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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 27 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VI e la X Commissione,
   premesso che:
    nel corso della legislatura sono stati approvati numerosi interventi sul settore produttivo volti a rilanciare la competitività delle imprese italiane e a promuovere la crescita del Paese, sia di natura fiscale, sia di politica industriale;
    in particolare, l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, come modificato dall'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di stabilità per il 2015 – al fine di promuovere l'innovazione ha introdotto un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo;
    il novellato articolo 3 riconosce, per i periodi di imposta a decorrere da quello successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino al periodo in corso al 31 dicembre 2019, a tutte le imprese – senza limiti di fatturato e indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato – che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, un credito di imposta pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015; la misura del credito è elevata al 50 per cento per le spese relative al personale altamente qualificato e per quelle relative a contratti di ricerca cosiddetta «extramuros» ovvero contratti con università, enti di ricerca e altre imprese, comprese le start-up innovative;
    il citato credito di imposta spetta fino a un importo massimo annuale di 5 milioni di euro per ciascun beneficiario, a condizione che siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari ad euro 30.000;
    la misura non presenta, pertanto, profili di selettività, ma ha una portata applicativa generale che ne assicura la compatibilità con i vincoli in materia di aiuti di Stato;
    con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico del 27 maggio 2015, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 174 del 29 luglio 2015, sono state adottate le disposizioni applicative necessarie al pieno funzionamento dell'incentivo;
    nell'ambito dello specifico settore del tessile e della moda, per la concreta individuazione delle attività da considerare ammissibili, la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 16 marzo 2016, ha confermato, in linea generale, le indicazioni fornite dal Ministero dello sviluppo economico con la circolare interpretativa n. 46586 emanata il 16 aprile 2009 recante chiarimenti per l'applicazione, alla attività del tessile e della moda, della agevolazione del credito di imposta, ricerca e sviluppo prevista dall'articolo 1, commi da 280 a 284, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007);
    nella citata circolare del 2009 si rileva come in ogni settore di attività industriale si svolgano processi innovativi di prodotto e di processo con proprie caratteristiche e specificità che rendono complesso esprimere, in termini generali ed astratti, una valutazione tecnica di un'attività o di un segmento di essa in ordine alla sua riconducibilità alla categoria dell'attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo: le attività astrattamente riconducibili alla nozione di ricerca industriale ed allo sviluppo sperimentale sono, nel settore del tessile e della moda, quelle che precedono la fase realizzativi del campionario o della collezione, e sono collegate alla fase ideativa dello stesso e della realizzazione dei prototipi; sono quindi agevolabili i costi sostenuti per svolgere le attività dirette alla realizzazione del contenuto innovativo di un campionario o delle collezioni e per la realizzazione dei prototipi;
    in considerazione dell'alto tasso di innovazione di prodotto specifico del settore tessile, l'investimento che ogni anno le imprese finali devono sostenere per l'attività di ideazione e realizzazione dei campionari risulta molto significativo;
    secondo le conclusioni dell'Osservatorio del settore tessile abbigliamento nel distretto di Carpi, presentato nel mese di febbraio 2016, esiste una capacità creativa diffusa sulla quale investire per alimentare l'innovazione di prodotto; le imprese finali che dimostrano una elevata capacità creativa spendono in media il 6,6 per cento del fatturato in ricerca e-sviluppo dei campionari;
    data la peculiarità del settore tessile, abbigliamento e calzature, la patrimonializzazione o capitalizzazione dei costi appare una scelta importante per le imprese impegnate nello sviluppo del campionario; il sostenimento di costi del processo di campionario infatti difficilmente potranno essere capitalizzati per gli esercizi successivi, oltre quello in cui verrà effettuata la produzione definitiva e saranno realizzati i relativi ricavi;
    secondo l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori – Isfol – il tessile-abbigliamento e il calzaturiero rappresenta un settore di specializzazione dell'economia italiana che, negli ultimi decenni, ha conosciuto un notevole ridimensionamento dovuto alla crescente concorrenza proveniente dalle economie emergenti (in particolare, da quelle asiatiche); tale ridimensionamento si è tradotto in una riduzione del peso sul prodotto interno lordo del settore, che dal 3 per cento di inizio anni novanta è sceso all'1,7 per cento, con la conseguente caduta anche del numero di occupati; nonostante questo ridimensionamento, il settore produce comunque quasi il 9 per cento del valore aggiunto industriale complessivo; data l'importanza del settore della moda in Italia, al fine di scongiurare un'ulteriore riduzione dell'attività produttiva e la perdita di altri posti di lavoro, risulta urgente porre in essere iniziative volte a valorizzare gli investimenti innovativi che vengono effettuati nel campo della moda per creare i nuovi campionari;
    è di tutta evidenza che l'incentivo fiscale che ha introdotto un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, previsto dalla legge di stabilità per il 2015, nonostante il tentativo da parte dell'amministrazione finanziaria di estendere quanto più possibile al settore tessile tale agevolazione, proprio per le caratteristiche specifiche degli investimenti, difficilmente capitalizzabili per gli esercizi successivi, si applichi in maniera del tutto residuale per i soggetti impiegati in tali settori, risultando in particolar modo penalizzate le imprese di medie e piccole dimensioni e quelle artigiane;
    specifiche agevolazioni per il settore tessile e della moda erano previste dall'articolo 4, commi da 2 a 4, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, che concedeva per l'anno 2010 un'agevolazione, sotto forma di detassazione del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzata alla realizzazione di campionari, a favore delle imprese operanti nelle divisioni 13 o 14 della tabella ATECO 2007,

impegnano il Governo

ad assumere le necessarie iniziative di carattere normativo volte a incentivare gli investimenti effettuati nella ricerca industriale e nello sviluppo precompetitivo, per la realizzazione di campionari nell'industria tessile e calzaturiera al fine di sostenere il settore della moda in Italia.
(7-01066) «Petrini, Benamati, Pelillo, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Lattuca».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    in Sardegna in appena 24 giorni di reale contrasto alle fiamme in Sardegna hanno bruciato ben 8.139 ettari contro i 6.067 dell'intero anno scorso, ovvero il 34 per cento in più;
    dato diventa ancora più chiaro se questo disastro si proietta per l'intera stagione;
    per dimostrare il fallimento della macchina organizzativa e imporre un rapido cambio di marcia bastano i dati forniti dalla regione: 8.139 ettari rasi al suolo di fatto dal 2 luglio ad oggi;
    il 34 per cento di ettari arsi dalle fiamme è un risultato che non può essere in alcun modo contrastato con quello che al firmatario del presente atto appaiono un'analisi da azzeccagarbugli rivolte a 45 anni fa;
    un governo regionale serio avrebbe dovuto, secondo il firmatario del presente atto, prendere atto degli errori e porre rimedio;
    il mal riuscito tentativo di nascondere la realtà dei fatti facendo passare la notizia che ci fosse una media in calo di superficie bruciata è ad avviso del firmatario del presente atto, segnale di inadeguatezza;
    non contano il numero di incendi, o la media della superficie bruciata per incendio;
    nella drammatica lotta agli incendi conta, purtroppo, la cifra assoluta della superficie bruciata;
    non solo non c’è stata nessuna riduzione di incendi ma vi è stato un incremento esponenziale che ha portato a un dato evidente: dal 2015 ad oggi c’è stato un +34 per cento di superfici percorse dalle fiamme;
    si tratta di un coordinamento fallimentare incapace di ascoltare le voci che hanno toccato lo sbandamento sul campo, le voci più provate di questa campagna antincendi, dai forestali ai volontari, dai vigili del fuoco alle forze dell'ordine;
    vi è l'esigenza immediata di un piano straordinario ed emergenziale che non si risolve con la guerra dei numeri ma con risposte concrete che devono arrivare in tempi urgenti;
    è evidente a tutti che, se il trend dovesse essere drammaticamente confermato, il risultato sarebbe una vera catastrofe che raddoppierebbe i danni degli anni passati;
    il solo fatto che si firmi con due mesi di ritardo una modesta convenzione con i vigili del fuoco e non si affronti l'incremento delle forze in campo per il presidio del territorio la dice lunga, secondo il firmatario del presente atto, sull'incapacità della regione di governare questa emergenza;
    è semplicemente scandaloso che siano stati tagliati ai già limitati 600.000 euro per la convenzione ai vigili del fuoco altri 170.000 euro per acquistare mezzi, tutto a scapito del personale che doveva essere necessariamente richiamato in servizio per coprire il maggior numero di ore di operatività;
    il tema vero è: presidio e tempestività d'intervento. Due elementi che non si garantiscono certo con il numero dei voli richiesti. Anzi, la richiesta di tanti voli dovrebbe far capire che serve più prevenzione e più tempestività a terra;
    l'estensione degli incendi è la diretta e proporzionale conseguenza della totale incapacità di mettere in campo un'organizzazione in grado di fronteggiare la drammatica situazione;
    in tutti i gravissimi incendi che hanno devastato la Sardegna viene ignorato il fattore tempo d'intervento che secondo tutti gli operatori sul campo è risultato decisivo per la corsa devastante delle fiamme, oltre alla mancata bonifica che ha consentito la reiterazione e l'aggravarsi del bilancio, vedasi il caso di Sedilo;
    operatori esperti hanno giudicato del tutto inconsistente la parte del coordinamento, come nelle scorse notti a Teti e dintorni;
    servono risposte immediate e concrete prima che sia davvero incontrovertibile una stagione devastante sul fronte dell'ambiente e della sicurezza;
    serve immediatamente un piano emergenziale che consenta in tempi immediati l'attivazione di uomini e mezzi in grado di fronteggiare con tutte le forze in campo la drammatica esclalation di incendi;
    sono cinque i punti del piano indispensabile per fronteggiare l'emergenza in Sardegna:
     1. Esercito in campo con uomini, mezzi a terra e elicotteri;
     2. Subito 1000 volontari in più nelle giornate più a rischio;
     3. Raddoppio risorse vigili del fuoco;
     4. Quanto ai barracelli, subito accordo per il presidio del territorio;
     5. Stop discriminazioni per i forestali;
    il primo obiettivo da perseguire è l'esercito subito in campo;
    prima di tutto occorre attivare un immediato rapporto con le forze militari perché possano essere vicine ai cittadini e alla comunità sarda. Si tratta di reiterare il positivo esperimento del 1995 ad Iglesias quando fu allestita la missione Fortza Paris per il presidio del territorio. In quell'occasione grazie all'ausilio di oltre 300 uomini e dei mezzi della Brigata Sassari fu scongiurato qualsiasi focolaio su tutto il territorio. Il dispiegamento in Sardegna da qui alla fine della campagna antincendio di non meno di mille uomini con mezzi a terra già disponibili in loco, significherebbe incrementare in modo considerevole il controllo del territorio prevenendo ogni tipo di focolaio. A questo si aggiunge che nella base di Teulada è dislocato da almeno due settimane un elicottero AB412 con capacità di sgancio di 1000 litri d'acqua. Ad oggi non risulta abbia fatto una sola ora di volo. Sono poi almeno una decina gli elicotteri dislocati nella base di Viterbo e inutilizzati tra AB412 e CH47. È impensabile che risorse così importanti e attivabili in brevissimo tempo, in meno di mezz'ora si allestisce un elicottero per l'antincendio, siano inutilizzate e parcheggiate. Serve, a partire da questo, rifunzionalizzare l'apporto dell'Esercito al servizio della comunità, dei cittadini e non in dispendiose esercitazioni militari fuori tempo e non più giustificate. L'elicottero dispiegato a Teulada per l'operazione Pasubio per la bonifica da ordigni deve essere messo a disposizione della lotta agli incendi. Mentre vanno riattivate le basi che erano già operative negli anni 2000 e trasferiti in Sardegna un numero di mezzi adeguato. Stesso dicasi per l'impiego di mezzi a terra che l'Esercito ha in abbondanza e che in questo periodo risultano inutilizzati;
    occorre perseguire un secondo obiettivo: volontari in campo con permessi per i lavoratori di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 2001 nelle giornate di dichiarato pericolo;
    serve dispiegare un numero maggiore di volontari nelle giornate a rischio. Per fare questo deve essere disposto l'ausilio del permesso retribuito attraverso l'attivazione delle misure di cui al decreto n. 194 che consente di rinunciare alla giornata di lavoro per essere impegnati sul fronte delle fiamme. In questo caso le 103 associazioni potrebbero tranquillamente disporre di non meno di mille persone in più e questo significherebbe capacità di prevenzione e pronto intervento;
    occorre prendere il raddoppio delle risorse necessarie a rafforzare rapporto dei vigili del fuoco alla campagna regionale antincendio;
    anche in questa fase i vigili del fuoco hanno garantito un presidio h24. Dispongono di pochi uomini e scarsi mezzi. Considerato il ruolo a cui sono stati chiamati è indispensabile che Stato e regione incrementino in modo decisivo le forze in campo. In questa direzione esistono i vigili in servizio e i potenziali discontinui. La cifra in campo di 600.000 euro è irrisoria, va quanto meno subito raddoppiata. Appare al firmatario del presente atto necessaria qualche prebenda in meno e qualche vigile del fuoco in più;
    occorre immediatamente perseguire un accordo con i barracelli per massimo presidio territorio;
    la drastica riduzione dell'apporto dei barracelli in questa campagna antincendi va affrontata in tempi immediati definendo a livello regionale una base d'intesa che consenta di dispiegarli in tempi rapidi su tutto il territorio regionale. Senza l'apporto di conoscenza del territorio che hanno sempre mostrato si rischia di perdere una forza decisiva da sempre nella lotta agli incendi;
    occorre che il Governo intervenga, attraverso il Ministro competente, per impedire discriminazioni retributive e previdenziali per gli operatori regionali dell'agenzia foresta già oggetto di atti di sindacato ispettivo;
    in questo contesto, seppur non sia mai venuto meno l'apporto decisivo, è indispensabile che tutte le forze regionali a tutela dell'ambiente e delle foreste non subiscano ulteriormente discriminazioni e trattamenti differenziati su contratti e previdenza per le quali si chiede l'intervento del governo che ha già impugnato la specifica legge di istituzione dell'agenzia Forestas,

impegna il Governo

   a promuovere, d'intesa con la regione Sardegna, un piano emergenziale urgente così come proposto in premessa, in particolar modo, con l'attivazione delle seguenti iniziative:
    a) dispiegamento dell'esercito con uomini e mezzi a terra, per il presidio e il pattugliamento del territorio, e l'ausilio di elicotteri per il contrasto diretto agli incendi;
    b) dispiegamento immediato di 1000 volontari in più nelle giornate più a rischio con l'utilizzo delle specifiche disposizioni relative al settore protezione civile;
    c) raddoppio delle risorse a servizio dei vigili del fuoco impegnati nella campagna antincendio;
    d) impiego organico e immediato del maggior numero di compagnie di barracelli per il presidio del territorio;
    e) intervento, in ambito previdenziale e a tutela dei lavoratori, per far cessare le discriminazioni e garantire un equo trattamento per i lavoratori impegnati nell'ambito forestale.
(7-01067) «Pili».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la struttura produttiva italiana è prevalentemente costituita da micro e piccole imprese, tipicamente di carattere famigliare, che rappresentano un elemento di forza e di caratterizzazione dell'economia italiana nel panorama internazionale;
    con riferimento alle venti prime economie mondiali, secondo i dati Ocse (2015), l'Italia ha una quota di occupati nelle micro e piccole imprese con nume di 20 addetti pari al 57,5 per cento, il doppio rispetto al 29 per cento della media. In Italia le piccole e medie imprese sono 4.222.442, rappresentano il 98,3 per cento delle imprese, danno lavoro a 9.197.217 addetti, generano 1.079 miliardi di euro di fatturato e producono valore aggiunto per 277,1 miliardi di euro;
    la minore dimensione delle imprese italiane, che è sempre stata un elemento positivo di traino dell'economia, rischia di divenire oggi una edizione di criticità per le stesse: se è vero che «piccolo è bello» è altrettanto vero che le piccole e medie imprese devono essere poste al centro di un intervento finalizzato alla rimozione degli ostacoli che ancora le tengono lontane dalla ripresa, dai spropositati oneri fiscali e burocratici alle difficoltà di accesso al credito bancario e d'ingresso nei mercati internazionali;
    le piccole e medie imprese sono l'espressione della cultura e delle tradizioni dei territori, le quali devono essere necessariamente conservate attraverso la tutela delle specificità locali e il sostegno alla penetrazione del marchio italiano nei mercati, sia europei che internazionali. In questa direzione vanno le diverse iniziative regionali attivate sul territorio nazionale, con particolare riferimento alla regione Lombardia, orientate a sostenere lo sviluppo delle aziende attraverso la creazione di un brand identificativo, da spendere in occasione di manifestazioni ed eventi, a supporto delle singole aziende locali che operano in tutti i settori collegati alla filiera rappresentata;
    la creazione di un marchio identificativo permette una maggiore valorizzazione delle produzioni locali sui mercati internazionali e, contemporaneamente, fornisce ai consumatori la certezza della provenienza dei prodotti e, quindi, la garanzia della loro qualità; lo stesso rappresenta anche un valido strumento per contrastare la diffusione di fenomeni come l’italian sounding che, soltanto in Lombardia, ogni anno, causa miliardi di euro di danni ad artigiani ed imprese;
    la valorizzazione delle eccellenze locali è anche l'obiettivo del progetto attivato dalla regione Piemonte, che diffonde l'identità del territorio attraverso il recupero di quelle realtà industriali ed artigianali che hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del territorio medesimo, caratterizzandone la storia, la cultura e le tradizioni;
    il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, all'articolo 30, disciplina il piano di promozione straordinaria del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia; il piano ha l'obiettivo di ampliare il numero delle micro e piccole imprese che operano sui mercati globali, permettendo un'espansione delle quote italiane del commercio internazionale al fine di incrementare i profitti delle aziende e valorizzare l'immagine del made in Italy nel mondo;
    le iniziative per la realizzazione di un marchio identificativo regionale hanno il potenziale di creare posti di lavoro nel breve-medio termine, con ricadute positive sul tessuto sociale ed economico del Paese, specie in quei territori, come quello lombardo, dove il tessuto produttivo è costituito per l'80 per cento da micro aziende, le quali sono fortemente radicate nel territorio, rappresentandone la storia e le tradizioni,

impegna il Governo:

   ad adottare, nell'ambito del piano di promozione straordinaria del made in Italy, specifiche iniziative per favorire l'inserimento delle micro imprese locali nel mercato globale, in particolare, attraverso la promozione delle singole realtà imprenditoriali presso le più rilevanti manifestazioni fieristiche di livello internazionale, mediante l'utilizzo di uno stand collettivo e di un brand identificativo, a sostegno delle micro imprese e dei loro investimenti;
   ad adottare iniziative per definire più stringenti disposizioni di contrasto ai fenomeni della contraffazione, con particolare riferimento all’italian sounding, anche supportando specifici progetti, attivati a livello regionale, per la creazione di appositi marchi di riconoscimento, a garanzia dell'origine e della qualità delle produzioni locali.
(7-01065) «Allasia, Grimoldi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il prezzo dei cereali continua a scendere e adesso un quintale di grano duro vale il prezzo di una, al massimo due pizze: 24 euro sul mercato di Bologna, riferimento per il Nord Italia, 19 euro su quello di Foggia, il più importante del Mezzogiorno, più o meno la metà delle quotazioni di fine 2014;
    il caso del Sud è il più preoccupante: nell'ultima seduta di giugno 2016, la commissione prezzi della Camera di commercio di Foggia non ha prudentemente quotato il grano che veniva scambiato, la settimana prima, a 16 euro al quintale;
    il 13 luglio 2016, le associazioni di categoria Cia, Confagricoltura e Copagri hanno organizzato una manifestazione di protesta dal titolo «Grano Amaro», in cui è stato sottolineato che oggi il valore del frumento è lo stesso di 25 anni fa (negli anni Novanta un quintale di grano veniva pagato 30 mila lire, l'equivalente di 15 euro, mentre oggi appena 20 euro);
    per i consumatori i potenziali effetti negativi sono due: c’è il rischio, per Confagricoltura, che dal prossimo anno sia sempre meno la pasta made in Italy, fatta con grano italiano; per Coldiretti, che si allarghi la forchetta, già elevata, del prezzo che dal grano al pane cresce dell'1,450 per cento e dal grano alla pasta del 400 per cento;
    il 20 luglio 2016, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha reso noto che si è svolta a Roma la riunione del tavolo nazionale della filiera cerealicola. L'incontro, presieduto dal Ministro Maurizio Martina, ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle regioni, delle organizzazioni agricole e della cooperazione, delle imprese di trasformazione, di commercializzazione e dell'industria mangimistica;
    in particolare, sono state 6 le azioni del Ministero presentate alla filiera: fondo da 10 milioni di euro inserito nel decreto-legge «enti locali» (si tratta di un primo stanziamento per dare avvio a un organico piano nazionale cerealicolo e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100 per cento italiano); creazione di una Cun (Commissione unica nazionale) per il grano duro (l'obiettivo è favorire il dialogo interprofessionale e rendere più trasparente la formazione del prezzo); conferma degli aiuti accoppiati europei Pac per il frumento che equivalgono a circa 70 milioni di euro all'anno fino al 2020 per quasi 500 milioni investiti nei 7 anni di programmazione; rafforzamento dei contratti di filiera, per proseguire negli investimenti che hanno visto 50 milioni di euro impiegati dalla filiera cerealicola (i nuovi bandi in autunno prevedono un budget totale di 400 milioni di euro (metà in conto capitale e metà in conto interessi) ai quali potranno attingere anche i progetti legati al grano); marchio unico volontario per grano e prodotti trasformati per dare maggiore valore al grano di qualità certificata, che rispetti il disciplinare del sistema di qualità della produzione integrata e risponda a determinati requisiti organolettici; sperimentazione dalla prossima campagna di un nuovo strumento assicurativo per garantire i ricavi dei produttori proteggendoli dalle eccessive fluttuazioni di mercato, come si legge sul sito del Ministero,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti volte a superare la crisi del mercato del grano duro in Italia, dando immediata attuazione al piano cerealicolo nazionale;
   a garantire una maggiore coerenza e trasparenza relativa alla formazione del prezzo del grano attraverso la rapida istituzione della Commissione unica nazionale per il grano duro alla presenza di tutti i rappresentanti di settore;
   a valorizzare la filiera di settore, tutelando in particolare il sistema organizzato della pasta made in Italy;
   a favorire una maggiore aggregazione dell'offerta così da portare i consorzi agrari a svolgere il loro ruolo in materia di stoccaggio del prodotto, scoraggiando comportamenti di tipo speculativo e anticoncorrenziale;
   a incentivare accordi e contratti di filiera capaci di garantire una più equa redistribuzione del valore, così da ottenere la massima trasparenza nella formazione del prezzo;
   ad assumere le iniziative di competenza per correggere i comportamenti di tipo speculativo del mercato, considerando che il cibo è un bene essenziale alla vita;
   a valutare l'introduzione di misure di tutela nei mercati interni del settore agricolo, in modo da tutelare anche la sicurezza alimentare nazionale e in particolare specifici territori da sempre a vocazione rurale.
(7-01068) «Zaccagnini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'accordo sulle misure dello stato di approdo (Port State Measures Agreement – PSMA, l'acronimo inglese) – entrato in vigore il 5 giugno 2016 – è il primo trattato internazionale che ha l'obiettivo di contrastare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata;
    oltre 30 Paesi, inclusa l'Unione europea con 28 Paesi membri, hanno sottoscritto l'accordo; altri Paesi hanno iniziato il processo di adesione; complessivamente, i 29 Paesi e l'Unione europea (che ha firmato come soggetto unico) nel 2013 rappresentavano circa il 62 per cento delle importazioni ed il 48 per cento delle esportazioni mondiali di pesce, per un valore totale di 133 miliardi di dollari e 139 miliardi di dollari rispettivamente; a livello globale, la Fao stima che la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) raggiunga all'incirca 26 milioni di tonnellate, per un valore di quasi 23 miliardi di dollari; la pesca IUU non solo mette a rischio gli ecosistemi, ma minaccia il reddito e la sussistenza dei pescatori e la sicurezza alimentare di milioni di persone nel mondo;
    l'applicazione dell'accordo – molto complessa in particolare per i piccoli Paesi insulari e per quelli in via di sviluppo – potrà contare sul sostegno finanziario e sull'assistenza dei Paesi sottoscrittori e della Fao, che ha promosso l'accordo sin dal 2009 e che ha istituito ad hoc un programma di cooperazione tecnica interregionale e un programma ombrello di sviluppo delle capacità a livello globale per aiutare i Paesi a gestire gli aspetti logistici, legislativi e legali necessari per mettere in atto l'accordo; il PSMA, richiede alle imbarcazioni da pesca di accettare ispezioni ad ogni porto di scalo e ai porti – a loro volta – di condividere le informazioni relative ad eventuali violazioni; in tal modo si contrasta in modo efficace la pesca illegale, impedendo lo sbarco e il collocamento sui mercati dei prodotti pescati illegalmente, mentre le regole internazionali in vigore prima dell'accordo si limitavano a vincolare i singoli Paesi al monitoraggio della propria flotta;
    la pesca è una risorsa alimentare strategica, per tutti i continenti, in particolare per l'Africa; la pesca eccessiva e incontrollata mette a rischio la sicurezza alimentare sostenibile; poiché più della metà di tutte le esportazioni di prodotti ittici, arriva da Paesi in via di sviluppo, la pesca incide inoltre in misura significativa – in termini di ricavi – sulla bilancia commerciale di questi Paesi, e per queste ragioni è importante una gestione oculata e sostenibile delle risorse ittiche;
    l'accordo è un forte deterrente alla pesca illegale: prevede che le parti stabiliscano porti riservati alle navi straniere, che devono richiedere in anticipo il permesso ad entrare nei porti – anche solo per il rifornimento – e dare alle autorità locali le informazioni richieste, permettendo l'ispezione dei libri contabili, delle licenze, delle attrezzature e del pescato a bordo;
    l'Unione europea ha riformato le proprie politiche ittiche nel 2013, con l'obiettivo di assicurare la sostenibilità ambientale, economica e sociale di pesca e acquacoltura, anche di frutti di mare (l'Unione europea è uno dei maggiori mercati di consumo di frutti di mare; nella filiera di fornitura le importazioni hanno un ruolo rilevante); l'Unione europea è da tempo attiva nel contrasto alla pesca illegale e alle frodi ittiche; il 2 marzo 2016, il Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, in risposta ad un'interrogazione, ha sottolineato che nel 2015 la Commissione ha organizzato un piano coordinato di controllo UE per accertare talune pratiche fraudolente nella commercializzazione dei prodotti ittici, con test su circa 4.000 campioni prelevati nelle diverse fasi della filiera di produzione; sono in programma verifiche negli Stati membri sull'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti ittici e campagne di sensibilizzazione sui requisiti per l'etichettatura; per quanto riguarda la tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura e la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori il quadro vigente è stabilito dal regolamento (UE) n. 1379/2013 e dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
    la relazione controllo pesca 2014 della Guardia costiera presso il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto ha rilevato un elevato numero di irregolarità nell'ambito degli scambi commerciali dei prodotti ittici, dalla cattura al consumatore finale, e nella fase di approvvigionamento dall'estero di pescato destinato ai mercati nazionali; l'analisi e la conoscenza delle frodi nel settore e l'azione di contrasto del corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera è particolarmente rilevante ed incisiva grazie alla capillare presenza della Guardia costiera lungo gli 8.000 chilometri di costa;
    il più elevato numero d'irregolarità sono state riscontrate nella fase di commercializzazione e in particolare nella tracciabilità, nella pesca illegale e nel settore della conservazione dei prodotti presso depositi e magazzini di stoccaggio;
    l'Italia importa circa il 70 per cento del prodotto ittico; molte delle violazioni riguardano specie ittiche commercializzate come prodotti freschi dei nostri mari che in realtà provengono da mari lontani e sono scongelati; in applicazione del Regolamento (CE) 1379/2013, il Corpo delle capitanerie è riuscito a risalire lungo l'intera filiera di distribuzione rilevando, tra l'altro, vere e proprie forme di concorrenza sleale con effetti a cascata sui redditi di onesti operatori che rispettano le norme e tutelano gli stock ittici;
    molte delle violazioni che riguardano il prodotto ittico sono state rilevate nella ristorazione: le principali frodi riguardano lo stato di conservazione del prodotto ittico congelato servito come fresco ai clienti;
    negli esercizi commerciali – sia all'ingrosso, che al dettaglio – altre violazioni riguardano l'assenza di elementi essenziali per la tracciabilità del prodotto che rendono impossibile risalire la filiera fino al primo fornitore; in questo caso si prospetta, oltre alla violazione di disposizioni amministrative, anche un serio pericolo per il consumatore soprattutto nel caso dei molluschi bivalvi provenienti da campi mitili abusivi in acque non certificate venduti senza essere sottoposti alle prassi igieniche di stabulazione e depurazione necessarie per evitare rischi per la salute umana;
    l'operazione «LABYRINTH», che ha interessato tutto il territorio nazionale, tra dicembre 2014 e gennaio 2015, condotta dalla Guardia costiera e coordinata dal Comando Generale, ha rilevato che il maggior numero di violazioni accertate riguardano la normativa sull'etichettatura e sulla tracciabilità del prodotto ittico, nonostante i nuovi sistemi di tracciabilità del pescato contribuiscano a promuovere il prodotto locale, pescato nel Mediterraneo, nell'ambito della più ampia salvaguardia del prodotto «made in Italy» apprezzato in tutto il mondo; la medesima operazione ha rilevato molte altre frodi frequenti nel settore ittico: la pesca in zone vietate, la cattura di novellame, gli impianti abusivi, i prodotti in cattivo stato di conservazione; la commercializzazione di prodotto sotto la taglia minima di cattura; il depauperamento delle risorse marine; lo stoccaggio e il deposito in violazione delle norme igienico-sanitarie; la violazione delle norme a tutela delle specie protette, come il dattero di mare la cui raccolta determina conseguenze estremamente dannose per le scogliere rocciose dove vive il mollusco; complessa, onerosa e impegnativa si è rivelata – secondo quanto segnalato dal rapporto della Guardia costiera – la verifica delle catture allo sbarco e nelle varie fasi di commercializzazione del tonno rosso, specie sottoposta a piano di ricostituzione da parte dell'ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna), ma anche del pesce spada e dei piccoli pesci pelagici nel mare Adriatico, con l'applicazione dello specifico piano di ispezione e controllo (SCIP) della Commissione europea, che ha coinvolto tutti gli Stati dell'Unione europea interessati da tali tipologie di pesca;
    particolarmente importante il monitoraggio e la repressione della pesca con attrezzi da posta derivanti che, soprattutto in talune zone di mare, come il Tirreno meridionale ed il Canale di Sicilia, ha richiesto un impiego costante dei velivoli della Guardia costiera, con a bordo personale specializzato nella lotta alla pesca illegale in appoggio a operazioni navali di identificazione di pescherecci che praticano tale pesca illegale, finalizzate al sequestro/confisca dei cosiddetti «muri della morte»;
    il capo IV del regolamento n. 1379/2013 ha stabilito le nuove norme sull'informazione dei consumatori, applicate a decorrere dal 13 dicembre 2014; in particolare, l'articolo 35 del regolamento n. 1379/2013 prevede che, fatto salvo il regolamento (UE) n. 1169/2011, i prodotti della pesca e dell'acquacoltura commercializzati nell'Unione, indipendentemente dall'origine e dal loro metodo di commercializzazione, possono essere offerti per la vendita al consumatore finale o a una collettività solo a condizione che un contrassegno o un'etichettatura adeguati segnali, in aggiunta a quanto deve essere indicato sulla base della normativa previgente, la categoria di attrezzi da pesca usati nella cattura; l'eventuale scongelamento del prodotto; il termine minimo di conservazione, se appropriato; il citato regolamento n. 1169/2013 contiene, all'articolo 10, la previsione di ulteriori indicazioni obbligatorie complementari, per tipi o categorie specifici di alimenti previsti dall'allegato III allo stesso regolamento n. 1169, tra cui i prodotti non trasformati a base di pesce congelato che devono obbligatoriamente segnalare la data di congelamento o la data del primo congelamento, per i prodotti che sono stati congelati più di una volta;
    grazie a un'intensissima e costante attività di monitoraggio, verifica e sequestro di attrezzi illegali da parte della Guardia Costiera, nel 2014 è stata finalmente chiusa la procedura d'infrazione contro lo Stato italiano, per l'uso indiscriminato delle reti da posta derivanti, cosiddette «spadare» e «ferrettare irregolari», uno strumento di cattura poco selettivo che colpisce anche specie protette come cetacei, squali e tartarughe; il corpo della Guardia Costiera ha partecipato, con i propri mezzi aeronavali, alle attività operative pianificate nell'ambito del JDP (Joint Deployment Plan) per la verifica del rispetto delle catture, dei periodi di divieto, del volume massimo di catture e delle successive fasi di commercializzazione del tonno rosso, coordinandosi con l'Agenzia europea per il controllo della pesca (EFCA) nell'attività di controllo congiunta per lo stesso tonno rosso, il pesce spada nel Mediterraneo ed i piccoli pelagici nel mare Adriatico;
    l'impiego nel controllo e monitoraggio della filiera del tonno rosso, di un sistema elettronico nazionale (software di validazione del BCD (Bluefin tuna catch document), ideato e realizzato dal Comando Generale, aiuta a monitorare la pesca e a limitare le attività irregolari nei nostri mari,

