi nel territorio»;
   la predetta norma ha previsto altresì l'adozione da parte delle singole prefetture e dei commissariati del Governo delle province autonome di Trento e Bolzano di un proprio piano provinciale per la disciplina delle attività di ricerca delle persone scomparse all'interno del territorio di propria competenza;
   la legge n. 203 del 2012 disciplina esclusivamente la ricerca delle persone scomparse che non va confusa con la ricerca delle persone disperse in quanto la prima è attinente alle attività svolte in seguito al mancato rientro ovvero all'allontanamento di chiunque alla o dalla propria dimora mentre la seconda riguarda specifiche attività di protezione civile poste in essere a seguito di eventi calamitosi (terremoti, alluvioni e altro) e specificamente prevista dalla legge n. 225 del 1992;
   con nota n. 1126 d.d. del 5 ottobre 2010, il Commissario straordinario per le persone scomparse, nel fornire le linee guida alle singole prefetture ed ai commissariati del Governo per le province autonome di Trento e Bolzano per l'elaborazione dei rispettivi piani provinciali, coglieva l'occasione per ribadire quanto espresso dal Consiglio di Stato con il parere del 26 giugno 2002 con il quale «si pronunciò escludendo l'intenzione del legislatore di conferire al Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico il potere di coordinamento delle strutture nazionali componenti del Servizio di protezione civile» ed invitava gli stessi a precisare tale aspetto nella predisposizione del documento di pianificazione territoriale;
   con circolare n. 155 d.d. del 14 gennaio 2013, il Commissario straordinario per le persone scomparse, nel sollecitare l'adozione del piano provinciale da parte delle prefetture che a quella data non vi avevano ancora provveduto sottolineava «come in tutti i casi di scomparsa verificatisi, l'attivazione dei piani provinciali da parte delle Prefetture che li hanno approntati (...) ha evidenziato come il puntuale coordinamento delle forze dell'ordine e degli altri soggetti istituzionali, come pure il concorso del volontariato, espressione della società civile, abbia permesso il ritrovamento dello scomparso in tempi rapidi. È utile sottolineare come le disposizioni contenute nella recente normativa, nel sancire la tempestività dell'azione del prefetto sia nella fase di comunicazione all'Ufficio del Commissario Straordinario sia in quella operativa di attivazione del piano provinciale abbiano rimarcato la centralità del ruolo del Prefetto stesso nella essenziale funzione di raccordo di tutte le forze in campo a livello provinciale, responsabilità, peraltro, collaudate da tempo anche in altri delicati settori»;
   con successiva circolare n. 831 del 19 febbraio 2013, il Commissario straordinario per le persone scomparse ribadiva «la centralità del ruolo del Prefetto e delle Forze dell'ordine» raccomandando la sensibilizzazione «nei modi e nelle sedi ritenute opportune degli uffici di polizia affinché le denunce di scomparsa acquisite vengano contestualmente comunicate ed inviate al Prefetto per il tempestivo e diretto inoltro delle stesse al Commissario del Governo». Con la medesima circolare, veniva altresì precisato che l'attività di ricerca delle persone scomparse «non può essere confusa, inoltre, con gli interventi ricadenti nell'ambito della protezione civile, legati a scenari del tutto diversi. Resta ferma la possibilità, nel caso di scomparsa, di avvalersi del concorso di tutte le componenti, istituzionali e non, ad essa afferenti»;
   con la direttiva del 9 novembre 2012, la Presidenza del Consiglio dei ministri evidenziava che «La ricerca di persone disperse in contesti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, così come modificata dal decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59 convertito, con modificazioni dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, rientra direttamente tra le attività di Protezione civile. Tutte le attività connesse alla ricerca di persone disperse al di fuori dei contesti sopraindicati, al contrario, non rientrano direttamente tra le attività di Protezione civile previste e disciplinate dalla legge n. 225 del 1992»;
   la legge provinciale n. 9 del 1o luglio 2011, recante «Disciplina della attività di protezione civile in provincia di Trento», non fa alcun riferimento ad interventi collegati ad attività di ricerca delle persone scomparse;
   in data 4 febbraio 2014, il Commissario del Governo per la provincia  autonoma di Trento adottava il proprio piano provinciale per la ricerca delle persone scomparse il quale, all'articolo 4, individuava, tra i soggetti coinvolti ordinariamente nella gestione delle ricerche la Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza prevedendo che, «In considerazione delle particolari esigenze di volta in volta emergenti può essere richiesto il concorso nella gestione delle ricerche delle strutture della Protezione Civile della Provincia Autonoma di Trento». Contrariamente a quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 1 della legge n. 203 del 2012, il predetto piano, ha però, omesso di inserire, tra i soggetti che possono concorrere alle attività collegate alla ricerca delle persone scomparse, le associazioni espressione del volontariato sociale. La sola eccezione è rappresentata dall'associazione Penelope, alla quale però nel piano non sono stati assegnati compiti specifici;
   a seguito dell'adozione del predetto piano da parte del Commissario del Governo per la provincia autonoma di Trento, risulta che, almeno un'associazione di volontariato avente sede all'interno della stessa provincia, abbia formalmente richiesto, già a novembre 2014, di essere inserita tra i soggetti attivi nell'attività della ricerca delle persone scomparse e che la stessa, a tutt'oggi sia ancora in attesa di risposta;
   all'interno della provincia autonoma di Trento, nonostante l'avvenuta adozione del piano provinciale previsto dalla legge n. 203 del 2012, la gestione degli eventi riguardanti la ricerca delle persone scomparse, risulterebbe affidata, in toto, alla struttura provinciale della protezione civile e, nello specifico, al Corpo provinciale dei vigili del fuoco permanenti e/o volontari, al Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico ed alla scuola provinciale cani da ricerca e catastrofe;
   nonostante il predetto piano provinciale individui, quali soggetti ordinariamente coinvolti nella gestione delle ricerche, la polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, si verificherebbe, ripetutamente, che tali organi siano del tutto estromessi da tali attività, nonostante, all'interno del territorio provinciale, esistano sia strutture della Guardia di Finanza (S.A.G.F. di Tione di Trento e di Passo Rolle) che della polizia di Stato (Centro addestramento alpino di Moena) dotate di personale altamente specializzato (tecnici di soccorso e conduttori cinofili), con notevole esperienza nell'ambito delle attività di soccorso;
   sull'anomala situazione creatasi all'interno della provincia autonoma di Trento, l'assessore provinciale con delega della protezione civile, in risposta a due interrogazioni provinciali (n. 1252/2015 del 29 gennaio 2015 e n. 1676/2015 del 9 giugno 2015), ha affermato: «Allo stato attuale (...) non si è ancora valutata la possibilità di stipulare atti convenzionali volti a disciplinare forme di collaborazione continuativa tra S.A.G.F. e la Provincia, in quanto l'apparato provinciale ha dimostrato di saper operare in maniera efficace ed efficiente, senza che sia necessario rendere stabile l'intervento nella gestione di soggetti terzi. In merito alla eventuale collaborazione con le forze citate (Finanza e Polizia di Stato) andrebbe peraltro, considerato che i costi di gestione devono comunque essere coperti. Per ciò che riguarda le operazioni di ricerca persone tramite elisoccorso, si ritiene che le risorse disponibili all'interno del sistema di protezione civile trentino siano sufficienti a garantire la copertura di questo tipo di servizio e quindi non si ritiene necessario la stipula di specifici atti convenzionali con la Guardia di Finanza»;
   dalla lettura della risposta alle interrogazioni emergerebbe l'orientamento assunto dalla giunta provinciale di annoverare tra le competenze proprie della protezione civile anche quelle riguardanti la ricerca delle persone scomparse. Secondo l'esecutivo provinciale non sussiste la necessità di coinvolgere la Guardia di Finanza, neppure nelle ricerche effettuate tramite l'elisoccorso, affermando che per tale tipo di attività andrebbero sottoscritti atti convenzionali. A tal riguardo non si comprende quale dovrebbe essere il contenuto di tali atti convenzionali considerato che andrebbero sottoscritti con un soggetto statale, nell'ambito della ricerca delle persone scomparse, dovrebbe essere attivato direttamente dal Commissariato del Governo (unitamente all'Arma dei Carabinieri ed alla polizia di Stato) e non avrebbe pertanto bisogno di alcuna convenzione con la provincia autonoma di Trento;
   con riferimento, invece, al mancato coinvolgimento delle associazioni di volontariato, l'assessore competente si è limitato a ricordare l'esistenza di un elenco del volontariato in cui devono iscriversi le associazioni che desiderano contribuire con la provincia nello svolgimento dei compiti di protezione civile non considerando, anche in questo caso, che l'oggetto delle interrogazioni riguardava la ricerca delle persone scomparse e non eventi calamitosi e/o di emergenza;
   risulta all'interrogante che il commissario straordinario per le persone scomparse istituito presso il Ministero dell'interno sia stato informato di quanto sopra illustrato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti menzionati in premessa e se ritenga di rendere pubbliche le statistiche e le relazioni in ordine alle operazioni di ricerca di persone scomparse attivate formalmente tramite il piano provinciale di Trento, con particolare riferimento alle modalità con cui l'ufficio del commissario del Governo per la provincia autonoma apprenda la notizia di attivazione delle ricerche e alle modalità di coinvolgimento delle forze dell'ordine statali e delle associazioni di volontariato ai sensi del comma 4 dell'articolo 1 della legge n. 203 del 2012;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per assicurare l'ottemperanza della legge n. 203 del 2012 in ordine al coinvolgimento delle associazioni espressione del volontariato sociale e al coordinamento dell'informazione e delle operazioni di ricerca delle persone scomparse in capo all'ufficio del Commissario del Governo per la provincia autonoma di Trento. (4-13985)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, la società pubblica di proprietà della regione siciliana, Sviluppo Italia Sicilia, è stata posta in liquidazione dal Governo regionale ed il liquidatore sta, ormai, procedendo inesorabilmente con il suo incarico ed i dipendenti attendono solo la lettera di licenziamento collettivo;
   sviluppo Italia Sicilia e diventata società partecipata della regione Siciliana nel 2008, acquistata dallo Stato italiano per 12 milioni di euro;
   da quel momento, è diventata l'unica società in house providing che il socio regione doveva utilizzare come strumento per svolgere tutte quelle attività di assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, trasferendo ad essa tutte quelle commesse che fino a quel momento erano state affidate a società private a mezzo di un normale bando pubblico;
   le ragioni di questo acquisto pubblico stavano nel fatto che, così facendo, la regione avrebbe risparmiato qualche centinaia di milioni di euro all'anno. Peccato che questi previsti e prevedibili risparmi sono stati disattesi dall'attuale Governo regionale;
   prima del passaggio alla regione, Sviluppo Italia Sicilia era una partecipata della capogruppo Sviluppo Italia, ora Invitalia, società ancora oggi alle dirette dipendenze del Ministero dello sviluppo economico;