impegna il Governo:

   a favorire le attività di contrasto della pesca illegale e delle frodi ittiche delle Capitanerie di porto mediante il coordinamento delle azioni messe in atto da Carabinieri, dal Corpo forestale dello Stato (anche in ragione del processo di rafforzamento della struttura d'intervento nel settore, in esito all'accorpamento) nonché dalla Guardia di finanza;
   a rafforzare i controlli sui flussi di importazione dei prodotti ittici attraverso l'analisi doganale d'ingresso in modo da monitorare l'operatività dei principali soggetti;
   ad assumere iniziative per garantire il rispetto delle disposizioni sull'etichettatura e, in generale, di tutte le disposizioni utili a valutare la qualità del prodotto pescato che rappresentano il momento fondamentale per la tutela della salute e la scelta consapevole dell'acquirente;
   a promuovere e favorire l'effettiva e diffusa applicazione del capo IV del regolamento n. 1379/2013 e le norme sull'informazione dei consumatori, in modo da garantire sia la qualità del prodotto, sia la capacità di scelta del consumatore sul mercato;
   ad assicurare il pieno ed adeguato impiego delle risorse del fondo per le attività marittime e per la pesca (FEAMP), in particolare dei fondi dedicati alle attività di controllo sulla filiera di pesca;
   ad assumere iniziative per prevenire gli illeciti, con misure a favore degli operatori della filiera della pesca, implementando gli interventi previsti dal regolamento n. 1379/13 «organizzazione comune dei mercati» e dal regolamento n. 1380/13 «nuova politica comune della pesca», al fine di adeguare il comparto alle nuove procedure e ai nuovi strumenti tecnologici impiegati, in applicazione della normativa europea, con strumenti snelli, veloci e fruibili in modo agevole.
(7-01069) «Venittelli, Crivellari, Arlotti, Mongiello, Carra, Ribaudo, D'Incecco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai livelli essenziali di assistenza – in attesa della sola approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze – si deduce che, se non verranno apportate giuste modifiche al testo, le cure palliative non rientreranno fra le discipline la cui presenza è garantita negli ospedali;
   pertanto il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri apparirebbe per gli interroganti in contrasto con la legge n. 38 del 2010 – legge che non prevede che le cure palliative siano solo territoriali – ma anzi le garantisce anche a livello ospedaliero, in aderenza alle esigenze di cura della sofferenza dei pazienti, in ogni fase sintomatica delle gravi malattie, quindi dall'esordio sino alla terminalità, non escludendo le sempre più lunghe e complesse fasi di trattamento della malattia di base, con specifico riferimento alla «continuità assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio» (legge n. 38 del 2010, articolo 2, 1d);
   peraltro, la corretta interpretazione in tal senso della legge n. 38 del 2010 e dei successivi decreti applicativi, veniva anche stigmatizzata dallo stesso Ministero della salute nel Position Paper prodotto nell'arco del semestre di presidenza europea del 2014 «Cure Palliative, cure palliative pediatriche, terapia del dolore» nel quale al paragrafo 2, si ricordava che «l'eccellenza italiana si concretizza... nella Rete regionale delle cure palliative (...) con integrazione e interoperabilità tra ospedali per acuti, MMG, servizi domiciliari»;
   quindi, con l'applicazione del nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai livelli essenziali di assistenza le persone affette da gravi patologie potranno effettuare le loro cure nelle fasi di acuzie presso le strutture ospedaliere, ma rischieranno di non vedersi riconosciuto contestualmente il diritto alle cure palliative per controllare la prolungata sofferenza che è spesso presente in tali frangenti;
   va ricordato infatti che tali pazienti potranno appropriatamente accedere alla alta intensità assistenziale propria delle cure palliative territoriali (domiciliari e/o residenziali in Hospice, ovviamente maggiormente costose del livello ospedaliero consulenziale e ambulatoriale), solo se queste si rendono effettivamente necessarie, ovvero quando, oltre all'assenza di ulteriori cure disponibili per il trattamento eziologico della malattia di base (oncologica e non), il livello di disabilità e la perdita di autonomia, correlata anche all'elevata sofferenza, siano tali da non consigliare più spostamenti rilevanti al malato;
   di fatto, per migliorare le condizioni del paziente sofferente che necessita di cure palliative anche durante le fasi di trattamento delle gravi malattie, sarebbe opportuno prevedere esplicitamente anche negli «standard ospedalieri», il diritto alla palliazione della sofferenza in ogni fase di malattia in aderenza ai dettami della citata legge n. 38 del 2010, garantendo esplicitamente anche a livello ospedaliero la medicina palliativa, ove sarebbe soprattutto utile almeno in regime consulenziale ed ambulatoriale – in parallelo o in concomitanza al trattamento specialistico della patologia in essere, al fine anche di migliorare la sinergia delle cure;
   peraltro quando si rilevano intensi, la sofferenza ed il dolore nelle gravi malattie, costituiscono una emergenza medica ed il cittadino-paziente ha il diritto di vederne garantita la corretta risoluzione anche all'interno dell'ospedale laddove dunque dovrebbe sempre essere garantita la presenza del palliativista, in grado di affrontare celermente tali evenienze, quale figura medica in forza all'ospedale, disponibile prontamente a livello consulenziale per i vari reparti e per il pronto soccorso;
   tale attività ospedaliera di medicina palliativa, volta a ridurre il livello di sofferenza inutile dei malati affetti da gravi patologie, avrebbe certamente costi molto modesti, rispetto agli importanti risparmi attesi, in termini di minori accessi ospedalieri successivi, essendo la sofferenza non controllata fra i più frequenti motivi di accesso dei pazienti pronto soccorso, esitanti spesso in successivi ricoveri che sarebbero stati evitabili;
   nell'allegato 4 allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato sono istituite le codifiche per la prima visita di cure palliative prevista solo come multidisciplinare con contestuale redazione di PAI (cod 89.07.A) e poi per la visita di controllo di cure palliative includente la revisione del PAI (cod 89.01.R);
   ad un attento esame appare forse presente una certa confusione fra la realtà della presa in carico palliativa territoriale (intesa come domiciliare e residenziale), che per sua stessa natura è generalmente attuata con una prima visita a domicilio od in Hospice effettuata in équipe multidisciplinare e multiprofessionale (Medico, Infermiere, Oss, e altro) ed invece la realtà delle cure palliative ambulatoriali, ove anche la prima visita si svolge usualmente in modalità monoprofessionale effettuata dal solo medico palliativista;
   infatti, il malato viene inviato in ambulatorio solo per la prima insorgenza di sintomi non controllati – generalmente ancora abbastanza lontani dalla fase terminale di malattia –, necessitanti dell'appropriato trattamento terapeutico progressivo, solitamente antalgico, attuato dal medico palliativista con la prima visita e poi con il monitoraggio nelle visite di controllo;
   in tali visite ambulatoriali non è necessario e pertanto non viene stabilito alcun Piano assistenziale individuale, strumento in uso semmai nella citata presa in carico domiciliare o residenziale e peraltro più adatto all'ambito geriatrico ove il paziente ha una certa stabilità clinica;
   quale ulteriore elemento che può aver indotto alla redazione delle codifiche improprie, va menzionata l'esistenza, seppur molto rara di ambulatori congiunti di « simultaneous care» in cui la visita viene effettuata congiuntamente dal medico palliativista e dallo specialista che si occupa della grave malattia di base del paziente, in genere oncologo, ma si tratta di casi molto particolari o di sperimentazioni, che potrebbero quindi beneficiare della codifica di prima visita multidisciplinare di CP, ma non per le successive di controllo e non della realtà normalmente presente;
   pertanto, le codifiche stabilite per le visite ambulatoriali non appaiono aderenti alla realtà, non essendo di fatto multidisciplinare la prima visita di cure palliative e non portando alla redazione di un piano assistenziale individuale, mentre la visita di controllo di cure palliative pur risultando correttamente individuata come non multidisciplinare, prevederebbe però la revisione del piano assistenziale individuale, che, come già detto, non è strumento in uso a livello ambulatoriale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se, considerato che nei prospettati nuovi livelli essenziali di assistenza risultano assenti e quindi negate al paziente le cure palliative ospedaliere, e ciò per gli interroganti in contrasto con la legge n. 38 del 2010 – non si intendano assumere iniziative per procedere con la modifica dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di inserire cure le cure palliative ospedaliere in particolare, prevedendo l'inserimento almeno dell'ambito consulenziale e la correzione delle codifiche di quello ambulatoriale;
   quale sia la motivazione che impone – come risulta nell'allegato 4 allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – la esclusiva codifica multidisciplinare come sola possibilità per effettuare la prima visita di cure palliative non prevedendo invece la codifica per quella che risulta realmente essere la usuale prima visita ambulatoriale palliativistica monodisciplinare;
   quale sia la motivazione che impone, nella vista ambulatoriale palliativistica, la redazione e poi la verifica del piano assistenziale individuale, laddove tale strumento, volendolo usare, risulta fruibile solo nella presa in carico domiciliare o residenziale di cure palliative per la pianificazione delle modalità di raggiungimento degli obiettivi assistenziali e prevede peraltro necessariamente il contestuale intervento dell'intera équipe di assistenza sia nella redazione che nella revisione, comunque non possibile nell'organizzazione normale delle visite ambulatoriali;
   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per garantire al meglio le cure palliative anche ai pazienti sofferenti acuti presenti negli ospedali;
   se si intenda chiarire la codifica delle visite ambulatoriali in aderenza alla realtà attuale, al fine di garantire ai pazienti le idonee cure palliative di cui necessitano. (5-09271)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Sardegna in appena 24 giorni di reale contrasto alle fiamme in Sardegna hanno bruciato ben 8.139 ettari contro i 6.067 dell'intero anno scorso, ovvero il 34 per cento in più;
   il dato diventa ancora più chiaro se questo disastro si proietta per l'intera stagione;
   per dimostrare il fallimento della macchina organizzativa e imporre un rapido cambio di marcia bastano i dati forniti dalla regione: 8.139 ettari rasi al suolo di fatto dal 2 luglio 2016 ad oggi;
   il 34 per cento di ettari arsi dalle fiamme è un risultato che non può essere in alcun modo contrastato con quelle che all'interrogante appaiono analisi da azzeccagarbugli rivolte a 45 anni fa;
   un governo regionale serio avrebbe dovuto, secondo l'interrogante, prendere atto degli errori e porre rimedio;
   il mal riuscito tentativo di nascondere la realtà dei fatti facendo passare la notizia che ci fosse una media in calo di superficie bruciata è ad avviso dell'interrogante segnale di inadeguatezza;
   non contano il numero di incendi, o la media della superficie bruciata per incendio;
   nella drammatica lotta agli incendi conta, purtroppo, la cifra assoluta della superficie bruciata;
   non solo non c’è stata nessuna riduzione di incendi, ma vi è stato un incremento esponenziale che ha portato a un dato evidente: dal 2015 ad oggi c’è stato un + 34 per cento di superfici percorse dalle fiamme;
   si tratta di un coordinamento fallimentare incapace di ascoltare le voci che hanno toccato lo sbandamento sul campo, le voci più provate di questa campagna antincendi, dai forestali ai volontari, dai vigili del fuoco alle forze dell'ordine;
   vi è l'esigenza immediata di un piano straordinario ed emergenziale che non si risolve con la guerra dei numeri ma con risposte concrete che devono arrivare in tempi urgenti;
   è evidente a tutti che, se il trend dovesse essere drammaticamente confermato, il risultato sarebbe una vera catastrofe che raddoppierebbe i danni degli anni passati;
   il solo fatto che si firmi con due mesi di ritardo una modesta convenzione con i vigili del fuoco e non si affronti l'incremento delle forze in campo per il presidio del territorio la dice lunga, secondo l'interrogante, sull'incapacità della regione di governare questa emergenza;
   è semplicemente scandaloso che siano stati tagliati ai già limitati 600.000 euro per la convenzione ai vigili del fuoco altri 170.000 euro per acquistare mezzi, tutto a scapito del personale che doveva essere necessariamente richiamato in servizio per coprire il maggior numero di ore di operatività;
   il tema vero è: presidio e tempestività d'intervento. Due elementi che non si garantiscono certo con il numero dei voli richiesti. Anzi, la richiesta di tanti voli dovrebbe far capire che serve più prevenzione e più tempestività a terra;
   l'estensione degli incendi è la diretta e proporzionale conseguenza della totale incapacità di mettere in campo un'organizzazione in grado di fronteggiare la drammatica situazione;
   in tutti i gravissimi incendi che hanno devastato la Sardegna viene ignorato il fattore tempo d'intervento che secondo tutti gli operatori sul campo è risultato decisivo per la corsa devastante delle fiamme, oltre alla mancata bonifica che ha consentito la reiterazione e l'aggravarsi del bilancio, vedasi il caso di Sedilo;
   operatori esperti hanno giudicato del tutto inconsistente la parte del coordinamento, come nelle scorse notti a Teti e dintorni;
   servono risposte immediate e concrete prima che sia davvero incontrovertibile una stagione devastante sul fronte dell'ambiente e della sicurezza;
   serve immediatamente un piano emergenziale che consenta in tempi immediati l'attivazione di uomini e mezzi in grado di fronteggiare con tutte le forze in campo la drammatica escalation di incendi;
   sono cinque i punti del piano indispensabili per fronteggiare l'emergenza in Sardegna:
    1) Esercito in campo con uomini, mezzi a terra ed elicotteri;
    2) subito 1000 volontari in più nelle giornate più a rischio;
    3) raddoppio risorse vigili del fuoco;
    4) quanto ai barracelli subito accordo per il presidio del territorio;
    5) stop alle discriminazioni per i forestali;
   il primo obiettivo da perseguire è l'esercito subito in campo;
   prima di tutto occorre attivare un immediato rapporto con le forze militari perché possano essere vicine ai cittadini e alla comunità sarda. Si tratta di reiterare il positivo esperimento del 1995 ad Iglesias quando fu allestita la missione Fortza Paris per il presidio del territorio. In quell'occasione grazie all'ausilio di oltre 300 uomini e dei mezzi della Brigata Sassari fu scongiurato qualsiasi focolaio su tutto il territorio. Il dispiegamento in Sardegna da qui alla fine della campagna antincendio di non meno di mille uomini con mezzi a terra già disponibili in loco, significherebbe incrementare in modo considerevole il controllo del territorio prevenendo ogni tipo di focolaio. A questo si aggiunge che nella base di Teulada è dislocato da almeno due settimane un elicottero AB412 con capacità di sgancio di 1000 litri d'acqua. Ad oggi non risulta abbia fatto una sola ora di volo. Sono poi almeno una decina gli elicotteri dislocati nella base di Viterbo e inutilizzati tra AB412 e CH47. È impensabile che risorse così importanti e attivabili in brevissimo tempo, in meno di mezz'ora si allestisce un elicottero per l'antincendio, siano inutilizzate e parcheggiate. Serve, a partire da questo, rifunzionalizzare l'apporto dell'Esercito al servizio della comunità, dei cittadini e non in dispendiose esercitazioni militari fuori tempo e non più giustificate. L'elicottero dispiegato a Teulada per l'operazione Pasubio per la bonifica da ordigni deve essere messo a disposizione della lotta agli incendi, mentre vanno riattivate le basi che erano già operative negli anni 2000 e trasferiti in Sardegna un numero di mezzi adeguato. Stesso dicasi per l'impiego di mezzi a terra che l'Esercito ha in abbondanza e che in questo periodo risultano inutilizzati;
   occorre perseguire un secondo obiettivo: volontari in campo con i permessi per i lavoratori di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 2001 nelle giornate di dichiarato pericolo;
   serve dispiegare un numero maggiore di volontari nelle giornate a rischio. Per fare questo deve essere disposto l'ausilio del permesso retribuito attraverso l'attivazione delle misure di cui al decreto n. 194 che consente di rinunciare alla giornata di lavoro per essere impegnati sul fronte delle fiamme. In questo caso le 103 associazioni potrebbero tranquillamente disporre di non meno di mille persone in più e questo significherebbe capacità di prevenzione e pronto intervento;
   occorre prendere il raddoppio delle risorse necessarie a rafforzare l'apporto dei vigili del fuoco alla campagna regionale antincendio;
   anche in questa fase i vigili del fuoco hanno garantito un presidio h24. Dispongono di pochi uomini e scarsi mezzi. Considerato il ruolo a cui sono stati chiamati è indispensabile che Stato e regione incrementino in modo decisivo le forze in campo. In questa direzione esistono i vigili in servizio e i potenziali discontinui. La cifra in campo di 600.000 euro è irrisoria, va quanto meno subito raddoppiata. Appare all'interrogante necessaria qualche prebenda in meno e qualche vigile del fuoco in più;
   occorre immediatamente perseguire un accordo con i barracelli per il massimo presidio del territorio;
   la drastica riduzione dell'apporto dei barracelli in questa campagna antincendi va affrontata in tempi immediati definendo a livello regionale una base d'intesa che consenta di dispiegarli in tempi rapidi su tutto il territorio regionale. Senza l'apporto di conoscenza del territorio che hanno sempre mostrato si rischia di perdere una forza decisiva da sempre nella lotta agli incendi;
   occorre che il Governo intervenga, attraverso il Ministro competente, per impedire discriminazioni retributive e previdenziali per gli operatori regionali dell'Agenzia Forestas già oggetto di atti di sindacato ispettivo;
   in questo contesto, seppur non sia mai venuto meno l'apporto decisivo, è indispensabile che tutte le forze regionali a tutela dell'ambiente e delle foreste non subiscano ulteriormente discriminazioni e trattamenti differenziati su contratti e previdenza per le quali si chiede l'intervento del Governo che ha già impugnato la specifica legge di istituzione dell'agenzia Forestas –:
   se non intenda il Governo promuovere, d'intesa con la regione Sardegna, un piano emergenziale urgente prevedendo l'attivazione delle seguenti iniziative:
    a) dispiegamento dell'Esercito con uomini e mezzi a terra, per il presidio e il pattugliamento del territorio, e l'ausilio di elicotteri per il contrasto diretto agli incendi;
    b) dispiegamento immediato di 1000 volontari in più nelle giornate più a rischio con l'utilizzo delle specifiche disposizioni relative al settore della protezione civile;
    c) raddoppio delle risorse a servizio dei vigili del fuoco impegnati nella campagna antincendio;
    d) impiego organico immediato del maggior numero possibile di compagnie di barracelli per il presidio territorio;
    e) intervento, in ambito previdenziale e a tutela dei lavoratori, per far cessare le discriminazioni e garantire un equo trattamento dei lavoratori impegnati nell'ambito forestale. (5-09273)


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, MICILLO e CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi, in due distinte date, il 23 marzo e il 23 maggio 2016, sono stati pubblicati sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri due bandi di gara dal medesimo oggetto «Realizzazione di un servizio di monitoraggio dell'opinione pubblica in merito all'attività e alle decisioni del governo, da svolgersi con i sistemi di rilevazione CATI, GAWL nonché con l'analisi testuale dei social network»;
   il primo, con un valore presunto dell'appalto di 120.000 euro, è stato pubblicato per conto del dipartimento per l'informazione e l'editoria — ufficio per le attività di informazione e comunicazione istituzionale, il secondo, con un valore presunto d'appalto di 65.000 euro, per conto dell'ufficio del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la procedura di evidenza pubblica avviata dal dipartimento per l'informazione e l'editoria è stata già esperita, con l'aggiudicazione della gara da parte dell'impresa SWG s.p.a., per un importo di 107.000 euro, mentre la seconda procedura sarebbe ancora in corso e vedrebbe la partecipazione di sette imprese;
   è il caso di rilevare che le attività di ricerca, sondaggio e marketing, volte a conoscere l'opinione dei cittadini in merito alle attività degli organi di governo e vertici delle pubbliche amministrazioni, molto spesso rischiano di trasformarsi o confondersi con gli strumenti volti alla creazione del consenso politico;
   in tal senso, alcuni organi di stampa avrebbero collegato i due procedimenti all'imminente appuntamento referendario sulla riforma costituzionale, anche in considerazione degli esiti negativi delle recenti consultazioni amministrative per alcuni partiti di Governo;
   in particolare, alcuni avrebbero anche sostenuto che «Il legittimo sospetto, a questo punto, è che ci sia l'intenzione di arrivare a ottobre “preparati” sul gradimento del Governo. E il tutto, ovviamente, a spese nostre. Già, perché andando a leggere i capitolati dei due bandi, ci si rende conto di come si voglia monitorare l'opinione pubblica a 360 gradi»;
   se questa ipotesi si rivelasse vera, le attività di sondaggio commissionate dalla Presidenza del Consiglio del ministri risulterebbero ben lontane dagli strumenti di citizen satisfaction che con sempre maggiore frequenza le diverse amministrazioni nazionali e territoriali utilizzano per conoscere il gradimento dei cittadini sui servizi erogati, sempre nell'ottica di un continuo affinamento degli stessi, con il presupposto democratico che i cittadini sono i migliori giudici e conoscitori delle loro preferenze e dei loro bisogni;
   in particolare, ci si troverebbe di fronte, secondo gli interroganti, a una situazione controversa nella quale i vertici politici del Governo commissionerebbero, a carico della collettività, delle ricerche demoscopiche sul sentimento politico del Paese, ricerche che dovrebbero essere commissionate e finanziate dalle forze politiche interessate e non già dallo Stato –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano la natura e le finalità dei servizi di monitoraggio oggetto dei bandi di gara della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   se non ritenga opportuno revocare o sospendere le procedure, in considerazione del fatto che, da quanto esposto in premessa, appaiono agli interroganti troppo estranee a finalità pubbliche e risultano, viceversa, più attinenti a obiettivi privati connessi alle attività partitiche. (5-09274)


   DI VITA, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, NESCI, MANTERO, LUPO, NUTI, CANCELLERI, MANNINO e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Regione n. 5068 del 19 luglio 2012 la dottoressa Giuseppa Patrizia Monterosso è stata nominata segretario generale della presidenza della regione siciliana per la durata di 4 anni, con scadenza 13 luglio 2016;
   da recenti notizie di stampa si è appreso che il governatore Rosario Crocetta ha prorogato di 5 anni il suddetto incarico di segretario generale della presidenza della regione siciliana alla dottoressa Giuseppa Patrizia Monterosso, confermata dunque nel ruolo dirigenziale;
   la legge, cosiddetta «delega Madia», del 7 agosto 2015, n. 124 «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all'articolo 11, relativo alla dirigenza pubblica, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore legge, uno o più decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici e tra i principi e criteri direttivi si prevede, alla lettera q) del comma 1 del citato articolo 11, la previsione di ipotesi di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose;
   quanto approvato nella citata «delega Madia» è il risultato di una proposta di modifica del gruppo M5S, che si è battuto nell'aula parlamentare affinché venisse sancita una norma di buon senso che prevedesse almeno, per l'appunto, la revoca o il divieto di rinnovo dell'incarico ai dirigenti in settori esposti al rischio corruzione, quando c’è una condanna (anche non definitiva) da parte della Corte dei conti al risarcimento del danno erariale per condotte dolose;
   il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 21, relativo alla responsabilità dirigenziale prevede che il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. Il citato articolo 21 prevede inoltre che, in relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo;
   l'articolo 55-ter del succitato decreto legislativo, relativo ai rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale, prevede che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale, mentre il successivo articolo 55-sexies, relativo alla responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione prevede che il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, è collocato in disponibilità, all'esito del procedimento disciplinare. Il mancato esercizio o la decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comportano per i soggetti responsabili aventi qualifica, dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell'infrazione non perseguita;
   la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale d'appello per la regione siciliana, con sentenza n. 179/A/2015 si è espressa definitivamente nel giudizio d'appello in materia di responsabilità amministrativa, promosso tra gli altri anche da Monterosso Giuseppa Patrizia, in relazione alla sentenza n.401/2014 della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, la quale, accogliendo le tesi e le istanze formulate dal procuratore regionale, ha condannato la medesima Monterosso a pagare alla regione siciliana l'ingente somma di 1.279.007,04 per danno erariale;
   la complessa vicenda concerne varie fattispecie di danno erariale, derivanti dall'avvenuta corresponsione, senza valido titolo giuridico ed, anzi, in contrasto con il quadro normativo di riferimento, di ingenti somme di denaro in favore di numerosi enti di formazione professionale, corresponsione che è stata disposta dall'assessorato regionale alla formazione professionale ad integrazione dei finanziamenti che erano stati già assegnati dalla regione siciliana ai medesimi enti nell'ambito del piano regionale dell'offerta formativa per l'anno 2007 (P.R.O.F. 2007);
   specificatamente con l'avviso pubblico n. 2/06/FP del 9 giugno 2006, della regione siciliana venne avviata la procedura ad evidenza pubblica per l'assegnazione dei finanziamenti inerenti il P.R.O.F. 2007 ed a conclusione di una lunga e complessa istruttoria sulle domande inoltrate dai vari enti interessati venne approvata la graduatoria definitiva dei progetti, ammessi a finanziamento, in cui venivano specificate le somme spettanti a ciascun ente di formazione e si procedette all'assunzione dei relativi impegni di spesa, a valere sui pertinenti capitoli di bilancio, finanziamenti che vennero successivamente integrati su richiesta degli enti formativi senza un valido titolo giuridico, nonostante venisse segnalato che la residua disponibilità di fondi (pari ad 1.050.242,20 euro) sul pertinente capitolo di bilancio era assai inferiore rispetto all'ammontare complessivo (pari ad 7.098.870,93 euro) delle integrazioni richieste dagli enti;
   la sezione di primo grado della Corte dei conti, come conferma dalla sezione d'appello ha, pertanto, affermato che debbono ritenersi illegittimi nonché forieri di danno erariale, in quanto avevano comportato ingiustificati ed inutili esborsi di ingenti risorse finanziarie pubbliche, i finanziamenti sopra citati;
   con riguardo ai soggetti responsabili del danno erariale e specificatamente con riguardo a Monterosso Giuseppa Patrizia (dirigente generale presso il dipartimento della formazione professionale, rispettivamente, nel 2007 e nel 2009), la Corte ha evidenzia che la stessa aveva dapprima avallato la richiesta degli enti e dato impulso ai procedimenti finalizzati alla concessione in loro favore degli illegittimi finanziamenti integrativi e successivamente aveva assunto i relativi impegni di spesa in attuazione dei decreti assessoriali;
   come evidenziato dai giudici contabili, i comportamenti degli imputati sono stati indubbiamente caratterizzati da colpa grave, sotto i profili dell'inescusabile negligenza, dell'ingiustificabile inosservanza delle disposizioni vigenti in materia, del macroscopico disinteresse per la sana ed oculata gestione delle risorse finanziarie pubbliche, della palese superficialità nell'assunzione di scelte incidenti in maniera particolarmente onerosa sulle finanze della regione siciliana;
   in relazione ai medesimi fatti succitati è in corso anche un processo penale dinanzi alla magistratura ordinaria ed i pubblici ministeri hanno chiesto il rinvio a giudizio di Patrizia Monterosso in relazione alle erogazioni indebitamente percepite laddove, proprio per riparare ai danni che erano stati provocati alla regione con l'erogazione dei finanziamenti integrativi poi condannati dalla Corte dei conti, la stessa, in concorso con altri, ha deciso di recuperare le somme non erogando i finanziamenti agli enti e alle società che avevano usufruito degli extrabudget e facendo talune movimentazioni contabili ritenute irrituali;
   «Il tutto – scrivono sempre i magistrati – con l'intenzione di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale alla Monterosso consistito nel sottrarla al giudizio di condanna nel procedimento promosso nei suoi confronti dalla Procura Regionale della Corte dei Conti in qualità di responsabile di parte delle erogazioni indebite, contenzioso poi conclusosi con la sentenza del 14 marzo 2014 con cui la Corte dei Conti per la Regione siciliana, accertatane la responsabilità, la condannava ugualmente a risarcire alla Regione siciliana la somma di 1.279.000 (un milione e 279 mila Euro ndr), sentenza confermata in appello il 21.7.2015 e divenuta definitiva»;
   la delibera del Presidente della regione siciliana si pone, ad avviso degli interroganti, in contrasto sia con le norme vigenti sul pubblico impiego e sia con una legge delega che, ancorché non sia stata completamente esercitata dal Governo, è comunque una vigente legge dello Stato che statuisce dei principi importanti e che, con riguardo alla istituzione del sistema della dirigenza pubblica, sono espressamente riconducibili al merito e alla valutazione nonché all'esigenza che i massimi dirigenti delle istituzioni statali siano di specchiata moralità;
   lascia perplessi gli interroganti inoltre la circostanza che tale rinnovo d'incarico dirigenziale sia operato non già alla scadenza dell'incarico, bensì proprio pochi mesi prima che scada l'esercizio della delega «Madia» e prima, quindi, di un cambia delle «regole del gioco» le quali non consentirebbero il rinnovo dell'incarico dirigenziale alla dottoressa Giuseppa Patrizia Monterosso per il delicato e importantissimo ruolo di segretario generale della presidenza della regione siciliana;
   a tal proposito è quantomeno curioso poter rilevare che simili circostanze, seppur con le dovute differenze, si stiano contemporaneamente registrando anche in altri contesti regionali. In tal senso è indicativo il caso della legge approvata dal consiglio regionale della Campania 31 maggio 2016 «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione», in merito alla quale il Ministero della salute ha riferito in Parlamento il 14 luglio 2016, in risposta ad una interpellanza urgente presentata dal M5S (n. 2-01388), che in data 6 luglio ha espresso un parere nel quale evidenziava la presenza di profili di illegittimità costituzionale. La disposizione in parola, infatti, modifica in maniera sostanziale il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania accentrando la decisione nelle mani del presidente della Giunta e sopprimendo il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali;
   è opportuno dunque ribadire l'opportunità che il Governo assuma iniziative urgenti e specifiche per evitare che anche altre regioni perseguano simili strade, a giudizio degli interroganti, indecorose con il surrettizio scopo di non adeguarsi a norme dello Stato – nella circostanza, la delega Madia – che sono poste a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Governo non si intendano assumere iniziative normative, anche urgenti, volte a rafforzare il rispetto dei principi di efficienza, trasparenza e meritocrazia nell'ambito dell'attività della dirigenza pubblica, stabilendo meccanismi sanzionatori più stringenti per il personale responsabile di condotte non conformi alla legge.
(5-09275)


   MARZANA, VACCA, LUIGI GALLO, BRESCIA, DI BENEDETTO, CHIMIENTI, D'UVA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 112 del 1998 (articolo 139, comma 1 lettera c) attribuiva alle province il compito di assicurare il trasporto scolastico alle persone con disabilità nelle scuole superiori e di garantire assistenti educativi e della comunicazione il cui supporto è essenziale soprattutto nel caso di alunni sordi, non vedenti o ipovedenti o con altre disabilità come è espressamente previsto dalla legge quadro n. 104 del 1992;
   l'articolo 1, comma 947, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) prevede che, ai fini del completamento del processo di riordino delle funzioni delle province, le funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali di cui all'articolo 13, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono attribuite alle regioni a decorrere dal 1o gennaio 2016, fatte salve le disposizioni legislative regionali che, alla predetta data, già prevedono l'attribuzione delle predette funzioni alle province, alle città metropolitane o ai comuni, anche in forma associata;
   lo stesso comma 947 prevede che, per l'esercizio delle predette funzioni, è attribuito un contributo di 70 milioni di euro per l'anno 2016, da ripartire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata, tra gli enti territoriali interessati;
   con la nota n. 40/GAB del 7 luglio 2016, il Sottosegretario per gli affari regionali e le autonomie ha fatto pervenire lo schema di decreto recante: «Riparto del contributo di 70 milioni di euro per l'anno 2016 a favore delle Regioni a Statuto ordinario e degli Enti territoriali che esercitano le funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali e ai servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazioni di svantaggio», ai fini dell'acquisizione dell'intesa da parte della Conferenza unificata;
   in data 13 luglio 2016, in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'esame del suddetto provvedimento, è stata convocata una riunione, nel corso della quale i rappresentanti del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie hanno illustrato lo schema di decreto in esame; in quella occasione, i rappresentanti delle regioni hanno preso atto del contenuto del provvedimento, con riferimento in particolare alla esclusione dal riparto delle regioni a statuto speciale;
   alla luce di tale discriminazione, i rappresentanti della regione Sardegna hanno rappresentato di non condividere detta esclusione, riservandosi di far pervenire le proprie valutazioni al riguardo;
   dalla lettera dell'articolo 1, comma 947, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, non si evince nessun rimando normativo che giustifichi tale esclusione;
   tra l'altro il riparto per l'anno 2015 disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 dicembre 2015, sulla base di quanto previsto dall'articolo 8, comma 13-quarter del decreto-legge n. 78 del 2015 relativo allo stanziamento di 30 milioni di euro per i servizi degli alunni disabili (assistenti educativi e alla comunicazione e trasporto) ha interessato tutte le regioni ivi comprese quelle a statuto speciale –:
   per quali ragioni il riparto di cui in premessa non abbia riguardato pure le regioni a statuto speciale;
   come il Governo intenda garantire adeguate risorse per l'esercizio della funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni disabili anche alle regioni a statuto speciale. (5-09279)


   GINEFRA, CARIELLO, DISTASO, SISTO, MATARRESE, PANNARALE, PISICCHIO, BOCCIA, MICHELE BORDO, CAPONE, GRASSI, LOSACCO, MARIANO, MASSA, MONGIELLO, PELILLO, VENTRICELLI e VICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle giornate del 14, 15, 16, e 17 luglio 2016, nelle province di Bari, Barletta Andria Trani e Foggia, si sono registrati violenti nubifragi che hanno interessato i Comuni di Ruvo di Puglia, Corato, Molfetta, Terlizzi, Bisceglie, Barletta e Rodi Garganico;
   una copiosa quantità di acqua, a causa della conformazione orografica ed idrogeologica delle aree colpite, si è riversata causando allagamenti non solo nelle campagne, ma anche nelle zone artigianali, invadendo depositi e locali di lavorazione di molte aziende, deteriorando le merci presenti, con gravi danni economici ed impedimento alla prosecuzione dell'attività produttiva;
   in particolare, la zona PIP di Molfetta e stata sommersa dall'acqua, caduta incessantemente per ore;
   il consiglio regionale pugliese nella seduta del 22 luglio 2016 ha approvato all'unanimità una mozione che invita il presidente della regione, il dottor Michele Emiliano, e la giunta regionale tutta a valutare «con urgenza la possibilità di chiedere lo stato di emergenza e di calamità naturale al Governo, per permettere di dare attivazione dei poteri straordinari e delle correlate risorse finanziarie per ripristinare le infrastrutture danneggiate e sostenere il tessuto produttivo ed imprenditoriale locale per i danni subiti ed il ritorno tempestivo alla piena operatività»;
   il supporto delle autorità della regione Puglia nei confronti delle aziende molfettesi ed in particolare della Idromeccanica Italiana srl e della Idromeccanica Ramtec srl, i cui capannoni sono stati letteralmente sommersi dalle acque con la totale perdita di tutte le macchine automatizzate e computerizzate propedeutiche alla produzione, era stato già espresso dal presidente della regione Puglia all'atto dei sopralluogo compiuto sul luogo del disastro –:
   se siano stati informati di quanto riportato in premessa e quali iniziative, a partire dal riconoscimento dello stato di emergenza e di forme di detassazione per il periodo necessario al riavvio dei progetti d'impresa, intendano assumere per consentire, alle aziende coinvolte nel disastro e ai tanti lavoratori che in questo momento rischiano il lavoro, di poter riprendere in tempi brevi l'attività produttiva;
   se non ritengano altresì utile promuovere un incontro con la regione Puglia e i sindaci dei comuni coinvolti per definire comuni strategie di intervento.
(5-09293)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) è un organo decentrato dell'Unione europea con sede a Londra, i cui compiti principali sono la tutela e la promozione della sanità pubblica e della salute degli animali mediante la valutazione ed il controllo dei medicinali da immettere nel commercio per uso umano e veterinario;
   in seguito al referendum che ha decretato l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, l'EMA, fondata nel 1995 con i contributi finanziari proprio della Unione europea e dell'industria farmaceutica e a sussidi economici indiretti erogati dagli Stati Membri, dovrà essere trasferita in una diversa città dell'Unione;
   la città di Roma, che nel settore dei farmaci vanta un comparto con oltre ventiduemila mila addetti, trecento imprese e un giro d'affari di otto miliardi di euro di vendite all'estero, sarebbe una sede ideale per ospitare l'Agenzia europea;
   la presenza di quest'ultima nella capitale, infatti, rappresenterebbe una importante risorsa sotto il punto di vista politico ed istituzionale e garantirebbe una più efficace attività di monitoraggio, coordinamento e collaborazione nel sistema dei servizi sociali, e, con i suoi circa settecento dipendenti, essa porterebbe anche un apprezzabile indotto economico –:
   quali iniziative intendano assumere per sostenere la candidatura di Roma Capitale a diventare la prossima sede dell'Agenzia europea per i medicinali. (4-13941)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti di stampa, la procura di Firenze avrebbe avviato un'indagine sul cognato di Renzi Andrea Conticini, marito della sorella Matilde, poiché sospetterebbe che dal 2011 al gennaio 2015 abbia riciclato risorse sottratte dai fondi dell'Unicef e di Operation Usa, destinati alle campagne per i bambini in Africa, e utilizzato quei fondi per aiutare società amiche e l'azienda di promozione dei Renzi, la Chil Promozioni, dove ha lavorato anche l'attuale Premier, e che gli ha pagato il Tfr da 48 mila euro e il fondo pensione;
   Alessandro Conticini è accusato insieme al fratello Luca e padre Alfonso, di appropriazione indebita, ovvero di aver preso per sé i fondi destinati terapie per i bambini africani da Unicef e Operation Usa, poiché le due società hanno mandato denaro a Play Therapy Africa Limited (PTA LTD) e quest'ultima le avrebbe stornate inviandole a Conticini: La PTA, secondo la difesa, era di Conticini, ma la società era per un terzo della Play Therapy International; Andrea Conticini invece è accusato di reimpiego dei capitali, che prevede anche il riciclaggio, «commesso in Firenze nel corso del 2011 in relazione a somme di denaro provento del reato»;
   Andrea Conticini avrebbe comprato in nome e per conto del fratello Alessandro quote di tre società in Firenze: la più famosa è la Chil promozioni srl (poi denominata Eventi 6) dei Renzi, di cui sopra; il 20 per cento di Dot Media da Patrizio Donnini (uomo comunicazione di Matteo Renzi e di altri esponenti Pd) per 2 mila euro e il 30 per cento della Quality Press (in liquidazione dal 2013) dalla moglie di Donnini, Lilian Mammoliti;
   la stampa riporta anche che secondo fonti confidenziali i fondi sottratti sarebbero centinaia di migliaia di euro, motivo per il quale il giro di denaro, che andava da Londra a Firenze, avrebbe allertato la Banca d'Italia che ha segnalato il fatto alla procura di Firenze;
   il Fatto Quotidiano del 17 luglio 2016 sottolinea che, per quanto riguarda la Eventi 6, che allora si chiamava ancora Chil Promozioni, «Andrea Conticini, in nome e per conto di Alessandro, partecipa all'aumento di capitale da 10 mila a 12 mila e 500, con sovraprezzo di 47 mila e 500. In pratica, Alessandro Conticini prende anche una quota del 20 per cento (che poi cederà nel 2013) e ha messo 50 mila euro nel capitale della Eventi 6»;
   in quel periodo l'azienda dei Renzi non se la passava bene: la Chil srl trasferì la sede a Genova e poi venne liquidata e si trasformò in Eventi 6. Amministratrice della Eventi 6 è tutt'oggi la madre di Matteo Renzi, Laura Bovoli, che è a sua volta proprietaria dell'8 per cento delle quote, insieme alle sorelle di Matteo, Benedetta e, Matilde (36 per cento ciascuna). Quarto socio al 20 per cento è stato Alessandro Conticini fino al 2013, insieme al fratello Andrea agente di commercio;
   la Eventi 6, ex Chil Promozioni, è la società dove Renzi è stato assunto poco prima di essere candidato nel 2003 alla provincia e grazie a questa assunzione come dirigente in aspettativa, da allora, provincia prima e comune di Firenze poi, hanno versato per 10 anni i contributi pensionistici del Premier, che si è licenziato dopo che alcuni articoli di stampa hanno fatto luce sul fatto, ma avrebbe comunque percepito un Tfr che dovrebbe essere pari a circa 48 mila euro –:
   se il Presidente del Consiglio sia al corrente dei fatti su esposti che lo riguardano da vicino, e in tal caso, quali iniziative intenda intraprendere in merito e se non consideri necessario nonché urgente fornire gli opportuni chiarimenti in merito a queste gravi vicende, che rischiano di minare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. (4-13944)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   molti espropriati lamentano che l'amministrazione non ha mai pagato loro l'indennità concordata, altri denunciano gli enormi ritardi, anche di molti anni, nella corresponsione della stessa;
   a titolo esemplificativo si riporta la vicenda dei Signori S. i quali nel lontano 1985 hanno subito le occupazioni parzialmente illegittime dei propri terreni di 8400 metri quadrati alle quali è seguito nel 1992 un solo esproprio. In ragione della sentenza nn. 1321/2011 e 1155/2013 – entrambe della corte d'appello di Catanzaro – i Signori S. sono creditori dal comune di Sersale (CZ) della somme di euro 299.344,07 e 498.337,90 a titolo di indennità e risarcimento danni. A seguito della dichiarazione di dissesto dell'ente – avvenuta il 26 luglio 2013 – è seguita la nomina del commissario straordinario. Con comunicazione del 2 dicembre 2014, il primo credito in questione (e cioè quello riveniente dalla sentenza n. 1321/2011) è stato riconosciuto complessivamente per euro 299.344,07 così suddivisi: «nella somma di euro 79.327,89, in favore delle parti Sorbara» e nella somma di euro «207.212,99 da versare nella Cassa Depositi e Prestiti in firma del dispositivo del medesimo provvedimento». Nonostante i solleciti inoltrati dai Signori S. in relazione alla ingiustificata mancata approvazione, fino ad oggi (dopo quasi tre anni), da parte dell'organo straordinario di liquidazione rendiconto di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 267 del 2000, nessuna fase di pagamento del suddetto importo (anche prodromica allo stesso) risulta essere stata ancora intrapresa;
   inoltre, nulla risulta del credito di euro 498.337,90 (riveniente dalla sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 1155/2013 depositata il 7 agosto 2013) passata già da tempo in giudicato, giusti atti di precetto del febbraio 2014 e marzo 2015. Avverso tale ultimo atto precetto l'Amministrazione comunale di Sersale ha proposto opposizione ex articolo 615, 1o comma, del codice di procedura civile. Tuttavia, con ordinanza del 7 ottobre 2015 il tribunale di Catanzaro ha rigettato la domanda di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza della corte d'appello di Catanzaro n. 1155/2013 confermando l'obbligo del comune di Sersale di adeguarsi al suddetto giudicato ottemperando a quanto statuito nei termini sopra descritti. Tuttavia, anche in questo caso, ad oggi, nonostante i ripetuti solleciti inoltrati dai signori S. E. e M. nessun pagamento e/o deposito è stato ancora effettuato dal comune di Sersale;
   il decreto governativo «salvaimprese» ha dato ai municipi delle risorse per far fronte ai loro creditori di lungo corso;
   nel decreto di nomina del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 2013 è chiaramente specificato che la nomina del commissario straordinario di liquidazione è finalizzata «all'amministrazione della gestione dell'indebitamento pregresso, nonché per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti dell'ente»;
   a parere dell'interrogante questa è l'ennesima storia dello Stato e degli enti locali che prevaricano il cittadino. A ciò si aggiungono due norme e molto pericolose per l'espropriato contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001;
   il comma 5 dell'articolo 20 (l'accettazione dell'indennità provvisoria è irrevocabile);
   il comma 3 dell'articolo 45 (l'accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perda se l'acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato) –:
   se non ritenga necessario adottare le opportune iniziative normative affinché vengano tutelati i legittimi interessi degli espropriati, con particolare attenzione circa i tempi di pagamento delle indennità riconosciute;
   per quale motivo, nel caso del comune di Sersale citato nelle premesse, non siano stati adottati provvedimenti per l'estinzione dei debiti ai sensi di quanto specificato nel decreto di nomina del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 2013 e, se alla luce di quanto esposto, non si ritenga che sussistano i presupposti per promuovere una verifica amministrativa-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica. (4-13946)


   CAPARINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nelle competizioni automobilistiche su strada, come rally e cronoscalate, il codice sportivo ACI Sport impone la presenza sulle prove di equipaggi denominati « team di decarcerazione» con competenze specifiche in grado di operare in caso di incidente per liberare i piloti eventualmente incastrati tra le lamiere;
   l'appendice 4 al regolamento sportivo nazionale prevede che i veicoli di intervento destinati alla liberazione delle persone dalle auto danneggiate, siano «performanti e idonei al fondo stradale del tracciato (meglio se veloci fuoristrada)» dotati di specifiche attrezzature;
   ACI sport autorizza all'esercizio del suddetto servizio le realtà che hanno determinati requisiti normati definiti al capitolo 8 della suddetta appendice e che richiedono ed ottengono una apposita licenza ACI denominata « team di decarcerazione»;
   da alcuni anni, oltre alle società professionali private specializzate in questo settore, anche alcune associazioni di protezione civile svolgono il servizio di decarcerazione, anche se, nonostante la preparazione degli operatori nel gestire le situazioni di emergenza, il personale non ha una specifica formazione per gli interventi su incidenti stradali di automobili da corsa;
   la natura pubblica della protezione civile solleva alcuni dubbi sull'opportunità di utilizzare attrezzature e coperture assicurative finanziate con contributi di province e regioni, specialmente laddove l'attività si svolge al di fuori dei confini regionali, senza tralasciare il fatto che l'esercizio dell'attività di decarcerazione da parte di associazioni di protezione civile ne compromette la loro reperibilità per eventuali urgenze che ne richiederebbero un tempestivo intervento;
   il fatto di operare per il tramite di volontari e con attrezzature acquistate con fondi pubblici sembra conferire un indebito vantaggio competitivo alle associazioni di protezione civile rispetto alle società che operano con personale retribuito e con attrezzature acquistate tramite ingenti investimenti;
   la circolare della Presidenza del consiglio dei ministri, dipartimento di protezione civile, protocollo DPC/DIP/0008137 del 9 febbraio 2007 «Criteri per l'impiego delle componenti e delle strutture operative del servizio di protezione civile con particolare riferimento alle organizzazioni di volontariato» sottolinea che le attività di protezione civile devono rimanere concentrate sulla gestione di calamità naturali, catastrofi ed altri eventi calamitosi –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per ribadire, anche attraverso una circolare esplicativa, che le attività della protezione civile devono rimanere concentrate in quattro settori, come si legge sul sito istituzionale, previsione, prevenzione, soccorso e superamento dell'emergenza, e che gli interventi di decarcerazione, in concomitanza di competizioni automobilistiche programmate, non rientra in queste fattispecie. (4-13949)