   le mansioni di Sviluppo Italia/Invitalia erano la gestione dei fondi destinati allo sviluppo e alla creazione d'impresa;
   anche dopo il passaggio alla regione siciliana, Sviluppo Italia Sicilia ha continuato ad occuparsi della gestione sul territorio regionale di tali agevolazioni, mediante la stipula di un contratto di servizio e di una convenzione che permettesse alla committente Invitalia di utilizzare lo strumento Sviluppo Italia Sicilia anche se non più propria partecipata;
   tutto ciò è avvenuto fino ad oggi, data in cui la società è stata messa in liquidazione;
   da quando Sviluppo Italia Sicilia è in liquidazione, Invitalia non ha più rinnovato il contratto su indicato e, di conseguenza, le attività sul territorio siciliano si sono quasi paralizzate;
   Invitalia non ha più referenti diretti in Sicilia e le attività di erogazione delle agevolazioni, principalmente quelle legate al decreto legislativo n. 185 del 2000, per cui l'interrogante ha presentato ben 8 atti di sindacato ispettivo, devono in qualche modo essere istruite e l'ente in questione deve, in qualche modo, approvvigionarsi di personale in Sicilia –:
   se risulta che dipendenti di sviluppo Italia Sicilia abbiano firmato un contratto di lavoro a tempo determinato per il supporto dell'assistenza tecnica in Sicilia per conto di Invitalia;
   se questa opportunità sia stata data a tutti i dipendenti di Sviluppo Italia Sicilia;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare il Governo per agevolare una soluzione delle problematiche esposte in premessa. (4-13986)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 3 luglio 2015, sono stati nominati consiglieri di amministrazione dell'Enit Antonio Nicola Preiti e Fabio Maria Lazzerini e, con successivo decreto ministeriale del 24 luglio 2015, Evelina Christillin è stata designata alla presidenza dell'Enit;
   secondo notizie assunte dall'interrogante, la nomina dei consiglieri di amministrazione non sarebbe stata ancora registrata alla Corte dei Conti;
   le deleghe assegnate a Giovanni Bastianelli (ex dirigente di Confcommercio e già direttore dell'agenzia regionale del turismo del Lazio), direttore esecutivo designato nelle scorse settimane, fanno di lui un vero e proprio direttore generale, con un compenso di 150 mila euro;
   il contratto di Bastianelli, come è accaduto, ad esempio, per la nomina del direttore dell'Agenzia del demanio – anch'esso ente pubblico economico al pari di Enit – non dovrebbe avere una durata superiore a tre anni. Invece, nel caso di Giovanni Bastianelli il rapporto di lavoro risulta a tempo indeterminato;
   il bando di selezione per il direttore esecutivo richiedeva, tra i requisiti, un'età non superiore a 50 anni, ma quella di Giovanni Bastianelli, di cui è impossibile trovare un curriculum vitae in rete, oltre che nel sito web di Enit, non corrisponderebbe a quanto richiesto;
   Antonio Preiti, consigliere di amministrazione dell'Enit, risulta tuttora essere socio di maggioranza di Sociometrica, una società che opera nello stesso ambito di azione di Enit, quello di «organizzazione, promozione e realizzazione di iniziative nel campo della promozione turistica»;
   un potenziale conflitto di interesse potrebbe essere ravvisato anche in capo a Fabio Lazzerini, consigliere con deleghe di peso nell'ente di promozione del turismo. Lazzerini, ad oggi, è ancora dipendente di Emirates con la qualifica di country manager per l'Italia. All'interrogante appare, dunque, lecito chiedersi come farà Lazzerini a gestire con il necessario equilibrio i rapporti e gli accordi con compagnie aeree concorrenti di Emirates;
   dalla sezione del sito web di Enit dedicata alla struttura organizzativa emerge che la responsabilità dell'ufficio stampa è in capo ad Anna Maria Pinna, ma la recente presentazione del piano triennale, con annessa attività di media relations, a quanto risulta all'interrogante sarebbe stata affidata alla società di pubbliche relazioni SECPR;
   non è mai emerso quale è l'appannaggio del nuovo direttore generale Giovanni Bastianelli, né quello del direttore dell'area finanziaria e della dirigente, fresca di nomina, del settore Innovazione;
   nel corso della conferenza stampa di presentazione del piano triennale è stato affermato che il numero di dirigenti Enit è passato da nove a quattro, facendo così intendere che sarebbe stato realizzato un risparmio per il bilancio dello Stato. La realtà è invece diversa: la riorganizzazione dovuta dalla trasformazione di Enit ha fatto aumentare a tredici il numero complessivo di dirigenti a carico del bilancio dello Stato, considerando che gli originari nove sono stati dirottati altrove e al loro posto ne sono stati assunti quattro. Senza considerare il fatto, poi, che i dirigenti fuoriusciti da Enit e trasferiti ad altri enti sono, e rimarranno, una voce di costo nei bilancio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   le figure dirigenziali recentemente nominate dal consiglio di amministrazione non sono previste nello schema di riorganizzazione di cui alla deliberazione dei commissario Enit n. 19 del 2015 e varato in attuazione della legge n. 106 del 2014 che ha trasformato Enit in ente pubblico economico –:
   se risulti vero che la nomina dei consiglieri di amministrazione non è stata ancora registrata dalla Corte dei conti e, in caso affermativo, di quali elementi disponga circa i motivi che hanno, finora, impedito la registrazione degli atti di nomina;
   quale sia la ratio, ma soprattutto l'ancoraggio giuridico-normativo, in base al quale si è deciso di fare un contratto a tempo indeterminato al direttore esecutivo;
   come sia stato giudicato dalla commissione esaminatrice il requisito dell'età anagrafica relativamente all'incarico conferito a Bastianelli;
   per quale motivo i curricula dei nuovi dirigenti non siano caricati nella sezione «amministrazione trasparente» del sito web Enit;
   da chi siano state operate le valutazioni di imparzialità e insussistenza delle cause di incompatibilità al momento delle nomine dei componenti del consiglio di amministrazione Fabio Maria Lazzarini e Antonio Nicola Preiti e per quali motivi Lazzerini continui a mantenere il doppio ruolo;
   con quali modalità sia avvenuta la selezione della società SECPR e quale sia stato l'esborso per l'organizzazione dell'evento;
   quale sia l'entità degli stipendi del direttore esecutivo, del direttore di area finanziaria e della dirigente del settore innovazione di Enit;
   se il Ministero abbia previsto una nuova organizzazione dell'Enit che modifica quella delineata dal commissario straordinario e, in caso affermativo, perché il nuovo modello organizzativo non sia presente nel sito web di Enit. Qualora il Ministero non abbia approvato un nuovo schema organizzativo, sulla base di quali presupposti siano state effettuate le nomine relative a figure dirigenziali non previste dalla delibera del commissario dell'Enit n. 19 del 2015;
   quale sia stato il numero dei candidati alla carica di direttore per l'innovazione di Enit. (3-02441)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, PIRAS, SCOTTO, PALAZZOTTO, FAVA, RICCIATTI e SANNICANDRO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la «Kosovo Force» (KFOR) è una forza militare internazionale a guida NATO, con l'obiettivo di ristabilire l'ordine e la pace in Kosovo. La missione ha avuto inizio il 12 giugno 1999, con la diretta partecipazione, italiana che proprio in quel giorno entrava nella città di «Pejë». Dal settembre del 1999 e fino alla costituzione del NATO HEADQUARTERS TIRANA (NHQT nel giugno 2002) alla KFOR veniva affidata anche la responsabilità dell'operazione NATO in Albania denominata Communication Zone West (COMMZ-W) a guida italiana. Alla fine del 2004, in coincidenza col termine dell'operazione « Joint Forge» in Bosnia Erzegovina con il passaggio delle responsabilità delle operazioni militari dalle forze della NATO (SFOR) a quelle della Unione europea (EUFOR), le autorità NATO decisero di raggruppare tutte le operazioni condotte dalla NATO nell'area balcanica in un unico contesto operativo (definito dalla Joint Operation Area), dando origine il 5 aprile 2005 all'Operazione « Joint Enterprise» che comprendeva le attività di KFOR, l'interazione NATO-Ue, e i NATO HQ di Skopje, Tirana e Sarajevo;
   nel maggio 2006 veniva avviata la ristrutturazione delle forze dislocate sul territorio kosovaro, che ha visto la trasformazione delle forze militari internazionali in Kosovo da 4 Multinational Brigades a 5 Multinational Task Forces. Dal 10 gennaio 2010, pur rimanendo inalterati missione e compiti, il livello ordinativo delle Multinational Task Forces è stato ridotto a Multinational Battle Groups (MNBGs) su base reggimento. Nonostante la graduale cessione di responsabilità e la graduale riduzione delle forze in teatro, all'Operazione « Joint Enterprise» in Kosovo attualmente partecipano ancora 31 Paesi, di cui 23 appartenenti alla NATO, con un impegno complessivo di forze che oggi ammonta a circa 5000 unità;
   ad oggi il nostro Paese garantisce l'impegno di 580 uomini, oltre ad avere la « leadership» della missione stessa, affidata al Generale di Divisione Guglielmo Luigi Miglietta;
   a quanto si apprende da organi di stampa – fra cui una inchiesta de L'Espresso uscita il 27 luglio 2016, che richiama fonti di intelligence citate dall'agenzia russa Sputnik – in Kosovo sarebbero presenti almeno 5 campi di addestramento dell'ISIS, in cui aspiranti jihadisti, oltre allo studio di arabo e Corano, apprenderebbero l'uso delle armi e di tecniche di guerriglia sotto la supervisione di ex paramilitari dell'UCK (Ushtria Çlirimtare e Kosovë);
   sempre per quanto si apprende, le basi di addestramento dell'ISIS sarebbero a Ferizaj, Gjakovica, Decani (le più grandi), oltre che a Prizren e Pejë;
   la gravità di queste presunte basi di addestramento risiede anche e soprattutto nella dislocazione geografica e nella relativa presenza militare della Nato. Ferizaj – capoluogo di distretto con 100 mila abitanti e non lontano dal confine con la Macedonia – è limitrofa a «Camp Bondsteel», realizzato nel 1999 con un perimetro di 14 chilometri ed attualmente la più grande base americana costruita dalla guerra in Vietnam, che conta 7 mila persone fra soldati ed impiegati civili. Gjakovica – città non lontana dal confine albanese – è la sede del distaccamento «Amiko» (Aeronautica militare italiana in Kosovo). A Pejë invece risiede «Villaggio Italia», a Decani la Nato controlla insieme all'ONU il monastero ortodosso serbo e a Prizren la presenza della Alleanza atlantica è parimenti, massiccia;
   la penetrazione del radicalismo islamico in Kosovo, a giudizio degli interroganti, rappresenta un problema da tempo sottovalutato. In base ai dati forniti nelle settimane scorse dal Ministro dell'interno Skender Hyseni, infatti, almeno 57 foreign fighters sarebbero morti in combattimento, oltre 40 sarebbero stati fermati prima di partire e 102 persone sarebbero state arrestate con il sospetto di attività terroristica. Nelle scorse settimane, a Pristina, 5 persone sono state condannate per aver giurato fedeltà all'ISIS, mentre preparavano dei video di propaganda per dimostrare la presenza del Daesh nel Paese, Paese che – è bene ricordarlo – si trova a poche centinaia di chilometri in linea d'aria dalla Puglia e che vede la massiccia e costante presenza di forze militari atlantiche (che avrebbero dovuto garantire la completa pacificazione dell'area) da quasi 20 anni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intendano assumere iniziative per avviare – di concerto con gli altri Stati membro della NATO – una indagine volta ad appurare l'effettiva presenza di basi addestrative dell'ISIS in Kosovo e se non intendano fornire elementi circa le possibili soluzioni alla luce delle problematiche descritte in premessa. (5-09319)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di riforma bancaria del 1936, gli istituti di credito italiani (allora pubblici) detenevano circa il 95 per cento del capitale di Banca d'Italia. Solo il 5 per cento era proprietà di enti pubblici come Inps e Inail. Il capitale nominale della Banca d'Italia era fissato a 156 mila euro (che furono versati nel 1936 dagli istituti di credito) suddiviso in 300 mila quote del valore di 0,52 euro ciascuna. Le banche, tuttavia, avevano iscritto nei loro bilanci valori molto superiori oltre che molto difformi tra di loro;