   SPESSOTTO, DA VILLA, COZZOLINO, BENEDETTI e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 57 della legge regionale del Veneto n. 18 del 2016, pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione n. 63 e recante «Disposizioni di riordino e semplificazione normativa in materia di politiche economiche, del turismo, della cultura, del lavoro, dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello sport», autorizza il nomadismo venatorio nella regione Veneto, prevedendo 30 giornate all'anno di libera mobilità per cacciatori vaganti sull'intero territorio regionale e 15 giorni per quelli con appostamento, senza la necessità di chiedere autorizzazione alcuna per muoversi;
   come denunciato da tutte le principali associazioni animaliste italiane, tra cui Enpa, Lac, Lav, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia, le previsioni di tale articolo, promosse dal consigliere di Fratelli d'Italia-Alleanza–azionale-Movimento per la cultura rurale Sergio Berlato, sarebbe in palese contrasto con quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 che lega rigorosamente i cacciatori all'ambito territoriale di caccia o al comprensorio alpino di appartenenza, violando in tal senso quel legame cacciatore-territorio che rappresenta uno dei capisaldi della legge nazionale;
   con l'approvazione del suddetto testo di legge, ai cacciatori è consentito di inseguire e cacciare gli uccelli migratori per tutto il territorio regionale del Veneto, anche specie protette come il cormorano, con conseguenti concentrazioni incontrollabili di cacciatori, una pressione venatoria insostenibile sugli uccelli migratori e una serie di conflitti territoriali tra cacciatori che potrebbero rendere la situazione difficilmente gestibile, anche a causa delle difficoltà nell'effettuare i controlli da parte degli organi di vigilanza quali il Corpo forestale dello stato e la polizia provinciale;
   una recente pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 124 del 2016 del 5 aprile 2016) ha «bocciato» una norma analoga a quella veneta, in merito all'organizzazione degli ambiti territoriali di caccia della regione Toscana, considerati troppo grandi e dunque tali da permettere troppa mobilità ai cacciatori;
   alla luce di tale recente pronuncia della Corte, la norma di cui in premessa sembrerebbe agli interroganti contenere profili di illegittimità costituzionale, oltre a mettere a serio rischio la sicurezza, considerato il probabile aumento del numero di presenze non regolamentate dei cacciatori –:
   alla luce delle considerazioni esposte in premessa, se il Governo non intenda verificare la sussistenza dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alle citate disposizioni della legge della regione Veneto n. 18 del 2016. (4-13951)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   REALACCI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dal quotidiano La Repubblica del 3 luglio 2016, dal sito del quotidiano britannico The Telegraph e dal sito web Liguria Notizie, ovvero dall'allarme lanciato da Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, da qualche giorno le navi da crociera possono passare più vicine all'area marina protetta di Portofino, grazie all'entrata in vigore della nuova ordinanza dell'ufficio circondariale marittimo di Santa Margherita Ligure che prevede l'avvicinamento alla costa del punto di fonda delle navi;
   si passa così, per effetto delle nuove disposizioni, da 0,7 a 0,3 miglia di distanza dal limite della predetta area marina protetta. C’è da considerare che la precedente distanza delle 0,7 miglia, che già rappresentava una deroga eccezionale rispetto al limite delle 2 miglia prevista dal decreto ministeriale 2 marzo 2012, n. 56, era stata individuata calcolando la distanza limite per scongiurare il rischio di impatto sulla costa in caso di condizioni meteo marine eccezionali o avaria o errata manovra;
   il citato decreto ministeriale del 2 marzo 2012, n. 56 (Gazzetta Ufficiale n. 56 del 7 marzo 2012), il cosiddetto decreto «Salva coste», emanato pochi mesi dopo il naufragio della Costa Concordia all'isola del Giglio, aveva finalmente provveduto a mettere limiti all'avvicinamento delle grandi navi ai tratti di costa più sensibili della penisola, scongiurando così il ripetersi delle cosiddette pratiche di «inchino» che avevano determinato il naufragio della Concordia; detto decreto ministeriale rischia quindi di non sortire gli effetti sperati stante le progressive deroghe registrate nell'area di Portofino e il fatto che anche per quanto riguarda le misure per la tutela della laguna di Venezia e del centro di storico del capoluogo veneto sussistono ad oggi altrettante deroghe, non essendo state ancora individuate vie marittime alternative;
   è bene ricordare che la « deregulation» dei flussi turistici e la mancata tutela della aree marine protette e di aree di alto pregio naturale e artistico a favore del turismo, specie «mordi e fuggi», hanno suscitato ripetuti ammonimenti da parte dell'UNESCO, perché tale condizione mina la tutela del patrimonio culturale mondiale come ricorda un articolo apparso il 5 luglio 2016 su La Tribuna di Treviso –:
   sulla base di quali presupposti si sia ritenuto che il nuovo limite delle 0,3 miglia garantisca parimenti la tutela del delicato ambiente dell'area marina protetta di Portofino e, pertanto, come si intenda operare perché la soluzione adottata a Portofino non venga applicata anche altrove e quali iniziative si intendano assumere perché nelle restanti aree interessate da misure di tutela ambientale (aree marine protette o parchi costieri) non si adottino analoghi provvedimenti vanificando di fatto le misure previste dal decreto «salva coste». (5-09283)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Napoli, dopo 180 udienze, ha portato a termine il processo Resit emettendo condanne in primo grado a venti anni di reclusione per l'avvocato Cipriano Chianese, proprietario della discarica di Giugliano e ritenuto dai magistrati l'inventore delle ecomafie per conto del clan dei Casalesi. Egli è stato condannato per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l'aggravante mafiosa, Condannato a sedici anni anche l'imprenditore Gaetano Cerci e cinque anni e sei mesi sono stati comminati a Giulio Facchi, vice commissario per l'emergenza rifiuti in Campania durante il mandato della giunta Bassolino;
   essi sono stati condannati anche a risarcire i gravi danni causati, connessi al disastro ambientale e al traffico illecito di rifiuti;
   si segnala che, per la prima volta in Italia, un processo relativo a reati ambientali viene giudicato innanzi ad una corte di assise, quindi al cospetto anche di una giuria popolare, corte che giudica i reati più gravi;
   le contestazioni mosse dall'accusa ai condannati in primo grado sono state molto gravi, poiché gli si è imputata la responsabilità di aver causato un disastro ambientale, l'avvelenamento della falda acquifera e il favoreggiamento del clan dei casalesi. Ad avviso degli interroganti, la sentenza di condanna citata rende solo in piccola parte giustizia al popolo campano che per anni ha subito la violazione sistematica delle norme in materia ambientale e il conseguente compimento di reati che hanno provocato il gravissimo avvelenamento del territorio. La popolazione vive ancora in strettissimo contatto con una vera e propria bomba ecologica destinata ad esplodere nei prossimi decenni, causando ulteriori persistenti ripercussioni negative sull'ambiente, sull'ecosistema e, soprattutto, in grado di arrecare ulteriori danni alla salute della popolazione a causa delle gravissime patologie che i livelli di inquinamento presente nella zona provocheranno soprattutto in futuro;
   le affermazioni sono fatte in base ai dati contenuti nel rapporto stilato dal consulente tecnico della magistratura, il geologo Balestri, su incarico affidatogli nel 2008 dal p.m. Alessandro Milita e consegnato al magistrato nel 2010. Finalmente il rapporto Balestri è pubblico perché utilizzato per la celebrazione del processo terminato con le condanne sopra dette. Esso è stato parte fondamentale della delicatissima indagine sugli interramenti di rifiuti tossici nella Resit dalla camorra, che di fatto gestiva la discarica;
   la relazione del geologo non lascia dubbi e rende nota la quantità e nocività dei pericolosissimi inquinanti scaricati nel corso degli anni all'interno dell'area Resit. La discarica ha contenuto a   lungo rifiuti di ogni genere, soprattutto quelli estremamente pericolosi, provenienti da siti industriali di ogni parte di Italia. Essi sono pari ad almeno 350mila tonnellate di prodotti chimici tossici e dannosi, provenienti ad esempio dalla famigerata Acna, e non solo, scaricati in quell'area da centinaia di camion «con file di automezzi che arrivavano a misurare un chilometro e mezzo», come ha affermato dai pentito Gaetano Vassallo ai magistrati antimafia;
   secondo la perizia della pubblica accusa, la contaminazione in corso nell'area vasta di Giugliano è così grave che, come risulta anche dagli atti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, entro il 2064, provocherà un disastro ambientale totale, quando cioè il percolato altamente tossico che «fuoriesce inesorabilmente dagli invasi sarà completamente penetrato nella falda acquifera che è collocata al di sotto dello strato di tufo sopra il quale si trovano le discariche. I veleni contamineranno decine di chilometri quadrati di terreno e tutto ciò che lo abiterà»;
   si ricorda che la condanna al risarcimento del danno si fonda anche sul principio dell'Unione europea denominato «chi inquina paga», previsto dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che trova immediata e diretta applicazione nella legislazione nazionale e ed è costituzionalizzato, in forza dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione; il principio è attuato dalla direttiva sulla responsabilità ambientale (ELD), che impone di riparare anche il danno derivante dalla contaminazione, diretta o indiretta, dei terreni che crei un rischio significativo per la salute umana. I responsabili sono obbligati ad adottare le misure adeguate per porvi rimedio e a sostenerne i costi. Il principio si applica ai danni ambientali quando sia possibile stabilire, come nel caso in questione, un rapporto di causalità tra il danno e l'attività, nel caso di specie l'attività di mala gestione dei rifiuti –:
   se il Ministro abbia già individuato quali possano essere le tecniche più idonee ed efficaci per la messa in sicurezza e la bonifica del sito, se sia in grado di stimarne il costo e se sia stata fatta una verifica per valutare se i beni sequestrati siano sufficienti ad applicare il così detto principio di «chi inquina paga». (5-09284)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, TERZONI, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, COMINARDI, ALBERTI, CARINELLI, TONINELLI, TRIPIEDI, PESCO, SORIAL, PETRAROLI e CASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 regione Lombardia ha espresso parere positivo in merito alla valutazione di impatto ambientale per il progetto di laminazione delle acque del Seveso, attraverso la costruzione di 3 vasche nel comune di Senago (Milano). A questa prima opera approvata seguiranno la costruzione di altri invasi lungo l'asta del Seveso, necessari secondo il progetto AIPO per la salvaguardia di Milano;
   il torrente Seveso è attualmente il terzo corso d'acqua più inquinato d'Europa e, secondo uno studio condotto da Arpa Lombardia, nel 2009, le acque del Seveso sono state classificate «scadenti e inadatte a qualsiasi tipo di uso», anche per la presenza di metalli pesanti come nichel, mercurio e zinco;
   la stessa relazione di valutazione di impatto ambientale classifica le acque del Seveso con grado «cattivo» o «scarso» secondo la classificazione LIMeco (VIA par. 4.3.2.1 Tab. 5) e alcuni campionamenti riportati nella documentazione di valutazione di impatto ambientale hanno rilevato la presenza, seppur nei limiti di legge, di metalli pesanti nelle acque e nei sedimenti del fiume Seveso (VIA par. 4.3.2.4.);
   più preoccupante risulta la presenza nei medesimi campioni di concentrazioni di crVI (cromo esavalente) superiore ai limiti di legge (~8 microgrammi/litro a fronte del limite di legge pari a 5 microgrammi/litro);
   il cromo esavalente è stato classificato dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) come cancerogeno per l'uomo (classe 1) sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche;
   la regione Lombardia ha sviluppato un progetto di bonifica delle acque del fiume Seveso che però non potrà essere attuato a breve termine, mettendo potenzialmente a rischio la salute delle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dal progetto delle vasche;
   dal progetto finale presentato, riferito alla costruzione della prima opera a Senago, e dal provvedimento di valutazione di impatto ambientale (delibera regione Lombardia n. 1829 del 2015) emerge che il sedimento prodotto e accumulato sul fondo, a seguito dell'uso delle vasche, verrà rimosso tramite sbancamento meccanico solo se la quota di materiale depositato dovesse superare i 30 cm di altezza;
   appare quindi evidente il rischio che un deposito potenzialmente tossico inferiore ai 30 cm possa rimanere per lunghi tempi accumulato sul fondo vasca e disperso nell'ambiente a causa all'azione di agenti atmosferici;
   secondo quanto riportato dai quotidiani (www.ilfattoquotidiano.it) solo 85 canali di scolo risultano regolarmente autorizzati su un totale di 1.505 –:
   se il Governo non intenda valutare, per quanto di competenza e con il coinvolgimento della regione e degli enti locali, la possibilità di commissionare e finanziare uno studio, anche per il tramite dell'Ispra, sulla dispersione degli inquinanti in fase antecedente alla costruzione della prima opera prevista dal progetto, con particolare riferimento al rischio che gli inquinanti cancerogeni potenzialmente tossici presenti nei sedimenti possano, in caso di dispersione in atmosfera (a causa dell'inutilizzo delle vasche e al dissolvimento prodotto da sole e vento), creare danno alle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dall'intero progetto. (5-09285)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, MICILLO e CRIPPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto 16 ottobre 2001 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è stato istituito il parco geominerario storico ambientale della Sardegna, così come previsto dall'articolo 114, camma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388;
   nel 2007 il parco Viene inserito nella rete europea e globale Geoparks dell'Unesco, che rappresenta un prestigioso riconoscimento internazionale dell'unicità di un territorio sul quale si dispiega un paesaggio modellato dall'attività mineraria;
   nel mese di novembre del 2015, l'Unesco ha riconosciuto patrimonio dell'umanità la rete internazionale dei 120 geoparchi distribuiti in 33 Paesi del mondo, tra cui è inserito il parco geominerario storico ambientale della Sardegna;
   nel sito internet del parco viene così descritta l'area: «Suggestivi villaggi operai, pozzi di estrazione, migliaia di chilometri di gallerie, impianti industriali, antiche ferrovie, preziosi archivi documentali e la memoria di generazioni di minatori rendono il parco un nuovo grande giacimento culturale da scoprire»;
   il parco si suddivide in otto aree, per un'estensione territoriale di circa 3800 chilometri quadrati e ricomprende 81 comuni;
   a seguito del mancato avvio dell'attività operativa del Consorzio del parco, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione autonoma della Sardegna, il 3 febbraio 2007 avrebbe decretato il commissariamento del consorzio con l'obiettivo, sembrerebbe, di rimuovere con un'appropriata riforma gli ostacoli che ne avevano impedito il regolare funzionamento;
   la comunità del parco avrebbe approvato all'unanimità sin dal mese di giugno del 2007 la proposta di riforma, ma, sembrerebbe, che Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regione Sarda non l'avrebbero attuata, circostanza che avrebbe contribuito a prolungare per quasi dieci anni la gestione commissariale, determinando peraltro il progressivo degrado gestionale dell'ente;
   il 13 luglio 2016 alcuni organi di stampa avrebbero pubblicato i contenuti della relazione di fine mandato dell'ex commissario del parco, il professore Gian Luigi Pillola, in carica dal 2013 al mese di marzo del 2016, dalla quale emergerebbe una situazione di grave criticità al momento del suo ingresso nell'ente in qualità di commissario;
   tra i diversi elementi riportati si segnalano l'assenza di dipendenti in pianta organica che sarebbe stata colmata per diverso tempo con l'assunzione di lavoratori interinali per 15-30 giorni, la liquidazione senza regolamento di contributi per eventi e iniziative, l'uso abituale della carta di credito come sistema di pagamento, l'assenza di un inventario del patrimonio immobiliare (risulta esser stato realizzato il file con i bilanci ante 2014, che sarebbe andato perduto);
   l'ex commissario avrebbe anche illustrato i risultati della sua gestione, tra cui, il riordino del sistema dei rimborsi spesa e delle auto di servizio, il recupero delle somme che sarebbero state erogate in maniera impropria, l'istituzione di una commissione interna per la valutazione dell'erogazione dei contributi. Tra le altre cose, sarebbero state modificate le modalità di pagamento, al posto della carta di credito, sarebbe stata attivata una carta prepagata;
   a chiusura della relazione, l'ex commissario con rammarico dichiara «Credo sia ormai più che evidente di un preciso disegno colto a lasciare il parco in uno stato definibile da “coma vegetativo”. Parte del territorio si compiaceva, seppur con un apparente atteggiamento di speranza e di sviluppo per il Parco, per il ruolo di “bancomat” assunto, per troppi anni dall'Ente... L'impresa di far camminare il Parco con le proprie gambe nel rispetto della legalità e trasparenza sembra ormai stroncata»;
   si tratterebbe di affermazioni di straordinaria gravità che richiederebbero con urgenza un chiarimento da parte delle istituzioni sovraordinate con particolare riguardo agli organismi che svolgono attività di controllo e vigilanza nei confronti del parco;
   nel complesso, e al di là delle considerazioni formulate nel documento dell'ex commissario che, ad ogni modo, è nella disponibilità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, risulterebbe, anche a seguito di alcune inchieste giornalistiche, che il parco geominerario storico ambientale della Sardegna, nonostante le grandi potenzialità di sviluppo e occupazione per un'ampia porzione del territorio regionale, non riesca ad essere operativo, anche in relazione al crescente interesse che riscuote a livello internazionale;
   nelle scorse settimane, alcuni organi di stampa, avrebbero riportato episodi che si sarebbero verificati con l'avvio della stagione estiva, in particolare, avrebbero riferito del caso di numerosi turisti che non avrebbero avuto accesso ai siti perché chiusi per la mancanza di addetti;
   questo stato di cose rappresenterebbe un grande sperpero di un patrimonio dalle straordinarie opportunità turistiche e culturali, tra l'altro in un territorio che ricade in parte nella provincia del Sulcis-Iglesiente, tra le più povere d'Italia;
   negli anni la gestione del parco geominerario storico ambientale della Sardegna sarebbe stato oggetto di diverse inchieste giornalistiche in merito ai ritardi nell'avvio delle attività e, in particolare, in merito alle spese che sarebbero state considerate eccessive e, in alcuni casi, inappropriate;
   a tale proposito è il caso di riferire la vicenda del museo dell'argento realizzato nel comune di San Vito, considerato un'incompiuta e costato oltre 1,2 milioni di euro;
   emergerebbe, tra l'altro, che il Consorzio del parco, da una parte, abbia speso male le sue risorse, dall'altra, non utilizzi ogni anno più del 30 per cento delle risorse di cui dispone;
   nel mese di marzo 2016, si sarebbe conclusa la conferenza di servizi decisoria convocata per definire i criteri per la riforma del decreto istitutivo e dello statuto del parco geominerario;
   le risultanze della conferenza, che dovrebbero essere oggetto di un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare d'intesa con il Presidente della regione Sardegna, potrebbe rappresentare, anche secondo quanto dichiarato dalla regione, il superamento della lunga fase commissariale;
   il 15 luglio 2016, a pochi giorni dalla pubblicazione della relazione dell'ex commissario, il Coordinamento per l'attuazione del piano Sulcis, avrebbe annunciato alcune novità, quali l'approvazione del bilancio del Parco da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, circostanza che consentirebbe all'ente il pieno utilizzo delle risorse finanziarie necessarie per la propria attività;
   tra le altre cose «Il Coordinamento del Piano Sulcis ha comunicato che il Ministero dei beni culturali ha sottoscritto il decreto di riforma del parco geominerario. La regione Sardegna ha già dato l'intesa. Il Ministero dell'ambiente sta ora acquisendo il concerto del Miur e del Ministero dello sviluppo economico. Successivamente il decreto di riforma sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale»;
   la notizia è stata confermata nell'edizione di martedì 19 luglio 2016 del quotidiano regionale l’Unione Sarda, dove, nel riprendere la nota del Coordinamento per l'attuazione del piano Sulcis, verrebbe formulata l'ipotesi secondo la quale «Finisce dunque la lunga epoca di commissariamento, perché il Ministero dei beni culturali ha recentemente sottoscritto il decreto di riforma tanto atteso per la nomina dei presidente e direttivo dell'Ente; circostanza peraltro non confermata dagli atti pubblicati sul sito del Ministero»;
   è il caso di rilevare la profonda discrepanza tra quanto scritto nella relazione dell'ex commissario e l'annuncio del Coordinamento per l'attuazione del piano Sulcis, ripreso da alcuni organi di giornale, su una presunta improvvisa rinascita del parco;
   questo stato di cose getterebbe un'ombra di incertezza sul futuro del parco geominerario storico ambientale della Sardegna e sulla auspicata riforma che dovrebbe garantire all'ente stabilità e continuità gestionale dopo anni di commissariamento che avrebbero determinato l'attuale situazione di paralisi –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano lo stato di attuazione e i tempi della riforma del decreto istitutivo e dello statuto del parco geominerario storico ambientale della Sardegna;
   quali iniziative intenda adottare per rendere pienamente operativo il parco geominerario storico ambientale della Sardegna, in relazione alle grandi potenzialità che racchiude e al crescente interesse che suscita a livello internazionale;
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per porre fine alla gestione commissariale del Consorzio del parco protrattasi oltre ogni ragionevole limite temporale, dando immediata attuazione alla riforma dello stesso Consorzio con la nomina del naturale organo collegiale al fine di rendere finalmente operativa la struttura che il Parlamento ed il Governo hanno voluto istituire e finanziare nel rispetto degli impegni assunti con l'UNESCO per favorire la rinascita culturale, sociale ed economica delle aree minerarie dismesse della Sardegna;
   quali iniziative intenda adottare per vigilare sulla corretta e diligente gestione delle risorse destinate al parco con l'obiettivo di evitare eventuali sperperi e conseguire una maggiore efficienza nella gestione dell'Ente. (5-09294)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giornale on line La Provincia pavese, del 12 luglio 2016 e dei giorni successivi, ha pubblicato notizie sul sequestro degli impianti di trattamento rifiuti «riconducibili alla società Centro ricerche ecologiche Spa (Cer) di Lomello, Maccastoma (Lodi) e Meleti (Lodi), per un valore di circa 5 milioni di euro, nonché sull'arresto a domicilio dell'amministratore unico della C.r.e. spa e di altre cinque persone;
   l'accusa formulata dal sostituto procuratore della Repubblica di Milano, che conduce l'indagine, è di traffico illecito di rifiuti; sembra che siano coinvolte e indagate, a vario titolo nel corso delle indagini, undici persone;
   l'operazione della magistratura arriva a conclusione di un'indagine svolta dalla polizia provinciale di Lodi e coordinata dalla procura della Repubblica di Milano, in collaborazione con i comandi provinciali di Milano, Cremona, Lodi e Pavia e con il supporto delle polizie locali di Piacenza, Lodi e Crema;
   l'accusa è quella di smaltimento illecito, mediante spandimento al suolo, di ingenti quantità di fanghi da depurazione non trattati, oltre i limiti previsti dalla determina provinciale, con grave nocività per l'ambiente coinvolto. Secondo le notizie dei media, nel periodo d'indagine, dal 2012 al 2015, sono state sparse 110.000 tonnellate di rifiuti, prevalentemente nelle province di Lodi, Cremona e Pavia; alcuni controlli «a campione» nei terreni interessati dallo spandimento dei fanghi, avrebbero appurato le prime anomalie, soprattutto in materia di eccedenza dei carichi diretti ai terreni per lo spandimento;
   la possibilità di spandere maggiori quantità di fanghi sui terreni, oltre ai limiti consentiti, avrebbe permesso alla C.r.e. spa un ingiusto profitto pari a circa 4,5 milioni di euro in quattro anni, con conseguente risparmio sui costi di trattamento/condizionamento e trasporto del rifiuto;
   l'indagine è stata avviata nel febbraio 2011 grazie a una serie di segnalazioni di cittadini, indirizzate all'epoca alla polizia provinciale di Lodi, riguardanti esalazioni maleodoranti provocate dalle operazioni di spandimento su terreni agricoli di fanghi biologici stabilizzati e igienizzati;
   con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 «Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura» lo Stato italiano ha recepito la direttiva 86/278/CEE riprendendo quasi fedelmente sia gli scopi sia i limiti previsti dalla stessa e specificando le procedure per l'utilizzo dei fanghi ed indicando puntualmente i divieti;
   il decreto in particolare fissa i valori limite di concentrazione per alcuni metalli pesanti che devono essere rispettati nei suoli e nei fanghi, le caratteristiche agronomiche e microbiologiche dei fanghi, i limiti inferiori di concentrazione di carbonio organico, fosforo e azoto totale, i valori massimi di salmonella, nonché le quantità massime dei fanghi che possono essere applicati sui terreni;
   alcune regioni hanno disciplinano ulteriormente la materia, in quanto non sempre l'uso di tali fanghi produce effetti positivi sulle produzioni agricole coltivate, potendosi riscontrare sulle colture residui o contaminanti che le rendono non commercializzabili o ad ogni modo con caratteristiche qualitative di scarso valore e ciò a danno degli agricoltori e dei consumatori;
   tra i metalli pesanti, il cadmio, ad esempio, ha effetti gravemente tossici per la salute dell'uomo, in quanto, assunto durante la dieta, incide negativamente sull'apparato scheletrico, genera osteoporosi e deformazioni della spina dorsale, oltre ad avere effetti tumorali sul sistema riproduttivo e attività di distruzione endocrina;
   in particolare, nel territorio di Lomello, vi sarebbero importanti appezzamenti a riso e proprio in tale territorio andrebbero accuratamente svolte attente valutazioni, anche ricordando che l'istituto Mario Negri di Milano ha riscontrato su questi suoli livelli elevati di metalli tossici con concentrazioni prossimi ai limiti ammessi per scopi agricoli;
   le notizie di stampa riportano anche di precedenti sequestri e inquisizioni della C.r.e spa per anomalie nelle attività di spandimento dei fanghi;
   la giunta regionale della Lombardia, in attuazione di specifici accordi definiti nell'aprile 2009 tra regione, province e comunità montane, ha approvato in data 29 luglio 2009, la delibera di giunta regionale n. 9953, con la quale sono state definite le modalità di blocco progressivo dello spandimento sui terreni agricoli dei fanghi provenienti dall'attività di depurazione delle acque reflue urbane e industriali, allo scopo di raggiungere un maggiore livello di protezione dei terreni e dei corpi idrici;
   i cittadini dei comuni della Lomellina sono preoccupati e contrariati per le ricadute che l'attività di trattamento fanghi comporta sul proprio territorio, denunciando il rischio per la salute e per l'integrità dell'ambiente –:
   se il Ministro abbia allo studio iniziative per la revisione delle norme che disciplinano l'uso dei fanghi di depurazione in agricoltura, con particolare riferimento alla fissazione di limiti armonizzati, validi per tutte le regioni, ai fini della sostenibilità ambientale ed agricola;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per una riduzione dei limiti di accettabilità e dei valori soglia dei metalli pesanti presenti nei fanghi spandibili in agricoltura, a garanzia della salute dei cittadini e della tutela dell'ambiente. (4-13953)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   GALGANO, BOMBASSEI, MATARRESE, CATANIA, VARGIU, OLIARO, CAPUA e VECCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   vista la necessità di riaffermare l'unicità e del valore del «prodotto e del territorio Italia», occorrerebbe innalzare il numero degli arrivi e delle presenze sulla globalità del territorio nazionale, agevolando l'innalzamento degli standard qualitativi dell'offerta turistica nazionale, migliorando le strutture esistenti e creandone anche in aree ad elevato potenziale ma con scarsa capacità ricettiva;
   al fine di accrescere la remuneratività per l'intero comparto ricettivo, è importante supportare lo sviluppo di attività strutturate in grado di produrre effetti positivi e duraturi sulle economie degli specifici territori, anche attraverso efficaci attività di promozione e di comunicazione, svincolare l'offerta nazionale dai condizionamenti degli operatori esteri, produrre offerte definite e calibrate sugli specifici target di riferimento, valorizzare le offerte locali accrescendone la valenza e la visibilità, destagionalizzare l'offerta e l'afflusso turistico;
   per favorire lo sviluppo del comparto turistico, tenuto conto anche dell'imponente stabile ricaduta occupazionale, è necessario definire e pone in essere in tempi brevi strategie, progetti ed attività in grado di produrre effetti e ricadute positive sui settori di riferimento, evitando il ricorso all'ennesima infruttuosa sperimentazione e garantendo che lo sviluppo dei progetti e delle attività sia curato da specialisti ed aziende in possesso del know how, delle competenze, conoscenze, esperienze e consapevolezze necessarie per l'ottenimento del massimo risultato;
   per recuperare in tempi brevi l'enorme gap accumulato dal nostro paese nei confronti dei competitor esteri, anche in considerazione dei contributi, consigli, indicazioni, richieste ed istanze pervenute dalle varie associazioni operanti nel settore (consorzi di albergatori e di agriturismi, aziende di promozione del turismo singoli albergatori e titolari di attività ricettive assessorati al turismo e sviluppo economico, associazioni pro loco, comitati nazionali e internazionali), si avverte l'esigenza di accrescere la valenza del potenziale e dell'offerta nazionale nei mercati mondiali, sviluppare proficue attività di marketing, promozione e comunicazione, introducendo strumenti innovativi capaci di agevolarle, definire percorsi ed iniziative concordate e condivise dai territori in grado accrescere la competitività complessiva dell'offerta nazionale, concepire, l'offerta turistico ricettiva quale imprescindibilmente legata d quella delle produzioni e dei prodotti italiani;
   a tal fine sarebbe altresì opportuna la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità progettuali già selezionate nell'ambito dei Programmi d'Innovazione Industriale denominati «Industria 2015», principalmente all'Obiettivo C, gestiti dal Ministero dello sviluppo economico che risultano pienamente rispondenti alle esigenze sopra espresse e che hanno la potenzialità di contribuire fattivamente allo sviluppo di iniziative ed attività in grado di accrescere in breve tempo la competitività dell'offerta nazionale;
   quali iniziative intenda il Governo adottare a supporto di uno dei settori chiave dell'economia nazionale quale è il turismo, fin troppo trascurato ed abbandonato alla libera iniziativa delle imprese operanti nello stesso e, in particolare, se esista, la volontà di recuperare un patrimonio di idee, di progetti e di innovazioni sviluppato dal sistema nell'ambito dei programmi «Industria 2015» che, in quanto già oggetto di verifica e selezione, hanno la potenzialità di contribuire fattivamente allo sviluppo di iniziative ed attività in grado di accrescere in breve tempo la competitività dell'offerta nazionale.
(5-09286)


   RICCIATTI, FERRARA, COSTANTINO, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, SCOTTO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO e FAVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2016, a due anni dalle «Disposizioni urgenti per il rilancio del turismo» varate dal Governo Renzi e che trasformarono Enit in ente pubblico economico, il soggetto che dovrebbe occuparsi di promozione del brand Italia sui mercati internazionali del turismo, ha presentato il piano strategico 2016-2018 (un piano di promo-commercializzazione turistica), presso l'Auditorium del Parco della Musica, a Roma;
   il documento, relativo al piano triennale di Enit da 84 milioni di euro fino al 2018, composto da circa sessanta pagine, presenta per gli interroganti una serie di criticità: 1) non c’è traccia di pianificazione strategica; 2) non è presente alcuna linea di azione in termini di mercati a cui tendere, segmenti da aggredire, leve industriali e finanziarie da utilizzare; 3) mancano gli obiettivi economici finali e intermedi da far conseguire al settore, gli step temporali di realizzazione e l'indicazione precisa dell'utilizzo risorse sui macro-programmi;
   le «linee guida della programmazione triennale» contengono una serie di capitoli, su alcuni punti chiave, come il «presidio sui mercati avanzati», il «rafforzamento nei mercati in rapido sviluppo», i nuovi collegamenti», il «turismo domestico», ma per ognuno degli ambiti non si riscontra alcuna indicazione operativa;
   nel documento figurano anche una quindicina di pagine di inquadramento sul: turismo nel mondo, sul turismo in Europa, sulla ricettività ed economia turistica italiana, sulle caratteristiche quantitative del turismo incoming, ma senza alcuna specifica;
   il piano enuncia anche il capitolo digitale, Italia.it e social media. Il piano di intervento, si legge nelle relative pagine, su Italia.it, prevede due fasi: la riorganizzazione e l'ottimizzazione della versione attuale del sito, nel breve termine, e la progettazione/realizzazione di un nuovo sito che superi le rigidità strutturali e i limiti di quello attuale, nel medio termine;
   le ultime ventiquattro pagine del piano con grande genericità, riguardano una serie di ambiti promozionali, come «natura e paesaggi rurali», «borghi e patrimonio immateriale», «cultura diffusa e poli museali minori», «cammini e itinerari religiosi», «food e itinerari del gusto» e «lusso»;
   ognuno degli ultimi tre Ministri competenti in materia di turismo hanno elaborato un suo piano di promozione e valorizzazione dei giacimenti culturali della penisola: piani pensati ma mai realizzati: dal famoso progetto di rilancio del Ministro pro tempore Piero Gnudi con le sue 62 azioni guida a quello del Ministro pro tempore Massimo Bray, fino al laboratorio digitale del turismo voluto dal Ministro Dario Franceschini, ma senza riuscire a dare la scossa necessaria al turismo italiano. In aggiunta sono state progressivamente stravolte le strutture di promozione turistica, cambiati i dirigenti e bloccati gli enti che lo dovevano gestire;
   l'Enit dovrebbe avere come compito quello di tentare, l'ennesimo, rilancio del turismo italiano ma dovrebbe diventare un ente più articolato, una struttura capace di promuovere efficacemente il made in Italy nel turismo, ma anche la promozione e lo sviluppo del turismo congressuale e fieristico; cosa che da anni puntualmente non avviene e nonostante la presentazione periodica di piani non riesce ad assumere il sostegno al turismo in Italia come una attività strategica, tenuto conto, anche, dello stato di abbandono in cui versano, ad esempio, le strutture dell'Enit all'estero;
   da più parti si paventa l'accorpamento dell'Enit nell'Istituto per il commercio estero (Ice), con la contestuale assegnazione al Ministero dello sviluppo economico della direzione generale del turismo, ora incardinata presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   tenuto conto di quanto esposto in premessa e dell'importanza di un'attività strategica continuativa ed efficace per lo sviluppo del turismo interno e dall'estero, se il Governo non ritenga, al fine di dare 9 impulso ad un settore importante anche in termini di risposta alla crisi economica, di valutare iniziative per l'accorpamento dell'Enit all'Ice e il contestuale passaggio della direzione generale del turismo dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dello sviluppo economico. (5-09287)


   BENAMATI, ARLOTTI, CAMANI, TARANTO, SENALDI, MARTELLA, MONTRONI e BARGERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'organizzazione mondiale del turismo (OMT) il 2015 è stato un anno favorevole per il turismo internazionale a livello mondiale, con 1,184 miliardi di arrivi internazionali (+4,4 per cento, ovvero 50 milioni in più rispetto al 2014);
   l'Europa è al terzo posto per variazione positiva negli arrivi (+4,7 per cento) e ha raggiunto 607,6 milioni di arrivi (circa 27,4 milioni di turisti in più rispetto al 2014);
   nell'area Europa meridionale/mediterranea si sono registrati 10,3 milioni di arrivi in più (+4,7 per cento);
   nel contesto internazionale l'Italia si pone al 5o posto per gli arrivi e al 7o posto per gli introiti nella graduatoria 2015 delle destinazioni turistiche mondiali più frequentate dal turismo straniero;
   secondo la ricerca annuale 2016 del World Travel & Tourism Council (WTTC) in Italia il contributo diretto di viaggi e turismo al Pil è stato di 68,8 miliardi di euro (4,2 per cento del Pil totale) nel 2015, mentre il contributo totale del settore è calcolato in 167,5 miliardi di euro (10,2 per cento del Pil);
   nel ranking del WTTC sul peso del contributo di viaggi e turismo al Pil, l'Italia si pone all'8o posto in termini assoluti su 184 Paesi, perdendo una posizione (era 7o nel 2014), e all'84esimo per peso relativo sul totale del Pil (stesso piazzamento 2014), al 136o per previsione di crescita (147o nel 2014) e al 179o per crescita a lungo termine 2016-2026 (era 182o nel 2014);
   il turismo interno genera il 70,7 per cento dell'impatto diretto di viaggi e turismo sul Pil in Italia, contro un 29,3 per cento relativo agli stranieri;
   in Europa i primi 50 tour operator, secondo i dati del FTW, operano in 10 Paesi e la Germania è al primo posto con ben 15 tour operator;
   nel corso del 2015 il giro d'affari complessivo ha superato i 59 miliardi di euro (Germania 56 per cento e Gran Bretagna 16 per cento) che rappresenta 1/3 del totale del turismo italiano;
   valutando i cataloghi pubblicati dei tre principali tour operator inglesi (Thomson, Monarch, Airtours/Thomas Cook), sul totale dei voli e dei passeggeri, la prima destinazione è la Spagna col 45 per cento che, insieme a Grecia e Turchia detengono il 75 per cento del totale dei turisti che scelgono località marine. In totale i, paesi proposti sono 13: Spagna, Portogallo, Italia, Malta, Cipro, Croazia, Bulgaria, Marocco, Grecia, Turchia, Tunisia, Israele, Egitto;
   l'Italia in questi programmi vedrà l'arrivo di 1.226 voli, con 194.000 arrivi e 1.358.000 in hotel convenzionati in Veneto, Campania, Sicilia e Sardegna, ovvero solamente il 2,5 per cento delle presenze sul totale movimentato nelle 25 settimane;
   negli stessi cataloghi è possibile individuare il numero delle camere per ogni hotel convenzionato con una media che si attesta su 344 stanze in Spagna, 363 in Turchia e 393 in Egitto. Fanalino di coda, l'Italia con una media di 103 stanze;
   anche alla luce dell'attuale contesto geopolitico, è importante aumentare il livello di competitività internazionale del nostro Paese, soprattutto per ciò che riguarda il turismo organizzato che in Italia, vale 3,4 miliardi di euro circa contro i 24 della Germania;
   è quindi auspicabile la messa in atto di iniziative volte a favorire la realizzazione e/o l'ampliamento delle strutture alberghiere per consentire di intercettare i flussi dei grandi tour operator, in particolare, promuovendo e sostenendo reti di imprese turistiche di prossimità che consentano di aumentare la capacità di offerta di un numero di camere adeguate a questi flussi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative di promozione verso l'estero, con un'azione coordinata tramite Enit, del turismo nazionale, indicando altresì quali siano le strategie che si intendono adottare per sostenere l'internazionalizzazione del nostro turismo. (5-09288)


   VALLASCAS, DA VILLA, CANCELLERI, FANTINATI, DELLA VALLE e CRIPPA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 aprile 2014 è stata approvata una mozione del gruppo M5S la n. 1-00397 sul sostegno e rilancio del comparto turistico;
   la mozione impegnava il Governo su diversi argomenti importanti per il settore turistico come potenziare l'offerta turistica nazionale on-line del portale Italia.it, ad oggi disomogeneo e poco funzionale; istituire un marchio distintivo e definitivo per la promozione del Paese, fortemente identitario e utilizzabile datati gli operatori che rispondono ai requisiti per l'esercizio della propria professione o attività che rappresenti una garanzia dei servizi offerti; assumere misure urgenti affinché l'intero territorio nazionale sia considerato «distretto turistico», semplificando le procedure burocratiche previste, causa principale del precedente fallimento di questo istituto, promuovendo la formazione di reti d'impresa territoriali con il riconoscimento dei relativi vantaggi fiscali e burocratici uniti a un reale sostegno economico; verificare con maggior rigore l'utilizzo delle risorse da parte delle regioni, soprattutto di natura comunitaria come i fondi strutturali e di coesione, da collegare in modo chiaro a tempistiche e progetti certi per evitare sprechi, ritardi e il loro mancato utilizzo; favorire il rilancio del settore termale italiano, ampiamente sottostimato per le potenzialità legate alla sua attrattività turistica e occupazionale;
   gli impegni suddetti come anche altri descritti nella mozione sono stati accolti dal Governo e solo alcuni sono stati realizzati –:
   quale sia lo stato di attuazione degli impegni della mozione citata in premessa in quali tempi intenda realizzarli e quali siano le iniziative immediate che intende adottare nel settore turistico. (5-09289)


   PRODANI e ALFREIDER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione FS Italiane è stata costituita nel 2013 da Ferrovie dello Stato Italiane, Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana (RFI) allo scopo di valorizzare e preservare il patrimonio storico, tecnico, ingegneristico e industriale del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane;
   con una nota stampa congiunta dell'11 aprile 2015, Fondazione Fs Italiane e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno comunicato la nascita di «una piattaforma di nuove strategie per un turismo sostenibile, motore di crescita sociale, economica e culturale, con un progetto che vedrà il Mibact insieme alla Fondazione FS Italiane, nella promozione e valorizzazione di una parte del patrimonio culturale per lo più sconosciuto al turismo di massa. Obiettivo prioritario del progetto è quello di valorizzare e promuovere, attraverso l'emozione concreta di un viaggio su binari d'altri tempi, l'affascinante scoperta di un territorio, con i suoi incantevoli borghi, parchi, castelli, itinerari inconsueti da raggiungere in treno (...)»;
   in data 16 dicembre 2015, Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha svolto presso la commissione trasporti della Camera dei deputati un'audizione nell'ambito dell'esame in sede referente della proposta di legge recante «Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico». Il Ministro ha affermato che: «siamo disponibili a dare il nostro contributo e il nostro sostegno in tutte le forme possibili. Questo è un tema centrale nelle strategie del Mibact per lo sviluppo di un turismo lento e sostenibile e il fatto che ci sia una proposta di legge sul riuso di quasi 800 chilometri di linee ferroviarie dismesse in posti incantevoli del nostro Paese è davvero un fatto importante»;
   per perseguire tale obiettivo, il 3 dicembre 2015 il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ha concluso il percorso d'ingresso all'interno della Fondazione Ferrovie dello Stato. Gli obiettivi principali vedono come protagonista lo sviluppo del turismo ferroviario con treni d'epoca sulle linee ferroviarie più paesaggistiche della Penisola, la valorizzazione del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, il riordino del fondo degli archivi delle Ferrovie in Italia dall'800 ad oggi;
   il museo ferroviario di Campo Marzio a Trieste è dedicato alla storia delle ferrovie del Friuli e della Venezia Giulia e ai relativi mezzi di locomozione, personale, sistemi di manutenzione e gestione. Il numero degli oggetti esposti, inizialmente limitato, è aumentato con le donazioni di reperti da parte di appassionati della storia delle ferrovie, fino a giungere a una collezione che, per quantità e qualità, rappresenta una vera «testimonianza storica» di un periodo che va dalla prima metà dell'800 alla prima metà del ’900;
   il museo, ospitato nella ex stazione ferroviaria di Campo Marzio, venne aperto al pubblico nel 1984 su iniziativa dei volontari del Dopolavoro Ferroviario, che ne curano ancora oggi la gestione, la manutenzione e la fruibilità. Più volte, nel corso degli anni, il museo ha corso il rischio di chiusura e la contestuale dispersione delle raccolte. Di recente, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia ha imposto tre vincoli che hanno sancito stazione e museo quali beni indissolubili: il vincolo architettonico per l'edificio, il vincolo sulla collezione e sul mantenimento dei legame con contesto in cui si trova attualmente e il vincolo sui binari che collegano il museo con la rete ferroviaria;
   da un articolo del Il Piccolo del 3 gennaio 2016, l'ingegnere Roberto Carollo, direttore del museo ferroviario, ha dichiarato che «nel 2015 abbiamo registrato oltre 6 mila visitatori, un record assoluto, considerando che l'anno prima erano stati circa 5 mila. Sono numeri importanti, visto che – sottolinea – il museo si regge grazie al lavoro dei volontari e per questo è aperto solo tre mezze giornate a settimana, ma l'impegno è davvero grande e riusciamo a organizzare visite guidate, open day, pubblicazioni, mostre e altri eventi in grado di far conoscere sempre più il museo (...)»;
   pertanto, risulta evidente come il museo, opportunamente supportato e promosso, potrebbe rafforzare la propria attrattività turistica e portare a positive ricadute economiche sul complesso del territorio;
   il 28 febbraio 2016, una nota stampa della regione Friuli Venezia Giulia ha riportato l'esito di un incontro tra la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, il direttore della Fondazione FS Luigi Cantamessa e l'ex sindaco di Trieste Roberto Cosolini; l'incontro era finalizzato a «riqualificare il Museo ma anche utilizzare i binari, mantenendoli allacciati alla rete, a scopo turistico, in particolare per quanto concerne il collegamento ferroviario con il polo Museale Miramare, come già ipotizzato anche con Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, andando nel contempo a valorizzare la suggestiva stazione voluta a ridosso del parco dallo stesso Massimiliano d'Asburgo»;
   nella stessa giornata, un articolo de Il Piccolo riporta le parole di Roberto Cosolini, al tempo sindaco di Trieste, secondo il quale: «(...) la priorità sembra essere quella di individuare un progetto di riutilizzo dell'intera area (...); i tempi per la realizzazione di un protocollo di intesa con la Regione e le Ferrovie dovrebbero essere brevi. Abbiamo davanti un interlocutore forte, che per la prima volta ha dimostrato di credere nella valorizzazione e nello sviluppo di Campo Marzio» –:
   se intenda fornire dei chiarimenti e maggiori informazioni circa l'iter e le tempistiche del protocollo di intesa sulla stazione di Campo Marzio tra Fondazione FS, Regione Friuli Venezia Giulia e comune di Trieste annunciato il 28 febbraio e come intenda valorizzare la struttura, secondo quale formula e secondo quale tipologia gestionale. (5-09290)