   con il decreto legge 30 novembre 2013 n. 133 (convertito dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5), il capitale di Banca d'Italia venne rivalutato, passando da 156 mila euro a 7,5 miliardi di euro, non a carico dei soci azionisti (come accadrebbe in ogni aumento di capitale privato), ma a carico delle riserve dell'istituto di via Nazionale. Le banche, quindi, quali maggiori azionisti, hanno visto così realizzare notevoli plusvalenze sulle loro quote. Contemporaneamente, con la legge n. 5 del 2014 venne posta nel limite del 3 per cento la partecipazione massima in Banca d'Italia, obbligando i detentori di quote eccedenti il 3 per cento a vendere;
   al contempo, la rivalutazione ha giovato anche il Ministero dell'economia e delle finanze, per le entrate dalla tassazione delle plusvalenze, che permisero all'epoca l'abolizione della seconda rata dell'IMU. Non a caso nel 2013 l'economista Tito Boeri, all'epoca redattore de «La Voce», in un suo articolo dal titolo «Banca d'Italia e il mistero delle quote» definì tale operazione una «associazione a delinquere»;
   ad acquistare dalle banche le quote rivalutate sono state le casse di previdenza, che hanno così permesso loro di realizzare le plusvalenze. A titolo d'esempio, basti pensare a Intesa San Paolo che nel 2013 aveva posto a bilancio l'intera quota in portafoglio (il 42,5 per cento) a 642 milioni di euro e nel novembre del 2015 ha ricavato 430 milioni di euro, vendendo meno del 6 per cento;
   se le casse non avessero comprato le quote rivalutate, molto probabilmente sarebbe toccato alla stessa Banca d'Italia ricomprare le quote, come inizialmente pensato dal Governo che, infatti, aveva dato facoltà alla stessa Banca d'Italia di ricomprarle e tenerle temporaneamente fino all'arrivo di nuovi e adeguati compratori;
   il consiglio di amministrazione di cassa forense, con delibera n. 1028 dell'8 ottobre 2015, ha disposto la sottoscrizione delle quote di Banca d'Italia per un controvalore di 225 milioni di euro. L'acquisto è stato effettuato con le seguenti controparti, venutesi a trovare nella necessità di ridurre la loro partecipazione in Banca d'Italia, con il seguente numero di quote:
    Allianz Spa: n. 2.880 quote di partecipazione al valore complessivo di euro 72.000.000,00;
    Intesa San Paolo Spa: n. 3.663 quote di partecipazione al valore complessivo di euro 91.575.000,00;
    Unicredit Spa: n. 1.909 quote di partecipazione al valore complessivo di euro 47.725.000,00;
    Assicurazioni Generali Spa: n. 548 quote di partecipazione al valore complessivo di euro 13.700.000,00;
   per logica, si potrebbe pensare che però l'investimento frutterà almeno dei dividendi, magari più alti che in passato, data la rivalutazione subita dalle quote. Sennonché, come riportato nel bilancio consuntivo di cassa forense del 2015, la distribuzione dei dividendi è subordinata «alla capienza dell'utile netto e alle esigenze di patrimonializzazione e qualora le condizioni generali dei mercati finanziari o la redditività della Banca non subiscano evoluzioni pronunciate»;
   come se tutto ciò non bastasse, è notizia recente che l'Adepp (l'Associazione che riunisce gli enti previdenziali privati e privatizzati) ha deliberato, in data 25 luglio 2016, la partecipazione, per circa 500 milioni di euro, al Fondo d'investimento Atlante 2, il nuovo fondo di Quaestio Capital Management SGR S.p.A. che, con una dotazione di 3-4 miliardi di euro, sarà dedicato esclusivamente all'acquisto e alla gestione dei «Non Performing Loans» (Prestiti non performanti) delle banche italiane;
   la decisione finale di partecipare al Fondo Atlante 2 è rimessa però ai consigli di amministrazione delle casse associate dato che l'investimento non è ovviamente esente da rischi. Infatti, se l'operazione dovesse fallire, la cattiva situazione finanziaria delle banche aiutate si trasferirebbe al fondo e ai soggetti che ci hanno investito, cioè le casse stesse (avverrebbe così il «contagio», come lo hanno drammaticamente definito diversi esperti);
   la posta in gioco quindi è altissima e le casse stesse, in cambio della partecipazione alla nuova operazione di salvataggio delle banche italiane, sarebbero decise, a quanto consta agli interroganti, a chiedere al Governo una contropartita squisitamente politica: l'obiettivo dei vertici delle casse favorevoli a questa operazione altamente speculativa, è per gli interroganti quello di svincolare le casse da ogni controllo delle autorità pubbliche (Corte dei conti, Covip e ministeri vigilanti), attraverso il pieno e totale riconoscimento della loro natura privata e l'affossamento del regolamento sugli investimenti delle case previdenziali (previsto dal decreto legge n. 98 del 2011), in fase di approvazione dopo una lunga gestazione;
   tutto ciò è stato chiaramente detto dal presidente dell'Adepp, Alberto Oliveti, in molte dichiarazioni, tra le quali si cita una intervista recentissima al Sole24Ore dell'11 luglio 2016, «Atlante 2, le nostre condizioni per partecipare», nella quale Oliveti ha ammesso che tra le condizioni per partecipare al Fondo Atlante c’è il riconoscimento della piena autonomia e libertà da controlli delle Casse e l'affossamento del suddetto regolamento: «La finalità è pubblica ma la natura è privata. Siamo noi a decidere le strategie in autonomia: lo hanno stabilito i legislatori 20 anni fa, però alcune norme successive hanno esteso alle Casse dei vincoli pubblicistici discorsivi mettendo in discussione questo principio della natura privata. Noi vorremmo che fosse ribadito una volta per tutte... Da 5 anni è in gestazione il regolamento degli investimenti delle Casse. Noi vorremmo che non fosse un provvedimento con troppe rigidità. Per tale motivo vorremmo che quei contenuti finissero in un codice di autoregolamentazione della Casse. Un documento ovviamente condiviso con i ministeri vigilanti»;
   il terzo obiettivo dichiarato dalle casse, la riduzione delle tasse sui rendimenti degli investimenti, a detta degli interroganti, che sostengono la posizione dell'associazione forense MGA – Mobilitazione generale degli avvocati, appare del tutto secondario e «sbandierato» solo per convincere gli iscritti: perché è ovvio che non è sufficiente barattare la riduzione di uno o due punti percentuali di prelievo sui ricavi, con il rischio di investire il patrimonio in una operazione molto pericolosa. Se ciò accadesse significherebbe cedere a condizioni che risulterebbero vantaggiose solo per il Governo, che è disposto ad abbassare le tasse soltanto in cambio del patrimonio. Il guadagno per le casse non ci sarebbe, dato che, invece di pagare poco alla volta sotto forma di tasse, darebbero tutto e subito. Tutto ciò comporterebbe, oltre al rischio rappresentato dalla perdita patrimoniale, dovuto alla partecipazione ad un fondo che nasce «per comprare le sofferenze delle banche italiane a un prezzo fino al 32 per cento del valore originario», come saggiamente affermato nell'articolo del Sole24Ore del 28 luglio 2016 «Atlante 2, ecco lo schema per gli Npl», anche al reale obiettivo dei vertici di alcune casse, secondo gli interroganti, di ottenere una completa autonomia svincolata da controlli pubblici;
   tale autonomia sottrarrebbe ovviamente il potere di controllo agli stessi iscritti che, purtroppo, sono impossibilitati a esaminare l'operato dei consigli di amministrazioni delle casse, infatti, a tale proposito si ricorda che, nonostante gli intenti di trasparenza propagandati dalle casse aderenti all'Adepp, esiste a tutt'oggi una scarsissima trasparenza in merito alle più importanti delibere dei consigli di amministrazioni delle casse;
   anche per tutti questi motivi l'associazione forense MGA censura l'atteggiamento di cassa forense, e dice «no» alla partecipazione al fondo Atlante 2 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa, quali orientamenti abbia al riguardo e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare rischi e danni agli iscritti alla cassa forense e prestare ascolto alle ragioni dell'Associazione forense MGA. (4-13982)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il controllo della vegetazione in ferrovia rappresenta un'attività strategica che si esegue in tutti i Paesi del mondo per la garanzia della sicurezza e dell'esercizio ferroviario: in particolare, diventa sempre più importante, in quanto serve ad assicurare una vita più lunga alle infrastrutture, alle opere civili e agli apparati tecnologici sempre più sofisticati e costosi. Un efficace controllo della vegetazione consente una diminuzione del rischio di incendi e di interruzione della linea per caduta di piante, oltre che un migliore mantenimento in efficienza di impianti, canalizzazioni e visibilità della segnaletica;
   gli incendi stanno mettendo in ginocchio la viabilità e i collegamenti delle province di Roma e di Latina. In particolare: il 13 giugno 2016, a causa di un incendio nei pressi dei binari, il traffico ferroviario sulla linea Roma-Formia era stato sospeso fra Pomezia e Torricola. In particolare, il rogo aveva interessato una casa cantoniera sull'Ardeatina e i disagi per i pendolari hanno interessato anche i treni in viaggio sulla linea FL8, Roma-Nettuno;
   il 18 luglio 2016 migliaia e migliaia di automobilisti, turisti e pendolari, sono rimasti intrappolati sulla Pontina sia in direzione nord che sud per oltre sette ore a causa di un violentissimo incendio divampato a sud di Roma, tra i comuni di Pomezia e Ardea. Le fiamme si sono sviluppate anche all'altezza di Latina, in via Faggiana, a poca distanza dalla struttura sanitaria Icot e poi a Borgo Piave. Per fronteggiare l'incendio più grave i vigili del fuoco hanno impegnato sei squadre e due elicotteri;
   a causa di questo incendio, la superstrada 148 Pontina è stata chiusa per ampi tratti per due giorni durante i quali la protezione civile e vigili del fuoco hanno lavorato all'abbattimento dei pini rimasti gravemente danneggiati durante gli incendi e giovedì 21 luglio, una volta riaperta, era percorribile una sola corsia, a causa di un ennesimo incidente. Inoltre, nello stesso giorno, si sono sviluppati diversi incendi a pochi metri dai binari ferroviari delle tratte Roma-Formia e Roma-Nettuno e di conseguenza la circolazione dei treni in quelle zone è stata bloccata;
   il 22 luglio 2016 nuovi incendi di sterpaglie hanno interessato i margini della carreggiata, stavolta a poche ore di distanza dalla riapertura totale della principale arteria che mette in collegamento Roma con la provincia di Latina fino a Terracina — nel territorio di Aprilia, più a sud del tratto Pomezia-Pratica di Mare devastato dai roghi dei giorni scorsi. Alle 15 e 40 l'azienda stradale Astral Infomobilità dava per «risolta» l'ultima emergenza sul fronte del fuoco con la conseguente riapertura dell'arteria in entrambe le direzioni, mentre, nel comune di Ardea, si registrava una coda di veicoli di sei chilometri;
   nonostante i fatti fossero conclamati da ore non vi è stata alcuna risposta tempestiva da parte di tutti i soggetti e autorità competenti: la disponibilità degli aggiornamenti sulla viabilità della Pontina e sulla circolazione dei treni, non sono state adeguate tanto che molti automobilisti hanno continuato ad imboccare questa arteria e congestionato anche diverse strade del quartiere Eur, prossimo alla via Pontina e molti viaggiatori sono rimasti bloccati alle stazioni ferroviarie (Termini, Latina, Pomezia, Torricola, e altro), senza che venissero organizzate navette o servizi sostitutivi che consentissero di raggiungere le località di destinazione;
   i roghi che spesso si sviluppano intorno alla via Pontina non sono un evento raro e rappresentano un pericolo costante per la circolazione, dato che il fumo impedisce la visibilità;
   la Pontina resta una via estremamente pericolosa e necessita di continui interventi per la messa in sicurezza, oltre che per l'ordinaria manutenzione, per la manutenzione stagionale straordinaria;
   sono decenni che si denunciano gli stessi problemi eppure sono «spariti» i fondi stanziati dal Cipe nel 2001 per la messa in sicurezza di Pontina e Appia, così come, per la Corte dei conti «spariti» quelli del progetto dell'autostrada Roma Latina –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, ritengano di dover adottare urgentemente per il controllo della vegetazione ferroviaria al fine di diminuire il rischio di incidenti e consentire minori oneri di manutenzione;
   quali siano i motivi della mancata attivazione delle procedure di emergenza che avrebbero evitato la congestione stradale e ferroviaria e soprattutto i gravi disagi per i pendolari e turisti;
   quali siano i motivi del ritardo dell'inizio dei lavori di manutenzione ordinaria sulla via Pontina previsti per il 1o giugno 2016;
   quali iniziative di competenza ritengano urgentemente di mettere in campo per garantire la viabilità delle province di Roma e assicurare il diritto alla mobilità dei pendolari e dei turisti sia su gomma che su binario;
   se il Governo intenda chiarire quanti fondi siano stati già stanziati per il progetto dell'autostrada Roma-Latina, denominata «Nuova Pontina», e se prima di avviare i lavori di questa nuova infrastruttura così onerosa non ritenga sia necessario mettere in sicurezza la Pontina;
   se ritengano di assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi a sostegno del trasporto pubblico locale e ferroviario nella regione Lazio. (4-13983)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in considerazione delle dichiarazioni e dei comportamenti avuti da Paola Muraro, assessore all'ambiente del comune di Roma, si sono evidenziati numerosi dubbi sulla opportunità della scelta;
   Paola Muraro, risulta essere stata una ex consulente dell'azienda municipalizzata Ama, per 12 anni, dal 2004 al 2016, con compensi annui di 115 mila euro, nel periodo in cui la società Colari rappresentava il primo partner commerciale dell'azienda municipalizzata;
   nei giorni scorsi si è avuta notizia di un incontro «segreto» da parte di referenti dell'amministrazione capitolino, parlamentari del MoVimento 5 Stelle, con la società privata Colari, che opera nella gestione dei rifiuti, società che fa riferimento a Manlio Cerroni;
   durante la campagna elettorale e anche nei mesi precedenti   l'attuale sindaco Raggi e gli esponenti del MoVimento 5 Stelle hanno sempre criticato aspramente il ruolo di Cerroni in riferimento alla gestione dei rifiuti nella Capitale;
   in data 10 gennaio 2014, esponenti Movimento 5 Stelle hanno addirittura qualificato Cerroni come «avvelenatore» del territorio laziale;
   in data 25 luglio 2016, l'assessore Muraro, in un blitz che ha avuto ampio risalto mediatico per le modalità con cui è avvenuto, con telecamere al seguito, si è recata presso la sede Ama, invitando con decisione, in nome dell'emergenza, il presidente e amministratore delegato dottor Fortini a servirsi dell'impianto della società Colari di Rocca Cencia che, secondo lo stesso Fortini, non era stato possibile utilizzare in assenza di una procedura di gara;
   anche in considerazione del singolare e repentino cambio di atteggiamento avuto da parte del MoVimento 5 Stelle a parere dell'interrogante diventa quanto mai opportuno chiarire in tempi rapidi se non sussistano eventuali conflitti di interessi, con riferimento all'assessore appena citato e all'azienda Colari;
   negli ultimi giorni i media, anche in riferimento alle gravi criticità presenti nella città di Roma in merito alla questione dei rifiuti, hanno riportato notizie circa l'attenzione della magistratura sulla gestione del ciclo dei rifiuti nella Capitale, nonché sulla presenza di un possibile conflitto di interessi proprio in capo all'assessore Muraro –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla situazione dello smaltimento dei rifiuti nella Capitale, anche in relazione ai poteri di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225, e se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 142 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (3-02442)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOGGIA, MOGNATO, MURER, MORETTO e MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la consigliera Monica Bars, esponente della Lega, capogruppo della «Lista per Musile candidato sindaco Silvia Susanna» in consiglio comunale di Musile di Piave, nei giorni scorsi si è resa responsabile attraverso i social di un commento a dir poco inquietante in riferimento ad un post che riguardava la Presidente della Camera, On. Laura Boldrini;
   sulla bacheca di un certo Luca Marin in risposta ad un post dello stesso di critica verso la Presidente della Camera la capogruppo della Lega scriveva testualmente: «va eliminata fisicamente»;
   è evidente che si tratta di una frase che va al di là di ogni plausibile forma di libertà di espressione rendendosi responsabile di una vera e propria istigazione alla violenza;
   la rilevanza assunta dai social network, anche nell'ambito del dibattito pubblico e politico, non può far sì che si configuri come una zona franca rispetto all'uso di certa terminologia –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio e quali misure di competenza intenda adottare, anche per il tramite della Polizia postale, per monitorare e, possibilmente, prevenire il diffondersi di messaggi di odio in rete, che risultano andare ben oltre l'esercizio della libertà di critica e di espressione. (5-09328)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 10 luglio 2015 approvava la graduatoria di merito del concorso interno, per titoli di servizio, a 7563 posti nella qualifica di vice sovrintendente della polizia di Stato, nonché dei decreti di rettifica della graduatoria, del bando e di tutti gli atti connessi, compreso il verbale della commissione esaminatrice in data 4 febbraio 2014;
   tale graduatoria è stata tuttavia contestata da diversi partecipanti al concorso, che hanno fatto ricorso al giudice amministrativo, per motivi afferenti ad un'iniqua valutazione dei requisiti atti alla maturazione del punteggio;
   in particolare, essi rilevano il fatto che, dato il principio di annualità del concorso per la progressione di carriera nelle forze di polizia, la commissione avrebbe, in modo arbitrario, derogato allo stesso prevedendo, per la valutazione dei titoli, l'attribuzione di un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti;
   tale criterio di dubbia legittimità ha finito per favorire i concorrenti che hanno conseguito i maggiori titoli negli ultimi anni a discapito degli altri;
   in pratica chi aveva i titoli per quelle annualità è stato scavalcato da chi in quella annualità non aveva gli stessi titoli, perché conseguiti successivamente;
   a livello esemplificativo, se un concorrente conseguiva un titolo universitario nel 2012, esso è stato fatto valere sin dal 2004, con una disparità di trattamento rispetto a concorrenti che potevano vantare tale titolo da anni precedenti;
   tale esempio vale per tutti i titoli che comportavano un incremento di punteggio, cosicché anche se la graduatoria finale prevedeva distinzioni tra le singole annualità, nel decreto di attribuzione delle assegnazioni ai singoli candidati di fatto tutte le annualità riportavano per ogni concorrente il medesimo punteggio;
   dall'illegittima applicazione del criterio sopra illustrato ne deriverebbe l'illegittimità della graduatoria di merito;
   ulteriori censure sollevate dai concorrenti penalizzati riguardano l'assegnazione, in proporzione, alle aliquote del 60 e 40 per cento stabilite dal regolamento n.144 del 2013, per eventuali scoperture determinate da rinunce o altre circostanze;
   in concreto, per gli agenti e gli assistenti non sarebbe garantita la sede, in quanto subordinata alle vacanze, mentre per gli assistenti capo tale garanzia sembrerebbe sussistere;
   nonostante il giudice amministrativo non abbia accolto la richiesta dei ricorrenti, considerata irricevibile per scadenza del termine perentorio di impugnazione del bando, nonostante il ricorso vertesse non su questo, ma sulla graduatoria finale, fatto che ha portato ad un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato, cionondimeno appare opportuno che l'amministrazione competente renda noti i criteri per i quali sia stata operata la scelta di attribuire un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti e i motivi per i quali per gli agenti e gli assistenti non sarebbe garantita la sede, in quanto subordinata alle vacanze, mentre per gli assistenti capo tale garanzia sembrerebbe sussistere –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se la graduatoria di merito del concorso interno, per titoli di servizio, a 7563 posti nella qualifica di vice sovrintendente della polizia di Stato sia stata composta nel rispetto di quanto previsto dal bando con cui veniva indetto il concorso, e quali valutazioni abbiano condotto ad operare la scelta di attribuire un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti ed a favorire una disparità di trattamento per gli agenti e gli assistenti da una parte e per gli assistenti capo dall'altra. (4-13980)


   COSTANTINO, PALAZZOTTO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
    a partire dai primi giorni del mese di gennaio 2015, con l'approdo della Ezadeen al porto di Corigliano Calabro, cittadina di oltre 40 mila abitanti sulla costa jonica cosentina, vi si sono succeduti sette sbarchi di profughi provenienti principalmente dalle coste africane;
   la gestione della situazione emergenziale all'interno del porto è stata condotta al meglio dalla prefettura e dalla protezione civile, coadiuvate da alcune associazioni operanti nel territorio e l'apporto dell'amministrazione comunale è stato per lo più di natura logistica;
   la permanenza all'interno del territorio comunale dei profughi (in maggioranza somali, eritrei, ivoriani, nigeriani, etiopi, guineani) è stata minima, dalle tre alle sei ore, fatta eccezione per quello di fine maggio 2016, quando all'incirca 140 persone, ivi compresi 20 minori non accompagnati, sono stati alloggiati all'interno del palazzetto dello sport di Corigliano per qualche giorno e il piccolo gruppo di minori non accompagnati, affidati come prevede la legge al sindaco della città, hanno trovato accoglienza nelle strutture preposte del territorio;
   il 29 giugno 2016 ha attraccato nel porto di Corigliano una nave battente bandiera irlandese con quasi 500 profughi. Anche in questo caso eccellente è stato il lavoro della prefettura e della protezione civile. Tuttavia, a queste operazioni non ha partecipato né con uomini, né con mezzi, l'amministrazione comunale, che ha motivato il mancato intervento con le presunte difficoltà economiche della città di Corigliano;
   al termine delle operazioni di sbarco, risultava la presenza di 91 minori non accompagnati che, come prevede la legge, venivano affidati all'amministrazione comunale che ha provveduto a sistemarli all'interno del palazzetto dello sport di Corigliano. A distanza di quasi un mese, i ragazzi, ridotti nel numero da numerose fughe e purtroppo da un decesso, sono ancora alloggiati lì;
   il palazzetto non presenta i requisiti minimi per una così lunga ospitalità, sia da un punto di vista igienico, sia da un punto di vista della sicurezza;
   la gestione dell'accoglienza è stata affidata in un primo momento all'onlus «Marinella Bruno» con affidamento diretto motivato dalla situazione emergenziale. Fin dai primi giorni di luglio si è affiancato all'onlus un gruppo di cittadini volontari – a titolo completamente gratuito – che hanno fornito aiuto nei turni al palazzetto, capi di vestiario, generi alimentari, prodotti per l'igiene personale e lezioni di italiano basilari;