DIFESA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il disegno di legge n. 2679 (legge di stabilità 2015) presentato dal Governo il 23 ottobre 2014 prevedeva, nell'ambito della riduzione delle spese e degli interventi correttivi riguardanti il Ministero della difesa, il progetto di completamento della revisione della giustizia militare, con la soppressione dei tribunali militari e delle procure militari di Verona e Napoli, e quella del tribunale militare di sorveglianza e dell'ufficio militare di sorveglianza;
   con 5 distinti ordini del giorno al Senato (9/01015/002 del 9 ottobre 2013 e 0/1577/21/01 del 17 marzo 2015) e alla Camera dei deputati (9/01682-A/028 del 24 ottobre 2013, 9/02486-AR/121 del 31 luglio 2014 e 9/03444-A/179 del 19 dicembre 2015) nonché con la risposta del Ministro in IV Commissione permanente difesa della Camera del 3 ottobre 2013 all'interrogazione n. 5-01121, il Governo si impegnava a porre in essere una razionalizzazione della giustizia militare, previa costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc presso il Ministero della difesa;
   ancora, con interrogazione del 30 aprile 2014 (n. 4-04687) presentata alla Camera dei deputati, si chiedevano aggiornamenti sullo stato dell'arte del progetto di razionalizzazione e nella risposta del Ministro della difesa del 24 settembre 2015 si richiamava il disegno di legge (AC 2679-undecies) di riduzione degli uffici dedicati alla giustizia militare, stralcio della legge di stabilità 2015, nonché il disegno di legge costituzionale d'iniziativa parlamentare Dambruoso (AC 2657), di soppressione della giurisdizione penale militare attraverso la modifica degli articoli 102 e 103 della Costituzione;
   il «Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» redatto dallo stesso Ministero della difesa ribadiva che «il Governo intende proseguire lo sforzo di maggiore efficienza del sistema e di razionalizzazione studiando anche la possibilità di forme giuridicamente evolute basate sul principio di unicità della giurisdizione penale e che prevedano di dotarsi, in tempo di pace, di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria»;
   la produttività nell'ambito della giurisdizione militare è al limite dell'insignificanza statistica per la pochezza numerica e qualitativa del contenzioso penale: nel corso dell'anno 2015 la Corte militare d'appello ha registrato un elevato numero di sopravvenienze soprattutto per peculato e truffa (28 per cento), insubordinazione (19 per cento) e abuso di autorità (17 per cento) e, in totale, i procedimenti trattati sono «in numero molto esiguo» (Giuseppe Mazzi, Presidente f.f. della Corte militare di appello) –:
   a quale stadio si trovi il progetto di riforma della giustizia militare, se sia confermato l'intento di costituire un gruppo di lavoro sul tema presso il Ministero della difesa e di valutare, nell'ambito di tale riflessione e alla luce della già citata pochezza numerica e qualitativa del contenzioso trattato, l'assunzione delle iniziative di competenza per la soppressione del sistema giudiziario militare e la sua integrazione nel sistema giudiziario ordinario.
(2-01442) «Marantelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ben 14 comuni sui 20 del Consorzio Oltrepo Mantovano che ricadono sotto la giurisdizione della compagnia dei carabinieri di Gonzaga si sono attivati per affrontare la questione concernente la ristrutturazione della caserma del comando di compagnia;
   in una recente riunione convocata dal sindaco di Gonzaga Claudio Terzi alla presenza dei rappresentanti degli altri comuni e del Comandante della compagnia dell'Arma si è entrati nel merito degli interventi necessari e da affrontare;
   l'amministrazione comunale, per tale opera, ha previsto in bilancio una spesa di oltre un milione di euro;
   oltre alla manutenzione straordinaria dell'immobile, risulta essere indispensabile un intervento per risistemare la centrale operativa con ulteriore spesa;
   nel corso della riunione su proposta dei sindaci di San Giacomo delle Segnate, del presidente del Consorzio Oltrepò, nonché sindaco di Motteggiana, è stata avanzata la proposta di dividere l'importo dell'investimento necessario tra i comuni ricadenti nella competenza del comando di compagnia, che costituiscono un bacino di 100mila abitanti;
   la sensibilità mostrata dalle amministrazioni locali necessita di un adeguato supporto anche da parte del Ministero in considerazione della rilevanza strategica dell'azione del suddetto Comando di compagnia per la sicurezza e il controllo del territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere al fine di supportare, con proprie risorse, l'azione di ristrutturazione dell'immobile sede del comando evitando che i costi gravino esclusivamente sugli enti locali. (5-09266)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   numerosi cittadini italiani che posseggono un immobile nel quale non risiedono e che, per motivi personali, decidono di non usarlo oppure non intendono o non riescono ad affittarlo, devono comunque corrispondere al comune di appartenenza la TARI, la tassa sui rifiuti;
   il comma 642 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (la cosiddetta «legge di stabilità 2014) stabilisce che: "La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di pluralità di possessori o di detentori, essi sono tenuti in solido all'adempimento dell'unica obbligazione tributaria"; quindi, la tassa va pagata per tutti gli immobili che potenzialmente "potrebbero"» produrre rifiuti, indipendentemente dal fatto che li producano davvero oppure no;
   eppure, la logica vorrebbe che, se la fornitura di un servizio prevede il pagamento di un corrispettivo, qualora il servizio non venga fornito il fornitore non dovrebbe pretendere alcun corrispettivo;
   il testo del comma 642 andrebbe modificato abolendo la tassa sui rifiuti per le case sfitte, al fine di consentire ai proprietari di un immobile soggetto alla Tari di non pagarla se non ne fanno uso, oppure se, non dandola in locazione, non ne ricavano alcun introito –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative per correggere questa anomalia, considerato che, in caso contrario, le amministrazioni comunali continueranno, ingiustamente, a percepire gli introiti della Tari anche a fronte di un servizio di rimozione dei rifiuti che non viene da esse erogato.
(2-01441) «Melilla, Palese, Matarrelli, Sannicandro».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il perverso intreccio di inchieste giudiziarie, perdite camuffate con abili operazioni finanziarie, operazioni di acquisizione azzardate e rapporti poco trasparenti con il mondo politico che ha o messo in crisi il Monte dei Paschi di Siena, storico istituto di credito del nostro Paese, potrebbe far nuovamente implodere il sistema bancario italiano e scatenare una nuova crisi finanziaria globale capace di coinvolgere oltre ad altri istituti di credito italiani anche colossi esteri come Deutsche Bank;

   il tracollo dell'istituto di credito dal 22 gennaio 2016 si aggira intorno al 60 per cento del suo valore azionario, con il risultato che oggi la capitalizzazione al valore di mercato del Monte dei Paschi di Siena sfiora il miliardo di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a circa dieci miliardi di euro e di sofferenze nette, ossia di crediti deteriorati che non riuscirà a recuperare, pari a ventiquattro miliardi di euro;

   a queste cifre si è giunti dopo che la parte peggiore delle suddette sofferenze, che hanno un valore nominale di 27 miliardi di euro (su un totale crediti deteriorati di 47 miliardi), è già stata svalutata per 17 miliardi, portando così il residuo valore netto di bilancio a 10 miliardi di euro, valore su cui si è concentrato lo scetticismo dei mercati;

   la BCE ha chiesto all'istituto di credito di ridurre le sofferenze di 10 miliardi di euro entro il 2018, ma la vendita delle stesse a prezzi di mercato causerebbe una perdita superiore agli accantonamenti messi fino ad oggi a bilancio;

   un tale scenario il Governo ha esternato in più occasioni che la sua priorità è quella di tutelare il risparmio e per questo di voler chiudere in tutta fretta, prima del 29 luglio 2016, data entro la quale l'Eba (l'autorità bancaria europea) renderà noti i risultati degli stress test di 53 banche tra cui il Monte dei Paschi, l'accordo con l'Unione europea che autorizzi l'intervento pubblico «precauzionale» contemplato dalla direttiva europea BRRD sulle risoluzioni bancarie (cosiddetto bail-in), che all'articolo 32, comma 4, punto III, autorizza in via precauzionale i Governi a ricapitalizzare gli istituti di credito che non superano lo scenario avverso dello stress test, senza che questo venga considerato un aiuto di Stato;

   secondo uno schema riportato da due autorevoli quotidiani nazionali, Il Sole 24 Ore e La Stampa, l'operazione prevederebbe l'intervento del Ministero dell'economia e delle finanze – già socio della banca con il 4 per cento – o della sua partecipata, la Cassa depositi e prestiti, che ricapitalizzerebbe l'istituto con bond convertibili, per poi cedere ad una bad bank la gran parte dei crediti deteriorati;

   gravi sarebbero le conseguenze sociali per famiglie ed imprese, soprattutto alla luce dei nuovi provvedimenti approvati dal Parlamento per snellire le procedure esecutive e recuperare più agevolmente i crediti da parte del sistema bancario, derivanti dall'avvio di una procedura di risoluzione per l'istituto di credito senese –:

   se possa chiarire, con riferimento ai crediti deteriorati, quanti mutui siano stati accesi presso il Monte dei Paschi di Siena da famiglie e imprese, specificando tra questi quanti per acquisto di prima casa o di altri immobili, e quanti crediti chirografari e fondiari siano stati concessi dall'istituto alle imprese, specificati per numero e valore, nonché nominativo dei principali beneficiari e con riferimento alle obbligazioni subordinate emesse dall'istituto, la loro ripartizione tra il retail e i soggetti istituzionali italiani e esteri e se e come intenda intervenire, per quanto di competenza, qualora l'esito negativo degli stress test dovesse comportare la necessità di una ricapitalizzazione, che, viste le premesse, appare difficile possa essere supportata dal mercato. (5-09281)


   RUOCCO, LUIGI DI MAIO, PESCO, PISANO, VILLAROSA, ALBERTI e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, ha istituito il «registro internazionale» delle navi adibite alla navigazione internazionale per traffici esclusivamente commerciali, introducendo una riserva di nazionalità in merito a la composizione degli equipaggi: in particolare, per le navi iscritte nel registro italiano (articolo 2, comma 1, lettera a)) si è previsto che l'intero equipaggio debba avere i requisiti di nazionalità di cui al comma 1 dell'articolo 318 del codice della navigazione (cittadinanza italiana o di altri paesi appartenenti alla Unione europea); per quelle di provenienza estera o locate a scafo nudo, invece, i detti requisiti debbono essere posseduti da almeno sei membri dell'equipaggio, tra i quali dovranno obbligatoriamente esservi il comandante, il primo ufficiale di coperta e il direttore di macchina (articolo 2, comma 1, lettera b)); gli stessi requisiti di cui alla lettera b), sono stati poi previsti per le navi acquistate all'estero o di nuova costruzione consegnate all'armatore dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, n. 30 del 27 febbraio del 1998, di conversione del decreto-legge;
   come si desume dal testo della norma, si tratta di una riserva di nazionalità limitata, in quanto, ad eccezione delle navi provenienti dalle matricole e dai registri italiani, non è esclusa l'assunzione di lavoratori privi del requisito di nazionalità di cui all'articolo 318 del codice della navigazione;
   lo stesso decreto-legge, agli articoli 4 e 6, introduce sgravi fiscali e contributivi a favore delle imprese che utilizzano navi iscritte al registro internazionale e che soddisfino i requisiti di nazionalità di cui all'articolo 2 in materia di personale di bordo; in particolare, la norma ha riconosciuto la riduzione al 20 per cento della base imponibile IRPEF e IRES; l'attribuzione di un credito d'imposta in misura corrispondente all'importo delle ritenute a titolo di acconto sul reddito delle persone fisiche dovuta sui redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo corrisposti al personale di bordo imbarcato; l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali sui compensi corrisposti ai dipendenti;
   alle agevolazioni fiscali di cui al decreto-legge n. 457 del 1997 si è aggiunta dal 2005 un'ulteriore opzione fiscale che consente agli armatori di optare per la tonnage tax, vale a dire una tassazione forfettaria minima calcolata sul tonnellaggio complessivo delle navi di proprietà (e in certi casi anche per quelle a noleggio), indipendentemente dal reddito prodotto;
   le dette agevolazioni fiscali si applicano indistintamente agli armatori che utilizzano navi iscritti al registro internazionale, indipendentemente dal numero di dipendenti imbarcati che rispettano il requisito di nazionalità di cui al codice della navigazione;
   con la recente legge n. 122 del 7 luglio 2016, recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2015-2016, il Governo è stato delegato ad adottare un decreto legislativo di riordino degli incentivi fiscali, previdenziali e contributivi in favore delle imprese marittime (articolo 24, commi 11-15);
   la finalità dichiarata della delega è la definizione di un sistema maggiormente competitivo che incentivi gli investimenti nel settore marittimo e, soprattutto, «favorisca la crescita dell'occupazione e la salvaguardia della flotta nazionale», nel rispetto dei principi fondamentali dell'Unione europea e delle disposizioni comunitarie sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza;
   a tale scopo, tra i principi e criteri direttivi di delega, definiti nel comma 12, si prevede che per le navi traghetto Ro-Ro (traghetti adibiti al trasporto merci) e RoRo/pax (traghetti adibiti al trasporto merci e persone) adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato, l'attribuzione dei benefici fiscali e degli sgravi contributivi deve essere limitata alle sole imprese che imbarchino sulle stesse esclusivamente personale italiano o comunitario;
   al comma 13 si prevede che il decreto debba essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   il termine per l'esercizio della delega è fissato al 31 luglio 2016 –:
   se, in relazione alle parti di competenza, siano stati avviati presso il Ministero dell'economia e delle finanze studi e analisi volti all'attuazione della delega fiscale di cui all'articolo 24, comma 11, della legge n. 122 del 7 luglio 2016, in scadenza il 31 luglio 2016, e se siano state ipotizzate, e come valuti in ogni caso (indipendentemente dalla delega conferita), iniziative volte ad estendere la limitazione dei benefici fiscali anche alle altre navi del settore commerciale iscritte nel registro internazionale che imbarchino sulle stesse esclusivamente personale italiano o comunitario, in considerazione della finalità della delega di favorire la crescita dell'occupazione e la salvaguardia della flotta nazionale. (5-09282)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una recente indagine della Guardia di finanza denominata «operazione Labirinto», che si è conclusa con l'arresto di 24 persone, ha portato alla luce una oscura vicenda di corruzione e consulenze fittizie pagate in cambio dell'ottenimento di canali privilegiati con la pubblica amministrazione per l'aggiudicazione di appalti milionari;
   nelle carte delle indagini, che hanno portato agli arresti domiciliari, tra gli altri, di Giuseppe Dal Cortivo, presidente e amministratore delegato della multinazionale di Verona Cad it, è emerso un coinvolgimento diretto nella vicenda della società veronese, la quale si è aggiudicata, tra il 2008 e il 2014, appalti e lavori con Poste Italiane, per oltre 47 milioni di euro;
   in particolare, a seguito della partecipazione alla gara indetta da Poste, il 7 ottobre del 2008, Cad it, società specializzata nella fornitura di software al settore creditizio e all'impresa, si è aggiudicata l'appalto di una piattaforma informatica per un valore di oltre 13 milioni di euro;
   in occasione del suddetto bando europeo milionario, per la fornitura della piattaforma applicativa per la gestione dell'operatività nel settore dei «servizi di investimento presso terzi» è altresì emersa dalle indagini una consulenza da 420 mila euro che la multinazionale veronese avrebbe affidato l'anno prima alla Piao Snc, società di consulenza riferibile ad Alberto Orsini, uno dei personaggi chiave dell'operazione «Labirinto», proprio in vista del bando di gara europeo;
   nello sviluppo delle indagini è inoltre emerso che, già prima dell'ottobre del 2008, la Cad aveva fornito servizi alle Poste Italiane (affidati direttamente) per 47 mila euro (12 maggio dello stesso anno), e si era aggiudicata due gare sottosoglia comunitaria per 370 mila euro il 28 maggio e per 176.990 euro il 24 giugno;
   altre 4 gare Cad It se le sarebbe aggiudicate tra il 2013 e il 2014, ma la polizia giudiziaria avrebbe accertato che tra le prime e le successive, a partire dal 2013, si collocherebbero numerose altre forniture affidate con il sistema diretto – in totale sarebbero 51 – per un importo complessivo di oltre 34 milioni di euro;
   tra i facilitatori degli appalti ci sarebbe anche il faccendiere Raffaele Pizza – fratello dell'ex sottosegretario nel Governo Berlusconi Giuseppe Pizza – che avrebbe sfruttato le sue conoscenze in ambito politico per favorire le aziende che pagavano per ottenere l'aggiudicazione degli appalti;
   secondo gli inquirenti, dunque, «grazie ai legami stabiliti già allora con organi di vertice delle Poste, in particolare con Massimo Sarmi», Pizza, nell'ambito del suo ruolo di mediatore, avrebbe introdotto Cad it in questo settore e poi favorito i contatti tra i referenti della società e Alberto Orsini;
   in particolare, nel gennaio 2015, parlando con Roberto Boggio (anch'egli indagato) Pizza sottolinea di essere in «rapporti di amicizia con Sarmi (Poste Italiane) e con i proprietari di Cad It, di averli aiutati più volte in passato e di aver ricevuto all'epoca sollecitazioni da parte di alcuni referenti della società per un suo ulteriore intervento in vista della partecipazione di Cad It ad una gara di appalto dell'Inps (da 180 milioni di euro)»;
   secondo quanto riportato da organi di stampa, dal febbraio 2008 al 2013 la società veronese Cad It avrebbe versato, per delle consulenze aziendali fittizie, quasi 800 mila euro a favore della Piao snc, fondi che in realtà sarebbero serviti per aiutare in maniera illecita la ditta, veronese nell'aggiudicazione degli appalti con Poste Italiane;
   Massimo Sarmi, ex «numero uno» di Poste italiane, avrebbe negato il suo coinvolgimento personale per favorire l'assegnazione di commesse o agevolare procedure di appalto in favore della Cad It –:
   se il Governo sia al corrente della grave vicenda esposta in premessa e se non intenda chiedere chiarimenti a Poste italiane in merito alle procedure di affidamento degli appalti, aggiudicati tra il 2008 e il 2013, nell'ambito della fornitura delle piattaforme informatiche per la gestione dell'operatività nei servizi di investimento, nel rispetto dei principi di correttezza e trasparenza. (5-09295)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDELLI, BRUNETTA, OCCHIUTO e POLIDORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo le denunce di alcune associazioni dei consumatori e le notizie provenienti da vari articoli di stampa, la prima riscossione del canone Rai attraverso le bollette elettriche avrebbe registrato diversi errori a danno dei consumatori;
   in particolare, sembra che vi siano stati diversi utenti che, avendo chiesto l'esonero secondo le disposizioni di legge, abbiano, invece, ricevuto la richiesta di pagamento in bolletta; mentre pare che altri, pur non avendo fatto richiesta di esenzione, non abbiano ricevuto la richiesta di pagamento del canone Rai nella bolletta elettrica di luglio; con il rischio di vedersi addebitare qualche sanzione in futuro dagli organi addetti all'accertamento –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'esistenza di questi errori, se abbia idea delle dimensioni del fenomeno e cosa intenda fare per tutelare i diritti dei cittadini utenti e consumatori, anche in vista del termine ormai prossimo delle scadenze di pagamento. (4-13930)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, QUARANTA, MATARRELLI, GIANCARLO GIORDANO, PIRAS e COSTANTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori precari della giustizia sono tirocinanti che da ben 6 anni prestano in maniera continuativa il proprio lavoro nelle cancellerie alle dipendenze del Ministero della giustizia (attraverso il ricorso a contratti di tirocinio formativo reiterati di anno in anno), apportando un contributo notevole, sopperendo in tal modo alla atavica carenza di organico che da ben 25 anni investe il settore giustizia;
   la funzione fondamentale svolta dai precari della giustizia è tanto più avvertita laddove si considerino le molteplici missive promananti dai Presidenti delle corti di Appello, tribunali, nonché dal presidente della Suprema Corte di Cassazione, che incoraggiano il Ministro della giustizia a valorizzare in maniera fattiva e concreta il percorso da loro svolto;
   trattasi, infatti, di soggetti più volte selezionati dallo stesso Ministero della giustizia (lavoratori in mobilità, cassintegrati, disoccupati o inoccupati e giovani laureati disoccupati o inoccupati) e da ultimo individuati attraverso la procedura concorsuale indetta con decreto interministeriale del 20 ottobre del 2015, emanato in attuazione dell'articolo 21 ter del decreto legislativo 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n. 132, pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 257 del 4 novembre 2015, che prevede l'istituzione del cosiddetto ufficio del processo;
   la procedura permetteva di individuare 1502 tirocinanti da selezionare tra coloro i quali avevano già svolto il tirocinio di perfezionamento ex articolo 37, comma 11, del decreto legislativo 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111;
   ad oggi, dunque, sono circa 1200 i precari della giustizia che, dopo aver superato la selezione pubblica di cui in parola, sono impegnati nelle cancellerie degli uffici giudiziari italiani per garantire il corretto funzionamento dell'istituito ufficio del processo e la cui attività lavorativa cesserà in data 30 novembre 2016;
   se alla base della scelta di operare uno scorrimento della graduatorie si pone la necessità di individuare personale valido – tenuto conto delle particolari esigenze connesse ai processi di razionalizzazione organizzativa e ai conseguenti fabbisogni di professionalità – non si comprende l'esclusione dalla procedura in oggetto della platea dei precari della giustizia che negli anni hanno arricchito il proprio bagaglio di competenze tecnico-professionali proprio nel settore giustizia, diventando così oltremodo idonei allo svolgimento delle mansioni di cui oggi si discute la razionalizzazione organizzativa;
   inoltre, se il ricorso a tecniche di mobilità e scorrimento delle graduatorie di concorsi indetti da altre pubbliche amministrazioni muove dal condivisibile intento di evitare un aggravio per la spesa pubblica dello Stato, così soddisfando i principi di economicità ed efficienza dell'azione della pubblica amministrazione, tale principio potrebbe trovare doppiamente attuazione attingendo la forza lavoro proprio nella platea dei precari della giustizia dal momento che, giova ribadirlo, trattasi di personale altamente qualificato che vanta anni di esperienza professionale maturata proprio nel settore dell'amministrazione giudiziaria, in quanto tali figure nascono con il precipuo intento di supportare il lavoro delle cancellerie in affanno –:
   se il Governo non ritenga opportuno rimeditare la propria posizione al fine di valorizzare e di tener in debito conto i precari della giustizia, soggetti nei cui confronti, lo Stato ha per anni investito le proprie risorse ricavandone un apporto fattivo e concreto per fronteggiare le disfunzioni della macchina giudiziaria.
(4-13931)


   NICOLA BIANCHI, LIUZZI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da molto tempo il sistema penitenziario della Sardegna versa in condizioni di allarmante criticità per le gravi carenze organiche nonché a causa della scarsa disponibilità di mezzi e risorse che condizionano pesantemente la normale operatività delle strutture penitenziarie;
   in diverse occasioni le organizzazioni sindacali hanno posto all'attenzione del Ministro interrogato le problematiche che si trova ad affrontare il personale operante all'interno degli istituti penitenziari, ma allo stato attuale le criticità evidenziate non appaiono risolte;
   le tabelle ministeriali prevedono una dotazione organica del Corpo di polizia penitenziaria di 1.834 unità per le dieci strutture della regione Sardegna che ospitano, tra i circa 2.000 detenuti, anche perso e sottoposte al regime speciale di cui all'articolo 41-bis e al regime di alta sicurezza, ma attualmente sono amministrate solamente 1.474 unità;
   si registra in modo particolare la carenza di figure apicali. L'attuale impiego di un unico direttore per la gestione contemporanea di due o tre istituti e l'assenza di vice direttori di ruolo comportano, oltre a inevitabili disservizi nello svolgimento del lavoro, anche un aggravio di costi per l'amministrazione penitenziaria;
   come rilevato dalle associazioni sindacali, il personale amministrato è carente nella totalità delle strutture, ma la situazione assume caratteri di particolare gravità negli istituti di Oristano, Cagliari, Tempio Pausania, Nuoro e Sassari. Nel complesso penitenziario di Oristano-Massama la pianta organica prevede 176 unità a fronte delle 143 attualmente in organico; a Sassari-Bancali, dove è presente anche il padiglione riservato ai detenuti in regime speciale di cui all'articolo 41-bis, la pianta organica prevede 392 agenti a fronte dei 322 attualmente in organico; nella sede di TempioNuchis, dove sono presenti soltanto detenuti in regime di alta sicurezza, la pianta organica prevede 161 poliziotti a fronte dei 91 attualmente in organico; nel penitenziario di Nuoro, in cui sono reclusi 170 detenuti di cui circa la metà in regime di alta sicurezza, la pianta organica prevede 191 unità a fronte delle 150 attualmente in organico; presso la casa circondariale di Cagliari-Uta sono amministrate 390 unità anziché le 445 previste dalla pianta organica;
   desta inoltre preoccupazione la carenza di unità che prestano servizio nei nuclei traduzioni e piantonamenti, che ogni giorno effettuano una rilevante mole di traduzioni. L'organico in attività è di gran lunga inferiore rispetto alla movimentazione dei detenuti e spesso, come più volte segnalato, dai rappresentanti dei lavoratori, i nuclei di Sassari, Cagliari, Nuoro, Oristano e Tempio si trovano nella condizione di sguarnire le sezioni detentive per poter garantire lo svolgimento di tutti i movimenti previsti. Non è meno rilevante sottolineare la cronica riduzione delle risorse economiche destinate alla manutenzione ordinaria degli automezzi, che sono per la maggior parte vetusti e che pertanto non consentono lo svolgimento degli spostamenti in maniera sicura;
   ad aggravare la situazione descritta si aggiunge la mancanza di un adeguato numero di figure professionali impiegate negli istituti, tra cui contabili, educatori, assistenti sociali e operatori amministrativi, che contribuisce a compromettere la piena capacità operativa delle strutture penitenziarie. Allo stato attuale sono amministrate nelle dieci sedi della regione 305 unità a fronte delle 483 unità previste in organico e non è raro che il personale di polizia penitenziaria, per sopperire a tali mancanze, sia utilizzato per svolgere funzioni differenti rispetto al proprio ruolo e sia pertanto sottratto ai propri compiti istituzionali –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare urgentemente iniziative volte alla soluzione delle problematiche che investono il sistema penitenziario della Sardegna, colmando in tempi brevi le gravi carenze organiche evidenziate in premessa, affinché l'intero personale dell'amministrazione penitenziaria possa operare con efficienza ed efficacia e sia pertanto garantita la piena e corretta operatività degli istituti dell'isola. (4-13933)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, MICILLO e CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 luglio 2012, la Compagnia italiana di navigazione (CN), dopo essersi aggiudicata la gara per la cessione del ramo d'azienda Tirrenia di Navigazione preposto all'erogazione dei servizi pubblici di cabotaggio marittimo tra la penisola e le isole maggiori e le isole Tremiti, ha sottoscritto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una convenzione della durata di otto anni per i citati collegamenti marittimi di pubblico interesse;
   per gli obblighi assunti a garanzia dei collegamenti con Sardegna, Sicilia e isole Tremiti, la convenzione prevede un corrispettivo annuo pari a 72,7 milioni di euro, importo che non può essere soggetto ad alcuna forma di rivalutazione;
   nel contempo, la convenzione prevede una serie di correttivi a fronte delle mutate condizioni di mercato ovvero di perdite di gestione significative;
   è il caso di riferire che l'articolo 9 prevede la clausola di salvaguardia «Qualora si prospettino scostamenti imprevedibili a carattere struttura, in eccesso o in difetto, dei ricavi da attività in Convenzione superiori al 3% rispetto a quelli specificati in allegato B, riconducibili a (1) crisi settoriale o squilibri di mercato che determinino variazioni dei volumi trasportati – merci, passeggeri, auto e (2) modifiche dell'offerta del settore, ciascuna delle parti ha facoltà di fare istanza di verifica delle condizioni di equilibrio economico- finanziario». Circostanza che, se accertata, attiverebbe una procedura per ripristinare le condizioni di equilibrio economico;
   a un anno dalla sottoscrizione della convenzione, a fronte – come si legge sul sito internet della Tirrenia – di perdite significative evidenziate dai dati economici gestionali dell'attività sovvenzionata, la compagnia avrebbe attivato le procedure indicate dall'articolo 9 della convenzione per la revisione delle condizioni, procedimento che si è concluso con l'emanazione del decreto interministeriale del 4 settembre del 2014;
   tra le altre clausole di modifica delle condizioni economiche previste dalla convenzione, avrebbero suscitato numerose proteste quelle previste dall'articolo 6 in merito all'adeguamento tariffario, ogni due mesi, in base alle fluttuazioni del prezzo del carburante e all'inflazione;
   secondo alcuni organi di stampa, la compagnia di cabotaggio marittimo avrebbe rimodulato il regime tariffario, per i collegamenti da e per la Sardegna, il 18 luglio 2016, nel pieno della stagione estiva;
   i rincari in alcuni casi supererebbe il 10 per cento del costo del biglietto, contribuendo a rendere proibitivi i prezzi del trasporto marittimo per la Sardegna;
   secondo alcuni organi di stampa, un passaggio ponte sulla tratta Olbia-Genova verrebbe a costare 60 euro, mentre sulla linea Civitavecchia-Cagliari una cabina doppia uso singola verrebbe a costare 89,47 euro, circa 9 euro in più rispetto al giorno precedente;
   questo stato di cose determinerebbe forti limiti ai principi della continuità territoriale sancita in più circostanze dal legislatore per compensare i disagi delle aeree del Paese caratterizzati da distanza e insularità;
   è anche il caso di rilevare che aggiornare le tariffe nel corso della stagione estiva amplificherebbe considerevolmente gli effetti negativi sugli utenti del servizio, in considerazione dell'aumento della crescita della domanda da parte dei cittadini sardi e della popolazione dei turisti;
   questa penalizzazione si ripercuoterebbe in particolare modo su alcune fasce dell'utenza, coloro che sono costretti a imbarcare l'autovettura, che già affrontano costi particolarmente elevati per la traversata;
   questa situazione potrebbe essere aggravata, nei termini di una limitata offerta e di una limitata opportunità di scelta da parte dei consumatori, dalla posizione dominante sulle rotte sarde che avrebbe il gruppo Onorato, di cui fa parte Tirrenia-CIN;
   questa situazione avrebbe determinato nel mese di aprile 2016 l'avvio, da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato l'avvio di un'istruttoria nei confronti di Compagnia italiana di navigazione, Moby e Onorata Armatori, per un'ipotesi di abuso di posizione dominante che le compagnie avrebbero attuato in violazione delle norme europee, ostacolando l'operatività delle società concorrenti –:
   se quanto esposto in premessa risponda al vero;
   quali iniziative intenda adottare per garantire una continuità territoriale marittima che a tutti gli effetti possa eliminare le disparità di opportunità determinate dalla condizione di insularità della Sardegna;
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per rivedere le condizioni della convenzione sottoscritta il 18 luglio 2012 con la Compagnia italiana di navigazione, con particolare riguardo alla previsione dell'adeguamento tariffario automatico nei casi di fluttuazione del prezzi del carburante e dell'inflazione. (5-09277)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 luglio 2016, un diciannovenne di Martellago, Federico Diana, è morto dopo essere giunto al pronto soccorso dell'ospedale di San Vito al Tagliamento (Pordenone) per sospetta overdose di sostanze stupefacenti;
   il ragazzo stava partecipando con alcuni amici a un rave party sul greto del Tagliamento in località Rosa quando si è sentito male presumibilmente, a quanto si apprende dagli organi di informazione, dopo aver assunto sostanze psicotrope;
   portato in ospedale il ragazzo è deceduto poco dopo e il referto ha attribuito la morte per overdose di sostanze psicotrope e alcol;
   la magistratura ha aperto un fascicolo per fare luce sul decesso; omicidio preterintenzionale e traffico illecito di stupefacenti sarebbero le ipotesi di reato; sono stati affidati al medico legale l'autopsia e i prelievi per l'esame tossicologico;
   il ragazzo era incensurato e non aveva precedenti per detenzione di stupefacenti neanche per consumo personale;
   purtroppo, con frequenza, in occasione di rave party si registrano drammatici casi di cronaca, come è accaduto anche nel recente passato lungo la riviera romagnola, in Puglia e ora con il decesso sopra menzionato;
   l'evento risulterebbe illegale, in quanto non sarebbero state concesse autorizzazioni –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere nel rispetto dell'azione della magistratura per contribuire a far luce su quanto accaduto;
   se non si ritenga opportuno valutare l'assunzione di iniziative per un inasprimento della normativa in merito allo svolgimento di tali eventi e anche un più capillare controllo soprattutto nel periodo estivo, considerata la evidente pericolosità per quanto concerne l'aspetto della salute e dell'ordine pubblico. (5-09280)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 luglio 2016 la segreteria provinciale dell'UGL vigili del fuoco di Trieste ha denunciato come nella giornata del 18 luglio «su disposizione della Prefettura di Trieste, personale operativo della sede del Comando Provinciale di Trieste, sia stato inviato presso un campeggio di Fernetti per il trasporto e il lavoro di facchinaggio per l'allestimento di tende e posti letto sembrerebbe destinati ai richiedenti asilo»;
   tale attività non solo ha privato il servizio urgente di soccorso di circa la metà del personale operativo in servizio in ambito cittadino e almeno cinque mezzi di soccorso, ma il materiale utilizzato è stato sottratto alle dotazioni della protezione civile e dovrebbe essere destinato agli interventi urgenti in caso di calamità;
   i posti letto in allestimento all'interno delle tende dovrebbero essere circa quaranta e sembrano essere destinati a ospitare dei rifugiati trasferiti da Gorizia;
   in un periodo come quello estivo, nel quale si verificano decine di incendi e il personale dei vigili del fuoco è impegnato al massimo, non si comprende quali possano essere le ragioni che giustificano una scelta come quella sopra esposta, che si traduce in un rischio per la collettività, sprovvista in caso di emergenza degli uomini e dei mezzi per intervenire –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa, quali siano state le ragioni per destinare proprio personale dei vigili del fuoco a tale compito e come si ritenga di gestire gli eventuali prossimi casi.
(4-13940)


   PAGANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'inchiesta iniziata il 24 maggio 2014 a Fiumicino (Roma), la polizia di frontiera a individuato un passaporto intestato una cittadina italiana, ma in uso a una cittadina albanese, in procinto di partire per Montreal (Canada), che era stato segnalato tra quelli difettosi e quindi destinato al macero;
   due anni orsono, infatti, la questura di Milano aveva restituito alla Zecca dello Stato 4.000 passaporti con il microchip difettoso perché venissero distrutti assieme a altri 230.000 pezzi;
   300 di questi passaporti con microchip difettoso sono invece finiti in un circuito illegale utilizzato da almeno due gruppi di bande di extra-comunitari (uno di etnia albanese, l'altro composto a nordafricani) che, agendo tra Napoli e Roma, avevano basi e contatti in città quali Parigi, Molembeek ed Istanbul teatro negli ultimi tempi i gravi attentati di matrice fondamentalista islamica;
   pur non essendovi evidenze probatorie per sostenere che questa documentazione sia stata sfruttata da fanatici jihadisti, le numerose intercettazioni telefoniche contenute nell'ordinanza del GIP Vilma Passamonti dimostrano che, comunque, i passaporti illegali sono stati utilizzati al fine di agevolare i trasferimenti in Francia e Belgio di cittadini provenienti da zone di guerra quali Siria, Iraq, Afghanistan e Kenya;
   pochi giorni dopo l'avvio di tale inchiesta la polizia turca ha sorpreso a Istanbul tre cittadini siriani, in possesso di questi passaporti italiani, i quali avevano l'intenzione i raggiungere Germania ed Olanda;
   dalle indagini è inoltre emerso che ogni passaporto è stato venduto al prezzo di circa due mila euro ai gruppi di bande di extra-comunitari per poi essere falsificati;
   l'indagine condotta dalla Polizia di Fiumicino ha indotto il procuratore aggiunto Paolo Ielo ed il pubblico ministero Maria Letizia Golfieri, della procura della Repubblica di Roma, a ipotizzare i reati di associazione per delinquere, peculato, falso, omissione di atti d'ufficio, ricettazione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oltre che all'emissione di undici provvedimenti cautelare (tra carcere e arresti domiciliari) nei confronti di Massimo Salomone, magazziniere della Zecca, il quale avrebbe dovuto procedere alla distruzione dei passaporti;
   obblighi di firma, invece, sono stati imposti al responsabile dei magazzini dell'IPZS (Istituto poligrafico e zecca dello Stato) Achille Pivetta ed alla funzionaria del Ministero dell'economia e delle finanze Maria Arrigale, entrambi sospettati di aver attestato falsamente l'avvenuta distruzione dei passaporti;
   l'operaio del Poligrafico dello Stato Massimo Salomone, ora agli arresti domiciliari, avrebbe provveduto ad immettere in circolazione i passaporti trafugati dietro pagamento di una somma tra 1 1.600 1 1.800 euro, spinto dalla necessità di guadagnare denaro al fine di far fronte a ingenti debiti di gioco e per acquistare sostanze stupefacenti;
   a sostenerlo è il GIP Vilma Passamonti nelle oltre 90 pagine di ordinanza di custodia cautelare. In tale documento si legge che probabilmente è stato proprio nel contesto del gioco d'azzardo e del traffico di stupefacenti che Salomone sarebbe venuto in contatto con l'autore della falsificazione e della ricettazione dei passaporti in questione;
   sempre nell'ordinanza del GIP Passamonti, a proposito del Salomone e degli altri due indagati, Pivetta ed Arrigale, si legge come sia stata rilevata la loro «non comune capacità a delinquere nella spregiudicatezza con cui gli stessi indagati hanno operato in spregio alle funzioni loro assegnate»;
   altro elemento sottolineato dal GIP «è l'indifferenza dimostrata nel commettere i reati per il pregiudizio al buon andamento dell'amministrazione nella quale prestano servizio, con condotte delle quali non potevano non percepire la gravità, come pure la pericolosità delle possibili conseguenze derivanti dal mancato compimento degli atti cui erano preposti e dalla messa in circolazione dei documenti sottratti»;
   nella stessa ordinanza del GIP, infine, si legge come lo stesso Salomone «ha dimostrato una capacità a delinquere particolarmente elevata per le modalità con cui ha operato per sottrarre i documenti dal Poligrafico presso cui presta servizio a diretto contatto con funzionari addetti al controllo, di cui ha saputo sfruttare il contegno omissivo» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di chiarire quanto effettivamente sia avvenuto all'interno dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato e del Ministero dell'economia e delle finanze;
   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di accertare con esattezza il numero dei passaporti falsificati;
   se non si ritenga opportuno avviare, per quanto di competenza, una verifica rapida ed approfondita al fine di agevolare l'identificazione dei soggetti che hanno utilizzato i passaporti in questione e per quali finalità;
   se emergano elementi che collegano l'intera operazione posta in essere alla comune o al terrorismo di matrice jihadista;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di evitare che episodi come quelli descritti in premessa abbiano a ripetersi. (4-13943)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sui quotidiani locali, pare che ad Olgiate Comasco, in provincia di Como, siano recentemente arrivati altri quindici immigrati, tutti uomini di età compresa tra i diciannove e i trenta anni e provenienti da Camerun, Ciad, Mali e Senegal;
   come anche riferito alla stampa dal responsabile della Cooperativa Intesa Sociale, che ha in carico l'accoglienza anche di questi ultimi quindici immigrati arrivati ad Olgiate Comasco, si apprende, altresì, che gli stessi sono stati alloggiati in due appartamenti ricavati al piano superiore dello stabile che ospitava il poliambulatorio dell'ospedale Sant'Anna, in via Roma;
   con questo ultimo arrivo «salgono a una cinquantina gli immigrati trasferiti ad Olgiate Comasco, dei quali una trentina assegnati alla Cooperativa Intesa Sociale e alloggiata nel Condominio dei Cedri e nell'ex Poliambulatorio, una decina in carico alla Cooperativa Il Biancospino ospitata nello stabile di fronte al parco Boselli e una decina seguita dalla Caritas parrocchiale»;
   benché già da tempo circolasse la notizia dell'invio di altri immigrati ad Olgiate Comasco e la notizia fosse sempre stata smentita, il sindaco di Olgiate Comasco ha dichiarato alla stampa che, in realtà, già quindici giorni prima la Prefettura gli «aveva accennato al possibile arrivo di 7-8 profughi a Olgiate ... poi ... confermato nella giornata di mercoledì dal responsabile della Cooperativa Intesa Sociale»;
   ad Olgiate Comasco sono, infine, arrivati ben quindici immigrati e pare siano stati trasferiti nella città comasca, «dopo aver trascorso due notti al dormitorio della Caritas di Como e in vista dell'arrivo di un'altra cinquantina sono stati dati in carico alla ... cooperativa (n.d.r. Intesa Sociale)»;
   secondo quanto dichiarato dal responsabile della Cooperativa Intesa Sociale si apprende che, nel frattempo ed in vista dell'improvviso arrivo, i due appartamenti nello stabile di via Roma, ex sede dell'ambulatorio sarebbero stati prontamente messi «a norma» e, terminati i lavori, vi sarebbero stati alloggiati gli ultimi quindici immigrati arrivati;
   tuttavia, secondo quanto dichiarato invece dal sindaco di Olgiate, non sarebbero state ancora fatte le verifiche «sulla congruità delle metrature degli alloggi con il numero di persone accolte»;
   il responsabile della Cooperativa Intesa Sociale ha dichiarato alla stampa che «Non sono previsti altri trasferimenti di profughi a Olgiate» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato dalla stampa e se ciò corrisponda al vero; in particolare, se siano previsti ulteriori arrivi di immigrati ad Olgiate Comasco; quali verifiche e controlli siano stati preventivamente svolti in merito ai requisiti di agibilità ed igienico-sanitari dei due appartamenti siti nello stabile di via Roma, ex sede dell'ambulatorio di cui in premessa, e quali controlli siano stati effettuati successivamente all'arrivo dei quindici immigrati ivi ospitati; quali siano stati gli esiti di tali controlli; di quali elementi disponga circa i lavori per la messa «a norma» citati dal responsabile della Cooperativa Intesa Sociale, nonché circa la loro durata; da quanto tempo era previsto l'arrivo dei quindici immigrati nel comune di Olgiate e quali comunicazioni la prefettura abbia inviato al sindaco in merito al numero, alla nazionalità e alla data del loro arrivo quale sia la convenzione in essere con la Cooperativa Intesa Sociale nella provincia di Como, infine, se intenda chiarire, per quanto di competenza, il motivo per cui non sia stata verificata preventivamente la congruità delle metrature degli alloggi con il numero di persone accolte, come dichiarato dal sindaco, e quando ciò verrà effettivamente fatto. (4-13947)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie apparse sui quotidiani, nei giorni scorsi il prefetto di Milano avrebbe comunicato al sindaco di San Colombano al Lambro la propria decisione di inviare nel comune ulteriori 98 immigrati, pare richiedenti asilo, e di alloggiarli in un edificio privato, il condominio Roccabarra, in pieno centro storico;
   San Colombano al Lambro è un paese di circa 7300 abitanti, noto luogo a vocazione turistica per la presenza di un castello, lo svolgimento di diverse manifestazioni a carattere medioevale e per la presenza dell'unica collina nel milanese con produzione di vini Doc;
   pertanto, la notizia dell'imminente arrivo dei 98 immigrati a San Colombano, previsto per i prossimi giorni e comunque entro il 1o agosto 2016, ha provocato subito grande sconcerto ed enorme preoccupazione sia tra gli amministratori locali che tra la popolazione residente, anche per le ovvie ripercussioni, sia di ordine pubblico che per l'economia della cittadina a vocazione turistica;
   in particolare, il paese intero si è mobilitato contro la decisione unilaterale del prefetto di Milano e ha espresso la propria totale contrarietà alla decisione assunta perfino tramite una raccolta firme che, in poco tempo, hanno raggiunto il numero di duemila circa;
   subito dopo la comunicazione della decisione del prefetto di Milano al sindaco di San Colombano, è stato convocato un consiglio comunale d'urgenza dove sono state approvate da tutte le forze politiche presenti due mozioni, presentate dai gruppi di opposizione, per esprimere unanime contrarietà e preoccupazione per la decisione assunta dalla prefettura;
   per il giorno venerdì 29 luglio 2016, è stata indetta dalla maggioranza e dall'opposizione in consiglio comunale una assemblea pubblica;
   lo stabile, all'interno del quale i 98 immigrati verranno alloggiati, risulterebbe acquistato all'asta da una società in liquidazione, Centro distribuzione alimentari (CDA), con sede legale in via Steffenini a San Colombano e domicilio fiscale ad Agrigento, la quale sarebbe altresì morosa verso il comune per il pagamento dell'Imu per gli anni 2014-2015-2016;
   lo stesso stabile risulterebbe altresì in stato di abbandono ormai da cinque anni e recentemente in fase di ristrutturazione, ma ancora privo dei criteri di abitabilità in termini di compatibilità urbanistica, impiantistica anche per l'assenza del certificato anti-incendio;
   a seguito del sopralluogo nello stabile effettuato dall'ufficio tecnico comunale, con polizia locale e carabinieri, dopo la comunicazione della decisione della prefettura per verificare i lavori in corso pare che gli immigrati, in arrivo nei prossimi giorni, saranno alloggiati nella parte del palazzo non ancora ultimata, dove sono ancora in corso i lavori di manutenzione, pulitura, imbiancatura, cambiamento dei serramenti e degli impianti, per i quali ancora non è stata presentata alcuna richiesta al comune;
   a San Colombano, dove su 7000 persone già 500 ad oggi sono extracomunitari, le forze dell'ordine non possono gestire nuovi rischi perché, a quanto risulta agli interroganti, in carenza di organico e mezzi rispetto alle ormai attuali condizioni del territorio da presidiare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato dai giornali e, in particolare, quali siano state le motivazioni per cui la prefettura di Milano deciso di inviare ben 98 immigrati in una struttura situata nel centro storico di una cittadina a vocazione turistica quale il comune di San Colombano; quali controlli e verifiche sulle condizioni di abitabilità e igienico sanitarie dello stabile prescelto siano state effettuate preventivamente dalla prefettura di Milano; quale sia l'ente a cui sia stato affidato il servizio di accoglienza dei 98 immigrati destinati al condominio Roccabarra; se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere immediatamente iniziative affinché sia revocata la decisione presa dalla prefettura di Milano, anche alla luce delle contrarietà le preoccupazioni legittime avanzate sia dall'amministrazione che dagli abitanti del comune. (4-13948)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2016, il responsabile di «Noi con Salvini» a Cagliari, Daniele Caruso, è stato aggredito da un gruppo di facinorosi riconducibili all'area dei cosiddetti «antagonisti», che lo hanno sorpreso mentre camminava nei pressi di piazza Matteotti, dov'era programmato lo svolgimento di una manifestazione contro l'immigrazione, peraltro poi annullata ad istanza delle autorità preoccupate per il possibile scoppio di violenze;
   nella piazza Matteotti di Cagliari stazionavano in effetti numerosi immigrati extracomunitari ed in concomitanza con la manifestazione leghista era stato indetto dai cosiddetti antagonisti anche un «pranzo antirazzista»;
   l'aggressione, del tutto gratuita ed immotivata, si concludeva nel pestaggio di Daniele Caruso, reduce da un'intervista, e nel suo successivo ricovero in ospedale;
   in conseguenza delle violenze subite, Caruso ha dovuto subire anche un intervento chirurgico;
   non risulta finora intrapresa alcuna particolare iniziativa tesa ad accertare le responsabilità penali degli autori dell'aggressione, peraltro celebrata persino su social media come Facebook –:
   quali iniziative di competenza il Governo ritenga opportuno assumere per garantire anche a «Noi con Salvini» la possibilità di manifestare liberamente a Cagliari senza subire minacce, prevaricazioni e violenze da parte dei cosiddetti antagonisti;
   quali iniziative di competenza il Governo ritenga di dover mettere in campo per controllare, in relazione ai risvolti di ordine pubblico, le attività degli antagonisti cagliaritani e soprattutto per garantire l'incolumità fisica di Daniele Caruso, già aggredito e costretto a ricorrere alle cure di un nosocomio cagliaritano;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per impedire che si verifichino aggressioni, come quella a Daniele Caruso, da parte di coloro che si sono già macchiati di odiose violenze politiche o inneggiano alla loro effettuazione. (4-13950)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, CHIMIENTI, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un articolo apparso sul quotidiano « Il Messaggero» del 25 luglio 2016 descrive la «fuga dei commissari» del concorso della scuola a causa, soprattutto, dei bassissimi compensi a favore dei membri della commissione;
   l'ordinanza Prot. n. 0000571 – 14 luglio 2016 sulla formazione delle commissioni giudicatrici dei concorsi per titoli ed esami finalizzati al reclutamento del personale docente della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado, nonché del personale docente per il sostegno agli alunni con disabilità stabilisce che «In caso di mancanza di aspiranti (commissari), il dirigente preposto all'USR competente nomina i presidenti e i componenti, fermi restando i requisiti e le cause di incompatibilità previsti dal Decreto e dalla normativa vigente. Ove non risulti possibile reperire componenti aggregati per l'accertamento delle conoscenze informatiche e delle competenze linguistiche, il dirigente dell'USR può prescindere dai requisiti di cui all'articolo 4 comma 7, lettere a) e b) del Decreto Ministeriale n. 96 del 23 febbraio 2016, ferma restando la conferma in ruolo. Qualora non sia possibile reperire componenti aggregati nemmeno ai sensi del precedente periodo, il dirigente dell'USR competente può ricorrere con proprio decreto motivato alla nomina di componenti aggregati assicurando la partecipazione alle commissioni giudicatrici di esperti di comprovata competenza nel settore»;
   alle procedure concorsuali partecipa un gran numero di docenti non di ruolo i quali insegnano da diversi anni e che, a causa di quelli che per gli interroganti sono errori del Governo e per gli effetti della legge n. 107 del 2015 sulla «buona scuola», potranno essere giudicati anche da commissari che non hanno alcuna esperienza di docenza;
   l'ordinanza n. 0000571 – 14 luglio 2016 modifica i requisiti necessari per nominare i componenti delle commissioni giudicatrici a procedure concorsuali già avviate, nonostante diversi articoli di stampa, comunicati di sindacati di categoria avevano già denunciato dal mese di aprile la difficoltà del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel reperire un numero di commissari sufficiente per la formazione delle commissioni concorsuali, soprattutto a causa delle modestissime retribuzioni dei commissari a fronte della mole di lavoro, tant’è che diversi uffici scolastici regionali avevano disposto la riapertura dei termini per acquisire ulteriori candidature a presidenti, commissari o membri aggregati delle commissioni giudicatrici;
   secondo quanto riportato dal portale Tuttoscuola.com, sono 450 i decreti degli uffici scolastici regionali per fronteggiare le rinunce dei componenti delle commissioni e necessari a salvare la regolarità dei concorsi;
   l'articolo 2-quater del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42 dispone che, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono definiti i compensi per i componenti delle commissioni di esame del concorso di cui all'articolo 1, comma 114, della legge 13 luglio 2015, n. 107 –:
   quanti siano totalmente i decreti di modifica delle commissioni concorsuali;
   se, a luce di quanto esposto in premessa, le procedure e, quindi, la validità dei concorsi indetti con decreti del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale n. 105 del 23 febbraio 2016, n. 106 del 23 febbraio 2016 e n. 107 del 23 febbraio 2016 non siano compromesse;
   per quale motivo il Ministro interrogato, nonostante fosse facilmente ipotizzabile la difficoltà nella formazione delle commissioni concorsuali a causa della modestissima retribuzione a fronte della mole di lavoro, non abbia predisposto per tempo le iniziative necessarie per evitare questa situazione di emergenza;
   per quale motivo non sia ancora stato emanato, in attuazione dell'articolo 2-quater del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, il decreto interministeriale che definisce i compensi per i componenti delle commissioni di esame del concorso della scuola. (5-09267)


   TERZONI, AGOSTINELLI e CECCONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le sigle sindacali marchigiane hanno diffuso un comunicato con il quale lanciano l'allarme per la carenza di personale docente in vista dell'avvio dell'anno scolastico 2016/2017;
   a mancare all'appello sarebbero 1300 docenti e c’è molta preoccupazione anche per la situazione del personale amministrativo tecnico e ausiliario (ata);
   a rischio sono i servizi legati all'ordinaria attività didattica, i corsi serali, i licei musicali e coreutici, i corsi di bilinguismo, la scuola in carcere, le sezioni antimeridiane della scuola dell'infanzia;
   risulta, inoltre, che a fronte dell'aumento degli studenti con handicap non corrisponde un aumento degli insegnanti di sostegno;
   in più di un istituto si registrano classi con oltre 30 alunni, nonostante siano state aumentate le classi e nelle scuole per l'infanzia non sia stato possibile far fronte alla totalità delle richieste per il tempo pieno; infatti, sono ben 85 le sezioni che funzionano solo al mattino, malgrado le famiglie abbiano richiesto tutte sezioni a tempo pieno –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se sia in grado di confermare e dettagliare i numeri che riguardano le criticità del personale a disposizione per le scuole nella regione Marche e, in generale, per tutto il territorio nazionale;
   se e come ritenga di intervenire al fine di scongiurare disservizi e inevitabili disagi che si potrebbero verificare all'avvio del nuovo anno scolastico se le condizioni dovessero rimanere quelle descritte in premessa. (5-09268)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in merito allo status degli insegnanti riconosciuti «inidonei» – cioè affetti da gravi patologie e dichiarati pertanto «non idonei all'insegnamento in modo assoluto e permanente» – la legge 128 del 2013, all'articolo 15, comma 6, prevede l'emanazione di decreti attuativi che definiscano i criteri per il passaggio a mansioni diverse dall'insegnamento;
   nonostante tali decreti non siano stati ancora emanati, risulta all'interrogante, in base anche a quanto segnalato dal Centro studi per la scuola pubblica (CESP), che nell'ambito territoriale di Campobasso si stia procedendo ad anomale convocazioni – da parte di ufficio scolastico regionale, ufficio scolastico territoriale e dirigenti scolastici – del personale inidoneo presso le strutture territoriali o gli uffici di presidenza e di segreteria delle istituzioni scolastiche, con la richiesta agli interessati di consegnare il proprio curriculum vitae, per poter procedere al loro immediato trasferimento;
   in mancanza dei decreti attuativi non è possibile determinare cambiamenti di sorta nella attuale posizione dei docenti «inidonei» che pertanto rimangono docenti a tutti gli effetti e permangono al proprio posto, sino all'eventuale determinazione di atti che regolamentino il previsto passaggio;
   i docenti interessati hanno, a tutt'oggi, svolto numerosi incontri a livello istituzionale, ottenendo rassicurazioni per il mantenimento delle loro attuali condizioni di lavoro, tenuto conto che, pur in presenza di gravi patologie, fanno fronte alla propria funzione di potenziamento e di supporto al piano dell'offerta formativa, svolgendo 36 ore settimanali di servizio –:
   come intenda intervenire affinché non sia posta in essere alcuna iniziativa che possa risultare lesiva dei diritti dei docenti riconosciuti «inidonei». (4-13937)


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto della Fondazione Res sull'università italiana, esito di una imponente indagine compiuta da un gruppo di ricercatori coordinati dal professor Viesti, nel rompere un silenzio omertoso sul declino della cultura accademica in Italia, ha offerto uno spaccato dell'istruzione superiore particolarmente allarmante con un quadro di riferimento statistico che dimostra come l'università nel nostro Paese abbia subito un drastico ridimensionamento nel giro degli ultimi otto anni, registrando una riduzione di un quinto in termini di studenti, docenti e corsi di studio, oltre che di risorse rivenienti dallo Stato;
   il declino, peraltro, ha proceduto in modo asimmetrico, condannando gli atenei meridionali, a causa di scelte, discrezionali assolutamente discutibili, ad un declino ancora più precipitoso che lascia paventare la possibile condizione di irreversibilità per le università più deboli;
   facendosi carico di queste problematiche, la Camera dei deputati approvò il 29 giugno 2016, con 436 voti a favore e solo 6 contrari e il parere favorevole del Governo, una mozione che reca tra le prime firme quelle della deputata Ghizzoni e dell'interrogante. L'atto di indirizzo rivolto al Governo prevedeva tra l'altro, di stabilizzare le risorse destinate al diritto allo studio, di rivedere i requisiti di accesso, di progettare per gli studenti una no tax area, di stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale in base al fabbisogno regionale e rendere vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, superando così il meccanismo che oggi penalizza gli studenti dei Sud;
   in particolare, la mozione impegnava il Governo a rivedere alcuni dei criteri di ripartizione degli stanziamenti per le università, facendo riferimento a tre criteri importanti: la perequazione territoriale, la considerazione dei fuoricorso e le dimensioni ottimali dei corsi di studio; in sintesi la mozione impegnava a modificare profondamente i meccanismi di calcolo decisamente penalizzanti per gli atenei del Centro-sud;
   nonostante il Governo abbia dato parere favorevole alla mozione approvata quasi all'unanimità alla Camera dei deputati, il 6 luglio il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato un decreto, il n. 552 (criteri di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (FFO) per l'anno 2016), che mantiene i medesimi criteri di sempre per il costo standard, ignorando di fatto le puntuali indicazioni contenute nell'atto parlamentare –:
   se la Ministra interrogata non ritenga necessario, in ossequio ad un atto di indirizzo parlamentare, assumere iniziative per modificare urgentemente il testo del decreto, al fine di offrire il necessario ristoro alle università meridionali penalizzate da interventi indiscriminati e, al tempo stesso, rispettare il contenuto della mozione approvata nello spirito di una corretta dialettica costituzionale. (4-13945)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FANUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Governo Renzi, con il decreto-legge n. 90 del 2014 (articolo 6) e la legge n. 124 del 2015 (articolo 17, comma 3), a modifica del decreto-legge n. 95 del 2012 (articolo 5, comma 9), ha introdotto il divieto di attribuire incarichi di studio e di consulenza nonché incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza;
   ai sensi di tali disposizioni i soggetti destinatari di tale divieto sono le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 nonché le pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob);
   in merito alla suddetta normativa il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione è intervenuto con due circolari interpretative (rispettivamente circolare n. 6 del 4 dicembre 2014 e circolare n. 4 del 10 novembre 2015), nelle quali ha specificato, da un lato che il divieto si applica a tutti i soggetti che rientrano nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, o in quello del conto economico consolidato dell'Istat, quindi anche enti aventi forma di società o fondazione, nonché alle camere di commercio e dall'altro, che le cariche in organi di governo delle predette amministrazioni comprendono quelle cariche che comportano effettivamente poteri di governo, quali quelle di presidente, amministratore o componente del consiglio di amministrazione;
   la ratio di tale disposizioni è quella di evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o comunque per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità nelle amministrazioni stesse, aggirando di fatto lo stesso istituto della quiescenza nonché di agevolare il ricambio e ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni;
   le disposizioni in esame non sono volte ad introdurre discriminazioni nei confronti dei pensionati, ma ad assicurare il fisiologico ricambio di personale nelle amministrazioni, da bilanciare con l'esigenza di trasferimento delle conoscenze e delle competenze acquisite nel corso della vita lavorativa;
   alla luce delle disposizioni predette e dei chiarimenti contenuti nelle circolari ministeriali il divieto di attribuire incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo, indipendentemente dal fatto che si tratti di cariche a designazione o elettive, a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza sembrerebbe applicarsi anche agli organi di governo degli enti nazionali di previdenza e assistenza privatizzati, in quanto rientranti tra i soggetti destinatari della normativa sopra richiamata –:
   quali iniziative intendano adottare o abbiano adottato i Ministri interrogati, anche nell'ambito dei poteri di vigilanza attribuiti ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, al fine di garantire il rispetto della predetta normativa da parte di tutte le Casse di previdenza. (5-09269)