   come si evince, dalla delibera di giunta il costo dell'affidamento prevede una spesa di 26.400 euro (26 euro a minore al giorno) e molte delle voci contenute nella stessa sono in realtà state coperte da donazioni e dai suddetti interventi di volontari;
   il presidente della onlus «Marinella Bruno», Giuseppe Bruno, risulta essere coniuge dell'assessora allo sport e al turismo Alessandra Francesca Capalbo. La stessa risulta essere segretaria della stessa associazione presente alla seduta di giunta al momento della delibera da lei stessa votata;
   sono registrate le numerose e documentate richieste delle associazioni operanti nel settore e presenti nel territorio, di realizzare un protocollo d'intesa per la gestione di tali emergenze con eventuali gare d'appalto. Al termine degli 11 giorni di gestione della onlus «Marinella Bruno», ad essa subentrava l'associazione «Azzurra», che sembrerebbe essere intervenuta anche in questo caso senza gara d'appalto e senza a tutt'oggi alcuna delibera di giunta o protocollo d'intesa attestante i compiti ed i modi con cui l'associazione dovrebbe operare;
   alle criticità di natura sanitaria (con grave ritardo si è conclusa la fase di esame medico dei ragazzi, a quanto risulta agli interroganti mancherebbe la figura di responsabile sanitario obbligatoria per legge), igienica (i servizi del palazzetto sarebbero prevedibilmente inidonei, le pulizie sporadiche, il cambio delle lenzuola non risponderebbe ai tempi dichiarati dall'associazione), logistica (turni con poco personale, talora non adeguatamente formato), si aggiunge una totale mancanza di sorveglianza dei minori rispetto alle loro uscite quotidiane; si è unita a ciò la morte del giovane Oumar Sangare, annegato in mare in un pomeriggio di uscita con altri ospiti minori del centro, morte avvenuta senza che vi fosse la presenza di un adulto accompagnatore che forse avrebbe potuto sventare la tragedia;
   la squadra locale di volley, la Corigliano Volley, a nome del suo direttore sportivo Pino De Patto, ha rilasciato in data 23 luglio 2016 dichiarazioni secondo le quali la squadra non potrà allenarsi presso il palazzetto dello sport diventato centro di accoglienza, anche per le condizioni di incuria in cui lo stesso è stato abbandonato –:
   se il Ministero interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali iniziative intenda assumere per verificare la correttezza dei procedimenti di assegnazione dell'accoglienza alle associazioni sopra citate; se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per individuare e accertare le cause e la dinamica della morte del giovane Oumar Sangare, che in quanto minore non accompagnato si trovava sul territorio italiano sotto la responsabilità delle istituzioni accoglienti. (4-13981)


   BRESCIA, COLONNESE e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda europea sulla migrazione di maggio 2015 introduce due meccanismi per una gestione condivisa a livello europeo dei flussi migratori ovvero i ricollocamenti e i reinsediamenti di richiedenti asilo;
   i ricollocamenti prevedono la possibilità, in deroga del regolamento (UE) n. 604/2013 detto Dublino III, di dislocare i richiedenti asilo in altri Paesi membri dell'Unione diversi dal Paese di primo arrivo secondo specifici criteri;
   i richiedenti asilo ricollocabili secondo l'accordo sono quelli definiti in clear need of protection ovvero per i quali, secondo criteri legati alla nazionalità, ci sia un tasso medio di riconoscimento della protezione internazionale nel Paesi membri pari al 75 per cento;
   in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione, e a norma della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, è stata redatta una Road map di attuazione degli impegni assunti dall'Italia che introduce i cosiddetti hotspot;
   i cosiddetti hotspot, definiti anche come punti di crisi, dovrebbero risultare funzionali alle operazioni di ricollocamento in altri Paesi membri dei richiedenti asilo in possesso dei requisiti richiesti;
   in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» tenuta il 29 luglio 2015 il Ministro Alfano affermava come i centri cosiddetti hotspot risultassero privi di copertura giuridica;
   in una nota di maggio 2015 lo stesso Ministero dell'interno cercava di rassicurare circa la presenza di base normativa paventando un sistema di accoglienza suddiviso in tre fasi di cui la prima da attuarsi proprio negli hotspot presupponendone la disciplina all'interno del decreto legislativo n. 142 del 2015 e tentando di equipararli a centri di primo soccorso e assistenza;
   invero il richiamato decreto legislativo n. 142 del 2015, entrato in vigore prima dell'attivazione degli hotspot, non distingue il sistema di accoglienza in tre fasi bensì in due, prima e seconda accoglienza, ed in alcun modo menziona centri cosiddetti hotspot;
   nel mese di giugno 2016 il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» (SOP) applicabili agli hotspot, un documento che illustra le indicazioni operative per le attività da svolgere al loro interno;
   intese quali la Road map e successive «procedure operative standard», nonché la stessa Agenda europea sulla migrazione, non rappresentano una fonte normativa;
   il capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» in data 19 luglio 2016 conferma nuovamente e indirettamente l'assenza di una chiara base giuridica che legittimi gli hotspot;
   secondo i dati disponibili a luglio 2016 risultano ricollocati dall'Italia 843 richiedenti asilo a fronte di un totale complessivo, previsto per l'Italia e la Grecia, di 160.000 migranti da ricollocare;
   negli hotspot i migranti vengono trattenuti per fini identificativi;
   la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per soli fini identificativi;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia, con la sentenza Khlaifia e altri c. Italia, per il trattenimento illegittimo a Lampedusa nel 2011 di alcuni cittadini tunisini, in seguito raggiunti anche da provvedimento di respingimento del questore –:
   se non si intendano assumere iniziative per dismettere immediatamente i centri cosiddetti hotspot e non perseguire oltre nella loro creazione, prima che gli accordi attualmente presi a livello europeo, quali il meccanismo di ricollocazione, non siano di fatto eseguiti e non siano programmati reali interventi di modifica normativa al regolamento (UE) n. 604/2013, «Dublino III», tali da rendere i ricollocamenti stabili ed ordinari, ponendo altresì termine a gravi violazioni quali trattenimenti anche di minori stranieri non accompagnati fuori da qualsivoglia disposizione di legge, dubbie procedure di identificazione e mancata informativa sui diritti e doveri all'interno di centri privi di fondamento giuridico nell'ordinamento italiano ed europeo. (4-13984)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si sono appena conclusi gli esami di ammissione alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia, terzo concorso nazionale con un dato molto concreto che merita di essere messo in evidenza: 6.725 contratti disponibili per l'anno accademico 2016-2017. Un numero di tutto rispetto, soprattutto se si pensa che solo tre anni fa erano appena 3000 i contratti disponibili;
   in ogni caso, però, anche quest'anno è previsto che circa un terzo dei concorrenti resterà fuori dalle graduatorie, con tutta l'amarezza e la delusione che ne deriva, perché senza specializzazione non potranno inserirsi nel Servizio sanitario nazionale;
   il 25 luglio 2016 è uscito il numero dei posti disponibili per il prossimo anno accademico per l'accesso alle facoltà di medicina: si tratta di 9224 posti, di cui 561 per candidati non comunitari;
   da anni, come confermano le numerose interrogazioni e interpellanze sul tema presentate, l'interrogante sostiene che la laurea in medicina e la specializzazione che la segue a ruota, vanno considerati come un unico ciclo, dalla durata media di 10 anni. Il numero di studenti che si iscrivono alla facoltà di medicina, e che superano una selezione durissima, va raccordato con il numero di contratti previsti sei anni dopo per il loro accesso alle scuole di specializzazione;
   oggi una laurea in medicina senza regolare specializzazione in Italia non è spendibile sul mercato. Se si volesse confrontare il numero di studenti che possono iscriversi quest'anno 2016/2017 con il numero di contratti disponibili sempre per quest'anno 2016/2017 si avrebbero 2.500 posti in meno, che vanno ad ingrossare le file di quanti negli ultimi anni non hanno superato l'esame di ammissione alla scuola di specializzazione. Tutte persone che nonostante abbiano completato l’iter formativo della laurea non avranno accesso a posti di lavoro;
   questa sfida impone ai laureati in medicina di avere uno standard di conoscenze e di competenze sempre più elevato per poter superare l'esame di ammissione alla scuola di specializzazione, analogamente a quanto accade con la selezione iniziale, con cui si deve passare dagli 80.000 studenti che concorrono alla iscrizione a Medicina ai previsti 9224 posti; è anche per questo stesso motivo che il numero di studenti che si laureano in medicina nei tempi previsti raggiunge e supera il 90 per cento. Essendo stati duramente selezionati essi tengono a concludere il loro iter formativo di base. Tra di loro sono minimi gli abbandoni o i cambi di prospettive, ma per questo stesso motivo occorrerebbe metterli in condizione di completare il loro iter formativo considerandolo un unico ciclo a durata decennale;
   data la lunghezza complessiva dell'intero iter di formazione del medico specialista, 10 anni almeno, forse si potrebbe riportare il tirocinio di sei mesi, che separa l'esame di laurea dall'esame di abilitazione, all'interno del ciclo dei sei anni curriculari, rendendo abilitante l'esame stesso di laurea, come è avvenuto per molti anni con risultati comunque positivi dal punto di vista della formazione medica di base –:
   se non intendano i Ministri interrogati assumere iniziative per rivedere le modalità di previsione del numero di studenti da ammettere ai corsi di studio della facoltà di medicina e chirurgia raccordandolo al numero di contratti disponibili per le scuole di specializzazione, o riducendo i primi o aumentando i secondi;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per ripristinare la laurea abilitante anche per il corso di laurea in medicina e chirurgia, analogamente a quanto avviene per tutte le altre professioni sanitarie, in cui l'esame di laurea è contestuale all'esame di abilitazione. (3-02440)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale prot. n. 1192 dell'8 gennaio 2016 reca i criteri, le modalità e le procedure per l'attuazione dei contratti di filiera e di distretto con le relative misure agevolative per la realizzazione dei programmi, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 66, comma 2, della legge n. 289 del 2002;
   i contratti di filiera e di distretto mirano a favorire processi di riorganizzazione dei rapporti tra i differenti operatori del comparto agroalimentare, attraverso accordi che individuino un programma d'azione, con specifici obiettivi, impegni e risultati attesi, un po’ come avviene con i contratti di rete;
   al fine di incentivare la nascita di questi contratti il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, attraverso il suddetto decreto, concede agevolazioni sotto forma di contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati – tenuto conto delle localizzazione, delle tipologia di interventi e della dimensione dell'impresa – per programmi di investimento tra i 4 e i 50 milioni;
   i soggetti proponenti del contratto di filiera e di distretto sono essenzialmente le società cooperative agricole e loro consorzi, consorzi di imprese, organizzazioni di produttori agricoli e loro associazioni riconosciute ai sensi della normativa vigente, che operano nel settore agricolo e agroalimentare; le società costituite tra soggetti che esercitano l'attività agricola e le imprese commerciali e/o industriali e/o addette alla distribuzione, purché almeno il 51 per cento del capitale sociale sia posseduto da imprenditori agricoli, società cooperative agricole e loro consorzi o da organizzazioni di produttori riconosciute ai sensi della normativa vigente; le associazioni temporanee di impresa tra i soggetti beneficiari, già costituite all'atto della presentazione della domanda di accesso alle agevolazioni; le reti di imprese che hanno già sottoscritto un contratto di rete al momento della presentazione della domanda di accesso alle agevolazioni; le rappresentanze di distretti rurali e agro-alimentari individuati dalle Regioni ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;
   gli interventi ammissibili alle agevolazioni comprendono le seguenti tipologie: investimenti in attivi materiali e attivi immateriali nelle aziende agricole connessi alla produzione agricola primaria; investimenti per la trasformazione di prodotti agricoli e per la commercializzazione di prodotti agricoli; investimenti concernenti la trasformazione di prodotti agricoli in prodotti non agricoli, nei limiti individuati nei provvedimenti di attuazione dei criteri; costi per la partecipazione dei produttori di prodotti agricoli ai regimi di qualità e misure promozionali a favore dei prodotti agricoli; progetti di ricerca e sviluppo nel settore agricolo;
   le agevolazioni sono concesse con intensità variabili a seconda della tipologia e della localizzazione dell'investimento, e del finanziamento agevolato, fino al 100 per cento delle spese ammissibili;
   con appositi bandi il Ministero successivamente definirà le ulteriori condizioni di ammissibilità dei soggetti e degli interventi, insieme ai termini e alle modalità per la presentazione delle domande, che saranno valutate con procedura a sportello;
   la legge delega n. 57 del 2001 si poneva quali obiettivi primari quelli, da un lato, di modernizzare figura dell'imprenditore agricolo e, dall'altro, di razionalizzarne le fonti normative che risultavano alquanto segmentate, avendo a mente il contesto comunitario che, sebbene non offra una definizione univoca di agricoltura, apporta comunque un criterio cosiddetto «agroalimentare» nell'individuazione dei prodotti riconducibili al mondo agricolo;
   infatti, ai sensi dell'attuale articolo 32 del Trattato comunitario, «per prodotti agricoli si intendono i prodotti del suolo dell'allevamento e della pesca, come pure prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti»;
   la delega ha dato origine ai decreti legislativi n. 226, 227 e 228, tutti del 2001, con cui il legislatore ha cercato di rendere maggiormente moderna e al passo con i tempi la figura dell'imprenditore agricolo, intervenendo, in primis, sull'articolo 2135 del codice civile, rendendo meno accentuata la connessione con il suolo attraverso l'integrale riscrittura dello stesso;
   è in tale contesto che si deve leggere il decreto legislativo n. 226 del 2001, dedicato al settore della pesca, con cui è stata introdotta la figura dell'imprenditore ittico, equiparandola a quella dell'imprenditore agricolo;
   l'acquacoltura, rappresenta una evoluzione, in chiave strategica, della naturale sensibilità dei pescatori nei confronti dell'ambiente. Strategica perché coniuga, in maniera moderna, la salvaguardia delle risorse biologiche ed ambientali di una determinata area con uno sviluppo economico sostenibile. Non più quindi una protezione esclusivamente conservativa, ma dinamica, proiettata verso il futuro, a vantaggio anche delle nuove generazioni;
   l'acquacoltura, secondo l'articolo 3 del decreto legislativo n. 4 del 2012, è definita come l'attività economica organizzata, esercitata professionalmente, diretta all'allevamento o alla coltura di organismi acquatici attraverso la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, in acque dolci, salmastre o marine. Si può, quindi, dire che l'acquacoltura è divenuta una vera e propria attività di allevamento;
   secondo l'articolo 2135 del codice civile è imprenditore agricolo chi esercita l'attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque dolci, salmastre o marine;
   anche sotto l'aspetto fiscale i criteri applicati per la definizione del reddito eccedente per l'acquacoltura, qualora svolta su terreno censito in catasto o in acque marittime (risoluzione ministeriale n. 142 del 19 dicembre 2006 emanata dalla Agenzia delle entrate, direzione centrale normativa e contenzioso), sono quelli generali definiti per gli allevamenti di bestiame tradizionale e quindi anche per l'acquacoltura vengono stimate le cosiddette unità foraggere che teoricamente servono per gestire il ciclo produttivo;
   l'acquacoltura viene suddivisa, nelle tabelle predisposte con decreto interministeriale in «produzione di pesci crostacei e molluschi da riproduzione» e «produzione di pesci crostacei e molluschi da consumo» individuando i fabbisogni annuali in «unità foraggere»;
   alla luce di ciò ne consegue che l'acquacoltura è legislativamente paragonata all'agricoltura e, per gli effetti ricade, quindi, nell'agroindustriale –:
   se non si ravvisi la necessità di assumere iniziative per prevedere, nei prossimi bandi ministeriali di «filiera» e di «distretto», lo specifico inserimento dell'acquacoltura nei campi di applicazione, o meglio se non si ritenga di ampliare gli stessi in relazione all'acquacoltura, identificandola in modo univoco come settore ammesso alle agevolazioni, al fine di evitare successivi problemi interpretativi, secondo quando esplicitato in premessa.
(5-09322)


   ZACCAGNINI, GIANCARLO GIORDANO e MARTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 2016 l'agenzia di zampa « Ansa» riportava la seguente notizia dal titolo «Sequestrato campo mais Ogm a Rovigo da Forestale» nella quale si descriveva, come: «Scoperta dal Corpo forestale dello Stato una piantagione di mais transgenico alle porte di Rovigo. In particolare, i Forestali del Comando regionale del Veneto con quelli del Comando provinciale di Rovigo hanno trovato a Guarda Veneta (Rovigo) un campo di mais geneticamente modificato Mon810. La contaminazione è stata confermata dal campionamento delle foglie che sono state analizzate presso il laboratorio dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche;
   il terreno è stato, quindi, sottoposto a sequestro preventivo e la piantagione sarà distrutta. Saranno effettuate delle analisi sui campi confinanti a quelli contaminati al fine di verificare eventuali commistioni e applicare la normativa sull'utilizzo di prodotti geneticamente modificati. Il sequestro rientra nell'ambito di un programma di controlli da parte del Corpo forestale dello Stato per verificare l'utilizzo di Ogm in agricoltura in Italia, anche mediante l'uso di test che rilevano la presenza dell'endotossina specifica per il Mon810. L'Unione europea ha introdotto la possibilità per ogni Stato membro, di vietare la coltivazione del Mon810 e l'Italia ha, pertanto, richiesto e ottenuto che fosse bandita sul proprio territorio come già previsto in due precedenti decreti interministeriali. Oggi in Italia la violazione del divieto di coltivazione di Ogm nel nostro Paese è punita con una multa da 25 a 50 mila euro». Questa grave azione non è il gesto di un soggetto isolato, ma rientra nel progetto che da anni alcuni imprenditori agricoli legati a Futuragra, l'associazione di imprenditori agricoli che si batte per l'introduzione delle biotecnologie e per la libera scelta degli agricoltori, stanno portando avanti pericolosamente nei nostri territori; si ricordano le semine in Friuli del Mon810 da parte di Fidenato bloccate dalla forestale dopo l'intervento di agricoltori, movimenti o associazioni. Nonostante le disposizioni europee e nazionali che ne vietano la coltivazione per la loro pericolosità per ambiente, salute, agricoltura, si continua con queste semine sul territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza abbia intrapreso o intenda intraprendere;
   se non reputi necessario l'avvio, per quanto di competenza, di una verifica sulla provenienza di questi semi illegali, risalendo a coloro che in modo reiterano tentano coltivazioni ogm in Italia;
   se il Ministro non reputi opportuno assumere iniziative per potenziare il sistema sanzionatori e bonificare i territori limitrofi contaminati, includendo l'azione di biomonitoraggio di eventuali altre aree sospette;
   se il Ministro, considerato l'esito dell'assemblea plenaria del Parlamento europeo, che in data 13 gennaio 2015, ha approvato, la nuova legislazione che ha introdotto il permesso agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di colture OGM sul loro territorio, non reputi opportuno, alla luce della suddetta nuova normativa europea e della impossibilità delle norme di coesistenza di garantire la tutela delle coltivazioni tradizionali e biologiche, poiché la presenza di coltivazioni OGM genera contaminazione certa, assumere iniziative per innalzare il livello sanzionatorio inasprendo le pene per coloro i quali introducono in modo reiterato sementi non autorizzate nel nostro Paese, così come nel caso di Rovigo descritto in premessa;
   se e in che tempi il Ministro intenda assumere iniziative per vietare la coltivazione delle varietà di soia ogm recentemente autorizzate dalla Commissione europea. (5-09327)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che i siti di interesse nazionale (SIN) sono individuati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico; il SIN di Trieste è stato istituito con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 468 del 18 settembre 2001 e perimetrato con il decreto ministeriale del 24 febbraio 2003;
   la società Gas Natural Rigassificazione Italia s.p.a. ha ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, il parere favorevole di VIA (valutazione di impatto ambientale) con prescrizioni con il decreto n. 808 del 17 luglio 2009 per la realizzazione del Terminale GNL di rigassificazione di Zaule (Trieste);
   parte costitutiva del decreto è il parere n. 73 del 20 giugno 2008 emesso dalla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS, che tra i documenti presentati dalla Società Gas Natural Internacionàl SDG S.A. ha considerato anche il documento «Proposta di interventi ambientali per il sito di ubicazione del terminale di rigassificazione GNL di Zaule (Trieste)», ad integrazione dello studio di impatto ambientale (SIA) del dicembre 2006;
   nella conferenza di servizi del SIN di Trieste, svolta in data 25 novembre 2015, sono stati esaminati i «Risultati del Piano di caratterizzazione area ex – discarica a mare di Via Errera nel porto di Trieste», e trasmesso al MATTM dall'Autorità portuale Trieste nel 2012. Il verbale riporta che: «le aree sottoposte ad indagine ambientale, denominata “B+D” (oggetto di realizzazione del Terminale GNL) e l'area contermine denominata “Adiacente B+D”, sono ricomprese nella più ampia area oggetto del Piano di caratterizzazione ambientale dell'ex discarica di Via Errera, approvato dalla Conferenza dei Servizi decisoria del 19.05.2004 con diverse prescrizioni recepite in fase di esecuzione»;
   il piano di caratterizzazione fornisce un quadro ambientale di estrema gravità. «L'area è caratterizzata dalla presenza di materiali alloctoni per uno spessore che arriva anche a 20 metri, accumulati nel corso degli anni al di sopra dei sedimenti limo argillosi marini naturali; la linea di costa originale degli anni 70 è progredita per oltre 50 metri verso il mare. (...) All'interno di questo livello di materiali, sono stati rinvenuti residui vetrosi, metallici, vegetali, plastica, nylon, ecc., tipicamente ascrivibili ad un'area utilizzata in passato come discarica di rifiuti urbani ed edili». Nel complesso, sono stati eseguiti 11 saggi meccanici e 32 sondaggi a carotaggio continuo, durante l'esecuzione delle indagini sono stati prelevati 186 campioni di terreno, 16 campioni classificati come rifiuto solido, 27 campioni top soil e 16 campioni di acqua di falda. Tutte le attività, condotte alla presenza di Arpa del Friuli Venezia Giulia dal confronto con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), hanno rilevato superamenti nel top soil, diffusi superamenti nei suoli a carico di metalli, idrocarburi leggeri e pesanti, IPA, diossine e fitofarmaci, nelle acque di falda una diffusa contaminazione di metalli, idrocarburi, fluoruri, solfati, e altro. Durante la fase delle indagini del 2004, i campioni prelevati sono stati analizzati per attribuirne il codice Cer e sono stati classificati come «rifiuto speciale pericoloso»;