   PATRIZIA MAESTRI, GNECCHI, CASELLATO, ALBANELLA, BARUFFI, MICCOLI, GIACOBBE, INCERTI, DI SALVO, BOCCUZZI, CINZIA MARIA FONTANA, ARLOTTI, SIMONI, MARTELLI, GRIBAUDO, GIORGIO PICCOLO e DAMIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare n. 31 del 2 marzo 2006 l'INPS ha disciplinato le procedure per «prevenire la formazione dell'indebito pensionistico, intervenendo sulle variabili tecnologiche e gestionali, con l'obiettivo di ridurre i rischi ed i conseguenti disagi sociali di un intervento di recupero delle prestazioni in eccedenza»;
   come segnalato dai patronati, l'evidenza di un indebito sulla pensione o sulla prestazione di integrazione al reddito (CIG, ASpI, NASpi, e altro) viene comunicata dall'INPS al percettore attraverso comunicazioni generiche e stringate che non consentono né ai destinatari né ai patronati di avere contezza delle ragioni che hanno determinato il costituirsi dell'indebito stesso;
   nella maggior parte dei casi, a fronte della richiesta di chiarimento da parte del patronato e dei percettori delle prestazioni, le sedi dell'INPS locali, a quanto risulta agli interroganti, non sono in grado di fornire spiegazioni esaurienti, in quanto, viene riferito, l'elaborazione sarebbe effettuata dalla direzione centrale;
   in alcuni casi parrebbe che l'attività di recupero degli indebiti ecceda anche rispetto al termine di prescrizione decennale, in particolare in sede di liquidazione della domanda di pensione rispetto ad indennità percepite in precedenza;
   i patronati segnalano inoltre, che talvolta l'insorgere degli indebiti è determinato dalla stessa INPS la quale non prende tempestivamente atto delle comunicazioni (decesso, rioccupazione, variazioni reddituali complessive, e altro) inviate dai percettori;
   quest'ultima problematica risulterebbe accentuata dal cessato invio, da parte dell'INPS, delle modulistiche RED, ICRIC, ICLAV, e altro ai soggetti beneficiari delle prestazioni, così da determinare la cessazione dell'erogazione delle prestazioni legate al reddito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e delle denunce dei patronati e se non ritenga di intervenire nei confronti dell'INPS con l'obiettivo di pervenire all'implementazione di rinnovate procedure che consentano ai percettori di avere piena e immediata informazione degli indebiti percepiti, delle cause del loro determinarsi e delle procedure di rimborso. (5-09276)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è tornata alla ribalta delle cronache cittadine, la questione Ferrali spa, azienda veronese, dal 1955 leader nelle produzioni termoclimatiche, che nei giorni scorsi ha presentato un nuovo piano industriale con la previsione di un taglio di 600 posti di lavoro in Italia;
   in passato, la società aveva accumulato oltre 350 milioni di euro di debiti, tra cui 310 milioni nei confronti di banche che nella primavera del 2015 avevano deciso di interrompere l'erogazione di finanziamenti. Questa mossa aveva portato al fermo della produzione industriale. Per uscire da questa impasse, la società era stata commissariata e aveva ricevuto un'iniezione di liquidità per 65 milioni da due fondi, l'inglese Attestor e l'italiano Oxy, i quali avevano anche rinegoziato i debiti milionari con le banche;
   obiettivo dei vertici aziendali è, ora, quello di rendere Ferroli «più competitiva sul mercato, più snella, più internazionale», mentre oggi «il rapporto impianti-dipendenti è sbilanciato, e l'azienda sta bruciando tutta la cassa»;
   per raggiungere questo risultato è stata decisa la chiusura delle fonderie, del settore logistico e della produzione di motori elettrici. È previsto di mantenere solo due sedi produttive: San Bonifacio-Villanova e Casole d'Elsa in Toscana;
   sono 600 gli esuberi, su un totale di 1209 dipendenti distribuiti in tutta Italia, e oltre 400 di questi sono previsti negli stabilimenti di San Bonifacio: esattamente la metà della forza lavoro presente nel Veronese;
   nel dettaglio, gli esuberi comprendono tutti i 130 lavoratori dello stabilimento di Alano, nel Bellunese, il 50 per cento di quelli della Lamborghini di Dosso, nel Ferrarese e il 40 per cento della Finterm di Grugliasco, a Torino, le cui attività verranno trasferite a San Bonifacio: le percentuali sono quindi destinate a salire, qualora alcuni dipendenti non accettassero il trasferimento;
   il grosso degli esuberi si concentra, tuttavia, a San Bonifacio, dove l'azienda conta di far rimanere solo gli uffici del gruppo;
   ecco il «bollettino di guerra»: la fonderia, con i suoi 84 lavoratori, verrà chiusa; il settore murali e mantelli, che conta 289 lavoratori, sarà dimezzato, così come il settore basamento; verranno ridotte del 40 per cento le unità del reparto freddo e del 40 per cento quelle della logistica interna;
   sono interessati al taglio del 23 per cento anche gli uffici, dove lavorano 200 impiegati. Altri 150 esuberi sono in programma all'estero, dove sono già stati chiusi gli stabilimenti di Polonia, Turchia e Germania;
   sul fronte sindacale, Cgil e Cisl ammettono di aver ipotizzato tagli ma non in questa misura, «anche perché nel novembre scorso i lavoratori avevano accettato una riduzione del salario per andare incontro alle difficoltà di cassa dell'azienda. E negli ultimi anni sono stati avviati percorsi di avvicinamento alla pensione per 200 persone... vogliono esternalizzare il più possibile e tenendo qui solo l'assemblaggio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vertenza esposta in premessa;
   se non ritengano urgente convocare le parti in causa ad un tavolo istituzionale per tentare soluzioni che possano salvaguardare l'occupazione ed il tessuto produttivo dell'area in questione e, al contempo, prevedere il rinnovo della cassa integrazione, in scadenza a novembre 2016. (4-13939)


   CIPRINI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CHIMIENTI, COMINARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Eskigel con sede a Terni che opera nel settore dell'industria alimentare e, in particolare, nella produzione del gelato, occupa 208 dipendenti a tempo indeterminato; ogni anno, inoltre, per far fronte ai picchi produttivi, si avvale delle prestazioni di lavoro di personale stagionale;
   l'azienda si avvale almeno dall'inizio dell'anno di una agenzia di lavoro interinale denominata Randstad per reperire numerosi lavoratori stagionali che prestano l'attività lavorativa a favore della Eskigel, secondo quanto risulta all'interrogante, con contratti di brevissima durata della durata di appena 1, 2, o 3 giorni prolungabili di qualche giorno;
   la precarietà e la incertezza lavorativa genera a forte frustrazione in capo ai lavoratori, molti dei quali lavorano appena 18 –20 giorni al mese, mentre da maggio i giorni lavorativi si sarebbero ridotti ad un massimo di 7-10 giorni al mese così portando la retribuzione degli operai ad un livello assai vicino a quello di povertà e riducendoli anche ad una forte «sudditanza»: spesso accade che gli stessi vengono chiamati all'improvviso per andare a coprire un turno scoperto con preavvisi assai esigui;
   effettivamente appare poco comprensibile la scelta dell'azienda di ricorrere a forme di utilizzazione di un alto numero di lavoratori tramite agenzia di lavoro interinale, ovvero tramite forme di «esternalizzazione» a società cooperative esterne e appare, a parere degli interroganti, come un pregiudizio per le aspettative e i diritti maturati di dipendenti stagionali qualificati e con esperienza solida, la maggior parte donne, che fino a poco tempo fa potevano contare su una fonte di reddito dignitosa per sé e la propria famiglia e su una retribuzione conforme ai canoni dell'articolo 36 della Costituzione –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Governo a tutela dei dipendenti somministrati in Eskigel per verificare la legittimità del ricorso da parte dell'azienda allo strumento della somministrazione tramite agenzia di lavoro interinale o della esternalizzazione a società esterne al fine di evitarne l'eventuale uso distorto;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per favorire un ripensamento delle scelte dell'azienda che conducano all'assunzione diretta da parte dell'azienda stessa dei lavoratori stagionali, in modo da rafforzare i loro diritti e il trattamento normativo e retributivo, così favorendo il ricorso a forme di buona e durevole occupazione garantendo ai lavoratori stagionali condizioni normative ed economiche non inferiori a quelle dei dipendenti dell'azienda utilizzatrice. (4-13942)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI e SCOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura italiana è costituita prevalentemente da piccoli agricoltori tra i quali esiste una consistente quota di «figure miste», ossia soggetti che traggono il loro reddito da altra attività e integrano il proprio reddito con produzioni dirette all'autoconsumo, ma anche indirizzate a piccoli mercati locali;
   si tratta di un patrimonio in termini di capitale sociale, umano e agricolo molto rilevante, che va salvaguardato, implementato e migliorato da un punto di vista della cornice giuridica. Si tratta, peraltro, di una realtà che serve a contrastare fenomeni quali il dissesto idrogeologico e l'abbandono delle terre;
   tali specificità e compiti sono sostenuti anche nell'ambito della nuova politica agricola comune, individuando il piccolo agricoltore come un soggetto — cui è destinato il pagamento diretto del premio comunitario — di cui il legislatore nazionale si deve occupare attraverso strumenti di maggiore semplificazione anche a livello fiscale, in questo senso prevedendo regimi di esonero delle dichiarazioni Iva per quei piccoli produttori agricoli con redditi minimi;
   al contrario, in Italia si verifica il caso, opposto, ovvero l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) pone un obbligo in capo ai piccoli agricoltori e alle figure miste in caso di richiesta di accesso alla riserva nazionale per ottenere il pagamento diretto; da parte dell'Agea è infatti richiesto di aprire la partita iva aggiungendo obblighi fiscali a soggetti che non ne dovrebbero esservi sottoposti in quanto per l'appunto, come per le figure miste, non redditualmente dipendenti dalle attività agricole –:
   come si concili l'obbligo di aprire partita iva posto in capo ai piccoli agricoltori da parte dell'Agea, ai fini dell'accesso ai contributi agricoli gestiti dalla stessa Agea, con la normativa comunitaria, con particolare riferimento agli indirizzi di semplificazione in ambito fiscale posti dal legislatore europeo. (4-13932)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI e NARDUOLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'azienda sanitaria rodigina Ulss 18 ha individuato nel comune di Ceneselli (Rovigo), in Alto Polesine, un nuovo «pool» di zanzare infette dal virus West Nile;
   il virus — che in genere non provoca sintomi su soggetti giovani e sani — può invece condurre alla morte persone anziane, ammalate o con un sistema immunitario compromesso, nelle quali si può manifestare una patologia neurologica grave;
   la rilevazione del nuovo focolaio riguarda, in particolare, la presenza della zanzara culex. Il veicolo di trasmissione del virus è il sangue infetto ed è perciò è necessario che le donazioni di sangue, organi, cordone ombelicale e tessuti, siano controllate;
   dal 2008 in avanti sono stati molteplici i casi di «febbre del Nilo» registrati in Polesine. Nel 2015 un caso ha avuto anche esito letale –:
   se e in che modo si ritenga di monitorare la situazione sanitaria delle aree, come il Polesine, in cui è stata riscontrata la presenza del virus West Nile, avviando e rafforzando le necessarie azioni di controllo e prevenzione nei territori coinvolti. (3-02431)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (cosiddetto Cresci Italia), convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha previsto l'espletamento di un concorso straordinario per titoli al fine di favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge, nonché al fine di favorire le procedure per l'apertura di nuovi sedi farmaceutiche e per garantire al contempo una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico;
   all'articolo 11, comma 3, della legge 24 marzo 2012 n. 27, è fatto obbligo alle regioni di assicura e, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge 24 marzo 2012, n. 27, la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 del citato articolo e di quelle vacanti;
   ad oggi alcune regioni sono ferme ancora alla fase della graduatoria provvisoria, mentre altre hanno già assegnato le sedi farmaceutiche di nuova apertura;
   al fine di garantire l'uniformità e la trasparenza delle modalità di espletamento delle procedure concorsuali, del concorso straordinario, di cui sopra, il Ministero della salute, in collaborazione con le regioni e le province autonome, ha realizzato una piattaforma tecnologica ed applicativa UNICA per lo svolgimento delle procedure, da mettere a disposizioni delle regioni, delle province autonome e dei candidati, così come previsto dall'articolo 23, comma 12-septiesdecies, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012;
   tale piattaforma impediva l'inserimento di ulteriori titoli una volta raggiunto il punteggio massimo complessivo fissato per tutte le regioni allo stesso modo, in ottemperanza a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 1994, n. 298 «Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 9, della legge 8 novembre 1991, n. 362, concernente norme di riordino del settore farmaceutico»;
   nell'ambito delle procedure concorsuali in questa materia, l'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 riconosce una maggiorazione del 40 per cento fino ad un massimo di 6,50 punti ai farmacisti che abbiano esercitato in farmacie rurali per almeno 5 anni;
   il meccanismo della piattaforma si arrestava all'attribuzione di un punteggio massimo pari a 35 (solo per i titoli professionali), uguale per tutte le regioni e per tutti i candidati, impedendo anche ai farmacisti rurali di superare tale limite;
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5667 del 14 dicembre 2015, in occasione di un concorso ordinario, per titoli ed esami, svoltosi nella regione Sardegna, nel 2005 (il bando prevedeva la maggiorazione nel limite di punti 6,50 solo a favore dei farmacisti rurali che avessero superato la prova attitudinale) si è pronunciato sulla applicazione dell'articolo 9 della legge n. 221 del 1968, dichiarando l'illegittimità della clausola di quel bando che escludeva la maggiorazione a favore dei rurali, oltre il superamento del punteggio massimo complessivo da attribuirsi per l'attività professionale svolta;
   tale pronuncia ha determinato una situazione di totale incertezza, generando un numero enormi di ricorsi, in quelle regioni in cui la procedura concorsuale non è ancora conclusa;
   ad oggi esiste una situazione di disparità di trattamento, tra le regioni che hanno concluso la procedura e assegnato le sedi e quelle, come la Sicilia, in cui è ancora possibile presentare ricorso per ottenere l'estensione degli effetti della sentenza del Consiglio di Stato anche al concorso straordinario;
   il TAR Palermo con ordinanza cautelare n. 752/2016, ha accolto la prima richiesta di sospensiva da parte di alcuni farmacisti rurali che richiedono di estendere gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato anche al concorso straordinario;
   il TAR Palermo, con la citata ordinanza cautelare n. 752/2016, si è espresso nel seguente modo: «ritenuto, a una sommaria valutazione, che: – il ricorso sembrerebbe ammissibile tenuto conto che non sussisteva un onere di immediata impugnazione del bando, non essendo state contestate clausole escludenti; – le censure dedotte appaiono assistite da adeguato fumus boni juris alla luce di quanto condivisibilmente deciso – con riferimento a fattispecie analoga a quella in esame – dalla III sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 5667 del 14 dicembre 2015. Ritenuto, pertanto, di accogliere l'istanza cautelare ai fini della rideterminazione del punteggio attribuito ai ricorrenti» –:
   se non ritenga che a livello nazionale si siano determinata un'interpretazione non del tutto chiara della normativa per le assegnazioni di nuove farmacie, alla luce di quanto esposto e di quanto contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato 5567/2015 e nell'ordinanza del TAR della, regione siciliana 752/2016;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche in sede di Conferenza Stato – regioni, per acquisire un quadro dettagliato in relazione all'espletamento del concorso straordinario, per titoli per l'accesso alla titolarità delle farmacie, previsto dal decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 (cosiddetto Cresci Italia), convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere iniziative normative che facciano chiarezza nel merito dell'individuazione dei criteri per assegnare il punteggio ai fini della graduatoria di assegnazione delle sedi farmaceutiche, nell'ambito del concorso straordinario previsto dall'articolo 11 decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e superare le criticità sopracitate. (5-09270)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, MANTERO, DI VITA, LOREFICE e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 18 Luglio 2016 è stata presentata, dalla Federazione nazionale Ipasvi l'analisi regione per regione della condizione della forza lavoro infermieristica in Italia, realizzata in base ai dati presenti nell'ultimo conto annuale della Ragioneria generale dello Stato;
   nell'analisi dell'Ipasvi è stato preso come anno di riferimento per il confronto il 2009, anno prima dell'entrata in vigore dell'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla legge lo ottobre 2010, n. 163, che ha disposto, nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, il blocco automatico del turnover del personale dipendente e del personale convenzionato;
   dal rapporto emerge che tra il 2009 e il 2014 in Italia i ranghi degli infermieri dipendenti dal servizio sanitario nazionale hanno perso 7.463 infermieri nelle regioni e altri 50 circa in strutture sovraregionali (enti, istituti a carattere nazionale e altri), il 2,21 per cento di forza lavoro. Una situazione già grave di per se che lo diventa ancora di più se si analizzano le perdite nel dettaglio. Il calo maggiore in valori assoluti si ha in Campania con –2.102 infermieri, seguita dal Lazio con –1.893 e dalla Calabria a –1.444;
   il rapporto infermieri/medici che a livello ottimale sarebbe di 3 a 1, in alcune regioni (ancora quelle in piano di rientro come Campania, Calabria e Sicilia) si ferma a malapena a 2; turni massacranti testimoniati, sempre nelle regioni in piano di rientro, da un significativo aumento della spesa per straordinari (dove il personale manca, chi c’è deve lavorare di più) che raggiunge punte anche di oltre il 4,5 per cento della retribuzione;
   studi internazionali indicano che se i pazienti per infermiere scendono numericamente da 10 a 6, la mortalità si riduce del 20 per cento; in Italia la proporzione media nazionale è di 12 pazienti per infermiere e se alcune regioni – poche – ce la fanno a scendere anche se di poco sotto i 10, ce ne sono altre, tra cui la Campania che conta un rapporto di 18 pazienti per infermiere;
   dall'analisi Ipasvi emergono poi anche altri dati, come quello dell'età media dei professionisti che aumenta per il mancato ricambio generazionale, con una percentuale di infermieri over 50 – meno adatti a turni pesanti e a manovre rischiose per se stessi e i pazienti – che pesa per oltre il 38 per cento. Situazione più grave dove i blocchi del turn over hanno praticamente annullato quasi del tutto il ricambio generazionale: ad esempio gli infermieri over 50 in Calabria sono quasi il 61 per cento, sono più del 58 per cento in Molise e circa il 54 per cento in Campania;
   il personale infermieristico in cinque anni è stato ridotto di quasi 7.500 unità, con un'emorragia più forte nelle regioni in piano di rientro: Campania, Lazio e Calabria che da sole, tra il 2009 e il 2014, hanno perso 5.439 infermieri, circa il 72,5 per cento del totale;
   difficoltà che rischiano di coinvolgere anche i cittadini dal rapporto emerge che «gli infermieri sono troppo pochi per garantire sicurezza ed efficienza dei servizi: ne mancano circa 47 mila, anche per garantire il necessario rispetto alla direttiva Ue sull'orario di lavoro e i relativi riposi, le regioni che necessitano un maggiore fabbisogno di personale infermieristico sono il Lazio a cui mancherebbero 5.988 unità e la Campania 4.679 unità» –:
   se il Ministro non ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile e urgente assumere le iniziative di competenza, per ovviare al blocco del turn over, e far fronte allo spopolamento del personale infermieristico, in particolare nelle regioni che necessitano di un maggiore fabbisogno;
   in quali tempi il Governo intenda adempiere impegni previsti della mozione n. 1/00767 approvata il 25 marzo 2015;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire sicurezza ed efficienza dei servizi offerti ai cittadini e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (5-09278)


   CARRA e GELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici giudiziari di Mantova hanno aperto un fascicolo d'inchiesta sul reparto di oncologia dell'ospedale Poma;
   a destare interesse da parte della magistratura vi sarebbe un numero non irrilevante di decessi di pazienti che supera la soglia di previsione del reparto, così come vi sarebbe anche l'ipotesi, gravissima, di un utilizzo non corretto di farmaci oncologici;
   i Nas di Brescia, nelle scorse settimane, hanno sequestrato numerose cartelle o pazienti e documentazione clinica in ospedale, ascoltato decine di malati e anche familiari di pazienti deceduti, sentiti in veste di persone informate sui fatti;
   sono stati ascoltati anche diversi operatori sanitari in servizio presso la struttura ospedaliera;
   l'ospedale è un patrimonio di tutta la comunità ed è indispensabile fare chiarezza a tutela dei cittadini ed anche dell'impegno e del lavoro svolto quotidianamente dalla stragrande maggioranza di professionisti nei reparti della struttura;
   come riportato dalla stampa vi sarebbero stati, inoltre, una serie, di dissidi e frizioni all'interno del personale che avrebbero inciso in maniera negativa sull'andamento del reparto –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se, considerata la gravità delle notizie e senza interferire con la meritoria attività della magistratura, non ritenga opportuno inviare degli ispettori ministeriali, come accaduto in occasione di altri gravi episodi che hanno riguardato il servizio sanitario nazionale, per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda e sul buon funzionamento di una struttura sanitaria di rilevante importanza per i cittadini, in un reparto delicatissimo. (5-09291)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAZZOLI, MIOTTO e TERROSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sensibilità chimica multipla (MCS) è una sindrome incurabile e ingrandiscente che tra le svariate manifestazioni spesso è in grado di innescare importanti crisi respiratorie, mettendo l'individuo in serio pericolo di vita;
   è una malattia che si manifesta con una progressiva intolleranza nei confronti di sostanze chimiche di varia origine, soprattutto se volatili e lo scatenamento della crisi avviene per contatto, ingestione e inalazione, anche di piccolissime dosi di sostanze, che normalmente sono tollerate dalla maggior parte delle persone e che sono di uso comune e quotidiano: cibi chimicamente trattati, aromi e conservanti, coloranti, insetticidi, disinfettanti, pesticidi, antiparassitari, detersivi, prodotti cosmetici, profumi, deodoranti, vernici, solventi, colle, carta stampata, inchiostri, fumi di combustione, prodotti plastici, materiali per l'edilizia, fumi di stufe, camini, barbecue, formaldeide, trattamenti antitarlo, conservanti del legno, moquette, tappeti, colori artificiali. Importanti manifestazioni di intolleranza si verificano anche per farmaci, anestetici, prodotti medicamentosi ed altri ancora;
   molte volte il soggetto affetto da MCS è anche intollerante alle onde elettromagnetiche, per cui non gli è possibile l'utilizzo di dispositivi quali telefoni cellulari, computer, radio, televisione, ed altri ancora, rimanendo, così, completamente isolato;
   come si legge dal sito web del Ministero della salute «la Sindrome da sensibilità chimica multipla (Multiple chemical sensitivity syndrome — MCS) o Intolleranza idiopatica ambientale ad agenti chimici (IIAAC) è un disturbo cronico, reattivo all'esposizione a sostanze chimiche, a livelli inferiori rispetto a quelli generalmente tollerati da altri individui, e in assenza di test funzionali in grado di spiegare segni e sintomi». La reale esistenza e definizione di questa sindrome è oggetto di ampio dibattito a livello scientifico e al momento non vi sono ancora solidi parametri di riferimento per la diagnosi di tale patologia;
   in Italia sono pochi i medici che studiano questa malattia con competenza sufficiente per permettersi di fare considerazioni in merito, mentre purtroppo la regola è quella di incontrare medici non informati su tale patologia. Alcune regioni quali Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Lazio, Marche, Puglia, Veneto e Basilicata hanno proceduto al riconoscimento della sensibilità chimica multipla (MCS) quale malattia, con evidente disparità di trattamento dei cittadini in funzione della regione di residenza, senza, per altro, garantire l'apertura di adeguati reparti ed ambulatori;
   è ormai necessario un riconoscimento delle suddette patologie ed una stesura di protocolli diagnostici e terapeutici condivisi –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopraesposti, intenda adottare al fine di riconoscere la sensibilità chimica multipla quale malattia rara ed invalidante e per tanto inserirla nei livelli essenziali di assistenza.
(4-13935)


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio, il 27 aprile 2016, da parte del Presidente del Consiglio di «un Cipe straordinario che stanzierà 2,5 miliardi di euro per la ricerca e un miliardo di euro per cultura» sembra essere la risposta del Governo a nuovi investimenti nell'ambito della ricerca biomedica e scientifica;
   in tal senso, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) rappresentano le istituzioni fondamentali del Ministero della salute per pianificare e condurre la ricerca biomedica in campo nazionale. Si tratta di ospedali di eccellenza che perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialità o svolgono altre attività aventi i caratteri di eccellenza;
   in sostanza, questi istituti rappresentano la punta di diamante della ricerca clinico-traslazionale per la prevenzione, diagnosi e cura di una serie di patologie che hanno elevata incidenza e prevalenza nella popolazione italiana, come, ad esempio, le patologie cardiovascolari, quelle neurologiche, quelle muscolo-scheletriche ed i tumori. In Italia ci sono in tutto 49 Irccs;
   il compito di promuovere e coordinare l'attività scientifica negli Irccs in accordo con le linee guida del Ministero è affidato ai «direttori scientifici». Si tratta di posizioni di grande prestigio scientifico ricoperte da ricercatori di fama internazionale, autori di pubblicazioni e dotati di grande esperienza nel campo della conduzione e della amministrazione della ricerca scientifica;
   l'identificazione di direttori scientifici di alta qualità scientifica e di sapiente capacità amministrativa della scienza ha il potere di rilanciare la ricerca scientifica degli istituti pubblici (e privati), di incentivarne la produttività scientifica, e, attraverso una coerente abilità di identificare e sostenere le «eccellenze» istituzionali, di attivarne la dimensione internazionale, consentendo la diffusione e l'implementazione di nuove scoperte scientifiche nel campo della prevenzione, diagnosi e terapia di malattie ad alto impatto sociale. Sotto la direzione scientifica di grandi direttori scientifici, la ricerca biomedica italiana ha ottenuto risultati di rilevanza nazionale ed internazionale;
   recentemente, il Ministero della salute, ha indetto uno serie di bandi per la identificazione di «direttori scientifici» per alcuni Irccs nazionali. Attraverso specifici criteri di valutazione il Ministero della salute ha disegnato il profilo dei «direttori scientifici» definendone: a) la qualità dell'attività scientifica (calcolo dell’impact factor, page rank, citation analysis, posizioni di preminenza nel novero degli autori, continuità dell'attività scientifica, brevetti e altro); b) la capacità manageriale (direzione di istituti di ricerca, Irccs, Cnr, università, privati e altro nazionali o internazionali, per un minimo di cinque anni; organizzazione e mantenimento di laboratori e/o banche di materiale biologico e altro); c) la capacità di organizzazione della ricerca e di gruppi produttivi nazionali ed esteri ed infine le competenze specifiche;
   i criteri per la nomina dei «direttori scientifici» vengono valutati, sempre secondo il bando ministeriale, da una commissione composta da tre esperti della materia, anche stranieri, nella quale i membri istituzionali (direttore generale della ricerca del Ministero della salute e rappresentante della regione di appartenenza dell'Irccs considerate) partecipano solo come garanti delle procedure;
   i membri delle commissioni per definizione stessa del bando del Ministero della salute sono «...tre rappresentanti della comunità scientifica, anche di nazionalità straniera, di indiscussa fama internazionale nella disciplina, individuati tenendo conto dell'equilibrio di genere, tra i quali il Ministro nomina il Presidente»;
   dai dati pubblicati dal sito del Ministero della salute, per alcuni Irccs, come quello della Fondazione Istituto nazionale tumori di Milano (2014) e l'Istituto neurologico Besta sempre di Milano (2015), le commissioni sono state nominate in maniera conforme al bando. Per la composizione delle commissioni sono stati identificati ricercatori italiani di grande esperienza e produttività scientifica e quindi anche in grado di valutare e selezionare colleghi di altrettanta valenza scientifica;
   tuttavia, per altri Irccs, anche molto rilevanti in campo nazionale, come per l’«Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna» (Istituto leader nazionale per la ricerca clinica nel campo delle patologie muscolo scheletriche) (2016) e per la «Fondazione Irccs Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano» (2016), il Ministero della salute sembra all'interrogante aver utilizzato criteri molto diversi; mentre, per altri ancora, il dicastero, a quanto risulta all'interrogante, non ha indicato la composizione delle commissioni valutative, come ad esempio per l'Istituto nazionale tumori «Regina Elena» di Roma (il più grande Irccs pubblico italiano) (2016), l'Istituto di tecnologie avanzate e modelli assistenziali di Reggio Emilia (2015), l'Istituto oncologico Veneto di Padova (2014) e il «Centro neurolesi Bonino Pulejo di Messina» (2015);
   si deve, infine, aggiungere che, oltre alla qualità scientifica dei membri delle commissioni, si dovrà tener conto, ad avviso dell'interrogante, di eventuali potenziali conflitti di interesse tra membri delle commissioni e candidati che si presentano ai diversi concorsi (cioè di membri delle commissioni che hanno lavorato e pubblicato insieme ai candidati alle posizioni in oggetto e/o che lavorano presso gli stessi dipartimenti/unità dei candidati stessi). Tali casi si potrebbero certamente verificare dato il livello di qualificazione di commissari ed aspiranti e ciò potrebbe risultare fortemente limitante rispetto alla validità dei giudizi espressi dai commissari, in quanto si ridurrebbe la possibilità di libero giudizio e oggettiva valutazione di tutti i candidati secondo i criteri enunciati proprio dal Ministero –:
   se il Ministro sia a conoscenza di incongruità nella costituzione delle commissioni di valutazione in diversi Ircss nazionali e se sia a conoscenza di eventuali conflitti di interesse tra membri delle commissioni e candidati, e ai concorsi;
   per quali motivi per determinati istituti non si abbia la notizia della composizione delle commissioni;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire l'oggettiva valutazione dei candidati secondo reali criteri meritocratici e quindi l'eccellenza nella qualità scientifica dei direttori identificati o che saranno identificati.
   (4-13936)