   dal verbale della conferenza di servizi istruttoria, nel proprio parere, ARPA Friuli Venezia Giulia ha evidenziato come il terrapieno, sede di discarica per rifiuti speciali autorizzata della regione Friuli Venezia Giulia ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, ed operativa dal 1984 al 1987, sia interessato per tutte le matrici ambientali, ed in particolare per le acque sotterranee, da diffusi e significativi superamenti delle relative CSC, che attestano la diffusione della contaminazione;
   la citata conferenza di servizi si è conclusa con la richiesta all'autorità portuale, quale gestore dell'area demaniale, di un progetto di messa in sicurezza permanente dell'area di via Errera ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e «l'immediata implementazione di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal MATTM nel 2012»;
   in merito al documento «Proposta di interventi ambientali per il sito di ubicazione del terminale di rigassificazione GNL di Zaule (Trieste)» allegato alla documentazione integrativa dello studio di impatto ambientale del dicembre 2006, trasmesso in via ufficiale alla conferenza di servizi per il SIN di Trieste in occasione della riunione del 30 ottobre 2006, l'autorità portuale di Trieste ha inviato una missiva il 24 dicembre 2015 (prot. 10936/P — all. 2) alla direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La lettera segnala come il documento succitato descriva in «termini generali la procedura per la gestione degli aspetti ambientali relativi alla contaminazione del sottosuolo e dei sedimenti marini, relativamente al Piano di caratterizzazione, al progetto di bonifica, alla costruzione e messa in opera del barrieramento a mare (in aderenza al progetto di «Messa in Sicurezza d'Emergenza della falda» e alla realizzazione del progetto di bonifica»). Secondo l'APT «alla base del documento c’è dunque come soluzione di intervento ambientale l'ipotesi della bonifica (...)»;
   l'autorità portuale illustra, infine, come: «è evidente che quanto emerso recentemente in sede di Conferenza di Servizi ministeriale e le conseguenti prescrizioni ha mutato il quadro di riferimento ambientale alla base delle soluzioni progettuali a suo tempo proposte dalla società Gas Natural Rigassificazione Italia e recepite nel decreto di VIA dell'anno 2009. È altrettanto evidente come quanto emerso non possa prefigurare modifiche sostanziali al progetto e che, ai sensi del succitato articolo 240 del decreto legislativo n. 152 del 2006, debbano essere previste delle limitazioni d'uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici»; la comunicazione si chiude con la richiesta al Ministero indirizzato «di fare le opportune considerazioni, segnatamente in merito alla necessità di riapertura del procedimento VIA per l'impianto in oggetto (...);
   la direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella risposta del 2 febbraio 2016 comunica che la valutazione di impatto ambientale per il progetto del rigassificatore si è conclusa con il decreto DEC/DSA/808 del 17 luglio 2009 e che «eventuali problematiche sono, se del caso, da riportare nella più opportuna sede autorizzativa presso il Ministero dello sviluppo economico»;
   una nuova richiesta, inoltrata dall'APT il 28 gennaio 2016, ha espresso delle considerazioni in merito all'individuazione dei soggetti responsabili dell'inquinamento, dichiarando, infatti, come: «questa Amministrazione, che pur, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, non è soggetto responsabile dell'inquinamento del sito, si è fatta carico di inviare a codesto Ministero le risultanze tecnico analitiche del procedimento in essere. (...) Alla luce dello studio di fattibilità, qualora le attività (...) fossero condivise da codesto Ministero, appare evidente che l'onere derivante dall'attuazione degli interventi non può essere sostenuto da questa Autorità Portuale, che è incolpevole della contaminazione presente. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 239, 244 e 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si ribadisce la totale estraneità dell'Autorità Portuale (...)»;
   la lettera si è conclusa nuovamente con la richiesta da parte dell'APT «di valutare la riapertura del procedimento VIA per l'impianto di rigassificazione, la cui compatibilità ambientale è già stata decretata nell'anno 2009 in assenza degli elementi rilevanti e sopravvenuti discussi e verbalizzati nella Conferenza dei Servizi Istruttoria del 25 novembre 2015»;
   in data 10 febbraio 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha risposto ribadendo quanto già comunicato nella precedente missiva del 2 febbraio 2016;
   nella conferenza di servizi istruttoria dell'11 aprile 2016 è stato presentato dall'autorità portuale lo «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area ex discarica a mare di Via Errera», sul quale diverse sono state le osservazioni da parte di Ispra, Arpa Friuli Venezia Giulia e regione Friuli Venezia Giulia. In particolare, Arpa Friuli Venezia Giulia, nel confermare quale prioritaria l'attuazione di un piano di messa in sicurezza permanente del «corpo di discarica», ha ribadito la necessità di predisporre uno studio idrogeologico di dettaglio, di tempistiche certe e definite degli studi propedeutici alla progettazione di dettaglio, del superamento della frammentarietà dei procedimenti insistenti sul sito, nonché di dar corso ad immediate azioni di rimozione dei rifiuti abbandonati presenti fuori terra restando il mantenimento di tutte le misure di prevenzione in essere. L'Ispra ha ribadito, tra l'altro, che nonostante «il livello di dettaglio presentato nel documento esaminato non è adeguato e conforme a quanto richiesto dall'allegato 3 della Parte IV Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006, si ritiene che le scelte progettuali prospettate a livello di studio di fattibilità siano comunque condivisibili»;
   la conferenza di servizi istruttoria del 28 aprile 2016 ha preso atto della comunicazione dell'autorità portuale di Trieste (MATTM al prot. n. 0007420 del 26 aprile 2016), con la quale, oltre a non ritenere «sufficiente il termine di 60 giorni per concludere una gara di progettazione e redigere un progetto che tenga conto dei pareri espressi dagli Enti» e che «il costo stimato della progettazione è ingente e tale da dover richiedere all'APT il reperimento di fondi non attualmente nelle disponibilità», ha dichiarato «di ritenersi proprietaria incolpevole ed ha chiesto di emendare la richiesta formulata dalla conferenza di servizi dell'11 aprile 2016 di presentare un piano di messa in sicurezza permanente dell'area di via Errera» e di «attendere che la Provincia di Trieste concluda gli accertamenti circa l'individuazione del responsabile della contaminazione a cui devono essere imputati gli oneri della bonifica»;
   la conferenza di servizi si è conclusa con la richiesta alla provincia di Trieste, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, di procedere all'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione e all'autorità portuale di Trieste di trasmettere un «documento riassuntivo delle misure di prevenzione attuate finalizzate ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori»;
   il 30 maggio 2016, il sito internet del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella sezione «Comunicazione», riporta che «la procedura di verifica di ottemperanza delle prescrizioni A.2, A.3, A.6, A.8, A.15, D.1, D.2 del decreto VIA n. 808 del 17 luglio 2009, del 30 maggio 2016, inerente al Terminale di ricezione e rigassificazione GNL nel comune di Trieste, zona industriale di Zaule (determinazione DVA-DEC-2016-0000222)» ha ricevuto un esito positivo –:
   se, alla luce di quanto riportato in premessa, e in particolare delle repliche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pervenute all'Autorità portuale di Trieste si intenda riaprire il procedimento di valutazione di impatto ambientale sull'impianto di rigassificazione GNL di Zaule, la cui compatibilità ambientale pur già decretata nell'anno 2009, non ha tenuto conto degli elementi sopravvenuti e verbalizzati nella conferenza di servizi istruttoria del 25 novembre 2015. (5-09321)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, MARTELLI, NICCHI, FRATOIANNI, SCOTTO, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la J.P. Industries di Giovanni Porcarelli, l'azienda che ha acquisito la ex Antonio Merloni, ha avviato la procedura di mobilità per 400 lavoratori;
   ne dà notizia il segretario della Fiom Cgil di Fabriano Fabrizio Bassotti, che considera «irricevibile» la decisione, e chiede alla regione Marche «di agire nei confronti dell'imprenditore perché ritiri la procedura». Stando a indiscrezioni, Porcarelli farebbe riferimento a «mutamenti del mercato elettrodomestico» e difficoltà di rapporti con le banche (Fonte ANSA) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Ministro non intenda convocare un tavolo di confronto per affrontare la crisi presso il proprio Ministero. (5-09323)


   SIMONE VALENTE, MANTERO, VACCA, CRIPPA e BATTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Ericsson, nota azienda svedese leader mondiale nella fornitura di servizi, software e infrastrutture in ambito Ict (Information & Communication Technology) è al centro nelle ultime settimane di una delicata vertenza riguardante esuberi e procedure di licenziamento collettivo avviate in diverse sedi italiane, tra cui Genova, Pisa, Milano e Roma; nello specifico, il piano di riduzione di personale presentato dall'azienda prevede per il periodo compreso tra il 2016 e il 2017 esuberi in Italia pari a circa 385 unità di personale;
   in una nota inviata il 13 giugno 2016 da Ericsson Italia alle rappresentanze sindacali e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali avente ad oggetto l'avvio della procedura di licenziamento collettivo ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 si legge testualmente che «il mercato delle telecomunicazioni elettroniche in Italia continua ad essere caratterizzato da una forte trasformazione che riguarda le reti e i servizi ad esse correlati, nonché da elevati livelli di competitività. La trasformazione ha comportato e comporta per tutta la filiera una profonda revisione dei parametri di efficacia ed efficienza delle strutture aziendali ed un riassetto occupazionale. La contrazione della domanda interna è coincisa con una crescente competizione basata sui prezzi. (...) Risulta impossibile adottare misure alternative per porre rimedio alla predetta situazione di eccedenza di personale ed evitare, in tutto o in parte, il ricorso alla presente procedura di licenziamento collettivo essendo i licenziamenti previsti indispensabili per il riadeguamento degli organici alle nuove e ridotte richieste del mercato per il contenimento dei costi aziendali e per il recupero dei necessari margini di efficienza. Non risultano applicabili ammortizzatori sociali alternativi alla presente procedura, perché le ragioni che determinano l'eccedenza di personale non derivano da fenomeni congiunturali ma strutturali e per questo motivo non possono trovare applicazione gli ammortizzatori sociali classici. La specificità delle attività e dell'organizzazione aziendale non consentono l'adozione di misure temporanee quali il contratto di solidarietà difensivo. (...) Le cause degli esuberi devono considerarsi definitive non essendo allo stato ipotizzabile un mantenimento della struttura esistente. Per i suddetti motivi tecnici, organizzativi e produttivi non sussiste la possibilità di adottare misure idonee ad evitare in tutto o in parte la collocazione in mobilità. (...) Il piano di trasformazione prevede una nuova organizzazione aziendale operativa dal mese di luglio 2016 finalizzata a dotare l'azienda di una struttura semplificata, più efficiente e veloce nel proporre soluzioni al mercato che faciliti altresì il rapporto di business con i clienti»;
   successivamente, in occasione dell'incontro del 20 giugno 2016 tra vertici dell'azienda e parti sociali per espletare la procedura di raffreddamento prevista dalla legge n. 146 del 1990 relativa al diritto di sciopero è stato comunicato da Ericsson il diniego a partecipare all'incontro successivo del 22 giugno presso il Ministero dello sviluppo economico che avrebbe aperto il tavolo di crisi con la motivazione che «il confronto di merito previsto dalla legge 223/91 deve svolgersi per la fase esclusivamente sindacale nelle sedi delle associazioni degli industriali cui le aziende stesse appartengono»;
   quanto alle sedi a rischio, il polo di Genova situato nel quartiere di Erzelli e inaugurato il 24 maggio 2012 è quello che ha subito il maggiore dimezzamento di unità di personale negli ultimi dieci anni passando da un totale di dipendenti che ruotava attorno alle 1150 unità (per effetto anche della precedente acquisizione da parte di Ericsson del gruppo Marconi) a poco più di 600; a queste consistenti riduzioni si aggiungono i nuovi 147 esuberi dichiarati recentemente. La più pesante procedura di licenziamento fu attuata a Genova nel 2012, poco più di un mese dopo la conclusione dell'accordo di programma tra la regione Liguria, comune e provincia di Genova insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione, dell'università e della ricerca che prevedeva un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro di fondi pubblici ad Ericsson destinati al polo di ricerca sito a Erzelli nell'ambito R&D (Ricerca e Sviluppo) in base alla seguente ripartizione:
    a) 24 milioni di euro del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di cui circa 5 milioni a titolo di contributo alla spesa e circa 19 milioni come credito agevolato;
    b) 6,9 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico, di cui 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto interessi;
    c) 11 milioni di regione Liguria di cui 5,3 milioni quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato;
   questi fondi dovevano servire a realizzare il nuovo Centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del Parco scientifico e tecnologico di Erzelli (area da sempre considerata appetibile per costruttori, speculatori edili e multinazionali) e nello specifico legati alla realizzazione di tre progetti di ricerca e sviluppo;
   in occasione di tale accordo e per salvaguardare i posti di lavoro, i sindacati avevano chiesto agli amministratori locali di aggiungere una clausola sociale sulla tenuta occupazionale; clausola mai inserita;
   pare che i suddetti progetti vennero chiusi dall'Azienda all'inizio del 2014 e nella primavera dello stesso anno la regione Liguria decise di detrarre 9 degli 11 milioni di euro inizialmente previsti dall'accordo. Tuttavia, non si hanno notizie certe circa l'impiego effettivo dei circa 30 milioni messi a disposizione dai due Ministeri (Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca);
   al di là delle risorse stanziate per la realizzazione dei progetti a Erzelli, ciò che colpisce è come la società attuò in breve tempo una procedura di trasferimento coatto nonostante la conclusione dell'accordo; molti dipendenti furono costretti ad accettare e ad essere spediti in altre sedi dove non trovarono strutture adeguate ad accogliere il loro lavoro. In realtà, si ha la sensazione che si trattasse di una sorte di licenziamento camuffato e molti lavoratori non potendo accettare il trasferimento accettarono la buonuscita dell'azienda. Quindi, nonostante l'interesse dato a questo accordo di programma nel quale la multinazionale esprimeva tutto il suo impegno in un progetto di riqualificazione e sviluppo che doveva avere importanti ricadute in termini occupazionali di qualità, è stata aperta dall'azienda stessa un'ulteriore procedura di mobilità (la sesta in 6 anni);
   oggi si sta assistendo a una lenta dismissione da parte di Ericsson nell'implementare e promuovere l'attività di ricerca e sviluppo in Italia, una tendenza dell'azienda sempre più rivolta a delocalizzare nei Paesi in via di sviluppo dove vi sono condizioni salariali convenienti; ma questa dismissione cozza con l'interesse consolidato di Ericsson a partecipare al Piano governativo della banda ultralarga da 12 miliardi di euro su tutto il territorio nazionale lanciato lo scorso marzo 2015; è da evidenziare che per la partecipazione al piano strategico nazionale per la banda ultralarga sono indispensabili le tecnologie di rete ottica, la tecnologia IP routing ed i sistemi di gestione e controllo di rete. E in questo caso il centro di ricerca e sviluppo Ericsson di Genova è da sempre fra i leader;
   proprio il progetto del Governo della ultrabanda larga su tutto il territorio nazionale, che prevede fondi ingenti e su cui la Ericsson stessa, nella presentazione del suo piano industriale, punta come fondamentale business in Italia per i prossimi anni, deve contemplare, giocoforza, la messa in campo di queste tecnologie di rete;
   considerata l'assenza di gravi problematiche sullo stato di benessere economico della società non sono chiare le motivazioni che hanno determinato gli esuberi e sembra quasi che si voglia procedere a un riequilibrio dell'organico e a un turn over forzato per mere ragioni di profitto senza nessuna garanzia per i lavoratori;
   si considera, inoltre, come il 28 luglio 2016 è scaduto il termine della prima fase di procedura per la messa in mobilità dei lavoratori; le rappresentanze sindacali hanno chiesto alle istituzioni locali e alla prefettura di farsi parte attiva per la convocazione di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico per affrontare la vertenza soprattutto sul piano delle politiche industriali, ma al momento non vi è notizia dell'attivazione del suindicato tavolo di confronto;
   a livello regionale, dopo l'incontro con i vertici nazionali Ericsson, il presidente della regione Liguria si è assunto l'impegno di avviare una interlocuzione con i Ministeri competenti al fine di attivare gli ammortizzatori sociali; l'azienda, dal canto suo, ha ribadito la propria volontà di rimanere in Liguria e in particolare all'interno del parco tecnologico di Erzelli, impegnandosi nel più breve tempo possibile a presentare un piano di ristrutturazione e ad illustrare le possibili prospettive di rilancio –:
   se non ritenga doveroso il Governo di chiarire se e in che modo i finanziamenti di cui all'accordo di programma suindicato siano stati erogati e quali progetti siano stati finanziati, atteso che sulla vicenda relativa al finanziamento di Erzelli si rincorrono voci contrastanti circa la corresponsione dei finanziamenti e il pieno raggiungimento degli obiettivi;
   se non si ritenga opportuno chiarire quali sono state le ragioni che hanno condotto la società ad avviare la procedura di licenziamento e le ragioni che hanno generato gli esuberi e in che modo il Governo intenda garantire, per quanto di competenza, una soluzione condivisa e non traumatica per i lavoratori, considerate le intenzioni attuali della società di non ricorrere allo strumento degli ammortizzatori sociali classici;
   come il Governo intenda intervenire per mitigare il più possibile i rovinosi effetti derivanti dagli esuberi e se non ritenga opportuno individuare, per quanto di competenza, un meccanismo volto a contenere le riduzioni di organico, in particolare nell'area «ricerca e sviluppo», unico settore ad oggi dotato di competenze professionali in grado di garantire l'adeguata partecipazione dell'azienda al piano governativo della banda ultralarga. (5-09325)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, PIRAS, DURANTI, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, GREGORI e FAVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è compito della politica controllare, monitorare ed intervenire nelle situazioni di crisi di una comunità, in particolar modo quando tali crisi coinvolgono i posti di lavoro di molte lavoratrici e lavoratori;
   Fabriano ha un tasso di disoccupazione superiore al 25 per cento, valore più alto del doppio della media nazionale. In questo dato non è considerato, inoltre, il grande numero di cassintegrati;
   nell'ottobre del 2008 la Antonio Merloni spa ha richiesto, dopo un periodo di lunga crisi, di essere ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   successivamente sono stati nominati dei commissari governativi per la vendita di parti dell'azienda; la parte più difficile da vendere è stata ovviamente l'ex Ardo;
   a seguito del fallito esito di due proposte di interesse internazionali (Cina e Iran), nel 2011 l'Ardo viene di fatto svenduta a Porcarelli per 13 milioni di euro (un valore stimato in seguito come molto minore rispetto a quello reale);
   l'accordo ha previsto l'assorbimento, da parte dell'impresa di Porcarelli, la JP Industries, di 700 lavoratori su 2300 e 4 anni di cassa integrazione straordinaria a rotazione;
   nel 2012 Porcarelli ha iniziato le vendite, senza confrontarsi con nessuno, di macchinari per lo stampaggio. Questo era, secondo gli interroganti, il primo segnale di una volontà di monetizzazione e non di produzione;
   nel settembre del 2013 il tribunale di Ancona, accogliendo il ricorso delle banche creditrici, revoca la vendita dell'Ardo a Porcarelli, sentenza confermata anche in secondo grado;
   nel 2015, vi sono stati cortei dei lavoratori e proteste sindacali; la Corte di cassazione ha poi deciso di confermare la vendita, smentendo le sentenze precedenti e dando ragione a Porcarelli;
   di fatto la JP Industries non ha mai presentato un vero e solido piano industriale;
   il 30 luglio 2015 la JP Industries di Giovanni Porcarelli ha annunciato la mobilità per 400 lavoratrici e lavoratori, in modo unilaterale ed improvviso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e degli eventuali sviluppi di questa preoccupante ed inaccettabile decisione della JP Industries;
   come il Ministro intenda comportarsi nelle sedi istituzionali, per quanto di competenza, per evitare il licenziamento dei 400 lavoratori;
   se il Ministro non intenda sostenere attivamente le rivendicazioni dei lavoratori ed attivare tutte le iniziative necessarie per salvaguardare un territorio in totale depressione;
   se il Ministro interrogato non intenda farsi promotore, in tempi brevissimi, di un incontro per scongiurare i licenziamenti, assumendo iniziative per bloccare i finanziamenti pubblici alla JP Industries fino a quando la decisione dei licenziamenti non sarà ritirata;
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere, per quanto di competenza, in relazione alla Jp Industries che, benché non abbia mai presentato un vero e proprio piano industriale, sembra mirare ad ottenere maggiori finanziamenti pubblici (5-09326)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Vargiu e altri n. 1-01332, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fabbri, Fitzgerald Nissoli.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Ghizzoni e altri n. 5-09314 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 664 del 29 luglio 2016. Alla pagina 40297, prima colonna, dalla riga quarantaduesima alla riga quarantatreesima, deve leggersi «generale, della direzione generale per lo studente, lo sviluppo» e non come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Baroni e altri n. 4-13977 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 664 del 29 luglio 2016:
   alla pagina 40311, seconda colonna, alla riga trentacinquesima deve leggersi: «legale in Via San Quintino n. 33 – 00185», e non come stampato;
   alla pagina 40312, seconda colonna, dalla riga trentaseiesima alla riga trentottesima deve leggersi: «alcuni valori del 2013 e nel bilancio del 2015 sarebbero stati alterati alcuni valori del 2014;» e non come stampato.