   D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo strumento della vaccinazione, soprattutto in età pediatrica, rappresenta uno degli interventi più efficaci che il servizio sanitario nazionale pubblico mette a disposizione dei cittadini per promuovere la prevenzione delle principali malattie infettive;
   secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità e del Ministero della salute, le coperture vaccinali per malattie come poliomielite, tetano, difterite ed epatite B oggi sono al di sotto del 95 per cento (la soglia di sicurezza) e la copertura scende sotto la soglia dell'86 per cento per morbillo, parotite e rosolia, patologie per cui, secondo i dati diffusi dalla Società Italiana di Pediatria, oltre 358.000 bambini non sono stati vaccinati negli ultimi 5 anni;
   la vaccinazione rappresenta uno degli interventi di sanità pubblica maggiormente efficaci e sicuri, poiché attraverso la cosiddetta immunità di gregge, anche i non vaccinati beneficiano degli effetti positivi della vaccinazione, sempre che la copertura sia superiore alla soglia del 95 per cento, al di sotto della quale l'agente patogeno continuerebbe a circolare. Il calo delle vaccinazioni costituisce un grave pericolo per la salute di tutti: per fare un esempio, la mancata vaccinazione antinfluenzale di tantissimi anziani dopo un falso allarme sui rischi del vaccino è stata una delle cause del «boom» di mortalità nel 2015;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità i vaccini sono in grado oggi di salvare 2,5 milioni di vite l'anno nel mondo, eppure il valore della prevenzione vaccinale non è adeguatamente compreso e rischia di essere seriamente in pericolo a causa della disinformazione e di falsi miti che, seppur privi di base scientifica, riescono ad «attecchire» sull'opinione pubblica;
   anche in età adolescenziale le vaccinazioni sono fondamentali: il vaccino contro il Papilloma virus umano (Hpv) è in grado di proteggere ragazzi e ragazze da vari tipi di cancro, come il tumore del collo dell'utero, il cancro anale, le lesioni precancerose di cervice, ano, vulva e vagina e i condilomi genitali;
   nel piano vaccinale è prevista la vaccinazione contro Hpv per le femmine di 12 anni di età, ma alcune regioni hanno ampliato a più classi d'età (17 e 25 anni) e hanno anche previsto i maschi di 12 anni. Allargando ai maschi questa vaccinazione, oltre a prevenire le malattie da Hpv nel maschio stesso, si interviene riducendo il serbatoio infettivo;
   è di questi giorni il documento della Federazione degli Ordine dei medici (Fnomceo) che prevede provvedimenti disciplinari, fino alla radiazione per il medico che consiglia di non vaccinarsi, poiché ciò costituisce infrazione deontologica;
   dopo anni di polemiche, dopo prese di posizione del Ministero alla salute, dell'Istituto superiore di sanità, delle regioni (con l'Emilia, ad esempio, che vieterà l'ingresso al nido per i non vaccinati) si muovono dunque anche gli Ordini dei medici. Lo fanno con un documento approvato all'unanimità dal Consiglio nazionale in cui si ammette la possibilità per il «camice bianco» di sconsigliare la vaccinazione «solo in casi specifici, quali ad esempio alcuni stati di deficit immunitario»;
   il documento della Fnomceo, dopo aver ricordato l'importanza che hanno avuto le vaccinazioni nello sconfiggere molte malattie in tutto il mondo, sottolinea come questi medicinali in questi anni siano finiti sotto attacco. «Le ragioni sono molteplici. Tra queste la irrazionalità diffusa per cui le dimostrazioni ragionevoli e scientifiche sembrano al contrario rafforzare le persone diffidenti nel preesistente giudizio. L'individualismo prevalente, che porta a dimenticare gli obblighi verso la collettività. La crisi di autorevolezza dei medici e la frustrazione che nasce da tante promesse non mantenute della medicina. L'uso estesissimo di internet, in cui prevalgono informazioni contraddittorie e antiscientifiche. Il tipico errore per cui di fronte a un rischio per quanto altamente improbabile (la reazione avversa da vaccino) si trascura il vantaggio certo (l'immunizzazione rispetto alla grave malattia) lasciandosi guidare da diffidenze e sospetti. L'allarme sociale per i pregressi danni da vaccino, ora estremamente rari, che tuttavia fanno dimenticare le epidemie verificate ovunque si sia abbandonata o ridotta la pratica vaccinale. Le informazioni contraddittorie spesso presenti sui mass media. La scarsa formazione alla scienza del nostro Paese. La difficoltà che i programmi vaccinali trovano nel raggiungere i gruppi emarginati e deprivati» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare sul tema dei vaccini per far sì che si possa coniugare una corretta informazione con la prevenzione nell'interesse della salvaguardia non solo della salute delle persone ma di tutta la società, al fine di evitare che malattie che si pensavano ormai debellate possano tornare. (4-13938)


   ZOLEZZI, BARONI e LOREFICE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 luglio 2016 sono apparse sulla stampa locale di Mantova segnalazioni di pazienti in merito al trasferimento delle dottoresse Beatrice Pisanelli e Francesca Adami dalla struttura complessa Oncologia dell'Azienda socio sanitaria territoriale «Carlo Poma» di Mantova verso la struttura cure palliative la prima e la struttura medicina di Pieve di Coriano (Mantova) la seconda;
   la direzione ospedaliera, interpellata sui motivi del trasferimento, ha commentato il giorno dopo che era necessario ristabilire serenità, equilibrio e buoni rapporti in reparto;
   alle prime lettere di pazienti si sono susseguite molte altre richieste di spiegazioni agli organi d'informazione da parte di pazienti seguiti anche da più di 10 anni dalle due specialiste, testimoniando la fiducia nel loro operato e in parte l'insofferenza per la riorganizzazione operativa di quella struttura che ha previsto la riduzione di esami di monitoraggio e in taluni casi approcci opinabili ai trattamenti farmacologici e non, apparentemente per una logica di budget;
   sugli organi di stampa il 21 luglio 2016 era apparsa la versione della regione Lombardia per bocca dell'assessore al welfare Gallera che ha dichiarato trattasi di «questione delicata che l'ASST di Mantova sta seguendo da oltre un anno, mettendo in campo una pluralità di azioni per risolverla»; è stata avviata una lunga valutazione da parte di un esperto terzo del Policlinico di Modena che non ha rilevato criticità cliniche ma solo criticità insanabili all'interno dell’équipe che hanno portato all'allontanamento coatto delle due dottoresse;
   la provincia di Mantova è collocata in pianura Padana: area a fortissimo impatto per tutte le matrici ambientali (aria, suolo, falde acquifere); la città di Mantova è sede di un sito di interesse nazionale per le bonifiche (SIN «Laghi chi Mantova e Polo Chimico») dove, nell'ultima campagna di monitoraggio del giugno 2015, sono state riscontrate concentrazioni di benzene superiori di 177.000 (centosettantasettemila) volte la norma. Lo studio epidemiologico «sentieri» sull'impatto del SIN aveva documentato oltre 70 diagnosi di tumore aggiuntive rispetto ad altre aree di analoga popolazione in regione Lombardia;
   sono in corso numerosi processi per patologie tumorali da esposizione professionale in provincia di Mantova. L'indice di occupazione dei letti nella struttura oncologia dell'ospedale di Mantova è purtroppo persistentemente molto elevato;
   questo contrasto fra possibile riduzione delle attività proprie di un reparto del genere, in una realtà territoriale impattata pesantemente a livello ambientale e professionale e l'incremento di altre attività, supportato da un clima di tensione, pongono ragionevoli dubbi, secondo gli interroganti, sul modus operandi della dirigenza ospedaliera della struttura «Carlo Poma» di Mantova che avrebbe dovuto ottenere quella serenità necessaria al buon funzionamento del reparto. A giudizio degli interroganti questo clima ha portato a scrivere documenti in supporto di una linea opinabile e non al confronto costruttivo sugli adeguati approcci ai pazienti;
   risulta dalla stampa locale (Gazzetta di Mantova del 22 luglio 2016) che «Gli uffici giudiziari di via Poma hanno aperto un fascicolo d'inchiesta sul reparto di Oncologia dell'ospedale Poma. E questo ben prima delle proteste di pazienti e familiari per il trasferimento forzato di due oncologhe, Francesca Adami e Beatrice Pisanelli, assegnate ad altri ospedali a seguito di un insanabile disaccordo con il primario Maurizio Cantore. Un dissidio che sarebbe stato suscitato da una differente visione sui protocolli terapeutici e sull'utilizzo di farmaci di nuova generazione, più efficaci ma anche molto più costosi e quindi non in linea con gli orientamenti di una sanità sempre più spesso improntata sui tagli di spesa. Non sarebbero dunque stati i cattivi rapporti interni all’équipe medica del reparto, raccontati dall'assessore regionale, a suscitare l'inchiesta giudiziaria. Bensì, secondo fonti vicine agli ambienti investigativi, almeno due esposti indirizzati alla Procura di via Poma» –:
   se il Governo sia al corrente della situazione descritta in premessa, se risultino altri casi analoghi e quali iniziative di competenza intenda assumere, al di là dell'episodio specifico, per garantire che le misure di razionalizzazione della spesa sanitaria non pregiudichino l'applicazione di protocolli terapeutici innovativi e il ricorso a farmaci di nuova generazione, con riferimento a tutto il territorio nazionale;
   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica circa le anomalie che sembrerebbero emergere in relazione alla gestione del rapporto lavorativo delle due oncologhe sopra citate, le quali, a giudizio degli interroganti, risultano immotivatamente penalizzate sul piano professionale, nonostante la fiducia dimostrata dai pazienti;
   se, alla luce di quanto accaduto, il Governo non intenda, su un piano più generale, assumere iniziative per favorire e incentivare un modello di gestione della pubblica amministrazione maggiormente basato sulla valorizzazione del merito e dell'efficienza;
   se il Ministro della salute – alla luce del rilevante numero di decessi sui quali si starebbe concentrando l'inchiesta e dell'ipotesi riportata dalla stampa di un non corretto uso di farmaci oncologici – non ritenga, per quanto di competenza, di promuovere un'ispezione ministeriale presso l'ospedale «Carlo Poma» di Mantova. (4-13952)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FONTANELLI, CARROZZA e GELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a Pisa è presente un sito di ricerca e sviluppo, in cui al momento lavorano quarantanove persone assunte a tempo indeterminato e quattro assunte a tempo determinato, più altre tre persone assunte dal Consorzio Coritel, di cui la Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. è partner. Il sito è presente a Pisa dal 2001 e collabora con la Scuola Sant'Anna e il Cnr nell'ambito delle telecomunicazioni, nonché con altre aziende operanti nella provincia di Pisa, e da sempre lavora e collabora con il sito di Genova per lo sviluppo delle reti di trasporto ottiche di prossima generazione;
   gli obiettivi strategici del centro di ricerca pisano sono quelli di sviluppare nuovi concetti di sistema, testare nuove tecnologie, dimostrare sperimentalmente la fattibilità delle soluzioni studiate, nonché sviluppare prototipi di sistemi avanzati. Il centro ha inoltre la responsabilità di individuare e promuovere la ricerca a lungo termine, di sviluppare e mantenere la leadership tecnologica a livello mondiale nelle aree di interesse e di promuovere costantemente un processo di innovazione operando da cerniera tra università/centri di ricerca con cui collabora e unità di ricerca e sviluppo della Ericsson;
   i gruppi di lavoro impegnati nel presidio pisano sono tre, ovvero uno composto da quattordici persone che si occupano di ricerca pura e dipendono direttamente dalla Svezia, uno costituito da venticinque persone che lavorano allo sviluppo dei prodotti ideati dal gruppo d ricerca, coi quali vengono ideati parecchi brevetti, e infine un gruppo di quattordici persone che lavorano sulla gestione della rete;
   il sito di Pisa negli ultimi anni si è distinto per il forte orientamento alla innovazione e ai prodotti futuri, come la Ericsson stesa ha sempre pubblicizzato attraversi i media. Di ciò sono un esempio il lavoro eseguito su Terabit, con il record di distanza per la trasmissione a 1Terabit al secondo, stabilito in Australia; il lavoro fatto sulla Cloud Robotics, con la dimostrazione di comunità di robot governati da un'intelligenza remota in cloud; il programma 5G for Italy, relativo alla comunicazione mobile di futura generazione; il programma sulla fotonica integrata su silicio, in collaborazione con Scuola Sant'Anna/CNIT di Pisa, volto allo sviluppo e alla produzione di componenti di ultima generazione;
   il 13 giugno 2016 la società ha aperto una procedura di mobilità per trecento persone in Italia, di cui nove a Pisa nel gruppo di sviluppo, contestualmente all'annuncio del trasferimento a Genova delle attività di sviluppo e gestione della rete di Pisa e di ventisei persone ivi occupate entro la fine dell'anno, con il risultato che a Pisa rimarrebbe solo il gruppo di quattordici unità lavorative occupate nella ricerca, dipendente direttamente dalla Svezia;
   nel corso degli anni, e più precisamente dal 2010 al 2014, la Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. ha ricevuto circa dodici milioni di euro di finanziamenti pubblici provenienti dall'Unione Europea, dal Governo italiano e dalle regioni per sostenere progetti di ricerca, per testare nuove tecnologie e per sviluppare nuovi prototipi;
   a partire dal 2017 il sito di Pisa si sarebbe dovuto occupare dello sviluppo di nuovi prodotti per tecnologie 5G e radio, i cui prototipi sono stati realizzati proprio a Pisa per lo sviluppo delle quali, il 30 maggio 2016, è stato firmato un piano di formazione del personale finanziato da Fondimpresa per riqualificare professionalmente trenta unità occupate a Pisa che invece rischiano di essere licenziate o trasferite a Genova;
   il 22 giugno 2016 i rappresentanti della Ericsson Telecomunicazioni s.p.a, dopo essere stati convocati al Ministero dello sviluppo economico per un incontro con i presidenti della regione Lazio, Lombardia, Liguria e Toscana, congiuntamente ai sindacati, hanno manifestato il loro rifiuto a partecipare al tavolo di confronto al Ministero dello sviluppo economico;
   gli esuberi annunciati e il rifiuto della Ericsson ad ogni confronto con i rappresentati istituzionali e con quelli sindacali stanno creando legittime preoccupazioni tra i lavoratori del centro pisano di ricerca;
   la scorsa settimana il Consiglio regionale della Toscana ha approvato all'unanimità tre mozioni sul caso dell'azienda multinazionale di telecomunicazioni Ericsson. Le mozioni impegnano la giunta regionale ad adoperarsi per salvaguardare i posti di lavoro e per mantenere la sede di Pisa anche alla luce dei finanziamenti che la medesima Ericsson ha ricevuto, negli anni dalla regione Toscana –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere affinché vengano revocate le procedure di mobilità per il licenziamento dei lavoratori del centro di ricerca pisano e siano rese note le strategie organizzative e di mercato che la multinazionale svedese ha intenzione di attuare nel nostro Paese e in particolare a Pisa. (5-09272)


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, MICILLO e CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da alcune inchieste giornalistiche, pubblicate nelle scorse settimane, è emerso che sarebbe diffusa la pratica, da parte di compagnie aeree e agenzie di viaggi online, di applicare tariffe maggiorate ai titoli di viaggio nel caso di acquisti e transazioni online con carta di credito o di debito;
   nello specifico, sembrerebbe che il meccanismo di rincaro sia determinato dall'uso di carte di credito differenti rispetto a quelle pubblicizzate, convenzionate o di diretta emanazione di agenzie di viaggi e intermediari online;
   nella pratica, sembrerebbe che l'acquirente scoprirebbe il prezzo finale maggiorato, rispetto a quello dell'offerta commerciale, solo al momento di inserire gli estremi della carta di credito e dopo aver terminato le procedure di inserimento dei dati necessari all'acquisto (città, giorno, orario, anagrafica, bagaglio, assicurazione e altro);
   sembrerebbe che i rincari possano, in alcuni casi, elevare il prezzo dei biglietto di circa tre volte quello oggetto dell'offerta commerciale;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato avrebbe ripresa e sanzionato questi comportamenti che si configurerebbero come «scorrette modalità di rappresentazione ai consumatori del prezzo dei biglietti aerei rispetto all'inserimento della tassa nascosta per l'uso della carta di credito»;
   nell'aprile del 2013, l’Authority avrebbe imposto una sanzione di 400 mila euro alla compagnia low cost Ryanair per aver impiegato la citata modalità di pagamento;
   da quanto emerso da alcuni articoli di stampa, sembrerebbe che, nonostante i provvedimenti sanzionatori, sia ancora diffusa la modalità di applicare la tassa nascosta per l'uso di carte di credito diverse da quelle convenzionate, di cobranding o promosse dal sito internet di e-commerce;
   è il caso di rilevare che, anche nel caso fosse assente una tassa occulta e la maggiorazione dovesse essere espressamente dichiarata, ci si potrebbe trovare di fronte a un comportamento non in linea con il codice del consumo, secondo il quale sarebbe illecito e scorretto applicare commissioni aggiuntive in base alla carta di credito utilizzata;
   nel mese di aprile 2016, l'associazione dei consumatori Altroconsumo avrebbe sottoposto all'esame dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato gli operatori di e-commerce eDreams, Lastminute e Opodo, perché, secondo, l'associazione, applicherebbero una maggiorazione sino al 70 per cento rispetto al prezzo iniziale;
   le nuove tendenze e i nuovi modelli di turismo vedrebbero emergere sempre più la figura del turista «fai da te», che sceglierebbe itinerari e modalità di viaggio autonomamente e senza intermediari;
   questo stato di cose richiamerebbe con forza la necessità di maggiori tutele per gli utenti dell’e-commerce che, in un contesto tecnologico e con scarse opportunità di interazione, appaiono in una posizione di debolezza rispetto ai fornitori di servizi;
   secondo l'ultimo report dell'Istat (febbraio 2016), in Italia il 34 per cento di viaggiatori acquisterebbe i biglietti presso un'agenzia online usando la carta di credito (la percentuale aumenterebbe sensibilmente nel caso di soggiorni brevi);
   considerato che la diffusione delle compagnie aeree low cost rappresenta un'opportunità per una maggiore mobilità dei cittadini italiani, per motivi di lavoro, studio e vacanza, la tassa occulta o le maggiorazioni per l'uso delle carte di credito rappresenterebbero una forte limitazione nonché un impedimento alla mobilità, oltre a configurare una possibile violazione del codice al consumo e delle disposizioni in materia di concorrenza e mercato –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanta di competenza, per garantire pari condizioni di accesso alle opportunità commerciali offerte dalla rete internet, con particolare riguardo agli intermediari e alle agenzie di viaggi online;
   se il Governo non ritenga opportuno, per quanto di competenza, assumere iniziative normative volte a contrastare le pratiche commerciali considerate sleali o scorrette, con particolare riguardo alle tasse occulte o alle maggiorazioni per l'uso delle carte di credito. (5-09292)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO, QUINTARELLI, BRUNO BOSSIO, MUCCI, CARROZZA, DALLAI, BARBANTI e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione di reti in fibra ed un sistema di connettività avanzato sono cruciali per la competitività del sistema industriale italiano e per la modernizzazione della pubblica amministrazione;
   l'Italia sconta un ritardo strutturale in questo settore che solo negli ultimi anni è in via di recupero, grazie all'azione di Governo che ha lanciato un ambiziosa strategia per la banda ultralarga e la digitalizzazione e all'impegno degli operatori;
   è di questi giorni la notizia del prossimo ingresso nel mercato mobile nazionale di un nuovo quarto operatore, a seguito della fusione tra H3G e Wind e alla dismissione da parte di queste società di risorse frequenziali e siti;
   si tratta di un evento di primaria rilevanza, che potrebbe avere conseguenze importanti sulle dinamiche dell'intero settore, in un momento in cui è condivisa la necessità di accelerare sugli investimenti in fibra, fondamentali sia per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale che per il passaggio al 5G;
   al momento, si prospettano verosimilmente due ipotesi: il nuovo quarto operatore mobile potrebbe giocare la carta degli investimenti, e innescare una dinamica positiva di infrastrutturazione accelerando il passaggio a tecnologie innovative, oppure potrebbe giocare la carta della guerra «guerra di prezzi»;
   entrambe le opzioni sono forse positive per l'utente nel breve periodo, ma non entrambe hanno le stesse ricadute nel medio-lungo periodo e nella partita dell'infrastrutturazione, in quanto solo un operatore che investe in reti proprie e basa la sua strategia competitiva sulla qualità e sul costante miglioramento delle reti esistenti è funzionale alle politiche industriali del Paese in questo momento;
   la tutela degli utenti deve essere contemperata con l'interesse ad incentivare investimenti in infrastrutture di rete mobili di nuova generazione;
   la natura di risorsa pubblica delle frequenze e il livello degli interessi in gioco legittimano un ruolo attivo del Governo nel seguire da vicino il procedimento, nonché la richiesta alla Commissione europea di avviare una consultazione pubblica in modo da poter valutare gli impegni assunti da Iliad e le sue strategie –:
   se il Governo, coerentemente con le vigenti metodiche operative della Commissione europea, intenda chiedere alla Commissione stessa di effettuare un market test in modo da consentire ai soggetti interessati e alle istituzioni nazionali di valutare gli impatti che il nuovo operatore avrà sul mercato. (4-13934)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Manlio Di Stefano e altri n. 1-01331, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzo, Tofalo, Baroni, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli.

Apposizione di firma ad una interpellanza urgente ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interpellanza urgente Brunetta ed altri n. 2-01435, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2016, è stata sottoscritta anche dal deputato Fabrizio Di Stefano.
  Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato:
   Brunetta, De Girolamo, Polverini, Fabrizio Di Stefano, Secco, Longo, Catanoso, Sandra Savino, Polidori, Vella, Palmizio, Alberto Giorgetti, Squeri, Romele, Russo, Sarro, La Russa, Occhiuto, Palese, Francesco Saverio Romano, Ciracì, Luigi Cesaro, Bueno, Giacomoni, Bergamini, Palmieri, Mottola, Marti, Distaso, Latronico, Altieri, Fucci, Chiarelli.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Gnecchi e altri n. 3-02428, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Cambio di presentatore di risoluzione in Commissione.

  Risoluzione in Commissione n. 7-01037, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 giugno 2016, è da intendersi presentata dall'onorevole Di Vita, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini n. 4-13790, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 653 del 13 luglio 2016.

   MASSIMILIANO BERNINI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tabagismo costituisce una forma di dipendenza particolarmente pericolosa ed è la causa, secondo l'organizzazione mondiale della sanità, di sei milioni di morti all'anno in tutto il mondo, destinati a salire ad otto milioni entro il 2030 e di cento milioni di morti in tutto il ventesimo secolo, una cifra superiore alla somma delle vittime di guerre ed epidemie varie. Per non parlare per gli enormi costi che gravano sui sistemi sanitari;
   secondo l'ultima indagine DOXA-ISS del 2016, il numero di fumatori in Italia ha raggiunto gli 11,5 milioni, vale a dire il 22 per cento della popolazione: 6,9 milioni di uomini (il 27,3 per cento) e 4,6 milioni di donne (17,2 per cento) e si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco nel nostro paese dai 70.000 agli 83.000 decessi l'anno, di cui oltre il 25 per cento è compreso tra i 35 ed i 65 anni di età (dati ISTAT del 2012);
   il fumo attivo e il fumo passivo, in tutto, sono classificati come cancerogeni certi per l'uomo (gruppo 1) dall'Organizzazione mondiale della sanità tramite lo IARC. Sono cancerogeni certi anche alcuni dei suoi componenti, primi tra tutti benzene e benzo[a]pirene. Si descrive quindi il tabagismo come sicuramente collegato all'insorgenza di patologie neoplastiche di varia natura, in primis il cancro polmonare per incidenza e mortalità;
   nonostante le evidenze scientifiche degli effetti dannosi del fumo passivo sulla salute e sull'ambiente, un italiano su quattro continua a fumare, esponendo di conseguenza anche i non fumatori a una serie di effetti sulla salute e sull'ambiente circostante;
   le multinazionali del tabacco, come la Phillip Morris, sotto la cui egida operano marchi tristemente famosi come Marlboro e L&M, hanno da un lato articolato la propria presenza sui mercati, invadendo anche altri settori, dall'altro, si sono riversate sui mercati del terzo mondo, dove il consumo di sigarette sta dilagando, con costi umani e sociali di grande dimensione;
   nel corso degli anni le multinazionali del tabacco (Cina National Tobacco Corporation, un monopolio di Stato le sigarette nel mondo sono perlopiù prodotte in Cina, che ha il 43 per cento del mercato globale; Philip Morris, di cui Marlboro è il marchio più diffuso, ha il 16,4 per cento del mercato; Bat, la British american tobacco, un altro «big» che ha sedi in tutto il mondo; Japan Tobacco International; la Imperial Tobacco e Altadis) a seguito di battaglie legali sono state condannate in diversi Stati al pagamento di molti miliardi di euro a favore di diverse categorie di fumatori, di malati di tumore ai polmoni e alla gola e dipendenti della nicotina che hanno accusato i marchi di non aver adeguatamente informato i consumatori sui danni provocati dal fumo. Tutta, i profitti del settore sono altissimi grazie anche al fatto che le sigarette (e altri prodotti del tabacco come sigari, cartine, tabacco da fiuto) sono tra i prodotti più pubblicizzati tra i beni di consumo. I guadagni astronomici (la redditività del tabagismo nel 2010 è stata di 346,2 miliardi di dollari, per un profitto netto di 35,1 miliardi) si reggono su una spesa di marketing difficilmente quantificabile, ma che si aggira intorno a decine di miliardi di dollari l'anno. Soltanto negli Stati Uniti, per esempio, sono spesi ogni anno circa 10 miliardi in pubblicità per le sigarette (in un periodo in cui la pubblicità è stata vietata in tv e in radio, insieme con altri divieti);
   nella produzione di tabacco l'Italia è leader nell'Unione europea con oltre 1/4 della produzione complessiva. La coltivazione in Italia si sviluppa su 18.000 ettari soprattutto in Campania, Veneto, Umbria e Toscana, una produzione complessiva di 55.600 tonnellate per un valore di circa 135 milioni di euro che raddoppiano se si fa riferimento all'indotto. Sono 50.000 gli addetti a livello nazionale, nella fase di coltivazione e prima trasformazione;
   tali coltivazioni risultano fortemente concentrare in alcune aree del Paese, le regioni Campania, Toscana, Umbria e Veneto, dove rappresentano una delle principali risorse economiche e fonte di occupazione, oltre a essere legate ad una importante tradizione agricola;
   la manifattura tabacchiera italiana è caratterizzata da produzioni di alta qualità e da marchi storici, che non sono mai stati adeguatamente valorizzati soprattutto da parte delle strutture e dagli enti pubblici deputati a farlo (vedasi l'ICE Istituto per il commercio estero), al punto che i maggiori marchi sono pressoché sconosciuti sul mercato internazionale, potendo invece competere per rapporto qualità/prezzo con i principali brand;
   in data 4 maggio 2005 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Philip Morris International Management SA («PMIMSA») e Philip Morris Italia s.r.l. – già s.p.a. (di seguito «PM Italia») hanno siglato un verbale di intesa programmatica della durata di tre anni, con l'obiettivo di migliorare la qualità, l'efficienza produttiva e la competitività del tabacco italiano, garantendo adeguati sbocchi commerciali attraverso l'acquisto di tabacchi nazionali per il successivo triennio, per supportarne il miglioramento qualitativo, la riconversione dei forni destinati alla cura del tabacco Flue Cured Virginia Bright e il finanziamento di borse di studio;
   in data 11 ottobre 2007 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, PMIMSA e PM Italia hanno rinnovato il verbale di intesa programmatica per la durata di ulteriori quattro anni commerciali, fino al 2011;
   in data 18 aprile 2011 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, PMIMSA e PM Italia hanno nuovamente rinnovato il verbale di intesa programmatica, per una durata di tre anni commerciali, prevedendo l'acquisto da parte di PM Italia di complessive 63.000 tonnellate di tabacco italiano secco sciolto;
   il 24 luglio 2015 Philip Morris Italia, affiliata italiana di Philip Morris International Inc. (PMI), ha sottoscritto un verbale d'intesa programmatica per una partnership strategica con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'accordo prevede un investimento da parte di PMI di circa 80 milioni di euro l'anno, con un obiettivo di collaborazione fino al 2020 e un potenziale investimento complessivo fino a circa 500 milioni di euro per l'acquisto di tabacco coltivato in Italia;
   tra i vari obiettivi dell'accordo vi sono la disponibilità di PM Italia a continuare a collaborare con l'amministrazione italiana con il comune obiettivo di migliorare la qualità del tabacco nazionale, attraverso specifiche attività di ricerca e sperimentazione, nonché di promuovere la divulgazione delle pratiche agronomiche del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   nel verbale dell'accordo si prevede, all'articolo 6, che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, incaricherà Ismea di predisporre, in collaborazione con PM Italia, un programma di investimenti finalizzato alla sostenibilità del settore;
   la Coldiretti ha accolto con favore l'accordo con cui Philip Morris si conferma il principale acquirente di tabacco in Italia e secondo il presidente Roberto Moncalvo «dà la possibilità di rafforzare una collaborazione importante tra Coldiretti e Philip Morris nella fornitura del tabacco e consentirà di consolidare un investimento di circa 500 milioni entro il 2020»; «Potrà così rafforzarsi un accordo rilevante perché – ha evidenziato Moncalvo a mezzo stampa –, il contatto diretto con i produttori consente di bypassare intermediazioni che in passato riducevano il prezzo del tabacco riconosciuto agli agricoltori, ma anche l'impegno importante degli agricoltori dal punto di vista delle buone pratiche agricole e in termini di garanzia di legalità del lavoro impiegato per la coltivazione del tabacco». Gli impegni di acquisto di Philip Morris riguardano i gruppi varietali Virginia Bright (10.000 tonnellate pari a circa il 30 per cento del totale varietale prodotto in Italia) e Burley (11.000 tonnellate pari a oltre il 60 per cento del totale varietale prodotto in Italia). In termini di valore, gli acquisti di Philip Morris valgono oltre il 35 per cento dell'intero valore degli acquisti nazionali di tutte le manifatture;
   la scelta di Philip Morris nel 2011 di rinnovare gli accordi e adottare il modello di contrattazione diretta con i produttori, rileva la Coldiretti è, ha consentito la continuità della coltivazione. Dal 2010, infatti, con la forte riduzione degli aiuti comunitari le maggiori manifatture avevano deciso di abbandonare la produzione italiana considerata fuori mercato per i costi, seppur qualitativamente valida;
   come l'accordo siglato con la multinazionale Philip Morris si inserisca nel quadro della tutela della salute pubblica e dei singoli consumatori, considerando il conclamato rapporto tra tabagismo e danni gravi alla salute;
   come l'accordo siglato con la multinazionale Philip Morris si concili con gli interessi degli agricoltori e della manifattura italiana. (4-13790)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Paglia n. 5-09164 del 13 luglio 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Di Vita e altri n. 3-02413 del 20 luglio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09275.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Brunetta e Occhiuto n. 3-02425 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 662 del 26 luglio 2016. Alla pagina 40137, seconda colonna, alla riga trentatreesima, dopo il nome «BRUNETTA» devono leggersi le parole «e OCCHIUTO».